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“Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno,
oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri,
dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che
sono aperte.” (K. Popper, Lezione di questo secolo)
Premessa:
Storicamente scienza e società sono sempre state in stretta relazione in un equilibrio dinamico, che
ha determinato l’evoluzione di entrambe.
Negli ultimi quattro secoli la diffusione della scienza moderna ha determinato un impatto
delle scienze sulla società senza precedenti dando luogo all’emergere di un’economia basata sulla
conoscenza. Questo ha generato un crescente surplus di sapere e ha posto una serie di quesiti nuovi:
chi e come lo gestisce, chi e come lo può usare, chi e come lo può investire?
Parallelamente, in epoca moderna la democrazia come possibile forma di governo ha
cominciato a stimolare il dibattito politico, a definirsi e a diffondersi. Questo contesto culturale e
politico ha aumentato il bisogno di risorse organizzative, comunicative e cognitive per prendere
decisioni collettive e per gestire la complessità crescente della società.
Quanto più la scienza si diffondeva tanto più aveva bisogno di risorse umane autonome e
creative, stimolando così lo sviluppo della democrazia; e in maniera speculare, quanto più la
democrazia si diffondeva tanto più gli individui avevano bisogno di conoscenze resistenti e
condivise per costruire progetti comuni, stimolando così lo sviluppo della scienza. La scienza è
proliferata maggiormente e più durevolmente laddove c’era più democrazia, così come la
democrazia si è alimentata dallo spirito scientifico antidogmatico e dalla conquiste scientifiche per
il welfare degli individui. Insieme queste due trasformazioni hanno generato un’economia nuova, un
assetto politico mutato e una società centrata sulla democrazia e sulla scienza: la società della
conoscenza.
Società aperta
Il concetto di società pone le sue radici fin dalle antiche popolazioni assiro babilonesi, ma solo a
partire dall’inizio del XX° secolo è venuta sviluppandosi un preciso modello di società,
diversamente caratterizzabile in base ai periodi storici e dalle zone geografiche, che ha mantenuto
tuttavia dei caratteri standard per cui è stata definita prima società di massa e oggi, dopo la terza
rivoluzione scientifica, villaggio globale.
A partire dal pensiero di H.Bergson, si può delineare brevemente una genesi dei caratteri
fondamentali della società del 2010. Innanzitutto, il filosofo francese riteneva che potessero esistere
due tipologie di società, denominate rispettivamente una chiusa e una aperta. La prima, non dando
spazio alla libera iniziativa, si impone con forze conservatrici, per cui l’individuo è subordinato alla
collettività, seguendo una morale chiusa che mantiene l’uomo schiavo di miti e di paura (come nello
stato hegeliano). Nella seconda, invece, prevalgono le forze di crescita, in cui l’individuo ha
libertà nel espandere la sua capacità espressiva seguendo una legge morale che permette un
progresso continuo dell’intera struttura stessa.
Questi due generi possono essere considerati anche come le facce di una stessa medaglia, quella
della società di massa: da un lato, infatti, vi è l’omologazione, che significa perdita di
responsabilità, perdita dell’individualità e fede nella forza in senso collettivo. Dall’altro lato,
omologazione significa anche pari diritti politici, giuridici e sociali: ciò porta a un progresso del
benessere medio in ogni livello sociale, per cui viene garantito un miglioramento su vasta scala,
benché le masse corrano perennemente il rischio di essere manipolate per i profitti di pochi.
Benché ci siano stati pareri discordanti, la società che caratterizza per lo più il secolo XXI° è quella
aperta. Durante l’età dei totalitarismi, sicuramente la propaganda fu uno strumento molto efficace
per indirizzare il popolo ad un solo obiettivo. Tuttavia, grazie al progresso ottenuto su scala
mondiale e ancor più su scala europea, la società come struttura aperta sta diventando l’ambito
culturale in cui l’individuo si può muovere, con attento spirito critico per non essere soppresso dalla
massa ancora in balia della globalizzazione, intesa nella sua accezione negativa.
Come il filosofo Popper sostiene nel suo libro “La società aperta e i suoi nemici”, al giorno d’oggi
si assiste a un moto morale rivoluzionario che va a minare quel sistema ancora radicato nelle
fondamenta della struttura sociale che cerca di riappropriarsi del predominio attraverso un
conservatorismo ormai obsoleto e completamente inadatto alle prospettive future del progresso
sociale. È la viva aspirazione di innumerevoli uomini sconosciuti a liberare se stessi e le loro menti
dalla tutela delle autorità e del pregiudizio. È il loro tentativo di costruire una società aperta che
rifiuta l’autorità assoluta di ciò che è meramente costituito e meramente tradizionale che cerca,
nello stesso tempo, di preservare, sviluppare, instaurare tradizioni, vecchie o nuove, che siano
all’altezza dei loro criteri di libertà, di umanità e di critica razionale. È il loro rifiuto di tirarsi
indietro e di lasciare l’intera responsabilità di governare il mondo a qualche autorità umana o
sovrumana, e la loro disponibilità a condividere il peso della responsabilità per le sofferenze
evitabili e a lavorare per evitarle. Questa rivoluzione ha creato forze di sconvolgente capacità
costruttiva, ma che possono ancora essere domate.
La società aperta, quindi, si basa su tre elementi fondamentali: La ragione, la libertà e la fratellanza
di tutti gli uomini. E, secondo Popper, solamente una forma di governo è in grado di ammettere tale
tipologia di società: la democrazia, perché solo essa fornisce una struttura istituzionale che permette
non solo attuazione di riforme senza violenza, ma anche l’uso della ragione in campo politico.
Sono quindi due, scienza e democrazia, le linee guida per una società aperta, che può diventare,
come in effetti oggi è, società della conoscenza.
Scienza:
Il 900 della scienza si apre all’insegna di un grande ottimismo. Sia fisici che matematici sono
convinti di essere a un passo dalla comprensione di tutte le leggi fisiche e matematiche, tanto che
nel 1900, a Londra, Lord Kelvin ( William Thomson) annuncia la fine della fisica lasciando un
elenco di soli 11 problemi ancora da risolvere, e nello stesso anno a Parigi David Hilbert annuncia
la fine della matematica lasciando anch’egli un elenco di 23 problemi insoluti, ma che, secondo
l’ottimismo dilagante, si sarebbero dovuti risolvere in non più di due decenni.
Questo clima di fiducia nella scienza pervade tutta la società, che passa alla storia come la
Bell’Epoque. Tutto lascia pensare a un futuro in cui scienza e tecnologia saranno decisive per il
miglioramento della vita in tutti i suoi aspetti. E in effetti è così: dalla rete ferroviaria all’utilizzo
dell’energia elettrica la società di massa inizia un processo di modernizzazione rapidissima
destinato a non fermarsi.
Come sostiene Nicola Tranfaglia (ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Torino) la
società europea aveva l’impressione di aver raggiunto grandi risultati sul piano del progresso
scientifico e tecnologico e nello stesso tempo perché dopo molte guerre c’era una pace che
sembrava destinata a non finire.
Intanto, il modo di fare scienza si modificava: l’artigiano della ricerca applicata stava
scomparendo. Lo scienziato singolo ormai non aveva più ragione d’essere, poiché la scienza dal
privato passava al pubblico, dal laboratorio individuale si passava a quello industriale o anche
nazionale (Vittorio Marchis, Ordinario di Storia della Tecnologi al Politecnico di Torino).
L’inventiva tecnologia si appoggia a un sistema di supporto, in modo che la scienza diventi una
struttura organizzata. Le scoperte scientifiche rimangono legate, tuttavia, al singolo genio, come
testimonia la fondazione del premio Nobel, per chi dal 1900, darà il maggiore contributo al
benessere dell’umanità.
Tuttavia, a questo quadro idillico si contrappongono aspetti critici dello stesso progresso scientifico.
La scienza dell’800 si basava sulla concezione di una natura ordinata e regolata da leggi
individuabili e di chiara enunciazione. Il mondo della fisica e della matematica agli inizi del 900 si
trova di fronte a nuovi quesiti, come quello dell’etere, cui dare risposta sembra impossibile.
Vi sono quindi due aspetti: da una parte quello trionfale, dall’altro vi è la percezione di uno stato
problematico generale che investiva la conoscenza fisica del mondo e che si ripercuoteva su altri
settori della conoscenza, come ad esempio la filosofia. Quest’ultima, infatti, trovandosi davanti a
uno sviluppo rivoluzionario della stessa scienza (meccanica quantistica, relatività) si pone quesiti
antichi su basi moderne: la scienza rispecchia la verità? Quale significato assume la conoscenza e
come si giunge, se si giunge, alla verità?
Popper: falsificazionismo
Una posizione presa in questo ambito fu il falsificazionismo, una teoria elaborata dal filosofo Karl
Popper. Filosofo di grande importanza e dotato di grande apertura mentale, in uno dei suoi scritti,
Nuvole e Orologi, Popper elabora una teoria epistemologica che parte dal ribaltamento della
tradizionale visione della verità. Il filosofo tedesco, esaminando una teoria scientifica, non cerca
dimostrazioni a favore, ma dimostrazioni a sfavore: basta trovare una prova inconfutabile contro
tale teoria che essa non è più valida, per cui è necessaria una nuova teorizzazione di un concetto che
è stato modificato tramite un’analisi filo-scientifica.
Tuttavia, non ci sarà nessun limite a questa ricerca assidua di miglioramento della conoscenza: lo
stesso Popper afferma che “Nulla può assicurare che per ogni teoria falsificata troveremo un
successore migliore”. Questa considerazione ha importanti implicazioni a livello scientifico-
conoscitivo: l’affermazione di Popper viene a smontare ogni ipotesi di dogmatismo e ogni speranza
per la ricerca di una verità immutabile. D’altra parte, non bisogna dimenticare che all’epoca della
teorizzazione del falsificazionismo, Einstein aveva già formulato le teorie della relatività, le quali
venivano a sconvolgere un intero apparato scientifico fondato da anni su quella che è definita oggi
“Fisica Classica”. La meccanica quantistica, una delle novità a livello tecno scientifico nate proprio
grazie progresso tecnologico compiuto nei primi decenni del 20° secolo, aprì nuove e molteplici
strade per la ricerca: anche per questo Popper afferma l’impossibilità di stabilire l’infallibilità di una
teoria scientifica.
Per muoversi nel mondo, tuttavia, l’uomo ha bisogno di utilizzare leggi, anche solo per continuare
le sue ricerche: per questo Popper introduce il concetto di corroborazione. Una teoria si dice
corroborata, rispetto ad altre, quando meglio resiste ai tentativi di falsificazione della teoria stessa.
Per cui, dopo vari tentativi di dimostrare la falsità di alcune teorie concorrenti su un medesimo
argomento, bisognerà preferire quella che ha resistito nel miglior modo alle varie prove contro le
teorie stesse. La corroborazione, perciò, non è una testimonianza sulla validità della teoria scelta per
le prove successive, bensì è un resoconto valutativo di quelle passate, è comparativa rispetto ad un
preciso istante t.
Popper sceglie questo approccio insolito proprio perché, come egli stesso afferma “pongo l’accento
su argomenti negativi poiché ciò che è positivo resta tale perché è preferito dopo e con una
discussione critica ad altro che è stato confutato.” In altre parole poiché ciò che è detto positivo è
tale in rapporto a metodi negativi.
La verità, dunque, è solamente un’idea regolativa, proprio come I.Kant affermava nella “Critica
della Ragion Teoretica Pura”. Essa cioè deve spingere gli uomini a trovare teorie sempre migliori e
sempre meno falsificabili, tuttavia queste ultime resteranno sempre ipotesi, utili per muoversi
praticamente nella vita, ma mai sicuramente veritiere. Per cui, sostiene lo stesso Popper, è
opportuno abbandonare la ricerca di giustificare, di pretendere che una teoria sia per forza di cosa
vera. Non esiste, quindi, un principio di ragion sufficiente, bensì hanno un notevole peso le regole
metodologiche, primo fra tutti l’approccio critico che deve essere alla base di ogni discussione, sia
essa scientifica, filosofia o via dicendo.
Democrazia
Lincoln definì democrazia: “governo di popolo, per mezzo del popolo e per il popolo.” Essa è,
quindi, al servizio del popolo e agisce in accordo con questo. La definizione appena data non
chiama in causa la forma di governo. La democrazia moderna può essere tanto monarchia
costituzionale, che una repubblica. Spesso, è vero, la parola ‘democrazia’ è riservata allo stato
repubblicano, escludendo le monarchie. Ma non bisogna dimenticare che certe monarchie, come la
Gran Bretagna, sono più sinceramente e più tradizionalmente attaccate ai principi democratici di
certe repubbliche, dove il popolo ha scarsa influenza diretta sull’orientamento e le decisioni
politiche del paese.
La democrazia è, infatti, una creazione continua: essa sa di essere sempre perfettibile, al contrario
del totalitarismo, che mantiene l’illusione di possedere la verità non solamente completa, ma
immediata e definitiva.
La storia d' Europa nell'arco degli ultimi 65 anni è una storia di diffusione della democrazia. Nel
1942 in Europa esistevano solo quattro paesi pericolosamente liberi: Gran Bretagna, Svizzera,
Svezia, Irlanda. Giunti al 1962 gran parte dell' Europa occidentale era libera, eccezion fatta per la
Spagna e il Portogallo. Nel 1982 la penisola iberica si era unita ai liberi, come la Grecia, ma gran
parte di quella che allora veniva chiamata Europa dell' est era sotto la dittatura comunista. La
maggior parte degli europei vive oggi in democrazie liberali. È la prima volta che accade, in 2.500
anni di storia. E vale la pena di esaltarlo. Lo stesso Karl Popper, in “Lezione di questo secolo”,
afferma che le nostre democrazie occidentali costituiscono un successo senza precedenti, frutto di
molto lavoro, anche se tutt’oggi non sono ancora chiaramente distinguibili dalle dittature della
maggioranza. Ma nella storia non ci sono mai stati prima d’ora stati in cui gli uomini hanno potuto
vivere così liberamente e in cui hanno potuto avere una vita altrettanto buona e migliore di questa.
La maggioranza degli attuali stati membri dell' UE erano, a memoria d' uomo, dittature. Undici dei
ventisette capi di governo che si sono radunati attorno al tavolo in occasione del consiglio europeo
di primavera, circa vent' anni fa erano sudditi di dittature comuniste. Sanno che cos' è la libertà
perché hanno sperimentato cosa vuol dire non essere liberi. Senza dubbio gli individui che vivevano
sotto dittatura aspiravano alla libertà soprattutto perché volevano essere liberi, non perché volevano
essere europei nel senso di cittadini dell' UE. Ma la prospettiva di entrare in quella che oggi è l'
Unione Europea ha incoraggiato un paese dopo l' altro, a partire dalla Spagna e il Portogallo trent'
anni, fa fino alla Croazia e alla Turchia oggi, a trasformare la propria politica interna , l'economia, il
diritto, i media e la società. L' UE è uno dei più validi motori di cambiamento di regime pacifico
mai esistiti. Per decenni la lotta per la libertà e quello che emotivamente si definisce il "ritorno all'
Europa", sono andati a braccetto.
Un passo fondamentale verso quel disegno di democrazia e libertà compiuto dagli stati dell’ Unione
si è svolto a Lisbona, dieci anni fa, con la firma di un trattato che prevedeva la cosiddetta “Strategia
di Lisbona, ovvero un piano economico, sociale, culturale ed ambientale, che entro il 2010 avrebbe
dovuto raggiungere alcuni obiettivi:
- quello economico, cioè di rendere l’economia europea competitiva ed energica, soprattutto per far
fronte alle necessità di adattarsi continuamente alle evoluzioni della società dell’informazione e
sulle iniziative da incoraggiare in materia di ricerca e di sviluppo;
-quello ambientale, che pone l’accento su lo sviluppo di un’economia dissociata dalle risorse
naturali, specialmente dalle fonti di energia non rinnovabili, favorendo invece la ricerca scientifica
per un miglioramento ambientale in senso vasto;
- quello sociale, in cui gli stati membri devono operarsi a favore di un’ educazione e una formazione
politica che conduca i giovani ad una vita politica attiva e che agevoli il passaggio alla società
(quindi all’economia) della conoscenza.
Riassumendo, quindi, entro il 2010 l’UE deve diventare l’economia basata sulla conoscenza più
competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con
nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Il punto iniziale da cui è partito il percorso è stato il concetto di società della conoscenza, dopo aver
spiegato il termine europeo e giovani grazie ad alcuni approfondimenti individuali.
Come già spiegato, la società della conoscenza scaturisce da un’unione congiunta di sviluppo tecno
scientifico e democrazia. Ma di per sé, la società della conoscenza è quella in cui viviamo oggi,
quella che stiamo formando. Rimane un problema: definirla, pur nelle restrittività delle
generalizzazioni.
A questo scopo è stato particolarmente illuminante l’incontro tenutosi con il professor Andrea
Cerroni, uno dei relatori del ciclo di dibattiti tenuti nella fase preparatoria del progetto.
Infatti, analizzando in maniera molto semplice il sistema “mondo” possiamo distinguere tre livelli
di esistenza:
1- Livello dell’io, dell’individuo, del giovane;
2- Livello della società in cui l’individuo vive;
3- Livello di qualcosa che sopravvive alla morte dell’io e della società: la conoscenza
Questi tre livelli sono chiari e distinti temporalmente: esiste infatti una storia dell’individuo, una
della società e una della scienza, ciascuna delle quali compenetra le atre.
Tuttavia il terzo livello, quello della conoscenza, viene alimentato da quelli precedenti; infatti, la
vita del genere umano cerca di costruire un patrimonio che sopravviva oltre ogni individuo e
società. Man mano che la Storia prosegue, quindi, la conoscenza avanza nel senso che incrementa,
ma non viene modificata nella sostanza: si hanno dei punti di vista diversi, ma il patrimonio
culturale resta il medesimo.