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Introduzione
Solo pochi anni fa, quando lidentit dei francesi e dei popoli vicini sembrava prossima a
inscriversi in quella di unEuropa politicamente unita, il nazionalismo, e con esso il sentimento
nazionale, il patriottismo, sembravano passati di moda. Ma da quando il nazionalismo
improvvisamente si incarnato nella lotta feroce dei clan bosniaci, di colpo cambiato tutto.
Non che il nazionalismo fosse sparito dalle democrazie occidentali che ostentavano di averlo
superato: esisteva ancora. Ma da quando avevamo preso a fingere di essere europei, e soprattutto
da quando lincendio aveva cominciato a divampare nellEuropa centrale o nel Caucaso, nessuno
aveva pi chiamato quel fenomeno col suo vero nome. Si pensava che gli slavi del sud e gli altri
caucasici ubbidissero solo a pulsioni tribali. La faccenda era chiusa; non lontano da noi rinasceva
il tribalismo. Era solo laltro nome del nazionalismo, ma quella vicinanza stessa testimoniava la
nostra fedelt a valori universali che stranamente continuavamo a inscrivere nellEuropa delle
nazioni - quella occidentale - non potendo accettare un vero federalismo.
Due equivoci: il primo consisteva nello spostamento in senso riduttivo nella definizione del
nazionalismo. Il nazionalismo in questa classica definizione esprime innanzitutto le rivendicazioni
di popoli che si sentono simili e aspirano a riunirsi sotto lautorit di governanti che ritengono
simili a s. Definizione che risale alla seconda met del Settecento.
Sorge per cos la difficolt di definire ci che da considerarsi negativo. Il sentimento nazionale si
sarebbe dovuto concepire ancora come il supporto indispensabile del governo rappresentativo e
poi di quello democratico. Poich il potere moderno si fonda sulla volont collettiva, deve
assegnare a quella volont un contesto territoriale che pu essere solo nazionale. Tale spazio dovr
concretizzarsi con il concorso di fattori inevitabilmente legati al conflitto con i paesi vicini.
Lambivalenza morale del processo induce a relegarlo nella categoria negativa del nazionalismo
quando rimane incompiuto e ad aureolarlo invece della virt del sentimento nazionale e
patriottico quando, una volta raggiunto il suo scopo, tende a diventare meno turbolento.
Dal 1990 o dal 1991, lambizione di essere governati insieme da persone simili a s non pi una
tendenza ambigua ma tipica della storia europea, bens la causa inaccettabile di una violenza
istintiva che trasforma ex concittadini in fratelli nemici. Essa diventa lo spauracchio ultimo di
unEuropa ben regolata.
Nellaltro equivoco attuale si manifesta il trauma profondo delle identit collettive nel cuore stesso
dellEuropa occidentale e dellAmerica settentrionale. Nel 1953, il sociologo americano David
Riesman ha elaborato un concetto destinato a un vivo successo: quello di etnicit o ethnicity. Ha
generato cos unideologia alternativa al nazionalismo - quella del multiculturalismo plurietnico - e
infine, intorno al 1980, approdata in Europa. Il multiculturalismo tollerante e promuove una
nuova forma di identit civica fondata su alcuni valori di portata universale; ma poi un nome delle
pari dignit di ogni gruppo, ne esalta i tratti specifici che intende perpetuare nelle differenze
culturali e addirittura etniche. A quel punto il multiculturalismo perde il suo volto di tolleranza
universalistica per assumere quello di azione pi o meno volontariamente tesa alla
frammentazione antagonistica di unit nazionali gi costituite. Contemporaneamente si discosta
dalla concezione civica e individualistica del sentimento nazionale per avvicinarsi alla versione
etnoculturale e comunitaria riscontrabile oggi in tutta la sua crudezza nellEuropa centrale o
orientale, nellIrlanda del nord e nelle province basche. I moti di natura etnica si ripetono senza che
nessuno abbia pi il coraggio di chiamarli cos.
Questo libro ha il solo scopo di rivisitare il presente tentando di ritrovare il senso e i diversi
sviluppi dellidea di nazione, e con essi le molteplici forme delle identit nazionali o del
nazionalismo.
1. Antichit del fenomeno: a quando risalgono i nazionalismi europei?
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2. Chiarimento dei meccanismi sociali, culturali ed economici e dei fini politici che hanno
presieduto alla configurazione internazionale delle forme di quello che ormai nessuno esita a
chiamare fatto nazionale.
3. Analisi della messa in discussione, dalla met dellOttocento, della legittimit delle aspirazioni
delle piccole nazionalit a disporre di uno stato autonomo in nome delle loro specificit
linguistiche, etniche o religiose e non pi di unideologia particolare.
4. Punto decisivo che interessa non pi le origini dei contrasti fra diversi nazionalismi dellEuropa
orientale e le incerte identit collettive di quella occidentale, ma la loro stessa sostanza.
Lobiettivo quello di riprendere in esame le ricette delle societ che sono o sono state refrattarie al
nazionalismo corrente nelle due versioni, quella politica e quella culturale. Simili prospettive
presentano elementi che possono arricchire il dibattito e il nostro modo di sentire.
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questo il contesto nel quale il basileus della seconda Roma (Costantinopoli) diventa una divinit
regnante, papa e monarca insieme, padrone delle cose e degli uomini.
3. Il conservatorismo ottomano e russo
Lordine imperiale bizantino sopravviver a se stesso nellimpero dei turchi ottomani e in quello
degli zar. Il sovrano ottomano appare allo stesso tempo come il monarca e il custode della legge
divina; lubbidienza che gli dovuta acquista cos un carattere religioso.
Proliferare antagonistico delle identit collettive nellEuropa sudorientale = odi fra i paesi
musulmani in balia di piccoli capi infedeli, o fra varie comunit cristiane soggette a cristiani diversi
o a responsabili ottomani. Conflitto tra lambiente urbano dominato dai musulmani e le campagne
rimaste cristiane.
Nello spazio russo lorma bizantina si impressa pi profondamente. Sorge una monarchia
militare. Intorno al 1840 Ivan III si attribuisce il titolo di zar, Cesare, per legittimare la propria
supremazia e fondare la terza Roma. Logica orientale di concentrazione del potere e di
soffocamento di ogni velleit di indipendenza della societ. Il potere russo, al culmine,
caratterizzato dalla simbiosi tra religione e politica. Fino allOttocento conoscer solo due realt:
quella dellapparato politico o religioso dellautocrazia e quella delle migliaia di comunit
contadine tutte simili e tutte immobili.
La coscienza russa si configurata precocemente, fra lXI e il XIV secolo, riaffermando la fede
religiosa e la specificit etnica dei russi rispetto ai musulmani orientali e ai cristiani occidentali, con
lattaccamento alla terra stessa. Cos i russi si sono sentiti tali prima che altri popoli avessero
qualche nozione della loro identit. Solo pi tardi hanno cominciato a elaborare una concezione
pi politica della loro comune appartenenza.
4. Il percorso delleuropa occidentale
Completamente diverso stato litinerario dellEuropa occidentale. A partire dal IX secolo,
caratterizzato da una divaricazione crescente fra lautorit spirituale e quella temporale. Sebbene
per molti versi pi omogenea dellimpero centrale, lEuropa occidentale appare come una specie di
Cina mancata che avrebbe potuto unirsi in un impero e invece si divisa in molteplici spazi di
sovranit. La frammentazione politica dellEuropa occidentale ha offerto al nascere della libert e
dellimmaginazione sociale o economica opportunit impensabili nei vasti blocchi imperiali. La
feudalit occidentale rappresenta un sistema di potere frammentato che permette di non
rinunciare allindipendenza materiale e politica. Il feudalesimo occidentale fonda un sistema
individualistico di valori grazie al codice donore cavalleresco, che valorizza non solo la
raffinatezza dei costumi, ma lavventura e il successo personale.
certo che lantica componente civica dei sentimento nazionale nellEuropa occidentale deve
molto a questa origine medievale e che quelle basi storiche sono mancate nellEuropa orientale e
centrale.
5. Il secondo servaggio orientale
Fra il XV e il XVIII secolo, il servaggio, almeno nelle manifestazioni pi dure, sparisce da quasi
tutto lOccidente europeo mentre si diffonde ad est con intensit senza pari. Il consolidamento
della divisione dellEuropa diventa comprensibile alla luce della crisi che scuote leconomia di tutti
i paesi nel secoli XIV e XV, si intensifica nel XVI e provoca a est la reazione signorile del secondo
servaggio, a ovest la fuga nellassolutismo.
questo il percorso fondante delle tre Europe, segnato dallavanzata e dal successivo arretramento
dellOccidente, dal tardivo assoggettamento del centro e dellest europeo alla servit della gleba e
infine dalla repressione dei primi, deboli segni di indipendenza della societ nella porzione
orientale. Da questa sfasatura avranno origine il progresso industriale della prima e la stagnazione
rurale delle altre due e due percorsi politici divergenti, con lo sviluppo dei regimi rappresentativi e
successivamente della cittadinanza democratica da un lato, e dallaltro dei regimi burocratico-
militari che saranno soppiantati solo dallavvento finale del comunismo.
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6. Lenigma dellEuropa centrale
LEuropa centrale ha voluto essere occidentale senza possedere i veri attributi delloccidentalit.
Difficolt di individuare quellidentit soprattutto mentale rispetto a quella dellOccidente e, in
particolare, dellOriente europeo. Paesi quali Ungheria, attuale Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia,
Croazia e Slovacchia sono stati attratti dallOccidente pur sapendo che loggetto del desiderio
restava distante e illusorio. Sul piano della cultura intellettuale, dei valori e della religione,
lEuropa centrale si presenta realmente come un Occidente sequestrato. Nel campo economico e
sociale, invece, caratterizzata soprattutto dalla grandissima affinit con lEuropa orientale.
Inoltre, dal punto di vista politico lEuropa centrale, dalla fine dellOttocento alla II Guerra
Mondiale, ha dovuto sottostare a governi autoritarie oligarchici che a volte prendevano laspetto di
vere e proprie dittature.
Il concetto di Europa centrale appare insomma sfuggente e arbitrario. Fino allepoca comunista,
nelle societ dellEuropa orientale il peso delle citt e dellimmaginario occidentale rimasto
minore di quello delle campagne e dellidentit tradizionale ortodossa. NellEuropa centrale,
invece, esso tendeva a prevalere facendo apparire la mentalit populista del mondo contadino
come un ostacolo alla sua europeit.
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controllo della popolazione. il motivo per cui il sentimento nazionale prender corpo
innanzitutto nelle societ protestanti.
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abbastanza omogenea da spezzare le antiche solidariet locali a vantaggio di unidentit estesasi
fino a comprendere uno stato sovrano o un popolo deciso a rivendicarlo. Il nazionalismo al suo
apice, quale si esprime durane le due guerre mondiali, definisce i suoi caratteri sotto leffetto
diretto o indiretto di tre iniziative politiche quasi simultanee: 1) il riconoscimento della
cittadinanza effettiva, grazie al suffragio universale; 2) lo sviluppo di un sistema di scuole
pubbliche; 3) il servizio militare obbligatorio. Il punto di partenza la formazione di una lingua
comune alla popolazione dei grandi stati.
Come hanno fatto quelle lingua a diventare nazionali senza essere familiari ai pi? C da valutare
il peso della centralizzazione monarchica laddove esistita, e quello dei fondatori intellettuali di
una sintassi e di un vocabolario assurti in seguito a norma letteraria. Parallelamente, gli stati gi
consolidati adottano tempestivamente quei linguaggi scritti in via di codificazione come strumenti
di comunicazione ufficiale. Lestrema diversit dei dialetti europei si dovunque ridotta, lasciando
in ogni paese una lingua dominante. La preferenza accordata a quelle poche lingue leffetto di un
movimento suscitato dalle esigenze commerciali, finanziarie e tecniche della stampa in quanto
industria. I tipografi, per maggiore comodit, hanno fissato di loro iniziativa regole di scrittura
standardizzare, hanno sostenuto gli autori che seguivano lo stesso criterio, insomma hanno
abituato forzatamente la clientela a un oggetto letterario che allinizio, probabilmente, lasciava
perplessi molti lettori, ma che presto entrato nel costume.
E infine il nuovo linguaggio scritto a fornire il supporto iniziale alle coscienze nazionali a venire.
Tre di questi supporti sono: il sentimento di naturale appartenenza a uno spazio delimitato da altri
spazi limitrofi e distinti, lidea che il destino di quel territorio sia governarsi con autorit sovrana e
infine la tendenza pi affettiva a pensarsi come membri di una comunit indubbiamente pi larga
di quella costituita a suo tempo dai vicini, ma altrettanto solidale e quasi carnale. Quel sentimento
di comunanza destinato a unire in spirito migliaia di persone che non si incontrano mai,
sostenuto dal prestigio di una lingua superiore alle altre ma praticamente ignorata dai pi. perch
quella lingua, soprattutto stampata, svolge per le masse di analfabeti che parlano il dialetto una
funzione eminentemente simbolica.
La lingua stampata, divenuta anche parlata, apparsa inizialmente come unantitesi a
predominanza sociale, si era trasformata in unantitesi a predominanza nazionale. Era nato il
concetto culturale, sociale e antropologico di nazione; di l a poco ne sarebbe stato definito il
concetto politico.
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dirigente rivoluzionaria si rendeva conto di essere un gruppo troppo esiguo per incarnare da solo
una legittimit suscettibile di soppiantare quella del re. Per acquisirla, doveva auto-convincersi e
convincere tutti di rappresentare nientaltro che la parte attiva di tutto il popolo, di coincidere con
esso: in una parola, di essere la Nazione con liniziale maiuscola.
2. Linvenzione della nazione sovrana
Il bisogno incalzante di una nuova legittimazione dellautorit rendeva il concetto politico di
nazione necessario, in diversa misura, in tutta lEuropa.
Tuttavia linvenzione francese del principio di legittimit tuttora vigente, quello della nazione
sovrana, non lascia alternative: o seguire il modello francese, o rifiutarlo esplicitamente; scompare
di fatto lalternativa al destino politico necessariamente nazionale.
La nuova definizione politica della nazione coincide con il popolo, il terzo stato. La nazione il
sovrano che spossessa il re, detiene una legittimit riferita solo a chi si riconosce in essa.
Il senso politico del termine nazione acquista il suo pieno rilievo. Circoscrive un popolo che
tutto in quanto simbolo e niente nei fatti, a cui si contesta il diritto di usare direttamente la propria
sovranit, il cui dovere consiste nel designare dei mandatari senza mandato imperativo che lo
rappresentano secondo il loro intendimenti nel rispettarne lautorit. La nazione un corpo
politico imbrigliato in partenza. Questesigenza di assoluta abnegazione personale appare come il
tratto dominante del modello ideale della democrazia a venire, fondato su una cultura civica
orientata innanzitutto verso il bene pubblico. La dottrina della democrazia nazionale traspare gi
nellultimo articolo della Dichiarazione dei diritti delluomo, l dove si stabilisce che il diritto di
propriet, quantunque inviolabile e sacro, pu essere ignorato quando la necessit pubblica lo
esiga.
Lelemento fondante di una politica di democratizzazione, cio la trasformazione dei sudditi in
cittadini, tende a produrre una presa di coscienza di tipo populistico che, per certi aspetti, risulta
piuttosto difficile da distinguere dal patriottismo di marca nazionalista e persino sciovinista perch
se il paese in qualche modo mio, allora si pu facilmente considerarlo preferibile rispetto a
quelli stranieri.
Interdipendenza fra i movimenti primi del nazionalismo politico e quelli della dottrina della
sovranit della nazione.
3. Il battesimo del fuoco del nazionalcivismo
Ma bisognava continuare a inculcare nel popolo un senso di ubbidienza completamente riveduto e
corretto, un nazionalcivismo definito come sistema di valori unificato sul metro dei bisogni dello
stato e non pi delle comunit vicine, garante di un tipo di comportamento standardizzato. Tutti i
grandi stati europei aspireranno a regnare non pi su dei sudditi sottomessi, ma su degli abitanti
desiderosi e orgogliosi di servirli, su dei cittadini. Il nazionalcivismo diventa cos il tallone aureo
della cittadinanza e della nazionalit indivise fino allindomani della II Guerra Mondiale.
Quasi dappertutto la scuola, la coscrizione obbligatoria e ledificazione nazionalista attraverso la
guerra o le epopee coloniali garantiscono la diffusione di una forma rinnovata di sudditanza allo
stato-nazione. La guerra anzi va messa al primo posto. Il bellicismo non mira intenzionalmente a
galvanizzare lardore nazionale del popolo, ma si rivela subito un espediente miracoloso. La
guerra funzionale: oltre a offrire un diversivo alle difficolt interne, rappresenta il mezzo
migliore per legare al regime cittadini neofiti. Non c niente di meglio della guerra per fondare la
coscienza politica nazionale. per giunta, ai miti assedi del secolo dei Lumi, succedono battaglie
cruente; i progressi tecnici e tattici realizzati nellarte militare vanno di pari passo col suo regredire
verso la barbarie. Leffetto tuttavia formidabile. Nel giro di pochi anni, intere popolazioni si
identificano con le glorie e addirittura con le sconfitte dello stato che le sacrifica: gli subordinano
un patriottismo fino ad allora incerto per convertirsi al nazionalismo politico e a una storia
nazionale riscritta.
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4. La banalizzazione del nazionalcivismo: dalla caserma alla scuola
Durante il periodo di pace intercorso tra il 1815 e il 1914, alle masse sar riservato lo stesso
trattamento nelle caserme. I comuni coscritti spesso sotto le armi si avvicinano alla lingua di
riferimento, imparando anche a leggere. Emolto importante imporre un inquadramento mentale
completo e per loro del tutto inedito, centrato sulla relazione che possono e devono avere con lo
stato. Il riferimento quello della lingua nazionale standardizzata; lo scopo innalzare il suo uso a
segno primordiale e obbligato di appartenenza alla nazione e di civismo autentico. Politica del
terrorismo linguistico e dellegemonia grammaticale.
La scuola diventa il luogo dove di inculca il concetto di libert auto-limitata che il nuovo regime
esige. Listruzione pubblica diventa strumento culturale dellintegrazione politica. Passer,
tuttavia, del tempo prima che la realt corrisponda alle alte finalit della promozione linguistica;
lalfabetizzazione resta di fatto superficiale fino verso il 1900.
Con modalit differenti, tutta lEuropa si impegna nellopera di persuasione nazionale. E
dovunque lopera di persuasione elementare si rivolge prima di tutto ai ceti popolari a cui la
nuova identit dello stato meno familiare. Ma a ogni livello, elementare o esclusivo, il progetto
restava identico: consisteva nel mettere la lingua e la cultura al servizio di uno stato nazionale
esistente o a venire e, sotto le apparenze delluniversalit, a confinarle in uno spazio territoriale e
politico preciso.
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dellordine sociale su quello politico. Lo stato chiamato direttamente in causa: la legittimit non
pi quella dello stato-nazione dei francesi, ma quella di nazioni-comunit sorde alle sottigliezze
della teoria politica.
La cultura delle diverse nazioni non altro che un insieme di codici linguistici, simboli, modelli di
rapporti sociali, istituzioni, tecniche, modi di adattamento agli influssi del contesto spazio-
temporale, che li individuano in quanto raggruppamenti umani stabili. Egli si pone in unottica di
una cultura costantemente evolutiva e aperta. In questottica contesta laspirazione europea
alluniversalit e nega validit al pregiudizio razzista.
Lo spirito del popolo il solo valore assoluto, senza che i suoi eccessi possano invalidarlo.
In conclusione, Herder appare contraddittorio, confuso e ambivalente. Ad accenti diversi, meno
bellicosi, ricorre per idealizzare i meriti del suo popolo, la sua incomparabile originalit. In realt si
tratta solo di unabile legittimazione delle sue ambizioni politiche.
2. colpa dei tedeschi
La visione etnoculturale della nazionalit ha alimentato la xenofobia di paesi i quali si sentivano
umiliati dal prestigio e dalla potenza di altri stati-nazione. Per giunta la prospettiva a coltivare
unidentit chiusa in se stessa non ha interessato solo i settori conservatori, espansionisti e
guerrafondai, ma si estesa allinsieme della popolazione e alla totalit dello spettro ideologico.
Tutta la seconda met dellOttocento insomma segnata da una filosofia o una sociologia
dualistica, che sottolinea il contrasto fra una comunit considerata naturale e benefica e una societ
moderna che appare disumanizzata.
Rispetto al pensiero di Herder e Fichte, il programma di Hitler rappresenta una deviazione
estrema; tuttavia, pur snaturandolo, se ne ispira in pi punti e, precedendo di molto gli orrori del
nazionalsocialismo, gi nel 1870-1871 i fatti hanno rivelato laggressivit potenziale del
nazionalismo etnoculturale (guerra franco-prussiana; annessione dellAlsazia e della Lorena).
3. La nazione elettiva di Renan
Proprio quegli avvenimenti inducono Ernest Renan a contestare il ricongiungimento tra la
Germania e lAlsazia-Lorena, giustificato dalla comunanza di lingua e di origine, in nome di un
diverso principio di nazionalit.
Renan razzista, atteggiamento diffuso ai suoi tempi ma raramente esternato con tanta sicumera
pseudo-scientifica. Ecco chi lispiratore della dottrina democratica della nazione. Renan ,
peraltro, un grande ammiratore della Germania per la forza che giustamente le riconosce. Tuttavia
lannessione dellAlsazia-Lorena provoca un sussulto di patriottismo che lo induce a rivedere le
sue posizioni morali, filosofiche e politiche. Si arrende al principio delle nazionalit fondato in un
modo o nellaltro sulla legittimit popolare. Da allora cerca argomenti da opporre alla concezione
tedesca della nazione. Deve abbandonare le concezioni etniche di cui vede chiaramente i rischi.
Niente nazione naturale, dunque. Mette da parte le preoccupazioni idealistiche e si ingegna a
rendere innocuo ci che, nel nazionalismo, rappresenta una minaccia per la pace in Europa.
in questa prospettiva che sviluppa la sua visione della nazione elettiva, legittimata non
dallespressione diretta e troppo istantanea della sovranit popolare, ma dallidea di un consenso
pi diffuso e profondo, storicamente determinato, permanente, unificante e non pluralista.
Una nazione unimmagine mentale costruita pensando al passato e per il passato. La sua
esistenza un plebiscito quotidiano. La metafora plebiscitaria si propone di chiudere un capitolo
dellallargamento del principio delle nazionalit in un momento in cui i grandi paesi europei sono
tutti giunti a costituirsi in stato-nazione.
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Il 1917 segna lo spartiacque tra le due epoche. A un tratto, nei dirigenti delle potenze in lotta il
terrore del contagio comunista mette a tacere ogni altra paura. Da quel momento cercheranno di
trovare un antidoto a quel pericolo immane e imprevisto, ma non sapranno fare altro che puntare
sui micronazionalismi soffocati da decenni per utilizzarli come argini alla minaccia rivoluzionaria
l dove essa appare pi incombente - nellEuropa centrale e orientale. Cos le grandi nazioni
caricano la polveriera delle piccole nazionalit la cui esplosione era con ci stesso gi innescata.
Cos contribuiscono anche alla nascita di una nuova variet di nazionalismo attivo: quel tardivo
nazionalismo contemporaneo che di etnico ha solo il nome, perch ubbidisce innanzitutto a puri
calcoli di opportunit da parte di coloro che operano per innescarlo.
1. LEuropa bellicosa
Fra le potenze chiamate a confrontarsi nel 1914, una sola resta immune al contagio del
nazionalismo di stato: lAustria. Il crepuscolare impero viennese ha raggiunto la perfezione dei
regimi in declino.
Per il resto la maggior parte della popolazione austriaca di lingua tedesca si sente piuttosto
nazional-tedesca. Quanto ai sudditi del regno dUngheria, si considerano semplicemente
ungheresi, e allo stesso modo i boemi si sento dei cechi sudditi degli Asburgo, gli abitanti della
Polonia si sentono polacchi e cos via. Eppure nellestate del 1914 la mobilitazione generale si
svolge ovunque senza incidenti, senza che le nazionalit distinte dellimpero abbiano veramente
ancora gustato il frutto del nazionalismo.
2. La Grande guerra sciovinista
Nel resto dellEuropa, lo scoppio del conflitto suscita entusiasmo; questo almeno quello che si
dice. Ogni popolo si sente aggredito e pertanto convinto della giustezza della sua causa.
La guerra del 1914-1918 si presenta subito come una lotta per la libert dei popoli e la democrazia
contro lautoritarismo, sia da parte francese, inglese o belga che nel campo avverso. La cosa
importante non questa metamorfosi del patriottismo, ma la generale flessione di una sinistra
europea che aderisce alla causa nazionale anche nel suo orientamento pi guerrafondaio. Di pari
passo si verifica una riconversione degli ambienti intellettuali: il tono si avvicina spesso a quello di
MaX Weber, il quale in Germania si rallegra della riconciliazione fra le lite, i ceti e i partiti nata
dalla guerra grande e meravigliosa.
Per giunta la stampa alleata cerca di far credere ai lettori che la guerra non fa vittime se non nel
campo nemico. Solo in seguito non si potr non mostrare i cadaveri della propria parte lasciati sui
campi di battaglia.
I socialdemocratici restano i soli a caldeggiare una pace senza conquista, sia pure difendendo
anche loro la tesi della guerra difensiva. Ma il grosso della popolazione li ascolta appena e
preferisce plaudire alla guerra sottomarina a oltranza. La grande delusione arriva solo nel 1917. i
popoli cominciano a capire che le atrocit degli uni valgono quelle degli altri. Milioni di
combattenti sono gi caduti in offensive e controffensive senza scopo n effetto. Reggimenti
francesi si ammutinano, le donne nelle fabbriche di armi si mettono in sciopero. In Inghilterra i
volontari si sottraggono al servizio militare, tanto che viene introdotta la coscrizione obbligatoria.
In Germania, sono le privazioni dei civili ad avere ragione dellunit nazionale. LAustria cerca
invano di concludere una pace, mentre gli italiani sono stremati e i russi si decidono a entrare nella
rivoluzione per uscire dal conflitto.
3. La riabilitazione delle micronazionalit
La crisi rivoluzionaria in Russia giunge inaspettata.
Carlo IV vede i pericoli della rivoluzione eppure, almeno nei primi tempi, non sar la rivoluzione
proletaria a gettare lo scompiglio nei suoi molti possedimenti. Si assiste al propagarsi di un
entusiasmo nazionalista che tende a smembrare limpero.
Queste prese di posizione autonomistiche rimangono moderate: non mettono in discussione la
sopravvivenza dellimpero, a condizione che si compia un rimaneggiamento sulla base del
principio di adesione volontaria delle componenti nazionali e qualche ridefinizione interna di
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confini. Quattro fattori purtroppo insidiano questa compostezza: 1) il fallimento dei tentativi di
ristrutturazione di Carlo IV; 2) la mancanza di tempo; 3) il tumulto che coinvolge popolazioni
diverse dallaustriaca e dallungherese; 4) lazione dei leader nazionalisti esiliati.
LAustria e soprattutto la Germania danno lesempio di unirresponsabilit politica che, cercando
di conseguire vantaggi a breve termine, comprometter per decenni lequilibrio del continente. Le
potenze cosiddette centrali intendevano indebolire la capacit militare della Russia imperiale. In
questa prospettiva, nel 1916, nelle regioni conquistate, gli austro-tedeschi restaurano un regno di
Polonia. Questa politica subisce una battuta darresto durante i primi mesi della rivoluzione
russa, ma ad onta della reticenza austriaca, i tedeschi sono troppo tentati di accelerare il crollo
della Russia per resistere. Intervengono in Finlandia in difesa dell'indipendenza subito insediata
dalla guerra civile, riconoscono lindipendenza della repubblica democratica ucraina, permettono
ai paesi baltici occupati di compiere sotto la loro protezione una secessione di fatto. La Germania
favorisce la formazione di una federazione transcaucasica comprendente lArmenia, lAzerbaigian
e la Georgia.
Questi precedenti pongono gli alleati di fronte a un dilemma: sfruttare o no come la Germania
londata delle micronazionalit? Ci saranno lunghe esitazioni, ma alla fine attueranno la stessa
politica. il processo diventa irreversibile senza essere premeditato.
La Gran Bretagna, il 14 agosto 1918, si decide a dichiarare la Cecoslovacchia nazione alleata.
Dimostrano cos che per gli alleati delle potenze vittoriose lindipendenza nazionale a portata di
mano. Fra questi si schierano dunque Serbia, Romania, Cecoslovacchia, Polonia, Montenegro e
anche la Grecia.
4. Il nazionalismo arrivista
Cos, dopo la fioritura rivoluzionaria del nazionalismo europeo associata, sul finire del Settecento,
al trionfo dellidea di sovranit popolare, dopo la sua successiva trasformazione in patriottismo di
stato intorno al 1850 nel contesto del consolidamento delle grandi nazionalit, gli anni fra il 1917 e
il 1919 diventano, quasi per sbaglio, il teatro della sua terza svolta. Stavolta la logica che riabilita il
diritto delle piccole nazionalit a costituirsi in spazi di sovranit appare accessoria e improvvisata,
ad onta del suo potenziale distruttivo. La parcellizzazione delle frontiere un semplice artificio
costruito ingigantendo puri risentimenti politici o travestendo un malcontento di natura
amministrativa e linguistica. Lo smembramento del cuore dellEuropa si spiega solo con
motivazioni politiche o personali di ordine relativamente subalterno. Le grandi nazioni credono di
operare con questo mezzo una diversione capace di deviare lincendio rivoluzionario che divampa
in Russia. Infine, nellimposizione dei trattati di pace i vincitori gestiscono senza discernimento le
conseguenze di questa strategia.
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Un ultimo fattore rende lesplosione irreversibile. Esso trae forza dallabisso che si spalanca con la
rapida e deliberata degenerazione in criminalit delle guerre civili appena scoppiate, da cui
derivano rotture insanabili fra gruppi umani che fino a quel momento convivevano pacificamente.
Ad ogni modo, concomitanti o isolati, questi fattori dellirrompere dei nazionalismi il cui innesco
allinizio restava contingente provocano una serie convulsa di dichiarazioni di indipendenza.
Il risultato di tanti sconvolgimenti difficile da valutare. A prima vista essi non risolvono quasi
mai il problema dei gruppi linguistici e religiosi smembrati fra pi paesi: anzi dal 1918 il tasso di
disseminazione continua ad aumentare.
Non si possono mettere sullo stesso piano tutti i giovani stati post-comunisti. Alcuni - i paesi
baltici, la Croazia, la Slovenia, lArmenia e in misura minore la Georgia - corrispondono a identit
comuni difficilmente contestabili e cementate dalle sofferenze patite dal 1918 in poi. Altri non
convincono o si fondano, come in certe regioni del Caucaso, su un particolarismo islamico che ha
una logica diversa da quella del nazionalismo. Pi in generale anche se inizialmente lattuale
espressione delle micronazionalit dellEuropa centrale e orientale ha fatto appello allidea
democratica della sovranit popolare, nella pratica ha smentito quasi subito questa relazione. Il
mutamento tuttavia dipende dal processo di formazione che ha relegato in secondo piano lopera
di democratizzazione delle societ interessate o lha completamente soffocata.
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2. Dallantifascismo al patriottismo nazionaldemocratico
Questa svolta presenta un inconveniente: la delocalizzazione delle patrie urta altri intellettuali la
cui sensibilit si colloca ugualmente a sinistra e che vorrebbero conciliare le simpatie per
linternazionalismo con quei legami nazionali che esitano a rompere e con una fede democratica
ancora liberale e pluralista. La firma, nel maggio 1935, del patto franco-sovietico conferma che ora
la svolta viene da Mosca. In quel documento non si parla pi di guerra classe contro classe. La
parola dordine quella di unalleanza contro il nemico ideologico primordiale: il nazismo. In
questa prospettiva i borghesi di ogni paese con i loro partiti vengono accettati come alleati con cui
lottare fianco a fianco. nata linternazionale dellantifascismo.
Linnesto dellantifascismo rinnova il patriottismo allinterno di una vasta area di leader
dopinione o di compagni di strada del comunismo.
Dal 1936 al 1939 la guerra di Spagna segna il culmine di questa unione fra la patria degli antichi e
linternazionale dei moderni. Per due generazioni, essa si trasforma in quello che, per le
generazioni pi giovani, saranno le guerre del Vietnam e poi dellAmerica centrale: uno dei grandi
miti del nostro tempo, forse il pi suggestivo fra quelli che hanno animato lideale politico.
Nessuno ha potuto contemplarla con occhi indifferenti, poich essa appariva come il fattore
cruciale di una nuova forma di impegno regolata dal mito manicheo dello scontro fra il Bene e il
Male.
Il nazional-internazionalismo antifascista e democratico si espande a macchia dolio, mentre il suo
opposto si disgrega. Durante il conflitto, i settori di destra e i transfughi della sinistra si vedranno
costretti a rinnegare il nazionalismo xenofobo per rifugiarsi sotto il manto dellinternazionale della
collaborazione. Linternazionalismo antifascista di segno progressista si arricchisce cos di un
contenuto democratico di fondo che lo scioglie dal legame con la rivoluzione sociale. Da un lato
rinasce il classico risentimento contro un nemico sempre dipinto come esecrabile; dallaltro, in quel
contesto si riaccende anche il senso nazionale nellaccezione pi alta: quella di un sentimento
condiviso da un corpo politico cementato dal principio della sovranit popolare.
3. I separatismi a domicilio
Dopo il 1945 lo spirito nazionaldemocratico trionfa con la vittoria sul totalitarismo nazista e poi
con la lotta contro laltro totalitarismo, quello comunista. Leffimera tregua ricopre due diverse
realt. In primo luogo i micronazionalismi frenati dallespandersi delle grandi nazioni
caratterizzano compiutamente certi paesi dellEuropa occidentale. Inoltre il caso irlandese ne la
variante pi originale, pi durevole e anche la pi sfuggente rispetto alle interpretazioni correnti
del micronazionalismo.
Il caso irlandese smentisce le interpretazioni correnti dellemergere dei micronazionalismi europei,
nei quali qualcuno aveva voluto vedere un fenomeno tardivo, uscito dal limbo a met
dellOttocento. La frustrazione nazionale dellIrlanda invece si rivela molto pi antica. Inoltre,
nella prima fase non esasperata dal meccanismo culturale in cui si voluto vedere lelemento
scatenante comune alle identit micronazionali. Tre diversi fermenti ne determinano lattivazione.
Il primo, a lunghissimo termine, fondato sul plurisecolare risentimento suscitato dallegemonia
inglese, continua a ispirare il senso di identit o di differenza del popolo. Gli altri due fenomeni
della rivendicazione nazionale irlandese intervengono a pi breve termine e scandiscono il suo
trasformarsi in un preciso oggetto di rivendicazione politica. Da un lato c la minaccia di
annientamento demografico seguita alla carestia della met dellOttocento. Dallaltro bisogna
considerare il valore di monito assunto da due precedenti: lo smembramento dellAustria-
Ungheria ad opera degli alleati dopo il 1918 e la lotta per i diritti civili dei negri americani dopo il
1960.
I separatismi a domicilio, ritenuti trascurabili dai paesi dellEuropa occidentale, si osservano in
Spagna e in Belgio. Come spiegare il contrasto fra la moderazione catalana e lesasperato
particolarismo basco? In entrambi i casi lespressione dellidentit procede dalla mancata
formazione di uno stato spagnolo unitario nel corso dellOttocento. Le lite politiche ed
economiche catalane hanno aderito al movimento autonomista influenzandolo largamente in senso
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moderato, mentre fra i baschi lattivismo separatista ha trovato seguito in settori che nulla avevano
da perdere da una radicalizzazione del movimento.
Con minore profondit storica, il conflitto che in Belgio oppone fiamminghi e valloni parte di un
processo per certi aspetti simile ai micronazionalismi spagnoli. Anche qui la mobilitazione del
particolarismo linguistico e culturale ha favorito il sorgere delle rivendicazioni fiamminghe.
NellEuropa occidentale i separatismi di qualche consistenza si configurano come reazione contro
le metamorfosi economiche dello stato-nazione liberale o come frutto di un rancore plurisecolare,
mentre dipendono solo superficialmente dalle sindromi etno-culturali inasprite
dallirresponsabilit politica delle grandi potenze, cos come si possono osservare nellEuropa
centrale e orientale.
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Nello stesso tempo, gli individui si iscriverebbero liberamente su registri nazionali assimilati a
persone morali incaricate di questioni culturali ed educative con piena competenza legislativa e di
bilancio.
Si realizza in questo schema la dissociazione fra stato e territorio, mentre lappartenenza nazionale
si stacca da entrambi per esprimersi in una scelta individuale che non comporta alcuna adesione a
un apparato di sovranit e che inscrive la sudditanza politica allo stato di servizio entro i limiti
delle sue finalit, aliene da ogni impegno sul terreno del nazionalismo.
2. La formula elvetica
La coscienza elvetica fa riferimento a un modo di identificazione politica estraneo alle categorie
correnti della sudditanza nazionale. Nonostante ci la loro fierezza e la loro identit collettiva sono
innegabili, purch non le si guardi alla luce delle nazionalit banali.
Nelle circostanze ufficiali, gli svizzeri si riconoscono lun laltro come confederati, ossia legati da
un accordo volontario, e tuttavia distinti. Il concetto nazionale resta volutamente vago. Cos quello
elvetico pu essere interpretato come un impegno non gi di con-cittadinanza sotto tutela, ma di
co-cittadinanza libertaria. Il linguaggio stesso dei politici e della stampa fa riferimento al
Sovrano con liniziale maiuscola, attribuendo al popolo a cui tocca tale onore la maest un tempo
riconosciuta ai monarchi assoluti. La nazionalit svizzera procura solo un sovrappi di garanzie
per lesercizio della cittadinanza, non pretende di incarnare unessenza e contiene a malapena una
identit sostanziale.
Alla mentalit svizzera estraneo il concetto di minoranza culturale o etnica e altrettanto estranea
le lidea di centralit da cui animato il sentimento nazionale. Guardata con disprezzo dai
sudditi delle grandi nazioni la cui identit stata programmata ad alto livello, la risultante della
traiettoria elvetica resta quanto meno fonte di riflessione. Il senso primordiale di appartenenza di
ogni svizzero rientra nella sfera dellindeterminato o dellintimo.
Questo dispositivo a geometria variabile favorisce i particolarismi, i quali a loro volta ostacolano la
pi allarmante chiusura del nazionalismo e si conciliano con lo spirito di universalit che
caratterizza la parte pi illuminata della popolazione. In questo gli svizzeri restano vicini pi di
tutti gli altri a quello che stato il cosmopolitismo dellEuropa illuministica.
3. La Spagna: uno stato senza territorio?
La Spagna un altro esempio, recentissimo, di riformulazione della logica nazionale o, per meglio
dire, dal 1977 illustra il passaggio da una concezione unificatrice della nazione spagnola a una
concezione diversa, multinazionale.
Lera franchista aveva comportato la perdita degli statuti autonomistici ottenuti in epoca
repubblicana e si era risolta in una politica di rivalsa del nazionalismo castigliano sui nazionalismi
periferici, quello basco e quello catalano, e in particolare nellimposizione dello spagnolo al posto
degli idiomi regionali.
Dal tentativo di riparazione, nasce la Spagna delle autonomie. Nascono cos, fra il 1977 e il 1985,
diciannove comunit autonome che finiscono col coprire tutto il territorio spagnolo. Ad eccezione
delle tre comunit (la Catalogna, le province basche e la Galizia) che hanno rivendicato
lautonomia, per le altre sedici si trattato di un regionalismo indotto, un trascinamento
artificiale, destinato a diluire in una certa misura i grandi regionalismi, basco e catalano, che
facevano paura alla nuova Spagna. Si cos delineata una gerarchia della Spagna delle comunit
autonome. Al sommo le tre perseguite con grande determinazione, a un livello intermedio le otto
comunit dotate, per ragioni diverse, di un certo spessore, in basso le altre undici trascinate da una
dinamica alla quale hanno aderito sotto la spinta delle circostanze.
Tuttavia il tratto saliente della democrazia spagnola sta nel fatto che limprovvisa apparizione di
nuovi contesti politici arbitrari abbia provocato la nascita di sentimenti di sudditanza o di
appartenenza e addirittura lemergere di una nuova percezione delle idee di popolo, nazione e
nazionalit. La nazione intesa sia come nazionalit di stato, sia in riferimento alle diverse
nazionalit o popolazioni che fanno parte di quello stato.
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Bisogna dissolvere la propria individualit di cittadini nella nazionalit puntigliosa del luogo in
cui si vive. Nel far ci, i nazionalismi spagnoli si sono ridotti fino a dimensioni talvolta minime e
cos facendo sono diventati troppo piccoli per alimentare una vera aggressivit esterna.
La via austriaca era interessante. Quella spagnola probabilmente lo meno, perch sembra favorire
la formazione di stati-nazione in miniatura, per giunta votati a una perenne frustrazione a causa
della vocazione rientrata alla sovranit.
Conclusioni
Quale che sia la sua sorte a venire, il nuovo assetto della Spagna non fornisce molta materia di
riflessione nella prospettiva di unidentit europea tutta da creare nei contenuti politici.
Occorre perci trovare altre piste per decifrare un presene segnato da due spinte di segno opposto:
nellEuropa occidentale, lapparente crollo delle sudditanze nazionali classiche associato a una
sorta di elogio delleterogeneit; nella parte orientale, un ritorno delle passioni nazionaliste.
1. LOccidente o lelogio alleterogeneit
Lerosione della sovranit degli stati una realt legata al carattere sempre pi globale degli
equilibri economici, sociali, politici, ideologici o religiosi. Inoltre, per resistere insieme a simili
pressioni, gli stati hanno acconsentito spontaneamente a cedere parti cospicue di sovranit, in
particolare nel contesto dellUnione Europea. Da ultimo, mentre la conclusione del conflitto fra
Oriente e Occidente sembrava annunciare la fine degli scontri ideologici transnazionali,
lirrompere sulla scena dei grandi movimenti religiosi fondamentalisti e poi di altre correnti
integraliste che presiedono al risorgere dei nazionalismi di tipo etnico, ha fatto s che avvenisse
esattamente il contrario. Il fondamento della democrazia nei diversi paesi - la democrazia-
nazionale - ne uscito indebolito. Il senso comune vede nel nazionalismo il principio ispiratore di
tutte le guerre e di tutti i genocidi moderni; alloccorrenza affibbia la qualifica di etnico a quello dei
paesi non occidentali. Quando allattaccamento nazionale, catalogato come una patologia sociale
che, sebbene pi benigna, relega chi ne soffre fra le persone sorpassate. Da parte sua, il
nazionalcivismo disgiunto dallaggressivit non pi di moda. Inoltre il sentimento nazionale,
dovunque si manifesti, visto in Europa occidentale come un deplorevole inconveniente
manipolato da governi discutibili o addirittura criminali.
Questa sensibilit postnazionale ubbidisce a una tendenza a ripudiare il dovere collettivo della
morale positiva, a vantaggio di una scelta etica contingente inscritta nella ricerca della felicit
individuale o dellimpegno personale. Di qui, oggi, lattenzione quasi esclusiva che esercitano le
cause liberamente scelte: cause umanitarie, ecologiche, oppure di difesa e illustrazione di qualche
gruppo particolare, ribattezzato minoranza.
Voltando le spalle alle sudditanze durevolmente inscritte in un territorio o in uno status politico,
questa regola di vita tende a privilegiare le appartenenze elettive effimere. Tuttavia questo civismo
si moda si risolve non pi in unesaltazione ella solidariet, bens in un elogio delleterogeneit.
Il prodotto pi noto di questo neocivismo dellelogio delleterogeneit la dottrina del
multiculturalismo, attualmente criticata negli Stati Uniti ma ripresa in Europa. La semplice
tolleranza non basta pi, anzi prende il volto del disprezzo, poich, secondo i canoni del
multiculturalismo, solo il riconoscimento assoluto delle differenze, dellequivalenza di tutto con
tutto dellassenza di qualsivoglia normalit dovrebbe regolare le relazioni fra individui.
Colta nella sua coerenza globale, questa consacrazione delleterogeneit arriva a dissociare dei
contesti di esistenza - stato, mercato, societ, reti di solidariet - che non si sovrappongono pi.
Inoltre sancisce la definitiva chiusura su se stesse delle minoranze etniche, religiose e anche
regionali gi costituite, e in avvenire di tutte le altre appena delineate o ancora da inventare. In
queste condizioni, lapertura della collettivit nazionale assume laspetto di un artificio imposto.
Esiste lalternativa offerta dal collante dellidentit europea, che potrebbe fondarsi sui valori
comuni alEuropa occidentale e anche centrale. Peccato che sia stato fatto molto poco per sfruttare
questo patrimonio condiviso. Lapparato dellintegrazione europea rimasto prevalentemente
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giuridico, tanto che invece di unire gli europei, li divide. perch si sviluppi nel continente
unidentit politica collettiva, forse bisogna che prima vi si consolidi uno spazio pubblico di
dibattito tale da rendere gli europei consapevoli dei loro interessi comuni e di un interesse generale
superiore a quello delle parti.
2. La caricatura dellEst
Nelle attuali analisi della realt nazionale europea unaltra ombra la rappresentazione
caricaturale che lOccidente d delle passioni nazionaliste dei paesi un tempo comunisti.
Se per un verso si parla di trib dai costumi inaccettabili, per laltro si vorrebbero integrare questi
transfughi della dittatura totalitaria nella grande famiglia europea, ma solo a condizione che si
liberino, per lappunto, delle loro deplorevoli tendenze tribali. Questo porta a gerarchizzarli in
modo arbitrario in funzione di categorie precostruite fin dalla met dellOttocento. Questa visione
tende a perpetuare negli europei dellEst unillusione di un ingresso nella famiglia delle vecchie
democrazie europee che restituirebbe loro, come per un dono del cielo, il patto di sudditanza
politica.
Poich la sfida lanciata ai paesi dellEuropa centrale e orientale si inscrive in primissimo luogo
nellurgenza di ricostruire una collettivit politica capace di supportare lesercizio della
democrazia, evidente che essa non pu essere vinta con scappatoie o finte dettate dalla messa
allindice dellattaccamento nazionale. Il risorgere di un simile attaccamento, almeno relativo,
condiziona la formazione del corpo politico in senso classico, in quanto raggruppamento
volontario di cittadini disposti a vivere sotto lo stesso governo in virt di un contratto tacito che lo
renda legittimo.
3. Le prescrizioni impossibili
Del resto quel fattore di identificazione nazionale continua a prevalere a ovest, sia per reazione
contro gli anatemi che gli vengono scagliati contro, sia per un effetto perverso dei sentimenti
confusi di chi li proferisce. Quello che stato un tempo lo spirito patriottardo continua a snaturare
gli eventi sportivi a buon diritto detti internazionali. I giochi olimpici prendono il posto delle
guerre. Per giunta sui margini continua a fare la sua parte la vanagloria militare. Cos gli europei
esaltano il coraggio dei loro soldati quando mandano i Caschi blu in Croazia e in Bosnia. Il fatto
che i responsabili politici conoscono queste aspettative patriottiche, se non nazionalistiche, e
tentano di sfruttarle, in particolare per giustificare gli stanziamenti in favore della Difesa.
Pi degno di nota sembra il pregiudizio di superiorit o di irriducibilit nazionale che perdura
inalterato. Colpisce lo spostarsi di formazioni politiche fino ad allora moderate verso posizioni di
affermazione nazionale. Significativa anche la reazione ambigua contro le tesi multiculturaliste
che oggi approda in Europa.
Per lEuropa occidentale, il solo antidoto a questa ricaduta nel grembo della nazione potrebbe
essere fornito dallideale dellunificazione, se non si sapesse che ad esso manca stranamente ogni
appoggio volontaristico. Perci lo studioso di scenari futuri deve interrogarsi sullazione, possibile
e improbabile al tempo stesso, atta a procurargli una forza bastante a contrastare quella del
nazionalismo ritrovato. Gli strumenti di tale azione sono noti, sono stati usati in tutta lEuropa,
dove le feste e gli inni nazionali sono simboli di identificazione politica creati in funzione di una
tecnica di comunicazione senza misteri. Lemozione si costruisce. Ma il ricorso a questi mezzi
presuppone che unautorit centrale ritenga di usarli. LEuropa non dispone di uno stato che si
trovi nella necessit di farlo, mentre i dirigenti politici restato tropo confinati nei codici specifici dei
rispettivi paesi.
Fare congetture sulla sorte delle nazionalit dellEuropa centrale e orientale ancora pi rischioso.
Si pu solo dire che per le societ che la compongono il principale ostacolo forse rappresentato
non tanto dalla tentazione della nazione etnica, ma dalle pretese della nazione giacobina, pavesata
di valori universali ma tutta tesa a sottomettere a un governo centrale delle popolazioni che
rimangono estranee.
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Il problema, che li trascende, che la democrazia, specialmente agli inizi, pu sperare di
consolidarsi solo se i cittadini che essa tenta di convincere della propria legittimit credono di
riconoscersi nei dirigenti politici.
Il legame nazionale ha fornito e continua a fornire il contesto indispensabile alla costituzione di
sistemi di governo fondati sul consenso esplicito dei governati, ossia di democrazie. Pertanto, ha
una diversa portata nellOccidente e nellEst europeo. A Ovest, nelle vecchie democrazie,
rappresenta ormai una sopravvivenza quasi parassitaria poich non contribuisce pi al progresso
della cittadinanza, anzi ne ostacola la proiezione europea. La situazione delle giovani democrazie
dellEuropa orientale resta invece tributaria del collante nazionale per un tempo imprecisato. Esse
non possono ancora fare a meno della simbiosi fra limpegno civico a bassa intensit e il ben pi
pregnante senso di comunione nazionale che ha presieduto in passato al radicarsi della fede
democratica nellEuropa occidentale. Il senso democratico non un prerequisito del consolidarsi
dei regimi di libert, bens un risultato. Si diventa democratici praticando la democrazia. Le
democrazie nascenti hanno bisogno per molto tempo di democratici nazionalisti. Solo in un
secondo tempo esse possono avviarsi verso un contratto politico pi evoluto: un contratto in cui lo
stato-nazione ceda il posto a nazioni-stato dove lapparato di governo non sia pi sentito in modo
viscerale.
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