Ponimi dunque fra i poeti lirici: LIBRO PRIMO col capo in cielo toccher le stelle.
1, a Mecenate 4, a Sestio
Mecenate, nipote di nobili etruschi, Al sorgere dolce di zefiro e della primavera
che mi sostieni e m'intenerisci d'orgoglio, l'acuto gelo si dilegua v' chi gode a sollevare col carro e gli argani dal secco la polvere d'Olimpia e, sfiorata la meta trascinano le navi al mare: con le ruote in fiamme, per la palma d'onore allora il gregge scorda il piacere degli ovili, si crede, come gli dei, signore del mondo; l'uomo quello del proprio focolare chi si esalta se il capriccio popolare si batte e i campi pi non s'imbiancano per eleggerlo alle supreme cariche di stato, pallidi di brina. e chi se nel proprio granaio pu nascondere Sotto il chiarore della luna tutto il raccolto che si miete in Libia. ora conduce Venere le danze Anche con la promessa d'incredibili e mano nella mano ricchezze le Ninfe e le Grazie leggiadre per paura del mare non sapresti indurre col piede battono a tempo la terra, a solcare su un legno di Cipro l'Egeo mentre nelle officine inquiete dei Ciclopi chi felice di lavorare i propri campi. si aggira tra le fiamme Vulcano. Cos il mercante, impaurito dal mare in Ora devi cingere il capo profumato burrasca di un mirto verde, dei fiori per il vento, loda, vero, la pace agreste che sbocciano dalla terra dischiusa del suo paese, ma poi, incapace a sopportare e in un bosco ombroso la mediocrit, riarma la nave in avaria. immolare a Fauno un'agnella Trovi chi non si nega un bicchiere di o un capretto se lo preferisce. vecchio massico Con piede uguale la pallida morte e perde parte del giorno sdraiato batte alle capanne dei poveri all'ombra fresca di un corbezzolo o alla e alle torri dei prncipi. sorgente Sestio, uomo felice, dove l'acqua d'una ninfa mormora lo scorrere breve della vita dolcemente. ci vieta di cullare una lunga speranza. A molti piace la vita militare, lo strepito Gi la notte ti avvince lacerante delle trombe, e la guerra, che ogni e i Mani favolosi, madre la diafana dimora di Plutone: maledice. Immobile sotto un cielo livido l, al tuo entrare, il cacciatore dimentica la dolce compagna, non t'avverr per sorte se i cani al suo fianco hanno stanato una d'essere eletto re del convito cerva e d'ammirare il tenero Lcida, o se un cinghiale ha spezzato l'intrico delle che ora i giovani fa accendere reti. e far le fanciulle sospirare. Io no: l'edera che premia la fronte dei sapienti 9, a Taliarco mi associa agli dei e il fresco dei boschi, dove coi satiri danzano agili le ninfe, Guarda la neve che imbianca tutto mi distingue dalla folla, se non ammutolisce il Soratte e gli alberi che gemono al suo peso, i fiumi rappresi n le corone intrecciate con fili di tiglio; nella morsa del gelo. smetti di cercare in quali luoghi Sciogli questo freddo, Taliarco, indugia la rosa d'autunno. e legna, legna aggiungi al focolare; Semplicemente il mirto: non voglio poi senza calcolo versa vino vecchio che tu aggiunga altro: per te che mi servi da un'anfora sabina. e per me che bevo all'ombra della vite Lascia il resto agli dei: quando placano il fiore questo. sul mare in burrasca la furia dei venti, non trema pi nemmeno un cipresso, LIBRO SECONDO un frassino cadente. Smettila di chiederti cosa sar domani, 10, a Licinio e qualunque giorno la fortuna ti conceda segnalo tra gli utili. Se ancora lontana Se al largo tu non insisti a sfidare il mare la vecchiaia fastidiosa e, nel timore di burrasche, per prudenza dalla tua verde et, non disprezzare, ragazzo, non rasenti il litorale e le sue insidie, gli amori teneri e le danze. Ora ti chiamano meglio vivrai, Licinio. l'arena, le piazze e i sussurri lievi C' una misura d'oro: chi la predilige di un convegno alla sera, evita cauto lo squallore di un tugurio il riso soffocato che ti rivela l'angolo in pezzi, e sobrio lo splendore di una reggia segreto dove si nasconde il tuo amore, che suscita l'invidia. il pegno strappato da un braccio pi facile che i venti scuotano un pino o da un dito che resiste appena. immenso, che crollino con maggior rovina le torri elevate e che colpiscano i fulmini la sommit dei monti. 11, a Leucnoe Un animo temprato nelle avversit spera un mutamento, nella buona fortuna Non chiedere anche tu agli dei lo teme. Giove ci assegna orribili inverni, il mio e il tuo destino, Leucnoe: ma lui stesso poi non lecito saperlo, che li allontana. Non sar sempre cos, come indagare un senso se oggi ti va male: capita che Apollo, fra gli astri di Caldea. senza tendere l'arco, svegli con la cetra Credimi, meglio rassegnarsi, la poesia che tace. se Giove ci concede molti inverni Nelle angustie della vita mostrati dunque o l'ultimo sia questo animoso, forte; e cos tu stesso ammaina che ora infrange le onde del Tirreno con saggezza le vele, quando troppo un contro l'argine delle scogliere. vento Pensaci: bevi un po' di vino in favore le gonfia. e per il breve arco della vita tronca ogni lunga speranza. Mentre parliamo, con astio 14, a Postumo il tempo se n' gi fuggito. Goditi il presente Ahim Postumo, rapidi, Postumo, e non credere al futuro. fuggono gli anni e non c' preghiera che ti eviti l'aggressione delle rughe, la vecchiaia, il confronto con la morte, 38, al coppiere anche se t'illudessi per tutta la vita, amico mio, di strappare con offerte Ragazzo, non amo l'oro dei persiani, senza fine una lacrima a Plutone: fra le sue onde di tenebra incatena E non sappiamo se gli dei del cielo esseri incredibili, quelle onde aggiungeranno che chiunque viva su questa terra, un domani ai giorni passati. dal pi povero al pi potente, tutti Tutto ci che per tua gioia avrai concesso a noi siamo destinati a navigare. te stesso Non serve evitare i rischi della guerra, sfugge all'avida mano dell'erede. le scogliere dove s'infrange l'urlo del mare; Al tuo tramonto, Torquato, pronuncer non serve difendersi ogni autunno Minosse dai venti che corrodono le ossa. su te chiara sentenza Credimi. Conosceremo il fiume della morte, e non ti riporteranno in vita la stirpe, il suo vagare inerte, opaco e le figlie la bella parola, la fede: maledette di Danao e Ssifo mai dalle tenebre infernali Diana libera incatenato per sempre alla sua pena. il puro Ippolito, Lasceremo i campi, la casa, la donna n Teseo pu spezzare a Pirtoo per quanto che amiamo e degli alberi che ora coltivi l'ami nessuno, se non questo cipresso odioso, le catene del Lete. seguir un padrone cos effimero. Il tuo erede, meno sciocco, si berr EPODO 7 il cecubo che difendi con cento chiavi e di quel vino generoso, che sfida le cene Dove, dove vi gettate voi, scellerati? dei pontefici, bagner la terra. perch impugnate le spade in disarmo? Forse non si sparso sulla terra e sul mare sangue latino a sufficienza? LIBRO QUARTO e non perch i romani incendiassero in guerra 7, a Torquato le rocche altere di Cartagine o gli indomiti britanni in catene La neve si dilegua e tornano l'erba nei scendessero per la Via Sacra, campi, ma perch, come sperano i parti, perisse sugli alberi le foglie; questa citt di propria mano? muta aspetto la terra e i fiumi in stanca Non costume questo di lupi o leoni, scorrono fra le rive; feroci solo coi diversi. la Grazia allora gioca a guidare ignuda la Follia cieca vi travolge? forza invincibile danza o colpa? Rispondete. delle sorelle e delle ninfe. Tacciono, e un pallore scolora il loro volto, Non illuderti d'essere immortale, la mente attonita, sgomenta. t'ammoniscono Certo: un fato atroce perseguita i romani, gli anni e i giorni che passano in un attimo. l'infamia di aver ucciso un fratello, Mitiga il vento il gelo a primavera e questa quando, a maledizione dei nipoti, il sangue la estingue l'estate che fugge, di Remo bagn innocente la terra. poi quando l'autunno avr dato i suoi frutti e le biade, torna l'inverno senza vita. Ma rapida la luna ripara i danni del cielo: noi quando cadiamo nel buio, dove si trovano il padre Enea, Anco e il ricco Tullo, non siamo che polvere e ombra. SATIRA 5 Fonteio Capitone, uomo di grande cortesia e amico di Antonio quant'altri Uscito dalla grande Roma, m'accolse ad mai. Ariccia una modesta locanda; m'era Con sollievo lasciamo Fondi, dov' compagno il retore Eliodoro, senza pretore Aufidio Lusco, ridendo delle confronti il pi dotto dei greci: di l a insegne di quello scribacchino matto: Forappio, brulicante di barcaioli e di osti pretesta, laticlavio ed il braciere acceso. malandrini. Noi, sfaticati, dividemmo in Affaticati pernottiamo a Formia, la citt due questa tappa, che per gente pi di Mamurra; Murena ci offre l'alloggio, svelta una sola; ma l'Appia meno Capitone la cena. faticosa a chi la prende comoda. Qui, L'alba seguente sorge lietissima come per via dell'acqua, ch'era pestifera, mi non mai; a Sinuessa ci vengono metto a dieta e attendo di cattivo umore incontro Plozio, Vario e Virgilio, anime i compagni che cenano. che pi candide non nacquero su Gi si preparava la notte a stendere le questa terra e a cui nessun altro pi ombre sulla terra e a spargere di stelle il legato di me. Che abbracci furono i cielo, quand'ecco i servi lanciare nostri e che gioia! Finch avr senno, improperi ai barcaioli e i barcaioli ai niente paragoner a un amico diletto. servi: "Attracca qui!"; "Vuoi imbarcarne Una casetta vicina al ponte Campano ci trecento?"; "Ehi, basta!". Mentre si offr ricovero e i provveditori, com' loro riscuote il nolo e si lega la mula, se ne dovere, legna e sale. va un'ora buona. Zanzare malefiche e Da qui i muli depongono in orario i loro ranocchi palustri ci tormentano il sonno; basti a Capua. Mecenate va a giocare, un barcaiolo, fradicio di vino, canta io e Virgilio a dormire: il gioco della palla l'amica lontana e con lui a gara un con certo indicato per chi soffre d'occhi passeggero, finch sfinito questo si o di stomaco. Pi avanti ci accoglie, mette a dormire e il barcaiolo provviste di ogni cosa, la villa di insonnolito, mandata a pascolare la sua Cocceio, subito sopra le osterie di mula, lega le redini a una roccia, poi Caudio. supino prende a russare. Era ormai Ora vorrei, Musa, che tu mi ricordassi quasi giorno, quando ci accorgiamo che brevemente la rissa di Messio Cicirro la barca non si muoveva: allora salta su con quel buffone di Sarmento, da quale una testa calda che con una verga di padre siano nati e come vennero a lite. salice spiana capo e lombi a mula e La gloriosa stirpe di Messio sono gli osci barcaiolo: solo verso le dieci finalmente e di Sarmento vive ancora la padrona: sbarchiamo. Con l'acqua di Feronia ci discesi da tali antenati, vennero a laviamo mani e faccia. contesa. "Io dico", comincia Sarmento, Dopo colazione, ci arrampichiamo per "che tu assomigli a un cavallo tre miglia fin sotto alle pendici di Anxur, selvaggio". Ridiamo, e Messio a sua arroccata su rupi che biancheggaino volta: "L'ammetto", e scuote la testa. lontano. L, con Cocceio, doveva "Cosa faresti," dice l'altro, "se non raggiungerci il mio buon Mecenate, t'avessero reciso dalla fronte il corno, ambasciatori entrambi di affari visto che pur mutilato minacci?" E per la importanti e abituati ormai a rabbonire verit una brutta cicatrice gli deturpava gli amici in discordia. Stavo, per la in mezzo ai peli della fronte la parte congiuntivite, ungendomi gli occhi con il sinistra del viso. Dopo avere a lungo collirio nero, quando giungono scherzato sul morbo campano e sulla Mecenate, Cocceio e insieme a loro sua faccia, gli chiede di mimare la danza pastorale del Ciclope: non gli di pietra. Qui Vario sconsolato prende sarebbero serviti maschera o coturni da congedo dagli amici in lacrime. attore tragico. Gli insulti di Cicirro non si Giungemmo quindi a Ruvo, stanchi contano: gli chiedeva se avesse gi morto per esserci sorbiti un tratto donato in voto ai Lari la catena; gli interminabile di strada, reso in pi ricordava che, pur essendo scrivano, su difficile dalla pioggia. lui non era per nulla scemato il diritto Il giorno appresso il tempo migliora, ma della padrona; voleva sapere infine non la strada, almeno sino alle mura perch fosse fuggito, dal momento che, della pescosa Bari. Poi Egnazia, eretta gracile e mingherlino qual era, gli contro il volere delle ninfe, ci offr motivo doveva bastare una libbra di farro. Cos di risa e di scherni ,perch volevano qui in piena allegria portammo a termine la farci credere che l'incenso sulla soglia cena. del tempio si consumava senza fiamma. Di qui filiamo dritti a Benevento, dove Pu pensarlo il giudeo Apella, io no: gli l'oste zelante per poco non si bruci dei, cos ho sentito dire, passano il loro girando sul fuoco i suoi magri tordi; tempo indifferenti e, se qualche prodigio divampato l'incendio, la fiamma si verifica in natura, non certo l'ira guizzando per la vecchia cucina divina a precipitarcelo dall'alto dei cielo. minacciava di lambire il soffitto. Avresti Brindisi pone fine al lungo viaggio e alla dovuto vedere i clienti affamati e i servi mia satira. impauriti che cercavano di mettere in salvo i tordi e tutti insieme di spegnere il fuoco. A quel punto cominciano a mostrarsi i monti a me ben noti dell'Apulia, che sono bruciati dallo scirocco e che mai noi avremmo valicati, se non ci avesse ospitato un casale vicino a Trevico e tutto pieno di fumo da farci lacrimare, perch il focolare bruciava ramaglie umide e foglie. L sono tanto sciocco da aspettare sino a mezzanotte una ragazza bugiarda; poi il sonno mi coglie assorto nelle voglie d'amore e le visioni lascive di un sogno mi fanno bagnare supino la tunica da notte e il ventre. E via di corsa in carrozza per ventiquattro miglia, intendendo far tappa in una cittadina, che non si pu nominare nel verso, ma che per certi aspetti facilissimo indicare: qui l'acqua, la pi vile delle cose, si compera; in compenso il pane senza confronti il migliore, tanto che i viaggiatori accorti hanno l'abitudine di farne provvista, perch a Canosa, localit fondata un tempo dal forte Diomede, oltre a mancar l'acqua, il pane