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Claudio Luzzati

QUESTO NON UN MANUALE


Percorsi di filosofia del diritto 1

Riassunto

Capitolo 1

In questo corso adotteremo in generale un punto di vista analitico.

Siamo nel campo di affermazioni che implicano la possibilit di essere vere, ossia
descrivere in modo esaustivo e coerente uno stato di cose, oppure false, tali cio da non
reggere ad una verifica empirica.
Ci sono affermazioni che per non possono essere soggette a verifica empirica.
La filosofia del diritto, infatti, non pu avere la pretesa di dirci la verit.

Il diritto ha a che fare con questioni etiche, questioni di valore, con obblighi, divieti e
cos via, ma, in definitiva, ha a che fare con dei significati.
Essi non possono essere veri o falsi; neppure le definizioni, sono in senso assoluto vere o
false: le definizioni sono il tentativo di chiarimenti dei significati di cui si serve la
filosofia.

Anche nel fare filosofia possiamo attuare un processo di natura descrittiva, ma il giurista
non quasi mai descrittivo.
Prendono posizione sui contenuti o anche semplicemente sulle ragioni a sostegno o
contro una data posizione.
Il loro prendere posizione si struttura in forma di argomentazione, che prevede senza
dubbio la conoscenza della materia intorno alla quale argomentano, ma non solo questo.
Il fatto che i giuristi prendano posizione a partire dalle loro conoscenze del diritto,
implica qualcosa di molto importante per il filosofo o teorico del diritto.

Il diritto uno specifico campo dellattivit umana, una scienza che ha i suoi metodi,
le sue connessioni specifiche e che non pu essere compreso come fenomeno globale, se
non a partire da queste sue prerogative.

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In questo senso, la teoria generale del diritto, o filosofia del diritto, si presenta come una
forma di meta-giurisprudenza.

Particolarmente nella filosofia contemporanea, se prendiamo una espressione come


metalinguaggio dobbiamo intendere un linguaggio che non si pone come descrizione
di fatti o oggetti, ma come riflessione linguistica sul linguaggio stesso.

Perci, quando asseriamo che la filosofia del diritto una metagiurisprudenza,


intendiamo dire che essa si struttura come un discorso che verte sui discorsi della
giurisprudenza.
Non ha alcuna pretesa di natura veritativa: non una descrizione di cose che possano
essere empiricamente verificate, ma qualcosa di meno ambizioso della pura scientificit
descrittiva anche se molto pi complesso.

Un discorso, intanto, che pu svolgersi in due differenti modalit.


Esiste una ipotesi di metagiurisprudenza descrittiva.
Si pu descrivere sistematicamente una teoria, ma non posso avere una controprova
empirica o sperimentale della mia descrizione. Essa pu essere pi o meno accurata, pi
o meno rispondente, ma non pu in senso stretto essere vera.

Pu poi essere prescrittiva la metagiurisprudenza che non si limita a riassumere le


opinioni di giuristi o filosofi del diritto, ma le assume criticamente, nella intenzione di
metterle in discussione.

Tutte le volte che non parliamo immediatamente di fatti costatabili o della mera
descrizione di stati di cose, ma ragioniamo su enunciati linguistici, ci poniamo ad un
livello metalinguistico.

Non solo: i giudici costituzionali, nel fare il loro lavoro, interpretano le leggi alla luce di
altre leggi, che sono di rango superiore, per valutare se le prime siano in contrasto con le
seconde.
Lattivit metagiurisprudenziale qui limpidamente metalinguistica.
Il filosofo del diritto fa in definitiva questo; e perci la filosofia del diritto qualificabile
come metagiurisprudenza.

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Le leggi non sono mai autosufficienti; i fatti non hanno per conto loro alcun apporto
deontico: non designano un dovere.

Il diritto vive di interpretazione e dunque vive di complessit; quella tensione alla


sterilizzazione ideologica del diritto ad esempio presso chi dice che il giudice non fa
altro che applicare la legge e cose di questo tipo, ossia i sostenitori del sillogismo
giudiziale a sua volta una ideologia.

Dal punto di vista di una metagiurisprudenza descrittiva, si ha lanalisi di ci che un


giurista fa e cio come argomenta, su che cosa argomenta o opera e anche a quali valori
si ispiri quando argomenti od operi.

Ci cos sia ove questi si presentino come espliciti, sia e soprattutto qui serve il
filosofo del diritto quando questi siano impliciti, e valori impliciti il pi delle volte
significa ideologia (per ideologia nel linguaggio corrente significa un insieme di
convinzioni che determinano una visione della realt del tutto unilaterale).

La metagiurisprudenza prescrittiva sinteressa soprattutto di fare scelte in ordine ai


valori di fondo da assumere; sinteressa degli scopi da perseguire e delle dottrine
giustificative da preferire in ragione degli scopi.
Quindi sinteressa fondamentalmente di due questioni, molto importanti: quelle
relative alla giustizia e quelle relative alle politiche del diritto, perch Politica del
diritto il modo, i principi ispiratori con i quali tanto il legislatore quanto gli operatori
del diritto fanno i conti nel compiere la loro opera.

La complessit dei livelli linguistici sinterseca con lobbiettiva complessit della


materia vivente. Perci, quella che abbiamo indicato come metagiurisprudenza
prescrittiva tutto fuorch una mera precettistica: semplicemente un insieme di studi,
una postura, la quale impone di prendere distacco dalle visioni preconcette implicite,
al fine di provare a dirigerci alla cosa stessa, alle strutture concettuali e linsieme delle
pratiche che chiamiamo diritto.

Avere una postura scettica (skepsis in greco significa ricerca!) significa non dare
alcunch per scontato, e questo non vuol dire che non esista alcuna verit, ma che
assumiamo consapevolezza di essere fallibili: e per tanto rivedibili.

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La capacit diagnostica del giurista, riguardo alle fattispecie concrete dipende non solo
dalle sue conoscenze dei codici, ma anche dalla postura che adotta nel valutare i codici
stessi e nel compiere la connessione fra fatti e norme, sulla base di conoscenze che sono
anche un fatto di sensibilit culturale.

Non basta sapere teoricamente alcune cose, si debbono comprendere le connessioni


reciproche: comprendere non significa solo imparare, ma significa che si disposti a
dare un senso a ci che si fa.

Capitolo 2

Differenza fra diritto Oggettivo e diritto Soggettivo: il primo indica un ordinamento


giuridico complessivamente inteso, la seconda espressione indica una pretesa che trova
la sua tutela allinterno dellordinamento.

Se chiedessimo ad un professore di diritto privato e ad un professore di diritto pubblico,


che cosa sia diritto, possibile che ci diano risposte differenti.
Il primo potrebbe forse dirci che in essenza il diritto un insieme di norme; il secondo
che una istituzione funzionate.
Queste due impostazioni, ad una analisi metagiuridica attenta, non possono coesistere in
maniera coerente cos come le ho esposte.
Intendiamoci: a punti di vista differenti e anche ad esigenze espositive differenti,
seguono inevitabilmente prese di posizione differenti.

Normativismo ed istituzionalismo.
Dal punto di vista dei cultori delle norme, cio presso chi inclina ad una visione
normativistica, il diritto un insieme di comandi, destinati a rendere possibile la
convivenza fra individui in uno stesso spazio giuridico.

Il comando giuridico generale ed astratto si chiama norma giuridica.

Il diritto come insieme di comandi assume comando e norma come sostanzialmente


sinonimi: il che in definitiva non .
Una simile posizione, significa sostanzialmente una cosa: una visione imperativistica del
diritto.

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Questo atteggiamento, al netto di distinzioni anche sottili, tipico di alcune posizioni del
positivismo giuridico: il diritto solo il diritto posto, che consta di atti autoritativi posti
in essere da una autorit che d corso ad una volont.
Ossia la validit di una legge, in ultimo dipenderebbe dal fatto che c una autorit
legittima che la emana e la fa rispettare, attraverso comandi, alla cui eventuale
violazione seguono sanzioni: auctoritas, non veritas facit legem, scrive Hobbes.
Il modello imperativistico inevitabilmente si fonda sulla presenza di un elemento che
garantisca leffettivit del comando: questo lo Stato.

A questo proposito val la pena considerare la posizione dal versante pubblicistico, il


quale sottolinea con vigore che le norme poste derivano da un fonte di produzione, e
dunque si pone il tema delle istituzioni che tali norme pongono; da ci si pu dedurre
che il fenomeno giuridico viene principalmente ad identificarsi con la stessa struttura ed
organizzazione di quella determinata societ; con laccoglimento del seguente trinomio:
Diritto-Istituzione-Ordinamento giuridico.

Listituzione concepita qui come sinonimo di organizzazione, che una volta posta in
essere sar presente se non altro come fonte ultima in ogni aspetto dellordinamento
giuridico.
Le norme sono allora un aspetto parziale e derivato, perch lordinamento sar
prioritariamente corpo sociale che d luogo allorganizzazione e quindi alla norma, la
quale, senza organizzazione, non pu esistere e comunque non avrebbe alcun senso,
perci il carattere giuridico alla norma lo conferisce listituzione e non viceversa.

Qui, fra le molte cose da osservare, c il fatto seguente: capita che delle norme siano
inapplicate, pur non essendo mai state abrogate.
Daltra parte, le leggi non possono essere abrogate per consuetudine; perci questo ci
segnala che la presenza nel diritto di una norma e sua efficacia a volte non coincidano.
E questo un problema.

Lo studioso di orientamento istituzionalista non nega affatto che esistano le norme,


tuttavia concentra la sua attenzione sulla loro effettivit, e quindi fonda principalmente
sui pubblici poteri il concetto di giuridicit.
In sostanza listituzionalista sostiene che le norme non sono auto-efficienti n

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autosufficienti e che esse dunque non esauriscano la giuridicit: questa risiederebbe
principalmente nella istituzione.

Per listituzionalista, le norme sono certamente parte della giuridicit, ma non la


esauriscono in s n potrebbero farlo.

In conclusione su questo: le norme, ancorch provviste di carattere autoritativo, non


hanno questo carattere in concreto, cio non possono esprimerlo, senza una istituzione,
che poi lassetto politico di una data societ in un dato tempo e spazio.

Ad una analisi metagirusprudenziale o filosofico-giuridica, normativismo ed


istituzionalismo, presi nella loro estrema sintesi, non possono convivere. Perch?
Perch se noi chiedessimo agli uni e agli altri che cosa in concreto si debba intendere per
giuridicit, questi ci darebbero risposte radicalmente divergenti:
- per i normativisti, si deve andare alla ricerca di un criterio normativistico ultimo (la
Grundnrom di Kelsen, uno dei massimi filosofi del diritto del Novecento); e pu ben
sussistere, allinterno dellordinamento, una divergenza fra diritto posto e pratiche
fattualmente portate avanti; ma ci non conferisce carattere di giuridicit a detti
comportamenti;
- per un istituzionalista, ci che conta leffettivit del giuridico: ci che inefficace
non pu essere giuridico, perci il centro della giuridicit non risiede affatto nella
norma, bens nella istituzione che la produce, la applica e la amministra e nei modi
nei quali la applica quando la applica, e la amministra.

Per esempio Santi Romano possiamo annoverarlo fra questi studiosi.


Dal suo punto di vista gli elementi essenziali del diritto sono tre:
- base di fatto, ovvero la societ;
- finalit a cui il diritto tende, ossia lordine;
- il mezzo con cui si realizza questo fine, cio listituzione.
Ci che ci interessa qui considerare che in base a questi presupposti potremmo dedurre
conseguenze alquanto paradossali; uso le parole di Santi Romano:
OGNI ORDINAMENTO GIURDICO UNA ISTITUZIONE, E VICEVERSA OGNI
ISTITUZIONE UN ORDINAMENTO GIURIDICO: lequazione fra i due concetti
necessaria ed assoluta.

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Da questo punto di vista lordinamento una scacchiera: le norme vengono mosse come
delle pedine.
La regola dunque un momento posteriore.
Perci listituzione non consegue alla norma, ma allesatto contrario: la tesi sostenuta
che fra diritto ed istituzione non ci sia un rapporto di complementarit, ma di identit.

Allora solo lo Stato istituzione?


Dal punto di vista di Romano, quando una determinata collettivit si organizza in modo
intenzionale, d luogo ad un ordinamento, e questo diritto.
Questa teoria si chiama pluralismo giuridico, ossia lindividuazione in una pluralit
viva di soggetti del centro di ci che giuridico.

Kelsen invece un normativista: per lui i fatti sono opachi perch non hanno il loro
significato scritto.
Ora, se io uccido una persona, questo un fatto: percepibile come un accadimento, ma
questo non ci direbbe nulla circa il significato del mio gesto. Laspetto esteriore
dellagire umano, dal punto di vista del normativismo, un frammento di natura; il
diritto che qualifica un fatto nellambito della giuridicit, e la norma ce lo indica.

La norma dice Kelsen uno schema qualificativo.


Gli atti istituzionali sono atti che hanno senso solo e unicamente allinterno di un
sistema di norme, che non solo li interpretano, ma li interpretano in quanto li
costituiscono.
Ora, Santi Romano da una parte ed Hans Kelsen dallaltra, rappresentano probabilmente
i due campioni di queste possibilit di interpretare il problema diritto.

Per cui la soluzione parrebbe essere nel normativismo. E per, una qualunque volont
espressa da una autorit legittima e da questa formalizzata in norma sovrana ed
istitutrice, sotto laspetto giuridico, di ci che va a normare.
Del resto, il normativismo stato criticato per il suo aspetto di formalismo, ossia di
assenza di valori di fondo nella sua impostazione.
Consideriamo ora la questione di normativismo ed istituzionalismo da un punto di vista
differente.

In Teoria della norma giuridica Norberto Bobbio avanza alcune critiche alla teoria
istituzionalistica di Santi Romano. In sostanza Bobbio obiett che il concetto chiave
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dellistituzionalismo, ossia quello di istituzione, a sua volta presuppone delle norme
che ne governino in qualche modo la costituzione.

Dunque, listituzione non pu essere il dato fondamentale del fenomeno giuridico.

In ossequio al suo orientamento filosofico generale, tendenzialmente analitico, Bobbio


asserisce che le definizioni scientifiche (e lo sono evidentemente anche quelle della
filosofia del diritto) non hanno carattere veritativo assoluto, sono convenzionali, ovvero
nessuno ne pu vantare il monopolio.

Lo stesso vale per la parola diritto. Se ne pu usare un senso stretto, che Bobbio
ritiene essere quello di chi ritiene che il diritto sia solo quello statuale, gli istituzionalisti
ne fanno un uso ampio, giacch affermano che il diritto non sia solo quello statuale.

Ora, Bobbio asserisce la fondatezza del pluralismo giuridico, ossia la posizione di coloro
che affermano che vi siano pi centri di emanazione giuridica, oltre lo Stato e le sue
immediate articolazioni ma ci non toglie, asserisce Bobbio, che vi sia comunque al
centro il concetto di norma alla base della istituzione.

Cito:

a)[] la teoria della istituzione, credendo di combattere la teoria normativa


demolendo la teoria statualistica del diritto, si pone un falso bersaglio. La teoria
normativa non coincide affatto in linea di principio con la teoria statualistica, [...] la
teoria normativa si limita ad affermare che il fenomeno originario dellesperienza
giuridica la regola di condotta, mentre la teoria statualistica, oltre ad affermare che il
diritto un insieme di regole, afferma che queste regola hanno particolari
caratteristiche e come tali si distinguono da ogni altra regola di condotta. [...] non c
nessun motivo di restringere la parola norma, cos come usata dalla teoria
normativa, alle sole norme dello Stato.

b) Il Romano ha scritto che prima di essere norma, il diritto organizzazione. Ora,


questa affermazione contestabile. Che significa organizzazione? Significa
distribuzione di compiti in modo che ciascun membro del gruppo concorra, secondo le
proprie capacit e competenze, al raggiungimento del fine comune, ma questa
distribuzione di compiti non pu essere compiuta che mediante una regola di condotta.

E allora non vero che lorganizzazione viene prima delle norme, ma vero lopposto,

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che le norme vengono prima dellorganizzazione.

Bobbio prosegue che anche in ordine alla definizione degli scopi attorno ai quali si
raduna lorganizzazione necessario che vi sia almeno una norma di condotta che
presieda a questo meccanismo aggregativo: non rileva, dunque, nel discorso di Bobbio,
che la norma in questione sia scritta, promanata in forma di Statuto e cos via, rileva che
1) anche tacitamente essa sia riconosciuta dai consociati, e 2) che sia da essi osservata.

Alcune questioni.

In questo brano Bobbio mette in luce chiaramente che dal suo punto di vista non ci sono
definizioni vere o false, ma congruenti o incongruenti in ragione di scopi e modi duso;
in secondo luogo, si pone una seria questione intorno a che cosa dovremmo chiamare
istituzione.

Incidentalmente: Bobbio non ha alcuna difficolt a confermare la massima "dove c


diritto, l c necessariamente una societ" ; ma a differenza di Santi Romano, non
concederebbe la reciproca, ossia "dove c una societ, l necessariamente c diritto.

Ora: il diritto per sua costituzione non pu sussistere se non in presenza di una pluralit
di soggetti che hanno fra loro forme di attivit che si pongono luna in rapporto allaltra,
questo vale chiaramente nella sfera privatistica che in quella pubblicistica, ma dal
punto di vista di Bobbio questo non implica affatto che qualunque pluralit che segua
una regola di condotta dia luogo ad una situazione a carattere giuridico: norme di buona
educazione, come salutare le persone, scambiarsi doni in alcune ricorrenze, difficilmente
potremmo considerale fatti a pieno titolo giuridici; potremmo estendere il termine
istituzione ad una pluralit di fenomeni fra loro abbastanza eterogenei.

Le norme a carattere consuetudinario sono le uniche che non possono sussistere se non
nella coincidenza di validit (vigenza) ed effettivit; Giuridiche o meno le convenzioni
non necessariamente seguono a scelte intenzionali, ma ad una mera coordinazione
spontanea, ad usi consolidati senza che vi sia una specifica ragione espressa.

Tornando al nostro brano di Bobbio, va considerato che l si parla unicamente di regole


di condotta.

Ci pu essere foriero di non pochi equivoci. Ad esempio, non si individua alcuna


differenza fra norme che semplicemente regolano un comportamento e norme che

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individuano specificit funzionali, e di conseguenza conferiscono dei poteri.

Una cosa essere liberi di, altra cosa avere il potere di.

Torniamo per un attimo indietro e andiamo a riprendere la questione a partire dalla quale
lisituzionalismo aveva tratto alcuni suoi motivi ispiratori, ossia che vi sono delle norme
disapplicate di fatto, che non per questo cessano di essere norme, il che sembrava una
non trascurabile obiezione rivolta alle posizioni normativistiche.

Vediamo la cosa da questo punto di vista. La inefficacia delle norme non implica la loro
invalidit, si pu anzi parlare di inefficacia della norma intanto in quanto esiste, soltanto
non sortisce gli effetti che essa dovrebbe sortire; questo assume la differenza fra lo 'id
quod plerumque accidit' (ci che per lo pi accade), e il dover essere: ossia quanto
prescritto, e non descritto.

In ogni ordinamento c una soglia pi o meno ampia di discrepanza fra norma ed


effettivit del suo contenuto.

Segnalare incongruenze, lacune, anacronismi, o anche esorbitanze normative,


metagiurisprudenza prescrittiva.

Luigi Ferrajoli, fautore della moderna teoria garantista, afferma che compito del
giurista sia da un lato segnalare i contrasti fra le leggi ordinarie e la Costituzione, e
dallaltro lacune, criticit del diritto.

Bobbio forniva argomenti ragionevoli a proposito del rapporto fra norma ed istituzione,
osservando che qualsiasi organizzazione, formale, o spontanea, per il fatto semplice di
essere tale, osserva regole di condotta.

Ora, tutto questo ci era parso ragionevole; ed a suo modo lo . Per una domanda noi
dovremmo pur porcela: regola di condotta e regola in senso giuridico, sono la stessa
cosa?

Capitolo 3

Se qualcuno si alzasse in piedi e chiedesse: scusate, ma coloro che sono giuristi, da


dove traggono la materia del loro studio? o altrimenti da dove prendono le norme che
analizzano? Come dovremmo rispondere?

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Ci possono essere diverse risposte:

1. Nei codici: le norme giuridiche sono quelle scritte nei codici. Che vero, ma non del
tutto vero.

2. Luso sociale suffragato eventualmente dallopinione di esperti: si pu partire dal


presupposto dello id quod plerumque accidit piuttosto che dal punto dosservazione
prescrittivo, ed in caso di dubbio rivolgersi ad esperti; e neppure questa sarebbe una
risposta del tutto soddisfacente;

Se fossimo stati difronte ad un testo che troviamo nei codici, ci che troviamo scritto
una serie di segni coordinati; il linguaggio una attivit di carattere simbolico, non
mai mera meccanica, perci il contenuto normativo non nel testo che troviamo scritto,
ma nella sua interpretazione; al variare dellinterpretazione di una di quelle stringhe di
parole che abitualmente chiamiamo norme, in verit cambia la norma, cio varia il
contenuto normativo, ci che prescrive.

Esistono ordinamenti, come negli Stati Uniti dAmerica, che fanno un uso contenuto
delle norme scritte nei libri (Law in books) e piuttosto si rivolgono ad analizzare gli usi
sociali, lasciando ampio margine a degli esperti, giudici costituzionali, di esprimersi.

Perci il giurista sar pi che altro un sociologo, un osservatore dei fatti sociali ai quali
conferire un qualche significato giuridico?

Il nostro non-manuale propone una bizzarra storiella. Ve la riassumo in breve, perch fra
le tante cose che segnala, c anche la questione del punto di vista interno e del punto di
vista esterno rispetto al sistema normativo.

La storiella in questione ci dice di un marziano, che viene inviato a Milano e comincia le


sue osservazioni empiriche. Poniamo che venga colpito dal traffico veicolare. Diciamo
che il marziano in questione osserva che i veicoli per lo pi si regolano cos: in presenza
di una lanterna collocata in mezzo allincrocio di diversi flussi di veicoli, in alcune
circostanze si fermano e in altre procedono.

Che cosa penser? Potrebbe pensare che un rito religioso primitivo, potrebbe pensare
che losservanza di superstizioni tabuizzate per le quali il rosso un presagio funesto,
e il verde segno di buon augurio.

Poi vede un veicolo passare in presenza del rosso, e vede un umano bizzarramente
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abbigliato inseguirlo fischiando e prendendo in mano un blocchetto di fogli.

Da un punto di vista esclusivamente esteriore non possibile distinguere un


comportamento puramente regolare dalla intenzionale disposizione a seguire una regola.

Se voi non foste a conoscenza di alcuni elementi di contesto, voi non potreste andare
oltre le ipotesi del marziano di cui sopra.

Bene. Dicevo di punto di vista interno e punto di vista esterno; attorno a quella posizione
si sviluppa il pensiero di un filosofo del diritto particolarmente influente e
particolarmente interessante: Herbert Hart.

In The Concept of Law Hart muove proprio dalla differenziazione fra punto di vista
interno e punto di vista esterno nella osservazione di una pratica sociale governata da
norme.

Il punto di vista interno sar quello di chi accetta le norme e le usa come criteri di
giudizio; il punto di vista esterno quello di chi non prende parte a quelle pratiche rette
da quelle norme e le osserva, per lappunto dallesterno.

Il punto di vista esterno si suddivide in due orientamenti generali: moderato ed


estremo.

La storiella di cui sopra, ossia quella del marziano a Milano, senzaltro quello estremo:
semplicemente registrava le regolarit che osservava svolgersi e non poteva far altro che
utilizzare predizioni, probabilit e indizi.

Se X allora vi una forte probabilit che Y.

La formula astratta qui illustrata attraverso il linguaggio dei simboli logici un


meccanismo inferenziale a carattere probabilistico (nella nostra ipotesi di lavoro ad alto
tasso di probabilit).

Dal punto di vista esterno estremo, ossia di colui che ignora le prerogative anche le pi
elementari di un sistema normativo di cui osservi le regolarit, e a rigore non sa neppure
che esista quel sistema normativo in forma di sistema, non sarebbe possibile distinguere
una mera usanza sociale non disciplinata da specifiche norme (prendere il caff dopo
pranzo non una fattispecie presa in considerazione da alcuna legge) da un
comportamento che invece oggetto di specifica normazione.

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Ora lasciamo stare il marziano: non esiste uno scienziato sociale che ignori totalmente le
credenze o i sistemi entro cui il fenomeno che sta studiando si muove, ma non ha
nemmeno la piena certezza di tutto ci che riguardi il fenomeno menzionato: altrimenti
non avrebbe alcun senso studiarlo criticamente, non si costituirebbe neppure come
scienziato sociale, giurista, e cos via.

Cosa far? Creer connessioni, magari le scoprir, eventualmente ne proporr delle altre:
interagir con un sistema che gli familiare ma che oggetto di dubbio, di incertezza, di
una certa possibilit di sospensione di giudizio; avr verosimilmente un punto di vista
esterno moderato.

Quale sar allora il punto di vista meramente interno? Sar quello di coloro che
semplicemente seguono la regola; cio fanno uso delle norme.

Si diceva, per, che il punto di vista interno non implicava solamente laccettazione
delle norme e quindi la loro osservanza, ma anche il loro impiego quali argomenti validi.

Questo che vuol dire? Che la questione della mera osservanza integrata da una
fattispecie molto importante: il punto di vista interno implica infatti che chi accetti il
sistema normativo, e lo segua, contestualmente assuma un atteggiamento critico nei
riguardi di eventuali deviazioni. Lesistenza della norma e la sua osservanza
costituiscono una valida ragione per biasimare comportamenti che rappresentino una
negazione dellimporto normativo.

Rispetto al caso della mera osservazione di una regolarit comportamentale c


lelemento del biasimo in pi.

Hart fa il caso degli scacchi: uno che osservasse due persone mentre giocano a scacchi,
vedrebbe che lalfiere viene mosso sempre secondo direttrici diagonali rispetto
allorientamento della scacchiera; potrebbe semplicemente ipotizzare che una
abitudine di quei giocatori, o che una tattica di gioco che essi considerino
probabilmente assai acuta.

Coloro che stanno giocando a scacchi, sanno che muovere lalfiere secondo direttrici di
spostamento diagonali rispetto allorientamento della scacchiera parte del gioco: una
situazione diversa da quella formalizzata in precedenza, perch dal punto di vista del
giocatore di scacchi va aggiunta una ulteriore condizione: se e solo se lalfiere muove
in diagonale allora siamo in presenza del gioco degli scacchi. I giocatori di scacchi,

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coloro che cio assumono scacchi da un punto di vista interno, biasimano coloro che
volessero muovere lalfiere secondo direttrici diverse. C una sostanziale richiesta di
conformit.

Ora, il seguire la norma cosa ben diversa dal farne criterio di giudizio.

Per il momento non sappiamo fino in fondo che cosa sia una norma giuridica, se per
assumessimo un punto di vista tipico dellimperativismo, ossia quello secondo cui una
norma giuridica la prescrizione di un comportamento generale sostenuta da minaccia,
secondo Hart, noi trascureremmo una differenza sostanziale: quella relativa alla generale
aspettativa di conformit da parte di coloro che si trovano allinterno di un quadro di
norme, condividendolo.

Una cosa essere stati costretti a altra cosa avere lobbligo di. Nel primo caso
pesa un dato psicologico, costituito dalla eventuale intensit della pena contenuta nella
minaccia, nel secondo la norma non considerata unicamente come portatrice di
minaccia, ma assunta come ragione giustificante la sua osservanza, alla quale si
accompagna, in caso di violazione, leventuale sanzione.

Abbiamo quindi verificato l'insufficienza sia del modello puramente codicistico (le
norme sono quelle che troviamo nei codici), sia di quello relativo alluso sociale
complessivamente inteso (non sino in fondo possibile distinguere un uso
convenzionale estrinseco rispetto al fatto giuridico da un uso retto da norme a carattere
giuridico).

Dobbiamo quindi interpretare.

La conoscenza normativa passa necessariamente attraverso lattivit esegetica.

Il giurista-interprete non muove a partire da eventuali assunzioni unicamente di


principio, fuor di dubbio che possegga delle conoscenze di carattere tecnico-giuridico
per via delle quali interno alluso di un lessico specifico; conosce daltra parte i
precedenti che nella giurisprudenza hanno il loro rilievo e tuttavia, malgrado questo, egli
non compie unazione meccanica. Qualunque giudice deve necessariamente servirsi di
una certa discrezionalit.

Tanto le norme scritte quanto losservazione di come la gran parte delle persone opera,
di per s, non sono sufficienti a rispondere in maniera esaustiva al nostro quesito; hanno

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infatti un carattere simbolico, ossia significano qualcosa di ulteriore rispetto al mero loro
apparire agli occhi di chi le osservi.

I gesti del corpo, le espressioni facciali, hanno un significato perch questo viene loro
attribuito, altrimenti non lo avrebbero o ne avrebbero un altro o anche numerosi altri.

Anche gli usi debbono necessariamente essere interpretati, anche quando ci


sembrerebbero lineari, nulla riducibile alla sua osservabile fattualit: tutto veicola un
portato simbolico.

Tant che, affinch si dia una consuetudine, servono due elementi almeno: costanza nel
tempo (condizione di dipendenza) e accettazione volontaria (elemento psicologico): la
condivisione non pu avvenire se non sulla base di una comune interpretazione dei
significati (aderisco ad un certo punto di vista, ad una certa norma, perch mi convince,
la reputo degna di essere seguita). Sono quindi andato oltre ci espressamente dice: lho
raffrontata con i miei valori, lho immaginata funzionare in un certo modo o in un altro,
lho intuita agire in un quadro di complessit.

La condizione di dipendenza (con la quale si identifica la tendenza a seguire


lorientamento generale) non implica necessariamente la giuridicit. La condizione di
dipendenza condizione necessaria affinch un uso si stabilizzi (sia esso giuridico o non
lo sia); ma questo eccede il campo della giuridicit.

Il caso Oberlin-Ohio lo mostra chiaramente: non ve lo riassumo, lo trovate alle pp. 77-78
del nostro non-manuale, ma molto istruttivo circa il fatto che una convenzione pu
essere un fatto giuridico, ma questo non significa che ogni convenzione lo sia
necessariamente.

Linsieme convenzione eccede linsieme giuridicit: lo comprende ma pi vasto.

Il nostro buon senso pi o meno ci dice che le norme non sono tutte uguali.

La domanda vera per la seguente: esiste solo una tipologia di norma a carattere
giuridico, ossia tutte egualmente riconducibili ad uno stesso modello unitario?

Il gi evocato Thomas Hobbes, nel Leviathan, ha il problema di distinguere comando


da consiglio: il depositario assoluto della forza, il Sovrano, non ti d gentili consigli; ti
comanda.

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Hobbes scrive: si ha comando quando si dice fa questo, o non fare questo, e non ci si
aspetta altra ragione che la volont di colui che dice fai ci. [...] Si ha consiglio quando
si dice fa questo o non fare questo e deduce le sue ragioni dal beneficio che deriva a
colui il quale venisse ci detto.

Hobbes osserva che la volont di chi comanda coincide con il bene di chi comanda, non
con il bene di chi comandato; individua perci una differenza nel fine. Hobbes deduce
quindi importanti conseguenze circa le differenze fra comando e consiglio:

1. ad un comando si obbligati ad obbedire, ad un consiglio no;

2. nessun uomo pu pretendere il diritto di dare consigli, invece chi esercita un comando
provvisto del diritto a farlo;

3. in ordine alla responsabilit, chi chiede consiglio, se ottenesse altri esiti rispetto a
quelli sperati, non pu accusare, o peggio punire, chi avesse consigliato in quel
determinato senso: la responsabilit del consigliato; nel caso invece dellordine, la
responsabilit in caso di corretta esecuzione, e cio obbedienza allordine di chi ha
comandato.

4. la forza del consiglio risiede nella ragionevolezza del consiglio stesso o


eventualmente nellautorevolezza di chi lo rivolge, ma ci non determina un rapporto
autoritativo.

Marsilio da Padova, autore del Defensor pacis, scrive in questopera che la legge pu
essere assunta in due modi differenti:

1. in s, ossia in quanto essa mostra quel che giusto o utile e quel che ingiusto o
nocivo;

2. non in s ma in quanto essa portatrice eventualmente di un premio in caso di


osservanza, ma senzaltro di una punizione in caso di inosservanza.

Nel primo caso, argomenta Marsilio, siamo sul piano della scienza o dottrina del diritto,
nel secondo caso, siamo sul piano delle legge.

Cosa consegue? In primo luogo che non ogni cognizione circa giustizia e utilit implica
per necessit che a ci corrisponda qualcosa che possiamo chiamare legge, perch
manca listituto della coazione, cio il carattere coattivo della legge che consiste nel

16
portare conseguenze indesiderabili nel caso di sua inosservanza.

In secondo luogo stando a Marsilio non ogni legge per necessit giusta, nel senso
che la presenza dellelemento della coazione, non essendo intrinseco a ci che Marsilio
ha definito come scienza del diritto, non indica alcunch (in s assunto) in ordine alla
giustizia o alla utilit; dice solamente che posta una certa legge, nel caso di infrazione, si
ha indesiderabile conseguenza.

Lusanza di riparare ad un omicidio attraverso la corresponsione di un risarcimento in


denaro, pu benissimo essere una legge; ma intorno al concetto di giustizia in molti
avrebbero qualcosa da eccepire.

I precetti di giustizia riguardano tanto il campo interiore che quello esteriore dellagire:
per campo interiore intendiamo le motivazioni, i convincimenti individuali, mentre la
legge riguarda il campo esteriore, cio il campo dellazione che si esplicita, conseguenze
per altri.

Un altro possibile campo di distinzione nel Seicento lo si pensava relativo al


problema della forza.

Christian Thomasius ne un eccellente esempio: la sua posizione che sia possibile


riservare la qualifica di diritto solamente alle norme che sono assistite dalla coazione.

Distingue dunque tre campi:

1. lo honestum, che riguarda i convincimenti morali di ciascuno;

2. il decorum, che riguarda il significato sociale dei precetti morali;

3. il justum che appunto la sfera del diritto, ossia il comandamento accompagnato da


coazione.

Interessante notare che il diritto ha per Thomasius un carattere negativo: il diritto


costituito solamente da imperativi negativi, da divieti, che si esprimono nelle forma
imperativa Non fare.

Mentre la morale ci obbligherebbe a fare del bene (ad esempio assistere il bisognoso), il
diritto ci obbligherebbe a non fare il male (non rubare).
17
La storia del tentativo di cogliere il carattere differenziale del giuridico nel campo del
normativo lunga, complessa e articolata.

Kant muove dalla distinzione di due fattispecie nel campo del normativo: autonomia ed
eteronomia.

Sono imperativi autonomi quelli che il soggetto d a s medesimo, sono imperativi


eteronomi quelli che provengono da persona altra per cui fonte di emanazione della
norma e destinatario della norma sono persone diverse.

Dal punto di vista di kant la morale pura: essa non deve ricevere nel suo procedere
alcuna influenza esterna. Il soggetto morale deve potersi pensare come legislatore
universale, ossia in grado di porre in essere leggi che ciascuno seguirebbe.

In materia di diritto la cosa sta diversamente: il fine del diritto rendere possibile la
convivenza di una certa pluralit di arbtri secondo una massima universale di libert e
quindi riguarda la norma nella sua dimensione esteriore; la volont non sar allora pura,
perch insita nel concetto di diritto la facolt di costringere chi pregiudicasse la libert
altrui.

I fautori della posizione giusnaturalistica, coloro che assumono lesistenza di un


concetto oggettivo di giustizia, invariabile nella sua essenza, se pure variabile nelle sue
possibilit applicative, hanno sempre prestato grande attenzione alla distinzione fra ci
che esteriore (comportamento) e ci che interiore (convinzione morale): mentre il
primo disponibile al diritto, il secondo non lo sarebbe.

Di qui il nesso problematico fra morale, diritto e costrizione, soprattutto nel caso in cui
lintima convinzione del soggetto rispetto alla norma fosse di segno contrario rispetto al
dettato di questa.

Nellevoluzione delle concezioni del diritto assistiamo a numerosi capovolgimenti: uno


particolarmente interessante quello rappresentato da Jhering rispetto a Kant.

Jhering muove dallassunto che non esista una volont disinteressata, al contrario di
Kant che considerava volont pura unicamente quella libera da ogni condizionamento
esterno.

18
Al contrario, osserva Jhering, la disposizione umana fondamentalmente egoistica e
quindi il diritto non pu che consistere nelle facolt di imporre limite alle pulsioni
egoistiche allagire; lo Stato lunico soggetto deputato ad esercitare questo controllo, e
lo svolge in regime di monopolio delluso legittimo della forza. Il diritto quindi in
essenza costrizione, coercizione dallesterno.

Il capovolgimento di cui sopra non viene dal nulla, ma da una mutata visione delluomo:
lepoca di Jhering quella dellaffermarsi di Darwin, Kant vive nellepoca delle
rivoluzioni, rispetto alle quali egli ha un atteggiamento non sempre univoco, ma
laffermazione dei principi giuridici di libert, eguaglianza una molla molto
consistente; al contrario, Jhering vive nel clima della Germania bismarckiana, la
comunit vista come un meccanismo sociale che si pu progettare, direzionare,
dirigere.

Il punto il seguente: luso della forza, da male minore o impurit necessaria


nellassunzione dellilluminismo giuridico kantiano, diviene, nel positivista Jhering il
tratto distintivo dello Stato;

Questa rapida carrellata di Autori ci servita a costatare che le risposte sono state
molteplici e di segno anche molto differente fra loro. Proviamo ad isolare tre elementi,
che paiono ricorrere pi o meno costantemente, e vediamo come si possano sistemare le
cose:

1. la norma giuridica concerne lesteriorit;

2. la norma giuridica implica una forma di eteronomia;

3. la norma caratterizzata da coattivit.

Altri assumono come prerogative della giuridicit della norma almeno altri tre elementi:

(4) il carattere quanto pi possibile astratto e generale di essa;

(5) il carattere bilaterale;

(6) la statualit.

Quanto alla statualit ci sono enti che non sono Stati che legiferano, assumono
19
provvedimenti etc. Pensate al diritto internazionale.

Sulla questione di generalit ed astrattezza si pongono almeno due questioni: in primo


luogo le sentenze riguardano necessariamente il singolo caso o volendo anche una
pluralit limitata di casi, ma il Parlamento produce anche norme a carattere ristretto,
come le leggi- provvedimento cos dette, che non per questo non sono leggi.

Quanto alla bilateralit con ci sintende se qualcuno ha un diritto, in capo a qualcun


altro sta il dovere di renderlo tale, ma questo non sempre avviene.

Prendiamo i primi tre elementi.

La coattivit fra i pi ricorrenti, e a prima vista ragionevoli. Tuttavia dobbiamo


osservare che sussistono norme giuridiche che non sono coattive, ossia non sono
caratterizzate dalla presenza di una sanzione in caso di violazione.

Non sanzione qualunque effetto soggettivamente indesiderabile conseguente da una


norma giuridica.

Fra laltro ci sono norme che anzich una sanzione, comportano una situazione premiale
o incentivante.

La norma non norma di per s, ma perch parte di un complesso, che nella fattispecie
chiamiamo ordinamento.

Nel caso in cui si assumesse che affinch sia giuridica, una norma debba implicare una
sanzione, ci vuole altres qualcuno che sanzioni, ossia un organo che abbia in capo il
dovere funzionale di irrogare la sanzione e che questo soggetto non possa essere a sua
volta il sanzionato. Siamo in presenza di un regresso allinfinito.

Questione essenziale quella della norma fondamentale, ossia quella che non assume la
possibilit di essere a sua volta normata da altra norma e che non pu prevedere una
sanzione, ma solo, tuttal pi - e vedrete che anche questo crea problemi una
definizione.

Per dirla con Alf Ross e con August Thon, servirebbe lultima norma, quella che non
sanzionata: la cos detta norma impotente.

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Ci sono delle obiezioni consistenti alla tesi che vede nella coattivit il carattere
differenziale della norma giuridica.

Lautore che pi di tutti ha tentato di rispondere a queste obiezioni Hans Kelsen.

Il suo tentativo, volto ad evitare il regresso allinfinito, consiste essenzialmente nel:

1. trasformare una norma giuridica in un giudizio ipotetico;

2. capovolgere il tradizionale rapporto fra norma primaria e norma secondaria.

Tento di spiegarmi: la forma intuitiva di un comando normativo, che abbia carattere


coattivo tale da determinare la sanzione Vietato fare X, non X.

Espresso in questi termini il comando non ha carattere ipotetico, incondizionato: un


comando perentorio, qualcosa come vietato rubare.

La struttura della norma giuridica secondo Kelsen non questa ma se illecito allora
Sanzione

Lillecito, nellimpostazione di Kelsen, non un atto antigiuridico, ma il presupposto


che determina la sanzione. Lillecito viene ad essere considerato come laffermazione
del diritto.

Kelsen tiene qui un approccio prescrittivo e non descrittivo: non intende descrivere cosa
accade, ma prescrive che cosa debba accadere se illecito allora sanzione; questo non
vuol dire che una azione di per s riprovevole deve essere punita poich il concetto di
riprovevole non un conetto giuridico.

Il ragionamento non muove a partire dal fatto che qualcuno faccia o non faccia qualcosa,
il rapporto capovolto rispetto a come intuitivamente saremmo indotti a considerarlo: la
sanzione non conseguenza dellillecito, ma al contrario la sanzione a cagionare
lillecito, il quale illecito tale perch la norma lo istituisce come tale.

La norma istituisce lillecito e prescrive un comportamento sanzionatorio.

Lopera pi significativa di Kelsen si chiama "Dottrina pura del diritto""; laggettivo


pura, qui, sta a significare depurata di tutti gli elementi estrinseci al diritto in quanto
diritto; fra questi Kelsen annovera anche le concezioni di derivazione naturalistica (per
le quali il rapporto di causa ed effetto concepito sostanzialmente come un nesso
21
automatico).

La norma giuridica kelseniana diretta a dirci come le cose dovrebbero stare al


verificarsi di una serie di prerogative a carattere condizionale: quindi non
incondizionatamente.

Vuol dire kelsenianamente ad un certo atto umano volontario segue una certa reazione
umana volontaria: siamo nel campo del deontico, non dellontico (cio del dovere, non
dellessere).

Laltro grimaldello kelseniano linversione di rapporto fra norme che genericamente la


dottrina considera primarie e norme che considera secondarie: le primarie sono le norme
che implicano un certo comportamento, le secondarie quelle implicano la sanzione in
caso di infrazione.

Dunque, secondo limpostazione tradizionale la norma primaria "c la norma X


quindi devi fare Y.

La norma secondaria "la norma X ti diceva che dovevi fare Y; non hai fatto Y, allora
sanzione Z.

Dal punto di vista di Kelsen la sanzione istituisce lillecito, che di per s un


comportamento: lecito e illecito demandato alla volont.

La norma primaria per Kelsen quella che prescrive la sanzione in presenza dellillecito,
il quale illecito unicamente perch prevista una sanzione al suo eventuale verificarsi;
la norma secondaria quella che identifica la fattispecie che la sanzione qualifica come
illecita.

1. se illecito allora sanzione;

2. il contenuto normativo della norma primaria che impone al suo verificarsi la sanzione
perci stesso illecito.

La norma primaria diretta ai giudici, ai funzionari pubblici, ossia coloro che


amministrano la sanzione; la norma secondaria, quella che una volta qualificato un certo
comportamento o una certa omissione come fatto illecito costituisce il comando di non
compiere lazione illecita.

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Nella formula seguente (art. 423 c.p.): chiunque cagiona incendio punito con la
reclusione da tre a sette anni la norma secondaria non cagionare incendi; la norma
primaria sar il cagionare incendi prevede una sanzione da tre a sette anni di
reclusione.

Apparentemente, il problema del regresso allinfinito superato: ma vedremo che le


cose non stanno proprio cos.

Il fine di questa costruzione sottrarre il giuridico al politico, inserire la forza non come
elemento estrinseco al diritto, ma come elemento essenziale del giuridico stesso; tant
che Kelsen affida tutta la costruzione non ad un elemento extragiuridico (un qualche
leviathano o potere di fatto) ma a quella che egli definisce Grundnorm o norma
fondamentale: cio fatto eminentemente giuridico.

Kelsen assume che le norme che istituiscono poteri o definiscono fattispecie sono
frammenti di norma, e che se illecito allora sanzione non lunico se, perch ne
servono molti altri:

1. se vale la norma fondamentale;

2. se lordinamento valido in quanto approvato secondo regole e procedure legittime;

3. se...

Si crea cio una catena di condizioni che rinviano in definitiva alla Grundnorm, le
norme senza sanzione rientrano perci tutte in questo complesso mosaico di condizioni,
che in ultimo si regge su di un apparato sanzionatorio.

In definitiva, lo schema kelseniano, il suo riduzionismo, finalizzato alla unificazione


del modello giuridico alla norma coattiva: il giuridico unicamente la coazione; tutto il
resto non ha rilevanza nel mondo del diritto.

Hart propone critiche rilevanti al modello kelseniano: esistono norme che, non
prevedendo una sanzione, hanno effetti giuridici; lo abbiamo detto: le norme che
conferiscono poteri non prevedono una sanzione, ma tutto sommato questo in qualche
modo giustificabile allinterno del sistema kelseniano.

Ma vi sono casi molto rilevanti, in cui lapparato sanzionatorio non per niente
coinvolto: la nullit di un atto non una sanzione;

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Vedete, Kelsen potrebbe obiettare che queste critiche sono infondate perch in definitiva
il suo problema mettere in luce la norma nella sua dimensione di struttura; ma Kelsen
viene meno a questo suo proposito. Dichiara di considerare come elementi estrinseci al
diritto morale, finalit sociali e cos via; ma un elemento sfugge: luso della forza.

Nella sua visione, qualsiasi scopo pu essere perseguito nel diritto; giustizia o ingiustizia
non rilevano in senso assoluto, rileva che una certa norma, per essere giuridica, deve
soddisfare alcune condizioni, ma proprio questo in ultimo finalizzato ad almeno uno
scopo: legittimare luso della forza nel caso di infrazione.

Il punto che linversione di norma primaria e secondaria, non inverte leffettiva


direzione: se si assume che una sanzione sia un fatto indesiderabile finalizzato a
scoraggiare un dato comportamento, in verit si rivolge ai consociati tutti e in primis ai
non funzionari, anzich unicamente a questi.

Ci sono norme giuridiche che non hanno sanzione, perci la sanzione non qualifica di
per s la giuridicit o meno di una norma; ci sono norme giuridiche che sono valide ma
non efficaci: e allora diamo credito al criterio della validit, o al criterio della effettivit?

E se per effettivit intendiamo il fatto che la norma ordinariamente ottiene la sua


applicazione presso i tribunali, i la validit, rispetto a che cosa andrebbe considerata?

La risposta a conti fatti la premessa per altre domande: il luogo di validit di una
norma da identificarsi con leffettiva sua presenza in stato di vigenza nellambito di un
dato ordinamento; e allora che cosa fa s che un ordinamento sia giuridico?

Capitolo 4

Abbiamo spostato il problema della giuridicit di una norma dal piano della singola
norma stessa, a quello di un intero ordinamento: anche Kelsen si posto la questione.

Gli ordinamenti, assume Kelsen, sono di due tipologie distinte: statici e dinamici; i primi
si reggono sul contenuto, i secondi sulla struttura.

Mentre i primi si pongono in forma di divieto categorico, o di comandamento


categorico, i secondi si costituiscono in ordine a criteri formali. chiaro che la morale
appartiene al primo tipo; il diritto al secondo.

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Scrive Kelsen che le norme giuridiche non sono valide o invalide in ragione del loro
contenuto, ossia di ci che effettivamente vietino, permettano o impongano; Qualsiasi
contenuto pu essere diritto.

diritto unicamente ed esclusivamente ci che viene posto (Diritto positivo);


indipendentemente dal suo contenuto concreto.

I due sistemi statico e dinamico condividono per un aspetto, determinante: entrambi


trovano il loro principio unificatore in una norma fondamentale, che nel primo caso sar
il contenuto morale dal quale possono essere dedotti i singoli precetti, mentre nellaltro
caso (kelsenianamente, quello del diritto), la norma fondamentale quella che giustifica
la validit delle singole norme, la regola fondamentale per la quale sono prodotte
norme [...] essa il punto di partenza di un procedimento, ha un carattere dinamico-
formale.

Questa dunque la Grundnorm.

Ora, nel brano che vi ho riassunto, a proposito dei sistemi statici, appare abbastanza
chiaro che non tutte le etiche siano riducibili immediatamente ad un sistema in tutto e
per tutto deduttivo: Kelsen ha in mente due pensatori che assume ad emblemi, ed una
forzatura, dellintera fattispecie che egli delimita come statica, pensa a Leibnitz e a
Spinoza, due autori cui sta a cuore: il concetto dellordinamento giuridico come sistema
dinamico.

Ora, da questo punto di osservazione, una norma giuridica se appartiene ad un


determinato ordinamento, se essa soddisfa alcuni criteri formali: se stata emanata
dallorgano a ci deputato attraverso procedure stabilite (organi competenti e procedure
prestabilite da metanorme dellordinamento).

La correttezza procedurale che porta ad una norma, presso Kelsen, unitamente alla
natura coattiva e perci sanzionatoria, la sua giuridicit; ma un altro requisito
necessario al quale ho fatto cenno lunitariet: un ordinamento un ordinamento e
non due o tre ordinamenti, se unitario.

Il principio unificante dellordinamento in quanto ordinamento, la norma ultima o


fondamentale: la Grundnorm: che per tanto il criterio ultimo di validit, ci che
permette, secondo Kelsen di stabilire due questioni fondamentali:

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1. se una norma valida ossia se soddisfa i requisiti di validit -;

2. se due norme giuridiche appartengono allo stesso ordinamento.

Occorre un sistema metanormativo che tenga insieme una pluralit di norme (in senso
orizzontale) che si struttura in rapporti formali di derivazione (in senso verticale).

Coincide con la Grundnorm, la quale lo istituisce come ordinamento legittimo - si ha un


sistema di derivazione formale a carattere gerarchico per cui le norme conseguono
ciascuna al livello autoritativo che la precede e giustificano quelle che seguono.

Kelsen immagina un sistema come una concatenazione produttiva di norme: le fonti


superiori delegano quelle inferiori, cio le autorizzano a produrre norme.

un rapporto di delegazione da autorit ad autorit, un sistema di atti validi che assicuri


unitariet e continuit ordinamentale.

Noi immaginiamo come due distinti muri un sistema statico da un lato e un sistema
dinamico dallaltro; diciamo che le norme nelluno e nellaltro caso sono i mattoni, ma
mentre nei sistemi statici il cemento che li tiene insieme la deduzione, nei sistemi
dinamici (giuridici) il cemento il rapporto di delegazione dallautorit normativa
superiore a quelle inferiori.

Perci, stante il fatto che qualunque contenuto pu diventare diritto, secondo Kelsen
la questione essenziale chi, in virt di quale autorit, in ragione di quale procedura,
entro quale ordinamento.

A questo punto necessario ragionare sul concetto di validit della norma stessa.

Dal punto di vista di Kelsen si pongono due domande:

1. che cosa significa affermare che una data norma giuridica valida?

2. quali sono i criteri per stabilire se una data norma giuridicamente valida?

Ora, quanto alla prima questione, affermare che una norma giuridica validit implica
rispondere positivamente a tre domande:

a) la norma in questione appartiene allordinamento giuridico preso in considerazione;

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b) la norma giuridicamente obbligatoria, ossia deve essere applicata, e quindi si
applica ed vincolante;

c) che la norma esiste.

La prima abbastanza lineare.

Quanto alla seconda, nellimpianto giuspositivistico kelseniano, non pu esistere una


norma che sia valida e al contempo non applicata, semplicemente perch per qualificare
la giuridicit e dunque la validit di una norma si parte dalla sanzione: quindi non pu
non essere applicata un norma, se affermiamo che essa giuridicamente valida, proprio
perch la sua giuridicit risiede nella volont di far corrispondere la sanzione.

Sulla terza questione si pongono numerose questioni.

Kelsen a proposito del problema della validit nei Lineamenti dice: lesistenza
specifica della norma. Perch specifica? E che vuol dire esistenza specifica? Non
sufficiente parlare di esistenza e basta?

la sanzione a dirci che una norma giuridica, la sanzione a dirci che un certo
comportamento indesiderabile e non il contrario, allora se ne deve concludere che le
norme non esistono in virt della loro utilit finale in quanto strumenti, ma le norme
esistono in funzione della volont che legittimamente, cio in ragione di procedure e
delegazioni autoritative, le pone in essere .

Le norme, per un pensatore analitico, esistono in quanto sono discorsi; e non


discorsi di carattere descrittivo, ma prescrittivo.

Cera un secondo problema che ci eravamo posti; quello relativo ai criteri per stabilire se
una norma appartiene ad un dato ordinamento.

Da un punto di vista formale, una norma valida ed per tanto effettivamente parte di
un dato ordinamento se essa stata prodotta in maniera conforme a una norma
superiore appartenente allordinamento.

Cio dovremmo pensare ad un insieme di metanorme la cui appartenenza


allordinamento in questione indubitabilmente nota e che stabiliscono la competenza di

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una determinata autorit a produrre norme.

Vanno per considerati anche i criteri materiali: soprattutto in presenza di Costituzioni


cos dette rigide, una norma da considerarsi valida se non in contrasto con norme
gerarchicamente superiori.

E qui si presentano alcune consistenti difficolt, da un lato relative alla necessit


delluso della interpretazione e dallaltro, al fatto che esistendo una certa mole di norme
non abrogate ma sostanzialmente non applicate a risentirne la certezza del diritto.

Nellassumere il problema della validit, abbiamo considerato sostanzialmente il diritto


moderno, che si struttura secondo tre ipotesi di natura illuministica:

1. si assunto lordinamento come una struttura gerarchica, che abbiamo raffigurato


come una piramide rovesciata, al cui vertice si colloca la norma fondamentale;

2. si assunto, poi, che per ogni gradino della scala il problema della validit fosse di
per s risolto, attraverso il rimando alla fonte superiore;

3. si inoltre assunto che le fonti di produzione di un dato ordinamento fossero elencate


in modo chiaro e vincolante, di modo che il giurista, attraverso una verifica per gradi,
fosse sempre in grado di risalire alla derivazione, cos da poter avere una lista univoca e
definitiva delle fonti del diritto.

Ora, sulla prima questione, lattuale modalit di produzione del diritto pi che ad una
piramide somiglia ad una rete nel senso che le fonti sono ormai extra-statali o intra-
statali in modo talvolta conflittuale e concorrente;

circa la seconda questione, lelenco tassativo, univoco e fissato una volta e per sempre,
nei fatti non si d e il nostro non manuale in proposito parla di un modello
semplificato.

Ora, nel mondo del diritto per come lo viviamo, che un mondo in cui linterpretazione
ha una consistente parte, lidea di procedere per ascesa di grado, incontra non poche
difficolt.

La Grundnorm, nel sistema kelseniano, svolge una triplice funzione:

1. unifica un sistema normativo;

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2. individua la fonte dellordinamento, distinguendo cos diritto vigente, convenzioni
sociali, precetti morali, e cos via;

3. la garanzia ultima della validit di una norma giuridica.

Ora, se siamo un po avvezzi alla filosofia kantiana, dovremmo sapere che cosa vuol
dire trascendentale, che non sinonimo di trascendente.

Per trascendentale va inteso ci che a priori, ossia ci che deve essere presupposto
affinch si dia un qualcosa; la Grundnorm kelseniana rientra in questa fattispecie.

Lo stesso Kelsen afferma che la Grundnorm non posta: essa pre-supposta, in quanto
condizione di validit dellintero ordinamento e per tanto di tutte le altre norme
giuridiche che in un determinato ordinamento trovano la loro possibilit di sussistenza.

La Grundnorm un fondamento ipotetico e non una norma positiva (perch si darebbe


il problema che abbiamo gi affrontato sul regresso allinfinito se fosse una norma come
le altre norme giuridiche: chi lha posta? con quale procedura? sulla base di quale norma
delegante?).

E tuttavia, per essere fondamento normativo di validit delle norme giuridiche, per
unificare lordinamento, per consentire lindividuazione delle fonti, essa deve essere
valida, pur non essendo una norma positiva.

La formulazione schematica della norma fondamentale di un ordinamento giuridico [...]


la seguente: la coazione deve essere posta nelle condizioni e nel modo che stato
determinato dal primo costituente e dagli organi da lui delegati.

Si ha un sistema di derivazione formale a carattere gerarchico per cui le norme


conseguono ciascuna al livello autoritativo che la precede e giustifica quelle che
seguono.

C un ordinamento valido se e solo se c un potere costituente che lo istituisce


come tale attraverso la Grundnorm e se ci sono i rapporti di derivazione gerarchica
verticali e di coesistenza orizzontale fra norme giuridiche.

Riprendiamo il problema della validit: per sapere se due norme sono parte dello stesso
ordinamento, dovremmo poter risalire, attraverso una serie di passaggi scanditi,
determinati e non infiniti, fino alla norma fondamentale e quindi poter verificare se le

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due norme rispondono ai criteri di unificazione e fondatezza che la Grundnorm
assumerebbe.

Il punto che cos non perch per eseguire questi passaggi la norma fondamentale
deve essere presupposta, si deve cio gi sapere qual il costituente originario.

Kelsen esclude con il massimo della radicalit concettuale che ci che non diritto posto
sia diritto.

1. assumiamo un documento storico, come la Costituzione americana o quella italiana, e


diciamo che quella la Grundnorm; e per quel documento non si fatto da s. Di chi
la mano che ha fatto la prima mossa? E sulla base di quale potere costituente e perci
stesso delegante? evidente che a quel punto la Grundnorm non sarebbe affatto Grund,
cio non sarebbe affatto fondamento, proprio perch sarebbe a sua volta conseguenza.

E non verrebbe comunque presupposta, bens (e necessariamente) posta; e ci chiaro


innesca nuovamente il regresso allinfinito.

2. Evitiamo il problema del ricorso alla delega autorizzativa; assumiamo un punto zero
che appunto il potere costituente, ma il costituente, per essere tale, non ha la sua
autorizzazione dalla Grundnorm, semmai questa che invece stabilita dal costituente.
Ma allora il fondamento dellordinamento non la Grundnorm, ma un fatto politico.
Ci che dovrebbe essere il fondamento ultimo non un fatto giuridico, di altra natura.
Come si potr dire che la validit ha un carattere unicamente giuridico, quando in ultimo
soggetta allevento politico costituente?

Il dialogo critico che Hart intrattiene con Kelsen essenziale.

Hart rileva le difficolt che la dottrina kelseniana della Grundnorm incontra: se valida,
non positiva; ma se non positiva, non giuridica; se invece positiva (e dunque
giuridica) non fondamentale.

E propone la sua soluzione: introdurre non gi una norma fondamentale, ma una norma
di riconoscimento. Questa sar una norma positiva, ma non dovr essere n valida, n
invalida.

Il problema della Grundnorm kelseniana, il suo essere extragiuridica, si pu superare,

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dice Hart, non assumendo un sistema di carattere assiomatico, ma verificando la
questione della accettazione.

Se ricordate, Hart era il pensatore che distingueva il punto di vista interno da quello
esterno (estremo o moderato); ebbene, quella distinzione ci torna utile oggi.

Hart non un riduzionista, non crede che il diritto debba essere ridotto unicamente ad
una catena di rapporti formali basata sullautorit che applica giuridicamente la sanzione
e che delega ad autorit inferiori; Hart pensa piuttosto che il diritto sia una pratica
sociale, cio largamente accettata.

Hart assume che la norma di riconoscimento non viene dichiarata: viene impiegata
concretamente attraverso il riconoscimento che di essa fanno gli operatori del diritto nel
momento in cui riconoscono che una norma giuridica; in un altro modo la riconoscono
i consociati, cio il corpo sociale diffuso.

La norma di riconoscimento il modo in cui i funzionari del diritto riconoscono la


presenza di una certa norma come giuridica, non sulla base di norme che rimandano ad
altre norme fino alla fantomatica ultima norma.

Hart di formazione un filosofo analitico del linguaggio: la sua questione non la


verit, ma la possibilit dimpiego in vista di un significato. E il significato significa
criterio.

Se una norma effettivamente impiegata, giuridica per il fatto che nellordinamento


e nellordinamento ha un senso perch svolge la sua funzione.

La norma di riconoscimento paragonata, in modo molto efficace, alla barra di un metro


conservata a Parigi.

Questo importante per chiarire la profonda differenza che c fra il problema della
verit e il problema del criterio.

Sulla base di quella barra, che convenzionalmente diciamo essere un metro, si ha una
unit di misura, un criterio, sul quale si misurano tutti i metri del sistema metrico
decimale.

Non rileva quanto effettivamente sia lunga la barra in questione; in natura non esiste il
metro, la sua funzione perci non pu certo essere la veridicit: interessa la funzionalit

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del diritto, cos come rileva la funzione duso della barra campione di un metro sulla
base della quale svolgiamo le nostre misurazioni.

Non solo luso dunque, ma il riconoscimento e la legittima aspettativa di comportamento


conforme come criterio.

Siamo di fronte ad una visione molto diversa del diritto rispetto a quella kelseniana: per
Hart il modo in cui una societ riconosce, accetta ed applica le regole che si d. La
norma di riconoscimento sotto questo aspetto simile alla consuetudine

La consuetudine norma nella quale validit (presenza in un dato sistema di relazioni)


ed effettivit (concreto e costante suo applicarsi) coincidono. Perci, la norma di
riconoscimento, sul piano contenutistico aperta, persino indeterminata.

SCHEMA:

Kelsen: neo-kantiano; il diritto struttura; riduzionismo; validit: esistenza specifica


delle norme; norma fondamentale: valida ma non positiva.

Hart: filosofo del linguaggio; importano le funzioni; molti tipi di norme; validit: la
norma un criterio valido se accettato; norma di riconoscimento, positiva, ma non
valida n invalida.

Perci la conclusione che matura Hart che un sistema di norme, per essere
autenticamente giuridico, deve essere efficace, ed efficace se accettato e se chi vive
in esso lo riconosce come sistema che fa da criterio per la sua condotta e da criterio
sullaspettativa di condotta da parte degli altri consociati. La chiave di volta per Hart il
punto di vista interno.

Hart dice che sarebbe privo di senso questionare sulla singola norma se non si
presupponesse lefficacia del sistema\ordinamento. Questo lo sfondo necessario entro
il quale ha senso discutere della validit della singola norma.

Bene, ma se ci si pone da un punto di vista esterno? Che succede?

Il giurista, il giudice, lo studioso della dottrina e cos via, non svolgono mai unopera
32
unicamente descrittiva: in quanto agiscono nel diritto e sul diritto, ciascuno per la sua
parte di responsabilit esercita una certa dose di prescrittivit.

Una sentenza inevitabilmente prescrittiva; lo una legge; lo persino un


pronunciamento di dottrina.

Lesclusione di una data fonte dal campo del diritto ha un carattere in primo luogo
normativo.

Qui dobbiamo fare attenzione alla distinzione fra punto di vista interno, ossia di chi
segue le norme, le considera criterio valido per la propria condotta e valido per aspettarsi
dagli altri consociati che le seguano a loro volta, e punto di vista esterno, ossia quello di
chi descrive un sistema nel suo complesso senza per questo necessariamente
condividerlo.

Per Hart, la norma di riconoscimento, lo ricordo, ha valore duso ed esso attiene al punto
di vista esterno. Del resto, a meno che non si voglia tornare nel regresso allinfinito si
deve porre una censura alla catena delle validit.

Detto altrimenti: siamo di fronte al problema della legge di Hume.

Essa sottolinea un atteggiamento mentale: dedurre da fatti, ossia da cose che si possono
descrivere dicendo che cosa sono, valori, ossia indicatori morali cui conseguono, sul
piano del diritto, comportamenti che si debbono prescrivere.

Questo processo stato chiamato fallacia naturalistica, ossia il compimento di un


ragionamento invalido che da premesse descrittive, ossia tali da individuare un mero
stato di cose, deducono una qualche ragione di carattere normativo rispetto al come
dovrebbero stare.

Scarpelli, un filosofo del diritto italiano del Novecento molto interessante, ne d una
descrizione particolarmente significativa (questa nel nostro non manuale la trovate nel
capitolo V).

Vi anticipo lesempio pi calzante.

Formule come il pesce grande mangia il piccolo poniamo che descrivano fedelmente
uno stato di cose, ci autorizzano a che cosa, precisamente? (Provate a tenere presente la
questione del punto di vista esterno ed interno). La fallacia naturalistica e la

33
corrispondente violazione della legge di Hume, quale sar?

Abbiamo detto che una indebita inferenza del dover essere a partire dalla costatazione
dellessere, della immotivata deduzione di una prescrizione dalla descrizione, del dovere
dal fatto, dunque la violazione sar la seguente:

a) poich il pesce grande mangia il pesce piccolo[id quod plerumque accidit];

b) dunque giusto[giudizio di valore] che il pesce grande mangi il piccolo;

c) il pesce grande ha diritto[prescrizione normativa] di mangiare il piccolo.

Il fatto che qualcosa accada non implica di per s che sia giusto che accada; giusto o
ingiusto un giudizio di valore, il quale esula dalla semplice constatazione che qualcosa
accade in un certo modo; se la cosa sta cos non c una inferenza logica che motivi che
sia da prescrivere quel modo di accadere: accade, punto.

Il punto di vista del filosofo del diritto analitico il rispetto della legge di Hume.

Torniamo ad Hart e alla questione del valore duso della norma di riconoscimento; e
quindi torniamo brevemente alle critiche che Hart muove alla Grundnorm di Kelsen.

Hart voleva evitare il regresso allinfinito; riteneva di esserci riuscito abbandonando


lidea kelseniana di un fondamento a priori della validit dellordinamento; ma
semplicemente rintracciando nel valore duso che si registra nella prassi del diritto.

Il criterio di riconoscimento una pratica che ha natura extraguridica, tant che la


norma di riconoscimento non valida n valida, positiva in quanto in uso e la sua
verifcabilit non nei passaggi da norma a norma, ma nel fatto che risulta essere
accettata come criterio.

Dicevamo che simile alla consuetudine, cio autoefficace; la sua validit non
allinterno delle norme, n nellordinamento inteso come ambito delle norme giuridiche.

Hart lo chiarisce espressamente: in quanto esiste esclusivamente se effettiva, pu essere


soltanto unaffermazione fattuale esterna.

come il metro campione: non pu stare allinterno del sistema metrico decimale;
perch? Perch a quel punto servirebbe un altro metro campione che desse ragione di
tutti i metri che stanno nellambito del sistema metrico decimale, ivi compreso il nostro
34
primo e quindi siamo al regresso.

Se ogni norma la presuppone per il fatto semplice di stare nellordinamento, non una
prescrizione, ma un fatto.

Hart dice dunque due cose mi discosto dal non manuale:

1. una norma pu essere valida o invalida in ragione dellordinamento; ma


lordinamento valido se efficace, cio se al suo interno una societ gioca secondo
quelle regole e seguendo quelle regole;

2. lefficacia dellordinamento lo sfondo concettuale su cui si innesta la questione della


validit delle norme, ma Hart non dice che ne precondizione logica, piuttosto dice che
ozioso o inutile porre in questione il requisito dellefficacia alla maniera di Kelsen che
come abbiamo visto in ultimo non regge.

Bene. Vediamo come replica Uberto Scarpelli a questa posizione.

Scarpelli accetta il presupposto di Hart per il quale la norma fondamentale che in


questo caso una norma di riconoscimento intesa come regola duso per essere criterio
di validit non deve condividere le caratteristiche formali delle norme che su di essa
modellano la loro validit.

Scarpelli opera la seguente (importantissima) distinzione: per evitare confusioni,


meglio che il filosofo e teorico del diritto restringa luso del concetto di validit
allinterno del sistema di diritto positivo ed impieghi, trattando della fondazione
metasistematica del principio fondamentale del sistema, un termine diverso. La
tradizione ci offre il termine legittimit.

Ma una cosa ammettere la necessit di una legittimazione extragiuridica di un sistema


di norme valide, altro assumere le norme del sistema a guida dei comportamenti e a
criterio per giudicare.

Scarpelli prosegue: Ma se laffermazione delleffettivit di un sistema di diritto positivo


legata al punto di vista esterno e sta sul piano del discorso fattuale, mentre il principio
fondamentale di un sistema di diritto positivo considerato dal punto di vista interno sta
sul piano del discorso normativo, allora tra laffermazione delleffettivit di un sistema
di diritto positivo e laccettazione dal punto di vista interno del principio del sistema c
un salto, una frattura.
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Dal fatto di aver constato che c una regola di riconoscimento della validit delle norme
(punto di vista esterno), non segue per nulla che quanto si costato funga da criterio per
il punto di vista interno che lo si debba necessariamente seguire, eleggendolo a criterio
della propria condotta e di aspettativa di reciprocit dei consociati.

Lassunzione del fatto che un certo sistema legittimato da una certa pratica la cui
efficacia si constata per il fatto che i giudici vi ricorrono, non implica che i consociati
decidano di eleggere le norme che traggano validit da quella pratica a criterio di
giudizio: il fatto che accade, non significa che sia giusto che accada, n che sia prescritto
che accada in quel modo anzich in un altro.

Il problema nella scelta che il positivismo giuridico opera di nascondere il carattere di


scelta politica che avviene nellaccettazione delle norme e nella loro elevazione a
criterio di giudizio.

Non un criterio di giudizio sulla base del singolo individuo, ma al contempo la fondata
aspettativa che lo stesso criterio valga per gli altri consociati. Da un fatto non segue il
diritto.
La giuridicit di un sistema non pu fondarsi sulla effettivit: il fatto che qualcosa accada
non implica alcuna prescrizione, ma solo descrittivamente si pu dire che accade.
Per fondare in modo teoreticamente coerente e praticamente efficace un sistema di diritto,
dobbiamo riuscire a far interagire in modo positivo fatti e norme.
Dobbiamo cio tenere insieme validit ed effettivit della norma e quindi legittimit ed
efficacia dellordinamento.
Sia pure lasciandolo sullo sfondo del funzionamento di un sistema giuridico, il problema
dei fini che una teoria e una pratica del diritto si pongono nello svolgimento della loro
vicenda, sussiste.

I positivismi giuridici pi radicali hanno il difetto di oscurare quel dato.


Abbiamo esaminato due esempi molto influenti di filosofie positivistiche del
diritto: la dottrina pura di Kelsen e il concetto del diritto come effettivit di
riconoscimento di Hart.
Kelsen non riesce a fondare la validit ultima dellordinamento sulla Grundnorm
perch la Grundnorm non si pone da s: esige un costituente che la legittima a regolare
la coazione, ma il costituente, per il fatto di porre in essere la norma fondamentale,
agisce al di fuori di essa, ma allora non un processo giuridico.

36
E per, se diritto solo il diritto posto, tesi centrale di Kelsen, il costituente un
fatto extra-giuridico e quindi lordinamento ha una origine extragiuridica, col risultato
paradossale che o fondamento, e per sta fuori dal diritto, o sta nel diritto, ma allora
non fondamento.
Hart, teorico principe del criterio delleffettivit quale fondamento ultimo di un
ordinamento, non incorre nel problema devastante del regresso allinfinito, perch Hart
intenderebbe fondare il concetto stesso del diritto sul darsi del diritto.
Invece, leffettivit non pu da s fondare il diritto perch il fatto del darsi del
diritto non giustifica per nulla il darsi di quel diritto.
una violazione della legge di Hume pretendere che il fatto fondi il diritto: il
fatto si descrive, il diritto si osserva;
Se da un punto di vista interno si accettano determinate norme, questo non implica
che si debbano accettare.
Nello svolgimento del nostro ragionamento dovremmo poter introdurre una
premessa prescrittiva, oltre ai dati descrittivi.
La questione della premessa prescrittiva assai notevole.
Ci che abbiamo fatto fino ad ora, seguendo il nostro non manuale, stato
muovere dal basso: dalla singola norma, verso lordinamento nel caso Kelsen, o
dallosservazione a vocazione sociologica nel caso Hart.
Proviamo dunque a compiere il processo inverso, ossia dirigerci un po pi in alto
in direzione di strutture di fondazione del diritto.
Continuiamo a tenere presente lesperienza della pratica giuridica cio quello che
i giuristi fanno quando prendono parte al gioco del diritto; non fanno gli spettatori. Il
loro punto di vista, per stare alle strutture concettuali di Hart, non pu essere un punto di
vista esterno.
Tracciare il confine fra diritto e altro dal diritto (pratica sociale, materia di scelta
individuale e cos via) frutto di una scelta che consegue ad una operazione di
chiarimento concettuale.

La filosofia analitica, che abbiamo assunto a metodologia di discussione per il nostro


corso, dedica molta attenzione al concetto di definizione in generale.
Esiste una concezione che si definisce come realistica ed una che si definisce
come nominalistica.

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Una visione realistica si modella sulla assunzione concettuale di uno stato di cose
rispetto ad un oggetto, che intenderebbe descrivere nella definizione e pretenderebbe
anche di dirci quale sia la forma tipica, la sua essenza, di quel determinato oggetto.
Prendiamo la domanda: che cos il diritto.
Lopzione realistica tenderebbe a tradurre cos quella domanda: che cos,
veramente, il diritto?, oppure qual lessenza immutabile di ci che diritto?.
Assumendo invece lopzione nominalistica, la domanda va tradotta cos: che
cosa intendiamo dire, quando diciamo diritto?
La differenza molto consistente.
La concezione realistica della definizione implica perci un criterio di correttezza
della definizione, che va al di l della definizione stessa, ma si dovrebbe radicare nella
forma essenziale del qualcosa che si definisce.
Nellambito del pensiero analitico il problema centrale quello del linguaggio.
Per il nominalismo le definizioni non sono n vere, n false; semplicemente
stabiliscono regole duso dei termini.
Qual la differenza pi notevole fra i due punti di vista?
Lopzione realista passa dalla cosa al termine che intende definire quella cosa;
lopzione nominalistica assume un termine e si propone di compiere una chiarificazione
concettuale di quel termine, dei suoi modi duso.
Lopzione nominalistica non ha la pretesa di dire la verit, ma quella di
chiarificare quanto pi possibile i modi duso e le regole linguistiche che impieghiamo
nel parlare; lopzione realistica per sua natura tira in ballo il problema del valore di
verit.
Le regole linguistiche possono essere violate o non violate, ma non possono in s
considerate essere vere o false. Il linguaggio non il calco perfetto di una realt, una
convenzione che impieghiamo e questo non esclude che potremmo impiegarne unaltra,
a patto che ci mettiamo daccordo.
Le definizioni vanno allora giustificate, vanno argomentate. La preferibilit di una
definizione, rispetto ad altre possibili, dipende dai vantaggi che ci porta in termini di
chiarificazione concettuale. La domanda allora se ci sono utili, se realizzano
determinati scopi che ci siamo posti.
Sul piano dialettico se non c accordo almeno su questioni essenziali di
definizione e di sintassi argomentativa, la discussione diventa del tutto impossibile.
Dunque, abbiamo maturato alcune conclusioni (provvisorie): una di queste,
raggiunta anche attraverso la discussione delle tesi di Kelsen e di quelle di Hart, che un

38
ordinamento giuridico non e non pu essere solamente una serie di norme che stanno
nellordinamento; la selezione delle fonti del diritto una attivit metagiuridica e
occorrono dei criteri: questi sono scelte che hanno a che fare con visioni del diritto.

Capitolo 5

Esiste una classificazione delle teorie del diritto abbastanza canonica, che
qualifica le visioni del diritto nel Novecento in tre grandi filoni, che hanno chiaramente
numerose differenziazioni interne. Esse sono:
- giusnaturalismo;
- positivismo giuridico;
- realismo giuridico.
Discutendo di normativismo e istituzionalismo, in una fase iniziale del nostro
percorso, poi passando per Kelsen ed Hart, abbiamo maneggiato due concetti giuridici
fondamentali: validit ed efficacia.
Abbiamo visto che la validit coincide con la presenza di una determinata norma
in un ordinamento. Quindi per stabilire la validit di una norma dovremmo poter risalire
alla genesi della norma allinterno di un ordinamento, ossia se la legge in questione
stata prodotta da un organo a ci deputato, in modo conforme a procedure previste, se
non stata abrogata e se non stata giudicata difforme rispetto ad altre leggi di rango
superiore.
Abbiamo poi tentato di guardare la cosa dal punto di vista del criterio
delleffettivit, ossia dellefficacia di una legge. Questo significa che la legge in
generale rispettata dai consociati, applicata dai tribunali e dunque, in caso di violazione,
la norma secondaria ottiene concreti effetti, cio la sanzione applicata.
Per giusta o ingiusta a proposito di una norma dobbiamo intendere se traduca
o meno principi superiori al suo semplice porsi.

Nellevoluzione del diritto il tema/criterio della giustizia non solo esistito, ma


stato legittimamente assunto.
Daltro canto, se la percezione di ingiustizia, a proposito di una legge o anche di
un intero ordinamento, diventasse prevalente, inevitabilmente sorgerebbero numerosi
problemi fino al rovesciamento dellordinamento intero. Lordinamento non pu non
porsi questo problema.

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Il punto come ciascuna delle tre grandi visioni (positivismo giuridico, realismo
giuridico e giusnaturalismo) considerano i rapporti fra questi tre criteri: validit,
efficacia, giustizia.
Prendiamo lo schema che propone Luzzati:
- il giusnaturalismo la teoria del diritto che riduce la validit alla giustizia;
- il realismo giuridico la teoria del diritto che riduce la validit allefficacia;
- il positivismo giuridico (dice Luzzati) quella teoria del diritto secondo la
quale validit, efficacia, giustizia sono criteri di valutazioni indipendenti e irriducibili
luno allaltro.
Il giusnaturalismo concepisce il diritto come strumento di realizzazione della
giustizia: assumere il criterio della giustizia come prevalente significa che una norma
non pu avere validit giuridica e cio essere inserita in un ordinamento, se non anche
giusta.
bene dire che il giusnaturalismo non nega in alcun modo il momento positivo
del diritto: non dice che non debbano esistere leggi che si fanno rispettare anche
attraverso un uso della forza; dice che il diritto conosce due piani, luno sopraelevato
allaltro.
Il diritto positivo deve essere sotto-ordinato ad un piano di giustizia ideale, che
quindi viene ad essere il momento centrale dellesperienza giuridica.
Questo non significa che ogni singola ingiustizia, distorsione rispetto al criterio di
giustizia, rappresenti un diritto invalido e quindi un non diritto; dice che il piano al quale
il diritto deve tendere la realizzazione dellideale della giustizia.
Chiaramente questo implica la difficolt di tracciare un confine da ingiustizia per
cos dire disfunzionale a ingiustizia completa.
Il punto problematico che emerge che come esistono diverse visioni del diritto,
esistono diverse visioni della giustizia.
Nessuno accetterebbe un diritto ingiusto, ma i concetti di giustizia sono stati
differenti nel corso delle epoche e sono differenti presso diverse culture.
Dal punto di vista del realismo giuridico, lunico diritto efficace quello che
esiste in via di fatto, che rispettato dai cittadini e che applicato dagli operatori del
diritto, in primo luogo nei tribunali.
Il problema che si pongono i sostenitori per cos dire puri del realismo giuridico
la circoscrizione, lisolamento in qualche modo, della natura extra-giuridica dei concetti
normativi in generale, che dovrebbero perci, stando a questa tesi, essere espulsi dalla
scienza del diritto. Lunico legittimo campo di indagine ci che accade nel diritto.

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Karl Olivecrona, esponente fra i pi significativi della corrente realista, sottolinea
lattitudine allobbedienza, intesa sostanzialmente come fatto emotivo. Non si limita a
qualificare la tensione allobbedienza alle leggi come fatto psicologico, ma fa un passo
ulteriore.
Gli istituti essenziali del linguaggio giuridico, norma, validit, efficacia,
avrebbero una natura fondamentalmente emotiva, addirittura mistica. Che ruolo
svolgerebbero attraverso questo loro carattere riconducibile alla sfera di questo
misticismo?
Coprono i rapporti di potere, relazioni rette dalla dominazione da un lato e dalla
sottomissione o soggezione dallaltro; perci le norme secondo questa interpretazione
non possono in alcun modo essere strumento della scienza giuridica, ma sono strumenti
di una ideologia.
Capiamoci. Il realista non si limita ad affermare che le regole anche
nellapplicarsi delle leggi non sono sempre univoche, n si limita a denunciare che
qualunque esercizio di interpretazione o di giudizio implichi una certa soglia di
discrezionalit e neppure chiude la sua analisi col rilevare che, poich nelle societ
complesse comunque esistono dei rapporti di forza, nelluso della discrezionalit la
decisione pender a vantaggio del pi forte.

Dice che lo stesso linguaggio giuridico strutturato per occultare gli effettivi processi
decisionali che non solo terrebbero conto dei rapporti di forza, ma sarebbero ideati col
fine di renderli immobili. Quindi asserisce che il linguaggio dei concetti giuridici
(norma, dovere, efficacia e cos via) in s preso sarebbe un non senso.
Lintera pratica sociale del diritto sarebbe sostenuta da questa sorta di inganno. Il
diritto si nutre di costruzioni mistificatorie, che occultano la realt.
Parliamo adesso di positivismo giuridico.
Il positivismo ambisce a tenere le cose distinte; la validit non fatta dipendere in
alcun modo dalla visione della giustizia e allo stesso tempo ritiene che non si possa far
dipendere dalla efficacia.
Ci che a questo punto importante osservare che il positivista, rispetto alla
questione dei tre criteri che abbiamo considerato in precedenza, applica una distinzione
di piano.
Quanto alla giustizia, non si pu far corrispondere una qualche natura oggettiva.
Le idee di giustizia non solo cambiano nel corso della storia e da cultura a cultura

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(pensate allEuropa e allIndia, solo per fare un esempio banale), ma cambiano,
allinterno dello stesso quadro culturale, da individuo a individuo.
Il carattere della giustizia perci, dal punto di vista del positivista, del tutto
soggettivo.
La validit, invece, ha un carattere intersoggettivo. Questo significa che permane
una convergenza di diversi individui intorno allindividuazione di quali siano le norme
valide.
Lefficacia invece un valore o criterio oggettivo. Questo perch accertabile in
via di fatto.
Herbert Hart, col quale abbiamo gi fatto conoscenza, tenta una classificazione,
isolando cinque significati che si potrebbero far ricadere nellinsieme positivismo
giuridico.
Assume quali tesi qualificanti il giuspositivismo, che:
a) le leggi sono comandi provenienti da esseri umani;
b) non si d connessione necessaria fra diritto e morale, fra essere e dover essere,
fra ontico e deontico;
c) lo studio dei concetti giuridici fondamentali un valido e concluso oggetto di
ricerca; per valido e concluso dobbiamo assumere che il diritto va studiato in modo
separato dalla storia, in modo separato da considerazioni di carattere sociologico, sulla
morale abbiamo gi detto, o da altro tipo di possibili valutazioni;
d) il sistema giuridico un sistema chiuso retto da rapporti logici interni univoci
(si pu dunque sillogizzare);
e) i giudizi morali non possono essere validamente difesi a partire da premesse
oggettive, premesse necessariamente vere.
Assumere quale prerogativa essenziale del diritto la coattivit intesa come
esecuzione di un comando, identificare questo come tratto differenziale del diritto
rispetto a tutto il resto delle possibili esperienze relazionali umane, in definitiva pi
propriamente classificabile come imperativismo.
un tratto che molti positivisti hanno valorizzato (abbiamo visto Kelsen, che
considera il diritto come luogo della coazione a partire da umana volont disciplinata
dallordinamento), ma questo non ci autorizza a dire che ci che non risolvesse il diritto
nella coazione non sarebbe diritto, dal punto di vista del positivismo giuridico.
Diverso sarebbe dire che tutto il diritto diritto posto, ma questo in effetti non ci
autorizzerebbe a dire che tutto il diritto posto per ci stesso diritto coattivo.

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Lo stesso Hart in definitiva un pensatore che, bench eclettico, inclina
notevolmente verso il positivismo giuridico, ma non per questo lesina critiche al
concetto di coattivit come differenziale definitorio del diritto.
Viceversa, che il diritto come diritto sia una creazione delluomo a carattere
storico, ossia per nulla denotato da aperture a concetti come eternit o universalit una
tesi tipicamente e generalmente positivista, ma non ci dice, che il diritto solo coattivit;
ci dice che il diritto vive nella specificit di epoche e contesti.
Il punto d) - il sistema giuridico un sistema chiuso retto da rapporti logici interni
univoci - ampiamente confutato dal passare del tempo.
Il sillogismo giudiziario di cui dice Beccaria appunto un tratto illuministico, una
costatazione fattuale che limmediatezza sillogistica non appartiene al diritto che un
ambito in cui linterpretazione ha grandissima parte in causa.
Quanto al punto c) - lo studio dei concetti giuridici fondamentali un valido e
concluso oggetto di ricerca -: detto cos semplicemente assume la possibilit di studiare
il diritto come diritto, il che in generale possibile, sia pure a prezzo di consistenti
limitazioni, ma resta da decidere perch mai si dovrebbero accettare simili limitazioni.
Comunque, quando abbiamo affrontato il problema della Grundnorm in Kelsen,
almeno in diverse critiche come ad esempio quella sul regresso allinfinito, o anche nel
caso di Hart, in particolare circa la critica al passaggio indebito, se assumiamo la legge
di Hume come quadro di orientamento fra punto di vista interno e punto di vista esterno,
in definitiva abbiamo fatto questo.
Il punto 2 diceva che non si d connessione necessaria fra diritto e morale, fra
essere e dover essere, fra ontico e deontico; il punto 5 diceva che i giudizi morali non
possono essere validamente difesi a partire da premesse oggettive.
Il punto allora il rapporto fra ambito morale e ambito giuridico.

La preoccupazione principale della gran parte dei teorici giuspositivisti stata


separare diritto da morale per garantire quanto pi possibile chiarezza e certezza del
diritto.
Per andare avanti dovremmo fare un piccolo passo indietro e riprendere Hart sul
problema della impossibilit di arrivare ad un concetto soddisfacente di validit a partire
della singola norma e quindi spostare il discorso sulla legittimit o illegittimit
dellordinamento, entro il quale ciascuna norma necessariamente trova la sua sede.
Questo passaggio implicava un transito da punto di vista interno a punto di vista
esterno.

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Infatti, se consideriamo, come fa Hart, che le norme non solo sono tali se
effettivamente applicate, ma anche se esse sono ragionevolmente osservate quale criterio
di giudizio della altrui condotta, costatiamo un passaggio dal piano della coazione a
quello della persuasione, dallobbligo alla convinzione.
Del resto se i consociati non rispettano una norma, diviene difficile osservarla, ma
soprattutto, il fatto che le cose vadano in un certo modo, non implica per nulla che non
potrebbero andare diversamente: il diritto non si constata, un valore in s.
Non solo, ma nel caso in cui una norma venisse largamente disattesa, da un punto
di vista unicamente osservativo, diventa impossibile qualificarla come norma.
Del resto: possibile decidere come applicare una data norma e addirittura quale
norma debba essere applicata in modo del tutto ed esclusivamente avalutativo?
Prendiamo il punto di vista di chi incondizionatamente risponde s; il diritto pu
essere studiato ed applicato senza alcun condizionamento n da parte di ambiti esterni
(politica, morale, economia ecc.) n da parte di preferenze o prese di posizione di chi lo
studia e lo applica.
Latteggiamento che ha assunto come necessario escludere qualunque soglia di
discrezionalit interpretativa nel connettere norme nellordinamento e fatti e azioni a
norme e ordinamento, si chiama formalismo giuridico.
Si tratta di escludere il punto di vista personale.
Sono altri gli elementi che nel dritto debbono rilevare, secondo il modo di vedere
del formalismo.
Quindi: da un lato sta il valore della scrittura delle legge come fatto
incontestabile; dallaltro lattenersi in maniera pedissequa allatto autoritativo (cos si
deciso e cos si fa).
Caso tipico di atteggiamento formalistico laccettazione dellirrilevanza dal
punto di vista legale di fattori esterni al fatto giuridico.
La presenza di termini determina una controllabilit, una possibilit di verifica e
quindi una soglia di difesa per il semplice cittadino rispetto a possibili abusi.
Questo un fatto importante, che attiene al problema della certezza del diritto.
Uno dei punti di caduta di questa opzione consiste nel fatto di assumere gli
elementi del diritto come se fossero oggetti, che si possono contare, pesare, misurare,
attraverso criteri unicamente quantitativi.
Emerge il problema del terzo criterio: la giustizia. necessario che assumere il
problema della giustizia ci collochi immediatamente in un campo giusnaturalistico,

44
mentre escluderlo ci porta automaticamente in campo giuspositivistico? Probabilmente
no.
Il giusnaturalismo assume la possibilit di conoscere in modo incontrovertibile
lessenza del valori morali.
Bene. Se prendete la Politica di Aristotele, uno dei massimi pensatori
dellantichit, vi troverete scritto che il comando del maschio sulla femmina e del libero
sullo schiavo non un fatto istituzionale, che cos, ma potrebbe essere altrimenti, vi
trovate scritto che un fatto del tutto naturale e che modificarlo sarebbe un atto contro
natura.
Questo per dire che, storicamente, cambia il concetto di natura e, cambiando il
concetto di natura, cambia il modo di interpretare ci che sarebbe o non sarebbe natura.
Non solo: c la questione della legge di Hume, che incombe su questo discorso.
Pur nella loro differenza, le concezioni che attribuiscono valore normativo ai
presunti fatti naturali, convengono su un punto: le tesi che affermano sono presentate
non come corrette, ma come esprimenti una verit e solo per questo corrette, congruenti
e cos via.
Si presenta qui la cos detta grande divisione fra il regno dellessere e quello del
dover essere, che concerne limpossibilit di trarre precetti di comportamento dalla mera
costatazione di ci che accade.
Il fatto che qualcosa accada in dato modo non significa che debba per forza
accadere sempre in quel modo quindi non si pu dedurre da eventuali leggi di natura,
leggi da applicare nel mondo umano. Non possibile, muovendo da premesse
descrittive, dedurre enunciati prescrittivi.
In definitiva, il fatto che non tutte le norme giuridiche siano in senso stretto
coattive, non implica certo che in generale non lo siano, losservazione fattuale non
basta.
Si prenda la seguente deduzioni: quelle norme sono valide, perch appartengono
ad un ordinamento effettivo.
Che significa che quelle norme sono valide perch appartengono ad un
ordinamento effettivo?
Significa che sono state prodotte secondo procedure corrette in ragione di
metanorme che ne disciplinano la produzione e che a produrle stato un organo a ci
deputato, in ragione di metanorme che assegnano poteri secondo procedure disciplinate.
Se il piano rimane quello della validit intesa in questi termini, che cosa ci obbliga
a non trasgredire la norma?

45
Il fatto che la norma sia valida non vincola moralmente ad obbedire alla norma.
Nel momento stesso in cui essa assunta come un elemento fattuale (
nellordinamento, assistita da sanzione) non ci consente di dedurre allora mi sento
vincolato a non trasgredirla.
In che termini possibile un approccio avalutativo al problema del diritto?
Il positivismo metodologico, di cui Bobbio un interprete, assume proprio questa
necessit: il diritto va osservato come un fatto oggettivo e quindi praticando una radicale
astensione da ogni presa di posizione rispetto alla realt osservata.
Anzitutto, abbiamo visto che cosa accadeva con Kelsen e la Grundnorm:
lordinamento d forma alla validit delle norme, ma non ne conseguenza. Il
fondamento di un determinato ordinamento in ultimo extra-giuridico ed attiene ad una
scelta, ma questa scelta non ha una natura giuridica in senso stretto, assumendo la cosa
dal punto di vista di un giuspositivista: il potere costituente di kelsen non pu essere il
prodotto di metanorme che si danno in quanto tali nel perimetro della Grundnorm:
questa ne piuttosto conseguenza.
Ma se cos che fine fa lelenco tassativo delle fonti?
Schmitt sostiene che il diritto il frutto di un decidere.
Il giurista, se fa il giurista, non pu solo descrivere.
E per, stante il problema che abbiamo individuato a proposito della Grundnorm
kelseniana non pu pensare di spingersi sempre pi in alto, perch per spingersi in alto,
si deve piantare sempre un altro chiodo, ma il diritto non ha una fine, se considerato
come oggetto di una catena deduttiva.
O ammettiamo che la fondazione extra-giuridica, ma allora loggetto fondativo
del diritto non pu essere studiato dalla scienza del diritto; oppure rinunciamo al mito
della incontrovertibilit deduttiva del diritto.
Il tassello mancante o non c, o se c, sta fuori.
E allora la domanda : che fine il concetto di avalutativit del diritto? Al quale
moltissimi positivisti, pi in passato che oggi, occorre dire, sono cos affezionati?
Riprendiamo Bobbio e la tripartizione delle possibili declinazioni di positivismo
giuridico.
1. Il positivismo giuridico un metodo, un modo di approcciare lo studio e la
pratica del diritto attraverso criteri scientifici. in questa accezione []
positivista colui che assume di fronte al diritto un atteggiamento avalutativo, o
oggettivo, o eticamente neutrale.

46
Si pu dare scienza unicamente in presenza di elementi oggettivi. Detto in altro modo: il
diritto qual , non il diritto quale vorremmo che fosse.
Il positivismo giuridico, nella declinazione che qui assume Bobbio, implica la
necessit di escludere la legittimazione etica come prerogativa del diritto: la validit il
requisito essenziale che il diritto deve esibire, il problema della sua giustizia sarebbe
allora un problema non giuridico.
2. La seconda delle posizioni, ossia il positivismo come teoria del diritto,
lassunzione delle fonti giuridiche come le uniche che abbiano rilievo nella
scienza del diritto.

Bobbio, coerentemente, riconosce come prerogativa essenziale di questo orientamento


lassunzione della tesi della statualit del dritto. La supremazia della legge come fonte si
rivolge essenzialmente allesclusione non solo delle consuetudini, ma allo stesso modo
di tutti gli altri fattori che esulino dal processo di normazione retto da un uso della forza
disciplinato da norme: il diritto per esempio internazionale era da molti considerato
diritto unicamente per analogia.
3. il positivismo come ideologia giuridica: questo atteggiamento assume che, stante
che lunico diritto il diritto posto, essendo il criterio della validit, per
conseguenza, quello determinante, ed essendo lefficacia una condizione derivata
della validit correttamente intesa (da un punto di vista giuspositivistico) ne
deriva che la legge esige lobbedienza.

Poich la legge listituto che disciplina luso della forza da parte di chi ne detiene il
monopolio, essa incarna per ci stesso un fine desiderabile (lalternativa sarebbe infatti
luso indisciplinato e totalmente arbitrario della forza); dunque bene e giusto obbedire
alla legge.
Ecco il carattere ideologico: lelevazione a valore morale in s della sottomissione alla
coattivit.
Il criterio della giustizia, come vedete, contemplato, ma esso qui assume
semplicemente le mutate spoglie di un altro concetto: la validit.
Lindividuo chiamato a devolvere la sua volont interamente alla legge, a
mettere s stesso a completa disposizione dello Stato.
Secondo la tesi di Bobbio non in alcun modo necessario che si presentino tutte e
tre le tensioni affinch si possa dire di essere in presenza di un positivismo giuridico.
Pu ben essere che ve ne siano solo due, o al limite una sola.

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Si legge tra le righe che Bobbio incline a valorizzare e ad aderire al punto di
vista metodologico.
Per essere autenticamente scientifico, lo studio del diritto dovrebbe assumere il
suo oggetto come un fatto empirico, come un campo verificabile. Il diritto andrebbe cio
studiato come un fatto. E per si va incontro al problema del passaggio da punto di vista
esterno, a punto di vista interno.
Una cosa descrivere il diritto; altra cosa dedurre conseguenze prescrittive dal
mero fatto.
Se ci limitiamo ad asserire che la scienza del diritto descrizione, come facciamo
a giustificare la coazione?
Se sommiamo il primo criterio, ossia la pretesa di avalutativit, al terzo criterio (visto
che non necessario che ci siano tutti e tre, teoricamente possibile che sussistano
unicamente questi due) come va finire? Cio: atteggiamento avalutativo da un lato, e
riconoscimento di valore intrinseco alle norme in quanto sono norme poste, quali esiti
potrei ottenere?
E poi: stanti le considerazioni che abbiamo svolto su Kelsen e Hart, che senso ha
dire che il diritto un fatto e che quindi implica necessariamente, per essere studiato
scientificamente, assumerlo in modo avalutativo?
Prendiamo il positivismo metodologico, la cui tesi essenziale che la validit
coincide con la presenza di una norma in un dato ordinamento, lasciando fuori
qualunque tipo di scelta di valore o di presa di posizione.
Presa nella sua radicalit, questa impostazione asserisce che la validit di una
norma va semplicemente verificata in modo empirico: in un ordinamento, essendo
stata prodotta in ragione di metanorme a loro volta valide? La norma valida.
Un realista, come Alf Ross, nel momento in cui tenta di definire i connotati
costitutivi di un ordinamento giuridico e della validit delle norme che in quel
determinato ordinamento trovano collocazione, costretto dalla stessa sua impostazione
generale ad affermare che diritto ci che empiricamente verificabile come presente in
un dato ordinamento. Le norme valide sono quelle che stanno in un ordinamento
essendo state prodotte nel modo che lordinamento prescrive.
Resta fuori il concetto di obbligo morale di obbedire alla legge;
In ossequio alle assunzioni tipiche della grande divisione, come viene chiamata,
Ross non deduce affatto che dalla validit si possa far derivare implicazione di obbligo
di osservanza.

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La validit delle norme non implica alcun vincolo di ordine morale. Dalla valida
presenza di una norma in un dato ordinamento non discende alcun obbligo di adesione,
n di elevare le norme a criterio di giudizio per il mio comportamento n tanto meno per
il comportamento altrui.
Questo vuol dire che non debbo essere obbligato ad aderire moralmente alle
norme e quindi posso criticarle senza alcuna preoccupazione, ma anche che, pure in
presenza di sanzione, debbo sentirmi libero di poter violare le norme, purch sia
disposto ad affrontare le conseguenze del mio gesto.
Una cosa il fatto che la violazione implica la sanzione, altra cosa il fatto che,
poich la violazione implica la sanzione, allora debbo astenermi dalla violazione.
Il positivismo qui si scinde dal legalismo e dallimperativismo, e guadagna uno
statuto filosofico pi maturo.
Bene. Ma come la mettiamo col problema del punto di vista interno e punto di
vista esterno? Rispunta, non essendo mai tramontata, la questione del ruolo del giurista.
Egli non spettatore del fatto giuridico; attore del fatto giuridico perch attribuisce
significati al linguaggio giuridico.
Se stiamo a quanto abbiamo stabilito a proposito del carattere nominalistico delle
definizioni, ossia al fatto che una definizione, in campo giuridico, non una presa datto,
ma unattribuzione di significato in riferimento ad un uso linguistico, il presupposto
empiristico di prendere le leggi come fatti viene meno.
Le leggi non sono fatti, le leggi hanno un carattere prescrittivo, anche quelle che
pur non implicando alcuna sanzione.
Se non si pu uscire dal linguaggio, allora il linguaggio il nostro campo dazione; ma il
linguaggio ha un carattere convenzionale, cio implica inevitabilmente una presa di
posizione e non una presa datto.
Chi si occupa di diritto prende posizione; e chi prende posizione, e dunque
non si limita a prendere atto, si compromette inevitabilmente col problema dei valori.
Se non si sorteggiano i significati si deve ammettere che nel nostro attribuire
significato alle parole e senso ai contesti mettiamo in un modo o nellaltro ci in cui
crediamo.
Il fatto che poi non possiamo pretendere di attribuire un valore oggettivo alle
nostre posizioni in termini di valore, non significa che non possano avere un valore
ulteriore a quello unicamente morale per me.

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Il linguaggio frutto di una cooperazione spontanea, ma una cooperazione
finalizzata a qualcosa e quindi si cerca inevitabilmente una concordanza nel parlare
affinch non solo ci si possa far capire, ma ci si possa far capire al meglio.
Se non c una soluzione oggettiva, possibile comunque che si dia una soluzione
intersoggettiva.
Si pone il problema della possibilit di esercitare un controllo intersoggettivo sul
diritto.
Vediamo che cosa vuol dire.
Mettiamo di fronte a noi due possibili alternative: le norme vanno obbedite perch
implicano la realizzazione di un valore oggettivamente superiore (tesi grossolanamente
giusnaturalistica); e le norme vanno obbedite perch sono leggi (tesi grossolanamente
giuspositivistica).
In maniera molto nucleare, questa posizione dilemmatica presentata in uno dei
dialoghi giovanili di Platone, lEutifrone.
Si tratta di una forma tipica di dilemma (assunzione di una alternativa a carattere
dicotomico) per cui si pone una questione secondo due alternative e si assume di
conservarne una sola.
Teoricamente i corni del dilemma che ho presentato (la legge incarna un valore
superiore e quindi esige la nostra obbedienza; la legge espressione di un comando a
carattere coattivo, quindi esige la nostra obbedienza) potrebbero pure coesistere.
In linea di principio potrebbe darsi il caso che la legge incarni un valore
eticamente sommitario e per questo assunta come legge; per non possiamo sfuggire
allanacronismo che questa posizione implica.
Quindi alla legge si obbedisce perch intrinsecamente giusta o perch lautorit
legittima lha emanata?
Sinteticamente, questo dilemma fra volont e ragione, la volont impersonata
dalla autorit sovrana che d leggi, la ragione dalle nostre pi profonde convinzioni
etiche.
Dobbiamo obbedire ad ogni legge in quanto auctoritas, non veritas facit legem;
oppure dovremmo considerarci vincolati unicamente al nostro sentimento morale e
quindi obbedire solo a ci che riteniamo giusto?
una alternativa classica, vi riconoscerete i connotati di giusnaturalismo la
validit da ridursi alla giustizia e giuspositivismo inteso come legalismo e
imperativismo, la validit un fatto empirico e non pu esservi validit senza efficacia.
Tuttavia, siamo proprio certi che questo sia un dilemma in senso proprio?

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La terza possibilit che vi ho presentato dal punto di vista logico potrebbe stare in
piedi. Cos come possibile che esista una legge giusta e al contempo imperativa, ci pu
essere la possibilit che una legge non assuma una sola visione della giustizia, ma non
per questo non realizzi alcun valore nel suo porsi e nel suo essere legittimamente
emanata.
impossibile parlare di diritto in assenza di pluralit, per il fatto evidente che il
diritto una certa forma di relazione umana.
Per immaginare la possibilit di un diritto, un quadro intersoggettivo nel quale vi
sia una autorit legittimata a decidere in modo vincolante.
E per, affinch questo possa originarsi, necessaria una convergenza.
Questo non vuol dire che si deve convergere sul contenuto dei valori, ma si deve
poter convergere sul fatto che chi decide, lo faccia in modo quanto pi possibile
controllabile in modo intersoggettivo e questo vuol dire che debbo poter sapere, con una
soglia ragionevole di previsione, come decider.
Vuol dire che vi la presenza di un diritto tendenzialmente certo, che sia garante
di ciascun consociato e quindi abbia un grado di controllabilit e prevedibilit che
permetta la convivenza.
Questo ce lo garantisce solo il formalismo, ossia un insieme ti tecniche, di saperi,
che si applicano allinterpretazione delle leggi e che sia una soglia di reciproca garanzia
nei rapporti dei consociati fra loro e di questi nei confronti dellautorit.
Questo coincide con un passo indietro da parte della morale.
Ma questa adesione allordinamento non un fatto, una scelta. E non una
scelta neutra, una scelta morale.
Il giurista, ma anche il semplice consociato fa una scelta: quella di fare un passo
indietro di fronte ad un interesse comune, ossia che vi siano delle leggi che permettano
la convivenza.
Il piano della scelta proprio quello del diritto: accettarne la necessit
complessiva.
Larretrare della morale avviene per ragioni a loro volta morali: assumo che
meglio il diritto con il suo tasso di formalismo inevitabile rispetto allarbitrio perch ho
a cuore la possibilit di relazioni che tutelino il pluralismo entro i limiti di reciprocit.
Rinuncio ad alcuni principi morali e rinuncio alla pretesa di imporli ad altri in
virt dellaffermazione di un principio morale superiore consistente nella convivenza.
Quindi se ci pare ragionevole che una scelta morale rinunciare ad alcuni dei
nostri principi morali, una scelta, se non ha la pretesa di passare dal dovere allessere,

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rivedibile. Non si danno in assoluto scelte irreversibili. Se il presupposto che si paga
un prezzo sul piano morale in vista di un superiore guadagno, posso sempre chiedermi
se ne valga la pena.

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