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SE COME UN ALTRO SINTESI GENERALE

Lermeneutica filosofica di Ricoeur risente dellinflusso delle pi autorevoli voci della tradizione filosofica,
ma non mossa da esigenze di tipo FONDAZIONALE(es. Husserl) ma centrata sullidea di
ATTESTAZIONE quale modo di porsi di un s la cui identit appare problematica di per se stessa.
Lermeneutica ricoeuriana centrata sullidea che lidentit del s sia sempre in rapporto costitutivo con
laltro, che viene visto come fine in s a cui offrire riconoscimento e rispetto.

Nuovo modo di intendere il soggetto non pi soggetto che si autopone, ma un soggetto che si comprende
solo allinterno di un contesto gi dato.

Intento generale di Ricoeur congedarsi dalle filosofie del Cogito. Ovvero da tutte quelle filosofie che
pongono il soggetto in prima persona al centro delle loro riflessioni assumendolo come fondamento
originario. Rigetta anche le conclusioni delle filosofie nichilistiche anti-Cogito.
-Cartesio io fondamento assoluto del sapere
-Spinoza il Cogito diventa verit astratta subordinata alla sostanza infinita che Dio
-Filosofia idealista il cogito fondamento assoluto e quindi si riduce ad un principio formale
-Husserl soggetto astratto che ha un carattere esclusivamente formale e che si autofonda,

Ricoeur critica anche il primato che Husserl assegna alla rappresentazione quale atto della coscienza con la
quale essa coglie la realt, atto che esclude la messa in gioco della struttura volitivo-affettiva. Per Ricoeur
sono importanti anche queste componenti, si tratta quindi di ampliare lo spettro esperenziale del cogito
ponendolo come principio fondativo ed interpretativo non solo delle operazioni logiche ma anche del volere
e del sentire. SOGGETTO anche come VOLONTA, DESIDERIO e CORPO non c la separazione res
cogitans/res extensa. soggetto come Dasain cio vive la sua inclusione nel mondo

Per Husserl il luogo della fondazione il soggetto trascendentale ed lintuizione la forma immediata
grazie alla quale pu essere colto il reale. Per Ricoeur invece ogni comprensione deve essere mediata e la
conoscenza di s non certa come in Husserl in quanto non assoluta, ma un dialogo dellanima con se
stessa. A questo soggetto sovrano Husserl riconduce anche la comprensione dellaltro da s(Lego costituisce
in se stesso, a partire dal suo solipsismo, lalterit. Laltro in questottica perde la sua specificit). Ricoeur
critica il ruolo che viene ad assumere la rappresentazione come forma di conoscenza di ogni manifestazione
del reale in quanto esiste una differenza sostanziale tra il modo in cui si manifestano le cose e il modo in cui
si manifesta invece una persona. La rappresentazione non consente di cogliere quelleccedenza di senso
legata allapparire di una persona, non tiene conto del fato che colui che si presenta davanti al soggetto non
solo un oggetto di percezione ma anche un essere simile al soggetto stesso. Ricoeur vuole andare oltre
latteggiamento teoretico per cogliere una dimensione pi primordiale dellesistenza la quale sfugge ad
unanalisi puramente descrittiva. La soggettivit di cui parla Rioceur una soggettivit finita, carnale e
plurale, che riconosce di non avere in se stessa il proprio centro e rinuncia ad ogni ambizione autofondativa.
La costituzione dellipseit gi animata da una tensione etica originaria.

Primo compito del soggetto tendere allinstaurazione di un rapporto pacifico con lalterit costitutiva del
s.

Ricouer distingue i due termini ETICA e MORALE il campo delletica rinvia a ci che stimato buono,
il campo della morale a ci che si impone come obbligatorio. Ricoeur accorda un privilegio fondativo alla
dimensione etica, la quale svolge in ultima istanza la funzione di metro regolatore nei confronti della
dimensione normativa. Nel senso che il rapporto con laltro deve essere sempre fondato su uneticit, pena il
fallimento e la trasformazione in conflitto. Il momento etico si sostanzia nella prospettiva della vita buona
con e per laltro allinterno delle istituzioni giuste. Vi una teleologia interna implicata nel vivere bene la
quale rende possibile unadeguata integrazione di ogni azione parziale entro il vasto piano di vita. Ci
significa che le singole azioni si coordinano le une con le altre per conferire unicit di senso alla vita del
soggetto.

SE COME UN ALTRO il come non solo una forma di comparazione con laltro ma va inteso come
in quanto per sottolineare come la presenza dellaltro sia direttamente costitutiva dellidentit. Cos il s si
percepisce come un altro tra gli altri.

Ricoeur ricorre alla REGOLA DORO la quale recita Non fare allaltro ci che non vorresti sia fatto a te
Sta qui la legge nella sua interezza, il resto commentario. Il ricorso alla norma si rende necessario nella
misura in cui si intende offrire un criterio di universalit che faccia della prospettiva della vita buona non gi
un mero deisderio individuale ma lobiettivo di una volont che secondo lottica kantiana deve essere
sempre in rapporto con la legge e con lidea di dovere essere connessa ad essa. Il rispetto che si deve alle
persone non costituisce un pricipio morale eterogeneo, ma dispiega la struttura dialogica implicita.

AUTONOMIA DEL SOGGETTO pi che altro unautonomia solidale con le richieste che provengono
dallaltro che sta di fronte al s e chiede di esser riconosciuto nella sua singolare diversit.

RICOEUR E LA DIALETTICA HEGELIANA

Ricoeur eredita e sfrutta il concetto hegeliano di dialettica, ma ritiene che lunico luogo legittimo dove poter
applicare la dialettica sia il campo dellagire umano inteso come praxis. Egli rinuncia in modo radicale al
sapere assolto hegeliano e tale rinuncia porta lautore ad elaborare un pensiero che mette in evidenza, senza
eluderli, gli aspetti conflittuali che caratterizzano lesperienza umana. Seppur nella ricerca dellunit il suo
un pensiero che sottolinea la separazione. Lo stesso modello narrativo di identit che egli elabora
rappresenta unidea di totalit e di unit molto diversa dal concetto di totalit hegeliana; la persona una
totalit sempre aperta che ricompone in s il conflitto ma mai in modo assoluto. Lessere umano come anche
il mondo sono opere sempre e costitutivamente aperte. Lidentit del soggetto implica in modo costitutivo il
riconoscimento dellalterit. Conoscere se stesso per lessere umano significa sempre riconoscersi attraverso
la mediazione dellalterit dopo una fase di estraneit rispetto a se stesso.

Per Ricoeur la stima di s rappresenta in modo emblematico la dialettica tra il s e laltro attraverso la quale
il soggetto si costituisce come persona cio unit etica. La stima di s costituisce il risultato di un doppio
movimento: il movimento estatico dellio verso laltro e il movimento di ritorno del s attraverso il
riconoscimento dellaltro. Il soggetto brama di essere riconosciuto come degno fi stima da parte degli altri
che come lui hanno per costituzione la stessa forma di desiderio

ESSERE AL MONDO CON E PER LALTRO

Lopera di Ricoeur allinsegna dellapertura allaltro. Il riconoscimento dellaltro possibile con il superamento
della narcisistica chiusura del s. Rinunciando alla pretesa di un cogito autosufficiente possibile prendere
consapevolezza di se stessi come agenti e sofferenti, come uomini capaci e al tempo stesso passivi di ci che non in
nostro potere: lalterit. Letica di Ricoeur va intesa secondo la prospettiva della vita buona con e per laltro allinterno
di istituzioni giuste. N il s n laltro possono essere considerati separatamente. La rilevanza che in particolare ha la
categoria dellaltro espressione dellintenso desiderio di Ricoeur di riconoscere laltro nelle sue molteplici
dimensioni. La tematica di fondo del percorso ermeneutico di Ricoeur costituita dalla questione del soggetto. In s
come un altro, ilpensatore francese si concentra esplicitamente sulla questione del s alla luce della domanda chi? In
questopera presenta una triplice dialettica 1. Analisi e riflessione 2. Ipseit e medesimezza 3. Se stesso e altro.
2.3 Lalterit fra Marcel e Lvinas

Nel corso del Novecento, diversi sono stati i pensatori che si sono interrogati sulle questioni riguardanti
lalterit e in generale sulle tematiche riguardanti lincontro. Seppur queste analisi si snodino su percorsi
differenti, sicuramente rintracciabile un punto di partenza in comune: lalterit su cui ci si interroga non si
d pi come concetto astratto, ma si esercita nellesperienza concreta dellaltro. In tutte queste riflessioni,
emerge il bisogno intrinseco alluomo moderno di rompere con quella solitudine in cui lalienazione,
prodotto dalla societ industriale, lo ha condotto. In particolare, sorge spontaneo un possibile confronto tra
la posizione di Marcel ed un pensatore come Lvinas suo allievo ed anche contemporaneo. Certamente, per
quanto riguarda la sua formazione filosofica, Marcel ha rappresentato in qualche modo una guida allinterno
di quel percorso che ha come fine la riscoperta del primato del soggetto incarnato e sente anche come intima
necessit il riuscire a comprendere a fondo il ruolo che lio ricopre allinterno della propria esistenza.
Diverse sono le conclusioni a cui Lvinas arriva, ma certamente anche la lettura che egli d dellalterit
poggia su quel tentativo comune di definire le nuove responsabilit alle quali luomo moderno, seppur
vittima dellinquietudine e dello spaesamento, figli dellepoca di crisi dei valori in cui si trova a vivere,
convocato. Si giunge alla tematizzazione di questi nuovi bisogni di cui luomo avverte la necessit anche a
livello inconscio e ai quali chiamato. Tutto volto alla comprensione delle modalit riguardanti il come il
soggetto possa effettivamente assumere da una parte le responsabilit a cui chiamato e dallaltro riuscire a
rispondere anche a questi nuovi bisogni. Il soggetto lentamente allarga gli orizzonti mettendosi in condizione
di ascoltare nuove voci non pi provenienti esclusivamente da se stesso ed proprio grazie a questa apertura
che si rende possibile il confronto: sorge un nuovo io che percepisce se stesso in relazione alla categoria di
alterit. Le grandi questioni filosofiche si allontanano dalla categoria che aveva posto il suo sigillo
razionalista sullOttocento, cio il cogito, e si riconfigurano attorno a nuove domande riguardanti, in
particolare, la possibilit dellentrata in relazione dei soggetti incarnati. Lattenzione rivolta al descrivere in
che modo ogni individuo esperisca gli altri esseri percependosi come soggetto inserito in un contesto
intersoggettivo. Rispetto a questo scenario, la proposta teorica di Lvinas si fonda sulla consapevolezza della
necessit di rifondare nuovi rapporti con lalterit; non tutto infatti pu o va identificato e riferito al dominio
della soggettivit. Il filosofo chiama lio Medesimo proprio perch esso agisce solo in conformit a se
stesso, sempre uguale. Laltro invece, secondo Lvinas, ha diverse connotazioni e non si manifesta in
quanto soggetto n in termini di sguardo n in termini di presenza, piuttosto si presenta come rivelazione: si
mostra in quanto volto. Anche in questa prospettiva filosofica, come in Marcel, la relazione con laltro si
configura innanzitutto come misteriosa.

Laltro non in nessun modo un altro me stesso, che partecipa insieme con me ad unesistenza
comune. La relazione con laltro non unidillica ed armoniosa relazione di comunione, n una
simpatia grazie alla quale, mettendoci al suo posto, lo riconosciamo come simile a noi ma esterno a
noi; la relazione con laltro una relazione con un Mistero. E la sua esteriorit, o piuttosto la sua
alterit, che costituisce tutto il suo essere, poich lesteriorit una propriet dello spazio e riconduce
il soggetto a se stesso per mezzo della luce.1

Per combattere la logica tradizionale che ha schiacciato lalterit sullio, necessario rendere di nuovo in
grado il soggetto di esercitare la sua capacit dialogica, che si fa premessa necessaria al linguaggio.
Nellottica levinassiana, proprio grazie ad esso che il soggetto riesce a non instaurare con il mondo una
relazione di chiusura, ma anzi riesce ad aprirsi alle possibilit creando lo spazio per la libert.
Lincompiutezza propria dellio quel dato necessario che rende possibile lo sviluppo nel suo animo di quel
desiderio di apertura che si concretizza nella possibilit di comunicazione. A primo impatto lincontro, che
secondo Lvinas avviene in prima istanza con il volto dellaltro, provoca nel soggetto inizialmente paura e
disorientamento, tanto da far provare al soggetto un timore che si manifesta tramite listinto alla violenza
che arriva a fargli desiderare persino leliminazione fisica di colui che ha dinnanzi. In seconda istanza, se
lio riesce a superare questa fase iniziale, il soffermarsi sul volto dellaltro fa s che si possa stabilire una
relazione. Essa si manifesta, innanzitutto, come un richiamo alla responsabilit verso laltro e condivisione
dei due soggetti della relazione, tant che nellottica del pensatore essa si configura come rapporto etico.

Lassoluta nudit del volto, questo volto assolutamente indifeso, senza schermo, senza abito, senza
maschera, tuttavia ci che si oppone al mio potere su di esso, alla mia violenza, ci che vi si
oppone in modo assoluto, con una opposizione ch opposizione in s. Lessere che si esprime,
lessere che mi di fronte, mi dice no con la sua stessa espressione. Questo no non semplicemente
formale, ma non neanche il no di una forza ostile o di una minaccia; limpossibilit di uccidere
colui che presenta questo volto, la possibilit dincontrare un essere attraverso una proibizione. Il
volto , per un essere, il fatto di coinvolgerci non allindicativo ma allimperativo, e cos di essere
esterno ad ogni categoria. Il rapporto metafisico, il rapporto con lesterno, possibile solo come
rapporto etico.2

Il rapporto etico non una sovrastruttura, ma viene posto a fondamento di ogni conoscenza. Nel faccia a
faccia si manifesta la differenza che intercorre tra lio e laltro; il momento della scoperta e della rivelazione
dellaltro Lvinas lo definisce epifania. Il volto nudo ed proprio grazie a questo sua nudit che il
soggetto riesce a scorgerci quel richiamo alla responsabilit ed questo spontaneo richiamare ad essa che fa
s che la relazione tra lio e laltro si configuri come asimmetrica. La responsabilit a cui chiamato lio nei
confronti dellaltro non deve essere necessariamente corrisposta, linvocazione che lio riceve infatti
riecheggia nella sua intimit ricordandogli il compito morale a cui chiamato. Affinch il volto si mostri

1 E. Lvinas, Il tempo e lAltro, traduzione a cura di Francesco Paolo Ciglia, Edizioni Il


Melangolo, Genova 1993, p. 46

2 E. Lvinas, A. Peperzak, Etica come filosofia prima, traduzione a cura di Fabio Ciaramelli,
Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano 1989, p. 26
nella sua assoluta alterit, necessario mantenere una certa distanza cos da poter instaurare concretamente
quella relazione che fa s che il soggetto conosca la realt metafisica.

Il volto soltanto per s. Tu sei tu. In questo senso si pu dire che il volto non visto. Esso ci
che non pu divenire un contenuto afferrabile del pensiero: lincontenibile, ti conduce al di l.3
Il volto lespressione concreta dellaltro, attraverso la nudit in esso espressa si rendono manifeste le
necessit che chiamano il soggetto allimpegno. Il volto ci che frantuma il sistema permettendo allio di
uscire dalla sua solitudine; proprio per questo la relazione con lalterit scaturisce e si fonda sulla
responsabilit cui il soggetto chiamato nei confronti dellaltro. Di conseguenza, la relazione non
esclusivamente percettiva ma indice di un legame etico. Se laccostarsi alluomo un interpellarlo in
quanto volto, ci si deve domandare di che tipo siano le richieste dellaltro. Per Lvinas, nel volto si trova
inscritto un ordine che rappresenta la prima parola che lalterit rivolge e a colui che gli si pone davanti e
che ancora di pi sottolinea la matrice etica insita nella relazione: Tu non mi ucciderai. 4 Il soggetto deve
rispondere allappello di non-violenza che proviene dal volto altrui e arrivare alla consapevolezza di essere
sempre accompagnato dallalterit, sin dalla sua nascita.

Lestraneo che non ho n concepito, n partorito, lho gi in braccio.5

Lio chiamato ad uscire dal suo solipsismo proprio perch scopre che lautentica libert si origina
nellaltro. Lvinas, dunque, rintraccia i caratteri della libert autentica al di l del conflitto e li colloca nella
dimensione della responsabilit a cui chiama il volto.

Lio non ha altro potere che servire la povert dellaltro, divenuto il suo signore, ricco della sua
diversit e di un volto mai comparabile a nessun altro volto.6
L'incontro con Altri rappresenta immediatamente la mia responsabilit per lui: la responsabilit per il
prossimo, che senza dubbio l'austero nome di ci che si chiama l'amore del prossimo, amore senza
Eros, carit, amore in cui il momento etico domina il momento passionale, amore senza
concupiscenza. Non mi piace molto la parola amore, che viene usata e abusata. Parliamo piuttosto di
una presa su di s del destino altrui.7

3 E. Lvinas, Totalit e infinito: saggio sullesteriorit, traduzione a cura di Silvano Petrosino,


Edizione Jaca Books, Milano 2010, p. 54

4 E. Lvinas, Etica e Infinito Dialoghi con Philippe Nemo, traduzione a cura di Franco Riva,
Editore Castelvecchi, Roma 2012, p. 92.

5 E. Lvinas, Altrimenti che Essere o al di l dellEssenza, traduzione a cura di Silvano


Petrosino, Edizioni Jaca Book, Milano 2011, p. 114.

6 P.R.Sindoni, Laltro, Edizioni Messaggero, Padova 2015, p. 54

7 E. Lvinas, Intervista rilasciata ad Aut-Aut", 1985


Il comandamento Non uccidere va oltre il semplice non fare del male ai tuoi simili, afferma
lintangibilit del volto e mette in risalto come sia impossibile tentare di operare una riduzione o
assorbimento dellalterit. La responsabilit a cui chiamato il soggetto finisce per configurarsi come la sua
struttura originaria. Attraverso il volto dellaltro il soggetto si apre allinfinito ed attraverso esso che
comprende se stesso e supera langoscia del vivere. Linfinito, cos come lo intende Lvinas, viene mostrato
alluomo proprio nellepifania che il volto dellaltro; esso si produce proprio nella messa in atto della
relazione tra lio e laltro e si manifesta concretamente nello spazio intersoggettivo. Esso pu essere
qualificato come la responsabilit alla quale chiamato dal volto dellaltro e a cui non pu sottrarsi. Il volto
esso stesso espressione dell al di l. Il movimento verso la trascendenza apre ad un rapporto che luomo
aveva dimenticato e in questottica letica lunica via percorribile al fine di dare un senso allindividualit.
Luomo si fa soggetto per laltro uomo, la sua identit consiste nella responsabilit di fronte a lui. Nella
visione del filosofo un ruolo fondamentale ricoperto quindi dalla relazione amorosa. Essa pu prendere
due diverse vie di sviluppo: la prima pu approdare alla costituzione di un qualcosa che si ripiega su se
stessa non dando spazio al mondo circostante, la seconda apre allinfinito.
Solo mostrando ci per cui leros differisce dal possesso e dal potere possiamo ammettere una
comunicazione nelleros. Esso non n una lotta, n una fusione, n una conoscenza. Bisogna il
conoscere il suo posto eccezionale fra le relazioni. E la relazione con lalterit, con il mistero, cio
con lavvenire, con ci che, allinterno di un mondo dove tutto presente, non mai presente, con
ci che pu non esser presente quando tutto presente. [] L dove tutte le possibilit sono
impossibili, l dove non si pu pi potere, il soggetto ancora soggetto grazie alleros. Lamore non
una possibilit, non dovuto alla nostra iniziativa, senza ragione, cinvade e ci ferisce e tuttavia
lio sopravvive in esso.8
Lamore ci attraverso cui possibile andare al di l di se stessi, talmente ricco al suo interno che ogni
tentativo di dire con precisione cosa sia lo immobilizzerebbe. Il sorgere di una coscienza frutto della
consapevolezza di una relazione che permette quel decentramento fecondo che implica, nella scoperta del
volto, la possibilit di concepire una libert che sia esterna e diversa rispetto a quella dellio.
Ho cercato la trascendenza temporale di un presente verso il mistero dellavvenire. Essa non una
partecipazione ad un terzo termine, sia esso una persona, una verit, unopera, una professione. E
una collettivit che non una comunione. Essa il faccia a faccia senza intermediario, e ci fornita
nelleros dove, nella prossimit dellaltro, integralmente mantenuta la distanza, il cui carattere
patetico fatto contemporaneamente di questa prossimit e di questa dualit.9
Guardando al panorama novecentesco e a come, seppur con le dovute differenze, Marcel e Lvinas abbiano
delineato un quadro ben preciso nel quale porre il rapporto intersoggettivo che permette di comprendere
come lautenticit di una relazione riesca a sortire determinati effetti nel rapporto che lio ha, prima che con

8 E. Lvinas, Il tempo e lAltro, cit., pp. 57-58

9 Ivi, p. 62
gli altri, con se stesso, non si pu non tenere in conto come questo interrogarsi sul ruolo dellalterit abbia
anche portato alla formulazione di un pensiero che nettamente si separa dalle visioni prima prese in
considerazione. ( HO ELIMINATO LA PARTE DI SARTRE PERCHE NON CI INTERESSA) Se con
Sartre si compie un passo indietro non solo rispetto a quello che pu considerarsi il tentativo di rivalutare il
ruolo che laltro, cio il diverso, ricopre nella societ moderna ma anche rispetto alla sensazione che
inconsciamente il soggetto avverte riguardo la necessit di riscoperta della sua intimit e del suo essere
innanzitutto soggetto dialogico, con Martin Buber si sottolinea la possibilit di sfuggire alla solitudine
profonda in cui immerso luomo proprio tramite la via dialogica. Il pensatore individua nelluscita da
questa condizione lunica soluzione che possa rendere accessibile al soggetto la comprensione di s. Il suo
pensiero si snoda attraverso la critica ai due tentativi di comprensione antropologica che caratterizzano la
societ in cui vive: lindividualismo e il collettivismo. Nella sua ottica, entrambe hanno come conseguenza
lo smembramento dellio che sfocia in quella crisi interiore caratterizzante il Novecento.

La critica del metodo individualista parte abitualmente dalla tendenza collettivista. Ma, se
l'individualismo non comprende che una parte dell'uomo, il collettivismo non comprende l'uomo che
come una parte. N l'uno n l'altro procedono verso l'integrit dell'uomo, verso l'uomo come
totalit.10
Per quanto riguarda lindividualismo, in esso il soggetto decide di accettare il suo stato di isolamento proprio
perch convinto di vivere in un mondo ostile che gli impone di accettare questa sua condizione; in pi, non
sentendosi legato a nessun altra persona, inizia a pensare che questa condizione gli permetta di esaltarsi
individualmente. Con il collettivismo, si ha una tendenza opposta in quanto il soggetto cerca di sfuggire alla
solitudine entrando a far parte di un insieme di altri individui che condividono la sua stessa situazione.
Langoscia si dirada proprio perch non sussistono altre necessit se non quelle volte al conformarsi alla
volont generale. Attraverso il vivere in comunit, lindividuo si illude di aver eliminato qualsivoglia
problematica personale poich esse vengono assorbite dalla collettivit. Secondo il filosofo, le persone sue
contemporanee sono portate, gi su un livello inconscio, ad avvicinarsi a queste due modalit di vivere e di
gestire il rapporto con gli altri individui. Soprattutto il collettivismo rappresenta una vera e propria illusione
perch racchiude un numero considerevole di uomini formando una comunit, essi dunque sono aggregati,
ma non vi unitariet sul piano individuale. La massificazione quindi la risposta che la societ moderna d
alluomo che ha paura di ritrovarsi solo, ma lunione che produce non include la possibilit di avere autentici
contatti umani. Illusoriamente, il singolo soggetto pensa di starsi rapportando con laltro, ma in realt la
collettivit non fa altro che privarlo di questa capacit. Ci non fa altro che provocare un allontanamento
dalla reale comprensione delluomo; necessario, affinch si giunga a conoscerle, tenerlo in considerazione
a partire dal suo riuscire ad entrare in relazione con laltro. A fondamento di tale corrispondenza profonda tra
individui ( e in questo si nota sicuramente la vicinanza tra Buber e Marcel) si colloca la possibilit
delluomo di vedere nellaltro la sua alterit. Il luogo dellincontro reale viene fissato nellinterrelazione:

10 M. Buber, Il problema dell'uomo, traduzione a cura di Fabio Sante Pignagnoli, Edizioni


Scolastiche Ptron, Bologna 1972, p. 200
quella sfera comune agli uomini ma in cui viene oltrepassato lambito particolare di entrambi i soggetti che
riescono ad in comunicazione tramite la relazione. Il filosofo pensa che tale sfera non sia continuo oggetto di
indagine perch essa non caratterizzata da un essere presenza costante e continua, ma nasce e si rinnova di
nuovo nel momento in cui un io si trova davanti un altro con cui vuole entrare in relazione. Il dialogo vero,
quello del tutto spontaneo, suscita nellaltro partecipazione e possibilit di replica; esso si sviluppa proprio
in questa dimensione che rimane del tutto personale e coinvolge esclusivamente lio e il tu; proprio per
questo non si pu condurre intorno ad esso una precisa indagine che ne metta in evidenza la natura e le
caratteristiche.

Al di l del mero versante soggettivo, al di qua di quello oggettivo, c' la sfera dell''interrelazione', o
del 'tra', in quello stretto angolo appunto dove l'Io e il Tu s'incontrano.11

Buber riconosce che nella scoperta dello Zwischen (dellinterrelazione) risiede la possibilit per luomo di
poter individuare quale sia la via pi giusta da percorrere per giungere alla comprensione prima di se stesso
e poi, in seconda istanza, di quale sia la modalit di vita autentica da condurre per essere concretamente
umano. Tale autenticit, infine, coinvolger la persona e la sua esistenza individuale e, in secondo battuta,
anche la comunit in quanto unit di persone autentiche. Nellottica di Martin Buber, il percorso allalterit
diviene quindi premessa allo sviluppo integrale della persona che necessariamente verr poi collocata in una
societ. Questa crescita si sovrapporr all intero arco cronologico dellesistenza umana includendo nel suo
svilupparsi la componente emotiva, cognitiva e valoriale. Per poter pensare lalterit occorre quindi per
prima cosa appellarsi al presente ed interrogarsi riguardo al problema dellunit. Nella relazione che si
instaura tra io e tu si ha, come dato preliminare, la progressiva presa di coscienza dellio nei riguardi di se
stesso. Il tu si pone dinnanzi allio in modo esclusivo e nel momento in cui la relazione si interrompe lio si
rende conto di esistere; da questo momento che esso ha coscienza di s. La difficolt con cui si scontra
luomo, secondo il filosofo, risiede nel fatto che esso abbia si trova in una posizione difficile da gestire in
quanto in perenne tensione tra la possibilit di vivere la relazione e quella di uscire da essa. Buber
individua allora due atteggiamenti che lessere umano adotta nei confronti di tutto ci che lo circonda: Ich-
Du (io-tu) e Ich-Es (io-esso).

E cos anche l'io dell'uomo duplice. Perch l'io della parola fondamentale io-tu diverso da quello
della parola fondamentale io-esso.12

Se vero che la relazione umana richieda una presenza che riguardi tutti gli aspetti dellessere, si comprende
come per sua stessa natura luomo si determini in base a chi o a ci che gli sta di fronte da qui sorge
spontanea la differenza fra persona e individualit. Nellio-esso, lio si manifesta in quanto individualit e

11 Ivi, p. 208-209

12 M. Buber, Io e tu in Il principio dialogico e altri saggi, traduzione a cura di Andrea Poma,


Edizioni San Paolo, Milano 1997, p. 72.
diventa cosciente di s come soggetto in grado di fare esperienza, nellio-tu invece si manifesta come
persona e diventa cosciente di s in quanto soggettivit. Lesso, difatti, rappresenta per lio esclusivamente
un oggetto privo di qualsiasi unit e impossibilitato nellinstaurare un rapporto reciproco; il tu, invece,
sempre un altro con il quale entrare in relazione. Nel primo caso, dunque, si instaura un rapporto volto
allutilizzo dellesso, un fare esperienza senza essere partecipi realmente del mondo; nel secondo invece si
genera uno scambio reciproco e paritario che permette lentrata in contatto con il mondo tramite la relazione.
Nella visione di Buber, questo tu non deve per forza essere un altro individuo, ma pu essere anche un
oggetto inanimato. Ci che si ha dinnanzi diventa tu nel momento in cui il soggetto non vede pi in lui un
oggetto che ha determinate caratteristiche, ma un altro avente una propria realt integrale che gli si presenta
dinnanzi. In questottica, la relazione non qualcosa che si ricerca, ma avviene in maniera molto spontanea
e senza che il soggetto possa deciderne le condizioni. E una scelta reciproca che parte dallio e dallaltro e
che avviene in seguito alla scintilla che scaturisce dallincontro e che coinvolge lintero essere in modo
esclusivo: relazione reciprocit.13 Affinch il rapporto che si instaura permanga, necessario che laltro
non sia assimilato quale oggetto, n venga unito allio; non pu esistere relazione, infatti, se non fra due
entit che sono distinte e che devono restare tali per far in modo che la relazione creatasi tra loro permanga.
Lio riconosce nel tu in quanto essere un qualcosa di unitario.

Come la melodia non un insieme di suoni, il verso non un insieme di parole e la statua non un
insieme di linee - occorre strappare e lacerare per arrivare dall'unit alla molteplicit - cos per
l'uomo, al quale dico tu. Posso considerare separatamente il colore dei suoi capelli, il tono del suo
discorso, la gradazione della sua bont: devo sempre di nuovo farlo; ma gi egli non pi tu.14

Buber lo sottolinea con forza: lio riconosce il tu in quanto essere non se ne pu fare unimmagine che tenga
conto solo di determinate caratteristiche distinguendole dalla totalit che esso . Linvocazione che la
relazione fa allio, lo distoglie da quello che era lapproccio avuto fino a quel momento nei confronti delle
cose. La chiamata del tu un offrirsi gratuito e totale al soggetto e che chiede in cambio di ricevere da esso
lo stesso dono. Il momento dellincontro per, nonostante la sua magnificenza, destinato a finire e non
permanere o perch viene interrotto o perch semplicemente destinato ad estinguersi.

Nel fatto che ogni tu nel nostro mondo debba diventare un esso, sta la sublime malinconia della
nostra sorte.15

Arriva dunque un momento in cui colui che era diventato tu per lio, torna ad essere semplicemente un esso.
Se prima era percepito dal soggetto come un qualcosa di unitario ora torna ad essere distinguibile in tutte le
sue parti. Secondo il filosofo dunque, essere nella relazione significa prendere parte a quella realt che non

13 Ivi, p.63

14 Ivi, p.64

15 M. Buber, Io e tu in Il principio dialogico e altri saggi, cit., Milano 1997, p. 70


esisterebbe senza la partecipazione; in questo panorama evidente, senza possibilit di fraintendimenti, che
il tu a permettere allio di vivere realmente. Il fatto che in seguito alla fine della relazione lio torni a
prendere parte alla realt dellesso non significa che perda la propria realt. Il problema risiede
nellidentificare a quale tipologia di espressione dellumanit il soggetto in questione appartenga. Vengono
individuate, in Buber, due diverse tipologie: vi sono degli individui che sono fortemente avvolti dal mondo
dellesso e tendono a volerlo vivere in modo esclusivo, vi sono altri invece che sono sempre in grado di
riaprirsi al tu. Tale io, capace di dire tu fino in fondo, rimane partecipe della relazione e conscio di averla
vissuta anche quando fa inevitabilmente ritorno mondo dell'esso. La realt pi profonda dell'essere umano, e
del suo saper stare al mondo aprendosi alla relazione, appartiene senza dubbio a questa seconda tipologia di
umanit descritta, a quelli che sono identificati come persone. A coloro i quali invece appartiene lirrealt e
il permanere allinterno del domino dellesso vengono definiti individui, essi sono obbligati a vivere
unesistenza falsa che si maschera da realt. Nessuno definitivamente solo l'uno o solo l'altro ma
nelluomo coesistono entrambe i poli. E bene dunque, definire pi concretamente come lio riesca ad essere
presente a se stesso per poi, in seconda istanza, aprirsi allincontro. Similmente al processo di apertura che
avviene in Marcel, necessario che dapprima esso si riconosca in quanto unit per poi essere in grado di
riconoscere la diversit dellaltro accettandola e comprendendola fino ad arrivare alla possibilit di
instaurare una relazione con lui.

E vero che il fanciullo dice tu prima d'imparare a dire io; mentre al vertice dell'esistenza personale
occorre poter dire io in modo veritiero se si vuole apprendere il mistero del tu in tutta la sua densit.16

E bene tenere presente che questa necessit, che lio sia presente e consapevole di s prima dellapertura
allaltro, non implica una rivalutazione dellindividualismo, anzi affermando che il punto di partenza debba
essere proprio lio implica che il soggetto sia riuscito a guardare nel profondo di s, instaurando un contatto
intimo e personale con se stesso. Non pu esserci vera relazione se non tramite un impegno autentico di
persone che in modo individuale e responsabile cercano lincontro con laltro. Aprirsi al dialogo un
decidere di riconoscere laltro in quanto tale, accettandone le differenze e provando a comprenderne il punto
di vista per rispettarlo in quanto alterit.

Raccolto in unit, l'uomo capace di mettersi in cammino verso l'incontro, che solo ora pu
compiutamente riuscire.17

Anche per Buber, dunque, fondamentale che lio passi attraverso il raccoglimento; esso ,anche in questo
caso come in Marcel, un momento necessario che il soggetto deve attraversare per riconoscersi ed accettarsi
nella sua totalit di persona per poi essere in grado di rivolgere lattenzione verso laltro. Tramite la
riscoperta della sua interiorit entrer in contatto con tutti gli aspetti che gli sono pi propri e che lo

16 M. Buber, Il problema dell'uomo, traduzione a cura di Fabio Sante Pignagnoli, cit., p. 155

17 M. Buber, Io e tu in Il principio dialogico e altri saggi, cit., p. 121


caratterizzano in quanto essere umano e che non riguardano esclusivamente la sfera spirituale ma anche gli
istinti, la sensibilit e lemotivit. Il raccoglimento vuole far s che lio si ricomprenda senza abbandonare
nessuna delle sue caratteristiche, laltro riuscir ad essere testimone proprio della complessit ed unitariet
che lo caratterizzano.

Il fondamento dell'essere uomo-con-l'uomo questa duplicit ed unit: il desiderio di ogni uomo di


essere confermato per ci che , per ci che diventer, e la capacit innata dell'uomo di confermare
allo stesso modo gli uomini come lui.18

Questa consapevolezza implica che il soggetto sia conscio del fatto che laltro, una volta conosciuto, non
corrisponder mai a quella idea o immagine che lio stesso si era creato. Piuttosto il soggetto che
concretamente si apre alla relazione, neanche avanza questa pretesa di sapere gi prima dellincontro ci con
cui entrer in contatto: accetta laltro cos com.

Intuisco lui, intuisco ci per cui egli altro, essenzialmente altro da me, in questo modo unico,
caratteristico, suo proprio, essenzialmente diverso da me, e accetto l'uomo che ho intuito, cos da
potere in tutta seriet indirizzare a lui, in quanto lui, la mia parola.19

Lio e il tu si vengono reciprocamente incontro tramite la comprensione, confermando la loro alterit. Nel
momento in cui uno dei due avesse il desiderio di far assorbire allaltro le proprie credenze ne farebbe quindi
un oggetto da utilizzare. Solo grazie al mantenimento autentico della propria posizione entrambi rimangono
liberi di osservare e analizzare tutte le prospettive mettendo in atto un vero dialogo. Reciprocamente i due
soggetti si immedesimano nei panni dellaltro non per diventarne mera copia ma per comprenderne e
accettarne la posizione. Attraverso questa capacit la presenza dellaltro diventa reale nella sua totalit anche
in quegli aspetti che non sono esperibili tramite la sensazione.

Non importante che uno dica all'altro tutto ci che gli passa per la mente, ma importante che non
permetta a nessuna apparenza di insinuarsi tra lui e l'altro. Non importante che uno si 'lasci andare'
di fronte all'altro, ma importante che permetta all'uomo con cui comunica di partecipare al suo
essere. Essenziale l'autenticit dell'interumano; dove essa manca, neanche l'umano pu essere
autentico.20

Il rapporto sincero riesce a sconfiggere qualsivoglia apparenza, lautenticit dellio riesce ad instaurare una
relazione reale e profonda. Per riuscire a conversare e vivere l'evento dialogico in tutta la sua potenza
necessaria l'immediatezza: proprio grazie all'assenza di preconcetti e di presupposizioni riguardanti
laltro, infatti, che si arriva all'autentica percezione e accettazione di ci che esso veramente . Il tu si muove
18 M. Buber, Distanza originaria e relazione in Il principio dialogico e altri saggi, traduzione a
cura di Andrea Poma, Edizioni San Paolo, Milano 1997, p. 288

19 M. Buber, Elementi dell'interumano in Il principio dialogico e altri saggi, traduzione a cura


di Andrea Poma, Edizioni San Paolo, Milano 1997, p. 304.

20 Ivi, p. 301
incontro allio nello stesso momento in cui lio muove verso il tu, in questa spontanea reciprocit avviene
lincontro. Luomo per essere piena espressione di s deve anche riuscire a sviluppare un senso di
responsabilit che ci che lo differenzia concretamente rispetto alle altre creature viventi. Buber ne parla
dandone un senso che riguarda la capacit di rispondere, lessere pronti a percepire. Spesso la vita
quotidiana finisce per essere una trappola proprio perch a causa di essa luomo non si rende pi conto della
chiusura che ha sviluppato nei confronti degli appelli che il mondo gli fa. Le invocazioni che il soggetto
riceve dai tu che gli si pongono davanti sono ovunque e sempre presenti anche nella vita di tutti i giorni; le
alterit chiamano il soggetto allagire in conformit alla responsabilit che sar il mezzo attraverso cui
emerger la verit come frutto della presenza reale dellio e del tu. Solo in questo modo, cio una volta
arrivati al cospetto della verit che emerge nella relazione con il tu e dopo averlo riconosciuto in quanto
diverso, lio pu comprendersi in quanto se stesso

Il rivolgere la parola si fonda sul fatto di porre e riconoscere l'autonoma alterit dell'altro con il
quale, proprio per questo motivo, si in relazione, interrogando e rispondendo.21

Qualsiasi sia il modo in cui lio riceve lappello dellaltro, lio responsabile di rispondere alla chiamata che
rimarr sterile se non trover risposta. Limportanza della responsabilit risiede quindi anche nella capacit
di dare risposta in quanto essa rappresenta proprio la presenza concreta di chi stato chiamato allincontro.
Senza la risposta quindi la relazione resta incompleta e irrealizzata e cos anche la vita stessa che diventa
vuota di contenuti se lio non risponde agli appelli dellalterit di cui la sua esistenza colma. Quando il
filosofo parla di vita dialogica, e con questa terminologia indica il modo pi proprio di vita per luomo,
scrive:

Vita dialogica non quella in cui si ha a che fare con molti uomini, ma quella in cui si ha davvero a
che fare con gli uomini con cui si ha a che fare.22

E nella sua quotidianit che luomo riceve linvito al dialogo e che gli appare la vera realt a patto che egli
sia pronto ad accogliere la responsabilit che questo atto di apertura comporta. La modernit si oppone alla
percezione onnicomprensiva delluomo come essere unitario e unico che Buber d, essa dominata dallo
sguardo analitico e riduttivo che tratta l'intero essere corporeo-spirituale come composito, e quindi
scomponibile. In questo clima la realt vera della persona si annulla per lasciare posto ad un livellamento
che omologa gli individui e che gli fa perdere la possibilit di esprimersi in quanto libert. Luomo moderno
si lascia imporre dalla realt in cui vive dei limiti alle sue azioni ed invece di considerarsi in quanto soggetto
attivo si lascia soggiogare dalle forze caratterizzanti le situazioni che vive. Nella societ moderna il mondo
dellesso ha preso il sopravvento, nonostante sia necessario e insito nella natura delluomo tornarvi a fare
esperienza, la sua presenza diventata oppressiva facendo perdere al soggetto il valore della vita pi

21 M. Buber, Distanza originaria e relazione in Il principio dialogico e altri saggi, cit., p. 289

22M. Buber, Dialogo in Il principio dialogico e altri saggi, cit., p. 206


autentico cio quello del dialogo con laltro. Questa necessit di riscoprire un soggetto dialogico diventa
motore infinito della ricerca filosofica di questi pensatori che, come limmagine del filosofo che d Marcel
nellintroduzione de Il Mistero dellEssere, riescono a ricercare un senso di unit scavando tra le macerie e
diventando viaggiatori instancabili allinterno delle pieghe dellessere.

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