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Le api

2
Paolo Cacciari

VIE DI FUGA
Crisi, beni comuni, lavoro e democrazia nella
prospettiva della decrescita

Marotta & Cafiero


editori
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Via Andrea Pazienza 25
80144 Napoli
www.marottaecafiero.it
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ISBN: 978-88-97883-159
Editing a cura di Silvia Oliviero
Impaginazione a cura di Davide Fiore
Copertina di Salvatore Fiore
Leditore a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda le fonti
fotografiche non individuate.
INDICE

CAPITOLO I
Dopo la fine del sogno americano 11

I poveri in galera, i ricchi sempre pi ricchi 16


Perdita della ragione 21
Capitalismo catastrofico 26
Cambiare il mondo 33

CAPITOLO II
Stato di crisi permanente 39

Lideologia della crescita (a debito) 44


Stagnazione secolare 46
Determinanti e sottostanti della crisi 51
La natura di una crisi che viene da lontano 55
Nelle periferie dellimpero: lEuropa 61
Scenari 63
Altri tunnel in fondo al tunnel 64

CAPITOLO III
Beni comuni 73

Materia di lavoro per i giuristi 77


Un sistema sociale basato sui beni comuni 80
Ambiguit inevitabili 82
I soggetti della trasformazione 86
Uno statuto non utilitarista e non antropocentrico dei
beni comuni 91
Una proposta di ricerca interdisciplinare 94
CAPITOLO IV
Lavoro 103

Lavoro come bene comune 109


Lavorare altrimenti 113
Lavoro come mezzo di dominio 117
Lavoro e tecnoscenza 122
Tre condizioni per un lavoro buono 125
Ridurre il lavoro senza perdere reddito 131
Green job 135

CAPITOLO V
Democrazia 141

Democrazia disfunzionale 146


Rappresentanza embendded 149
Il dilemma dei movimenti 153
La debole democrazia delibante 158
Democrazia in radice 164
Il sentiero si traccia camminando 167
Movimenti caleidoscopici 169
Nuove forme di organizzazione 173

CAPITOLO VI
Decrescita 177

La giusta misura 186


Come uscirne 192
La natura non n scarsa n ostile 196
La decrescita in concreto 198
Cosa, come, dove, quanto produrre e per chi 203

INDICE DEI NOMI 207


Alla galassia dei comitati
che si oppongono alle grandi opere
per la difesa del territorio
e dei beni comuni
CAPITOLO I

Dopo la ne del sogno americano

Perdonate linterruzione, signore replic


Bitzer ma certamente sapete che lintero si-
stema sociale si fonda sullinteresse personale.
a questo che si deve fare appello. questo
lunico sostegno. Siamo fatti cos. Sono stato
educato con questo catechismo sin da bambino
e voi lo sapete bene, signore.
(Charles Dickens, Tempi difcili, 1854)

Loccidentalizzazione del mondo procede per contagio1. La uni-


formizzazione e la universalizzazione dei modi di produzione, dei
modelli di consumo, degli stili di vita e dello stesso sistema di pensiero
capitalistici, si propagano sulle onde elettromagnetiche delle televi-
sioni e della rete telematica e vengono veicolate dal denaro. La sfera
economica sovrasta e invade ogni altra dimensione relazionale
umana, comunitaria, duciaria, paritaria, amicale, informale, affettiva
e conviviale2. Ma fortunatamente non smette di incontrare varie
_____________________________
1
La globalizzazione lo stato attuale della mondializzazione [] Processo lungo
di omogeneizzazione e standardizzazione secondo i modelli nord-americani. E.
Morin, La via. Per lavvenire dellumanit, Raffaello Cortina, Milano, 2012, pp. 6-7.
2
Uso il termine conviviale nel senso dato da Ivan Illich: Chiamo societ conviviale
una societ in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata
con la collettivit. I. Illic, La convivialit, Baroli editore, Milano 2005, p. 14. Se-
condo Gustavo Esteva, Illich prese il termine convivialit da Brillat-Savarin che
lo aveva coniato nel 1825, ma gli diede un nuovo significato per designare un
nuovo tipo di societ tecnicamente matura che pu essere chiamata postindu-
striale. Illich applica il termine agli strumenti, invece che alle persone. Definisce
austere le persone che trovano la loro gioia ed equilibrio nelluso di
11
e nuove resistenze, esterne ed interne. La colonizzazione at-
traverso il mercato continua a scontrarsi con la logica della vita,
ha scritto Wolfgang Streeck3. Un conitto che rilevabile ovun-
que: nei Sud come nei Nord del pianeta, nelle campagne come
nelle periferie delle megalopoli, tra i giovani a cui negato il fu-
turo, come tra gli anziani impoveriti. Soprattutto tra le donne
che, per ragioni antiche di discriminazioni, conoscono meglio
di chiunque altro quanto sono dure e difcili le attivit della
presa in cura della vita, del lavoro necessario alla sussistenza4.
Cos nota Edgar Morin:

Di fronte allincremento della tecnologia e della burocratizzazione


allinterno delle amministrazioni e delle imprese, di fronte allincre-
mento della tirannide del protto, dellefcienza, della produttivit,
della redditivit, dellatomizzazione degli individui che lo sviluppo tec-
_____________________________
strumenti di convivialit. Lausterit cos intesa non esclude tutti i piaceri,
ma soltanto quelli che degradano o ostacolano le relazioni personali. G.
Esteva, Comunalit. Per abbandonare le recinzioni, edizioni Voci di Abaya Yaca,
traduzione di Caminar domandando, 2014. Illich non escludeva lesistenza
di un modo di produzione industriale di massa che per non superasse la
soglia oltre la quale genera la degradazione della natura, la distruzione dei le-
gami sociali, la disintegrazione delluomo Illich, op. cit., p. 14. I modi di pro-
duzione e di consumo capitalistici spazzano via le solidariet sociali e aprono
la strada alle derive individualistiche, egoistiche e allavidit. Alain Caill usa il
termine convivialismo per indicare un mondo post-liberale promosso in
piena autonomia e sovranit politica dalla societ civile associazionista, locale,
regionale, nazionale, transnazionale. A. Caill, A piene mani, in A. Lucarelli -
U. M. Olivieri (a cura di), Dono dis-interesse e beni comuni, Diogene, Napoli, 2013.
3
W. Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli,
Milano, 2013, p. 16.
4
B. Bianchi, Prospettive femministe su lavoro, ecologia, etica delle relazioni, in AA. VV.,
Immaginare la societ della decrescita, Terra Nuova edizioni, Firenze, 2012. Secondo
la FAO nei Paesi in via di sviluppo le donne sono proprietarie della terra in
percentuali minime (dal 3 ad un massimo del 20% dei proprietari) ma dal loro
lavoro invisibile dipende il 70% della produzione alimentare. Ci nonostante,
il 60% di coloro che soffrono la fame nel mondo sono donne. In alcuni Paesi
la tradizione patriarcale esige che le donne mangino per ultime.

12
nologico ed economico non fanno che accelerare, constatiamo che gli
individui resistono, si difendono, e che la societ civile sviluppa delle
contro-tendenze5.

La distruttiva marcia del capitalismo globale viene quotidia-


namente contrastata da popolazioni indigene, contadini e donne
che si oppongono al land grabbing, allesproprio e alla privatizza-
zione degli usi civici consuetudinari e dei beni comuni sociali;
da lavoratori e giovani precari che si oppongono allintensica-
zione dello sfruttamento e alla svalorizzazione di tutte le forme
del lavoro vivo, concreto, tanto di quello produttivo con-
trattualizzato, quanto di quello riproduttivo informale; da cit-
tadini e cittadine che resistono alla umiliante prepotenza, alla
corruzione e alla violenza delle forme di dominio delle istituzioni
statali; dalle popolazioni residenti che si oppongono al prelievo
indiscriminato delle risorse naturali6. Ci ha ricordato Chris Car-
lsson che il capitalismo una relazione di potere sociale che
piega le relazioni umane alla sua logica perversa, ma incontra
resistenze sempre maggiori: Nella vita quotidiana le persone
_____________________________
5
E. Morin, La via. Per lavvenire dellumanit, Raffaello Cortina, Milano, 2012, p. 46.
6
Si veda: R. Zibechi, Territori in resistenza. Periferie urbane in America Latina, Nuova
Delphi, Roma, 2012; A. Zanchetta, America Latina, lavanzata de los de abajo, movi-
menti sociali e popoli indigeni, Fondazione Neno Zanchetta e Massari editore, Bol-
sena, 2008. Entrambi documentano ci che sta avvenendo nel continente Sud
americano. I reportage di Arundhati Roy descrivono i conflitti nel subcontinente
indiano. Si veda: A. Roy, Quando arrivano le cavallette, Guanda, 2009; e In marcia con
i ribelli, Guanda, 2012. Le guerre civili nel mondo arabo testimoniano lingover-
nabilit delle tensioni sociali con i tradizionali strumenti repressivi militari e re-
ligiosi. Si veda: Hisham Ben Abdallah El Alavi, Primavere arabe, non detta lultima
parola, in Le Monde diplomatique e Il Manifesto, febbraio 2014. Ancora pi
frantumata la situazione in Africa sub-sahariana. La tenuta dellordine in Cina
nasconde linsostenibilit democratica del regime capital-comunista. Le periferie
europee sono sullorlo del default sociale. Per gli Stati Uniti si veda il sito www.pou-
pularresistance.org. Per unanalisi dei conflitti generati dalleconomia predatoria
cfr.: Centro di documentazione sui conflitti ambientali (a cura di), Conflitti am-
bientali. Biodiversit e democrazia della terra, Edizioni Ambiente, Milano, 2011.
13
resistono a queste forze ritagliandosi spazi di autonomia in cui
agiscono dintesa al di fuori (e spesso contro) i tentativi del ca-
pitale di mercicare le loro attivit7.
Il sistema-mondo dominante rivela anche aporie interne de-
terminate dallimpossibilit di mantenere le promesse di opulenza
generalizzata e di democrazia per tutti. Linvito alla emulazione
(imitateci e vi arricchirete), che ha sorretto le teorie inclusive
dello sviluppo e le pratiche del sottosviluppo, non funziona pi8.
Il sogno americano si rivelato un inganno per la maggioranza
della popolazione mondiale. Ha affermato Slavoj iek: Forse
c qualcosa che non funziona nella nostra idea di paradiso9. La
locomotiva civilizzatrice ha esaurito la sua forza propulsiva e
comincia a perdere vagoni per la strada. Gli Stati Uniti abbando-
nano al loro destino i Paesi pi periferici del decadente impero,
nello stesso modo con cui, al loro interno, emarginano i poveri e
proletarizzano i ceti medi. Innumerevoli studi lavevano previsto10.
Serge Latouche, nel suo La ne del sogno occidentale, dopo aver ri-
cordato che il movimento di occidentalizzazione di una forza
terricante (poich, come aveva previsto Rosa Luxemburg, ci
_____________________________
7
C. Carlsson, Now Utopia. Come il ciclismo creativo, lorticoltura comunitaria, la per-
macoltura, la galassia P2P e lecohacking stanno reinventando il nostro futuro, ShaKe,
Milano, 2009, pp. 159-160.
8
G. Rist: Come non accorgersi che il progetto pacificatore del commercio
ha ceduto il posto alla guerra economica, motivata dalla concorrenza e abbi-
nata a una guerra contro la natura? in G. Rist, I fantasmi delleconomia, Jaca
Book, Milano, 2012, p. 3. Per una rassegna completa delle teorie antisviluppiste
si veda: AA. VV., Disfare lo sviluppo. Per rifare il mondo, Jaca Book, Milano, 2005.;
ed anche W. Sachs (a cura di), Dizionario dello sviluppo, Edizioni Gruppo Abele,
Torino, 1998.
9
S. iek, Un mondo di proteste, traduzione in Internazionale n.1008, 12-18
luglio 2013.
10
La bibliografia delle voci (inascoltate) sarebbe davvero imponente. Ricordo
solo N. Chomsky, Sulla nostra pelle, M. Tropea, Milano, 1999 e B. Cartosio, Lau-
tunno degli Stati Uniti, ShaKe, Milano, 1998. Da un punto di vista opposto arriva
alle stesse conclusioni C. Johnson, Nemesi. La fine dellAmerica, Garzanti, Milano,
2008.
14
saranno sempre nuovi mercati capaci di assorbire leccedenza di
beni di consumo prodotti dalle ofcine del mondo), nondimeno
non mancano ora segnali del declino americano, gi riconoscibili
negli anni 80, quando settori interi dellindustria manifatturiera
sono andati in rovina. Tuttavia, la questione della decadenza
americana rimane una questione controversa. Ci perch:

La crisi dellOccidente non vuol dire n lautodistruzione della mac-


china tecnologica, pi solida che mai, n lesaurimento dei sui effetti, sem-
pre cos devastanti (per esempio sullambiente). La crisi dellOccidente
concerne piuttosto e innanzi tutto la distruzione del sistema sociale11.

E, a seguire a ruota, del sistema delle garanzie democratiche


(ne parler nel penultimo capitolo).
Come accade per le stelle, quando muore un impero possono
trascorrere molti decenni prima che scompaia dalla vista. Ma
anche no. Vi sono studi che dimostrano che gli imperi impie-
gano molti secoli a crescere e ad imporsi, ma pochi anni a scom-
parire. Ha scritto lo storico Niall Ferguson: Il collasso arriva
come un lampo nella notte12.
Per questo motivo, per non rimanere travolti sotto le rovine del
progetto occidentale di dominazione del mondo attraverso il pro-
gresso, lo sviluppo e la crescita, sarebbe prudente preparare delle vie
di fuga.
I primi a risentire della decadenza degli Stati Uniti sono coloro
che hanno vissuto nella loro ombra, contando sul trickle down effect 13.
_____________________________
11
S. Latouche, La fine del sogno occidentale. Saggio sulla americanizzazione del mondo, Elu-
thera, Milano, 2002, pp. 52-31-117. Sul metaconcetto di Occidente e di civilt oc-
cidentale, come temine multiuso, contenitore dentro cui ci pu stare un po di tutto,
si veda Geminello Preterossi, LOccidente contro se stesso, Laterza, Roma-Bari, 2004.
12
N. Ferguson, Complexity and Collapse. Empires on the Edge of Chaos, in Foreign
Affairs, Marzo/Aprile 2010.
13
La vera natura dei vari piani Marshall, di aggiustamento strutturale et similia,
imposti dalle autorit finanziarie mondiali, stata quella di garantire la ripro-
duzione del sistema economico statunitense.
15
Ma ora gli avanzi del pasto del grande predatore si sono fatti meno
nutrienti. Ci che al governo federale degli Usa viene permesso (un
debito stratosferico, una produzione di denaro facile, privo di un
sostrato economico reale, e titoli di credito emessi senza sotto-
stanti di ricchezza esigibile) viene negato agli altri Paesi dalle uniche
autorit mondiali operanti e dotate di un tremendo potere costrittivo:
le istituzioni nanziare coordinate dalla Banca Mondiale, dal Fondo
Monetario Internazionale e dalla Organizzazione Mondiale del
Commercio14. Evidentemente, le regole del gioco non sono uguali
per tutti. Le ragioni di scambio tra le diverse aree del pianeta ri-
mangono pi che mai inuenzate da rapporti di forza geopolitici e
militari.
Il modello del supercapitalismo yankee non pi imitabile.
Basta a malapena a se stesso. E nemmeno il suo esaltato stile
di vita, a ben guardare sotto la patina delle cover story hollywoo-
diane, appare cos attraente. Siamo di fronte ad una societ nel
pieno di una crisi di valori, di ducia e di coesione sociale. Lin-
sicurezza economica diventa cos disgregazione sociale ed esi-
stenziale. Prendiamo in considerazione alcuni indicatori non
monetari.

I poveri in galera, i ricchi sempre pi ricchi

I detenuti negli Stati Uniti sono 2,3 milioni, uno ogni cento
maschi adulti. Altri 5 milioni sono in libert condizionata o se-
milibert. Nel complesso un maschio adulto ogni 31 o stato
in una condizione di detenzione. La spaventosa cifra cresce ul-
teriormente se si prendono in considerazione solo i maschi
adulti afroamericani: ogni 43 individui di colore, uno in car-
_____________________________
14
La natura a-democratica (o post-democratica) di tali organizzazioni ben
descritta da L. Gallino, Il colpo di stato di banche e governi. Lattacco alla democrazia
in Europa, Einaudi, Torino, 2013.
16
cere. Se restringiamo ulteriormente il campo ai giovani uomini
neri compresi nella fascia di et tra i 20 e i 34 anni si ottiene lin-
credibile cifra di un incarcerato ogni 9 individui di colore15.
Il comparto dellindustria della sicurezza interna (soldati, po-
liziotti, secondini e guardie giurate) il primo settore per consi-
stenza occupazionale16. Anche la delinquenza diventa redditizia.
Altro che capitalismo post-moderno, terziario avanzato, econo-
mia della conoscenza e della creativit! La militarizzazione della
societ americana17 potr essere certo democraticamente in-
vocata e condivisa dalla maggioranza della minoranza dei citta-
dini che ancora vanno a votare, ma i suoi effetti pratici non
hanno nulla da invidiare alle esperienze storiche dei peggiori re-
gimi totalitari.
Nel mondo del pensiero unicato, alle lite al potere non
pi necessario inventare ideologie per giusticare la discrimina-
zione delle parti pi deboli delle popolazioni; la collocazione cen-
suaria, di razza e di sesso seleziona di per s le persone,
direttamente e senza bisogno di ulteriori mediazioni simboliche,
culturali, sovrastrutturali. Nel regno del potere unilaterale del
denaro, lunica gerarchia umana ammessa e socialmente ricono-
sciuta quella che si basa sulle possibilit di accesso alle risorse
economiche: redditi, rendite, credito. In un contesto competitivo
senza altri valori che non siano quelli economici, chi riesce a ot-
tenere di pi automaticamente il pi meritevole. A cinquecento
anni dal Principe, lidea di Machiavelli di un comando concentrato
dello Stato (della aristocrazia necessaria) si paradossalmente
realizzata senza bisogno di ricorrere ad alcuna illuminazione:
nellanonimato delle societ per azioni e dei meccanismi imper-

______________________
15
U.S. Department of Justice, Office of Justice programs. U.S. Incarceration
Rates by Race and Sex.
16
R. Wilkinson - K. Pickett, La misura dellanima, Feltrinelli, Milano, 2009; L.
Wacquant, Iperincarcerazione, Ombre Corte, Milano, 2013.
17
D. Graeber, Debito. I primi 5.000 anni, Il Saggiatore, Milano, 2011.

17
sonali del mercato, i ricchi diventano di diritto i migliori, coloro
che sono legittimati ad esercitare il dominio sulle cose e sugli uo-
mini. questo senso comune che porta ad accettare, senza
troppe indignazioni, quella che Pietro Ingrao chiam loscenit
delle diseguaglianze crescenti e Norberto Bobbio lo scandalo
della diseguaglianza. Cos in tutti i Paesi del capitalismo maturo
e di pi antica industrializzazione si allargano spaventosamente
le sperequazioni di reddito e di ricchezza tra la popolazione.
Ma venuto il momento di dare un nome e un cognome ai
mercati, agli anonimi possessori dei titoli di credito, ai vez-
zeggiati investitori. Ha scritto John Galbraith a proposito della
impersonalit del mercato: Una frode non del tutto inno-
cente18. Secondo le classiche Forbes e Capital, la nomenclatura
dei megaricchi comprende 300 mila persone che controllano il
50% del capitale nanziario globale. Secondo una ricerca dellor-
ganizzazione non governativa Oxfam esistono 85 persone super-
ricche che possiedono quanto la met pi povera della popolazione
del pianeta. Il professore Jason Hickel della London School of Eco-
nomics ha calcolato che le 200 persone pi ricche del pianeta pos-
siedono approssimativamente 2,7 trilioni di dollari, una cifra
superiore a quella su cui possono contare i 3,5 miliardi di persone
pi povere del pianeta19. Un altro studio calcola che l1% delle fa-
miglie dei super ricchi possiede il 46% della ricchezza globale
(110.000 dollari)20.
Quando gli occupanti di Zuccotti Park, a Wall Street, conia-
rono lo slogan di successo: We are the 99%, peccarono per di-
fetto. I dettagliati dati del recente rapporto redatto dal Credit Suiss
hanno stabilito che al vertice della piramide sociale ci sono 32 mi-
lioni di ricchissimi, corrispondenti allo 0,7% della popolazione
globale, che posseggono il 41% della ricchezza mondiale. Per con-
_____________________________
18
J. K. Galbraith, Leconomia della truffa, Rizzoli, Milano, 2004, p. 14.
19
R. Reich, Inequality for All, film inchiesta finanziato in crowdsourcing da The
Rules.
20
Working for The Fer, diffuso da Oxfam.
18
tro, alla base della piramide ci sono 3.207 milioni di persone con
un patrimonio inferiore ai 10.000 dollari (il 3% della ricchezza
mondiale) che rappresentano il 68,7% della popolazione adulta
mondiale. In mezzo ci sono 1.370 milioni di persone che possie-
dono il 56% della ricchezza21. Da notare che, nonostante la crisi,
nellultimo decennio il numero dei super-ricchi (con capitale su-
periore ai 50 milioni di dollari) e quello dei semplici milionari
aumentato, rispettivamente del 10% e del 6%. I dati coincidono
con quelli di molte altre ricerche (che vedremo nel primo capitolo
di questo libro). Luciano Gallino calcola che la classe sociale pi
benestante del pianeta (la sola classe sociale cui la crisi abbia ar-
recato vantaggi cospicui22) sia formata da circa 29 milioni di per-
sone adulte (lo 0,6% della popolazione globale) che detiene 88.000
miliardi di dollari (pari al 39% della ricchezza globale). Gli statistici
ci dicono che anche nei Paesi Ocse, il quintile pi basso della
popolazione collocato sotto la soglia di povert, mentre i quin-
tili intermedi vivono in una costante situazione di precariet oc-
cupazionale e ricatto economico. Le persone pi ricche risiedono
principalmente negli Stati Uniti, in Cina, in Germania, in Gran
Bretagna, in Francia e in Giappone23.
In Italia non stiamo meglio. La povert e la diseguaglianza
costantemente in crescita. Nel 2012 il 10% delle famiglie pi po-
vere ha percepito il 2,4% del totale dei redditi. Allopposto, il
_____________________________
21
Credit Suisse, Global Wealth Databook 2013, traduzione della redazione di
Solidariet (a cura di), www.rue89.com. Si veda anche: C. Stagnaro, Il mondo
pi ricco, in IL, mensile de Il Sole 24 ore, dicembre 2013.
22
L. Gallino, op. cit.
23
Lannuale classifica Blooberg sugli uomini pi ricchi del mondo dice che i
primi 300 miliardari nel 2013 hanno aumentato le loro fortune di 320 miliardi
di dollari. I 100 pi ricchi tra loro controllano 2.000 miliardi di dollari. Primo
della lista tornato Bill Gates, seguito da Carlos Slim, tycoon delle telecomuni-
cazioni messicane. Vi sono poi Amancio Ortega, creatore di Zara; Warren Buf-
fett, operatore finanziario; Ingvar Kamprad, fondatore di Ikea. I dati sono
ricavati dallarticolo di E. Franceschini, Il club dei ricchi, in La Repubblica, 6
gennaio 2014, p. 29.
19
10% delle famiglie pi ricche ha avuto una quota pari al 26,3%
dei redditi e possiede il 46% della ricchezza (immobili, aziende,
azioni, depositi e titoli di stato ecc.)24.
Sono le disparit generazionali quelle che forse rendono di pi
il senso della crisi di futuro, cio di civilt25, in cui versano le
societ occidentali: il sistema economico non riesce pi ad offrire
ai giovani dei lavori minimante rispondenti alle loro aspettative.
Secondo lOrganizzazione Internazionale del Lavoro i disoccupati
nel mondo nel 2013 erano 199,8 milioni, 5 milioni in pi dellanno
precedente, di cui ben 74,5 milioni giovani della fascia det tra i
15 e i 24 anni. Senza contare le persone scoraggiate che non
chiedono nemmeno di entrare nel mercato del lavoro26.
Ma la povert ha cominciato ad attanagliare anche chi ha un
lavoro. La concorrenza spietata tra aziende ed aree geograche
giocata sul risparmio dei costi, abbassa le retribuzioni del fat-
tore lavoro e crea il fenomeno crescente della working poverty.
Ha scritto Riccardo Petrella, animatore della campagna Banning
Poverty 2018, per leradicamento della povert: Lo stato di po-
vert non solo una questione di reddito e non nemmeno
un fatto di natura. La povert uno stato multidimensionale
collettivo dovuto a cause strutturali legate alla societ27.
Per chi comanda va bene cos. La teoria economica e sociale
dominante sfacciata: la diseguaglianza spesso necessaria al
progresso28, poich, affermano, ogni innovazione tecnica e sociale
inizialmente viene sfruttata da un ristretto numero di persone pi
capaci e meritevoli, mentre con landare del tempo i beneci del
_____________________________
24
I dati sono quelli diffusi a fine 2013 dalla Banca dItalia e si riferiscono ai
redditi del 2012.
25
L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civilt del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011.
26
Ilo, Global Employment Trends 2014.
27
Manifesto del gruppo promotore Dichiariamo Illegale la Povert, Le fabbriche
della povert. Liberare la societ dallimpoverimento, settembre 2013, p. 7.
28
G. Barba Navaretti, Grande fuga dalla povert, in Il Sole 24 Ore, 5 gennaio
2014, commentando A. Deaton, The great Escape. Wealth and te Origins of Ine-
quality, Princeton University press, Princeton, 2013.
20
progresso si diffondono a tutti. la vecchia storia della torta che
si allarga e che riesce a sfamare anche i pi poveri. Peccato che la
farina cominci a scarseggiare e, soprattutto, che siano sempre gli
stessi ad avere il coltello dalla parte del manico e a fare le porzioni.
Una lite di capitalisti, una casta di cosmocrati29 che non si fatta
mancare nulla: il fattore moltiplicativo tra salario medio di unim-
presa e il salario pi elevato, passa in 30 anni da 20 a 200.

Perdita della ragione

Patrik Vivert ha scritto: La ragione strumentale senza lintel-


ligenza emozionale ci pu portare perfettamente alle peggiori bar-
barie30. In altre parole, la riduzione della considerazione della vita
umana alla sola dimensione economica, utilitaristica ed egoistica
conduce al default della ragionevolezza, ottenebra ogni remora mo-
rale nella ricerca del proprio tornaconto, impedisce di vedere i
processi in una dimensione temporale e spaziale di pi lunga e
larga gittata, dissolve le capacit relazioni umane non mediate dal
denaro e dallo scambio mercantile. In denitiva, lhomo oeconomicus
(monodimensionale) in stato di demenza frenetica e di de-
cienza morale. Lo scrittore Colum McCann ha cos descritto il
clima euforico che vi era nella sua Irlanda prima del collasso dei
mutui facili: Il mondo sembrava respirare grazie al profumo dei
soldi [] cera una sordida sottomissione allavidit31.
Il labirinto oscuro delle geograe dellangoscia32 in cui siamo
costretti a vivere, malamente ricompensati dalla promessa di con-
_____________________________
29
H. Kempf, Perch i megaricchi stanno distruggendo il pianeta, Garzanti,
Milano, 2008.
30
P. Vivert, Por una sobriedade feliz, Quarteto, 2012, p. 41.
31
C. McCann, Irlanda splendida rovina, in Internazionale, 5 luglio 2013.
32
F. Vallerani, Italia desnuda. Percorsi di resistenza nel paese del cemento, Unicopli,
Milano, 2013, p. 20.

21
sumi pi copiosi (pi ore da passare in automobile, pi centri
commerciali e outlet, pi cibo spazzatura da trangugiare e merci
usa e getta), inuenzano la quotidianit e generano affettivit ne-
gative, comportamenti compulsivi, aggressivi e violenti. Pi do-
lore. E, come in una spirale perversa, il dolore deprime, smarrisce
le facolt cognitive. Conduce alla dissoluzione sica e affettiva
dei rapporti della gente con la dimensione ecosistemica33.
Sotteso alla concezione delleconomia di mercato, vi un
consolidato e secolare orientamento losoco e antropologico
che considera lessere umano nella esclusiva dimensione econo-
mica, chiuso nel circuito produttore-consumatore, interessato
al proprio ristretto tornaconto egoistico, competitivo e incatti-
vito, nuovo schiavo volontario di meccanismi che agiscono fuori
dal suo controllo, incapace di relazioni positive con gli altri,
siano essi i propri familiari, i propri vicini di casa, gli individui
dellaltro genere. Unumanit disadattata e triste, aggressiva e
angosciata, subisce gli effetti di tensioni competitive insoppor-
tabili. Il modello umano vincente quello che si impone, do-
mina, prevale: insomma, la maschilit frustrata. Non a caso, le
nuove malattie sociali che imperversano nellormai ex primo
mondo sviluppato, sono proprio le psicopatologie depressive.
Ha scritto lo psicologo Bruce E. Levine:

La perdita di autonomia pu creare un penoso stato di ansiet che


alimenta depressione e altri comportamenti problematici. Nella so-
ciet moderna, un numero crescente di persone sia donne che uo-
mini non capace di prepararsi un semplice pasto. Queste persone
non conosceranno mai gli effetti ansiolitici dellessere sicuri delle pro-
prie capacit di cucinare, coltivare le verdure, cacciare, pescare o rac-
cogliere cibo per sopravvivere. In una societ del consumo, una tale
autonomia non ha alcun senso. A un qualche livello, la gente sa che
_____________________________
33
Ibid., p. 19.

22
se dovesse perdere il proprio reddito cosa non impossibile di questi
tempi non avrebbe le capacit per sopravvivere34.

Non deve stupire, quindi, se assistiamo ad una spettacolare esplo-


sione dei disagi e delle sofferenze psichiche. Una vera pandemia.
Conseguenza inevitabile di una societ caratterizzata dalla insicurezza
e dalla precariet. Nel Paese guida del capitalismo mondiale, negli
Stati Uniti si consuma la met dellintera produzione mondiale di
droghe illegali. Depressioni, stress da competitivit, angosce esisten-
ziali e altre patologie neuropsichiche sono le nuove malattie sociali
della contemporaneit, come lo furono la silicosi allepoca dellindu-
strialismo nelle coketown e la pellagra nelle campagne. Ricordano Wil-
kinson e Pickett che per avere una mente sana bisogna apprezzare
e accettare se stessi35. Secondo gli studi epidemiologici, il 46% della
popolazione nordamericana soffre di disturbi psichici e spende 25
miliardi di dollari allanno per antidepressivi, antipsicotici, sonniferi
e tranquillanti vari. La cifra sale a 100 miliardi se includiamo anche
le cure mediche per disturbi mentali36. La promessa della farmaco-
logia quella di raggiungere uno stato di benessere articiale alter-
nando sostanze psicoattive euforizzanti e sedativi, tranquillanti,
sonniferi, ansiolitici ecc. Medicalizzare, farmacizzare e psichiatrizzare
i disagi e i comportamenti fuori norma, continuano ad essere le uni-
che risposte che il sistema sanitario sa fornire. Accade cos che il
nuovo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm)
ampli le diagnosi di disordine da decit dellattenzione e iperattivit
dei bambini irrequieti, includa il normale dolore da lutto tra i disturbi
depressivi maggiori, consideri il carattere stizzoso di una persona
come sintomo della disgregazione distruttiva dellumore, classichi
_____________________________
34
B. E. Levine, Fundamentalist Consumerism and an Insane Society, in www.zcomu-
nication.org/zmag/viewArticle/204446 (Traduzione italiana di Oriana Bonan
in: www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=
article&sid=5808) 2009.
35
R. Wilkinson - K. Pickett, op. cit., p. 48.
36
R. Whitaker, Indagine su unepidemia, Giovanni Fioriti, Roma, 2013.

23
i dolori mestruali come sindrome premestruale. E c chi propone
di considerare la timidezza una manifestazione di ansia fobica so-
ciale37. Proseguendo su questo crinale scivoloso la prossima tappa
delle scienze biomediche leugenetica performante le menti. I bre-
vetti dei genomi, vere licenze per giocare con i DNA, sono gi stati
concessi. La neurobiologia utilizzata per prevenire i comporta-
menti non conformi38. stata gi aperta la caccia ai geni responsabili
delle naturali predisposizioni allirrequietezza, alla paura, alla di-
subbidienza Il biologismo il nuovo tipo di determinismo delle
forme culturali contemporanee39.
La favola visionaria di Aldous Huxley, Il mondo nuovo pur es-
sendo stata scritta nel 1932, molto tempo prima del romanzo fan-
tapolitico 1984 di George Orwell (scritto nel 1948), risulta, alla
luce dei fatti odierni, molto pi realistico nel descrivere la traiettoria
della societ moderna. Huxley infatti riteneva che le tecnologie
biomediche fossero maggiormente efcaci degli apparati coercitivi
polizieschi nel controllare le masse. Prevedeva che un giorno si sa-
rebbero prodotti bambini in bottiglia cos da creare creature ge-
neticamente subumane adatte a svolgere predeterminate funzioni
richieste dai poteri centrali della superorganizzazione sociale41.
_____________________________
37
In genere, viene definita disease mongering linvenzione di nuove patologie
mediche finalizzata alla produzione e vendita di nuovi medicinali, giungendo
alla medicalizzazione della vita anche delle persone sane. Per saperne di pi si
veda: G. Ber, A. Gardini, S. Quadrino, Slow medicine, Sperling & Kupfer, 2013.
38
A. Benessia - S. Funtowic, Ottimizzare, sostituire e sconfiggere. I proiettili dargento
dellinnovazione, in S. Jasanoff - A. Benessia - S. Funtowic, Linnovazione tra utopia
e storia, Codice Edizioni, Torino, 2013.
39
M. Sahlins, Un grosso sbaglio. Lidea occidentale di natura umana, Eluthera, Milano, 2012.
40
Huxley spiegava cos i suoi incubi: Sotto le ben pi efficaci dittature di do-
mani ci sar probabilmente meno violenza che sotto Hitler e Stalin. I soggetti
di quelle dittature saranno irreggimentati, senza dolore, da squadre di adde-
stratissimi ingegneri sociali. Pensava che grazie al progresso tecnologico il
Grande Fratello, oggi, pu diventare pressoch onnipotente.
41
Un governo del terrore funziona nel complesso meno bene del governo che, con
mezzi non-violenti, manipola lambiente e i pensieri e i sentimenti dei singoli, uomini,
donne, bambini. A. Huxley, Il mondo nuovo, Mondadori, Milano, 1971 pp. 238-239.
24
Senza giungere alla dis-genetica di Stato, sono evidenti gli
sforzi che la grande impresa e i grandi apparati statali producono
per coartare i modi di pensare delle persone, renderle automi
decerebrati, psicotici, ossessionati dal rendimento e angosciati
da un bisogno di guadagno che non basta mai. Si pensi allas-
surdo del sistema scolastico mirato non a sviluppare le capacit
e le inclinazioni personali autonome dei giovani, ma, al contrario,
ad adattarli e ad indirizzarli verso ci che richiede il mercato del
lavoro. La funzione di disciplinamento delle istituzioni scolastiche
non avviene pi sul piano ideologico della selezione e trasmissione
dei valori, ma agendo direttamente sullinquadramento professio-
nale delle persone. Tutto ci contribuisce ad indebolire alla base
la capacit critica delle persone di immaginare una alternativa al
sistema sociale dato. Viviamo paradossalmente, scrive Fabrizio
Tonello, dentro un mondo di persone disinformate in unera di
comunicazioni istantanee42.
Tra le pratiche disabilitanti43 che provocano negli individui
perdita di responsabilit e di capacit cognitive, oltre alla tossi-
codipendenza da droghe illegali e legali, si deve aggiungere listu-
pidimento inoculato dai mezzi di comunicazione di massa: la
televisione, ma anche i social network creano distrazione, passi-
vizzazione, dipendenza. I bambini e gli anziani sono la carne
da televisione preferita dal marketing. La condizione per poter
manipolare le menti, indurre desideri, orientare i comportamenti
annientare la consapevolezza, le capacit critiche e introspettive
degli individui. Per riuscirci lindustria pubblicitaria ha fagocitato
le produzioni artistiche.
I detentori dei brands della moda sono diventati i nuovi ma-
gnati delle arti. Monsieur Franois Pinault, ad esempio, ha otte-
nuto gratis dallo Stato italiano per 99 anni i magazzini della Punta
_____________________________
42
F. Tonello, Lera dellignoranza. possibile una democrazia senza cul-
tura?, Bruno Mondadori, Milano, 2012, p. 5.
43
I. Illich, Esperti di troppo, Erikson, Trento, 2008, e dello stesso
autore, Nemesi medica, Red edizioni, 1991.
25
della Dogana a Venezia (un immobile di valore inestimabile nel
luogo centrale del paesaggio storico italiano: il Bacino di San
Marco) per poter esporre le sue collezioni private darte contem-
poranea. A seguire, le cure e lo sfruttamento dellimmagine del
Ponte di Rialto sono state concesse ad un noto imprenditore di
jeans44. Cos come lo sfruttamento commerciale dellimmagine
del Colosseo di Roma ad appannaggio di un industriale di
scarpe. Nel tentativo di aumentare i cespiti nazionali includendo
i giacimenti culturali la Corte dei Conti ha chiesto ad una agen-
zia privata di rating, la Standard & Poors, di conteggiare nella ric-
chezza della Nazione anche 214,2 miliardi (il 15% del PIL)
generati dallo sfruttamento economico dei beni culturali, dei
musei, delle aree archeologiche, delle biblioteche e dei teatri ita-
liani45. Sappiamo gi come andr a nire la storia: si scoprir che
la pubblica amministrazione inefciente e che i privati sono pi
bravi a gestire il patrimonio artistico per far aumentare il PIL.

Capitalismo catastroco

I fallimenti di altre esperienze storiche (quali il socialismo


realmente esistito) e lascesa terricante del modello asiatico
(che riesce a combinare il peggio del comunismo con il peggio
del capitalismo), ci condizionano e ci rendono titubanti nel cer-
care alternative. Cos la rassegnazione prevale e, come noto, le
capacit adattative del genere umano sono molto grandi.
_____________________________
44
Forse non c molto da scandalizzarsi, sempre stato cos. Ha scritto A.
Huxley in Ritorno al mondo nuovo: I capolavori della pittura, della scultura e
dellarchitettura furono creati quali forme di propaganda religiosa o politica,
a maggiore gloria di un dio, di un governo, di un clero [] Il genio si asser-
vito alla tirannia e larte ha fatto la pubblicit di un culto religioso.
45
Si veda S. Settis, I nostri beni immateriali non sono merce in vendita, in La Repub-
blica, 5 febbraio 2014, pp. 27-29.

26
In n dei conti siamo schiavi volontari di questo stato di
cose46. C quindi chi sostiene che solo passando attraverso una
rottura catastroca si potrebbero liberare idee innovative e forze
nalmente disposte ad un cambiamento di sistema. Per riuscirci
servirebbe un fuoco puricatore. La storia (ahinoi!) sembra
dare loro ragione. Non bastato il New Deal di Franklin Delano
Roosevelt e nemmeno le buone idee di lord John Maynard Key-
nes a convincere il mondo a cambiare teorie economiche dopo
la Grande crisi del 29. Per farlo stato necessario passare attra-
verso linferno di una Seconda guerra mondiale.
Paventando questa razionale eventualit, non vorrei cadere
in una lettura provvidenzialistica della crisi del capitalismo, il cui
crollo sarebbe sufciente a diffondere una coscienza rivoluzio-
naria. Non vorrei far parte dei quaresimalisti dellApocalisse,
come Dario Paccino tanti anni fa apostrofava gli ecologisti im-
broglioni47, quelli che non si fanno carico delle sofferenze della
povera gente. Daniele Barbieri ci invita con molto garbo e sar-
casmo a prendere con le pinze cassandre, end-istici e gufa-
tori in genere. Infatti, gli annunci di continue catastro (la
secolarizzazione dellApocalisse) possono nascondere una
ideologia della ne del mondo anchessa al servizio della con-
servazione dellordine esistente48. Preoccupazione fondata se
pensiamo alla disinvoltura con cui il presidente Obama evoca
ogni due giorni lArmageddon per far passare piani di tagli alla
spesa pubblica, stimoli alle imprese, salvataggi delle banche,
nuovi oleodotti bituminosi e fracking (frantumazione idraulica
_____________________________
46
Pagine definitive sulle cause che provocano la perdita delle libert individuali
sono state scritte da Lev Tolstoj in La schiavit del nostro tempo, ora riedito da
Bruna Bianchi (a cura di), La schiavit del nostro tempo. Scritti su lavoro e propriet,
Orthotes, Napoli, 2011.
47
D. Paccino, Limbroglio ecologico, lideologia della natura, Einaudi, Torino, 1972.
48
A. Pacilli - A. Pizzo - P. Sullo (a cura di), Calendario sulla fine del mondo. Date,
previsioni e analisi sullesaurimento delle risorse del pianeta, Intramoenia e Democrazia
Chilometro Zero, Napoli, 2011, p. 226.
27
del sottosuolo) mescolati ad una lotta senza badare a spese per
implementare le tecnologie conto il riscaldamento globale. Una
mera rappresentazione dei disastri incombente, se non accom-
pagnata da alternative desiderabili e praticabili, pu semplice-
mente impaurire e spingere le persone nella logica del Si salvi
chi pu, non spingete, scappiamo anche noi!.
Ha scritto Jean-Claude Besson-Girard:

N le catastro precedenti, delle quali Chernobyl un terribile


esempio, n quelle future, la cui probabilit aumenta incessantemente,
potranno da sole provocare un radicale cambiamento di marcia nelle
attivit umane. anche possibile [] che linizio dello spettacolo
della ne del mondo, diffuso su tutti gli schermi televisivi del pianeta,
non modichi di una virgola il comportamento passivo di telespetta-
tori affascinati dal fatto di assistere in diretta alla loro propria ne49.

Meglio non credere nemmeno alla retorica delle crisi come


opportunit, occasioni, leve per il cambiamento. Allini-
zio dellultima crisi nanziaria Slavoj iek ricordava che le crisi:
non sempre producono una presa di coscienza. La prima rea-
zione della gente di aggrapparsi allideologia egemonica ancora
pi disperatamente [] In una situazione di panico chi vince?
Colui che fornisce sicurezze immediate, ancorch false50.
Del resto c una regola generale che ricorda Franco Cas-
sano: Quanto pi dura loppressione, tanto pi diffusa tra gli
oppressi la disponibilit a collaborare con il potere51. Lansia
favorisce la paura viscerale o il fatalismo. Nel vuoto di proposte
praticabili e credibili prendono spazio le pulsioni regressive e i
comportamenti incivili. Le sempre nuove vecchie destre sono
l a disposizione per prestare i loro servizi a disegni autoritari.
_____________________________
49
J. C. Besson-Girard, Decrescendo cantabile. Piccolo manuale per una decrescita armo-
nica, Jaca Book, Milano, 2007, p. 35.
50
S. Zizek, intervista in Il Venerd di La Repubblica, 22 maggio 2009.
51
F. Cassano, Lumilt del male, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 34.

28
Mentre le sempre vecchie nuove sinistre rimangono nellattesa
della vicina Apocalisse, litigando per sulle date52.
I pi scettici pensano che la ne della razza umana (leventualit
di un mondo senza uomo, come ricorda Vallori Rasini53) non sia
poi un male assoluto. Anzi. Esiste un movimento per la scomparsa
volontaria e pacica dellhomo sapiens e una chiesa, la Church of Eu-
thanasia, che predica: Salva il pianeta, ammazzati. Il mondo sa-
rebbe migliore se depurato dallanomalia infestante del genere
umano, la natura comincerebbe a riprendersi54. Come dargli torto?
Le dimostrazioni di crudelt e di autolesionismo riempiono le cro-
nache quotidiane. C di che vergognarsi del genere umano.
Il tramonto del capitalismo, comunque, potrebbe essere
molto lungo e la notte seguente molto fredda. Con buona ironia
Giorgio Ruffolo ha cos titolato un suo libro: Il capitalismo ha i
secoli contati. Per questi motivi non conviene mettersi i panni dei
profeti di sventura. C il rischio che le persone si facciano in-
cantare da qualche pedagogia autoritaria55. Diceva Bartolom
de Las Casas (il vescovo cattolico spagnolo che prese le difese
degli indios in America Centrale) in polemica con il colonialista
Seplveda: Gli uomini possono essere portati a Cristo solo at-
traverso il loro libero arbitrio, mai attraverso la coercizione.
Pi importante, quindi, riuscire a tracciare buone mappe con
indicate sicure vie di fuoriuscita. pi facile tornare a lottare
_____________________________
52
D. Barbieri in A. Pacilli - A. Pizzo - P. Sullo, op. cit., p. 220.
53
Luomo [] sullorlo di un abisso pi profondo: un mondo che potrebbe
essere senza luomo. Che forse non sarebbe neppure il peggiore dei panorami:
non fosse che, insieme alluomo, potrebbe scomparire qualunque altra forma
di vita, ad esempio in seguito ad una catastrofe nucleare Vallori Rasini, Quel
che resta delluomo (e del mondo). Riflessioni sullepoca della crisi ecologica, in A. Giustino
Vitolo e N. Russo (a cura di), Pensare la crisi. Crescita e decrescita per lavvenire della
societ planetaria, Carrocci, Roma, 2012, p. 120.
54
Su questi temi si veda il classico: A. Weisman, Il mondo senza di noi, Che cosa
succederebbe sul nostro pianeta dopo 48 ore dopo 5 giorni, dopo 100 giorni, dopo 500
milioni di anni dalla scomparsa delluomo?, Einaudi, Torino, 2008.
55
F. Cassano, op. cit., p. 72.
29
quando si intravedono prospettive di salvezza, non quando si
annichiliti dallimpotenza o sopraffatti dalla sofferenza.
Non serve essere uccelli del malaugurio per capire che siamo
effettivamente in marcia verso labisso(per usare le parole di
Noam Chomsky). Lultimo, pi drammatico sintomo della crisi
terminale56 cui giunta la societ industriale, dato dal collasso
dei principali indicatori ambientali a partire dalla perdita di bio-
diversit (numerosit delle specie viventi). Il punto di non ri-
torno, la sesta grande estinzione di massa, superato e non
baster la cieca fede nelle scoperte scientiche per evitare eventi
apocalittici. Come non smettono di dirci gli scienziati da qua-
rantanni (dal primo rapporto del Club di Roma allultimo rap-
porto del Ipcc57), la combustione di carburanti fossili ha
modicato la composizione chimica dellatmosfera (il picco di
quota 400 parti per milione di gas CO2 stato raggiunto nel
maggio del 2013. Ma questanno si gi vericato in aprile58) tale
da farla assomigliare a quella esistente 15 milioni di milioni di
anni fa. Peccato che allora i mari fossero tra i 15 e i 25 metri pi
alti e la temperatura 3-4 gradi Celsius pi alta59. Poich esiste una
evidente correlazione tra clima e composizione chimica dellat-
mosfera, dovremmo allora cambiare nome alla nostra specie: so-
stituire sapiens con demens. Ci comportiamo come se fossimo gli
_____________________________
56
L. Boff, La crisi terminale del capitalismo?, in Adital, 27 giugno 2011.
57
Nellultimo rapporto del 2013, il V, lIpcc conferma che la causa dominante
del riscaldamento osservato fin dalla met del ventesimo secolo costituita
dalle attivit umane (emissioni gassose, aerosol, cambi di destinazione duso
del suolo). Le previsioni sullaumento del livello medio del mare atteso a fine
secolo variano tra i 28 cm (con drastiche riduzioni delle emissioni) e i 98 cm
(senza mitigazioni apprezzabili). Nel secolo scorso si gi registrato un au-
mento del livello dei mari di 17 cm. Con un innalzamento di 58 cm, 150 mi-
lioni di abitanti sarebbero a rischio inondazione.
58
La soglia di sicurezza era stata fissata il 390 ppm.
59
Dati riportati dal climatologo J. Hansen al Congresso dellAmerican Geo-
physical Union a San Francisco, 11 dicembre 2013. Traduzione e pubblica-
zione si veda: www.climalteranti.it.

30
ultimi uomini ad abitare il pianeta. Incuranti del deserto che la-
sciamo alle nostre spalle, attenti solo ad ottenere il massimo im-
mediato benecio. Non c differenza di comportamento tra noi
e i saccheggiatori che si aggirano tra le rovine di una citt dopo
un terremoto. I (pochi) sopravvissuti della nostra specie saranno
quindi destinati a vivere in un mondo post-apocalittico?60
La domanda che gli osservatori pi attenti si pongono se
vi siano ancora tempo e modi per intraprendere un percorso di
ridimensionamento ordinato e strutturato delleconomia glo-
bale61 per rientrare nei limiti della sostenibilit. La catena di fal-
limenti inanellati nei vari summit intergovernativi patrocinati
dallONU, sta a dimostrare che nessuno ha pi il controllo n
sulla biosfera n sulla megamacchina che la sta distruggendo. Le
oligarchie che pensano di avere il potere di governare il mondo,
in realt sono prigioniere di una pericolosa forza inerziale: il bu-
siness as usual. Ancora pi difcile far capire loro che siamo en-
trati in una fase di conclamato fallimento delle premesse stesse
dellordinamento economico e sociale capitalistica, cio dellor-
dine simbolico dellimmaginario moderno, come Franco Cas-
sano chiama il mito fondativo del capitalismo: lo sviluppo e
la crescita economica.
Ma, poich non si mai visto che le lite al potere escano di
scena con le loro gambe, a costo di trascinare con s nella tra-
_____________________________
60
D. Orlov, The Five Stages of Collapse, New Society Publishers, 2013. Lautore, da
buon ingegnere, spiega linsostenibilit della civilt industriale e prefigura rea-
listici scenari apocalittici. In un lungo articolo in cluborlov.blogspot.it, tradotto
e pubblicato nel sito www.comedonchisciotte.org., denuncia il primitivismo
culturale di un sistema economico che non tiene conto del funzionamento
dei servizi eco-sistemici: Se potessimo dare un valore alla ricchezza naturale
trattandola come una attivit economica ci renderemmo presto conto che
luomo distrugge continuamente molta pi ricchezza di quanta crei, quindi
leconomia un gioco a somma negativa.
61
P. Kingsnorth - G. Monbiot, Is there any point in fighting to stave off industrial
apocalipes?, in The Guardian, trad. Ha senso battersi per evitare lapocalisse indu-
striale?, si veda sito dell Associazione Eco Filosofica di Treviso, 2009.
31
gedia delle guerre il mondo intero, urgente che emerga il pi
presto possibile una alternativa credibile e praticabile. Come
spiegava Marx:

Una formazione sociale non perisce nch non si siano sviluppate


tutte le forze produttive a cui pu dare corso; nuovi e superiori rap-
porti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate
in seno alla vecchia societ le condizioni materiali della loro esistenza.
Ecco perch lumanit non si propone se non quei problemi che pu
risolvere, perch a considerare le cose dappresso, si trova sempre che
il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua solu-
zione esistono gi o almeno sono in formazione62.

C quindi una sola strada obbligata percorribile, inedita nella


storia dellumanit, che possa contraddire la profezia di Marx:
cercare di operare una trasformazione in corsa, tentando di evi-
tare che il capitalismo sviluppi tutte le potenzialit delle forze
produttive di cui capace (poich provocherebbe la distruzione
del pianeta) e nel contempo preparare le condizioni materiali
della creazione di una soluzione alternativa.
Per fortuna, a guardare bene, una alternativa alla societ della
crescita distruttiva e del debito ecologico, gi in formazione.
Una societ post-growth. Una societ au de la croissance. Una societ
che diminuisce la dipendenza dalleconomia di mercato attra-
verso la riscoperta, che innumerevoli movimenti dopinione,
gruppi sociali, comunit territoriali hanno fatto della nozione
di beni comuni. Vedremo in un successivo capitolo, in quali e
quanti altri modi possono essere chiamati i commons: basic common,
common good of Humanity, e che gli antichi chiamavano res commu-
nes omnium, res in usu publico, res extra commercium63.

_____________________________
62
K. Marx, Introduzione alla critica delleconomia politica, a cura di M. Musto, Quo-
dlibet, Macerata, 2011.
63
A. Lucarelli, Beni Comuni. Dalla teoria allazione politica, Dissensi, Roma, 2011;
U. Mattei, Manifesto dei beni comuni, Laterza, 2011.
32
Cambiare il mondo

Cambiare il mondo si pu fare, un obiettivo alla portata


dellumanit.
Perch ognuno di noi, in cuor suo, lo desidera e sa bene come
lo vorrebbe, e perch siamo il 99% della popolazione del mondo.
Paul Hawken le ha chiamate moltitudini irrequiete64. Manuel
Castells, che ha condotto uno studio in Catalogna sullo stile di
vita delle famiglie colpite dalla crisi economica, la chiama cultura
economica alternativa.

Alcune persone hanno gi cominciato a vivere in modo diverso o


perch vogliono altri stili di vita, o perch non hanno scelta [] A vi-
vere in modo diverso ossia quel che risulta dallespansione di quelle
che chiamo pratiche non capitalistiche. Sono pratiche economiche,
ma che non sono motivate dal protto reti di scambio, monete so-
ciali, cooperative, autogestione, reti agricole, auto aiuto reciproco, sem-
plicemente la voglia di stare assieme, reti di servizi gratuiti per gli altri,
nellaspettativa che anche agli altri ti aiuteranno. Tutto questo esiste e
si sta espandendo in tutto il mondo65.

Alla base della societ, in tutti gli angoli del mondo, vi sono
enormi energie vitali capaci di farci uscire dalla crisi di civilt in
cui siamo precipitati. Movimenti di donne e di uomini che si bat-
tono per la giustizia sociale e per la salubrit dellambiente, asso-
ciazioni professionali e sindacali che operano per linnovazione
e il cambiamento, gruppi di cittadinanza attiva che vorrebbero
______________________
64
P. Hawken, Moltitudine inarrestabile. Come nato il pi grande movimento al mondo
e perch nessuno se ne accorto, tr. it. di P. Zaratti, Edizioni Ambiente, Milano, 2009.
Ma il titolo originale dellopera era Blassed Unrested, traducibile in Benvenuta
irrequietezza.
65
Intervista a M. Castells, Lespansione del non-capitalismo, P. Mason, in www.ou-
traspalavras.it, 10 dicembre 2012. Per la traduzione si veda: in www.democra-
ziakmzero.org.

33
partecipare alla gestione della pubblica amministrazione, collettivi
di consumatori e di produttori che operano per tracciare la so-
stenibilit sociale e ambientale delle merci, comitati locali che ri-
vendicano la sovranit territoriale, energetica ed alimentare delle
popolazioni, giovani e anziani che mettono a disposizione le loro
forze e la loro esperienza nel volontariato. Una foresta sta cre-
scendo senza fare troppo rumore. Hanno scritto due epidemio-
logi impegnati nella ricerca dei determinanti sociali della salute:

Un movimento sociale che aspiri a realizzare luguaglianza ha bi-


sogno di una chiara direzione di marcia di una visione di come poter
realizzare i cambiamenti economici e sociali necessari. Il segreto in-
dividuare i diversi modi di cui la nuova societ pu cominciare a cre-
scere allinterno e a anco delle istituzioni, che potrebbe gradualmente
marginalizzare e sostituire. cos che si realizza il cambiamento; an-
zich aspettare che un governo lo faccia al nostro posto, dobbiamo
essere noi a cominciare a produrlo immediatamente nelle nostre vite
e nelle istituzioni sociali. Ci di cui abbiamo bisogno non una grande
rivoluzione, ma un usso continuo di piccoli cambiamenti in una di-
rezione coerente66.

Unenorme intelligenza collettiva non viene ancora utiliz-


zata67. Disoccupazione, inoccupazione, precarizzazione sono lo
spreco pi intollerabile generato da una (dis)organizzazione so-
ciale incapace di dare risposte ai bisogni pi elementari delle po-
polazioni. La responsabilit della politica istituzionale che non
ascolta e rinuncia ad intervenire, per non disturbare i meccani-
smi spontanei dei mercati dei capitali e delle borse valori. Ma
la nozione di politica, nonostante tutto, costretta a fondarsi
sullidea della partecipazione e del consenso. Ha bisogno di noi.

______________________
66
R. Wilkinson - K. Pickett, op. cit., pp. 236-237.
67
G. Viale, La conversione ecologica. There Is No Alternative, NdA Press, Rimini,
2011.

34
Gi sento ronzarmi nelle orecchie le accuse che la sinistra po-
litica tradizionale muove ai movimenti sociali: mancanza di visione
generale, di progettualit e di cultura di governo, eclettismo teo-
rico e inconsistenza organizzativa. Sulla testa dei movimenti che
criticano le magniche sorti e progressive delle forze produttive
dellindustrializzazione cade la condanna di oscurantismo, neo-
feudalesimo, pregiudizio antimoderno. Ma nei movimenti sociali
nessuno propone di fare a meno delle conoscenze e dei saperi,
sempre pi rafnati e specializzati, in tutti i campi delle scienze
umane e naturali, ma solo di non perdere di vista ci che do-
vrebbe essere il loro scopo comune: il miglioramento delle con-
dizioni della vita per tutti. Oggi invece i beneci dellincredibile
incremento della produttivit, dovuta alle continue innovazioni
tecnoscientiche e organizzative della megamacchina industriale
installata sul pianeta, servono solo ad arricchire ristrette oligarchie
di manager, burocrati e politici che hanno conquistato i vertici
delle gerarchie sociali. Ai piani bassi della piramide si vive sotto la
minaccia dellinoccupazione e il ricatto della disoccupazione, si
accettano lavori privi di soddisfazione personale e di utilit sociale,
si respira unaria pi inquinata, si mangia cibo spazzatura e ci si ri-
copre di vestiti e di gadget frutto di lavoro schiavo, si consumano
(come abbiamo visto) pi psicofarmaci e si va di pi in galera. Gli
indici della percezione della felicit individuali seguono un an-
damento inverso a quello della crescita del PIL. Gli anni gloriosi
del secondo dopoguerra sono lontani ricordi. Sia nellex Primo
mondo, dove il compromesso socialdemocratico tra capitale e
lavoro aveva fatto balenare la possibilit di un assetto equilibrato
nella ripartizione della ricchezza, sia nel Terzo e Quarto mondo
dove la decolonizzazione degli impianti industriali a bocca di mi-
niera e a basso costo del lavoro aveva aperto la speranza di una
rapida uscita dalla povert68. Lincredibile susseguirsi di crisi, che
______________________
68
Ricorda sempre Latouche che: la generazione dei trentanni di sviluppo eco-
nomico (1945-1975) si cos addormentata, credendo di essere in cammino

35
dagli inizi degli anni Settanta ad oggi investe le economie capita-
listiche, legittimano una diagnosi di fallimento del sistema. Quan-
tomeno emersa una evidente divaricazione tra obiettivi dichiarati
e risultati ottenuti.
Serve quindi ritrovare la autenticit degli obiettivi originari,
essenziali, che la comunit umana da sempre persegue. Una ope-
razione di ascolto delle necessit sostanziali e dei desideri genuini,
che solo individui coscienti e liberi sono in grado di riconoscere
e comprendere. Le oligarchie tecnocratiche al potere del sistema
capitalistico dominante (quello delle grandi compagnie multina-
zionali che oltre a controllare leconomia condizionano le poli-
tiche degli Stati69) sanno molto bene ci di cui hanno bisogno le
persone comuni: dormire sotto un tetto, sfamarsi, vestirsi, muo-
versi, curarsi e possibilmente istruirsi. Quindi hanno trasformato
queste necessit in bisogni standardizzati e gerarchizzati da sod-
disfare tramite il mercato. Gli individui stessi si sono trasgurati
in bisognosi dipendenti per tutte le loro necessit vitali da un
reddito cui accedere a beni e servizi forniti dalla produzione in-
dustrializzata. Le persone si trasformano in elementi astratti di
un equilibrio matematico, osservava Ivan Illich70. Gli economi-
______________________
verso il paradiso, e un bel giorno si svegliata allinferno [] Dimenticava a
quale prezzo li (i successi) aveva conseguiti. Questo prezzo era duplice: il domi-
nio da parte dellOccidente e la sottomissione del resto del mondo; il saccheggio
sconsiderato della natura e la devastazione dellambiente. S. Latouche, La fine
del sogno occidentale, Eluthera, Milano, 2002, p. 170.
69
Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo coordinato da Francesco Gesualdi
produce da tempo un osservatorio sulle corporation. Lultimo rapporto si inti-
tola: La crescita del potere delle multinazionali, 2009. Guido Rossi ha calcolato che
il 51% della ricchezza mondiale nelle mani delle grandi corporations, che
hanno imposto la loro lex mercatoria. Le grandi imprese lavorano tra di loro:
non c pi una norma giuridica che ne disciplini i comportamenti. G. Rossi,
Crescita impossibile e fine del progresso, in Il Manifesto, 31 ottobre 2010. I trattati
transcontinetali di libero scambio ne sono una tragica conferma.
70
I. Illich, Bisogni, in W. Sachs (a cura di), Dizionario dello sviluppo, Edizioni
Gruppo Abele, Torino, 1998.
36
sti, i nuovi sacerdoti del sistema, ci hanno spiegato che difcili e
complessi equilibri dei mercati delle materie prime, del lavoro,
delle merci e del denaro dovrebbero garantire la ottimale con-
giunzione della domanda e dellofferta. Ma cos non accade mai.
Mano a mano che leconomia capitalistica cresce, immense masse
di contadini e artigiani si trasformano in prestatori dopera sala-
riati (un miliardo in pi solo da quando la globalizzazione gui-
data dal WTO ha abbattuto i conni geopolitici del pianeta71) e
le comunit di villaggio con economie di sussistenza vengono di-
strutte a favore dellinurbamento nelle megalopoli (tre quinti della
popolazione mondiale a met secolo sar concentrata in aree con
pi di 10 milioni di abitanti a ne secolo72).
Siamo intrappolati nella condizione di produttori-consumatori.
Siamo costretti a cercare di ottenere sempre pi denaro dal tempo
che dedichiamo al lavoro retribuito con il quale tentare di comprare
la maggiore quantit possibile di merci. Evidentemente, in questa
dimensione di vita, anche le questioni dordine qualitativo sono de-
terminate dalle regole del mercato. Ad esempio, il tempo necessario
da dedicare alla cura e al lavoro domestico sotto attacco a causa
della istituzionalizzazione e privatizzazione dei servizi sociosanitari
e dellistruzione, dellindustrializzazione del cibo preconfezionato
ecc. Nellottica della logica della crescita dei valori di scambio delle
merci, il tempo dedicato a pratiche gratuite considerato tempo
sprecato, improduttivo. Come ricorda spesso Maurizio Pallante,
fa pi PIL una badante che non una assistenza amorosa fami-
liare. Cos come non sar pi possibile pretendere un lavoro profes-
sionalmente corrispondente ai propri interessi e vocazioni personali,
______________________
71
bene tener presente la dislocazione sul pianeta della forza lavoro a dispo-
sizione del capitale. Dati 2008. Cina: 775 milioni di lavoratori. Stati Uniti
dAmerica: 145. Brasile: 91. Giappone: 64. Messico: 44. Germania: 39. Regno
Unito: 30. Francia: 26. Italia: 23.
72
Per avere unidea di cosa stia succedendo l dentro si vedano i lavori di Mike
Davis, incominciando dalle: Citt morte. Storie di inferno metropolitano, Feltrinelli,
2002; e di David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla citt, Ombre corte, 2012.

37
poich gli accessi scolastici (numero chiuso, costi di iscrizione ecc.)
sono indirizzati in base alla domanda di lavoro che lapparato pro-
duttivo richiede. A che serve studiare ci che piace? Ovviamente,
anche la possibilit di vivere in un ambiente decente, dopo la di-
struzione sistematica degli ecosistemi naturali, regolata dal mer-
cato immobiliare. Dalle citt si scappa appena si pu.

38
CAPITOLO II

Stato di crisi permanente

Le pi rassicuranti cifre sulla prosperit


nazionale altro non saranno se non un
segno profetico di immensi disastri.
(Charles Dickens, Tempi difcili, 1854)

Comprendere le cause della grande crisi economica esplosa


nel 2008 premessa indispensabile per avanzare soluzioni allal-
tezza di una situazione che comporta gravi sofferenze alle po-
polazioni, specie nellarea mediterranea europea. Per riuscirci
bisogna non fermarsi alle apparenze e non farsi distrarre da in-
terpretazioni di comodo. A tal proposito propongo una rilettura
di Ivan Illich del lontano 1978:

Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici,


banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e
vengono sospese le libert. Come i malati, i Paesi diventano casi critici.
Crisi, parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire scelta
o punto di svolta, ora sta a signicare: Guidatore dacci dentro!
Evoca cio una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrap-
pi di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. [] La crisi
come necessit di accelerare non solo mette pi potenza a disposizione
del conducente, e fa stringere ancora di pi la cintura di sicurezza dei
passeggeri; ma giustica anche la rapina dello spazio, del tempo e delle
risorse73.

______________________
73
I. Illich, Disoccupazione creativa, Boroli, Milano, 2005, p. 20.

39
Come non vedere che proprio cos? Le crisi economiche non
hanno nulla di naturale, casuale, imprevedibile. La cosiddetta crisi
solo un dispositivo, non un evento ha scritto Marco Gero-
nimi Stoll uno dei meccanismi prevedibili (io penso previsto)
con cui i lupi acchiappano le prede.74 Le crisi sono le conseguenze
del modo con cui gli operatori del mercato si comportano, e di
come le autorit pubbliche giocano (o non giocano) i loro poteri
regolamentari. Gestite da chi le ha provocate, le crisi sono una
truffa e unimpostura, unestorsione premeditata ai danni dei ceti
sociali e delle popolazioni pi deboli della Terra. Se nessuno si
muove per evitarle, se si lascia che le cose precipitino no a pro-
durre arretramenti permanenti nelle condizioni di vita dei ceti po-
polari, perch cos stato scelto. Con ci non voglio sostenere
che le crisi siano un mero pretesto, una manovra pianicata dalla
cupola della nanza globalizzata che pure esiste. Tuttaltro, come
vedremo, anche agli strateghi delleconomia capita che la situazione
sfugga di mano per eccesso di ingordigia, per miopia o per igno-
ranza75. Intendo solo dire che le crisi vengono politicamente gestite
come elemento regolatore dei rapporti sociali. Creare uno stato di
emergenza, evocare e provocare un pericolo catastroco (il default,
la disoccupazione, la Grecia, la cacciata di questo o quel Paese
dallEuropa) sono espedienti utili al ne di terrorizzare le per-
sone, costringerle ad accettare tagli del welfare e peggioramenti delle
condizioni di lavoro, contando sulle innite capacit di adatta-
mento del genere umano e, soprattutto, sullassenza di alternative.
Come se tutto ci fosse un tributo necessario (sacrici umani, ap-
punto) da pagare ad una entit metasica crudele: il mercato e le
______________________
74
Intervista a M. Geronimi Stoll, in Missione oggi, novembre 2013. Lau-
tore ha pubblicato Smarketing. Comunicazione per tutti i piccoli che hanno grandi
cose da dire, Altreconomie, 2013.
75
Alcuni analisti pensano che le scienze economiche applichino una mo-
dellizzazione troppo semplificata della realt che comporta una riduzione
della complessit e una perdita di informazioni. Z. Kovacic, The Legitimacy
crisis of the Economic Paradigm, University of Helsinki, Helda, 2013.
40
sue concretizzazioni quali le borse, le valute, i titoli ecc. Serve forse
ricordare, ancora una volta, che il mercato una costruzione so-
ciale, una determinata forma di relazione tra gli uomini creata per
corrispondere a degli scopi, che si regge su istituzioni statali e giu-
ridiche pubbliche per denizione. I mercati, cos come le propriet
che li popolano, esistono solo in quanto delle leggi li hanno con-
gurati nelle forme in cui sono. Altre leggi, altre norme potrebbero
in qualsiasi momento intervenire per modicarli. Il lungo processo
di appropriazione e mercicazione delle risorse naturali trasfor-
mate da commons a commodities e delle conoscenze ha bisogno di
una autorit che autorizzi la gestione dei beni comuni da parte di
imprese private. Lo schema binario contrapposto pubblico/privato,
nella realt delle cose non esiste. Nella situazione attuale il pubblico
stato interamente catturato e reso funzionale alla conservazione
e riproduzione dei rapporti di produzione, di consumo e di potere
capitalistici. Lidea che il mercato (e la propriet) possa funzionare
meglio senza lo Stato una ridicola buffonata che fa il paio con
quella di quei padroni che sognano una fabbrica senza operai. In
realt, come ci ricorda lo storico Alessandro Dani: Liberismo sel-
vaggio e statalismo [sono] in fondo due buoni vecchi amici76. Lo
aveva gi detto bene Locke, secondo il quale: La conservazione
della propriet [] il ne del governo e la ragione per cui gli uomini
entrano in societ77.
Le crisi economiche, gestite dalle autorit pubbliche, funzio-
nano come una frusta, sono un fattore sociale disciplinante e sog-
______________________
76
A. Dani, Le risorse naturali come beni comuni, C&P Adver Effigi, Arcidosso,
2013. Si veda www.diritticomparati.it/2013/05/beni-comuni-utopistici-e-
reazionari.
77
J. Locke, Secondo trattato del governo, Londra, 1690. Cfr. n. 138: Il potere su-
premo non pu togliere a un uomo una parte della sua propriet senza il suo
consenso. Infatti, la conservazione della propriet essendo il fine del governo
e la ragione per cui gli uomini entrano in societ, necessariamente presup-
posto che il popolo abbia una propriet. K. Polanyi, nella Grande trasforma-
zione, ricostruisce il ruolo svolto dagli stati nazionali nella instaurazione del
libero mercato.
41
giogante: se non lavori di pi, a pi buon mercato e con meno
tutele sei nemico de linteresse generale e del bene comune.
Per gli agenti e i funzionari del capitale limportante non met-
tere in discussione il motore della megamacchina tecnoindu-
striale78 su cui si basa il sistema mondo79 contemporaneo: la
logica dellimpresa capitalistica dunque produttivit, protta-
bilit, accumulazione monetaria e concentrazione nanziaria.
Pi a lungo le autorit monetarie riescono a far durare le crisi,
meglio per le aristocrazie dei ricchi. Il loro sogno una crisi per-
manente che consenta loro di non dover dividere con chicchessia
i guadagni e le plusvalenze. Questa crisi si fermer ha affer-
mato Bruno Amoroso quando i 4/5 della popolazione saranno
ridotti in condizioni di povert e marginalizzazione. La ripresa
sar una stabilizzazione della povert.80 Cercheranno di tirare la
corda dellausterit (cio, dreneranno il usso del denaro dai red-
diti pi bassi verso le rendite da capitale) no a che le masse im-
poverite non assalteranno le banche. Ogni tanto accade (in
Argentina, a Cipro) ma raro. Poi manovreranno la leva dellin-
azione per diminuire il potere dacquisto delle famiglie no a
che i supermercati non verranno saccheggiati. Anche questo ac-
caduto nelle periferie delle citt americane, nelle prime primavere
arabe, ma un rischio che i reparti antisommossa sanno abil-
mente affrontare. Inne, espelleranno i Paesi della bad list degli
indebitati/insolventi dalla zona di protezione disegnata attorno
al dollaro e alleuro. Come successo alla Grecia. Le crisi, infatti,
servono a selezionare. Non tutti perdono (nelle uguali propor-
zioni) dalle crisi, come dimostrano i dati sullallargamento della
forbice tra ricchezza e povert. Quando il mondo sovrastato da
______________________
78
S. Latouche, La megamacchina, Bollati e Boringhieri, Torino, 1995.
79
I. Wallerstein, La retorica del potere, Fazi, Roma, 2007.
80
Intervista a B. Amoroso, Luscita dal capitalismo, in Altrestorie (a cura di),
www.comune-info.com, 12 ottobre 2013. Amoroso autore di Europa oltre
lEuro, Castelvecchi, 2013.

42
una montagna di debiti pericolanti, incentivati e creati ad arte81,
coloro che manovrano il denaro, una casta di cosmocrati82, di-
ventano sempre pi potenti e temuti. Le nebulose reti di ban-
chieri internazionali83 possono giocare a piacimento su pi tavoli,
manovrando con qualche telefonata tra amici sugli spread, sui tassi
di interesse, sulle valute, quel tanto che basta per mettere con le
spalle al muro prima luno, poi laltro stato sovrano. Il precetto
che il servizio degli interessi del debito sia sempre garantito
nelle misure aspettate e pattuite e nelle scadenze predenite84. I
rendimenti dei capitali sono lunica variabile indipendente, lastro
sso attorno cui gira tutto il sistema economico. Linsolvenza, il
dilazionamento, la ristrutturazione del debito e altri sistemi che
______________________
81
Come noto, la produzione di denaro a mezzo di denaro, la creazione di
nuovi debiti per pagare i vecchi debiti, la cartolarizzazione di guadagni fu-
turi solo ipotizzati ed altri fantasiosi (e rischiosi) sistemi inventati dalle banche
per finanziarizzare e parassitare leconomia, hanno portato alla creazione di
una quantit esorbitante di capitale fittizio. Nei Paesi occidentali le banconote
stampate dalle zecche degli Stati costituiscono meno del 5% dellammontare
del volume di moneta in circolazione. Il resto denaro creato dalle banche
private attraverso la concessione di crediti a loro piacimento. Per ogni dollaro
vero ce ne sono almeno 12 virtuali. Una massa monetaria che fluttua perico-
losamente in attesa di trovare nuovi convenienti assets, attivit e cespiti patri-
moniali da cui trarre nuove rendite. Cos la giostra continua a girare sempre
pi velocemente e sempre pi in alto. Finanza e derivati otto volte pi forti del-
leconomia reale, titolava il Sole 24 Ore del 6 agosto 2011. Il PIL mondiale
pesa 74.000 miliardi di dollari, mentre le Borse pesano 50.000, le obbligazioni
95.000 e i derivati (Credit Default Swap) 466.000 miliardi di dollari. Ma oggi,
secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), abbiamo rag-
giunto la cifra astronomica di 710.000 miliardi di dollari di derivati. Unevo-
luzione che, negli occhi dei regolatori, rischia di rendere ancora pi vulnerabili
banche che sono ancora fragili, scrive Fabrizio Goria, sul CorrierEcono-
mia del 21 luglio 2014.
82
H. Kempf, Perch i megaricchi stanno distruggendo il pianeta, Garzanti, Milano,
2008.
83
P. S. Jha, Il caos prossimo venturo, Neri Pozza, Vicenza, 2007.
84
F. Chesnais, Debiti illegittimi e diritto allinsolvenza, DeriveApprodi, Roma,
2011, p. 10.
43
possono mettere in dubbio il diritto acquisito degli investitori
(cio, ottenere gli interessi attesi), considerato dai custodi del-
leconomia e dellordine esistente una catastrofe economica e un
sovvertimento sociale. Le crisi nanziarie che scoppiano a ripeti-
zione con sempre pi frequenza e intensit globale altro non sono
che la difcolt degli istituti di credito a garantire agli investitori i
rendimenti pattuiti.

Lideologia della crescita (a debito)

La crisi, intesa come difcolt che incontra il sistema econo-


mico ad aumentare costantemente i rendimenti dei capitali accu-
mulati, ha senso solo in un contesto teorico e pratico di economia
della crescita nanziata a debito: la Debt Economy. Senza dover ri-
spettare limperativo della crescita la crisi non si chiamerebbe pi
crisi, ma raggiungimento di un buon equilibrio e di una stabilit
invidiabile. Una condizione che gli economisti Erman Daly, allievo
di Georgescu-Rogen, e Kenneth Boulding gi agli inizi degli anni
Settanta, facendo riferimento alle leggi della termodinamica, chia-
mavano steady-state economy, una condizione di stato stazionario
in equilibrio dinamico. Una condizione tuttaltro che deprecabile.
Se le attivit produttive non dovessero pi essere gravate dal pa-
gamento di interessi (se non avessero bisogno di ricorrere a prestiti
di denaro) non sarebbero obbligate a crescere i propri utili inde-
nitivamente per foraggiare le rendite e potrebbero nalmente de-
dicarsi a fare bene i propri mestieri e a far contenti i clienti. Ogni
attivit nanziata a debito nisce inevitabilmente per aumentare il
potere dei creditori. Il denaro creato dalle banche un debito mo-
netizzato. Sono i crediti che le banche concedono che vengono
venduti sul mercato nanziario, creando cos utili alle banche e
rendite ai possessori dei titoli di credito. Accade cos che il mero
titolo di propriet del denaro diventa sufciente per ottenere de-

44
naro, ovviamente, senza dover lavorare. Il denaro produce denaro.
Le banche sono lo strumento di strozzinaggio per conto di coloro
che, senza muovere un dito, possono vantare diritti sui proventi
della ricchezza futura creata da altri. La giostra, per, funziona no
a quando scoppia la bolla e si scopre che i debitori sono insol-
venti, i debiti inesigibili.
Ma le lezioni non insegnano nulla. La crescita, nonostante
la crisi, rimane il dogma delleconomia, una nalit in s, un ne
senza ne. Conseguentemente anche il denaro da strumento di
misura del valore dei beni e dei servizi scambiati, diventa il bene
assoluto in s, la sostanza della crescita, la ricchezza. La crescita,
intesa come aumento del denaro accumulabile e spendibile, di-
ventata sinonimo di benessere e persino di felicit. La crescita
il nuovo patriottismo che mobilita costantemente le masse nella
guerra competitiva tra le diverse aree economiche del pianeta glo-
balizzato. E, come in tutte le guerre, pochi vincono, molti soc-
combono. Il culto della crescita ci fa sentire in lotta contro ogni
limite, dominatori del mondo, padroni delle stesse forze naturali.
Le scienze economiche sono la teologia della crescita85. La cres-
cita il nuovo nome della vecchia ideologia del produttivismo e
dello sviluppismo, di destra e di sinistra. Ha scritto Loretta Na-
poleoni: Il capitalismo e il suo opposto, il marxismo, hanno in
comune un identico cuore: lo sfruttamento ad innitum delle ri-
sorse per procurare una crescita economica altrettanto innita.
Ma da Smith a Marx, da Keynes a Friedman, tutti analizzano un
mondo che non esiste, un pianeta che possiede risorse illimitate86.
Non importa sapere cosa dovrebbe crescere, quali beni si dovreb-
bero produrre, dove e per rispondere a quali bisogni umani autentici.
______________________
85
Leconomia la teologia della nostra era, hanno scritto Robert e Edward
Skidelsky, Quanto abbastanza. Di quanto denaro abbiamo davvero bisogno per essere
felici? (Meno di quello che pensi), Mondadori, Milano, 2013, p. 124.
86
L. Napoleoni, Il coraggio di fare la rivoluzione, in Internazionale, 14 novembre
2008.

45
Limportante costringere la gente, attraverso il ricatto della perdita
di un reddito da lavoro, a vendersi a qualsiasi condizione.

Stagnazione secolare

Nemmeno la lunga crisi di questi ultimi sei anni sembra scal-


re il mito della crescita, sebbene tutti gli economisti sappiano,
in scienza e in coscienza, che gli obiettivi dellaumento del PIL
non potranno pi essere perseguiti, almeno in questa parte del
mondo e nelle misure promesse. Uno dei maggiori responsabili
della deregolamentazione del settore nanziario, e quindi della
creazione dei crack nanziari che hanno portato alla crisi esplosa
negli Stati Uniti tra il 2007 e il 2008, Larry Summers, gi rettore
di Harvard, ex segretario al Tesoro di Clinton e, per di pi, ni-
pote di uno dei pi noti economisti, Paul Samuelson, parlando
in una conferenza del Fondo Monetario Internazionale nel no-
vembre del 2013 a New York, ha avvisato che siamo entrati un
una fase di stagnazione di lungo periodo: Secular Stagnation. In
verit lo aveva gi detto Paul Krugman: Ora sappiamo che
lespansione economica del 2003-2007 stata guidata da una
bolla si pu dire lo stesso dellultima parte dellespansione
degli anni 90, e in effetti si pu dire lo stesso degli ultimi anni
dellespansione Reagan87. Insomma, si deve ammettere che il
lungo boom che ha accompagnato due secoli e mezzo di rivo-
luzione industriale si esaurito e dobbiamo rassegnarci ad una
nuova normalit88. Cio, ad uno sviluppo stazionario.
Un altro storico delleconomia, Thomas Pikettey, divenuto fa-
mosissimo per il volume Capital in the Twenty-rst Century, ha do-
cumentato che sul lungo periodo la crescita della produzione
______________________
87
P. Krugman, Secular Stagnation, Coalminers, Bubbles, and Larry Summers, in
The New Yorker, 16 novembre 2013.
88
M. Ricci, Lera della crescita Zero, in La Repubblica, 10 dicembre 2013.
46
non supera mai l1-1,5% allanno []. Dobbiamo farcene una ra-
gione e smetterla di sognare una illusoria crescita delleconomia89.
dal primo shock petrolifero e dalla ne della guerra in Viet-
nam che la locomotiva nordamericana ha cominciato a dare
segni di cedimento. Nel giro di pochi anni, gli Stati Uniti passa-
rono da primo Paese esportatore a primo Paese debitore. Le am-
ministrazioni di Washington dovettero allora cambiare stratega
(dando avvio con Nixon-Kissinger allo spettacolare riavvicina-
mento cino-americano90). Nacque la globalizzazione come
nuovo stadio pi rafnato di imperialismo, attraverso cui lim-
menso decit commerciale nordamericano (dovuto dal calo dei
protti delle imprese, tanto di quelle manifatturiere, quanto dei
servizi) veniva ripianato dal reimpiego delle plusvalenze (petro-
dollari e non solo) drenate dai Paesi esportatori. Si spalancarono
cos gli anni del trionfo neoliberista, della deregolamentazione,
delle liberalizzazioni, dei famigerati programmi di aggiusta-
mento strutturale imposti dalla Banca Mondiale a tutti i Paesi
del Sud, costringendo i due terzi del mondo ad orientare le pro-
prie economie alle esportazioni distruggendo le loro autosuf-
cienze alimentari. Si tratt di un vero capolavoro che prosegue
no ad oggi: gli Stati Uniti riescono a nanziarsi con il proprio
debito! Attraverso le leve monetarie e nanziarie riescono a cap-
tare i ussi globali di plusvalore (generati in Cina, in Giappone,
nei Paesi del Golfo, in Sud America) e a convogliarli verso Wall
Street, convertendoli in rendite nanziarie.
Le conseguenze a lungo termine di questa enorme distor-
sione del mercato (compiuta in nome dellideologia del libero
mercato) erano facilmente prevedibili. Non c niente di pi ipo-
______________________
89
Intervista a T. Pikettey, Il ritorno del capitale, Fabio Gambaro, in La Repub-
blica, 6 marzo 2014, p. 43.
90
Cfr. R. Sciortino, Crisi globale, capitale fittizio, in www.democraziakmzero.org
/2013/05/29, intervento alla conferenza di Alternativa, Milano, 24 novembre
2012. Si veda anche W. Streeck, Tempo Guadagnato. La crisi guadagnata del capi-
talismo democratico, Feltrinelli, Milano, 2013.
47
crita dello stupore che a suo tempo scosse la Regina dInghil-
terra sulle scarse capacit previsionali degli economisti di fronte
al crollo delle banche nel 200891. Non vero che non ci fossero
economisti no embedded che denunciavano la truffa della nan-
ziarizzazione, semplicemente non avevano ascolto nei gabinetti
dei governi, nelle accademie, nelle pagine del Financial Times.
Tra questi Andr Gorz, ben prima dellesplodere della crisi, de-
scriveva la situazione con assoluta precisione:

Il segreto della crescita delleconomia degli Stati Uniti nel corso


degli anni Novanta [] risiede in una politica che nessun altro paese
pu permettersi e che presto o tardi avr conseguenze terribili. []
Leconomia americana soffre dellinsufcienza della domanda solvi-
bile. Ma essa capace solo di tamponare questa mancanza lasciando
che i debiti si accumulino, vale a dire, praticamente, creando moneta.
Per impedire che la domanda solvibile non diminuisca e che lecono-
mia entri in recessione, la Federal Reserve incoraggia le famiglie a in-
debitarsi [] lindebitamento il principale motore della crescita. [
]. Tutto avviene come se gli Usa prendessero a prestito dallestero
quel che prestavano allinterno: nanziavano un debito con altri pre-
stiti []. Quando Wall Street comincer a scendere in modo prolun-
gato e il dollaro a indebolirsi, il carattere ttizio dei crediti in dollari
diventer manifesto e il sistema bancario mondiale minaccer di crol-
lare come un castello di carte 92.

______________________
91
Scrive E. Campiglio: Nel giugno del 2007 solo pochi mesi prima dello
scoppio della crisi dei mutui nellEconomic Outlook dellOECD si poteva leg-
gere: La situazione attuale per molti ambiti la migliore che abbiamo visto
da anni [] Prevediamo che una sostenuta crescita nelle economie avanzate
sar rafforzata da una forte creazione di lavoro e una diminuzione della di-
soccupazione. E. Campiglio, Leconomia buona, Bruno Mondadori, Milano,
2012. Il ministro delleconomia del governo Renzi, Pier Carlo Padoan, ben
voluto dalle autorit monetarie, stato il Deputy Secretary-General dellOECD.
92
Intervista a Sonia Montano, A. Gorz, in Cadernos IHV Ideas, n. 31,
2005. Tradotta in Ecologica, Jaca Book, Milano, 2009, p. 135.

48
Lindebitamento degli Usa nel corso del trentennio neolibe-
rista schizzato alle stelle: dal 160% del PIL nel 1980, al 240%
nel 1990, al 370% del 2010. 55.000 miliardi di dollari.
Questo graco mette a confronto pi indicatori delleconomia
US e spiega bene il progressivo scostamento tra landamento dei
protti (compresi quelli non derivanti da attivit nanziarie spe-
culative) e gli investimenti da una parte, e loccupazione dallaltra.
Nellattuale contesto economico, per mantenere loccupazione (e
quindi una domanda interna accettabile) servirebbero investimenti
enormi che nessun tipo di protto in grado di alimentare.

Fig.1 Andrew McAfee, Associate Director, MIT Center for Digitl Business. Massachusetts in-
stitute of Tecnology, Studio degli impatti delle innovazioni tecnologiche sulloccupazione.

Il debito degli Stati Uniti una corsa inarrestabile che sarebbe


costato il default a qualunque altro Stato. Scrive Nicola Melloni:
Quello che ha tenuto in piedi leconomia americana stata pro-
prio la politica scale espansiva [ stato] il decit federale a -
nanziare i protti delle imprese private93. Sullo stesso tenore
______________________
93
Cfr. N. Melloni in www.sbilanciamoci.it.
49
un altro commento di Luciano Vassapollo: I capitalismi inter-
nazionali hanno usato la nanza in maniera sovrastrutturale, ma
anche sostitutiva in chiave speculativa, per supplire alle forti dif-
colt dei processi di accumulazione del capitale94.
Da tempo lOccidente vive una crisi di produzione e di in-
debitamento. Decit della bilancia commerciale e sovra-indebi-
tamento statale sono correlati. Lintreccio tra economia reale e
nanza ttizia diventato strutturale. A poco vale appellarsi alla
separazione tra economia reale e nanza quando ormai gli
investitori istituzionali (Fondi pensione e assicurativi, istituti
nanziari ecc.) detengono la met del capitale delle imprese,
sono presenti nei loro consigli di amministrazione, scelgono gli
amministratori delegati, indirizzano le attivit delle aziende in
funzione del valore delle azioni quotate in Borsa.
Secondo un noto studio del Politecnico federale di Zurigo95,
un nucleo ristretto di 147 super multinazionali, tra cui Bar-
clays, Capital Companies, FMR Corporation, UBS, Credit
Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Morgan Stanley, BNP
Paribas, Unicredito, China Petrochemical Group Company e
altre, controllano il 50% del valore complessivo delle 1.318 im-
prese multinazionali che posseggono l80% della ricchezza
mondiale.
Scrivono gli esperti di Conndustria: A monte della grande
recessione ci sono gli squilibri macroeconomici che si sono an-
dati lentamente accumulando [] in particolare leccesso di
spesa Usa che ha gonato decit e debito con lestero96. Im-
manuel Wallerstein arriva alle stesse conclusioni:
______________________
94
L. Vassapollo - R. Martufi - J. Arriola, Il risveglio dei maiali. Piigs, Jaca Book,
Milano, 2012, p. 30. Si veda anche N. Trenkle - E.Lohoff, Terremoto nel mercato
mondiale. Sulle cause profonde dellattuale crisi finanziaria, M.Meggini (a cura di),
Mimesis, Sesto San Giovanni, 2014.
95
The network of global corporate control, in Science News, settembre 2011.
96
F. Galimberti - I. Dalla Valle, Dietro i numeri. Una cronaca della grande recessione,
in I libri dellesperto risponde n. 9, Il Sole 24 Ore, settembre 2012.
50
Il capitalismo in crisi perch non pi in grado di garantire ai
capitalisti laccumulazione reale del capitale []. obbligato a trovare
modalit di realizzo di guadagni nella sfera di produzione delle merci
attraverso la speculazione. Il capitale nanziario aumentato tanto
che, per remunerarlo, la produzione reale dovrebbe produrre redditi
sempre pi alti97.

Determinanti e sottostanti della crisi

La ricerca sulle cause profonde che hanno portato al lungo


declino delleconomia reale occidentale rimane aperta: rallenta-
mento demograco negli Stati Uniti e nellUnione Europea,
poche grandi innovazioni tecnologiche, strepitosa avanzata dei
Paesi emergenti, altro ancora. Di sicuro c il perdurare di una
stagnazione dellaccumulazione del capitale in America e in Eu-
ropa98. Concretamente signica che nessuna grande impresa
vuole pi investire in questa parte del mondo, nemmeno quando
hanno le casseforti piene di utili realizzati in proprio99, e nem-
meno quando vengono a loro generosamente offerti dai governi
______________________
97
I. Wallerstein, citato da Wuppertal Institut, Futuro sostenibile, Edizioni Am-
biente, Milano, 2011, p. 256.
98
L. Gallino, Il colpo di stato di banche e governi. Lattacco alla democrazia in Europa,
Einaudi, Torino, 2013.
99
Merita attenzione ci che gli analisti pi attenti segnalano circa risultati
eclatanti nei conti delle maggiori imprese. I saldi finanziari delle societ sono
ad un record storico dal 1948: sopra il 6% del PIL. Le stime di Standar &
Poors sui profitti di 500 societ sono in crescita del 20% rispetto a fine 2011.
possibile che le imprese abbiano pi soldi di quanti ne necessitino per fi-
nanziare gli investimenti in conto capitale. F. Galimberti - I. della Valle (a
cura di), op. cit. Inutile dire che si tratta di profitti realizzati in gran parte da
societ Usa allestero (25,9%). Quindi facile supporre che gli investimenti
produttivi prenderanno ancora la strada dellAsia orientale, della America la-
tina, dellAfrica.

51
denari nuovi di zecca a prestito a interessi zero, nellintento di
stimolare leconomia. Si crea cos il paradosso di una liquidit
enorme in circolazione e investitori che non riescono a farla
fruttare perch non trovano assets capaci di procurare loro gua-
dagni accettabili. Scrive Mauro Bonaiuti: Per quanto incredibile
possa sembrare [] per convincere le imprese ad investire in
misura sufciente da garantire la piena occupazione, bisogner
non solo offrire loro denaro a costo zero, ma addirittura far s
che possano renderne meno di quanto stato prestato100. Cio
regalare denaro. Dello stesso avviso Nik Beams: Gli investi-
menti nelleconomia reale rimangono stagnati, mentre le cor-
porazioni accumulano valuta piuttosto che espandere le attivit
produttive, ed usano il denaro per avviare manovre di riacquisto
delle quote, o in fusioni ed acquisizioni ed altre operazioni -
nanziarie di matrice parassitaria101.
La rendita media del capitale del 4 - 5% allanno, se guar-
diamo al lungo periodo, ha calcolato Thomas Piketty, sulla base
di un accurato studio sugli andamenti storici del capitale, ma
oggi il rendimento del capitale pi elevato dei tassi di cre-
scita. Vale a dire che il capitale si riproduce da solo molto pi
rapidamente della crescita delleconomia102. Solo Ges di Na-
zareth riusciva a fare meglio alle nozze di Cana!
______________________
100
M. Bonaiuti, La fine della crescita, in www.democraziakmzero.org, 22 gen-
naio 2014. Bonaiuti leconomista che ha fatto conoscere in Italia Nicholas
Georgescu-Roegen, padre delle teorie bioeconomiche, quelle che collocano
leconomia allinterno della biosfera.
101
Nick Beams, Lindice Dow Jones a 17,000: limpennata verso un (nuovo) disastro
finanziario, in http://www.wsws.org/en/articles/2014/07/07/pers-j07.html.
Beams cos prosegue: Linfinito accumulo di ricchezza, dove quasi per mi-
racolo il denaro sembra moltiplicarsi esponenzialmente, intrinsecamente
insostenibile. Lintero sistema finanziario ricorda una specie di piramide ro-
vesciata, in cui enorme benessere finanziario poggia su una minuta base reale,
che rende lintero sistema suscettibile al minimo scossone.
102
Intervista a T. Pikettey, Il ritorno del capitale, F. Gambaro, in La Repub-
blica, 6 marzo 2014, p. 43.
52
Ristagno, recessione, depressione, deazione sono tutti
termini che indicano il fatto che le attivit produttive non rie-
scono pi a garantire tassi di protto accettabili, remunerativi o,
comunque, paragonabili a quelli ottenibili nel mercato nanzia-
rio. In altre parole il meccanismo di accumulazione si incep-
pato. Nemmeno le attivit economiche dei settori terziari (pur
cresciute a dismisura), a cui assegnato il compito del coordi-
namento del lavoro organizzato in reti di imprese a scala inter-
nazionale, riescono a compensare le perdite occupazionali nei
settori tradizionali: agricoltura e manifatturiero103. Cos risparmio
e consumi interni calano.
Mauro Bonaiuti sostiene che siamo giunti al crepuscolo
dellet della crescita104, al termine della fase economicamente
espansiva dei Paesi a capitalismo maturo, e lo spiega con il fe-
nomeno dei rendimenti decrescenti. La riprova la progres-
siva caduta dei rendimenti di tutti i fattori, non del solo saggio
di protto. Secondo lautore, il sistema socioeconomico globale
avrebbe gi oggi raggiunto i limiti esterni (energetici e di sfrut-
tamento delle risorse naturali in generale) della sostenibilit am-
bientale e quelli interni della tollerabilit sociale (disuguaglianze,
frustrazioni consumistiche, dissoluzione dei legami comunitari),
gli uni e gli altri legati alla natura entropica del processo econo-
mico capitalistico, fondato su una logica auto-accrescitiva, pre-
datoria ed estrattivista.
Sulla stessa lunghezza donda ragionano gli economisti della
New Economy Foundation guidata da Tim Jackson, un polie-
drico professore di sostenibilit, economista-capo del gruppo di
consulenza governativo Sustainable Development Commission
del Regno Unito, un pragmatico riformista che si pone lobiet-

______________________
103
M. Ruzzene, Crisi e trasformazione. Beni comuni ed economie pubbliche tra stato,
finanza speculativa e monete locali, Punto Rosso, Milano, 2012.
104
M. Bonaiuti, La grande transizione. Dal declino alla societ della decrescita, Pre-
fazione di S. Latouche, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.
53
tivo di correggere gli squilibri tra gli individui e tra la societ
e la natura. Jackson pensa che si debba mettere in dubbio la
crescita e abbandonare lipotesi che la continua crescita dei
consumi [sia] lunica base possibile per la stabilit se vogliamo
uscire dal pi grande dilemma dei nostri tempi: come riconci-
liare laspirazione a un buon vivere con i limiti di un pianeta -
nito105. Se la nalit e la logica delleconomia rimane quella
della crescita esponenziale della produttivit, dellaumento dei
rendimenti, degli utili e dellaccumulazione monetaria da capi-
talizzare in quantit sempre maggiori, nessuna tecnologia green,
blu o rainbow (anche se orientata al minor impiego di ussi di
materie e di minor produzione di scarti) ci salver dal collasso
ecologico. Siamo immersi in un incubo energetico (incrementi
tra luno e il due per cento allanno di consumi fossili) e in ge-
nerale metabolico: bulimia consumistica di alcuni a scapito della
stragrande maggioranza delle popolazioni del mondo.
Sono molti gli osservatori che propendono per una valuta-
zione della prolungata crisi economica attuale come qualitativa-
mente diversa e pi importante delle precedenti. Prem Shankar
Jha stato il primo, credo, ad usare una formula forte, ripresa
da molti commentatori, per denire questa crisi come: Crisi
storica sistemica106. Ma cosa vuol dire?
Ha scritto Francois Houtart (uno dei 18 membri della Com-
missione ONU istituita per analizzare la crisi) :

In campo ci sono tre grandi letture della crisi. La prima indica nei
soli banchieri, corrotti e incapaci, i responsabili. La seconda, domi-
______________________
105
T. Jackson, Prosperit senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizioni Ambiente,
Milano, 2011, p. 49. Per una prosperit duratura, non rimane che rendere stabile
la decrescita (p. 169), ipotizzare un nuovo modello di economia a crescita
zero, una macroeconomia ecologica, un cambiamento della struttura sessa
delle economie di mercato, un nuovo modello teorico di come si comportino
gli aggregati macroeconomici quando il capitale non si accumuli pi (p. 165).
106
P. S. Jha, op. cit.

54
nante nella commissione presieduta da Joseph Stiglitz, neokeyne-
siana. Si tratta di regolare il sistema dal momento che a questa condi-
zione ci ha condotto lassenza di regole per leconomia. La terza,
minoritaria, afferma che le regole non sono sufcienti e che occorra
cambiare la logica del sistema107.

Ma anche tra i liberisti, come Raghuram G. Rajan, c chi


giunge a conclusioni impegnative:

Secondo linterpretazione pi diffusa della recessione globale, la


crescita in Occidente si bloccata perch crollata la domanda []
In realt i problemi economici odierni non sono soltanto il risultato
di una fragilit della domanda, ma anche di tensione sul lato dellof-
ferta. Da decenni ormai, prima della crisi nanziaria del 2008, le eco-
nomie avanzate stavano perdendo progressivamente la capacit di
crescere fabbricando cose utili, ma dovevano rimpiazzare in qualche
modo i posti di lavoro persi a causa dei progressi tecnologici e della
concorrenza estera, e dovevano pagare le pensioni, le cure mediche
ecc. Perci, in uno sforzo di puntellare articiosamente la crescita, i
governi hanno speso pi di quello che si potevano permettere e hanno
promosso il credito facile [] Il modello di crescita escogitato da que-
sti paesi, con la sua dipendenza dal debito, si rivelato insostenibile108.

La natura di una crisi che viene da lontano

Quella che il capitalismo sta conoscendo non sembra essere


una delle ricorrenti crisi congiunturali, siologiche e manovrate che
accompagnano lalternanza di cicli espansivi e depressivi del pro-
cesso economico di tipo capitalistico. Ci troveremmo di fronte ad
______________________
107
Intervista allassociazione culturale Punto Rosso, in InfoBelem2009, 1
febbraio 2009.
108
R. G. Rajan, Attacco alla crisi. Meno debito, meno spesa e meno Keynes per far ri-
partire lOccidente, in Il, giugno-luglio 2012.
55
una tempesta perfetta, dentro la quale il pilota, facendo un ec-
cessivo afdamento ai comandi automatici del sistema mone-
tario seguendo i cattivi consigli di Mario Draghi ha nito per
perdere il controllo della megamacchina tecno-nanziaria. Il credo
liberista prevede che i capitali, lasciati liberi, vadano a nanziare i
business pi prottevoli allargando il proprio raggio dazione in
territori e settori dattivit inesplorati. Cos, in effetti, avviene, ma
senza trovare equilibri socialmente accettabili per le grandi masse
della popolazione coinvolte nel meccanismo espansivo ed ecolo-
gicamente sopportabili dalla biosfera.
Ci troviamo nel mezzo di un intreccio e una sovrapposizione
di tante diverse crisi. Molteplici crisi interdipendenti e interfe-
renti, le ha denite Edgar Morin109. Una crisi a forma di matrio-
ska. Non (solo) una crisi di solvibilit dei debiti sovrani e di
quelli delle famiglie e delle imprese. Non nemmeno (solo) una
crisi da domanda e quindi di sovrapproduzione. Tantomeno
una crisi nanziaria, visto che siamo letteralmente sommersi dalla
liquidit. certo (anche) una crisi dovuta alla rarefazione delle ri-
sorse naturali, che si rendono quindi sempre meno accessibili e
pi costose. una crisi ecosistemica planetaria con effetti con-
tro-produttivi devastanti, basti pensare agli sconvolgimenti clima-
tici. una crisi geopolitica dovuta allo spostamento del baricentro
del sistema delle relazioni economiche internazionali da un oceano
allaltro che muta consolidate ragioni di scambio tra ex Primo
mondo ed ex Terzo mondo e, conseguentemente, fa saltare le bi-
lance commerciali di molti Paesi. C sicuramente una crisi occu-
pazionale dovuta alle innovazioni tecnologiche che hanno
aumentato esponenzialmente la produttivit industriale, i protti
delle (poche) companies multinazionali e, per contro, hanno provo-
cato i fallimenti a grappolo delle piccole e medie imprese, poich
sappiamo che i comportamenti competitivi non sono mai a somma
positiva. C anche una crisi di prottabilit di quelle imprese
______________________
109
E. Morin, La via, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011, p. 10.

56
(compreso il settore dei servizi) che non sono riuscite ad interna-
zionalizzarsi. Lelenco potrebbe continuare a lungo, mischiando
tipologie di crisi che gli economisti solitamente attribuivano a fasi
storiche distinte e ad aree geograche separate e che invece ora
precipitano tutte assieme. Forza della globalizzazione!
Soprattutto una crisi cognitiva, come la denisce Edgar
Morin. Cio una incapacit culturale delle lite al potere di com-
prendere le cose nella loro complessit a causa di quel nostro
modo di conoscenza parcellizzato [che] produce ignoranze glo-
bali110. Una crisi multidimensionale e polisistemica che potrebbe
preludere al cedimento strutturale delle istituzioni socioecono-
miche e politiche esistenti. Non si tratta di unipotesi accademica.
gi accaduto molte volte nella storia dellumanit111. Non deve
stupire, quindi, che medici di scuole e specialit diverse si trovino
in imbarazzo e prescrivano contemporaneamente medicine con-
traddittorie: eccitanti e calmanti, per una austerit espansiva e
per una crescita in decit. Evidenti ossimori112. Una pillola per
ogni sintomo, dicevano le nostre nonne, non cura il male.
In questo quadro la nanza stata chiamata ad operare un ten-
tativo di soccorso (per quanto interessato) stressando i suoi mec-
canismi no a farli esplodere. Il compito della nanza infatti
quello di anticipare proventi che in realt sono solo ipotizzati nel
futuro, oltrech desiderati, ma nientaffatto certi, come abbiamo
______________________
110
Ivi, p. 5.
111
Mi riferisco agli studi di J. Tainer, The Collapse of Complex Societies, Cambrige
University Press, 1988; e di J. Diamond, Collasso, Come le societ scelgono di morire
o vivere, Einaudi.
112
Scrive Rist un gustoso capitolo titolato La tattica dellossimoro in cui spiega
che il procedimento che consiste nellunire due termini antinomici [come
sviluppo sostenibile o guerra pulita] per spiegare che la verit va al di l
della comprensione razionale di derivazione religiosa: In termini tecnici,
si tratta della teologia negativa, o apofatica, che sottolinea limpossibilit di
dire lindicibile. G. Rist, Lo sviluppo: abiti nuovi o divisa mimetizzata?, in: AA.
VV., Disfare lo sviluppo per rifare il mondo, Jaca Book, Milano, 2005, p. 30.

57
visto. Il debito, stato autorevolmente scritto, quando il futuro
viene derubato in anticipo.
Una seppur superciale osservazione dei meccanismi economici
avrebbe dovuto farci accorgere che sarebbe stato semplicemente in-
sostenibile, nel medio e lungo periodo, ottenere rendimenti nanziari
a due cifre in una situazione in cui i ricavi della sottostante eco-
nomia reale erano meno del 2% (come avvenuto negli ultimi quin-
dici anni nei Paesi Ocse), gi prima della crisi. facile prevedere che
i prossimi crack riguarderanno le assicurazioni (che hanno venduto
polizze con rendimenti superiori al 3%) e i fondi pensioni. Ma tor-
nano a gonarsi anche gli indici dei prezzi delle abitazioni negli Stati
Uniti (giunti ai livelli pre mutui subprime), in Cina ed anche in Gran
Bretagna e Germania. Cos come fa temere una prossima bolla, il
toro di Wall Street con indici borsistici alle stelle senza che vi sia
una particolare ragione, dato che i fondamentali di diverse societ
non sono cos brillanti secondo un commento della banca Wells
Fargo riportato dal Corriereconomia, e secondo lopinione del Se-
cular Out Look del fondo obbligazionario Pinco, il pi grande del
mondo: La mole di liquidit immessa nel sistema nanziario dal
2007 ad oggi, invece che combattere una bolla ne ha create delle
altre, potenzialmente pi pericolose113. La nanziarizzazione, la li-
beralizzazione e la privatizzazione dei mercati nanziari sono state
solo lultimo tentativo di mascherare, supplire e ritardare il declino
del sistema economico somministrandogli allucinogeni a dosi rego-
lari di 85 miliardi di dollari al mese, creati dal nulla e stampati dalla
______________________
113
F. Goria, Finanza. Tre bolle nascoste. Tutte da temere. La lezione di Lehman non
servita: limmobiliare, Wall Street e i social network quotati sono cresciuti troppo, in Cor-
rierEconomia, luned 23 giugno 2014, p. 6. Larticolista ricorda che la Federal
Reserve, dalla crisi ad oggi, ha comprato bond governativi americani e titoli ga-
rantiti da mutui per oltre 3 mila miliardi. Gli asset in pancia alla Fed sono infatti
passati da quota 925,725 miliardi di dollari, registrata il 10 settembre 2008, a
quota 4.340,904 miliardi di dollari, toccata lo scorso 11 giugno. Cifre folli! Si
vedano anche le analisi di A. Baranes sul sito: www.sbilanciamoci.info. In par-
ticolare La bolla a orologeria della finanza, 14 marzo 2014. Baranes autore di
Dobbiamo restituire fiducia ai mercati. Falso!, Laterza, Roma-Bari, 2014.
58
Federal Reserve114. Un doping, nellintento di mantenere accettabili
gli indici di rendimento dei capitali (rendite e protti), ma anche
gli introiti scali, i contributi pensionistici e sanitari, gli stipendi e i
rendimenti delle polizze assicurative. La creativa ingegneria nan-
ziaria di Wall Street e della City di Londra ha operato a ondate suc-
cessive per sovrastimare il valore di mercato reale di interi comparti
economici (prima lhi-tech, poi immobiliare e le commodities, quindi i
titoli sovrani di Stato, ora la green economy, prossimamente come
detto le assicurazioni e i fondi pensione), salvo poi farli scop-
piare ripetutamente.
Non si trattato di una mera operazione speculativa, ad ap-
pannaggio di pochi approttatori. Ma di una manovra politica-
mente orientata. Tramite la nanziarizzazione delleconomia, le
oligarchie economiche e le istituzioni statali al loro servizio, sono
riusciti a rendere complici i loro tradizionali antagonisti: i lavo-
ratori interni, la cui solvibilit sul mercato dipende sempre meno
dal salario diretto percepito e sempre pi dallaccesso al credito.
Una quota crescente della capacit dacquisto delle famiglie de-
riva dalle pensioni, dalle assicurazioni, dal credito al consumo;
formata cio da trasferimenti, da rendite, dai prestiti donore,
no al ricorso allo strozzinaggio. Lindebitamento crescente
stringe un cappio al collo degli Stati e delle famiglie. Ovviamente,
i massimi beneciari delle politiche di globalizzazione nanziaria
sono stati le imprese transnazionali offshore che delocalizzano
le produzioni e sfruttano il lavorano in conto terzi. Il sogno

______________________
114
G. Tett, Linarrestabile esplosione del credito, traduzione in Internazionale, 27
settembre 2013. La liquidit sui mercati iper-abbondante. Solo nel 2013 le
banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone hanno iniettato sui
mercati finanziari 1.700 miliardi di dollari nuovi di zecca. Nel 2012 ne avevano
immessi 1.000 miliardi. M. Longo, Il paradosso: troppi soldi ma pochi posti dove in-
vestirli, in Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2014. Dal 2006 ad oggi Bloomberg cal-
cola la quantit monetaria in circolazione sia aumentata di 27.000 miliardi di
dollari. Queste spericolate politiche monetarie spiegano forse larcano secondo
cui diminuiscono i fatturati, ma aumentano i profitti delle imprese.
59
di ogni imprenditore pagare il lavoro in renminbi e vendere i
prodotti in dollari!
Nasce cos la fortuna dei Brics (Brasile, Russia, Cina, Sud
Africa), dei Mikt (Messico, Indonesia, Corea del Sud, Turchia),
dei Mint (Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia), dei Civets (Co-
lombia Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia, Sud Africa), acro-
nimi che piacciono agli investitori stranieri115.
La crisi, in denitiva, non nasce dalle banche, come una vul-
gata semplicatrice e sostanzialmente rassicurante sostiene, ma
da un mutamento dei rapporti di forza economici tra le regioni e
i sistemi politici del pianeta. Non appena si alza lo sguardo in
campo mondiale, si vede chiaramente il rapporto stretto tra crisi
dei meccanismi tradizionali di valorizzazione e di accumulazione
del capitale in Occidente, ed economia reale internazionalizzata.
La forza degli Stati Uniti, stato detto pi volte, sta nella capacit
di farsi imprestare denaro. Il soccorso che hanno ottenuto dai
fondi sovrani116 non dipende dal fascino dei coniugi Obama, ma
pi probabilmente da fattori quali: governi corrotti dai petrodol-
lari, basi militari e, soprattutto, subalternit economica. La storia
della supremazia occidentale nel mondo, al fondo, si riduce ad es-
sere una catena di sistemi di coercizione e di ritorsioni con cui
riuscire a parassitare altri Paesi. La globalizzazione dei mercati -
nanziari stata solo lultimo, il pi rafnato e fraudolento anello
della catena. Ma ora siamo giunti ad un passaggio importante.
______________________
115
C. Cohn, in Reuters, 20 gennaio 2014.
Il VI vertice die Brics si svolto nel luglio 2014 in Brasile e ha dato vita
ad una grande banca e ad un fondo comune di intervento per lo sviluppo
che potranno agevolmente superare per dimensioni le iniziative della Banca
e del Fondo Monetario mondiali. Vincenzo Comino, La finanza alternativa dei
Bric, in www.sbilanciamoci.info, pensa che si tratti di anche di una delle ri-
sposte cinesi, e in parte anche degli altri Paesi del Bric, al tentativo degli Stati
Uniti di isolarli attraverso il tentativo in atto per la messa in opera del trattato
per il commercio trans-atlantico.
116
Cina e Giappone detengono il 50% dei titoli del debito pubblico statunitense.

60
Legemonismo americano e dei suoi alleati sembra aver raggiunto
un punto terminale. Il gioco sta in piedi ha scritto Romano
Calvo no a quando una parte del mondo, quella che ha dato
inizio alla accumulazione capitalistica, riesce ad appropriarsi del
plus valore dei capitali governandone la valorizzazione ed accet-
tando che siano altri paesi in cui si produce cibo e beni manifat-
turieri per tutti.117

Nelle periferie dellimpero: lEuropa

Vista e vissuta in Europa, la lunga depressione economica in


corso assume caratteristiche strutturali ed epocali. Di fronte allEu-
ropa si prospetta un futuro di decadenza e di emarginazione. La
sensazione diffusa che un lungo ciclo storico si sia irrimediabil-
mente concluso. Da settantanni lEuropa stata unarea sub-impe-
riale al traino degli Stati Uniti. I governi europei sono stati i loro
servitori/imitatori ben ricompensati. Per un quarto di secolo e pi
(la golden age postbellica) lEuropa, allombra del dollaro, ha potuto
beneciare di aiuti diretti e di ragioni di scambio sui mercati inter-
nazionali favorevoli per approvvigionare di petrolio e di materie
prime a basso prezzo i propri apparati produttivi industriali. In molti
oggi (anche a sinistra) si ricordano con nostalgia quegli anni durante
i quali ha funzionato il compromesso tra capitale e lavoro, ritenuto
vantaggioso per entrambi. Ma bisognerebbe anche ricordare il ve-
leno contenuto in quei frutti: urbanizzazione dissennata, inquina-
menti irreversibili, salute compromessa per non poche categorie di
operai dellindustria pesante e della chimica di base, collusione e
complicit nella spoliazione di risorse naturali non rinnovabili.
LEuropa ora non pu pi realisticamente continuare a con-
tare sulle antiche condizioni di sviluppo mentre (salvo forse la
______________________
117
R. Calvo, C un sacco di lavoro, Associazione Consulenti Terziario Avanzato,
in www.wordpress.com.
61
Germania) tagliata fuori dalle nuove opportunit che offrono
le innovazioni tecnologiche, rischiando di fare la ne del vaso
di coccio tra Stati Uniti e Cina. Non riuscita a fare sistema
e lUnione (politica) Europea non mai decollata. Quando ha
tentato di darsi una moneta (leuro), potenzialmente concorren-
ziale al dollaro e capace di funzionare come moneta di riserva
per alcuni Paesi arabi, stata colpita da manovre speculative
concertate dalla City di Londra e da Wall Street. Tiene il Cen-
tro-Nord, ma le periferie mediterranee (i Pigs: Portogallo, Italia,
Grecia, Spagna pi tutta lex Jugoslavia) perdono contatto dalla
locomotiva tedesca e precipitano nella recessione. La compe-
tizione tra aree geograche e sistemi dimpresa assomiglia ad
una gara ad eliminazione: lultimo concorrente viene eliminato
ad ogni giro e quelli che rimangono in pista sono sempre pi
stremati. Mai le popolazioni europee avevano visto peggiorare
le condizioni di vita dei propri gli. Il mito della crescita innita
si infrange. La sducia colpisce le istituzioni politiche accusate
giustamente di aver abdicato a favore dei centri economici e -
nanziari internazionali. La cosiddetta troika: Banca centrale
europea, Fondo Monetario Internazionale, Commissione Eu-
ropea, un organismo intergovernativo privo di qualsiasi inve-
stitura democratica. La crisi nanziaria (nella sua doppia,
perversa spirale: crisi scale degli Stati e stimoli a debito delle
banche per procrastinare il collasso economico) un ottimo
pretesto nelle mani della tecnocrazia europee per svalorizzare il
lavoro e sancare ci che rimane della sua rappresentanza sin-
dacale e politica: disoccupazione, precarizzazione, tagli al welfare
state, riduzione dei salari. I ceti operai vengono umiliati, ai gio-
vani viene negato un futuro, le donne sono costrette a sopperire
con il loro lavoro invisibile e gratuito tutto ci che viene a
mancare alle famiglie in termini di reddito e di servizi sociali
(pi lavoro in casa e pi lavoro fuori sottopagato per integrare
il reddito familiare), il ceto medio vive nel terrore di precipitare
nel precariato e nella povert. Weimar ricordata non senza ra-
62
gione. Cos come la storia insegna, la guerra intercapitalistica
la pi semplice misura per stabilire chi dovr subire la svaloriz-
zazione dei capitali e la svalutazione delle monete.

Scenari

Gli scenari possibili futuri per il dopo-crescita sono di due


tipi: un allargamento morbido (dal G7 al G8 ai G20, G24 G99)
e un riallineamento della geopolitica ai valori economici reali dei
capitali in gioco (con anni di anticipo sulle previsioni la Cina ha
gi superato la met delleconomia Usa) in cui gli Stati Uniti si ri-
dimensionano e cedono qualche cosa a favore delle aree emer-
genti. In questa ottica vanno letti i tentativi americani di
riconvertire gli apparati industriali anche in chiave green per
mantenere una qualche base economica reale e un vantaggio
competitivo tecnologico. Mentre i cinesi sono impegnati ad au-
mentare la domanda interna nel tentativo di affrancare la bilancia
commerciale dal vincolo delle esportazioni. Un gioco possibile,
sul lo del rasoio, poich le tensioni concorrenziali intracapitali-
stiche tra aree geograche e Stati nazionali sono tuttaltro che
spente, non esistendo istituzioni politiche capaci di svolgere una
missione mediatoria a scala planetaria. La crisi ucraina ci riporta
la guerra dentro lEuropa. Il ruolo delle imprese transnazionali
come sempre decisivo, ma la loro intelligenza e responsabilit po-
litica e sociale nulla, come si visto troppe volte. Peggio. Le
forze del mercato non hanno difcolt ad abbracciare le strade
dei conitti armati, solo se ne sentono una qualche convenienza.
Se si pensa poi che le migliori performance produttive avvengono
nei regimi sociali pi dispotici e che la corsa alle armi incessante
dal 1991 in ogni parte del mondo, allora non affatto infondato
il rischio di un ricorso alla guerra. La guerra rimane nella storia
dellumanit il metodo pi spiccio per fregare i creditori.

63
Il secondo tipo di scenari possibili non contempla la possi-
bilit di una ripresa dei protti e dellaccumulazione capitalistica,
n ad Oriente n ad Occidente, n per i sistemi emergenti, n
per le aree in decadenza. Non vi sarebbe pi alcun margine per
produrre e ridistribuire surplus, quindi per allargare e riequili-
brare i poteri a livello globale. la tesi sostenuta da Andr Gorz
nellultimo lavoro che ci ha lasciato118: usava il termine estin-
zione per rendere lidea dei limiti raggiunti dallespansione del
capitalismo. Un limite interno, quando il capitale non pi in
grado di riprodursi, di incrementare il proprio valore mante-
nendo il ritmo della produttivit che le nuove tecnologie ren-
dono possibile; un limite esterno, ambientale, quando vengono
a mancare materie prime119.

Altri tunnel in fondo al tunnel

Le proposte per uscire dalla recessione che prospettano sin-


dacati e sinistre di tradizione operaia e socialista (la Old Left) non
vanno oltre la stanca ripetizione delle ragionevoli ricette key-
nesiane: riduzione della abnorme sfera nanziaria, ridistribuzione
scale della ricchezza, ripresa degli investimenti nelle produzioni
______________________
118
A. Gorz, Crise mondiale, dcroissance et sortie du capitalisme, in op. cit.
119
La crisi da sovrasfruttamento delle risorse naturali provoca una rarefazione
delle materie prime che, a sua volta, ha una ricaduta diretta sulleconomia con
laumento dei costi di estrazione, trasporto, commercializzazione. Ad esempio
dal 2000 al 2008, il prezzo del Cromo aumentato del 260%, del Rame del
190%, del Ferro del 132%, del Manganese del 227%, del Tungsteno del 239%,
del Vanadio del 547%, dello Zolfo del 750%, del Potassio del 230%, del Car-
bone del 59%, del Gas naturale del 156%, del Petrolio del 244%. Il Litio pas-
sato da 350 a 3.000 dollari a tonnellata. Per i lantanoidi e le altre 17 terre rare
(che servono a miniaturizzare e a smaterializzare le produzioni dei nostri
apparecchi elettronici) in corso una guerra commerciale con la Cina e guer-
reggiata in Africa.
64
di beni e servizi, intervento diretto dello Stato nelleconomica, au-
mento dei consumi interni pubblici e privati secondo lo schema
della domanda aggregata a sostegno delloccupazione. Insomma,
lauspicio di un nuovo compromesso tra capitale e lavoro. Ma
in uneconomia ormai globalizzata, i margini di manovra per po-
litiche economiche rousveltiane sono oggettivamente ristretti dalla
internazionalizzazione delle liere produttive e dei mercati, oltre
che dalla nanza. Senza una de-globalizzazione anche le ricette
keynesiane non potranno avere possibilit di realizzarsi. Le stesse
misure protezionistiche attivate dagli Usa, se da un lato danno il
segno del fallimento della liberalizzazione dei mercati, dallaltro
esprimono limpotenza della amministrazione di Washington a
governare i processi che lei stessa ha messo in moto. Una volta li-
berati, gli spiriti animali del capitalismo non rientrano facilmente
nel vaso di Pandora che li conteneva. Gi Keynes era ben consa-
pevole del disastro che si sarebbe creato con una liberalizzazione
degli scambi internazionali senza strumenti monetari differenziati.
Inoltre una ripresa a debito oggi molto poco credibile e fatti-
bile a fronte degli immensi debiti gi accumulati (e contratti sul
dollaro) che gravano su banche, famiglie e Stati (anche se in pro-
porzione diversa nei vari Paesi) e, soprattutto, della perdita di com-
petitivit sui mercati desportazione delle imprese europee. In
denitiva le politiche keynesiane non sembrano essere praticabili
in un sistema economico e nanziario come quello attuale.
Pi in generale i neokeynesiani non si sono interrogati a
fondo sulle ragioni del fallimento della profezia di Keynes120,
quando, come noto, calcolava nel saggio Prospettive economiche per
i nostri nipoti, pubblicato nel 1930, che nel giro di cento anni (cio
oggi), lo sviluppo tecnologico avrebbe consentito di raggiungere
un livello di abbondanza tale da soddisfare le necessit di base
(vitto, alloggio, vestiario, salute e istruzione) impegnando ogni
______________________
120
R. - E. Skidelsky, op. cit.

65
abitante della Terra a lavorare non pi di tre ore al giorno121. Il
fallimento dellutopia keynesiana (piena occupazione e riduzione
dellorario di lavoro) non dipeso da un errore di valutazione
sullaumento della capacit produttivit e nemmeno della ric-
chezza monetaria, che anzi sono state straordinariamente elevate
a partire dal dopoguerra. Da cosa allora? Secondo Robert e Ed-
ward Skidelsky, padre e glio, economista e losofo, il lavoro
necessario pro-capite non diminuito e non diminuir perch
lerrore di Keynes consiste nel non aver fatto i conti no in
fondo con la logica del sistema economico e sociale capitalista
fondata sullaccrescimento indenito e perpetuo della produ-
zione di merci e dellaccumulazione di denaro. Il capitalismo ha
quindi bisogno di creare un tipo umano medio con la dispo-
sizione psicologica allinsaziabilit. Secondo questi autori: Il
capitalismo unarma a doppio taglio: da un lato ha reso possi-
bili grandi miglioramenti delle condizioni materiali dellesi-
stenza, dallaltro ha esaltato alcune delle caratteristiche umane
pi deplorevoli, come lavidit, linvidia e lavarizia. In altri ter-
mini: Uneconomia competitiva monetizzata esercita su di noi
continue pressioni a voler sempre di pi. E ancora: Il capita-
lismo si fonda sulla inesauribile crescita dei bisogni. Da cui,
nella nostra societ risulta praticamente impossibile separare
bisogni assoluti predeterminabili e bisogni relativi inesau-
ribili. I bisogni non conoscono limiti naturali, possono espan-
dersi allinnito almeno che non li conteniamo in maniera
consapevole [] La consapevolezza di avere quanto basta.122
Se le cose stanno cos, allora evidente che il raggiungimento
della et dellabbondanza pronosticata da Keynes verr conti-
nuamente posticipata, travolta dal movimento elicoidale produ-
______________________
121
J.M. Keynes scrisse anche: Spero non sia lontano il giorno in cui leco-
nomia occuper quel posto di ultima fila che le spetta, mentre nellarena dei
sentimenti e delle idee saranno protagonisti i nostri problemi reali: i problemi
della vita, dei rapporti umani, del comportamento, della religione.
122
R. - E. Skidelsky, op. cit., pp. 10-23-94-95.
66
zione-consumo123. In altre parole lerrore di Keynes sta nellaver cre-
duto, machiavellicamente, di poter piegare al bene il male, seppur
provvisoriamente. Sempre nelle Prospettive economiche per i nostri nipoti,
Keynes scrive: Almeno per i prossimi 100 anni dobbiamo preten-
dere da noi stessi e da chiunque altro che il brutto bello e il bello
brutto, perch il brutto utile, mentre il bello non lo . Ancora
per qualche tempo lavarizia, lusura e le misure protettive devono
essere i nostri dei. Perch solo loro possono condurci fuori dal tun-
nel della necessit economica124. Un ragionamento curiosamente
speculare a quello fatto dai sovietici per giusticare la necessit di
un regime provvisorio, si intende, di dittatura del proletariato.
Al contrario di ci che pensava Keynes, ci che mancato, e
tuttora manca, far rientrare gli strumenti economici nellalveo
delle scienze morali, subordinarli al raggiungimento di valori
non commercializzabili e non quanticabili in termini monetari
che afferiscono alla qualit del vivere (salute, dignit, rispetto,
armonia con la natura, relazioni affettive amicali e via dicendo125)
e non invece alle quantit di beni producibili ed accumulabili.
Vedremo nei prossimi capitoli come questa rivoluzione culturale
possibile. Ovviamente non si tratta di ben altra cosa dalla au-
sterit imposta dai governatori-banchieri europei mirata a bloc-
care un debito pubblico, invero incontenibile a causa degli
interessi crescenti che gli stati devono pagare, e soprattutto -
nalizzata a ridurre lo squilibrio delle bilance commerciali dei

______________________
123
Il parziale ritorno a Keynes [] non cambia in realt nulla, in quanto si
tratta solo di discussioni tra scuole diverse che si limitano a colorare con sfu-
mature il dogma dei mercati efficienti [] non rimettono in discussione il
modello di base. G. Rist ne I fantasmi delleconomia, Jaca Book, 2012, p. 188.
124
J. M. Keynes, Economic Possibilities for Our Grandchildren, New York, 1963,
pp. 358-373.
125
Come si vede si tratta di beni del corpo, della mente e delle relazioni co-
stitutivi dellumano che non escludono laltro, ma lo includono. L. Lom-
bardi Vallauri, in P. Cacciari (a cura di), La Societ dei beni comuni, Ediesse,
Roma, 2010, p. 44.
67
Paesi di pi antica industrializzazione tentando di contenere i
consumi di merci di importazione pagate in dollari, ad incomin-
ciare dal petrolio.
Le speranze di tutti coloro che auspicano la ripresa della cre-
scita, puntano esclusivamente sulle esportazioni. Ma i Paesi eu-
ropei cosa dovrebbero riuscire a vendere e a chi? I Paesi
emergenti, infatti, si stanno sempre pi affrancando dal gap tec-
nologico: la Cina diventata prima produttrice mondiale di com-
puter e anche di brevetti. Il ritorno di un nuovo protezionismo
US-UE per contenere la Cina (questo sembra essere il vero obiet-
tivo del nuovo Trattato per il libero commercio transatlantico126) appare
un fragile, quanto disperato argine in epoca di globalizzazione. I
protti delle loro multinazionali sono fatti in gran parte negli
opici globali. Aumentare i parametri di qualit, e quindi i
prezzi dei loro prodotti (applicando clausole sociali ed ambientali),
ridurrebbero anche i loro protti. Le speranze di uscita dalla
crisi attraverso la ripresa della crescita si riducono alla umi-
liante possibilit di offrire merci di lusso al gigantesco ceto
medio arricchito in Cina, India, Brasile, Turchia, Paesi arabi che
preme per accedere a consumi di qualit che i Paesi di pi antica
industrializzazione possono ancora fornire, ma non detto che i
margini di protto di questi prodotti (brand alla moda, rafnati
strumenti di telecomunicazione, yacht e altri generi di lusso) siano
sufcienti a far galleggiare ancora per molto tempo la piccola
Europa e la decadente America del Nord.
Comunque, meglio essere prudenti. Come si sa, le capacit di
adattamento del sistema capitalistico di mercato sono sorprendenti
e non certo da escludere che siano possibili nuove riprese,
nuovi cicli espansivi, nuove penetrazioni in aree geograche e in
settori non ancora mercicati. Il gi citato rapporto del Credit
______________________
126
Si veda il dossier TTIP, Il grande mercato transatlantico, di Le Monde diplo-
matique, allegato a Il Manifesto, 15 giugno 2014. In particolare larticolo
di Serge Halimi, I potenti ridisegnano il mondo.
68
Suisse127 calcola che la ricchezza monetaria nel mondo, dal 2000 al
2013, pi che raddoppiata: da 113.000 a 241.000 miliardi di dol-
lari. Trainata dalla spettacolare avanzata della Cina (+376%). In
linea lEuropa (+130%). Sotto la media gli Stati Uniti (+80%).
Anche il PIL mondiale cresciuto dal 2001 al 2011 del 17%. Le
previsioni sono altrettanto positive: nei prossimi 5 anni ci si aspetta
un ulteriore aumento della ricchezza globale del 40%. Parallela-
mente, sono diminuiti i poveri assoluti (1,25 dollari al giorno) ed
anche quelli relativi (2,50 dollari al giorno). Rispettivamente 1,4
miliardi di persone e 3 miliardi.
Tutto bene quindi? Al contrario! Misurare con i dollari pro-ca-
pite la qualit della vita delle persone unoperazione meschina e
falsicante128. Lo stato di povert non tanto una questione di red-
dito quanto di accesso ai mezzi di sussistenza: terra coltivabile,
acqua, lavoro, servizi, istruzione129 Ridurre la dignit di una vita
ad un reddito monetario signica non tener conto delle innite
altre forme di ricchezza che le societ non capitalistiche offrono ai
loro abitanti. Peggio, nasconde una volont di annientamento delle
diversit culturali. Ci vuol poco a capire che un dollaro pu voler
dire meno di nulla in una favela sudamericana infestata dalla cri-
minalit, cos come, per motivi opposti, in un villaggio indigeno in
una foresta ben conservata. tipico del neocolonialismo culturale
ed economico misurare la buona vita con il (proprio) denaro.
______________________
127
Credit Suisse, Global Walth Databook 2013, traduzione a cura della redazione
di Solidariet. www.rue89.com.
128
Scriveva Illich: La povert, nel linguaggio pubblico, comincia ad assumere
una nuova connotazione, vale a dire quella di una soglia economica [] la
povert, a New York come in Etiopia, diventata una misura universale
astratta del sottoconsumo. Scienziati sociali e burocrati stabiliscono quali
sono i bisogni standard delle popolazioni e gli economisti pianificano la
distruzione delleconomia morale di sussistenza preesistente. I. Illich, Bisogni, in W.
Sachs (a cura di), Dizionario dello sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino,
1998, pp. 71-72.
129
Gruppo promotore Dichiariamo Illegittima la Povert, Le fabbriche della po-
vert. Liberare la societ dallimpoverimento, ITER, Colognola ai Colli (Vr), 2013.
69
Ancora grandi praterie si aprono ai saccheggiatori delle im-
prese transnazionali nel Sud del mondo. Nuove colonizzazioni,
nuove enclousures, nuovi prelievi e sfruttamento di risorse prima-
rie sono ancora possibili. Sappiamo bene che i modi di produ-
zione e le relazioni sociali del capitalismo sono ambientalmente
e socialmente insostenibili, per non sappiamo quali e quanti
margini di manovra la megamacchina tecnoindustriale sar an-
cora capace di trovare nelle pieghe del sottosuolo, spremendo
no allultima goccia il petrolio di scisto usando le tecniche di
estrazione fraking (Hydraulic Fracturing130), per esempio, o sfrut-
tando la supercie del Sahara impiastrellandola di pannelli fo-
tovoltaici (progetto tedesco Desertec della Siemens131). Non
sappiamo quanti umi riusciranno ad intrappolare nelle dighe
nella Cordillera delle Ande, in Medio Oriente o nellimmenso
______________________
130
Immensi giacimenti di idrocarburi unconventional (chiamati shale o tight, olio e
gas di scisto) imprigionati nelle rocce calcaree, arenarie, quarzo e argilla sono
diventati disponibili grazie al processo di estrazione detto fracking (con tecnologie
introdotte dalla Halliburton): perforazione orizzontale del sottosuolo e frantu-
mazione idraulica. Sabbia e additivi chimici iniettati nei pozzi consentono alle
molecole di petrolio di fluire in superficie. Negli Stati Uniti si scava ad un ritmo
impressionate: pi di cento pozzi al giorno. Lasticella del peak oil si spostata
decisamente pi in alto, regalando qualche decennio (quattro o cinque) di vita
in pi allera dei combustibili fossili. Certo, qualche effetto collaterale sullam-
biente il fracking rischia di provocarlo. Per sgretolare le rocce e strizzare il petrolio
uno solo pozzo ha bisogno di 15 milioni di litri dacqua mista a proppant e altro
(M. Nicolazzi, Ok, il prezzo giusto. La grande svolta pu ripartire, in Il, agosto
2012). A pieno regime, si stima che i pozzi negli Stati Uniti, per esempio, si por-
teranno via dalluno al tre per cento del consumo totale di acqua. Il rischio del-
linquinamento delle falde evidente. La subsidenza certa e non sono esclusi
i rischi di piccoli terremoti locali. Ma non basta. Ci sono anche i costi del conto
economico: gli investimenti nello sviluppo dei giacimenti e nellestrazione degli
idrocarburi sono aumentati del 200-300% dal 2.000 ottenendo per un aumento
dellofferta di petrolio e gas di appena il 12%.
131
Il progetto, ben descritto da Cianciullo e Silvestrini ne La corsa della Green
Economy. Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo, denominato Desertec,
portato avanti da un consorzio di imprese tra cui Siemens (elettronica) e,
70
bacino dellHimalaya per produrre energia ad uso di miniere, ce-
mento e acciaio. Non sappiamo quante foreste e quante terre
comuni riusciranno ad accaparrarsi e a trasformare in deserti di
mais e soia geneticamente modicati. Non sappiamo quanta vita
e quante vite riusciranno a distruggere per creare il denaro che
gli manca. Sempre con il consenso e la sottomissione delle po-
polazioni del pianeta, distribuendo illusioni alla televisione e la-
crimogeni nelle piazze.

______________________
recentemente, anche ENEL. La copertura finanziaria di 400 miliardi di euro
garantita dalla Deutsche Bank e dal gigante delle assicurazioni Munich Re.
Si propone di soddisfare il 15%, 20% del fabbisogno di energia elettrica di
tutta Europa entro il 2050 attraverso la solarizzazione del deserto del Sahara
in Tunisia e Libia. La superficie teorica per soddisfare con tecnologie solari la
domanda elettrica mondiale, pari ad un quadrato di 300 km di lato. Ovvia-
mente, oltre ai megaimpianti a specchi, servono reti (supergrid) e tecnologie di
trasporto capaci di gestire i flussi di energia elettrica a grandi distanze attra-
versando i mari. E qui nato un altro progetto a guida francese: il consorzio
Transgreen con lobiettivo di creare una rete euro mediterranea per rendere
disponibili in Europa i grandi volumi di energia che saranno generati nelle re-
gioni del MENA (acronimo per indicare il Medio Oriente e il Nord Africa).
71
CAPITOLO III

Beni comuni*

La nostra tanto vantata libert necessariamente implica


la schiavit no a che ammettiamo il principio della
propriet della terra. Fino a che un uomo potr recla-
mare la propriet esclusiva della terra, dalla quale di-
pende la vita di altri uomini, la schiavit continuer ad
esistere e, a misura che il progresso materiale va innanzi,
diventer sempre pi larga e profonda.
(Henry George, Progresso e povert, 1879)

In italiano commons si traduce usualmente in beni comuni, al


plurale. Espressioni simili, che per hanno signicati diversi,
sono: common goods, basic common, collective goods, common pool resources,
common good of Humanity132. The common si traduce invece con il
comune, al singolare maschile, quando si vuole conferire ai com-
______________________
*
Questo capitolo riprende e sviluppa le considerazioni contenute nei saggi:
La rivoluzione in atto dei beni comuni. Un sapere alternativo al paradigma proprietario,
in Mario Pezzella (a cura di), Beni Comuni, numero monografico de Il Ponte,
febbraio-marzo 2013; e La rivoluzione dei beni comuni, in A. Giustino - N. Russo
(a cura di), Pensare la crisi, Carocci editore, 2012.
132
Sui beni comuni esiste ormai una vastissima letteratura. La rassegna inter-
nazionale pi completa quella prodotta dal gruppo di ricerca The Common
Strategies Group coordinato da David Bollier e Silke Helfrich, The Wealth of the
Commons. Aworld Beyond Market & State, Edit by David Bollier and Silke Hel-
frich, Levellers Press Amherst, MA 01002, 2012.
Si veda anche: A Report on an International Conference on the Future of the Commons,
organizzata da The Commons Strategies Groups, presso la Heinrich Bll
Foundation; Economics and the Common(s), From Seed Form to Core Paradigmm,
Berlin, 22-24 maggio 2013.
73
mons una dimensione estensiva, politica e losoca. Vi quindi
una differenza tra il concetto di comune (Commonwealt, nel-
loriginale titolo del lavoro di Michael Hardt e Toni Negri133) e
di beni comuni (Commons). Tentando di interpretare Negri e
Hardt, penso che il comune sia un concetto che indica lo spa-
zio losoco generale dentro cui si determinano relazioni di
condivisione. Il comune ci che tiene assieme (volontaria-
mente od obbligatoriamente) quelle cose (beni e servizi, mate-
riali e cognitivi) che ci permettono di vivere una vita relazionale.
Il comune lambito che accomuna degli individui e consente
loro di vivere in una societ. Per Jean-Luc Nancy lo spazio
dellessere-assieme-nel mondo, poich: Noi siamo in co-
mune134. In fondo, il comune tutto ci che attiene alla so-
ciet politica. Non va nemmeno confuso il comune con la
comunit. Almeno con quellidea di comunit che annulla le in-
dividualit e che le rende chiuse, escludenti.
Il comune diverso anche dal comunismo. Il comunismo
unidea precisa, storicamente determinata (quantomeno im-
maginata) di organizzazione del comune. Ma il comune teo-
ricamente e praticamente potrebbe strutturarsi in n altri modi.
Il benecomunismo, cui talvolta ricorre (scherzosamente) il
giurista Ugo Mattei135 per denire una teoria dei beni comuni,
a me sembra un modo rischioso e ri-ideologizzante di nominare
un movimento reale che vuole cambiare le cose esistenti. Con
______________________
133
Gli autori affermano: Questo common non solo la terra che condivi-
diamo, ma anche le lingue che creiamo, le politiche sociali stabilite, i modelli
di socialit che definiscono le nostre relazioni, e cos via. Ancora: Per co-
mune si deve intendere, con maggior precisione, tutto ci che si ricava dalla
produzione sociale, e che necessario per lintegrazione sociale e per la pro-
secuzione della produzione, come le conoscenze, i linguaggi, i codici, lin-
formazione, gli affetti e cos via. M. Hardt A. Negri, Comune. Oltre il privato
e il pubblico, Rizzoli, Milano, 2010, p. 8
134
J.-L. Nancy, Verit della democrazia, Cronopio, Napoli, 2009, p. 23.
135
U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Laterza, Roma-Bari, 2011.

74
il rischio di far rientrare dalla nestra unidea di societ ben di-
stante da quella auspicata dagli stessi movimenti che rivendicano
e praticano i commons136. Meglio quindi lasciare perdere il co-
mune e il comunismo e capire cosa sono i beni comuni, anche
se una denizione precisa dei beni comuni un esercizio molto
scivoloso, ma per alcuni versi necessario. Per farlo concreta-
mente la strada giusta tentare di capire quali sono le propriet
che le persone che li reclamano e li praticano attribuiscono alla
nozione di beni comuni.
Molte sono le denizioni di beni comuni che vari autori
hanno cercato di formulare. Vediamone alcune: un bene co-
mune un interesse o un valore condiviso (Stephen Gude-
man137); tutto ci che condividiamo(Commons Movement 138);
i doni della natura e della societ che ereditiamo e creiamo col-
______________________
136
Gustavo Esteva ritiene che dovremmo rimpiazzare il termine comuni-
smo (communism), che diventato una brutta parola per molte persone, con
comunalit (commonism). Chi ha inventato il termine commonism Nick Dyer-
Whiteford. G. Esteva, Comunalit, per abbattere le recinzioni, Voci di Abaya Yaca,
n. 2, a cura del gruppo Camminar domandando, titolo originale Communism:
Enclosing the Enclosers, intervento al convegno After the Crisis: the Thought
of Ivan Illich today, Oakland, 1-3 agosto 2013.
137
S. Gudemar, antropologo, professore allUniversit del Minnesota stato
citato da Silke Helfrich nel suo intervento Difendiamo i beni comuni, a Terra Fu-
tura, Firenze, 20 maggio 2011.
138
Commons: ci che condividiamo. Elementi sia naturali che sociali [] Dai
parchi naturali allacqua, dalle conoscenze scientifiche a Internet molte cose
non sono di propriet di alcuno. Esse esistono per il beneficio di tutti, e de-
vono essere protette per le generazioni future []. Commons-based society: una
societ che nelleconomia, nella politica, nella cultura e nella vita comunitaria
ruota attorno e promuove una diversa variet di beni comuni. Commons-base
solution: particolari innovazioni e politiche che risolvono problemi aiutando
la gente a gestire le risorse in modo sostenibile e cooperativo. Commoners: nel
tempo presente, la gente che usa determinati beni comuni, specialmente quelli
che si dedicano a rivendicare e a rigenerare i beni comuni. Commoning, un
verbo per descrivere le pratiche sociali usate dai cittadini per gestire le risorse
e rivendicare i beni comuni. Rese popolari dallo storico Peter Linebaugh ne
I ribelli dellAtlantico. Tratto dal blog www.onthecommons.
75
lettivamente (Peter Barnes139); i beni comuni non sono qual-
cosa di preesistente che andato perduto, ma qualcosa che con-
tinuamente viene prodotto e continuamente appropriato dal
capitale sotto forma monetaria e mercicata (David Harvey140);
ci che la societ desidera e decide di gestire collettivamente
(Peter Linebaugh141); i beni comuni sono linsieme dei principi,
delle istituzioni, delle risorse, dei mezzi e delle pratiche che per-
mettono ad un gruppo di individui di costituire una comunit
umana capace di assicurare il diritto ad una vita degna per tutti
(Unimondo142). Da un punto di vista sociale e politico la forza
del concetto di beni comuni ben rappresentata da Raj Patel:

il nesso che si instaura tra gli individui che denisce il bene co-
mune. Nella gestione collettiva del bene gli individui si uniscono e
creano una communitas, realizzano un progetto collettivo, operano pra-
tiche condivise.[] La pratica dei common, la gestione collettiva delle
risorse comuni, richiede una rete di relazioni sociali nalizzate a tenere
a freno gli istinti pi vili (egoismo proprietario, avidit, sopraffazione)
e a promuovere un diverso modo di valutare il mondo e le cose 143.

In tutta evidenza, la nozione di beni comuni conigge con i pilastri


della societ contemporanea. Scardina lorientamento giuridico posto
alla base del diritto occidentale moderno, vale a dire la propriet esclu-
siva. Rovescia la teoria economica classica secondo cui la terra e il la-
voro (le risorse naturali e quelle umane) sono fattori strumentali da
immolare sullaltare della produzione di merci. Demistica lidea del
______________________
139
P. Barnes, Capitalismo 3.0. Il pianeta patrimonio di tutti, Egea, Milano, 2007, p. 14.
140
D. Harvey, The Future of the Commons, in Radical History Reiw, n. 109, 2011.
Traduzione: Il futuro dei beni comuni, in Su la testa, n. 16, 2011, pp. 48-53.
141
P. Linebaugh, Emdering on the Semantic-Historical Paths of Communism and
Commons, in The Commoner, www.thecommoner.org, trad. it. M. Acerbo,
Dai commons al comunismo, in Su la testa, dicembre 2010.
142
Cfr. www.unimondo.org/guide/economia/beni-comuni.
143
R. Patel, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo, trad. it. A. Olivieri, Fel-
trinelli, Milano, 2007, pp. 95 a seguire.
76
progresso tecnologico quando la sua nalit non la preservazione
della complessit biogenetica, ma al contrario laumento dellentropia.
Si scontra con il modello antropologico dellindividualismo egoistico
e propone una eco-antropologia, un bio-umanesimo (o un socialismo
ecologico, a dir si voglia) capace di considerare la famiglia umana in-
tegrata nella comunit biotica dei viventi. Si scontra apertamente con
i modelli di governo centralizzati e gerarchici a favore di modelli ge-
stionali cooperativi, solidaristici, partecipati. Sgretola limmaginario
profondo patriarcale del maschio adulto bianco che si percepisce
senza legami naturali, distaccato e dominante.
Vedremo questi aspetti pi in dettaglio pi avanti. La forza del-
lidea dei beni comuni che permette di agire sulla mentalit delle
persone e sui comportamenti individuali. Fa agio sul lato cooperativo
solidale e altruistico che vi in ogni individuo. Non esagerato af-
fermare, quindi, che i movimenti che sostengono questa idea abbiano
aperto la strada ad un rovesciamento dei valori su cui si fonda lor-
dinamento sociale dominante.

Materia di lavoro per i giuristi

In genere, nel dibattito politico corrente, prevalgono le deni-


zioni dei commons mirate a legittimare una particolare maggiore tutela
giuridica di determinati beni. Per tutti, Stefano Rodot, presidente
della Commissione ministeriale per la riforma del Codice Civile tra il
2008 e il 2009, pensa ai beni comuni come a quelle cose che espri-
mono utilit funzionali allesercizio dei diritti fondamentali nonch
libero sviluppo della persona.[] Titolari di beni comuni possono
essere gure giuridiche pubbliche o private. In ogni caso deve essere
garantita la loro fruizione collettiva144. Vi un legame stretto tra
beni comuni e diritti fondamentali delle persone. Non si va alla ri-
______________________
Per essere ancora pi esplicito, Rodot scrive: La sequenza chiara. la
144

qualit dei diritti da garantire che porta alla qualificazione di un bene comune
77
cerca di una essenza, ma di una relazione145; una posizione vicina
anche a quella di Francois Houtart, che considera i beni comuni
come Commons Good of Humanity146, strettamente legati ai Fundamen-
tal Rights della Convenzione europea e a quella di Luigi Ferrajoli che
li vede connessi al sistema delle garanzie normative a tutela dei diritti
fondamentali individuali147. In effetti, laccesso ai beni comuni una
condizione indispensabile al soddisfacimento di bisogni primari e
universali delle persone. I beni comuni sono quindi intrinsecamente
correlati ai diritti inalienabili e indivisibili della persona. Beni e servizi
extra commercium, non nella disponibilit di chicchessia148. Una fatti-
specie giuridica che esisteva nel diritto romano, res communis omnium
e res in usu pubblico, che stata prevalente nel Medioevo e poi gra-
dualmente scomparsa con laffermarsi delle forme di propriet ca-
pitalistiche: private o statali (si vedano gli studi di Ugo Mattei, Paolo
Maddalena, Elisabetta Cangelosi 149).
______________________
e allulteriore, necessaria, attrazione nellambito dei diritti dellaccesso a tali
beni. S. Rodot, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 136.
145
Ibid., p. 136.
146
F. Houtart, relazione alla Conferenza della Rosa Luxemburg Foundation,
Roma, 27-29 aprile 2011.
147
L. Ferrajoli preferisce far rientrare il concetto di beni comuni in quello
pi esteso di beni fondamentali, evitando cos lespressione beni comuni
poich designa un coacervo di valori benefici eterogenei. L. Ferrajoli, Beni
fondamentali, in Annali Fondazione Basso, Tempo di beni comuni, Ediesse, Roma,
2013, p. 139.
148
Cfr. A. Lucarelli, Beni Comuni. Dalla teoria allazione politica, Dissensi, Roma,
2011.
149
Mattei ricorda come la Charter of the Forest (Magna Charta del 1215) costi-
tuzionalizzasse i commons. U. Mattei, op. cit., p. 28. Paolo Maddalena ha scritto:
La propriet collettiva non sorge nel medioevo, come comunemente si
crede, ma con la stessa fondazione di Roma. P. Maddalena, Per una teoria dei
beni comuni, in Micromega, n. 9, 2013. Si veda anche: P. Maddalena, Il terri-
torio bene comune degli italiani. Propriet collettiva, propriet privata e interesse pubblico,
Donzelli, Roma, 2014. E. Cangelosi, Publica e communis. Acqua, mondo romano
e beni comuni, Aracne, Roma, 2014.

78
Ma il modello proprietario che conduce ad una gestione esclu-
siva e privatistica di ogni tipo di bene, mortica le attitudini dei
beni comuni che sono, in primo luogo, quelle di rendere aziona-
bili ed esigibili i diritti fondamentali anche attraverso un percorso
giurisdizionale.
Bisogna per fare attenzione al fatto che i diritti sono il prodotto
di una presa di coscienza e di un riconoscimento sociale. I beni co-
muni sottostanti ai diritti non dipendono tanto dalle loro caratteri-
stiche naturali intrinseche, da una loro essenza sica o metasica,
ma dalle scelte che compie il regolatore pubblico, lamministra-
zione statale, in ultima istanza, il decisore politico. Sono i poteri co-
stituiti ad avere il compito di denire gli ambiti e catalogare i beni
attribuendoli alla propriet privata, ai patrimoni demaniali statali,
ovvero ad una nuova fattispecie collocabile oltre il mercato e lo
Stato, cio una forma di possesso diffuso, inalienabile, indivisibile,
inusucapibile, di tutti e di nessuno150.
Con ci evidente che rimane aperta la grande questione di
quali siano i motivi politici e culturali per cui le diverse societ,
nei diversi periodi storici, scelgono quali debbano essere i biso-
gni, i basic needs, necessari per vivere una vita degna e quindi me-
ritevoli di costituzionalizzarsi come diritti. Una questione che
Ugo Mattei nel suo manifesto151 risolve, superando decisa-
mente la visione di Rodot. A parere di Mattei i beni comuni
non sono predeterminabili e classicabili dallalto. Sono piutto-
sto la risultante di un processo conittuale dagli esiti non pre-
vedibili. La novit pi sconvolgente per lordine mentale e
sociale tradizionale, che deriva dalla concezione dei beni comuni
fatta propria dai movimenti sociali, risiede precisamente nel pro-
______________________
150
U. Mattei- E. Reviglio - S. Rodot (a cura di), I beni pubblici. Dal governo de-
mocratico delleconomia alla riforma del codice civile, Accademia Nazionale dei Lincei,
Roma, 2010.
151
Ugo Mattei, op. cit. Si veda anche il pi recente, Senza propriet non c li-
bert Falso!, Idla Laterza, Bari, 2014.

79
cesso attraverso il quale i beni comuni vengono individuati, rein-
ventati e rivendicati come tali. Si potrebbe dire, molto sempli-
cemente, che i beni comuni sono tutto ci che la societ desidera
condividere paritariamente, mettere in comune e quindi decide
di gestire in forme collettive, sottraendo tali beni alla logica della
sovranit proprietaria. In pratica un movimento di autodeter-
minazione sociale che crea relazioni umane consapevoli (comu-
nalit, comunanze), che si oppone al dominio delle ragioni della
massimizzazione dello sfruttamento delle risorse umane e na-
turali del pianeta.

Un sistema sociale basato sui beni comuni

Nel mondo sono sempre pi numerosi i movimenti dal basso


grass-roots, associazioni, organizzazioni sociali, comitati e collettivi
informali, gruppi di pressione che hanno riscoperto ed usano la
nozione di bene comune allo scopo di qualicare loggetto delle
loro rivendicazioni. Il successo che ha avuto lespressione beni
comuni nel linguaggio dei movimenti sociali facilmente spie-
gabile: attribuendo a qualche cosa il valore di bene comune lo si
intende sottrarre alla tendenza in atto di privatizzare e mercicare
(commodication) ogni bene, sia esso naturale, materico o culturale,
cognitivo, esperienziale. I principi vitali stessi che regolano lesi-
stenza delle specie animali e vegetali, cos come i cicli vitali degli
ecosistemi planetari, vengono oggi quotidianamente inglobati,
sfruttati e compromessi dalla logica delleconomia di mercato152.
Si rende allora indispensabile riuscire ad immaginare e prati-
care un altro modo di usufruire dei beni necessari al benessere
di ciascun abitante della Terra. Sostenibilit e condivisione sono
la moderna e concreta declinazione dei principi di giustizia e li-
______________________
152
Ha fatto scalpore la richiesta di una multinazionale della agroindustria di
brevettare il broccolo. Ma il genoma umano lo gi.
80
bert che ci conducono allobbligo della preservazione e al ri-
spetto della rigenerazione dei beni comuni. Nessuno ha il diritto
di comportarsi come se fosse lultimo essere vivente sulla Terra.
Cos come nessuno ha il diritto di appropriarsi e di escludere
altri dallaccesso ai beni collettivi. Al contrario, vi deve essere in
ciascuno la disponibilit alla condivisione dei beneci che si pos-
sono trarre dalluso di un bene naturale o storico culturale.
I beni comuni, prima di materializzarsi sotto forma di cose utili
e concrete, sicamente e giuridicamente riconoscibili, devono com-
piere un faticoso percorso di riconoscimento e condivisione allin-
terno della societ. il carattere di questo processo a monte che
conferisce un senso profondo speciale ai beni comuni, quasi per
assurdo, a prescindere dalle loro specicit siche e utilit pratiche.
La catalogazione dei beni comuni secondo tassonomie merceolo-
giche pu essere utile ma sempre arbitraria.
Scrive Ugo Mattei:

I beni comuni non sono un insieme di oggetti deniti che si pos-


sono studiare in laboratorio e guardare dallesterno secondo la logica
cartesiana e losservazione empirica. Essi rivendicano un sapere che
associa, connette e scopre nessi fra linsieme degli esseri viventi e le
condizioni siche, chimiche, culturali del vivere in comune. Noi non
abbiamo un bene comune, ma in un certo senso siamo (partecipi
del) bene comune153.

Carlo Donolo, studiando i beni comuni nellottica delle prati-


che di sussidiariet, arriva alle stesse conclusioni: I beni comuni
non sono tanto cose che abbiamo in propriet comune, quanto
aspetti e componenti della vita sociale che necessariamente dob-
biamo condividere o dobbiamo riconoscere come presupposti
indispensabili per lagire sociale154. Con particolare eleganza ha
______________________
153
U. Mattei, op. cit., pp. XIII-XIV.
154
C. Donolo, I beni comuni presi sul serio, in G. Arena - C. Iaione, LItalia dei
beni comuni, Carocci e Labsus, 2012, p. 26.
81
scritto Giuseppina Giuffreda: I beni comuni sono laboratori vi-
venti, crogiuoli alchemici animati dai cittadini resilienti che agi-
scono sul territorio, formano legami, producono innovazione
spinti da sensibilit, bisogni, desideri che non possono essere
soddisfatti da societ consumistiche votale al libero mercato155.
I beni comuni sono un repertorio di modalit di socializza-
zione della ricchezza, sono un sistema di contropoteri che si at-
tivano per contrastare lesproprio di risorse umane e naturali
necessarie al sistema economico per alimentare la accumula-
zione originaria permanete di capitali. Sono le pratiche di cit-
tadinanza attiva che fanno commoning (per usare il neologismo
coniato da Peter Linebaugh), cio quelle che mettono in co-
mune, rendono accessibili, creano relazioni interpersonali,
fanno societ e democrazia.

Ambiguit inevitabili

Lassunzione di una concezione ampia dei beni comuni com-


porta per dei rischi. Se ogni cosa pu essere denita bene comune,
allora nulla bene comune. Luso sempre pi esteso della locuzione
beni comuni, i suoi conni inevitabilmente dinamici, pu rischiare
di annacquarne la potenza e diventare una parola ameba (Ivan
Illich cos deniva vocaboli come vita e democrazia), una retorica
vuota che si confonde con quella del bene comune, de linte-
resse generale e persino della coesione sociale. Basterebbe solo
pensare al fatto che il Partito Democratico ha nel recente passato
assunto come proprio slogan elettorale LItalia bene comune. O
alla simpatica appropriazione del concetto compiuta dai tifosi del
Napoli che hanno inalberato uno striscione con su scritto: Cavani
bene comune contro la vendita del loro campione!
______________________
155
G. Giuffreda, Ambiente viziato, in Il Manifesto, 27 gennaio 2012.

82
Lunico modo per evitare che qualcuno faccia un uso oppor-
tunista della nozione, che il movimento per i beni comuni rie-
sca a dotarsi di un solido quadro teorico di riferimento. Le
inchieste, gli studi e le elaborazioni n qui prodotti sul tema sono
ormai cos numerosi e ricchi da poter ben sperare di avere presto
una teoria generale dei beni comuni, capace di rimette in gioco
gli aspetti giuridici ed economici, teorici e pratici, etici e politici
della societ esistente.
Una certa indeterminatezza nella denizione dei beni comuni
per inevitabile, poich si tratta di cose, beni e servizi molto
eterogenei, incoerenti, mutevoli nei luoghi e nel tempo. Se a Co-
chabamba, in Bolivia, e a Napoli stata la distribuzione dellac-
qua potabile e nelle primavere arabe sono stati i social network,
i beni comuni per i contadini indiani, brasiliani, africani sono la
possibilit di usare la terra fertile e le sementi. In Africa beni co-
muni sono le medicine anti Aids; nellArgentina del dopo crisi
le fabbriche dismesse. Nelle isole degli arcipelaghi tropicali che
rischiano la sommersione, il bene comune vitale il clima mi-
nacciato dal surriscaldamento globale. Nelle grandi citt sono i
teatri, i cinema, le caserme abbandonate da trasformare in centri
di aggregazione e di creazione culturale. Per i ricercatori e gli
studenti sono i saperi, i codici sorgenti, le biblioteche. E cos via.
Comprendo che tutta questa indeterminata variet possa com-
portare non poca fatica agli scienziati sociali e ai giuristi, per i quali
i beni comuni devono presentarsi come classi di cose ben pre-
cise e diverse: patrimoni e demani, infrastrutture e servizi collettivi,
servizi alle persone, diritti individuali, interessi collettivi, attivit
umane (come il lavoro), non valori astratti. Ferrajoli, Laura Pen-
nacchi156 e molti altri studiosi sono preoccupati che una estensione
eccessiva del concetto di beni comuni possa far perdere di vista le
diverse tecniche normative, le diverse controparti istituzionali
______________________
Cfr. L. Pennacchi, Filosofia dei beni comuni. Crisi e primato della sfera pubblica,
156

Donzelli, Roma, 2012.

83
e persino le diverse categorie su cui strutturato il pensiero poli-
tico contemporaneo: corpi intermedi, rappresentanza, governo.
Cos da rendere ancora pi difcile trovare forme di garanzia e
tutela dei diritti. Ma a me pare che in questa fase sarebbe ancora
pi rischioso se i movimenti che rivendicassero nuove forme di
riconoscimento dei beni comuni, fossero imbrigliati dentro gli
schemi tradizionali del costituzionalismo democratico, la cui ina-
deguatezza a tutelare i nuovi beni comuni del tutto evidente.
Basti pensare alle questioni che riguardano il clima o il genoma
umano, la sovranit alimentare o laccoglienza dei rifugiati, la
stessa salute e la sovranit alimentare. Solo per citarne qualcuna.
A conclusione del secondo incontro internazionale sulleco-
nomia dei beni comuni di Berlino stato detto che lidentit del
movimento per i beni comuni rimane strategicamente ambi-
gua157. Ci a causa della grande diversit degli attori, per lenorme
variet dei settori di commoning, ma anche per la consapevole scelta
di non porre limiti ad una narrazione generale di un nuovo para-
digma sociale in co-costruzione. Pu apparire un discorso ecces-
sivamente aperto ed astratto, ma invece coerente con quanto,
ad esempio, afferma John Holloway: La forza umana della auto
creazione collettiva () potenzialmente illimitata e va liberata da
strutture rigide predenite. Quindi il movimento per i comming
sostanzialmente un antidoto ad ogni forma di identit che blocca
i processi costitutivi di nuove realt, un agire anti-identitario158.
Il comun denominatore dei beni comuni sono le relazioni
politiche che si determinano nel processo che porta alla loro in-
dividuazione e, poi, nelle modalit e qualit delle forme parte-
cipate della loro gestione condivisa. Ci che accumuna un
centro sociale e una azienda di distribuzione dellacqua, una coo-
______________________
157
A Report on an International Conference on the Future of the Commons, The Com-
mons Strategies Groups, presso la Heinrich Bll Foundation, Economics and
the Common(s), From Seed Form to Core Paradigmm, Berlin, 22-24 maggio 2013.
158
J. Holloway, !Comunicemos!, in Herramienta, Mettiamo in comune, tradotto
e pubblicato in www.comune-info.net, 3 novembre 2013.
84
perativa di produzione e un gruppo di acquisto solidale, un
bosco e una cohousing159 il grado di autogoverno che i loro
utilizzatori riescono a organizzare. Cooperative, cooperative e
istituzioni di comunit, cooperative a propriet indivisa, fonda-
zioni, trust, aziende pubbliche partecipate, organizzazioni mutua-
listiche, associazioni di fatto, gruppi spontanei. I beni comuni per
potersi affermare devono essere sostenuti da un repertorio di
azioni pratiche collettive, messe in atto da gruppi di persone, co-
munit, abitanti, usufruttuari che individuano in determinati beni
e servizi delle qualit speciali (ecosistemiche e/o culturali, ambien-
tali e/o civili, siche e/o virtuali) giudicate indispensabili per la
dignit della loro vita, per il loro buon vivere in comunit. Sono
detti beni comuni perch in un determinato momento storico e
luogo sico, le comunit umane giungono alla condivisa convin-
zione etica e alla conseguente decisione politica che nessuno possa
farne a meno e che, conseguentemente, nessuno possa utilizzarli
a proprio esclusivo benecio.
Ci detto, evidente che le speciche peculiarit funzionali
e giuridiche dei singoli beni (primari, fondamentali, vitali)
costituiscono un elemento di valutazione; ma la decisione di ge-
stirli seguendo determinate forme e modalit non dipende ne-
cessariamente e strettamente dalle loro caratteristiche siche. Si
potrebbero fare innumerevoli esempi di come il manto istitu-
zionale con cui le societ scelgono di vestire determinate risorse
dipende da moltissime variabili storico-culturali, credenze, ideo-
logie, mode e dogmi scientici prevalenti in quel momento, oltre
che dalle loro effettive condizioni di accessibilit, abbondanza,
utilizzabilit ecc. Ancora una volta, gli studi della Elinor Ostrom
dimostrano come i contesti socioculturali siano determinati
anche per raggiungere determinati obiettivi di efcienza econo-
mica nello sfruttamento di beni naturali. Non vi , insomma, un
______________________
159
P. Cacciari - N. Carestiato - D. Passeri, Viaggio nellItalia dei beni comuni, Ma-
rotta & Cafiero, Napoli, 2012.

85
criterio scienticamente indiscutibile che ci possa portare ad af-
fermare che un ume un bene comune, mentre un bacino
idroelettrico non lo ; che il vaccino antipolio lo , mentre le
cure odontoiatriche non lo sono; che listruzione professionale
sia un diritto e quella artistica no. Difcile stabilire a tavolino
cosa pi o meno vitale per il benessere di una persona. Si tratta
sempre di convenzioni che scaturiscono da consuetudini, valu-
tazioni soggettive culturali e da patti tra gruppi sociali sulluso
delle risorse tra diversi portatori di interessi, pi che da consi-
derazioni razionali astratte e formali. Il conne tra i beni comuni
e i beni appropriabili non (e non pu essere) cos netto e cri-
stallizzabile nei Codici del diritto. Esso tracciato dalle diverse
gerarchie di valori, dalle aspirazioni che attraversano le popola-
zioni nel loro percorso di civilizzazione e nelle concrete diverse
situazioni ambientali e geograche. Non c quindi un diritto
naturale, una via naturalistica che possa aiutarci a fondare
un giusnaturalismo a tutela dei beni comuni secondo i canoni
del diritto occidentale160.

I soggetti della trasformazione

Se prendiamo per buona questa inevitabile indenitezza di beni


comuni, diventa allora prioritario prestare attenzione alle motiva-
zioni soggettive che innescano la catena individuazione/rivendi-
cazione/reinvenzione/gestione condivisa del bene161. Questo tipo
di indagine potrebbe risultare pi utile al ne di allargare il movi-
______________________
160
S. Rodot, op. cit.
161
Questo anche lapproccio del Commons Strategies Group, promosso
da Silke Helfrich e David Bollier che ha organizzato il convegno Economics
and the Common(s): From Seed Form to Core Paradigm. 22-24 maggio 2013, Ber-
lino. Il rapporto finale, Post ECC 2013 Session, From here to There. Moving for-
ward, disponibile sul sito: www.commonsandeconomics.org.

86
mento dei beni comuni in ogni direzione, di legittimarlo e di au-
mentarne il consenso e (speriamo) di trovare soluzioni giuridiche
e gestionali innovative e originali tali da poter costituzionalizzare
il maggior numero di beni comuni.
Oggi, di fronte ai fallimenti tanto del mercato quanto degli
Stati, cresciuta alla base della societ la disponibilit a prendere
in considerazione relazioni sociali diversamente impostate ed
orientate alla condivisione oltre che alla sostenibilit. I concla-
mati disastri ambientali e le teorie bioeconomiche (Georgescu
Roegen, Kenneth Boulding, Joan Martinez Alier) sulla limita-
tezza della biosfera, contribuiscono ad aprire nuove strade.
I beni comuni non sono semplicemente una distribuzione pi
equa dei ussi di ricchezza estraibili dalle risorse a disposizione,
ma comportano una riconcettualizzazione della ricchezza stessa in
chiave di qualit del vivere. Non si tratta di rivendicare un diritto
di accesso a dei beni e a dei servizi concepiti dallalto e concessi da
autorit esterne, ma di ricrearli da zero, modicandone la natura,
la forma, lutilit. Cos, una casa edicata in autocostruzione e pen-
sata per essere abitata in cohousing, assomiglier probabilmente
pi ad un ecovillaggio che non ad un condominio. Gli indumenti
che vestiranno i loro abitanti, probabilmente, non saranno prodotti
in una sweat-farm di Dhaka e commercializzati da un brand alla
moda. I loro computer avranno un bollino che riporter le clausole
sociali ed ambientali rispettate dal produttore e girer senza dubbio
con un software libero. Molto probabilmente mangeranno cibo
biologico e vegano comprato tramite un gruppo di acquisto a chi-
lometri zero. E cos via.
Dobbiamo quindi percorrere una via attraverso la quale la
societ individua, istituzionalizza e gestisce dei beni e dei servizi
in forme pubbliche comuni come conseguenza di unazione po-
litica che si svolta a monte e che stata intrapresa da determi-
nati attori sociali. In altre parole il commoning (lazione attraverso
cui dei gruppi sociali promuovono la condivisione di determinati
beni e servizi) ha sempre origine da un conitto contro luso
87
proprietario esclusivo (privato o statale che sia) di determinati
beni e servizi. I campi di questa azione sono quelli della ricerca
del buon vivere. Labitare, visto come vivere in relazione con
lambiente e con gli altri. Il mangiare, il vestirsi, il consumare
visti come prendersi cura di s assumendosi le responsabilit
dei propri comportamenti e stili di vita. Il lavorare, come rea-
lizzazione di s in cooperazione con gli altri e per lutilit di
tutti162. In concreto, i promotori del movimento per i beni co-
muni sono: i gruppi della cittadinanza attiva; le organizzazioni
ambientaliste; i comitati e i sindacati di interessi che si battono
contro la privatizzazione di beni e servizi pubblici (in Italia il
caso del Forum per acqua pubblica che ha promosso la vertenza
contro la privatizzazione del servizio idrico integrato, la propo-
sta di legge di iniziativa popolare e il referendum del giugno
2011) in difesa di territori non ancora urbanizzati (come il caso
delle reti di associazioni che hanno dato vita alle campagne
Stop al consumo di suolo e Difendiamo il paesaggio), di
localit soggette alla costruzioni di grandi opere infrastrutturali,
come i numerosi casi dei movimenti sorti contro le linee ferro-
viarie ad alta velocit, le autostrade, i porti e i rigassicatori, gli
______________________
162
Un approccio del genere stato seguito, per citare uno tra gli esempi pi
maturi, dagli organizzatori di Fa la cosa giusta! di Palermo (www.falacosagiu-
stasicilia.org). La loro intenzione tessere una rete di gruppi, associazioni e
produttori che promuovono i concetti di equo e solidale. Le loro esperienze
vengono riunite lungo alcuni filoni tematici: buono da mangiare, abitare lo
spazio, servizi etici, viaggiare, pace e partecipazione, editoria, moda e cosmesi,
equo e solidale, beni comuni. Insomma, litera gamma delle azioni di un pos-
sibile buon vivere allinsegna della sostenibilit, della responsabilit, della
relazionalit. Capofila un Comitato di associazioni di varia formazione cul-
turale e diversamente impegnate nel sociale, ma che hanno saputo lavorare
assieme con pazienza e profitto: il Centro di documentazione Giuseppe Im-
pastato, Libera terra, Addiopizzo, lAssociazione per la pace e lo sviluppo del
Mediterraneo, il consorzio Siquillyh, lArci, Lavoro e non solo, Banca Etica,
sindacati e cooperative. Un primo risultato tangibile del loro lavoro una
ponderosa guida al consumo critico e agli stili di vita sostenibili della Sicilia,
Fa la cosa giusta!, edito dalla casa editrice Terre di Mezzo, 2013.
88
aeroporti, i grandi impianti industriali come inceneritori di riuti,
centrali termoelettriche a carbone e a biomasse, cementici e
cos via. Molto spesso si tratta di conitti ben localizzati per sal-
vare un parco urbano, un edicio demaniale, un ospedale, un
teatro o un cinema dismesso.
Vi sono anche esperienze di creazione di nuovi beni comuni
che nascono spontaneamente e indipendentemente dai poteri
pubblici: acquisti di terreni agricoli per la creazione di coopera-
tive di giovani agricoltori biologici; cohousing ed ecovillaggi;
cooperative a propriet indivisa di produzione (come il caso del
pasticio Iris rilevato da una cooperativa di produttori agricoli);
associazioni per il recupero di fabbriche dismesse (come la Ma-
ow di Terzano sul Naviglio alle porte di Milano163). Si instaura
cos un legame stretto tra i movimenti per i beni comuni e le ini-
ziative de laltra economia o economia solidale o economia
civile, a dir si voglia, ovvero: iniziative economiche non naliz-
zate alla creazione di plusprotti. Il Tavolo nazionale Res-Des-
Gas diventato un centro di elaborazione di strategie e di buone
pratiche economiche oltre i modelli convenzionali164.
Tra tutte le esperienze esistenti in Italia meritano particolare
attenzione: il movimento NoTav in Val di Susa (attivo da pi di
ventanni); le cooperative di Libera Terra, assegnatarie di beni
conscati alle mae; i Gruppi di acquisto solidali; il coordina-
mento per la difesa degli usi civici di antica costituzione (pro-
priet collettive di boschi, pascoli e altri beni); le occupazioni di
immobili abbandonati e trasformati in centri sociali e culturali
(quali il teatro Valle di Roma, i Saloni del Sale a Venezia, vari im-
mobili a Pisa, a Milano, a Messina). Sulla scorta delle esperienze
avviate in Italia sono nate delle campagne nazionali e sono sorte
alcune reti: Citt bene comune; No alle grandi opere (coordina-
______________________
163
Questa ed altre esperienze sono documentate in un dossier redatto dal
sito www.comune-info.org
164
Tavolo per la rete italiana di Economia Sociale, Uneconomia nuova, dai Gas
alla zeta, Altreconomia, 2013.
89
mento europeo); Liste di cittadinanza (coordinamento); Rete
dei comuni virtuosi; Rete dei comuni solidali; Societ dei terri-
torialisti; la Rete per la sostenibilit e la salute; molte altre ancora
a scala regionale e locale.
I movimenti per i beni comuni vogliono in primo luogo
porre un argine allarroganza del potere proprietario, privato o
statale che sia, che ha fatto strame del territorio e delle risorse
naturali, dei mezzi di produzione e delle infrastrutture, dei beni
culturali e dei servizi collettivi. Sono lantidoto allidea liberista
che la propriet conferisca un diritto illimitato sulluso delle ri-
sorse naturali e culturali. Si oppongono allurlo barbarico:
mio e ne faccio ci che mi pare e piace! che viene quotidiana-
mente lanciato dal management delle imprese e dai governanti
delle istituzioni pubbliche che gestiscono i patrimoni collettivi,
anche quando sono il frutto del lavoro di generazioni, e i beni
naturali con la stessa logica di cassa delle societ di capitali. Non
a caso il modello aziendale, gerarchico e competitivo, consi-
derato lunico in grado di regolare in modo efciente le relazioni
tra le persone. Un dispotismo del comando della ragione eco-
nomica che negli ultimi trentanni di neoliberismo ha dominato
incontrastato e che si esplicita nella riduzione delle tutele e dei
diritti nei luoghi di lavoro, nelle privatizzazioni delle imprese
pubbliche, nella deregolamentazione e nello smantellamento
dello stato sociale con la conseguenza immediata dellaggravio
di lavoro domestico, svolto dalle donne, socialmente invisibile
e non pagato.
Poich i beni comuni si nascondono un po dovunque ci
avverte Carlo Donolo165 inevitabile che la lotta per i beni
comuni [sia] onnipresente, come afferma Silvia Federici166. Pen-
siamo a livello globale, le azioni dei mediattivisti contro i ripetuti
______________________
165
C. Donolo, I beni comuni presi sul serio, in op. cit., p. 26.
166
S. Federici, Il femminismo e la politica dei beni comuni, in DEP, n. 20, 2012;
cfr. http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=138562.

90
tentativi messi in atto dai pi potenti motori di ricerca per ltrare
gli accessi ad internet167. E ancora, le lotte dei movimenti contadini
contro le multinazionali agro-bio-chimico-farmaceutiche per luso
delle sementi. Indignados, Occupy Wall Street, movimenti di
strada in Grecia, in Turchia sono le punte di un movimento che
si estende sotto la supercie non illuminata dai mass media. Per
tutti questi soggetti sociali i beni comuni costituiscono il grande
campo di battaglia su cui misurare la qualit della democrazia,
della giustizia sociale e della sostenibilit ambientale del sistema
socioeconomico esistente.

Uno statuto non utilitarista e non antropocentrico dei


beni comuni

Questa visione ampia ed evoluta dei beni comuni (non solo


giuridica ed economica) torna quindi ad interrogarci su quale sia
lo statuto dei beni comuni, la loro natura intrinseca, non de-
nibile solo in quanto funzionali a, ma in quanto detentori di
qualit e valori in se stessi, a prescindere dalluso, pi o meno
conveniente, che le societ umane intendono farne. possibile
quindi sviluppare unidea dei beni comuni non utilitaristica e
nemmeno antropocentrica. Aspetti questi che meriterebbero ap-
profondite indagini losoche, antropologiche e di psicologia
sociale. Basti solo pensare al signicato simbolico che un bene
comune per antonomasia, come lacqua, ha assunto non solo tra
i popoli indigeni, ma anche nelle societ tardocapitalistiche.
La forza (razionale ed etica) che giustica una considerazione
assoluta dei beni comuni viene, in estrema sintesi, da due loro
caratteristiche. La prima labbiamo gi trattata: sono beni e ser-
______________________
167
L. Beritelli (a cura di), Autistici & Inventati, +kaos. 10 anni di hacking e medi
attivismo, Agenziax, Milano, 2012.

91
vizi indispensabili e funzionali alla realizzazione dei diritti fon-
damentali delle persone. La seconda rimanda alla loro natura
collettiva: sia che siano doni di natura o risultati sedimentati nel
tempo delle attivit degli esseri umani, nessuno pu affermare
di esserne lesclusivo artece. Beni materici o cognitivi, naturali
o articiali, globali o locali, sici o virtuali, spesso in sinergia tra
loro, comunque essenziali, basilari, insostituibili e irriproducibili.
Beni della vita, come recita una sentenza della Cassazione
sullintegrit e dignit della persona. Il presupposto necessario
per la vita sociale di tutti, il fondamento di una vita in comune.
Beni che hanno la peculiarit di fondare il legame sociale
stesso. Beni comuni perch produttori di comunalit.168
Se queste sono le caratteristiche dei beni comuni, ne risulta
con assoluta evidenza che la loro regolazione e gestione deve
sottostare a due elementari principi guida di tipo etico. Primo: i
beni comuni devono essere preservati, conservati e rigenerati.
Secondo: tutti devono poter accedere ai beneci che se ne pos-
sono trarre dal loro uso. Ci signica riconoscere che in questo
mondo esistono cose la cui fruizione non ammette discrimi-
nazioni di tipo economico, barriere di tipo giuridico, enclosures
di tipo sociale. Beni irriducibili alla logica del mercato.
Ha scritto Peter Barnes: Ognuno di noi beneciario di
unimmensa eredit che include aria, acqua, habitat ed ecosistemi,
lingue e culture, scienze e tecnologie, sistemi sociali e politici e
un sacco di altre cose sosticate [] La ricchezza comune la
materia oscura delluniverso economico: dappertutto, ma noi
non la vediamo perch non ha etichette con il prezzo169.
gi stato scritto che forse il modo pi giusto per tradurre
commons sarebbe comunalit o comunanze170, perch tiene as-
sieme in un unicum indistinguibile tutto ci che viene gestito in
______________________
168
C. Donolo, op. cit., p. 20.
169
P. Barnes, op. cit., p. 68.
170
M. Angelini, in P. Cacciari (a cura di), La societ dei beni comuni, Ediesse,
Roma, 2010, p. 103.
92
comune: beni, regole duso, norme sociali e istituzioni della con-
vivenza civile, comunit di riferimento. In fondo, labbaglio di
Garnet Hardin (nel suo famosissimo The Tragedy of the Commons)
ha notato David Harvey consiste proprio dallaver creduto
che il regime dei commons comprendesse solo i pascoli e non
anche le greggi, gli ovili e lintera economia del villaggio171.
Ancor oggi esistono zone dove, per antica consuetudine, la pa-
storizia viene gestita a turno dai proprietari dei greggi. Negli
Abruzzi, per esempio, sopravvive una forma comunitaria di con-
duzione dei greggi, si chiama morra: pi proprietari mettono as-
sieme i propri capi di bestiario e stabiliscono precisi turni di
pascolo a seconda di un calcolo (galetta) della produttivit del
latte dei rispettivi animali. Tale metodo permette ai proprietari
di avere numerose giornate libere172.
In un contesto relazionale condiviso, dei comportamenti
egoistici di un singolo componente renderebbero la comunit
semplicemente inconcepibile e irrealizzabile. Le ricerche sul
______________________
171
D. Harvey, The Future of the Commons, in Radical History Review, n. 109,
2011. Trad. it. Il futuro dei beni comuni, in Su la testa, n. 16, 2011, pp. 48-53.
Il problema reale non sono i beni comuni in s, ma il fallimento dei diritti
della propriet privata individuale per soddisfare gli interessi comuni.
172
E. Micati, Percorsi di ritorno alle terre alte dAbruzzo, in Mauro Varotto, La
montagna che torna a vivere. Testimonianze e progetti per la rinascita delle Terre Alte,
Cai e Nuovadimensione, 2013, p. 113. La morra un gregge di ovini e caprini
formato da duecentocinquanta-trecento capi, ma con tale termine ci si rife-
risce anche alla consuetudine pastorale descritta. Le aree pascolative (poste)
anticamente venivano misurate in nti. Lntio rappresentava la quantit di pa-
scolo necessaria per una morra di pecore. [] A inizio stagione, al rientro
dalla prima giornata di pascolo, che per consuetudine fissata il 1 maggio,
ogni proprietario munge i propri animali e misura la quantit di latte prodotta.
[] In base a questa quantit rispetto al totale della produzione si determi-
nano i turni di pascolo che ciascun proprietario tenuto a prestare. Il pro-
dotto giornaliero dellintero gregge spetta al pastore di turno. Chi ha pi
capi far pi turni, ma in occasione delle mungitura della sera e del mattino
alcuni pastori si recano ad aiutare chi di turno, che provvede poi a offrire
loro la cena presso lo stazzo.

93
campo di Elinor Ostrom ci hanno confermato che la gestione
comunitaria delle Common-Pool Resources , il pi delle volte,
pi efciente e pi efcace di quella in uso esclusivo, privato
o pubblico-statale che sia, perch crea e distribuisce pi ric-
chezza e la fa durare pi a lungo nel tempo.

Una proposta di ricerca interdisciplinare

Questi e molti altri possibili loni del pensiero dei beni co-
muni potrebbero essere esemplicati con approfondimenti di
particolare peso. Ad esempio: il denaro e gli strumenti nanziari
in genere sono un bene comune; il paesaggio (la dimensione
della percezione estetica) un bene comune; il lavoro (inteso
come forma socialmente utile delle facolt umane) un bene
comune; il clima un bene comune; il patrimonio genetico un
bene comune; le scoperte e le invenzioni scientiche sono un
bene comune
Vediamo alcuni di questi grandi capitoli, a mo di titoli.

1. La nozione di beni comuni scardina lorientamento giuri-


dico posto alla base del diritto occidentale moderno, vale a dire:
la propriet esclusiva. I beni comuni sono una nuova fattispecie
giuridica. Contraddicono la grammatica del diritto.173 E non
detto che sia un male! Chiedono che i diritti comunitari ven-
gano costituzionalizzati nella forma della titolarit diffusa, ina-
lienabile, indivisibile.
Luca Nivarra coglie due possibili approcci al tema della co-
struzione giuridica e costituzionale del riconoscimento dei beni
comuni. Uno tradizionale che tende ad individuare una classe
di beni su cui limitare il dominum esercitato dalla propriet in
nome di una funzione sociale dei beni stessi. In linea con i
______________________
173
L. Ferrajoli, op.cit., p. 140.
94
dettati costituzionali dellArticolo 42. Un altro approccio, de-
nito antagonistico e radicalmente antiprivatizzatore, tende
invece ad andare oltre e contro il vincolo proprietario ricono-
sciuto e istituito dalla Costituzione del 48. In pratica Nivarra
ipotizza un sindacato giurisdizionale diffuso capace di regolare
il conitto sociale che si genera tra i portatori di specici bisogni
e interessi, riconosciuti come tali174.
Come recentemente accaduto nelle innovative costituzioni
dellEcuador e della Bolivia, Pacha Mama reclama proprie e par-
ticolari tutele giuridiche. I beni naturali sono titolari di diritti in-
violabili e sovranazionali, indipendentemente dalluso che gli
esseri umani decidono o meno di farne. Nemmeno il potere sta-
tale pu considerarsi sovraordinato alle leggi della natura. I beni
comuni sono patrimonio dellumanit. Dovrebbero rispondere
solo ad un tribunale internazionale di giustizia climatica e am-
bientale. Su di loro non c sovranit possibile, ma servizio,
accudimento, utilizzo rigenerante. Ha scritto Rodot: I beni co-
muni tendono cos a congurarsi come lopposto della sovranit,
non solo della propriet175.
un riconoscimento alla teoria della Bioeconomia secondo
cui leconomia un sottosistema del sistema biosico terre-
stre176. Verr un giorno dicevano i padri della Deep Eco-
logy177 in cui ci vergogneremo di non essere stati capaci di
darci vincoli e doveri morali nei confronti del vivente non
umano, cos come oggi ci vergogniamo per quegli uomini che
non riconoscevano pari diritti agli schiavi, cos come molti, an-
______________________
174
L. Nivarra, I beni comuni uni e trini e il capitalismo proprietario, Contributo da
Europassignano, 8 settembre 2013. www.europassignano2013.wordpress.com
/2013/07/29/sovvertire-il-presente-reinventare-leuropa-una-nuova-
politica-per-il-comune/.
175
S. Rodot, op. cit., p. 125.
176
J. Martinez Alier, Ecologia dei poveri, trad. it. V. Lauriola, Jaca Book, Milano,
2011, p. 35.
177
A. Leopold, Almanacco di un mondo semplice, Red edizioni, 1997.
95
cora oggi, non li riconoscono alle donne. Ha detto il presidente
della Bolivia, Evo Morales: Se il XX secolo stata lera dei di-
ritti umani, il XXI dovrebbe essere il secolo dedicato alla natura
e a tutti gli esseri viventi. So che questo compito non sar facile,
molte persone, specie gli avvocati, affermano che solo noi esseri
umani abbiamo diritti178. Analogo imbarazzo credo abbiano i
costituzionalisti di scuola romana di fronte alla Costituzione del-
lEcuador del 2008 che dota Pacha Mama, gli ecosistemi natu-
rali, di diritti propri, iscrivendo la natura a pieno titolo come
soggetto nella sfera giuridica. Commenta Paulo Tavares:

Una idea animista del diritto, che concepisce gli uccelli, le monta-
gne, le rocce o il delta di un ume come soggetti di diritto, tali e quali
a esseri umani, implica una svolta sia giuridica che epistemica. Le co-
munit naturali non-umane abbandonano lo stato di propriet
anche nei termini di propriet comune per diventare entit dotate
di diritto179.

2. La nozione di beni comuni rovescia la teoria economica


classica secondo cui la terra e il lavoro, le risorse naturali e quelle
umane sono meri strumenti ed ingredienti da immolare sullal-
tare della produzione crescente di merci. Terra e lavoro (e de-
naro), diceva Karl Polanyi, sono in realt merci ttizie. La
nascita della societ del mercato e dellideologia economica, in
cui tutto (merci, denaro, servizi, credito) diventa oggetto di
scambio, provoca un processo di autonomizzazione delleco-
nomia dalla societ e dalla politica.180
Verr un giorno aveva scritto Marx in cui ci vergogne-
remo di aver considerato propriet private la terra e il lavoro (la
madre e il padre di ogni processo di trasformazione): La pro-
priet privata del globo terrestre da parte di alcuni individui ap-
______________________
178
E. Morales, Mother Earth Day, discorso allONU, 22 aprile 2009.
179
P. Tavares, Diritti comuni, in Alfabeta2, gennaio/febbraio 2011.
180
K. Polanyi, La grande trasformazione, trad. it. R. Vigevani, Einaudi, Torino, 1974.

96
parir cos assurda come la propriet privata di un uomo da parte
di un altro uomo181. Un concetto centrale nelle culture indigene
di ogni parte del mondo ben prima di Marx. Nella teoria politica
dei beni comuni la rigenerazione dei cicli vitali degli ecosistemi
naturali e il libero sviluppo della creativit umana, diventano il
ne e lo scopo di ogni attivit sociale e il senso stesso dellesi-
stenza di istituzioni di cooperazione sociale. Limperativo capi-
talistico della massima resa e della intensicazione produttiva
(della ricerca delleccesso e del surplus, dellaccumulo e del pro-
tto) viene scalzato e sostituito con la ricerca della durevolezza,
dellutilit, della soddisfazione nel lavoro, delleconomicizzazione
dei ussi di energia e di materia impiegati nei cicli produttivi e
di consumo, della ricerca della sufcienza, del bastevole (fruga-
lit), della lotta agli sprechi. I beni comuni chiamano in scena
leconomia plurale del noi, altrimenti chiamata solidale, sociale,
civile e persino degli affetti.

3. La nozione di beni comuni interroga le nalit delle tec-


nologie. La gigantesca produttivit della tecno-scienza deve ser-
vire ad economizzare il tempo di lavoro e il dispendio di energie
necessarie al orire della vita.182 La teoria politica dei beni co-
muni chiede che il potere di trasformazione geosica raggiunto
dagli esseri umani (nellera Antropocene) venga sottoposto a ve-
rica preventiva non solo degli impatti (escludendo ogni ester-
nalit negativa), ma della loro effettiva utilit per il benessere
condiviso dallintera umanit. Per evitare il collasso eco sistemico
necessario rinaturalizzare il pianeta: La complessit biogene-
tica limita il usso dellentropia con freni e bilanciamenti. Quella
che consideriamo la complessit articiale prodotta dalluomo
______________________
181
K. Marx, Il Capitale, Libro III, tomo III, trad. it. M.L. Boggeri - R. Panzieri,
Editori Riuniti, Roma, 1970, p. 183.
182
A. Gorz, Metamorfosi del lavoro: critica della ragione economica, trad. it. S. Musso,
Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 211.

97
(la tecnologia) , paradossalmente, un processo di semplica-
zione che accelera i ussi eliminando le differenze183.
Il pensiero dei beni comuni pretende una svolta nel pensiero
scientico a partire dalla assunzione del concetto che la vita sulla
Terra non frazionabile. Lecosfera come comunit biotica
chiede di rinunciare allidea del dominio assoluto delluomo
padre e padrone sulla natura cosicata. Chiede di superare il
dualismo oppositivo tra natura e cultura, tra spirito e corpo,
uomo e donna, razionalit e sensibilit, oggetti e soggetti, fatti e
valori. Chiede una razionalit sensibile e una ragione cordiale.

4. La nozione di beni comuni interroga lantropologia e la -


losoa sulle interazioni tra cultura e natura, tra Ethos e Bios.
Critica lantropocentrismo, lo specismo, landrocentrismo, let-
nocentrismo che hanno segnato la cultura occidentale. Va oltre
lo stesso ecocentrismo, verso una eco-antropologia (la famiglia
umana integrata nella comunit biotica dei viventi) e un bio-
umanesimo (un essere umano capace di avere una visione pla-
netaria e allo stesso tempo pluriversalista). Fritjof Capra
individua quattro dimensioni del sistema vivente: biologica, co-
gnitiva, sociale, ecologica. Mente e materia, psiche e soma sono
aspetti complementari, integrati, circolari, unicati in un equili-
brio dinamico. Luniverso non una macchina composta da
mattoni elementari []. Il pianeta un sistema vivente che si
autoregola e autoorganizza [] una descrizione quantitativa
non consente di comprendere sistemi complessi.184
La nozione di beni comuni mette al bando la volont di do-
minio delluomo sulluomo, sulla donna, sul giovane, sul debole,
sugli animali. Chiama in causa la sfera etica. Luomo occiden-
______________________
183
J. H. Kunstler, Collasso, trad. it. G. Lupi, Nuovi Mondi Media, Modena,
2005, p. 216.
184
Intervista a Fritjof Capra, La complessit del vivente, C. Benati, in Aam Terra
Nuova, febbraio 2012.
98
tale (con gesto matricida) ha progressivamente soggiogato e vio-
lentato la natura no a renderla una macchina.185 Il regno mi-
nerale stato trasformato in una miniera o una discarica, il regno
animale in un bioreattore per produrre proteine nobili, il
regno vegetale stato ridotto ad una banca dei semi conservati
in un frigorifero sotto il Polo Nord pronti alluso per essere ibri-
dati e brevettati o per manipolarne i geni.
Il modello antropologico dellindividualismo proprietario,
come sappiamo, lideal-tipo umano della societ capitalistica,
lindividuo animato da avidit e competitivit che, perseguendo
il proprio interesse egoistico, sospinge leconomia e fa il bene
dellumanit intera. Marshall Sahlins ripercorre nella storia del
pensiero occidentale (da Tucidide a John Adams) il tragitto
lungo il quale legoismo diventato una predisposizione natu-
rale positiva: La particolare attenzione dellindividuo per il
proprio tornaconto si rilevata [] la base stessa della societ,
nonch la condizione necessaria della ricchezza delle nazioni186.
Vi stato, insomma, un rovesciamento per cui particolari prati-
che culturali, comportamenti, abitudini e modi di pensare di ori-
gine socio-economiche sono state spacciate come naturali,
universali e persino razionali. lidea paradossale secondo cui
singoli comportamenti asociali e contrari alletica sarebbero in
grado di costruire il bene collettivo e far uscire la societ dalla
schiavit della necessit187. Dovremmo invece pensare come Tol-
stoj in Resurrezione: Nel principe Necliudov, come in tutti,
______________________
185
L. Marchetti, Lumanesimo e i compiti di una scienza nuova, in P. Bevilacqua (a
cura di), A che serve la storia, Donzelli, Roma, 2011, p. 44.
186
M. Sahlins, Un grosso abbaglio. Lidea occidentale di natura umana, Eluthera,
Milano, 2010, p. 97.
187
I riferimenti vanno anche a Alain Caill, autore del manifesto del convi-
vialismo e fondatore del MAUSS, il Movimento anti-utilitarista nelle scienze
sociali ispirato a Marcel Mauss. Lhomo non solo oeconomicus e le relazioni
tra individui non sono solo mercantili. Intervista a Caill, Caill: una nuova
etica fondata sui beni comuni, M. Niola, in La Repubblica, 9 giugno 2011.
99
cerano due uomini: uno spirituale che cerca il bene proprio in
accordo con quello altrui, e un altro animale, che cerca il bene
proprio soltanto in senso egoistico, e che per ottenerlo era di-
sposto a sacricare il bene del mondo intero188.
La teoria politica dei beni comuni scommette sulla capacit
di ciascun individuo di assumere comportamenti razionali e giu-
sti, consapevoli e responsabili189. Pregura una eco-antropologia
positiva190. Gandhi e il suo discepolo economista Kumarappa
solevano dire che lecito avere solo ci che tutti possono avere.

5. La nozione di beni comuni combatte modelli di governo


centralizzati e gerarchici a favore di modelli gestionali coopera-
tivi, solidaristici, partecipati, democratici che consentono la au-
todeterminazione solidale191, la azione solidale cooperativa192,
la formazione di una rete solidale di autonomie sociali confe-
derate193. Supera il falso dualismo privato/pubblico per segna-
lare invece che lalternativa vera tra la medesima logica della
propriet limitante e/o della sovranit escludente da un parte, e
della gestione condivisa e includente dallaltra. La gestione con-
divisa dei beni comuni genera capacitazione (empowerment), forma
cittadinanza attiva, auto-organizzazione e corresponsabilit. Ab-
bassa e orizzontalizza il potere; lo dissolve rendendolo di tutti.
Destruttura le gerarchie e la concentrazione del potere. Lo rende
permeabile e disperso. Mira ad una democrazia sostanziale e pro-
gressiva. La politica non solo comando, anche resistenza al
comando []. La politica non come in genere si pensa

______________________
188
L. Tolstoj, Resurrezione, trad. it. A. Polledro, Garzanti, Milano, 1976, p. 66.
189
Si veda nota 187.
190
J. H. Kunstler, op. cit., p. 216.
191
R. Mdera, Lalchimia ribelle. Per non rassegnarsi al dominio delle cose, Palomar,
Bari, 1997, p. 27.
192
F. Cassano, Lumilt del male, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 86.
193
P. Ferraris, Ieri e domani, Edizioni dellasino, Roma, 2011, p. 13.

100
solo governo della gente. Politica aiutare la gente a governarsi
da s.194

6. Inne, ma prima per importanza, la nozione di beni comuni


sgretola limmaginario profondo patriarcale delluomo maschio che
si percepisce senza legami naturali, distaccato e dominante. Supera
quella frattura psichica che alimenta e giustica luso della violenza
come metodo per laffermazione dei propri interessi e per la riso-
luzione dei conitti con gli altri da s. in questa matrice maschi-
lista che possibile far ricondurre lo stesso nucleo mitologico
della modernit occidentale che costituito da: lindividualismo
proprietario, larricchimento egoistico, la competitivit, il produt-
tivismo, la brama del possesso, il dominio assoluto del denaro, del
valore di scambio sullutilit effettiva delle cose195. La teoria poli-
tica dei beni comuni agisce sulla mentalit, performa i desideri e
gli stili di vita. Dalla rivalit e ostilit, dallindividualismo cannibale
allazione solidale e cooperativa, allaiuto reciproco, al vivere as-
sieme. Da lavere, nel senso di: mio e ne faccio ci che voglio,
a lessere, nel senso della responsabilit: sono responsabile delle
mie azioni. Dallegoismo predatorio e dal consumismo compul-
sivo, alla fruizione condivisa delle ricchezze comuni.

______________________
194
V. Foa, La Gerusalemme rimandata, Einaudi, Torino, 2009, p. 40, citato in P.
Ferraris, op. cit., p. 12.
195
F. Cassano, Mutare il codice, in P. Bevilacqua (a cura di), op. cit., p. 108.

101
CAPITOLO IV

Lavoro*

La liberazione dei lavoratori non potr avvenire n


attraverso la riduzione delle ore di lavoro, n attraverso
laumento dei salari, n con la socializzazione dei mezzi
di produzione. Niente di tutto questo potr migliorare le
loro condizioni poich le pene dei lavoratori nelle ferro-
vie, nelle landre e in ogni altra fabbrica o laboratorio,
non consistono nelle ore pi o meno lunghe; n nei
bassi salari, e neppure che la ferrovia o la fabbrica ap-
partenga a loro, ma nel fatto che sono obbligati a lavo-
rare in condizioni pericolose, innaturali, dannose, spesso
distruttive per le loro vite, a vivere in citt ammucchiati
come in caserme, circondati da tentazioni e immoralit,
costretti ad un lavoro forzato agli ordini di qualcun altro.
(Lev Tolstoj, La schiavit del nostro tempo, 1900)

La sda politica pi ardua oggi, in un contesto di costante


depressione economica, immaginare in quale modo sarebbe
possibile assicurare un lavoro dignitoso per tutte e tutti. Perch,
come stato detto mille volte: non c nulla di peggio di non
avere un lavoro in una societ lavorista, dove il lavoro retribuito
il principale regolatore dellordine sociale.
La crisi ha lasciato sul campo milioni di disoccupati e la ripresa
della crescita, che ripetutamente viene annunciata, riguarder co-
munque solo gli indici di borsa e, in percentuali nanograche, il
______________________
*
Questo capitolo riprende e sviluppa le considerazioni contenute nel saggio
AA. VV, Decrescita, beni comuni, lavoro, in Immaginare la societ della decrescita. Per-
corsi sostenibili verso let del dopo sviluppo, Terra Nuova Edizioni, 2012.
103
PIL, ma non sicuramente i livelli di occupazione. Sbarcare il lu-
nario senza uno straccio di lavoro retribuito in una societ dove
(quasi) tutto dipende (ancora) dal denaro molto difcile. Ma da
questa reale condizione sociale bisogna partire per affrontare una
difcile transizione e una progressiva liberazione dai rapporti di
lavoro coercitivi, travalicando la prigione del lavoro salariato.
comunque difcile immaginare qualcuno impegnarsi in attivit li-
bere e gratuite se non ha da mangiare e un tetto sopra la testa.
Persino i movimenti che praticano gli stili di vita pi alternativi, i
nowutopians, ne sono consci: La grande maggioranza di noi deve
vendersi a un lavoro retribuito per sopravvivere ed proprio con
quella cessione che rinunciamo al controllo sulla nostra vita. Una
volta venduti (assunti) dobbiamo fare quello che ci viene detto e
se non lo facciamo saremo probabilmente licenziati ed esclusi dal
reddito da cui dipendiamo196.
Mancanza di autonomia e ricatto occupazionale sono le mo-
derne catene che costringono gli individui a sacricare le proprie
forze siche e capacit intellettuali alla megamacchina tecnoin-
dustriale. La condizione del lavoratore salariato una moderna
forma di schiavit monetaria, come la chiamava Tolstoj197.
La grande promessa della piena occupazione, che sta alla
base del patto di convivenza civile costituzionale198 e che d so-
stanza allo stesso immaginario simbolico del progresso e del
benessere, stata grandemente disattesa. Lo sviluppo delle
forze produttive che pure c stato e continuer ad esserci
non sar mai pi in grado di garantire posti di lavoro adeguati
______________________
196
C. Carlsson, Now Utopia, ShaKe Edizioni, Milano, 2009, p. 131.
197
L. Tolstoj, La schiavit del nostro tempo. Scritti su lavoro e propriet, B. Bianchi
(a cura di), Orthotes, Napoli-Salerno, 2011.
198
Lessere lavoratore diventato fondamento della vita comune, della res
publica. diventato il principio dellinclusione Da cui: se non lavori non sei
cittadino. S, ma quale lavoro? Si chiede Zagrebelsky: l homo faber lopposto
dellanimal laborans. G. Zagrebelsky, Fondata sul lavoro. La solitudine dellart.1,
Einaudi, Torino, 2013, p. 13-31.
104
nel numero, nelle retribuzioni e nemmeno nei diritti un tempo
conquistati dalle lavoratrici e dai lavoratori occupati. Almeno in
questa parte dellex Primo mondo. I nuovi posti di lavoro che si
creeranno non saranno sufcienti a rimpiazzare i vecchi.
La speranza di un lavoro dignitoso, quindi, non pu che af-
darsi ad un cambiamento radicale del complesso delle relazioni
economiche a partire proprio da un cambiamento della conce-
zione stessa del lavoro. Ridare centralit al lavoro giusto ed in-
dispensabile, ma se non vogliamo che sia solo una lamentazione
retorica, coerenza vorrebbe che il lavoro uscisse da una condi-
zione di subalternit servile, di dipendenza da forze ad esso
estranee, ed acquisisse una condizione autentica di se stesso, di
effettiva libert, cio di indipendenza e di autodeterminazione.
Porre al centro il lavoro signica allora spostare il baricentro
delle attenzioni della societ sulle attivit umane nel loro insieme,
per fare in modo che esse possano dispiegarsi in tutte le loro
potenzialit quali-quantitative199.
Cominciamo allora con il riconoscere che non il lavoro che
manca. Di cose buone da fare per il bene dellumanit e dellam-
biente ce ne sarebbero uninnit! Il problema consiste nel fatto
che il lavoro ingabbiato dentro un mercato del lavoro che
non riconosce le attivit utili e necessarie come attivit produt-
tive, e quindi non disposto a remunerarle. una logica ferrea.
Il mercato del lavoro prende in considerazione solo un deter-
______________________
199
Lidea di lavoro che uso molto estensiva comprendendo qualsiasi tipo
di attivit umana. Nel pensiero corrente tradizionale, a destra come a sinistra,
invece, non cos. Romano Alquati, per esempio, fa una distinzione tra lavoro
e attivit. Il lavoro sarebbe solo quellagire funzionale alla produzione di ric-
chezza nel sistema economico capitalista. Romano Alquati, Lavoro e attivit.
Per una analisi della schiavit moderna, Manifestolibri, Roma, 1997. Personal-
mente mi ritrovo pi vicino alle considerazioni marxiste meno ortodosse di
J. Hollowy: Solo nel senso in cui il lavoro qualche cosa di pi che lavoro
alienato e il lavoratore pi che un venditore di forza lavoro, pu porsi la
questione della rivoluzione. J.Hollowy, Cambiare il mondo senza prendere il potere.
Il significato della rivoluzione oggi, Carta e Intra Moenia, 2004, p. 196.
105
minato tipo di attivit umane: quello che genera utili monetiz-
zabili al datore di lavoro, allimprenditore che deve mettere a
frutto gli strumenti del lavoro, i mezzi di produzione impiegati
ad iniziare dal capitale (preso a prestito).
Se vogliamo lavorare tutte e tutti, siamo quindi costretti a tro-
vare altre forme di organizzazione, di cooperazione e di appaga-
mento del nostro lavoro. Dovremmo riuscire ad immaginare
attivit che mettano in relazione direttamente la domanda di beni
e servizi con lofferta di prestazioni lavorative, senza dover tran-
sitare necessariamente per le forche caudine del mercato del la-
voro produttivo di merci e di utili al capitale. Non possiamo
rassegnarci a considerare il lavoro solo come quellattivit che tra-
sforma tempo, fatica, intelligenza e risorse naturali in denaro. Do-
mandiamoci: chi attribuisce valore ad una cosa e non ad unaltra?
Ad esempio, chi e perch stabilisce che preparare un pasto caldo
in casa tutti i giorni non ha alcun valore, mentre lo ha cucinare in
un ristorante? Qual la logica che porta a conteggiare la cura e la
manutenzione del territorio come un costo, mentre le attivit
di cava, lo spargimento di tofarmaci sui terreni, ledicazione
dei suoli sono considerati utili nella partita doppia del dare e
avere delle teorie economiche dominanti? Quali sono le ragioni
sociali per cui il valore del lavoro di un contadino, di un artigiano,
di un lavoratore autonomo viene messo costantemente fuori
mercato dai prezzi stabiliti dalle grandi imprese multinazionali?200
Siamo proprio sicuri che tutto ci dipenda dalle preferenze co-
scientemente espresse dalle persone quando vanno a fare la spesa?
Dubito che la massima aspirazione delle persone sia man-
giare cibo industriale, vivere in luoghi avvelenati ed avere un la-
______________________
200
Lindustrializzazione, la serializzazione, le economie di scala aumentano
effettivamente le rese produttive, ma ci avviene a detrimento della qualit
e della quantit di lavoro concreto necessario alla produzione. Su questi temi
sono ancora attuali gli scritti di William Morris apparsi tra il 1888 e il 1894,
recentemente pubblicati in traduzione italiana, Lavoro utile fatica inutile. Bisogni
e piani della vita, oltre il capitalismo, Donzelli, Roma, 2009.
106
voro sempre pi precario, parcellizzato e mal pagato. Non c
alcuna legge naturale, spontanea o teoria scientica oggettiva
che determini gli esiti del gioco della domanda e dellofferta sui
vari mercati. I mercati non esistono, vengono creati. solo lar-
bitrariet di un meccanismo autoreferenziale che stabilisce, ad
esempio, che una tonnellata di CO2 scaricata in atmosfera (aria
inquinata) abbia oggi un valore di 8 euro sulla borsa di Londra;
oppure che dei titoli derivati da derivati di derivati (nullaltro che
ches da puntare nei casin nanziari) possono essere legal-
mente commercializzati e tenuti talmente in considerazione no
a determinare gli spread nel mercato dei titoli di stato. Non c
nulla di sovrannaturale o di ragionevole nei meccanismi econo-
mici che rendono schiavo il lavoro industriale nelle zone speciali
di produzione in Cina, a Dhaka in Bangladesh o a Prato nella
civilissima Toscana 201.
Come abbiamo visto nel primo capitolo, i mercati sono stru-
menti che vivono grazie ad un insieme di leggi, norme e regola-
menti stabiliti da pubbliche autorit e nalizzati a garantire la
massima redditivit dei capitali investiti. Non altro. Non servono
a salvaguardare il lavoro, ma a renderlo variabile dipendente
del protto e dellaccumulazione monetaria.
Se desideriamo una societ capace di prendersi cura dei bisogni
delle popolazioni, dei loro beni comuni, costruendo un sistema
di relazioni sociali armoniose tra umanit e natura202, allora
necessario immunizzare il lavoro dal mercato, liberarlo dalla ca-
______________________
201
Si vogliono qui ricordare due tragedie avvenute in stabilimenti tessili. A
Dhaka in Bangladesh, il 24 aprile 2013 sono morti 1.127 lavoratrici e lavoratori
nel crollo di un palazzo. Una strage senza precedenti nella storia dellindustria
mondiale. Si confezionavano vestiti anche per noti brand dellabbigliamento:
Benetton, C&A, Tchibo, Primark, Tesco, Hennes&Mauritz, Inditex/Zara,
PVh (proprietario di Calvin Klein e Tommy Hilfiger). I lavoratori guadagna-
vano 38 euro al mese. Laltra tragedia avvenuta a Prato, il primo dicembre
2013, dove sette lavoratori cinesi sono morti bruciati in una fabbrica-labora-
torio gestita da cinesi.
202
R. Mancini, Il lavoro per luomo, in Azione Sociale n. 12, 2011, pp. 751-762.
107
micia di forza che lo rende merce di scambio, inventare per il la-
voro un altro statuto sociale, giuridico, politico, antropologico.
Il primo passo da compiere dordine culturale. Dovremmo riu-
scire a concepire il lavoro come impiego socialmente utile delle fa-
colt umane di ogni individuo. Dovremmo recuperare il senso
comune profondo, etico-politico, del lavoro come quella attivit che,
realizzando ci che di meglio ognuno ha dentro di s (il proprio
saper fare, le proprie attitudini, il talento e le aspirazioni), contribuisce
al benessere del consesso umano di cui parte, della oikos come della
polis203, superando anche per questa via larticiosa distinzione tra
pubblico e privato, come se potessero esistere due sfere separate tra
il bene collettivo e il benessere individuale. Ha scritto il losofo Ro-
berto Mancini:Il senso politico del lavoro quello di una parteci-
pazione corale allallestimento quotidiano delle basi della vita di
tutti204. Lavoro come impegno individuale e cooperazione sociale
nalizzati a creare condizioni di vita pi sicure, solidali e paciche.
Dovremmo pertanto riutare lidea assai riduttiva e morticante che
il lavoro sia solo quello strumentale nalizzato allincremento del
valore del capitale investito nei mezzi di produzione; e che solo que-
sta sia lattivit umana capace di conferire diritti, cittadinanza e mezzi
di sostentamento agli individui. Se accettassimo questa idea, conti-
nueremmo a condannare allirrilevanza sociale la parte delle attivit
umane pi signicativa per la rigenerazione della vita stessa, leco-
nomia della vita: allevare i bambini, nutrire, istruire, prendersi cura
di chi ha bisogno, mantenere la casa, coltivare ci che si consuma e
tutte le altre innite occupazioni quotidiane che ci rendono ancora
sopportabile la societ attuale e che danno un senso profondo alla
vita205. Allopposto, la totalizzazione della concezione mercicata del
______________________
203
Il lavoro luomo stesso nel suo modo specifico di farsi uomo. R. Calvo,
C un sacco di lavoro, Associazione Consulenti Terziario Avanzato, in wor-
dpress.com, 29 maggio 2013.
204
R. Mancini, op. cit., p. 758.
205
La studiosa femminista finlandese Hikka Pietil ha calcolato che il settore
libero, dove la produzione e i servizi per uso locale e domestico non vengono

108
lavoro salariato condannerebbe qualsiasi attivit umana ad un destino
inglobato nella sfera del mercato. Insomma, dovremmo riutarci ca-
tegoricamente di accettare la concezione del lavoro solo se si presenta
nella forma di forza lavoro, un mero mezzo o fattore desti-
nato ad alimentare la megamacchina produttiva globale206.

Lavoro come bene comune

Proviamo invece ad immaginare il lavoro come una immensa


energia creativa collettiva. Come il Sole muove tutti i cicli naturali
vitali, cos il lavoro mette in moto le immense potenzialit cul-
turali trasformative del genere umano. Unenergia sociale da

______________________
monetizzati, rappresentano il 54% delle ore di lavoro effettivamente svolte e
il 35% del valore totale della produzione. Come noto, il lavoro domestico,
di cura e di riproduzione storicamente e culturalmente attribuito alle donne.
Il dominio di genere maschile, patriarcale, ha imposto lo sfruttamento e la se-
gregazione delle donne in ruoli familiari non riconosciuti socialmente. B. Bian-
chi, Larma pi potente del dominio maschile. Il lavoro non pagato delle donne nella
riflessione femminista, in M. G. Turri (a cura di), Femen. La nuova rivoluzione femmi-
nista, Memesis, 2013. Secondo i calcoli del Wuppertal Institut, in Europa le
donne impegnano 31 ore al lavoro domestico e di assistenza contro le 19,5
degli uomini. Importante sapere che nel complesso le ore dedicate gratuita-
mente alleconomia della vita sono 98 miliardi allanno (casa, autoproduzione,
impiego civile) contro i 56 miliardi dedicati al lavoro convenzionale retribuito.
In Germania gran parte del lavoro eseguito giornalmente e necessario per la
societ viene fornito gratuitamente sotto forma di servizio sociale, lavoro in
proprio o attivit per il bene comune (59% lavoro non retribuito, contro il
35% lavoro retribuito). Wueppertal Institut, W. Sachs e M. Morosini (a cura
di), Futuro sostenibile. Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa, Edizioni Ambiente,
Milano, 2011, p. 292.
206
Non va dimenticato limperativo kantiano: Agisci in modo da trattare
lumanit, sia nella tua persona sia in quella di ogni altra, sempre come un
fine e mai semplicemente come un mezzo. I. Kant, Scritti morali, P. Chiodi
(a cura di), Utet, 1980, p. 88.

109
usare con attenzione e senso di responsabilit, poich ha il po-
tere di trasformare ogni cosa interferendo pesantemente sulle
stesse condizioni della vita sulla Terra. Una forza che pu essere
impiegata in modi diversi e persino opposti: oppressivi e distrut-
tivi oppure liberatori e rigeneranti.
Vi unintima connessione tra le forme di organizzazione
del lavoro e la sua utilit sociale. Per usare una metafora gan-
dhiana, ricordiamoci che tra le modalit dazione e i loro esiti
intercorre lo stesso rapporto che c tra il seme la pianta. Dif-
cile pensare, ad esempio, che rapporti di lavoro schiavistici pos-
sano generare qualcosa di utile allemancipazione degli individui
oppressi. Per evitare di correre anche solo lontanamente simili
rischi, faraoni e imperatori antichi usavano seppellire architetti
e maestranze sotto le loro piramidi! Ma anche difcile pensare
che prestazioni lavorative, comunque estorte sotto il ricatto eco-
nomico e stipulate in condizioni di asimmetria di potere (come
nel caso del nostro civilissimo contratto di lavoro salariato),
possano generare risposte davvero utili per la parte contraente
pi debole. Il salario una ben amara forma di compensazione,
non certo uno strumento di emancipazione da una condizione
di subalternit. Gli ascensori sociali costituiti dalle carriere
lavorative possono (qualche volta) portare ai vertici delle pira-
midi delle organizzazioni aziendali, ma rimangono sempre den-
tro la gerarchia di quelledicio. La conferma delle mostruosit
che genera questo rapporto iniquo tra capitale e lavoro ci viene
dagli innumerevoli casi di conitto lavoro/salute/ambiente in
cui gruppi di lavoratori sono costretti ad accettare di esporre a
rischio la propria e altrui salute pur di ricevere un salario.
Dovremmo allora scartare unidea di lavoro che sia sempli-
cemente un posto di lavoro da occupare per un certo tempo
impiegando alcune abilit. Dovremmo piuttosto pensare ad un
lavoro autenticamente buono, un lavoro completo, pieno dei
suoi pi alti signicati, che possa generare piacere sia in chi lo
compie sia in chi ne riceve i beneci, in uno scambio di soddi-
110
sfazioni reciproche e paritarie. Quindi, un lavoro che genera
forme di convivenza evolute.
Prima e oltre che uno scambio di valore, il lavoro ha un
valore intrinseco. Ha scritto Alain Caill: Gli uomini sono uo-
mini prima di essere lavoratori e le societ umane sono umane
prima di essere macchine per produrre207. Simone Weil, dopo
aver voluto sperimentare le sofferenze del lavoro di fabbrica,
scriveva che il lavoro vero un atto damore, una relazione spi-
rituale. Esattamente il contrario del modello lavorativo che si
imposto con lindustrializzazione impersonale, parcellizzato,
super specializzato, eteronomo, maschile, alienante, in primo
luogo perch separa il produttore dal frutto del suo lavoro. Il la-
voratore, nel rapporto sociale di produzione capitalistico, come
ha bene spiegato Marx, perde il controllo, perde persino la co-
gnizione di ci che produce: spilli o cannoni, fa lo stesso, basta
che a ne giornata gli sia riconosciuto ci che ha pattuito.
Nella prospettiva di una societ basata su relazioni umane -
nalizzate alla creazione di una economia della condivisione della
vita, equa e sostenibile, plurale e interrelata tra produttori e con-
sumatori, il lavoro coordinato (diciamo pure: industriale) rimarr
molto probabilmente una necessit primaria, indispensabile per
minimizzare gli sforzi individuali e massimizzare i beneci attesi,
ma dovr potersi svolgere con modalit del tutto diverse. la
divisione sociale e sessuale del lavoro che va superata. Vanno
rotte le barriere che separano non solo, in senso di classe, il
tempo di lavoro impiegato nelle diverse sfere del lavoro produt-
tivo concreto e del lavoro astratto, tra lavoro manuale e in-
tellettuale, tra lavoro produttivo e riproduttivo sessuato, tra
lavoro coartato (Arbeit) e lavoro creativo autonomo (Werke),
ovvero tra animal laborans e homo faber, tra operarii e articies, per
usare le categorie di Hannah Arendt208.
______________________
207
A. Caill, Critica della ragione utilitaria, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 116.
208
H. Arendt, Vita Activa: la condizione umana, Bompiani, Milano, 2009.

111
La speranza che non dobbiamo smarrire che ogni individuo
un giorno possa svolgere una molteplicit di attivit libere e
scelte: per s (autoformazione, autoproduzione, selfempowerment,
lavoro del pane, cio della sussistenza); per la protezione e la
cura amorevole dei conoscenti (lavoro domestico, relazioni con-
viviali); per la comunit (volontariato di prossimit, gestione dei
beni comuni); per la produzione di beni e servizi utili (agricoltura
contadina, artigianato, ofcine, opici e fabbriche autogestite).
Il lavoro stato denito un bene comune dalla Federazione dei
Lavoratori Metalmeccanici della Cgil, il pi grande sindacato di ca-
tegoria di lavoratori dipendenti dellindustria italiana, in occasione
dello sciopero del 16 ottobre 2010 contro le ristrutturazioni del
lavoro imposte dallamministratore delegato Marchionne. Uno slo-
gan, certo, che tuttavia anche una sda, suggestiva e impegnativa
sotto il prolo teorico. Unaffermazione in controtendenza ri-
spetto al processo di frammentazione e di privatizzazione del rap-
porto di lavoro che si affermato in una societ sempre pi
individualista e in uneconomia liberoscambista. Lavoro come
bene comune signica considerare il lavoro come patrimonio so-
ciale collettivo, caratterizzato da diritti di cittadinanza e democrazia.
La dignit del lavoro, il suo essere un bene comune, la sua di-
mensione politica209. Anche se schiere di sociologi ci spiegano ogni
giorno che il lavoro, per quanto inserito in un contesto organizza-
tivo di cooperazione sociale estesa e rafnata (divisione tecnica del
lavoro), rimane pur sempre una prestazione individuale che come
tale va contrattualizzata. Il lavoro, invece, unesperienza che si-
multaneamente individuale e collettiva210.
______________________
209
Officina delle idee di Rete@Sinistra, La societ dei beni comuni, in P. Cacciari
(a cura di), La societ dei ben comuni, Ediesse e Carta, Roma, 2010.
210
Anche da sinistra sono arrivate molte stroncature allidea di includere il
lavoro tra i beni meritevoli di un particolare statuto di bene comune. Tra i molti
critici ricordo Adalgiso Amendola che afferma: In particolare, qui e ora, il la-
voro diviene una risorsa solo allinterno del rapporto capitalistico. Quindi,
assurdo pensare al lavoro come un bene o un valore in s dimostrando con

112
stato gi detto che la rivalutazione del lavoro non pu di-
pendere solo dalla sua remunerazione, cio dal valore della
compensazione monetaria per il suo sfruttamento. Inseguire
il capitale solo sul terreno del valore lavoro monetario, in una
fase in cui il capitalismo riesce a prelevare il plusvalore (vedi ren-
dite nanziarie), signica condannare il lavoro subalterno, specie
quello manuale e ripetitivo, agli ultimi gironi infernali della catena
di produzione del valore. Quindi, se vogliamo fare uscire il la-
voro dalla condizione di schiavit, precariet e ricattabilit in cui
si trova oggi, necessario restituirgli un po di rispetto, di dignit
e di orgoglio.

Lavorare altrimenti

Le politiche attive a favore del lavoro devono riuscire a trac-


ciare un percorso di progressiva riduzione del lavoro pro-capite
subalterno (no alla tendenziale abolizione del lavoro etero-
nomo, comunque subordinato) garantendo allo stesso tempo a
ciascun individuo una redditivit necessaria al suo sostenta-
mento. Ci perch il lavoro subordinato, realisticamente, rimarr
per qualche tempo e per la grande parte della popolazione il
principale mezzo per procurarsi il denaro necessario indispen-
sabile ad acquistare le cose di cui ha bisogno. Ma si tratta di ini-
ziare uninversione. Un processo graduale che pu avvenire con
politiche redistributive (utilizzazione a questo ne la crescente
produttivit della tecnica) e, pi sostanzialmente, garantendo
laccesso a beni e servizi non mercicati (beni comuni). Un pro-
______________________
questo di non capire che il processo di riconoscimento del lavoro come bene
sociale comune proprio mirato a far uscire le attivit lavorative dallo spe-
cifico modo di darsi del lavoro oggi. A. Amendola, Il lavoro un bene comune?,
in M. R. Marella (a cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni
comuni, Ombre Corte, Milano, 2012, p. 260.
113
cesso che compiendosi modica gli stessi bisogni e i desideri
immaginati e percepiti dalle persone.
Ha scritto Andr Gorz: La decrescita indica la direzione nella
quale bisogna andare e invita ad immaginare come vivere meglio
consumando e lavorando meno e altrimenti211. Non basta il
meno, quindi, serve anche laltrimenti. Meno meglio solo
se modica in un senso qualitativo il sistema delle relazioni. Non
basta ridurre prelievi e consumi, diminuire produzioni e bisogni.
Per avere risultati quantitativi signicativi (alleggerimento dellim-
pronta ecologica delle attivit antropiche e del tempo di lavoro
individuale necessario al sostentamento) necessario modicare
qualitativamente il cuore del sistema socioeconomico. neces-
sario modicare le relazioni sociali: i rapporti di produzione e di
consumo. Non basta la conversione ecologica, oltre la green eco-
nomy serve una green society, un bio-umanesimo o un eco-sociali-
smo, che dir si voglia, che ridenisca lidea che le persone hanno
della ricchezza, del proprio bene-essere, del buon vivere tra loro.
Il lavoro, comunque, deve assumere signicati e funzioni indi-
vidualmente e socialmente pi rilevanti, anche attraverso qualche
forma di apprezzamento sociale e riconoscimento monetario, cos
da garantire unesistenza dignitosa e quanto pi possibile autono-
mia a tutte le persone. Questa trasformazione dellorganizzazione
sociale, economica e del lavoro dovr essere graduale, ma alla ne
dovr farci uscire dalle logiche del mercato ed entrare in una di-
mensione postcapitalistica e di post-crescita. Latouche scrive:

Va organizzata una transizione non traumatica, pi o meno lunga,


verso una societ in cui il lavoro (quello convenzionale, retribuito, ete-
ronomo, frutto delleconomia formale, ndr) sar abolito in quanto si-
gnicazione immaginaria centrale. Per rendere pi sereno il passaggio
dal vecchio ordine al nuovo e dare alle persone il tempo di adattarsi, si
potrebbero tradurre gli aumenti di produttivit, no a quando questa
______________________
211
A. Gorz, Ecologica, Jaca Book, Milano, 2009, p. 103.
114
nozione continuer ad avere un senso, in riduzione del tempo di lavoro
e in creazione di occupazione, senza incidere sui livelli salariali, n sul
livello di produzione nale, salvo cambiarne il contenuto212.

Altri ricercatori ritengono che, nel contesto di uneconomia


plurale 213, il futuro del lavoro sia ipotizzabile come multiatti-
vit, ovvero come un mix di forme di organizzazione del lavoro
formale e informale, retribuito e non, socialmente predetermi-
nato e scelto volontariamente. Su questa linea di compresenza si
colloca il Wuppertal Institut: In una societ delle molteplici at-
tivit il lavoro retribuito e sempre pi intrinsecamente motivato
non diventer superuo214. Anche Marco Deriu immagina una
societ dove diverse forme di produzione, autoproduzione, rici-
clo, rigenerazione, scambio, condivisione e dono vivranno intrec-
ciate luna con laltra e occorrer abbastanza essibilit nella
nostra mente per sapere tenere assieme creativamente tutto que-
sto per dargli una forma conviviale di buon vivere215.
Comunque sia, il passaggio ad un nuovo ordine sociale fondato
su un sistema di relazioni sostenibili ambientalmente e socialmente
eque, non deve comportare, nemmeno transitoriamente, maggiore
inoccupazione e povert, ma, al contrario, una migliore distribu-
zione delle attivit lavorative e della loro remunerazione.
La strada per arrivare ad un simile risultato prevede un di-
verso equilibrio e una diversa sinergia tra modi di produzione
differenti, per dirla secondo lo schema di Illich: tra il lavoro ete-
ronomo, dipendente dal mercato e nalizzato alla produzione
delle merci, e quello autonomo, conviviale, nalizzato alla rea-
______________________
212
S. Latouche, Per unabbondanza frugale, Bollati Boringhieri, Torino, 2012, pp.
68-69.
213
C. C. Williams, Rethinking the Future of Work, Palgrave, 2012. Lautore in-
dividua vari esempi di diverse visioni organizzative del lavoro: Third Way,
Green Vision, Post-Employment Work.
214
Wuppertal Insitut, op. cit., p. 299.
215
M. Deriu, Democracies with a Future: Degrowth and the Democratic Tradition, in
Futures, n. 44, 2012, pp 553-561.
115
lizzazione di valori duso. Serve quindi realizzare una progressiva
diminuzione della quantit pro-capite del lavoro subalterno ne-
cessario alla produzione di valori di scambio da una parte, e
dallaltra un aumento del tempo a disposizione per permettere
il dispiegarsi di attivit libere e scelte.
Limportante avere coscienza e non sottovalutare il fatto
che la creazione di valori duso sottratta a un calcolo preciso
(la produzione di merci per il mercato, ndr) pone un limite non
soltanto al bisogno di ulteriori merci, ma anche ai posti di lavoro
che producono tali merci e alle relative buste paga occorrenti
per acquistarle216. Va quindi sinceramente riconosciuto che i
due modi di produzione (chiamiamoli per semplicit: capitali-
stico e solidale) hanno punti di attrito perch reciprocamente
limitanti. Pi uno si espande, pi limita il campo dellaltro217.
Ma vi un modo per mitigare gli impatti sulloccupazione
della conversione del sistema economico produttivistico mirata
alla sostenibilit: cambiare la qualit delle merci prodotte anche
dal lavoro subordinato retribuito. possibile immaginare e pro-
gettare merci e servizi che rispondano alle necessit genuine
delle popolazioni, che non incentivino il consumismo compul-
sivo, che non comportino cambiamenti irreversibili dei cicli di
vita naturali. Come vedremo nei paragra successivi, questa
la sda pi difcile da immaginare, non perch sia tecnicamente
impossibile, ma perch presuppone una sorta di eutanasia del-

______________________
216
I. Illich, op. cit., p. 69.
217
noto che questo argomento usato da tutti gli sviluppisti per contestare
lidea della decrescita. Se diminuisce la domanda di merci, diminuiscono i
consumi e, conseguentemente, le produzioni e loccupazione. Il ragiona-
mento stringente e sicuramente vero, ma prefigura una soluzione impos-
sibile la crescita infinita in un mondo finito e ignora le contromisure
possibili: soddisfare i propri bisogni e i propri desideri senza necessariamente
passare per il supermercato. Forse, si pu provare a vivere meglio acqui-
stando individualmente, consumando e, quindi, producendo meno merci e
usufruendo di pi beni condivisi.
116
limprenditore capitalista e della sua societ anonima di capitali,
gure che hanno nel proprio DNA solo listruzione dellaccre-
scimento innito e indenito del protto dellazienda.
Sullaltro versante, si tratta di dare inizio ad una lotta di libe-
razione del tempo di vita (che non il tempo libero, del riposo
e del consumo), per affermare spazi di autonomia sempre mag-
giori, di riappropriazione del proprio saper fare, della presa in
cura di se stessi e dei propri cari, della salvaguardia e della ma-
nutenzione del proprio habitat. Si tratta di praticare forme di di-
serzione di massa da modelli comportamentali (simbolici,
emozionali) distruttivi, e scegliere invece uno stile di vita (unarte
di vivere) generalizzabile, condivisibile da tutti su scala planetaria.
Si tratta di riscoprire il lavoro per s (Gorz) come attivit crea-
tiva, espressiva, utile, come prassi comunicativa, cooperante ed
affettiva perch generatrice di beni relazionali. Si tratta di imma-
ginare una societ che dia alle economie fuori mercato e non
prot il loro giusto peso: quello prevalente218.

Lavoro come mezzo di dominio

La contrapposizione tra ambiente e lavoro rispecchia quella


tra natura e cultura, unopposizione che ha determinato, nel
corso dei secoli, nella percezione di s delluomo occidentale, la
progressiva separazione dei due poli: lumano e il naturale. Una
______________________
218
stato stimato (Esselunga-Ambrosetti) che il non-profit, il sommerso,
leconomia informale, il lavoro casalingo, il fai-da-te, lautoproduzione agri-
cola e artigianale e leconomia illegale valgono tra il 45 e il 79% del PIL. Sul
versate dellambiente noto che i servizi ambientali, forniti gratuitamente
dagli ecosistemi naturali e non conteggiati come costi dal sistema delle im-
prese, superano di svariate volte il valore delle produzioni. Il capitale natu-
rale perduto solo a causa della deforestazione vale tra i duemila e i
cinquemila miliardi di dollari: una crisi finanziaria allanno!

117
inconciliabilit tale da far ipotizzare lesistenza di un dualismo
antropologico219 tra la natura-naturale e una seconda natura
articiale, la tecnosfera, come se questultima potesse avere una
vita autosufciente e indipendente dallecosfera. Lantropocen-
trismo la cifra del mondo moderno, una distorsione che deriva
dal fatto che siamo costretti ad unesistenza culturale, ad usare
ltri culturali (scienze, religioni, arte) per riuscire a percepire la
realt di cui pure siamo parte costitutiva220. Un limite che gli ani-
mali non umani non hanno e che sarebbe bene ammetterlo pre-
sto. I loro comportamenti sono istintivamente empatici con
la natura. Noi invece dobbiamo fare la fatica di pensare a ci
che facciamo e quindi dovremmo assumerci la responsabilit
delle conseguenze delle nostre scelte. Come dire: la nostra vasta
libert dazione (arbitrio, direbbero i loso) ha un prezzo: dob-
biamo usare bene il cervello se non vogliamo combinare guai
agli altri ed anche a noi stessi.
Linizio di questa storia di relazioni contrastate tra uomo e
natura davvero antico, ha origini nella Genesi. Nel mito del
Paradiso perduto. Con la Caduta, gli esseri umani si sono sentiti
condannati a lavorare (travagliare, faticare, sudare) per procu-
rarsi i mezzi di sostentamento221. Dalla perdita di una primitiva
condizione edenica, il lavoro stato visto come una maledizione
ma anche come lo strumento con cui riconquistare il dominio
sulla natura, addomesticarla, adattarla ai nostri bisogni. Come
in un gioco di specchi, il lavoro ha una valenza doppia, ambigua:
______________________
219
D. Verducci, Tra lavoro e essere persona: interpretazioni auspicabili, in F. Totaro
(a cura di), Lavoro come questione di senso, Edizioni universit di Macerata, 2009,
p. 329.
220
Ha scritto lantropologo Sahlins: Molto pi antica dellhomo sapiens la cul-
tura stata condizione fondamentale per lo sviluppo biologico della specie.
M. Sahlins, Un grosso sbaglio. Lidea occidentale di natura umana, Eluthera, Milano,
2012, p. 119.
221
Tu mangerai il pane col sudore del tuo volto, fin che tu non tornerai alla
terra, Genesi 3, 19.
118
una condanna, ma anche il mezzo per elevarci dallo stato
naturale animalesco e per riconquistare una condizione che pu
farci riavvicinare allo stesso Dio (a quellidea tutta occidentale
di dio-padre-padrone del creato che ci siamo costruiti nella no-
stra mente). Ed anche al socialismo! Vi sono straordinarie asso-
nanze tra Paolo di Tarso (chi mai vuole lavorare nemmeno
mangi) e letica lavorista dei movimenti operai (chi non lavora
non manger). In comune c la medesima ideologia del lavoro
di tipo sacricale e idolatrico222.
Secondo questa concezione di dominazione del mondo attra-
verso il lavoro, per riuscire ad elevarsi e ad evolversi, lumanit deve
far emergere le doti pi profonde che ha dentro di s (lintelligenza)
e sviluppare le capacit di conoscenza del funzionamento della na-
tura. Ha avuto cos inizio un vero e proprio progetto di assogget-
tamento della Terra, una guerra al pianeta223 considerato come
una riserva ad esclusiva disposizione del genere umano cui attin-
gere per soddisfare i propri inniti bisogni e desideri. Un deposito
di materiali inerti, compresi gli animali, da mettere in coltiva-
zione. Larma con cui, dal Neolitico, lumanit combatte questa
guerra precisamente il lavoro. Esso , in termini sici, dispendio
di energie vitali impegnate nella trasformazione di materia. Quel
processo di ricambio organico di cui parla Marx224. La natura
______________________
222
Cfr. J. Holloway, Crak Capitalism, DeriveApprodi, Roma, 2011; P. Godard,
Contro il lavoro, Eluthera, Milano, 2012.
223
V. Shiva, Fare pace con il pianeta, Feltrinelli, Milano, 2012.
224
Ricordo qui il concetto di lavoro secondo Marx. Innanzitutto il lavoro un
processo che avviene tra luomo e la natura, in cui luomo media, regola, controlla
con la sua azione il ricambio organico tra s e la natura. Contrappone se stesso,
in quanto una delle potenze della natura, alla materialit di questultima. Egli pone
in movimento le forze naturali che appartengono al suo corpo, braccia e gambe,
mani e testa, per far suoi i materiali della natura dando loro una forma utile alla
sua vita. Collagire tramite questo movimento sulla natura esterna e col trasfor-
marla, egli trasforma allo stesso tempo la sua propria natura. K. Marx, Processo
lavorativo e processo di valorizzazione, in Il Capitale, edizione italiana E. Sbardella (a
cura di), vol. I, sezione III, Avanzini e Torraca, Roma, 1965, pp. 209-210.
119
stata considerata la madre, mentre il lavoro il padre di qualsiasi og-
getto, o almeno cos dicevano i primi economisti. Scriveva William
Petty (1623-1687): Il lavoro il padre della ricchezza mentre le
terre sono la madre. Nella Critica al programma di Gotha, Marx
preciser: Il lavoro non fonte di ogni ricchezza. La natura la
fonte dei valori duso (e in questo consiste la ricchezza effettiva!)
altrettanto quanto il lavoro, che a sua volta soltanto la manife-
stazione di una forza naturale, la forza lavoro umana.225
possibile affermare che i tanti dualismi dicotomici creatisi
tra lumanit al lavoro e la natura selvaggia, tra uomo sostenta-
tore e donna nutrice, tra umanit evoluta e animali servizievoli,
tra spirito pensante e materia inerte, tra anima libera angelica e
corpo dominato da lucifere passioni, tra mente razionale e sen-
timenti, no alla divisione del lavoro tra intellettuale e manuale,
dirigente e subordinato siano gli elementi costitutivi della mo-
dernit occidentale, ben prima delle teorie di Bacone e Cartesio,
nate quando luomo, pi propriamente luomo bianco maschio
adulto, ha iniziato a percepirsi al vertice della piramide del
creato, potenza divina, tanto superiore da potersi separare dalla
natura e installarsi sopra di essa. Sono state la scienza e la tecnica
a conferire alluomo unidea di potenza illimitata, dando inizio
a quel delirio di onnipotenza il cui apice la tecnologia nucleare
prima, e quella biogenetica ora. Luomo ha messo in pratica la
promessa prometeica dellagire tecnico ed diventato una forza
geosica che si scontrata con i limiti sici, geologici e biologici
della Terra. Ha scritto Bill McKibben, uno dei pi accreditati
climatologi: LOlocene (11.700 anni fa, N.d.A.) ormai agli
sgoccioli e lunico mondo che gli umani hanno conosciuto al-
limprovviso vacilla226. Per loro stessa mano! Lo stesso termine
ambiente (ambiens, andare intorno, ovvero ci che ci circonda:
______________________
225
Cito dal testo online www.marxists.org/italiano/marx-engels/1875/
gotha/index.htm.
226
B. McKibben, Terra, Edizioni Ambiente, Milano, 2012, p. 22.
120
lhabitat) richiama un concetto diverso e distinto da quello di na-
tura: ogni individuo di qualsiasi specie vivente, compreso lhomo
sapiens, per quanto potenziato dalluso di protesi articiali, parte
integrante di un sistema vitale unitario: ora, fauna, mondo or-
ganico e inorganico.
Da un certo momento in poi della storia dellumanit, il con-
itto tra esseri umani e forze naturali divenuto patologico, con-
troproduttivo, sconveniente. Con il capitalismo e la rivoluzione
scientica del XVI e XVII secolo il lavoro umano produttivo
diventato il mezzo principale con cui si afferma lideologia del
dominio delluomo sulla natura, sugli schiavi, sulla donna, sugli
animali. Come scrivono le pensatrici femministe, il dominio ma-
schile si realizza attraverso la relegazione del lavoro delle donne
nellambito domestico, privato, e il suo disconoscimento so-
ciale: Il pensiero scientico dissoci luomo dalla donna e dalla
natura, femminilizz la natura e naturalizz le donne227. La di-
visione del lavoro sessuata trasforma il lavoro delle donne in at-
tivit servile, priva di autonomia economica, dipendente dal
salario e quindi dal potere del capofamiglia.
Ma in questa trasformazione del lavoro socialmente ricono-
sciuto solo come lavoro produttivo retribuito funzionale alleco-
nomia capitalistica, il lavoro viene completamente catturato dalla
megamacchina tecnoindustriale come se fosse uno qualsiasi degli
ingredienti del suo funzionamento. Privo di autonomia e di vo-
lont, il lavoro (tutti i lavori) sacricato, asservito e nalizzato
ad uno scopo che a lui estraneo, anzi, contrapposto. Pi la po-
tenza produttiva cresce, meno il lavoro conta, meno richiesto
lapporto personale dei lavoratori. Pi la produttivit del lavoro
si esalta, meno viene riconosciuto il contributo specico, indi-
viduale del singolo lavoratore. Come se le macchine, linnova-
zione scientica, le applicazioni tecnologiche si creassero da sole,
non fossero il frutto di unenorme lavoro coordinato, collettivo,
______________________
227
B. Bianchi, Introduzione a Ecofemminismo, in DEP, n. 20, 2012.
121
sociale, dove convergono gli apporti dei singoli individui; degli
scienziati come dei lavoratori pi umili addetti ai servizi, delle
donne costrette al lavoro domestico come di coloro che non la-
vorano affatto perch la loro funzione di tenere alta la nume-
rosit de lesercito di riserva.
possibile pensare a una forma altra di lavoro solo se im-
maginiamo unaltra visione di societ, di cultura e di civilt.

Lavoro e tecnoscenza

Il lavoro inevitabilmente intimamente legato, condizionato


e plasmato dagli strumenti tecnici che usa, dai mezzi di produ-
zione da cui fa dipendere la propria capacit produttiva. Come
usava dire Marcello Cini: La tecnologia il braccio secolare
delleconomia. Sono le societ, in ultima analisi, che chiedono
e inventano le macchine pi congeniali ai propri scopi. I
Maya, che potevano contare su una eccedenza di forza motrice
umana schiava, non sentivano il bisogno della ruota, cos i loro
tecnologi non lhanno inventata. O, per meglio dire, non l-
hanno messa allopera. Leconomia moderna chiede la mas-
sima e pi veloce valorizzazione del capitale e premia quindi le
innovazioni di processo e di prodotto che consentono di rea-
lizzare tale scopo. La macchina a vapore non nasce per alleviare
le fatiche di uomini e animali, ma per aumentare le capacit pro-
duttive dei telai e dei mezzi di trasporto. Non il buon cuore
che spinge linnovazione, anche se possibile ipotizzare che, nel
corso della lotta ineludibile che nella societ si genera quotidia-
namente tra le ragioni del capitale e quelle della vita, avvengano
dei cortocircuiti per cui certi strumenti tecnologici vengono riu-
tilizzati a scopi diversi da quelli per cui erano stati pensati e -
nanziati. Internet lultimo di mille esempi possibili. Joseph
Kumarappa, leconomista gandhiano, ricordava come:

122
Le invenzioni tecniche riettono latteggiamento mentale con il
quale si affrontano i problemi. Negli ultimi due secoli le macchine
sono state concepite per concentrare il potere. Dobbiamo scoraggiare
il ricorso a questo genere di strumenti e speriamo con il tempo di po-
terli sostituire con strumenti che riducono la fatica senza per con-
centrare il potere228.

Lo stesso rovesciamento della tecnoscienza che auspicava


Andr Gorz a favore di una economicizzazione del tempo di la-
voro e di una sua umanizzazione: La produttivit gigantesca
della tecnoscienza deve servire ad economizzare il tempo di la-
voro e il dispendio di energie necessarie al orire della via229.
Inutile ricordare che in regime di economia capitalistica av-
viene esattamente il contrario. Lossessionante sviluppo della
tecnoscienza assorbe tutte le energie disponibili: nanziarie e
umane. Le innovazioni tecnologiche (dopo gli armamenti e la
nanza) sono lo strumento principale della tenuta dellegemonia
del capitale su tutte le forme di relazione sociale. Tecniche so-
prafne di messa al lavoro di ogni ganglio della vita (no al
genoma umano) consentono di sfornare in continuazione nuove
mercanzie da collocare sui mercati. stato chiamato biocapi-
talismo e si fonda sul controllo e sullo sfruttamento dei saperi
e delle conoscenze, oltre che della psiche umana. Le nuove tec-
nologie informatiche e biologiche, la biologia sintetica e la mi-
niaturizzazione delle macchine comportano un altro problema,
individuato da molti studiosi tra cui Andrea Fumagalli e Sergio
Bologna, e ben descritto da Luciano Gallino: Il lavoro invade
tutto, ogni spazio e ogni tempo di vita [] la vita intera che
viene messa al lavoro, senza distinzione di tempi e di spazi230.
______________________
228
J. C. Kumarappa, Economia di condivisione, Centro Gandhi Edizioni, 2011, p. 58.
229
A. Gorz, Metamorfosi del lavoro: critica della ragione economica, cit.
230
L. Gallino, Biopolitiche del lavoro, in L. Demichelis - G Leghissa (a cura di),
Mimesis, Milano, 2008, pp. 16-17.

123
Ogni relazione umana viene catturata, studiata, riproposta sul
mercato e messa a valore. La vita interamente risucchiata dal
lavoro produttivo. La stessa distinzione tra tempo di lavoro e
tempo di vita superata dalla pervasivit dei meccanismi di con-
trollo produttivi e di valorizzazione delle merci. Insomma, la
mercicazione dei beni e dei servizi ha varcato la soglia che te-
neva separate le relazioni personali pi intime, gli affetti, la con-
vivialit, la cura di se stessi e dei propri interessi culturali. La
sfera economica si estesa ed ha inglobato le dimensioni della
vita sotto forma di servizi specializzati alla persona. Scrive Um-
berto Galimberti: Gli uomini sono ridotti a funzionari degli
apparati tecnici (Heidegger dice im-piegati, ossia piegati alla
razionalit degli apparati). La tecnica non pi un mezzo, ma
il primo scopo dellintera organizzazione del sistema sociale.

La tecnica, che in nome dellefcienza e della produttivit com-


prime il mondo della vita, nel momento in cui si propone non come
uno dei tanti modi di ordinare una societ, ma come in assoluto
lunico modo, in quel momento anche la tecnica diventa ideologia, la
pi terribile dal momento che mette ai margini il sentimento perch
irrazionale e comprime il pensiero in quellunica forma che il calcolo,
il far di conto231.

La tecnica, comunque, come abbiamo constatato per il la-


voro, presenta unambiguit: asservisce ma anche contiene in s
un potenziale di liberazione delle facolt umane. Serge Latouche
(che pure giunto a formulare la necessit di una radicale mo-
ratoria dellinnovazione tecnoscientica) afferma che: pos-
sibile ed auspicabile che in futuro si sviluppino delle scienze e
delle tecniche non prometeiche, come gi il caso per lecolo-
gia. Quindi: tempo di riorientare la ricerca scientica e la

______________________
U. Galimberti, Prefazione a F. Giordano - P. Calderola, Nostalgia canaglia,
231

Dino Audino, Roma, 2012.

124
tecnica sulla base di nuove aspirazioni 232. Su questa linea era
attestato anche Gorz quando ricordava come:

Illich distingueva due specie di tecniche: quelle che chiamava con-


viviali, che accrescono il campo dellautonomia, e quelle, eteronome,
che lo restringono o lo sopprimono. Io le ho chiamate tecnologie
aperte e tecnologie chiavistello. Sono aperte quelle che favoriscono
la comunicazione, la cooperazione, linterazione, come il telefono o
attualmente le reti e i software liberi. Le tecnologie chiavistello sono
quelle che asserviscono lutente, ne programmano le operazioni, mo-
nopolizzano lofferta di un prodotto o di un servizio233.

Mario Pezzella ci ricorda che anche Benjamin nellOpera darte


nellepoca della sua riproducibilit tecnica, distingue due forme di tec-
nica: una diretta al dominio della natura e alla volont di po-
tenza su di essa []. La seconda tende a sviluppare un rapporto
armonico tra lumanit e la natura che riguarda anche il rapporto
reciproco degli uomini. Continua Pezzella: Il dominio della
prima tecnica induce infatti alla trasformazione in macchina
funzionale e burocratica del corpo sociale, alla costituzione di
un apparato incontrollabile, che prolifera in tutte le forme di to-
talitarismo. Lopzione per la seconda tecnica compito proprio
della decisione politica234.

Tre condizioni per un lavoro buono

Le tipologie del lavoro sono molte, anche se la libert lasciata


alle singole persone di scegliere quale svolgere sempre pi li-
mitata. Il totalitarismo del modo di produzione capitalistico im-
______________________
232
S. Latrouche, op. cit., pp. 44-45.
233
A. Gorz, Lecologia politica, unetica della liberazione, in Ecologica, p. 19.
234
M. Pezzella (a cura di), La repubblica dei beni comuni, in Il Ponte, febbraio-marzo
2013, p. 19. Disponibile anche come e-book sul sito: www.democraziakmzero.org.

125
pone una omogeneizzazione dei rapporti di lavoro. Tanto che
oggi persino difcile riuscire ad immaginare il lavoro se non
come quel fattore che combinandosi con il capitale investito in
macchinario lo rende produttivo; in sostanza, la forza lavoro sa-
lariata subordinata, dipendente, eteronoma e scambiabile con il
denaro: il lavoro astratto, la merce forza lavoro, quella parti-
colare forma storica alienata, separata dalla vita, come Karl
Marx aveva ben evidenziato. Ma si tratta di una concezione tre-
mendamente parziale, che esclude la possibilit di concepire il
lavoro come attivit che consente di essere utili a se stessi e agli
altri, anche indipendentemente da un impiego retribuito. Pen-
siamo solo al lavoro domestico e di cura, allagricoltura conta-
dina, alleconomia di sussistenza dei villaggi, allautoproduzione,
al mutuo aiuto, allartigianato di prossimit, al volontariato, al-
leconomia informale, alle relazioni di scambio basate sul dono
e sulla reciprocit. Se vogliamo liberarci dalle gabbie del sistema
produttivo e sociale esistente, dobbiamo quindi riuscire a ri-con-
cepire la possibilit di svolgere un tipo di lavoro libero e coo-
perante, vitale e conviviale, orientato alla creazione di valori
duso. Un lavoro completo, pieno, intero235, che ricompone
in s i vari aspetti del fare.
Per Kumarappa nel lavoro ci sono due elementi ineliminabili:
lelemento creativo, che fa lo sviluppo e la felicit delle persone,
e la componente di fatica e di disagio. La routine e il piacere
devono alternarsi, altrimenti la routine diventa fatica e il diver-
timento ozio. Il corpo umano ha bisogno di faticare. Un lavoro
completo d al nostro corpo energia e salute, come fa del resto
unalimentazione equilibrata. Questo equilibrio si rompe
quando interviene la violenza della divisione del lavoro attra-
verso luso delle macchine, concepite per concentrare il potere,
centralizzare e standardizzare la produzione. Quindi gli astuti
tentano di ottenere il maggiore guadagno con il minore sforzo
______________________
235
Wuppertal Institut, op. cit., pp. 291-301.

126
obbligando altri a lavorare per loro. Questo, secondo lo schema
di Kumarappa, lo stadio della produzione predatoria. I la-
voratori diventano una specie di mano, mentre testa e cuore
vengono poco utilizzati236.
Ma mani, cervello e tempo non sono pinze, calcolatori e oro-
logi marcatempo: sono abilit, pensiero, sentimenti, vita. Scri-
veva Tolstoj in Resurrezione (1899): Per poter agire nella vita,
tutti abbiamo bisogno di attribuire al nostro lavoro importanza
e dignit. Il lavoro pu uscire da una dimensione esclusiva-
mente individuale e privata e diventare un bene comune solo al-
linterno di un processo in cui assume alcune specicazioni
qualitative. Ricordava Friedrich Schumacher che la funzione del
lavoro triplice: dare alluomo unopportunit di utilizzare e
sviluppare le sue facolt; metterlo in condizione di superare il
suo egoismo unendosi ad altri in unimpresa comune; inne,
produrre i beni e i servizi necessari a unesistenza degna237. Ve-
diamo pi in dettaglio queste tre condizioni.

1. Il lavoro capace di dare soddisfazione a chi lo svolge,


quindi, parte costitutiva dellautorealizzazione dellessere
umano. Il lavoro inseparabile dalla vita. Per cui: Il lavoro
una delle forme secondo le quali si manifesta il nostro essere238.
Il lavoro produce identit, prima che prodotti. Primo Levi ha
scritto: Lamare il proprio lavoro (che purtroppo privilegio di
pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla fe-
licit in terra239.
Per queste ragioni il lavoro pu denirsi un bene solo se
______________________
236
J. C. Kumarappa, Economia della permanenza, oggi disponibile in Economia di
condivisione, Quaderni Satyagraha, pp. 51-66.
237
F. Schumacher, Piccolo bello, Slow Food, 2010, p. 61.
238
F. Totaro (a cura di), op. cit., p. 319
239
P. Levi, La chiave a stella, citato da Marco Belpoliti, Elogio del lavoro manuale,
in La Stampa, 10 gennaio 2009.

127
fondato sulla dignit del lavoratore e inserito in un contesto so-
ciale che preveda appagamento e graticazione per chi lo svolge
e nel quale il lavoro sia adeguato alle aspirazioni e alle capacit
di ciascuno. Non la produzione lo scopo del fare collettivo,
ma il lavoro stesso, che contempla la dimensione creativa e
quella relazionale in un insieme inscindibile. Il frutto del lavoro
non pu essere considerato pi importante del lavoratore stesso.
Il lavoro deve essere signicativo di per s, deve motivare le per-
sone a dare il meglio di cui sono capaci, deve poter sviluppare
la propria personalit, deve generare gioia.
Il lavoro va umanizzato. Per contro, ammoniva Schumacher:
organizzare il lavoro in modo che perda ogni signicato, diven-
tando noioso, degradante o una tortura per i nervi del lavoratore
sarebbe poco meno che criminale240. Esattamente quello che gi
nel 1955 Erich Fromm chiamava robotismo della societ mo-
derna, ovvero la riduzione degli individui a mezzi di produzione.
Come aveva scritto pi recentemente Mario Alcano: Limpossi-
bilit di progettare il proprio futuro, condanna i lavoratori a essere
soggetti ansiosi, angosciati, smarriti: soggetti la cui esistenza de-
turpata dallincertezza permanente cui sono soggetti241. Il la-
voro buono, invece, quello che restituisce soddisfazione a chi
lo compie bene. Nel lavoro dobbiamo poter applicare intelligenza
e creativit; dal lavoro cerchiamo una ricompensa emotiva,
come ricorda il pi noto sociologo del lavoro americano Richard
Sennett242. Se, per esempio, le condizioni dellorganizzazione tec-
nica del lavoro sono quelle prescritte dal contratto di lavoro Fiat
a Pomigliano (gli addetti alle linee a trazione meccanizzata con
scopo di movimento continuo sono costretti a lavorare per 40
______________________
240
F. Schumacher, op. cit., p. 61.
241
M. Alcano, La societ azienda e la biopolitica. Ipotesi per discutere di alternativa,
in Critica Marxista, n. 6, 2010.
242
R. Sennett, Luomo flessibile. Le conseguenza del nuovo capitalismo sulla vita per-
sonale, Feltrinelli, Milano, 2005; R. Sennet, Luomo artigiano, Feltrinelli, Milano,
2010.
128
ore settimanali, suddivise in 8 ore consecutive su 3 turni diversi
nellarco della settimana, pi 150 ore di straordinario obbligatorio,
con pause mensa quando capitano) inevitabile che crescano av-
vilimento e frustrazione. Un passo di Simone Weil rende bene la
differenza che passa tra il lavoro di fabbrica e quello condotto in
condizioni di libert:

Una giovane donna felice, incinta per la prima volta, che sta cu-
cendo un corredino, pensa a cucire bene. Ma non dimentica nemmeno
un momento il bambino che porta dentro di s. Nello stesso mo-
mento, in qualche laboratorio carcerario, una condannata cuce pen-
sando anche lei a cucire bene perch teme altrimenti di venire punita.
Potremmo immaginare che le due donne facciano nello stesso mo-
mento lo stesso lavoro e che siano attente alla stessa difcolt tecnica.
E nondimeno esiste un abisso di differenza fra luno e laltro lavoro.
Tutto il problema sociale consiste nel far passare gli operai dalluna
allaltra di queste situazioni243.

Quando non c uno scopo intrinseco nel lavoro, ma esso


solo un mezzo di scambio monetario (tempo ed energia contro
denaro), allora la sua ragione dessere traslata nel consumo. La
morsa dacciaio produzione/consumo si stringe ancor pi in-
torno alla vita delle persone. Ancora una frase di Totaro: Il mito
produttivistico si travasa nel mito consumistico [...] allinterno
di una medesima ideologia che spinge lumano nel circolo del
produrre e del consumare. In questa situazione il lavoro si
espone ad un cattivo destino, perch rimane vittima di una su-
bordinazione strumentale di carattere complessivo, trascinando
con s lintero vissuto personale244.
2. Il lavoro sempre unattivit di cooperazione tra pi indi-

______________________
243
S. Weil, citata da R. Mancini, Il lavoro per luomo, Aggiornamenti Sociali,
n. 12, 2011.
244
F. Totaro, Lavoro ed equilibrio antropologico, in Il lavoro come questione di senso,
Edizioni Universitarie Macerata, 2009, p. 314.
129
vidui. Il lavoro un bene comune se viene svolto in una mutua,
virtuosa, creativa, solidale e affettuosa collaborazione tra tutti
coloro che in un modo o in un altro concorrono alla realizza-
zione dei prodotti, alla loro progettazione, alla loro distribu-
zione, al recupero e alla rigenerazione dei materiali in essi
contenuti, no al loro smaltimento post-consumo. Il lavoro
continua a occupare lo spazio principale di socializzazione di
gran parte degli individui: deve quindi esservi una disponibilit
a condividerlo con altri.
Anche il lavoro autonomo di un singolo artigiano, in realt,
sempre inserito in una lunga liera di attivit svolte da pi per-
sone: i fornitori delle materie prime e degli strumenti di lavoro,
i trasportatori e cos via. Le diverse mansioni, le molteplici abilit
e competenze, sono tutte utili e vanno riconosciute nel concor-
rere a uno sforzo e a uno scopo comune dove lapporto di cia-
scuno ugualmente necessario. Il rapporto tra i diversi lavoratori,
quindi, deve essere pear to pear, senza gerarchie di potere ma li-
beramente organizzato. Si apre qui tutto il vasto campo, teorico
e pratico, delle forme di gestione basate sulla partecipazione dei
lavoratori alle decisioni economiche e aziendali.

3. Il lavoro ha una funzione sociale e diventa un bene comune


se nalizzato alla produzione di beni e servizi capaci di soddi-
sfare le necessit vitali degli individui, quindi autenticamente utili
al miglioramento delle condizioni di vita su questo pianeta. Il con-
sumo della merce prodotta non pu essere considerato impor-
tante a prescindere dagli effetti che produce. La rivalutazione del
lavoro passa attraverso lorgoglio di produrre qualcosa di utile per
la collettivit nel rispetto della sostenibilit ecologica. Per costruire
questo nuovo modo di intendere il lavoro occorre, da parte degli
stessi lavoratori, una consapevolezza che raggiungibile solo con
il superamento della precarizzazione e la riconquista del signi-
cato globale del proprio lavoro, oggi parcellizzato, misticato,
estraniato dalla perdita di controllo e di potere sul processo pro-
130
duttivo. Scriveva Kumarappa: Quando un produttore lavora per
soddisfare i bisogni di una comunit, egli reagisce al senso dellarte
e della bellezza dellacquirente. Questa interazione mentale tra
produttore e cliente crea la cultura di una nazione. Invece [] rea-
lizzando un fossato invalicabile tra chi produce e chi consuma,
non ci pu essere cultura245.
Fino a oggi, nellopulenta societ dei consumi, anche la rela-
zione tra produttore e consumatore stata sussunta nel processo
produttivo per mezzo di una ben denita branca aziendale: il
marketing. Il principale vettore della cultura nella civilt dei
consumi la pubblicit, e il medium che relaziona senso comune
e sistema produttivo il marketing, attraverso la demoscopia.
Cos accade che limmissione sul mercato di un prodotto/merce
non quasi mai determinata dai bisogni reali. Valgono le innu-
merevoli controprove fattuali: lumanit ha bisogno di cibo, ma
il mercato preferisce far produrre biocarburanti al settore agroin-
dustriale; c bisogno di salvaguardare le risorse primarie, ma il
mercato spinge a saccheggiarle; c bisogno di lavoro, ma il mer-
cato privilegia tecnologie capital intensive che risparmiano occu-
pazione. E cos via. La logica del mercato sensibile solo alla
domanda solvibile e spinge verso la follia ambientale e lingiu-
stizia sociale. Le attivit lavorative devono far proprie ed essere
orientate a risolvere le sde epocali che lumanit ha di fronte:
la sostenibilit ambientale, la lotta alla povert, lequit e legua-
glianza, prima di tutto, fra i generi.

Ridurre il lavoro senza perdere reddito

Siamo cos giunti al nodo cruciale che pu rendere praticabili,


o meno, le teorie, le ipotesi, i desideri che sono stati n qui esposti.
Il passaggio indubbiamente difcile anche solo da immaginare
______________________
245
J. C. Kumarappa, op. cit., p. 57.
131
nellattuale sistema economico; bisognerebbe infatti riconoscere
una uguale retribuzione per un minore lavoro impiegato nella
produzione. Una magia! Non si tratta, infatti, solo di ripartire
equamente tra tutti il volume del (poco) lavoro esistente, ma
anche di far in modo che il suo valore monetario aumenti, quan-
tomeno sia adeguato alle necessit dei lavoratori e delle loro fa-
miglie per poter acquistare ci di cui non possono o non sanno
fare a meno. Insomma, a prima vista, un totale controsenso ri-
spetto ai canoni delle scienze economiche convenzionali che fon-
dano il reddito sulla produttivit e sulla competizione: pi lavori
e pi guadagni, meno lavori e meno guadagni.
Sul piano macroeconomico, tuttavia, loperazione sarebbe
facilmente concepibile e possibile: basterebbe indirizzare verso
i salari i vantaggi dellenorme crescita di produttivit del lavoro
generata grazie alle innovazioni tecnologiche e, parallelamente,
aumentare la durata dei prodotti industriali programmando un
pi lungo ciclo di vita delle merci a parit di costo di produ-
zione. Questo provocherebbe una diminuzione della domanda
di merci nellunit di tempo (senza, per altro, dover rinunciare
a nulla in termini di valori duso) e una corrispondente riduzione
del tempo di lavoro necessario a produrle246. Proviamo ad esem-
plicare: se porto la obsolescenza programmata di una lava-
trice da cinque a dieci anni, si dimezza la domanda di lavatrici
ed anche il tempo di lavoro necessario per costruirle. I risparmi
cos ottenuti (di materiali, energia, trasporti e lavoro necessario
alla produzione) potrebbero essere ripartiti equamente in un
patto tra consumatori e lavoratori. Anche in termini salariali
possibile ipotizzare che un pi lungo ciclo di vita di un prodotto
di consumo possa alzare il valore unitario del lavoro impiegato
nella produzione.
Ma, sul piano pratico, come evidente, in uneconomia glo-
______________________
246
S. Latouche, Usa e getta. Le follie dellobsolescenza programmata, Bollati Borin-
ghieri, Torino, 2013.
132
balizzata basata sulla competizione di prezzo tra imprese e aree
geograche, loperazione appare ardua, come del resto dimostra
lattuale ondata di disoccupazione che investe anche Paesi dove
aumenta il PIL. Infatti, la parte di valore aggiunto delle merci di
largo consumo derivante dalla loro fabbricazione andata via
via riducendosi, mentre salita quella dipendente dalla proget-
tazione, dal marketing, dallimballaggio, dalla distribuzione. In-
somma, nelle societ opulente la crescita si gioca sulla moda,
sulla pubblicit, in ultima analisi sullobsolescenza programmata
percepita dai consumatori. La concorrenza tra imprese in
uneconomia in crisi di sovrapproduzione, si gioca sulla capacit
di far invecchiare il pi rapidamente possibile le merci prodotte
dallimpresa antagonista e di sostituirle con le proprie: questo a
conferma che per le imprese oggi pi difcile riuscire a ven-
dere che non a produrre e che il loro maggiore sforzo, anche in
termini di investimenti, (invenzione, innovazione di prodotto e
pubblicit) stia nel trovare acquirenti.
In uneconomia vocata alla crescita, la diminuzione del tempo
di lavoro a parit di retribuzione dedicato alla produzione di
merci, risulta inconcepibile. Pertanto bisogna seguire lavver-
tenza di Gorz: La riduzione della durata del lavoro senza per-
dita di reddito deve essere concepita non come una misura, ma
come una politica sostenuta da una accurata visione dinsieme247.
Vale a dire, come a suo tempo indicavano i socialdemocratici te-
deschi: Una riduzione della durata del lavoro concepita non
soltanto come lo strumento tecnocratico di una pi equa ripar-
tizione del lavoro, ma come la via in direzione di una societ di-
versa, che offra alla gente pi tempo disponibile248. Un tempo
liberato dalla necessit di fare reddito e da reimpiegare nella
sfera delle attivit autonome e informali da svolgere in regime
______________________
247
A. Gorz, Metamorfosi del lavoro, pp. 16-17.
248
P. Glotz, membro della SPD, citato da A. Gorz, in La metamorfosi del lavoro,
p. 207.

133
fuori mercato di condivisione, compropriet, comunanza.
Partendo da questa visione sar possibile immaginare una al-
ternativa sociale in cui, come diceva Illich, vi sia la libert di
essere utili senza partecipare alle attivit che danno luogo alla
produzione di merci249.
Non basta mettere in discussione la quantit di lavoro in
gioco, bisogna modicare anche la qualit dei contenuti del la-
voro; sia di quello produttivo formale, retribuito, sia di quello
liberato, gratuito che viene prodigato nella sfera dellecono-
mia domestica, amicale, civica. Per aumentare la quota pro-ca-
pite di tempo di vita dedicata alle attivit libere e non remunerate
necessario cambiare contemporaneamente le modalit pro-
duttive e i prodotti in tutte due le due sfere del lavoro: sia in
quella del lavoro subalterno, sia in quella delle attivit non strut-
turate in occupazioni formali. Nondimeno dovranno cambiare
la domanda, i bisogni, i desideri, i comportamenti dei consuma-
tori/produttori (prosumatori). Insomma, senza mettere in di-
scussione gli stili e i modi di vita, non potr esserci alcuna
conversione ecologica della societ. Infatti, anche se fosse
possibile lavorare gi ora quattro ore al giorno per una settimana
corta, come sostengono i ricercatori della New Economics
Foundation250, e come settantanni fa auspicava Keynes, rimar-
rebbe ancora in piedi il problema di cosa produrre durante
quelle quattro ore e di cosa fare nel restante tempo liberato.
Pi precisamente, necessario sostenere che il traguardo delle
venti ore di lavoro subordinato alla produzione di merci scam-
biabili sul mercato raggiungibile solo se quelle merci saranno
diverse (che durino pi a lungo, non comportino la necessit di
lavori aggiuntivi per il loro smaltimento e riutilizzo, non abbiano
bisogno di lunghi trasferimenti ecc.) e nella misura in cui il
______________________
249
I. Illich, Disoccupazione creativa, p. 71.
250
NEF, 21 hours. Why a shorter working week can help us all to flourish in the 21st
century, 2012.
134
tempo liberato serva per produrre beni e servizi con un diretto
valore duso (autoproduzioni, lavoro di cura delle persone, di
conservazione e arricchimento dei patrimoni naturali e culturali,
di relazioni civiche ecc.).

Green job

Abbiamo visto che le merci (anche quelle pi sosticate e im-


materiali) non vengono dal nulla. La loro produzione ha bisogno
di utilizzare input naturali e umani, materie prime e lavoro in-
telligente, risorse preesistenti, beni comuni naturali, culturali e
cognitivi. E le stesse merci non possono nemmeno essere con-
siderate indifferenti al loro destino, come se fossero cose prive
di un qualsiasi valore duso e senza consistenza materiale. Anche
le invisibili onde magnetiche inquinano! Sarebbe come se il pro-
cesso di mercicazione, che attribuisce valore monetario a ogni
pezzetto di natura e a ogni minuto/secondo del tempo lavora-
tivo umano utilizzato nei processi produttivi, rendesse possibile
eliminare per magia la dimensione, drammaticamente concreta,
della vita sul pianeta.
Negli ultimi tempi, dopo anni di oblio neoliberista, la crisi
economica che ha fatto scricchiolare le fondamenta del sistema
nanziario e del pensiero economico convenzionale, ha fatto
tornare in auge i profeti della Green Economy Revolution e del Na-
tural Capitalism, per citare il titolo del fortunato libro dei coniugi
Lovins e di Paul Hawken251. Con Obama alla presidenza degli
Stati Uniti dAmerica, siamo approdati (almeno nei proclami) al
Green New Deal, al keynesismo ecologico, alla terza rivoluzione
industriale, alla clean-tec, alle smart city e cos via. Lobiettivo del
superamento della recessione in Occidente spesso afdato al-
______________________
251
P. Hawken - Amory Lovins - L. Hunter Lovins, Capitalismo naturale, Edi-
zioni Ambiente, Milano, 2001.
135
lintroduzione di innovazioni friendly a livello ambientale. A
Rio+20, il summit sulla Terra del giugno 2012 patrocinato
dallONU, persino nata la Dichiarazione sul Capitale Naturale,
sostenuta da multinazionali, banche e associazioni ambientaliste,
dove si chiede al settore pubblico e a quello privato di lavorare
insieme per creare le condizioni necessarie per mantenere e raf-
forzare il Capitale naturale come asset economico e sociale cri-
tico252. I governi pi attivi cominciano a introdurre nuovi
standard per incrementare lefcienza energetica e la produtti-
vit nelluso delle risorse primarie, nanziano lautamente le
energie rinnovabili, le ristrutturazioni bioclimatiche in edilizia,
indicano quale esempio da imitare le famiglie che praticano mo-
delli di consumo pi sobri, fanno appello alla responsabilit di
impresa, promuovono i cosiddetti mestieri verdi, la riforesta-
zione, il riciclaggio. Ingegneri e imprenditori tornano a discutere
di Fattore 4 o Fattore 10, cio di una consistente diminu-
zione dellimpiego di energia e di materie prime nei cicli econo-
mici a parit di prestazioni con lintroduzione di nuove
tecnologie e di miglioramenti a livello gestionale. Una svolta,
dopo quaranta anni di prediche andate a vuoto sulla crisi eco-
logica253. Ma, nonostante la crisi economica pi grave e lunga
che il capitalismo abbia mai attraversato, quella dal 2008 ad oggi,
e gli immensi investimenti dedicati al tentativo di de/carboniz-
zare gli apparati energetici, il consumo di combustibili fossili
come del resto quello di ferro, rame, fosfati, terre rare e
cos via, continua ad aumentare.
Lidea di fondo su cui si regge la Green Economy quella del
______________________
252
A. Tricarico, Le banche in cerca di merci naturali, in Il Manifesto, 17 giu-
gno 2012. C una fitta letteratura sulla critica alla green economy, iniziando da
R. Madotto, Lecocapitalismo. Lambiente come grande business, Datanews, 1993,
finendo con A. Zoratti - M. Di Sisto, I signori della green economy, EMI, 2013.
253
Il primo rapporto del Club di Roma risale al 1972, il documento sullo svi-
luppo sostenibile Nostro Comune Futuro dellONU del 1987, il primo summit
della Terra a Rio si tenuto nel 1992.
136
decoupling, dello sganciamento tra i protti (che dovrebbero poter
continuare a salire per non far fallire il sistema di mercato) e il
consumo di natura, ossia il carico antropico complessivo sulla
Terra (il throughput materiale, che dovrebbe diminuire per rien-
trare nei limiti della sostenibilit). Il miracolo della contempo-
ranea de/materializzazione delle produzioni delle merci e
dellaumento del PIL sarebbe possibile grazie a uneconomia
ormai avviata sulla strada della postindustrializzazione e a tec-
nologie in grado di ridurre al minimo il prelievo di materie prime
e, contemporaneamente, capaci di riciclare ogni sostanza.
Sul piano teorico e delle conoscenze scientiche loperazione
sembra fattibile. Tuttavia i tentativi di diminuire limpatto am-
bientale restando allinterno dei meccanismi di mercato sono de-
stinati a naufragare a causa dei fenomeni deniti trappola
tecnologica, effetto rimbalzo, delocalizzazione delle attivit in-
quinanti (colonialismo del carbonio) e dei riuti e, come abbiamo
gi visto, dellobsolescenza programmata254. Ricorda Wolfgang
Sachs che ogni unit di guadagno produce nuova espansione.
Martnez Alier avverte del pericolo delleffetto rebounding, per cui
lefcienza energetica e produttiva pu aumentare a livello micro,
mentre il maggiore volume complessivo delle merci prodotte in
realt fa diminuire lefcienza macroeconomica. In altre parole,
in uneconomia di mercato, un miglioramento nellefcienza pro-
duttiva di un dato bene, ne fa diminuire il prezzo, quindi ne au-
______________________
254
Secondo i calcoli di Giorgio Nebbia e a dispetto della Green Economy, nel-
lUnione Europea tra il 1980 e il 2000 il consumo netto di materie prime e
risorse energetiche (minerali, combustibili, biomasse ecc.) aumentato del
10%, passando da 15,9 a 17,5 tonnellate pro-capite. molto interessante no-
tare che, per ogni euro di PIL, lincidenza del costo di produzione di queste
risorse naturali al contempo enormemente diminuito: riducendosi del 39%.
Laumento di efficienza stato ottenuto, il risparmio alla produzione pure,
ma questi benefici non si sono trasformati in una diminuzione dei prelievi
dalla natura. Il Total Material Requirement, il fabbisogno di risorse naturali pro-
capite (dati 2004) stato di 45 tonnellate in Giappone, 51 nella UE, 74 nella
Germania, 85 negli Stati Uniti dAmerica.
137
menta la domanda e il consumo, annullando cos i possibili be-
neci ambientali. Ha scritto un sociologo dellambiente, Giorgio
Osti: Temo che il potenziamento dellindustria verde, se non
intacca il tab della moltiplicazione delle merci, possa fare ben
poco. Il problema consiste nel produrre meno in assoluto e pro-
durre merci che abbiano un valore duso255.
Aumentare la produzione delle merci attuali con i medesimi
processi produttivi, magari spruzzandoli un po di verde, ci lasce-
rebbe dentro un orizzonte comunque insostenibile. La conver-
sione ecologica delleconomia pu essere la leva per una
rivoluzione di senso ma allinterno di un progetto che investa lin-
tero sistema produttivo256. La crescita innita un tragico inganno:
il pianeta Terra sullorlo di un baratro dovuto alleccessivo con-
sumo di risorse naturali. Crisi economica e crisi ambientale sono
indissolubilmente legate. necessario un cambiamento elaborato
dal basso, partecipato, orizzontale, nel rispetto delle vocazioni ter-
ritoriali. Si tratta allora di passare da un modello di economia per
cui la natura e il lavoro umano sono ridotti a materie prime e a
forza lavoro, mezzi e strumenti di produzione da sacricare nei
processi produttivi e da consumare nei cicli di produzione, ad un
diverso modello in cui la qualit del comune bene del lavoro
umano e la salubrit delle risorse naturali diventino lo scopo stesso
della cooperazione sociale. Nel nuovo modello sociale che la so-
ciet dei beni comuni e della decrescita propone, la preservazione
di buone condizioni di vita dellumanit, laccrescimento delle fa-
colt intellettive e creative del genere umano e la rigenerazione dei
cicli vitali naturali, sono la ragione stessa dellesistenza del lavoro
sociale e delle istituzioni pubbliche.
In sintesi, bisognerebbe porre al centro dello sforzo lavora-
tivo sociale non la produzione di merci, ma la preservazione
delle capacit rigenerative dei cicli naturali (ecosystem service) e la
______________________
255
G. Osti, in Valori, marzo 2009.
256
G. Viale, La conversione ecologica, Nda, 2011.
138
piena realizzazione delle capacit creative e relazionali di ogni
essere umano (altrimenti chiamate risorse umane, capitale
umano, capitale di reputazione ecc..). In questo quadro prende
corpo una nuova concezione dellattivit lavorativa dotata di au-
tonomia, utilit effettiva, consapevolezza e responsabilit. Una
soggettivit nuova capace di mettere in discussione gli strumenti
tecnologici utilizzati no ad oggi, ma anche il quadro giuridico-
normativo che ha privilegiato in modo scandaloso i diritti della
propriet a fronte dei doveri del lavoro, e lintero assetto isti-
tuzionale democratico che, per dirla con un vecchio slogan, si
ferma fuori dai cancelli della fabbrica. Non basta ancora. La ri-
voluzione del lavoro dovr entrare anche nella casa e scardinare
la divisione sessuata del lavoro imposta da un patriarcato che si
spalleggia felicemente con il capitalismo.
Le attivit umane socialmente utili, se vogliono sottrarsi al
deprezzamento e alla marginalizzazione, devono farsi carico di
una riconversione generale delleconomia. Ri-orientare gli appa-
rati produttivi, i prodotti e i processi. Riformulare gli statuti del
sapere e della ricerca scientica. Ri-nalizzare le tecnologie. Ma
non scoraggiamoci, questa rivoluzione gi in atto in tante parti
del mondo: nelle Caracol zapatiste, nelle comunit femminili in-
diane, nelle comunit rurali dei Sem Terra, nelle fabbriche recu-
perate argentine, negli scambi effettuati con monete locali
complementari in Grecia, nelle cooperative che gestiscono i beni
conscati alle mae, in tante gestioni condivise dei beni comuni
in ogni parte del mondo.

139
CAPITOLO V

Democrazia

Bisogna che noi ci rendiamo capaci di pensare


e di creare un nuovo Stato, che non pu pi es-
sere n quello fascista, n quello liberale, n
quello comunista, forme tutte diverse e sostan-
zialmente identiche della stessa religione statale.
Dobbiamo ripensare ai fondamenti stessi del-
lidea di Stato: al concetto di individuo che ne
alla base; e, al tradizionale concetto giuridico e
astratto di individuo, dobbiamo sostituire un
nuovo concetto, che esprima la realt vivente, che
abolisca la invalicabile trascendenza di individuo
e di Stato. Lindividuo non una entit chiusa,
ma un rapporto, il luogo di tutti i rapporti.
(Carlo Levi, Cristo si fermato a Eboli, 1945)

Ral Zibechi riferisce che, secondo il subcomandante Mar-


cos, le grandi trasformazioni cominciano come minuscoli aste-
roidi irrilevanti per il politico e lanalista che stanno arriba (in
alto, ndt)257. Anche il pensiero femminista di questo parere.
______________________
257
Articolo di R. Zibechi tradotto e pubblicato sul sito: www.comune-info il 13 gen-
naio 2014. In un altro articolo, sulle lotte degli abitanti di Crdoba in Argentina, Zi-
bechi scrive: Sono sempre i piccoli gruppi a prendere liniziativa, senza tener conto
dei rapporti di forza ma guardando solo alla giustizia delle proprie azioni. In seguito,
a volte anche molto pi tardi, lo Stato finisce con il riconoscere che i critici avevano
ragione [] Il punto cruciale, a mio modo di vedere, il cambiamento culturale, la
diffusione dei nuovi modi di vedere il mondo. Come insegna la storia delle lotte so-
ciali in http://comune-info.net/2014/02/sulle-piccole-azioni-e-le-grandi-vittorie.
141
Scrive Lea Melandri: attraverso modicazioni conittuali
dellassetto dei micro poteri che si realizzano i mutamenti pi
radicali dei modi di vita e dei meccanismi di riproduzione so-
ciale258. Della stessa opinione Vandana Shiva:

I regimi totalitari e dittatoriali si combattono a partire dalle realt


locali, perch i processi e le istituzioni su larga scala sono connotati
dal potere dominante. I piccoli successi sono invece alla portata di
milioni di individui, che insieme possono dare vita a nuovi spazi di
democrazia e libert. Su larga scala le alternative che ci vengono con-
cesse sono ben poche. Per converso la realt quotidiana ci offre mille
occasioni per mettere a buon frutto le nostre energie259.

La democrazia intesa prima di tutto come partecipazione


quindi anche un problema di scala territoriale: bisogna riuscire
ad abbassare il baricentro delle decisioni, disseminare il potere,
creare orizzontalit, pratiche sociali dal basso, reti strette civiche
solidali, legami di prossimit, comunalit e comunanze260. Una

______________________
258
Lea Melandri recensisce il libro di Miguel Benasayag e Anglique Del Rey,
Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano, 2007: Il ruolo centralizzatore delle isti-
tuzioni del macropotere ha contribuito ad alimentare lidea che le istituzioni
siano il luogo a partire dal quale viene diretta la vita di una societ, invece:
Il macropotere non racchiude linsieme del processo politico e tanto meno
sociale. Per cui: La tentazione di dare un soggetto al movimento reticolare
che opera per la creazione di una alternativa, fa la sua comparsa l dove lana-
lisi si sofferma sulla forza trainante, decisiva, che possono avere le lotte dei
senza: senza tetto, senza fissa dimora, senza lavoro, strati di popolazione
sempre pi violentemente messi al bando. L. Melandri, Chi ricomincer a lot-
tare? Quelli che sono senza, in Liberazione, 13 agosto 2008.
259
V. Shiva, Il bene comune della terra, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 202.
260
Uno dei padri della democrazia americana, Thomas Jefferson, era giunto
ad ipotizzare la formazione di piccole repubbliche dimensionate al bacino
dutenza delle scuole elementari. Hannah Arendt immaginava una rete di re-
pubbliche elementari aperte e disposte a relazionarsi tra di loro. In molti
pensano che lesempio storicamente pi alto di democrazia sia stato raggiunto
con la Comune di Parigi che Karl Marx cos descriveva: In un abbozzo
142
democrazia di persone, la chiama Manuel Castells261. Ne deriva
che la sovranit va trascinata gi, gi no a identicarsi nelle
condizioni materiali reali, quotidiane delle donne e degli uomini.
Non pu esserci alcun interesse generale sovraordinato che
penalizza la vita anche di un solo singolo individuo.
Lo sapevano anche i padri del liberalismo che temevano che
la democrazia si potesse trasformare in democrazia della mag-
gioranza. Lo sapeva gi Socrate: le maggioranze possono com-
mettere ingiustizie gravissime e, persino, votare la propria
eutanasia262. Ma non c maggioranza che possa arrogarsi il di-
ritto di calpestare la dignit anche di un solo essere umano.
Vanno riconosciuti beni e diritti inalienabili, indisponibili anche
al volere delle maggioranze; valori incommensurabili, quindi:
non mercicabili e commercializzabili.
______________________
sommario di organizzazione nazionale [] stabilito con chiarezza che la
Comune doveva essere la forma politica anche del pi piccolo villaggio di
campagna. Le comuni rurali di ogni distretto dovevano amministrare i loro
affari comuni mediante unassemblea di delegati con sede nel capoluogo, e
queste assemblee distrettuali dovevano a loro volta inviare i propri deputati
alla delegazione nazionale a Parigi; ogni deputato doveva essere revocabile
in ogni momento e legato a un mandat impratif (istruzioni formali) dei propri
elettori [] Invece di decidere ogni tre o sei anni quale membro della classe
dirigente dovesse rappresentare falsamente il popolo in parlamento, il suf-
fragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni. K. Marx,
La guerra civile in Francia, in D. Bensaid (a cura di), Lignoto, Testi e corrispondenza
sulla Comune di Parigi, Alegre, Roma, 2011, pp. 136-137. Quasi un secolo pi
tardi, in Catalonia, dal 1936 al 1937, le milizie antifranchiste, liberata Barcel-
lona, consentirono alla Confederacion Nacional del Trabajo di dar vita ad
una esperienza di gestione popolare diretta attraverso una rete di micro poteri
diffusi di quartiere e di fabbrica, ispirati alla autorganizzazione del lavoro e
della vita civile. Una collettivizzazione senza statalizzazione, senza deleghe e
senza partito egemone. Una esperienza che fin per mano degli emissari della
Internazionale comunista prima che per i bombardamenti nazi-fascisti.
261
M. Castells, Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nellera di Internet,
Universit Bocconi Editore, Milano, 2012.
262
Bisognerebbe tornare alla lettura del fondamentale E. Fromm, Fuga dalla
libert, Edizioni di Comunit, 1963.
143
La prima regola costituente una societ democratica do-
vrebbe essere la individuazione e la messa-in-comune dei beni
ritenuti indispensabili alla con-vivenza civile. La politica do-
vrebbe essere lo strumento con cui ricercare un accordo tra tutti
gli individui per la pi equa fruizione dei beni comuni. Non solo
delle risorse naturali, ma (come abbiamo visto nel capitolo sui
beni comuni) anche di quelle culturali e delle norme e delle isti-
tuzioni di cooperazione sociale, comprese quelle che regolano
i rapporti economici.
Ha annotato Paolo Flores dArcais: La democrazia una con-di-
visione, dove il con e la divisione si intrecciano in equilibrio precario.
una comunit politica pluralistica, dunque inevitabilmente divisa da
conittualit etiche, di opinione, di interessi. Che tuttavia convi-
vono263. Lazione per la predisposizione alla messa in comune
del fare concreto che produce ricchezza lelemento determinante
di una societ democratica. John Holloway si inventato un verbo:
comunizar per riuscire ad esprimere il movimento del mettere in
comune del fare umano. In qualsiasi societ (compresa quella at-
tuale) esiste una convergenza delle differenti attivit, un fattore ag-
glutinante dei diversi soggetti attivi, una qualche forma di socialit,
di comunalit, un qualche tipo di comunanza tra coloro che fanno,
una qualche forma del mettere in comune. Nelle relazioni sociali
capitalistiche prevale il dominio del denaro e la mercicazione della
ricchezza. Ma si possono fare le cose anche in un altro modo, im-
maginando concretamente la creazione di un mondo che nostro
che si costituisce in un processo di un costante comunizar (mettere
in comune)264. I riferimenti vanno al movimento zapatista delle
Giunte del buon governo in Chiapas, alle fabbriche recuperate in
______________________
263
P. Flores dArcais, Democrazia!, Add editore, Torino, 2012, p. 82. Per lau-
tore la possibilit di una pacifica convivenza una regola minima di fun-
zionamento della rappresentanza: una testa un voto.
264
J. Holloway, !Comunicemos!, in Herramienta, http:/www.herramineta.com.ar.
Tradotto e pubblicato: Mettiamo in comune, in www.comune-info.net, 3 novembre
2013.
144
Argentina, al movimento delle baracche di Durban Abahlali BaseM-
jondolo, ai movimenti urbani in Grecia. E cos via. Ma possibile
scorgere molte altre erbe matte farsi strada nelle crepe sempre pi
vistose che si stanno aprendo nel vetusto edicio capitalistico, per
usare una metafora cara a Holloway. Anche in Italia le esperienze
portate avanti dai movimenti dal basso della cittadinanza attiva (da
quelli per i referendum sullacqua e lenergia, per le proposte di legge
di iniziativa popolare sui diritti del lavoro, per creare liste di cittadi-
nanza locali, per la difesa del territorio, della salute e del lavoro265) di-
mostrano lesistenza alla base della nostra societ di straordinarie
______________________
265
Mi rendo conto che sarebbe necessario definire con maggiore precisione da
chi composta la galassia dei movimenti. I manuali di sociologia sono pieni
di distinzioni utili: movimenti sociali e territoriali, minoranze razziali e sessuali,
gruppi di pressione one issue, associazioni (di mestiere, del volontariato ecc.).
Ovviamente i loro comportamenti sono molto diversi e il loro rapporto con le
istituzioni varia di conseguenza. Ma io penso che da Seattle in poi la nozione
di movimenti (al plurale) sia molto cambiata e che per ora potremmo
intenderla in modo esteso comprendente tutte quelle mobilitazioni e azioni so-
ciali che tentano di praticare lobiettivo (problem solving, potremmo dire)
senza necessariamente farsi rappresentare da o delegare ad altri soggetti politici
terzi e intermediari vari i rapporti con le controparti, con i poteri costituiti. Fac-
cio quindi mia la definizione che Alessandra Algostino fornisce della demo-
crazia dal basso: Unespressione collettiva di dissenso e di volont di
cambiamento che nasce ed praticata al di fuori delle istituzioni, il che, peraltro,
se da un lato comporta lo sviluppo di legami reticolari che fanno semplicemente
a meno delle istituzioni, dallaltro non nega la volont di incidere sulle istitu-
zioni, trasformando esse e/e la loro politica. A. Algostino, La democrazia e le
sue forme. Una riflessione sul movimento NoTav, in Politica del diritto, n. 4, dicem-
bre 2007. Se, almeno in prima battuta, accettiamo questa definizione larga, pos-
siamo compilare mentalmente un lunghissimo elenco di soggetti che
organizzano: gruppi di acquisto solidali, banche del tempo, gruppi di software
libero, reti e distretti di economia solidale, microcredito, monete locali, radio e
tv di strada, movimenti del reclaming the commons, guerrilla gardening, welfare di pros-
simit, autogestioni, mutualismo, palestre popolari, cooperative di autorecupero,
gruppi di raccolta del cibo scaduto, centri del baratto, eco villaggi, cohousing,
mobilit condivisa, ospitalit condivisa, occupazioni e recupero sociale di strut-
ture abbandonate, forni, orti sociali e cos via.

145
intelligenze collettive, di saperi diffusi, di capacit di elaborazione di
proposte concrete e di disponibilit a sperimentare forme di gestioni
condivise, solidali, lungimiranti dei beni comuni. Da qui possibile
sperare in una rigenerazione della politica, in una positiva evoluzione
delle forme stesse della democrazia e delle istituzioni pubbliche.

Democrazia disfunzionale

Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la truffa/estor-


sione della crisi economica permanente, perseguita e gestita spre-
giudicatamente dai gruppi dominanti e dalle corporates per ricacciare
le classi lavoratrici in una condizione di maggiore subordinazione,
evidenzia i fallimenti delle promesse sostanziali della democrazia
rappresentativa: equa distribuzione delle ricchezze prodotte, par-
tecipazione popolare ai processi decisionali, sicurezza sociale e as-
sicurazione delle condizioni di sviluppo umano individuale
per-tutti-e-per-ciascuno. Insomma, entrata in crisi la democrazia
come quella condizione generale capace di consentire una libera
formazione ed espressione della volont di tutti gli esseri umani.
Pi propriamente, si tratta del fallimento della democrazia liberale
nata per stabilire un equilibrio tra gli ideali alti della democrazia e
gli animal spirits del capitalismo. Ha scritto Carlo Donolo:

La forma della democrazia liberale si dissolta nelle entropie della


globalizzazione e della mercicazione globale. [] Non si tratta di de-
viazioni dalla norma e dalla normalit, ma di caratteri intrinseci non
emendabili. In sostanza, per avere nuovi mercati occorre avere non solo
meno stato sociale ma anche meno stato di diritto, e bisogna asservire il
pi possibile la politica alle esigenze della redditivit privata266.

______________________
C. Donolo, La morte annunciata della democrazia liberale, in www.sbilancia-
266

moci.info, luglio 2014.

146
Paradossalmente, da quando le dottrine neoliberiste sono di-
ventate egemoniche, il modello sociale pi ammirato e imitato
dalle lite al potere il capitalcomunismo cinese. La globaliz-
zazione come teoria dei vasi comunicanti comporta il livella-
mento al basso delle condizioni di lavoro e di reddito delle fasce
popolari. In nome del dogma della crescita economica le istitu-
zioni pubbliche vengono riformate in democrazie dispoti-
che. Le derive tecnocratiche, presidenzialiste e populiste delle
costituzioni reali di molti Stati europei e dellUnione europea
stessa, lo stanno a dimostrare. Le norme monetarie di bilancio
entrano a far parte dei dispositivi costituzionali. il trionfo della
ragione economica su ogni altro aspetto della vita sociale; delle
Ragionerie di Stato sulla ragionevolezza umana. Con ci si po-
trebbe sostenere che lidea democratica disfunzionale alla ri-
produzione allargata dellaccumulazione capitalistica. Lo stesso
parlamentarismo considerato una perdita di tempo e le rap-
presentanze politiche sono viste come una pletora da sempli-
care, ridurre e tagliare. Emblematica la sorte che stata
riservata al Senato italiano.
Davvero illuminante un documento della JP Morgan, uno dei
giganti della nanza globale, in cui si lamenta un eccesso di de-
mocrazia in alcuni Paesi europei. Le costituzioni e le soluzioni
politiche nella periferia meridionale, poste in essere dopo la ca-
duta del fascismo, hanno una quantit di caratteristiche che ap-
paiono inadatte a unulteriore integrazione nella regione.267
______________________
267
Il testo tratto da un articolo di Leigh Phillips, JP Morgan alla periferia del-
leurozona: Liberatevi di quelle costituzioni antifasciste e sinistroidi!, in Zent Italy,
giugno 2013. I sistemi politici della periferia furono creati dopo una dittatura
e furono definiti da quellesperienza. Le costituzioni tendono a mostrare una
forte influenza socialista che riflette la forza politica acquisita dai partiti di
sinistra dopo la sconfitta del fascismo. []. I sistemi politici della periferia
mostrano solitamente diverse delle caratteristiche seguenti: governi deboli;
stati centrali esecutivi deboli rispetto alle regioni; protezione costituzionale
dei diritti del lavoro; sistemi di costruzione del consenso che incoraggiano il

147
gi stato scritto che: I parlamenti, le elezioni, i referen-
dum, le stesse parti sociali, sono apertamente denunciati come
un intralcio. Il passaggio dichiarato dal regime parlamentare a
una societ autoritaria possibile ed imminente. Poich: I veri
luoghi di potere e di decisione si spostano in organismi paralleli,
segreti e sempre pi centralizzati268.
forse giusto e inevitabile che una storia lunga due secoli e
mezzo di tentativi di compatibilizzazione tra capitale e demo-
crazia nisca cos male. La crisi toglie il velo progressista e libe-
rale ad uno sviluppo economico fondato su insostenibili
premesse di sfruttamento del lavoro e di saccheggio delle ormai
rarefatte risorse naturali. Sta di fatto che la principale impalca-
tura su cui si regge la nostra civilt politica ed economica (vale
a dire la supposta sinergia tra democrazia e mercato) sta ce-
dendo. Ha scritto Guido Rossi: La democrazia e il capitalismo
hanno rovesciato il loro rapporto: il capitalismo ha invaso la de-
mocrazia e le leggi ovunque non toccano il potere delle corpora-
tion269. La lex mercatoria ha preso il sopravvento. Calano cos
paurosamente sia il consenso effettivamente espresso dai citta-
dini-elettori, sia i beneci conseguiti dai cittadini-contribuenti.
Nellera della democrazia dei consumatori, lo scambio poli-
tico che attraverso il voto si realizza tra il cittadino (che cede ad
un rappresentate dello stato liberamente scelto la sua quota
parte di sovranit popolare) e lo stato stesso, in perdita secca:
nulla di serio viene restituito allelettore-consumatore. N sem-
______________________
clientelismo politico e il diritto di protestare se sono operanti cambiamenti non
graditi allo status quo politico. I limiti di questa eredit sono stati rivelati
dalla crisi. Da notare che lex ministro Vittorio Grilli del governo Monti
nel frattempo diventato senior advisor di JP Morgan. Porte girevoli da cui
passato, in senso contrario, Mario Draghi: da vicepresidente internazionale
di Goldman Sachs a capo della BCE.
268
M. Pezzella, op. cit., p. 8.
269
G. Rossi, Prefazione a Robert B. Reich, Supercapitalismo. Come cambia leconomia
globale e i rischi per la democrazia, Fazi editore, Roma, 2008, p. XI.
148
bra realistico pensare che alla ne del tunnel della crisi le cose
verranno ripristinate cos come le avevamo lasciate nei trenta
gloriosi anni postbellici del compianto compromesso social-
democratico. Quelle condizioni non esistono pi. Nessuno
pi disposto a fare credito alla vecchia Europa. Nessun Piano
Marshall in vista. Nessun Paese sottosviluppato pi dispo-
sto a concedere petrolio e materie prime gratis.

Rappresentanza embendded

Ha scritto Arundhati Roy a proposito del crepuscolo della


democrazia:

Che cosa ne abbiamo fatto della democrazia? In che cosa labbiamo


trasformata? Che succede una volta che si consumata, svuotata, privata
di senso? Cosa succede quando ciascuna delle sue istituzioni si fatta
metastasi no a trasformarsi in una entit maligna e pericolosa? Cosa
succede ora che capitalismo e democrazia si sono fusi in un unico or-
ganismo predatorio dellimmaginazione limitata e costretta, incentrata
quasi esclusivamente sullidea della massimizzazione del protto? Viene
da chiedersi se sia rimasto qualche legame tra elezioni e democrazia270.

La risposta non pu che essere negativa. Basti pensare alla


questione fondamentale del nanziamento della politica. Attin-
gendo da diverse fonti271 ne viene fuori un quadro spaventoso
per la credibilit della democrazia rappresentativa a partire dal
modello americano, rigidamente bipolare e con scelta nomi-
______________________
270
A. Roy, Quando arrivano le cavallette, Guanda, Milano, 2009, p. 8.
271
Fonti varie: P. Barnes, op. cit.; Articoli di L. Napoleoni - N. Chomsky, in
Internazionale; A. Baranes - M. Cavallito, Dodd-Frank. Uno spettro si aggira
per lAmerica, in Valori, n. 94, novembre 2011; M. Ricci, in La Repubblica;
C. Gatti, I finanziatori invisibili del voto, in Il Sole-24 Ore, 30 settembre 2010.

149
nale dei candidati. La industria dei gruppi di pressione (le
agenzie di lobbying) negli Usa ha un fatturato di 6 miliardi di
dollari lanno e d lavoro a 35.000 addetti (17.000 accreditati
solo a Washington). Alcuni esempi: la NBNA (carte di credito)
ha speso per attivit di lobbying 17 milioni di dollari in cinque
anni. Lindustria del legname 8 milioni di dollari e le miniere del
carbone 3,4 milioni solo nella ultima campagna elettorale presi-
denziale. Le compagnie elettriche 20 milioni. I petrolieri 35 mi-
lioni. Lindustria farmaceutica mantiene un organico di due
lobbisti per ogni membro del Parlamento (chiss se anche questi
li chiamano informatori scientici?). Le banche schierano una
media di 2,4 lobbisti per ogni membro del Parlamento e spen-
dono 600 milioni di dollari per convincere i parlamentari a pren-
dere decisioni a loro favore. Le assicurazioni sanitarie nellanno
della quasi-riforma di Obama (il 2010) hanno speso 300 mi-
lioni di dollari. Le principali banche di Wall Street, mentre ago-
nizzavano nella crisi nanziaria del 2008, trovavano comunque
il modo di versare a Democratici e Repubblicani cifre enormi:
6 milioni di dollari la Goldman Sachs, 5 la Citigroup, 4 la JP
Morgan, 3 la Merrill Lynch. E via di seguito. Come si sa, tale di-
sinteressata generosit port lamministrazione statunitense ad
assumere la decisione di salvare dalla bancarotta il sistema -
nanziario impegnando i denari dei contribuenti e stampando
banconote a rotta di collo. Il budget raccolto da Obama per la
seconda campagna elettorale ha superato il miliardo di dollari.
Mitt Romney gli stato dietro di poco. La pi costosa compe-
tizione elettorale di tutti i tempi, nel pieno della pi grave crisi
economica! Anche le compagnie petrolchimiche europee hanno
nanziato alcuni senatori statunitensi scettici sui pericoli del ri-
scaldamento climatico in occasione dellultima campagna elet-
torale di met mandato: la Bayer ha speso 108.000 dollari, la
Basf 61.000, la BP 25.000, la Solvay, 40.000 la Gdf/Suez 21.000,
la Lafarge 34.000 e cos via. Tutto registrato e trasparente. Con
una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti le persone
150
giuridiche collettive, cio le imprese, sono state equiparate alle
persone siche nella illimitata possibilit di nanziare le campa-
gne elettorali. Commentava il New York Times: (ci) per-
metter alle aziende di usare la loro immensa ricchezza per
condizionare i risultati delle elezioni. Le elezioni ha scritto
Chomsky sono loccasione in cui gruppi di investitori si coa-
lizzano per controllare lo stato. La democrazia nellera della
politica-spettacolo e del controllo dellopinione pubblica tramite
i mass media nelle mani delle imprese. Ha osservato Thomas
Ferguson: I partiti Usa al Congresso mettono il cartellino del
prezzo ai posti chiave del processo legislativo 272.
In Europa le cose non vanno affatto meglio. A Bruxelles i
lobbisti accreditati sono 15.000. Ci sono deputati che si afdano
ai loro servizi per scrivere leggi, preparare emendamenti, for-
mulare interrogazioni In coerenza con i processi di privatiz-
zazione, potremmo dire che tramite i lobbisti avvenuta la
esternalizzazione dei partiti. Ad esempio stato calcolato che il
Labour Party in Gran Bretagna riceve un quarto delle sue risorse
da 37 grandi sponsor, che sono imprese. Un tempo erano le
Trade Unions a nanziare il Labour. Con Tony Blair cambiano
gli azionisti di riferimento e cambiano anche le strategie.
DellItalia non parliamone. Si stima che i lobbisti a Roma
siano 1.200 facenti capo a varie agenzie specializzate di Public
Affair Manager, ma non c una normativa, n un registro. Af-
follano le anticamere delle commissioni parlamentari, degli as-
sessorati, delle presidenze. Mancano serie inchieste su quello che
fanno. Forse perch c meno trasparenza rispetto ad altri Paesi
(anche se i bilanci dei partiti, con i nomi dei relativi nanziatori
per importi superiori ai 50 mila euro, vengo pubblicati sulla Gaz-
zetta Ufciale ogni anno), forse perch le stesse imprese che -
nanziano i partiti editano anche giornali e televisioni.
______________________
272
N. Chomsky, La democrazia americana in mano alle imprese, in Internazio-
nale, 12 febbraio 2010.

151
evidente che le enormi cifre che le grandi imprese, singo-
larmente e/o consorziate tra loro in cartelli, mettono a bilancio
per far vincere le elezioni a questo o a quel candidato, rappresen-
tano dei veri e propri costi di produzione delle merci e dei servizi
che contribuiscono a far lievitare il loro prezzo al consumo. Una
specie di pizzo politico che dobbiamo pagare ogni volta che
acquistiamo una merce, che paghiamo un pedaggio autostradale,
un ticket ospedaliero, una cartella delle tasse273. Costi che, alla ne,
vengono comunque pagati dai cittadini nella veste di consumatori
e contribuenti che si aggiungono a quelli che gi pagano in
chiaro nella veste di cittadini-elettori per il nanziamento pub-
blico dei partiti e dei deputati. Sarebbe interessante conoscere il
rapporto tra le due forme di nanziamento, diretto e indiretto. E
non stiamo parlando dei nanziamenti occulti illeciti, della cor-
ruzione: stiamo parlando della normalit dellalimentazione del
sistema dei partiti.
Insomma, la politica per le grandi imprese rappresenta un
sottomercato derivato del gran gioco delleconomia. Non
mancano comunque gli ingenui che credono ancora di poter
scegliere chi votare, magari attraverso primarie e preferenze,
come se i candidati capaci di emergere alla luce dei riettori delle
televisioni non fossero pesantemente sponsorizzati.
Mi pare quindi evidente che questa democrazia rappresen-
tativa (che fonda la sua capacit di presa sul denaro e sui mass
media) diventata impraticabile dalla autentica democrazia. Non
mancano i motivi che giusticano la crisi di ducia che attra-
______________________
273
Davvero istruttivi gli ultimi scandali italiani: Mose, Expo, ricostruzione
del terremoto dellAquila, G8 alla Maddalena, autostrade in project financial,
impianti sportivi e via dicendo. Si tratta delle grandi opere dichiarate di
interesse pubblico generale dalle leggi che derogano e semplificano le nor-
mative degli appalti (Legge Obiettivo Lunardi-Berlusconi), pensate apposta per
creare extraprofitti alle imprese di costruzione e alle banche, che in parte
vengono poi stornati a partiti di governo e personaggi chiave (non necessa-
riamente politici).
152
versa tutte le istituzioni della democrazia rappresentativa: partiti,
assemblee elettive, apparati dello Stato in genere. In tal modo
vengono meno i consueti sistemi di relazione e di mediazione
tra i corpi sociali e il potere politico; sia quelli pi nobili (il suf-
fragio universale), sia quelli pi legati agli interessi costituiti che
venivano canalizzati con relativo successo, di volta in volta e a
seconda dei casi, dalle organizzazioni di massa, dai gruppi di
pressione lobbistici, dagli strumenti di informazione, dalle clien-
tele, dalle mae.
Parallelamente al crollo di legittimazione popolare del sistema
politico-istituzionale crescono (verrebbe voglia di dire: inevita-
bilmente) gli interventi di ordine pubblico e luso di strumenti
giuridici repressivi, compresa la militarizzazione di intere aree
dichiarate di interesse strategico nazionale274.

Il dilemma dei movimenti

Ad ogni tornata elettorale una vexata quaestio investe la galassia


dei nuovi movimenti impegnati per la giustizia sociale e am-
bientale, i gruppi di cittadinanza attiva, i comitati territoriali, le
liste locali, le realt dellautogestione, il mondo dellaltra econo-
mia e dellagricoltura contadina, il sindacalismo di base, i collet-
tivi femministi, ecologisti, mediattivisti, pacisti, studenteschi e
molti altri ancora: se e come partecipare ai confronti elettorali.
Le esperienze di Occupy Wall Street, degli Indignados, no
alle primavere arabe da una parte, e la profonda crisi di credi-
bilit che delegittima lautorit del sistema dei partiti di governo
dallaltra, hanno evidenziato un pauroso vuoto di democrazia.
______________________
274
D. Dalla Porta, Una societ civile senza protesta?, in www.sbilanciamoci.info,
3 febbraio 2013. A. Algostino, LOsservatorio per il collegamento ferroviario Torino-
Lione come case study sulla democrazia e sul dissenso, in www.costituzionalismo.it,
fasc. 2/2009.
153
Unocclusione dei canali partecipativi che rende impraticabile il
sistema istituzionale rappresentativo. naturale quindi che gli
attivisti dei movimenti, che pure esprimono un antagonismo
strutturale allo stato di cose presente e che ambiscono a cam-
biare il mondo partendo da s, non vogliano limitarsi ad inuen-
zare da lontano, in modo indiretto ed eccessivamente mediato,
le dinamiche politiche pubbliche e si pongano invece il pro-
blema di come riuscire a far valere pi incisivamente e in modo
non episodico le proprie critiche e le proprie proposte.
In generale i movimenti si interrogano se sia possibile met-
tere in comune pratiche sociali diverse, instaurare comunicazioni
tra esperienze di lotta e di saperi altri senza dover passare per
le forche caudine delle agenzie parastatali dei professionisti della
mediazione politica (quali sono oggi i partiti politici) ma senza
diventare essi stessi un partito, evitando di dar vita a strutture
intermedie, senza creare nuovi corpi separati, che ben presto
diventerebbero incontrollabili dagli stessi attivisti e facilmente
catturabili dalle dinamiche istituzionali del potere. Lo stesso
World Social Forum (la principale struttura di collegamento oggi
esistente tra i vari movimenti nazionali) attraversato da oppo-
ste posizioni: c chi lo vorrebbe un soggetto politico ben strut-
turato, capace di interloquire con le istituzioni del potere
costituito, e chi al contrario lo critica perch troppo ingessato e
burocratizzato275.
La riessione parte dalla constatazione che lera della demo-
crazia dei partiti, monopolisti della decisione politica per dettato
costituzionale, terminata, come ci raccontano bene due libri di
Marco Revelli276 e di Alberto Bianchi277, e una riedizione di vecchi
______________________
275
Un ricco e fondamentale volume raccoglie molte riflessioni dei protago-
nisti sullesperienza dei Social Forum Internazionali: M. Berlinguer - M.
Trotta, Pratiche costituenti. Agire politico, appartenenze, movimento, spazi aperti, reti,
Transform! Italia, Roma, 2005.
276
M. Revelli, Finale di partito, Einaudi, Torino, 2013.
277
A. Bianchi, Tesi luterane sul partito di classe, Enzo Delfino, 2012.
154
articoli profetici di Ernesto Rossi278. Lintera parabola della me-
tamorfosi del partito sembra essersi compiuta: dal partito dei no-
tabili, a quello di massa, a quello pigliatutto, a quello delle
cariche pubbliche che mira unicamente alla presa e alla conser-
vazione del potere statale. I partiti si sono cos completamente
de-socializzati. Da strumenti della partecipazione popolare a su-
scitatori di onde plebiscitarie, sovente virtuali (misurate dai son-
daggi demoscopici), talvolta tragicamente populiste.
Ma il nodo pratico e teorico di come riuscire a fare a meno
dei partiti rimane aperto. Il Manifesto per un soggetto politico
nuovo (rmato, tra gli altri, da Paul Ginsborg279, che dava vita
ad un interessante sperimento di raggruppamento politico chia-
mato Alleanza per il Lavoro, i Beni comuni e lAmbiente) recitava:
I partiti politici attuali sono diventati organizzazioni completa-
mente anacronistiche rispetto ad un modello di democrazia che
non pu pi esaurirsi nella rappresentanza e nella delega280.
Quale potrebbe essere, allora, un modello di organizzazione
politica pi coerente e adatto ad una visione di democrazia pi
partecipata e pi sostanziale?
Nella convinzione che ci che lega viene prima di ci che de-
lega, per riuscire a darsi forme di collegamento stabili tra loro, i
gruppi che compongono larcipelago dei movimenti dovrebbero
innanzitutto dimostrare a loro stessi di saper praticare modalit
di relazione coerenti. Strumenti usati e ni dichiarati devono an-
dare daccordo. Troppe volte abbiamo visto che listinto di so-
pravvivenza delle singole organizzazioni ha preso il sopravvento
sul loro stesso scopo. Troppe volte abbiamo visto la delega non
rispettare il mandato. Troppe volte il modello aziendale stato
applicato come se non ci fossero alternative. Scrive John Hollo-
______________________
278
E. Rossi, Contro lindustria dei partiti, Chiare lettere, Milano, 2012.
279
P. Ginsborg autore, tra laltro, di La democrazia che non c, Einaudi,
2006.Un immaginario dialogo sulla democrazia immaginata da un padre del
pensiero liberale, John Stuart Mill, e il fondatore del comunismo, Karl Marx.
280
Cfr. www.albasoggettopoliticonuovo.it.
155
way: Lorganizzazione fondamentale, ma non una qualunque
organizzazione: deve essere un modo di organizzarsi che nasca
dal basso281.
In questa ricerca, gli stimoli pi fecondi ce li ha lasciati Pino
Ferraris: La logica di raggruppamento pi adeguata quella
basata sul principio delle autonomie confederate, ha scritto.
Dai lamenti sulla frammentazione e sui localismi (dei movi-
menti, ndr) si dovrebbe incominciare ad operare verso un pro-
getto di confederazione politica delliniziativa sociale. E ancora:

Il principio confederale non mi sembra affatto una superata espe-


rienza ottocentesca ma esso richiama nel presente quella congura-
zione di associazionismo policefalo, reticolare ed altamente
partecipativo che fu lutopia organizzativa della contestazione giova-
nile americana degli anni 60. Direi che la confederalit esprime una
logica di raggruppamento che converge con le emergenti culture e
tecniche di rete: la rete piatta orizzontale che spezza la piramide ge-
rarchica e verticale dellorganizzazione novecentesca. La confederalit
il risultato di un patto tra diversi retto da reciprocit ed equiva-
lenza.[] Io non so se una confederazione politica delliniziativa so-
ciale possa osare una proiezione nella rappresentanza istituzionale,
oppure debba limitarsi ad agire come gruppo di pressione democra-
tica per rafforzare gli spazi, le risorse del fare societ. Comunque
urge liniziativa282.

Sullo stesso quesito si interrogato Immanuel Wallerstein


proponendo una soluzione alla contraddizione tra chi pensa sia
necessario partecipare alle elezioni e chi al contrario crede sia
un esercizio inutile e nocivo:
______________________
281
J. Holloway, Mettiamo in comune, in www.comune-info.net, 3 novembre 2013.
282
P. Ferraris, La sinistra o sociale o non , relazione al seminario Forma della politica,
organizzato da Rete@sinistra, Firenze, 5 luglio 2008. Dello stesso autore si veda
anche: Il nuovo mutualismo, dalle rivolte arabe al movimento di Occupy, in www.sbilan-
ciamoci.it; Ieri e domani. Storia del movimento operaio e socialista ed emancipazione del pre-
sente, Edizioni dellasino; Praticare lobiettivo, in Gli asini, febbraio-marzo 2012.
156
Sono completamente daccordo con chi sostiene che conquistare
il potere dello Stato irrilevante per la trasformazione a lungo termine
del sistema mondiale e forse anche la pregiudica. Come strategia di
trasformazione questo stato tentato e ha fallito pi volte. Questo
non signica che partecipare alle elezioni sia uno spreco di tempo.
Dobbiamo considerare che una grande percentuale del 99% sta sof-
frendo nel breve periodo. [...] Agire per ridurre al minimo il dolore ri-
chiede una partecipazione elettorale. E il dibattito tra i fautori del male
minore e coloro che si propongono di sostenere genuini partiti di si-
nistra? Questa diventa una decisione di tattica locale, che varia note-
volmente in base a diversi fattori: le dimensioni del paese, la formale
struttura politica, la demograa, la posizione geopolitica, la storia po-
litica. Non esiste una risposta standard283.

La possibilit o meno di partecipare ai confronti elettorali de-


riva, quindi, da un percorso di autoriconoscimento e di autorap-
presentazione dei movimenti che deve svilupparsi a monte. Non
solo, il rapporto con le istituzioni dipender dallatteggiamento
che i movimenti avranno maturato nei riguardi dello Stato e del
potere in genere.
Le ultime elezioni per il Parlamento europeo hanno dato delle
risposte concrete, anche se certamente non univoche. Per esem-
pio in Spagna abbiamo avuto, da una parte, Podemos di Pablo
Iglesias che raccoglie direttamente la energia del 15M, il mo-
vimento degli indignados (smentendo sonoramente quanti si
erano affrettati a dire che il movimento si sarebbe consumato
come un fuoco di paglia), che ha raggiunto un ragguardevole ri-
sultato elettorale (l8%), dallaltra Izquierda Unida (10%) che
rappresentata una pi tradizionale modalit di cartello elettorale
delle opposizioni. Tutti e due, comunque, partecipano al gruppo
della Sinistra Europea. In Grecia Syriza di Alexis Tsipras, nel
______________________
I. Wallerstein, La sinistra mondiale dopo il 2011, tradotto e pubblicato in
283

www.democraziakmzero, 16 gennaio 2012.


157
fuoco della protesta popolare contro le misure dausterit im-
poste dai potentati economici europei, riuscita nel miracolo
di mettere assieme le tradizioni partitiche e le esperienze movi-
mentiste raggiungendo risultati elettorali eccezionali (27%). Il
caso italiano il pi triste dEuropa. Nonostante il tentativo di
importare il modello Syriza e di impedire cos la frammenta-
zione dellofferta elettorale, il 4% dei voti raggiunto dalla Lista
per LAltra Europa e lo 0,9% dei Verdi rappresentano un risul-
tato terribilmente modesto284.

La debole democrazia delibante

Le risposte alla crisi della rappresentanza che vengono dal


gran orire delle best practices di governance concertativa, dette
anche di democrazia partecipata/deliberativa, non sembrano
adeguate a rispondere alle esigenze poste dai nuovi movimenti.
Per quanto utili a sviluppare dibattiti pubblici informati e a de-
libare questioni complesse e coinvolgenti interessi contrastanti,
spesso si tratta di tecniche di partecipazione assistita, com-
plementare e aggiuntiva a quella consueta, che non spostano di
una virgola i rapporti di potere (viziati da uno squilibrio ab ori-
gine) tra gli stakeholders. Uno studio promosso dalla Cgil sullap-
plicazione della pi avanzata legge regionale esistente in materia
di sostegno ai processi partecipativi, la legge n.69 del 2007 della
Toscana, non sembra molto confortante. La riprova sono lo
scarso numero di pratiche di democrazia partecipativa avviate
su iniziativa dei cittadini e la constatazione che molto difcile
che la democrazia rappresentativa faccia proprie con sincera e
______________________
284
Per unanalisi dettagliata del risultato ottenuto dalla lista Per unAltra Eu-
ropa con Tsipras si veda la relazione di Marco Revelli tenuta il 19 luglio al-
lassemblea della lista al Teatro Vittoria a Roma (disponibile su
www.listatsipras.eu).

158
concreta adesione alcune rivendicazioni del movimento riguar-
danti i beni comuni285.
Pi interessanti forse le prospettive che si aprono seguendo il
principio di sussidiariet orizzontale che prevede iniziative civiche
rilevanti per linteresse generale, come recita lArticolo 118 rifor-
mulato della nostra Costituzione. Cos che, secondo Giuseppe
Cotturri, La legittimazione del suo (del cittadino attivo) inter-
vento non pu in alcun modo essere dedotta da concetti legati al
sistema teorico della delega e della rappresentanza286. Sarebbe
ancora pi interessante sviluppare forme di controllo e sorve-
glianza dal basso, di accountability, che passano sotto la denizione
di contro-democrazia287 e che possono giungere no alla riven-
dicazione del diritto alla disubbidienza civile.
C anche chi critica le forme della democrazia partecipativa
da un punto di vista opposto. Una schiera di giuristi progressisti
sembra voler dire ai movimenti: Scendete dalle nuvole!, limi-
tiamoci ad adattare lidea di democrazia (quella che ci ha dato
la grande Atene) alla nostra societ moderna e complessa,
cio, alle esigenze contrattualistiche del mercato. Tra questi
Nadia Urbinati, nota costituzionalista di riferimento del centro
sinistra italiano, ha accusato la democrazia partecipata nelle
sue forme di sondaggio partecipativo, forum ecc., di essere
troppo alternative alle forme di democrazia rappresentativa tra-
dizionale, elettorale. La Urbinati afferma con grande crudezza:

Bisognerebbe far cadere il mito della democrazia diretta e fare i


conti con lunica democrazia che abbiamo, che quella rappresenta-
______________________
285
U. Allegretti, Introduzione, in F. Bortolotti - C. Corsi (a cura di), La parteci-
pazione politica e sociale tra crisi e innovazione. Il caso della Toscana, Ediesse, Roma,
2012, p. 46.
286
G. Cotturri, Democrazia deliberativa e partecipativa, sussidiariet orizzontale, in
www.nonperprofitto.it.
287
P. Rosanvallon, Controdemocrazia. La politica nellera della sfiducia, Castelvecchi,
Roma, 2012
159
tiva, la quale non un ripiego, ma il sistema politico che meglio cor-
risponde alla societ moderna. Una societ basata sulla divisione del
lavoro una societ nella quale tutti i rapporti sociali sono rappre-
sentativi [] Dove c scambio via denaro, invece che baratto, l c
una societ che in tutti i suoi settori una societ fondata su rapporti
indiretti e quindi rappresentativi: io non costruisco i miei beni diret-
tamente, ma li acquisto da altri e questa relazione tra me e gli altri
comporta rappresentanza e mediazione. Questo avviene a tutti i livelli,
non semplicemente nella politica288.

Un senso di realismo che non lascia scampo, privo perno


della perda ironia di un Winston Churchill quando affermava
che la democrazia la peggiore forma di governo, eccezion
fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate nora.
Ma che esprime una dura verit: le forme di governo seguono i
desiderati delle forze economiche marcianti. Dove prevale il
mercato, dove il rapporto tra gli individui prende la forma so-
ciale del contratto mercantile, allora inevitabilmente gli interessi
delle parti (gli stakeholders) devono trovare delle istituzioni che
funzionino da camere di compensazione. A questo dovreb-
bero servire le assemblee elettive e gli apparati statali nellera
della dittatura del mercato. E questo ci dice la Urbinati: il com-
pito dello stato moderno altro non che regolare gli scambi
economici (quelli che si misurano con il denaro) tra gli interessi
particolari che si scontrano sul terreno delleconomia. Ma cos
si escludono tutte quelle parti della societ prive di peso nella
formazione della ricchezza monetaria della nazione. Qui sta la
base dello scandalo morale della democrazia liberale piegata
e catturata dalleconomia di mercato. Al contrario della Urbinati,
penso che ci che la democrazia dovrebbe consentire di mettere
a confronto e (possibilmente) in comune non sono soltanto
cose appartenenti allordine dei beni scambiabili, ma anche idee,
______________________
288
Intervista a N. Urbinati, Democrazia e partigianeria, G. Saporetti, in Una
citt, n. 144, dicembre-gennaio 2007.
160
pensieri, valori, saperi, progetti di vita, visioni di futuro che
fanno parte dellordine dei beni non scambiabili, senza-valore
perch incommensurabili dal denaro. Esistono per fortuna an-
cora sfere di relazioni umane che ruotano attorno alla solidariet,
al dono, alla ducia reciproca, alla fruizione condivisa e alla re-
stituzione che meritano considerazione e che rivendicano forme
di democrazia appropriate e corrispondenti. Un pensiero auten-
ticamente democratico dovrebbe non mutuare i suoi modelli di
funzionamento da quelli del mercato.
Tutti i migliori tentativi n qui sperimentati di dar vita a
forme e procedure di partecipazione (forum di discussione, son-
daggi informativi, bilanci partecipati ecc.) sono stati pensati solo
in funzione di scossa e stimolo, integrativi e preparatori alla
decisione pubblica che deve per rimanere in capo al sistema
rappresentativo gerarchico delle istituzioni politiche elette, senza
che avvenga alcuna effettiva cessione di potere. Le forme di
partecipazione dirette dei cittadini/e, al pi, possono servire per
migliorare la rappresentativit delle istituzioni (consulte, forum,
membri aggiunti, commissioni paritetiche ecc.), ma non devono
essere concepite n come autonome, n come migliori, cio pi
rappresentative e democratiche. Insomma, il massimo della de-
mocrazia consentita e possibile nella nostra societ sono le as-
semblee elettive. Il compito dei democratici limitato a fare in
modo che funzionino al meglio, in sintonia e in continuum tra
elettore ed eletto (advocacy).
Come si capisce bene, lobiettivo dei movimenti che qui ci
interessano, non si pu limitare ad oliare gli ingranaggi dellap-
parato istituzionale. I movimenti cosiddetti antagonistici non
cercano di accorciare le distanze che, secondo i teoremi clas-
sici di Michels, inevitabilmente separano governati e governanti,
diretti e dirigenti, sopra e sotto, quanto piuttosto di eliminarle
del tutto. Non si tratta di democratizzare la democrazia ren-
dendo i luoghi della decisione un po pi permeabili, ma di ri-
utare in radice la divisione dei compiti tra movimenti sociali
161
e soggetti politici, laddove stabilito che ai primi afdato il
compito dellagitazione e ai secondi quello del governo.
I nuovi movimenti sociali ambiscono a rompere lo schema
liberale tradizionale secondo cui le masse, ritenute prive di vi-
sione generale e incapaci di produrre mediazioni per proprio
conto, debbano, per contare nelle decisioni, parlamentarizzarsi
passando attraverso lazione di selezione delle rappresentanze
esercitata dai partiti. Uno schema binario dove la natura dei
movimenti sociali e quella delle rappresentanze politiche riman-
gono identiche a se stesse e sempre separate.
Anche il pensiero della sinistra politica non va oltre lauspicio
del miglioramento del rapporto tra le due polarit, limitandosi
ad auspicare che movimenti e partiti riescano a trovare un rap-
porto di pari dignit (Giulio Marcon289), un punto di incon-
tro a met strada (Mario Tronti290), una interlocuzione
dinamica tra le forze dellauto-organizzazione e quelle sempre
pi leggere della rappresentanza (Marco Revelli291). Ancora pi
chiaro Paolo Flores dArcais: Il nodo quindi costruire una
classe politica in grado di ascoltare i movimenti []. Una nuova
classe politica che sappia davvero svolgere il ruolo della media-
zione istituzionale, senza coinvolgerli necessariamente in un im-
pegno diretto in se stessa292. Secondo questa impostazione
risulta possibile passare da una parte allaltra dello steccato, ma
guai a buttarlo gi, abbattendo le false autonomie che servono
______________________
289
G. Marcon, Come fare politica senza entrare in un partito, Feltrinelli, Milano, 2005.
290
Per M. Tronti la politica va in crisi quando non riesce ad esercitare il suo
primato. E non riesce ad esercitare il suo primato quando non ha la forza
della sua autonomia. Per cui, non bisogna mai illudersi che improvvise
spontanee insorgenze dal basso possano minimamente, e stabilmente, im-
pensierire i proprietari effettivi del potere. M. Tronti, Per la critica del presente,
Crs Ediesse, 2013, p. 25-46.
291
M. Revelli, op. cit.
292
P. Flores dArcais, Conclusioni, Tavola rotonda, in Micromega, giugno
2013.

162
solo a mantenere le masse nel loro stato corporativo e a man-
tenere la rappresentanza politica al disopra della societ. Scriveva
Marco Bascetta:

Questa ripartizione dei compiti, questa mezza rappresentanza, la-


scia inalterate le forme tradizionali della politica, i partiti e lo stato, ai
quali resta comunque la parola denitiva o, per dirla altrimenti, il po-
tere esecutivo. Il potere di scegliere, discriminare, selezionare. E priva
al tempo stesso i movimenti della capacit di affermare autonoma-
mente, e fuori da ogni mediazione istituzionale, praticandoli diretta-
mente, comportamenti, forme di vita, diritti futuri. Capacit che dei
movimenti costituisce la sostanza politica pi propria 293.

Inne bisognerebbe avere la fantasia e la forza di reinventare


una democrazia di nuovo tipo, una nuova concezione della demo-
crazia, una democrazia radicale, reale, autentica, sociale, insor-
gente, direbbe Miguel Abensour294, con cui tentare lesperimento
di eliminare alla radice la causa della separazione tra cittadino-elet-
tore ed eletto-governante insita nella delega. Si vericherebbe allora
un rovesciamento del senso che comunemente si attribuisce alla
democrazia; la sua qualit non risiede tanto nel grado di partecipa-
zione al potere che garantisce (inclusione verticale), ma nella di-
spersione e diffusione orizzontale del potere che consentirebbe
attraverso la decentralizzazione, la moltiplicazione e la distribuzione
delle sedi della decisione. E, in linea di tendenza, annullarle del

______________________
293
M. Bascetta, in Il Manifesto, il 2 febbraio 2006.
294
Abensour spiega la scelta di questo termine, perch, dice: Lazione politica
di cui parliamo non avviene in un momento, ma unazione continuata che
si iscrive nel tempo, sempre pronta a riprendere slancio in ragione degli osta-
coli incontrati. Si tratta della nascita di un processo complesso, di una istitu-
zione del sociale orientata verso il non-dominio, che si inventa in permanenza
per meglio perseverare nel suo essere e dissolvere i contromovimenti, che
minacciano di annientarla e di ritornare a uno stato di dominio. M. Aben-
sour, La democrazia contro lo stato, Cronopio, Napoli, 2008, p. 8.

163
tutto. Come racconta Kingsnorth a proposito della rivoluzione za-
patista: il loro scopo non era quello di prendere il potere in nome
del popolo, ma di disperderlo al livello delle comunit295.

Democrazia in radice

Solo il recupero degli originari principi ispiratori democratici


pu rigenerare le sue pratiche. Occorre attingere agli enunciati della
democrazia intesa come il regime delle libert che richiede un in-
sieme di tecniche e di regole volte a creare un governo di tutti
esercitato da tutti, basato su relazioni di uguaglianza e di libert296.
La democrazia viene prima e va oltre la rappresentanza. Mi-
guel Abensour ha scritto: La democrazia non un regime ma
innanzitutto unazione, una modalit dellagire politico, specica
nel senso che lirruzione del demos, del popolo nella scena poli-
tica, in opposizione a quello che Machiavelli chiamava i Grandi,
combatte per instaurare uno stato di non-dominio nella citt297.
Un processo di estensione in tutti gli ambiti delle libert e del-
luguaglianza di ogni essere umano. I movimenti, insomma, che
vediamo allopera e agire come umi carsici sotto i radar del
mass media, potrebbero nalmente prospettare una soluzione
allantica questione lasciata irrisolta dalle esperienze storiche del
movimento operaio: la composizione di libert ed uguaglianza,
diritti universali e diversit, nella sostenibilit ecologica e nella
condivisione sociale.
E non dobbiamo nemmeno pensare (come invece fanno
molti realisti disincantati e rinunciatari) che la partecipazione
non sia una aspirazione permanente dei cittadini, per il solo fatto
______________________
295
P. Kingsnorth, Un no molti s. Viaggio nel cuore delle resistenze alla globalizza-
zione, Ponte delle grazie, Milano, 2003, p. 9.
296
M. Hardt - T. Negri, Questo non un manifesto, Feltrinelli, Milano, 2012.
297
M. Abensour, op. cit., pp. 4-8.
164
che oggi viene a loro negata. Torniamo, quindi, allidea di de-
mocrazia che ognuno di noi ha.
C unaltra lettura di Norberto Bobbio da poter ricordare:
Sino a che i due grandi blocchi di potere dallalto che esistono
nelle societ avanzate, limpresa e lapparato amministrativo, non
vengono intaccati dal processo di democraticizzazione [] il
processo di democraticizzazione non pu dirsi compiuto. E
questo quello che Bobbio chiamava il passaggio dalla demo-
crazia politica alla democrazia sociale 298, cio il controllo pub-
blico delleconomia.
In questa visione della democrazia (che in sintonia con una
visione del mondo, degli individui e della politica) si capisce bene
che essa intesa come un processo. Jacques Rancire ha affer-
mato: La democrazia lazione che strappa continuamente ai
governi oligarchici il monopolio della vita pubblica e alla ric-
chezza lonnipotenza sulla vita299. Cornelius Castoriadis scrisse:
Sotto la cenere della stabilit della societ istituita cova la brace
del cambiamento300, cio della societ istituente.
Su tale lone si iscrive il pensiero di Ugo Mattei:

Il potere, sempre nemico in qualsiasi forma costituito, viene dif-


fuso dalla politica del comune no alla sua ideale scomparsa. Il pro-
cesso decisionale del comune sempre dialettico e condiviso. In
questo senso non pu essere governo. In effetti il comune incom-
patibile con la separazione positivistica fra soggetto ed oggetto, quella
soggettivit che esercita potere su una entit oggettiva che costituisce
il presupposto per la traduzione in termini di giuridicit alloccidentale
del suo governo [] Il comune non un oggetto ed in quanto tale
non pu essere n trasformato in merce n dominato (dominium)301.
______________________
298
N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, p. 15.
299
J. Rancire, Lodio per la democrazia, Cronopio, Napoli, 2007, p. 115.
300
C. Castoriadis, La rivoluzione democratica, Eluthera, Milano, 2001.
301
U. Mattei, Teoria e prassi costituente nel governo del comune, in Annali Fondazione
Basso, Tempo di beni comuni. Studi multidisciplinari, Ediesse, Roma, 2013, p. 327.
165
La stessa idea di regime di legalit (che potremmo facil-
mente estendere no allo stato di diritto) viene demisticata
come falsamente neutrale nei confronti della lotta permanente
per la libert e la giustizia sociale. Che vanno viste assieme: non
si uguali no a che qualcuno ha la possibilit di esercitare
poteri diversi sugli altri.
Per contrastare il processo oggi in atto di decadenza/crisi/de-
generazione della democrazia rappresentativa necessario non un
semplice aggiustamento (e come poi?), ma un riaggancio ad
unidea radicale e originaria di democrazia. Un salto di sistema. La
democrazia, in radice, una tensione permanente allautogoverno.
Un conitto inesauribile tra demos e kratos (in contrapposizione alla
dominazione), come processo evolutivo, auto-formativo e auto-
trasformativo. Una rivendicazione continua di allargamento della
partecipazione alle scelte, una pressione per estendere sempre di
pi gli spazi della decisione pubblica, cio politica. La democrazia,
se presa sul serio come afferma anche un liberale radicale
come Flores dArcais una rivolta permanente capace di ap-
prossimare la coerenza democratica, cio lauto-nomos, la pos-
sibilit di darsi da s la propria legge, esercitando la libert e il
potere di-tutti-e-di-ciascuno302.
In fondo credo che i veri democratici pensino che vi sia una
domanda incontenibile di libert, una insofferenza naturale
nellindole umana contro ogni costrizione. Quasi una legge spi-
rituale della libert individuale, che risponde allideale kantiano
della autolegislazione dellessere umano. Il fare democrazia
, quindi, tuttuno con lempowerment, con la capacitazione stu-
diata e teorizzata da Amartya Sen. Il tentativo di darsi il potere
da soli, di autoemancipazione, di autonomia dal potere costi-
tuito, di autocostruzione delle norme sociali: anti/contro-po-
tere/dominio.

______________________
302
P. Flores dArcais, op. cit., p. 16.

166
La democrazia discende da una visione antropologica ottimi-
stica, da una totale ducia nelle capacit di comprensione delle
cose e dei rapporti interpersonali e nelle possibilit di autonor-
marsi (per il bene proprio e di tutti) di ogni singolo essere umano.
Assunzione di responsabilit e sussidiariet. In ognuno di noi, di-
ceva Gandhi, c la facolt di discernere il bene e il male. Se fos-
simo davvero liberi (da condizionamenti, da manipolazioni, da
costrizioni) di rispondere in coscienza, non avremmo dubbi nel
giudicare e nello scegliere, come non ce li ha un bambino.

Il sentiero si traccia camminando

Democrazia in crisi: allora cosa? il titolo di un articolo di An-


tonio Martins303. Da qui bisogna partire. Proviamo a formulare
qualche domanda che probabilmente non potr avere risposte
univoche. possibile immaginare unazione collettiva delle
moltitudini (che per denizione sono parecchie, differenti
e plurali) senza pensare di dover passare attraverso forme di rap-
presentanza e di mediazione? Come possono acquisire rilevanza
pubblica e legittimarsi gruppi sociali che operano per creare
ambiti di comunit autonormate304, forme condivise di ge-
stione dei beni comuni305, che si sottraggono ai dispositivi di co-
mando fondati sul denaro e su sistemi di potere verticali e
gerarchici?
Del resto, come possono i movimenti auto-rappresentarsi in
un sistema politico fondato sulla democrazia della maggio-
ranza, sempre pi chiusa alle istanze che i movimenti vogliono
______________________
303
Antonio Martins uno dei promotori del Forum Sociale Mondiale, diret-
tore del sito brasiliano www.outraspalavras.net; Democrazia in crisi: allora cosa?,
in www.democraziakmzero.org, 30 gennaio 2013.
304
G. Esteva, Antistasis. Linsurrezione in corso, Asterios, 2012.
305
F. Gesualdi, Facciamo da soli, Altreconomia, 2012.
167
rappresentare? possibile immaginare che il processo istituente
nuove relazioni sociali solidali, proceda in modo del tutto auto-
nomo, come uno stato nello stato, indifferente allassetto dei
poteri costituiti?306 La trasformazione dellassetto dei poteri co-
stituiti un processo automatico e spontaneo, che avviene per
contaminazione virale mano a mano che crescono le zone li-
berate e autogestite, oppure necessario che i movimenti del
cambiamento ingaggino un confronto ravvicinato anche con la
politica istituzionale, dedichino una attenzione specica e pro-
ducano un proprio sapere politico, una propria rappresentanza,
una capacit di mediazione ecc. ?307
Come detto, le risposte possono rimanere aperte. Prendiamo,
ad esempio, uno degli osservatori pi interni a Occupy, Gaun-
tney: Laspetto radicalmente democratico e senza leader di que-
sto movimento pone la domanda di come cooperazione e cura
reciproca possono prendere il posto della competizione come
principio di fondo nella costruzione di comunit e istituzioni so-
ciali308. Del resto Noam Chomsky ci ricorda pragmaticamente
che delineare i dettagli della forma della societ futura sfugge
alla nostra comprensione309. Il sentiero si traccia camminando,
passo dopo passo, senza per perdere di vista il legame intimo
che vi tra i contenuti delle mobilitazioni, la composizione sociale
dei soggetti che li promuovono, i linguaggi e le tecniche adoperate
e, inne, le forme di associazione e di auto-organizzazione al loro
interno. Unaspirazione di fondo e di lunga portata accomuna le
esperienze che osserviamo nei movimenti: creare relazioni umane
e sociali, forme di vita, di convivenza e di cooperazione interper-
______________________
306
M. Hardt - J. Hollway, Come creare il comune, incrinare il capitalismo. Uno scambio
di lettere, e-book in www.democraziakmzero.org, febbraio 2013.
307
M. Deriu, Verso una politica critica e solidale, Congresso Gas/Des, Osnago, 2012.
308
H. Gauntney, Perch Occupy Wall Street non vuole avere a che fare con i nostri po-
litici, in Washington Post, 21 ottobre 2011.
309
N. Chomsky, Anarchismo. Contro i modelli culturali imposti, Marco Tropea,
Milano, 2009.
168
sonali (Peer To Peer production) il pi possibile libere dalla dipendenza
del mercato, dai sistemi di produzione e di sostentamento vincolati
alle logiche della massimizzazione dei risultati, dellaccumulazione
e del protto. Insomma, come esortava i suoi concittadini irlandesi
Michael Collins a Dublino nel 1916, bisognava cercare di fare
come se lImpero britannico non esistesse: Non seguire pi le
sue regole, inventarne delle nostre. Combattere il potere igno-
randolo. Imparare larte di non essere governati. Un po come gi
fanno i gruppi di Transition Town che cercano di organizzare la
vita delle loro comunit come se il petrolio non ci fosse gi pi.
Un po come fanno i Centri sociali occupati. Inventarsi un modo
di vivere post-sviluppo e post-capitalista.

Movimenti caleidoscopici

Se cos, i soggetti del processo di democraticizzazione non


possono che essere le persone in carne ed ossa che si auto-or-
ganizzano. Non so come altro chiamare questa forza se non
movimenti sociali. Movimenti di individui sociali che si coa-
lizzano e cooperano con determinati scopi collettivi, di interesse
comune. Ha scritto Harry Cleaver, citato da Chris Carlsson:

La base di una rivoluzione che abbia successo e che dia forza a


nuovi mondi va ricercata nellinnit di ribellioni atomistiche e mole-
colari con cui gli individui sconnettono il sistema nervoso delle rela-
zioni capitale-lavoro e creano relazioni alternative, per quanto
temporanee e limitate queste sconnessioni e queste alternative possano
essere310.

A ben vedere, con i suoi alti e bassi, nella storia anche recente
e anche solo nazionale, sempre stato cos. Sarebbe interessante
______________________
310
C. Carlsson, op. cit., p. 164.

169
tracciare una storia delle varie fasi attraversate dai movimenti so-
ciali e delle loro varie caratteristiche: collaterali ai partiti nel do-
poguerra; autonomi e spontanei nel Sessantotto; single-issue,
monoscopo e frantumati in gruppi di interesse negli anni Ottanta;
interstiziali, corporativizzati e proceduralizzati dagli istituti di
democrazia rappresentativa negli anni Novanta; movimenti di
nuovo tipo a cavallo del secolo, con il movimento dei movi-
menti altermondialista che scardina le tradizionali tassonomie:
di massa ma non spontaneo, n disorganizzato (vedi il Social
Forum Mondiale), capace di fare opinione e di fare pressione sui
poteri istituiti, ma non collaterale, composto da tante associazioni,
ma non integrato, capace di una visione politica generale, ma non
rappresentabile da una parte-partito nella sfera delle istituzioni.
Esiste una forma politica caleidoscopica fatta di tanti fram-
menti colorati e pieni di energia: gruppi di iniziativa sociale, as-
sociazioni, collettivi, comitati popolari, rappresentanze sindacali
di base, comunit sostanziali costituenti che generano in con-
tinuazione forme sempre nuove e diverse di anelli di solida-
riet, reti territoriali nazionali e transnazionali, istanze di
resistenza e di cittadinanza attiva diffusa. possibile pensare
che sappiano dar vita ad un processo collettivo plurale che con-
duca ad una loro autorappresentazione politica. Certo, un mo-
vimento ancora tutto da indagare, non ancora capito dalle
sinistre politiche tradizionali di ispirazione marxista e di cultura
operaia. Forse sono le stesse ragioni che nel 68 impedirono ai
partiti comunisti e socialisti di comprendere la novit del movi-
mento antisistemico, perch antiautoritario e antigerarchico, di
allora. Si tratta di un dibattito aperto da tantissimo tempo e an-
cora non risolto.
Scriveva Angelo Bolaf:

Il movimento di massa concepito (dai partiti tradizionali della si-


nistra, ndr) come qualcosa di informale, una sorta di torso michelan-
giolesco, non pi semplicemente sociale ma non anche politico []

170
lautonomia dei movimenti di massa sempre intesa restrittivamente a
sovranit limitata, in attesa di un ne ultimo, cio di essere parlamen-
tarizzata e completamente sintetizzata nella forma partito311.

A partire dal 68, passando per Seattle, Porto Alegre, Genova


e Firenze ad oggi, si aperto un doppio movimento: da una
parte i sistemi politici si sono autonomizzati dai corpi sociali, dal-
laltra i movimenti sociali si sono caricati non solo della rappre-
sentazione della protesta, ma anche di un impegno etico e
cognitivo propriamente ed essenzialmente politico. Pino Ferraris
invitava a cogliere lesperienza ricostruttiva e propositiva che ma-
tura sempre allinterno di ogni conitto di politicizzazione del so-
ciale. Servono esempi? Val di Susa solo uno dei tanti in cui la
mobilitazione non solo scontro, ma elaborazione di saperi e di
capacit critica autonoma. Non solo, questa volont di riappro-
priazione delle proprie condizioni di vita non si limita a denunciare
la protervia di poteri esterni, ma mette in moto pratiche concrete
diffuse quotidiane di impegno civico e solidale. il volto sociale
della politica che diventa larte di non farsi governare da altri.
attivazione del fare da s solidaristico. capacitazione contro ub-
bidienza. conquista di spazi di autonomia e di autogestione
delle persone e delle libere associazioni312.
Secondo la mia opinione, i movimenti sociali (della societ
civile, della cittadinanza attiva moltitudinari) sono gi piena-
mente e propriamente politici. Anzi, sono la politica, se intesa
come lattivit che trasforma i modi di vedere le cose, di perce-
pire se stessi, di comportarsi e di relazionarsi con gli altri, con
lambiente esterno, con la natura.
Una politica che voglia davvero porsi il problema della trasfor-
mazione della societ in senso democratico e di giustizia, non pu
______________________
311
A. Bolaffi, Nuovi soggetti e progetto operaio, in AA. VV., Il partito politico, de
Donato, Bari, 1981, p. 154.
312
P. Ferraris, relazione al convegno sulla Forma della politica, organizzato da
Rete@sinistra, Firenze, 5 luglio 2008.
171
non avere lobiettivo (una precondizione) di facilitare e organiz-
zare la formazione di movimenti di persone impegnati in prima
persona nel sociale. Per questa ragione sono utili tutte le forme,
anche parziali, anche provvisorie, che allargano le occasioni di in-
contro e di relazione diretta tra le persone. necessario trovare
forme di comunicazione e di associazione coerenti con le forme
della politica diffusa, parziale e plurale che i movimenti praticano.
Serve creativit organizzativa tale da superare ogni riduzionismo
ad uno della pluralit dei movimenti. Riprendo, ancora una
volta, Pino Ferraris, che sulla scorta dello studio di alcune espe-
rienze storiche, auspicava la formazione di una rete solidale delle
autonomie sociali confederate313.
Capisco che si tratta di superare modi di pensare consolidati
e costituzionalizzati nellArticolo 49. I partiti, e solo loro, sono
chiamati a concorrere a determinare la politica nazionale. Im-
maginare una democrazia oltre la rappresentanza cosa non fa-
cile: serve decolonizzare la mente dallidea che la politica sia solo
quella cosa che si conchiude dentro la sfera istituzionale nel
gioco stretto elezioni-partiti-governo. Per riuscirci serve passare
attraverso una critica serrata e spietata alle forme di democrazia
esistenti, reali. Senza unopera di disvelamento, di decostruzione
ideologica, di disconoscimento della presunta neutralit dello
Stato, non sar possibile fare molta strada. La sinistra politica
malata di statolatria (in tutte le sue varie forme: parlamentarismo
e rivoluzionarismo) perch non ha sviluppato una propria teoria
dello stato. Trovo straordinarie le pagine di Carlo Levi, scritte a
Firenze nel 1945, appena tornato dal conno in Basilicata, che
descrivono i suoi tentativi di far capire la questione meridio-
nale ai suoi conoscenti (antifascisti o meno) di Torino:

Per tutti, lo Stato avrebbe dovuto fare qualcosa, qualcosa di molto


utile, beneco e provvidenziale: e mi avevano guardato con stupore
______________________
313
P. Ferraris, Ieri e domani, p. 13.

172
quando io avevo detto che lo Stato, come essi lo intendevano, era in-
vece lostacolo fondamentale a che si facesse qualche cosa [] per la
ragione che quello che noi chiamiamo problema meridionale non
altro che problema dello Stato.[] Questa strada si chiama autonomia.
Lo Stato non pu essere che linsieme di innite autonomie, una or-
ganica federazione. Per i contadini, la cellula dello Stato, quella sola
per cui essi potranno partecipare alla molteplice vita collettiva, non
pu che essere il comune rurale autonomo [] Ma lautonomia del
comune rurale non potr esistere senza lautonomia delle fabbriche,
delle scuole, delle citt, di tutte le forme della vita sociale314.

Sono passati molti anni, ma giriamo ancora attorno a questo


nodo: come immaginare un mondo autogovernato da comunit
democratiche e in collegamento tra loro, capaci di porsi in rela-
zioni aperte su varie scale (locali, nazionali, continentali, globali)
e sui diversi temi di interesse comune. Creare reti di comunit
come dice Alberto Magnaghi in grado di gestire non solo
il proprio territorio, ma di organizzare dal basso anche ambiti
della vita che eccedono la dimensione comunale, rovesciando la
logica che ora va dal nazionale al locale315.

Nuove forme di organizzazione

Da qui bisogna ripartire dando vita ad un processo che dia


forma a uno spazio pubblico aperto, condiviso, includente, che
sia anche efcace, capace cio di contendere ai poteri costituiti
(economici e politici) il monopolio della decisione, non pu che
nascere e trovare radici fuori e contro le istituzioni democratiche
realmente esistenti. Penso ad una forza politica capace di pro-
______________________
314
C. Levi, Cristo si fermato ad Eboli, Einaudi, Torino, 1945, p. 223. Levi ap-
pena tornato dal confino e scrive queste pagine nella Firenze appena liberata,
pp. 221-223.
315
M. Pezzella, op. cit., p. 25.
173
muovere in proprio trasformazione e negoziazione. Insomma,
penso ad un soggetto politico plurale che sappia aprire processi
di produzione di coscienza e di idealit dallinterno dellespe-
rienza sociale del lavoro e della vita e nel corso dellazione diretta
delle grandi masse316. Lunica strada possibile dare vita ad un
movimento di convergenza tra le innumerevoli forme di auto-
nomie sociali che operano a livello locale e che spesso sono gi
legate tra loro da patti federativi di mutuo aiuto, da collabora-
zioni concrete e solidali. Una coalizione di movimenti critici, un
processo di messa in comune delle singole pluriverse appar-
tenenze, molteplici identit e culture, al ne di condividere e al-
largare gli spazi pubblici di democrazia e, cos facendo, innovare
il modello di democrazia rappresentativa oggi esistente. Il ne
quello di dare vita ad una fase costituente ispirata ai principi
della partecipazione effettiva, della decentralizzazione dei poteri
a favore delle autonomie locali e della sussidiariet orizzontale,
della democrazia economica e autonomia delle politiche nan-
ziarie, di costituzionalizzazione dei beni comuni per evitare ogni
loro alienazione.
Come si capisce, non si tratta solo di cambiare le regole del
gioco elettorale per consentire agli elettori di scegliere i propri
rappresentanti, ammesso che non siano gi stati comprati dalle
lobby economiche, ma di far esprimere direttamente i movi-
menti della cittadinanza attiva. Si tratta di superare un vecchio
pregiudizio secondo cui i movimenti che operano nel sociale
sarebbero capaci solo di protestare, e, al massimo, provocare
qualche disordine di piazza momentaneo, ma non sarebbero in
grado di sviluppare per proprio conto proposte, capacit di me-
diazione politica, forme di gestione dei beni comuni, ruoli anche
di governo nellinteresse generale. Quasi che i movimenti della
cittadinanza attiva debbano essere tenuti sotto tutela e lontani
dalle sedi decisionali, obbligatoriamente costretti a farsi rappre-
______________________
316
P. Ferraris, Praticare lobiettivo, pp. 10-14.

174
sentare da professionisti specializzati nella scienza della media-
zione politica. Questa intermediazione nalmente saltata in
aria con la disaffezione alle elezioni che sta sduciando lintera
offerta di rappresentanza predisposta dal sistema dei partiti
tradizionali. Ma non stata ancora trovata una loro sostituzione
con forme di rappresentanza pi soddisfacenti. Non per respon-
sabilit di qualcuno, ma per un eccesso di timidezza e di timore
da parte degli stessi movimenti della cittadinanza attiva.
La domanda se sia possibile ipotizzare una forma di azione
e di organizzazione politica antigerarchica, orizzontale, decen-
tralizzata, profondamente pluralista, immune da ogni deriva oli-
garchica, che sappia cogliere i nessi tra i mille conitti di interessi
e i valori che attraversano la nostra societ e che sappia risalire
alle sue cause scatenanti: liniquit distributiva della ricchezza so-
ciale prodotta, la insostenibilit ambientale del sistema econo-
mico di produzione e di consumo, linsopportabile ingiustizia
nella gestione dei beni comuni, lodioso dominio patriarcale nelle
relazioni tra i generi.
Non vero che non vi siano state esperienze storiche diverse
da quelle dei partiti tradizionali e loni di pensiero innovativi.
Restando in Italia pensiamo solo ai Laboratori di democrazia di
Danilo Dolci, ai Centri di orientamento sociale di Aldo Capitini,
alle Case del popolo e alle Camere del lavoro. C molto da stu-
diare, da recuperare e da sperimentare. Uno scatto di soggettivit
potrebbe modicare la situazione politica. Due potrebbero es-
sere le robuste gambe di una possibile ripresa dellazione poli-
tica-sociale dal basso: la galassia dei movimenti territoriali e
larcipelago delle liste locali di cittadinanza.
Le nuove scienze dellorganizzazione e le tecnologie infor-
matiche possono aiutare a concepire e a realizzare sistemi fun-
zionali di partecipazione e di decisione orizzontali, ascendenti,
con connessioni molteplici, non gerarchici, trasparenti, privi di
centro, di leader carismatici e di burocrazie che si fanno oli-
garchiche. Senza far scomparire i gruppi, i comitati, i collettivi,
175
le associazioni che concretamente fanno societ, conig-
gendo, sperimentando, organizzando la quotidiana lotta della
gente comune per la dignit del vivere.
giunto il momento di uscire allo scoperto. giunto il mo-
mento di lanciare una grande campagna dei movimenti della cit-
tadinanza attiva per la democrazia, aprirne le porte e occuparla
con le genuine istanze di chi quanti operano nella societ. Il Mo-
vimento 5 Stelle era partito bene portando lapriscatole in Par-
lamento, ma ha accettato subito di mettersi la cravatta!
Si tratta di trasformare la semplice partecipazione popolare
in un vero moto di protagonismo diretto. Costruire unorga-
nizzazione priva di centro317 oggi unoperazione non impos-
sibile. Cos come avviene per i modelli produttivi ecologici (Blue
Economy), si tratta di mutuare dalla teoria dei sistemi viventi i
modi e le forme per escludere le strutture gerarchiche di potere
e scegliere invece quelle pi resilienti, cio orizzontali, essibili,
ascendenti, con connessioni molteplici e ridondanti. Per farlo
basterebbero poche e chiare regole: lautonomia inalienabile dei
nodi della rete (che signica libert di entrata e di uscita dei
suoi aderenti); condivisione dei principi fondamentali costituenti
e dei progetti (campagne) di azione comune; un protocollo
di comunicazione che costituisca un tessuto di relazioni assolu-
tamente trasparente tra tutti i nodi. I tecnici la chiamano Cha-
ordic Organization: una combinazione tra caos e ordine.

______________________
J. Croft, Building an Empty Centred Organisation, Dragon Dreaming, in Fact-
317

sheet, n. 17, 23 maggio 2010. Si veda anche M. Bauwens.

176
CAPITOLO VI

Decrescita

Lilluminazione elettrica, i telefoni, le mostre sono


tutte cose buone, cos come i parchi dei divertimenti
con i concerti e le rappresentazioni teatrali, cos come i
sigari, le scatole dei cerini, le bretelle, le automobili, ma
tutte queste cose possono andare in malora e assieme ad
esse tutte le fabbriche di tessuti e di abiti del mondo se
per produrli il 99% della popolazione deve rimanere in
schiavit e morire a migliaia nelle fabbriche necessarie
alla loro produzione. [] Solo se si comprender che
non dobbiamo sacricare la vita dei nostri fratelli per il
nostro tornaconto sar possibile applicare i miglioramenti
tecnici senza distruggere vite umane e organizzare la
vita in modo tale da avvalersi di tutti quei metodi che ci
danno il controllo della natura e che possono essere ap-
plicati senza tenere i nostri fratelli in schiavit.
(Lev Tolstoj, La schiavit del nostro tempo, 1900)

Ci sono due modi di pensare alla decrescita: uno come inelutta-


bile destino determinato dalle crisi economiche, dai rendimenti de-
crescenti, dal picco del petrolio, dalla crescita demograca, dal
riscaldamento globale e cos via; un altro, invece, che deriva da una
scelta volontaria che dice: non vorrei continuare a vivere in questo
modo nemmeno se ci fossero tutte le risorse necessarie. Si do-
mandato Jean Robert: Indipendentemente dai danni evidenti ar-
recati alla natura, non vivremo meglio con meno economia?318.
______________________
318
J. Robert, Prima di qualsiasi dibattito sulla decrescita: le due interpretazioni della
crescita economica, un intervento pronunciato allUniversit di Puebla (Messico)
il 23 marzo 2013, traduzione di Aldo Zanchetta, paper. Robert autore, tra
177
C una bella differenza tra fare delle cose sotto la minaccia
di prossime sventure o per un libero tentativo di perseguire una
vita buona, capace di futuro, piena di senso e possibilmente gio-
iosa. Ogni scelta comporta una rinuncia, ma se consapevole e
volontaria non sar vissuta come un pesante sacricio. Robert
e Edward Skidelsky hanno scritto che ci sono due argomenti
per convincere le persone sulla necessit del cambiamento: uno
debole che mette in guardia sulla insostenibilit della crescita
per la crescita, un altro forte che prospetta una visione della
vita buona, come qualche cosa da perseguire non per senso di
colpa o per paura di un castigo, ma con felicit e speranza319.
Non poi cos male abbandonare una strada solitaria, fati-
cosa e senza sbocco, per imboccarne unaltra da percorrere in
compagnia, raccogliendo ori e cantando!320 Cosa c di pi be-
neco, a livello psichico, del riuscire ad avere comportamenti
individuali non conformi alla routine e cercare di mettere in pra-
tica attivit sociali capaci di beffare il mercato, disubbidendo
le regole auree della teoria economica dominante (i debiti e i
crediti, il pareggio di bilancio, la produttivit, la prestazione
competitiva e via dicendo), conquistando spazi di autonomia
dove agire come se fossimo gi in un altro mondo, con altri
valori e altri principi generali dorganizzazione sociale? Non bi-
sognerebbe mai rinunciare al sogno di riuscire ad essere signori
del nostro tempo e delle nostre menti!
______________________
laltro, di Tempo rubato. Luso dellautomobile nelle nostre citt divorate dal tempo,
Red, 1992.
319
R. - E. Skidelsky, op. cit., p. 167.
320
Laspirazione a una civilt della decrescita il desiderio di ritrovare e di
coltivare la dimensione perduta dellumana esistenza, la misura, la densit e
la profondit della vocazione poetica allemancipazione fraterna. Non solo,
vi anche una dimensione erotica della decrescita conviviale come con-
trappeso attrattivo alla sua giustificata denuncia del degrado delle nostre re-
lazioni con la natura. J.-C. Besson-Girard, Decrescendo cantabile. Piccolo manuale
per una decrescita armoniosa, Jaca Book, Milano, 2007, p. 32-162.

178
Non nemmeno vero che tutte le persone vogliono imitare
i modelli di vita e seguire i comportamenti del prototipo umano
forgiato dal marketing industriale: lindividuo di medio ceto,
buon lavoratore, ottimo consumatore e con scarso spirito critico.
falso lo stereotipo secondo cui i poveri sottosviluppati vo-
gliono imitare i ricchi. In Asia, in America Latina, in Africa vi
sono resistenze forti portate avanti, specie dalle donne, contro
il processo di annientamento delle culture e delle economie locali
e di conglobamento nel sistema mondo321.
I paradossi contro i quali andato a cozzare il modello di svi-
luppo capitalistico sono due, non uno solo: quello detto rebound,
gi studiato da Wiliam Stanley Jevons centocinquanta anni fa (ef-
fetto rimbalzo: pi aumenta lefcienza energetica delle mac-
chine pi aumenta il loro uso e quindi limpatto complessivo del
sistema industriale sullambiente) e quello teorizzato negli anni
Settanta del secolo scorso da Richard A. Easterlin, Daniel Kah-
neman e altri economisti psicologi sociali che hanno studiato la
felicit soggettiva percepita dagli individui: il PIL, oltre una certa
quota, almeno, non coincide con la contentezza dalle singole per-
sone per il proprio status. Il rapporto tra reddito e benessere
diventato molto complicato322. In Portorico e in Messico si sen-
tono pi felici che negli Stati Uniti. Il denaro conta e, molto pro-
babilmente, conter sempre, ma conta anche a quale prezzo lo si
ottiene e cosa ci si fa con quel denaro. Se per ottenere un reddito
devo vendere lanima al diavolo, lavorare in uno stato di continua
precariet, sacricare gli affetti, rimetterci la salute e la dignit, e
se il denaro corrisposto lo devo spendere per fare shopping di
cose futili e inutili, evidente che il gioco non vale la candela.
Altri criteri qualitativi devono entrare in gioco: la sicurezza so-
ciale, la soddisfazione individuale e la realizzazione di s.
______________________
321
J. Martnez Alier, op. cit.
322
Esiste uninfinita letteratura sullargomento. Si veda S. Bartolini, Manifesto
per la felicit. Come passare dalla societ del ben-avere a quella del ben-essere, Feltrinelli,
Milano, 2012.
179
Vediamo allora cosa pu essere decrescita in positivo323. Sul-
largomento c una certa confusione. Per il suo principale pro-
mulgatore, Latouche, poco pi di uno slogan324. Non si sa se
questa prudenza sia dovuta ad una giusta modestia per un pensiero
tutto sommato giovane, o ad un calcolo tattico. Le teorie gene-
rali, infatti, niscono facilmente per degenerare in ideologie, men-
tre pi facile che unidea abbia successo se si radica nella prassi.
Alcuni osservatori affermano che il termine decrescita non sa-
rebbe molto diverso da altri nomi con cui, nel corso della storia e in
diversi posti del mondo, stata denita una vita vissuta con saggia
frugalit: semplicit volontaria (Gandhi e Alex Langer325), so-
briet (Francesco Gesualdi326), austerit (nel senso dato da Enrico
Berlinguer327), joie de vivre (Georgescu Rogen), abbondanza
______________________
323
F. Demaria - F. Schneider - F. Sekulcova J. Martinez-Alier, What is De-
growth? From an Activist Slogan to a Social Movement, in Environmental Values,
n. 22, 2013, pp. 191-215.
324
Latouche scrive: A costo di dispiacere a qualcuno, dichiaro subito che
decrescita non un concetto, almeno nel senso tradizionale del termine,
improprio parlare di teoria della decrescita [] decrescita uno slogan po-
litico con implicazioni teoriche, Setrge Latouche, La scommessa della decrescita,
Feltrinelli, Milano, 2007, p. 11.
325
Credo che il primo e fondamentale messaggio ecologico che oggi si possa
dare semplicemente quello di una vita semplice, di una vita che consumi
poco, di una vita che abbia grande rispetto di tutto quello con cui abbiamo
a che fare, compresi gli animali, comprese le piante, comprese le pietre, com-
preso il paesaggio, cio tutto quello che ci stato dato in prestito e che dob-
biamo restituire agli altri. A. Langer, Diversi noi, in Gennaro Tedesco,
Alexander Langer. Una utopia concreta, Edizioni dal basso, 2003, p. 79.
326
La chiave della soluzione racchiusa nella parola sobriet, che interpella
prevalentemente noi, opulenti del Nord. Solo accettando di produrre e consu-
mare di meno potremo fermare il saccheggio del Sud del mondo, le guerre per
laccaparramento delle risorse, il degrado del pianta e consentire agli impoveriti
di costruire il proprio sviluppo. F. Gesualdi - Centro Nuovo Modello di Svi-
luppo, Sobriet. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 7.
327
Per Berlinguer lausterit era una scelta obbligata e duratura [] un condizio-
nedi salvezza per i popoli delloccidente. Per noi (Pci) lausterit il mezzo per
contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che entrato

180
frugale (Jacque Delors328), buen vivir (nel senso dato dai popoli
andini).
______________________
in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri
distintivi sono lo spreco e lo sperpero, lesaltazione di particolarismi e dellindivi-
dualismo pi sfrenati, del consumismo pi dissennato. Lausterit significa rigore,
efficienza, seriet, e significa giustizia. Ma lausterit, a seconda dei contenuti che
ha e delle forze che ne governano lattuazione, pu essere adoperata o come stru-
mento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle
ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale
nuovo. I comunisti devono quindi: abbandonare lillusione che sia possibile per-
petuare uno sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi indivi-
duali. Rivolgendosi alla assemblea degli operai comunisti: Non detto affatto
che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre pi rigorose e non sperpera-
trici, conduca a un peggioramento della qualit e della umanit della vita. Una so-
ciet pi austera pu essere una societ pi giusta, meno diseguale, realmente pi
libera, pi democratica, pi umana. Cfr. E Berlinguer, Austerit. Occasione per tra-
sformare lItalia. Le conclusioni al convegno degli intellettuali (Roma, 15 gennaio 1977) e
alla Assemblea degli operai comunisti (Milano, 30 gennaio 1977), Editori Riuniti, Roma,
1977. Va per ricordato che queste straordinarie affermazioni, cos cariche di vi-
sione etica, vennero pronunciate in un momento politico del tutto particolare: da
una parte lincombere di una crisi economica disastrosa specie sul lato dellinfla-
zione che erodeva i salari, dallaltro una grande affermazione elettorale (il 20 giugno
del 1976 il Pci raggiunse il 34,4% dei voti, ad un passo dalla Dc) che aveva obbli-
gato il gruppo dirigente del partito a tentare il salto dallopposizione al governo
passando attraverso lastensione in Parlamento al governo della non-sfiducia,
come lo stesso presidente del consiglio Andreotti lo aveva battezzato. Mai come
allora la strategia del compromesso storico sembrava potersi concretizzare at-
traverso una maggioranza di responsabilit nazionale oggi si sarebbe detto di
larghe intese. In questo contesto politico e sociale la linea dellausterit appariva
a molti come una sorta di merce di scambio: contenimento delle richieste salariali
da parte dei sindacati, accettazione delle ristrutturazioni in fabbrica e nel pubblico
impiego per aumentare la produttivit del lavoro (lotta a lassenteismo si diceva
allora) in cambio di una partecipazione diretta del Pci nel governo. Si vedano la
relazione e le conclusioni di Enrico Berlinguer al Comitato centrale del Pci del 18-
20 ottobre 1976, Una politica di austerit ispirata a giustizia sociale per trasformare e risanare
il paese, opuscolo a cura del Pci, Roma. Si sa poi come questo tentativo fu definiti-
vamente troncato con lassassinio di Aldo Moro poco pi di un anno dopo.
328
Citato da A. Gorz, Ecologica, p. 37. Lespressione abbondanza frugale
stata poi rilanciata e riempita di contenuti da Serge Latouche che la definisce

181
Facendo nostro il motto di Locke: Pur che sia chiara la cosa,
poco conta il suo nome329, per capire cosa decrescita bisogna
domandare a coloro che la praticano come la intendono, con
quali strategie e per quali obiettivi si battono gli obiettori di
crescita e gli attivisti del movimento.
Innanzitutto il termine decrescita punta il dito specicata-
mente sul PIL, inteso per quello che : lindicatore unico consi-
derato dal sistema economico-politico di misurazione della
ricchezza, dello sviluppo, del benessere e persino della felicit. I
decrescenti sostengono, al contrario, che proprio la economia
di crescita la causa di tutti i disastri ambientali e sociali che col-
piscono il pianeta330. Invero, pi che ridurre il PIL, si tratta di ri-
formularlo radicalmente e relativizzarlo, mettendolo a confronto
e in relazione con altri indicatori, a partire da quelli che misurano
il consumo delle risorse naturali. In questa battaglia (inascoltata)
i sostenitori della decrescita sono in buona compagnia. Non c
statistico, sociologo, politico di buon senso che non abbia criticato
lassurdit della scelta della crescita del PIL come unico punto di
riferimento per tracciare la rotta della cooperazione sociale. Giu-
stamente annotarono i premi Nobel chiamati nella Commissione
Sarkozy: Ci che misuriamo inuenza ci che facciamo. Se ab-
biamo indicatori sbagliati, ci sforzeremo di ottenere le cose sba-
gliate. Nel tentativo di incrementare il PIL, rischiamo di ritrovarci
in una societ i cui cittadini vivranno peggio331.
______________________
un orientamento semantico nella Prefazione, Per unabbondanza frugale, Bollati
e Boringhieri, Torino, 2012.
329
J. Locke, Secondo trattato sul governo, paragrafo 146.330 Maurizio Pallante
sicuramente tra i primi e pi critici demistificatori del PIL: La decrescita
del Pil non comporta una riduzione del benessere se si realizza mediante la
diminuzione del consumo di merci che non sono beni e laumento dei beni
che non sono merci. Meglio con meno. Decrescere per progredire, Bruno Monda-
dori, Milano, 2011, p. 119. Si veda anche: La decrescita felice. La qualit della
vita non dipende dal Pil, Editori Riuniti, 2005.
331
J. E. Stiglitz - A. Sen - J.P. Fitoussi, La misura sbagliata delle nostre vite. Perch
il PIL non basta per valutare benessere e progresso, Etas, Milano, 2010, p. XXI.
182
allora necessario che leconomia entri in relazione con la
materialit dellesistente, con le scienze della vita. Nasce cos la
bio-economia332 che distingue tra limitatezza delle risorse e scar-
sit. La prima una condizione di fatto in natura, la seconda
una conseguenza delle modalit storiche-culturali-economiche
con cui le popolazioni umane hanno deciso di utilizzare le ri-
sorse naturali. I popoli occidentali se ne sono inschiati tanto
dei limiti biosici, quanto dei principi morali secondo cui i be-
neci che si possono trarre dallutilizzo dei beni naturali dovreb-
bero essere equamente distribuiti tra tutti gli individui del
pianeta, presenti e futuri.
Decrescita anche critica al mito della soluzione tecnologica
prometeica e provvidenziale, capace di moltiplicare i pani e i
pesci (magari previa manipolazione genetica o grazie alla bioin-
gegneria che pensa di poter rimediare ad ogni tipo di danno am-
bientale). Nessuna nuova tecnologia, per quanto spettacolare,
riuscir mai ad esimerci da un esame di coscienza e da un cam-
biamento delle nostre cattive abitudini, dei nostri stili di vita con-
sumistici, dei comportamenti asociali oltre che irragionevoli,
della nostra anaffettivit.
Decrescita attiva allora capacit di immaginare una via di
fuoriuscita dagli stilemi capitalistici. Un progetto meta-politico
di una eco-democrazia che si costruisce dal basso e si fonda su
relazioni di prossimit. Non necessariamente ascetiche e paupe-
riste, premoderne e da comunismo primitivo. La decrescita
non auspica la cancellazione della tecnica, ma la sua rinalizza-
zione e il superamento del carattere controproduttivo ad essa
impresso dal capitalismo. Decrescita quindi ricerca e sperimen-
tazione di una diversa qualit della produzione e dei consumi,
capace di rispettare i cicli naturali e di impedirne la distruzione.
______________________
332
N. Georgescu Roegen, Bioeconomia. Verso unaltra economia ecologicamente e so-
cialmente sostenibile, Mauro Bonaiuti ( a cura di), Bollati Boringhieri, Torino,
2003.

183
La decrescita attiva propone un lavoro di resistenza alla pro-
gressiva mercicazione della vita e di sgombero della mente
dai condizionamenti, dalle manipolazioni, dalleterodirezione.
Poich i bisogni sono socialmente determinati, necessario
un lavoro di disconoscimento dei valori veicolati dagli strumenti
di propaganda del mercato, di diserzione dalla platea televisiva
e da tutti gli ordinamenti della manipolazione. La decrescita si
propone di portare un po di luce in quellangolo delle intera-
zioni umane e della vita delle persone che oggi oscurato dal-
leconomia di mercato: il fare non strumentale, il dare non
nalizzato, la cooperazione disinteressata, la solidariet reci-
proca, il mutuo appoggio, lassunzione delle responsabilit de-
rivanti dal proprio agire: in una parola, tutto ci che si oppone
alla mercicazione dei rapporti sociali. La decrescita propone
tracce di relazioni sociali alternative a quelle capitalistiche, in un
momento in cui il declino del capitalismo gi cominciato e si
pone il problema attuale di costruire un altro ordine sociale.
Lidea della decrescita scelta e consapevole, mirata, vuole ten-
tare di risponde allinsieme dei paradossi dentro cui caduta la so-
ciet contemporanea. La decrescita non solo smaterializzazione
dei cicli produttivi e di consumo, non solo abbassamento del
metabolismo sociale e dellimpronta ecologica di ogni essere
umano sulla Terra. Queste sono beneche conseguenze che si pro-
ducono quasi automaticamente se a monte si rompono le strutture
sociali e mentali che determinano i nostri desideri, le nostre aspi-
razioni. Si tratta di avviare un lavoro di ri-orientamento dei desideri,
della mentalit, delle abitudini. Riscoprire i beni autentici del corpo,
della mente e della relazione333. Il capitalismo non depreda solo la
natura che ci attorno, distrugge anche i legami affettivi che met-
______________________
333
La mia salute, forza, abilit fisica nulla toglie a quella degli altri, la mia
mente colta e contemplativa nulla toglie, anzi aggiunge alla sapienza altrui,
il mio volermi-bene-con non solo non esclude laltro ma lo include. L.
Lombardi Vallauri, Beni comuni e beni non esclusivi, in Paolo Cacciari (a cura di),
La societ dei beni comuni, Carta Ediesse, Roma, 2010, p. 44.
184
tono in relazione tra loro gli esseri umani e mortica lumanit
stessa degli individui. La mercicazione del mondo ha scritto
Serge Latouche ha divorato tutto: il lavoro, il tempo libero, lami-
cizia, lamore, il sesso, la cultura, la droga, la violenza, la politica334.
La decrescita, quindi, prima di ogni cosa il disconoscimento di
unidea di ricchezza e benessere legate al possedere, allaccumulare,
al dominare, alla concentrazione del potere.
Ecologica una bella raccolta di scritti di Andr Gorz, in cui si
denisce lecologia politica unetica della liberazione: Essa
[lecologia] suppone unaltra economia, un altro stile di vita,
unaltra civilt, altri rapporti sociali. Luscita dal capitalismo sar
civilizzata o barbara335.
Simon Weil, come sappiamo, era una donna straordinaria, di
origine ebraica, che ha vissuto la sua brevissima esistenza (tren-
tatr anni appena) tra le due guerre mondiali. Scelse di vivere le
sciagure del suo tempo dallinterno, senza risparmiarsi, parteci-
pando direttamente da operaia al sindacalismo rivoluzionario, da
combattente anarchia alla Guerra civile in Spagna e da partigiana
alla resistenza al nazismo in Francia. Trovo che in queste sue pa-
role sia bene espressa la critica al macchinismo, al produttivismo,
al consumismo, allo sviluppismo che ha accumunato nel dogma
della crescita tanto il pensiero liberale, quanto quello marxista:

Le macchine automatiche [] danno origine alla tentazione di pro-


durre molto di pi di quanto non sia necessario per soddisfare i biso-
gni reali, il che conduce a spendere senza utilit reale tesori di forza
umana e di materie prime.
Cos il pi funesto dei circoli viziosi trascina la societ intera al se-
guito dei suoi padroni in un girotondo insensato336.

______________________
334
S. Latouche, Il tempo della decrescita, Eluthera, Milano, 2011, p.49.
335
A. Gorz, Ecologica, p. 33.
336
S. Weil, Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione, Adelphi, Milano,
1983, p. 32.

185
C qui lintuizione della crisi ecologica dovuta al supera-
mento dei limiti biosici del pianeta. C la perdita di senso etico,
oltre che di relazioni sociali, di un modello di rapporti umani
asservito alle ragioni dellincremento delle capacit produttive
tecniche industriali. C il richiamo alla responsabilit individuale
e comunitaria che dovrebbe guidare le scelte de luomo pen-
sante. La Weil aveva capito perfettamente che lorigine di quel
impazzimento autodistruttivo, in realt seguiva una logica
spietata: la lotta per esercitare il potere sulle forze produttive,
intese come il motore del progresso storico. Lotta competitiva
per dominare la natura e lumanit con strumenti tecnologici e
istituzioni sociali sempre pi pesanti, centralizzati, pervasivi e
opprimenti. Quel funesto circolo vizioso che sussume gli es-
seri umani e Madre Terra, quella spirale della morte (formula
usata da Joseph Stiglitz per denire la nanziarizzazione del-
leconomia) sta ancora girando e noi ne siamo dentro.
La decrescita il nome di una sda, non una parola solu-
zione. Un rovesciamento di direzione per il cambiamento, un
orizzonte di senso, unidea etica, scientica, economica. Perch
rimanda ai principi del ben vivere, ai fondamenti della vita sulla
Terra, allazione strumentale produttiva. Ha scritto Pietro
Greco: Occorre che la decrescita sia percepita come felice e
diventi la nuova utopia di un grande progetto politico337.

La giusta misura

Ha scritto Franco Cassano: Il nucleo mitologico della nostra


forma di vita la lotta contro il limite, lossessivo, innito su-
______________________
337
P. Greco, Oltre la crescita, uno sviluppo (davvero) sostenibile, http://www.gior-
nalistinellerba.org/wp-content/uploads/2013/01/Sviluppo-sostenibile-vers-
breve.docx. Pietro Greco uno scrittore e un giornalista scientifico che scrive
per Green Report e per LUnit.
186
peramento di esso, la spinta continua ad oltrepassarlo338. Cos,
cercando di superare la morte, luomo sta distruggendo la vita.
Lorigine di questo strano modo di agire va ricercata nellIl-
luminismo, ma era presente ben prima nella nostra storia. Gi
Sofocle nellEdipo a Colono scriveva: Chi vive oltre il limite giusto
e la misura perde la mente ed in palese stoltezza339. fuori di
ogni dubbio che la societ contemporanea si trovi esattamente
in questa posizione. Ogni obiettiva osservazione scientica in-
dica che le attivit antropiche hanno superato la carrying capacity
del pianeta. La nostra specie, per essere pi precisi: quel 20%
della popolazione mondiale che pu consumare l80% delle ri-
sorse naturali disponibili, si sta comportando come un predatore
che mette a serio rischio la sua stessa vita e quella del suo stesso
habitat. Ci sta accadendo nonostante non manchino adeguati
strumenti di misurazione della realt e capacit previsionali. Pa-
radossalmente, la causa della dis/misura, dellhybris, proprio
un eccesso di condenza nelle tecniche di quanticazione dei
fenomeni naturali, come se il poter conoscere approfondita-
mente il funzionamento dei processi vitali della Terra costituisca
un lasciapassare per il loro utilizzo indiscriminato. Temo che con
la rivoluzione scientica moderna (ovvero da Bacone, Galilei e
Cartesio) lumanit abbia preso un colossale abbaglio, convin-
cendosi che conoscere sia un verbo sinonimo di disporre a pia-
cimento, illudendosi di poter possedere le chiavi delluniverso.
Ha scritto Edgar Morin: Ad accecarci non solo la nostra igno-
ranza, anche la nostra conoscenza340. Come se riuscire a sco-
prire, misurare, separare, sezionare, classicare la natura in tanti
pezzetti ci autorizzasse a farne ci che riteniamo pi comodo.
Questo approccio si pu denire riduzionismo scientico al ser-
vizio dellutilitarismo economico: il metodo e la pratica scienti-
______________________
338
F. Cassano, op. cit., p. 106.
339
Sofocle, Edipo a Colono, vv 1219 - 1220, citato da U. Galimberti, La casa di
psiche, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 385.
340
E. Morin, op. cit., p. 5.
187
ca sono stati essi stessi inseriti in una liera, il cui ne ultimo
massimizzare lo sfruttamento della natura. Limmaginario
della modernit ha scritto Cornelius Castoriadis costituito
dal dominio razionale assoluto, dal predominio delleconomico
come valore esclusivo, unico, dal quanticabile341. la dimen-
sione tecnoeconomica a prevalere su tutto. Serge Latouche, in
Limite, individua lesistenza di diversi limiti: geograci, ecologici,
culturali, economici, politici, cognitivi e morali. La loro nega-
zione nella nostra epoca della ipermodernit fanno s che limiti
e misura risorgano nella forma di catastro342.
Per capire il funzionamento degli organismi complessi, serve
una capacit cognitiva allargata, servono approcci non solo ana-
litici, ma anche sistemici, ecologici, estetici e persino empatici,
spirituali, metasici. Per entrare in relazione con la natura biso-
gna usare tutte le parti del cervello, del corpo e del cuore. Serve
quella sintesi leonardiana tra conoscenza e amore, come ci
avverte Fritjof Capra, che richiede una scienza che sappia rico-
noscere, onorare e rispettare lunit di tutta la vita343. Il che
esattamente il contrario della specializzazione ossessiva che di-
venta vero e proprio feudo nel sistema delle discipline accade-
micizzate: perch il tutto non mai la somma delle singole parti,
e vi un di pi, sia nella natura che nel carattere umano, che
sfugge alla logica del calcolo scientico. Lessenza della vita non
misurabile: la natura non solo ora, fauna, mondo organico
e inorganico, ma il principio stesso che ne determina la genera-
zione e il movimento, cio la sua manifestazione344. Vi un altro
ordine delle cose che fuori dalla disponibilit umana e che ri-
sponde a codici non utilitaristici. Cicli ecosistemici e creativit
______________________
341
C. Castoriadis, op. cit., p. 82.
342
S. Latouche, Limite, Bollati e Boringhieri, Milano, 2012, p. 16.
343
F. Capra, La scienza universale. Arte e natura nel genio di Leonardo, Rizzoli, Mi-
lano, 2007, p. 35.
344
E. Zarelli, Tra natura e cultura. Il paradigma olistico come pratica sociale, in A.
Polo (a cura di), La persona nelle filosofie ambientali, Limina Mentis, Monza, 2012.
188
umana non hanno equivalenti, non sono sostituibili e non sono
riproducibili articialmente: sono beni e servizi che vanno trattati
con cura, preservati, rigenerati continuamente. Sono il ne stesso
della cooperazione sociale, non mezzi da sacricare nel ciclo della
produzione del valore in senso meramente economico. Insomma,
non proprio vero che ci che non si pu misurare non esiste.
Vi sono valori fondamentali per la vita che sono incommensura-
bili: le emozioni, i sentimenti, la bellezza, lamicizia, la ducia,
lamore. Valori che non si trovano sugli scaffali del supermercato
n in qualche capitolo del bilancio dello Stato, ma di cui bisogne-
rebbe che qualcuno se ne occupasse.
Forse giunto il momento di prendere atto che leconomia
un sottosistema dipendente dalla sfera biologica, alle cui leggi
siamo semplicemente obbligati a sottostare. La ricongiunzione
tra economia e natura non pu che avvenire riconoscendo le
giuste gerarchie e priorit. Una verit questa, che anche Paul
Hawken ricordava:

Il capitalismo industriale tradizionale [] trascura di assegnare un


valore economico ai maggiori cespiti di capitale che utilizza, e cio le
risorse naturali e i sistemi viventi []. Ma tale lacuna non pu essere
colmata semplicemente assegnando un valore monetario al capitale
naturale [], innanzitutto perch molti dei servizi resi dai sistemi vi-
venti non hanno sostituti, a nessun prezzo [], in secondo luogo, va-
lutare il capitale naturale un esercizio a dir poco arduo e impreciso345.

Questa cecit dipende anche dal fatto che gran parte degli ecosystem
services non sono direttamente utilizzati nei processi economici, cio
vengono utilizzati senza che se ne abbia consapevolezza. Per le co-
siddette scienze economiche esiste solo ci per cui qualcuno di-
sposto a spendere dei soldi (preference-satisfacion). Tutto ci che non
immediatamente incorporabile nei cicli produttivi e tutti coloro che
______________________
345
P. Hawken - A.Lovins - L.H.Lovins, Capitalismo naturale. La prossima rivolu-
zione industriale, Edizioni Ambiente, Milano, 2001, p. 24.

189
non sono solvibili sul mercato non contano, non servono, non
fanno PIL. Ma non corrisponde a verit lassunto secondo cui il
valore di ogni cosa pari a quanto un individuo disposto a pagare,
cio pari al benecio economico soggettivo che ne ricava, cos come
ci spiegano ogni giorno dotti economisti. Vi sono beni e servizi che
hanno un valore per la loro stessa esistenza, a prescindere dal loro
utilizzo diretto. Per esempio, con quali e quante diverse unit di
misura si potrebbe stabilire il valore di un albero? E sulla base
di quale gerarchia di valori dovrebbero essere ordinate le diverse
misure? Dalla quantit di frutti che produce, dalla legna che se
ne pu ricavare, dalle tonnellate di CO2 che assimila e dai metri
cubi di ossigeno che restituisce, dal numero di uccelli che nidi-
cano e di insetti che ospita, dallombra che proietta e dallhu-
mus prodotto dalla decomposizione delle sue foglie cadute al
suolo, dal vento che riduce, dal paesaggio che forma? E se fosse
lultimo albero della foresta o della sua specie? Solo Dio e le so-
ciet di assicurazione sanno dare un valore a ci che irripro-
ducibile e insostituibile.
Il riduzionismo economico, il denaro come equivalente unico
e universale, cosica e mercica la vita. Cos leconomia cre-
matistica (come la chiamava Aristotele, per distinguerla dal-
leconomia della cura della dimora, Oikonomia), sar sempre
distruzione e morte. Come afferma la scuola di economia eco-
logica di Marinez Alier: nessuna compensazione reale possibile
quando si tratta di beni naturali non riproducibili.
La tendenza a nanziarizzare il capitale naturale, attri-
buendo un valore monetario ai ussi e agli stock di natura, si
concretizza nel cosiddetto biodiversity o ecosystem offsetting. Un
nuovo strumento di cui si sono dotati gli istituti nanziari e al-
cuni Stati per riuscire a traslare le compensazioni del danno am-
bientale provocato da investimenti produttivi in habitat di
particolare valore. Il meccanismo non molto diverso da quello
ideato con il Protocollo di Kyoto che ha permesso la compravendita
dei permessi di inquinamento dellatmosfera. I beni naturali di-
190
ventano cos degli asset (crediti di natura) nei mercati nanziari346.
Lidea perversa sempre quella: trovare i modi (tasse ecologiche,
autorizzazioni onerose ecc.) per costringere le imprese ad inter-
nalizzare i costi ambientali, quando il problema semplicemente
quello di impedire a monte che si provochino danni. Lerrore di
studiosi benemeriti come Robert Costanza (il primo che ha cal-
colato il valore monetario dei servizi degli ecosistemi mondiali
in 37 mila miliardi nel 1977, pi della met dellintero valore
mondiale del PIL) quello di credere che, introducendo i giusti
incentivi e le giuste penalit, sia possibile far dire la verit al
mercato347. Ma il mercato si esprime in prezzi, partite doppie,
costi e ricavi. Mentre la vitalit della biosfera si esprime con altri
linguaggi e altre unit di misura.
Il ne della societ si rovesciato: ci che conta non il buon
impiego delle persone (il lavoro nella sua pi larga e creativa ac-
cezione) e il buono stato di salute degli cicli vitali degli ecosistemi
naturali, ma il valore monetario degli oggetti che vengono pro-
dotti e venduti. Nel processo di mercicazione capitalistico, les-
sere umano e la natura sono ridotti a mezzi e a strumenti da
sacricare sullaltare della produzione di oggetti da collocare sui
mercati. Nelle societ della crescita avviene, cio, il rovescia-
mento dei ni con i mezzi. Quel rovesciamento del rapporto
tra soggetto e oggetto, che Marx considerava come lessenza
del capitalismo. cos che leconomia potuta diventare nella
percezione comune un bene in s e ha potuto imporre le sue leggi
a tutta la societ.

______________________
346
Un movimento mondiale sorto per tentare di fermare i biodiversit off-
set. Si vedai Rebecca Rovoletto, Natura bond, in Democrazia Km Zero,
www.democraziakmzero.org, 8 novembre 2013 e Il manifesto-appello in
www.no-biodiversity-offsets.org/italiano/.
347
Intervista a R. Costanza, Tutelare la biodiversit? Paghi 1, ricavi 100, in Va-
lori, gennaio 2011.

191
Come uscirne

Fra qualche anno, se tutto va bene, saggezza e prosperit si spo-


seranno e doneranno al mondo equit, sicurezza e ducia nel fu-
turo. Allora guarderemo indietro, alla nostra storia, e attribuiremo
alla decrescita un valore positivo, analogo a quello che oggi riser-
viamo a parole entrate nelluso comune come decolonizzazione,
decentramento, demercicazione, nonviolenza. La particella pre-
positiva privativa de non ci provocher alcun imbarazzo comu-
nicativo. Anzi, ci sembrer unimperdonabile sciocchezza non aver
tenuto conto dei limiti biologici e sici della Terra. Ci sembrer
unenorme ingiustizia aver escluso i due terzi pi poveri della po-
polazione (contadini, donne, giovani) da un diritto elementare come
laccesso ai beni comuni. Ci sembrer uno spreco economico e
umano gigantesco non aver utilizzato la disponibilit al lavoro di
milioni di persone inoccupate a fronte di bisogni elementari an-
cora non soddisfatti. Ci sembrer crudele aver mantenuto il cosid-
detto ordine mondiale con costosissimi eserciti mercenari. Ci
sembrer assurdo aver consentito che il potere decisionale e politico
si concentrasse nelle mani di unoligarchia a capo di poche societ
di capitali multinazionali. Ma siamo ancora qui. E dobbiamo ancora
demolire molti pregiudizi e incomprensioni.
necessario andare alla radice dei mali che stanno facendo
soffrire lumanit e che discendono dal dogma dellaccresci-
mento illimitato della produzione. Ricordava Giorgio Ruffolo:
Laccumulazione, che la logica del capitalismo, per sua na-
tura illimitata. Di fatto una logica impossibile, quindi illogica,
dissennata348. In modo analogo scriveva Andr Gorz: La cre-
scita, per il capitalismo, una necessit sistemica totalmente in-
dipendente dalla e indifferente alla realt materiale di ci che
______________________
348
G. Ruffolo, in Il Manifesto, 23 maggio 2000.

192
crea. Essa risponde a un bisogno del capitale349. Per tale motivo,
se davvero si desidera far rientrare il sistema dentro i limiti della
sostenibilit ecologica e sociale, va allora riconosciuto con sin-
cerit che il perseguimento di questo obiettivo non compatibile
con i fondamenti del capitalismo.
La proposta di una decrescita scelta (cio desiderata), attiva
(cio mobilitante), mirata e selettiva (cio volta a sottrarre risorse
umane e naturali, tempo ed energia alla megamacchina indu-
striale), conquista attenzione tra le persone pi sensibili che capi-
scono che stupido puntellare e procrastinare la crisi irreversibile
di un modello di sviluppo giunto a ne corsa350, cos come con-
vince anche coloro che vorrebbero evitare di farsi travolgere sotto
le sue macerie. Meglio allora avviare un processo di transizione
che accompagni la crisi dellattuale sistema, tentando di limitare i
danni della sua caduta e contemporaneamente accelerando la ge-
nerazione di valide alternative.
Si tratta di compiere un salto culturale difcile, perch tutti
noi siamo stati abituati a pensare che senza il possesso esclusivo
di beni e servizi, nessuna vita agiata sia possibile su questa Terra.
Oramai, dopo pi di un secolo di immersione nel mondo delle
merci a portata di portafoglio, i templi dellimmaginario collet-
tivo del benessere sono diventati i grandi magazzini, e il mirag-
gio del consumo lunica religione capace di consolazione351.
Un immenso apparato culturale (scolastico, massmediatico, fa-
miliare) ha posto la competitivit e lefcienza al vertice dei va-
lori sociali, annullando i valori etici della equit e della solidariet.
La decrescita allora va vista come un cammino di liberazione
individuale e collettivo dai condizionamenti e dalle costrizioni
______________________
349
A. Gorz, Ecologica, p. 123.
350
R. Heinberg, The End of Growth, in www.richardheinberg.com/222-the-
end-of-growth, 2010.
351
T. Villani, Ecologia politica. Nuove cartografie dei territorio e potenza di vita, Ma-
nifesto libri, 2013, p. 138.

193
del mercato, dei modi di produzione e delle relazioni sociali che
i rapporti di produzione capitalistici impongono. La decrescita
come rottura della gabbia dentro cui sono state imprigionate le
relazioni umane. Come processo, non solo di smaterializzazione
e de-mercicazione dei processi produttivi e di consumo, ma di
de-apprendimento, dis-alienazione, de-colonizzazione, de-co-
struzione e de-centralizzazione del potere costituito sul princi-
pio della massimizzazione della potenza trasformatrice delle
forze produttive, del progresso illimitato della produzione in-
dustriale di massa. E, se coniugato al femminismo, la decrescita
aiuta la dis-articolazione del sistema di pensiero e di domina-
zione patriarcale352. quello maschile, infatti, il pi pervasivo,
profondo e antico sistema di dominio delluomo sulla donna,
sugli schiavi, sugli animali e sulla natura. Ha scritto Carolyn Mer-
chant: La natura animata vivente mor, mentre il denaro inani-
mato morto fu dotato di vita. [] La natura, le donne, i negri e
i lavoratori salariati furono avviati al nuovo status di risorse na-
turali e umane353.
Sappiamo bene che chi, nel corso della storia, ha osato criti-
care lindustrializzazione andato incontro ad aspre critiche da
parte progressista: Ruskin fu bollato come un romantico premo-
derno, Proudhon un utopista regressivo, Tolstoj unanima bella,
Gandhi un nazionalista autarchico, Illich un prete reazionario.
Chi sostiene lidea della decrescita oggi considerato un in-
dividuo incurante delle sofferenze del popolo, colluso con i
padroni, reggicoda del sistema354. Quando va bene il pen-
siero della decrescita, della frugalit, della semplicit volontaria,
______________________
352
B. Bianchi, Terra nuova, terra di lei. Prospettive femministe su lavoro, ecologia, etica
delle relazioni, in AA. VV., Immaginare la societ della decrescita, Terra Nuova, 2012.
353
C. Merchant, La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica, Gar-
zanti, Milano, 1988, p. 353.
354
AA. VV., Dossier Crescita forzata, in Valori, n. 102, settembre 2012.
Scriveva Illich alla fine degli anni Ottanta: Per coloro che si sono formati

194
della sobriet, che dir si voglia, viene trattato come ingenuo o
rinunciatario, incapace di fare i conti con la modernit. Ma c
forse un equivoco355. La decrescita non laccettazione remissiva
della recessione economica. Non un invito ad adattarsi alle
nuove compatibilit economiche stabilite dai mercati. Al con-
trario, la decrescita vorrebbe essere la ricerca ostinata e combat-
tiva di unalternativa, di una diversa qualit della produzione e
dei consumi, capace di rispettare i cicli naturali e di impedire la
denitiva distruzione di relazioni sociali conviviali e democrati-
che tra gli individui della specie umana. Ma lasciamo rispondere
Simone Weil a questo tipo di critiche, con le sue parole lucidis-
sime scritte ottantanni fa:

La religione delle forze produttive, in nome della quale generazioni


di imprenditori hanno schiacciato le masse lavoratrici senza il minimo
rimorso, costituisce un fattore doppressione anche allinterno del mo-
vimento socialista; tutte le religioni fanno delluomo un semplice stru-
mento della Provvidenza, e anche il socialismo mette gli uomini al
servizio del progresso storico, vale a dire del progresso della produ-
zione. Qui risiede il principale meccanismo delloppressione, dello
sfruttamento e della dilapidazione della natura356.

Il progetto della decrescita non solo la critica pi radicale


oggi immaginabile allesistente, esso contiene valenze proposi-
tive se visto come azione di riappropriazione dei beni essenziali
______________________
nel clima morale degli ultimi cinquantanni, la messa in discussione dello status
teorico dei bisogni suona come offesa per gli affamati, una destrutturazione
della base morale comune e, per di pi, senza scopo alcuno. I. Illich, Bisogni,
in W. Sacsh (a cura di), Dizionario dello sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, 1998.
355
Nel contesto della preparazione della terza Conferenza internazionale sulla
decrescita di Venezia, settembre 2012, sono state elaborate un gran numero
di FAQ. Ora pubblicate in appendice di, AA. VV., Immaginare la societ della
decrescita, Edizioni Terra Nuova, 2012.
356
S. Weil, op. cit., p. 21.

195
alla preservazione della vita e della creazione di relazioni umane
consapevoli, vitali, pi armoniose e capaci di proiettarsi nel fu-
turo. La decrescita come un cammino lungo, un sentiero di tran-
sizione verso uneconomia e, in generale, unorganizzazione
sociale pi sostenibile e pi equa.
Se vogliamo uscire dalla crisi delleconomia della crescita e
del debito serve un cambiamento di orientamento etico e so-
ciale, un cambio di mentalit, una cosmovisione diversa, una
teoria economica opposta a quella dellaccumulazione, della
competizione e del possesso esclusivo, un sistema di relazioni
sociali fondato sulla reciprocit e sullinterdipendenza.

La natura non n scarsa n ostile

Il prolungato stato di crisi delleconomia oggi ha il merito di con-


sentirci di mettere in discussione le radici delleconomia della crescita
e dello stesso pensiero economico, inteso come disciplina scientica
con un suo statuto logico autonomo e autosufciente, fulcro attorno
a cui ruotano tutte le altre scienze sociali, che pretende di interpretare
i comportamenti umani e conformarli secondo le sue leggi e i suoi
principi normativi. Alla base delle teorie economiche dominanti
vi limmagine di una natura intesa sempre come scarsa avara e
ostile, popolata da esseri umani immancabilmente posseduti da istinti
predatori, sentimenti egoistici e competitivi, intenti ad accumulare
beni e ricchezze, incuranti dellaltro e del diverso. Insomma: homo
homini lupus. La scienza economica si crea cos uno spazio ethics-
free, indifferente alle domande di senso sullo scopo del fare, del
produrre e del consumare357.
La decrescita indica uninversione completa di rotta. Un ri-
baltamento dei valori di riferimento. La decrescita vista e vissuta
______________________
357
G. Rist, op. cit.
196
come un processo di transizione verso uneconomia dei beni co-
muni intrinsecamente sostenibile, dove i modi di produzione
siano diversicati, la funzione del denaro ridimensionata e rela-
tivizzata, le tecnologie ri-orientate, lenergia de-carbonizzata e la
sua generazione diffusa sul territorio, il lavoro riconquistato, la
democrazia praticata e partecipata. Etica versus economia.
Ci non signica pensare a una societ arcaica, e nemmeno
dover rinunciare a strumenti utili allo scambio. Diceva Ivan Illich:
La mercicazione non pu essere confusa con lo scambio358. I
mercati e le monete esistevano prima dellavvento del capitali-
smo359. Il problema denire chi media e come viene regolato que-
sto scambio, se da una cosmocrazia mondiale, da una plutonomia
planetaria (come la chiama Roberto Mancini) invisibile e irrag-
giungibile, che si fa velo delle istituzioni statali e diventa puro spi-
rito nellanonimato delle societ di capitale, oppure dagli stessi
produttori/fruitori organizzati in comunit, in villaggi urbani, in
distretti di economia solidale, in bioregioni e in reti globali di com-
mercio equo e solidale che si autoregolano e si autogovernano.
Una prospettiva che ingloba e supera la green economy, le green and
clean technologies (la terza rivoluzione industriale, come la chiama
Jeremy Rifkin), le green company (imprese responsabilizzate e orientate
alla preservazione delle risorse), i green jobs (nuove competenze e
proli professionali), il green and fair trade (clausole ambientali e sociali
negli scambi internazionali), il green lifestyle (cambiamento dei com-
portamenti e delle preferenze dei consumatori orientati alla sobriet
e allequit), il Green New Deal (il keynesismo orientato alla green eco-
nomy). La decrescita colloca tutto ci in un quadro organico e com-
plessivo di green society. In questa visione di sistema la decrescita il
sentiero da seguire per diminuire i consumi di natura, la domanda
di merci dannose e inutili, per restituire senso individuale e sociale
______________________
358
D. Cayley, Conversazioni con Ivan Illich. Un archeologo della modernit, Eluthera,
Milano,1994, p. 141.
359
Si veda la storia mondiale del debito ricostruita da D. Graeber, Debito. I
primi 5.000 anni, Il Saggiatore, 2012.
197
al lavoro, per valorizzare le risorse locali, per territorializzare le pro-
duzioni, in denitiva: per imparare a soddisfare i propri bisogni e i
propri desideri con ci che si ha a disposizione, senza impoverire
altre popolazioni e il futuro delle generazioni a venire. Leconomia
della sufcienza, del bastevole, del proporzionato, come scriveva
Leopold Kohr e riprendeva Illich. Ecco perch sarebbe bene uscire
dal paradigma dello sviluppo (oramai ridotto a sinonimo di cre-
scita) preferendo quello di futuro sostenibile che richiama il con-
cetto di responsabilit.

La decrescita in concreto

Il primo obiettivo della decrescita sicuramente la progressiva


diminuzione della pressione antropica, la smaterializzazione del me-
tabolismo sociale per diminuire i ussi di energia e di materia im-
piegati nei cicli produttivi e di consumo. In questo sforzo non c
differenza tra i sostenitori della decrescita e i movimenti ambienta-
listi. Il rapporto del MIT del Club di Roma del 1972 il caposaldo
dellapproccio scientico alla sostenibilit. Jorgen Randers, com-
ponente delloriginario staff, ha recentemente aggiornato modelli
e scenari trovando drammatiche conferme360.
Ma evidente che vi possono essere molti diversissimi modi
per ottenere un abbassamento della pressione antropica. noto,
ad esempio, che il reverendo Malthus proponeva di agire sul lato
della domanda sopprimendo gli individui eccedenti, cio i po-
veri. Oggi manager e ministri li chiamano in diversi modi: esu-
beri, clandestini, poveri assoluti, inoccupati ecc. Altri
scienziati, ben pagati nei laboratori delle multinazionali, giurano
che i loro ritrovati salveranno il mondo dalla fame con le bio-
______________________
360
J. Ronders, 2052. Scenari Globali per i prossimi quarantanni. Rapporto al Club
di Roma, Edizioni Ambiente, Milano, 2013.

198
tecnologie in grado di produrre bistecche in provetta, lattuga
senza bisogno di terra, semi di soia grandi come fragole e fragole
grandi come zucche. In caso di necessit, la ingegnerizzazione
del clima e altre tecnologie alla Frankenstein, preserveranno il
pianeta dagli effetti collaterali delle nuove tecnologie.
Oppure possibile scegliere una terza via. I movimenti per
un consumo equo e solidale sostengono che sia possibile unade-
sione volontaria a stili di vita pi sobri e a bassi impatti ambien-
tali a partire dalle popolazioni che hanno maturato un maggiore
debito ambientale. Ma si tratta ancora di movimenti poco in-
uenti, che non riescono ad uscire da ambiti dimostrativi, pio-
nieristici, capaci di costruire piccole nicchie etiche che
generano isolati lampi nel buio. Riuscire a coniugare le esi-
genze di giustizia sociale e di salvaguardia ambientale sempre
stato il cruccio mai ben risolto sia dai movimenti verdi che da
quelli rossi. Tim Jackson, leconomista capo del team della
New Economy Foundation ha bene tematizzato la questione:
Il pi grande dilemma dei nostri tempi: come conciliare laspi-
razione a un buon vivere con i limiti di un pianeta nito361.
La conclusione a cui sono giunti i sostenitori del movimento
della decrescita che si tratta di un dilemma irrisolvibile no a
che domanda e offerta dei beni e dei servizi saranno guidate
dalle logiche mercantilistiche. la logica del guadagno che fa
crescere produzioni e consumi ben oltre le necessit e, per di
pi, in modo sperequato: solo chi solvibile sul mercato, infatti,
ha la possibilit di acquisire i beni che gli vengono offerti.
Lunico modo per uscire da questo circolo vizioso la de-
mercicazione del maggior numero di beni e servizi, la loro sot-
trazione dalla sfera mercantilistica (la fuoriuscita dal ciclo
infernale dei bisogni e del reddito) e, per contro, lallargamento
di tutte le altre forme economiche di produzione e scambio non
monetari: autoproduzione, mutualit e dono, reciprocit e ba-
______________________
361
T. Jackson, Prosperit senza crescita, Edizioni Ambiente, Milano, 2010, p. 49
199
ratto. Queste buone pratiche potranno sempre pi svilupparsi
se cresceranno gli spazi disponibili agli usi collettivi; se verranno
liberati e restituiti i beni comuni privatizzati e mercicati. La
riappropriazione dei commons, dei campi aperti, di tutto ci
che essenziale alla riproduzione materiale della vita umana e
delle sue relazioni sociali, non pu essere gestito in modo esclu-
sivo, proprietarizzato, nemmeno se a farlo sono autorit pub-
bliche. La terra e il territorio sono il primo bene comune. Ma
anche la citt la casa della societ, lo scrigno dei saperi.
Come abbiamo visto in un capitolo precedente, sono molti i
beni comuni di appartenenza collettiva e pertinenti al campo
dei diritti umani e sociali. Beni indispensabili e insostituibili
come lo sono latmosfera e il clima, gli oceani e le acque dolci,
le foreste e i genomi, le miniere e le fonti di energia primaria, i
codici, le lingue
La smaterializzazione dei ussi di materia e di energia impie-
gati nei cicli produttivi, si ottiene solo attraverso la demerci-
cazione e questa, a sua volta, si ottiene solo attraverso forme di
governo radicalmente democratiche, condivise, partecipate,
verso un progetto di autogoverno comunitario. Serve quindi de-
costruire il macropotere che tiene i li delle nostre vite e decen-
tralizzare le istituzioni sociali, politiche ed economiche. Serve,
insomma, fare esplicitamente i conti con il potere costituito. La
decrescita, quindi, inevitabilmente unazione politica: una po-
litica oltre il potere (come dicono le femministe) e contro ogni
forma di imposizione. Oppure, usando una formula di iek,
possiamo anche dire una politica senza politica, cio una
forma di azione diretta di riconoscimento, rivendicazione e riap-
propriazione sociale.
Inne, se la decrescita unazione politica, essa non pu che
essere lespressione di soggettivit vitali che compiono un pro-
cesso di disalienazione, disintossicazione, decolonizzazione della
mente, come dice Latouche. Un percorso di mutazione culturale
e antropologica che ha bisogno di poggiarsi su solidi fondamenti
200
etici, sul riconoscimento di norme morali applicabili non solo
al privato degli individui singoli, ma alle comunit e alla societ
umana nella sua interezza. Roberto Mancini ha scritto che:

Etica il nome della fedelt al bene che cerca di tradursi in dispo-


sizione interiore, criterio di scelta e stile dazione [] La forza che la
struttura del male oggi assume quella delleconomia globalizzata che
arrivata a produrre un sistema dell egoismo assoluto senza ego362.

Letica utilitaristica quindi opposta a quella del bene co-


mune o delle virt, della responsabilit personale e sociale.
Unetica politica che chiuda con lera storica di Machiavelli dove
il Principe era tenuto ad obbedire allutilit (nellinteresse del
mantenimento del proprio potere) ed era esonerato dalla morale
comune. Ma porre ne anche alla doppia etica di Max Weber e
di Vladimir Lenin. Questa lunica rivoluzione di senso che po-
trebbe ridare una qualche ducia alla politica.
La decrescita come percorso di liberazione e sottrazione pro-
gressiva di parte delle relazioni sociali dalla sfera delleconomia di
mercato, non pu che essere unazione conittuale e dal basso,
botton-up. Un trasferimento di risorse, tempo, energie e creativit
dallambito del lavoro comprato dallimpresa ai ni del protto e
dellaccumulazione di denaro, ad un altro ambito dove prevalgono
le ragioni delle buone relazioni umane, della condivisione e del-
lequa utilizzazione delle risorse disponibili. Insomma, da una so-
ciet dominata dal pensiero unico della massimizzazione del
rendimento economico, ad una societ plurale, dove convivono
pi e diverse forme di relazioni produttive, di modalit di lavoro
e di scambio non necessariamente mediate dal denaro e non ne-
cessariamente dal denaro a debito. Ad esempio, semplice-
mente assurdo usare valute internazionali come mezzi di scambio
per operazioni economiche a KmZero, di liera corta e chiusa,
______________________
362
R. Mancini, Leclissi delletica, in Altrapagina, ottobre 2011.

201
come avviene con i gruppi di acquisto solidale tra persone che si
frequentano abitualmente e per servizi di prossimit.
In generale, lazione della decrescita abbassare il pi possibile
la sovranit (il potere di decisione) a livello locale. Sovranit ali-
mentare, sovranit territoriale (decisioni urbanistiche), sovranit
energetica (autonomia tramite lautoproduzione), sovranit idrica
(a livello di piani di bacino idrogeograco e contratti di ume), so-
vranit sullutilizzo del patrimonio storico, culturale, paesaggistico.
Viene da s che i soggetti sociali di questa trasformazione
sono le comunit degli abitanti dei luoghi. Scrive Alberto Ma-
gnaghi che la coscienza di luogo la capacit di riacquisi-
zione dello sguardo sul luogo come valore, ricchezza, relazione
potenziale tra individuo, societ locale e produzione di ric-
chezza363. Un percorso da individuale a collettivo in cui lele-
mento caratterizzante la ricostruzione di elementi di comunit
in forme aperte, relazionali, solidali.
La coscienza di luogo, quando questo luogo lintero pia-
neta, allora anche il modo per superare nalmente le separa-
zioni tra coscienza di classe, di genere, di generazione, di specie,
ed acquistare quello sguardo egemonico, nel senso di olistico,
che abbraccia lo spazio pubblico e rid senso alla politica. Er-
nesto Balducci lo chiamava individuo planetario.

Cosa, come, dove, quanto produrre e per chi

La crisi strutturale e multidimensionale (energetica, climatica,


idrica, alimentare, migratoria, demograca, sociale) cui andato
incontro il capitalismo contemporaneo, ha origine nellidea di
una crescita illimitata della produzione industriale, di unespan-
______________________
363
A. Magnaghi, Oltre la globalizzazione, verso una municipalit allargata e solidale,
in Tutela e valorizzazione del territorio, AEF Treviso, marzo 2009. Alberto Ma-
gnaghi fondatore de La societ dei territorialisti.

202
sione globale dei mercati di beni e servizi mercicati, di una dif-
fusione totalizzante dei rapporti sociali esistenti tra capitale, la-
voro e natura: in pratica, nellidea di un dominio assoluto del
denaro come unica ragione di scambio, unica misura della ric-
chezza, unica modalit di accesso al consumo, unico indicatore
del benessere.
Se vogliamo guarire dal male che ha prodotto la crisi, dobbiamo
capovolgere il paradigma della crescita. Non basta razionalizzare i
consumi, diminuire gli sprechi, ridimensionare le mediazioni nan-
ziarie parassitarie, regolare meglio gli scambi commerciali e cos via.
Per uscire dalla crisi servono un cambiamento di orientamento etico
e sociale, un cambio di mentalit, una teoria economica opposta a
quella dellaccumulazione e del possesso, un sistema di relazioni sociali
fondato sulla reciprocit, sullinterdipendenza. Serve la denizione di
un nuovo orizzonte e di nuovi obiettivi cui incanalare lo straordinario
potere che la tecnoscienza conferisce allazione umana.
Afnch le attivit economiche abbiano un senso etico e una
razionalit diversa, necessario che rispondano ad alcune do-
mande fondamentali: quali beni e servizi produrre, utilizzando
quali strumenti tecnici, secondo quali forme organizzative, in
quali luoghi, in quali quantit e, non ultimo, a benecio di chi? A
questi interrogativi leconomia della crescita non fornisce rispo-
ste, o meglio, lascia che a farlo siano i meccanismi automatici e
impersonali, falsamente neutrali e astratti del mercato. Secondo
le teorie economiche dominanti e le loro applicazioni correnti,
la domanda solvibile espressa dai consumatori a determinare lof-
ferta dei beni e dei servizi da immettere sul mercato. Ma cos ope-
rando, i vincoli ecologici della sostenibilit ambientale e gli
obblighi morali della solidariet umana spariscono dallorizzonte
economico. Per le cosiddette scienze economiche, esiste solo ci
per cui qualcuno sia disposto a spendere dei soldi, quindi, viene
considerato solo ci che scambiabile attraverso il denaro. Il
dono, il baratto, il lavoro nellambito domestico e familiare, la
cura di s, il lavoro di manutenzione dei beni naturali inalienabili:
203
tutto questo non fa PIL, quindi non esiste. Questa la ragione
per cui leconomia va in una direzione (cresce) mentre il pianeta
e i suoi abitanti vanno dallaltra (soffrono). Pi aumenta il volume
delle merci prodotte, pi i cicli vitali biologici, geologici e chimici
(comprese le vite degli individui del genere umano) sono sotto-
posti a un pesante stress. Pi salgono gli indicatori economici
della produttivit, della prottabilit, dellaccumulazione, pi si
incrinano i delicati equilibri ecologici e diminuisce la capacit
degli individui di stringere relazioni conviviali consapevoli, re-
sponsabili, solidali, di reciproca soddisfazione. In denitiva, la
crescita va a discapito della qualit della vita, e il bilancio tra be-
neci e perdite non in equilibrio: chi vince in efcienza e
competitivit si lascia alle spalle una lunga scia di perdenti.
La decrescita, quindi, nel momento stesso in cui contesta la vi-
sione unidimensionale e totalizzante delleconomia della crescita, in-
tende rovesciare lintero sistema di valori su cui basata lattuale
organizzazione sociale: lindividualismo proprietario, larricchimento
egoistico, il dominio assoluto del denaro, la brama del possesso.
Fin qui la parte critica, destruens, del discorso che la decrescita in-
tende aprire. Ma possibile che la nozione della decrescita assuma
anche una valenza propositiva se interpretata come un processo ca-
pace di far emergere un diverso orizzonte simbolico, di evocare una
possibilit altra di vita. Unidea capace di liberare energie da im-
piegare nel riconoscimento, nella rivendicazione e nella gestione con-
divisa ed equa delle risorse del pianeta intese come beni comuni.
La decrescita, quindi, agisce a pi livelli: in negativo, come
attivit di sgombero dellimmaginario, destrutturazione dei mec-
canismi che ingabbiano le relazioni umane ed economiche den-
tro un unico sistema di pensiero; in positivo, come azione di
riappropriazione dei beni essenziali alla preservazione della vita
e di creazione di relazioni umane scelte, consapevoli, pi armo-
niose e capaci di proiettarsi nel futuro.
La decrescita e i beni comuni sono due facce di una stessa me-
daglia. A ben vedere, le politiche della decrescita il Programma
204
delle 8 R di Serge Latouche364 non sono altro che azioni con-
crete a favore dei beni comuni. La progressiva espansione del
campo dei commons funziona come un argine di contenimento e
di ridimensionamento, in direzione dellannullamento, del campo
occupato dalleconomia del denaro, del debito, della mestelica
distruzione creativa. La decrescita il passaggio da un modello
di uso predatorio e dissipativo delle risorse naturali e umane a uno
pi equilibrato e socialmente equo. La decrescita associata alla ge-
stione condivisa dei beni comuni portatrice di un progetto di
autonomia, di autogoverno e di autentica democrazia.
Decrescita e beni comuni come elementi non meramente re-
torici, evocativi o solo rivendicativi, ma come un processo con-
cretamente attivabile a livello individuale utilizzando al meglio
la potentissima creativit umana: il lavoro concreto, vivo, com-
pleto, motore interno della trasformazione. Tim Jackson indivi-
dua i semi di una nuova economia nelle imprese sociali locali
integrate nella comunit, nelle piccole cooperative agricole, nelle
ofcine di riparazione e manutenzione, nelle botteghe artigiane,
oltre ai servizi energetici di generazione diffusa, della mobilit
dolce, del riciclo, del riutilizzo e di tutti i settori dellistruzione,
del tempo libero e del divertimento. Insomma, il futuro in
quella che lui chiama economia cenerentola365.

______________________
364
S. Latouche in www.decrescita.it/joomla/index.php/component/con-
tent/article/2-il-programma-delle-otto-r.
365
T. Jackson, op. cit., p. 174.
205
INDICE DEI NOMI

Abensour M. 163, 164


Addiopizzo 88
Alcano M. 128
Algostino A. 145, 153
Alier J.M. 87, 95, 137, 179, 190
Allegretti U. 159
Alquati R. 105
Amendola A. 112
Amoroso B. 42
Angelini M. 92
Arci 88
Arendt H. 111, 142

Bacone F.120
Balducci E. 202
Banca Centrale Europea 62
Banca dItalia 20
Banca dei Regolamenti Internazionali 43
Banca Etica 88
Banning Poverty 20
Baranes A. 58, 149
Barbieri D. 27, 29
Barnes P. 76, 92
Bartolini S. 179
Bascetta M. 163
Basf 150
Bauwens M. 176

207
Bayer 150
Beams N. 52
Belpoliti M. 127
Benasayag M. 142
Benjamin W. 125
Beritelli L. 91
Berlinguer E. 180
Berlinguer M. 154
Bert G. - Gardini A. Quandrino S. 24
Besson-Girard J.-C. 28,178
Bianchi A. 154
Bianchi B. 12, 27, 109, 121, 194
Blair T. 151
Blooberg 19
Bobbio N. 18, 165
Boff L. 30
Bolaffi A. 170
Bollier D. 73, 86
Bologna S. 123
Bonaiuti M. 52, 53, 183
Bortolotti F . Corsi C. 159
Boulding K.E. 44, 87
BP 150
Buffett W. 19

Cacciari P. 85, 92
Caill A. 12, 99, 111
Calvo R. 61, 108
Campiglio E. 48
Cangelosi E. 78
Capital 18
Capitini A. 175
Capra F. 98, 188
Carestiato N. 85
Carlsson C. 13, 104, 169
Cartesio 120
Cartosio B. 14
Cassano F. 28, 29, 31, 100, 101, 187
Castells M. 33, 143
Castoriadis C. 165, 188
Cavallito M 149
Cayley D. 197
Centro di documentazione Giuseppe Impastato 88
Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali 13
Centro Nuovo Modello di Sviluppo 36
Chesnais F. 43
Chomsky N. 14, 30, 151, 168
Church of Euthanasia 29
Cianciullo A. Silvestrini G. 70
Cini M. 122
Citigroup 150
Cleaver H. 169
Club di Roma 30, 198
Cohn C. 60
Collins M. 169
Comino V. 60
Commissione Europea 62
Commissione Sarkozy 182
Commons Movment 75
Consorzio Siquillyh 88
Cooperativa Iris 89
Corte dei Conti 26
Corte Suprema US 150
Costanza R. 191
Cotturri G. 159
Credit Suisse 18, 69
Croft J. 176

Dalla Porta D. 153


Daly E. 44
Danini A. 42
Davis M. 37
de Las Casas B. 29
Delor J 181
Demaria F.- Schneider F.- Sekulcova F.- Martinez-Alier J. 180
Demichelis L. 123
Department of Justice U.S. 17
Deriu M. 115, 168
Deutsche Bank 71
Di Sisto M. 136
Diamond J. 57
Dolci D. 175
Donolo C. 81, 90, 146
Draghi M. 56, 148
Dyer-Witheford N. 75

Easterlin R.A. 179


El Alavi A. 13
Esteva G. 11, 75, 167

Fa la cosa giusta! 88
Fargo W. 58
Federal Reserve 43, 58
Federici S. 90
Ferguson N. 15
Ferguson T. 151
Ferrajoli L. 78, 83, 94
Ferraris P. 100, 156, 171, 172, 174
FIAT 128
FIOM CGIL 112
Flores dArcais P. 144, 162, 166
Foa V. 101
Fondo Monetario Internazionale 62
Forbes 18
Forum per lacqua pubblica 88
Franceschini E. 19
Fromm E. 128, 143
Fumagalli A. 123

Galbraith J. 18
Galimberti F. Dalla Valle I. 50
Galimberti U. 124
Gallino L. 16, 19, 51, 123
Gambaro F. 47
Gandhi M.K. 100, 167, 180, 194
Gate B. 19
Gatti C. 149
Gauntney H. 168
Gdf/Suez 150
Georgescu-Roegen N. 44, 87, 180, 183
Geromini Stoll M. 40
Gesualdi F. 36, 167, 180
Ginsborg P. 155
Giuffreda G. 82
Glotz P. 133
Goldman Sachs 148, 150
Goria F. 43, 58
Gorz Andr 48, 64, 97, 114, 117, 123, 125, 133, 185, 192
Graeber D. 17, 197
Greco P. 186
Grilli V. 148
Gudeman S. 75

Halimi S. 68
Hansen J. 30
Hardin G. 93
Hardt M. 74, 164, 168
Harvey D. 37, 76, 93
Hawken P. 33, 135, 189
Heinberg R. 193
Heinrich Bll Foundation 73
Helfrich S. 73, 75, 86
Hickel J. 18
Holloway J. 84, 105, 119, 144, 156, 168
Houtart F. 54, 78
Huxley A. 24, 26

Iglesias P. 157
Illich I. 11, 12, 25, 36, 39, 69, 82, 115, 125, 134, 194, 195, 197
Indignados 91, 153
Ingrao P. 18
IPCC, 30
Izquierda Unida 157

Jackson T. 53, 54, 199, 205


Jefferson T. 142
Jevons W.S. 179
Jha S. 43, 54
Jonhson C. 14
JP Morgan 147, 150
Kahneman D. 179
Kamprad I. 19
Kant I. 109
Kempf H. 21, 43
Keynes J.M. 27, 65, 66, 67, 134
Kingsnorth P. Monbiot G. 31
Kingsnorth P. 164
Kohr L. 198
Kovacic Z. 40
Krugman P. 46
Kumarappa J. 100, 122, 126, 131
Kunstler J.H. 98, 100

Lafarge 150
Langer A. 180
Latouche S. 14, 35, 42, 114, 124, 180, 185, 188, 200, 205
Leghissa G. 123
Lenin V. 201
Leopold A. 95
Levi C. 172
Levi P. 127
Levine B.E. 22
Libera Terra 88
Linebaugh P. 75, 76, 82
Lista per unAltra Europa 158
Locke J. 41, 182
Lombardi Vallauri L. 67, 184
Longo M. 59
Lovins A. Hunter Lovins L. 135
Lucarelli A. 32, 78
Luxemburg R. 14
Machiavelli N. 17, 164, 201
Maddalena P. 78
Madera R. 100
Madotto R. 136
Maflow occupata 89
Magnaghi A. 173, 202
Mancini R. 107, 108, 129, 197, 201
Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali 23
Marchetti L. 99
Marcon G. 162
Marella M.R. 113
Martins A. 167
Marx K. 32, 96, 97, 111, 119, 126, 142, 191
Mason P. 33
Mattei U. 32, 74, 78, 79, 81, 165
Mauss M. 99
McAfee A. 49
McCann C. 21
McKibben B. 120
Melandri L. 142
Melloni N. 49
Merchant C. 194
Merrill Lynch 150
Micati E. 93
Morales E. 96
Morin E. 11, 12, 56, 57, 187
Morosini M. 109
Morris W. 106

Nancy J.L. 74
Napoleoni L. 45, 149,
Nebbia G. 137
Negri T. 74
New Economy Foundation 53, 134
Nicolazzi M. 70
Niola M. 99
Nivarra L. 94
No Tav Val di Susa 89
Novaretti B. 20

Obama B. 27, 150


Occupy Wall Street 91, 153
OECD 48
ONU 31, 54, 136
Organizzazione Internazionale del Lavoro 20
Orlov D. 31
Ortega A. 19
Orwell G. 24
Osti G. 138
Ostrom E. 85, 94
Oxfam 18

Paccino D. 27
Pacilli A. Pizzo A. Sullo P. 27
Padoan P.C. 48
Pallante M. 37
Paolo di Tarso 119
Partito Democratico 82
Passeri D. 85
Patel R. 76
Pennacchi L. 83
Petrella R. 20
Petty W. 120
Pezzella M. 125,148, 173
Phillips L. 147
Pietil H. 109
Pikettey T. 46, 52
Pinault F. 25
Pinco 58
Polanyi K. 41, 96
Politecnico Zurigo 50
Preterossi G. 15
Proudhon P-J 194

Rajan R.G. 55
Rancire J. 165
Randers J. 198
Rasini V. 29
Reich R. 18
Reich R.B. 148
Rete comuni solidali 90
Rete Comuni virtuosi 90
Rete per la sostenibilit e la salute 90
Rete@Sinistra 112
Revelli M. 154, 158, 162
Reviglio E. 79
Ricci M. 46
Rifkin J. 197
Rist G. 14, 57, 67, 196
Robert J. 177
Rodot S. 77, 79, 86, 95
Romney M. 150
Roosvelt F.D. 27
Rosanvallon P. 159
Rossi E. 155
Rossi G. 148
Rossi G. 36
Rovoletto R. 191
Roy A. 149
Ruffolo G. 29, 192
Ruskin J.194
Ruzzene M. 53

Sachs W. 14, 69, 109, 137


Sahlins M. 24, 99, 118
Schumacher F. 127, 128
Sciortino R. 47
Sem Terra 139
Sen A. 166, 182
Sennett R. 128
Settis S. 26
Shiva V. 119, 142
Siemens 70
Skidelsky E. Skidelsky R. 45, 65, 66, 178
Slim C. 19
Sofocle 187
Solvay 150
Standard & Poors 26, 51
Stiglitz J. 55, 182, 186
Streeck W. 12, 47
Summers L. 46
Sustainable Development Commission 53

Tainer J. 57
Tavares P. 96
Tavolo nazionale Res-Des-Gas 89
Tett G. 59
The Commons Strategies Groups 73, 84, 86
Tolstoj L. 27, 99, 104, 127, 194
Tonello F. 25
Totaro F. 127, 129
Trenkle N. Lohoff E. 50
Tricarico A. 136
Tronti M. 162
Trotta M. 154
Tsipras A. 157
Turri M.G. 109

Unimondo 76
Urbinati N. 159

Vallerani R. 21
Varotto M. 93
Vassapollo L. 50
Verducci D. 118
Viale G. 34, 138
Villani T. 193
Vitolo A.G. Russo N. 29
Viveret P. 21

Wallerstein I. 42, 50, 156


Weber M. 201
Weil S. 111, 129, 185, 186, 195
Weisman A. 29
Whitaker R. 23
Wilkinson R. Pickett K. 17, 23, 34
Williams C.C. 115
Word Social Forum 154
Wuppertal Insitut 51, 109, 115
Zagrebelsky G. 104
Zanchetta A. 13
Zarelli E. 188
Zibechi R. 13, 141
iek S. 14, 28, 200
Zoratti A. 136
Zuccotti Park 18
Finito di stampare
nel mese di settembre 2014
da Arti Grafiche Zaccaria

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