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Introversione e lavoro

1.

Essendo l'introversione un modo di essere a spettro, che riconosce numerose varianti, l'analisi del
rapporto tra introversione e lavoro non pu ricondursi ad una formula univoca. In questo articolo,
l'analisi verter sul tipo di rapporto prevalente che si intrattiene tra l'introverso tipico, il mercato del
lavoro, gli ambienti di lavoro, i colleghi, ecc.

Per introverso tipico intendo - in riferimento al lavoro - un soggetto che ha capacit umane e
"tecniche" (competenze professionali) rilevanti, un senso del dovere piuttosto marcato (che implica
una qualche soggezione nei confronti dell'autorit e del giudizio sociale), un orientamento
tendenzialmente perfezionistico, associato, di solito, ad un senso persistente di inadeguatezza e di
scarso valore.

E' evidente che queste qualit, se per un verso sono riconducibili a potenzialit piuttosto elevate (che
peraltro all'introverso sembrano normali o, spesso, al di sotto della media), implicano anche una
strutturazione della personalit, prodotta dall'interazione con l'ambiente, psicodinamicamente
caratterizzata da un Super-io piuttosto rigido e/o da un'Ideale dell'Io elevato che mantengono l'io
cosciente in una condizione di schiavit, vale a dire senza alcuna difesa nei confronti delle richieste
di prestazioni che vengono dall'esterno e sono amplificate da quelle interne.

Una variabile significativa, da questo punto di vista, il grado di consapevolezza che l'Io ha rispetto
a questa schiavit. Talora la consapevolezza del tutto assente, fino al limite estremo del soggetto
che definisce il suo modo di rapportarsi al lavoro come una libera scelta; altre volte, la consapevolezza
esiste, ma il desiderio di cambiare urta contro il muro del senso di colpa soggettivo e della paura del
giudizio sociale.

La strutturazione superegoica, mantenendo l'Io in uno stato di soggezione o di tensione perpetua,


comporta sempre psicodinamicamente una valenza oppositiva di segno contrario: un Io antitetico,
insomma, che veicola nelle forme pi diverse un bisogno di libert frustrato.

Occorre, dunque, per comprendere l'insieme dei comportamenti introversi in rapporto al lavoro tenere
conto di uno spettro dinamico che comporta due estremi, l'uno dei quali, caratterizzato da una
soggezione totale dell'Io al Super-Io, vissuto spesso come Ideale dell'io, implica la repressione e la
rimozione dell'Io antitetico, mentre l'altro, caratterizzato dall'identificazione dell'Io con l'Io antitetico,
implica la repressione e la rimozione delle sollecitazioni e dei sensi di colpa prodotti dal Super-Io.

Tra questi estremi si danno, ovviamente, le combinazioni dinamiche del pi vario genere, che, tra
l'altro, fluttuano nel corso del tempo.

La distribuzione delle esperienze introverse all'interno dello spettro non omogenea. Gran parte di
esse, infatti, per quanto concerne il lavoro, si addensano verso l'estremit che comporta un senso del
dovere implacabile; una quota assolutamente minoritaria si realizzano sul registro della
rivendicazione di libert ad ogni costo.

Che cosa significa questo in termini concreti? N pi n meno che l'introversione, per quanto
concerne il lavoro, d luogo a tre tipologie comportamentali: la prima, la cui frequenza notevole,
quella del lavoratore ideale, che si dedica anima e corpo all'espletamento dei suoi doveri,
apparentemente senza sforzo e senza problemi; la seconda, anch'essa piuttosto frequente, quella del
lavoratore la cui dedizione e le cui capacit sono riconosciute, ma che caratterialmente un
rompiscatole, perch ha sempre qualcosa da ridire sull'organizzazione del lavoro, sulla decisione dei
capi, ecc.; la terza, piuttosto rara, quella del lavoratore le cui grandi capacit sono intuibili, ma che
le utilizza facendo il minimo indispensabile, ed eccelle soprattutto nel ruolo di grillo parlante che
contesta i capi, critica la passivit dei colleghi nei confronti dell'organizzazione lavorativa, ecc.

Si tratta, com' ovvio, di una schematizzazione, la cui validit va messa alla prova attraverso un'analisi
pi articolata.

2.

La prima tipologia esemplificata in maniera estrema dall'esperienza di M., che ho analizzato in un


articolo precedente (Significato funzionale dei sintomi 5).

M., per il suo perfezionismo, il bisogno estremo di sentirsi confermato dai capi e la convinzione di
non fare mai quanto sarebbe necessario per guadagnarsi lo stipendio, incarna il ruolo del lavoratore
ideale nell'ottica della globalizzazione. Lavorando nel campo dell'informatica, laddove le richieste di
prestazioni sono, soprattutto per quanto concerne i tempi, al limite delle possibilit umane (e talora
francamente al di l), egli muove dall'ingenuo presupposto che ci che viene richiesto dai capi deve
essere realisticamente realizzabile. In conseguenza di questo, si impegna a corpo morto, all'insegna
della paura di non essere all'altezza, e di poter essere rimproverato o licenziato. Non solo si sofferma
sul posto di lavoro un'ora o due pi del concordato, ma, addirittura, continua a lavorare sui programmi
da compilare anche a casa sua, di sera e nel week-end.

La sua ansia da prestazione tale che non si d pace finch il compito assegnato (che richiede la
soluzione di complessi problemi legati ai linguaggi di programmazione) non giunge al punto di
intravederne l'esito positivo. Ci significa che M. porta a compimento il lavoro quasi sempre con un
certo anticipo sul tempo assegnato dai capi. Questi naturalmente prendono atto delle sue eccellenti
prestazioni, ma non solo non lo gratificano pi di tanto (per la paura di trovarsi di fronte ad una
richiesta di aumento dello stipendio), facendogli credere che egli si limitato a fare il suo dovere.
Non appena porta a compimento un lavoro, gliene assegnano immediatamente un altro, come se fosse
una macchina prestazionale.

Il nuovo lavoro, naturalmente, per M. un'ulteriore prova di essere o non essere adeguato. Egli
l'affronta con la stessa paura di fallire con cui ha affrontato le precedenti. L'esperienza di aver fornito
sempre eccellenti prestazioni sembra non contare nulla in termini di sicurezza personale e di
autovalutazione.

In una situazione del genere, non sorprendente che l'Io antitetico si esprima attraverso periodiche
crisi di profonda stanchezza che tendono a limitare le prestazioni fornite. Ancor meno sorprendente
che M., completamente preda di un Super-Io perfezionistico, interpreti la stanchezza come
espressione di una pigrizia di fondo che potrebbe comportare il pericolo di essere squalificato agli
occhi dei capi e allontanato dal lavoro.

Naturalmente l'orientamento di M., incline a soddisfare tutte le richieste che vengono dai datori di
lavoro, creano dei problemi nei rapporti con i colleghi. Per un verso, infatti, egli incarna ai loro occhi
il ruolo odioso del primo della classe che, con le sue prestazioni, sottolinea la sua superiorit
evidenziando la loro inferiorit. In secondo luogo, essendo introverso e totalmente assorbito
dall'impegno lavorativo, M., al di l di un saluto formale, non stabilisce con essi alcun tipo di rapporto
interpersonale, non avendo tempo da perdere. Riesce dunque anche per questo aspetto antipatico.

Anche se l'esperienza di M., con i suoi livelli di cieca soggezione nei confronti dell'Autorit e
l'assenza di qualunque coscienza riferita allo sfruttamento lavorativo, si pu ritenere singolare nel
nostro tempo espressione di una personalit introversa evoluta in un contesto familiare piccolo-
borghese, tradizionalista e conservatore, la tipologia in rapporto al lavoro che essa definisce
abbastanza comune.

Molti introversi sono, insomma, "stakanovisti", lavoratori esposti al rischio di essere sfruttati senza
limite e di essere invisi ai colleghi. La differenza all'interno di questa tipologia tra coloro, come M.,
che non hanno alcuna consapevolezza della loro condizione e coloro che, nel loro intimo, si
arrabbiano e si prefiggono di cambiare, solitamente senza riuscirci.

Il cambiamento, infatti, postula un atteggiamento critico rivolto non tanto all'esterno (dato che le
richieste dei datori di lavoro in un contesto capitalistico sono sempre inique), bens all'interno,
laddove il Super-io e l'Io ideale svolgono la funzione di un cavallo di Troia che vanifica ogni difesa.
Tale atteggiamento, per essere operativo, deve associarsi ad una presa di coscienza del proprio valore
e delle proprie competenze professionali.

3.

Un esempio della seconda tipologia concernente introversi perfezionisti che sono nel contempo
oppositivi documentata nella testimonianza fornita dalla signora Maria Concetta Cirrincione. Tale
tipologia caratterizzata da prestazioni eccellenti associate ad una tendenza pi o meno costante a
contestare l'Autorit quando essa agisce iniquamente e a rilevare impietosamente tutte le
contraddizioni presenti nell'ambiente di lavoro, compresa la passivit dei colleghi o la loro tendenza
a difendersi dallo sfruttamento scaricando sugli altri le proprie responsabilit.

Lavoratori eccellenti ma "rompiscatole", gli introversi che appartengono a questa categoria di solito
pagano il prezzo di quello che viene identificato come un cattivo carattere, impulsivo (per le ricorrenti
esplosioni di rabbia) e, talora, tracotante nei confronti dell'Autorit. Il prezzo che viene pagato solo
raramente si traduce in un allontanamento dal posto di lavoro, dato che i capi tendono a non
rinunciare, se non in casi estremi, a soggetti che sono lavorativamente produttivi, affidabili e
coscienziosi. Pi spesso, esso si riflette sulla carriera, che viene in qualche misura compromessa dagli
aspetti caratteriali.

La tipologia in questione richiede una riflessione teorica sulla struttura della personalit profonda.
Essa, infatti, comporta una vera e propria scissione tra due modi di essere non integrati: l'uno
caratterizzato da una soggezione e ad un rispetto cieco nei confronti dell'Autorit, l'altro da una
tendenza incoercibile alla contestazione e alla ribellione. Si tratta di una scissione psicodinamica, non
psicotica. L'Autorit che viene ciecamente rispettata, infatti, un'Autorit ideale, interiorizzata, che,
per la sua saggezza e la sua equit, merita il rispetto, mentre quella che viene contestata e sfidata la
persona reale che la esercita in maniera arbitraria e ingiusta. Il conflitto, in altri termini, investe lo
scarto tra il Ruolo (idealizzato) e Colui o Coloro che lo ricoprono.

evidente che l'aspettativa di un'Autorit che sia degna del Ruolo che ricopre ha una valenza
perfezionistica, e pertanto esposta a frequenti frustrazioni che attivano le esplosioni di rabbia.

pur vero per che gli introversi che rientrano nella categoria in questione, se si imbattono in un
Capo che abbia umanamente e professionalmente un prestigio reale e sia in grado di valorizzare le
loro qualit, manifestano un rispetto, una dedizione e una fedelt costanti nel tempo. Ci significa
che le loro aspettative nei confronti dell'Autorit sono senz'altro molto elevate, ma non irragionevoli
e dereistiche.

In questo caso, evidente che l'introversione incide in conseguenza della utopia ad essa intrinseca di
un mondo ideale, nel quale le Persone siano degne dello Status e del potere che hanno.
4.

La terza tipologia quasi sempre caratterizzata, oltre che da una valenza oppositiva, da un'ideologia
antisistemica radicale, le cui ascendenze sono da ricondurre spesso alla cultura alternativa degli anni
'70.

Un caso esemplare a riguardo quello di N., un introverso che si aperto alla socialit solo nella
temperie del 77, quando era un adolescente piuttosto "imbranato". Esauritasi quella stagione,
nondimeno egli, pur avendo quasi del tutto perduto i rapporti con i "compagni" del movimento,
rimasto rigorosamente fedele al valore di non farsi integrare.

sopravvissuto dedicandosi a vari "lavoretti", finch non riuscito ad "imbucarsi" in una struttura
pubblica dedita alla cura dell'ambiente naturale. L'inserimento stato produttivo sotto il profilo
culturale. N., infatti, ha sviluppato un'autentica passione per l'ecologia, ha seguito un corso
universitario, si laureato a pieni voti, e, poi, ha proseguito da solo la sua formazione, raggiungendo
livelli di competenza tali per cui ha pochi rivali nell'ambiente di lavoro, anche a livello dirigenziale.
Egli dunque potrebbe farsi valere.

Il problema che, in nome dell'ideologia antisistemica (incentrata ovviamente sul sogno di un mondo
diverso), egli disprezza profondamente la struttura burocratica nella quale inserito, la mediocrit
dei capi e la mentalit piccolo-borghese dei colleghi. Nella misura in cui le sue prestazioni potrebbero
dar lustro a quella struttura, egli rifiuta di fornirle.

Essendosi fatto assegnare ad un servizio esterno, che comporta il controllo dei corsi d'acqua fluviali,
egli gode di una notevole libert. Il poco che fa, lo fa in maniera eccellente. Ma di ben poco si tratta.
Ogni sollecitazione dei Capi, che intuiscono il suo valore, a darsi da fare per migliorare le sue
prospettive di carriera, viene sdegnosamente respinta come un tentativo di integrarlo.

Al di l delle prestazioni, eccellenti qualitativamente ma appena sufficienti quantitativamente, c' da


considerare poi l'atteggiamento di fondo di N. nei confronti della struttura da cui dipende, dei Capi e
dei Colleghi. Egli non solo non nasconde il suo disprezzo, ma non manca occasione (e se ne danno
molteplici) per dissentire, criticare, contestare, denunciare.

Dotato di un'intelligenza e di una cultura fuori del comune, N. argomenta le critiche in maniera
articolate e poco confutabile, non perde mai la calma, tollera con estrema dignit l'isolamento e
l'emarginazione da cui investito (e che egli stesso concorre a produrre e a mantenere).

Perduta ogni speranza nella rivoluzione preconizzata negli anni '70, egli non ha rinunciato all'utopia
di un mondo migliore. Si considera pertanto un "resistente" civile, uno che a suo modo lotta e
comunque, pur accettando di farsi mantenere dallo Stato, non si integrato.

5.

Questi tre esempi, che attestano l'ampiezza dello spettro introverso in rapporto al lavoro, e che, su un
fondo comune quello caratterizzato dalle qualit proprie dell'introversione - si differenziano sulla
base di combinazioni psicodinamiche che, da ultimo, hanno una componente culturale e ideologica,
non esauriscono di certo il discorso. Essi pongono casomai i presupposti per portarlo avanti e per
approfondirlo.

Tutti e tre i casi concernono, infatti, lavori che implicano un rapporto di dipendenza privato o
pubblico, e ruoli non dirigenziali.
Che cosa avviene allorch gli introversi si ritrovano a ricoprire ruoli dirigenziali o allorch essi
svolgono un lavoro autonomo?

Questi aspetti saranno presi in considerazione in un ulteriore articolo.

Una riflessione a riguardo, per, importante anticiparla.

Per le loro qualit (fuori dal comune, spesso anche sul piano professionale) e il loro modo di essere
(contrassegnato da un bisogno rilevante di individuazione), ci si aspetterebbe che il numero degli
introversi che ricoprono ruoli dirigenziali o che svolgono un'attivit autonoma fosse elevato. Cos
non : si tratta, nell'uno e nell'altro caso, di eccezioni piuttosto che della regola.

E' evidente che nel determinare questo fenomeno incidono due aspetti correlati tra loro: la tendenza
all'autosvalutazione e la paura di assumersi responsabilit.

Questi due aspetti non sono solo importanti per i soggetti, che spesso si ritrovano a percorrere un
tragitto lavorativo distante dalla loro vocazione, pagandone spesso il prezzo in termini di frustrazione.
Essi sono importanti anche da un punto di vista civile e sociale, perch, come ho avuto modo gi di
rilevare, la tendenza degli introversi a mettersi da parte, a stare nell'ombra e, talora, ad emarginarsi
lascia il campo libero a coloro che, dotati di minori qualit umane, morali, culturali e professionali,
sono per divorati dall'ambizione, dalla sete del successo, dalla volont di raggiungere uno status
ragguardevole o prestigioso ad ogni costo.

Non penso di esagerare nell'affermare che questo modo radicalmente diverso, tra introversi ed
estroversi, di rapportarsi alla struttura sociale, per cui i primi tendono a defilarsi e i secondi ad
integrarsi il pi possibile, uno dei motivi del degrado antropologico che si realizzato nel contesto
della nostra societ (e anche di tutte le societ avanzate), negli ultimi decenni.

Si tratta di un tema in senso ampio "politico" sul quale non si rifletter mai abbastanza.

[Luigi Anepeta]

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