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Edoardo Salzano
Memorie di un urbanista
LItalia che ho vissuto
2010 Corte del Fontego editore
Dorsoduro 3416/a - 30123 Venezia
cortedelfontego@virgilio.it
ISBN 978-88-95124-06-3
www.cortedelfontego.it
Ouverture xiii
Prologo xv
La lunga infanzia
Nonno Armando - Napoli dalla mia finestra - La casa del Corso - I coloni e Vicienzo
Ucciero - La famiglia Salzano di Casoria - Villa Diaz - Le mie educatrici - Giochi -
Il monumento a nonno Armando - Selva di Val Gardena - Accanto alla guerra -
Sfollati a Roccaraso - Cade il fascismo, arrivano le SS - Miseria e nobilt - Via
Rasella dallHotel Imperiale - Larrivo degli alleati - Ritorno a Napoli - I boy scout -
Luigi Cosenza - Villa Pavoncelli - La politica? Non cera - Unestate a Colle Isarco -
Luniversit, il cinema e Benedetto Croce - Mamm e pap entrano in crisi
capitolo primo 3
A Roma
1. Nuove amicizie, nuove scoperte - 2. San Pietro in Vincoli - 3. Alberto
e la politica - 4. Federico Gorio e la civilit urbanistica - 5. Barbara e
limpegno sociale - 6. Pubblicista
capitolo secondo 17
Un nuovo mondo si apre
1. Franco Rodano - 2. In quegli anni, nel mondo e in Italia - 3. La rivista
il Dibattito politico - 4. Emergono i temi della ricerca - 5. Bisogno, con-
sumo, produzione, lavoro - 6. Le trasfomazioni nella societ e nel territorio
- 7. Comunista
capitolo terzo 35
Lavorare non stanca troppo
1. La laurea, e dopo - 2. Lavori e lavoretti - 3. Il piano urbanistico provin-
ciale di Teramo e il piano regolatore generale di Giulianova - 4. Il Centro
studi della Gescal - 5. Il Ministero dei lavori pubblici - 6. LItalia alle so-
glie degli anni Sessanta - 7. Da Fiorentino Sullo alla frana di Agrigento
capitolo quarto 47
Nel centro dellurbanistica italiana
1. Al Ministero di Porta Pia - 2. Salvate gli uomini prima dei mufloni -
3. Dal crollo di Agrigento al decreto sugli standard urbanistici - 4. Gli
standard urbanistici - 5. Le sentenze della Corte costituzionale - 6. Ammi-
nistrare lurbanistica - 7. La Rivista Trimestrale - 8. Che cos la citt? -
9. Urbanistica e societ opulenta
capitolo quinto 63
Esperienze di vita pubblica
1. Consigliere comunale a Roma - 2. Il lavoro sullattuazione del piano
regolatore generale di Roma del 1962 - 3. La battaglia per Capocotta -
4. Le borgate abusive - 5. Il Sessantotto - 6. Verso lautunno caldo - 7. Lo
sciopero generale del 1969
capitolo sesto 79
Organizzazione della cultura
1. Nascita e crisi dellInu - 2. La ricostruzione - 3. Da che parte sta lInu? -
4. Urbanistica informazioni
capitolo settimo 85
La fase gloriosa della sinistra
1. Il compromesso storico - 2. Le elezioni del 1975-76 - 3. Venezia rossa -
4. Venezia e il degrado - 5. Il festival nazionale dellUnit - 6. Dieci anni
nel bunker - 7. Verso un nuovo piano regolatore - 8. Il piano comprenso-
riale - 9. Cambiano le alleanze - 10. La politica della casa
capitolo ottavo 107
Venezia forma urbis
1. Le basi per il nuovo piano della citt storica - 2. La nuova cartografia
e il fotopiano della citt storica - 3. Forma urbis - 4. Interruzioni, ripresa
e prima conclusione - 5. La proposta dellarticolazione dei piani in due
componenti
XIII
Ho iniziato a raccogliere i miei ricordi una decina di anni fa.
Riguardavano la famiglia e i miei primi ventanni. Quando avviai il sito
web eddyburg li misi in rete, insieme ad altri miei scritti.
Pi di un lettore mi incoraggi a proseguire. Marina Zanazzo mi
propose di pubblicarli nelle sue raffinate edizioni. Decisi di andare
avanti e di raccontare anche i decenni successivi. Raccolsi e ordinai
un po di materiale ma ben presto fui travolto da altri impegni, in
particolare proprio dalla gestione di eddyburg. Ripresi in mano il
testo solo un paio danni fa. Ma, sollecitato anche dagli amici cui
feci leggere la prima stesura (in particolare Maria Pia Guermandi e
Vezio De Lucia, vicedirettori di eddyburg), abbandonai presto lidea di
proseguire sulla strada di unautobiografia privata. Volevo raccontare
invece gli eventi interessanti relativi soprattutto allultimo mezzo
secolo cui avevo partecipato o cui avevo assistito da vicino, come
urbanista, amministratore pubblico, docente universitario. Mi sembrava
un contributo pi utile, soprattutto in una fase in cui si tende a
cancellare la memoria storica, e si impedisce ai giovani di avvalersi degli
insegnamenti che germinano dalla consapevolezza del passato.
Decisi di inserire comunque in questo libro, ormai diventato unaltra
cosa il racconto dei miei primi ricordi: con qualche sforbiciata rispetto
a quello pubblicato in eddyburg, e distinto anche graficamente dal testo,
esso costituisce il Prologo.
Nei capitoli del libro racconto invece lItalia che ho vissuto attra-
verso locchio dellurbanista quale ero diventato, che aveva imparato
che urbanistica non solamente tecnica ma un mestiere che impone di
occuparsi dei tre aspetti racchiusi nella parola citt: urbs, la citt come
ambiente fisico della vita delluomo; civitas, la societ che in quellam-
biente vive; polis, lattivit di governo mediante cui la societ organizza il
proprio spazio.
Varie stesure si sono succedute in questi mesi, continuamente
sottoposte ad aggiustamenti e integrazioni che devo in gran parte
agli amici che mi hanno letto: oltre i citati Maria Pia e Vezio, Piero
Bevilacqua, Mauro Baioni, Ilaria Boniburini. Sono grato a tutti, anche
se non ho seguito sempre i loro consigli. Ringrazio infine Marina
Zanazzo che ha riletto il testo con cura e intelligenza critica rare, e Lidia
Fersuoch che lo ha corretto.
Nota
Lindirizzo completo del sito web di Edoardo Salzano, indicato nel testo e in nota come
eddyburg, http://eddyburg.it. Per raggiungere i testi citati, basta digitarne il titolo nella
finestrina cerca, posta nella barra superiore di ogni pagina.
Prologo
La lunga infanzia
Nonno Armando
Non sarei nato se, nel 1884, a Caserta, il tenente del genio artiglieria Armando
Diaz avesse preso dal mazzo di chemin de fer una carta pi bassa. Mio nonno
era allora ufficiale di prima nomina. La sera, quando era libero, andava al circolo
degli ufficiali, dove giocava volentieri. Quella volta era stato particolarmente sfortu-
nato. A dispetto del suo carattere solitamente rigoroso si era lasciato prendere la ma-
no. Un rapido conto gli aveva fatto scoprire con terrore che perdeva molto di pi di
quanto avrebbe potuto pagare col suo stipendio. Di farsi prestare i soldi, neanche a
parlarne. Prese una decisione difficile: Gioco unultima mano: se perdo, mi brucio
le cervella, se vinco, non tocco pi una carta . Vinse, per fortuna, e visse. Quaran-
tasei anni pi tardi, nacqui io. A Napoli, in casa.
La casa era molto bella. Una specie di villa urbana, di forma molto allungata;
occupava tutto il lotto tra corso Vittorio Emanuele (la lunga strada panoramica a
mezza costa che attraversa Napoli da Mergellina al Museo) e via Torquato Tasso
(che si arrampica verso la collina del Vomero). Due piani, pi un vasto scantinato;
un cortiletto a un estremo, un giardinetto con una grande palma allincrocio tra
le due strade; entrambi racchiusi da unalta cancellata nera. L abitavano i miei
nonni Salzano, mia zia Giannina, i miei genitori: Mauro Salzano e Anna Diaz.
Si erano sposati nel 1929, un anno dopo la morte di Armando. Sontuosi entrambi,
i funerali e le nozze. Soprattutto il funerale, a Roma. Mio nonno, oltre a vincere la
grande guerra (cos ero stato abituato a pensare, e cera del vero), era stato ministro
della Guerra nel primo gabinetto Mussolini, con lammiraglio Thaon de Revel
(un altro vincitore) alla Marina militare. E poi, era cugino del re, in quanto
maresciallo dItalia e insignito del Gran Collare dellAnnunziata, la pi alta onori-
ficenza del Regno. Il trasporto funebre era un affusto di cannone (lo stesso sul quale
era stato trasportato il Milite ignoto), trainato da otto cavalli neri. Dalla abitazione
XV
XV
prologo
XVI
prologo
di nonna Sara andava in villeggiatura. Un giorno, alzatosi dopo il pranzo nel corso
del quale Sara aveva dovuto contenersi (non era bene che le signorine di buona fa-
miglia mostrassero troppo appetito), Armando, che era uscito in giardino a fumare
il sigaro, la scorse dalla finestra mentre mangiava gustosamente un peperone ripieno.
Buon appetito, donna Sara, pare le abbia detto scherzosamente.
Certo che tra i due cera una grande intesa. Memorabili in famiglia erano le
lettere che si scambiavano quando lui era al fronte, lintelligenza con la quale Sara
lo consigliava e aiutava nei rapporti politici e in quelli di corte. Non ricordo che mi
abbiano parlato molto di questo, per. Forse perch ero bambino (nonna Sara mor
quando avevo sedici anni). O forse perch, essendo bambino, ricordavo solo le storiel-
le che mi interessavano. Come quella, che mi dava molto gusto, della pesca a corte.
Quando si mangiava alla tavola del re (Vittorio Emanuele iii), appena il sovrano
aveva terminato il suo pasto nessuna forchetta, coltello, cucchiaio, bicchiere poteva
agitarsi: tutti dovevano concludere, e posare il tovagliolo. Sara Diaz De Rosa stava
mangiando una bella pesca, continu a sbucciarla (con forchetta e coltello, natural-
mente). Fulminata dagli occhi dei presenti, arross, fece cadere le posate nel piatto.
Il re lapostrof sorridendo: Continui pure, donna Sara, sarebbe un peccato lasciare
una pesca cos bella.
Mia madre era molto legata ai suoi genitori, come del resto i suoi fratelli Marcello
e Irene. Ci teneva a ricordare che quando Armando fu colpito dallinfarto che lo
condusse rapidamente alla morte fu lei a correre alla ricerca del sacerdote che gli diede
lestrema unzione. E mia nonna ricord quellevento regalando alla figlia una fotogra-
fia di Armando Diaz, a mezzo busto e in grande uniforme, racchiusa in una vistosa
cornice debano e tartaruga, attraversata da una scritta vergata a mano dalla sua
larga grafia: Ad Anna che nel momento supremo procur a Lui laiuto divino.
Quella fotografia era sempre in evidenza, nella camera da letto di Anna, in tutte le
case che abbiamo abitato. Bella era la camera della mamma, nella casa di Napoli.
Occupava uno dei due angoli della casa volti verso il mare: laltra, allestremo oppo-
sto, era la camera dei nonni. Grande, luminosa, sia per il damasco giallo alle pareti,
sia per le tre ampie finestre sul golfo. La mia camera era quella accanto, e guardava
sullo stesso panorama.
Un panorama splendido, cos lo ricordo. E vedere Napoli oggi, confrontata
con quella della memoria, cosa che ogni volta mi fa soffrire. Intendiamoci, ancor
oggi esso bellissimo. Lampio specchio di mare, concluso a occidente dalla penisola
sorrentina e dallisola di Capri (entrambe azzurrine nelle ore pi calde della lun-
ga stagione del sole e dellazzurro; verdebrune di campagna, solcate dalle stradine
e disseminate dai bianchi granelli delle case lontane nelle ore in cui la visibilit
XVII
prologo
maggiore; grigie e confuse con le galoppanti nuvole nei giorni delle tempeste dinverno),
sovrastato dalla mole bonaria del Vesuvio (che ricordo con il pennacchio di fumo e, la
notte, rosseggiante alla bocca per la lava eruttante), solcato dalle vele, dalle barche
dei pescatori, dalle navi. La superficie delle acque cangiante nelle stagioni e nelle ore,
scintillante e screziata di sole nelle numerose belle giornate, oppure cupa e agitata nel
grigiore delle nuvole trascinate dal vento, oppure ancora pesante e immobile come una
coltre azzurra sotto lafa del solleone. Questo cera allora, e c ancora. Forse un po
pi torbido, per linquinamento dellaria offuscata e avvelenata dallo smog urbano.
Quello che non c pi la verdeggiante collina di Posillipo, protesa sul mare,
allora appena punteggiata dalle sagome di qualche villa e della Tomba di Schilizzi
(il mausoleo virgiliano: una buffa costruzione grigia sormontata da una cupola).
Quello che non c pi la campagna scoscesa di Villanova, la costa che collega
Posillipo alla collina del Vomero, alle spalle della nostra casa. Alle rare costruzioni
che nulla toglievano al carattere agreste di quelle parti della citt (la grande villa
Patrizi, la chiesetta di SantAntonio sopra Mergellina, gli sparsi e radi casolari,
le ville signorili di Posillipo), alla campagna coltivata di vigne e ortaggi, si sono
sovrapposte le orribili costruzioni realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta dagli
improvvidi distruttori del pi bel paesaggio del mondo: pseudoville, condomini, pa-
lazzine, viali e vialetti, muri di sostegno e muri di suddivisione dominicale. Una
squallida periferia progettata e realizzata con la medesima cultura rapace e cretina
che ha costruito le periferie delle tristi citt di pianura: l, seppellendo sotto palazzi e
casette le risaie abbandonate e i terreni divenuti incolti in attesa di valorizzazione
edilizia; qui, dove la natura aveva sorriso per secoli, sommergendo ogni cosa sotto
un succedersi di lottizzazioni di cui soltanto i nomi ricordano, con triste ironia, ci
che cera prima: Parco Lmaro, Parco Comola, Parco Ottieri, si chiamano ancora
quegli insediamenti parassiti.
Le mani sulla citt hanno distrutto per sempre il paesaggio della mia infanzia:
lo hanno sepolto sotto una repellente crosta di cemento e asfalto, per adoperare le
parole di Antonio Cederna. Della sua bellezza rimane in me, fortissimo, solo il
ricordo e, naturalmente, il rimpianto.
La casa del Corso era grande. Dal cortile posto a un capo del lotto si saliva una
dozzina di gradini, e si entrava in un ampio androne coperto a botte. Varcata una
porta sorvegliata dal cameriere, si accedeva a un grandissimo atrio che occupava un
quarto dellintera superficie della casa. In fondo, una grande scala a tenaglia con
ringhiera di ferro battuto dorato e bronzeo portava al piano superiore. Il soffitto,
sorretto da quattro grandi colonne scure, era tappezzato di blu. In fondo alla sala,
al di l dello scalone, un bagno di marmo bianco e lo studio del nonno. Latrio e lo
XVIII
prologo
studio occupavano quasi tutta la parete verso monte; quella verso il mare era una
fuga di saloni: la sala da pranzo, con limmenso tavolo finto Rinascimento e grandi
quadri con nature morte di fiori e frutta; il fumoir, con il classico caminetto finto
e morbide poltrone in pelle; il salottino veneziano verde e oro; in fondo, il salone
da ballo Luigi xiv, bianco e oro. Accanto alla sala da pranzo, il riposto con il
grande armadio delle stoviglie e il montacarichi collegato alla cucina.
Non sempre noi bambini (dopo di me, cadenzate di due anni, erano nate le mie
sorelline Litta e Germana) mangiavamo in sala da pranzo, e raramente frequenta-
vamo i saloni: salvo che a Natale, quando lalbero, circondato dai regali, troneggiava
nel salone da ballo; oppure quando i genitori chiamavano qualcuno di noi a salutare
gli ospiti, facendoci esibire nella canzone patriottica di turno. I luoghi a noi riservati
erano al piano di sopra. A un estremo della casa cerano le stanze dei miei genitori:
la grande camera da letto di damasco giallo, la stanza da toilette (con gli armadi a
muro in stile veneziano, la toilette della mamma, il sof per le sedute di bellezza),
il grande bagno, lo studio di mio padre. Al capo opposto, lappartamento dei nonni
e di zia Giannina. Al centro, in corrispondenza del vano della scala e del ballatoio
che la fiancheggiava, le nostre stanze. Sul lato a monte della casa, il guardaroba, il
nostro bagno, un cucinino.
Ma ci che soprattutto mi affascinava era lo scantinato dove cerano le cucine.
Una piccola scala, a fianco di quella principale, conduceva nel vasto dominio condivi-
so da nonna Carmela, dal cuoco Luigi Massaro e da Nannina, protetta e confidente
della nonna. Mitico era don Luigi. Ogni volta che uscivo gli lanciavo uno sguardo
e un saluto dalle finestre inferriate a filo di marciapiede. Piccolo di statura, asciutto,
grigio di capelli, sovrastato dallalto cappello immacolato, Luigi regnava, aiutato da
uno sguattero, nella grande cucina: sullimmenso tavolo di marmo tagliava, batteva,
impastava, scorticava, sventrava, disossava, farciva; nellacquaio di marmo lavava le
verdure, i pesci, le carni; finalmente, sui numerosi fuochi del lungo piano di cottura,
alimentato dalla brace sempre rosseggiante, governava sulle pentole scoperchiando,
mescolando, agitando, assaggiando, aggiungendo sapori e odori, spostando dal fuoco
pi vivo (l dove il piano di ghisa della cucina si apriva sulla brace) ai luoghi pi
lontani. Un maestoso mortaio di marmo, appoggiato al suo trespolo di legno massic-
cio, subiva i colpi del pesante pestello sbattuto dallo sguattero per preparare le scorte
di pangrattato, oppure per pestare la carne di pollo con la quale, mischiata con una
densa bchamel, venivano preparate a bagnomaria le chinelle di pollo, la mia pie-
tanza preferita.
Era un cuoco dalto lignaggio, don Luigi. Era stato chef sui transatlantici, e
dalle lontane terre oltre oceano aveva riportato un pappagallo di nome Loreto. Non
abitava con noi. La sua casa, che divideva con la moglie e con Loreto, era sul
Corso, pi avanti, verso la fermata della ferrovia cumana. Ma spesso, prima di
tornare a casa, si fermava nel cortile a fumare una sigaretta con il cameriere o con
lautista. Allora poteva essere interpellato, e declamava massime piene di saggezza.
XIX
prologo
Don Luigi, come finisce la guerra, chi vincer? gli chiesi in unestate del luglio
1941. Signuri, tra i vinti non ci saranno i vincitori . La Sibilla cumana non
avrebbe potuto essere pi abile.
La cucina era alimentata dalle cantine, altro luogo essenziale dello scantinato. Oc-
cupavano la parte verso monte, sbarrate da pesanti cancelli, che nonna Carmela
chiudeva con un gigantesco mazzo di chiavi sempre pendente dalla cintura. Non so
bene cosa vi fosse riposto: ricordo solo le forme, grandi e piccole, di rossa, trasparente
e tremolante cotognata, che profumava nei primi mesi dellinverno, i formaggi, le bot-
tiglie nelle rastrelliere, i mucchi di patate, i grandi barattoli dalla bocca tappata con
la carta oleata e lo spago.
E ricordo come le cantine venivano approvvigionate: due volte allanno arrivava-
no, sui barrocci o a piedi col carretto (o con il mulo), i contadini che conducevano a
colona parziaria le numerose propriet del nonno: piccoli appezzamenti di fertile or-
to o frutteto nei paesi confinanti (Afragola, Casoria, Giugliano, Qualiano, Vico di
Pantano), per luso dei quali i coloni pagavano un canone (lestaglio) corrisposto par-
te in moneta e parte in natura. Varcata la porta di servizio le coppie di contadini si
dividevano: luomo andava su, nello studio, dove don Achille Di Santo, ragioniere
e contabile di nonno Eduardo, riempiva di minuta grafia un grande registro anno-
tando la quantit di banconote rossicce che i coloni estraevano da logori portafogli e
dai penetrali della biancheria, e i prodotti affluiti nelle cantine. Qui nonna Carmela
e Nannina ricevevano le donne, e contavano e sistemavano le galline, i capponi e i
tacchini collocandoli in una grande stia, i conigli (che venivano subito trasferiti alle
competenze di don Luigi), i sacchi di fagioli, di grano e granturco, le pannocchie, le
cassette di pomodori, melanzane, peperoni, carote, sedani, cavolfiori, trecce daglio,
cotogne, mele annurche e renette.
Un personaggio importante era Vicienzo Ucciero, mezzadro di Vico di
Pantano (lodierna Villa Literno). A Vico di Pantano cera la pi grande delle
nostre propriet: due o trecento ettari di palude, tra il Volturno e il lago Patria.
Luogo di grandi battute di caccia (ricordo le fotografie in cui massicci signori baf-
futi, con lunghi schioppi, esibivano colline di uccelli e sorreggevano ghirlande di
anatre e altri pennuti), e di bufale. Vicienzo era il bufalaro. Sempre con la febbre
terzana, amministrava bufale, mucche e qualche moggio (tre moggi sono un ettaro)
di campagna coltivata a fagioli e ortaggi. Aveva anche una grande fossa circolare
nella quale si buttava il mangiare per i conigli, carote e altre prelibatezze: quando
poi era necessario, si abbassavano le piccole saracinesche che chiudevano le gallerie
daccesso, e si prelevava dalla fossa il coniglio da cucinare, o la coppia da dare alla
Signora (mia nonna).
XX
prologo
Era una famiglia benefica, ed era una famiglia ricca. Come lo era diventata? Il luo-
go dorigine dei Salzano era Casoria, un grosso borgo agricolo, dagli anni Cinquan-
ta inglobato nella periferia di Napoli, subito al di l dellaeroporto di Capodichino
(una parte del quale fu costruito su terreni Salzano, indennizzati dopo decenni di
vertenze). Famiglia di origine contadina fino a inizio Ottocento, era diventata poi
di mercanti o artigiani, secondo i racconti di zia Giannina produttori e mercanti di
vino. Borghesia laboriosa di campagna, ma gi aperta a interessi urbani: i fratelli
Eduardo e Mattia, i prodotti migliori di una covata di sette tra fratelli e sorelle,
furono mandati alla celebrata scuola napoletana dei Padri Barnabiti. Abitavano
in un dignitoso palazzo, costruito da un Mauro Salzano attorno alla prima met
dell800 nella strada principale.
Senza abbandonare le radici paesane (il palazzo rimase di loro propriet
fin dopo la seconda guerra mondiale) allinizio del nuovo secolo si trasferirono a
Napoli, in un palazzo costruito da un Salzano (Mauro o Eduardo) in via San
Domenico Soriano, vicino a piazza Dante. Mio padre e sua sorella Sisina, rispet-
tivamente del 1902 e 1903, nacquero a Casoria; zia Giannina fu la prima a
nascere a Napoli, nel 1907.
Lartefice della fortuna di famiglia fu, allinizio del secolo, il mitico zio Mattia,
fratello di Eduardo: ingegnere, abile imprenditore, in societ con tale Gaetanino
DAniello (di una benestante famiglia di Villaricca, altro borgo della campagna
napoletana) mise su unimpresa di costruzioni specializzata in lavori di bonifiche e di
grandi infrastrutture, nel Napoletano e nel Foggiano. Mattia mor di febbre spagnola
nel 1918. Da allora, dellimpresa di famiglia dovette occuparsi Eduardo, mio nonno.
Mio nonno per non era tagliato per gli affari. Laureato in medicina, esercitava
la professione di chirurgo allOspedale dei Pellegrini (una qualificata istituzione di
beneficenza della nobilt napoletana), dove divenne assistente del famoso chirurgo
XXI
prologo
XXII
prologo
del Corso o a villa Diaz. Mamm era sempre al centro: spiritosa, brillante, elegante,
era davvero molto chic. Aveva dei bellissimi capelli castani con sfumature rosse,
che ravvivava con lhenn. Amica fin da bambina dei Salzano, ne temeva, come ho
detto, il dialetto e non amava che, quando andavo a salutare nonna Carmela, lei mi
prendesse nel letto.
Formavano una coppia molto bella, i miei genitori e avevano moltissimi amici:
Gino e Didina Santasilia (che abitavano in uno splendido palazzo in piazza dei
Martiri), la baronne Anna Ricciardi, Gigione (che mi cantava O capitan, c un
uomo in mezzo al mare), i pi anziani Marcello Orilia (arbiter elegantiarum:
ordinava le camicie a dozzine a Londra, dove andava ogni anno per rinnovare il
guardaroba), Ettore Ricciardi, i baroni di feudi calabresi Baracco e Compagna, e
tanti altri che costituivano la crema dellaristocrazia napoletana. Il salotto di casa
del Corso era molto frequentato, ma le feste pi belle venivano organizzate destate,
a villa Diaz, sul Vomero.
Villa Diaz
Un grande edificio bianco, immerso nel verde di un grande giardino che, limitato da
una lunga balaustra bianca, si apriva sul golfo di Napoli. Questa era la villa che
la citt di Napoli aveva donato al generalissimo per le sue vacanze, dopo averne
decretato il trionfo. (Per il vero, avevano deciso di regalargli una villa a Posillipo, ma
lui ne aveva preferito una al Vomero). Era alle spalle della casa del Corso, a soli
cento metri a monte; probabilmente faceva parte in origine del complesso neoclassico
della grande e famosa villa Floridiana.
Quando, destate, ci trasferivamo lass (con i genitori, le sorelline, le governanti),
scendevo, appena grandicello, attraverso gli orti, i sentieri, le scalette e in dieci minuti
ero al Corso. Ricordo ancora il sapore dei pomodori colti al volo: un sapore scom-
parso, mai pi ritrovato, cancellato dallomologazione delle colture artificiosamente
allontanate dalla natura, dalla stagione e dal sito, tramite il massiccio impiego della
chimica e dei teli di plastica.
Grandi feste si svolgevano a villa Diaz, destate, coronate da un finale di fuochi
dartificio. Ricordo le signore che, accompagnate dalla mamma, venivano a vederci
nei nostri lettini, prima che ci addormentassimo. Erano feste alle quali partecipava-
no il principe ereditario Umberto di Savoia e Maria Jos, la sua alta moglie dagli
occhi cerulei.
Per me villa Diaz significava soprattutto il grande giardino e i giochi estivi.
Pochi erano i miei amici, rare le loro visite. Ma mi divertivo molto a giocare con la
terra dei vialetti e lacqua che facevo colare dai rubinetti per lirrigazione, costruendo
col fango argini e canali. Mi arrampicavo sui lecci dai tronchi rugosi, su cui costrui-
vo rifugi segreti in attesa della merenda o della passeggiata.
XXIII
prologo
Le mie educatrici
XXIV
prologo
Giochi
Giocavo molto da solo: credo che capitasse spesso ai bambini perbene, che non
fossero forniti di una banda di fratelli. Le sorelline erano piccole ed erano femmine:
due buone ragioni per condurre vite completamente diverse. Ricordo, da piccolissimo,
un gioco amato, una grande cucina per bambini, con le provviste vere lenticchie,
pastina portate da don Luigi, forse premio di consolazione dopo qualche malattia.
Ricordo una sciabola di latta e un cappello da bersagliere sotto lalbero di Natale del
1934 e una bellissima bicicletta rossa, dono di zio Marcello, alla Pasqua dellanno
successivo. Ricordo infine una macchinetta che, mossa da uno stantuffo premuto dal
pollice, emetteva tutte le scintille che una pietra focaia pu produrre, e riusciva a illu-
minare gli angoli bui della stanza.
Era simpatico Marcello Diaz, duca della Vittoria per eredit; un avventuroso,
un pilota, volontario nella guerra dAbissinia, dove il suo aereo fu abbattuto, e nella
guerra di Spagna (su una carta geografica io registravo, con bandierine patriottiche,
le citt conquistate dalle camicie nere). Si era fatto dare una concessione in Somalia,
a Derna, dove coltivava banane. Arrivava sempre pieno di regali generosi e strani.
Era quello che mi trattava pi da grande, sia pure sfottendomi bonariamente.
La domenica, zia Giannina mi portava a catechismo, dalle suore del Sacro
XXV
prologo
XXVI
prologo
stabilita scendevamo in acqua, nuotavamo con lente bracciate per un numero esatto
di minuti, poi tornavamo indietro.
Noi bambini stavamo in un angolo della spiaggia. Altrove, sulla sabbia e sulla
scogliera, chiacchieravano e giocavano i grandi, salutavano festosi gli amici che arri-
vavano a nuoto provenienti dalla barca a vela giunta dal Circolo, si cimentavano in
grandi gare di palla a nuoto, nelle quali, come al solito, mia madre eccelleva.
Altre volte, ormai pi grandicello, mamm mi portava a villa DAvalos. L non
cera spiaggia: una banchina di cemento, e scogli. Meno bambini, pi giovanotti e
ragazze. I DAvalos erano una famiglia colta, grandi appassionati di musica. Fran-
cesco, mio coetaneo, divent pi tardi un famoso direttore dorchestra e compositore.
Ammiravo molto questo ragazzo che sapeva riconoscere autori e stili diversi, valutare
cantanti, parlare di opere e di sinfonie con i grandi.
Dalla terza elementare cominciai a frequentare una scuola. Si trattava del Pon-
tano, la celebre scuola privata dei Gesuiti dalla facciata adorna dei busti degli allievi
divenuti famosi, alla quale tornai pi tardi, dopo la guerra, per il liceo. Due classi le
feci alla Ravaschieri, una scuola pubblica.
Non ho conservato molto di quelle esperienze. Frequentavo solo bambini come
me, con i quali mi vedevo fuori, ma seguendo complicati rituali: non ci sincontrava
mai casualmente, bisognava che ci fosse un invito trasmesso dallalto, dalle governan-
ti o, addirittura, dai genitori.
Per la prima media andai allUmberto i, una scuola grande e affollata. Non
feci grandi amicizie. Ricordo il contadino che, fuori dal cancello della scuola, vendeva
fichi dIndia con laffollato gioco della appizzata: bisognava appizzare un fico con
un coltellino spuntato, lasciato cadere dallalto nella cesta. Costava un soldo lap-
pizzata semplice, quattro soldi quella continuata: con la continuata, pratica-
ta dai pi esperti, potevi portar via tutti i fichi che riuscivi a centrare, fino al primo
errore. Non ho mai giocato neppure la semplice.
Prolungando verso il mare la linea ideale che congiunge villa Diaz, al Vomero, con
casa Salzano, al Corso, si tocca un terzo punto in via Caracciolo. L c il monu-
mento ad Armando Diaz: una statua equestre posta su di un alto parallelepipedo
di marmo bianco, su cui scolpito in grandi caratteri il Bollettino della Vittoria, fir-
mato Armando Diaz, Duca della Vittoria. Mi portarono con nonna a vedere la
fonderia, verso Poggioreale, nella quale si stava realizzando la grande statua: fuoco,
fumo e odor di ferro fuso riempiono ancora le narici della mia memoria.
Linaugurazione fu una grande cerimonia. In una fotografia rivedo nonna Sara
e mamm, con tailleur e cappellini con la veletta nera, zia Giannina con velo nero in
lutto di nonno Eduardo, e me stesso (avevo sei anni), con eleganti pantaloncini dalla
XXVII
prologo
piega ben stirata, camicia col collo tondo, gilet grigio e giacchetta sul braccio: doveva
far caldo, quella mattina, in via Caracciolo. Signori in orbace e fez e militari in alta
uniforme ci circondavano, e i balilla formavano il picchetto donore.
Anche a me fu imposta luniforme, pi tardi. La divisa di figlio della lupa la
misi solo per casa. Ma quando frequentai le medie, allUmberto i, era obbligatorio
indossare il sabato la divisa di balilla e andare alle adunate. Ricordo la scomodit
delle doppie calze (i calzettoni lunghi, grigioverdi, senza piede e con la stringa sotto,
e i calzini neri arrotolati, che scendevano sempre nelle scarpe) e della larga fascia
elastica che sostituiva la cintura (e lasciava sfuggire sempre lorlo dei pantaloni), la
noia delle lunghe attese delle esercitazioni nei piazzali assolati e polverosi. Fui anche,
per un certo periodo, marinaretto, ma la cosa non era molto diversa, solo la divisa
era pi realistica e rinviava a un mestiere vero.
Meta di vacanze era anche Selva di Val Gardena. Ricordo laria pulita, lo scroscio
dei torrentelli, lintenso profumo delle assi di abete sopra le quali giocavamo, le belle
passeggiate sulle vicine montagne, le fragole e le stelle alpine che raccoglievamo. Mam-
m era bravissima, la chiamavamo occhio di lince, scorgeva fragoline saporitissime
dove vedevamo solo distese di foglie, e stelle alpine lontane decine di metri.
Andavamo in treno, e dovevamo essere una bella comitiva: mamm, la sua ca-
meriera, noi tre, la bambinaia. Una volta il nostro treno fu fermato in una stazione
sulla linea del Brennero: passava il treno speciale con il quale Mussolini andava a
Monaco per incontrare Hitler. A Monaco fu stipulato il patto con il quale gli an-
glofrancesi lasciavano mano libera a Hitler di rivolgere le sue truppe verso lOriente
bolscevico. Eravamo alla vigilia della seconda guerra mondiale: una guerra nella
quale non ci sarebbe stato nessun nonno Armando a renderci vittoriosi.
Avevamo le serrande avvolgibili di legno, nella casa del Corso. Il sole entrava a stri-
sce, faceva strani disegni sulle pareti e i mobili. Una porta filtrante la luce, da fuori
a dentro. Da dentro a fuori filtrava i miei sguardi, il mio cercare il mondo. Anche
comunicare con il mondo, nella mia fantasia. Come nel giugno del 1940, quando
sentimmo alla radio che lItalia era entrata in guerra. Il discorso del duce, dal bal-
cone di piazza Venezia, le parole bellicose ed entusiasmanti, le ovazioni del popolo.
Mi sentivo riempito anchio di sacro furore. Ritagliai in piccole striscioline un foglio
di carta, su ciascuna scrissi viva la guerra, le ripiegai e mi accingevo a gettarle per
strada, tra le stecche della persiana, per comunicare al mondo la mia partecipazione.
XXVIII
prologo
Mi sorprese zia Giannina, mi fulmin con lo sguardo gelido e mi spieg che non si
inneggia mai alla guerra. Nelle sue parole si esprimeva la cultura cattolica.
Nonostante la sostanziale partecipazione al fascismo della mia famiglia, nono-
stante gli ascendenti militari, la guerra non entusiasm nessuno. Certo, le vicende sui
diversi fronti erano seguite giorno per giorno: si ascoltava religiosamente il quotidiano
bollettino di guerra alla radio, alluna. Unatmosfera di attesa, di sospensione, pi
che di tifo. Forse la famiglia aveva gi cominciato la revisione critica del fascismo.
Un episodio che dovette aiutare, in questa direzione, fu certamente la partenza di
Maria Simon. La mia schwester era ebrea. Quando il Fhrer venne in Italia, nel
1938, pap fu avvertito dalla questura che, se non avessimo provveduto ad allonta-
nare schwester Maria, essa sarebbe stata messa in camera di sicurezza insieme
a tutti gli altri ebrei stranieri. Non serviva che Maria avesse un genitore ariano,
che fosse cristiana protestante. La soluzione infine concordata fu di mandarla per
qualche giorno a Foggia, dove pap aveva una casa. Qualcosa mi turb, di questo
episodio, pi di quanto mi entusiasmassero le scenografie di cartapesta, le gigantesche
bandiere, i fasci e le svastiche eretti lungo il percorso che Hitler e Mussolini avrebbe-
ro compiuto salutando, dallautomobile scoperta, la folla inneggiante.
Allinizio della guerra pap fu richiamato alle armi. Non aveva fatto il servizio
militare, cos cominci dalla gavetta, soldato semplice. Stava alla caserma di fanteria
al Corso, verso Mergellina. Sul muro verso la strada cera una grande scritta: Fu il
Fante il seme e la Vittoria il fiore. Dopo laddestramento, da sottotenente e poi te-
nente, and in Grecia e in Jugoslavia: ricordo una cartolina di saluti da Mostar, con
limmagine del famoso ponte (cinquantanni dopo distrutto dalla guerra dei serbi).
Cominciarono i bombardamenti. Prima sporadicamente, poi tutte le notti. Era
diventato un rito: andando a letto ci si preparava sulla sedia il maglione, le calze, il
cappotto che avremmo indossato appena suonata la sirena dallarme. Nei primi tem-
pi, si scendeva in una stanza appositamente allestita in cantina. Travi di legno pun-
tellavano pareti e soffitto, e sacchi di sabbia avrebbero dovuto riparare dalle schegge.
Tutti i vetri di casa erano accuratamente protetti con larghe strisce di carta gommata,
per impedire che gli spostamenti daria delle esplosioni li frantumassero, minacciando
lincolumit dei passanti.
La nonna, Nannina e zia Giannina recitavano il rosario, gli uomini, negli inter-
valli tra un bombardamento e laltro, andavano in strada per fumare una sigaretta e
guardare le sventagliate dei riflettori, i fuochi degli incendi provocati dalle bombe cadu-
te, le ultime raffiche dellantiaerea. Ma dopo un po di tempo, si cap che, se una bom-
ba fosse caduta sulla nostra casa, il rifugio non avrebbe costituito riparo sufficiente.
Al di l di via Tasso cerano (e ci sono ancora) gli alberghi Britannique e
Parker, appartenenti alla stessa famiglia. Attraverso le cucine e i magazzini, dai
due alberghi si raggiungevano immense caverne scavate nella montagna di tufo che
si alzava verso il Vomero. In quelle caverne erano stati organizzati dei giganteschi
rifugi, ben pi sicuri della nostra fragile cantina. Furono presi i necessari accordi.
XXIX
prologo
Sfollati a Roccaraso
XXX
prologo
XXXI
prologo
XXXII
prologo
del Genio. Erano prigionieri in una scuola, dormivano per terra su mucchi di paglia.
Dovevano scavare trincee.
Trascorsi pochi giorni, alcuni di loro cominciarono ad avanzare ragioni e pretesti
per essere esonerati da quella corve. Il primo fu mio zio Franz Carignani: aveva
lernia. Con lui torn a casa Enzo Strongoli. Successivamente, a mio padre fu rico-
nosciuto un vizio cardiaco. Come manovali non valevano un granch.
Il cibo a casa non mancava. Mamm aveva barattato un paio di stivali da ca-
vallo con mezzo maiale. Fu grande festa e gran lavoro quando fu macellato, quando
le carni e le frattaglie furono trasformate in salsicce, lardo, prosciutto, sugna colata
nelle vesciche e nei barattoli. Cerano poi sempre le patate, i fagioli, certi mastelli di
marmellata di paese.
Ma alla fine fummo nuovamente sfollati: non deportati, come accadeva, in
quegli anni, in tanti altri luoghi, ma allontanati forzosamente, cacciati da Roccaraso
che doveva essere rasa al suolo. Erano infatti di nuovo tornate le SS. Questa volta il
messaggio era diverso. Tutti gli abitanti di Roccaraso avevano due giorni per lasciare
il paese. Avrebbero potuto portare una valigia a testa. Autobus e camion requisiti
dai tedeschi li avrebbero condotti via, non si sapeva dove.
Levento fu traumatico. In due giorni bisognava decidere e agire. Si dette priorit
alla sussistenza: non sapendo dove i tedeschi ci avrebbero trascinati, fu deciso di ri-
empire le valigie di cibarie. Tutto il resto, in unaccorta operazione notturna, fu na-
scosto. Gli uomini avevano scoperto, sotto la cantina della Rocca, scavata nella roccia,
una cavit, raggiungibile dalla cantina attraverso una botola. L furono nascoste le
ricchezze nostre, e delle famiglie amiche; nonch una parte consistente del tesoro della
chiesa. Nel nascondiglio fu poi scavata unulteriore buca, dove furono deposti i gioiel-
li: ma allultimo momento mamm ci ripens e non volle abbandonarli. Li dissimul
invece allinterno di grandi gomitoli di lana di pecora, con i quali lavorava a maglia.
La buca dei gioielli e il fondo della cantina furono cementati, i pavimenti rifatti e
sporcati con polvere di carbone.
Gli autobus targati Roma requisiti dai tedeschi vennero puntuali a prelevarci.
Passammo con le nostre valigie in mano tra le file di militari con i mitra puntati,
fummo caricati sui camion e partimmo, per destinazione ignota. Del viaggio non ri-
cordo nulla. Ci scaricarono a Sulmona, e ci fecero accampare in una scuola. Quanto
tempo saremmo rimasti l? Nessuno poteva immaginarlo.
Nonna Sara stava a Roma. Come vedova di un ex ministro della Guerra
aveva ancora dei privilegi, e delle conoscenze. Riusc a ottenere che unautomobile del
Ministero, con autista, venisse a prelevarci a Sulmona. Un viaggio di molte ore, con
le nostre valige piene di carne di porco, ci riport a Roma. Tutti, eccetto pap: lui e
Gino Santasilia erano rimasti a Sulmona, a trenta chilometri dai nostri beni sepolti,
pronti a tornare alla Rocca e recuperarli quando la tempesta fosse passata.
XXXIII
prologo
Miseria e nobilt
Arrivammo a Roma che doveva essere trascorsa almeno una settimana dallesodo
forzato da Roccaraso. Faceva gi caldo, e i resti del mezzo maiale barattato con un
paio di stivali erano marciti.
Ci sistemammo a casa di nonna Sara, il portone al numero 1 di via Giambat-
tista Vico, affacciata su piazzale Flaminio. La nonna aveva ricavato un apparta-
mentino tutto per noi. Il bagno era separato dalla stanza da stiro da una tramezza
vetrata. Ero nella vasca quando, pochi mesi dopo il nostro arrivo a Roma, arriv
pap, con sei o sette sacchi di stracci: tutto ci che rimaneva del nostro patrimonio
domestico, dei corredi di nozze e dei regali accumulati. Scoppi irrefrenabile il pianto
della mamma.
Poi pap ci raccont. I tedeschi avevano raso al suolo Roccaraso per fare terra
bruciata allavanzata delle truppe alleate. Ma prima avevano cercato i tesori, che
certamente le famiglie abbienti avevano dovuto lasciare. Sette giorni di ricerche e
di sondaggi. Poi, alla fine, forse aiutati dalla spiata di qualche roccolano, avevano
scoperto le cantine murate. Tutto avevano portato via, compreso lautografo del Bol-
lettino della vittoria. Erano rimasti solo stracci, accuratamente raccolti e portati a
casa da pap.
Eravamo diventati quasi poveri. E ancora non sapevamo che nella villa di Otta-
viano, dove erano stati ricoverati i nostri mobili, i quadri, i tappeti, si erano accam-
pate le truppe marocchine che risalivano lo Stivale con gli alleati. Faceva freddo, non
cera di meglio per riscaldarsi che bruciare quel legname stagionato. Cos finirono le
suppellettili della casa del Corso. Cos finirono i nostri beni.
A Roma ripresi studi regolari: prima al collegio San Giuseppe Demerode, in
Piazza di Spagna, poi al ginnasio liceo Tasso, di grande fama. Al Demerode, tra
gli studenti interni cera un ragazzo che si chiamava Zamboni: era un ragazzo ebreo,
il cui nome, forse Zabban, era stato camuffato per nasconderlo ai fascisti. Lo sape-
vamo tutti. Lo sapeva anche un ragazzino fascista che, per questo, veniva rincorso e
svillaneggiato durante le ore di ricreazione. Non fece mai la spia.
Nutrirci era diventato difficile, e anche vestirci. Due persone si rivelarono pre-
ziose, agli estremi nella gerarchia sociale: il cardinale Maglione di Casoria e Maria
Ruocco di Venafro.
Il cardinale Maglione era segretario di Stato in Vaticano. Molto influente, era,
tra laltro, luomo che aveva imbastito e concluso i Patti Lateranensi, che avevano as-
sicurato la convivenza e nella sostanza lalleanza tra fascismo e Vaticano. Era
un uomo potente e nato a Casoria. Mio padre lo conosceva bene, il cardinale era un
vecchio amico di famiglia. Per suo tramite fu concesso a pap di andare talvolta ad
approvvigionarsi allo spaccio del Vaticano. Bellissimi tagli di stoffa, zucchero, tor-
roncini di fichi secchi, sigarette, qualche tavoletta di cioccolata: erano il dono che, di
tanto in tanto, arrivava grazie allintercessione del cardinale Maglione.
XXXIV
prologo
Maria Ruocco era la moglie, sfiancata dalla fatica e dai parti, di un manovale
di Venafro che aveva lavorato con pap quando limpresa aveva vinto un appalto
di strade e ponti in quella zona. Era arrivata a Roma con i figli, il marito sperduto
in qualche fronte della guerra. Mia madre la ritrov mentre era accampata in una
scuola dove si raccoglievano gli sfollati poveri, che le buone signore per bene assistevano.
Maria non sapeva dove andare. Fu sistemata con i suoi figli (uno dei quali lattante)
nella casa di via Vico, nello scantinato. Ogni tanto, Maria si recava in campagna, dai
contadini, a scambiare merci cittadine (o soldi) con olio, farina, a volte carne, uova: era
la borsa nera. Una parte di queste merci preziose arrivavano a noi, ci aiutavano a
vivere. Ancora pi prezioso divent laiuto di Maria quando arrivarono gli americani,
e la borsa nera impazz.
La casa di nonna Sara era una miniera di oggetti e di ricordi. Mi sedevo spesso
alla scrivania a calatoia che era stata di nonno Armando: nei cassettini cerano ancora
i suoi pennini, fermagli, francobolli, monetine, piccoli blocchetti riempiti di appunti.
In una grande vetrina cerano i trofei di guerra: le medaglie, le fotografie con il capo
Crow, i regali di Clemenceau e di Wilson, il Collare dellAnnunziata e cos via. In
basso, in una cassa foderata di velluto rosso, cera la sciabola di maresciallo dItalia.
Ci che mi piaceva di pi, e che mi teneva avvinto per ore, erano i libri di zia Irene,
la sorella di mamma, che, sposata con lingegner Pierino Parisi, aveva lasciato l parte
della sua adolescenza. Entrai in un mondo nuovo, Via col Vento, La saga dei
Forsyte, Cronin, Dos Passos, Steinbeck, Maurois: cominciai a conoscere la realt
del mondo attraverso i romanzi. Cominci in quel periodo anche il mio amore per la
poesia, e il romanticismo. Tra i libri di zia Irene avevo scoperto una serie di minuscoli
libriccini, rivestiti di stoffe provenzali. Facevano parte di quella serie I Fleurs du mal,
che leggevo per far colpo su Maria Stella, la ragazzina che avevo conosciuto a Roccara-
so e di cui mi ero innamorato.
Nonna Carmela e zia Giannina, con i miei cugini Carignani, anche loro sfollati
a Roma, soggiornavano allHotel Imperiale, nellultimo tratto di via Veneto verso
piazza Barberini. Spesso andavo l per giocare con Luigi. Lalbergo era frequentato
da ufficiali tedeschi. Un giorno sentimmo un gran botto. Ci affacciammo alla finestra.
I tedeschi andavano di corsa verso piazza Barberini, alcuni seguiti da cani lupi; moto-
ciclette con sidecar arrivavano e ripartivano. Tutto quel chiasso ci stup. Pi tardi ap-
prendemmo che a via Rasella, una traversa di piazza Barberini, i partigiani avevano
fatto esplodere una bomba al passaggio dun plotone di soldati nazisti.
Dopo uno o due giorni la tragedia esplose in molte famiglie: si sparse subito la
voce della rappresaglia. Per ogni tedesco ucciso i nazisti avevano ammazzato dieci
prigionieri prelevati in fretta e furia, pi qualcuno per aggiungere peso alla punizione.
XXXV
prologo
Anche i miei genitori avevano amici a Regina Coeli o nella tremenda prigione di Via
Tasso. Mia madre era andata qualche volta in questultima prigione, camera di tortu-
ra delle SS (come si seppe pi tardi), a cercare notizie di Filippo di Montezemolo, suo
amico, ufficiale monarchico antifascista, arrestato e torturato. Uno di quelli che furono
trucidati allindomani dellattentato.
Era giugno. Laria era tiepida, le finestre aperte. Quelle della casa della nonna al
primo piano davano su piazzale Flaminio. Cera attesa. Da tempo si diceva che gli
alleati, bloccati a Nettuno da mesi, sarebbero entrati a Roma: - stasera; - no, domani;
- fra una settimana al massimo.
Sentimmo colonne di camion tedeschi andare verso la Flaminia, attraversando il
piazzale oppure provenendo dal lungotevere. Poi, un lungo silenzio.
Si cominci a veder arrivare dal viale del Muro Torto una fila di soldati diversi,
con gli elmetti a padella rovesciata: inglesi o australiani. Alcune camionette con la
stella bianca (americani) arrivavano da Piazza del Popolo, quando un camion tedesco
scese allimpazzata da Villa Borghese. Un ritardatario. Scoppi, raffiche: una scara-
muccia proprio sotto casa. Ci fecero buttare per terra, dietro il davanzale.
La mattina dopo, gli alleati entrarono a Roma e la liberarono. Tripudio. Ricordo
la folla in piazza del Popolo che assaliva le jeep e i camion con la stella bianca cerchia-
ta, abbracciava i soldati in uniforme cachi che buttavano sigarette e razioni di guerra.
La carestia era finita. Gli alleati portavano ogni ben di Dio. Festeggiammo la
fine della fame con delle confezioni incerate, di cartone verdognolo, nelle quali cerano
scatolette di ham and eggs, minestre in polvere, tavolette di cioccolata, pacchettini di
sigarette: era la quotidiana razione di guerra, di cui i soldati, giunti nella grande citt,
si liberavano senza rimpianto. Poi arrivarono altre quantit. La minestra di piselli
secchi in polvere divent il cibo pi diffuso: la pea soup divenne un sapore familiare,
interessante allinizio (era insolito e sfamava), insopportabile dopo alcuni mesi.
Nel linguaggio corrente entr la politica. Cera stata la breve stagione tra la ca-
duta del fascismo e l8 settembre 1943; poi loccupazione tedesca laveva rigettata nella
clandestinit, e la preoccupazione dominante era la sopravvivenza. Lunica abitudine
politica era lascolto clandestino di Radio Londra, che trasmetteva strani messaggi in
cifra, comprensibili solo ai militanti della lotta antifascista, e dava notizie sui fronti di
guerra: a noi, ovviamente, interessava la lenta risalita dal sud dellesercito alleato.
Dopo larrivo delle truppe alleate scoprii che la politica era vicina: mio cugino Al-
berto Carignani (il fratello maggiore di Luigi) era nella Resistenza (liberale o azioni-
sta, non ricordo). I miei genitori erano vicini a esponenti della clandestinit antifascista
monarchica. Ma pap si scopr presto socialdemocratico: cominci a frequentare le ri-
unioni, le assemblee, i comizi. Peppino Galasso mi raccont molti anni dopo (quando
XXXVI
prologo
lo conobbi come sottosegretario per i Beni culturali) che mio padre era stato il primo ad
avvicinarlo alla politica, portandolo al Teatro Eliseo a una manifestazione alla quale
partecipavano Togliatti e Nenni, Ruini e De Gasperi.
Ma per noi ragazzi la politica restava una cosa estranea. Non ne capivamo nulla.
Non coglievamo il fermento che agitava la capitale, in quei mesi che separavano il
giugno del 1944 (la liberazione di Roma, a opera dellarmata alleata) dallaprile del
1945 (la liberazione, a opera dei partigiani del Comitato di liberazione italiana).
A Roma, del resto, la mia famiglia ci rimase ancora per poco: appena fu possibile tor-
nammo a Napoli, dove erano la nostra casa, i nostri averi residui, limpresa di pap.
Ritorno a Napoli
Per tornare a Napoli fu necessario aspettare il turno per salire su un camion. Le stra-
de erano interrotte, le ferrovie non funzionavano. Non so come, mediante quali canali,
i miei genitori riuscirono a organizzare quel viaggio. Era un camion scoperto, sul qua-
le erano ammassate le masserizie di alcune famiglie e, sopra, i passeggeri. Del viaggio
non ricordo granch. Ricordo per larrivo a Napoli. La strada era un canyon tra due
pareti di macerie, alte quasi quanto lo erano state le case demolite dai bombardamenti.
La nostra casa al Corso era occupata dagli alleati. Andammo ad abitare in un
palazzo nobile allinizio di via Chiaia, dove cera e c ancora la famosa pasticce-
ria Caflisch, di ottocentesca origine svizzera, come di origine olandese o belga erano le
altre famose ditte di cioccolata e dolci di Van Bol & Feste e Gay & Odin. Era un
appartamento di propriet di amici, molto bello e grande, al primo piano. Aveva un
solo inconveniente: una stanza era stata attraversata da una bomba fortunatamente
inesplosa, che per con il peso aveva sfondato tetto e pavimento: si poteva attraversare
la stanza solo sullo stretto spazio addossato alle pareti.
Ma la casa godeva di una amplissima terrazza a livello, aperta su via Chiaia,
proprio sul centro elegante della citt.
La casa del Corso fu venduta, per dieci milioni. E si scopr che limpresa di pap
di fatto non esisteva pi: la guerra aveva travolto tutto. Rimanevano le terre, che poco
a poco furono vendute.
Le ragazze si incontravano ai balletti: festicciole domestiche, dove si bevevano
aranciate e si suonavano i dischi sul fonografo a manovella; cominciavano appena ad
apparire i giradischi elettrici, e i primi dischi a 33 giri, i V-Disc dellesercito Usa.
Attraverso i dischi cominciai a imparare linglese: Frank Sinatra fu un maestro
molto migliore di quella signora (non ne ricordo il nome) presso cui andavo una volta
alla settimana a leggere Oscar Wilde, The importance of being Ernest.
Lo sport che praticavo (un poco) era il tennis. In via Caracciolo era stato riaperto,
con aiuti degli alleati, la nuova sede del circolo del tennis, uno dei luoghi di ritrovo
dellaristocrazia napoletana.
XXXVII
prologo
Unestate andammo a Capri. Era la prima volta che mettevo piede su questisola,
che ogni giorno per dieci anni quando abitavamo in corso Vittorio Emanuele ave-
vo visto dalla finestra della mia stanza, a chiudere la visuale del golfo. Eravamo in un
piccolo albergo vicino alla strada Krupp.
Pochi ricordi mi rimasero impressi, ma tutti intensi. Un concerto per pianoforte
in una villa a Tragara, una grande terrazza a strapiombo sul mare, con i faraglioni
immersi in una intensa luce lunare. Fu l forse che conobbi Perla Cacciaguerra, una
ragazza poco pi grande di me, poetessa. Mi insegn ad amare Rabindranath Tagore.
Un ingegnere che incontravamo nel ristorante dellalbergo sapeva tutto dogni cosa: non
cera evento, piccolo o grande, che non sapesse spiegare. Forse allora che sognai di
diventare ingegnere.
I boy scout
Prima del fascismo cerano a Napoli i boy scout. Lo era stato mio padre. Dopo la
guerra un gruppo di amici decise di ricostituire lantica organizzazione. Ci portavano
in giro due amici di mio padre, lingegnere Luigi Cosenza e il signor Cavallo, un sim-
patico e distinto commerciante di tessuti.
Eravamo un gruppo molto disordinato: una compagine del tutto diversa rispetto a
quella che poi i boy scout divennero: irreggimentati e tirati a lustro. Vestivamo divise
raccogliticce: pochi fortunati avevano luniforme e il cappello del padre, gli altri si ar-
rangiavano con ci che trovavano. Con grande impegno trasformammo in cappelli con
la tesa, tipici del boy scout, i feltri verdi di avanguardista sottratti ai padri o ai fratelli
maggiori: scoprimmo che bastava bagnarli e stirarli con un ferro caldo contro una pi-
gnatta, per dargli forma.
La nostra pattuglia (gli Scoiattoli) era comunque la pi organizzata. Ci eravamo
dotati di fazzoletti da collo bordeaux, nastrini omerali, fischietti col cordoncino,
bastoni regolamentari e temperini robusti. La domenica facevamo gite ai Camaldoli
accompagnati da Luigi Cosenza. In quegli anni, appena superate due file di isolati
uscendo da Piazza Sannazzaro (al Vomero) si era in aperta campagna. Ai pochi
casolari abitati da famiglie contadine seguivano rapidamente boschi di castagni, come
quello che avvolgeva lEremo nel quale ci accampavamo.
A volte pernottavamo nelle tende montate alla meglio. Allinizio erano vecchie
coperte prese a casa, legate con funicelle e spaghi; poi alcuni ufficiali tra gli alleati,
che vedevano di buon occhio la sostituzione dei balilla fascisti con la democratica
istituzione scoutistica, ci regalarono qualche avanzo della guerra. La notte facevamo
rigorosi turni di guardia. I due di turno vigilavano accanto a un fuoco di bivacco, ac-
curatamente alimentato. Pi dei vagabondi, temevamo i lupi che si diceva erano
scappati durante la guerra dallo zoo della Mostra dOltremare, ai piedi della collina
dei Camaldoli.
XXXVIII
prologo
Luigi Cosenza
Luigi Cosenza era un personaggio davvero singolare. Qualche anno pi tardi conob-
bi la sua storia. Generoso e irruento quando ci organizzava e accompagnava (ricor-
do un suo corpo a corpo con due giovinastri che ci minacciavano, nelle campagne tra
il Vomero e i Camaldoli), lo era anche nella vita. Comunista, era stato amico di
Amadeo Bordiga, uno dei fondatori del Pci italiano, ingegnere come lui. Negli anni
del fascismo aveva abbracciato la scuola razionalista, e costruito alcune pregevoli
architetture a Napoli, assieme al famoso Rudofsky. Era una delle figure eminenti
dellala intellettuale del Pci a Napoli.
Cosenza era ingegnere, come ho detto, portato alla pratica pi che alla teoria.
Dicono che quando fu incarcerato a Poggioreale (capeggiava una grande dimostrazione,
repressa dalla polizia, contro la visita in Italia di Ike Eisenhower, preludio allingres-
so nella nato) convinse il direttore del carcere che le condizioni erano intollerabili e
ottenne lincarico di studiare il progetto per un carcere moderno e razionale.
Non progett il carcere, alla fine, ma la nuova sede della facolt dingegneria, a
Fuorigrotta, e la bella sede della Olivetti a Pozzuoli1. Abitava in una casa con una
splendida terrazza, a Mergellina. Sulla terrazza scorrazzavano i suoi animali. Ave-
va avuto anche un leoncino, che tenne anche quando crebbe. Si racconta che una volta
chiese agli ingegneri della Olivetti, con cui doveva andare a vedere il cantiere a Pozzuo-
li, Vi dispiace se passiamo un momento alla Mostra dOltremare, cos porto Leo a
giocare con i suoi amici? . Pensando che si trattasse di un cane gli ingegneri risposero
Senzaltro, la macchina grande . Si spaventarono molto quando scoprirono che
Leo era un leone.
Villa Pavoncelli
A quei tempi Napoli era anche, per i suoi abitanti, una stazione balneare. Destate
gli scugnizzi si tuffavano in mare dalle scogliere prospicienti via Caracciolo (ma a
noi, ragazzi per bene, era proibito andarci: si diceva gi che non fosse igienico, perch
vi scaricavano le fognature della citt). Uno stabilimento molto frequentato era per
il Sea Garden a Mergellina, proprio dove dalla strada litoranea si stacca la col-
lina di Posillipo. Noi andavamo a mare pi su, a Posillipo, dove grandi e intricate
ville occupano il costone verdeggiante tra la strada e il mare.
1 lo stabilimento nel quale Ottiero Ottieri ambient la sua appassionata descrizione della
condizione operaia nella fabbrica fordista del capitalismo avanzato, O. Ottieri, Donnarumma
allassalto, Milano, Bompiani, 1959.
XXXIX
prologo
Non ero comunista allora. Di politica si parlava poco, e meno ancora vi si pensa-
va. Se avessi dovuto definirmi, avrei detto che ero socialdemocratico: una sinistra
2 L. Parise, Baldina Di Vittorio: mi ha insegnato lonest, la Repubblica, ed. Bari, 29 set. 2007.
XL
prologo
sentimentale e perbene. per il partito di Saragat che votai infatti, al mio primo
esercizio di democrazia.
Della politica mi arrivavano solo echi lontane, attraverso le poche persone del
nostro ambiente che partecipavano anche a quel mondo. La dimensione politica di
Luigi Cosenza o di Renato Caccioppoli, oppure di Leopoldo Rubinacci (il sottose-
gretario democristiano, zio e protettore del mio amico Renato Ruggiero), la compresi
molto pi tardi.
Una volta, tra il 46 e il 48, intuii che esisteva unaltra realt sconosciuta e po-
tente, fonte per me di timore e soggezione: fu a Napoli, dallalto del ponte di Chiaia
che vidi passare, gi in strada, un grande e compatto corteo di operai delle fabbriche
di Fuorigrotta: una folla silenziosa, muta, dai volti chiusi pi dei pugni, colorata del
blu delle tute. Una realt che incuteva, insieme, paura e rispetto.
Dopo la licenza liceale, nel 1948, andammo in villeggiatura a Colle Isarco. Ricordo
quella vacanza per la conoscenza, fugace, di un gruppo di emiliani di cui faceva
parte una ragazza che mi piaceva molto, e per la frequentazione di un singolare
personaggio: Chinchino Compagna.
Chinchino era il rampollo duna famiglia di nobili calabresi, ricchissimi e
(a quanto si diceva) altrettanto rozzi: vera nobilt borbonica. La loro ricchezza era
prodotta dai cafoni dei latifondi calabresi. Non si era trasformata n in cultura n
in lusso. Si diceva (horresco dicens!) che alla loro tavola si mangiasse il formag-
gio con le mani.
Forse oggi definiremmo il Chinchino degli anni Quaranta un giovane teppista.
Era certamente ignorante e maleducato: famoso rimase il sonoro pernacchio col quale
salut il presidente dellelegante circolo del tennis, alla festa per la sua inaugurazione.
Quando lo conobbi era in una fase di profonda trasformazione. Frequentando casa
Croce (forse ve lo condusse mio padre), aveva scoperto lesistenza dei libri. Leggere
gli aveva cambiato la testa, in pochi mesi. Ricordo le signore amiche di mia madre,
tutte rigorosamente monarchiche, commentare scandalizzate: Capisci, diventato
repubblicano perch ha letto duecento libri! , meravigliandosi del fatto che si potesse
cancellare una fede salda come quella monarchica, semplicemente perch si era fatto
lesercizio frivolo e un po stravagante della lettura!
A Colle Isarco, dove era con la giovane ed esile moglie Licia, partecipava saltua-
riamente alle nostre gite: la sua attivit preferita era la lettura, fin dalla mattina
presto. Le cameriere che facevano le pulizie nei saloni dellalbergo lo trovavano gi a
leggere allalba.
Chinchino aliment la mia passione per la poesia regalandomi un libro di cui gli
fui allora molto grato, il primo volume di una bella rivista di poesia (la testata era,
XLI
prologo
appunto, Poesia, diretta da Enrico Falqui). Con una bella dedica, Un modesto
ricordo, un sincero augurio, una certa speranza di sicuri successi in una vita serena,
rischiarata da caldi affetti, il mio compreso.
Lo persi di vista. Per meglio dire, lo seguii a distanza: era diventato un uomo
pubblico. Con i soldi dei cafoni calabresi fond una rivista, Nord e Sud, che riu-
niva gli intellettuali meridionali e meridionalisti di area repubblicana e socialdemo-
cratica. Lo ritrovai molti anni dopo, bravo ministro per i Lavori pubblici. Mor a
Capri sulla spiaggia, per un infarto, sotto il palazzo di Tiberio.
XLII
prologo
Negli ultimi anni napoletani la famiglia abitava in via Monte di Dio 18, nel bel
palazzo della baronessa Barracco, amica dei miei genitori. Una casa molto grande,
che girava attorno a un cortile adorno di piante. Vecchi e solidi arredi. Ricordo il
nostro bagno, con vasca e lavandini di marmo massiccio, ornati di zampe di leone e
dotati di una consunta rubinetteria inglese di ottone brunito dal tempo. Una fuga di
stanze: per raggiungere la mia dovevo attraversare quelle di rappresentanza, dove a
volte incontravo gli amici dei miei genitori, ascoltavo brevemente i loro discorsi.
La musica era sempre molto presente. Si frequentava il San Carlo, ma soprat-
tutto i concerti del conservatorio di San Pietro a Maiella. Fu l che conquistai lauto-
grafo di Rubinstein, ed l che i miei genitori conobbero il maestro Franco Caracciolo,
che frequentava la nostra casa e a volte suonava per noi.
I confini tra mondanit e cultura erano praticamente inesistenti: si scivolava
dalluna allaltra con grande leggerezza. Si discuteva dellimmortalit dellanima
e del paradiso, e la battuta pi convincente era del marchese Agostino Patrizi: Pe
mme o Paraviso quel posto che, se quando sei vivo ti piacevano le sfogliatelle, man-
gi tutto il giorno sfogliatelle. Una visione un po maomettana. Ma questo lo penso
adesso: allora limmagine, e la prospettiva mi colpirono.
Lapparente serenit della vita familiare nascondeva una crisi tra i miei genitori.
A un certo punto essa esplose: si separarono con una decisione di cui noi figli non
comprendemmo le ragioni. Mia madre con le sorelline si trasfer a Roma, mio padre
rimase a Napoli in un appartamentino ammobiliato in via Carducci, per badare
agli affari (quali, non so, visto che limpresa si era dissolta e le terre via via vendute).
Rimasi con lui, per finire il biennio alluniversit. Poi, mi trasferii anchio a Roma
e cominci una nuova vita.
XLIII
1. La casa del Corso.
XLIV
2. Zio Marcello, nonno Armando e nonna Sara.
3. Nonno Armando Diaz.
XLV
4. Con nonno Eduardo Salzano, 1932.
5. 1933.
XLVI
6. Con le mie sorelline Germana e Litta, Natale 1936.
7. Con Chinchino Compagna e un amico, 1949.
XLVII
8. Con mia madre Anna Diaz e unamica, 1949.
9. Mio padre Mauro con mia figlia Maria, 1962.
XLVIII
Memorie di un urbanista
LItalia che ho vissuto
Capitolo primo
A Roma
3
capitolo primo
4
a roma
5
capitolo primo
Del resto, la sede di San Pietro in Vincoli aveva sottili legami con la
poesia. Un verso di Leonardo Sinisgalli, poeta che amavo, raccontava
delle rondini che sfrecciavano attraverso i finestroni dellaula di disegno,
allultimo piano: Sinisgalli aveva studiato ingegneria proprio nelle aule
che io stesso frequentavo.
Cominciai a indirizzare parte dei miei pensieri, e delle mie parole,
alla politica. Soprattutto con alcuni (pochi) dei nuovi amici che sco-
privo alluniversit. Il primo fu Bruno Morandi, detto Dado. Dado era
figlio dun famoso ingegnere che progettava inventava strutture di
cemento armato, tra i primi in Italia ad applicare tecnologie molto avan-
zate, come quelle delle travi precompresse. Dado condivideva solo in
parte gli interessi del padre. Ci che ci univa era la politica. Scoprimmo
di avere gli stessi sentimenti e le stesse emozioni, e maturammo insieme
le prime convinzioni.
I valori che per noi erano divenuti centrali erano quelli della Re-
sistenza. Ne leggevamo nei libri che raccontavano la sua storia come
quello di Roberto Battaglia2 e come le Lettere dei condannati a morte della
Resistenza italiana3. In quelle lettere, scritte pochi minuti prima della
fucilazione o dellimpiccagione, scoprivamo la realt di unItalia nella
quale lantifascismo, oltre a essere un sentimento, si prolungava anche
in azioni in cui si rischiava la vita per la costruzione di una societ pi
giusta. Ci rivelavano un aspetto delleroismo molto diverso da quello
cui ci aveva abituato il patriottismo savoiardo e fascista, di cui la nostra
infanzia era stata nutrita: un eroismo votato allaffermazione di valori
quali luguaglianza, la libert del corpo e della mente.
Le mie letture mi fecero comprendere la portata di un episodio cui
avevo assistito da vicino4, a Roma, mentre giocavo con mio cugino
Luigi allHotel Imperiale in via Veneto, il 23 marzo 1944. Un piccolo
commando di partigiani aveva organizzato un attentato colpendo, con
una bomba nascosta in un carretto della spazzatura e con un successivo
attacco con pistole e bombe a mano, un reparto di soldati tedeschi che
percorrevano la centrale via Rasella. Trentadue soldati erano stati uccisi.
Immediatamente il comandante nazista diede ordine di raccogliere un
gruppo formato da dieci persone per ogni tedesco ucciso e di liquidar-
lo per rappresaglia. In realt, di uomini ne furono presi 335: militari e
partigiani, ebrei, antifascisti, ma anche civili che con la Resistenza non
6
a roma
7
capitolo primo
3. Alberto e la politica
8
a roma
9
capitolo primo
Non sapevo che cosa fosse lurbanistica finch non incontrai Federico
Gorio. Federico era assistente dellunico professore di urbanistica, Cesa-
re Valle, autorevole funzionario del Ministero dei lavori pubblici (presi-
dente della sezione urbanistica del Consiglio superiore dei lavori pubblici,
il supremo organo tecnico consultivo dello Stato, del quale anni pi
10
a roma
11
capitolo primo
8 V. De Lucia, Se questa una citt. La condizione urbana nellItalia contemporanea, Roma, Don-
zelli, 2006, p. 10.
9 Al progetto parteciparono anche Ludovico Quaroni, Michele Valori, Pietro Maria Lugli,
architetti, e lingegner Mario Agati.
12
a roma
In questo racconto della mia vita ho scelto di lasciare sullo sfondo gli
aspetti pi privati. Tuttavia il motore di molte scelte di vita costituito
spesso da rapporti con altre persone: rapporti di amicizia, di discepolato
e di fraternit, e rapporti damore. Cos fu il mio amore per Barbara, poi
divenuta mia moglie e madre dei miei primi cinque figli: a esso legato
il mio avvicinamento a quegli impegni che oggi chiameremmo solidari-
stici, attivit di matrice culturale cattolica volte a intervenire in pratiche
di assistenza sociale. Andavamo nelle zone pi povere ed emarginate
della citt, portando alimenti, vestiti, medicine.
Fu unesperienza importante, per pi ragioni. Conobbi la miseria
delle borgate di Roma, sentii lodore di quegli insediamenti poverissi-
mi, abitati da unumanit dolente formata da immigrati delle campagne
dellAbruzzo, del Lazio, delle Marche e della Campania, cacciati dalla
crisi dellagricoltura e attirati dalla grande domanda di manovalanza
per ledilizia. Era lumanit descritta da Pasolini, dove ai muratori si
mescolavano, nei luoghi e nelle vite, i piccoli malviventi del borseggio,
13
capitolo primo
della ricettazione, della truffa. Le case delle borgate erano tuguri di latta
e cartone, le esigenze degli abitanti (quelle almeno cui noi potevamo in
qualche modo rispondere) del tutto elementari.
Sradicati dalle loro campagne, allontanati dai loro mestieri e dalle
loro piccole comunit, approdavano ai margini in tutti i sensi di
una metropoli che costruivano a vantaggio della speculazione. Furono
unesperienza e unemozione analoghe a quelle dellincontro con il cor-
teo degli operai in sciopero, a Napoli, sotto il ponte di Chiaia, ma molto
diverse per i soggetti che scoprivo. Due strati sociali, entrambi vittime
del sistema capitalistico. Ma della classe operaia si percepiva la centralit,
espressa nel rigoroso e determinato silenzio del loro disciplinato corteo;
del sottoproletariato delle borgate si afferrava subito invece a partire
dallodore la condizione di emarginazione, sullorlo che separa la civil-
t e il benessere dallannientamento.
Nelle riunioni che organizzavamo per ragionare e discutere, conob-
bi un approccio diverso ai temi della politica. Le chiacchiere con gli
amici di piazza Ungheria, i lunghi colloqui con i colleghi delluniversit
vertevano pi sulla meccanica della politica, sugli avvenimenti esterni,
che sulle sue matrici ideali. Nel gruppo di cattolici di sinistra che con
Barbara frequentavo10, invece, si ragionava e si studiava per compren-
dere meglio i contenuti della politica come attivit morale del governo degli
uomini. Il tema sotteso era il rapporto tra cattolicesimo (e pi in gene-
rale la dimensione religiosa) e il movimento operaio (e in particolare il
comunismo). Le esperienze dei preti operai, la letteratura francese del
personalismo (Maritain e Mounier), le pubblicazioni in Italia delloli-
vettiano movimento di comunit erano i fili conduttori. Guardavamo
al comunismo come a un pericolo e, al tempo stesso, come a una spe-
ranza. Per dei giovani della tranquilla borghesia, come noi eravamo, che
la domenica andavano a messa e nelle cui famiglie si leggevano giornali
intrisi di anticomunismo, era difficile farci i conti.
Una scoperta fu la rivista Esprit: ricchissima di saggi, essa era
espressione di un gruppo, fondato dal filosofo Emmanuel Mounier, cri-
ticamente vicino ai comunisti, molto impegnato in una riflessione che
da un lato si riallacciava al pensiero cattolico pi audace (Teilhard du
Chardin) e a quello della tradizione riletta in chiave anticapitalista (Char-
les Peguy), dallaltro militava nellazione politica impegnandosi su temi
come la Resistenza antifascista prima, la lotta contro il colonialismo e le
segregazioni poi.
10 Ricordo tra loro Piero Scoppola, Fabio Fiorentino, Rocco Cappardo, Donatella Pedace.
14
a roma
6. Pubblicista
15
sinistra come unarma per la guerra contro lUnione sovietica. Si accen-
tuava intanto lattenzione del Pci nei confronti di ci che si muoveva
nellarea cattolica.
Il numero speciale di Esprit fu intitolato, significativamente,
LItalie bouge, lItalia si muove. Fu preparato da un vasto lavoro di
consultazione di intellettuali italiani, invitati a rispondere a un ampio
questionario. Anche noi (grazie ai contatti che Fabio aveva preso con la
rivista) incontrammo il suo direttore, al Caff Ruschena sul lungotevere.
In seguito a quel colloquio scrissi un lungo pezzo, in risposta alle do-
mande del questionario. Lo spedii: ne furono pubblicati numerosi pas-
saggi, soprattutto sul rapporto tra comunisti e mondo cattolico15
15 LItalie bouge, I Enqute, Esprit, xxiiime anne, 9, sep.-oct. 1955, p. 1396-1446, passim.
16
Capitolo secondo
Un nuovo mondo si apre
1. Franco Rodano
17
capitolo secondo
18
un nuovo mondo si apre
Seppi pi tardi che nella loro abitazione cerano stati i primi con-
tatti tra tre personaggi che furono un riferimento costante per Franco,
negli anni in cui lo frequentai: Palmiro Togliatti, il leader indiscusso
del Partito comunista italiano; don Giuseppe De Luca, uomo di gran-
de cultura e religiosit, emissario di quegli ambienti del Vaticano che
portarono al papato di Giovanni xxiii; Raffaele Mattioli, il grande
banchiere e intellettuale, coinventore dellIri e fondatore della Banca
commerciale, che aveva protetto durante la Resistenza uomini come
Ugo La Malfa e Giorgio Amendola, e creato con leditore napoletano
Ricciardi la pi grande e rigorosa antologia della letteratura italiana
(era stato anche lamico che, una ventina di anni prima, aveva consi-
gliato a mio padre di dichiarare fallimento, dopo la crisi dellimpresa
di mio nonno Eduardo).
Frequentando Franco e Marisa vissi, quasi in presa diretta, episodi
significativi della vita politica italiana. Alla costruzione di alcuni contri-
buii personalmente, a partire dai lavori che facemmo insieme: quelli in
particolare che avevano a che fare con la rendita urbana e con il ruolo
degli spazi pubblici nella citt e nella societ. (Ma su questultimo ar-
gomento torner con ampiezza pi avanti, perch costituisce un filone
importante della mia attivit, lo stesso intorno al quale sto lavorando
anche adesso, mentre scrivo queste pagine).
19
capitolo secondo
degli Usa lanciava quella che sarebbe stata definita, dal suo nome, la
dottrina Truman: la politica di contenimento dellespansione del co-
munismo nel mondo, attraverso la costituzione di un blocco militare
(il Patto atlantico) e il sostegno economico agli stati europei ove i par-
titi comunisti minacciavano di prendere il potere (il Piano Marshall).
La replica dellUrss era stata immediata: un blocco militare e una pi
viva ingerenza negli stati satelliti, gravitanti nellorbita di Mosca.
Il rischio implicito nella rottura dellalleanza antinazista era la
guerra: una terza, devastante guerra mondiale, questa volta dotata fin
dallinizio del nuovo armamento nucleare sperimentato dagli Usa a
Nagasaki e Hiroshima e rapidamente adottato anche dallUrss.
Perci, in quegli anni, era sorta una forte aspirazione pacifista.
E perci, in quegli stessi anni, si era manifestato un interesse di na-
zioni e stati non direttamente coinvolti nellorbita delluna o dellaltra
delle due potenze maggiori a consolidare una propria autonomia. Ini-
ziative comuni delle diplomazie dei due blocchi contrapposti per ten-
tare le vie della pace (prima tappa, il disarmo atomico), e altre dei pae-
si del Terzo mondo (cos si cominci a definire i paesi non allineati)
trovarono sbocchi significativi proprio verso la met del decennio.
Nel 1955 ebbe luogo a Ginevra un primo incontro tra i massimi
esponenti degli Stati dellalleanza anti nazista (Usa, Urss, Gran Bre-
tagna e Francia). Lo stesso anno, in Indonesia, nacque il Terzo mon-
do. Per la prima volta si riunirono nella Conferenza di Bandung i
paesi che non si riconoscevano n nel mondo dominato dalleconomia
di mercato n in quello governato da una rigida economia statalizzata:
stati e movimenti di liberazione nazionale di paesi dellAsia, dellAfrica
e dellEuropa (la Jugoslavia di Tito) che volevano essere autonomi ri-
spetto ai due blocchi.
Anche in Italia qualcosa stava cambiando, soprattutto nel mon-
do cattolico. La collaborazione con i comunisti era una compo-
nente essenziale per chiunque volesse operare sia, nel mondo del
lavoro, a sostegno alle classi lavoratrici sia, nel campo delle grandi
questioni mondiali, per sconfiggere la prospettiva di guerra ster-
minatrice. Ma lorientamento del Vaticano (era papa Eugenio Pa-
celli, Pio xii ) era violentemente anticomunista. Ecco quindi le
numerose condanne di ogni iniziativa che, dal clero o dalle or-
ganizzazioni sociali cattoliche, violasse la pregiudiziale anticomu-
nista. Furono gli anni nei quali furono pesantemente sconfessati
personaggi come don Primo Mazzolari, un parroco che diffon-
deva un pensiero di forte impegno sociale, e don Lorenzo Milani,
autore della splendida iniziativa di formazione descritta nel libro
20
un nuovo mondo si apre
Stava nascendo una nuova rivista, il Dibattito politico. Due deputati de-
mocristiani avevano votato contro ladesione dellItalia al Trattato militare
europeo ed erano stati radiati dal loro partito. Si trattava di Mario Melloni
e Ugo Bartesaghi. Il primo era stato partecipe della Resistenza a Milano;
giornalista (aveva diretto il Popolo, quotidiano della Dc), cattolico di si-
nistra vicino alle posizioni della rivista Esprit, fervido antifascista e con-
vinto avversario delle ingiustizie sociali, uomo spiritosissimo ed elegante,
avrebbe scritto sulla nuova rivista gustosissimi corsivi firmandosi emme.
Prosegu pi tardi, firmandosi Fortebraccio sullUnit. Completamente
diverso come cultura e atteggiamento era laltro compagno davventura,
Bartesaghi: sindaco di Lecco, austero e rigorosissimo, gi accusato nel suo
partito di filocomunismo per essere andato con i pescatori del lago di Co-
mo a soccorrere la gente del Delta nellalluvione del Polesine.
Contemporaneamente, un gruppo di giovani democristiani, espo-
nenti di punta delle organizzazioni giovanili della Dc (Giuseppe Chia-
rante, Lucio Magri, Ugo Baduel, Umberto Zappulli), da tempo orientati
su posizioni di sinistra vicine a quelle del Pci, avevano abbandonato il
loro partito. A casa di Franco e Marisa Rodano, che gi frequentavano,
incontrarono il gruppo (Vittorio Tranquilli, Filippo Sacconi, Tonino
Tat, Giobatta Chiesa, Franco Rinaldini, Ennio Parrelli, Erasmo Valente)
21
capitolo secondo
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un nuovo mondo si apre
23
capitolo secondo
20 E. Salzano, Larretratezza economica del personale economico frena il dinamismo della Sgi, il
Dibattito politico, 77 (16 dic. 1956).
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un nuovo mondo si apre
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capitolo secondo
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capitolo secondo
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un nuovo mondo si apre
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capitolo secondo
7. Comunista
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un nuovo mondo si apre
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Capitolo terzo
Lavorare non stanca troppo
1. La laurea, e dopo
35
capitolo terzo
2. Lavori e lavoretti
36
lavorare non stanca troppo
37
capitolo terzo
27 E. Salzano, Ma dove vivi? La citt raccontata, Venezia, Corte del Fontego, 2007.
38
lavorare non stanca troppo
28 M. Ghio, V. Calzolari, Verde per la citt. Funzioni, dimensionamento, costo, attuazione di parchi
urbani, aree sportive, campi da gioco, biblioteche e altri servizi per il tempo libero, Roma, De Luca, 1961.
39
capitolo terzo
nel Manuale dellarchitetto, dal prg di Roma del 1962 e dalle istruzioni del-
la Consulta urbanistica dellEmilia Romagna.
La ricerca si concluse con una piccola pubblicazione ciclostilata, dal
titolo giustamente dimesso Primo contributo alla ricerca sugli standard
urbanistici, di cui curai anche la grafica e limpostazione redazionale:
avevo progettato e curavo io infatti la piccola collana nella quale com-
parvero i diversi contributi del Centro studi, in qualche modo la sua
pubblicazione ufficiale. Ci tenni molto a indicare, in ciascun fascicolo,
i nomi di tutte le persone che a vario titolo avevano collaborato, anche
materialmente, alla sua realizzazione.
Nel corso della ricerca avvenne che la Gescal e lInArch (una nuo-
va associazione culturale per la promozione dellarchitettura, fondata da
Bruno Zevi) organizzassero, nel 1964, un convegno sulledilizia residen-
ziale pubblica. Gorio mi chiese di preparare una comunicazione sugli
standard urbanistici. Il convegno era patrocinato anche dai diversi enti
interessati alla questione: dai sindacati dei lavoratori alle organizzazioni
di categoria. Mi diedi da fare per coinvolgere esponenti rappresentativi
di gruppi che potevano esprimere utili punti di vista sullargomento.
Il titolo che proposi per il documento che avremmo preparato
fu centrato sulla necessit di individuare gli standard urbanistici in
funzione delle esigenze del consumo collettivo. Dovevano essere co-
struiti come uno strumento per superare, mediante unorganizzazione
comune, le modalit dei consumi di beni e servizi ancora largamente
gestite in forme individualistiche: dallassistenza sanitaria, al primo ap-
prendimento e alla custodia dei bambini, dallapprovvigionamento alla
ricreazione e allo sport, alla mobilit, abbandonata allimpero dellau-
tomobile. Coinvolsi rappresentanti dellUnione donne italiane, della
cooperazione di abitazione (in quegli anni si avviarono esperienze di
cooperative a propriet indivisa caratterizzate da una forte presenza di
attrezzature collettive), dellUnione sport popolari, dellAssociazione
ricreativa e culturale italiana, dei sindacati dei lavoratori. Udi, Coop,
Uisp, Arci, Cgil e Cisl furono le sigle che sottoscrissero il nostro do-
cumento.
La presentazione del documento, nella grande sala di palazzo Taver-
na a Roma, fu per me un angoscioso fallimento. Quando venne il mio
turno, mi presentai sul palco con il breve testo che avevo concordato
con gli altri. Bruno Zevi, che presiedeva, mi diede la parola brontolan-
do ad alta voce: Che cos questa storia di presentarsi con il pezzo di
carta da leggere! Se uno ha una idea la pu esporre stando su un piede
solo!. Arrivai al termine del mio discorsetto con moltissimo imbarazzo:
era solo la seconda volta che parlavo in pubblico.
40
lavorare non stanca troppo
41
capitolo terzo
Alla fine degli anni Cinquanta lItalia era profondamente cambiata. Agli
anni della ricostruzione erano seguiti quelli del boom economico. Lab-
bandono del protezionismo era stato un banco di prova per il risveglio
dellindustria manifatturiera italiana.
I poli produttivi accrebbero fortemente il loro ruolo, grazie a unin-
telligente politica industriale dellapparato statale (Iri ed Eni), che for-
niva alle industrie acciaio a buon mercato e trovava fonti convenienti
allapprovvigionamento energetico, facendo leva su presenze di know
how industriale e di mano dopera qualificata a tutti i livelli, e soprattutto
grazie alla scelta di investire sui settori facili dei beni di consumo du-
revoli e allappoggio che a tale scelta fornivano la politica finanziaria e
quella delle opere pubbliche.
LItalia completava la sua trasformazione: da prevalentemente agri-
cola a prevalentemente industriale. I movimenti migratori si orientavano
verso il triangolo industriale: larea geografica delle tre grandi citt del
Nordovest, Milano, Torino e Genova, dove era concentrata lindustria.
Il reddito medio aumentava e aumentava la disponibilit ad acquistare i
beni di consumo durevoli che lindustria sfornava in grande quantit a
prezzi sempre pi convenienti.
Lindustria cresceva, i profitti e laccumulazione30 rafforzavano i luo-
ghi forti dello sviluppo: ma il territorio e le citt ne pagavano duramen-
te il prezzo, e specialmente le popolazioni delle aree da cui lo sviluppo
42
lavorare non stanca troppo
succhiava risorse, con la fuga della forza lavoro dal Mezzogiorno, dalle
aree interne e collinari dellItalia centromeridionale e con lindirizzarsi
degli investimenti nelle aree gi sviluppate. La scelta di privilegiare lau-
tomobile rispetto ai trasporti collettivi rendeva pi grave la congestione
delle citt. Gli squilibri territoriali cominciavano a essere vissuti come
un peso per lo sviluppo degli stessi settori avanzati delleconomia. La
spontaneit lasciata alle forze imprenditoriali, stimolata e promossa dal-
le stesse politiche governative, mostrava i suoi limiti.
Nel frattempo, mutamenti rilevanti si manifestavano nel quadro politico.
Nel 1953 fu sconfitta la legge truffa, con la quale lalleanza imper-
niata sulla Dc avrebbe avuto la garanzia di assicurarsi la maggioranza
assoluta nel parlamento anche se avesse conseguito la sola maggioranza
relativa. Di conseguenza erano iniziati processi di mutamento degli
orientamenti interni dei gruppi che componevano il partito di maggio-
ranza. Dopo varie oscillazioni, e un pesante tentativo di svolta a destra
nel 1960, cominci ad affacciarsi la proposta politica di una apertura a
sinistra che condusse, allinizio degli anni Sessanta, prima alla forma-
zione di maggioranze comunali di centro-sinistra (basate sullalleanza
della Dc con il Psi), e poi al primo governo nazionale di centro-sinistra
nel 1962. Di esso facevano parte la Dc, il Psi, Psdi e il Pri.
Un peso rilevante sul mutamento degli orientamenti della Dc lo
ebbe la fine del papato di Pio xii e lirruzione sulla scena di papa
Giovanni xxiii.
Scrive lo storico Paul Ginsborg:
Lintegralismo di Pio xii fu sostituito da una diversa conce-
zione della Chiesa, piuttosto legata al suo ruolo pastorale e spi-
rituale che non alla sua vocazione politica anticomunista. Si apr
cos lo spazio per un dialogo fra cattolici e marxisti e, in campo
politico, democristiani e socialisti poterono finalmente trovarsi
faccia a faccia per trattare31.
31 P. Ginsborg, Storia dItalia dal dopoguerra a oggi. Societ e politica, 1943-1988, Torino, Einaudi,
1989I.
43
capitolo terzo
Di riforma urbanistica si era cominciato a parlare alla fine degli anni Cin-
quanta. LIstituto nazionale di urbanistica (Inu) aveva proposto un Codi-
ce dellurbanistica, formulato sulla base delle migliori esperienze dellEu-
ropa socialdemocratica. Membri dellistituto avevano poi collaborato col
ministro dei Lavori pubblici, il democristiano Fiorentino Sullo, autore
della proposta radicale che giunse alle soglie dellapprovazione. Il centro
della sua proposta consisteva nellobbligo per i Comuni di espropriare
preventivamente tutte le aree di cui il piano regolatore prevedeva lurba-
nizzazione (zone despansione). In esse il Comune avrebbe poi realizzato
le opere di urbanizzazione (strade e altri impianti, verde, scuole e servizi)
e le avrebbe assegnate agli utilizzatori per un numero determinato di anni
(si prevedeva novantanove). La propriet delle aree sarebbe rimasta al
Comune, il quale avrebbe concesso ai privati solo il diritto di superficie:
la possibilit cio di realizzare gli edifici previsti dal piano urbanistico e di
utilizzarli a loro piacimento fino alla scadenza della concessione.
Era il modo per bloccare sul nascere la speculazione urbanistica e
realizzare, secondo progetti urbanistici ragionevoli, la grande espansio-
ne urbana che infatti si verific impetuosa negli anni successivi. Ma la
stampa di destra scaten una violentissima campagna, distorcendo pro-
fondamente il contenuto della proposta. Il giornale romano il Tempo
apr loffensiva con questo titolo Otto milioni di capifamiglia decisi a difendere
le loro case32: lesproprio generalizzato delle zone agricole in cui era previ-
sta lespansione della citt veniva fatto passare per lesproprio di tutte le
costruzioni esistenti!
La Dc si spavent. Le elezioni erano alle porte. Il disegno di legge
fu ritirato, e a Sullo non si permise neppure di rispondere pubblicamen-
te, svelando la menzogna degli attacchi33. La distruzione del territorio
prosegu.
Ma il territorio, a volte, si ribella: tre anni dopo la sconfitta di Sullo,
il crollo di alcuni palazzi ad Agrigento e, pochi mesi pi tardi, le alluvio-
ni che minacciarono di distruggere Firenze e Venezia riproposero con
forza il problema.
44
lavorare non stanca troppo
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46
Capitolo quarto
Nel centro dellurbanistica italiana
Dopo i drammatici eventi del 1966, il ministro dei Lavori pubblici, il so-
cialista Giacomo Mancini, aveva deciso di costituire due nuove struttu-
re: luna nellambito della funzione consultiva, dove si form la vi sezione
urbanistica del Consiglio superiore dei lavori pubblici, laltra nellam-
bito della funzione operativa, con la Direzione generale allurbanistica.
Questultima fu affidata a Michele Martuscelli. Funzionario pubblico, di
nascita e formazione meridionale (era nato a Muro Lucano), erede della
migliore tradizione dello statalismo meridionalistico, Martuscelli era un
vero grand commis dtat come in Italia ce ne sono pochi. Ispido e genero-
so, ferratissimo nei versanti amministrativo e giuridico, curioso e attento
alle altre culture di cui si impadroniva con grande facilit.
Attorno alla Direzione dellurbanistica gravitavano rilevanti perso-
naggi della cultura urbanistica di quegli anni: Giovanni Astengo, Fabri-
zio Giovenale, Luigi Piccinato, Antonio Cederna, Federico Gorio, Mar-
cello Vittorini, Piero Moroni, Alberto Lacava. Il loro ambiente politico
era il nascente centrosinistra. La maggior parte di essi militava nella
sinistra del Psi, che faceva capo a Riccardo Lombardi. Ottimi erano i
loro rapporti con i comunisti, buoni e a volte ottimi anche quelli con
componenti significative della Dc.
Nellambito della Direzione dellurbanistica era stato istituito il Ser-
vizio studi e programmazione, affidato inizialmente a Fabrizio Giovena-
le: un vero, generoso apostolo dellurbanistica sociale. Disponeva solo
della collaborazione di due giovani funzionari: un amministrativo, Car-
melo Grasso, e un architetto, Vezio De Lucia. Lanno successivo luffi-
cio fu affidato a un attivissimo ingegnere, Marcello Vittorini, che avevo
47
capitolo quarto
Il crollo ad Agrigento nellestate del 1966, gli eventi che gli seguiro-
no, lo convinsero che si poteva fare lurbanista in un altro modo. Parte-
cip a un concorso, vinse, entr nel Servizio studi e programmazione
del Ministero, dove lo conobbi. Nella piccola stanza che condividevamo,
con uno stipendio pari a un quarto di quello di prima.
Il lavoro era stressante ma entusiasmante. Lurbanistica e la pro-
grammazione economica erano al centro dellattenzione politica. Dopo
la sconfitta del tentativo di riforma urbanistica di Fiorentino Sullo, il
crollo di Agrigento e lappassionato dibattito parlamentare che ne era
seguito avevano prodotto un vero colpo di frusta sullopinione pubbli-
ca. Politica e cultura erano combattive e lottavano su diversi fronti per
34 Traggo la citazione dalle memorie di Vezio De Lucia, in corso di stampa presso ledi-
tore Diabasis.
48
nel centro dellurbanistica italiana
49
capitolo quarto
50
nel centro dellurbanistica italiana
51
capitolo quarto
52
nel centro dellurbanistica italiana
36 Legge 6 ago. 1967, n. 765, Modifiche e integrazioni alla legge urbanistica 17 ago. 1942,
n. 1150. Fu definita legge ponte perch avrebbe dovuto costituire un momento di passag-
gio alla legge di riforma complessiva dellurbanistica, che non mai stata fatta.
37 Il decreto descritto nelle memorie di De Lucia, in corso di stampa (vedi nota 34).
53
capitolo quarto
38 Il titolo del convegno era Obbligatoriet della programmazione dei servizi sociali in un
nuovo assetto urbanistico. Si svolse a Roma, il 21 e 22 mar. 1964. Tre delle quattro relazioni
di base furono svolte da altrettanti urbanisti: Giovanni Astengo, Edoardo Detti e Alberto
Todros.
54
nel centro dellurbanistica italiana
prima della legge ponte i vincoli per gli spazi pubblici coprivano
unestensione minima del territorio; dopo la legge e il conseguente de-
creto sugli standard, lincidenza minacciava di diventare molto pi con-
sistente (per la propriet fondiaria).
Grande fu lo scandalo. Urbanisti, amministratori comunali, parla-
mentari dei partiti di sinistra protestarono con forza: quella sentenza si-
gnificava la morte per lurbanistica, impediva di adeguare lItalia ai livelli
di civilt urbanistica degli altri paesi europei. Un animato convegno fu
indetto dallInu in un teatro romano, lEliseo.
Intervenni anchio in quellassemblea, sostenendo una tesi contro-
corrente. La lettura della sentenza e di unaltra emanata contemporanea-
mente (la n. 56, dello stesso giorno), e soprattutto unintervista rilasciata
dal presidente della Corte costituzionale, Aldo Sandulli39, mi avevano
infatti convinto di due cose: dal punto di vista dellequit tra i proprieta-
ri di aree, la sentenza era inoppugnabile; la sua attenta lettura, congiun-
tamente con laltra, suggeriva al legislatore la via duscita percorribile.
In poche parole la situazione era questa. Il piano regolatore generale
tratta differentemente due categorie di proprietari. Ad alcuni vincola
larea a tempo indeterminato, con la prospettiva dellesproprio: ma
dellesproprio non certa la data, n certo se larea verr effettiva-
mente espropriata, e quindi indennizzata. Ad altri, invece, valorizza il
terreno, rendendolo edificabile. Le sentenze, mentre dichiaravano in-
costituzionale questa sperequazione, aprivano la strada a una soluzione
accennando a una questione poi chiarita e resa del tutto esplicita nellin-
tervista di Sandulli. Egli sosteneva che, sebbene il quadro legislativo
vigente stabilisse che la facolt di edificare era un attributo dellarea che
apparteneva al suo proprietario, con una legge ordinaria il parlamen-
to avrebbe tranquillamente potuto modificare questa appartenenza,
stabilendo che alla propriet non apparteneva la facolt edificatoria.
Questultima avrebbe potuto dalla legge essere attribuita al potere pub-
blico, il quale in questo caso poteva concederla agli utilizzatori a deter-
minate condizioni.
Si trattava, come si diceva tecnicamente, di separare lo ius edificandi
dal diritto di propriet e di stabilire che il primo appartiene alla colletti-
vit. Bastava che il parlamento lo volesse e lo stabilisse: cos si sarebbe
costituita una condizione di parit di diritti tra i proprietari penalizzati
e quelli premiati dalle scelte del piano.
55
capitolo quarto
6. Amministrare lurbanistica
40 E. Salzano, Intervento allassemblea dellInu del 10 luglio, Citt e societ, 6 (nov.-dic. 1968),
p. 61.
41 Legge 22 ott. 1971, n. 865, Programmi e coordinamento delledilizia pubblica; norme
sulla espropriazione per pubblica utilit, modifiche e integrazioni alle leggi 17 ago. 1942 n.
1150, 18 apr. 1962 n. 167, 29 set. 1964 n. 847; e autorizzazione di spesa per interventi straor-
dinari nel settore delledilizia residenziale, agevolata e convenzionata.
56
nel centro dellurbanistica italiana
42 Casa, urbanistica e poteri locali. Come gestire la nuova legge per la casa verso la riforma urbanistica.
Il testo coordinato delle leggi urbanistiche. La legge per la casa con note di Alberto Todros, a cura di E. Salzano,
Roma, Edizioni della Lega per le autonomie e i poteri locali, 1971.
43 G. Campos Venuti, Amministrare lurbanistica, Torino, Einaudi, 1967.
44 V. Erba, Lattuazione dei piani urbanistici, Roma, Edizioni delle autonomie, 1987V, p. 9.
57
capitolo quarto
7. La Rivista Trimestrale
58
nel centro dellurbanistica italiana
45 Uscirono rispettivamente sui numeri 10 (1964), 11-12 (1964) e 13-14 (1965) della Rivista
trimestrale.
59
capitolo quarto
60
nel centro dellurbanistica italiana
I tre saggi suscitarono interesse nel mondo degli urbanisti. Aldo Rossi,
un intelligente architetto e urbanista milanese, dopo aver letto il primo
saggio, mi chiese di pubblicare, una volta conclusa la ricerca, lintero
lavoro in una nuova collana che stava preparando per leditore Marsilio,
che gi ospitava rilevanti collane di testi urbanistici. Accettai. Conclusi i
tre articoli, li riordinai in un unico testo, arricchendo e approfondendo
alcuni aspetti. Lo spedii ad Aldo Rossi.
Il primo libro della nuova collana usc con lannuncio della prossima
pubblicazione del mio. Ma il testo della presentazione, che non era stato
concordato con me, non mi piacque affatto: appiattiva il libro cos al-
meno mi parve allora con qualche frase a effetto. Protestai, litigammo,
il libro non usc.
Ne parlai allora con Italo Insolera: propose di segnalarlo alledi-
tore Einaudi, con cui era in buoni rapporti, aveva appena pubblicato
con lui il bellissimo suo libro sulla storia urbanistica di Roma capitale,
61
Roma moderna48. I redattori di Einaudi lo lessero, mi chiesero di andare
a Torino per discuterne. Presi il treno. Scesi allalbergo Roma (dove
Cesare Pavese si era suicidato pochi anni prima). Tutto ok mi dissero
le mandiamo il contratto, lei ce lo rispedir firmato e intanto partiamo.
Mesi di silenzio. Italo si inform. Seppe che, allultimo momento,
Giulio Einaudi aveva chiesto un parere al suo vecchio amico Bruno
Zevi. Sembra che lautorevole storico dellarchitettura avesse sentenzia-
to: Questo libro non deve essere pubblicato n ora n mai.
Continuando nei suoi tentativi, Italo lo fece avere alleditore Vito
Laterza, tramite il suo maestro Leonardo Benevolo. Laterza lo scorse,
gli sembr interessante e ben scritto. Se lo port in vacanza alle Tremiti,
lo lesse con attenzione, mi scrisse una lunga lettera nella quale mi muo-
veva precisissime osservazioni di merito e mi proponeva alcuni ragione-
voli cambiamenti, la maggior parte dei quali accettai.
Il libro usc nel 1969, con una bella copertina verde e blu, in una
collana nuova. Ebbe molto successo, soprattutto nel mondo dei giovani
architetti sessantottini.
62
Capitolo quinto
Esperienze di vita pubblica
Come giovane urbanista avevo aiutato alcune sezioni del Pci romano in
qualche analisi della situazione locale. Era nota la mia adesione al grup-
po di Franco Rodano. Fu per queste ragioni che la federazione romana
del Pci decise di chiedermi di partecipare alle elezioni amministrative
del 1966 come indipendente, e di essere eletto per occuparmi della po-
litica urbanistica, affiancando gli altri autorevoli compagni che gi se ne
interessavano: Aldo Natoli, Piero Della Seta, Antonio Gigliotti49.
Il segretario della federazione, Renzo Trivelli, mi chiese un incon-
tro. Venne nello studio di via del Tempio. La sua richiesta mi era stata
anticipata dal mio antico compagno di studi Dado Morandi, attivo mi-
litante comunista nelle periferie romane. La mia candidatura era emersa
nelle riunioni del comitato federale, e aveva via via acquistato credibilit.
Dado era orgoglioso di comunicarmelo per primo. Accettai. Inizi una
storia che, con diverse forme e in diverse citt, sarebbe proseguita per
quasi trentanni.
49 A quei tempi le liste elettorali venivano formate, nellambito del Pci, con un attento do-
saggio di esponenti delle diverse realt sociali di cui si voleva guadagnare il consenso: le liste
dovevano essere rappresentative dellinsediamento sociale del partito. Allinterno delle liste si
sceglieva poi un certo numero di candidati su cui lorganizzazione del partito concentrava le
preferenze, per fare in modo che i gruppi eletti fossero da un lato rapprentativi delle pi forti
realt sociali, ma dallaltro fossero costituiti di esperti dei vari settori dazione dellamministra-
zione, locale o nazionale, su cui ci si doveva impegnare. La formazione delle liste e la decisione,
al loro interno, di quelli su cui dirigere i voti era quindi una discussione complessa, che coin-
volgeva le diverse istanze del partito, da quelle di base a quelle di direzione.
63
capitolo quinto
64
esperienze di vita pubblica
65
capitolo quinto
66
esperienze di vita pubblica
Allinizio degli anni Settanta, gran parte della nostra attivit in Campido-
glio fu dunque dedicata allesame dei vari progetti attuativi del prg. Vo-
tammo a favore pochissime volte, contro quasi sempre, ma il risultato
fu scarso: la giunta aveva la forza dei numeri. Compresi l la differenza
67
capitolo quinto
68
esperienze di vita pubblica
4. Le borgate abusive
54 Piero Beccaria diede anche un altissimo insegnamento di vita. Colpito dal cancro, scrisse
una lettera ai cittadini nella quale li informava della sua malattia e annunciava che avrebbe
69
capitolo quinto
continuato a fare il sindaco finch ne avesse avuto la forza. Rendeva pubblica la sua condizione
per testimoniare che la malattia non una vergogna da tenere nascosta.
55 A. Cederna, Mussolini urbanista, Venezia, Corte del Fontego, 2006.
70
esperienze di vita pubblica
verso quelle zone della citt dove, nelle baracche, nelle borgate,
negli alveari di cemento armato, si accumulano da cento anni
energie umiliate e frustrate, vane speranze di uomini a cui non
stato dato di partecipare allevoluzione di quella civile comunit
di persone che dovrebbe essere una citt56.
5. Il Sessantotto
Quando scoppi quel grande evento che fu il Sessantotto non ero del
tutto impreparato. Attraverso il gruppo del Dibattito politico avevo
conosciuto e condiviso la critica alla societ opulenta di J. K. Galbraith57.
Ricordo un articolo che scrissi nel 1959, una sorta di recensione al libro.
Il titolo era Linutile opulenza58.
Nellarticolo concordavo con lanalisi di Gailbraith, ma ritenevo,
daccordo col gruppo, che la soluzione non potesse essere quella da lui
proposta, di estendere il campo dazione dello Stato nelleconomia, al
fine di riequilibrare la bilancia sociale e di dare pi largo respiro alla pro-
duzione di merci utili: scuole, ospedali, servizi pubblici in genere e cos
via. Noi sostenevamo che allinterno di una concezione delleconomia
che a s stessa subordina ogni altro valore, ogni altra attivit, ogni altra
71
capitolo quinto
59 Vedi p. 59.
60 Solo molto pi tardi seppi che il leader degli studenti che affollavano quellincontro era
Antonello Sotgia, che oggi collabora con eddyburg con articoli sulle iniziative romane sulla
questione delle abitazioni.
72
esperienze di vita pubblica
73
capitolo quinto
63 A. Asor Rosa, Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali, a cura di S. Fiori, Roma-Bari,
Laterza, 2009, p. 63.
64 La statua nella polvere: 1968. Le lotte alla Marzotto, a cura di O. Mancini, Roma, Ediesse,
2008.
74
esperienze di vita pubblica
65 La redazione di Polis: Giuseppe Basile, Alessandro Dal Piaz, Edoardo Delgado, Vezio
De Lucia, Raffaele Molino, Antonio Oliva, Edoardo Salzano (responsabile), Lucio Scandizzo.
Grafico: Gianni Gennaro.
66 E. Salzano, I quindicimila della Fiat: un episodio della programmazione, Polis, 1 (ago. 1969).
75
capitolo quinto
67 H. Lefebvre, Il diritto alla citt, Padova, Marsilio, 1970I (ed. orig.: Le droit la ville, Paris,
Edition Anthropos, 1968).
76
esperienze di vita pubblica
77
Capitolo sesto
Organizzazione della cultura
79
capitolo sesto
2. La ricostruzione
Gorio mi aveva portato a Napoli per il congresso. Con lui, dopo il col-
po di scena degli studenti, andai nella hall dellHotel Excelsior, dove i
membri del gruppo dirigente dellInu si erano riuniti. Cerano Edoardo
Detti, Bruno Zevi, Giuseppe Samon, Giuseppe Campos Venuti, Luigi
Piccinato, Cesare Valle, Mario Fiorentino. Cera anche un simpatico
giornalista dellUnit, un giovane alto e riccioluto, giunto per fare
diligentemente la cronaca del congresso degli urbanisti (allora si usava
cos): era Diego Novelli, che poi divent amatissimo sindaco di Torino.
Latmosfera era di disperazione. Sembrava che lInu fosse finito. In re-
alt era morto il vecchio Inu, ormai legato al potere, e si erano gettate
le basi di un nuovo Inu.
Lattivit riprese in sordina. Nel 1969 ad Arezzo, nel 1970 a Bologna
e lanno successivo a Roma si riunirono i soci dellistituto. A Bologna
lassemblea elesse presidente Edoardo Detti, urbanista fiorentino, as-
sessore nella giunta di Giorgio La Pira. Attorno a lui si strinse un grup-
petto di soci che avvi la ricostruzione dellInu: tra i vecchi leader, solo
Luigi Piccinato, Vincenzo Cabianca e Alessandro Tutino affiancarono il
nuovo presidente. Nei convegni di Bologna e Roma, ricorda Franco Gi-
rardi, tema comune era la politica della casa e del territorio: Confluiva-
no in questo tema le due grosse questioni, che si andavano dibattendo
nella sfera politica: il diritto alla casa, postulato dalla sinistra, e la riforma
del regime immobiliare, imposta dalla sentenza della Corte costituzionale.
Sulla seconda questione, una relazione di Alessandro Tutino chiariva
quali ne erano i termini e illuminava sui concreti interessi economici
che stavano dietro: Questi interessi, di antica data, incrostati sulla co-
siddetta rendita parassitaria, andavano preparando la rivincita dopo gli
anni delle riforme di centro-sinistra e delle sottili [sic] distinzioni tra
80
organizzazione della cultura
81
capitolo sesto
4. Urbanistica informazioni
82
organizzazione della cultura
83
A quei tempi, e per molti anni ancora, erano lussi che non ci potevamo
permettere: ci rimettevamo del nostro, a volte non solo il tempo.
Se penso a quel periodo, mi sembra che la rivista mi occupasse a
tempo pieno. Ricordo giornate intere trascorse in redazione, nella se-
de dellInu di piazza Santa Caterina da Siena. (Al piano di sopra abitava
un giornalista vero, Eugenio Scalfari). In realt continuavo a lavorare al
Ministero, a svolgere il mio ruolo di consigliere comunale, a dare il mio
apporto al lavoro della direzione del Pci nel settore. Nella mia vita
sempre stato cos: cera unattivit che assorbiva il cento per cento dei
miei interessi (o almeno cos mi sembra a distanza di tempo), sebbene
in realt il tempo fosse condiviso con altri impegni.
Un ruolo sempre pi decentrato occupava la mia famiglia. I miei
genitori erano morti, entrambi dello stesso male, a un anno di distanza
luno dallaltro. Cos le mie due sorelle. Con Barbara le cose andavano
male, verso la rottura. Nel frattempo maturavano eventi che mi sospin-
gevano verso altri orizzonti.
Gi da un paio danni, lattivit universitaria (Giovanni Astengo mi
aveva dato un incarico dinsegnamento nel nuovo corso di laurea in ur-
banistica dellIstituto universitario di architettura) mi portava a Venezia
ogni due settimane. Mi venne proposto, nel quadro del nuovo clima po-
litico, un rilevante impegno amministrativo in quella citt, che accettai.
Si concluse cos, bruscamente, il mio periodo romano, e si manife-
st unaltra svolta traumatica. Abbandonai famiglia, ministero, consiglio
comunale e mi trasferii nella citt lagunare. Cominci unaltra storia, un
altro amore, un altro impegno civile. Unico elemento di continuit, ol-
tre laffetto per le persone che avevo lasciato a Roma, il lavoro per lInu
e la sua rivista.
Il nuovo impegno politico e amministrativo ebbe un peso rilevantis-
simo nella mia vita. necessario inquadrarlo nei mutamenti che avven-
nero nellItalia di quegli anni.
84
Capitolo settimo
La fase gloriosa della sinistra
1. Il compromesso storico
85
capitolo settimo
74 Berlinguer comment il colpo di stato del generale Pinochet in un saggio, pubblicato sulla
rivista settimanale del Pci, Rinascita, il 28 set., il 5 e il 12 ott. 1973. pubblicato anche in
eddyburg, nella cartella Enrico Berlinguer.
75 G. Chiarante, Con Togliatti e con Berlinguer. Dal tramonto del centrismo al compromesso storico
(1958-1975), Roma, Carocci, 2007, p. 184.
86
la fase gloriosa della sinistra
87
capitolo settimo
3. Venezia rossa
Tra le citt conquistate cera Venezia. La citt lagunare era stata spesso
anticipatrice di processi politici e amministrativi di carattere pi genera-
le. Era stata la prima in Italia a introdurre il decentramento amministra-
tivo e la formazione dei consigli di quartiere (1964); pi tardi, era stata
la prima a costituire una maggioranza di centro-sinistra (1970).
La conquista, nel 1975, della maggioranza degli elettori da parte di
una coalizione di sinistra era stata preceduta da un avvenimento nel cui
ambito era maturata la formazione della nuova alleanza. In qualche mo-
do vi fui coinvolto. Nel 1974, la maggioranza nel consiglio comunale era
formata da Dc, Psi e Pri. I socialisti, seguendo la tendenza che si stava
manifestando in tutta Italia, avevano deciso di cambiare schieramento,
e si erano alleati con il Pci. Per costruire un accordo di sinistra essi
posero la condizione che il nuovo alleato condividesse uno strumento
88
la fase gloriosa della sinistra
76 Legge 16 apr. 1973, n. 171, Interventi per la salvaguardia di Venezia. La legge prevedeva
sia finanziamenti (per ledilizia monumentale e per quella minore, per le residenze temporanee
per le famiglie la cui unit edilizia era in corso di restauro, per il riequilibrio della Laguna e
la riduzione delle acque alte, per le attivit produttive), sia un sistema di regole (indirizzi) e
strumenti innovativi; tra gli altri, la formazione di un piano comprensoriale di tutto il terri-
torio nel quale ricadevano il bacino lagunare e i centri urbani aventi gravitazioni quotidiane con
Venezia, una speciale struttura tecnico imprenditoriale per le attivit di restauro (Edilvenezia),
una commissione di salvaguardia per vigilare sulla qualit degli interventi e la loro coerenza
con gli indirizzi stabiliti dal parlamento. Tutte queste strutture erano governate da complessi
sistemi di equilibrio tra i diversi poteri istituzionali concorrenti: lo Stato, la Regione, la Pro-
vincia, il Comune di Venezia e i comuni minori. Tra gli interventi, la legge prescriveva la
cessazione degli emungimenti di acqua dal sottosuolo (che era uno dei fenomeni che avevano
provocato leccezionale acqua alta del 1966) e quella dei traffici petroliferi (causa dellau-
mento della sezione dei canali di accesso alla Laguna e fonte di potenziali gravissimi rischi.
Lemungimento di acqua fu bloccato, il traffico petrolifero continua ancora oggi.
77 Dal 1968 era prescritto che gli interventi nei centri storici fossero subordinati alla for-
mazione di strumenti di pianificazione aventi un dettaglio sufficiente a evitare manomissioni
dellimpianto urbano e delledilizia storici.
89
capitolo settimo
4. Venezia e il degrado
78 Negli anni 1908-09 il dottor Raffaele Vivante, ufficiale sanitario del Comune, svolse
90
la fase gloriosa della sinistra
unIndagine sul problema delle abitazioni a Venezia. Vedi L. Scano, Venezia: terra e acqua, Venezia,
Corte del Fontego, 2009, p. 43.
79 Questa e la citazione seguente in Scano, Venezia: terra e acqua, p. 64.
91
capitolo settimo
della sua caduta (1797), e soprattutto negli anni della costituzione dello
Stato unitario e dello sviluppo del sistema capitalistico-borghese80. Ma
nellottica delle forze di sinistra, compreso il Pci, la Laguna e, in genera-
le, lambiente, non occupavano un posto di rilevo. I problemi pi sentiti
erano quelli immediati delle condizioni di vita degli abitanti, del lavoro
e delloccupazione, della condizione operaia. Soprattutto in vista di que-
sti temi fu promosso il festival. Affrontarli nellambito di uniniziativa
fortemente caratterizzata da attivit culturali significava dare maggiore
evidenza alle proposte del Pci sulla questione dei centri storici, e in par-
ticolare su Venezia.
80 Anche per questo aspetto si veda il citato libro di Scano, nonch, per gli eventi pi recenti,
il volume di F. Mancuso, Venezia una citt. Come stata costruita e come vive, Venezia, Corte del
Fontego, 2009.
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la fase gloriosa della sinistra
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la fase gloriosa della sinistra
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capitolo settimo
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la fase gloriosa della sinistra
8. Il piano comprensoriale
La mia attenzione era rivolta soprattutto alla citt storica: era qui
che volevamo sperimentare nuovi metodi di pianificazione, per poi
estenderli allintero territorio comunale. Del resto, per la Terraferma
cera una strumentazione urbanistica abbastanza aggiornata e decente
(lultimo atto era stata una variante del prg che aveva aumentato le aree
destinate al verde e ai servizi, adeguandole al decreto sugli standard, e
risolto alcuni problemi di viabilit) e comunque, prima di aggiornare il
prg, si aspettava linquadramento che il piano comprensoriale avrebbe do-
vuto fornire.
Questultimo era un istituto decisivo previsto dalla legge speciale
del 1973. Le esigenze che erano alla base della politica locale, nazio-
nale e internazionale per Venezia erano orientate, come ho accennato,
al raggiungimento di due obiettivi. Il primo era la salvaguardia fisica
dellimmenso patrimonio costituito dagli insediamenti storici (prin-
cipale ma non unico la citt di Venezia) e dalla Laguna (un ambiente
assolutamente unico al mondo, garantito nel suo equilibrio da unazio-
ne millenaria di saggia collaborazione tra uomo e natura83). Il secon-
do obiettivo era la vitalit economica e sociale della citt e del suo
83 Sulla Laguna di Venezia, oltre ai testi di Scano e Mancuso, vedi anche il ricco materiale
contenuto in eddyburg, nella cartella Venezia e la laguna.
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capitolo settimo
84 La legge 171 del 1973 prevedeva che il piano comprensoriale fosse formato sulla base di
un documento di indirizzi redatto da una apposita commissione di rappresentanti dei ministeri
e degli enti locali. La regia era del Ministero dei lavori pubblici.
85 Scano, Venezia; terra e acqua, p. 296-319.
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la fase gloriosa della sinistra
9. Cambiano le alleanze
I primi anni Ottanta sono quelli dellascesa al potere, nel Psi, di Bettino
Craxi. Le persone che, nella Storia, determinano i grandi mutamenti ne-
gli assetti del potere esprimono pi efficacemente il mutato spirito dei
tempi, cos come questo viene formato dallideologia prevalente. Craxi
fu uno di questi. Espresse la fase di una modernizzazione che faceva
strame dei princpi, dei metodi, delle priorit del passato. Scrive Paul
Ginsborg:
Negli anni 50 e 60, attratti dalle luci splendenti del con-
sumismo e dalla possibilit di avanzamento individuale, i ceti
medi erano diventati gli stabili fautori di un moderato e demo-
cratico status quo. possibile suggerire che negli anni 80 questo
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capitolo settimo
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la fase gloriosa della sinistra
89 Dal discorso di Enrico Berlinguer al Teatro Eliseo di Roma, 1977, in eddyburg, cartella
Lausterit come leva di sviluppo.
90 E. Scalfari, I partiti sono diventati macchine di potere, intervista a Enrico Berlinguer,
la Repubblica, 28 lug. 1981. Anche in eddyburg.
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capitolo settimo
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la fase gloriosa della sinistra
91 utile ricordare che laltezza delle acque alte riferita al livello medio del mare. Il punto
pi basso di Venezia, Piazza San Marco, di circa +60 cm. Il livello di riferimento per le pavi-
mentazioni stradali che assumemmo nel nuovo piano del centro storico, e nelle anticipazioni,
fu di +130 cm.
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capitolo settimo
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la fase gloriosa della sinistra
questi interventi permise di risolvere nel giro di pochi anni due emer-
genze, determinate dagli sfratti per finita locazione e dal fatto che molti
veneziani vivevano ancora nei piani terra, soggetti ad allagamento.
Due grandi questioni rimasero aperte: lavvio di una iniziativa per of-
frire edilizia a canoni ragionevoli alle famiglie che non disponevano dei
requisiti necessari per concorrere allassegnazione di edilizia pubblica, e
lutilizzazione del grande complesso degli ex Mulini Stucky.
Per lo Stucky le destinazioni previste dai piani rendevano necessaria
uniniziativa concordata con la propriet. Si prevedeva tenendo conto
anche delle caratteristiche strutturali degli edifici la realizzazione di
un centro congressi, di un albergo, di un luogo ove sistemare i nume-
rosi archivi comunali, ancora oggi collocati in spazi meglio utilizzabili
per altre funzioni urbane (a questo scopo si prevedeva di utilizzare
i giganteschi silos di cereali), e infine di edilizia residenziale. Ci che
si chiedeva alla propriet era la cessione gratuita dei silos, a titolo di
oneri di urbanizzazione e costruzione, e il rigoroso convenzionamento
delledilizia residenziale per i veneziani. La propriet non accett queste
condizioni e il complesso rimase abbandonato finch lamministrazione,
allinizio di questo secolo, accett le pretese della propriet. Adesso lo
Stucky una esclusiva enclave di lusso. I silos, le cui facciate erano del
tutto prive di aperture, sono stati distrutti da un incendio che ha lascia-
to miracolosamente indenni gli edifici adiacenti92. Dopo lincendio,
improvvisamente saltano fuori i disegni originali di Ernest Wullekopf
che prevedevano le finestre sulle facciate: su questa base anche quella
parte del complesso stata trasformata in albergo. Lucrosamente: per
la propriet, sintende.
92 stato un incendio doloso per il pm di Venezia, Michele Maturi, quello che ha semidistrut-
to il mulino Stucky sullisola della Giudecca nella citt lagunare. Il pubblico ministero ha infatti
parlato di una mano umana e ipotizzato il gesto di un folle o limprudenza di un barbone
o, pi probabilmente, liniziativa dolosa di qualcuno. Al momento non ci sono gli elementi per
confermare questa pista, ma la strada sembra essere quella giusta. Il mulino Stucky, importante
esempio di architettura industriale ottocentesca, era in fase di restauro e pronto a essere trasfor-
mato in un grande albergo e centro congressi (da Edilportale, 18 apr. 2003).
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Capitolo ottavo
Venezia forma urbis
93 I punti principali sono ampiamente raccontati nel xv capitolo del libro di Luigi Scano,
Venezia: terra e acqua, p. 324-328.
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capitolo ottavo
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venezia forma urbis
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capitolo ottavo
3. Forma urbis
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venezia forma urbis
96 G. B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del Palazzo Ducale di Venezia, Venezia 1868.
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capitolo ottavo
Lesito politico delle elezioni del 1985 fu cattivo. Il Psi costitu una giun-
ta con la Dc: sindaco il socialista Nereo Laroni. Poi crisi della maggio-
ranza, ricostituzione, nuovo sindaco il democristiano Costante Degan.
Il lavoro di costruzione del piano fu ufficialmente interrotto; continu
sottotraccia il completamento delle sue basi materiali. Nel 1987 si co-
stitu una giunta in cui era sindaco il repubblicano Antonio Casellati e
assessore allurbanistica il verde Stefano Boato. Con loro il lavoro del
piano prosegu e giunse alla conclusione. Gigi partecipava al lavoro co-
me consulente, io in modo informale: con Casellati e Boato eravamo in
ottimi rapporti e in piena condivisione culturale. Concludemmo la reda-
zione del piano e lassessore lo trasmise alla giunta.
Nellaprile 1990, con Edgarda e Gigi presentai il nuovo piano allo
Iuav. Dopo aver ricordato lanomalia degli strumenti di pianificazione
che avevamo gestito nel quinquennio 75-80, illustrai sinteticamente il
piano riferendomi a due aspetti: il rapporto tra piano e spazio, e il rap-
porto tra piano e tempo.
Per la parte del territorio in cui si prescrive la conservazione del di-
segno urbano preesistente, il piano classifica tutte le unit elementari di
spazio in funzione operativa. In particolare, le unit edilizie (e cio gli
edifici caratterizzati da unit di volume e di prospetto) sono classificate
in una quarantina di classi sulla base di unanalisi delle tipologie strut-
turali97. Per ogni classe, sono definite sia le regole delle trasformazioni
fisiche consentite o prescritte (quali elementi strutturali e funzionali
devono essere conservati o ripristinati, e come; quali possono essere
modificati, e come, o eliminati), sia la gamma delle utilizzazioni com-
patibili. Per questa parte, il piano interamente attuabile mediante sem-
plice concessione o autorizzazione edilizia, sulla base di singoli progetti
edilizi. Il che, per un piano regolatore generale di un centro storico che
comprende 13.000 unit edilizie, non davvero poco.
Fanno eccezione allintervento diretto solo quelle parti del centro
storico (si tratta di 50 ambiti) nelle quali sono ritenute necessarie, e
quindi sono prescritte o ammesse, trasformazioni consistenti o dellas-
setto fisico, o dellassetto funzionale, o delluno e dellaltro insieme. Per
questi ambiti il piano prevedeva la formazione di piani particolareggiati
e prescriveva per ciascuno di essi quantit, utilizzazioni e direttive per
lorganizzazione fisica e morfologica.
112
venezia forma urbis
113
socialista Vittorio Salvagno. Questultimo apprezz e condivise il lavoro
fatto, consent che venisse aggiornato e port il piano alladozione, che
avvenne nel 1992. Poi cominci unaltra storia.
Se la mia base era a Venezia, anche negli anni in cui ero assessore non
avevo abbandonato le mie attivit a livello nazionale. Continuavo a essere
consultato dalla direzione nazionale del Pci sulle questioni urbanistiche,
ed ero impegnato nellInu, sia come direttore della rivista Urbanistica
informazioni sia, a partire dal 1983, come presidente nazionale. Inoltre,
concluso il mio impegno di assessore avevo ripreso a collaborare con Re-
gioni, Province e Comuni alla formazione di piani o di testi normativi.
Sia allInu che nella pratica professionale, sempre in stretta collabora-
zione con Gigi Scano, avevo proseguito la riflessione e la sperimentazione
dellarticolazione della pianificazione in due componenti. Una prima
componente, che definivamo strutturale e strategica, conteneva essenzial-
mente tutte le indicazioni, prescrittive o direttive, concernenti le tutele
dellintegrit fisica e dellidentit culturale del territorio, e quelle che deli-
neavano le grandi scelte strategiche. Laltra componente, che definivamo
programmatica e operativa, definiva tutte le decisioni che concernevano scelte
di breve o di medio periodo, comunque conformi a quelle definite nella
componente strutturale.
Nella nostra proposta la componente strutturale della pianificazione,
coinvolgendo interessi di diversi livelli di governo, doveva prevedere una
procedura di formazione pi complessa e pi rigida. La seconda, esau-
rendo essenzialmente la propria portata nellambito di decisioni che non
incidevano su interessi ampi, poteva essere di esclusiva competenza dei
Comuni.
Precisammo questo modello di pianificazione in molte occasioni: nei
prg di Carpi, Imola, Duino Aurisina; nei progetti di legge urbanistica cui
Gigi e io collaborammo per lEmilia Romagna e per il Lazio; in una pro-
posta di legge urbanistica nazionale che Gigi elabor in sede Inu e in un
pi maturo progetto che presentammo a un convegno che organizzammo
a Venezia nel sessantesimo anniversario della legge urbanistica del 194298.
98 L. Scano, Le ragioni e i contenuti di una proposta di legge, in Cinquantanni dopo la legge urbanistica
italiana. 1942-1992, a cura di E. Salzano, Roma, Editori Riuniti, 1993, p. 137-153. E. Salzano,
Sullarticolazione dei piani urbanistici in due componenti, Notiziario dellArchivio Osvaldo Piacenti-
ni, 11-12 (apr. 2008), II.
114
Capitolo nono
Verso il buio: Tangentopoli e Mani pulite
99 Da allora, con un processo di corruzione del linguaggio tipico dellignoranza dei mass
media, si attribuito il suffisso poli a ciascuno dei numerosi altri scandali esplosi: calciopoli, ospe-
dalopoli, sanitopoli, parentopoli, affittopoli, ecc.
115
capitolo nono
il suo ruolo fino allaprile del 1987. Negli stessi anni i poteri di Ronald
Reagan e Margaret Thatcher erano stati pienamente confermati nei ri-
spettivi paesi. In Italia, un decreto del governo Craxi (14 febbraio 1984)
aveva aperto lattacco alla scala mobile: a quel meccanismo cio, con-
quistato nel 1975 a favore di tutti i lavoratori, che legava le variazioni del
salario a quelle del potere dacquisto. Il Pci promosse, nel 1985, un refe-
rendum per difenderlo, ma raggiunse solo il 46% dei consensi100. Nello
stesso anno si svolsero in Italia le elezioni amministrative: caddero quasi
tutte le maggioranze di sinistra che erano al governo nelle grandi citt.
Sono gli anni del trionfo della visione craxiana della societ: nuovi
valori divengono vincenti nel pensiero comune.
Tutto viene declamato in termini di efficienza, di conquista
della modernit, di celebrazione del made in Italy, di enfatiz-
zazione della grande rincorsa dello sviluppo che appare ormai
inarrestabile e che fa sentire proiettati verso i vertici massimi
della scala mondiale. A Tokio, il 4 maggio 1986, Craxi riesce a
ottenere lammissione dellItalia in quello che era allora il Club
dei Cinque, organismo di concertazione della politica economi-
ca formato dalle maggiori potenze industriali del pianeta101.
100 A favore dellabrogazione del decreto Craxi il Pci, il Psiup e i Verdi; contro labrogazione
il Psi, la Dc, il Pri, il Psdi e i liberali. Si scoprir pi tardi che la campagna referendaria era
stata pagata da Craxi con i soldi delle tangenti. Pochi anni dopo, la scala mobile verr del tutto
abrogata.
101 P. Della Seta, E. Salzano, LItalia a sacco. Come, negli incredibili anni 80, nacque e si diffuse
Tangentopoli, Roma, Editori riuniti, 1993I, p. 26.
102 P. Ginsborg, LItalia del tempo presente. Famiglia, societ civile, Stato. 1980-1996, Torino,
Einaudi, 2007II, p. 57.
116
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
Vissi questo clima nelle esperienze di quegli anni. Non solo al Comune
di Venezia, ma anche nella mia collaborazione alla direzione nazionale
del Pci e al mio lavoro nellInu.
117
capitolo nono
104 Ibidem.
105 R. Radicioni, Anche per lurbanista il 68 lontano, lUnit, 3 set. 1982.
106 Proposta del ministro Franco Nicolazzi del mag. 1962.
118
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
C una sola strada per uscire dalla crisi della citt, conclude Radi-
cioni, rilanciare nel Paese, fra le masse popolari, nei luoghi di cultura,
negli enti locali e ovviamente in parlamento una convinta battaglia con
al centro il nodo della acquisizione alla collettivit della rendita, come
strumento fondamentale per il governo delle citt. Ma le orecchie del
Pci erano aperte ad altre musiche. Lo comprendemmo molto presto.
3. Intanto, sullabusivismo
119
capitolo nono
120
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
110 La lettera fu firmata da Luigi Airaldi, Carlo Alberto Barbieri, Massimo Bil, Piero Becca-
ria, Giuseppe Boatti, Felicia Bottino, Vittoria Calzolari Ghio, Giuseppe Campos Venuti, Mas-
simo Carmassi, Pier Luigi Cervellati, Elena Camerlingo, Filippo Ciccone, Alessandro Dal Piaz,
Maria Franca De Forgellinis, Sandro Del Fattore, Piero Della Seta, Vezio De Lucia, Giorgio
De Rosa, Valeria Erba, Stefano Garano, Mario Ghio, Ugo Girardi, Tommaso Giuralongo,
Francesco Malfatti, Laura Mancuso, Giorgio Morpurgo, Carlo Melograni, Roberto Matulli,
Federico Oliva, Stefano Pompei, Giuseppe Pulli, Raffaele Radicioni, Anna Renzini, Amerigo
Restucci, Ezio Righi, Edoardo Salzano, Stefano Stanghellini, Giancarlo Storto, Lino Tirelli,
Alberto Todros.
121
capitolo nono
111 Lettera del 24 giu. 1985, firmata Lucio Libertini (Archivio Edoardo Salzano).
112 E. Macaluso, Dove stanno i veri eroi dello scempio edilizio, lUnit, 19 feb. 1986.
122
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
5. La legge Galasso
Gli anni Ottanta hanno, nel loro complesso, un segno negativo. Sono
gli anni nei quali maturato, e ha cominciato a realizzarsi, il disastro
nel quale viviamo. Ma in quel decennio ci sono state anche azioni di
segno opposto; e il positivo non va mai dimenticato perch a esso che
bisogna riallacciarsi pi tardi, quando si pu riprendere il cammino. Nel
mio ricordo, al positivo di quegli anni appartiene soprattutto il risultato
di uniniziativa legislativa di un vecchio amico di mio padre, Giuseppe
Galasso113. Lo storico napoletano era diventato sottosegretario al Mi-
nistero dei beni culturali. Aveva avviato, con un decreto, poi giudicato
illegittimo dal tribunale amministrativo, il procedimento parlamentare
per la formazione di una legge per la tutela del paesaggio che superava
decisamente la vecchia impostazione delle leggi di tutela del 1939.
La legge fu approvata nel 1985. Gli elementi essenziali, particolar-
mente positivi, erano tre.
123
capitolo nono
124
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
125
capitolo nono
Nel 1984 ero stato eletto presidente nazionale dellInu. Listituto era
stato ricostituito e si era formato un gruppo dirigente abbastanza af-
fiatato e coeso, ma percorso da tensioni. Ero stato eletto anche perch
si pensava che fossi capace di mediare. Proseguimmo nello sforzo di
consolidare lInu e ampliarne le basi. In realt, la platea potenziale era
molto larga. Lo sforzo fatto soprattutto da Astengo di far diventare
lurbanistica una disciplina importante per la societ e le istituzioni
aveva avuto negli anni Settanta il successo meritato. Erano ormai molti
gli urbanisti che lavoravano nei Comuni, nelle Province, nelle neonate
Regioni.
Anche lInu e le sue riviste avevano svolto egregiamente il loro ruolo.
Le nostre sezioni erano presenti dappertutto; ricordo i numerosi viaggi
fatti con la bravissima segretaria Daniela Betti, per ricostituire sezioni
scomparse e formarne di nuove. La nostra presenza critica nei confron-
ti delle istituzioni era continua: a livello nazionale soprattutto nei con-
fronti del parlamento e dei partiti, e a livello locale, mano a mano che le
sezioni si consolidavano, con le istituzioni regionali e comunali.
Se Urbanistica, la rivista tradizionale dellInu, versava sempre in
gravissime difficolt economiche (che, nei momenti pi difficili, ri-
chiesero limpegno straordinario del nostro tesoriere Marco Romano),
Urbanistica informazioni, la testata che dirigevo, diventava sempre pi
diffusa e ricca. Dopo Vezio De Lucia, uno dei rifondatori dellInu, atti-
vo segretario generale e diuturno collaboratore della rivista, la responsa-
bilit di Urbanistica informazioni ricadde sempre pi largamente sulle
spalle di Filippo Ciccone. A rivedere oggi le annate della rivista, essa si
rivela come un poderoso archivio di tutto ci che, attinente al governo
delle citt e del territorio, accadde in quegli anni.
7. Complicit oggettive
126
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
127
capitolo nono
Come si vede, sono questioni che ancora oggi hanno validit. Segno
del fatto che allora era cominciato un processo molto lungo, che si ag-
gravato negli anni e che oggi sta raggiungendo approdi nefasti.
128
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
119 E. Salzano, Consiglio direttivo nazionale dellInu. Proposte per la formazione delle tesi per il xix
congresso, 1989, dattiloscritto (Archivio Edoardo Salzano).
129
capitolo nono
dove lItalstat, sulla base del possesso di una parte consistente delle
aree su cui dovrebbe sorgere il nuovo Sistema direzionale orientale, si
proposta come capofila di un pool di imprese che vorrebbe pianificare,
progettare e realizzare un sistema strategico per la trasformazione della
citt; quello di Milano, dove la subordinazione agli interessi dei pro-
prietari di aree divenuta, a partire dagli inizi degli anni 80, prassi cor-
rente, attraverso un intenso processo di sostituzione funzionale di cui si
rinuncia programmaticamente a verificare gli effetti sul contesto urbano
e metropolitano; quelli, infine in numerose altre citt italiane, dove la
prassi della cosiddetta urbanistica contrattata nasconde la sostanziale
abdicazione del potere pubblico elettivo di fronte a nuovi intrecci di in-
teressi economici, dove sono presenti, insieme, il capitale privato, pub-
blico e cooperativo, interessi industriali, finanziari, assicurativi e fondiari,
complessi multinazionali e aziende locali120.
Il consiglio direttivo, a larga maggioranza, respinse la mia tesi, so-
stenendo che su quegli argomenti bisognava studiare e approfondire.
Meno di due anni dopo esplose lo scandalo di Tangentopoli: lindagine
dei giudici milanesi, Mani pulite, squadern la perversione dellintreccio
tra poteri pubblici e poteri privati che era dietro lo scandalo e svel i re-
ali obiettivi dellurbanistica contrattata. Tra i casi incriminati apparvero
proprio quelli che il nostro gruppo, ormai diventato minoranza, voleva
che lInu denunciasse.
120 [E. Salzano], Istituto nazionale di urbanistica, 19 Congresso. Proposta di tesi sul rapporto
pubblico-privato, giu. 1990, dattiloscritto (Archivio Edoardo Salzano).
130
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
131
capitolo nono
Campos Venuti replic al mio editoriale con una nota, che compare
sullo stesso numero della rivista, nella quale acclamava i meriti della rivi-
sta e miei, ma respingeva con fermezza laccusa di aver fatto una scelta
di destra nellassumere la presidenza dellInu. Per la verit, la scelta
non era del nuovo presidente, ma delle cose; lInu si limitava a seguire il
mainstream, iniziando un nuovo percorso che lo avrebbe portato alla fine
a trovare coincidenze con le proposte urbanistiche della compagine di
Silvio Berlusconi.
Passarono pochi anni, e lInu giunse al punto di esprimere una valu-
tazione positiva sulla pi nefanda delle proposte legislative per la rifor-
ma dellurbanistica che lItalia abbia conosciuto: la cosidetta legge Lu-
pi, dal nome del suo presentatore, lonorevole Maurizio Lupi di Forza
Italia. Nelleditoriale n. 65 del mio sito123, del 12 febbraio 2005, in una
lettera aperta ai soci dellistituto denunciavo latteggiamento sostan-
zialmente favorevole dellInu nei confronti dellimpostazione di fondo
della legge per il governo del territorio, approdata il 7 febbraio allaula
di Montecitorio, atteggiamento che era stato determinante nellosta-
colare la minoranza nella sua opposizione. E proseguivo:
Cos mi stato testimoniato da autorevoli parlamentari dei
Ds, ed era del resto evidente dalla lettura degli atti sia di fonte
parlamentare che di fonte Inu. LIstituto nazionale di urbanisti-
ca, di cui mi onoravo di essere stato presidente per dieci anni, si
macchiato in tal modo di una colpa a mio parere molto gra-
ve. Ha avallato una legge che cancella oltre 60 anni di faticosa
132
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
124 Membri fondatori furono Roberto Badas, Silvano Bassetti, Paolo Berdini, Felicia Bottino,
Teresa Cannarozzo, Antonio Casellati, Antonio Cederna, Filippo Ciccone, Vezio De Lucia,
Antonio Iannello, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Walter Tocci, Mariarosa Vittadini.
125 Il convegno 1942-1992. Cinquantanni dopo la legge urbanistica italiana si svolse a
Venezia nei giorni 8 e 9 ott. 1992. Nella prima giornata le relazioni furono svolte da Vezio
De Lucia, Giulio Ernesti, Nicola Tranfaglia, Gianni Lanzinger, Giuseppe Campos Venuti,
Maurizio Marcelloni, Marco Venturi; nella seconda da Edoardo Salzano, Fulvia Bandoli, Luigi
Scano, Franco Bassanini, Chicco Testa, Roberto Barzanti. Era previsto lintervento conclusivo
di Achille Occhetto, che non pot raggiungerci e invi un messaggio.
133
capitolo nono
126 Il convegno si svolse nei giorni 29 e 30 ott. 1993. Le relazioni furono svolte da Luigi Sca-
no (Venezia), Raffaele Radicioni (Torino), Mariarosa Vittadini (Milano), Lino Tirelli (Genova),
Simone Siliani (Firenze), Walter Tocci (Roma), Alessandro Dal Piaz (Napoli); nella seconda
giornata da Cesare De Piccoli, Marco Venturi, Maurizio Marcelloni, Thomas Kraemer Badioni,
Guy Henry, Jesus Gago Davila. Si concluse con una tavola rotonda cui parteciparono, oltre a
me, Vittorio Emiliani, Giuseppe Arnone, Fulvia Bandoli, Franco Bassanini, Sauro Turroni.
127 L. Scano, Relazione al convegno Crisi della pianificazione o crisi dei pubblici poteri?, Eboli 14
ott. 2000, in eddyburg.
128 Il convegno si svolse nei giorni 4 e 5 ott. 1991, a Venezia, alla Scuola di San Giovanni
evangelista. Oltre al saluto di De Piccoli e alla mia relazione, intervennero Luigi Scano (Mer-
cato, pianificazione urbanistica e progetto politico), Franco Girardi, Gastone Ave, Fortunato Pagano,
Felicia Bottino, Stefano Storchi, Donatella Venti, Claudio Malacrino, Roberto Gambino, Tom-
maso Giuralongo, Marta Cecchini, Filippo Ciccone, Silvano Bassetti, Luisa De Biasio Calimani,
Francesco Indovina (Il consumo della qualit urbana), Giandomenico Romanelli, Gianni Beltrame
(Una critica al Libro verde), Fabrizio Giovenale (Riflessioni ambientaliste), Andrea Ruffolo, Maria
Rosa Vittadini (Muoversi in citt), Guglielmo Zambrini (Lalta velocit e i problemi dellambiente),
134
verso il buio: tangentopoli e mani pulite
Affermavo che
la centralit del ruolo delle citt () non solo un retaggio del-
la storia, su cui si possa vivere di rendita: una scommessa per
il futuro. Sconfiggere i rischi (e la realt) del degrado ambienta-
le, e con essi quelli del regresso economico sociale, non una
certezza. una possibilit: anzi, una speranza. Il realizzarsi di
questa speranza legato alla possibilit di raggiungere, mediante
gli strumenti di una pianificazione urbanistica rinnovata, livelli
sufficienti di qualit urbana. Ma questo significa, con ogni evi-
denza, saper guardare al futuro: sapersi contentare di creare
oggi le premesse per uno sviluppo i cui frutti si vedranno solo
nel tempo. Significa insomma preferire la gallina domani alluo-
vo oggi. Significa tutelare le qualit esistenti, e quindi applicare
una rigorosa politica di salvaguardia come primo passo (e prima
garanzia) per una politica di sviluppo. Significa selezionare, sce-
gliere: anteporre ci che va nella direzione di quel determinato
sviluppo che si scelto, a ci che pu apparire pi utile nellim-
mediato ma che contraddittorio con lobiettivo.129
Franco De Grandis, Alessandro Dal Piaz, Teresa Cannarozzo, Piergiorgio Bellagamba, Rober-
to Badas, Vittorio Parola, Margherita Pia, Manlio Marchetta, Paola Somma, Giorgio De Rosa,
Giorgio Morpurgo, Carlo Alberto Barbieri, Piero Salvagni, Luigi Colaianni, Vezio De Lucia,
Walter Tocci, Fulvia Bandoli, Sandro Giulianelli, Carlo Ripa di Meana.
129 E. Salzano, La citt sostenibile, in La citt sostenibile, atti del convegno, a cura di E. Salzano,
Roma, Edizioni delle Autonomie, 1992, p. 20.
135
accettabili, qualcuno ci induce a mettere un depuratore dov
sbagliato, o a far correre una strada dove non serve, o a rivestire
dun retino tecnico una sanatoria che non va concessa.
Il convegno ebbe una risonanza molto ampia. Sia perch era la pri-
ma volta che in Italia si rendeva pubblico il Libro verde europeo, sia per la
presenza di moltissimi esponenti autorevoli dei mondi della cultura e
della politica. Ma anche perch riuscimmo a pubblicarne tempestiva-
mente gli atti.
136
Capitolo decimo
Attese, tentativi, speranze, delusioni
Nel 1987 divenni consigliere regionale del Veneto: ero il primo dei
non eletti nelle elezioni del 1985, e subentrai a Gianni Pellicani che si
era dimesso perch chiamato a Roma nella direzione nazionale del Pci.
Il lavoro per la minoranza, in una regione a grande prevalenza democri-
stiana, non era facile. Ci impegnavamo molto nel lavoro di commissione
consiliare, e utilizzavamo le risorse cui potevamo attingere per organiz-
zare iniziative che dessero respiro al mondo delle associazioni e della
cultura che manifestava aspirazioni che condividevamo. Mi impegnai
soprattutto in due iniziative: per listituzione di parchi regionali nel Ve-
neto, e per contrastare la proposta di realizzare a Venezia lEsposizione
universale del 2000.
Vi erano nel Veneto una dozzina di luoghi nei quali, per iniziativa
di associazioni e gruppi ambientalisti, o per consolidate convinzioni, si
riteneva opportuna quella particolare tutela costituita dallistituzione di
un parco naturale: unarea protetta sia da uno specifico piano, finalizza-
to allindividuazione delle regole necessarie per garantire la conservazio-
ne di quel determinato ecosistema, sia da una gestione delle attivit
necessarie per la custodia, la manutenzione naturalistica, la ricerca e la
controllata fruizione di quei beni. Era in discussione una legge naziona-
le, ma nel frattempo molte Regioni, tra cui il Veneto, avevano approvato
degli specifici provvedimenti legislativi.
Individuammo dodici aree, in ciascuna delle quali promuovemmo
la costituzione di un gruppo di lavoro, formato prevalentemente da
137
capitolo decimo
130 Le aree sulle quali lavorammo erano: Colli Euganei, Sile, Laguna di Venezia e Chioggia,
Valli di Caorle e Bibione, Dolomiti Bellunesi, Altopiano dei Sette Comuni, Monte Pasubio,
Monte Baldo, Monti Lessini, Cansiglio, Piave, Delta del Po.
131 Tra queste ricordo le relazioni di Roberto Gambino, di Paolo Leon e di Alberto Lacava.
132 Dodici parchi nel Veneto per il 1987. Governo democratico e gestione efficiente del patrimonio ambien-
tale, a cura del Comitato Regionale Veneto Pci, Venezia 1986. Il convegno si svolse a Venezia,
nei giorni 26-27 set. 1986.
138
attese, tentativi, speranze, delusioni
da evitare. Non fummo i soli: parti consistenti del mondo della cultura
e della societ veneziana compresero lentit della minaccia.
Molto pesanti furono peraltro gli interessi che De Michelis riusc
a mobilitare. Avvi una poderosa e ben oliata macchina di conquista
del consenso. Costitu un consorzio per la promozione dellExpo di
cui facevano parte le maggiori firme dellindustria e della finanza133.
Si assicur lappoggio di prestigiosi esponenti della cultura: ricordo tra
gli altri Giuseppe De Rita, il creatore del Censis, e un nutrito gruppo
di architetti veneziani, passati dal Pci al partito di De Michelis. In una
prospettiva pi ampia di cambiamento delle alleanze (dieci anni dopo la
svolta del 1975 stava ricostituendo lalleanza con la Dc), costru una so-
lida piattaforma dintesa con i democristiani veneti, fingendo dallargare
limpatto dellExpo allintera regione. Con procedure discutibili, la can-
didatura per lExpo del 2000 approd al Bureau international des expositions
(Bie), che svolse listruttoria preliminare.
Grandi e meno grandi architetti gi progettavano alacremente visio-
ni capaci di suggestionare il pubblico. Scriveva Roberto Bianchin sulla
Repubblica del 12 febbraio 1989:
Tra i progetti pi discussi, quello del magnete che secondo
gli architetti Renzo Piano, Ugo Camerino e Giampaolo Mar,
dovrebbe essere il centro di attrazione dellExpo, in grado di
calamitare i milioni di persone che arriveranno a Venezia. Do-
vrebbe sorgere ai bordi della Laguna, vicino allaeroporto di
Tessera, intorno ad una collina artificiale e ad una finta laguna
ottenuta allagando 700 ettari di campagna. Sar capace di ospi-
tare 70 mila persone. Calamitati a Tessera, i visitatori verranno
poi portati in battello fino al grande complesso dellArsenale,
oggi abbandonato, che verr recuperato. Gli architetti Carlo
Aymonino e Giorgio Lombardi hanno previsto per loro laper-
tura di centri espositivi e di laboratori tecnologici. Per divertirsi
e passare il tempo invece, si gallegger sulle acque: gli architetti
Emilio Ambasz e Antonio Foscari hanno ipotizzato linstalla-
zione di alcune piattaforme galleggianti sulla Laguna, con sopra
cinema, teatri, musei e ristoranti.
133 Del Consorzio Venezia Expo facevano parte, tra gli altri: Assicurazioni Generali, Banca
cattolica del Veneto, Banca nazionale del lavoro, Cassa di risparmio di Venezia, Benetton,
Bastogi, Ciga, Coca Cola, Consorzio Venezia Nuova, Eni, Fiat, Ferruzzi, Fidia, Fininvest,
Ibm Italia, Intermetro, Luxottica, Montedison, Olivetti, Sip, Zanussi, Semenzato, gli editori
Marsilio e Mondadori.
139
capitolo decimo
134 Paolo Costa divenne poi rettore di Ca Foscari e, alternandosi solidalmente con Massimo
Cacciari, sindaco di Venezia. In questa veste contribu invece allaffermazione di devastanti
interventi a Venezia quali il MoSE, il progetto della metropolitana sublagunare, lo sviluppo
del marketing commerciale sulla citt, nonch, a Vicenza, dove stato nominato commissario
dal presidente del Consiglio Prodi e confermato da Berlusconi per vincere le resistenze alla
costruzione della base militare Usa Dal Molin.
140
attese, tentativi, speranze, delusioni
135 R. Giallo, Venezia occupata dal popolo rock, lUnit, 17 lug. 1989.
141
capitolo decimo
142
attese, tentativi, speranze, delusioni
3. Il MoSE
Ci che ci era riuscito con lExpo non ci riusc con il MoSE (Modulo
sperimentale elettromeccanico), il sistema per la difesa di Venezia dalle
alte maree. Se avevamo potuto sconfiggere i poteri forti che, mobili-
tati da Gianni De Michelis, avevano promosso quella manifestazione,
non riuscimmo a fare lo stesso quando arriv in Laguna il possente
Consorzio Venezia Nuova, incaricato dal ministro socialdemocratico
Franco Nicolazzi, con una serie di atti dal 1981 al 1984 di provvedere
quale concessionario unico, e per conto dello Stato, agli studi, alle
ricerche, alle sperimentazioni, alla progettazione degli interventi, alla
realizzazione delle opere riguardanti il riequilibrio idrogeologico della
Laguna di Venezia, allarresto e allinversione dei processi di degrado
del bacino lagunare, alla difesa degli insediamenti urbani lagunari dalle
acque alte eccezionali.
Eravamo contrari a quella concessione (parlo in particolare del Pci
e del Pri, ma in quegli anni le critiche erano condivise dalla grande
maggioranza del consiglio comunale), per molte ragioni.
Due erano quelle principali. In primo luogo e questo fu il punto
che fin dallinizio contrastammo linammissibile sottrazione di poteri
alle istituzioni democratiche: ogni scelta di merito, relativamente allas-
setto fisico della Laguna, veniva affidato dallo Stato a un consorzio di
imprese private. In secondo luogo e questo tema divenne via via pi
chiaro nel tempo la scelta di privilegiare, tra tutti gli interventi neces-
sari per il riequilibrio idrogeologico del bacino lagunare, le opere hard
del progetto MoSE.
Raccontare in poche righe questioni cos complesse e singolari im-
presa impossibile. Mi limiter a indicare alcuni elementi del problema138.
143
capitolo decimo
144
attese, tentativi, speranze, delusioni
145
capitolo decimo
140 Henry Lennard mor a Venezia il 23 giu. 2005, durante una conference. Volle che le sue
ceneri fossero disperse nella Laguna.
141 La mia relazione fu presentata al convegno, organizzato a Nairobi il 22 gen. 2007 dallas-
sociazione Zone onlus, sul tema La citt come bene comune. Quale futuro per i quartieri
informali?.
146
attese, tentativi, speranze, delusioni
5. Ritorno alluniversit
142 Da quando, con la Repubblica post fascista e post liberale, lelettorato passivo venne
aperto a tutti i cittadini e non riservato ai ricchi possidenti, la legislazione consent a chi lavo-
rava di mantenere il posto di lavoro e i relativi diritti economici, pur assentandosi per svolgere
prioritariamente gli impegni di eletto. Era la traduzione in termini contemporanei della regola
dellAtene ai tempi di Pericle, quando si decise di retribuire con soldi pubblici lequivalente di
una giornata lavorativa a coloro che si recavano in citt per sedere in assemblea o nelle giurie
popolari, N. Urbinati, Lo scettro senza il Re. Partecipazione e rappresentanza nelle democrazie moderne,
Roma, Donzelli, 2009, p. 7.
143 Lo Iuav era un ateneo costituito, a differenza degli altri atenei italiani, da una sola
facolt, quella di architettura. Nellambito dello Iuav era stato istituito un corso di laurea in
urbanistica (poi pianificazione urbanistica e territoriale, poi pianificazione territoriale, urba-
nistica e ambientale). Nel 2001 lo Iuav si articol in pi facolt: architettura, pianificazione,
conservazione, design.
147
capitolo decimo
148
attese, tentativi, speranze, delusioni
7. Le parole
144 E. Salzano, Valutazione sul Rapporto conclusivo del gruppo di lavoro del Murst coordinato da
G. Martinotti, dattiloscritto, 12 mar. 1998, Iuav, Corso di laurea in pianificazione territoriale,
urbanistica e ambientale (Archivio Edoardo Salzano).
149
capitolo decimo
150
attese, tentativi, speranze, delusioni
Come tutti i simboli che cambiano la Storia, anche la caduta del Muro
di Berlino, il 9 novembre 1989, fu un episodio che riassunse il passaggio
da unepoca a unaltra: un passaggio che era gi cominciato, e che prose-
gu negli anni successivi.
Nel 1917 era iniziata una vicenda che voleva tracciare un percorso
nuovo allumanit: costruire un sistema economico sociale che supe-
rasse definitivamente quello capitalistico-borghese. Contraddicendo le
ipotesi che derivavano dallanalisi marxiana, quel processo non inizi
nel punto pi alto dello sviluppo, ma nel pi basso: la catena si spezz
l dove era pi debole. Ci non poteva non determinare le forme del
nuovo assetto e segnare limiti invalicabili al suo stesso sviluppo. Dopo
la prima affermazione di uno Stato non pi a egemonia borghese, il
percorso avrebbe dovuto proseguire in altre regioni, incrociarsi con
altre culture e altre storie, mirando a superare non solo il capitalismo
borghese, ma anche quello dello stato proletario.
Ci non era accaduto: il cammino della rivoluzione (cio della tra-
sformazione radicale dellassetto economico sociale) si era arrestato ai
confini segnati da quella cortina di ferro entro la quale essa era stata
racchiusa. Enrico Berlinguer espresse pubblicamente questo concetto
quando, nel 1981, commentando alla televisione il brusco cambiamento
di regime avvenuto in Polonia, disse che
la capacit propulsiva di rinnovamento delle societ, o almeno
di alcune societ, che si sono create nellest europeo, venuta
esaurendosi. Parlo di una spinta propulsiva che si manifestata
per lunghi periodi, che ha la sua data dinizio nella rivoluzione
socialista dottobre, il pi grande evento. Oggi siamo giunti a un
punto in cui quella fase si chiude, e per ottenere che anche il so-
cialismo che si realizzato nei paesi dellest possa conoscere una
nuova era di rinnovamento e di sviluppo democratico, sono ne-
cessarie due cose fondamentali: prima di tutto necessario che
prosegua il processo della distensione (); inoltre, necessario
che avanzi un nuovo socialismo nellovest dellEuropa, nellEu-
ropa occidentale, il quale sia inscindibilmente legato e fondato
sui valori e sui principi di libert e di democrazia145.
Prima della caduta del Muro, era iniziato nel Pci un ampio dibattito
sulla necessit di cambiamento. Era divenuto segretario generale Achille
151
capitolo decimo
152
attese, tentativi, speranze, delusioni
147 Si usava e si usa ancora questa espressione per esprimere il mondo che nasce dalla socie-
t distinguendosi dalle organizzazioni politiche o istituzionali standardizzate; sostanzialmente,
linsieme delle associazioni poco formalizzate.
148 Gli organi di direzione del partito, dal pi largo al pi ristretto, erano: il comitato federale,
la direzione, la segreteria, il segretario. Il primo era costituito da un centinaio di membri.
153
capitolo decimo
154
attese, tentativi, speranze, delusioni
149 L. Scano, Quale piano per la citt storica di Venezia?, in Venezia: terra e acqua, p. 381-408.
155
capitolo decimo
156
10. Con Barbara e nonna Carmela Salzano, 1960.
11. Con Peppe Loy e Tommaso Boccardi, sulla spiaggia di Fregene, 1954.
157
12-15. Alcune delle riviste che mi hanno impegnato.
16. Franco Rodano con la figlia Giulia.
158
17. Con Henry Lennard, alla International Making Cities Livable Conference di Salisburgo,
settembre 2002.
159
18. I miei figli: Mauro, Francesco, Anna, Maria, Giulia e Giovanni, Venezia, 1980.
19. Visita a campo Ruga, nellarea interessata dal primo piano di coordinamento, 1977.
160
Capitolo undicesimo
Il mestiere dellurbanista
Nei primi anni del nuovo secolo continuai a insegnare e a lavorare allo
Iuav: ero il rappresentante dello Iuav in Urbandata, la struttura europea
che raggruppava in un unico progetto le strutture pubbliche di documen-
tazione urbanistica150; e per un breve periodo feci il delegato del rettore
per linformatica. Lavorai, come ho detto, alla trasformazione del corso
di laurea in facolt: costituimmo la prima, e ancora oggi unica in Italia,
facolt di pianificazione del territorio, di cui fui preside per un anno.
Mi avvicinavo al momento della pensione, che avvenne senza par-
ticolari cerimonie o traumi. Nel frattempo, avevo costruito, inconsape-
volmente, le basi di quello che sarebbe diventato il mio principale, se
non addirittura esclusivo, impegno degli anni successivi: il mio sito web,
eddyburg. Di questo parler diffusamente pi avanti. Esso fu lo sviluppo
dellesperienza che avevo avviato curando poche pagine del sito ufficiale
dello Iuav nel quale inserivo materiali didattici e di ricerca, nonch altri
documenti interessanti. Avevo cominciato a praticare un modo nuovo
di comunicare, di insegnare e imparare, di lavorare nella societ.
Con il pensionamento si complet la mia nuova condizione. Non
ero pi assessore, n avevo altri incarichi elettivi. Non avevo pi vincoli
o doveri di orario, di presenza, di rappresentanza. Non svolgevo pi
funzioni dirigenti in nessuna formazione politica. Non avevo obblighi
161
capitolo undicesimo
151 Il Ple una interessante struttura che raggruppa tutti i soggetti, prevalentemente pub-
blici ma anche privati, che hanno competenze in relazione alla concezione e attuazione dei
programmi urbanistici di trasformazione, allo studio, alla ricerca e alla formazione nelle mate-
rie coinvolte; esso ha come fine lo sviluppo degli scambi, la conduzione di progetti in comune,
lofferta di una capacit di consulenza interdisciplinare.
162
il mestiere dellurbanista
alternativo a quello della destra, che da un anno dirigeva il paese col se-
condo governo Berlusconi. Lurbanistica, la pianificazione del territorio,
le politiche urbane erano del tutto assenti. Scrivemmo una lettera aperta
al direttore della rivista, Paolo Flores dArcais, nella quale raccogliem-
mo ladesione di 75 urbanisti152. Dichiaravamo di essere fortemente
preoccupati per unassenza che francamente ci sembra clamorosa. E
proseguivamo:
Se nei capitoli del programma di Micromega non mancano
(e giustamente) la sanit e la giustizia, limmigrazione e il lavoro,
luniversit e le carceri, lambiente e i beni culturali (e altri nu-
merosi temi), manca completamente il territorio. Questo, infatti,
non si riduce allambiente (nellaccezione che questo termine ha
assunto negli ultimi decenni, e che ben rappresentato nel testo
di Ermete Realacci) n ai beni culturali (nonostante laccezio-
ne giustamente ampia che Salvatore Settis attribuisce a questa
espressione). Ragionare e proporre un capitolo del programma
per unaltra Italia che riguardi il territorio e la citt significhe-
rebbe infatti farsi carico insieme delle ragioni dellecologia e di
quelle dellarmatura urbana del nostro territorio, della tutela
della natura e della dotazione delle infrastrutture, della difesa del
paesaggio e del miglioramento delle condizioni di vita nelle citt.
163
capitolo undicesimo
3. Chi lurbanista
Nel settembre 2005, lamico e collega Bibo Cecchini, che dallo Iuav era
passato alla nuova facolt di architettura di Sassari-Alghero, mi invit a
tenere una lezione sul mestiere dellurbanista155.
Nella mia interpretazione, il mestiere dellurbanista nato per ri-
spondere alla necessit di tutelare, nellorganizzazione della citt, alcuni
interessi collettivi di cui la logica del mercato era incapace di tenere conto.
Le contraddizioni, e i relativi problemi pratici, si sono spostati nel tem-
po dalla citt ad ambiti pi vasti: dalla citt al territorio. Agli interessi co-
muni della funzionalit e della bellezza altri se ne sono aggiunti: anche
la tutela dei valori dei beni storici e culturali, anche limpiego razionale
e parsimonioso delle risorse naturali e dellambiente si rivelarono via via
come beni e interessi non tutelabili dalle leggi delleconomia, e richiede-
vano quindi un intervento regolatore esterno. Di questo intervento regolatore
si fece carico sul piano sostanziale della decisione lautorit politica:
cio, nel sistema democratico, il sistema dei poteri rappresentativi eletti
direttamente dalla popolazione.
164
il mestiere dellurbanista
165
capitolo undicesimo
4. Lurbanistica neoliberista
166
il mestiere dellurbanista
167
capitolo undicesimo
A Moroni non viene in mente che certi prezzi possono, nella con-
cretezza delle realt economiche date, essere viziati da posizioni di mo-
nopolio o di oligopolio collusivo. Se c qualcuno che non in grado
di pagare laffitto di una casa perch la speculazione porta i prezzi al di
sopra della capacit di spesa degli individui allora intervenga lo Stato per
assicurare lutile allo speculatore.
In che modo si interviene, e chi interviene, per stabilire quale soste-
gno debbano avere i cittadini non proprietari per accedere al mercato?
Qui lideologia di Moroni rivela aspetti inquietanti. ovviamente lo
Stato che deve definire la soglia di decenza di ogni vita. Ma, precisa
lautore, lidea di garantire a tutti una vita decente deve avere di mira
unicamente la lotta alla povert assoluta, e non la riduzione della disu-
guaglianza materiale relativa; in altre parole lobiettivo di impedire che
ci siano individui che si trovano al di sotto di una determinata soglia
di decenza e non diminuire le differenze contingenti tra individui164.
Insomma, se si accetta che della soglia di decenza faccia parte il tetto
sotto cui ripararsi, ciascuno deve poter godere di un tetto, ma non pre-
tenda di averlo a cento metri o a cento chilometri da dove lavora e dove
stanno gli amici!
Lideologia che Moroni mostra di condividere dimentica che esiste
anche la libert del cittadino in quanto tale: in quanto fruitore (non neces-
sariamente proprietario) di un bene pubblico, quale la citt (il territorio
urbanizzato) indubbiamente . Dimentica che ci sono diritti comuni, e
non solo diritti individuali. Dimentica che tra questi diritti c anche
168
il mestiere dellurbanista
quello di poter godere di una citt ordinata, funzionale, bella, resa tale
indipendentemente dagli interessi materiali di un gruppo di cittadini
(i proprietari immobiliari). Dimentica che questo diritto deve essere ri-
conosciuto a tutti, quale che sia il patrimonio di cui dispone (e quali che
siano il genere, loccupazione, il reddito, il colore della pelle, lorienta-
mento religioso o spirituale, la lingua, letnia, let, la condizione sociale).
Poich Moroni non si rivolge al cittadino ma, lo ripeto ancora una
volta, al proprietario immobiliare, ecco che la pianificazione della cit-
t e del territorio non gli interessa. Poco importa che essa sia lunico
strumento capace, ove correttamente impiegato da chi governa, di
raggiungere quegli obiettivi dinteresse comune di cui si detto. Per il
proprietario immobiliare essa un intralcio, uno dei lacci e lacciuoli
di cui occorre liberarsi. Come la pianificazione, cos dal ragionamento
dellapostolo dellurbanistica neoliberista sono assenti il potere e la
politica, sono assenti i diversi interessi che oppongono certi gruppi so-
ciali ad altri, certe figure e certi soggetti ad altri: i pi forti e i pi deboli,
quelli destinati a vincere, quelli destinati a perdere. Tutti sono uguali,
nellempireo luminoso disegnato da Moroni. Basta far finta che siano
tutti proprietari. Oppure, basta convincerli che gli altri non contano:
non hanno diritti, ma solo la legittima aspettativa a una soglia di decen-
za che un buon Leviatano gli accorder, forse, se vorr.
169
170
Capitolo dodicesimo
Il mondo di eddyburg
171
capitolo dodicesimo
2. Tanti cerchi
172
il mondo di eddyburg
3. La Scuola di eddyburg
166 Tra questi voglio ricordare Dusana Valecic e Giorgia Boca, che sanno anche utilizzare
il programma di gestione del sito, Mauro Baioni, Paolo Berdini, Ilaria Boniburini, Giovanni
Caudo, Antonio di Gennaro, Stefano Fatarella, Georg Frisch, Maria Cristina Gibelli, Giuseppe
Palermo, Sandro Roggio, giancarlo Consonni e gli opinionisti Paolo Baldeschi, Lodo Mene-
ghetti, Carla Ravaioli e Giorgio Todde che assieme a Maria Pia e Vezio hanno il diritto di
inviare articoli con la massima autonomia, sicuri di vederli pubblicati e di restare sulla prima
pagina per un intero mese (gli altri scorrono, via via che la prima pagina si riempie, e slittano
in quelle successive e, naturalmente, nellarchivio ove tutto viene raccolto).
173
capitolo dodicesimo
167 Nei primi cinque anni i temi affrontati sono stati: Il consumo di suolo (2005), La co-
struzione pubblica della citt (2006), Il paesaggio e i cittadini (2007), Che fare per rendere
la citt pi vivibile (2008), Spazi pubblici: declino, difesa, riconquista (2009).
174
il mondo di eddyburg
175
capitolo dodicesimo
176
il mondo di eddyburg
5. Lideologia di eddyburg
172 A. Asor Rosa, Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali, a cura di S. Fiori, Roma-Bari,
Laterza, 2009, p. 82.
173 T. A. van dijk, Ideologie. Discorso e costruzione sociale del pregiudizio, Roma, Carocci, 2004
(tit. orig. Ideology: A Multidisciplinary Approach, London, Sage, 1998).
177
Assieme alle affermazioni positive quelle critiche:
eddyburg promuove la critica allappiattimento di ogni dimen-
sione delluomo e della societ alle pratiche, agli interessi e ai
meccanismi di dominio delleconomia data, che caratterizza il
mainstream dellattuale processo di globalizzazione e di insoste-
nibile sfruttamento di tutte le risorse, e la rivendicazione della
necessit e possibilit di ricerca di alternative credibili e pratica-
bili e, ugualmente, la critica della concezione di uno sviluppo
basato sulla crescente e indefinita produzione di merci, indipen-
dentemente della loro effettiva utilit ai fini del miglioramento
del patrimonio individuale e sociale di cui sopra.
178
Capitolo tredicesimo
Chi difende il paesaggio?
174 Decreto legislativo 22 gen. 2004, n. 42. Il Codice il testo legislativo che riassume e
sviluppa tutta la precedente legislazione in materia di beni culturali e di paesaggio. Per questul-
timo, il Codice riprende la normativa della legge Galasso.
179
capitolo tredicesimo
175 Del comitato scientifico facevano parte alcuni urbanisti (Filippo Ciccone, Enrico Corti,
Roberto Gambino, Vanni Macciocco, Edoardo Salzano, Antonello Sanna), un antropologo
(Giulio Angioni), un archeologo (Raimondo Zucca), un botanico (Ignazio Camarda), un eco-
logo (Helmar Schenk), un giurista (Paolo Urbani), uno scrittore (Giorgio Todde). Lufficio era
diretto dallingegner Paola Cannas.
176 Lintervento in eddyburg, con il titolo LItalia che vorremmo.
180
chi difende il paesaggio?
Dopo gli interventi dei membri della giunta regionale e di quelli del
comitato scientifico, Soru intervenne nuovamente:
Bisogna che siano chiari i princpi che sono alla base delle
linee guida. Il primo principio : non tocchiamo nulla di ci
che venuto bene. Poi ripuliamo e correggiamo quello che non
va bene. Rendiamoci conto degli effetti degli interventi sbagliati:
abbiamo costruito nuovi villaggi e abbiamo svuotato i paesi che
cerano: abbiamo costruito villaggi fantasmi, e abbiamo reso
fantasmi i villaggi che cerano. Dobbiamo sapere che facciamo
un investimento per il futuro. Dovremo calcolare gli effetti eco-
nomici della conservazione e della ripulitura. Oggi si costruisce
importando da fuori componenti ed elementi, il moltiplicatore
dellattivit edilizia si drasticamente abbassato. Lo aumente-
remo di nuovo se sapremo riutilizzare le tecniche tradizionali,
i materiali tradizionali, i saperi tradizionali per conservare e
ripulire. Dobbiamo essere capaci di far comprendere che tipo di
Sardegna abbiamo in mente.
181
capitolo tredicesimo
177 Questi temi sono sviluppati e chiariti nei materiali sul piano paesaggistico regionale nel
sito della Regione, nonch nel mio documento La filosofia del piano, in eddyburg.
178 Vedi capitolo 4, paragrafo 5.
182
chi difende il paesaggio?
La legge 431 del 1985 (la legge Galasso) era intervenuta in armonia
con questo criterio, e aveva definito un elenco di categorie di beni da
tutelare nellinteresse nazionale, perch costitutivi della grande orditura
del paesaggio della Penisola: i monti, le coste, i corsi dacqua, i boschi,
i ghiacciai, i vulcani, le aree archeologiche ecc. La legge, oltre a elencare
le categorie di beni e porre un vincolo provvisorio su fasce di territorio
geometricamente definite179, stabiliva che la vera tutela intervenisse
mediante la pianificazione, alla quale veniva assegnato il compito di pre-
cisare lindividuazione e articolare la tutela in relazione alle caratteristiche
specifiche dogni categoria di beni.
La Corte costituzionale aveva riconosciuto la piena legittimit di
quel dispositivo. Non solo. In pi occasioni aveva dichiarato neces-
sario che lindividuazione dei beni e la definizione delle regole per la
loro tutela proseguisse sistematicamente: la legge, ha affermato la Corte,
introduce una tutela del paesaggio improntata a integralit e globalit,
vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dellintero territorio
nazionale180. Essa non si esaurisce nelle grandi componenti del paesag-
gio nazionale, ma deve prolungarsi nellazione assidua di tutte le istitu-
zioni della Repubblica: quindi anche le Regioni, le Province, i Comuni.
Nelle stesse occasioni la corte aveva riconosciuto come, in confor-
mit con larticolo 9 della Costituzione, le scelte relative alla tutela del
paesaggio avessero assoluta prevalenza rispetto a quelle concernenti
altri interessi, esigenze, motivazioni: esse sono un prius rispetto alle
decisioni di trasformazione. La pianificazione paesaggistica (o la com-
ponente paesaggistica della pianificazione territoriale e urbanistica) deve
precedere le componenti che attribuiscono al territorio capacit di svi-
luppo urbanistico, che prevedono cio la realizzazione di infrastrutture,
urbanizzazioni, edificazioni.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio aveva ripreso inte-
gralmente la disciplina della legge Galasso, introducendo un ulteriore
elemento: lindividuazione degli ambiti di paesaggio. Questi non sono
precisamente definiti dalla legge, e anzi il loro ruolo si ridotto nelle
successive versioni del Codice. Nella sostanza essi fanno tuttavia riferi-
mento a quellaltro criterio di analisi e trattamento del paesaggio cui ho
183
capitolo tredicesimo
181 La Convenzione europea sul paesaggio, sottoscritta a Firenze nel 2000, stata ratificata
dallo Stato italiano con la legge 9 gen. 2006, n. 14.
182 Essi comprendevano circa 140 Comuni, raggruppati in 27 ambiti. Alcune delle norme
erano estese anche alle parti di territorio ricadenti negli ambiti interni.
184
chi difende il paesaggio?
3. Il paesaggio percepito
185
capitolo tredicesimo
dalle popolazioni locali. una definizione che, letta nel contesto italiano,
molto ambigua e tendenzialmente pericolosa. Per un verso, essa pone
laccento su due verit difficilmente controvertibili: la prima che il
paesaggio certamente il risultato della plurisecolare azione del lavo-
ro e della cultura delluomo (della societ) sulla natura, nel corso della
quale essa stata foggiata acquisendo le forme che ne determinano la
qualit; la seconda, che una tutela efficace del paesaggio si potr avere
solo quando le articolazioni della societ saranno capaci di far prevalere
lesigenza della conservazione dei propri paesaggi sulle trasformazioni
finalizzate al soddisfacimento di interessi individuali, prevalentemente
economici.
Ma a fronte di queste verit ve ne sono altrettante di segno opposto.
Nella civilt contemporanea il rapporto tra luomo e la natura si radi-
calmente modificato. Da qualche secolo, la societ adopera il territorio
e lambiente naturale non come qualcosa che ha valore in s, per le sue
qualit intrinseche, per il patrimonio che costituisce, ma solo per le
risorse che pu trarne, estraendo le ricchezze nascoste nelle sue profon-
dit fino al loro esaurimento, cancellando la naturalit con ledificazione
di manufatti utili allincremento della ricchezza del proprietario, trascu-
randone la cura e la manutenzione. La spinta della valorizzazione eco-
nomica, intesa come utilizzazione privatistica dellenorme differenziale
economico che esiste tra terreno rurale e terreno edificabile, orienta la
percezione delle popolazioni verso prospettive radicalmente diverse
da quelle che hanno caratterizzato le civilt che, in Italia e altrove, han-
no costruito e mantenuto nei secoli bei paesaggi.
Il mio punto di partenza era laffermazione dellinteresse generale al-
la tutela del paesaggio, che vedevo espressa limpidamente nellarticolo 9
della Costituzione. Mi spingeva in questo senso anche la mia esperienza
di amministratore, durante la quale avevo trovato nella Soprintendenza
ai beni culturali e nella Regione sponde cui ricorrere ogni volta che gli
interessi locali spingevano in direzione opposta a quella della tutela di
patrimoni comuni. Mi interessava quindi il punto di vista di chi aveva
un approccio diverso, come Paolo Baldeschi184.
Nel suo intervento, Baldeschi part dalla constatazione che le politi-
che sul paesaggio sono sempre pi rivolte ai cittadini come attori, come
testimoniano sia la Convenzione europea sul paesaggio, sia i comitati
184 Paolo Baldeschi opera presso luniversit di Firenze, nellambito del Laboratorio di pro-
gettazione ecologica degli insediamenti (Lapei) diretto da Alberto Magnaghi. A Magnaghi e al
Lapei fa capo la pi interessante esperienza italiana di progettazione del paesaggio bottom up,
che parte da una lettura diretta del territorio e partecipata con gli abitanti dellarea di studio.
186
chi difende il paesaggio?
185 Vedi in eddyburg il testo di Baldeschi, Territorio e paesaggio nella disciplina paesaggistica, nei
materiali sulledizione 2007 della Scuola.
186 V. De Lucia, A proposito di paesaggio, in eddyburg.
187
capitolo tredicesimo
187 Il testo poi ripreso nella relazione generale dello Schema del piano paesaggistico terri-
toriale della Regione Puglia adottato dal consiglio regionale nellottobre 2009.
188
chi difende il paesaggio?
4. La sorpresa di Foggia
189
capitolo tredicesimo
189 Collaboravano sistematicamente con me Luigi Scano, per gli aspetti normativi, e Mau-
ro Baioni, soprattutto come trainer dei collaboratori interni e collegamento con lufficio.
Gli esperti erano: Antonio di Gennaro, agronomo e appassionato cultore del paesaggio; Sa-
verio Russo, storico; Stefano Ciurnelli, esperto di infrastrutture e trasporti; Gianfranco Viesti,
economista; Luigi Pennetta, geologo. A questi si aggiungevano altri esperti locali per consu-
lenze pi specifiche. Pi tardi, dopo la scomparsa di Gigi Scano, subentrarono Luca De Lucia
e Maurizio Sani.
190 Erano Giovanna Carat, Cosma Lovascio, Mirella Vitale.
190
chi difende il paesaggio?
191 In Italia, molto spesso, i piani strategici non sono meramente tattici (non consistono cio
in un semplice elenco di opere), ma sono in contraddizione rispetto agli atti di vera e propria
pianificazione comunale, provinciale e regionale.
191
192
Capitolo quattordicesimo
Urbanizzazione a go go
192 I difensori del nuovo prg sostengono che nel complesso i volumi edilizi del piano non
sono aumentati rispetto a quelli del 1962-65. Essi per computano, tra le cubature pregresse
cui fanno riferimento, anche le vastissime zone destinate dal vecchio piano a servizi pubblici
generali (le zone M1). Quindi ammettono almeno un poderoso trasferimento da edificabilit
pubblica a edificabilit privata.
193
capitolo quattordicesimo
193 I dati sono tratti dalla relazione Troppo consumo di suolo nel nuovo prg di Vezio De
Lucia, Alessandro Abbaterusso, Georg J. Frisch e Andrea Giuralongo, presentata alla stampa il
16 set. 2002 e condivisa con lassociazione Polis, Italia Nostra, Comitato per la bellezza,Vas
e Wwf. In eddyburg.
194
urbanizzazione a go go
195
capitolo quattordicesimo
196
urbanizzazione a go go
198 Vedi in eddyburg gli editoriali (i cosidetti eddytoriali) 15 (mag. 2003), 20 (lug. 2003) e
36 (gen. 2004).
199 La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge Principi in materia di governo del territorio (ap-
provato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005), a cura di M. C. Gibelli, Firenze, Alinea, 2005.
200 Liniziativa e i contributi maggiori furono di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio
Tamburini. Vi collaborarono Mauro Baioni, Vezio De Lucia, Luca De Lucia, Edoardo Salzano,
Luigi Scano. Il testo fu poi inviato ad alcuni autori di testi critici rispetto alla proposta Lupi,
che avevano espresso convinzioni analoghe alle nostre e di cui cercammo di inserire le propo-
ste di modifica o integrazione (Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio
di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Francesco Indovina). Il testo pubblicato in appendice al
volume La controriforma urbanistica.
197
capitolo quattordicesimo
natura e dei paesaggi agrari, Maria Cristina Gibelli, con Roberto Cama-
gni e Paolo Rigamonti, ne aveva dimostrato i pesanti costi), ma era del
tutto trascurato sia dalla pubblicistica corrente sia cosa ben pi gra-
ve dallurbanistica ufficiale. Era da ventanni, dai tempi di un ricerca
campionaria diretta da Giovanni Astengo, che nessuno si occupava del
fenomeno. Raccogliemmo in volume le lezioni e i documenti prepara-
tori, da cui emergevano chiaramente sia lentit e i danni provocati dal
dissennato consumo di suolo, sia lattenzione che al problema e al suo
controllo si manifestava da tempo in altri paesi dellEuropa e financo
negli Usa (come ci raccontarono Maria Cristina Gibelli e Georg Frisch):
al confronto, larretratezza dellItalia appariva in tutta la sua dramma-
ticit, a partire dalla mancanza di dati nazionali e regionali attendibili
sullentit e sugli effetti del fenomeno.
Il punto di partenza per ogni ragionamento dovrebbe essere questo:
la terra, il territorio dominato dalla natura, il suolo non urbanizzato,
non coperto da cemento e asfalto, lasciato libero allo svolgimento del
ciclo naturale, una ricchezza collettiva, un patrimonio. La sua struttura
fisica una risorsa essenziale, ed essenziali sono le azioni che su di essa
compiono la fauna e la flora, anche nelle forme pi semplice. Le esi-
genze della societ possono richiedere che qualche ulteriore porzione di
terreno venga consumata dalla citt: ma occorre dimostrare inoppugna-
bilmente che quella esigenza non possa essere soddisfatta altrimenti; e
bisogna percepire comunque questa scelta come una perdita, che stato
necessario subire ma che si vuole risarcire, restituendo alla natura un
frammento del pianeta non pi necessario allurbanizzazione. Il consu-
mo di suolo non giustificato da un reale e dimostrato fabbisogno sociale
un danno per lumanit.
A differenza di quanto accadeva fino a pochi anni fa, oggi tutti, a
parole, considerano il consumo di suolo come qualcosa contro cui
combattere: una calamit da frenare, se non arrestare del tutto. La cosa
scandalosa che nessuno sa quanto realmente lo sprawl (lo sguaiato
espandersi di unurbanizzazione rada e disordinata sui terreni rurali)
incida in termini quantitativi sul nostro territorio. Vezio De Lucia enun-
cia spesso un dato, che grossolano ma esprime lentit del fenomeno
visto nella sua tendenza recente. Solo un decimo di tutte le aree oggi
urbanizzate lo erano prima della seconda guerra: il novanta per cento
di tutto ci che oggi sottratto alla natura, coperto da asfalto, cemento,
mattoni, stato prodotto negli ultimi settantanni. E il disastro prose-
gue, indisturbato e addirittura ignorato nella sua reale consistenza. Ma
i numeri non ci sono: vengono sparati a caso; c chi si basa sulle stati-
stiche agrarie dellIstat, chi invece spara numeri derivati dal satellite del
198
urbanizzazione a go go
199
capitolo quattordicesimo
202 M. Baioni, Le ragioni della costruzione della citt pubblica, in La costruzione della citt pubblica,
a cura di M. Baioni, Firenze, Alinea, 2008, p. 12.
203 uno dei dodici parchi che fanno parte della societ Parchi Val di Cornia spa, a sud della
provincia di Livorno, a prevalente partecipazione dei Comuni; stata splendidamente gestita
dalla sua costituzione al 2007 da Massimo Zucconi. Allesperienza del Parco dedicato un
capitolo in La costruzione della citt pubblica.
200
urbanizzazione a go go
4. La perequazione urbanistica
201
capitolo quattordicesimo
205 La questione strettamente legata a quella dei cosiddetti diritti edificatori, di cui ho
scritto sopra: la bizzarra teoria secondo la quale se un prg ha attribuito una capacit edificato-
ria a unarea, questo regalo non pu essere tolto al proprietario senza indennizzo adeguato.
202
urbanizzazione a go go
203
capitolo quattordicesimo
204
urbanizzazione a go go
207 La storia del gruppo di persone che segu, con continuit e rigore, gli eventi migliori della
storia urbanistica di Napoli (dal piano dei servizi del 1975 a quello delle periferie del 1979,
e poi, sotto la guida di Vezio De Lucia, dalla ricostruzione dopo il terremoto del 1980 al prg
del 2004) una delle testimonianze pi felici delle risorse intellettuali e morali del Mezzogior-
no, circondate da cumuli di munnezza e tuttavia sempre vive. La storia raccontata nel libro di
G. Corona, I ragazzi del piano. Napoli e le ragioni dellambientalismo urbano, Roma, Donzelli, 2007.
205
capitolo quattordicesimo
Da qualche tempo avevo ripreso la riflessione sul tema degli spazi pub-
blici e sul loro ruolo nella citt. Lavevo collegata ad altri argomenti,
emersi negli stessi anni in cui la questione degli spazi pubblici era divenu-
ta rilevante in Italia: il diritto alla citt e la casa come servizio sociale.
208 V. De Lucia, Napoli, cronache urbanistiche. 1994-1997, Milano, Baldini & Castoldi, 1998I;
ma anche, di De Lucia, le memorie, in corso di stampa (vedi nota 34).
206
urbanizzazione a go go
Nellaprile del 2007 si era tenuto a Ferrara il primo Festival della cit-
t e del territorio, organizzato da Giuseppe Laterza e Francesco Erbani:
vi feci una lezione sul tema degli spazi pubblici. Con Oscar Mancini,
sindacalista e allievo della Scuola di eddyburg fin dalla prima edizione, e
Ilaria decidemmo di organizzare uniniziativa allEuropean Social Forum,
che si sarebbe tenuto di l a poco a Malm, in Svezia. Preparammo un
convegno e un workshop, in collaborazione con associazioni e strutture
di altri paesi europei211: il tema, con quel tanto di retorica che viene
209 Mi riferisco in particolare alla definizione di Alberto Magnaghi, territorio come bene comune
(cfr. Il territorio come bene comune, intervento al convegno dellAnci Toscana Comuni, comu-
nit e usi civici per lo sviluppo dei territori rurali, Grosseto 15 set. 2006) e al breve testo di
Francesco Indovina Citt bella PERCH buona, pubblicato in eddyburg, nella cartella La citt:
quale futuro?.
210 La relazione stata pubblicata da Carta, 3 (27 gen. 2007).
211 Il gruppo italiano era costituito dalla Cgil di Vicenza, Venezia e Padova, da eddyburg, da
Lavoro in movimento (associazione internazionale che fa capo al sindacato dei lavoratori),
e da Zone onlus (associazione che si occupa di programmi di cooperazione allo sviluppo e
dei problemi dei paesi dei sud del mondo). Secondo il documento conclusivo del convegno,
diritto alla citt e citt come bene comune erano le due espressioni che sintetizzavano gli
obiettivi cui finalizzare il lavoro comune. Gli impegni di lotta pi immediati che i partecipanti
assunsero furono: eviction zero (zero sfratti) degli abitanti dalle case, dagli spazi pubblici, dai
quartieri e dalla citt; difesa del ruolo del lavoro e dei suoi diritti; contrasto alle iniziative di
privatizzazione degli spazi e dei beni pubblici.
207
capitolo quattordicesimo
212 Il testo fu pubblicato in un libriccino di poche pagine dalleditore Ogni uomo tutti gli
uomini, Bologna 2009.
213 H. Lefebvre, Il diritto alla citt, Padova, Marsilio, 1970 (tit. orig. Le droit la ville, Paris,
Anthropos, 1968). D. Harvey, The Right to the City, New Left Review, 53 (2008).
208
urbanizzazione a go go
209
capitolo quattordicesimo
214 M. Aug, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernit, Milano, Eluthera,
1993.
210
urbanizzazione a go go
Nel riflettere sui temi affrontati nelle ultime edizioni della Scuola
sempre pi mi rendevo conto che per ottenere una vivibilit diffusa,
dalla quale i deboli non siano esclusi, per ottenere una citt che sia
215 R. Sennett, Il declino delluomo pubblico, Milano, Bruno Mondatori, 2006, p. 23.
211
a un tempo il luogo della libert (laria della citt rende liberi) e il luogo
dellequit (per tutti, non solo per i proprietari immobiliari), lo spazio
pubblico della citt deve essere anche il luogo del conflitto. Conflitto tra i
diversi interessi in contrasto tra loro, di chi vede e utilizza la citt come
strumento per arricchirsi e di chi vuole la citt come strumento per
abitare, lavorare, incontrarsi, partecipare al governo. Dallurbanistica,
insomma, occorre guardare alla politica.
212
Capitolo quindicesimo
Scomparsa la politica?
213
capitolo quindicesimo
216 Gigi Scano mi sugger di preferire questa dizione a quella di occidentale. Occidente un con-
cetto relativo, essendo a sua volta oriente rispetto a un altro luogo; poteva avere senso quando
lunico confine rilevante era quello della cortina di ferro. Il mondo cui mi riferisco quello
di cui fanno parte sostanzialmente lEuropa, gli Usa e il Canada.
217 Si vedano Galbraith, La societ opulenta; V. Packard, I persuasori occulti, Torino, Einaudi,
1967.
214
scomparsa la politica?
218 Questi diritti sono espressi nella Carta dei diritti delluomo, approvata nel 1948 dallOnu
e accolta come base delle legislazioni nel diritto di tutti i paesi democratici. Unanalisi anche
sommaria della traduzione in pratica di quei diritti consentirebbe di misurare lenorme distan-
za tra gli impegni assunti e la realt. Cos come misurare lentit di quella distanza nel tempo ci
aiuterebbe a comprendere quanto siamo caduti in basso.
215
capitolo quindicesimo
219 G. Ruffolo, Lo specchio del diavolo. La storia delleconomia dal paradiso terrestre allinferno della
finanza, Torino, Einaudi, 2006, p. 110.
220 Harvey, Breve storia del neoliberismo. In Europa i termini liberalismo e liberismo sono distinti
e collegati. Entrambi si riferiscono a una concezione sostanzialmente conservatrice (di cui il
primo esprime lideologia e la dottrina politica, il secondo la teoria e la pratica economiche),
mentre negli Usa una posizione liberal progressista. Come risulta invece dalla definizione di
Harvey, il neoliberalism esprime un pensiero conservatore: da ci probabilmente la traduzione
dellamericano neoliberalism nellitaliano neoliberismo.
221 Traseticcio: insinuante, che sa entrare nellanimo e nei fatti altrui senza farsene accorgere.
216
scomparsa la politica?
222 Quando la politica non pi lo strumento attraverso cui si dirige un paese in base a
unidea forte delle sue prospettive future, ma un navigare sulle sue debolezze, lusingandole e
cercando di volgerle a proprio vantaggio, rispecchiandole e accentuandole, un paese va incon-
tro al suo declino: F. Cassano, Homo civicus, Edizioni Dedalo, Roma 2004, p. 33-34
217
capitolo quindicesimo
223 G. Chiarante, La fine del Pci. Dallalternativa democratica di Berlinguer allultimo Congresso
218
scomparsa la politica?
Il fatto che questa tesi si sia estesa fino allabbandono delle prati-
che di programmazione delle trasformazioni della citt e del territorio
(la pianificazione urbanistica), introdotte dalla borghesia liberale prima
ancora dellaffacciarsi del pensiero marxista e delle pratiche dei socia-
lismi, mi sembra una significativa testimonianza della profondit della
crisi culturale e ideale della sinistra. E questa tesi ha comportato anche,
prosegue Chiarante, il risultato pratico di contribuire a indebolire la
tutela della classe operaia e di modificare a suo svantaggio i rapporti di
forza nella struttura produttiva e sociale.
Il secondo aspetto che si deve sottolineare, se si vuol comprendere
che cosa ha provocato la fine del Pci, e la crisi di tutta la sinistra, se-
condo Chiarante, il peso
che ebbe, nel modificare negli anni Ottanta gli orientamenti di
larga parte dellopinione pubblica, linsistente campagna sulla
crisi e anzi sulla morte delle ideologie. quasi inutile ricordare
quanto di ideologico vi fosse e vi sia alla base di una simile tesi.
Ma un fatto che essa fin con lessere largamente accettata,
anche a sinistra, non solo come critica dei partiti ideologici
(e partiti ideologici per eccellenza erano ovviamente considerati,
in Italia, la Democrazia cristiana e il partito comunista), ma an-
che e soprattutto come negazione dellidea stessa di una finaliz-
zazione ideale e morale dellazione politica.
(1979-1991), Roma, Carocci, 2009, p. 101-102. Il libro fa seguito ai due volumi Tra De Gasperi e
Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta, (2006) e Con Togliatti e con Berlinguer. Dal tramonto del centrismo
al compromesso storico, (2007), pubblicati con lo stesso editore.
219
capitolo quindicesimo
oggi? Questa la ragione per cui insisto nel parlare di ideologia, paro-
la quasi impronunciabile oggi, poich non si sa pi che essa significa,
come pi volte ho ricordato in questo stesso libro, quellinsieme di
credenze condivise da un gruppo e dai suoi membri che guidano lin-
terpretazione degli eventi e che quindi condizionano le pratiche sociali.
Forse proprio dalla rinuncia allideologia, a un sistema di convinzioni
e di principi coerentemente praticati, che deriva il ridursi del lavoro
dellesperto (e in particolare dellurbanista) alla mera applicazione di
tecniche neutrali come strumenti di qualsiasi interesse costituito, dotato
del potere di presentarsi come committenza. Se non ho e non con-
divido con altri un insieme di convinzioni e di princpi, in base a che
cosa decido se privilegiare gli interessi dello speculatore o quelli degli
abitanti del quartiere in cui sono chiamato a operare?
Il terzo aspetto della crisi della sinistra , nellanalisi di Chiarante, il
fatto che
la critica alla degenerazione del sistema dei partiti abbia subito
nel corso di quel decennio, anche in settori via via pi estesi
del gruppo dirigente comunista, un cambiamento di segno:
sino a porre capo non pi a una domanda di rinnovamento
della politica cos come era stata formulata da Berlinguer
ma a una proposta di mutamento del solo sistema politi-
co (inteso in senso stretto), ossia come cambiamento delle
regole istituzionali o elettorali. Veniva in tal modo spalancata
la strada alla deriva decisionista. In particolare, allidea che ba-
stasse sbloccare il sistema politico per realizzare lalternanza
e mettere cos fine alla spartizione dello Stato, alla corruzione,
al malgoverno. E per sbloccare il sistema politico, chi doveva
compiere il primo passo era naturalmente il Pci, mettendo in
discussione se stesso, ponendo fine al partito diverso, omo-
geneizzandosi agli altri partiti. Erano dunque mature le condi-
zioni per portare a compimento la storia del partito comunista
italiano.
220
scomparsa la politica?
221
capitolo quindicesimo
225 A. Asor Rosa, Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali, a cura di S. Fiori, Roma-Bari,
Laterza, 2009, p. 167.
222
scomparsa la politica?
226 G. Zagrebelsky, Democrazia in crisi, societ civile, La Repubblica, 7 nov. 2009, anche
in eddyburg.
223
capitolo quindicesimo
227 O. Mancini, Il lavoro e il territorio. Le due vittime del neoliberismo, in Citt e lavoro. La citt come
diritto e come bene comune, a cura di E. Salzano, O. Mancini, S. Chiloiro, Roma, Ediesse, 2009.
228 Esemplari due casi recenti. A Scandicci (Fi) la propriet del complesso industriale
Electrolux (ex Zanussi) voleva chiudere lattivit produttiva e ottenere una valorizzazione
edilizia dellarea; la resistenza operaia, appoggiata da unintelligente decisione urbanistica del
Comune, di non consentire alcuna modifica della destinazione duso dellarea e dal sostegno
della Regione, ha consentito di conservare la funzione produttiva, modificando la tipologia del
processo e del prodotto. A Milano, dove era in corso il tentativo di smantellare lantica fabbrica
Innse (ex Innocenti), la continuit dellattivit produttiva stata ottenuta grazie alle inedite
forme di lotta e al sostegno dellopinione pubblica. Vedi larticolo di M. Baioni, Riconversione
produttiva, valorizzazione immobiliare, in eddyburg.
224
scomparsa la politica?
Incontro non certo facile: diverse sono infatti le origini delle rivendi-
cazioni dei movimenti ambientalisti e quelle del mondo del lavoro. Que-
ste ultime tendono spesso a vedere nella difesa delloccupazione in atto,
nelle sue forme determinate, il valore principale cui tutto subordinare.
Le componenti dellambientalismo tendono simmetricamente a restar
legati alla loro specifica e localistica vertenza, a vedere lalbero e non
la foresta di cui parte. Ci non sfugge a chi propone una prospettiva
rosso-verde. Mancini cita in proposito una frase di Asor Rosa:
La cosa, se si entra nel merito, tuttaltro che semplice: una
classe operaia ecologista ancora non s vista ma neanche s
visto un militante ecologista capace di pensare la questione
sociale contemporanea. E pure sempre pi avanza la consapevo-
lezza che il destino umano risulta dalla composizione, meditata
e razionale, delle due prospettive e cio, per parlarne in termini
politici, dalla sovrapposizione e dallintreccio del rosso e del
verde230.
225
capitolo quindicesimo
226
scomparsa la politica?
233 P. Bevilacqua, Lambiente e le scienze. Quel che spetta al Novecento, lectio tenuta al Festival del-
le scienze, Roma 15 gen. 2008, pubblicata in eddyburg col titolo Leconomia e il resto del pianeta.
234 G. Ruffolo, Il capitalismo ha i secoli contati, Torino, Einaudi, 2008, p. 284.
227
capitolo quindicesimo
6. Urbanista oggi
235 Cfr. C. Ravaioli, Napoleoni e la produzione di uomini, relazione svolta in un seminario sul
pensiero di Claudio Napoleoni organizzato dalla Fondazione della Camera dei deputati, Roma
27 ott. 2009, anche in eddyburg.
236 Asor Rosa, Il grande silenzio, p. 25.
228
scomparsa la politica?
229
capitolo quindicesimo
230
20. La pagina di eddyburg con la cartella dedicata a Luigi Scano.
21. Pagina di eddyburg, con una delle cartelle dedicate a Venezia.
231
22. Studenti e docenti della iv edizione della Scuola di eddyburg, Asolo, settembre 2008.
23. Seminario alla Queen Ann University di Belfast, docente Todd Weir, novembre 2007.
232
24. Alla manifestazione contro la base Usa nellarea Dal Molin, con Anna Marson, Alberto
Magnaghi e, dietro, Walter Bonan, Vicenza, febbraio 2008.
25. Con Vezio De Lucia, settembre 2008.
233
234
Indice dei nomi di persona
235
indice dei nomi di persona
236
indice dei nomi di persona
237
indice dei nomi di persona
238
indice dei nomi di persona
Sacconi Filippo, 21, 22 Tamburini Giulio, 35n, 36, 37, 48, 83, 197n
Sachs Wolfgang, 213 Tat Tonino, 21, 22
Salinari Carlo, 15 Teilhard du Chardin Pierre, 14
Salvagni Piero, 135n Testa Enrico (Chicco), 123, 133n
Salvagno Vittorio, 114 Thatcher Margaret, 85, 116
Salzano Anna, 160f Tirelli Lino, 121n, 134n
Salzano Carmela, 157f Tito Josip Broz, 20
Salzano Carmen (Litta), xlviif Tocci Walter, 133n, 134n, 135n
Salzano Edoardo, 15n, 24n, 30n, 38n, 56n, 57n, Todde Giorgio, 173n, 180n
60n, 61n, 71n, 75n, 77n, 82 e n, 95n, 114n, Todros Alberto, 54 e n, 76, 121n
116n, 121n, 123 e n, 125n, 127n, 129n, 130n, Togliatti Palmiro, 19, 22, 32
132n, 133n, 135n, 142n, 143n, 149n, 175n, Tranfaglia Nicola, 133n
180n, 195n, 196n, 197n, 204n, 224n Tranquilli Vittorio, 21, 22
Salzano Eduardo, xlvif, 19 Trifoni Romolo, 37
239
Trivelli Renzo, 63 Vettoretto Luciano, 166
Trupiano Antonino, 83 Viesti Gianfranco, 190n
Turroni Sauro, 134n, 197 Visentini Bruno, 140, 142
Tutino Alessandro, 76, 80 Vitale Mirella, 190n
Vittadini Maria Rosa, 133n, 134n
Urbani Paolo, 180n Vittorini Marcello, 25, 41, 47-50
Urbinati Nadia, 147n Vivante Raffaele, 90n
Finito di stampare
nel mese di gennaio 2010
da Cierre Grafica, Sommacampagna (VR)
per Corte del Fontego editore
240