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nesimo tradizionale). Di una tale opera non si poteva non parlare a Bay-
reuth, nel circolo dei Wagner. E Cosimo, infatti, in una pagina di Diario
del 7 febbraio 1873 annota di averne discusso durante un pranzo dai We-
sendonck e di averla trovata insieme al marito a differenza della padro-
na di casa che la difendeva terribilmente superficiale. Tanto pi che
lo stesso Wagner aveva un vecchio conto da regolare2 con David
Strauss, da ascriversi al fatto che quest'ultimo era intervenuto pubblica-
mente a favore del direttore d'orchestra Franz Lachner (1803-1890) nella
polemica con lo stesso Wagner, che lo aveva praticamente soppiantato alla
corte monacense di Luigi n di Baviera. Perci si parlato3 della prima
Inattuale nietzscheana come di un'opera scritta dietro suggerimento o, ad-
dirittura, su incarico dello stesso Wagner, evidentemente insoddisfatto dei
tre velenosi ma poco efficaci sonetti che aveva indirizzato contro
Strauss. Ma non questo un problema di grande rilevanza ai fini di una
lettura e di una valutazione del bellicoso pamphlet nietzscheano. Indub-
biamente qui ma l'osservazione si pu tranquillamente estendere alle al-
tre Inattuali ancora fortemente avvertibile l'influenza dei Maestri della
sua giovent: Schopenhauer e Wagner, il travagliato distacco dai quali co-
mincer solo con il concludersi o meglio, con l'interruzione del ciclo delle
Inattuali (Nietzsche ne aveva infatti previste altre dodici). Della presenza di
Schopenhauer nella verve causticamente polemica che anima lo scritto an-
ti-straussiano e, quindi, anti-flisteo d Nietzsche, gi si detto. Wagner
poi, se non direttamente all'origine di queste pagine come occulto o palese
ispiratore, ne certo partecipe della genesi fino ad attenderne con impa-
zienza l'invio (come testimonia, appunto, una sua lettera a Nietzsche del
30 aprile 1873). Non , per, quella delle ascendenze o dei debiti la cifra
migliore per leggere questa prima Considerazione inattuale, di cui quasi
ovvio affermare che si tratta ancora di un frutto acerbo, seppur denso di
succhi originali. Per interpretare quest'opera che si presenta nel segno del-
l'eccesso: dell'eccesso polemico anzitutto e, quindi, dell'eccedenza della
forma e della tonalit stilistica su qualsiasi contenuto, la chiave migliore ci
ancora offerta dallo stesso Nietzsche con lo sguardo retrospettivo che in
Ecce homo rivolge alle quattro Inattuali ed, in particolare, allo straordi-
nario successo che tocc alla prima, al superbo clamore da essa suscita-
to. Come precisa subito Nietzsche, le Inattuali sono da leggersi essenzial-
mente nel segno della guerra: hanno il carattere strategicamente bellico del-
l'attacco, dell'attentato. E qui, nella prima, l'attacco frontale, l'incursione
quasi terroristica era rivolta direttamente alla cultura tedesca, contro la
sua fatale mutazione in pura e semplice opinione pubblica. E gi cos si
chiarisce il senso dello scritto contro Strauss: l'aver sancito un irreversibile
dissidio tra lo spirito della filosofia nietzscheana e quello del Deutschtum
e, pi in generale, tra la sua concezione della cultura e una qualsiasi filoso-
fia dello Stato. Ogni immediata utilizzazione politica di Nietzsche trova
qui Usuo ingombrante ostacolo4. Con il suo attacco al filisteismo della cul-
tura, in quanto del tutto acquiescente ali'estirpazione dello spirito tedesco
a favore delV'impero tedesco", Nietzsche intende avvertire che lo stile del
suo pensiero assolutamente in urto con il proprio presente. Ma questo
2
Cfr. per questo C. P. Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie, tr. it.: Vita di Nietzsche, a
cura di M. Carpitella, 3 voli., Laterza, Roma-Bari 1980, voi. , pp. 498-499.
3
Cfr. C. P. Janz, op. cit., voi. i, pp. 499-500.
4
A questo proposito sempre da vedere il saggio di M. Cacciari su L'impolitico nietz-
scheano contenuto in F. Nietzsche, // libro del filosofo, a cura di M. Beer e M. Ciampa, con
saggi di M. Cacciari, F. Masini, S. Moravia e G. Vattimo, Savelli, Roma 1978.
INTRODUZIONE DI FABRIZIO DESIDERI 273
5
6
G. Colli, op. cit., p. 26.
Ancora in Ecce homo e proprio nelle pagine che dedica ad Umano, troppo umano Nietz-
sche chiarisce la ragione del suo distacco da Wagner, la profonda estraneit provata assi-
stendo al primo festival di Bayreuth: Cos'era accaduto? Si era tradotto Wagner in tede-
sco! Il "wagneriano" si era impossessato di Wagner! L'arte tedesca, il maestro tedescol La
birra tedesca*. [...] Il povero Wagner; dov'era andato a finire! Fosse almeno finito tra i porci!
Ma'tra i Tedeschi!. Come, poi, avesse cercato di difendere Wagner stesso dall'identificazio-
ne con la cultura tedesca contemporanea lo testimoniano gli ultimi aforismi di Al di l del be-
ne e del male, dove da un lato, si continua a parlare della Francia come della sede della pi
spirituale e raffinata cultura europea (af. n. 254) e dall'altro, si sostiene la profonda affinit
tra lo spirito della musica wagneriano quello spirito incompreso allo stesso Wagner e
274 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE
Ges, intorno alla met degli anni Sessanta era stato una lettura importan-
te per il giovane Nietzsche, tra quelle decisive nel farlo desistere dagli studi
teologici e, quindi, dal percorrere la strada del padre. Il tutto, naturalmen-
te, con sommo scandalo della madre10. Proprio di questo, forse, Nietzsche
aveva dimenticato di mostrarsi grato nei confronti del vecchio Strauss. E
probabilmente anche in tal caso la dimenticanza aveva i suoi buoni, recon-
diti motivi.
FABRIZIO DESIDERI
riet e con la sincerit che propria della grandezza, questo fatto enorme e
profondamente vergognoso per un popolo dotato, com' possibile che fra i
Tedeschi colti regni la pi grande contentezza, una contentezza che, dal-
l'ultima guerra in poi, addirittura si mostra continuamente pronta a pro-
rompere in spavalda esultanza e a trasformarsi in trionfo? Si vive comun-
que nella fiducia di possedere una vera cultura: e l'enorme contrasto fra
questa fiducia soddisfatta, anzi trionfale, e un'evidente manchevolezza
sembra sia percepito solo da pochissime, rarissime persone. Infatti tutti co-
loro che concordano con l'opinione pubblica, si sono bendati gli occhi e
tappate le orecchie quel contrasto non deve esistere. Come possibile
ci? Quale forza tanto potente da prescrivere un simile non deve? Qual
sorta di uomini dev'esser giunta al potere in Germania per vietare senti-
menti tanto forti e semplici, oppure per impedirne l'espressione? Questa
potenza, questa sorta di uomini, voglio chiamarli per nome sono i fili-
stei colti.
Com' noto, la parola filisteo presa dalla vita studentesca, e definisce
in senso lato, e tuttavia affatto popolare, l'opposto del figlio delle Muse,
dell'artista, del vero uomo di cultura. Ma il filisteo colto studiarne il ti-
po, ascoltarne le dichiarazioni, ove le faccia, diviene oggi increscioso dove-
re si distingue dall'idea generale della specie filisteo per una supersti-
zione: si illude di essere egli stesso figlio delle Muse e uomo di cultura;
un'illusione incomprensibile, dalla quale discende che egli non sa affatto
che cosa sia il filisteo e che cosa il suo contrario: per cui non ci meraviglie-
remo se nella maggior parte dei casi giurer solennemente di non essere fili-
steo. In questa mancanza di ogni conoscenza di s, egli si sente fermamente
convinto che la sua educazione sia proprio la piena espressione della ve-
ra cultura tedesca: e poich dappertutto si trova davanti persone colte della
sua specie, e tutte le istituzioni pubbliche, scolastiche, culturali e artistiche
sono organizzate in base alla sua culturalit e alle sue esigenze, egli si porta
attorno dappertutto il vittorioso sentimento di essere il degno rappresen-
tante della cultura tedesca odierna, e in conformit a ci formula le sue ri-
chieste e le sue pretese. Ora, se la vera cultura presuppone comunque un'u-
nit di stile, e se persino una cultura cattiva e degenerata non pu pensarsi
senza quella molteplicit che confluisca nell'armonia di un unico stile, la
confusione insita in quell'illusione del filisteo colto pu ben derivare dal
fatto che egli dappertutto ritrova l'uniforme impronta di se stesso, e che da
questa impronta uniforme di tutte le persone di cultura deduce un'unit
di stile nell'educazione tedesca, insomma una cultura. Attorno a s egli
scorge esigenze tutte uguali e opinioni simili; ovunque vada, subito lo av-
volge il vincolo di una tacita convenzione su molte cose, specialmente in
questioni di religione e d'arte: questa imponente omogeneit, questo tutti
unisono non comandato eppure subito prorompente, Io induce a credere
che qui operi una cultura. Ma il filisteismo sistematico e reso dominante
non , per il fatto di avere un sistema, ancora cultura, e neppure cattiva
cultura, bens sempre e soltanto il contrario di essa, ossia barbarie durevol-
mente fondata. Infatti tutta quell'unit di impronta, che cos regolarmente
ci salta agli occhi in ogni persona colta della Germania di oggi, diviene tale
solo per la consapevole o inconsapevole esclusione e negazione di tutte le
forme ed esigenze artisticamente produttive di un vero stile. Nel cervello
del filisteo colto dev'essersi prodotto uno sciagurato travisamento: egli
considera cultura proprio ci che ne la negazione, e poich procede con
coerenza, ottiene alla fine un gruppo compatto di tali negazioni, un siste-
ma di non-cultura, alla quale potrebbe concedersi persino una certa unit
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [2] 281
di stile, se ancora avesse un senso parlare di una barbarie assunta a stile.
Se lo si lascia libero di decidere tra un'azione conforme a uno stile e una
contraria, egli sceglie sempre la seconda, e poich sceglie sempre questa, in
tutte le sue azioni resta un'impronta negativamente omogenea. Proprio di
qui egli riconosce il carattere di ci che ha patentato come cultura tede-
sca: dalla non concordanza con questa impronta che egli misura ci che
gli riesce ostile e fastidioso. In tal caso il filisteo colto si limita a respingere,
negare, celare, tapparsi le orecchie, non guardare, un essere negativo, an-
che nel suo odio e nella sua ostilit. Ma egli nessuno odia pi di colui che
lo tratta da filisteo e gli dice ci che : l'ostacolo di tutti i forti e i produtti-
vi, il labirinto di tutti i dubbiosi e gli sperduti, la palude di tutti gli sfiniti,
la catena al piede di tutti coloro che corrono verso alti scopi, la nebbia ve-
lenosa per tutti i nuovi germogli, l'arido deserto di sabbia per lo spirito te-
desco che cerca assetato nuova vita. Infatti cerca, questo spirito tedesco! e
voi lo odiate perch cerca, e non vuol credervi quando sostenete di aver gi
trovato ci che esso cerca. Com' possibile che un tipo come quello del fili-
steo colto sia potuto nascere e, se nato, sia potuto assurgere alla potenza
di supremo giudice di tutti i problemi culturali tedeschi? com' possibile,
dopo che accanto a noi passata una serie di grandi figure eroiche che con
ogni loro movenza, con tutta l'espressione del volto, con la voce interroga-
tiva, gli occhi fiammeggianti, rivelavano una sola cosa: che erano dei cer-
catori, e cercavano ardentemente e con severa determinazione proprio ci
che il filisteo colto si illude di possedere: la vera, originaria cultura tede-
sca? Esiste un terreno, sembravano chiedere, cos puro, cos intatto, di cos
verginale sacralit, che su di esso e su nessun altro lo spirito tedesco possa
costruire la sua casa? Cos chiedendo traversarono il deserto e la sterpaglia
di tempi miserabili e di situazioni anguste, e come cercatori scomparvero ai
nostri sguardi: tanto che uno di loro, in tarda et, pot dire per tutti: Per
mezzo secolo mi son reso la vita amara abbastanza e non mi son concesso
riposo, ma ho sempre lottato e indagato e agito quanto meglio e pi ho po-
tuto.
Ma come giudica la nostra cultura filistea questi cercatori? Li prende
semplicemente per persone che abbiano trovato, e sembra dimenticare che
essi si sentivano soltanto dei cercatori. Abbiamo gi la nostra cultura, si di-
ce allora, perch abbiamo i nostri classici, non esistono solo le fonda-
menta, no, anche l'edificio gi poggia su di esse questo edificio siamo
noi. Cos dicendo il filisteo si porta la mano alla fronte.
Ma per poter giudicare i nostri classici cos erroneamente e onorarli in
modo cos insultante, bisogna che non li si conosca pi affatto: e questa
la situazione generale. Altrimenti si dovrebbe sapere che c' un solo modo
di onorarli, quello di continuare a cercare, nel loro spirito e con il loro co-
raggio, senza stancarsi. Invece far gravare loro addosso il termine cos im-
pegnativo di classici ed edificarsi una volta ogni tanto sulle loro ope-
re, cio abbandonarsi a quelle commozioni pallide ed egoistiche chele no-
stre sale da concerto e le nostre platee promettono a chiunque paghi; e cos
pure erigere statue e battezzare col loro nome feste e associazioni tutto
questo soltanto un saldo in moneta sonante, con il quale il filisteo colto
chiude i conti con loro, per non conoscerli pi nel resto, e soprattutto per
non doverli seguire e non dover continuare a cercare. Infatti: non si deve
pi cercare; questo il motto del filisteo.
Una volta questo motto aveva un certo senso: allorch in Germania, nel
primo decennio di questo secolo, si lev un confuso mareggiare di cos
molteplici e sconcertanti ricerche, esperimenti, distruzioni, promesse, pre-
282 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [2]
sagi, speranze, che il ceto medio intellettuale dovette a ragione temere per
se stesso. A ragione esso allora respinse con una scrollata di spalle il miscu-
glio di filosofie fantasiose, dal linguaggio distorto, e di esaltata riflessione
sulla storia, consapevole dei fini, il carnevale di tutti gli di e miti messo as-
sieme dai Romantici, e le mode e le follie poetiche inventate in uno stato di
ebbrezza; a ragione, perch il filisteo non ha diritto neppure a una dissolu-
tezza. Ma, con la scaltrezza propria delle nature inferiori, egli profitt del-
l'occasione per render sospetta la ricerca in generale e per esortare alla co-
moda scoperta. I suoi occhi si aprirono alla felicit filistea: cerc scampo
da tutto quel selvaggio sperimentare rifugiandosi nell'idillico, e contrappo-
se all'irrequieto impulso creativo dell'artista un piacere tranquillo, il piace-
re per il proprio angusto orizzonte, per la propria quiete, anzi per la pro-
pria limitatezza. Il suo dito teso indicava, senza inutili pudori, tutti gli an-
goli riposti e segreti della sua vita, le tante gioie ingenue e toccanti che cre-
scevano, come umili fiori, nella pi misera profondit di un'esistenza non
coltivata e per cos dire sul terreno paludoso della vita filistea.
Si trovarono singolari talenti descrittivi che con gentile pennello dipinse-
ro la felicit, la quiete, la quotidianit, la villica sanit e tutta la conforte-
volezza diffusa nelle camere dei bambini, degli studiosi e dei contadini.
Con tali libri illustrati della realt tra le mani, quegli uomini placidi cerca-
rono di trovare una volta per tutte un accordo con gli inquietanti classici e
con le esortazioni che da essi provenivano a continuare la ricerca; escogita-
rono il concetto di et degli epigoni, soltanto per aver pace ed esser pronti
a sfoderare subito, di fronte a ogni scomoda novit, il verdetto sfavorevole
di opera di epigono. Appunto questi amanti della quiete allo stesso sco-
po, di garantirsi la propria pace, si impadronirono della storia, e cercarono
di trasformare in discipline storiche tutte le scienze dalle quali ci si potesse-
ro ancora aspettare turbamenti per la tranquillit, soprattutto la filosofia e
la filologia classica. Con la coscienza storica si salvarono dall'entusiasmo
perch la storia nemmeno questo doveva pi produrre, come invece
Goethe poteva ancora pensare: mentre proprio l'ottundimento oggi lo
scopo di questi non filosofici ammiratori del nil adrnirari, quando cercano
di intendere tutto storicamente. Mentre si dava a credere di odiare il fanati-
smo e l'intolleranza in ogni loro forma, in sostanza si odiava il genio domi-
natore e la tirannide di reali esigenze culturali; e per questo vennero impe-
gnate tutte le forze a paralizzare, ottundere o dissolvere dovunque ci si do-
vessero aspettare movimenti freschi e potenti. Una filosofia che sotto fregi
bizzarri nascondeva, come la veste di Coo, la professione di fede filistea
del suo fondatore, invent per di pi una formula per la divinizzazione del-
la quotidianit: parl della razionalit di tutto ci che reale, entrando co-
s nelle grazie del filisteo colto, il quale ama anche i fregi bizzarri, ma so-
prattutto concepisce come reale solo se stesso, e tratta la propria realt co-
me criterio di misura della ragione nel mondo. A questo punto egli conces-
se a chiunque e a se stesso di indagare, di estetizzare, soprattutto di far mu-
sica e poesia, e anche quadri, come pure intere filosofie: soltanto, per
amor di Dio, che tutto da noi restasse com'era, che a nessun costo si scom-
pigliasse qualcosa nel razionale e nel reale, cio nel filisteo. Costui per
la verit ama molto abbandonarsi di tanto in tanto alle graziose e ardite
trasgressioni dell'arte, e apprezza non poco il fascino di questi oggetti di
distrazione e di intrattenimento; ma separa rigorosamente la seriet della
vita, ossia la professione, gli affari, nonch la moglie e i figli, dal diverti-
mento: e di quest'ultimo fa parte a un dipresso tutto ci che appartiene alla
cultura. Perci guai a quell'arte che cominci essa stessa a fare sul serio e
1
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [2] 283
ponga esigenze che gli tocchino il guadagno, gli affari e le abitudini, ossia
la sua seriet di filisteo da un'arte del genere egli distoglie gli occhi come
se vedesse qualcosa di osceno, e con la faccia di un guardiano della castit
avverte ogni virt bisognosa di protezione di non guardare.
Quanto eloquente nello sconsigliare, tanto grato all'artista che lo sta
a sentire e si lascia sconsigliare; gli fa capire che con lui si vorr essere pi
permissivi e indulgenti e che da lui, fido compagno, non si esigeranno ca-
polavori sublimi, ma soltanto due cose: o imitazione della realt sino alla
scimmiottatura, in idilli o in mansuete satire umoristiche, oppure libere co-
pie delle opere pi riconosciute e famose dei classici, per con pudiche con-
cessioni al gusto dell'epoca. Se infatti egli apprezza soltanto l'imitazione
da epigono o la iconica fedelt nel ritrarre il presente, sa che quest'ultima
glorifica lui stesso e accresce il piacere del reale, e che la prima non gli
reca pregiudizio, anzi giova alla sua reputazione di classico arbitro del gu-
sto, e per il resto non gli procura nessun altro disturbo, dato che con i clas-
sici si gi accordato una volta per tutte. Infine inventa ancora per le sue
abitudini, i suoi modi di vedere, le sue antipatie e le sue preferenze, la for-
mula universalmente efficace di salute, ed elimina, accusandolo di esser
malato e stravagante, ogni scomodo guastafeste. Cos David Strauss, vero
satisfait della nostra situazione culturale e tipico filisteo, parla con espres-
sione caratteristica del filosofare, invero sempre geniale, ma spesso mal-
sano e sterile, di Arthur Schopenhauer. infatti un dato fatale che lo
spirito soglia discendere con particolare simpatia sui malsani e sterili e
che persino il filisteo, se una volta tanto onesto con se stesso, senta nei fi-
losofemi che il suo simile mette al mondo e sul mercato, qualcosa come un
filosofare molte volte insulso, eppure sempre sano e fecondo.
Ogni tanto infatti i filistei, purch si trovino tra loro, si abbandonino al
vino e ricordino le grandi imprese guerresche, diventano sinceri, discorsivi
e ingenui; allora vengono alla luce parecchie cose che altrimenti restano ti-
morosamente nascoste, e pu capitare che qualcuno spiattelli i segreti prin-
cipali dell'intera confraternita. Un momento del genere lo ha avuto recen-
temente un noto teorico di estetica della scuola razionalistica hegeliana. In
verit l'occasione era abbastanza insolita: si celebrava, in una rumorosa
cerchia di filistei, la memoria di un vero e schietto non filisteo, di uno, per
di pi, che nel senso pi stretto del termine mor a causa dei filistei: la me-
moria del magnifico Hlderlin. Perci il famoso teorico di estetica aveva
diritto in quell'occasione di parlare delle anime tragiche che periscono nel-
lo scontro con la realt, intendendo per la parola realt nel senso sud-
detto di ragione filistea. Ma la realta adesso un'altra: ci si potrebbe
chiedere se Hlderlin si ritroverebbe nella grande epoca presente. Io non
so, disse Fr. Vischer, se la sua anima sensibile avrebbe retto a tutta la
grossolanit insita in ogni guerra, a tutta la depravazione che vediamo
avanzare dopo la guerra nei campi pi diversi. Forse egli sarebbe rispro-
fondato nello sconforto. Egli era una delle anime disarmate, era il Werther
della Grecia, un innamorato senza speranza; era una vita piena di delica-
tezza e di nostalgia, ma nella sua volont c'erano anche forza e contenuto,
e grandezza, pienezza e vita nel suo stile, che talvolta ricorda addirittura
Eschilo. Solo che il suo spirito aveva troppo poca durezza; gli mancava
l'arma dell'umorismo; non poteva sopportare che non si fosse ancora bar-
bari, quando si era filistei. Quest'ultima dichiarazione ci interessa, non le
dolciastre condoglianze dell'oratore. Gi, si riconosce di essere filistei, ma
barbari? A nessun costo. Il povero Hlderlin purtroppo non ha saputo fa-
re una distinzione cos sottile. Certo, se con la parola barbarie si pensa al
284 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE 13]
3.
In due modi David Strauss fa confessioni su quella cultura filistea, con
la parola e con l'azione, ossia con la parola dell'uomo di fede e con l'azio-
ne dello scrittore. Il suo libro, intitolato La vecchia e la nuova fede, , in-
tanto per il suo contenuto, e poi come libro e prodotto letterario, una con-
fessione ininterrotta; e gi nel fatto che egli si permetta di fare pubbliche
confessioni sulla propria fede, insita una confessione. Il diritto di scri-
vere la propria biografia dopo i quarant'anni possono averlo tutti: infatti
anche l'uomo pi insignificante pu aver vissuto e visto da vicino qualcosa
che per il pensatore risulti prezioso e degno di nota. Ma rendere confessio-
ne sulla propria fede va considerato come incomparabilmente pi preten-
zioso, giacch presuppone che colui che si confessa dia valore non soltanto
a ci che durante la sua esistenza ha vissuto o indagato o visto, ma addirit-
tura a ci che ha creduto. Ora, l'ultima cosa che il vero pensatore desideri
conoscere quel che tutte queste nature alla Strauss professino come loro
fede, e quel che esse abbiano pensato, quasi come in sogno (p. 10), su
cose di cui ha diritto di parlare solo colui che le conosce di prima mano. Chi
pu sentire il bisogno di conoscere la professione di fede di un Ranke o di
un Mommsen, i quali peraltro sono studiosi e storici ben diversi da David
Strauss, e che tuttavia, qualora volessero intrattenerci sulla loro fede e non
sulle loro conoscenze scientifiche, passerebbero malamente il limite? Inve-
ce Strauss fa proprio questo, raccontandoci la propria fede. Nessuno ha
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [3] 285
(p. 367): ci si sente tutti pesti. Ah, Lei vuol udire qualcosa di amabile,
elegante fondatore di religioni. Invece noi vogliamo dirLe qualcosa di sin-
cero. Anche se il Suo lettore si prescriver le 368 pagine del Suo catechismo
religioso in modo da leggerne una pagina al giorno per un anno, dunque in
dosi minime, noi crediamo comunque che finir per sentirsi male: per la
rabbia che non si veda un effetto. Piuttosto farne una bella bevuta, possi-
bilmente tutto in una volta! come dice la ricetta per ogni libro di attualit.
Cos la bevanda non potr nuocere, e il bevitore non si sentir affatto male
e arrabbiato, bens allegro e di buon umore, come se nulla fosse accaduto,
nessuna religione distrutta, nessuna strada mondiale costruita, nessuna
confessione fatta questo s che un effetto! Medico, medicina e malat-
tia, tutto dimenticato! E l'allegra risata! La continua voglia di ridere! Lei,
signor mio, da invidiare, perch ha fondato la religione pi piacevole, os-
sia quella il cui fondatore viene continuamente onorato col ridere che si fa
di lui.
4.
Il filisteo come fondatore della religione del futuro ecco la nuova fede
nella sua forma pi suggestiva; il filisteo diventato fanatico ecco il feno-
meno inaudito che caratterizza in Germania la nostra epoca. Ma per il mo-
mento manteniamo un po' di prudenza anche riguardo a questo fanatismo:
a conservare questa prudenza ci invita lo stesso David Strauss con le se-
guenti sagge espressioni, davanti alle quali in un primo momento ci vien
fatto di pensare non a Strauss, bens al fondatore del Cristianesimo (p. 80):
sappiamo che ci sono stati fanatici nobili, geniali, un fanatico pu stimo-
lare, elevare, pu anche esercitare un'influenza storicamente assai duratu-
ra; ma non vorremo sceglierlo come guida per la nostra vita. Ci condurr
su false strade, se non sottoporremo il suo influsso al controllo della ragio-
ne. Noi sappiamo anche di pi, che possono esistere anche fanatici niente
affatto geniali, fanatici che non stimolano, non elevano eppure mirano a
esercitare un'influenza storicamente assai duratura, come guide di vita, e a
dominare il futuro: tanto pi ci sentiamo indotti a sottoporre il loro fanati-
smo al controllo della ragione. Lichtenberg dice addirittura: esistono fa-
natici senza capacit, e allora sono persone davvero pericolose. Intanto
desideriamo, per questo controllo della ragione, solo una sincera risposta a
tre domande. Prima: come immagina il suo cielo il nuovo credente? secon-
da: sin dove arriva il coraggio ispiratogli dalla nuova fede? e terza: come
scrive i suoi libri? Lo Strauss uomo di fede dovr rispondere alla prima e
alla seconda domanda, e lo Strauss scrittore alla terza.
Il cielo del nuovo credente dev'essere naturalmente un cielo in terra: poi-
ch la prospettiva cristiana di una vita immortale in cielo , per colui che
si trova anche con un solo piede sulle posizioni straussiane, irrimedia-
bilmente perduta, insieme con tutte le altre consolazioni (p. 364). Signifi-
ca pur qualcosa, il fatto che una religione dipinga il suo cielo in un modo o
in un altro: e se dovesse esser vero che il Cristianesimo non conosce altra
occupazione celeste se non di far musica e cantare, questa non sarebbe cer-
to, per il filisteo straussiano, una prospettiva consolante. Ma nel libro di
confessioni c' per una pagina paradisiaca, la pagina 294: fatti svolgere
prima di ogni altra cosa questa pergamena, felicissimo filisteo! Allora tut-
to il cielo scender su di te. Vogliamo ancora soltanto accennare a come
agiamo noi, a come per lunghi anni abbiamo agito. Oltre la nostra profes-
sione perch apparteniamo alle professioni pi diverse, non siamo affat-
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE (4] 287
ne allieta, per lui non c' niente da fare, e, come Strauss dice in un'altra
circostanza, ma potrebbe dire anche qui, egli non ancora maturo per il
nostro punto di vista. Siamo appunto nel cielo del cielo. L'ispirato perie-
geta si accinge a condurci in giro e si scusa se, a causa del troppo grande
piacere per tutto quello splendore, forse parler un po' troppo. Se per ca-
so ci dice dovessi diventare pi loquace di quanto l'occasione non ri-
chieda, il lettore non me ne voglia; la piena del cuore straripa dalle labbra.
Sin da ora sia certo di questo, che le cose che legger tra breve non sono
vecchie annotazioni che io inserisco qui, ma sono state scritte per lo scopo
presente e per questa sede (p. 296). Per un momento questa dichiarazione
ci lascia stupefatti. Che cosa pu importarci che i bei capitoletti siano stati
scritti di sana pianta! Gi, se fosse solo questione di scrittura! In confiden-
za, vorrei che fossero stati scritti un quarto di secolo fa, allora capirei per-
ch i pensieri mi appaiono cos sbiaditi e si portano addosso l'odore di mo-
dernit ammuffite. Ma che qualcosa venga scritto nell'anno 1872, e nel-
l'anno 1872 gi sappia di muffa, mi appare sospetto. Supponiamo che
qualcuno si addormenti su questi capitoli e sul loro odore che cosa so-
gnerebbe? Un amico me l'ha confidato, perch a lui successo. Ha sogna-
to un gabinetto di figure di cera: l c'erano i classici, graziosamente imitati
con cera e perline. Muovevano braccia e occhi, mentre all'interno cigolava
una vite. Vide poi qualcosa di sinistro, una figura informe ricoperta di na-
strini e di carta ingiallita, e dalla sua bocca pendeva un foglietto con su
scritto Lessing; l'amico vuole avvicinarsi ancora e scorge l'orrore degli
orrori: la Chimera omerica, davanti Strauss, dietro Gervinus e nel mezzo
Chimera in summa Lessing. Questa scoperta gli strapp un grido d'an-
goscia, egli si dest e non lesse pi. Perche mai, signor maestro, Ella ha
scritto capitoletti cos muffiti?
Qualcosa di nuovo per da essi lo impariamo, per esempio che grazie a
Gervinus si sa come e perch Goethe non sia stato un talento drammatico;
che Goethe nella seconda parte del Faust ha prodotto soltanto un'opera al-
legorico-schematica; che il Wallenstein un Macbeth che allo stesso tem-
po un Amleto; che il lettore straussiano pilucca dagli Anni di peregrinazio-
ne le novelle, come i bambini maleducati piluccano mandorle e uva passa
da un biscotto secco; che sul palcoscenico non si raggiunge un effetto pie-
no senza l'elemento drastico ed emozionante, e che Schiller venuto fuori
da Kant come da uno stabilimento di bagni freddi. Tutto ci senz'altro
nuovo e sorprendente, ma non ci piace, bench ci sorprenda; e tanto certo
che nuovo, quanto certo che non diventer mai vecchio, dal momento
che non mai stato giovane, ma uscito dal corpo della madre come il ghi-
ribizzo di un vecchio zio. A quali pensieri possono mai giungere i beati di
nuovo stile nel loro celeste regno dell'estetica! E perch non hanno almeno
dimenticato qualcosa, quando fosse cos antiestetico, cos terrenamente ef-
fimero e per di pi portasse su di s cos vistosamente l'impronta della stu-
pidit, come per esempio alcune teorie di Gervinus? Ma sembra quasi che
la modesta grandezza di uno Strauss e l'immodesta minimezza di Gervinus
sappiano andar d'accordo anche troppo bene: evviva allora a tutti quei
beati, evviva anche a noi infelici, se questo incontestato giudice d'arte con-
tinuer a insegnare il suo entusiasmo imparaticcio e il suo galoppo da ca-
vallo a noleggio, di cui ha parlato con la dovuta chiarezza l'onesto Grill-
parzer, e se presto tutto il cielo risuoner sotto gli zoccoli di quel galoppan-
te entusiasmo! Allora almeno le cose procederanno con un po' pi di viva-
cit e di rumore di quanto non accada al giorno d'oggi, in cui l'entusiasmo
strisciante nei suoi calzerotti di feltro del nostro celeste condottiero e la tie-
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [4] 289
pida eloquenza della sua bocca a lungo andare ci hanno stancato e nausea-
to. Vorrei sapere come suonerebbe un alleluia sulla bocca di Strauss: credo
che bisognerebbe tender l'orecchio molto attentamente, altrimenti si po-
trebbe credere di udire delle scuse cortesi, o qualche galantera sussurrata.
A questo proposito posso riferire un esempio istruttivo e ammonitore.
Strauss si era molto offeso con uno dei suoi avversari, perch costui aveva
parlato delle sue riverenze di fronte a Lessing l'infelice aveva capito ma-
le! Strauss invero afferma che dev'essere ottuso chi, alle sue semplici paro-
le su Lessing al paragrafo 80, non intuisca che giungono calde dal cuore.
Ora, io non dubito affatto di questo calore; anzi questo calore di Strauss
per Lessing secondo me ha sempre avuto qualcosa di sospetto; lo stesso ca-
lore sospetto per Lessing lo trovo, aumentato sino all'incandescenza, in
Gervinus; anzi, in complesso, nessuno dei grandi scrittori tedeschi cos
popolare presso i piccoli scrittori tedeschi come Lessing; e tuttavia costoro
non vanno ringraziati per questo: infatti che cosa lodano propriamente in
Lessing? In primo luogo la sua universalit: egli critico e poeta, archeolo-
go e filosofo, drammaturgo e teologo. In secondo luogo, questa unit
dello scrittore e dell'uomo, della mente e del cuore. Quest'ultima cosa di-
stingue ogni grande scrittore, e talvolta persino uno piccolo; in fondo an-
che una mente piccina si concilia spaventosamente bene con un cuore picci-
no. E la prima cosa, quell'universalit, di per s non affatto un segno di-
stintivo, e nel caso di Lessing era soprattutto una necessit. Piuttosto pro-
prio questo curioso in quegli entusiasti di Lessing, il fatto che non vedano
la struggente necessit che lo port attraverso la vita e sino a questa uni-
versalit, non sentano che un tale uomo si consum troppo presto come
una fiamma, non provino sdegno per il fatto che la pi volgare grettezza e
la meschinit dell'ambiente attorno a lui, e soprattutto dei suoi dotti con-
temporanei, turbarono, tormentarono e soffocarono un essere cos delica-
tamente ardente, tanto che proprio quella decantata universalit dovrebbe
suscitare una profonda compassione. Compiangete ci grida Goethe
quell'uomo straordinario, perch dovette vivere in un'epoca cos miserabi-
le, e dovette agire sempre polemicamente. E voi, miei buoni filistei, come
potreste pensare senza vergogna a questo Lessing, il quale per proprio per
la vostra ottusit, nella lotta con i vostri ridicoli gaglioffi e i vostri idoli,
tra lo sconcio dei vostri teatri, dei vostri dotti, dei vostri teologi, senza po-
ter osare nemmeno una volta quel volo eterno per il quale era venuto al
mondo? E che cosa sentite al ricordo di Winckelmann il quale, per liberare
il suo sguardo dalle vostre grottesche stupidit, and a mendicare aiuto dai
Gesuiti, e la cui ignominiosa conversione ha coperto di vergogna voi, non
lui? Potreste persino fare il nome di Schiller senza arrossire? Guardate il
suo ritratto! L'occhio scintillante che vola sprezzantemente al di sopra di
voi, la guancia mortalmente arrossata, non vi dicono niente? Avevate un
giocattolo cos splendido, cos divino, e si infranse per causa vostra. E se
da questa vita tribolata, incalzata a morte, aveste tolto anche l'amicizia di
Goethe, allora sarebbe dipeso da voi farla spegnere ancora pi rapidamen-
te! Non avete cooperato a nessuna opera vitale dei vostri grandi geni, e
adesso volete farne un dogma, perch nessuno venga pi aiutato? Ma per
ciascuno di loro voi foste quella opposizione della gente ottusa che Goe-
the nomina nel suo Epilogo alla Campana, per ciascuno voi foste gli stupi-
di indolenti o i meschini invidiosi o i malvagi egoisti: nonostante voi essi
crearono le loro opere, contro di voi essi volsero i loro attacchi, e grazie a
voi si lasciarono cadere troppo presto, senza aver portato a termine il lavo-
ro della loro giornata, spezzati o storditi dalle loro battaglie. E a voi oggi
290 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [5]
5.
Quanto fu accorto il mio amico che, istruito da quel fantasma chimerico
sul Lessing straussiano e su Strauss, non volle leggere oltre! Noi invece ab-
biamo continuato a leggere e anche a chiedere al neocredente custode del-
l'accesso al nuovo santuario musicale di farci entrare. II maestro apre, ci
cammina accanto, spiega, fa nomi alla fine ci fermiamo diffidenti e lo
guardiamo: non ci sar magari successo quel che successo in sogno al po-
vero amico? Ai musicisti di cui Strauss parla ci sembra che, sintanto che
egli ne parla, vengano attribuiti nomi sbagliati, e crediamo che il discorso
verta su altri, se non addirittura su fantasmi dispettosi. Quando per esem-
pio pronuncia il nome di Haydn con quel calore che gi ci sembrava so-
spetto nella sua lode di Lessing, e si atteggia a epopte e sacerdote di un cul-
to misterico haydniano, paragonando per Haydn a una onesta zuppa e
Beethoven a un confetto (e questo riferendosi alla musica per quartetti)
(p. 362), per noi una sola cosa certa: il suo Beethoven-confetto non il
nostro Beethoven, e il suo Haydn-zuppa non il nostro Haydn. Del resto il
maestro trova le nostre orchestre troppo buone per l'esecuzione del suo
Haydn, e sostiene che solo i pi modesti dilettanti posson render giustizia a
quella musica una ulteriore prova che egli sta parlando di un altro arti-
sta e di altre opere d'arte, magari della musica casalinga di Riehl.
Ma allora chi pu essere quel Beethoven-confetto di Strauss? Avrebbe
composto nove sinfonie, tra le quali la Pastorale sarebbe la meno genia-
le; e alla terza, veniamo a sapere, gli verrebbe di continuo l'impulso di
romper la cavezza e cercare un'avventura, dal che potremmo quasi sup-
porre una duplice creatura, mezza cavallo e mezza cavaliere. Riguardo a
una certa Eroica, a quel centauro viene seriamente rimproverato di non es-
ser riuscito ad esprimere se si tratti di combattimenti in campo aperto o
nelle profondit del cuore umano. Nella Pastorale ci sarebbe un eccel-
lente infuriar di tempesta, per la quale tuttavia sarebbe fin troppo insi-
gnificante interrompere una danza campestre; ragion per cui, a causa del-
l'arbitrario legame con la banale occasione fornita, come suona la frase
altrettanto elegante che corretta, questa sinfonia sarebbe la meno genia-
le sembra che al classico maestro sia venuta in mente persino una paro-
la pi dura, ma in questo caso egli preferisce esprimersi, come dice, con la
dovuta modestia. Ma no, in questo modo ha torto, il nostro maestro, su
questo punto davvero troppo modesto. Chi mai potrebbe illuminarci an-
cora sul Beethoven-confetto se non Strauss stesso, l'unico che sembri co-
noscerlo? Per giunta adesso arriva subito un giudizio gagliardo e pronun-
ciato con la dovuta immodestia, e proprio sulla nona sinfonia: questa in-
fatti sarebbe preferita soltanto da coloro per i quali il barocco genialit,
e l'informe sublimit (p. 359). In verit, per un critico severo come Ger-
vinus questa sinfonia era stata la benvenuta, perch confermava una sua
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [5] 291
dottrina: ma lui, Strauss, era ben lontano dal cercar meriti in prodotti
cos problematici del suo Beethoven. una vera disperazione, esclama
il nostro maestro sospirando graziosamente, che con Beethoven ci si debba
guastare, per colpa di queste limitazioni, il godimento e l'ammirazione che
tanto volentieri gli tributiamo. Il nostro maestro infatti un prediletto
delle Grazie; e queste gli hanno raccontato di aver camminato con Beetho-
ven per un solo tratto, e che egli poi le aveva perse nuovamente di vista.
Questo un difetto, egli esclama; ma dovremmo forse credere che esso
appaia anche come un pregio? Chi fa rotolare l'idea musicale a fatica e
col fiato grosso, sembrer smuovere l'idea pi pesante ed essere il pi for-
te (pp. 355, 356). Questa una confessione, e non soltanto su Beethoven,
una confessione del classico prosatore su se stesso: lui, il celebre auto-
re, le Grazie non se lo lasciano sfuggire: dal gioco di scherzi leggeri ossia
gli scherzi straussiani sino alle vette della seriet ossia la seriet
straussiana esse restano fedelmente al suo fianco. Egli, il classico artista
della penna, spinge il suo carico con facilit e senza sforzo, mentre Beetho-
ven lo fa rotolare col fiato grosso. Egli sembra soltanto giocherellare col
suo carico: questo un pregio; dovremmo credere che possa apparire an-
che come un difetto? Ma al massimo solo per coloro che intendono il
barocco come genialit e l'informe come sublimit non vero, giocoso
beniamino delle Grazie?
Non invidiamo nessuno per le edificazioni che si procura nella quiete
della sua cameretta o in un nuovo regno dei cieli appositamente allestito;
ma di tutte le edificazioni possibili, quella di Strauss tra le pi prodigiose:
egli infatti si edifica davanti a un fuocherello votivo, nel quale getta disin-
voltamente le opere pi sublimi della nazione tedesca, per incensare col lo-
ro fumo i suoi idoli. Se per un attimo immaginassimo che per un caso qual-
siasi l'Eroica, la Pastorale e la Nona fossero cadute in possesso del nostro
sacerdote delle Grazie, e che fosse dipeso da lui conservar pura l'immagine
del maestro eliminando prodotti tanto problematici chi pu dubi-
tare che egli non le avrebbe bruciate? E cos procedono effettivamente gli
Strauss dei nostri giorni: di un artista vogliono sapere solo quel tanto che si
adatti al loro servizio di camera, e conoscono soltanto l'antitesi fra incen-
sare e bruciare. Potrebbero anche esser liberi di farlo: quel che stupisce
solo il fatto che la pubblica opinione estetica sia cos spenta, cos incerta e
seducibile che accetta senza protestare una siffatta messa in mostra del pi
misero filisteismo, e che non abbia alcuna sensibilit per la comicit di una
scena in cui un maestrucolo antiestetico siede a giudice di Beethoven. E per
quanto concerne Mozart, dovrebbe davvero valere ci che Aristotele dice
di Platone: Anche solo lodarlo, non concesso alla gente trista. Ma qui
si perduto ogni pudore, nel pubblico come nel maestro: non soltanto gli
si consente di farsi pubblicamente il segno della croce davanti ai pi grandi
e puri prodotti del genio germanico, come se avesse visto qualcosa di osce-
no e di empio, ma ci si compiace anche delle sue franche confessioni e am-
missioni di colpa, soprattutto dal momento che riconosce colpe commesse
non da lui ma, a quanto pare, da quei grandi spiriti. Ah, purch il nostro
maestro abbia davvero sempre ragione! pensano per talvolta i suoi ado-
ranti lettori in un accesso di dubbio; ma egli se ne sta l, sorridente e con-
vinto, a perorare, dannare e benedire, facendo tanto di cappello a se stes-
so, e in ogni momento sarebbe in grado di dire quel che la duchessa Dela-
forte disse a Madame de Stal: Debbo ammetterlo, cara amica, non trovo
nessuno che abbia sempre ragione, tranne me.
292 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [6]
6.
Un cadavere un pensiero bello per il verme, e il verme un pensiero
terribile per ogni vivente. I vermi sognano il loro regno dei cieli in un corpo
grasso, i professori di filosofia nel frugare tra le viscere di Schopenhauer, e
finch ci saranno roditori, ci sar anche un cielo dei roditori. Con ci si
risposto alla nostra prima domanda: come immagina il suo cielo il nuovo
credente? Il filisteo straussiano abita nelle opere dei nostri grandi poeti e
musicisti come un verme che vive distruggendo, ammira divorando, adora
digerendo.
Ora per la nostra seconda domanda : sin dove arriva il coraggio che la
nuova religione infonde ai suoi credenti? Anche questa avrebbe gi trovato
risposta, se coraggio e immodestia fossero una sola cosa: perch in tal caso
a Strauss non mancherebbe nulla di un vero e proprio coraggio da Mam-
malucco, e la debita modestia di cui Strauss parla in un passo citato poco
fa a proposito di Beethoven, una locuzione stilistica, non morale. Strauss
partecipa abbastanza dell'impudenza alla quale si sente autorizzato ogni
eroe vittorioso; tutti i fiori sono cresciuti solo per lui, il vincitore, ed egli
loda il sole che illumina al momento giusto proprio le sue finestre. Egli non
risparmia lodi neanche al vecchio venerabile universo, come se questo do-
vesse ricever la sua consacrazione proprio da queste lodi, e da ora in poi
potesse ruotare solo attorno alla monade centrale Strauss. L'universo, egli
ci insegna, s una macchina dalle ferree ruote dentate, con pesanti martel-
li e pistoni, ma in essa si muovono non soltanto ruote spietate, vi circola
anche olio lenitivo (p. 365). L'universo non sar propriamente grato al
furore immaginifico del maestro per non aver saputo trovare in sua lode
una similitudine migliore, anche posto che tolleri di venir lodato da
Strauss. Come si chiama l'olio che gocciola gi dai martelli e dai pistoni di
una macchina? E di quanto conforto sarebbe per un operaio il sapere che
quest'olio si versa su di lui, mentre la macchina afferra le sue membra?
Supponiamo che l'immagine sia infelice: ecco per che attira la nostra at-
tenzione un altro procedimento, attraverso cui Strauss cerca di accertare
che cosa egli provi realmente nei confronti dell'universo, mentre gli sfiora
le labbra la domanda di Gretchen: Mi ama non mi ama mi ama?.
Ora, anche se Strauss non sfoglia fiori o non conta i bottoni della giacca,
quel che fa non meno ingenuo, anche se forse richiede un po' pi di co-
raggio. Strauss vuole appurare se il suo sentimento per il tutto sia para-
lizzato e atrofizzato oppure no, e si punge: infatti sa che si pu pungere un
membro con l'ago senza provar dolore, se quello atrofizzato o paralizza-
to. In realt egli non si punge nel vero senso della parola, ma sceglie un
procedimento ancor pi brutale, che descrive cos: Noi sfogliamo Scho-
penhauer, che colpisce in faccia in ogni occasione questa nostra idea
(p. 143). Ora, poich un'idea, sia pur la pi bella idea straussiana dell'uni-
verso, non ha una faccia, ma l'ha solo colui che ha l'idea, il procedimento
consiste nelle seguenti singole azioni: Strauss colpisce Schopenhauer ve-
ramente addirittura lo sfoglia: al che Schopenhauer colpisce Strauss in fac-
cia. Adesso Strauss reagisce in modo religioso, ossia colpisce ancora
Schopenhauer, inveisce, parla di assurdit, di bestemmie, di empiet, sen-
tenzia persino che Schopenhauer fosse un po' tocco. Risultato della rissa:
Noi chiediamo per il nostro universo la stessa piet che il devoto di vec-
chio stile chiedeva per il suo dio oppure, pi succintamente, Mi
ama!. Si rende la vita grama, il nostro prediletto dalle Grazie, ma corag-
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [6] 293
gioso come un mammalucco e non teme n il diavolo n Schopenhauer.
Quanto olio lenitivo consumerebbe, se questi procedimenti dovessero ri-
petersi spesso!
D'altra parte noi comprendiamo quanto grato debba esser Strauss allo
Schopenhauer che solletica, punge e colpisce; perci non ci stupisce ulte-
riormente la seguente dimostrazione di benevolenza nei suoi confronti:
Basta solo sfogliare gli scritti di Schopenhauer, bench del resto si fareb-
be bene a studiarli, e non soltanto a sfogliarli, eccetera (p. 141). A chi ri-
volge queste parole il capo dei filistei? Lui, del quale si pu dimostrare che
non ha mai studiato Schopenhauer, lui, del quale Schopenhauer dovrebbe
dire al contrario: un autore che non merita di essere sfogliato, e tanto
meno studiato. Evidentemente Schopenhauer gli andato di traverso:
schiarendosi la gola, egli cerca di sbarazzarsene. Ma per colmare la misura
degli ingenui panegirici, Strauss si permette ancora di raccomandare il vec-
chio Kant: definisce la sua Storia e teoria generale del cielo dell'anno 1755
uno scritto che mi sempre apparso non meno significativo della sua suc-
cessiva critica della ragione. Se in questa ammirevole la profondit dello
sguardo, in quella lo la vastit della visione; se in questa troviamo un vec-
chio, al quale preme soprattutto la sicurezza di un sia pur limitato patrimo-
nio di conoscenza, in quella ci si fa incontro l'uomo con tutto il coraggio
dello scopritore e del conquistatore spirituale. Questo giudizio di Strauss
su Kant mi sempre apparso non pi modesto di quello su Schopenhauer:
se a proposito di quest'ultimo troviamo il capo, al quale preme soprattutto
la sicurezza nell'espressione di un sia pur limitato giudizio, l ci si fa incon-
tro il prosatore famoso, che con tutto il coraggio dell'ignoranza riversa le
sue essenze laudative persino su Kant. Proprio il fatto davvero incredibile
che Strauss non abbia saputo ricavar nulla dalla critica kantiana della ra-
gione per il suo testamento delle idee moderne, e che parli sempre e soltan-
to per compiacere il pi grossolano realismo, uno dei vistosi tratti carat-
teristici di questo nuovo vangelo, che del resto si definisce solo come il fati-
coso risultato di un'ininterrotta ricerca sulla storia e sulla natura, e per ci
stesso nega l'elemento filosofico. Per il capo dei filistei e per i suoi noi la
filosofia kantiana non esiste. Egli non ha la bench minima idea della fon-
damentale antinomia dell'idealismo e del senso quanto mai relativo di ogni
scienza e ragione. Ovvero: proprio la ragione dovrebbe dirgli quanto poco
si possa appurare con la ragione sull'in s delle cose. vero peraltro che
a persone di una certa et impossibile capire Kant, soprattutto se in giovi-
nezza si capito o, come Strauss, ci si illude di aver capito lo spirito gi-
gantesco di Hegel, e se insieme ci si dovuti occupare di Schleiermacher,
il quale forse di acume ne aveva sin troppo, come dice Strauss. A
Strauss suoner strano se gli dir che ancor oggi egli si trova, rispetto a
Hegel e a Schleiermacher, in assoluta dipendenza, e che la sua dottrina
dell'universo, il suo modo di considerar le cose sub specie biennii e il suo
curvar la schiena di fronte alla situazione tedesca, ma soprattutto il suo
sfacciato ottimismo da filisteo si possono spiegare in base a determinate
precoci esperienze e abitudini giovanili e a fenomeni morbosi. Chi in-
fatti si ammalato una volta di hegelismo e di schleiermacherismo, non
guarir mai del tutto.
Nel libro di confessioni c' un passo in cui quell'incurabile ottimismo ci
volteggia incontro con un piacere davvero degno di un giorno di festa
(pp. 142, 143). Se il mondo una cosa, dice Strauss, che sarebbe meglio
non esistesse, ma allora anche il pensiero del filosofo, che forma un pezzo
di questo mondo, un pensiero che sarebbe meglio non pensasse. Il filosofo
294 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [7J
7.
In effetti, il nostro capo dei filistei a parole valoroso, anzi temerario,
dovunque possa credere di deliziare con tale valore i suoi nobili noi.
Dunque l'ascesi e il sacrificio di s degli antichi eremiti e santi vanno consi-
derati come una forma di nausea, Ges pu essere descritto come un fana-
tico che oggi sfuggirebbe a stento al manicomio, la storia della resurrezio-
ne di Ges pu esser definita una ciarlataneria storica accettiamo per
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [7] 295
una volta tutto questo, per studiarvi la singolare specie di coraggio di cui
capace Strauss, il nostro filisteo classico.
Ascoltiamo innanzitutto la sua confessione: davvero un compito
spiacevole e ingrato, dire al mondo proprio quel che esso non vuol sentire.
Esso non ama risparmiare, come i grandi signori, riceve e spende, finch
ha qualcosa da spendere: ma se qualcuno somma le partite e gli presenta il
bilancio, lo considera un guastafeste. E proprio a questo mi hanno spinto
da sempre il mio temperamento e il mio spirito. Definiamo pure corag-
giosi un temperamento e uno spirito siffatti; rimane tuttavia dubbio se
questo coraggio sia naturale e originario, o non piuttosto un coraggio im-
paraticcio e artificiale; forse Strauss si solo abituato per tempo a fare il
guastafeste di professione, e ha finito per acquisire in tal modo un corag-
gio di professione. Ad esso si apparenta ottimamente la naturale vilt che
propria del filisteo: essa si evidenzia soprattutto nella incoerenza di quelle
proposizioni che costa coraggio enunciare; suona come tuono, ma l'atmo-
sfera non ne risulta purificata. Egli non arriva a un'azione aggressiva, ma
solo a parole aggressive, scegliendole per tra le pi offensive, e consuma
in espressioni aspre e rumorose tutta l'energia e la forza che gli si sono ac-
cumulate dentro; quando il suono della parola si spento, egli pi vile di
colui che non ha mai parlato. Anzi, persino il simulacro delle azioni, l'eti-
ca, mostra che egli un eroe delle parole, e che evita ogni occasione in cui
sia necessario passare dalle parole alla pi terribile seriet. Annuncia con
mirabile sincerit di non essere pi cristiano, ma non vuole turbare conten-
tezza di sorta; gli sembra contraddittorio fondare un'associazione per ro-
vesciare un'associazione cosa che invece non affatto cos contradditto-
ria. Con un certo rozzo compiacimento si avvolge nel manto cespuglioso
dei nostri genealogisti della scimmia, ed esalta Darwin come uno dei massi-
mi benefattori dell'umanit ma noi vediamo con vergogna che la sua
etica si costruisce del tutto svincolata dalla domanda: Come concepiamo
il mondo?. Qui c'era un'occasione di mostrare naturale coraggio; perch
qui egli avrebbe dovuto girar le spalle ai suoi noi e avrebbe potuto de-
durre arditamente, dal bellum omnium contro omnes e dal diritto del pi
forte, precetti morali di vita, che per dovrebbero originarsi soltanto in
uno spirito intimamente impavido, come nello spirito di Hobbes, e in un
amore di verit di ben altra portata di quello che esplode sempre e soltanto
in robuste invettive contro i preti, i miracoli e la ciarlataneria storica del-
la resurrezione. Infatti con un'etica darwiniana vera e seriamente attuata si
susciterebbe l'ostilit del filisteo, che invece sempre favorevole a siffatte
invettive.
Ogni agire morale dice Strauss un determinarsi dell'individuo
secondo l'idea della specie. Tradotto in parole chiare e comprensibili, ci
significa soltanto: vivi da uomo e non da scimmia o da foca. Quest'impe-
rativo purtroppo assolutamente inutilizzabile e fiacco, perch sotto il
concetto di uomo si trova aggiogata la pi grande molteplicit, per esem-
pio il Patagone e il maestro Strauss, e perch nessuno oser dire con lo
stesso diritto: vvi da Patagone!, e: vivi da maestro Strauss! Ma se qualcu-
no addirittura esigesse da se stesso: vivi da genio, ossia appunto come
espressione ideale della specie uomo, e costui fosse per caso o Patagone o
maestro Strauss, quanto non avremmo allora da soffrire per l'invadenza di
pazzi originali smaniosi di genialit, a proposito dei quali gi Lichtenberg
lamentava che in Germania spuntassero come funghi, e che con grida sel-
vagge ci chiederebbero di ascoltare le professioni della loro pi recente fe-
de? Strauss non ha ancora nemmeno imparato che un concetto non potr
296 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [7]
mai rendere gli uomini migliori e pi morali, e che predicare una morale
facile, altrettanto quanto difficile fondare una morale; il suo compito sa-
rebbe dovuto essere piuttosto quello di spiegare e di dedurre seriamente,
dalle sue premesse darwiniane, i fenomeni della bont umana, della carit,
dell'amore e dell'abnegazione che esistono effettivamente: invece ha prefe-
rito, con un salto nell'imperativo, sottrarsi al compito della spiegazione. In
questo salto gli accade addirittura di capriolare disinvoltamente anche so-
pra la proposizione fondamentale di Darwin. Non dimenticare, dice
Strauss, in nessun momento, che sei uomo e non un semplice essere natu-
rale, in nessun momento che tutti gli altri sono anch'essi uomini, cio, no-
nostante ogni diversit individuale, la stessa cosa di te, con le stesse tue ne-
cessit e aspirazioni questa l'essenza di ogni morale (p. 238). Ma da
dove risuona questo imperativo? Come pu l'uomo averlo dentro di s dal
momento che, secondo Darwin, egli appunto un essere assolutamente na-
turale, e si sviluppato sino al livello dell'uomo secondo leggi affatto di-
verse, proprio perch in ogni momento ha dimenticato che gli altri esseri si-
mili avevano gli stessi diritti, proprio perch tra loro si sentiva il pi forte,
e a poco a poco ha cagionato l'estinzione degli altri esemplari di natura pi
debole? Mentre Strauss costretto tuttavia ad ammettere che mai sono esi-
stiti due esseri totalmente uguali, e che dalla legge della diversit degli indi-
vidui dipende l'intera evoluzione dell'uomo, non gli costa per nessuna fa-
tica annunciare anche il contrario: Comportati come se non ci fossero
delle diversit individuali!. Dov' andata a finire la dottrina morale di
Strauss-Darwin, dove, soprattutto, il coraggio?
Subito riceviamo una nuova dimostrazione dei limiti di fronte ai quali
quel coraggio si trasforma nel suo contrario. Infatti Strauss prosegue:
Non dimenticare in nessun momento che tu e tutto ci che percepisci in te
e attorno a te, non un frammento sconnesso, un caos selvaggio di atomi e
accidentalit, ma che tutto scaturisce secondo leggi eterne dall'unica sor-
gente originaria di ogni vita, di ogni ragione e di ogni bene questa l'es-
senza della religione. Ma da quell'unica sorgente originaria sgorga an-
che ogni morte, ogni irrazionalit, ogni male, e per Strauss il suo nome
l'universo. Come potrebbe esso, dato il suo carattere cos contraddittorio e
negatore di se stesso, esser degno di una venerazione religiosa e poter esse-
re chiamato col nome di Dio, come invece fa Strauss a p. 365? Il nostro
Dio non ci prende sulle sue braccia dall'esterno (qui ci si aspetta, per con-
verso, un prendere sulle braccia dall'interno davvero molto strano!), ma
apre per noi sorgenti di conforto nel nostro intimo. Egli ci mostra che il ca-
so sarebbe un dominatore davvero irrazionale del mondo, ma che la neces-
sit, vale a dire la concatenazione delle cause nel mondo, la ragione stes-
sa (un'astuzia che passa inosservata soltanto ai noi, i quali son stati
cresciuti in questa hegeliana adorazione del reale come razionale, cio nella
divinizzazione del successo). Egli ci insegna a comprendere che desiderare
un'eccezione all'adempimento di un'unica legge naturale, significherebbe
desiderare la disintegrazione del tutto. Al contrario, signor maestro: un
naturalista onesto crede nell'assoluta conformit del mondo a leggi, senza
peraltro minimamente pronunciarsi sul valore etico o intellettuale di queste
leggi: in dichiarazioni del genere egli riconoscerebbe un comportamento al-
tamente antropomorfico di una ragione che oltrepassa i limiti del consenti-
to. Ma proprio al punto in cui l'onesto naturalista si rassegna, Strauss
reagisce, per farci belli delle sue penne, in modo religioso, e agisce in
modo disonesto verso le scienze naturali e la scienza; egli ammette senz'al-
tro che ogni cosa accaduta abbia il massimo valore intellettuale, sia dun-
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [7] 297
sto gode a buon diritto della fama di compier miracoli; ragion per cui as-
sai istruttivo capire perch Strauss in un unico punto si erga a coraggioso
difensore del genio e della natura aristocratica dello spirito in generale.
Perch, dunque? Per paura, e per paura dei socialdemocratici. Egli si ri-
chiama ai Bismarck, ai Moltke, la cui grandezza pu tanto poco negarsi,
in quanto si manifesta nell'ambito dei fatti tangibili, esteriori. Qui anche i
pi caparbi e scontrosi di quei compagni dovranno accomodarsi a guarda-
re un po' in alto, per vedere almeno sino al ginocchio quelle sublimi figu-
re. Vuol forse, signor maestro, educare i socialdemocratici a prendere cal-
ci? La buona volont di darne c' dappertutto, e Lei pu farsi garante sin
da ora che che coloro che saran presi a calci, in questa procedura potranno
vedere quelle sublimi figure sino al ginocchio.Anche nel campo dell'ar-
te e della scienza, prosegue Strauss, non mancheranno mai re che costrui-
scono, e che daranno da fare a una massa di carrettieri. Bene ma se un
giorno i carrettieri si metteranno a costruire? Accade, signor metafisico,
Lei lo sa allora per i re ci sar da ridere.
In effetti, questo connubio di arroganza e di debolezza, di parole teme-
rarie e di codardo conformismo, questo sottile soppesare come e con quali
parole si possa impressionare il filisteo, e con quali carezzarlo, questa
mancanza di carattere e di forza nonostante l'apparenza della forza e del
carattere, questo difetto di saggezza nonostante tutta l'affettazione della
superiorit e della maturit d'esperienza tutto questo che odio in que-
sto libro. Se penso che dei giovani potrebbero sopportare, anzi apprezzare
un libro di questa fatta, dovrei con tristezza rinunciare alle mie speranze
sul loro avvenire. Questa professione di un filisteismo misero, senza spe-
ranza e davvero spregevole, dovrebbe esser l'espressione delle molte mi-
gliaia di noi di cui parla Strauss, e questi noi dovrebbero a loro volta
essere i padri della prossima generazione! Sono premesse tremende per
chiunque volesse aiutare la generazione futura sulla strada di ci che il pre-
sente non ha una vera cultura tedesca. A costui il terreno appare coper-
to di cenere, e oscurate tutte le stelle; ogni albero morto, ogni campo deva-
stato gli grida: sterile! perduto! Qui non ci sar un'altra primavera! Egli
dovr sentirsi come si sent il giovane Goethe quando scrut nel triste cre-
puscolo ateo del Systme de la nature: il libro gli apparve cos grigio, cos
cimmerio, cos sepolcrale, che ebbe pena a sopportarne la presenza, e rab-
brividiva davanti ad esso come davanti a uno spettro.
8.
Siamo sufficientemente edotti sul cielo e sul coraggio del nuovo credente
per porci ora anche l'ultima domanda: come scrive i suoi libri? e di quale
specie sono i testi della sua religione?
Per chi sappia rispondere a questa domanda scrupolosamente e senza
pregiudizi, il fatto che il manuale oracolare di Strauss sia stato richiesto in
sei edizioni diventa un problema quanto mai preoccupante, soprattutto
quando apprende addirittura che a questo manuale oracolare stato dato
il benvenuto anche negli ambienti colti e persino nelle universit. Gli stu-
denti lo avrebbero salutato come un canone per spiriti forti, e i professori
non vi si sarebbero opposti: gli uni e gli altri hanno davvero voluto trovare
in esso un libro di religione per dotti. Strauss stesso fa capire che il libro
di confessioni vuol fornire informazioni non per gli studiosi e le persone
colte soltanto; ma atteniamoci al fatto che esso si rivolge innanzitutto a
questi, e in particolare ai dotti, per porre loro davanti il modello di una vi-
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [8] 299
singhiere, fosse pure una sola parola sulla sua dialettica quasi lessinghiana,
oppure sulla finezza, la bellezza e la validit delle sue concezioni estetiche.
Come libro, a quanto pare, il prodotto straussiano corrisponde addirittura
all'ideale di un libro. Gli avversari teologici, bench abbiano parlato pi
forte di tutti, in questo caso sono solo un piccolo frammento del grande
pubblico: e persino nei loro confronti Strauss avr ragione, quando dice:
Di fronte alle migliaia di miei lettori, quel paio di dozzine dei miei pubbli-
ci censori sono una sparuta minoranza, e difficilmente potranno dimostra-
re di essere assolutamente i fedeli portavoce dei primi. Se, in una faccenda
come questa, hanno preso la parola quasi sempre quelli che non erano
d'accordo, e quelli che eran d'accordo si sono contentati di approvare in
silenzio, questo nella natura delle circostanze, che noi tutti ben conoscia-
mo. Dunque, a prescindere dallo scandalo per le sue dichiarazioni teolo-
giche che Strauss pu aver suscitato qua e l, sullo Strauss scrittore regna
unanimit, anche fra gli avversari fanatici per i quali la sua voce suona co-
me la voce della bestia dall'abisso. Pertanto il trattamento che Strauss ha
subito da parte dei salariati letterari dei partiti teologici, nulla prova con-
tro il nostro assunto che in questo libro la cultura filistea ha celebrato un
trionfo.
Bisogna ammettere che il filisteo colto in media un po' meno franco di
Strauss, o per lo meno che nelle pubbliche manifestazioni pi riservato:
tanto pi edificante per gli appare questa franchezza in un altro: a casa e
tra i suoi simili applaude anzi rumorosamente, solo che non ama dichiara-
re per iscritto quanto tutto ci che Strauss dice gli piaccia. Infatti un po'
vile il nostro filisteo colto lo , gi lo sappiamo, anche nelle simpatie pi
forti: e proprio il fatto che Strauss sia un po' meno vile fa di lui un capo,
pur se d'altra parte anche per il suo coraggio esiste un limite molto preciso.
Se egli superasse questo limite, cosa che per esempio Schopenhauer fa qua-
si ad ogni frase, non marcerebbe pi come un capo davanti ai filistei, e si
correrebbe via da lui con la stessa prontezza con cui adesso si corre dietro a
lui. Chi volesse definire questa moderatezza, se non saggia, almeno accor-
ta, e questa mediocritas del coraggio una virt aristotelica, sarebbe certa-
mente in errore: perch quel coraggio non il punto mediano fra due difet-
ti, bens tra una virt e un difetto e in questo punto mediano, tra virt e
difetto, stanno tutte le qualit del filisteo.
9.
Ma egli resta pur sempre uno scrittore classico! Ora vedremo. Forse
adesso sarebbe consentito parlare subito dello Strauss stilista e artista del
linguaggio, ma prima vorremmo riflettere se egli come scrittore sia capace
di costruire la sua casa, e se davvero si intenda di architettura del libro.
Questo decider se egli un costruttore di libri accurato, avveduto ed
esperto; e se dovessimo rispondere di no, gli resterebbe sempre, come ulti-
mo refugium della sua fama, la pretesa di essere un prosatore classico.
Quest'ultima capacit senza la prima non basterebbe certo ad innalzarlo al
rango degli scrittori classici, ma tutt'al pi a quello degli improvvisatori
classici o dei virtuosi dello stile, i quali, nonostante tutta l'abilit dell'e-
spressione, mostrano nel complesso e nell'impostazione vera e propria del-
l'edificio la mano maldestra e l'occhio timido del pasticcione. Chiediamo
dunque se Strauss abbia la forza artistica di porre un tutto, totum ponere.
Di solito gi dal primo abbozzo scritto si pu capire se l'autore ha con-
cepito una visione d'insieme e se ha trovato l'andamento generale e le gi-
DAVID STRAUSS. L'UOMO Di" FEDE E LO SCRITTORE [9] 303
ste misure in conformit con questa visione. Una volta assolto questo im-
portantissimo compito, e innalzato l'edificio stesso in felici proporzioni,
resta per sempre parecchio da fare: quanti piccoli difetti da correggere,
quante lacune da colmare, qua e l ci si dovuti contentare di un tramezzo
provvisorio o di un controsoffitto, ci sono polvere e calcinacci dappertut-
to, e dovunque tu guardi, vedi i segni del travaglio e del lavoro; nell'insie-
me la casa ancora inabitabile e sgradevole; le pareti sono nude, e dalle fi-
nestre aperte sibila il vento. Ma che Strauss abbia fatto il lavoro, grande e
faticoso, che ancora resta da fare, non ci interessa affatto, sinch vogliamo
sapere se egli ha impostato l'edificio stesso in buone proporzioni e come un
tutto. Il contrario di questo , come sappiamo, mettere assieme un libro da
vari frammenti, come sono soliti fare i dotti. Essi confidano nel fatto che
questi frammenti abbiano una connessione fra loro, confondendo qui tra
la connessione logica e quella artistica. Logico, comunque, il rapporto fra
le quattro domande fondamentali, che definiscono le parti del libro straus-
siano, non lo : Siamo ancora cristiani? Abbiamo ancora una religione?
Come concepiamo il mondo? Come ordiniamo la nostra vita?, e non lo
in quanto la terza domanda non ha niente a che fare con la seconda, n la
quarta con la terza, e tutte e tre non hanno niente a che fare con la prima.
Per esempio, il naturalista che pone la terza questione mostra il suo imma-
colato senso della verit proprio nel passare senza far parola oltre la secon-
da; e che i temi della quarta parte: matrimonio, repubblica, pena di morte,
vengano soltanto confusi e oscurati col mescolarvi le teorie darwiniane del-
la terza parte, sembra capirlo anche Strauss, dal momento che in effetti su
quelle teorie non torna pi. Ma la domanda: siamo ancora cristiani? altera
subito la libert dell'esame filosofico, e lo tinge sgradevolmente di teolo-
gia; oltretutto a questo proposito egli ha completamente dimenticato che la
maggior parte dell'umanit tuttora buddista, non cristiana. Come si pu,
con l'espressione antica fede, pensare subito e senz'altro al cristianesi-
mo? Se qui si vede che Strauss non ha mai cessato di essere un teologo cri-
stiano, e che pertanto non ha mai imparato a diventare un filosofo, egli poi
ci stupisce di nuovo per il fatto che non riesce a distinguere tra fede e sape-
re, e nomina continuamente d'un solo fiato la sua cosiddetta nuova fede
e la scienza moderna. Oppure fede moderna vorrebbe essere soltanto
un'ironica concessione all'uso linguistico? Sembra quasi che sia cos, dal
momento che egli qua e l lascia che nuova fede e scienza moderna si rap-
presentino tranquillamente a vicenda, per esempio a p. 11, dove domanda
da quale parte, da quella della vecchia fede oppure da quella della scienza
moderna, siano maggiori le oscurit e le insufficienze inevitabili nelle cose
umane. Inoltre egli vuole, secondo lo schema dell'introduzione, fornire le
prove sulle quali poggia la moderna concezione del mondo: ma tutte que-
ste prove le prende a prestito dalla scienza, e anche qui si comporta assolu-
tamente come un sciente, non come un credente.
Dunque in fondo la nuova religione non una nuova fede, ma coincide
con la scienza, e pertanto non affatto una religione. Ora, se Strauss affer-
ma tuttavia di avere una religione, i motivi di questo fatto esulano dalla
scienza moderna. Soltanto una minima parte del libro straussiano, cio po-
che pagine sparse, riguarda ci che Strauss a ragione potrebbe definire una
fede: ossia quel sentimento del tutto, per il quale Strauss chiede la stessa
piet che il devoto di vecchio stile chiede per il suo dio. In queste pagine
per lo meno le cose procedono in modo assolutamente non scientifico; ma
se soltanto procedessero con un po' pi di vigore, di naturalezza, di durez-
za, e soprattutto con un po' pi di fede! Quel che pi colpisce, sono le pr-
304 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [9]
za, anche se non a uno schema di pensiero ben elaborato. E solo a questo
punto arriviamo alla questione se Strauss sia un buono scrittore, dopo aver
constatato che egli non si comportato come un dotto scientifico, che sap-
pia ordinare e sistematizzare rigorosamente.
Forse egli si posto come compito solo questo, non tanto di allontanare
dalla vecchia fede, quanto di attrarre, dipingendo un quadro grazioso e
ricco di colori di una vita ambientata nella nuova concezione del mondo.
Proprio se pensava ai dotti e alle persone colte come ai suoi lettori pi vici-
ni, egli doveva pur sapere per esperienza che con l'artiglieria pesante delle
dimostrazioni scientifiche questi li si pu abbattere, mai per costringere
alla resa, ma che tanto pi rapidamente proprio costoro soccomberanno di
fronte ad arti di seduzione vestite succintamente. Ma vestito succintamen-
te, e con intenzione, Strauss definisce il suo libro stesso; vestito suc-
cintamente lo sentono e lo descrivono i suoi pubblici panegiristi, uno dei
quali per esempio, uno preso a caso, parafrasa queste sensazioni nel modo
che segue: Il discorso procede con elegante equilibrio, avvalendosi quasi
per gioco dell'arte dell'argomentazione, l dove si volge criticamente con-
tro l'antico, e l dove allestisce seducentemente e presenta, al gusto pi
semplice come al pi esigente, il nuovo che esso offre. Ben concepita la
sistemazione di una materia cos molteplice ed eterogenea, dove bisognava
toccare di tutto e non dilungarsi su nulla; soprattutto i passaggi che condu-
cono da una materia all'altra sono articolati con molta arte, ove non si pre-
ferisca invece ammirare ancor pi l'abilit con cui vengon messe da parte
oppure taciute le cose fastidiose. I sensi di tali panegiristi sono, come ap-
pare anche da qui, non molto affinati riguardo a ci di cui uno come auto-
re capace, ma tanto pi affinati per ci che uno vuole. Ma quel che
Strauss vuole, ce lo rivela con la massima chiarezza la sua enfatica e non
del tutto innocente raccomandazione delle Grazie di Voltaire, al cui servi-
zio egli pot apprendere appunto quelle arti in vesti succinte di cui parla
il suo panegirista nel caso cio in cui la virt si possa insegnare, e un do-
cente universitario possa mai diventare un ballerino.
Chi non ci fa sopra i suoi pensieri, quando legge per esempio le seguenti
parole di Strauss su Voltaire (p. 219, Voltaire): Certo, Voltaire come filo-
sofo non originale, soprattutto un elaboratore di studi inglesi: in questo
per si dimostra sempre libero padrone della materia, che con incompara-
bile abilit sa mostrare da tutti i lati e porre in ogni luce possibile, riuscen-
do cos a soddisfare, senza essere rigorosamente metodico, anche le esigen-
ze di approfondimento. Tutti i tratti negativi corrispondono: nessuno so-
sterr che Strauss come filosofo sia originale, oppure che sia rigorosamen-
te metodico, ma il problema sarebbe se consideriamo anche lui come libe-
ro padrone della materia e gli concediamo l'incomparabile abilit. La
confessione che lo scritto stato vestito succintamente con intenzione,
lascia indovinare che a un'incomparabile abilit esso almeno mirava.
Non costruire un tempio, n un edificio di abitazione, bens una casa di
campagna circondata da tutte le arti del giardinaggio: questo era il sogno
del nostro architetto. Anzi sembra quasi che persino quel misterioso senti-
mento del tutto fosse calcolato principalmente come effetto estetico, per
cos dire come un panorama su un elemento irrazionale, per esempio sul
mare, visto dalla pi graziosa e razionale terrazza. Il percorso attraverso i
primi capitoli, ossia attraverso le catacombe teologiche con la loro oscurit
e la loro ornamentazione bizzarra e barocca, era stato a sua volta soltanto
un mezzo estetico per far risaltare come contrasto il nitore, la luminosit e
la razionalit della parte intitolata Come concepiamo il mondo?: perch
306 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [10]
subito dopo quel percorso nel buio e lo sguardo nella vastit irrazionale,
entriamo in una sala illuminata dall'alto: essa ci accoglie fredda e chiara,
con carte astronomiche e figure matematiche alle pareti, piena di attrezzi
scientifici, con scheletri negli armadi, scimmie impagliate e preparati ana-
tomici. Ma di qui passiamo, ora davvero felici, nel bel mezzo delle confor-
tevolezze dei nostri abitanti della casa di campagna; li troviamo con le loro
donne e i loro figli, tra i loro giornali e i loro discorsi politici quotidiani,
per un po' li ascoltiamo parlare di matrimonio e di suffragio universale, di
pena di morte e di scioperi operai, e non ci sembra possibile recitare con
maggiore rapidit il rosario delle pubbliche opinioni. Alla fine dobbiamo
ancora venir convinti del gusto classico di chi abita qui: una breve sosta
nella biblioteca e nella stanza della musica ci fornisce l'attesa delucidazio-
ne, che sugli scaffali ci sono i libri migliori e sui leggi i pezzi musicali pi
famosi; ci viene suonato persino qualcosa, e se per caso fosse musica di
Haydn, Haydn comunque non ha colpa se essa risuona come una musica
casalinga di Riehl. Il padrone di casa intanto ha avuto modo di dichiararsi
completamente d'accordo con Lessing, e anche con Goethe, per solo fino
alla seconda parte del Faust. Da ultimo il nostro proprietario della casa di
campagna loda se stesso e dice che per colui al quale non piacesse la sua ca-
sa, non ci sarebbe niente da fare, costui non sarebbe maturo per il suo pun-
to di vista; dopo di che ci offre anche la sua carrozza, per con la garbata
riserva di non volere affatto sostenere che essa risponda a tutte le esigenze;
inoltre le pietre sulle sue strade sono state posate di fresco, e noi verremo
malamente sballottati. A questo punto il nostro epicureo dio dei giardini si
congeda con l'incomparabile abilit che ha saputo lodare in Voltaire.
Chi potrebbe ancora dubitare di questa incomparabile abilit? Il libero
padrone della materia riconosciuto, l'artista del giardinaggio succinta-
mente vestito rivelato; e sempre udiamo la voce del classico: come scritto-
re non voglio essere un filisteo, non voglio, non voglio! Ma solo Voltaire,
il Voltaire tedesco! e tutt'al pi, ancora, il Lessing francese!
Sveliamo un segreto: il nostro maestro non sempre sa chi preferisce esse-
re, Voltaire oppure Lessing, ma a nessun costo vuol essere un filisteo, e
possibilmente vorrebbe essere tutti e due, Lessing e Voltaire perch si
compia ci che scritto: Non aveva nessun carattere, ma quando ne vole-
va uno, doveva innanzitutto sempre supporne uno.
10.
Se abbiamo capito correttamente lo Strauss uomo di fede, costui un
vero filisteo, dall'anima piccina e inaridita, dai bisogni dotti e insipidi; ep-
pure nessuno pi dello scrittore David Strauss si indignerebbe di esser defi-
nito un filisteo. Gli andrebbe bene esser detto spavaldo, temerario, cattivo,
audace; ma la sua massima felicit sarebbe di venir paragonato a Lessing o
a Voltaire, perch essi sicuramente non erano filistei. Nella sua smania di
questa felicit, spesso egli incerto se dover emulare il coraggioso impeto
dialettico di Lessing, oppure se gli si confaccia meglio atteggiarsi a vecchio
faunesco e libero pensatore alla maniera di Voltaire. Sempre, quando si
siede a scrivere, prende un'espressione come se volesse farsi fare un ritrat-
to, un'espressione ora lessinghiana ora voltairiana. A leggere il suo elogio
dell'esposizione voltairiana, pare che egli voglia far energicamente la mo-
rale all'epoca presente, la quale non conosce affatto quel che essa possiede
nel Voltaire moderno (p. 217, Voltaire): anche i pregi, egli dice, son
dappertutto gli stessi: semplice naturalezza, trasparente chiarezza, vivace
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [10] 307
eia pubblicamente questa diagnosi. C'era uno Strauss, uno studioso di va-
glia, rigoroso e severamente vestito, che ci era altrettanto simpatico quanto
chiunque in Germania serva la verit con seriet ed energia, e sappia domi-
nare entro i suoi confini; colui che oggi celebre presso l'opinione pubbli-
ca come David Strauss, diventato un altro: pu darsi che siano stati i teo-
logi a trasformarlo in quest'altro; oggi comunque quel suo giocare con la
maschera del genio ci risulta tanto odioso o ridicolo, quanto una volta la
sua seriet ci induceva alla seriet e alla simpatia. Quando egli ci dichiara,
come recentemente ha fatto: Sarebbe anche ingratitudine verso il mio Ge-
nio se non volessi rallegrarmi che, oltre al dono della critica implacabil-
mente distruttiva, mi sia stata data anche la gioia innocente della creazione
artistica, forse potr stupirlo che, nonostante questa testimonianza su se
stesso, esistano persone che affermano il contrario; in primo luogo, che
egli non ha mai posseduto il dono della creazione artistica, e in secondo
luogo che quella gioia da lui detta innocente, innocente non lo affatto,
dal momento che ha gradualmente scalzato e alla fine distrutto una natura
di studioso e di critico solida nelle sue basi e profondamente impiantata,
ossia il vero genio di Strauss. In un accesso di sconfinata sincerit Strauss
aggiunge peraltro di aver sempre avuto dentro di s un Merck che gli gri-
dava: questa robaccia non devi pi farla, questa sanno farla anche gli al-
tri!. Era la voce del vero genio straussiano: questa stessa voce gli dice an-
che quanto o quanto poco valga il suo nuovissimo testamento del filisteo
moderno, innocentemente avvolto in vesti succinte. Questo Io san fare an-
che gli altri! E molti saprebbero magari farlo meglio! E coloro che Io sa-
prebbero fare meglio di tutti, spiriti pi dotati e ricchi di Strauss, farebbe-
ro pur sempre robaccia.
Credo si sia ben compreso quale stima io faccia dello scrittore Strauss:
quella di un attore che recita la parte del genio ingenuo e del classico. Se
Lichtenberg dice: Lo stile semplice da raccomandarsi gi solo per il fat-
to che nessun uomo onesto nelPesprimersi si atteggia e arzigogola, non
per questo lo stile semplice gi una prova di onest letteraria. Vorrei che
lo scrittore Strauss fosse pi sincero, cos scriverebbe meglio e sarebbe me-
no famoso. Oppure se proprio vuol essere attore vorrei che fosse un
buon attore e imitasse meglio il genio ingenuo e il classico, nello scrivere in
modo classico e geniale. Resta infatti da dire che Strauss un cattivo attore
e addirittura uno stilista che non vale nulla.
11.
Il difetto di essere un pessimo scrittore diventa comunque meno grave
per il fatto che in Germania molto difficile diventare uno scrittore medio
e passabile, ed straordinariamente improbabile diventare un buono scrit-
tore. Manca qui un terreno naturale, la valutazione artistica, la cura e il
perfezionamento del discorso parlato. Poich in tutte le pubbliche manife-
stazioni quest'ultimo, come gi risulta da espressioni quali conversazione
da salotto, predica, discorso parlamentare, non ancora giunto a
uno stile nazionale, anzi neppure al bisogno di uno stile in genere, e dato
che in Germania tutti quelli che parlano non sono andati oltre il pi inge-
nuo sperimentalismo linguistico, lo scrittore non dispone di nessuna norma
unitaria, e in certo qual modo ha il diritto di vedersela da solo con la lin-
gua; cosa che, tra le sue conseguenze, porter necessariamente a quella di-
lapidazione senza limiti della lingua tedesca del giorno d'oggi, gi de-
scritta con tanta energia da Schopenhauer. Se va avanti cos egli dice
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [11] 309
una volta nell'anno 1900 i classici tedeschi non saranno pi intesi retta-
mente, perch non si conoscer pi altra lingua se non il gergo volgare del
nobile "giorno d'oggi" il cui carattere fondamentale l'impotenza. In
effetti gi adesso giudici della lingua e i grammatici tedeschi ci dicono sulle
riviste pi nuove che i nostri classici non possono pi essere considerati i
modelli del nostro stile, perch hanno una grande quantit di vocaboli,
espressioni e costruzioni sintattiche, che noi abbiamo perduto: per cui con-
verrebbe raccogliere le destrezze linguistiche nell'uso di parole e di frasi
dalle celebrit letterarie di oggi e proporle per l'imitazione, cosa che per
esempio anche davvero accaduta con il succinto e vergognoso dizionariet-
to di Sanders. In esso quel ripugnante mostro di stile che Gutzkow com-
pare come classico: e comunque dovremo, a quanto pare, abituarci a una
nuovissima e sorprendente schiera di classici, fra cui primo, o almeno
uno dei primi David Strauss, quello stesso che non possiamo definire di-
versamente da come l'abbiamo definito, ossia uno stilista che non vale
niente.
Ora, quanto mai indicativo di quella pseudocultura del filisteo colto il
modo in cui egli approda al concetto di classico e di scrittore esemplare
egli che mostra la sua forza soltanto nel rifiutare uno stile di cultura artisti-
camente rigoroso, e con questo ostinato rifiuto giunge a un'omogeneit
espressiva che a sua volta appare quasi unit di stile. Com' possibile che,
in questo sterminato sperimentalismo linguistico consentito a chiunque,
singoli autori trovino un tono universalmente gradito? Cosa c' in questo
tono di cos universalmente gradito? Prima di ogni altra cosa, una qualit
negativa: la mancanza di tutto ci che sconveniente, ma sconveniente
tutto ci che veramente produttivo. Infatti, in tutto quello che il Te-
desco oggi legge ogni giorno, occupano indubbiamente un posto preponde-
rante i giornali, oltre alle riviste loro affini: il cui tedesco, nell'incessante
stillicidio di espressioni uguali e di parole uguali, gli si imprime nell'orec-
chio, e dato che egli per lo pi si dedica a queste letture in ore in cui il suo
spirito stanco non comunque disposto a resistere, pian piano il suo orec-
chio si abitua a questo tedesco di tutti i giorni, e all'occorrenza ne sente do-
lorosamente la mancanza. I fabbricanti di quei giornali sono per, per la
natura stessa del loro lavoro, i pi fortemente abituati alla vischiosit di
questo linguaggio giornalistico: hanno perso nel senso pi vero della paro-
la ogni gusto, e la loro lingua al massimo sente con una sorta di godimento
ci che in tutto e per tutto corrotto e arbitrario. Di qui si spiega il tutti
unisono con cui si fa subito coro, nonostante quel diffuso rilassamento e
quello stato morboso, a ogni strafalcione linguistico appena inventato: con
tali sfacciate corruzioni ci si vendica stessa della lingua per L'incredibile
noia che via via essa suscita nei suoi salariati. Ricordo di aver letto un ap-
pello di Berthold Auerbach al popolo tedesco, in cui ogni espressione
era bizzarra e falsa, la negazione stessa della lingua tedesca, e che nell'in-
sieme somigliava a un freddo mosaico di parole con sintassi internazionale;
per non parlare dello spudorato ciarpame linguistico con cui Eduard De-
vrient celebr la memoria di Mendelssohn. Dunque il difetto linguistico
questo lo strano non viene considerato scandaloso dal nostro filisteo,
bens come un piacevole ristoro nel deserto senz'erba e senza alberi del te-
desco della quotidianit. Ma indecoroso resta per lui ci che veramente
produttivo. Al pi moderno scrittore esemplare la sua sintassi totalmente
distorta, eccentrica o sfilacciata, i suoi ridicoli neologismi vengono non
soltanto perdonati, ma ascritti a merito, a nota piccante: ma guai allo stili-
sta dotato di personalit, il quale si tiene lontano con seriet e costanza
310 DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [11]
Si provi soltanto a tradurre questo stile di Strauss in latino: cosa che riesce
persino per Kant, e che con Schopenhauer comoda e stimolante. Il moti-
vo per cui con il tedesco straussiano la cosa non vuole assolutamente fun-
zionare, probabilmente non consiste nel fatto che il suo tedesco sia pi te-
desco del loro, ma nel fatto che in lui questa lingua confusa e illogica, e
in quelli invece piena di semplicit e di grandezza. Chi invece sa quanta
pena si dessero gli antichi per imparare a parlare e a scrivere, e quanta non
se ne diano i moderni, costui prover un vero sollievo, come una volta ha
detto Schopenhauer, nello sbarazzarsi di un libro tedesco che stato co-
stretto a leggere, per poter tornare alle altre lingue, sia antiche che moder-
ne; infatti in queste egli dice ho davanti a me una lingua fissata
secondo regole, con grammatica e ortografia completamente stabilite e fe-
delmente osservate, e posso dedicarmi tutto al pensiero, mentre nel tedesco
vengo disturbato ogni momento dalla saccenteria dello scrittore che vuole
imporre i suoi grilli grammaticali e ortografici e le sue grossolane trovate: e
qui mi ripugna la stoltezza che sfacciatamente si pavoneggia. davvero
una pena veder bistrattata da ignoranti e da somari una lingua bella, anti-
ca, che possiede scritti classici.
Questo vi grida il sacro sdegno di Schopenhauer, e non potrete dire di
non essere stati avvertiti. Ma chi non vuol saperne di avvertimenti e non
vuole assolutamente farsi turbare la fede nello Strauss classico, a costui va
suggerita come ultima ricetta quella di imitarlo. Provateci comunque a vo-
stro rischio: lo dovrete scontare sia col vostro stile sia, alla fine, colla vo-
stra stessa testa, perch si compia anche per voi il detto della saggezza in-
diana: Rosicchiare un corno di vacca inutile e accorcia la vita: ci si con-
sumano i denti e non se ne ottiene alcun succo.
12.
Infine vogliamo presentare al nostro prosatore classico la raccolta di
campioni stilistici che gli avevamo promesso; forse Schopenhauer la intito-
lerebbe genericamente: Nuovi documenti del gergo canagliesco di oggi;
questo infatti dobbiamo dire a consolazione di David Strauss, se pu esser-
gli di consolazione il fatto che oggi tutti scrivono come lui, anzi in parte in
modo ancor pi miserabile, e che tra i ciechi ogni monocolo re. In effetti
gli concediamo troppo, concedendogli un occhio solo, ma lo facciamo per-
ch Strauss non scrive come i pi scellerati fra tutti i corruttori del tedesco,
gli hegeliani e i loro storpi discendenti. Strauss almeno vuole uscir fuori da
questa palude, e in parte ne fuori, per ancora ben lontano dalla terra-
ferma; in lui ancora si vede che un tempo, in giovent, ha balbettato hege-
lianamente; in quel tempo qualcosa in lui si slogato, qualche muscolo si
stirato; in quel tempo il suo orecchio si ottuso, come l'orecchio di un fan-
ciullo cresciuto in mezzo ai tamburi, per non pi comprendere quelle leggi
del suono, artisticamente delicate e forti, sotto il cui regime vive lo scritto-
re formato con buoni modelli e con severa disciplina. In tal modo egli ha
perso, come stilista, il suo patrimonio pi prezioso, ed condannato a re-
stare per tutta la vita sulle sabbie mobili, sterili e pericolose, dello stile
giornalistico se non vuole immergersi ancora nel fango hegeliano. Tut-
tavia per qualche ora del presente riuscito a diventar celebre, e forse an-
cora per qualche ora del futuro si sapr che egli era una celebrit; ma poi
verr la notte, e con essa la dimenticanza: e gi in questo istante, in cui
scriviamo sul libro nero i suoi peccati di stile, inizia il tramonto della sua
fama. Infatti chi ha peccato contro la lingua tedesca, ha profanato il miste-
DAVID STRAUSS. L'UOMO DI FEDE E LO SCRITTORE [12] 313
ro di tutta la nostra natura tedesca: essa sola ha salvato, come per un meta-
fisico incanto, se stessa, e con s lo spirito tedesco, attraverso tutta la me-
scolanza e il cambiamento delle nazionalit e dei costumi. Essa soltanto
garantisce questo spirito anche per il futuro, qualora per non perisca tra
le mani scellerate del presente. Ma Di meliora Via i pachidermi, via!
Questa la lingua tedesca, nella quale si sono espressi uomini, anzi nella
quale grandi poeti hanno cantato e grandi pensatori hanno scritto. Via
quelle zampe!
Prendiamo come esempio una frase subito dalla prima pagina del libro
di Strauss: Gi nel crescere della sua potenza... il cattolicesimo romano
ha ravvisato un invito a riunire dittatorialmente tutto il suo potere spiritua-
le e temporale nelle mani del papa dichiarato infallibile. Sotto questo
ciondolante paramento sono nascoste varie proposizioni che non stanno
assolutamente insieme e che non sono possibili allo stesso tempo; qualcuno
pu in una qualche maniera ravvisare l'invito a raccogliere il suo potere
oppure a porlo nelle mani di un dittatore, ma non pu riunirlo dittatorial-
mente nelle mani di un altro. Se al cattolicesimo si dice che esso riunisce
dittatorialmente il suo potere, allora esso stesso viene paragonato a un dit-
tatore: evidentemente per qui il papa infallibile a venir paragonato al
dittatore, e soltanto per oscurit di pensiero e per mancanza di senso lin-
guistico l'avverbio collocato al posto sbagliato. Ma per afferrare l'insen-
satezza dell'altra espressione, consiglio di pronunciarsela cos semplificata:
il signore riunisce le redini nelle mani del suo cocchiere. (P. 4): Alla
base del contrasto fra il vecchio regime concistoriale e gli sforzi volti a ot-
tenere una costituzione sinodale esiste tuttavia, dietro la via gerarchica da
una parte e quella democratica dall'altra, una divergenza dogmatico-reli-
giosa. Non possibile esprimersi pi maldestramente: prima abbiamo un
contrasto tra un regime e determinati sforzi, poi alla base di questo contra-
sto c' una divergenza dogmatico-religiosa, e questa divergenza che alla
base si trova dietro una via gerarchica da una parte e una democratica dal-
l'altra. Indovinello: quale cosa si trova tra due cose alla base di una terza
cosa? (P. 18): e i giorni, bench inequivocabilmente incorniciati dal
narratore tra sera e mattina ecc. La supplico di tradurlo in latino, perch
capisca quale impudente abuso Lei fa della lingua. Giorni che vengono in-
corniciati! da un narratore! inequivocabilmente! e incorniciati fra qualco-
sa! (P. 19): Di narrazioni errate e contraddittorie, di opinioni e giudizi
falsi non si pu parlare nella Bibbia. Espressione quanto mai sciatta! Lei
scambia nella Bibbia con per la Bibbia: la prima avrebbe dovuto esser
collocata prima di non si pu parlare, la seconda dopo. Penso che Ella
volesse dire: di narrazioni errate e contraddittorie, di opinioni e giudizi fal-
si nella Bibbia non si pu parlare; perch no? perch essa appunto la Bib-
bia dunque: non si pu parlare per la Bibbia. Per non metter di segui-
to l'uno dietro l'altro nella Bibbia e per la Bibbia, Ella si indotto a
scrivere in gergo canagliesco e a scambiare le preposizioni. Lo stesso mi-
sfatto Ella commette a pagina 20: Compilazioni entro le quali sono elabo-
rati assieme frammenti pi antichi. Ella intende dire entro le quali sono
inseriti frammenti pi antichi, oppure nelle quali sono elaborati assieme
frammenti pi antichi. Nella stessa pagina Ella parla con espressione stu-
dentesca di una poesia didascalica che viene posta nella spiacevole situa-
zione di essere dapprima in vari modi fraintesa, e poi avversata e contesta-
ta, e a pagina 24 addirittura di sottigliezze con le quali si cerc di mitiga-
re la sua durezza^ Mi trovo nella spiacevole situazione di non conoscere
qualcosa di duro, la cui durezza venga mitigata da qualcosa di sottile; per
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vremmo dire di essa quel che Strauss stesso dice in modo cos bello (p. 17S):
per la vera vitalit, le mancano ancora elementi intermedi essenziali.
Dunque avanti con questi elementi intermedi! Contorni e molle ci sono,
pelle e muscoli sono preparati; ma fino a che si hanno solo questi, manca
ancora molto per la vera vitalit, oppure, per esprimerci inautorevolmen-
te con Strauss: nel caso in cui si facciano urtare immediatamente l'una
contro l'altra due masse di valore cos diverso, senza considerare i gradi e
gli stadi intermedi. (5): Ma si pu essere senza collocazione eppure
non giacere per terra. La comprendiamo bene, maestro dalle vesti succin-
te! Infatti chi non sta in piedi e neppure sdraiato, costui vola, si libra for-
se, caprioleggia oppure svolazza. Ma se Le stava a cuore esprimere qualco-
sa di diverso che non la Sua sventatezza, come il contesto lascia quasi im-
maginare, allora al Suo posto io avrei scelto un'altra immagine; questa poi
esprime anche qualcos'altro. ( 5): / rami del vecchio albero, divenuti
notoriamente secchi; che stile divenuto notoriamente secco! ( 6): an-
che a un papa infallibile, come quella necessit esigeva, costui non potreb-
be negare Usuo riconoscimento. A nessun costo si deve confondere il da-
tivo con l'accusativo: per i bambini uno strafalcione, per i prosatori
esemplari un delitto. A pagina 8 troviamo nuova formazione di una
nuova organizzazione degli elementi ideali nella vita dei popoli. Suppo-
niamo che questa tautologica assurdit sia scivolata di nascosto dal cala-
maio sul foglio: la si deve per questo far stampare? anche lecito non ac-
corgersi di una cosa del genere durante la correzione delle bozze? Durante
la correzione di sei edizioni! Per inciso, a pagina 9: quando si citano parole
di Schiller, lo si faccia con un po' pi di precisione e non cos approssima-
tivamente! La cosa esige il dovuto rispetto. Dunque bisogna dire: senza
temere lo sfavore di alcuno. ( 16): perch allora essa subito diventa
un chiavistello, un muro ostacolante, contro cui si volgono, con appassio-
nata avversione, tutto l'impeto della ragione progressiva, tutti gli arieti del-
la critica. Qui dobbiamo immaginarci qualcosa che prima diventi chiavi-
stello, poi muro, contro il quale alla fine si volgano arieti con appassiona-
ta avversione, oppure addirittura un impeto con appassionata avver-
sione. Signore, parli dunque come un uomo di questo mondo! Gli arieti
vengono rivolti da qualcuno e non si rivolgono da soli, e solo colui che li ri-
volge, e non l'ariete stesso, pu sentire appassionata avversione, bench di
rado qualcuno potr provare un'avversione simile proprio contro un mu-
ro, come Ella vuol farci credere. ( 266): motivo per cui anche simili
modi di dire hanno costituito in ogni tempo l'arengo preferito delle banali-
t democratiche. Pensato in modo oscuro! I modi di dire non possono co-
stituire alcun arengo! ma solo torneare essi stessi in quell'arengo. Strauss
forse voleva dire: motivo per cui anche simili punti di vista hanno costi-
tuito in ogni tempo l'arengo preferito dei modi di dire e delle banalit de-
mocratiche. ( 320): l'interiorit di un animo poetico dalle corde ric-
che e delicate per il quale, nonostante la sua attivit a vasto raggio nei cam-
p della poesia e delle scienze naturali, della vita associata e degli affari di
Stato, rest sempre come costante bisogno il ritorno al soave focolare di
un nobile amore. Io mi sforzo di immaginare un animo provvisto di corde
come un'arpa, e che poi abbia un attivit a vasto raggio, vale a dire un ani-
mo galoppante, che abbia la buona andatura di un morello, e che alla fine
torni al quieto focolare. Non ho forse ragione di trovare davvero originale
quest'arpa d'animo che galoppa e fa ritorno al focolare, ma che si occupa
anche di politica, per quanto poco originale sia, logoro, anzi illecito, l'a-
nimo poetico dalle corde delicate? Da questi arguti neologismi del volgare
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