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PRESENTAZIONE

La mostra “Vedere e non riconoscere” è il risultato di una collaborazione tra il Centro Studi Ar-
cheologia Africana di Milano e la Missione Etnologica in Bénin e Africa Occidentale, un proget-
to di ricerca dedicato allo studio e alla valorizzazione del patrimonio culturale e storico
dell’Africa Occidentale, istituito nel 2000 e cofinanziato dal Ministero Affari Esteri e dal Dipar-
timento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-
Bicocca.
Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, il Centro Studi costituì un significativo fondo di im-
magini antiche sull’Africa tratte da opere a stampa pubblicate tra la metà del XVI secolo e
l’inizio del XIX secolo. L’ipotesi culturale che intendeva investigare, riguardava le modalità con
le quali la cultura occidentale aveva guardato e descritto l’Africa e gli Africani all’epoca dei
grandi viaggi di esplorazione, prima cioè della conquista coloniale tardo ottocentesca. La raccol-
ta di iconografia antica appariva infatti rappresentativa ed utile, almeno quanto i testi d’epoca,
per comprendere la formazione e l’evoluzione di un “immaginario collettivo” sull’Africa del
quale siamo tuttora profondamente impregnati. Successivamente, nel 2004, l’intero fondo fu do-
nato al Museo di Storia Naturale di Milano allo scopo di consentirne la divulgazione e l’accesso
alla comunità scientifica. A partire da questo raro e prezioso materiale sono state realizzate una
serie di esposizioni in Italia e anche in Africa, che hanno costituito la base di partenza della pre-
sente iniziativa.1
Da una lettura critica delle immagini e dei testi antichi, l’antropologia culturale e la storia
dell’Africa - i due ambiti disciplinari cui fanno riferimento Riccardo Ciavolella e Valentina Mut-
ti - possono ricavare una molteplicità di elementi utili non solo allo studio delle relazioni tra A-
frica ed Europa ma anche alla conoscenza delle dinamiche storiche più propriamente africane. E
se l’attualità di queste ricerche può di primo acchito sfuggire, il percorso espositivo che i due
curatori ci propongono invita a interrogarci su quanti stereotipi e immagini denigratorie, generati
da una storia secolare di contatti e relazioni, ancora condizionino il nostro modo di guardare
all’Africa. La mostra “Vedere e non riconoscere” è proiettata invece sulla strada del dialogo, del
rispetto e del reciproco riconoscimento al fine di costruire una storia critica comune tra gli Afri-
cani e noi, quanto mai indispensabile nella realtà multiculturale e complessa del mondo contem-
poraneo.

Alice Bellagamba
Direttore scientifico
Missione Etnologica in Bénin e Africa Occidentale (MEBAO)

Gigi Pezzoli
Presidente
Centro Studi Archeologia Africana

1
Ricordiamo ad esempio: “Nobili o Selvaggi? L’immagine dell’Africa nera e degli africani nelle illustrazioni euro-
pee dal Cinquecento al Settecento” (Milano, 1987); “Forti e Castelli di Tratta: storia e memoria di insediamenti eu-
ropei sulle coste dell’Africa nera” (Milano, 1990); “Affrica terra incognita” (Rimini, 2005); “Travels to mysterious
Africa” (Accra, 2006 - Cape Coast, 2007 e 2009).

V
Un ringraziamento particolare va ad Alice Bellagamba e Gigi Pezzoli per la loro supervisione
sull’intero processo di costruzione della mostra e del suo catalogo. L’iniziativa non sarebbe stata
possibile senza l’appoggio di tutti i membri del progetto MEBAO, Missione Etnologica in Bénin
e Africa Occidentale, e del Museo di Storia Naturale di Milano, nella persona di Paola Livi. Si
ringraziano le Ambasciate italiane di Dakar e di Accra per il loro sostegno e per l’interesse mo-
strato a questo progetto. Un contributo fondamentale è stato dato dal personale amministrativo
del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Mi-
lano Bicocca a cui va la nostra riconoscenza. Si ringrazia ugualmente Armelle Choplin per il
controllo e la correzione di tutti i testi in lingua francese. I curatori hanno beneficiato della con-
sulenza e del supporto dell’azienda Mikamai, nella persona di Lorenzo Viscanti. Si ringraziano
Gigi Pezzoli e il Museo di Storia Naturale di Milano per avere messo a disposizione il loro fondo
di immagini e testi antichi per la mostra.

Riccardo Ciavolella
Valentina Mutti

Nota editoriale
Questa mostra nasce da un’esperienza di lavoro comune. Nello specifico, tuttavia, Riccardo Ciavolella ha
concepito l’impostazione generale e la suddivisione tematica, redigendo anche la prima parte
dell’introduzione al catalogo e le sezioni relative ai Temi 1 e 4. Per quanto riguarda l’esposizione, ha re-
datto i riassunti esplicativi dei Temi 1 e 4 e ha tradotto i riassunti dell’intera mostra in francese. Valentina
Mutti ha diretto la mostra dal punto di vista organizzativo e logistico, partecipato allo sviluppo della pro-
blematica generale e si è occupata dello sviluppo dei Temi 2 e 3, di cui ha concepito i riassunti esplicativi
e redatto i relativi capitoli nell’articolo introduttivo, oltre alle conclusioni.

VI
Riccardo Ciavolella e Valentina Mutti

LO SGUARDO E LA FINZIONE
NOTE SULLE RAPPRESENTAZIONI EUROPEE DELL’AFRICA DAL
‘500 AL ‘700

La mostra “Vedere e non riconoscere: l’Africa nell’immaginario europeo tra XVI e


XVIII secolo” propone una chiave di lettura tematica del materiale figurativo e testuale,
che si trova nei libri di viaggio europei d’epoca moderna. Questa presentazione non ha
la pretesa di offrire un’analisi filologica, storiografica od iconografica delle incisioni e Una prospettiva
dei testi selezionati, rinviando per questo tipo di studi ai testi già pubblicati dal Centro antropologica
Studi Archeologia Africana in occasione di mostre precedenti e all’immensa bibliogra-
fia sul temai. In queste brevi note di presentazione si tratterà piuttosto di muovere da
una prospettiva d’analisi propria all’antropologia, e in particolare all’antropologia stori-
ca, per indagare i significati della costruzione dell’immaginario europeo sull’Africa in
epoca moderna e decostruire così – secondo la celebre formula di Valentine Mudimbe “Invenzione”
(1988) - “l’invenzione” di una rappresentazione distorta, stereotipata e spesso fantasma- dell’Africa
gorica del continente e dei suoi abitanti. Come vedremo, le descrizioni figurate e testuali
dei resoconti di viaggio interrogano le scienze umane e sociali e in particolare la storia,
in quanto sapere che si propone di ricostituire i fatti del passato, e l’antropologia, nella
sua natura di disciplina costruita sull’idea della “testimonianza diretta” dell’intellettuale
in viaggio presso popoli altri in terre lontane.
Gli studi storici e antropologici sull’Africa hanno ampiamente dimostrato quanto i
resoconti di viaggio europei antecedenti la colonizzazione siano poco utili alla ricostru-
zione della storia della popolazioni africane, trovando più pertinente interessarsi alla
storia orale e alla memoria per supplire all’assenza quasi totale di fonti scritte che desse-
Verità e finzione
ro accesso al punto di vista degli africani sulla loro storia. Cruciali in questa direzione
sono state le riflessioni dello storico belga Jan Vansina (1985). In effetti, se intendiamo
per “storia” la semplice ricostruzione di una successione cronologica di eventi “reali”, i
libri di viaggio antichi sono opportuni solo per la ricostruzione delle fasi di “scoperta
geografica” e dei contatti tra gli Europei e le popolazioni africane. In quest’ottica, il ma-
teriale dei libri di viaggio non può che stupire per l’imprecisione, la banalità e
l’assurdità delle rappresentazioni dell’Africa, degli avvenimenti che vi sono riportati e
delle abitudini e consuetudini delle popolazioni descritte. Come ha spiegato efficace- Concezione
mente Francesco Surdichii, la mentalità europea d’epoca moderna era prigioniera di una fantasmagorica
“concezione fantasmagorica”, che faceva corrispondere all’Africa, secondo le parole di
un altro studioso, Daria Peroccoiii, l’immagine di una “terra dove può trovare compenso
l’imagerie che attinge ai repertori del mai visto, del non percorso, dove i mostri più in-
verosimili prodotti dalla fantasia umana possono trovare un corrispondente fisico quasi
reale”. Per gli Europei del tempo, l’Africa è terra di ciclopi o altri esseri abnormi e fan-
tasiosi. Per chi aspira alla “verità”, i libri di viaggio antichi appaiono come dei copiosi
compendi di stranezze e fantasie: gli avvenimenti storici e le descrizioni di popoli sono
spesso travisati o addirittura inventati, e questo soprattutto nel materiale iconografico,
dove le descrizioni stesse perdono o mischiano tra loro qualsiasi riferimento geografico
o cronologico che darebbe loro una certa attendibilità scientifica.

VII
L’antropologia e la storia, in particolare, non sono orientate esclusivamente verso la
sola ricerca di abitudini culturali o avvenimenti puntuali. Il materiale iconografico e te-
stuale si presta infatti ad altri tipi di lettura. In alcuni casi, si può effettuare un’analisi di
Il punto di vista “secondo grado” dei resoconti di viaggio, per cercare informazioni o punti di vista, che
dell’Africa? non era per forza interesse dell’autore riportare. Gli autori europei si ostinano, ad esem-
pio, ad escludere il punto di vista degli “Africani” nel raccontare gli avvenimenti di cui
sono stati testimoni o di cui hanno sentito parlare. Ciò si spiega non soltanto con la
semplice presa di posizione di parte dell’autore a favore dei suoi connazionali, ma an-
che con l’ostinazione europea a considerare gli “Africani” come individui senza storia e
razionalità. Il caso più emblematico di questo diniego di storicità – e quindi in un certo
senso di “umanità” - è il racconto delle conquiste da parte delle flotte europee di alcune
zone costiere. Presi a cannonate dai velieri della civilizzazione, gli abitanti locali ven-
gono dipinti o come individui senza alcun diritto di opposizione quando inermi o come
orde selvagge e irrazionali quando si oppongono, a volte pure efficacemente, alla con-
quista europea.
In questi ultimi decenni, prospettive intellettuali originali, diffusesi nelle diverse di-
scipline umanistiche e sociali, hanno dimostrato come, il sapere scientifico non debba
rinunciare a ricercare i punti di vista, le azioni, le parole e il sentire delle vittime della
storia, apparentemente destinate all’oblio dal controllo dei vincitori sulla scrittura della
memoria. Celebri in questo senso sono state le ricerche di Nathan Wachtel (1971) che
Il ruolo ha fatto emergere il punto di vista delle popolazioni amerindiane sulla conquista euro-
degli Africani
pea. Ispirandosi variamente alle intuizioni di Antonio Gramsci e applicandole al conte-
sto coloniale indiano, i fondatori dei Subaltern Studies sono riusciti da parte loro a dare
una nuova lettura ai documenti coloniali dell’Impero britannico che tendeva evidente-
mente a celare il punto di vista dei colonizzati, a descrivere la missione civilizzatrice
come un evento che trovava il consenso popolare o a stigmatizzare ogni opposizione
come un sussulto di irrazionalità selvaggia. La loro lezione di storiografia è stata allora
di individuareiv, nei documenti prodotti dal dominante, alcune azioni di chi è descritto –
il dominato – e che non aveva dunque lui/lei stesso/a il potere della scrittura.
Con questa prospettiva interpretativa il materiale di questa mostra lascia intravedere
il ruolo attivo – l’agency si direbbe oggi – che gli Africani hanno avuto nel periodo
drammatico e sconvolgente dell’incontro e poi della conquista. Le popolazioni locali
emergono attraverso la testimonianza delle loro resistenze e ribellioni, ma anche nella
loro disponibilità a scendere a patti con l’europeo nella costruzione di una società mer-
cantile costiera, con il loro attivismo nelle reti commerciali euro-africane, incluso il
commercio degli schiavi. Il contrasto tra la posizione discriminante – dell’europeo do-
minante che scrive – e della capacità di agire e reagire delle popolazioni locali emerge
ad esempio nella descrizione che Willem Bosmanv riporta della conquista del forte da-
nese di Christianbourg da parte dei locali. Secondo l’autore, il capo dei “Negri” Af-
“Elevazione fammeni non fece altro che “cose ridicole” assumendo le vesti del Governatore danese,
immaginaria” considerando questa sostituzione dell’europeo da parte di un africano una semplice “e-
levazione immaginaria”. Considerata come una vanità fantasiosa, inevitabilmente in
contrasto con un ordine delle cose che voleva che il Bianco fosse proprietario esclusivo
di un potere ai locali inaccessibile, la vittoria africana sugli Europei è descritta come un
evento insolito e con toni ironici che discreditano il comandante “negro”. Eppure il Bo-
sman è stato costretto ad ammettere un avvenimento che mostra che, malgrado la de-
scrizione costante dei “Negri” come popoli impotenti di fronte alla potenza degli Euro-
pei, gli Africani non sono rimasti inattivi di fronte agli avvenimenti che investivano le
loro terre.

VIII
L’analisi di “secondo grado” dei documenti permette di aggirare il punto di vista che
l’autore ci vuole imporre per cogliere il ruolo svolto da chi non ha voce nei resoconti,
nel nostro caso gli “Africani”. L’operazione non risolve completamente la questione,
poiché il punto di vista del dominato non può mai essere completamente svelato, ma
solo intravisto. La sua voce rimane pur sempre soffocata dall’autorità di chi scrive senza
interrogarsi sul suo punto di vista, mentre non può che emergere il discorso di un domi-
nante imbevuto di presunzione di superiorità culturale e orientato dai propri interessi
politici ed economici. Per questa ragione, al di là della ricostruzione storiografica, le
immagini e i testi dei libri di viaggio antichi costituiscono un materiale inestimabile per
le discipline che si interrogano sulla rappresentazione di società e culture extra-europee,
e per estensione per il dibattito civile e pubblico attorno ai temi dell’incontro e del con-
fronto con una presunta diversità. I resoconti di viaggio al tempo delle scoperte rappre-
sentano un esempio significativo del rapporto ambiguo di dominazione e di trasfigura- Scrittura e rap-
zione che si instaura tra l’Europa e il resto del mondo, e in particolare l’Africa, attraver- presentazione
so la scrittura e la rappresentazione dell’altro (Bellagamba 2008, p. 37-41)vi. dell’altro
Una loro analisi permette di capire molto delle costruzioni culturali europee in epoca
moderna nel relazionarsi con l’alterità, e nel caso specifico con l’alterità africana, per
lungo tempo e probabilmente ancora oggi investita da stereotipi, pregiudizi e immagina-
ri fantastici. L’operazione non dice molto soltanto a proposito degli Europei e della loro
Storia comune
mentalità, ma anche della storia comune di Europa e Africa, essendo questa in larga mi-
sura determinata da tali visioni. Ciò ha direttamente a che fare ancora con
l’antropologia, in quanto i libri di viaggio, come spiega de Certeau, costituiscono uno
degli elementi fondatori del sapere scientifico di origine europea che si interessa alla
descrizione e alla conoscenza dell’alterità. Esiste una continuità diretta tra i primi de- Una conoscen-
scrittori di quei “mondi lontani” e gli antropologi in quanto rappresentanti di un sapere za scientifica?
“scientifico”.

È proprio su questo nesso tra il viaggio presso altri popoli e la formazione di un sa-
pere di tipo “scientifico” sull’alterità che danno sostanza alle preoccupazioni scientifi-
La mediazione
che e morali che motivano questa mostra. La curiosità, che ci ha guidato, è stata quella
tra il qui e
di stabilire un nesso tra l’accumulazione di conoscenza sugli avvenimenti e le abitudini l’altrove
dei popoli africani, da una parte, e la finzione che si costruisce nel rappresentarli, come
opera di mediazione tra il qui e l’altrove, tra il noi e l’altrovii. Il pensiero scientifico ere-
ditato dall’Illuminismo suggerirebbe che l’aumento dei contatti, degli scambi e degli
incontri abbia prodotto una maggiore conoscenza e proporzionalmente una diminuzione
delle proiezioni “fantastiche”, come se il viaggio presso altri popoli in terre lontane co- Conoscere uguale
stituisse l’esperienza con cui riportare alla luce una verità pronta ad essere colta e to- rivelare?
glierla all’oscurità dell’immaginario fantasmagorico e dell’ignoto. Eppure, come spiega-
re la resistenza e il continuo riemergere di questi pregiudizi e finzioni nel tempo? I temi
della mostra intendono suggerire una riflessione critica su tale questione.

La prima sezione mostra come la “scoperta” europea dell’Africa sia stata accompa-
gnata dallo sviluppo di una nuova postura intellettuale, segnata dalla curiosità e votata TEMA 1
alla descrizione scientifica di questi mondi, che escono finalmente dall’immagine antica La “scoperta” di
e medievale dell’Africa terra incognita. Il percorso propone immagini, carte geografi- fronte all’ignoto
che e testi che riguardano prima le coste e poi l’interno del continente africano.

IX
L’evoluzione delle rappresentazioni cartografiche dell’Africa è legata allo sviluppo
della conoscenza europea del continente. Nella loro successione temporale, le carte mo-
strano l’accumulazione progressiva di dati e informazioni sempre più puntuali sulla
Una visione uni- conformazione geografica, ma anche sulle popolazioni ed entità politiche africane. Da
taria una carta geografica come quella del Münster del 1550viii, in cui all’interno del disegno
assai approssimativo delle coste si poteva riconoscere ad esempio un Monoculi, si giun-
ge nel 1754 ad un’incisione che vuole rappresentare dettagliatamente “l’Africa in tutti i
suoi stati”, con una immagine minuziosa e circostanziata del continente arricchita da fi-
gure dei diversi popoliix. Le carte non si limitano a rappresentare le coste e localizzare le
regioni interne, ma progressivamente si arricchiscono sempre più di figure che ne de-
scrivono gli abitanti, la flora e la fauna. L’accumulazione di conoscenza sull’Africa si
costruisce così di pari passo con lo sviluppo di una volontà di offrire un quadro comple-
to, che successivamente sarà alla base del tentativo scientifico di dare una “visione uni-
taria” del mondo africano.
È così che, poco prima dell’inizio del periodo coloniale nel XVII secolo, sarà possi-
bile per alcuni autori pretendere di offrire, come scrisse l’abate Jean-Baptiste Labat, una
“conoscenza intera e perfetta” dei paesi e degli abitanti dell’Africa, con la presunzione
di poter dare un quadro scientifico e oggettivo del “genere umano”x. Autori come Labat
appartengono all’ultima fase dell’epoca delle scoperte precoloniali di cui tratta la mo-
stra. Prendendo le distanze dai loro predecessori, li accusano di aver “diffuso le tenebre
Il mondo si sotto il sole”xi e inventato degli “hommes qui marchent sur un pied, les cyclopes, les
schiarisce?
syrènes, les troglodites et tous les autres êtres imaginaires” che sarebbero fortunatamen-
te svaniti “à mesure que le monde s’est éclairé”. Labat propone una nuova postura intel-
lettuale, enciclopedica ed illuministica, che si dichiara affrancata dalla curiosità per le
stranezze in nome di una ricerca scientifica della “verità”. Come suggeriscono le sezioni
successive della mostra, sarebbe tuttavia inesatto presupporre con ciò che l’aumento
delle “scoperte” e degli incontri e il progresso nell’accumulazione di dati “scientifici”
sull’Africa abbia necessariamente determinato la fine della trasfigurazione e della crea-
zione di finzioni a proposito degli Africani.

TEMA II La seconda sezione è dedicata alla rappresentazione dell’Africa “selvaggia”. Qui


Un mondo u- l’opera di trasfigurazione sembra raggiungere il suo culmine. L’incontro con l’alterità si
mano selvaggio, coniuga con un maggior sviluppo di pregiudizi e la creazione di un immaginario popo-
alla frontiera lato da esseri e situazioni al confine con l’animale, l’irreale ed il mostruoso. Nonostante
con la natura il contatto esistente con le popolazioni che abitano le coste e l’entroterra africano, la
rappresentazione dell’ambiente e dei suoi abitanti resta sostanzialmente ancorata a un
insieme di convenzioni precostituite. Da un lato, le terre africane vengono rappresentate
come abitate da strane creature, al confine tra l’umano e l’animale, come il celebre “pe-
sce-donna” che ritroviamo nel testo di Cavazzi, dall’altro sono le pratiche e le usanze
delle popolazioni ad essere valutate come “primitive” e “selvagge”. Gli africani vengo-
Animalità e ci- no in questo modo ascritti all’ordine della natura e dell’animalità, separati in modo netto
viltà a confronto dalla civiltà europea, che sbarca sulle coste: la nudità, le danze, le torture e sopra ogni
altro aspetto il cannibalismo (come nel caso della supposta antropofagia dei Congolesi)
li qualificano indistintamente come inferiori.
Se come vedremo in altre raffigurazioni, gli africani furono almeno nelle fasi iniziali
dell’incontro “europeizzati”, nei pannelli che costituiscono questa sezione troviamo e-
lementi-chiave del processo che ha portato l’Africa ad essere percepita “come una realtà
situata fuori dalle frontiere fisiche e culturali dell’universo occidentale in via di forma-
zione” (Calchi Novati, Valsecchi, 2005). Il sistema di leggi, le pratiche funebri, le tecni-
che del corpo e la religione diventano terreni di confronto e di giudizio nei confronti
della diversità culturale, suscitando allo stesso tempo paura, stupore e disprezzo.

X
Proprio la dimensione religiosa diventa un ambito di valutazione del grado di civiltà
Religione come
dei popoli e il Cristianesimo si costituisce come unico termine di paragone, anche prima metro di giudizio
dell’arrivo dei missionari: la religione degli altri è classificata come feticismo, idolatria
e paganesimo, categorie che avranno poi fortuna nelle epoche successive.

L’Europa continua ad essere l’unico metro di confronto anche nella terza sezione do- TEMA III
ve si trattano altri aspetti legati alle caratteristiche dell’Africa pre-coloniale e coloniale, Un’Africa nobile,
ovvero la nobiltà, l’organizzazione politica e militare e dei commerci. Il quadro è per ricca e regale?
certi versi opposto a quello della sezione precedente. I tratti dell’animalità e della mo-
struosità sembrano quasi doversi scontrare con figure reali e regali.
Nelle regioni dell’Africa orientale, in particolare, gli esploratori si trovano davanti a
vere e proprie “città-stato”, come gli insediamenti swahili di Mombasa, Sofala e Kilwa,
dove l’urbanizzazione si intreccia ad una fitta rete commerciale. Questi centri operano Le “città-stato”
come luoghi di snodo delle rotte mercantili e di contatto con i mercanti arabi. Dei tredici swahili
pannelli che costituiscono questa sezione, sei sono dedicati alla descrizioni di altrettante
città, che diventano insediamenti commerciali portoghesi dalla fine del XV secolo:
l’interesse per l’urbanistica, le tecniche di costruzione e i dettagli delle abitazioni è tut-
tavia sempre misurato a partire dai saperi europei e dalle somiglianze con i centri urbani
del Vecchio continente.
Il processo di trasfigurazione sembra assumere altre forme ma, pur mantenendo
la madre patria come unico criterio di comparazione, viene riconosciuta la complessità
politica e amministrativa di alcuni regni, come quello del Benin che resterà a lungo la
controparte commerciale dei portoghesi nel Golfo di Guinea, o quello del Congo.
L’attenzione si focalizza sulle residenze reali che si trovano nelle città, e sulla figura del I sovrani e la no-
re e dei nobili: in queste raffigurazioni, come quella del re del Congo e della mitica fi- biltà
gura del Prete Gianni dell’Abissinia, vengono valorizzate la grandezza delle sedi e la
regalità dei personaggi. Ma ancora una volta, la nobiltà africana è vista attraverso la len-
te di quella europea, come se l’Africa non avesse “diritto” a una propria nobiltà:
l’etnografia implicita dell’età moderna rappresenta i centri urbani e le corti reali secon-
do modelli pittorici e citazioni classicheggianti (Bassani, 1987). Infine, anche l’abilità
bellica e l’apparato militare degli africani sono presi in analisi come segni della potenza
dei loro regni, come nel caso dell’Impero di Monomotapa. Lo sviluppo delle reti com-
merciali con l’Africa aumenterà il “valore” dei luoghi e dei popoli africani e si trasfor-
merà nella scoperta di risorse fondamentali, come l’oro, e nell’organizzazione di un im-
portante sistema di sfruttamento, cioè la tratta degli schiavi.

Una lettura d’insieme della produzione testuale e iconografica dei libri di viaggio
moderni mostra che la moltiplicazione degli incontri e l’elaborazione progressiva di un TEMA IV
interesse scientifico per l’Africa non escludono necessariamente la trasfigurazione delle Le rappresenta-
popolazioni africane negli immaginari europei. Certamente, ciò si spiega in buona parte zioni al servizio
degli interessi
con il fatto che, fino all’epoca coloniale e dunque fino alla conquista militare delle terre
interne, la maggior parte del continente non era ancora stato “scoperto”, nel senso eti-
mologico di “rivelato” dalla luce della conoscenza che l’avrebbe sottratto all’ombra
dell’ignoto. Eppure, anche in quei lembi di terra costieri o in prossimità dei fiumi dove
gli Europei si erano installati, il loro sguardo continuava a produrre rappresentazioni
distorte, inverosimili e soprattutto denigranti delle popolazioni africane. Il fenomeno è Il significato poli-
correlato all’uso politico che gli Europei facevano di simili immagini. Lo stereotipo e il tico dello stereoti-
pregiudizio erano funzionali alla legittimazione degli interessi commerciali, economici e po
geopolitici delle compagnie e delle potenze europee, un aspetto che dovrebbe anche og-
gi farci riflettere sulla strumentalità politica delle contemporanee rappresentazioni
dell’Africa in termini denigratori.

XI

Postazioni com-
Le relazioni tra Europei e Africani evolvono in maniera concomitante con lo svilup-
po degli interessi economici dei primi, che si materializzano in primo luogo con la co-
Postazioni com- struzione di posti commerciali e forti militari sulle coste per il controllo sia delle rotte di
merciali e forti
circumnavigazione del continente verso le Indie sia per il controllo delle reti di scambio
militari
con l’Africa, che si costruivano con le stesse regioni africane. In queste situazioni, i
“Negri” erano considerati un semplice intralcio alla “libertà” di occupazione e commer-
cio dei “Bianchi” e l’unico modo per giustificare ciò era denigrarli in modo da delegit-
timare ogni loro resistenza e opposizione, descrivendo la sottrazione di terre alle popo-
lazioni locali in termini di “liberazione”. Nel caso dell’insediamento di Saint-Louis cui
fa riferimento Labat ad esempio, i “Negri” che abitano nelle vicinanze del forte francese
erano considerati come presenze pericolose e ladri potenziali dalla violenza incontrolla-
bile, i cui atti contro i “Bianchi” sarebbero sempre e comunque stati considerati come il-
legittimi e immorali, mentre gli impiegati della Compagnia commerciale francese erano
inversamente giustificati quando sfruttavano le donne localixii.
In una prima fase, nel XVI secolo, gli Europei furono soprattutto attratti dalle risorse
Le risorse: gom-
naturali dell’Africa, come ad esempio l’oro nel golfo di Guinea e più tardi la gomma
ma, oro e schiavi nella zona senegalo-mauritana. Ma progressivamente il commercio di schiavi assunse
sempre più importanza, attirando l’attenzione delle compagnie commerciali e dei go-
verni europei. La tratta degli schiavi era all’epoca limitata al commercio con la penisola
iberica. Ma dal XVII secolo il commercio di schiavi attraverso l’Atlantico assunse
un’importanza maggiore, attirando l’attenzione delle compagnie commerciali e dei go-
verni europei.
La crescita degli interessi schiavisti si accompagna alla circolazione in Europa di
immagini e testi che insistono a denigrare i “Negri”. Ciò mostra una stretta correlazione
Commercio in tra la diffusione di stereotipi razzisti e il consolidarsi delle pratiche schiaviste. La trasfi-
schiavi e stereoti-
gurazione perde una parte del bagaglio fantasmagorico ereditato dall’antichità e dal
pi razzisti
Medioevo e sviluppato durante la prima fase delle “scoperte” delle terre “ignote”. Ciò
che resiste di questo tipo di finzione, in particolare l’idea che l’umanità africana sia al
confine con la natura, si coniuga con la trasfigurazione prodotta dai primi approcci di-
chiaratamente scientifici, politici e morali, che contraddistinguono le fasi più acute della
tratta atlantica. Alla riduzione dell’umanità africana alla semplice utilità strumentale
della forza lavoro, si oppone – e così facendo si giustifica – l’idea di un’umanità euro-
pea civilizzata. In un’immagine portante un titolo neutro e descrittivo come Esclaves
conduits par des marchands vediamo che i mercanti sono in realtà rappresentati come
valorosi guerrieri dell’antichitàxiii.
Al tempo della tratta, l’interazione tra la trasfigurazione fantasmagorica e la trasfigu-
Trasfigurazione
razione scientifica, delle quali metteremmo in risalto più le contiguità che le differenze,
fantasmagorica e
trasfigurazione
ha servito da fondamento alle successive elaborazioni dell’immaginario europeo
scientifica sull’Africa sempre più votato alla giustificazione delle proprie azioni nel continente at-
traverso delle teorie – o delle vere e proprie “ideologie” – razziste. Nel XVIII secolo, la
scelta dei candidati alla traversata atlantica divenne sempre più “scientifica”, con una
selezione accorta degli schiavi in base alle loro qualità fisiche. Gli Europei sceglievano
gli schiavi in funzione di alcune caratteristiche fisiche come la struttura, la forza e la re-
sistenza che reputavano migliori per le condizioni di lavoro nelle Americhe, nelle pian-
tagioni o nelle miniere. L’insieme di queste evoluzioni costituirà la base delle teorie
scientifiche europee successive sulla razza, le etnie e le distinzioni tra i popoli che giu-
stificheranno il colonialismo e l’esperienza imperiale europea.

XII
CONCLUSIONE
Cause diverse contribuiscono in epoca moderna a creare quel fenomeno che abbia-
mo chiamato “tras-figurazione”. Innanzitutto, è da ricordare il ruolo degli incisori che
rappresentavano realtà che non avevano mai visto di persona, ispirandosi a fonti scritte e
ai racconti degli esploratori, aggiungendo particolari che appartenevano al loro immagi-
nario o a volte alla propria realtà d’origine, o addirittura riproducendo immagini tra-
mandate da edizioni di testi precedenti. Paesaggi europei albergano così in immagini del
Congo o drappi romani sono indossati da mozambicani: gli artisti ricoprono una funzio-
ne di mediazione tra l’esperienza diretta sul “campo” dei navigatori e la fruizione dei Incisori come
lettori e in alcuni casi, gli stessi scrittori non visitarono mai l’Africa. E’ il caso di Dap- mediatori
per, che nella sua celebre opera di fine ’600, presenta un lavoro di selezione e compila- dell’esperienza
zione di altre fonti (Surdich, 2005, p. 31). Ci troviamo allora davanti alla questione di
una testimonianza mediata e riconfigurata, dove il grado di fedeltà delle immagini è an-
cor minore di quello dei testi scritti (Bassani, 1987) e il gioco di specchi tra il soggetto e
l’oggetto è il perno attorno al quale prende forma la rappresentazione.
Come sappiamo dalla ricerca storica e antropologica, il processo di definizione e ri-
definizione delle identità e delle tradizioni in Africa fa parte di dinamiche di potere nelle
quali anche lo sguardo europeo ha avuto importanti responsabilità: attraverso la classifi-
cazione, la valutazione estetica, la misurazione e l’accostamento tra la distanza geogra-
fica e il passato storico, l’osservazione etnocentrica dei popoli africani alterna giudizi
sprezzanti di inferiorità ad altri di associazione con la realtà europea. In questo dialogo,
come ricordava de Certeau (2005: 43), “la figura del dissimile è sia uno scarto rispetto a
quello che si vede “di qua”, sia soprattutto la combinazione di forme occidentali che
sarebbero state tagliate e i cui frammenti sarebbero riuniti in modo insolito”. Prendendo
in prestito le parole usate da Sandra Piccini (1999: 32) a proposito dell’atteggiamento
conoscitivo dei viaggiatori dell’Ottocento, si tratta di “vedere e prendere contatto con la
diversità soltanto riconducendola a quel che già si conosce, attraverso un confronto che
è contemporaneamente un riconoscimento e un disconoscimento”.
Il materiale esposto nella mostra, da una parte, permette di effettuare un’ “arche-
ologia” delle rappresentazioni stereotipate degli Europei sull’Africa e rintracciare dun-
que linee di continuità con l’immaginario che fino in epoca contemporanea ha continua- L’eredità delle
to a veicolare un’idea di “Africa”. Come commentano alcuni antropologi francesi a pro- rappresentazioni
posito della rappresentazione delle popolazioni colonizzate nelle grandi esposizioni sull’Africa
dell’‘800, “la differenza radicale dell’Altro era allo stesso tempo identificata e dissolta
attraverso una consonanza narrativa discordante tra il civilizzato e il selvaggio” e la sot-
tolineatura di alcune pratiche considerate primitive -dalla danza alla poligamia- contri-
buiranno a “rafforzare la frontiera fra loro e noi e suggeriscono una sessualità meno co-
stretta, motore delle fantasie sull’Altro che attraverseranno i secoli” (Lemaire, Blan-
chard, et al., 2003).
Dall’altra, questo corpus di immagini e testi offre un esempio di come la rappre-
sentazione dell’alterità e dell’altrove possa creare il paradosso di una impressione di
conoscenza della verità, nel momento stesso in cui produce finzione. E’ un processo che
oggi possiamo ritrovare in alcune dinamiche prodotte soprattutto dai media. La ricostru-
zione storica delle rappresentazioni in epoca moderna può infatti corrispondere ad
un’archeologia del razzismo come fenomeno sociale: pretesa di scientificità, trasfigura- Paradosso della
finzione
zione della realtà, costruzione dell’Altro oscillante tra il pericolo e lo stato di natura e,
non ultima, la rappresentazione della donna africana, sono elementi che ritroviamo negli
stereotipi razzisti attuali e nei discorsi che attraversano i dibattiti mediatici e politici,
dall’immigrazione alla mercificazione del turismo esotico, dalla multiculturalità
all’aiuto umanitario.

XIII
La differenza viene trasformata in disuguaglianza ed esclusione, in nome di una
serie di comportamenti “culturali”. Per i primi esploratori si trattava della nudità, di ce-
rimonie religiose o pratiche funebri. Oggi la natura dei pregiudizi si gioca sul terreno
Da “razza” a
“cultura” della “cultura” che ha sostituito la “razza” come categoria classificatoria, facendo anco-
ra eco però a gerarchie uniche di valori, ideali etnocentrici e determinismo scientifico
(Alietti, Padovan, 2000). Per esempio, il fenomeno delle migrazioni contemporanee
verso l’Europa di soggetti spesso provenienti proprio dalle regioni anticamente descrit-
te, innesca nelle società d’accoglienza nuovi confronti con la diversità e pretese di co-
noscenza. Lunghi secoli di conflitti e contatti, trasformazioni e sottomissioni rischiano
di costituire ancora il substrato di relazioni contemporanee costruite sul pregiudizio,
l’asimmetria e l’essenzializzazione. Allo stesso modo, la storia della tratta degli schiavi
permette, oltre che di conservarne la memoria, di attivare una riflessione sulle diverse
forme di dipendenza che ritroviamo nella contemporaneità (dallo sfruttamento nel mon-
do del lavoro alle politiche di reclusione, alla prostituzione), estremi esempi di eredità
del passato.

In altre parole, l’idea principale che la mostra vuole suggerire e che potrà sem-
brare forse ardita e provocatoria è la mancanza di una relazione diretta e proporzionale
tra, da un lato, l’aumento delle “scoperte” del continente e dei suoi abitanti da parte de-
gli Europei – e quindi l’accumulazione della conoscenza e dei dati sui costumi, i regimi
politici, l’organizzazione sociale, gli ambienti di vita, i fatti e gli avvenimenti storici – e,
dall’altro, la diminuzione dei pregiudizi e della proiezione di immaginari fantastici
sull’Africa. In realtà, quel che cambia nel tempo è la nascita di una legittimazione scien-
Legittimazione tifica della descrizione dell’Altro: con le parole di de Certeau, “il luogo di partenza era
scientifica della
un qui (“noi”) relativizzato da un altrove (“loro”), e un linguaggio privo di “sostanza”
descrizione
(…). Questa è la produzione a cui il selvaggio è utile: dall’affermazione di una convin-
zione fa passare a una posizione di potere” (de Certeau, 2005: 50). La progressiva cos-
truzione di un sapere “scientifico” ha conferito agli stereotipi europei una “presunzione”
di obiettività. Le mappe, le incisioni e poi le misurazioni antropometriche sono altret-
tanti strumenti per posizionare le dimensioni di alterità entro le coordinate della “scien-
za”, che a quell’epoca è solo appannaggio europeo. L’itinerario tra immagini e testi for-
nisce così uno strumento per ricordare le dinamiche di potere e le reciproche percezioni,
che scaturiscono dalle relazioni tra popoli, e per riflettere sull’origine del nostro imma-
ginario esotico.
“La rappresentazione dell’Altro lo iscrive in un ordine, quello della ragione, e lo og-
“Messa in mo-
gettiva in una gerarchia (…) Mostrare l’Altro significa riconoscergli uno statuto e un in-
stra”
teresse particolari ma significa anche legittimare e fissare un sapere” (Lemaire et al.,
2003): queste parole possono in qualche modo ribadire il processo di costruzione della
conoscenza che non senza limiti, abbiamo cercato di portare alla luce con il proposito di
suggerire nuovi percorsi critici.

XIV
Note
i
Per quanto riguarda i testi pubblicati dal CSAA, vedasi in particolare il volume In viaggio. Scritti, immagini e im-
maginario africano nell’epoca delle scoperte, CSAA, Milano, 2005, con i contributi di Marc Augé, Francesco Sur-
dich, Paola Barbara Piccone Conti e Gigi Pezzoli ; e i testi introduttivi a I fondi speciali della Biblioteca del Museo
Civico di Storia Naturale di Milano. La raccolta di stampe antiche del Centro Studi Archeologia Africana, a cura di
Paola Livi, Memorie, Volume XXXIII – Fascicolo III, 2005, scritti da Paola Livi e Paola Barbara Piccone Conti. Per
quanto riguarda la vasta bibliografia sul tema rimandiamo alle brevi note bibliografiche del testo presente e ai rife-
rimenti bibliografici delle pubblicazioni precedenti.
ii
SURDICH, F. (2005). “Testi e immagini sull'Africa nella produzione editoriale europea dell'età moderna”, in In
viaggio. Scritti, immagini e immaginario africano nell'epoca delle scoperte, CSAA, Milano, pp. 11-62, p.26.
iii
PEROCCO, D. (1986). “L'invenzione dell'ignoto: il cuore dell'Africa nelle relazioni dei viaggiatori italiani”, in
AA.VV., Africa. Storie di viaggiatori italiani, Nuovo Banco Ambrosiano, Milano, citato in SURDICH, F. (2005),
op. cit., p. 27.
iv
Per una prima lettura di questo approccio, vedasi GUHA, Ranajit (1997). A Subaltern studies reader, 1986-1995,
University of Minnesota Press, Minneapolis.
v
BOSMAN, W. (1705). Voyage de Guinée, contenant Une Description nouvelle & très-exacte de cette Côte où l'on
trouve & où l'on trafique l'or, les dents d'Elephant, & les Esclaves, Utrecht.
vi
Per una comparazione con altre aree geografiche che, in epoca moderna, sono state sottoposte ad una simile trasfi-
gurazione attraverso la descrizione europea, vedasi ad esempio TODOROV, T. (1984). La Conquista dell’America,
Einaudi, Torino.
vii
de CERTEAU, Michel (2005). La scrittura dell'altro, Raffaello Cortina, Milano.
viii
Africa XXV nova tabula. In S. Münster, Cosmographia universalis…, Basilea (?), 1550 (?), (cm 25 x 34), Milano,
Bibl. Museo di Storia Naturale di Milano.
ix
L’Afrique divisée en tous ses états. Paris, 1754, (cm 123 x 150), Milano, Bibl. Museo di Storia Naturale di Milano.
x
LABAT, Jean-Baptiste (1727). Nouvelle relation de l'Afrique occidentale contenant une description exacte du Sé-
négal et des païs situés entre le Cap Blanc & la Rivière de Serrelionne…, Pierre-François Giffart, Paris.
xi
LABAT, Jean-Baptiste (1727). Op. cit.
xii
LABAT, Jean-Baptiste (1727). Op. cit.
xiii
Esclaves conduits par des marchands. In G.-T. Raynal, Histoire philosophique et politique des établissements…,
1780-1781, (cm 17 x 10), Milano, Bibl. Gigi Pezzoli.

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XVI

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