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Sono Emilio Salsi, uno studioso di storia dellImpero Romano, fautore di ricerche sui

personaggi teologici descritti nei documenti neotestamentari cristiani intese a verificarne


leffettiva esistenza attraverso analisi comparate con la storiografia ed accertare,
seguendo le loro gesta, se i Santi fondatori del Cristianesimo furono piuttosto
rappresentanti ideologici di una dottrina che, giocoforza, doveva essere incarnata in
uomini prescelti e ispirati da Dio. Benedetto XVI, gli esegeti cristiani ed i fedeli tutti
dichiarano apertamente che lesistenza di Ges Cristo, Apostoli, Maria Vergine, san
Giuseppe e Beati martiri, come uomini veri, comprovata e documentata dagli storici
dellepoca.
Consapevole che la religione del nostro Stato antica oltre 1700 anni, tengo a precisare
che la formazione culturale personale mi avrebbe impedito di pubblicare analisi critiche sui
documenti neotestamentari, quindi sulla dottrina cristiana, basate su inutili ipotesi o
convinzioni presupposte: le fonti cui attingo concernono, esclusivamente, la storiografia
extracristiana, archeologia, numismatica, Nuovo Testamento e scritti dei Padri della
Chiesa di Cristo. Inoltre ritengo, quantomeno, doveroso ringraziare A G, Altro Giornale,
per avermi concesso lo spazio necessario ove pubblicare le ricerche sui documenti
neotestamentari, dimostrando coraggio civico nel farsi carico di una informazione e cultura
storica oltremodo scomoda, essendo in contrasto con lenorme potere delle Autorit
politico religiose.
Sin dallinizio i Padri fondatori proclamarono veritieri i protagonisti del Credo cristiano
perch furono fatti interagire, appositamente, con numerose persone famose, realmente
esistite, pertanto rintracciabili (queste ultime) nella storiografia laica ufficialmente
riconosciuta e supportata da archeologia, numismatica, epigrafi ecc. Da una ricerca
fondata su avvenimenti datati e comprovati si riscontrano, senza ombra di dubbio, non
solo semplici errori storici, bens numerose falsificazioni che obbligano lo studioso mettere
in evidenza. Le manomissioni non sono fini a se stesse ma volute perch mirate a uno
scopo e, attraverso i personaggi dei quali vengono contraffatte le imprese, si possono
individuare e riconoscere, nella documentazione extra cristiana pervenutaci, gli autentici
protagonisti iniziali di vicende giudaiche, risalenti allepoca post erodiana (Erode il Grande
mor il 4 a.C.), la cui testimonianza sopravvissuta sino ai nostri giorni. Vicende che
verranno trasformate in mito religioso nel corso di unevoluzione durata secoli.
La dottrina cristiana interconnessa con la vita di questi personaggi famosi realmente
esistiti quindi con la storia. La Chiesa ne consapevole pertanto, ad iniziare dal Papa,
tutti i suoi esegeti continuano a proclamare che pure la vita di Cristo una Verit
comprovata. Ci nonostante se la storia riuscisse a dimostrare che i sacri testi attuali
furono inventati, sino a scoprirne le falsificazioni introdotte per crearli, e da chi, come e
perch, allora la Fede e i suoi contenuti dottrinali che fine farebbero?
Se la storia, effettivamente, verificasse che Ges Cristo e Apostoli non sono mai esistiti e,
non solo, che lo Spirito Santo e Dio stesso furono concepiti e fatti muovere, da mistici
creatori, in un teatro ideologico avente per fine la costituzione di un nuovo potere terreno
(fu chiamato Regno dei Cieli) basato sulla persuasione e sul convincimento di altri uomini
a poter sopravvivere alla morte, risorgere nella carne e vivere felicemente per leternit
Gli uomini e le donne credenti che per tale fine, ieri come oggi, hanno fatto propri i
codici di comportamento dettati dai Preti (i Ministri di tale culto) ai quali si assoggettano
riverendoli e riconoscendoli come loro capi e divenendo, nel contempo, la vera base del
potere secolare della Chiesa come reagiranno una volta in possesso di notizie, tali, da
non rendere pi attendibile la loro Fede? Tenuto conto che la maggior parte di essi ha
sempre il dubbio che Ges e Apostoli, trattandosi di personaggi descritti come autori di
gesta tanto straordinarie quanto impossibili, non siano mai esistiti pertanto ritengono
necessario fare verifiche prima di inginocchiarsi innanzi a statue o simboli, ormai vuoti
simulacri teologici. Pur tuttavia, prima di iniziare, ho il dovere di mettere in guardia gli
eventuali visitatori credenti curiosi: se preferiscono conservare intatta lillusione della vita
eterna bene evitino di approfondire la conoscenza della materia.
Le analisi che mi hanno spinto a pubblicare tali conclusioni sono molte ed impegnative,
anche per un insegnante di storia, ma colgo loccasione per sottoporre alcune sintesi di
esse allattenzione di coloro che, interessati al Ges storico, seguono nel web questa
tematica, avvalendomi dellausilio di link, completi di fotocopie, gi predisposti. Stiamo
per addentrarci in una ricerca critica storico scientifica tesa ad indagare se gli avvenimenti
descritti nei testi evangelici del Nuovo Testamento, oltre ai nomi, trovano una effettiva
corrispondenza con la realt conosciuta di allora, comparando gli scritti sacri fra loro
stessi con quelli degli storici vissuti nel I e II secolo, compresi i documenti patristici
successivi. Indagine che si estender sino a provare che le deposizioni su Ges Cristo da
parte di Cornelio Tacito e Giuseppe Flavio furono brani introdotti dagli scribi cristiani in
modo fraudolento ed in epoca molto successiva al Suo presunto Avvento.
Emilio Salsi [link=http://www.vangeliestoria.eu/index.php]vangeliestoria.eu[/link]
Il primo studio, che intendiamo sottoporre sia ai lettori credenti che a quelli atei o agnostici,
concerne la verifica della effettiva esistenza degli Apostoli.
Dopo aver riprodotto la Bibbia, a fine 400, gli allievi di Gutemberg iniziarono a diffondere il
nuovo sistema di stampa che, a sua volta, accrescer il propagarsi della cultura ma,
anzich compiacersi
Concilio di Trento, di Papa Giulio III
(sessione IV, 8 Aprile 1546)
[color=#0000ff]Il sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, seguendo
lesempio dei padri della vera fede, con uguale piet accoglie e venera tutti i libri, sia
dellAntico che del Nuovo Testamento, essendo Dio autore di entrambi darsi da fare, in
tutti i modi e con tutte le forze, affinch a nessuno venga consentita, n oggi n in futuro,
la lettura, anche solo frammentaria, del Vangelo.[/color] (Regola Ecclesiastica).
Giulio III e gli alti prelati del clero, sin dal lontano passato, sapevano che i Vangeli
contenevano verit che non dovevano essere rivelate ai fedeli tali che avrebbero finito
col distruggere la dottrina cristiana.
Ecco perch:
Gli Apostoli non sono esistiti
Alfred Loisy, sacerdote cattolico francese (1857 1940), teologo esegeta di fama
internazionale, docente di ebraico e Antico Testamento, propugnava la critica storica
scientifica, applicata agli scritti neotestamentari, come primo metodo da seguire per la
ricerca sulle origini del Cristianesimo. Con i suoi studi il biblista contest la storicit della
Passione e Resurrezione di Cristo dimostrando, inoltre, che Ges non volle essere il
fondatore di una nuova religione, tanto meno di alcuna Chiesa. L'esegeta cattolico, previa
una corretta analisi filologica, si spinse ad affermare che Ges, storicamente, fu un
Nazireo, non un Nazareno, in quanto appartenente alla setta dei Nazirei, i consacrati a
Dio che fecero voto di mantenere capelli e barba intonsi e astenersi dal bere bevande
inebrianti (lo stesso voto di Sansone e, per i vangeli, Giovanni Battista); pertanto non
poteva essere abitante di Nazareth. Secondo quanto riferito dallo storico ebreo
dell'epoca, Giuseppe Flavio, i Nazirei erano una setta di giudei integralisti nazionalisti,
avversari della dominazione pagana di Roma sulla terra d'Israele e, come tali, perseguitati
sia dalla aristocrazia sacerdotale opportunista ebraica che dai Governatori romani o
regnanti Erodiani. Come prevedibile, nel 1908 Loisy venne scomunicato dalla Chiesa
Cattolica
Un biblista non deve limitarsi a comparare fra loro la documentazione evangelica e le
testimonianze dei Padri della Chiesa per scoprirne le contraddizioni (e sono molte)
riscontrate nei testi dottrinali ad oggi pervenutici ma il metodo pi proficuo, ai fini
dellaccertamento delle verit o delle falsificazioni, quello di confrontare tali scritti
avvalendosi della storiografia laica per verificarne la corrispondenza attraverso analisi
testuali pi avanzate escludendo, inderogabilmente, l'utilizzo diqualunque dissertazione
o ipotesi per cercare di spiegare determinate vicende descritte nei vangeli. Solo un
presuntuoso sprovveduto pu tentare di criticare i documenti neotestamentari, fondamento
della dottrina cristiana da oltre 1700 anni, anzich basare le sue analisi su precise
constatazioni di fatti realmente accaduti ma limitandosi ad inventare teorie paradossali su
cui costruire futili verit. I personaggi che interagirono con i protagonisti dei sacri testi
furono uomini famosi, esistiti realmente, e per questo rintracciabili nella storia vera
supportata da archeologia, epigrafi, numismatica. Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio,
Cassio Dione, Plinio il Giovane, gli Esseni dei rotoli del Mar Morto, gli scribi patristi e molti
altri, quando riportarono gli avvenimenti di allora, inconsapevolmente, hanno tramandato
testimonianze tali che oggi permettono di ricostruire gli avvenimenti giudaici di duemila
anni addietro e far luce sul vero messianismo (cristianesimo) primitivo del I secolo che
dette origine, in un tempo successivo, al mito di Ges Cristo.
La conoscenza degli eventi, tramite le fonti dellepoca, ci consente di dimostrare la
falsificazione di tutti gli Atti del Sinedrio di Gerusalemme riportati nei Vangeli e in Atti
degli Apostoli (le gesta di Ges, san Pietro, san Paolo, santo Stefano, ecc.); ma la
ricerca storiologica va oltre ed in grado di scoprire il motivo delle mistificazioni e perch
lunico Atto del Sinedrio a noi fatto pervenire nelle opere dello storico Giuseppe Flavio,
dalla morte di Erode il Grande sino al 66 d.C., risulta essere soltanto quello di Giacomo
fratello di Ges detto Cristo. Dagli Atti di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il
Processo a Ges, non sarebbe mai risultato che i Giudei scagliarono contro se stessi e i
propri figli la maledizione riportata nei Vangeli (Mt 27, 25):
[color=#0000ff]E tutto il popolo rispose: il suo sangue (di Ges) ricada sopra di noi e i
nostri figli[/color]
Un eminente sacerdote e principe ebreo, come Giuseppe, discendente dagli Asmonei e da
Sommi Sacerdoti, cos come tutti i Giudei di allora e di oggi non avrebbero mai potuto
riconoscere verosimile questo paradosso: il popolo giudaico che, dopo averlo osannato, fa
crocefiggere il proprio Messia divino e nel contempo si maledice per leternit. L'evento,
se per assurdo fosse accaduto, sarebbe stato di una tale gravit che lo storico giudeo,
ligio al proprio credo, l'avrebbe riferito nelle sue cronache poich, poco prima della
distruzione di Gerusalemme, provvide personalmente a recuperare gli Atti del Sinedrio
insieme a tutti i documenti conservati negli archivi pubblici. Fatto che dimostreremo pi
avanti. Questo aspetto, relativo alla mancata citazione di ulteriori Atti del Sinedrio di
Gerusalemme da parte dello storico, gi evidenziato dagli studiosi in passato, ci porta ad
indagare su gli Atti degli Apostoli e sui Vangeli perch ci che viene riferito in tali
documenti, in ultima analisi, avremmo dovuto trovarlo negli Atti di un vero Sinedrio e da lui
riportato nel XVIII Libro di Antichit Giudaiche: l'epoca di Ges. E grazie alla storia che
possiamo dimostrare linsussistenza degli Apostoli, pertanto apriamo il sacro testo, redatto
dallevangelista Luca, che ne descrive le opere.
[color=#0000ff]Atti degli Apostoli[/color]
Dopo lascensione di Ges, gli Apostoli, rimasti nella Citt Santa, danno inizio alla
diffusione della dottrina predicata da Cristo. Sotto il portico di Salomone e nelle piazze,
emulando il loro Maestro, si esibiscono in guarigioni straordinarie, esaltano il popolo e
attirano le folle delle citt vicine [color=#0000ff]che accorrevano, portando malati e
persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti[/color]. Il Sommo Sacerdote
e i Sadducei, [color=#0000ff]pieni di livore[/color], li fanno arrestare con laccusa di aver
predicato in nome di costui (Ges) e, convocato il Sinedrio di Gerusalemme, il massimo
Tribunale giudaico, avviano latto processuale minacciando di [color=#0000ff]metterli a
morte[/color].
[color=#0000ff]Si alz allora nel Sinedrio un fariseo, di nome Gamalile, Dottore della
legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati,
disse: Uomini di Israele, badate bene a ci che state per fare contro questi uomini.
Qualche tempo fa venne Theudas, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono
circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quanti serano lasciati persuadere da lui si
dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del
censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anchegli per e quanti serano lasciati
persuadere da lui furono dispersi. Per quanto riguarda il caso presente, ecco ci che vi
dico: Non occupatevi di questi uomini (gli Apostoli) e lasciateli andare. Se infatti questa
teoria o questa attivit di origine umana, verr distrutta; (come avvenuto a Theudas e
Giuda il Galileo) ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di
trovarvi a combattere contro Dio!. Seguirono il suo parere e li rimisero in
libert[/color] (At. 5, 34-39).
Tutti i personaggi descritti nel brano erano veramente esistiti allepoca, anche il sacerdote
Gamalile il cui figlio diverr Sommo Sacerdote del Tempio nel 63 d.C.. Ma la prima
considerazione da fare che questo evento, se fosse veramente accaduto, si verificato
quando Re Erode Agrippa I era ancora vivo. Infatti al momento del sermone di Gamaliele
sono vivi tutti gli Apostoli e fra questi, oltre a Simone Pietro anche Giacomo il Maggiore
che, secondo levangelista, verr ucciso successivamente dallo stesso monarca (regn
in Giudea dal 41 al 44 d.C.) prima del 44 d.C., anno della sua morte. Seguiamo ora gli
eventi accaduti in Giudea e descritti da Giuseppe Flavio nel libro Antichit Giudaiche
(Ant. XX 97/102):
[color=#0000ff]97. Durante il periodo in cui Fado era Procuratore della Giudea, (44-46
d.C.) un certo sobillatore di nome Theudas persuase la maggior parte della folla a
prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere
un Profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito. Con
questa affermazione ingann molti.
98. Fado per non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e invi contro di essi
uno squadrone di cavalleria che piomb inaspettatamente contro di essi uccidendone molti
e facendone altri prigionieri; lo stesso Theudas fu catturato, gli mozzarono la testa e la
portarono a Gerusalemme.
99. Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era Procuratore
Cuspio Fado (44 46 d.C.).
100. Il successore di Fado fu Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), figlio di
quellAlessandro che era stato Alabarca in Alessandria.
101. Fu sotto lamministrazione di Tiberio Alessandro che in Giudea avvenne una grave
carestia durante la quale la Regina Elena compr grano dallEgitto con una grande
quantit di denaro e lo distribu ai bisognosi, come ho detto sopra.
102. Oltre a ci, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono sottoposti
aprocesso e per ordine di Alessandro vennero crocefissi; questi era il Giuda che come
ho spiegato sopra aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirino
faceva il censimento in Giudea.[/color]
Tali avvenimenti, separati fra loro da due o tre anni, sono la prova che il sacerdote
Gamalile non ha mai potuto pronunciare nel Sinedrio il discorso a difesa degli Apostoli
perch in quello stesso momento il Profeta Theudas era ancora vivo. Infatti,
facendo attenzione alle date, seguiamo la storia di Giuseppe Flavio:
nel 44 d.C. muore Re Erode Agrippa I ma, essendo il figlio troppo giovane per
governare, lImperatore Claudio decide di ricostituire la Provincia romana di Giudea,
Samaria, Idumea, Galilea e Perea; di conseguenza
nel 44 d.C. gli fa subentrare, come Governatore della Provincia, il Procuratore Cuspio
Fado che durante il suo incarico (44-46 d.C.) fa uccidere Theudas, la cui testa viene
portata ed esibita in Gerusalemme come monito rivolto a chi volesse seguire il suo
esempio;
nel 46 d.C. il Procuratore Tiberio Alessandro sostituisce Cuspio Fado e, nel corso del
suo mandato (46/48 d.C.), dopo un processo, d lordine di crocifiggere Giacomo e
Simone.
Pertanto, allinterno del Sinedrio convocato in seduta deliberante per decidere sulla sorte
dei dodici Apostoli, da quanto abbiamo letto in Atti, come ha potuto levangelista Luca
far dire a Gamalile che Theudas era morto (prima del censimento del 6 d.C. At. 5, 36)
mentre Erode Agrippa era ancora vivo? (lo uccider dopo un angelo At. 12, 23) e
Cuspio Fado (che avrebbe poi ucciso Theudas), non era ancora subentrato ad
Agrippa? Noi abbiamo constatato, semplicemente, che quel discorso era falso:
Gamalile non pot farlo perch il Re Erode Agrippa e Theudas erano ancora vivi
entrambi. Fu scritto in epoca successiva da uno scriba cristiano con lo pseudonimo Luca
e lo mise in bocca a Gamalile, importante membro del Sinedrio vissuto realmente, per
discolpare, in un processo del Tribunale giudaico, gli Apostoli arrestati, fra cui Simone e
Giacomo, dallaccusa di istigazione uguale a quella di Theudas, Giuda il Galileo e i suoi
figli Giacomo e Simone; accusa che comportava la pena di morte da parte dei Romani. Ma
poich il discorso era (ed ) unassurdit evidente che non fu fatto, pertanto era falso sia
larresto che lassoluzione, quindi, a quella data, nessuno degli Apostoli era stato
arrestato. Al contrario, al verso 102, come sopra abbiamo letto in Antichit, sia Giacomo
che Simone, figli di Giuda il Galileo, furono sottoposti a processo e fatti giustiziare:
quindi colpevoli e non pi latitanti (nel 46/48 d.C., dopo la morte di Erode Agrippa).
Contrariamente a quanto risulta dalle vicende reali, il vero scopo di san Luca era far
apparire ai posteri che il Sinedrio, supremo tribunale giudaico, aveva assolto gli Apostoli,
fra cui Giacomo e Simone, dallaccusa, cos come articolata in ipotesi da Gamalile, di
essere equiparati ai Profeti rivoluzionari Giuda il Galileo, i suoi figli Giacomo e Simone e
Theudas; accusa, come abbiamo visto, smontata da un Gamalile che, nella realt, non
avrebbe potuto prevedere la morte improvvisa di Re Agrippa I, n la sostituzione del
Procuratore Cuspio Fado, n che questi avrebbe poi ucciso Theudas. Tale Atto del
Sinedrio, inventato e riportato in Atti degli Apostoli, convocato mentre Erode Agrippa era
ancora vivo, una falsificazione tesa a fugare ogni dubbio sulla condotta zelota degli
Apostoli, dissociandoli dai sobillatori Theudas e Giuda il Galileo, e ad introdurre laltra
menzogna correlata: la fuga di Simone Pietro per opera di Dio (At. 12,7) nonch
luccisione di Giacomo ovviamente per volont del Re, secondo levangelista. Risultato:
un falso Atto del Sinedrio non poteva che essere nullo, pertanto, la sua datazione e il suo
scopo erano e sono nulli. Inoltre, introdurre in Atti degli Apostoli un finto Atto del Sinedrio
di Gerusalemme, il Supremo Consiglio del Sommo Sacerdote del Tempio, con funzioni
giudiziarie e amministrative (pur se asservito al potere imperiale di Roma), operante nel I
secolo, un reato cui si deve rispondere di fronte alla storia.
Quando Luca invent questo Atto del Sinedrio, nel cui interno fece testimoniare il falso a
Gamalile sul Profeta Theudas, non si sbagli ma vi fu costretto: voleva impedire
lidentificazione di un Apostolo. Infatti, uno studioso che, seguendo la narrazione di
Giuseppe Flavio, giunge ai paragrafi dal 97 al 102 del XX Libro di Antichit, laddove si
parla di Theudas e di Giacomo e Simone, i due figli di Giuda il Galileo, si rende conto che
sono versi manomessi, il 101 addirittura tutto interpolato, ossia incollato in quel punto del
libro come il Testimonium Flavianum. Esso si richiama ad una gravissima carestia che
afflisse i Giudei, gi descritta dettagliatamente dallebreo qualche paragrafo prima. La
datazione di quella carestia era vitale per la dottrina cristiana: avrebbe permesso di
individuare lanno in cui fu giustiziato Ges, le cause e il contesto storico che le provoc.
Ma procediamo per gradi e ritorniamo al testo di Giuseppe Flavio sopra riportato di (Ant.
XX 97/102) sottoponendolo ad una analisi filologica. Notiamo che Giacomo e Simone
erano due veri nomi giudaici e indicati con il patronimico, mentre il
ProfetaTheudas (Tuda in italiano) non era un nome bens un attributo che nel greco
arcaico voleva dire Luce di Dio. Esso rende lidea di una traduzione corretta
dall'aramaico (Giuseppe Flavio scrisse le sue opere in aramaico poi ne cur la traduzione
in greco) ma non accompagnato dal nome proprio n da quello del padre quindi non
identificabile come dato storico da tramandare ai posteri; pur essendo evidente che si
trattava di una persona importantissima se i Romani ne portarono la testa a Gerusalemme
per esibirla alla popolazione come monito. Lanomalia di questo attributo senza nome
condivisa sia in Atti degli Apostoli (lo abbiamo visto col discorso di Gamalile) che dal
Vescovo Eusebio di Cesarea (IV sec. d.C.), il quale, unico storico, riporta lepisodio nella
sua Storia Ecclesiastica (II 3,11). Grazie alla sua carica di rilievo e allinfluenza che
esercit sullImperatore Costantino e la sua corte, Eusebio fu il primo cristiano ad aver la
possibilit di accedere agli Archivi Imperiali e far manomettere gli scritti dello storico ebreo
Giuseppe allo scopo di impedire il riconoscimento dei veri protagonisti evangelici.
Riguardo a Giacomo e Simone va rilevato che manca la motivazione per cui furono uccisi;
non era infatti sufficiente la semplice discendenza da Giuda il Galileo come imputazione
perch si sarebbe violato sia la legge romana che quella ebraica, motivazione, peraltro,
che sarebbe valsa subito anche per Menahem (il cui vero nome, come vedremo, era
Giuseppe), ultimo figlio di Giuda, ed Eleazar suo nipote (Lazzaro) figlio di Giairo (tutti nomi
evangelici), i quali moriranno molto tempo dopo in circostanze precise e ben motivate. Non
solo, dal modo come viene introdotto il par. 102 (basta rileggerlo) risulta chiaro che lo
storico ebreo ne ha gi parlato, pertanto i lettori sono stati informati in un precedente
passo delle gesta degli Zeloti Giacomo e Simone. Lo stesso vale anche per Theudas: il
fatto che sobillasse i suoi seguaci ad attraversare il Giordano ai Romani non importava
pi di tanto, perci anche questo dimostra che la notizia originale stata successivamente
mutilata da scribi copisti.
Ma perch levangelista Luca era talmente interessato a lui al punto di farlo dichiarare
morto da Gamalile, in Atti degli Apostoli, ancor prima di Giuda il Galileo? Semplice:
conosceva chi fosse realmente perch aveva letto Antichit Giudaiche prima che
venissero censurate dagli amanuensi e sapeva che erafiglio di Giuda il Galileo ma,
facendo risultare che muore prima di lui, egli non potr mai essere identificato come
suo figlio. Era una realt in contrasto con la nuova ideologia, il cristianesimo come lo
conosciamo oggi, evolutosi da una dottrina primitiva filo giudaica zelota che postulava una
figura diversa di Messia.
Levangelista sapeva che il nome di quel Profeta era Giuda ma in Atti lo chiam
qualcuno per evitare che lattributo Profeta potesse essere collegato ad Apostolo.
Allora diamo unocchiata agli Apostoli.

Luca ignora la scelta dei Dodici voluta da Cristo, secondo Matteo e Marco, e chiama
Taddeo [color=#0000ff]Giuda, fratello di Giacomo[/color] (At. 1, 13-14):
[color=#0000ff]Giuda di Giacomo. Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme
con alcune donne e con Maria, la madre di Ges e con i suoi fratelli[/color]
In questo passo in Atti rileviamo che Luca, citando Giacomo, non sente il dovere di
specificare a quale Giacomo si riferisce dei due che risultano nel suo Vangelo e ci
significa che in origine cera un solo Giacomo. Infatti in Atti degli Apostoli non vediamo
mai i due Giacomo interagire affiancati e, fatto gravissimo, non viene riportato il martirio
di Giacomo il Minore: il motivo lo accertiamo con apposita analisi tramite la quale
dimostriamo linesistenza di Giacomo il Minore o il Giusto. Infine, cadendo nel ridicolo, i
vangeli accreditano questo Giacomo di troppe paternit (Alfeo, Zebedeo, Cleofa) per
poter essere giustificato storicamente come persona reale. Taddeo, ovvero Taddaios in
greco e Taddaeus in latino, erano nomi inesistenti in quelle lingue nel I secolo; si tratta di
traslazione volutamente errata da una lingua allaltra per impedirne lidentificazione col
Profeta Theudas di nome Giuda, fratello di Giacomo, a sua volta fratello di Giovanni e di
Simone, chiamati anche Boanerghes. O meglio, se leggiamo linsieme dei fratelli riportati
nei Vangeli, risulta:
[color=#0000ff]Non costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses
(Giuseppe), di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?[/color] (Mc.
6,3);
[color=#0000ff]Non forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i
suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra
noi?[/color] (Mt. 13, 55).
Sono tutti nomi di tradizione giudaica ai quali manca Giovanni (boanerghes), indicato con
costui perch lui il soggetto di cui parlano i Giudei. Se fosse stato Ges lo avrebbero
chiamato cos, senza problemi, come per i suoi fratelli, inoltre, violazione gravissima al
costume giudaico, non viene identificato con il patronimico bens col nome della madre:
evidente che il nome del padre non doveva apparire. Se i passi di Marco e Matteo li
avesse scritti un vero testimone ebreo avrebbe riferito cos:
[color=#0000ff]Non Ges il figlio di (bar) Giuseppe il carpentiere, il fratello di Giacomo,
Ioses (Giuseppe), di Giuda e di Simone?[/color]
E' evidente che lo scriba cristiano non intese rivelare i veri nomi di Ges e suo padre. Il
mito del Salvatore di Israele, evolutosi successivamente in un Messia ebraico docile come
un agnello, era in contrasto con le gesta dei veri protagonisti zeloti. Infatti, come
dimostriamo pi avanti con apposito studio, pure le Nativit di Ges furono inventate,
con san Giuseppe e Maria Vergine, ed aggiunte agli attuali vangeli canonici in periodo
successivo. I nomi dei fratelli sono anche nomi di Apostoli ai quali manca Giuseppe
poich, ultimo di loro, era ancora troppo giovane (Menahem: lui agir dopo) allepoca di
Ges per essere un capo carismatico trascinatore di uomini pronti a dare la vita per una
causa nazionalista.
Apostoli con qualifiche aggiunte come: Zelota o Cananeo, Iscariota, Bariona e
Boanerghes, che significano fanatico nazionalista, sicario, latitante, ricercato e figli
del tumulto o figli della collera. Simone Pietro e lo stesso Ges vengono chiamati
Galilei nel vangelo di Luca; ma dallo storico ebreo sappiamo che i Galilei erano gli ebrei
pi focosi e nazionalisti, pronti a ribellarsi; inoltre importante sottolineare che Galileo
era la qualifica che distingueva Giuda il Galileo, che non era nativo della Galilea ma della
citt di Gmala, i cui resti archeologici corrispondono perfettamente alla Nazareth
descritta nei vangeli, al contrario della Nazareth odierna. Le prove sono riportate nello
studio successivo. Comprendiamo che i Romani, dal loro punto di vista, avevano forti
motivi per catturare e uccidere gli Zeloti in quanto fanatici nazionalisti, e questo valeva
anche per i fratelli apostoli di Ges i quali, come proveremo con appositi studi,
corrispondono tutti a quelli dei figli di Giuda il Galileo. Inoltre, sempre osservando la tabella
degli Apostoli, si capisce che il Simone, qualificato come zelota, cananeo e sicario,
replicato. E lo stesso Simone Pietro detto Kefaz (in aramaico) o Cefa che vuol dire
pietra, indicato anche come bariona, che significa latitante ricercato: un sicario Zelota,
una volta individuato, non poteva che darsi alla latitanza per non essere catturato e ucciso
dai Romani.
Lunico Apostolo di nome giudeo, non appartenente alla cerchia dei fratelli, Matteo.
Esso viene indicato come Pubblicano e chiamato a testimoniare dal vero le vicende di
Cristo sin dalla nascita, ma nella tabella notiamo che lApostolo Matteo non esiste nel
vangelo di Giovanni. E impossibile, non ha senso: se fosse stato uno dei dodici Apostoli
avrebbe dovuto riferirlo anche Giovanni, a maggior ragione poich gli scribi cristiani li
fanno apparire entrambi colleghi redattori di vangeli. Nel vangelo di Matteo (lui stesso) si
dichiara Pubblicano: altra assurdit. I Pubblicani riscuotevano i tributi dovuti
allImperatore, pertanto gli altri Apostoli zeloti e sicari, aderenti alla quarta filosofia zelota
contro la tassazione di Roma, ideata da Giuda il Galileo, lo avrebbero ucciso senza
pensarci su due volte; sarebbe stato un loro nemico ideologico, un obiettivo da eliminare
(Ant. XVIII 5, 6):
[color=#0000ff]e (gli Zeloti) non indietreggeranno di fronte allo spargimento di sangue
che potr essere necessario[/color].
Matteo un falso protagonista. Lo scriba cristiano che ide quel nome, molto tempo dopo i
fatti descritti, oper al solo scopo di rendere pi credibile la testimonianza facendolo
apparire un attore ebreo di quelle vicende. In realt, il redattore di questo vangelo in greco,
ripreso da un vangelo primitivo originale che fu tradotto, non poteva essere un giudeo,
padrone dellaramaico, perch non comprese il significato di cananeo e lo lasci in forma
ellenizzata (Zelota) riferito a Simone. Laccostamento prospettico con il vangelo di Luca
non lascia equivoci. Il vangelo di Giovanni riporta iscariota, ma Giuseppe Flavio, in
Guerra Giudaica riferisce nel cap. 8 del VII libro, attraverso un ricordo lontano nel
tempo, che i Sicari erano il braccio armato degli Zeloti, i seguaci della quarta filosofia
fondata da Giuda il Galileo, ed agivano contro i propri connazionali filo romani sin dal 6
d.C..
Che levangelista Matteo non sia stato un ebreo, n mai vissuto in Giudea, dimostrato
in altri molteplici passaggi del suo Vangelo, ad iniziare da quello riguardante linsieme dei
fratelli di Ges indicati col nome della madre anzich col patronimico; inoltre, sulla
Nativit (come vedremo nel successivo studio), dimostra di non conoscere i luoghi, la
storia giudaica dellepoca di Cristo e lAntico Testamento, cadendo, peraltro, in grave
contraddizione con la sua qualifica di funzionario esattore Pubblicano.
Giuda detto Theudas era un Profeta sobillatore, fratello di Giacomo, a sua volta fratello di
Giovanni (At. 12, 1-2) che insieme a Simone e Giuseppe (lultimo) costituiscono la cerchia
di fratelli evangelici tutti con nomi di tradizione giudaica. Solo questi nomi, autenticamente
ebraici dalla lettura del Novum Testamentum A. Merk S.I., Roma, Pontificio Ist. Biblico,
Anno 1933; e, Novum Testamentum H. Kaine, Paris, Edit. Ambrogio F. Didot, Anno 1861
risultano accompagnati da qualifiche e attributi, quindi da atti, conformi allo stesso
Profeta sobillatore Giuda Theudas ucciso da Cuspio Fado nel 45 d.C.:
zeloti, che, dallinterpretazione in greco di Giuseppe Flavio, significa fanatici
nazionalisti; bariona, in aramaico, significa latitante fuorilegge; iscariot dallaramaico
keriot, omofono di sicario o sicariota; boanerghes [color=#0000ff]*[/color], significa figli
dell'ira o figli del tumulto; cananeo da qanana in aramaico, equivalente a zelota, e
galilei, come fuorilegge. Erano tutti figli di Giuda, ideatore dello zelotismo antiromano,
detto il Galileo.
[color=#0000ff]*[/color] Il vangelo di Marco (3,17) riporta figli del tuono ma, in tutta la
letteratura greca classica, questo l'unico caso in cui ricorre il vocabolo; ne consegue che
la parola non pu avvalersi di alcuna etimologia in tale lingua, pur se scritta in greco. Infatti
essa di origine aramaica, non greca, e il suo etimo si fonda su due segmenti del lemma:
boane, una forma di ben (figli di), e rges, la cui radice semitica significa: tumulto, ira,
collera, agitazione, eccitazione. Pertanto figli del tuono esprime un concetto riduttivo e
fuorviante rispetto all'originale vocabolo aramaico il quale, effettivamente, rivela il
medesimo intento ribelle nazionalista degli altri fratelli Zeloti come nella tabella su
riportata. Troviamo infine conferma nello stesso brano evangelico ove i fratelli
boanerghes intendono incendiare un villaggio della Samaria ma vengono fermati da
Ges; nel contempo la storia ci insegna che i Giudei erano nemici dei Samaritani e in
guerra tra loro.
E dobbligo evidenziare che queste qualifiche o attributi sono riferite solo ad apostoli
fratelli che hanno lo stesso nome, di stretta osservanza giudaica, dei fratelli di Ges.
Attributi e qualifiche che richiesero un intervento correttivo da parte degli scribi cristiani
quando la Chiesa ne comprese il vero significato. Un esempio di come sia stata eseguita
la falsificazione di Simone, per trasformarlo in Pietro figlio di Giona (San Pietro), lo
troviamo nei due Novum Testamentum su riferiti, di cui riproduciamo copia:

dove possiamo notare, nel testo centrale in greco a destra (Mt. 16, 17), il vocabolo
Barion riferito a Simone aggettivo qualificativo che in aramaico significa latitante,
ricercato in greco non viene tradotto ma traslato con la lettera maiuscola in modo da
farlo apparire un nome di persona: Simon Barion. Barion, come nome proprio di
persona, nellaramaico antico non mai esistito, tanto meno in greco o latino, e la
falsificazione diventa addirittura ridicola attraverso la comparazione delle traduzioni.
Infatti, a sinistra, nella versione latina, risalente almeno un paio di secoli dopo quella greca
arcaica, viene successivamente diviso in Bar Iona cui viene tolto l'accento sulla a finale;
pertanto Barion (latitante) diventa: Bar (figlio di in aramaico) Iona filius Iona figlio
di Giona. (il latitante aramaico diventa figlio di), quindi Bar Iona,
infine, tramite un latino indeclinato errato, filius Iona, tradotto in italiano figlio di Giona.
Se Iona fosse stato veramente il nome di una persona avremmo dovuto trovarlo, sin
dallinizio, sempre separato da bar minuscolo, come per filius latino o uios greco;
vocaboli usati spesso e senza problemi nei Vangeli tranne in questo caso. Nel testo del
1861, in basso a destra in latino, Pietro non esiste: solo Simon Bar-Jona; e a sinistra, in
greco, riporta Bar staccato. Nelle lingue latina e greca Bar e non esistono; allora sia
nel testo latino che in quello greco Bar , come in aramaico, vorrebbero apparire
figlio ma, essendo traduzioni a suo tempo destinate a fedeli di lingua greca o latina,
assurdo tentare di farli passare come tali sapendo che in latino si dicono filius e in greco
(uios).
In alto a destra, nel testo (Ioh.= Gv. 1,42), poich il vocabolo Cephas in latino non
esiste, si dice che deve (sic!) essere interpretato Pietro; anche nel greco antico, in alto a
sinistra, Kefaz () non esiste, aramaico (= sasso, pietra) ma significa Pietro.
In latino pietra = lapis, saxum; in greco = lithos, petra (minuscolo e mai kefaz). Le tre
parole originali in aramaico erano Simon, kefaz, barion che tradotte vogliono dire:
Simone, detto pietra (nel senso di duro, massiccio), latitante ricercato. Cio: Simone era
uno dei fratelli gi ricercato dai Romani quando Ges era ancora in vita. La mescolanza
delle lingue e la manipolazione dei vocaboli tradotti furono, nel tempo, sfruttati
volutamente, per travisarne il senso, da professionisti consapevoli di trattare con ingenui
credenti.
Queste tecniche di traduzione sono soltanto uno dei modi con cui si pu falsare il
significato della vita di una persona e la puntigliosit con cui la Chiesa ha fatto,
letteralmente, carte false per trasformare Barion sino a farlo sparire nelle versioni
evangeliche moderne, sta a dimostrare che il significato di latitante ricercato, espresso
dalla traduzione originale, reale e pertanto Essa lo considera veramente pericoloso. Ha
sempre dovuto impedire che si scoprissero le vere gesta dei protagonisti delle vicende che
dettero origine al Cristianesimo primitivo, quello vero, inserito in un contesto storico reale
rappresentato dalla guerra di liberazione nazionale dei Giudei contro loccupazione
romana della Terra promessa da Dio al popolo di Israele.
Gli Apostoli non sono esistiti

Dopo la morte di Costantino il Grande i Cristiani avviarono una progressiva e sistematica


opera di abbattimento di Templi e altari politeisti. Nel 361 d.C., al fine di arrestare il
processo persecutorio contro i pagani e le rispettive divinit, appena acclamato Imperatore
dai suoi legionari, Flavio Claudio Giuliano, passato alla storia come "l'Apostata",
promulg l"Editto della Tolleranza" sanzionando per legge il rispetto reciproco fra tutti i
culti praticati nell'Impero.
Di tutt'altro avviso, nel 380 d.C., gli Imperatori Augusti, Flavio Teodosio, Flavio Graziano e
Flavio Valentiniano, in nome di Dio, emanarono l"Editto di Tessalonica" con il quale
imposero il Cattolicesimo come dottrina unica da professarsi nelle Province dell'Impero.
Pertanto, la prima volta dalla sua fondazione, l'Impero Romano stabil che tutte le fedi
pagane, come le cristiane eretiche, venissero dichiarate illegittime. L'anno seguente, in
coerenza con l'Editto di Tessalonica, convocati i Vescovi nel "Concilio di Costantinopoli"
del 381 d.C., fu confermato il precedente Credo niceno del 325 ma ne venne forzato
l'assioma fino a comprendere la Santa Trinit e Maria Vergine madre di Ges Cristo
unigenito.
Nel settembre del 394 d.C., presso l'attuale fiume Isonzo (Friuli), venne ingaggiata la
conclusiva "battaglia del Frigido" che vide l'esercito pagano sconfitto dalle armate cristiane
condotte da Teodosio I il Grande: fu cos sancito il definitivo trionfo del Cattolicesimo.

Una volta insediato Teodosio I come Signore unico dell'Impero Cattolico Romano, l'alto
Clero redasse i nuovi codici biblici, intenzionalmente corredati dei riscontri storici del I
secolo (ricavati dai rotoli giacenti nella bibioteca imperiale) al fine di comprovare la
"sequela christi" iniziata con l'Avvento del "Salvatore" e i suoi successori (Mt 19,21). Alcuni
anni dopo, a spese dello Stato, furono inviati i Clerici nelle Province dell'Impero a
diffondere la "buona novella" manoscritta nei testi nuovi. Al contempo i Vescovi avviarono
la distruzione di tutte le biblioteche private e provinciali, tranne quella imperiale e quella di
Roma, quest'ultima assegnata in propriet alla "Chiesa di Pietro". Non un caso, quindi,
che la datazione dei Codici pi antichi a noi pervenuti, come il Vaticanus e il Sinaiticus, sia
oggi stimata al IV secolo con un metodo paleografico approssimativo; quest'ultimo molto
meno preciso rispetto alle evidenze storiografiche ed ecclesiatiche trasmesse con la
patrologia. Dalla comparazione della Storia con il Credo pervengono un insieme di dati
che evidenziano l'evoluzione adattativa della dottrina cattolica vincente, diversa dalle
precedenti cristiane nella rappresentazione teologica del "Salvatore Universale". Dottrine
cristiane antesignane oggi classificate come "apocrife", "gnostiche" e "pseudo". Infatti, per
uniformare la sostanza e la raffigurazione della nuova divinit si rese obbligatorio
convocare, nel corso del IV secolo, numerosi Concili, sempre cruenti per le feroci vendette
consumate ai danni degli Episcopi perdenti.
Nel VI studio riportiamo la dimostrazione che i vangeli attuali furono trascritti ex novo in
esecuzione del Credo cattolico, definito nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. Una
dottrina alla quale venne aggiunta la "Nativit" di Ges, nei vangeli di Luca e Matteo, allo
scopo di fornire la documentazione teologica utile ai Vescovi per decretare, nel successivo
Concilio di Efeso del 431 d.C., l'ultimo dogma che conclam la SS. Vergine Maria, Madre
di Dio.

Ma gli storici cristiani, diversamente dai loro condottieri militari, si dimostrarono incapaci di
consultare i rotoli dei cronisti imperiali del I secolo. La superficialit con la quale gli scribi di
Dio lessero le passate vicende, utili a prelevare dati e nomi dei personaggi famosi che
dovevano interagire con gli eroi del cristianesimo primitivo, coster molto cara al futuro
potere ecclesiastico. Un potere assoluto che continu anche dopo la disgregazione
dell'Impero Romano... fino ad oggi. Un potere che, alla fine, dovr fare i conti con il
giudizio inappellabile della Storia: la stessa alla quale gli scrivani di Dio affidarono la
"Verit" di Ges Cristo.
Storia, archeologia, filologia, numismatica, geotopografia, sono le discipline cardine della
scienza razionale che ha iniziato a demolire l'oscurantismo superstizioso del
Cristianesimo, come di ogni altro Credo, ad iniziare da quelli fondati sul monoteismo
assoluto. Ma, dal Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., dovranno passare molti secoli
prima che si potesse avviare il processo conclusivo in grado di emettere il verdetto
irrevocabile della Storia contro ogni idolatria.

Gli Apostoli non sono esistiti. Verifica storica

Alfred Loisy, sacerdote cattolico francese (1857 - 1940), teologo esegeta di fama
internazionale, docente di ebraico e Antico Testamento, propugnava la critica storica
scientifica, applicata agli scritti neotestamentari, come primo metodo da seguire per la
ricerca sulle origini del Cristianesimo. Con i suoi studi il biblista contest la storicit della
"Passione e Resurrezione di Cristo" dimostrando, inoltre, che Ges non volle essere il
fondatore di una nuova religione, tanto meno di alcuna Chiesa. L'esegeta cattolico, previa
una corretta analisi filologica, si spinse ad affermare che Ges, storicamente, fu un
"Nazireo", non un "Nazaretano", in quanto appartenente alla setta dei Nazirei, i consacrati
a Dio che fecero voto di mantenere capelli e barba intonsi e astenersi dal bere bevande
inebrianti (lo stesso voto di Sansone e, per i vangeli, di Giovanni
Battista); pertanto l'identificazione intesa come "abitante di Nazareth" non era valida.
In base agli scritti dello storico ebreo dell'epoca, Giuseppe Flavio, i Nazirei erano una setta
di Giudei integralisti nazionalisti, avversari della dominazione pagana sulla terra d'Israele
e, come tali, perseguitati sia dalla aristocrazia sacerdotale opportunista ebraica che dai
Governatori romani o regnanti Erodiani.
L' 8 aprile 1546, il Concilio di Trento decret: Il sacrosanto concilio tridentino ... accoglie
e venera tutti i libri, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, essendo Dio autore di
entrambi. Gli Scritti Sacri di Dio non potevano essere messi in discussione da nessuno,
pertanto, come prevedibile, nel 1908 Loisy venne scomunicato dalla Chiesa Cattolica ... e
ad oggi nulla cambiato: Dio non pu sbagliare ... secondo i credenti.

Un biblista non deve limitarsi a comparare la documentazione evangelica con le


testimonianze dei Padri della Chiesa per scoprire le numerose contraddizioni riscontrate
nei testi dottrinali ad oggi pervenuti, ma il metodo pi proficuo, ai fini dellaccertamento
delle verit o delle falsificazioni, quello di confrontare tali scritti e verificarne la
corrispondenza attraverso analisi critiche pi avanzate. Avvalendoci di informazioni
comprovate contenute nella storiografia,escludiamo, inderogabilmente, l'utilizzo
di qualunque congettura o ipotesi per cercare di "spiegare" determinate vicende
descritte nei vangeli. Solo un presuntuoso sprovveduto pu biasimare i documenti
neotestamentari, fondamento della dottrina cristiana da oltre 1700 anni, limitandosi ad
inventare teorie paradossali su cui costruire futili verit invece di basare le sue analisi su
precise constatazioni di fatti realmente accaduti.

Per contro, anzich disquisire su cosa fecero o dissero Ges, Apostoli e Maria Vergine -
trattandosi di protagonisti oggetto di culto e descritti come autori di gesta, tanto
mirabolanti quanto impossibili - primo dovere dei docenti di Storia del Cristianesimo
quello di accertare che siano esistiti realmente indagando sui personaggi noti dell'epoca
che, secondo i vangeli e la patrologia, risultano aver interagito con i "prodigiosi" Santi.
Personaggi famosi, uomini veri, e per questo rintracciabili nelle fonti trascritte, supportate
da archeologia, filologia, epigrafi, numismatica.
La ricerca critica testuale pu verificare se la narrazione dei rapporti, intercorsi fra i sacri
interpreti della mitologia cristiana con le persone celebri di allora, si dimostra autentica,
falsa o manomessa volutamente.
Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio, Cassio Dione, Plinio il Giovane, Esseni e Zeloti dei
rotoli del Mar Morto, gli scribi patristici e molti altri, quando riportarono le cronache di
allora, inconsapevolmente, hanno tramandato testimonianze, tali, che oggi permettono di
ricostruire gli avvenimenti giudaici di duemila anni addietro e far luce sul vero messianismo
(cristianesimo) primitivo del I secolo che dette origine, in epoca successiva, al mito di
"Ges Cristo".
Al fine di garantire la verificabilit, sar quindi nostro compito fondamentale approfondire
le indagini storiche basandoci unicamente sulle risultanze testuali delle citazioni di
provenienza diretta nonch sulle constatazioni archeologiche, evitando le espressioni
superflue e preoccupandoci pi della chiarezza che dell'eleganza, pur sapendo in anticipo
che il nostro lavoro sar incompleto ma gi di per s con esiti tali da essere attaccato dalla
critica dogmatica con inaudita violenza. Studi che, a onor del vero, pur non essendo
difficoltosi tuttavia richiedono l'impegno necessario per essere assimilati compiutamente.
Previa l'esclusione di una enorme, quanto superflua, bibliografia celebrativa cristiana, la
conoscenza degli eventi lontani,tramite le fonti dellepoca, ci consente di procedere nella
ricerca "dentro" un autentico apparato critico e dimostrare la falsificazione di tutti gli Atti
del Sinedrio di Gerusalemme (il Supremo Tribunale Giudaico) riportati nei Vangeli e in
Atti degli Apostoli (le gesta di "Ges", san Pietro, san Paolo, santo Stefano, ecc.).
Ma l'analisi storiologica va oltre ed in grado di scoprire il motivo delle mistificazioni e
perch lunico Atto del Sinedrio - a noi fatto pervenire nelle opere dello storico Giuseppe
Flavio dalla morte di Erode il Grande sino al 66 d.C. - risulta essere soltanto quello di
Giacomo fratello di Ges detto Cristo ... rivelatosi manomesso dagli scribi cristiani, come
proveremo negli studi seguenti.
Dagli Atti di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il Processo a Ges, non
sarebbe mai risultato che i Giudei osarono scagliare contro se stessi e i propri figli la
maledizione riportata nei Vangeli (Mt 27,25):
E tutto il popolo rispose: il suo sangue (di Ges) ricada sopra di noi e i nostri figli.
Una cronaca descritta da amanuensi talmente catechizzati al punto da far decadere la
veridicit del "processo a Ges" ancor prima che potesse iniziarsi. Infatti, un eminente
sacerdote ebreo come Giuseppe, discendente dai Re Asmonei per parte di madre e da
Sommi Sacerdoti in linea paterna, cos come tutti i Giudei di allora e di oggi, non avrebbe
mai potuto riconoscere verosimile questo paradosso: gli Ebrei, dopo averlo osannato,
fanno crocefiggere il proprio Messia divino e nel contempo si maledicono per leternit.
L'evento, se per assurdo fosse accaduto, sarebbe stato di una tale gravit che lo storico
sacerdote, ligio al proprio credo, l'avrebbe riferito nelle sue cronache, poich, poco prima
della distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera del condottiero romano Tito (figlio
dell'Imperatore Vespasiano), fu autorizzato a recuperare gli Atti del Sinedrio e tutti i
documenti conservati negli Archivi Pubblici (fatto che dimostreremo pi avanti).
La mancata citazione di ulteriori Atti del Sinedrio, da parte dello storico, ci porta ad
indagare sugli Atti degli Apostoli e sui Vangeli perch quanto viene riferito in
questi manoscritti, in ultima analisi, avremmo dovuto trovarlo negli Atti di un vero Sinedrio
e riportati dall'ebreo nel XVIII Libro delle sue Antichit Giudaiche: l'epoca di Ges.
E grazie alla storia che possiamo dimostrare linsussistenza degli Apostoli, pertanto,
apriamo il sacro testo, redatto dallevangelista Luca che ne descrive le imprese
miracolose, e diamo inizio al confronto tra il mito teologale della "Salvezza per la Vita
Eterna" con ... il razionalismo storico.

Parte I

Atti degli Apostoli


Dopo lascensione in cielo di Ges, gli Apostoli, rimasti nella Citt Santa, danno inizio alla
diffusione della dottrina predicata da Cristo. Sotto il portico di Salomone e nelle piazze,
emulando il loro Maestro, si esibiscono in guarigioni straordinarie, esaltano il popolo e
attirano le folle delle citt vicine che accorrevano, portando malati e persone tormentate
da spiriti immondi e tutti venivano guariti. Il Sommo Sacerdote e i Sadducei, pieni di
livore, li fanno arrestare con laccusa di aver predicato in nome di costui (Ges Cristo)
e, convocato il Sinedrio di Gerusalemme, il massimo Tribunale giudaico, avviano latto
processuale minacciando di metterli a morte (At 5,12-33):
Si alz allora nel Sinedrio un fariseo, di nome Gamalile, Dottore della legge, stimato
presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati, disse:
Uomini di Israele, badate bene a ci che state per fare contro questi uomini (gli Apostoli).
Qualche tempo fa venne Theudas, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono
circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quanti serano lasciati persuadere da lui si
dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del
censimento, e indusse molta gente a seguirlo, maanchegli per e quanti serano lasciati
persuadere da lui furono dispersi. Per quanto riguarda il caso presente, ecco ci che vi
dico: Non occupatevi di questi uomini (gli Apostoli) e lasciateli andare. Se infatti questa
teoria o questa attivit(Cristianesimo) di origine umana, verr distrutta (come avvenuto a
Theudas e Giuda il Galileo); ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi
accada di trovarvi a combattere contro Dio!. Seguirono il suo parere e li rimisero in
libert (At 5,34-40).
Tutti i personaggi descritti nel brano sono realmente esistiti allepoca, anche il sacerdote
Gamalile il cui figlio diverr Sommo Sacerdote del Tempio nel 63 d.C. (Ant. XX 213);
ma, dopo attento esame, la prima considerazione da fare che questo evento, se fosse
veramente accaduto, si verificato quando il Re dei Giudei, Erode Agrippa I, era ancora
vivo nella sua reggia in Gerusalemme.
Infatti, al momento del sermone di Gamalile sono vivi tutti gli Apostoli e fra questi, oltre
a Simone Pietro, ancheGiacomo il Maggiore il quale, secondo levangelista (At
12,1), verr ucciso dallo stesso Re Agrippa (che regn sulla Giudea dal 41 al 44
d.C.) prima di morire (44 d.C.). Seguiamo ora gli eventi accaduti in Giudea poco dopo la
passione di Ges e descritti da Giuseppe Flavio nei resoconti storici del Libro XX
di Antichit Giudaiche (versi 97/102):
97. Durante il periodo in cui Fado era Procuratore della Giudea (44-46 d.C.), un
certo sobillatore di nome Theudas persuase la maggior parte della folla a prendere le
proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un Profeta al cui
comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito. Con questa
affermazione ingann molti.
98. Fado per non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e invi contro di essi
uno squadrone di cavalleria che piomb inaspettatamente contro di essi uccidendone molti
e facendone altri prigionieri; lo stesso Theudas fu catturato, gli mozzarono la testa e la
portarono a Gerusalemme.
99. Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era Procuratore
Cuspio Fado (44 46 d.C.).
100. Il successore di Fado fu Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), figlio di
quellAlessandro che era stato Alabarca in Alessandria.
101. Fu sotto lamministrazione di Tiberio Alessandro che in Giudea avvenne una grave
carestia durante la quale la Regina Elena compr grano dallEgitto con una grande
quantit di denaro e lo distribu ai bisognosi, come ho detto sopra.
102. Oltre a ci, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono sottoposti a
processo e per ordine di Alessandrovennero crocefissi; questi era il Giuda che - come
ho spiegato sopra - aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirinio
faceva il censimento in Giudea.
Tali avvenimenti, separati fra loro da due o tre anni, sono la prova che il sacerdote
Gamalile non ha mai potuto pronunciare nel Sinedrio il discorso a difesa degli
Apostoli perch in quello stesso momento il ProfetaTheudas era vivo. Infatti,
facendo attenzione alle date, seguiamo la storia di Giuseppe Flavio:
- nel 44 d.C. muore Re Erode Agrippa I ma, essendo il figlio troppo giovane per governare
un Protettorato romano, lImperatore Claudio decide di ricostituire la Provincia imperiale di
Giudea, Samaria, Idumea, Galilea e Perea; pertanto
- nel 44 d.C. gli fa subentrare, come Governatore della Provincia, il Procuratore Cuspio
Fado che durante il suo incarico (44-46 d.C.) fa uccidere Theudas, la cui testa viene
portata ed esibita in Gerusalemme come monito rivolto a chi volesse seguire il suo
esempio;
- nel 46 d.C. il Procuratore Tiberio Alessandro sostituisce Cuspio Fado e, nel corso del suo
mandato (46/48 d.C.), dopo un processo, d lordine di crocifiggere Giacomo e Simone,
due figli di Giuda il Galileo, quest'ultimo gi fondatore e capo del Movimento Nazionalista
Giudaico anti romano.
Pertanto, allinterno del Sinedrio convocato in seduta deliberante per decidere sulla sorte
dei dodici Apostoli, da quanto abbiamo letto in Atti, come ha potuto levangelista Luca
far dire a Gamalile che Theudas era gi mortoquando Erode Agrippa era ancora
vivo ... e Cuspio Fado (che avrebbe poi ucciso Theudas), non era ancora subentrato
ad Agrippa?
Noi abbiamo constatato, semplicemente, che quel discorso era falso: Gamalile non pot
farlo perch Re Erode Agrippa e Theudas erano ancora vivi entrambi. Fu scritto, in
epoca successiva ai fatti reali, da uno scriba cristiano con lo pseudonimo Luca che lo
mise in bocca a Gamalile, importante membro del Sinedrio vissuto realmente, per
discolpare, in un processo del Tribunale giudaico, gli Apostoli arrestati (fra cui Simone e
Giacomo), dallaccusa di istigazione uguale a quella di Theudas, Giuda il Galileo e i suoi
figli Giacomo e Simone; accusa che comportava la pena di morte da parte dei Romani.
Ma, poich il discorso era (ed ) una assurdit evidente che non fu fatto, pertanto
era falso sia larresto che lassoluzione, perci, a quella data, nessuno degli Apostoli
era stato arrestato.
Al contrario, al verso 102, come sopra abbiamo letto in Antichit, sia Giacomo che
Simone, figli di Giuda il Galileo, furono sottoposti a processo e fatti giustiziare: quindi
colpevoli e non pi latitanti (nel 46/48 d.C., dopo la morte di Erode Agrippa).
Contrariamente a quanto evidenziavano le vicende concrete, il vero scopo di san Luca era
far apparire ai posteri che il Sinedrio aveva assolto gli Apostoli, fra cui Giacomo e
Simone, dallaccusa, cos come articolata in ipotesi da Gamalile, di essere equiparati ai
Profeti rivoluzionari quali, Giuda il Galileo, i suoi figli Giacomo e Simone, e il Profeta
Theudas. Imputazione, come abbiamo visto, fatta "smontare" da un Gamalile che, nella
realt, non avrebbe potuto prevedere la morte improvvisa di Re Agrippa I, n l'incarico del
Procuratore Cuspio Fado, n che questi avrebbe poi ucciso Theudas.
Tale Atto del Sinedrio, inventato e riportato in Atti degli Apostoli, convocato mentre
Erode Agrippa era ancora vivo, una falsificazione mirata a fugare ogni dubbio sulla
condotta zelota degli Apostoli, dissociandoli dai sobillatori Theudas e Giuda il Galileo, e
ad introdurre laltra menzogna correlata alla persecuzione dei successori di Cristo da parte
di Agrippa: la fuga dal carcere di Simone Pietro per l'intervento di un angelo di Dio (sic!
At 12,7) nonch luccisione di Giacomo, falsamente addebitata al Re da levangelista
impostore.
Risultato: un falso Atto del Sinedrio non poteva che essere nullo, pertanto la sua datazione
e il suo scopo erano e sono nulli. Ne consegue che introdurre in Atti degli Apostoli un
finto Atto del Sinedrio di Gerusalemme, il Supremo Consiglio del Sommo Sacerdote del
Tempio, con funzioni giudiziarie e amministrative (pur se asservito al potere imperiale di
Roma), operante nel I secolo, un reato cui si deve rispondere di fronte alla storia.
Luca non si sbagli ma si vide costretto ad inventare questo "Atto del Sinedrio" perch
voleva impedire la identificazione di un apostolo con lo stesso nome di uno dei fratelli di
Ges. Inoltre doveva nascondere la relazione che intercorreva fra gli altri apostoli (con
l'identico appellativo dei restanti fratelli di Cristo) e Giuda il Galileo, un famosocapo della
rivolta popolare giudaica iniziatasi il 6 d.C. contro la dominazione di Roma. A tale scopo
cit Gamalile, un noto fariseo Dottore della Legge (ricordato pi volte da Giuseppe Flavio
ma defunto molte generazioni prima dello scriba "lucano"), per fargli testimoniare il falso
sia su Theudas che su Giuda il Galileo, facendo risultare che quest'ultimomor prima del
Profeta - grazie all'affermazione riferita nel brano descritto "dopo di lui (Theudas) sorse
Giuda" - col preciso intento di impedire a chiunque di sapere che il Profeta era uno dei
figli rivoluzionari di Giuda, il capo degli Zeloti ormai morto da tempo, e infine
comprendere il vincolo parentale, con il dirompente nesso, derivante
dallacorrispondenza tra i nomi dei fratelli di Ges e quelli dei figli del Capo
degli Zeloti.
Oltre a fungere da "testimonianza", fu spacciato per vero un "giudizio" di assoluzione
emesso nel corso di un"processo", istruito appositamente nell'ambito del
Sinedrio, poich lo scriba redattore di "Atti" aveva letto "Antichit Giudaiche" di Giuseppe
Flavio ed al verso 102, come abbiamo visto sopra, riferito che "Giacomo e Simone, figli
di Giuda il Galileo, furono sottoposti a processo".
Pertanto, l'astuto evangelista celebr un finto "contro processo" apposta per
diversificare gli eventi ed impedirne la sovrapposizione grazie alla "assoluzione" degli
apostoli Giacomo e Simone; in contrasto agli omonimi Zeloti, Giacomo e Simone, i quali,
viceversa, furono condannati alla crocefissione. Lo scriba cristiano, infatti, sapeva che
entrambi gli apostoli erano anch'essi "Zeloti" ... e fra poco lo verificheremo anche noi.
Uno studioso che, seguendo la narrazione dello storico ebreo, giunge ai paragrafi dal 97 al
102 del XX Libro di Antichit, laddove si parla di Theudas e di Giacomo e Simone, i due
figli di Giuda il Galileo, si rende conto che sono versi manomessi e il 101
addirittura interpolato per intero, ossia incollato in quel punto del Libro.
Esso si richiama ad una gravissima, luttuosa, carestia che afflisse i Giudei, gi descritta
dettagliatamente dallebreo qualche capitolo prima, la cui datazione era vitale per la
dottrina cristiana: avrebbe permesso di individuare lanno in cui fu
giustiziato Ges, le cause e il contesto storico che provoc l'evento.
Nell'argomento X dimostriamo la falsificazione della carestia riportata anche in "Atti degli
Apostoli" e in "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea.
Ma procediamo per gradi e ritorniamo al testo di Giuseppe Flavio sopra riportato di (Ant.
XX 97/102) sottoponendolo ad una analisi filologica. Notiamo che Giacomo e
Simone erano due veri appellativi giudaici indicati col patronimico,
mentre "Theudas" non era un nome bens un attributo che nel greco antico (koin)
voleva dire Luce di Dio.
Esso rende lidea di una traduzione corretta dall'aramaico (Giuseppe scrisse le sue opere
in tale idioma poi ne cur la versione in greco) ma non accompagnato dal nome
proprio n da quello del padre quindi non identificabile come dato storico da tramandare
ai posteri; pur essendo evidente che si trattava di una persona importantissima se i
Romani portarono la sua testa, nientemeno, dal fiume Giordano sino a Gerusalemme per
esibirla alla popolazione come mnito.Lanomalia di questo attributo senza nome e
senza patronimico condivisa sia in Atti degli Apostoli (lo abbiamo visto col discorso di
Gamalile) che dal Vescovo Eusebio di Cesarea (IV sec. d.C.), il quale, unico storico
oltre all'ebreo, riporta l'episodio esattamente come lo abbiamo letto sopra nella sua
Historia Ecclesiastica (Libro II cap. 3,11) identificando il Theudas di "Atti" con quello di
"Antichit"; e questo importante dato, gi da solo, ci consente di accertare chi fu il primo
falsario cristiano a capire quanto fosse dirompente per la sua dottrina il vero nome di
Theudas.
Grazie alla carica di rilievo e allinfluenza che esercit sullImperatore Costantino e la sua
Corte, Eusebio fu il primo cristiano ad aver la possibilit di accedere agli Archivi Imperiali
e visionare gli scritti di Giuseppe Flavio reinterpretandoli nella sua "Historia" allo scopo di
impedire l'identificazione dei veri protagonisti evangelici.

Fra le centinaia di appellativi giudaici dell'epoca, con il patronimico aggiunto


obbligatoriamente al nome proprio per identificare le persone, l'unico da eliminarsi era
quello di Giuda il Galileo. Qualsiasi altro sarebbe stato lasciato nella cronaca ... tranne
quello del fondatore, il 6 d.C., della "quarta filosofia zelota" (cos la chiam lo storico),
nazionalista rivoluzionaria, che propugnava l'uso della forza per liberare la terra d'Israele
dall'occupazione romana ed eliminare le caste sacerdotali, opportuniste corrotte, cos
come quelle dei ricchi privilegiati ebrei.
I copisti amanuensi cristiani non potevano lasciare intatte, in un documento
storico, descrizioni di vicende che, una dopo l'altra, vedevano come protagonisti tre
uomini, giustiziati dai Governatori imperiali, con i nomi corrispondenti a quelli di tre fratelli
di Ges (stiamo per verificarlo), per di pi risultanti figli di colui che fu Capo degli Zeloti;
ergo feceropassare il titolo "Theudas" come se fosse un nome, dopo aver cancellato
quello vero, ma, senza rendersene conto, firmarono la contraffazione con le proprie mani
quando scrissero "sobillatore di nome Theudas"* nel testo originale greco. Basta
rileggere i brani storici su riportati per verificare che l'ebreo Giuseppe Flavio ha citato i
diversi protagonisti direttamente col rispettivo appellativo, senza mai specificare "di
nome": sarebbe stato superfluo in quanto gi "nomi". La necessit di evidenziare un
attributivo come "nome" dipese proprio dal fatto che non lo era.

* Il lemma originale giudaico, che Giuseppe Flavio tradusse in greco con "Luce di Dio", era
scritto "Uriel"

Nessun giudeo dell'epoca si chiamava cos perch nella mitologia ebraica (cfr Bellum V
388) era l'angelo che, con la spada fiammeggiante di Dio, fece strage (185.000 uomini) di
Assiri: l'intero esercito di Re Sennacherib il quale, dopo aver invaso il regno di Giuda,
teneva sotto assedio Gerusalemme. Non fu un caso se il sedicente profeta Giuda
"Theudas" adott come soprannome un titolo divino che per quella gente personificava la
suprema giustizia vendicativa di Yahweh contro gli aggressori della Terra Promessa al
Suo popolo. Il santo appellativo calzava perfettamente con gli intenti degli Zeloti ... ma
Cuspio Fado non era un seguace del Credo israelita e, abbiamo letto, "Uriel" non lo
impression affatto.
Del resto, la leggenda semita un adattamento in chiave religiosa di un verosimile
episodio bellico, accaduto nel 701 a.C., testimoniato da una tavoletta d'argilla trovata nel
palazzo reale di Ninive e conservata presso il British Museum di Londra. In essa si riporta,
pi realisticamente, che "i capi dei Giudei pagarono 30 talenti d'oro e 800 d'argento oltre
un immenso bottino" al Re Sennacherib per togliere l'assedio a Gerusalemme. V da s
che le gesta dei "santi" eroi dell'Antico Testamento sono semplici leggende alla pari degli
altri miti.

Riguardo a Giacomo e Simone rileviamo che manca la motivazione per cui, una volta
processati, furono condannati alla crocefissione; non era infatti sufficiente la semplice
discendenza da Giuda il Galileo, come imputazione, perch si sarebbe violata la legge
romana (innanzitutto) e quella ebraica. Tanto pi la prassi voluta dal diritto romano
imponeva l'iscrizione del reato su di un cartello appeso al collo del giustiziato e l'evento
successe quando Giuseppe Flavio aveva dieci anni. Inoltre, dal modo estemporaneo con il
quale viene introdotto il par. 102 (basta rileggerlo) risulta chiaro che lo storico ebreo ha gi
parlato in un precedente passo delle gesta di entrambi gli Zeloti poich vengono citati
come fossero gi conosciuti.
La motivazione della discendenza, peraltro, sarebbe valsa subito anche per "Menahem", il
cui vero nome, lo dimostreremo, era Giuseppe, ultimo figlio di Giuda e fratello minore di
Ges "Jesha", il quale morir molto tempo dopo in circostanze precise ma non a causa
della discendenza dal fondatore dello zelotismo. Giuseppe non poteva risultare fra
gli "Apostoli" perch, all'epoca di "Ges" adulto, era troppo giovane per essere
riconosciuto capo carismatico in grado, con le sue profezie, di trascinare uomini disposti a
rischiare la vita per un ideale nazional religioso.

Lo stesso vale anche per Theudas: il semplice fatto che sobillasse i suoi seguaci ad
attraversare il Giordano per i Romani non aveva alcuna importanza, perci anche questo
dimostra che la notizia originale stata successivamente
mutilata da scribi copisti, come l'altra riguardante Giacomo e Simone. Ma perch
levangelista Luca era talmente interessato a lui al punto di farlo dichiarare morto, da
Gamalile, anteriormente a Giuda il Galileo? Semplice: conosceva chi fosse realmente
perch aveva letto Antichit Giudaiche prima che venissero censurate dagli amanuensi
e, cos come vi trov scritto che i seguaci del Profeta erano quattrocento*, al
contempo seppe che era figlio di Giuda il Galileo, ma, facendo risultare che muore
prima di lui, egli non potr mai essere identificato come suo figlio.

* Lo scriba falsario commise l'ingenuit di riportare questo dato storico preciso in "Atti degli
Apostoli", pur essendo destinato ad essere modificato in "Antichit". Uno "squadrone di
cavalleria" romana consisteva di 120 cavalieri, i quali, ben addestrati ed equipaggiati con
armamento pesante, piombarono sugli Zeloti ed il suo capo massacrandoli agevolmente.

La lettura comparata fra i vangeli con le fonti storiografiche dell'epoca ci consentir,


procedendo nello studio, di individuare nel famoso Capo Zelota il reale padre di "Jesha".
Ma non basta, la verit definitivamente venuta a galla con la scoperta di Gmala, la citt
di Giuda il Galileo, un potente Dottore della Legge (Rabbino) che rivendicava il diritto a
divenire Re dei Giudei, come riferito da Giuseppe Flavio (Ant. XVII 272).
Le analisi appena fatte vengono confermate dalla realt archeologica nonch
dalla descrizione di Gmala dello storico ebreo la quale corrisponde esattamente alla
narrazione dettagliata di Nazaret che ritroviamo in tutti i vangeli; al contrario, la citt
attuale di Nazaret non ha nulla che coincida con la sua esposizione riferita in tali
documenti.
Si pu prendere visione della dimostrazione pubblicata nella ricerca successiva.

Parte II

Grazie a questi studi si sta evidenziando una realt storica in contrasto con la nuova
teologia, il cristianesimo come lo conosciamo oggi, evolutosi da una dottrina primitiva filo
giudaica zelota che postulava una figura diversa di Messia ... e i primi ad esserne
consapevoli, ovviamente, furono gli stessi "Padri" creatori della religione riformata.
Ecco perch levangelista sapeva che il nome del Profeta Theudas era Giuda, ma in
Atti lo chiam qualcuno per evitare che lattributo Profeta potesse essere collegato ad
Apostolo. Allora diamo unocchiata agli Apostoli.

Nominativi e qualifiche degli Apostoli nei vangeli canonici


* Il vangelo di Giovanni, come concorda la maggioranza dei biblisti, era gi concluso al
verso 30 del 20 capitolo, e in esso non risultano mai i due apostoli Giovanni e
Giacomo. Soltanto nel 21 e ultimo cap. (Gv 21,2), aggiunto in epoca posteriore, dopo la
resurrezione di Cristo leggiamo: "...i figli di Zebedo..." e basta. L'apostolo "Giovanni" non
compare mai nel vangelo di Giovanni col risultato che "Giovanni" non conosce se
stesso, neanche come apostolo, da qui la necessit di aggiungere un secondo finale, al
verso 25 del cap. 21, ottenendo un doppione del precedente.
Come dimostreremo con le prossime analisi, il nome "Giovanni" non appare perch Lui il
Messia, "coperto" da un avatar inventato, lasciato senza nome, con l'intento di farlo
sopravvivere alla sua morte: "il discepolo che Ges amava".

Nella tabella constatiamo che l'apostolo Taddeo, "Taddaios" (in greco) "Thaddaeus" (in
latino), presente solo nei vangeli di Marco e Matteo ma, nelle rispettive lingue, era un
nome inesistente nel I secolo; inoltre la loro similitudine poteva costituire una guida utile
agli storici nel ricercare una corrispondenza con "Theudas" e, dopo averla intuita,
sovrapporre il Profeta giudeo all'apostolo cristiano. Consapevole del rischio, nella tabella
osserviamo che Luca ignora di proposito la scelta dei Dodici voluta da Cristo, secondo
Matteo e Marco, e chiama Thaddaeus (Theudas) col suo vero nome:Giuda di
Giacomo.

Giuda di Giacomo. Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune
donne e con Maria, la madre di Ges e con i suoi fratelli (At 1,13-14).

Il brano lucano, riferito a "Giuda di Giacomo", non indica relazione di parentela, sebbene,
nella "Lettera di Giuda" (1,1) lo stesso apostolo si definisca "fratello di Giacomo". E'
questa "fratellanza", inaccettabile dalla propria dottrina, il vero motivo per cui la Chiesa
oggi "dubita della sua autenticit", accampando ragioni diverse ma pretestuose, seppure
in "Atti" si parli di pi fratelli di "Ges" sempre vivi dopo la sua crocefissione. Essa ha
scelto recentemente, fra i tanti codici manoscritti in Suo possesso, quelli che
riportano "Giuda figlio di Giacomo", fingendo di ignorare che altri amanuensi
"testimoniarono" sul Codice Sinaitico "Giuda fratello di Giacomo" e, al contempo, fratello
di "Ges", stando al vangelo (in seguito epurato), letto nel IV secolo dal Vescovo Eusebio
di Cesarea, in base al quale il prelato dichiar nella sua "Historia Ecclesiastica"
(3,20): "Giuda, detto fratello del Signore secondo la carne", confermato nel 392 d.C.
da san Girolamo in "De viris illustribus" al cap. IV dedicato a Giuda apostolo.
Testimonianze significative - ma pericolose per "l'Immacolata Concezione" unigenita della
Madonna, Madre di Dio* - da smentire con forzature tipo quella del vangelo di Giovanni
(Gv 6,71), ove spunta fuori un "Giuda, figlio di Simone Iscariota" col risultato che anche
suo fratello Giacomo sarebbe figlio di Simone Iscariota, contraddicendo cos la diversa
paternit di due "Giacomo" apostoli, riportata dagli altri evangelisti: Giacomo il Minore,
figlio di Alfeo (Lc 6,15) e Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo (Mc 4,21).
Fra poco capiremo bene il movente che indusse i copisti cristiani a manomettere l'identit
di questi "Giuda".

* La "Vergine Maria", sar considerata "Madre di Dio" (Theotkos - Lc 1,43) nel Concilio di
Efeso del 431 d.C. con delibera imposta da san Cirillo; un secolo dopo la morte di Eusebio
di Cesarea.

Alcuni codici anzich "Taddaios" (Taddeo) riportano "Lebbaios" (Lebbeo), altri fondono,
senza alcun senso in quanto diverse, le due designazioni in "Lebbeo soprannominato
Taddeo", o viceversa. Fin qui si dimostra solo l'esigenza di modificare "san Taddeo"
allontanadolo da un "Thaddaeus" troppo simile al vero "Theudas".
Ma la ricerca chiarisce definitivamente queste manomissioni quando in manoscritti vetero
latini, a loro volta ripresi da vangeli greci arcaici, leggiamo che "Thaddaeus" chiamato
"Giuda Zelota", come risulta nei codici contrassegnati secondo l'ordine dello "Apparato
Biblico" nelle versioni vetus latinae "a,b,g,h,q": a= vercellensis; b= veronensis; g=
sangermanensis (Paris); h= claromontanus (Clermont); q= monacensis (Monaco).
Quello che oggi viene definito come "Apparato Critico Biblico" consisteva di un elevato
numero di vangeli, modificati ripetutamente sin dall'inizio, tradotti molti secoli addietro dal
greco e trascritti in latino per essere diffusi in Europa, durante e in seguito la
disgregazione dell'Impero Romano, allo scopo di soppiantare le credenze religiose
autctone illudendo quei popoli con la promessa della resurrezione dopo morti.
Stabilito che "Thaddaeus" nella realt era "Theudas" - dal significato "Luce di Dio", un
titolo riconosciuto ad un sedicente Profeta di nome Giuda - ritornando al "Giacomo" su
richiamato, notiamo che Luca in "Atti degli Apostoli" non sente il dovere di specificare a
quale Giacomo si riferisce, dei due che nomina in tale documento, e ci significa che in
origine cera un solo Giacomo.
Infatti in "Atti" non vediamo mai questi due "Giacomo" interagire affiancati e, fatto
gravissimo, non viene riportato il"martirio" di Giacomo il Minore (il secondo): ne
accertiamo la causa tramite apposita successiva indagine in cui si dimostra linesistenza di
Giacomo detto il Minore o il Giusto. Infine, cadendo nel banale come abbiamo appena
visto con Giuda, i vangeli accreditano anche questo Giacomo di troppe paternit (Alfeo,
Clopa, Zebedeo e Cleofa) per poter essere giustificato storicamente come persona reale.
Procediamo con l'analisi testuale evidenziando che Taddeo, ovvero Taddaios in greco e
Thaddaeus in latino, erano nomi inesistenti in quelle lingue nel I secolo (verificare
consultando i rispettivi vocabolari); furono traslazioni volutamente errate da un idioma
allaltro per impedire lidentificazione dell'apostolo "Thaddaeus" col "Profeta Theudas" di
nome Giuda, fratello di Giacomo, a sua volta fratello di Giovanni e di Simone, chiamati
anche Boanerghs. O meglio, se leggiamo linsieme dei fratelli riportati nei Vangeli,
risulta:
Non costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses (Giuseppe),
di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi? (Mc 6,3);
Non forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi
fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone eGiuda? E le sue sorelle non sono tutte fra
noi? (Mt 13,55-56).
Sono tutti nomi di stretta tradizione giudaica ai quali manca Giovanni (uno
dei "boanerghs"), indicato con costui perch, come stiamo per rilevare, lui il soggetto
di cui parlano i Giudei. Se fosse stato un qualsiasi ebreo di nome Ges (Jesha) lo
avrebbero chiamato in questo modo, senza problemi, come per i suoi fratelli;
inoltre,violazione gravissima al costume giudaico, non viene identificato con il
patronimico bens col nome della madre: evidente che, oltre il Suo, non doveva risultare
neanche il nome del padre. Se i passi di Marco e Matteo li avesse scritti un
vero testimone ebreo avrebbe riferito cos:
Non Ges, figlio di (bar) Giuseppe il carpentiere, il fratello di Giacomo, Giuseppe, di
Giuda e di Simone?.
Come sopra abbiamo visto, Giuda il Galileo era padre di Simone e Giacomo ma, essendo
quest'ultimo fratello di Giuda Thaddaeus (vedi tabella), ovvero Giuda Theudas, ci
significa che Giuda il Galileo era anche suo padre.
Poich Giuda il Galileo fu capo degli Zeloti, il movimento ebraico estremista violento, gli
evangelisti hanno dovuto individuare i fratelli di Ges con il matronimico anzich col vero
nome del genitore.

Lo scriba cristiano, altrnde, non poteva far nominare Ges ai Giudei in quanto "Jesha"
inteso nei vangeli come "Salvatore Divino", quindi non riconosciuto da Ebrei in "Attesa"
del loro Messia Salvatore, al contrario degli evangelisti che hanno creduto nel Suo
"Avvento" in epoca storica successiva. Invero, se fosse stato il "Ges Cristo"
mirabile, come ci stato inculcato oggi, i suoi paesani non l'avrebbero certo indicato come
un semplice "carpentiere". Infine, il primo a non chiamarsi mai "Ges" fu proprio Lui: in
nessun vangelo Cristo afferma di chiamarsi "Ges", ecco perch non poteva essere il
Suo vero nome (la analisi sul doppio significato del nome "Ges" pubblicata nel XIII
argomento).
E' doveroso evidenziare che nel "Novum Testamentum Graece et Latine", A. Merk - Roma
- Pontificio Istituto Biblico, anno 1933, in una nota a fondo pagina, il curatore, sacerdote
gesuita Agostino Merk, rifer che alcuni codici latini - classificati, D R (Epm E Q) ed altri
greci classificati, S D 565 1424 1207 MUss 472 280 Ass Vr , risalenti al IX secolo - nel
brano ora citato di Matteo (Mt 13,55-56) tra i fratelli, figli di Maria, presente
anche "Iohannes" "I"
(Giovanni). Tali codici, da secoli utilizzati per indottrinare i popoli europei, sono stati
contrassegnati con un asterisco (*) a significare che "non sono attendibili". Ecco perch.
I lettori si saranno gi resi conto del motivo per cui gli ecclesiatici della "Divina
Provvidenza", vere eminenze grigie nascoste, furono costretti a fare una cernita fra i
manoscritti per eliminare quelli che includevano Giovanni dall'insieme dei figli di
Maria. Gli esegeti avevano scoperto che bastava sottrarre dal totale dei figli di Maria,
riferito nei codici "non attendibili" di Matteo, l'insieme dei fratelli citati nel vangelo di Marco
(che indica "Ges" con "costui"), per capire che "Ges" (il cui vero significato
"Salvatore") era Giovanni. Gli scribi cristiani del vangelo di Matteo sapevano che
Giovanni era uno dei figli di Maria in base alla lettura del vangelo di Giovanni:
Ges allora, vedendo la madre e l accanto a lei il discepolo che Egli amava (Giovanni),
disse alla madre: donna,ecco tuo figlio!. Poi disse al discepolo:Ecco tua
madre!... (Gv 19,26).
Al fine di impedire l'identificazione di Giovanni con "Ges", gli amanuensi decisero di
depistare i credenti dando alla madre di Giovanni il nome composto "Maria Salome",
laddove "Salome" derivato dall'ebraico "Shalom" che significa "pace"; a questo punto
non restava che assegnare a Giovanni un nuovo padre chiamato "Zebedeo" ed un solo
fratello: Giacomo. Cos facendo gli scribi separarono volutamente un significativo e
pericoloso insieme dei fratelli ma, di "Giacomo", fra gli apostoli, ve ne sono due: Giacomo
il Maggiore e Giacomo il Minore.
Il problema, ancora irrisolto per la Chiesa, riguarda la fine di Giacomo il Minore, il
martirio del quale non riportato in "Atti"; un aspetto gravissimo che depone a sfavore
delle testimonianze di tutti gli evangelisti i quali avrebbero dovuto distinguerli ... se fossero
esistiti due "Giacomo".
Come attestato da Eusebio di Cesarea, il vangelo originale di Matteo era scritto in
aramaico e, fra i tanti vangeli di "Matteo" tradotti in greco, la decisione di scartare quelli
che, ancora oggi, contengono l'informazione completa sulla totalit dei fratelli - figli di
Maria e moglie di un "carpentiere" non identificabile - fu ed un'azione mirata ad impedire
la conoscenza di fatti realmente accaduti che vedevano Zeloti, con i medesimi nomi dei
fratelli di "Ges", agire nella stessa epoca contro il dominio pagano di Roma sulla terra di
Israele.
Bisognava evitare il rischio che qualche storico curioso facesse ricerche pervenendo
a risultati definitivi tanto veritieri quanto pericolosi per la dottrina cristiana, derivata da
quella giudeo messianica riformata, poich gli esegeti del Clero sapevano, e sanno, quali
erano le testimonianze riferite nella storia: le stesse che, ancora oggi, siamo in grado di
rinvenire progredendo negli studi avvalendoci della stessa metodologia applicata a
Theudas.

Parte III
Si tratta di testimonianze riguardanti la vita e la morte di cinque uomini, con i nomi dei
fratelli di "Ges", uguali a quelli dei figli di Giuda il Galileo. Uomini che lottarono, sino
al martirio, per l'ideale in cui credettero.
Questi fratelli furono separati, in altri brani evangelici, volutamente - ma in modo talmente
scoordinato al punto da dimostrarne le manomissioni - ed assegnati a padri inesistenti
sposati a svariate "Marie", fra cui una addirittura citata come "sorella della madre di
Ges", col suo stesso nome "Maria moglie di Cleofa":

"Presso la croce di Ges stavano sua madre (Maria) e la sorella di sua madre, Maria di
Cleofa, e Maria di Mgdala" (Gv 19,25).

Tranne la "Maddalena", queste "Marie" (sono 6 nei Vangeli e in "Atti") risultano avere tutte
figli con nomi (quelli di stretta osservanza giudaica) uguali fra loro, e uguali a quelli dei figli
di Giuda, il potente Dottore della Legge, Signore di Gmala ... e fra poco lo accerteremo.

Per quanto concerne il mancato patronimico di (san) "Giuseppe", questi non esisteva nei
vangeli primitivi ma lo troviamo solo nella finta "Nativit" e nel brano di Luca "... non figlio
di Giuseppe?" (Lc 4,22): un interrogativo sciocco posto da paesani che avrebbero
sicuramente saputo chi fosse il padre di "Ges" dal momento che ne conoscevano la
madre; infatti l'amanuense non fece rispondere "Ges" a questa domanda per evitarGli di
mentire.
Gli scribi cristiani erano consapevoli che rivelando il vero padre di "Ges", Giuda il Galileo,
fondatore del movimento nazionalista rivoluzionario degli Zeloti, non avrebbero potuto
giustificare la dottrina della salvezza dell'Agnus Dei.
Il mito del condottiero davidico, Salvatore del popolo di Israele dal dominio
pagano, si evolse, successivamente, in un Messia universale estraneo all'integralismo
ebraico violento, e fu proposto come docile "Agnello di Dio" da sacrificarsi a modo di
una "Hostia" pagana, offerta - tramite il "prodigio" della transunstanziazione* creato in una
frazione di pane -
quale pasto teofagico per la "vita eterna" degli adepti fra gli stessi "Gentili" convertiti. In
contrasto con la nuova dottrina cristiana riguardante le gesta dei reali protagonisti, ebrei
zeloti e martiri ... quel mito doveva essere modificato.
* Secondo i Cattolici e buona parte degli Ortodossi, cio quasi tutta la cristianit:
conversione della "Hostia" latina "vittima sacrificata alla divinit", nel corpo e nel sangue di
Ges Cristo presente nell'Eucaristia. Dai Cattolici contenuto in un sottile disco di farina
impastata, per gli Ortodossi in una frazione di pane intriso di vino.

Il rituale eucaristico con l'offerta del proprio corpo e sangue fu istituito da Cristo nell'ultima
cena. Ma, a nessun Profeta dell'Antico Testamento, Dio "Yahweh" aveva mai "rivelato"
l'Avvento di un Messia che si sarebbe fatto sacrificare e dividere in tante particole da far
inghiottire ai "beati poveri di spirito" per la loro "salvezza eterna". Siamo di fronte
all'innesto di un rituale pagano nella religione ebraica tramite la riforma del leggendario,
ancestrale, Messia davidico.
Ormai in contrasto con la nuova dottrina cristiana in conseguenza delle gesta dei veri
protagonisti, martiri zeloti per la causa giudaica, quel mito doveva essere modificato.
Infatti, come si pu dimostrare col dettagliato esame pubblicato pi avanti, anche
le difformi "Nativit di Ges" furono riprese dalle "Immacolate Concezioni" politeiste dei
Semidei orientali - inventando cos "san Giuseppe, Maria Vergine e Ges bambino" - ed
aggiunte nei soli vangeli di Luca e Matteo in un periodo successivo.

I nomi dei fratelli corrispondono a quelli di alcuni apostoli ai quali manca Giuseppe
poich, ripetiamo, ultimo di loro era ancora troppo giovane allepoca di Ges per
essere riconosciuto, come Profeta condottiero, da uomini pronti a dare la vita per una
causa nazionalista. Giuseppe, soprannominato Menhaem, nel 66 d.C., a capo degli
Zeloti attaccher i Romani riuscendo a conquistare il potere ed insediarsi sul trono come
Re dei Giudei.

"Fu allora che un certo Menhaem, figlio di Giuda detto il Galileo, un Dottore (della
Legge) assai pericoloso che gi ai tempi di Quirinio aveva rimproverato ai Giudei di
riconoscere la Signoria dei Romani quando gi avevano Dio come Signore ..." (La Guerra
Giudaica II 433).
Per inciso, la dimostrazione che "Menhaem" corrisponde a Giuseppe, l'ultimo dei figli di
Giuda il Galileo, sar semplice come "l'uovo di Colombo".

Apostoli con qualifiche aggiunte come: Zelota o Cananeo, Iscariota, Barion e


"Boanerghs", che significano fanatico nazionalista, sicario, latitante, ricercato e "figli
dell'ira".
Simone Pietro e lo stesso Ges vengono accusati di essere Galilei nel vangelo di
Matteo (Mt 26,69) "Anche tu(Simone Pietro) eri con Ges il Galileo", pur sapendo
che san Pietro era nativo di Betsida (Gv 1,44) in Gaulanitide, non in Galilea. Lo
storico giudeo Giuseppe attesta che i "Galilei" erano gli ebrei pi focosi e nazionalisti,
pronti a ribellarsi; inoltre importante sottolineare che "Galileo" era la qualifica che
distingueva "Giuda il Galileo", il quale, anche lui, non era nativo della Galilea ma della
citt di Gmala (sempre in Gaulanitide) le cui rovine, ribadiamo, sono conformi alla
Nazaret descritta nei vangeli. Pertanto "Galileo", oltre indicare la regione di appartenenza
era considerato anche sinonimo di "estremista ebreo".

I Galilei erano famosi per il coraggio con cui affrontavano la morte e il filosofo
stoico Epitteto, alla fine del I secolo cos li rappresenta: "Anche per follia uno pu
resistere a quelle cose (i supplizi), o per tradizione, come i Galilei " da "Dissertazioni
del discepolo Arriano" (Digestae IV 6,6). Lo stesso discepolo di Epitteto, Arriano, in
"Digestae II 9,19-21" precisa che si tratta di "Giudei".
Gli storici genuflessi odierni, ben coordinati fra loro per dare maggior peso alle menzogne,
dichiarano sfrontatamente che Epittto per "galilei" intendeva "cristiani seguaci di
Ges". Dunque, in virt della "fede", i loro occhi stravedono e
traducono "" (Galilei) e "" (Giudei) con "Cristiani gesuiti", pertanto
considerano Epittto una "sicura fonte extra cristiana". E Wikipedia gli f opportuna
"eco" promuovendo una capillare "opera di apostolato".

Il movimento zelota fondato da Giuda il "Galileo" viene descritto da Giuseppe Flavio ancor
pi efficacemente:

"Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni...la maggioranza del popolo
ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali circostanze che non ho timore che qualsiasi
cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel
fatto che la mia esposizione possa minimizzare l'indifferenza con la qualeaccettano la
lacerante sofferenza delle pene" (Ant. XVIII 24).

Comprendiamo che i Romani, dal loro punto di vista, avevano forti motivi per catturare e
uccidere gli Zeloti in quanto"fanatici nazionalisti" si opponevano al dominio pagano, e
questo valeva anche per i "fratelli di Ges" i quali, come stiamo per verificare,
corrispondono tutti ai figli di Giuda il Galileo. Inoltre, sempre osservando la tabella degli
Apostoli, si capisce che il Simone, qualificato come zelota, cananeo e sicario, replicato.
E lo stesso Simone Pietro detto Kefaz in lingua semita, (evangelizzato in Cefa) che
vuol dire pietra, indicato altres come Barion che, sempre in aramaico, significa
latitante ricercato: un sicario Zelota, una volta individuato, non poteva che darsi alla
mcchia per non essere catturato e ucciso dai Romani.
Lunico apostolo col nome di autentica tradizione giudaica, non appartenente alla cerchia
dei fratelli, Matteo. Esso viene chiamato anche Levi, con un impossibile doppio nome
ebreo, indicato come Pubblicano e designato a testimoniare dal vero le vicende di
Cristo sin dalla nascita. Ma nella tabella notiamo che "Matteo Levi" non esiste nel
vangelo di Giovanni: impossibile, non ha senso. Se fosse stato uno dei dodici apostoli
avrebbe dovuto riferirlo anche "Giovanni", a maggior ragione poich gli scribi cristiani li
fanno apparire entrambi "colleghi" redattori di vangeli.
Nel vangelo di Matteo (lui stesso) si dichiara Pubblicano: altra assurdit. I Pubblicani
erano gli esattori che riscuotevano i tributi dovuti allImperatore previa effettuazione di un
censimento, pertanto, gli altri apostoli Zeloti e sicari, aderenti alla quarta filosofia
zelota contro la tassazione di Roma lo avrebbero ucciso senza ripensamenti essendo
un nemico ideologico da eliminare, come postulato dallo stesso Giuda il Galileo quando
capeggi la guerra contro il censimento decretato da Cesare Augusto:
Giuda si gett nel partito della ribellione gridando che questo censimento mirava a
mettere in totale servit e incitava la Nazione ad un tentativo di indipendenza. I fanatici
nazionalisti (gli Zeloti) ...non indietreggeranno di fronte allo spargimento di sangue che
potr essere necessario, e la Divinit (Yahweh) ne avrebbe favorito l'impresa fino al
successo (Ant. XVIII 5,6).

Matteo un falso protagonista. L'evangelista cristiano che ide quel nome, molto tempo
dopo i fatti descritti, oper al solo scopo di rendere pi credibile la propria "testimonianza"
facendolo apparire un attore ebreo di quelle vicende. Gli esegeti cristiani lo hanno fatto
nascere a Cafrnao (vedi "Udienza Generale" del 30 agosto 2006 di Benedetto XVI) ma,
inconsapevoli delle risultanze storiche, hanno commesso il grave errore di insediare in
quel villaggio l'apostolo "Matteo Levi" come Pubblicano, esattore incaricato per la
riscossione dei tributi per conto di Roma, mentre, in realt, la responsabilit di tale
incombenza era delegata direttamente ad Erode Antipa il quale, essendo la
sua Tetrarchiaconsiderata un protettorato romano, operava in piena autonomia come
suo padre Erode il Grande. Antipa era tenuto a versare all'Imperatore Tiberio un tributo
annuo fisso da detrarsi dalla propria rendita territoriale che ammontava a duecento talenti
d'oro (Ant. Giu. XVII 318), mentre l'apparato amministrativo delle riscossioni risiedeva
nella capitale della Galilea: Tiberiade.
In realt, il redattore di questo vangelo in greco, ripreso da un vangelo primitivo originale
che fu tradotto, non poteva essere un giudeo, padrone dellaramaico, perch non
comprese il significato di cananeo e lo trascrisse in forma ellenizzata riferito a Simone
("qanana" in aramaico). Laccostamento prospettico, nella tabella, con "Simone Zelota" del
vangelo di Luca non lascia dubbi.
Il vangelo di Giovanni riporta Iscariota, ma Giuseppe Flavio, in Guerra Giudaica
riferisce, approfonditamente, nel cap. 8 del VII libro (par. 253/255), attraverso un ricordo
lontano nel tempo, che i Sicari erano il braccio armato degli Zeloti, i seguaci della
quarta filosofia fondata da Giuda il Galileo, ed agivano contro i propri connazionali
filo romani a partire dal 6 d.C.

Che lo scriba evangelista con lo pseudonimo Matteo non sia stato un ebreo, n mai
vissuto in Giudea, dimostrato in altri molteplici passaggi del suo Vangelo, ad iniziare da
quello riguardante linsieme dei fratelli di Ges indicati col nome della madre anzich col
patronimico; inoltre, sulla Nativit (come verifichiamo nel successivo studio), dimostra di
non conoscere i luoghi, la storia giudaica dellepoca di Cristo e lAntico Testamento,
cadendo, peraltro, in contraddizione grave con la sua qualifica di funzionario esattore
Pubblicano.
Giuda detto Theudas era un Profeta sobillatore, fratello di Giacomo, a sua volta fratello
di Simone che, insieme a Giovanni e Giuseppe (lultimo), costituiscono la cerchia di
fratelli evangelici tutti con nomi di tradizione giudaica. Solo questi nomi,
autenticamente ebraici - dalla lettura del Novum Testamentum A. Merk S.I., Roma,
Pontificio Ist. Biblico, Anno 1933; e, Novum Testamentum H. Kaine, Paris, Edit.
Ambrogio F. Didot, Anno 1861 risultano accompagnati da qualifiche e attributi, quindi da
atti, conformi allo stesso Profeta sobillatore Giuda Theudas ucciso da Cuspio Fado nel
45 d.C.:
Zeloti che, dallinterpretazione in greco di Giuseppe Flavio, indica i fanatici nazionalisti;
barion, in aramaico, vuol dire latitante fuorilegge; Iskarioth forma omofona
grecizzata del latino "sicarius" (sicariota), l'attentatore armato di "sica", un tipo di
lungo pugnale ricurvo in uso all'epoca e in coerenza con l'ebraico "ekariot" che sta per
"sicario"; boanerghs*, significa figli dell'ira o figli della collera; cananeo da
qanana in aramaico, equivalente a zelota, e galilei, come fuorilegge.
Erano tutti figli di Giuda, ideatore dello zelotismo antiromano, detto il Galileo.
* Lamanuense cristiano, con lo pseudonimo di Giovanni detto anche Marco - che
trascrisse in greco un vangelo aramaico primitivo - nel versetto (Mc 3,17) riport il
vocabolo ' (leggi Boanerghs) e lo tradusse con la
espressione " (leggi Uii Bronts) che vuol dire Figli del Tuono. Egli
intese, volutamente, documentare la voce come se quel concetto fosse testimoniato da un
cittadino ellenico dellepoca.
E oggi accertato che nessun greco di allora avrebbe mai detto o
scritto ' (Boanerghs) per significare Figli del Tuono ma si sarebbe limitato a
dire o scrivere .
Infatti, in tutta la letteratura greca classica, ', citato nel vangelo, lunico
caso ove ricorre tale vocabolo; ne consegue che la parola non pu avvalersi di alcuna
etimologia, pur se scritta in tale lingua, ed quanto risulta nei vocabolari.
In realt la fonetica di origine ebraica, non greca, e il suo etimo lo ritroviamo in due
sezioni del lemma: il primo, boan e, un modo di bn e che significa figli di; il secondo,
rghs la cui radice semitica indica ira.
In ebraico antico, la lingua usata dai Dottori della Legge
(Rabbini), "benereghsh" significa "figli dell'ira".
Pertanto' (Boanerghs) vuol dire Figli dellira. L'unica "ira" cui richiamarsi
nella societ teocratica israelita, con la Terra Santa profanata dai pagani, era "L'Ira di
Yahweh", il Padre (Abba) del "popolo eletto" i cui figli prediletti, discendenti di Davide, non
potevano che essere gli Zeloti.
Dunque la proposizione Figli del Tuono, secondo il progetto dello scriba cristiano che lo
rifer, esprime un concetto riduttivo e fuorviante rispetto alloriginale vocabolo ebraico il
quale, effettivamente, rivela il medesimo intento ribelle nazionalista degli altri fratelli Zeloti.
Troviamo infine conferma, al brano di Marco appena citato, nel vangelo di Luca (Lc 9,53)
ove Giovanni e Giacomo, i fratelli apostoli Boanerghs, intendono incendiare un villaggio
della Samaria ma vengono fermati da Ges; nel contempo la storia ci insegna che i
Giudei erano nemici dei Samaritani e in guerra tra loro, allepoca di Cristo.
E dobbligo evidenziare che tali qualifiche rivoluzionarie sono riferite solo
ad apostoli fratelli che hanno lo stesso nome, di stretta osservanza giudaica, dei
fratelli di "Ges". Al contrario, gli apostoli con nomi greci,senza alcuna designazione
ribelle, vengono tutti cancellati dalla storia come dimostriamo ad iniziare da "Filippo" nello
studio successivo su "Paolo di Tarso": entrambi inventati.
Gli appellativi escogitati successivamente, tutt'oggi in uso, sono serviti, attraverso
contraffazioni delle traduzioni nelle varie lingue e la manipolazione dei termini originali, sia
a celare le vere identit dei fratelli Zeloti dietro "santi apostoli", sia a "replicarli" fino
a raggiungere il numero, significativo giudaico, di "Dodici", come fecero dichiarare a Cristo
nel vangelo:

"Siederete anche voi (gli apostoli) su dodici troni a giudicare le dodici trib d'Israele" (Mt
19,28).

In particolare troviamo replicati: Simone detto "Pietro il Galileo" con Simone lo Zelota o il
Cananeo (alcuni manoscritti riportano "Cananite"); Giacomo il Maggiore con Giacomo il
Minore (quest'ultimo, alter ego del primo, viene cancellato dalla storia come provato nel
successivo studio); Giuda detto Thaddaeus (traduzione latina volutamente fuorviante di
Theudas) con Giuda detto Thom (san Tommaso) e con Giuda Iskarioth
(sicariota), qualifica grecizzata del latino attentatore assassino "sicarius". A questo punto i
lettori si saranno accorti che la sovrapposizione di "Giuda Iscariota" con "Giuda non
Iscariota" cancella il famoso "bacio di Giuda", divenuto simbolo infamante dell'inganno pi
abbitto nel mondo cristiano.
Oltre a quanto sopra rilevato (dopo la tabella) sulle contradditorie parentele di Giuda,
leggiamo cosa dicono i vangeli in merito all'apostolo rinnegato dopo che questi aveva
tradito "Nostro Signore Ges" per trenta denari.
In Atti (1,18) il "testimone oculare" san Pietro riferisce un episodio raccapricciante:

"Giuda compr un pezzo di terra con i proventi del suo delitto poi, precipitando in
avanti, si squarci in mezzo e si sparsero fuori tutte le viscere".
L'altro apostolo, "testimone oculare" anche lui, Matteo, invece, cos la racconta:
"Giuda, gettate le monete d'argento nel Tempio, si allontan ed and
ad impiccarsi" (Mt 27,5).
Mentre san Paolo, nella I Lettera ai Corinzi (15,4-5), ci informa che:
"Cristo fu sepolto e resuscitato, il terzo giorno apparve a Cefa (Kefaz, san Pietro) e
ai dodici apostoli".
Essendo "dodici" vuol dire che fra essi era presente anche Giuda "il traditore" sempre vivo,
infatti, questo apostolo, all'evangelista Giovanni non risulta che si sia suicidato.

E' evidente che tali incompatibili deposizioni non hanno alcun valore probatorio se non
dimostrare la montatura di un "apostolo", sfruttata, peraltro, con fini ideologici legati a un
nome che identificava l'odiata etnia giudaica accusata di aver ucciso "Ges" senza averlo
riconosciuto come proprio Messia Salvatore.
Alcuni esegeti clericali, consapevoli di questa assurdit evangelica, provano a rimediare
ricorrendo a ipotetiche, personali, "rivelazioni divine" per tentare di giustificare le
contraddizioni connesse a questa morte immaginaria (destino macabro teatrale o semplice
suicidio?; proprietario terriero o nullatenente?) ... sino a reinterpretare le "Sacre Scritture",
modificandole di fatto.
In realt, come gi dimostrato, il vero Giuda, autentico zelota sicario, fu ucciso da Cuspio
Fado.

Escludendo gli apostoli replicati, i nomi di stretta osservanza ebraica, riportati come
fratelli, sono:
Giovanni, Giuda, Simone, Giacomo, e Giuseppe. Ad iniziare da Giovanni, uno dopo
l'altro furono giustiziati dai Romani come martiri irredentisti, tranne l'ultimo,
Giuseppe, troppo giovane all'epoca per militare come capo Zelota sicario.

In contrasto furono aggiunti apostoli con appellativi derivati da aggettivi come san
"Bartolomeo", nome inesistente in greco e latino nel I secolo, il quale, separato
dall'usueto "bar" aramaico biblico, diventa "bar tolomeo" che vuol dire "figlio di Tolomeo".
Poich Tolomeo era un nome greco che significava "Valoroso", adottato da alcuni sovrani
egizi ellenizzati, quindi "Bartolomeo" significa "Figlio del Valoroso", ma ... un
apostolo che non viene testimoniato nel vangelo del suo "collega apostolo" Giovanni
un vuoto, talmente vistoso e banale, pi che sufficiente a dimostrarne l'inesistenza.
Altro apostolo, semplice aggettivo, solo citato in "Atti degli Apostoli" poi dimenticato e
lasciato senza gesta che ne attestino l'esistenza, Andrea, dall'epiteto greco "andreas"
che vuol dire "vigoroso", una caratteristica di Simone a lui "affratellata" cos: "vigoroso,
fratello di Simone"; o, ancora, san Tommaso, dall'aramaico "thom" che significa
"gemello", o dal greco "didymos" anch'esso equivalente a "gemello", sino al punto di
escogitare uno strano sostantivo composto da due aggettivi in due lingue diverse con le
iniziali maiuscole "Tommaso detto anche Didimo" (Gv 11,16) che vuol dire "Gemello
detto anche Gemello", privo di significato e ... molto buffo. Un nome cos insensato non
poteva appartenere a nessuno sulla faccia della terra; solo un errore commesso da uno
stupido scriba intento a manipolare la traduzione in greco di un testo senza essere
padrone dell'aramaico. Anche questo apostolo fuoriesce dalla storia poich dal vangelo
letto da Eusebio di Cesarea risulta che Giuda e Tommaso ("Thom" in aramaico) sono la
stessa persona:
"Dopo l'ascensione di Ges, Giuda, detto anche Tomaso, mand ad Abgar l'Apostolo
Thaddaeus" (HEc. I 13,11).
Poich la sovrapposizione Giuda-Tommaso cancella un apostolo, nella tabella ne
rimarrebbero undici: fatto assurdo. Questa la prova evidente che i vangeli furono
ulteriormente modificati dopo Eusebio di Cesarea, ma noi abbiamo dimostrato sopra
che Thaddaeus, in realt, era Giuda Theudas. Si trattava di un sedicente Profeta zelota
con due qualifiche aggiunte al vero appellativo semita: Giuda. La dottrina cristiana non
poteva ammettere la violenta genesi zelota ebraica dei fratelli di Cristo senza coinvolgere
anche Lui, pertanto questi furono celati nel "mucchio" di "Dodici Apostoli" dei quali alcuni
nomi risultano consueti attributi aramaici traslati scorrettamente in lingua greca. Semplici
aggettivi che, col trascorrere dei secoli, grazie all'ignoranza dei fedeli sul vero significato
originario, furono accettati e adottati come nomi di persone.

Nella tabella degli apostoli, il solo vangelo di Giovanni, riporta "Natanaele" che in semitico
"celestiale" voleva dire "Dono di Dio": non era un appellativo usato dal popolo ebraico
nel I secolo. Era un antico attributo biblico fatto passare per nome, a conferma, come gi
riferito, che gli scribi cristiani redattori dei vangeli non erano Giudei.
Ovviamente, l'inesistente Natanaele viene ignorato dagli altri evangelisti mentre
"Giovanni" riferisce che Natanaele riceve l'annuncio dell'Avvento di Ges Cristo da
parte di Filippo (Gv 1,45) ... ma, nello studio successivo su "Paolo di Tarso",
dimostriamo, storia alla mano, che l'apostolo Filippo non mai esistito, di conseguenza
anche Natanaele una finzione...come gli altri "Apostoli".
Una invenzione scollegata fra gli stessi evangelisti ed estremamente imbarazzante per la
Chiesa al punto che, senza alcuna base o riferimento storico, evangelico, filologico, i Suoi
esegeti azzardano che "Natanaele viene comunemente(sic!) identificato con
san Bartolomeo (Figlio del Valoroso)". Solo un visionario mistico pu intravedere una
correlazione fra i nomi "Dono di Dio" e "Figlio del Valoroso", affinch possano essere
accomunati; pertanto ogni ulteriore commento diventa superfluo ... ad iniziare da quello
sull'annuncio dell'Avvento di Ges fatto "testimoniare" da un inesistente Filippo e della
"rivelazione" del "Figlio di Dio" tutt'uno con il "Padre", come stabilito nel "Credo" dai
Vescovi cristiani in vari Concili indetti nel corso del IV secolo (tre secoli dopo Cristo).
"Filippo, da tanto tempo sono con voi e ancora non mi conosci? Credetimi, io sono nel
Padre e il Padre in me"
(Gv 14,9-11). "...questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsida di Galilea ..." (Gv
12,21).
Gli amanuensi che "incollarono" in modo posticcio questo "Filippo" nei loro
vangeli non avevano la reale conoscenza dei luoghi in cui decisero far muovere i
loro fantasiosi personaggi al punto di ubicare Betsida in Galilea anzich
inGaulanitide dove essa era edificata e successivamente ingrandita, dopo la morte di
Erode il Grande, da suo figlio il Tetrarca Erode Filippo, appartenendo al territorio da lui
ereditato (Ant. XVIII 28).
Lo stesso problema investe anche gli apostoli Andrea, Giacomo il Maggiore, Giovanni e
san Pietro, tutti indicati dalla Chiesa come nativi a Betsida in Galilea. Cos il
vangelo: "Filippo era di Betsida, la citt di Andrea e Simone Pietro"(Gv 1,44). In
Galilea, quindi "Galilei" come il personaggio "Ges", evidenziando, di fatto, le concrete
gsta dei nazionalisti integralisti "Galilei". Infatti, nei vangeli di Matteo e Luca, a noi
pervenuti, si afferma che Simone Pietro e "Ges" furono accusati di
essere "Galilei": "Anche tu, Simone, eri con Ges, il Galileo" (Mt 26,71); "In verit,
anche questo(Simone Pietro) era con Lui (Ges): anche lui (Simone) un Galileo!" (Lc
22,59); quando sappiamo tutti che Ges era nativo di Betlemme e visse a Nazaret.

Non potendo riconoscere il significato zelota di "Galileo" attribuito a Ges e a Pietro, di


fronte alla contraddizione geografica di una Betsida erroneamente indicata in Galilea
dall'evangelista, alcuni esegeti clericali odierni azzardano l'ipotesi di
una seconda Betsida sita in Galilea; altri si limitano, timidamente, a dichiararne incerta
l'ubicazione fingendo di ignorare la collocazione precisa indicata da Giuseppe Flavio.
L'errore geografico attinente a Betsida, commesso dallo scriba cristiano, dimostra il
rimaneggiamento dei vangeli originali al fine di sviare il significato del lemma "Galileo",
inteso come "ribelle", per farlo sembrare "abitante nativo della Galilea".
Poich in quella regione era concentrato il maggior numero di Ebrei integralisti, lo abbiamo
provato appena sopra, con il generico termine di "Galilei" gli storici indicavano tutti i Giudei
fanatici nazionalisti, in lotta contro il dominio romano, votati al martirio e costretti a pene
strazianti una volta individuati e catturati.

La accezione comune del vocabolo "Galileo", lo stesso attribuito a Giuda il Galileo (nativo
di Gmala in Gaulanitide, non in Galilea), ovviamente, valeva anche per i suoi veri figli:
"Ges" e "Simone Pietro", entrambi accusati nei vangeli di essere "Galilei" sovversivi. Per
una migliore comprensione dei protagonisti evangelici, a riprova che in realt erano capi
ebrei Zeloti, si rende necessario rimarcare, ulteriormente, che la descrizione di Gmala (la
citt di Giuda il Galileo), equivale alla rappresentazione della Nazaret riferita nei vangeli.
Viceversa, come dimostriamo nel'apposito studio, la Nazaret odierna non ha niente in
comune con la citt di Cristo.
Pertanto la patria di Ges e dei suoi fratelli era Gmala, la roccaforte degli Zeloti, unica
citt a non essersi mai sottomessa al dominio romano sino agli inizi del 68 d.C., quando fu
costretta a capitolare dopo tredici mesi di assedio da parte dell'esercito di Re Agrippa II cui
si aggiunsero le legioni romane di Vespasiano e Tito che la rasero al suolo.

Parte IV

Non semplici sviste ma errori gravi si riscontrano in continuazione nei testi sacri durante
il corso evolutivo di un mito, inizialmente diverso, le cui varianti hanno richiesto secoli per
celare le vicende sanguinose imposte dal fondamentalismo nazionalista giudaico in guerra
contro la dominazione romana della terra d'Israele.
Gli attributi e le qualifiche dei protagonisti teologali, ripresi dai vangeli originali
primitivi, richiesero un intervento correttivo da parte degli scribi cristiani quando la Chiesa
ne comprese il vero significato.
Un esempio di come sia stata eseguita la falsificazione di Simone, per trasformarlo in
Pietro figlio di Giona (san Pietro), lo troviamo nei due Novum Testamentum Graece et
Latine su riferiti, di cui riproduciamo copia:

dove possiamo notare, nel testo centrale in greco a destra (Mt 16,17), il vocabolo
Barion riferito a Simone - un aggettivo qualificativo che in aramaico significa latitante,
ricercato - in greco non viene tradotto ma traslato con la lettera maiuscola in modo da
farlo apparire un nome di persona: Simon Barion. Barion, come nome proprio di
persona, nellaramaico antico non mai esistito, tanto meno in greco o latino, e la
falsificazione diventa addirittura ridicola attraverso la comparazione delle traduzioni.
Infatti, a sinistra, nella versione latina fu diviso in Bar Iona con l'accento tolto sulla "a"
finale; pertanto "Barion" (latitante) diventa: Bar (figlio di in aramaico) Iona filius Iona
figlio di Giona. ' (il "latitante" aramaico diventa figlio di), quindi Bar
Iona; lemma che, l'amanuense, per non modificare ulteriormente il vocabolo originale,
trascrive in latino indeclinato errato: "filius Iona", tradotto in italiano "figlio di Giona".
Se Iona fosse stato veramente il nome di una persona avremmo dovuto trovarlo, sin
dallinizio, sempre separato da bar minuscolo, come per filius latino
o uios greco; vocaboli usati spesso e senza problemi nei Vangeli tranne in questo
caso. Nel testo del 1861, in basso a destra in latino, Pietro non esiste: solo Simon Bar-
Jona; e a sinistra, in greco, riporta Bar staccato. Nelle lingue latina e greca Bar e
non sussistono; allora sia nel testo latino che in quello greco Bar - , come in aramaico,
vorrebbero apparire figlio, ma, essendo traduzioni a suo tempo destinate a fedeli di
lingua greca o latina, assurdo tentare di farli passare come tali sapendo che in latino si
dicono filius e in greco (ios).
In alto a destra, nel testo (Ioh= Gv 1,42), poich il vocabolo Cephas in latino non esiste,
si dice che deve (sic!) essere interpretato Pietro; anche nel greco antico, in alto a
sinistra, Kefaz () non pu ricorrere in tale idioma: aramaico (sasso, pietra), ma ci
viene imposto che ... significa Pietro. In latino pietra = lapis, saxum; in greco
=lithos, petra (minuscolo e mai kefaz). Le tre parole originali in aramaico erano Simon,
kefaz, barion che tradotte vogliono dire: Simone detto Kefaz (pietra, nel senso di duro,
massiccio), latitante ricercato. Nella realt Simone era uno dei fratelli zeloti gi
ricercato dai Romani sin da quando Ges era ancora in vita e la sua identificazione era
facilitata dalla vistosa corporatura massiccia. Fu un capo zelota e, come tale, consapevole
di condurre una lotta integralista sino alla estrema conseguenza del martirio; di fatto
avvenuto assieme al fratello Giacomo, tramite crocefissione, dopo la cattura per opera del
Procuratore Tiberio Alessandro nel 46 d.C.
La mescolanza delle lingue e la manipolazione dei vocaboli tradotti furono, nel tempo,
sfruttati volutamente, per travisarne il senso, da scribi professionisti consapevoli di trattare
con ingenui credenti.
Queste tecniche di traduzione sono soltanto uno dei modi con cui si pu falsare il
significato della vita di una persona e, se la Chiesa ha fatto "carte false" per
trasformare "barion" sino a farlo sparire nei Vangeli moderni, ci sta a dimostrare che il
significato di "latitante ricercato", espresso dal testo originale, reale, pertanto Essa lo
considera veramente pericoloso e in contrasto alla nuova dottrina evolutasi nei secoli futuri
da quella giudaica originale.
Pertanto, nella consapevolezza che "Simone detto Kefaz" ci consente di scoprire in "san
Simone Pietro" il capo zelota ricercato dai Romani, nessun prete, durante la messa, osa
narrare dal pulpito la illuminante parabola della "regola" cui si atteneva il successore di
Cristo dopo la Sua crocefissione, riferita in "Atti degli Apostoli":

Un uomo di nome Anana con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per se
una parte dellimporto daccordo con la moglie, consegn laltra parte deponendola ai piedi
degli apostoli. Ma Pietro gli disse:Anana, perch mai Satana si cos impossessato del
tuo cuore che hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno?
Prima di venderlo, non era forse tua propriet e, anche venduto, non era sempre a tua
disposizione? Perch hai pensato in cuor tuo a questa azione? Tu non hai mentito agli
uomini, ma a Dio. Alludire queste parole, Anana cadde a terra e spir. E un timore
grande prese tutti quelli che ascoltavano.
Si alzarono allora i pi giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo
seppellirono. Avvenne poi che, circa tre ore pi tardi, entr sua moglie, ignara
dellaccaduto. Pietro le chiese: Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?. Ed essa:
Si, a tanto. Allora Pietro le disse: Perch vi siete accordati per tentare lo Spirito del
Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno
via anche te. Dimprovviso cadde ai piedi di Pietro e spir. Quando i giovani entrarono, la
trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. E un grande
timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose (At 5,1/11).

Gli Zeloti erano Farisei rivoluzionari fuori legge, di conseguenza i sacerdoti appartenenti al
Movimento di Liberazione Nazionale (lo stesso valeva per gli Esseni) non avevano la
possibilit di riscuotere le decime dei raccolti (Ant. XX 181) spettanti per diritto ai sacerdoti
Sadducei e Farisei conservatori filoromani.
La scelta ideologica di condurre una lotta armata contro Roma indusse gli Zeloti, per
finanziarsi, ad imporre tributi agli Ebrei possidenti adottando metodi persuasivi violenti.
Alla guerriglia contro i "kittim" invasori, la maggioranza degli Esseni privilegi la
propaganda religiosa avvalendosi delle Profezie della Legge ancestrale per incitare le
masse, mentre, per il loro sostentamento, si erano organizzati in comunit produttive,
soprattutto agricole.

La Chiesa sempre stata consapevole delle qualifiche rivoluzionarie di alcuni apostoli


(quelli con nomi giudaici) e, ovviamente, ha tentato di reinterpretare il loro significato come
ha fatto con i "boanerghs" Giovanni e Giacomo i quali, lo abbiamo visto sopra, da "figli
dell'ira" (di Dio) sono stati declassati a "figli del tuono". Nel merito, leggiamo come ha
commentato il pontefice "teologo", Benedetto XVI, ai fedeli, durante la Udienza
Generale in Piazza San Pietro dell11 Ottobre 2006, riguardo lapostolo Simone:

Luca lo definisce zelota ben possibile che Simone, se non appartenne


propriamente al movimento nazionalista degli Zeloti, fosse almeno caratterizzato da
un ardente zelo per lidentit giudaica, quindi per Dio, per il suo popolo e per la Legge
divina .
Queste frasi, sibilline e incerte, rappresentano tutt'oggi la posizione ufficiale della Chiesa:
una testimonianza reticente in antitesi con la verit storica e con gli stessi vangeli. Una
sorta di "alibi" che pu essere supportato solo dalla buona fede e dallignoranza di
credenti - tenuti appositamente alloscuro sui fatti realmente accaduti - ai quali viene detto,
in sostanza, che Simone zelota, non era uno zelota nonostante sui vangeli scritto
zelota. Infatti, basta scorrere l'Antico Testamento per accertarsi che "la Legge divina",
rammentata dal Papa, consisteva nella "Ira di Dio" checomandava la strage di qualsiasi
pagano, donne e bambini compresi, avesse osato calpestare la Terra Promessa da
Yahweh al suo popolo. Ma, dal 6 d.C., data di fondazione del Movimento Nazionalista
degli Zeloti, per loro mano la "Ira di Dio" si scagli anche contro gli stessi connazionali.
Questa "Legge divina" veniva imposta, come regola cruenta e con"ardente zelo",
da Simone Pietro agli adepti della sua comunit per finanziare la guerriglia zelota.

La prima finalit della Chiesa di creare gli Apostoli fu dettata dalla necessit, messa in
atto da ignoranti in storia e cultura giudaica, di nascondere nel mucchio i cinque fratelli
zeloti e si ricollega alla necessit di replicare pi Marie, apparentate come "sorelle" e
"cognate" di Maria loro madre, per farli diventare cugini... ma in maniera scoordinata e
contraddittoria fra gli stessi vangeli. Tale incoerenza, riscontrata nei testi sacri, dimostra il
tentativo fallito degli autori di inventare nomi falsi poich impossibilitati a fornire una base
storica documentabile.
Gli Apostoli furono una creazione letteraria resasi necessaria, anche, per far apparire che
il cristianesimo, diffuso da loro, era presente sin dal I secolo al fine di dimostrare che
Ges era venuto e si era sacrificato per salvare gli uomini dalla morte.
"Chiamati a s i dodici apostoli, Ges diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi
e di guarire ogni sorta di malattia e di infermit" (Mt 10,1).

Secondo quanto riferito in Atti di Luca, i seguaci della dottrina cristiana, in soli tre
decenni, si erano moltiplicati e diffusi, prima nelle province mediterranee dellImpero poi
ancora oltre, grazie alle dimostrazioni di miracoli straordinari fatti dagli Apostoli dei cui
nomi, come delle meravigliose sovrumane gesta ad essi accreditate, non esiste
traccia in alcun documento degli storici depoca.
Se questa spropositata divulgazione, cos come viene attestata in "Atti" - riconfermata ed
ulteriormente esagerata da Eusebio di Cesarea "La dottrina di Cristo si diffuse nel mondo
intero in breve tempo" (HEc. II 3) - fosse veramente avvenuta ... proprio in virt delle
mirabolanti imprese ostentate pubblicamente dagli Apostoli come una sbalorditiva "grazia
divina", tutti gli scribi dell'epoca ne avrebbero riportato le cronache.
In realt la documentazione sullesistenza degli Apostoli proviene solo da asceti
cristiani, Padri Fondatori della Fede da essi propugnata, e da Episcopi Venerabilissimi,
tutti testimoni della veridicit della propria dottrina, i cui manoscritti sono copie edite
secoli dopo di loro, pertanto, anch'esse epurate ideologicamente.
Come dimostrano anche gli studi seguenti, ad iniziare da Paolo di Tarso, gli
Apostoli degli scritti neotestamentari, semplicemente, non sono mai esistiti.

Emilio Salsi
Paolo di Tarso, un super apostolo inventato. Ecco le prove

Parte I: sintesi

"Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in
un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Essa infatti suoner e i morti
risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. necessario infatti che questo
corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilit e questo corpo mortale si vesta
d'immortalit. Quando poi questo corpo corruttibile si sar vestito d'incorruttibilit e
questo corpo mortale d'immortalit, si compir la parola della Scrittura" (San Paolo,
Prima lettera ai Corinzi 15,51-54).

San Paolo, come san Pietro, nei sacri testi cristiani vengono descritti dotati di poteri divini
miracolistici straordinari e, nel caso di Paolo, addirittura superiori a Ges. Risuscitava
anch'egli i morti (At 20,9-10), guariva gli storpi (At 14,8-10) e chiunque affetto da ogni
male, pur senza essere presente di persona, con una sorta di "tele-miracolo" in grazia di
un brevetto esclusivo rilasciato per volont divina:

"Dio intanto operava prodigi non comuni per opera di Paolo, al punto che si mettevano
sopra i malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui, le malattie
cessavano e gli spiriti maligni fuggivano" (At 19,11-12).

Sono personaggi di cui si narra esclusivamente nei Vangeli o negli scritti apologetici dei
Padri fondatori del Cristianesimo; cio una religione creata per fare adepti grazie
all'illusione della vita eterna ed alla resurrezione del proprio corpo dopo la morte. La prima
domanda da porsi se san Saulo Paolo sia stato un uomo esistito realmente, oppure se
questo "luminare" cristiano soltanto l'immaginario rappresentante di una dottrina che,
come per gli altri apostoli, obbligatoriamente doveva essere "incarnata" in protagonisti
ideologici prescelti e ispirati da Dio. Con tale proposito apprestiamoci quindi a verificare
indagando la biografia del santo pervenutaci con la documentazione neotestamentaria.

Un non credente, che si accinge a leggere di san Saulo Paolo senza essere condizionato
da prediche confessionali, percepisce subito che la trovata geniale di san Luca, intesa a
far creare un altro Apostolo dallo stesso Ges Cristo post mortem, un contro senso
assurdo, sia storicamente, come intendiamo dimostrare, sia teologicamente, in quanto
palesemente finalizzata a revisionare una dottrina precedente.
Un Dio, per riscattare lumanit dal peccato, si fa uomo, poi come tale si sottopone ad una
passione di sangue ed estrema sofferenza; dopo aver predicato, istruito e scelto dodici
Apostoli con un preciso mandato, una volta risalito in cielo si accorge di aver dimenticato
qualcosa dimportante, allora scaglia una folgore (a imitazione di Giove) su un certo
Saulo Paolo, accecandolo e, a Voce, nomina un altro Apostolo con
l'incarico di aggiornare la dottrina degli altri suoi colleghi che Lui stesso aveva
appena istruiti: una logica che pu stare in piedi solo previo millenario lavaggio del
cervello.

Nominati i dodici Apostoli ...

Ges li invi dopo averli cos istruiti: non andate fra i pagani e non entrate nelle citt
dei Samaritani, rivolgetevi, piuttosto, alle pecore perdute della casa d'Israele (Mt
10,5-6).

Questo comandamento nazionalista, conforme alla missione di Ges limitata alla sua
Patria (nulla avrebbe potuto impedire a Cristo-Dio di predicare ovunque volesse), andava
cambiato.
Ma la modifica di una dottrina non poteva risultare dipesa da una esigenza umana,
pertanto bisognava dimostrare che fu la stessa Divinit a manifestarsi attraverso un
altro Apostolo, superiore agli altri, in quanto strumento della Sua ultima Rivelazione,
quindi depositario della nuova Verit da divulgare fra i Gentili pagani.
Fu semplicissimo: bast inventare Saulo Paolo e fargli scrivere alcune lettere per
testimoniare sulla sua esistenza e il nuovo credo, aggiornato, del sacrificio del Figlio di
Dio" risorto per la salvezza della vita eterna degli uomini, dimostrando, cos, che l'ultimo
Apostolo, mai visto prima, era esistito veramente.

Il vangelo da me annunziato non opera duomo; perch io stesso non lho ricevuto
n imparato da un uomo, mal'ho ricevuto per rivelazione di Ges Cristo (Lettera ai
Galati 1,11).

"L'uomo non graziato per le opere conformi alla Legge (mosaica) ma soltanto per
mezzo della fede in Ges Cristo" (Gal. 2,15).

Tuttavia, il contrasto fra gli scritti sacri primitivi e le "lettere", spedite in epoca successiva,
dimostra che l'ebreo Ges non la pensava cos:

"Non sono venuto ad abolire la Legge (mosaica) o i Profeti ma per darle pieno
compimento (Mt 5,17).

Lesigenza di una seconda Rivelazione di Ges port a redigere degli appositi


manoscritti, posteriori ai Vangeli primitivi, poi distrutti, allo scopo di ufficializzare un
apostolato promotore della diffusione di una nuova dottrina, evolutasi da quella originale, e
creare, artatamente, un nesso ideologico per farla apparire coerente sin dallinizio.

"Se ad opera della mia menzogna (sic) tanto pi rifulge la gloria di Dio, perch mai
dovrei ancora essere giudicato peccatore?" (Rm 3,7).

I Vangeli che noi leggiamo non sono i primi, ma san Saulo Paolo venuto ancora dopo,
come gli Atti degli Apostoli.Stando alle datazioni, ricavate senza alcuna prova da
studiosi credenti, gli apostoli Marco, Matteo e Giovanni, redattori dei vangeli, compilarono i
manoscritti quando Saulo era gi entrato in azione da molto tempo, subito dopo la morte e
resurrezione del Salvatore. Ma, se Paolo fosse veramente esistito, ormai depositario
dell'ultimo annuncio di Ges Cristo, in quanto loro "collega" e autore di atti portentosi, i
"santi apostoli evangelisti" lo avrebbero immancabilmente testimoniato nei loro scritti: fatto
che non risulta. Stessa verifica che ricaviamo scorrendo le Epistole, rilasciate a futura
memoria, dagli apostoli Giacomo, Giovanni e Giuda, i quali ignorano l'esistenza di Saulo
Paolo di Tarso.
L'unico evangelista che ne parla, affermando di averlo conosciuto, "Luca", che non fu
apostolo n testimone oculare di Cristo. Soltanto lui fa interagire Saulo Paolo in "Atti degli
Apostoli" con Simone Pietro e Giovanni; i quali, a loro volta, ignorano gli "atti" del
compagno di fede, nonch il pi famoso evangelizzatore cristiano, determinando un
contrasto insanabile fra le varie "deposizioni".

Consapevoli del "buco" riguardante le testimonianze su Paolo di Tarso, gli scribi cristiani
tentarono di colmarlo con un vago accenno nelle "Lettere di Pietro", ma, essendo queste
testimoniate da un immaginario Policarpo di Smirne (Vescovo), a sua volta "comprovato"
da un inesistente (vedi V studio) "Ireneo di Lione", tali lettere sono una ingenua
mistificazione. Infatti, Policarpo richiamato, oltre due secoli dopo, da Eusebio di Cesarea
nella "Historia Ecclesiastica" (IV 15,1-43) in cui risulta essere stato martirizzato
sotto Lucio Vero, co-imperatore (dal 161 al 169 d.C.) assieme a Marco Aurelio.
Viceversa, secondo Ireneo di Lione ("Adversus Haereses" III 3,4) Policarpo fu martirizzato
sotto gli imperatori Marco Aurelio e Lucio Commodo: una assurdit che chiariamo nel V
studio. Policarpo menzionato anche da san Girolamo in "De viris illustribus": il tutto
attestato in documenti redatti da scribi nel tardo medio evo.
La totale assenza di concreti riscontri testuali, incrociati reciprocamente sugli "atti"
mirabolanti dei successori di Cristo, cos come tra questi ed i primi Padri, una leggerezza
madornale da addebitarsi agli amanuensi inventori della mitologia cristiana.

San Saulo Paolo, stiamo per provarlo con laiuto della storia, come persona non mai
esistito: fu soltanto una ideologia, incarnata in un uomo discepolo apostolo di Ges,
resasi necessaria perch rappresentava la soluzione politica religiosa per quella parte di
ebrei della diaspora la cui esistenza, nelle Province dellImpero Romano, era diventata
estremamente difficile in quanto seguaci di una fede nazionalista integralista che vietava
loro di riconoscere le dottrine pagane e di sottomettersi ad alcun Padrone, o Signore
(Adonai), se non al proprio Dio Yahweh.
Unideologia paolina imposta dallevoluzione politica e militare che vide sconfitti,
atrocemente, i patrioti yahwisti (con ben oltre un milione di morti nelle guerre contro Tito,
Traiano e Adriano), di conseguenza voluta da una corrente religiosa ebraica che decise
di revisionare il messianismo zelota. Il pragmatismo opportunista, adeguato alla realt
dellepoca, impose ad una parte di Ebrei di rivedere le profezie messianiche della Legge
ancestrale aprendosi, con una evoluzione successiva, ai culti pagani della salvezza oltre
la morte grazie alla resurrezione del corpo. In definitiva, sotto il profilo politico, fu creata
una dottrina antisemita proclive al dominio di Roma per ordine di Dio:
E bene stare sottomessi e pagare i tributi perch quelli dediti a questo compito sono
funzionari di Dio (Rm 13,1);
Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore (Ef 6,5);
Ciascuno sia sottomesso alle autorit costituite perch non c autorit se non da Dio, e
quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone allautorit, si oppone
allordine stabilito da Dio (Rm 13,1/7).

Nel I secolo le sette ebraiche, ufficialmente riconosciute, credevano solo nellimmortalit


dellanima e non nella resurrezione della carne e, fra esse, i Sadducei non confidavano
neppure in quella. Per questo fondamentale motivo ideologico, gli Atti degli Apostoli e
gli stessi Vangeli, riadattati in tal senso successivamente, costituiscono un vero e
proprio atto di accusa contro il popolo ebraico. Pietro e Paolo emettono continue
sentenze di condanna contro gli Ebrei, contro il Sinedrio e contro le Sinagoghe, scagliando
vere e proprie maledizioni nei confronti dei Giudei facendo ricadere su di essi, sui loro figli
e le generazioni future, il sangue di Ges da essi fatto versare.
Contro ogni evidenza, la Chiesa, volutamente, oggi evita di far conoscere ai propri
fedeli questo aspetto basilare della dottrina, tanto grave quanto imbarazzante,
contenuto nei sacri testi.

Ma ora mettiamo da parte lescatologia e sottoponiamo ad una verifica critica della storia
le vicende che vedono coinvolto, come uomo, san Saulo Paolo, ovvero lApostolo delle
Genti.
Levangelista lo fece nascere a Tarso in Cilicia (At 22,3), poi lo sped a predicare, senza
sosta, da una citt allaltra dellImpero e nel 58 d.C. giunse a Gerusalemme. La datazione
precisa e ricavabile in "Atti" (At 24,27) ove si attesta che "trascorsi due anni, Felice
ebbe come successore Porcio Festo" ; infatti, il passaggio di consegne fra i Procuratori
romani, Antonio Felice e Porcio Festo, intervenne nel 60 d.C.
Due anni prima, nel 58 d.C., a seguito di un diverbio e dopo aver offeso il Sommo
Sacerdote Anana allinterno del Sinedrio ... per impedire che i Giudei lo togliessero di
mezzo, non facendolo pi vivere (At 22,22), dichiara al Tribunoromano: io sono
un cittadino romano di nascita (At 22,27-28).
Luca ci sta propinando che, nel I secolo, in Giudea, se un cittadino veniva accusato dal
Sinedrio di aver violato la Legge ebraica e offeso il Pontefice, per evitare la lapidazione
bastava mentisse spudoratamente, come fa Paolo, sul suo luogo di nascita, dichiarando di
essere un cittadino romano. E tutti erano tenuti a credergli sulla parola, anzi, dovevano
spaventarsi; addirittura un Tribuno romano doveva tremare: anche il Tribuno ebbe paura,
rendendosi conto che Paolo era cittadino romano (At 22,29). Ma il ridicolo diventa farsa
per la dichiarazione opposta resa, poco prima, allo stesso Tribuno: Io sono un Giudeo di
Tarso di Cilicia, cittadino di una citt non certo senza importanza (At 21,39),
riconfermata, subito dopo, davanti alla folla di Gerusalemme ed in
presenza, ancora, dello stesso Tribuno: Io sono un Giudeo nato a Tarso in Cilicia (At
22,3). Peraltro il funzionario romano, poco prima, aveva sospettato che Paolo fosse
lEgiziano, il capo di una ribellione appena scongiurata dal Procuratore Antonio Felice (At
21,38).
E evidente che levangelista, quando scrisse queste sciocche contraddizioni, era convinto
che anche i Tribuni romani erano degli stupidi, cos pure coloro che le avrebbero lette in
futuro.
Un vero Tribuno, obbligato a conoscere le leggi imperiali per poterle far rispettare, era
consapevole che il Sommo Sacerdote del Tempio, che presiedeva il Sinedrio, era stato
insignito da un Procuratore incaricato dall'Imperatore come Governatore, pertanto,
chiunque avesse offeso il Pontefice si sarebbe messo contro Roma pagandone le
conseguenze:il Procuratore, cum iure gladii, aveva il diritto di uccidere
Secondo linsulsa interpretazione del diritto romano, descritta in Atti degli Apostoli, in
Giudea era sufficiente che tutti i trasgressori della Legge degli antichi padri,
anche gli stranieri (peregrini), dicessero sono un cittadino romano di nascita e le autorit,
in perfetta buona fede, anzich lapidarli, gli avrebbero messo a disposizione una nave
trireme per inviarli a Roma dove avrebbero trovato Nerone che li attendeva per giudicarli;
perch al Principe dell'Impero che le massime autorit, preoccupate della
cittadinanza romana del Santo, invieranno Paolo. E cos che ce la racconta Luca.

In epoca imperiale, il Comandante del Presidio romano di Gerusalemme era un Tribuno


militare di ordine equestre(Tribunus Cohortis), insignito del laticlavio purpureo allo scopo
di evidenziarne la dignit. E il diritto di mentire ad un ufficiale, di rango cos elevato, sul
proprio luogo di nascita e sulla cittadinanza, palesato da Paolo nella recita inventata
dallevangelista, che dimostra la fantasiosa, puerile, dabbenggine dellautore, il quale,
ormai incapace di contenersi, degrada il nobile funzionario romano ad un subalterno del
super Apostolo:
Il Tribuno fece chiamare due centurioni e disse:
Preparate duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lancieri perch Paolo sia
condotto a Cesarea sano e salvo dal Governatore Felice (At 23,23-24).
Ma questa paradossale scena si scontra con ben altra realt. Tacito (Annali XIII 34):
Al principio dellanno (58 d.C.) si riaccese violenta la guerra, iniziata in sordina e
trascinata fino allora, tra Parti e Romani per il possesso dellArmenia.
Giuseppe Flavio (Ant. XX 173) descrive la guerra fra i Giudei e i Siri:
Quando Felice si accorse che la contesa aveva preso forma di una guerra, intervenne
invitando i Giudei a desistere".
In una situazione simile, allorquando tutte le forze dOriente dellImpero dovevano rendersi
disponibili per fronteggiare una guerra contro i Parti, mentre in corso una guerra civile fra
Giudei e Siri un Tribuno imperiale impiega una forza militare di pronto intervento, di
quella portata, per scortare san Paolo, dopo che gli aveva mentito sul suo luogo di nascita
e col dubbio, da lui stesso dichiarato, che potesse essere un capo ribelle come lEgiziano
(At. 21,38), un Profeta ebreo alla testa di migliaia di ribelli zeloti intenzionati a liberare
Gerusalemme dalla dominazione romana.
La sua azione fu anticipata e sgominata dall'intervento della cavalleria di Antonio
Felice, ciononostante l'Egiziano riusc a dileguarsi evitando la cattura (Ant. XX 167-172).
La persona che godeva della Cittadinanza Romana era sottoposta alla legge imperiale,
la quale, fra le varie possibilit di rilasciare (nel I secolo) questo privilegio, ne contemplava
il diritto a tutti i cittadini nati a Roma: diritto che Luca accredit a san Paolo. Ma non
plausibile che i Romani potessero concedere questo diritto, con sciocca leggerezza,
senza alcuna possibilit di riscontro (modalit che stiamo per verificare), proprio perch
avrebbero leso il diritto romano stesso, ma quello vero, vanificandolo. Eppure tale
assurdit, contenuta negli Atti degli Apostoli (che avrebbe fatto chiudere il Sinedrio,
impossibilitato a procedere per non competenza giuridica in quanto chiunque si sarebbe
avvalso di un diritto tollerante della menzogna), ancora oggi sottoscritta da alcuni
storici ispirati i quali sanno perfettamente che a salvarli dal ridicolo solo lignoranza
di molti credenti sul contenuto di questo Sacro Testo.
Nel I secolo a.C. la cittadinanza romana venne estesa agli alleati Italici e lImperatore, con
un editto, aveva il potere di concedere agli abitanti delle Province questo onore che
comportava vari benefici economici e politici fra cui limpedimento ad essere sottoposti, nei
processi, a giurie non romane: tale privilegio rimase in vigore sino al 212 d.C. Entro tale
data tutti gli abitanti dell'Impero che godevano della "cittadinanza romana" erano censiti e
registrati negli archivi pubblici.
Durante il principato, i Diplomi di Cittadinanza Romana consistevano in due spesse lamine
rettangolari di bronzo, di misura variabile (contenuta fra 15 per 20 cm), incernierate e
chiuse con i sigilli imperiali di autenticit per impedirne la rottura a chiunque intendesse
manomettere il documento. Nell'interno (intus) era inciso il nome dell'Imperatore che
aveva emesso il decreto (e i titoli onorifici a lui conferiti dal Senato), quello dei Consoli in
carica e l'anno di emissione; di seguito venivano menzionati i dati anagrafici dei beneficiari
indicanti il nome, il patronimico*, rango, civitas di appartenenza, trib* e nazione; nonch
la precisazione dell'eventuale diritto di trasmettere ai figli lo status diCivis Romanus,
ed infine l'esatta indicazione del luogo pubblico di affissione del decreto originale. Il testo
scritto all'esterno (extrinsecus), per ovvie esigenze di praticit, era consultabile
direttamente e rappresentava una copia di quello interno, ma non poteva essere alterato
perch il documento che ne garantiva l'autenticit era il primo, protetto dai sigilli imperiali.

* Obbligatorio agli stranieri che ottenevano la cittadinanza romana per diritto di


successione. Questi ultimidovevano cambiare il proprio nome con uno nuovo che
veniva formato dal "prenomen" e dal nome gentilizio di colui che aveva inizialmente
concesso la cittadinanza mentre, a guisa di "cognomen" conservavano il loro antico
nome (il semplice prenomen "Paulus", come identificativo, era talmente riduttivo al punto
da apparire una presa in giro verso qualsiasi Tribuno romano che avrebbe reagito di
conseguenza).
* Le "trib" erano costituite da 35 distretti territoriali nei quali erano ripartiti i cittadini
romani ai fini della riscossione dei tributi, della leva militare, delle operazioni di voto e
censimento: un insieme di informazioni che il Tribuno doveva verificare e alle quali il
cittadino era tenuto a rispondere.

Data l'enorme estensione dell'Impero ed in ottemperanza ai principi augustei, i Romani


consideravano i diplomi di cittadinanza documenti estramemente importanti per
identificare subito il cittadino, senza che sussistessero dubbi sulla sua fedelt, avendo
questi il diritto di seguire il cursus honorum politico e, di conseguenza, l'obbligo di
conoscere il latino. Solo un alto ufficiale romano, delegato dal Governatore della Provincia,
poteva rompere i sigilli per effettuare la prima verifica ma, in caso di controversia, il
cittadino veniva inviato a Roma dove, in primis, si riscontrava la corrispondenza dei dati
del diploma con le "constitutiones" (decreti) in bronzo, consultabili da chiunque, affisse su
uno dei muri nel Foro Imperiale. Se non vi era corrispondenza fra il diploma e la
rispettiva "constitutio" il colpevole della frode era punito con la decapitazione sull'Esquilino;
viceversa, se era dimostrata l'autenticit del diploma, il contenzioso (fra Paolo, Giudei e
Sommo Sacerdote) veniva trasmesso ad un tribunale costituito da pi giudici che avviava
il processo sino al pronunciamento definitivo della sentenza.

Come sopra accertato, lepisodio di san Paolo stato ambientato (Atti 24,27) nel 58
d.C.; ma nel I secolo, secondo quanto riportato da Svetonio in "Caligola 38", gli Imperatori
rilasciavano i Diplomi di Cittadinanza, cio, come abbiamo descritto, attestati ufficiali
che comprovavano il diritto a tale prerogativa ed era fatto assoluto divieto appropriarsi
di questo privilegio al punto che coloro che usurpavano il diritto di cittadinanza
romana, (Claudio) li fece decapitare sul campo Esquilino (Claudio 25).
In base alla legge romana, il super apostolo Saulo era tenuto ad esibire al funzionario
romano, a sua volta obbligato a chiederglielo, il "Diploma di Cittadinanza"
appositamente rilasciato dall'Imperatore; quindi la semplice dichiarazione di Paolo "Io mi
appello a Cesare" (At 25,11) non aveva alcun valore n senso logico ... o meglio,
denotava una mancanza di conoscenza in merito al vero diritto-potere, imposto da Roma,
da parte dello scriba di Dio che invent queste sciocchezze. Pertanto, da quanto
documentato, la successiva assoluzione di san Paolo, fatta apparire scritta da lui stesso
nella II lettera a Timoteo (IV 17), falsa; come ingannevole la stessa cronaca
dell'episodio narrata da Eusebio di Cesarea, arricchita di maggiori particolari fantasiosi sul
"processo" subito da Paolo (HEc. II 22,3/5).

Nel brano appena letto importante rilevare, anche, il grave anacronismo concernente
la datazione del sacro uffizio del Pontefice Anana (insultato da Paolo) il quale, come
sopra evidenziato in "Atti degli Apostoli", risulta in carica nel 58 d.C., diversamente
dalle risultanze storiche che ci apprestiamo ad evidenziare. Precisiamo altres che il
Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, per l'ecumene ebraica residente
nell'Impero Romano e nel Regno dei Parti, era l'equivalente del Papa odierno per i
Cattolici.

A seguito gravi disordini fra Giudei e Samaritani, il Sommo Sacerdote Anana, figlio di
Nebedeo, insieme ad Anano, Capitano delle Guardie del Tempio, fu arrestato e inviato
in catene a Roma, nel 52 d.C., dal Governatore di Siria, il potente Legatus Augusti pro
Praetore, Ummidio Durmio Quadrato (vedi Antichit Giudaiche XX 131), per rendere
conto allImperatore Claudio di quelle vicende (cfr Tacito Ann. XII 54).
Dalla lettura di Antichit e La Guerra Giudaica sappiamo che, dopo di lui, a presiedere il
Sinedrio, si succederanno,fra il 52 e linizio del 66 d.C., i Sommi Sacerdoti: Gionata, figlio
di Anano (dal 52 al 56); Ismaele, figlio di Fabi (dal 56 al61); Giuseppe, detto Kabi, figlio di
Simone (dal 61 al 62); Anano, figlio di Anano (nel 62 per soli tre mesi); Ges, figlio di
Damneo (dal 62 al 63); Ges, figlio di Gamalile (dal 63 al 66); e Mattia, figlio di Teofilo
sotto il quale ebbe inizio la guerra dei Giudei contro i Romani, nel 66 d.C. (Ant. XX
223).
La scenetta inventata da San Luca - col litigio di Paolo che
offende Anana chiamandolo muro imbiancato, per poi ritrattare: Non sapevo che il
Sommo Sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo (At 23,5) - si
dimostra una frottola essendo collocata nel 58 d.C. poich Anana fu deposto dalla
carica di Sommo Sacerdote del Tempio nel 52 d.C.
Avrebbe avuto un senso (un errore in meno fra i tanti) se fosse avvenuto con Ismaele,
figlio di Fabi, nominato Pontefice dal Re Agrippa II quando Antonio Felice era ancora
Procuratore, dopo che questi aveva fatto uccidere il Sommo Sacerdote Gionata fratello di
Anano.
Una volta sfuggito di mano ai Governatori di Roma il controllo politico militare della
situazione, Anana (grazie al carcere subito a Roma) sar rieletto dai Giudei Sommo
Sacerdote del Tempio nel 66 d.C. e verr ucciso, poco dopo, dallultimo dei figli di Giuda il
Galileo (figli con i nomi dei fratelli di Ges) il quale, a sua volta, sar ucciso da Eleazar,
Capo delle Guardie del Tempio e figlio dello stesso Anana, per vendicare la morte di suo
padre.
Da quanto esposto, la cronologia degli avvenimenti e delle investiture dei Pontefici
non ammette il battibeccointercorso, nel 58 d.C., fra san Paolo e il Sommo
Sacerdote del Sinedrio, Anana, gi arrestato da unLuogotenente di Claudio - anche
se, per intercessione del Sommo Sacerdote Gionata, poi sar liberato (ma Gionata, a sua
volta, verr fatto uccidere nel 56 d.C. da Felice; Ant. XX 162/164) - come dimostra la
sequenza, ordinata nel tempo, dei designati a ricoprire limportante ufficio. Infatti, con
simile fedina penale, pur se appoggiato da una fazione politicamente importante, nessun
Procuratore gerarchicamente inferiore ad un Luogotenente dellImperatore, come Gaio
Ummidio Durmio Quadrato*, avrebbe pi potuto confermare Anana Sommo Sacerdote.
* Il Legato imperiale, di stanza ad Antiochia in Siria, rimase in carica, prima sotto Claudio
poi sotto Nerone (Tacito, Annales XIV 26), sino al 60 d.C., anno della sua morte per cause
naturali. Nessun Procuratore, vincolato da precisi passaggi di consegne, avrebbe potuto
confermare Anana "Sommo Sacerdote del Tempio e del Sinedrio", neanche se proposto
da Re Agrippa II. Fino alla rivolta del 66 contro i Romani, le nomine dei Pontefici erano
sottoposte al "placet" dei Procuratori a loro volta subordinati al "Legatus Augusti pro
Praetore".

Un'altra prova che dimostra l'invenzione del personaggio "san Paolo" la riscontriamo nella
biografia a lui dedicata nel 382d.C. dallo storico Dottore della Chiesa (beatificato) Sofronio
Girolamo e scritta in "De viris illustribus" cap. V :

"Saulo era della trib di Beniamino e della citt di Giscala in


Giudea. Dopo l'occupazione romana di questa citt, egliemigr con i suoi genitori a
Tarso in Cilicia" (Op. cit).

Nella biografia di Paolo, Girolamo cita "Atti degli Apostoli" ma, al momento del suo arresto,
non fa alcun riferimento alla "cittadinanza romana" dell'apostolo perch non pu accettare
le dichiarazioni contrastanti (come abbiamo visto) addotte da Paolo sul suo luogo di
nascita. Non un caso, quindi, che abbia deciso di farlo nascere a Giscala (collocata
erroneamente in Giudea anzich in Galilea) "dopo l'occupazione romana" avvenuta il 6
d.C. Infatti, sino a quella data la Giudea era un Protettorato romano e le forze presenti
erano soggette all'Etnarca ebreo Archelao, mentre il dislocamento dei soldati romani in
Giudea, agli ordini di un Prefetto, ebbe inizio dal 6 d.C. quando la regione fu dichiarata
Provincia di Roma e annessa alla Siria da Cesare Augusto. Ne consegue che il
giovane Saulo si trasfer a Tarso dopo il 6 A.D. Ancora pi tardi, secondo la sua
testimonianza in (At 22,3), si rec a Gerusalemme alla scuola di Gamaliele. Ma allora ...
perch, quando e con quali modalit, l'ebreo Saulo avrebbe richiesto e ottenuto il diploma
di cittadinanza romana? E soprattutto, non essendo nato a Roma, con quali requisiti? Fu
appunto la mancata spiegazione a queste fondamentali domande che impose a Girolamo
di giustificare il nome romano dell'apostolo cos:

"Non appena Sergio Paolo, Proconsole a Cipro, credette alla sua predicazione in
Cristo, Saulo mutu da lui il nome diPaolo" (Op. cit.).

Infatti, dalla lettura di "Atti" risulta che Saulo, da quel momento in poi, si chiamer "Paolo".
Per sottolineare l'importanza delle conclusioni di san Girolamo, ricordiamo ai lettori che il
Dottore della Chiesa tradusse la Bibbia dal greco al latino, "Atti degli Apostoli" compresi.
Stabilito che neanche un santo riusc a rabberciare la fasulla biografia del suo grande
predecessore, consigliamo all'ectoplasma di Paolo di resuscitare e, prima di "appellarsi a
Cesare" ... si "appelli alla Storia".

A conclusione di questa iniziale analisi su san Paolo, come uomo veramente esistito, uno
storico deve constatare che a nessun suddito dellImpero sarebbe stato possibile agire, in
modo cos plateale, contro le leggi di Roma senza pagarne lo scotto immediato. Un vero
Tribuno romano, preso atto delle contraddizioni di Paolo sulla cittadinanza romana, gli
avrebbe innanzitutto richiesto di esibire il relativo attestato, poi, adempiendo al suo dovere,
avrebbe messo subito in catene il millantatore, mentre Antonio Felice, agendo da
accusatore e giudice, lo avrebbe decapitato subito dopo il processo sommario: come
previsto dalla legge.
Il battibecco, intercorso fra un qualsiasi ebreo (o ex ebreo come Paolo) ed un Sommo
Sacerdote del Tempio, dimostra che il redattore di questa farsa, composta in un periodo
storico successivo ai fatti narrati ed alle leggi vigenti anteriormente, oltre a non sapere dei
"Diplomi di Cittadinanza" in disuso dal 212 d.C., non riconosceva lautorit n il potere
detenuto da chi ricopriva tale sacro uffizio. Potere sottoposto soltanto allarbtrio dei Legati
romani o Regnanti, designati direttamente dallImperatore.
Anche questo Atto del Sinedrio, come quello riferito nel primo studio riguardante il
discorso di Gamalile e riportato in Atti degli Apostoli, un inganno conclamato, falso
come il personaggio san Paolo: incarnazione umana della dottrina, a lui rivelata da un
Ges dall'alto dei cieli, che i fedeli cristiani seguono tuttoggi.

Paolo di Tarso

Parte II: sintesi


Grazie al metodo storiologico che ci siamo prefissi di seguire, al fine di accertare verit o
falsificazioni attraverso la comparazione degli scritti neotestamentari con la storiografia
dellepoca e l'archeologia, possiamo dimostrare che san Paolo fu un personaggio
inventato ed attestato come nuovo straordinario apostolo folgorato dallo stesso Ges
gi risalito in cielo dopo la "Resurrezione". E un criterio razionale da cui non si pu
prescindere, al quale ci siamo sempre attenuti, ed lunico che ci permette di conoscere le
origini del Cristianesimo.

Stando a quanto ideato dai falsari redattori di questo documento, gli Atti degli Apostoli
avrebbero dovuto testimoniare la diffusione del messaggio teologico cristiano della
salvezza, a partire da Gerusalemme sino a travalicare gli estremi confini dellImpero
Romano. Per dimostrare come ci pot avvenire in un lasso temporale di appena un
trentennio, dalla morte di Cristo alla venuta di Paolo a Roma, oltre agli Apostoli furono
inventati anche altri protagonisti dotati di poteri taumaturgici straordinari col compito di
strabiliare le folle da convertire alla nuova religione.
Secondo gli esegeti credenti nella "tradizione" cristiana lopera "Atti degli Apostoli" fu
composta intorno agli anni 80 d.C., ma la datazione tiene conto di riferimenti storici
conseguenti alla descrizione di personaggi famosi realmente esistiti ed appositamente
riportati da chi compil il testo. Sono conclusioni fideiste completamente errate,
nonch scorrette sotto il profilo deontologico professionale, e noi ci apprestiamo a
provarlo documentandoci sulla realt confrontando storia ed archeologia.

Saulo Paolo, san Filippo e santo Stefano

Erodoto, in "Storie", chiam "Etiopia" le terre a sud dell'Egitto. Fra di esse, la Nubia,
una regione del medio Nilo nell'attuale Sudan, dopo il declino dell'antico Regno d'Egitto,
divenne sede della grande civillt kushita: "La terra dei Faraoni Neri" con capitale Meroe.

Atti degli Apostoli:


Filippo incontra un eunuco, funzionario di Candce, regina di
Etiopia, Sovrintendente ai suoi tesori, seduto su un carro disse allora lo Spirito a
Filippo (At 8,27/29).

Kandke un appellativo ellenizzato citato dal famoso geografo Strabone di Amasea


(Candce in italiano), in realtnon era un nome ma, nella lingua
nubiana dellepoca, era un titolo regale di eccellenza attribuito soltanto alle Regine
anziane, guerriere riverite alla stregua dei Re maschi. Tale idioma, in quella regione, si
sostitu allegiziano arcaico nel corso del IV secolo a.C. La "Kandke" pi famosa e
potente di quel periodo, riferita dai paleografi che hanno tradotto le iscrizioni su pietra, fu
Regina della Nubia e visse nel I secolo a.C. ma, in realt, il suo vero nome
eraAmanishakheto: l'unica sovrana meroita che os attaccare una
Provincia dell'Impero Romano. Il suo prestigio testimoniato dalla grandezza della
piramide, la pi ricca fra oltre 200 della necropoli reale, rinvenuta e poi restaurata dagli
archeologi vicino a Meroe.

Gli storici dellepoca - a partire dal greco Strabone (Geo. XVII 1,53-54), cos come Plinio
il Vecchio (Hist. Nat. VI 35,186), sino a Cassio Dione (Hist. Rom. LIV 5) - non conoscendo
la lingua, ingenerarono lequivoco scambiando il titolo della Regina, cio Kandke
(Katk in nubiano), per un nome proprio riprendendo lerrore degli scribi che riportarono
le cronache della famosa e unica Kandke che sfid Roma.
Cesare Augusto, nelle sue Res Gestae (XXVI 25), descrisse la campagna militare da lui
ordinata al Prefetto dEgitto, Gaio Publio Petronio, per risottomettere parte della Nubia al
dominio romano nel 23 a.C. poich, lanno prima (24 a.C.), la Regina Kandke
Amanishakheto, una indomita guerriera, descritta da Strabone "dall'aspetto virile, orba da
un occhio", capeggi personalmente la rivolta contro i Romani.
Petronio sconfisse i nubiani costringendo la sovrana a pervenire ad un trattato di pace,
stipulato a Samo con lImperatore stesso nel 21 a.C., che fiss il confine dellImpero col
Regno meroita.

Amanishakheto mor il 12 a.C. e, come riferito da Svetonio, i rotoli delle Res Gestae del
divino Augusto furono depositati in Senato, dopo la sua morte, divendo cos fonte diretta
degli storici imperiali.
Gli importanti resti archeologici rinvenuti a Meroe e gli studi dei paleografi che, nel secolo
appena trascorso, hanno decifrato il vero nome della regina Amanishakheto, lo
confermano. Rimarchiamo, ulteriormente, che l'unica sovrana kushita con la quale
ebbero causa i Romani fu Kandke Amanishakheto e non altre. Tale affermazione
comprovata dal fatto che, se gli storici greci e romani del I secolo avessero saputo di altre
Regine meroite ... tutte di nome "Kandke", sarebbero stati i primi a capire che non era un
nome proprio di persona ma un titolo regale e, di conseguenza, riferire ai posteri il vero
appellativo.
Lepisodio narrato in Atti datato, ovviamente, dopo la morte di Cristo, negli anni 30
del I secolo; ne consegue che la scena descritta una fandonia poich risale ad oltre
cinquant'anni successivi al decesso della famosa Regina "Kandke", il cui vero nome,
oggi noto, era Amanishakheto e questo, un evangelista testimone oculare degli Atti degli
Apostoli per di pi ispirato da un angelo del Signore (At 8,26) e dallo "Spirito Santo",
avrebbe dovuto saperlo prima di inventarsi un funzionario eunuco, Sovrintendente ai
tesori di una regina defunta, e farlo dialogare con Filippo sul profeta Isaia per convertirlo
annunziandogli la buona novella su Ges (At 8,30/40). Infatti, lo stesso funzionario
avrebbe dovuto conoscere il vero nome della propria regina e riferirlo a
Filippo, spiegandogli che i vocaboli Regina Kandke non avevano alcun senso
significando Regina Regina e, dal momento che interloquiva col santo senza alcun
problema di lingua, gli avrebbe riferito anche il titolo meroitico originale: "Katk" non
"Kandke".
Lo scriba cristiano che us lo pseudonimo "Luca", in un'epoca molto successiva agli
eventi narrati, intese "comprovare" come inizi la cristianizzazione dell'Etiopia e per
questo scopo ricerc personaggi attingendo alle fonti storiche dell'epoca ... ma, in questo
caso, era contenuto l'errore che travisava il titolo della Regina "Kandke" per un nome
proprio di persona: un grave equivoco "prelevato" rivelatosi, oggi, un "peccato mortale" al
punto che basterebbe lui solo a distruggere la credibilit di tutte le testimonianze
evangeliche ... anche se, come stiamo evidenziando, la storia dimostra che "peccati
mortali" simili, ad iniziare dagli scritti di "Luca", sovrabbondano nei documenti
neotestamentari.

Gli studiosi genuflessi, presi in contropiede da tale assurdit, riferita da un evangelista


"ispirato da Dio", provano a tergiversare ... finendo, inesorabilmente, col
debordare dalla razionalit storico archeologica. Infatti, dai ritrovamenti archeologici
sappiamo che, dalla morte di Cristo fino a Nerone, regnarono in Meroe solo
Re "maschi": Pisakar, Amanitaraqide e Nebmaatre. Soltanto dopo, dal 62 all'85 d.C.,
regn una "Candace" femmina: Amanikhatashan. Particolare peraltro superfluo perch tali
nomi non potevano essere conosciuti, n riferiti, dagli storici romani e greci di allora
... semplicemente perch i tre Re non intentarono alcuna guerra contro Roma limitandosi a
rispettare i trattati, stabiliti dalla loro antenata Amanishaketo con Cesare Augusto, ben
sapendo il rischio che avrebbero corso se avessero cercato di riconquistare le fertili
regioni limitrofe al corso inferiore del Nilo.

E' doveroso evidenziare, inoltre, che le odierne eminenze grigie della Chiesa Cattolica si
sono rese conto del grossolano errore storico commesso dagli scribi cristiani, oggi
sconfessato dall'archeologia, e stanno modificando il brano sopra riferito in "Atti degli
Apostoli". Nel testo inglese di "Catholic Bible" (si trova anche in rete) viene
riportato "...kandake, orqueen of Ethiopia" (At 8,27): in italiano "candace, ovvero regina di
Etiopia".
Con l'aggiunta di un piccolo "or" i furbi esegeti cristiani, subdolamente, equiparano
Candace al vero titolo di regina in modo da non farlo pi risultare un nome proprio di
persona ... con due conclusioni certe: 1, far passare per sprovveduti i credenti di lingua
anglofona sparsi nel mondo; 2, dimostrano che i vangeli non furono "dettati da Dio", come
decret la Chiesa nel Concilio di Trento, bens furono inventati dagli ancestrali clerici, loro
antesignani "Padri" ideologici, pertanto modificabili in ogni momento con "pio"
opportunismo. Gli occulti manipolatori della fede cristiana escludono la evenienza che una
"pecorella", del sottomesso gregge di accoliti, possa "smarrirsi" facendo una semplice
verifica con l'antichissimo "Codex Sinaiticus", tradotto e pubblicato nel web.

Dallo sproposito "Kandke" si possono scoprire altre imposture derivate contenute nel
sacro testo.
Progredendo con gli studi possiamo dimostrare che gli Atti degli Apostoli furono creati
da scribi cristiani molto tempo dopo la datazione delle vicende in essi narrate.
Gli autori si prefissero di comprovare, rafforzandone il mito tramite un ausilio mistificante
della storia, lAvvento di Ges Cristo e degli Apostoli che ne diffusero la
dottrina, inventandosi una serie di personaggi di contorno con il compito di testimoniare
gesta miracolose straordinarie.
Questi importanti personaggi comprimari vennero creati artatamente, proprio come gli
Apostoli, e fatti interagire con uomini realmente vissuti, famosi, rintracciabili nella
storiografia dellepoca, esattamente come le localit in cui furono fatti recitare, anchesse
notorie e descritte nei Vangeli.
In tal caso, lerrore Kandake, fatto dagli storici imperiali i quali non sapevano che nella
lingua meroitica era un titolo attribuito alla Regina, fu ripreso, inconsapevolmente, dagli
scribi falsari cristiani; ma oggi, grazie ad archeologia e paleografia, insieme al dato
storico della morte della sovrana guerriera, siamo in grado di scoprire la falsificazione e
dimostrare linvenzione di Filippo.

Ma non basta

Leggendo gli Atti (At 6,5), questo Filippo fu inviato assieme ad altri sei
santi colleghi con i quali operare mirabilia, tutti dotati di poteri soprannaturali; fra questi
il primo martire della cristianit: santo Stefano uomo pieno di fede e di Spirito Santo che
faceva prodigi e miracoli tra il popolo (At 6,5/8). Ne consegue che, se santo Stefano
era assieme ad un inesistente san Filippo, ovvio che anche lui fu inventato, come
gli altri cinque.
E' doveroso evidenziare, inoltre, che Filippo fu un apostolo al seguito di Ges, annunci al
"collega apostolo" Natanaele il Suo "Avvento" (Gv 1,45), presenzi con Cristo nella "ultima
cena" e fu testimone oculare della Sua "elevazione" al cielo 40 giorni dopo la "risurrezione"
(At 1,1-12). Questa solo una delle molteplici prove accumulate che dimostrano
l'invenzione della "risurrezione" di Ges; inoltre san Filippo (sic!) partecip al "miracolo
della moltiplicazione dei pani e dei pesci" (Gv 6,5/7). Viene spontaneo chiedersi: i "beati
poveri di spirito" credenti hanno letto i vangeli? ...

"L'evangelista Filippo aveva quattro figlie nubili che avevano il dono della profezia" (At
21,9)

... ma la Chiesa, consapevole Lei per prima dell'inesistenza di questo Filippo riferito in
"Atti", oggi nega che fu uno degli apostoli evangelista, celando le prove agli stessi
fedeli; al contrario, noi riferiamo ai Suoi adepti credenti la testimonianza dello storico
Vescovo Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica III 31, 2-5) in cui, richiamandosi
al Santo nei brani sopra citati degli "Atti", afferma: "Filippo era uno dei dodici
apostoli ... dopo la sua morte riposa a Hierapolis assieme alla tomba delle sue figlie".
In realt, se lo scriba di "Atti" intendeva riportare un altro "Filippo", diverso
dall'apostolo appartenente ai "dodici" (At 1,13), lo avrebbe chiarito bene, obbligandosi
a distinguere due protagonisti con lo stesso nome: gli Ebrei usavano il patronimico
a questo scopo.
S, proprio cos, a conferma di quanto dimostrato nel primo argomento "Gli Apostoli non
sono esistiti", anche questo "Santo", come gli altri apostoli, fu inventato e fatto passare
anch'egli per ebreo galileo con un impossibile nome greco. Oggi viene cancellato
definitivamente dalla storia.

Ancora non basta

Il martire Stefano, secondo Atti, venne fatto lapidare da un Sinedrio convocato da un


Sommo Sacerdote senza la presenza, e tanto meno autorizzazione, del Legato imperiale
romano (vedi Ant. XX 197/203), lunico che avrebbe potuto consentirne la soppressione in
quanto detentore del ius gladii (diritto di uccidere) ... pertanto: falso martirio, falsa
Candace, falso Filippo, falso Sinedrio, falso Stefano e, superfluo a dirsi, falsi miracoli.
Nota. Il corpo del protomartire santo Stefano fu scoperto e prelevato da Gerusalemme
nel 416 d.C da parte dello storico Presbitero Paulus Orosio, collaboratore di S. Agostino, il
geniale Vescovo Padre della Chiesa Cattolica.
Miseri resti umani anonimi, riesumati quasi quattro secoli dopo i fatti
narrati, vennero distribuititi a pezzi in molte Chiese dEuropa, e tuttoggi venerati da
sprovveduti beati poveri di spirito.
E ancora

In questa finta scena, che vede protagonista un finto martire, si introduce anche un altro
personaggio inventato, importantissimo per la Verit della Fede Cristiana: san Saulo
Paolo; ancora giovane, ai piedi del quale si compie il finto martirio di un finto santo
Stefano (At 7,58).
La sequela delle falsit sin qui evidenziate, confermate dagli studi riportati sopra e quelli
successivi, comprovano che san Saulo Paolo non fu una persona realmente esistita ma
una menzogna creata per fini ideologici dottrinali.

Proseguiamo

Lo scenario si allarga alla Samaria e


Le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo e vedendo i miracoli che egli
compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi emettendo molte grida e molti
paralitici e storpi furono risanati (At 8,6/7)

dopodich, si introduce un nuovo, questa volta malfico, attore: Simone il Mago fu


battezzato e non si staccava pi da Filippo (At 8,13): un san Filippo inventato non pu
rimanere "attaccato" ad alcun "mago": anche "Simone il Mago" fu inventato. Logica
fine di una narrazione puerile destinata a "consumatori" influenzabili e opportunamente
catechizzati.

Ancora

La "cantonata" presa con san Filippo dagli scribi cristiani falsari, monastici molto furbi ma
poco pratici di storia, paragonabile ad un'altra riferita nelle Lettere di san Saulo Paolo
(la II ai Corinzi 11,32) e in Atti (12,4/7), quando si fa dichiarare allApostolo delle Genti:
A Damasco il Governatore del Re Areta montava la guardia per catturarmi.
Secondo Atti siamo prima del 40 d.C. (anno della sua morte), pertanto questo monarca
poteva essere solo il Nabateo Re Areta IV di Petra, la cui figlia spos Erode Antipa il
Tetrarca che la ripudi dopo aver sposato anche Erodiade. Ma il suocero di Erode Antipa
non regn mai su Damasco in quanto appartenente alla Provincia romana di Siria: se
ci fosse avvenuto, data l'importanza della notizia, gli storici imperiali lo avrebbero
riferito. Fatto che non risulta. Al contrario, un antenato di questi, Re Areta III, regn su
Damasco oltre un secolo prima che Cristo camminasse sulle acque.
Nell 85 a.C., Areta III, Re degli arabi Nabatei, conquist Damasco e vi regn sino a
che, nel 83 a.C., Tigrane II dArmenia, detto il Grande, conquist la Siria e Areta III fu
costretto ad abbandonare Damasco rifugiandosi a Petra.
L'Imperio di Tigrane II non dur a lungo. L'avanzata inarrestabile della potenza di Roma,
impersonata da Pompeo Magno e le sue legioni, caus il declino dei Regni orientali del
Mediterraneo e Areta III approfitt di quei conflitti per estendere nuovamente i confini
dell'Arabia Nabatea sino a Damasco ma, nel 64 a.C., il Proconsole Emilio Scauro (Guerra
Giudaica I 159; citato anche nei rotoli di Qumran), Luogotenente di Pompeo, lo costrinse a
ritirarsi da Damasco per retrocedere a Filadelfia ed ancora pi a sud, sino a Petra,
interponendo l'arido deserto fra lui e le legioni romane.
Dopo Areta III regn sui Nabatei Obodas II, cui subentr Malichus I, al quale succedette
Obodas III, suo figlio e padre, a sua volta, di Areta IV. Questultimo regn dal 4 a.C. sino al
40 d.C., ma mai su Damasco. E' oltremodo evidente che san Luca attacc la sua
"eschetta" storica ad un amo genealogico col numero sbagliato.
Quanto riferito storia documentata e comprovata da archeologia e numismatica. Al
contrario, gli storici ispirati in piena crisi mistica, pur di salvaguardare le Verit
evangeliche, dichiarano che, morto Tiberio nel 37, Gaio Caligola nomin Re di Damasco
Areta IV. Questa gente ci vuol far credere che un Re - insediatosi sul trono, il 4
a.C., senza il placet di Cesare Augusto - dopo aver attaccato e sconfitto Erode Antipa
alleato di Roma, nel 36 d.C., durante il conflitto tra Roma e i Parti os impadronirsi di
territori della Perea, gestiti da Erode ma appartenenti allImpero. Il "blitz" lo costrinse a
rifugiarsi a Petra per evitare la decapitazione da parte di Lucio Vitellio, Legatus Augusti pro
Praetore (sino al 39 d.C.) degli Imperatori Tiberio e Caligola (Ant. XVIII 125).

Ebbene, dopo simile "curriculum", secondo gli esegeti baciapile, avrebbe ricevuto in
premio il trono di Damasco? Nella Siria? Quando fra Damasco di Siria e Petra vi era un
immenso territorio sotto dominio romano che comprendeva Traconitide, Batanea,
Auranitide, Gaulanitide, Decapoli e Perea Ma quando mai! Che lo dimostrino con dati
storici e archeologici come risultano per Areta III! Che si faccia avanti un "pio docente" di
storia e letteratura classica e lo dichiari, pubblicamente, sottoscrivendo con tanto di nome
e cognome. Per inciso, Pompeo Magno, nel 64 a.C., costitu una federazione di dieci citt,
"Decapolis", abitate da Greci e Siriani, separate dal regno di Giudea ed annesse alla
Provincia di Siria, molto pi a sud di Damasco ma ... molto pi a nord dell'Arabia Nabatea
di Areta.

Pur vittoriosa inizialmente, la guerra che Areta IV intent nel 36 d.C. contro Erode Antipa,
vassallo di Tiberio, provoc la reazione del Legato di Siria Lucio Vitellio che costrinse il
monarca nabateo a lasciare i territori conquistati e ritirarsi a Petra. Roma, che aveva il
controllo totale delle vie di comunicazione e gli scali marittimi indispensabili ai ricchi
scambi commerciali con l'Oriente, isol la citt, di conseguenza, dopo aver raggiunto il
massimo splendore con Areta IV, alla fine del suo regno Petra inizi un declino economico
irreversibile, al punto che, sotto Traiano, il regno nabateo fu sottomesso definitivamente
all'Impero Romano dal Console Aulo Cornelio Palma.
Gli storici credenti "ispirati" non arrivano o fingono, in mala fede, di non capire che san
Luca ha infilzato sullamo della storia una serie di eschette proprio per farli abboccare:
eschette che si inghiottono, una dopo laltra, come fossero ostie consacrate.
Questa colossale menzogna religiosa non pu giustificare il diritto di cambiare il passato:
conoscere la realt degli eventi accaduti un patrimonio che appartiene a tutti.
Un falso Gamalile in un falso Sinedrio; inesistenti Apostoli che fanno miracoli sotto
un inesistente portico di Salomone (At 5,13-16 ; cfr. Antichit Giudaiche XX 220-222 e
XIV studio su apposito argomento); un falso san Saulo Paolo che offende un Sommo
Sacerdote del Tempio in realt gi dimesso dalla carica, sei anni prima, dal Legato
imperiale Ummidio Durmio Quadrato; lo stesso Paolo che si permette di mentire ad un
Tribuno sul suo luogo di nascita, e questi, ciononostante, crede alla sua cittadinanza
romana senza pretendere di vedere lattestato a comprova, come previsto dalla legge che
lui stesso tenuto a far valere; una falsa folgorazione (segue); Apostoli con lingue di
fuoco sulla testa che parlano tutti gli idiomi allora conosciuti (At 2,3-4), fanno resuscitare
morti, guariscono storpi e intere folle da ogni malattia (At 5,12-16).
Eppure, gli esegeti genuflessi che fanno apostolato si vergognano di far conoscere
il contenuto di questosacro testo i preti sanno benissimo che ridicolo e lo tengono
celato: di fatto "apocrifo". Sanno che i beati poveri di spirito, oggi, se fossero messi al
corrente delle sciocchezze in esso contenute scapperebbero.
Docenti di fama, ispirati dallo Spirito Santo, discutono in congressi, vengono scritte
relazioni, pubblicati libri per analizzare gli Atti degli Apostoli sotto il profilo storico,
letterario. Tradizione giudaica che incontra la tradizione ellenica, genialit della sintesi
paolina, studi sulla probabilit che Seneca e san Paolo si siano scritti lettere (assurdit
non comprovabili al limite della demenza), gi le hanno intitolate Caro san Paolo Caro
Seneca; un enorme pesce diventa san Giovanni fritto in padella (sic!) e martirizzato da
Domiziano (in Internet cliccare su La Satira IV di Giovenale ed il supplizio di san Giovanni
a Roma sotto Domiziano). Sembrerebbe impossibile che nei nostri Atenei circolino
analisi storiche simili. A volerli leggere tutti impossibile e lo sanno; ma quello che
conta far apparire la Mole di studi fatti, una bibliografia pressoch infinita: devono
impressionare gli sprovveduti.

Ma nessun Papa che abbia mai detto in alcuna, delle innumeri (sono in rete), Udienza
Generale in Piazza san Pietro: cari fratelli e care sorelle, ora vi leggo gli Atti degli
Apostoli, iniziando dalla prima pagina, bastano un paio dorette, e avrete diritto alla vita
eterna.
No! Lo sanno: gli Atti degli Apostoli sono un puerile libello creato per convincere,
artatamente, i creduloni dolciotti con eventi storici inventati, come avvenne la diffusione del
Cristianesimo e relativa "dottrina della Salvezza". Persone che nel lontano passato non
avevano la possibilit di documentarsi per verificare se quanto riportato nei Vangeli
sarebbe potuto avvenire nella realt, ma oggi Piazza san Pietro, si svuoterebbe.

Parte III: sintesi

La "folgorazione" di san Paolo

Attraverso il confronto della documentazione neotestamentaria con la storiografia, nello


studio precedente abbiamo dimostrato linesistenza di san Paolo, san Filippo e santo
Stefano: attori di primo piano fatti recitare dagli scribi cristiani nel sacro testo di Atti degli
Apostoli.
Ritorniamo su "Paolo di Tarso", una persona inventata la cui esistenza giustificata quale
movente evolutivo, base di un credo e, di conseguenza, documentata solo da scritture
dottrinali risalenti ad epoche successive ai fatti narrati.
Di lui, nonostante si sia esibito con miracoli vistosi nelle Province dellImpero, non esiste
alcuna traccia se non quella creata da una tradizione posteriore appositamente costruita
sul suo culto.

Il santo stato immaginato e dipinto con espedienti immaturi ed errori storici talmente
madornali, al punto che nessuno pu affermare e tanto meno dimostrare sia esistito; al
contrario, dovere di uno storico dichiararne linvenzione contraffatta, pertanto, un uomo
che non esistito non pu aver scritto nessuna lettera ed il fatto che ci sia contrasto fra gli
stessi filologi credenti su quali lettere gli vengano attribuite o meno non fa che
confermare quanto appena detto perch le lettere furono scritte da altri a suo nome e
in tempi diversi a seconda dellevoluzione della dottrina.
Prima di verificare la narrazione della folgorazione di Saulo - che secondo quanto scritto
nella Bibbia, da feroce e zelante aguzzino, si spostava da una nazione allaltra pur di far
strage di Cristiani - necessario calarsi, brevemente, nel contesto reale dellepoca per
farsi unidea pi precisa di cosa stiamo parlando.

Tacito (Ann. IV 5) riferisce che ad Antiochia risiedeva il Quartiere Generale che controllava
tutto lOriente, un immenso territorio agli ordini del Governatore di Siria, Luogotenente
dellImperatore, al comando di quattro legioni pi forze ausiliarie con equivalente numero
di uomini.
Ad esso erano subordinati, giuridicamente e militarmente, anche tutti i Procuratori, i
Prefetti, Tetrarchi, Etnarchi e Re vassalli con i rispettivi eserciti. Era una forza di pronto
intervento, dislocata in tempo di pace, per un totale di circa quarantamila uomini schierati
in difesa di un limes che si dipartiva dal Mar Nero, il Ponto, lArmenia, lalto corso del fiume
Eufrate, sino al Mar Morto comprendendo la Palestina.
Roma voleva garantirsi contro la potenziale minaccia dei Parti che avrebbero avuto tutto
linteresse ad affacciarsi sul Mediterraneo, la via di comunicazione pi efficiente per i
traffici e gli scambi commerciali fra le terre pi fertili e ricche del mondo conosciuto da
coloro che, allora, scrissero la storia occidentale ... ed i Vangeli.

I Cesari conferivano il diritto di uccidere (ius gladii) soltanto ai Governatori delle Province
romane, comandanti di adeguati contingenti militari con un potere egemonico territoriale
assoluto. Erano Magistrati con la prerogativa di fungere da accusatori e giudici al
contempo nei confronti degli abitanti denunciati di reato, con leccezione di quei sudditi che
godevano della cittadinanza romana, attestata da un diploma rilasciato
dallImperatore. Questi ultimidovevano essere processati da un tribunale composto da pi
giudici e, se non esisteva nel territorio in cui era stato commesso il reato, gli imputati erano
inviati a Roma in catene con la prima trireme che vi si recava. Un potere militare enorme
ed un diritto funzionale a mantenere aggregato un Impero vastissimo.
A nessun Sommo Sacerdote "" (Archiereis) delle molteplici divinit, oggetto di
culto dei territori sottomessi a Roma, era concesso larbitrio di ammazzare sudditi
dellImperatore; quindi il Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme non poteva
sopprimere nessun cittadino dellImpero senza il preventivo consenso del Legato
imperiale, anche in caso di violazione della Legge mosaica la quale non vincolava il
funzionario romano ... e il Sommo Pontefice ne era consapevole.
Il ius gladii era affidato anche ai Re clienti, Tetrarchi o Etnarchi, delle regioni sotto
protettorato di Roma, ai quali era consentito un esercito con armamento leggero per
mantenere lordine pubblico e riscuotere i tributi.
E questo scenario territoriale, militare e giuridico dell'Impero Romano del primo secolo,
che ignor, e fece male, Luca quando si invent

la folgorazione di Saulo sulla via di Damasco

Saulo, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si present
al Sommo Sacerdote e gli chiese lettere per le Sinagoghe di Damasco per essere
autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della dottrina di
Cristo (At 9,1/4);
Io (Saulo) perseguitai a morte questa nuova dottrina arrestando e gettando in prigione
uomini e donne, come pudarmi testimonianza il Sommo Sacerdote e tutto il collegio
degli anziani (il Sinedrio). Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e
partii per condurre anche quelli di l come prigionieri a Gerusalemme (At 22,4/5).

Questa testimonianza, sullesistenza dei primi seguaci di Ges, con il forzato e


ulteriore richiamo al Sommo Sacerdote del Tempio e al Sinedrio (per Luca era una
fissazione, ma non poteva fare a meno di inciamparvi), si dimostra unaltra messa in scena
sconfessabile dal diritto romano, funzionale a conservare il dominio imperiale tramite un
corpo di pubblici ufficiali, strutturato e rigidamente gerarchizzato.
Il Sommo Sacerdote che presiedeva il Sinedrio di Gerusalemme non possedeva il potere
per inviare suoi sgherri ad arrestare cittadini damasceni assoggettati alla giurisdizione
della Provincia di Siria, governata direttamente da Roma tramite il suo funzionario di
stanza ad Antiochia: il Luogotenente dellImperatore, subordinato solo a lui. La sua
autorit sarebbe stata scavalcata da quella di un Sommo Sacerdote e dal Sinedrio
Giudeo, per di pi, col potere (esclusivo dei Romani) di fare strage di uomini.

Solo un asceta ignorante, al di fuori del contesto reale dellepoca, poteva inventarsi simili
assurdit facendole apparire come una dottrina dettata da Dio. Era il Principe dellImpero
Romano, o il Senato, che potevano mettere al bando o dichiarare legittimo un culto; solo
lImperatore o i funzionari da lui delegati nelle Province avevano il potere di esercitare il
ius gladii, cio il diritto, egemone, di sottoporre a supplizio, uccidere o reprimere gli
abitanti responsabili di provocare tumulti, compresi quelli di origine religiosa.
Nei territori, sottoposti al dominio romano, governati da Re nominati dallImperatore e
devoti a Roma, era concesso a questi monarchi il diritto di uccidere in funzione delle
proprie leggi patrie, ma nessun capo di qualsiasi culto o setta poteva perseguitare seguaci
di altri culti, tanto pi se si trattava di religiosi cittadini residenti in altri territori
sottoposti a pubblici ufficiali nominati direttamente dallImperatore.
Il cursus honorum degli alti funzionari romani nelle Province imperiali imponeva loro il
rispetto di una gerarchia, rigidamente disciplinata, facente capo al Cesare.

In Giudea, allepoca della folgorazione di Saulo, governava un Prefetto incaricato


dallImperatore e da lui delegato con pieni poteri e diritto di uccidere; solo lui, caso per
caso, poteva concedere al Sinedrio di Gerusalemme il permesso di riunirsi per deliberare
ed eventualmente, a suo insindacabile giudizio, di giustiziare, nel proprio territorio, uno o
pi ebrei colpevoli di aver trasgredito la Legge ancestrale.
Perch potesse avviarsi tale procedura era indispensabile la presenza di un Prefetto o un
Procuratore e la violazione di tale norma comportava la destituzione immediata del
Sommo Sacerdote del Tempio che presiedeva il Sinedrio (Ant. XX 202-203).
In Siria (ove sorgeva Damasco), i Presidii militari di Roma erano indispensabili per tenere
a bada i Parti e vi risiedevano contingenti con forze pi numerose e strategicamente pi
importanti della guarnigione di stanza a Gerusalemme agli ordini di un Tribuno
romano. Lui soltanto e non un Sommo Sacerdote giudeo, in linea teorica ma con altre e
ben pi gravi motivazioni, avrebbe potuto richiedere - tramite il suo superiore, Prefetto di
Giudea, residente a Cesarea Marittima - lautorizzazione al Luogotenente dellImperatore,
Comandante del Quartiere Generale romano di Antiochia, per poter arrestare cittadini di
Damasco ed estradarli a Gerusalemme, in Giudea.

San Luca progett che la missione di Paolo, destinata a stroncare il movimento dei
seguaci di Ges, si sarebbe trasformata in una missione a favore dei Cristiani grazie
ad un evento straordinario: la folgorazione.
Fu durante questo viaggio, fasullo sia per la motivazione che per la procedura (entrambe
in contrasto alla rigida struttura gerarchica, giuridico-militare, facente capo al Cesare), che
levangelista si invent la conversione di Saulo (At 9,1/9) e, dopo averlo fatto folgorare
e accecare da un Ges risuscitato e gi seduto sulla destra di Dio Padre Onnipotente (At
2,32), cre il nuovo Apostolo: san Paolo.

Lo scriba che intese comprovare l'esistenza di Paolo di Tarso, impegnandolo in


una intensa opera di apostolato, fece
girovagare il suo personaggio sino ad Efeso, capitale della Provincia romana dell'Asia
minore, ove, secondo "Atti", in virt delle manifeste guarigioni miracolose effettuate, riusc
a convertire "tutti gli abitanti della Provincia d'Asia". Ovviamente si tratta di una
notizia esagerata, pertanto inventata, che storia e archeologia sono in grado di smentire
facilmente.
Poich la presenza di Paolo ad Efeso correlata a quella del longevo apostolo Giovanni,
rimandiamo lo studioso alla
analisi, riportata al successivo V argomento, tramite la quale si dimostra l'inesistenza delle
due colonne portanti del Cristianesimo primitivo creato dopo la risalita in cielo del
Redentore dell'umanit peccatrice.

L'impudenza degli amanuensi cristiani nell'inventare storie, pur di giustificare la loro


dottrina gesuita, inesistente nel I secolo, giunse al culmine quando falsificarono una grave
carestia, avvenuta in Giudea sotto l'Imperatore Tiberio, depistandola in modo che
risultasse avvenuta sotto Claudio. Allo scopo fecero intraprendere al loro attore teologale
preferito, Saulo Paolo, un ulteriore viaggio in Giudea "scortato" dallo Spirito Santo:

"Il Profeta Agabo annunzi, per impulso dello Spirito Santo, che sarebbe scoppiata una
grave carestia su tutta la terra. Ci che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio. Allora i
discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello che possedeva, di mandare un aiuto ai
fratelli della Giudea; questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Brnaba e
Saulo" (At 11,28/30).

Si tratta di una vicenda creata nei particolari, con estrema ipocrisia, all'unico fine di
impedire la datazione storica di una ribellione ebraica contro il dominio romano sulla terra
di Israele mentre una grave carestia mieteva vittime fra la popolazione. La scoperta del
grave fatto avrebbe permesso agli studiosi di risalire all'intervento (non l'Avvento) del
Messia Salvatore identificandolo come persona appartenente alla realt zelota dell'epoca.
In tale circostanza la dottrina della salvezza sarebbe stata sconfessata e vanificata. La
dimostrazione di questo ulteriore aberrante viaggio di Saulo Paolo riportata nel
successivo X argomento.

Paolo di Tarso. La nuova Rivelazione di Dio fu cos incarnata in un personaggio


inventato di sana pianta da uno o pi mistici, ignoranti di leggi, ma sufficientemente furbi
da capire che lillusione della resurrezione della carne era un miraggio cui pochi uomini
avrebbero saputo resistere.

Grazie all'invenzione del super apostolo Saulo Paolo, i Padri fondatori decisero di
innestare il rituale del sacrificio eucaristico teofagico del Soter pagano nel Messia
giudeo Salvatore ... ma si sarebbe infranta la Legge mosaica rivelata da Yahweh ai Profeti
semiti. I loro vaticini non contemplavano l'Avvento dell'Unto divino da immolare alla
divinit, in latino "Hostia", per poi risorgere ed essere diviso in particole sacre da far
inghiottire ai fedeli, sangue e corpo, entro una frazione di pane per avere in premio il
diritto alla vita eterna.
A tale scopo si rese necessario escogitare l'intervento dello stesso Messia, gi risorto, per
"autorizzare" dall'alto dei cieli la modifica biblica da propagandarsi tramite un nuovo
apostolo ignorato negli stessi vangeli.

Nel corso del terzo secolo l'Impero Romano manifest l'incapacit a difendere le proprie
frontiere. La potenza di Roma non era pi in grado di reggere l'urto dei popoli confinanti
interessati ad invadere i fertili territori sotto il suo dominio.
La popolazione interpret quella debolezza una conseguenza della mancata protezione
delle divinit capitoline e, spontaneamente, si rivolse ad altri credi, soprattutto di origine
orientale, in grado di soddisfare i bisogni individuali di conoscenza esistenziale ed oltre la
morte.
Fu l'epoca in cui il Cristianesimo pot svilupparsi sino ad ottenere il
riconoscimento legale per poi imporsi come unica religione di Stato entro un Impero ormai
prossimo alla disgregazione finale.
Tra le molteplici sette cristiane, seguaci di Cristi concepiti in maniera diversa nella forma e
nella sostanza divina, prevalse quella dei seguaci della dottrina dell'apostolo Paolo.

Basato sull'illusione per la salvezza della vita eterna, ufficializzato da un Impero ormai
decadente, il Cristianesimo paolino si imporr e diffonder, prima nelle sue Province, poi
sino ai territori allora remoti ... dimostrandosi il pi grande lavaggio del cervello che
l'umanit abbia mai conosciuto.

Emilio Salsi
L'inesistente apostolo Giacomo detto 'il Minore' o 'il Giusto'

Sintesi

La trasmissione dei testi cristiani patristici antichi - dal Nuovo Testamento alla Historia
Ecclesiatica di Eusebio, dalle opere pi importanti di Tertulliano e Origene a quelle di molti
altri "Padri della Chiesa" - stata oggetto di studio da parte di filologi classici, paleografi e
biblisti.
Di tali opere disponiamo trascrizioni su pergamena e papiro, le pi antiche risalenti non
prima del Medioevo; esse sono costituite da un corpus di codici manoscritti i cui
originali non sono stati conservati gelosamente, come sarebbe stato logico fosse
avvenuto data l'estrema importanza storico documentale della dottrina in essi
contenuta; al contrario vennero distrutti deliberatamente per cancellare le prove della
evoluzione di una nuova religione, in origine totalmente diversa, ad iniziare dai protagonisti
teologici esclusivamente giudaici il cui mito si rese necessario modificare nel corso di un
progressivo cambiamento durato secoli. La distruzione metodica dei documenti cristiani
originali ebbe inizio sin da quando il Cristianesimo giunse al potere e l'Impero
Romano era ancora saldo. Era l'epoca dell'Imperatore Costantino il Grande, nel IV secolo,
quando, sotto di lui, il potente Vescovo cortigiano, Eusebio di Cesarea, pot accedere agli
Archivi Imperiali e visionare i rotoli manoscritti concernenti le cronache di Roma e la
sottomessa Giudea nonch i rispettivi protagonisti del primo secolo.
Paleografi, papirologi, biblisti e filologi hanno svolto il proprio lavoro ma "lenigma" inerente
Ges Cristo, Apostoli e Sacra Famiglia non sono riusciti a risolverlo ... o non vogliono.
Oggi spetta agli storici analisti indagare, tramite la lettura comparata di fonti diverse e
senza essere condizionati dalla fede, le vicende evangeliche calandosi nel contesto
dell'epoca con una visione generale dei fatti. Studiosi, quindi, consapevoli di esaminare
la Giudea del primo secolo, una terra, asservita all'Impero Romano, la cui Legge ebraica
ancestrale non poteva entrare in contrasto con quella di Roma. Una esigenza
imperiale che valeva per tutte le religioni, nei confronti delle quali le autorit romane
avevano istituito un apposito collegio sacerdotale col compito di sorvegliare i culti stranieri
per accertare la fondatezza di eventuali contenuti dogmatici nazionalisti insofferenti
all'assoggettamento imposto dalla potenza dominante.

In linea con questo principio, i Cesari, unici depositari dell'insieme dei poteri dello Stato
(imperium), investiti del supremo grado religioso dell'Impero Romano (Pontifex Maximus) -
pertanto al di sopra di tutti i Sommi Sacerdoti ""(Archiereis) di ogni credo -
conferivano il diritto di uccidere (ius gladii) soltanto ai Governatori delle Province romane,
le pi alte autorit di quelle circoscrizioni, comandanti di adeguati contingenti militari con
un potere egemonico territoriale assoluto. Erano Magistrati, spesso sacerdoti pagani, con
la prerogativa di fungere da accusatori e, al contempo, giudici nei confronti degli
abitanti denunciati di reato, fatta eccezione di quei sudditi che godevano della
cittadinanaza romana attestata da un diploma rilasciato dallImperatore. Questi
ultimi dovevano essere sottoposti a processo da un tribunale composto da pi giudici e, se
non esisteva nel territorio in cui era stato commesso il crimine, gli imputati erano inviati a
Roma in catene con la prima trireme che vi si recava.
Il ius gladii veniva concesso anche ai Re clienti, Tetrarchi ed Etnarchi che governavano le
regioni sotto protettorato romano, i quali potevano dotarsi di un esercito con armamento
leggero sufficiente a garantire l'ordine pubblico e la riscossione dei tributi.
Un potere militare romano enorme, basato su un diritto funzionale a mantenere aggregato
un Impero vastissimo.

Al contrario dei Governatori provinciali, a nessun sacerdote delle molteplici divinit,


oggetto di culto nei territori sottomessi a Roma, era concesso larbitrio di ammazzare
sudditi del Pontefice Massimo e Princeps dell'Impero.Conseguentemente un Sommo
Sacerdote del Tempio di Gerusalemme non poteva sopprimere nessun abitante della
Provincia romana di Giudea senza il preventivo consenso del Luogotenente imperiale,
anche in caso di violazione dellaLegge mosaica la quale non vincolava il funzionario
romano ... e il Sommo Pontefice ne era consapevole;come ne erano
consapevoli gli scribi cristiani quando inventarono il "processo a Ges" dei vangeli:

"Condussero Ges dalla casa di Caifa al Pretorio ... allora Pilato disse ai Giudei:
Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge. Gli risposero i Giudei: A noi non
consentito mettere a morte nessuno" (Gv 18,28/31).

In questi documenti leggiamo che per poter rendere esecutiva la condanna a morte di
Cristo, decretata dal Sommo Sacerdote Caifa, si rese obbligatorio sottoporre il caso al
giudizio definitivo del Prefetto romano Ponzio Pilato il quale, direttamente, ordin il
supplizio del condannato.
Troviamo riscontro in "Antichit Giudaiche" (XX 102), di Giuseppe Flavio, in cui si riferisce
che il Procuratore Tiberio Giulio Alessandro, in carica dal 46 al 48 d.C., dopo aver
personalmente sottoposto a processo Giacomo e Simone, due figli di Giuda il Galileo, il
romano ordin che i due zeloti venissero crocefissi.

A verifica di quanto affermato, prendiamo in esame la "prova" di Eusebio sullesistenza


di Giacomo fratello di Ges -manipolata nella sua "Historia Ecclesiastica" sin
dall'epoca costantiniana - seguendo la cronaca di Giuseppe Flavio. Infatti, se esistito un
fratello di Cristo, di conseguenza, secondo gli scribi cristiani, si dovrebbe ammettere che
esistito anche Ges il Redentore, ma verifichiamo il testo storico.

Da "Antichit Giudaiche" XX 196-203:

Saputo questo, il Re diede il sommo sacerdozio a Giuseppe, soprannominato Kabi, figlio


del Sommo Sacerdote Simone.Venuto a conoscenza della morte di Festo,
Cesare (Nerone) invi Albino come Procuratore della Giudea. Il Re Agrippa (II) poi
allontan dal sommo sacerdozio Giuseppe e gli diede come successore nellufficio il figlio
di Anano, il quale si chiamava anch'egli Anano. Con il carattere che aveva, Anano pens
di avere unoccasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggio:
cos convoc i Giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di
nome Giacomo, fratello di Ges, detto Cristo, e certi altri, con laccusa di avere
trasgredito la Legge e li consegn perch fossero lapidati. Ma le persone pi
equanimi della citt, considerate le pi strette osservanti della Legge (i Giudici del
Sinedrio) si sentirono offese da questo fatto. Perci inviarono segretamente (legati) dal
Re Agrippa supplicandolo di scrivere una lettera ad Anano dicendogli che il suo primo
passo non era corretto, e ordinandogli di desistere da ogni ulteriore azione. Alcuni di
loro andarono incontro ad Albino che era in cammino da Alessandria informandolo
che Anano non aveva alcuna autorit di convocare il Sinedrio senza il suo
assenso.Convinto da queste parole, Albino, sdegnato, invi una lettera ad Anano
minacciandolo che ne avrebbe espiato la pena dovuta. E il Re Agrippa, per la sua azione,
depose Anano dal sommo pontificato che aveva da tre mesi,sostituendolo con Ges,
figlio di Damneo.

Innanzitutto rileviamo che Anano consegn (stato di fermo momentaneo, affidamento


sotto vigilanza armata delle Guardie del Tempio) degli uomini perch fossero
lapidati e non li fece lapidare.
Su quegli uomini pendeva un capo dimputazione gravissimo, contemplato dalla legge
mosaica, che prevedeva la pena di morte ... ma Anano non poteva lapidare nessuno
senza il benestare del Procuratore, e questo il Pontefice lo sapeva benissimo, pertanto
si limit a praticare di propria iniziativa una misura restrittiva della libert agli accusati dopo
aver emesso il decreto (e qui commise l'errore) prima dell'arrivo del funzionario
imperiale; quindi scavalcando le modalit della prassi prevista dal potere di Roma. Infatti,
la richiesta, inoltrata dai legati dei giudici del Sinedrio ("osservanti della Legge") al Re
Agrippa II per ordinare ad Anano "di desistere da ogni ulteriore azione", vuole
significare che la lapidazione non era ancora stata eseguita.
Anano era consapevole che il diritto di uccidere era prerogativa assoluta del Procuratore
romano "cum iure gladii" e il minimo che gli poteva accadere, se si fosse arrogato lui quel
potere, era di finire in catene come avvenuto dieci anni prima al Sommo Sacerdote
Anana* o, ancora peggio, poteva fare la fine del proprio fratello pi anziano, Gionata,
Sommo Sacerdote prima di lui, fatto uccidere dal Procuratore Antonio Felice (Ant. XX
162/164) soltanto per averlo contestato; ma soprattutto, sapeva che i Romani non si
fidavano dei Sommi Sacerdoti giudei sino al punto di volere essi stessi processare di
persona ed interrogare gli accusati, sotto tortura, per accertarsi se erano ribelliintegralisti
partigiani e farsi rivelare i nomi dei complici prima di eliminarli.
* Per ordine del Legato di Siria Ummidio Durmio Quadrato (Ant. XX 131), di cui abbiamo
riferito dettagliatamente nel precedente argomento su Paolo di Tarso.

Il massimo prelato ebraico era certo, col carattere che aveva, che la logica della grave
motivazione prevalesse sulliter formale della procedura la quale prevedeva la presenza
del rappresentante di Roma per poter convocare il Sinedrio. Questa norma consentiva
allImperatore, attraverso il suo funzionario di fiducia, di controllare politicamente cosa
decideva il Sinedrio fantoccio di Gerusalemme.
Della lapidazione di Giacomo o chicchessia, per aver violato la Legge ebraica, a
Lucio Albino non importava affatto. Quando il Sinedrio si riuniva, il Procuratore lo voleva
sapere e, preso visione di persona degli argomenti che venivano trattati, poteva, a suo
giudizio insindacabile, approvarli o meno prima di essere deliberati Roma,
semplicemente, non si fidava: tutto qui.
La fazione sacerdotale in quel momento contraria al Sommo Sacerdote Anano colse
loccasione per "fargli le scarpe" scalzandolo dal suo Uffizio e alcuni di loro andarono ad
Alessandria ad intercettare Albino (lui era il vero detentore del potere), informandolo che
Anano non aveva alcuna autorit di convocare il Sinedrio senza il suo
assenso: questoera loggetto del contendere.

Al Procuratore non fu denunciato il reato, consistente nella lapidazione di alcune


persone, perch non era stata eseguita la sentenza impossibile senza la ratifica del
funzionario di Roma; la delazione si riferiva soltanto alla convocazione del
Sinedrio avvenuta senza la sua approvazione e il romano convinto da queste
parole non volle sapere altro.
Giacomo non venne neanche nominato ad Albino, n avrebbe potuto conoscerlo; pertanto
il Procuratore fece intervenire il Re vassallo Agrippa II e gli ordin di deporre Anano che
aveva osato convocare il Sinedrio senza il suo assenso e al suo posto fu nominato laltro
papabile Sommo Sacerdote: Ges, figlio di Damneo fratello di Giacomo.

A meno che non si voglia gettare al macero tutti i testi di storia e letteratura della Roma
antica, nessuno studioso, dedito alla conoscenza dell'Impero Romano, potr mai accettare
che un Sommo Sacerdote giudeo si sia potuto arrogare il diritto di uccidere numerosi
sudditi del Princeps Pontifex Maximus cavandosela con la semplice rimozione dalla carica
rivestita. La flagranza di reato sarebbe stata troppo manifesta avendo il Pontefice del
Tempio ebreo di Yahweh approfittato dell'assenza del Procuratore per attribuirsi i suoi
poteri sino al punto di sostituirlo nell'autorit e investirsi delle sue prerogative di
Magistrato, anteponendo la legge giudaica al diritto romano: l'unico a contare nei territori
sottomessi all'Impero e l'unico funzionale al mantenimento del potere di Roma, ad iniziare
da quello conferito ai suoi Legati imperiali.
Il minimo che poteva accadere ad Anano, in un caso del genere, sarebbe stato quello di
finire in catene ed inviato a Roma per essere sottoposto al tribunale di Nerone il quale non
si sarebbe fatto alcuno scrupolo di decapitarlo se non addirittura crocifiggerlo come monito
verso qualsiasi sacerdote intendesse emularne le gesta. Come gi fece l'Imperatore
Tiberio nel 19 d.C. con due sacerdoti del Tempio di Isis, fatti crocefiggere in quanto
complici di un semplice reato a luci rosse, di gran lunga inferiore se paragonato a
quello imputato dagli "storici contemplativi" al Sommo Sacerdote di Gerusalemme per
essersi attribuito il diritto di uccidere: un potere riconosciuto per
legge esclusivamente aiGovernatori romani.

La "tradizione" cristiana che interpret erroneamente questo Atto del Sinedrio giudaico,
come stiamo per accertare, fu "assemblata" molti secoli dopo da monastici scribi incapaci
di comprendere i rigidi meccanismi che governavano l'Impero Romano all'apice della sua
potenza. Una volta preso visione della autentica vicenda storica nella quale compariva un
ebreo di nome Giacomo, fratello di uno dei tanti "Ges" (Giosu) a spasso in
Gerusalemme, gli amanuensi approfittarono della coincidenza fra il nome di un apostolo-
fratello abbinato a quello del Redentore e decisero di aggiungere "detto Cristo" al fratello
di un tizio col nome "Ges" per creare una prova della esistenza di "Ges Cristo".
Infatti, dopo aver riletto il passo su riportato, se proviamo a togliere detto Cristo,
rimarrebbe solo Giacomo, fratello di Ges, senza patronimico (dobbligo in prima
citazione ebraica), di conseguenza, lunico Ges che ha il patronimico
Ges, figlio di Damneo, pertanto lo storico Giuseppe non riporta il patronimico di
Giacomo perch, essendo questi fratello di Ges figlio di Damneo, anch'egli figlio di
Damneo. Viceversa, se fosse stato un altro giudeo di nome Ges, non figlio di
Damneo, lo storico ne avrebbe dovuto citare laltro differente patronimicoper
distinguere i due Ges omonimi.
Il fatto che dopo il nome Ges non poteva esserci il titolo divino giudaico di Cristo, viene
testimoniato anche dal Padre apologista cristiano Orgene il quale, nel III secolo (circa
ottanta anni prima del Vescovo Eusebio), in due sue opere ("Commentarium in
Matthaeum" X 17 e "Contra Celsum" I 47), riferendosi a questo episodio dichiara
candidamente, sorpreso e nello stesso tempo dispiaciuto, che Giuseppe (Flavio) non
riconosceva Ges come Cristo (Messia).
Al fervente cristiano Orgene bast aver letto nel brano di "Antichit" i nomi di Ges e il
fratello Giacomo per balzare gi dallo scanno, convinto, motu proprio, che lo storico
giudeo si riferisse a Cristo ma non lo scrisse perch, in quanto ebreo, non poteva
riconoscerlo come suo Messia. I credenti non si rendono conto che l'apologista Orgene,
con questa frase, testimoni esattamente che nella cronaca autentica di Giuseppe Flavio
non vi era scritto "Cristo" dopo il nome di "Ges". Particolare importante a dimostrazione
del fatto che, all'epoca di Origene, ancora non esisteva la futura falsificazione attribuita
allo storico fariseo da Eusebio: il Testimonium Flavianum, tramite il quale si
attesta "Ges era il Cristo". Altra "eccellente prova" dell'Avvento del "Salvatore" fatto
"testimoniare" da Giuseppe Flavio per mano del potente Vescovo nella sua "Historia
Ecclesiastica".

Il "Testimonium" di Eusebio, da lui accreditato allo storico Giuseppe sull'esistenza di Ges


Cristo, verr interpolato nei codici di "Antichit Giudaiche" dall'XI secolo in poi ma,
giocoforza, ha vincolato gli amanuensi a citare questo "Ges" con il titolo giudaico
riduttivo "detto Cristo" nel Sinedrio di Anano per evitare al cronista ebreo Giuseppe
Flavio di spiegare che il Sommo Sacerdote del Sinodo, al cospetto del "fratello del
Messia", si sarebbe sentito in obbligo di chiedergli chi fosse quel "Messia" Salvatore che
gli Ebrei stavano aspettando e, di conseguenza, aprire un altro "processo a Ges".
Inevitabilmente, "Ges era il Cristo" del Testimonium diventa la genesi imprescindibile
di "detto Cristo": solo la certezza della prima affermazione d un senso alla titubante
"testimonianza" della seconda, ma pi avanti, nel VI studio, una volta dimostrato che il
"Testimonium Flavianum" un brano ideato da scribi cristiani, anche la introduzione della
frase spuria "detto Cristo", apparentemente riferita al fratello di un inesistente Vescovo di
Gerusalemme, a sua volta fratello di un inesistente Cristo, senza scampo, si dimostrer un
ulteriore falso creato ad hoc per rendere veritiero storicamente il mito del "Salvatore"
universale.

Lintromissione spuria di Cristo, nella frase riportata Giacomo, fratello di Ges, detto
Cristo, ha lo scopo di richiamarsi, intenzionalmente, a Ges Cristo e la sua famiglia, cos
come ci stata descritta dai Sacri Testi e dai pulpiti ecclesiastici, ma anche questo
dimostra che Giuseppe Flavio, veramente, non conosceva Ges Cristo e quindinon
poteva riferirsi a Lui perch, altrimenti, l'ebreo avrebbe dovuto
scrivere: Giacomo, uno dei fratelli di Ges, detto Cristo o, ancora meglio, secondo
quanto sostiene la Chiesa: Giacomo, uno dei cugini di Ges, detto
Cristo cui,obbligatoriamente, avrebbe dovuto seguire ("bar" in aramaico) figlio di ?
E qui iniziano i dolori, come vedremo fra poco.

Giacomo, fratello di Ges figlio di (bar) Damneo, e certi altri, se la cavarono. Infatti, se (per
assurdo) fossero gi stati uccisi, che bisogno cera per i deputati sinedristi di correre ad
Alessandria da Lucio Albino? Laccusa contro Anano di aver convocato il Sinedrio senza la
sua autorizzazione rimaneva sempre e avrebbero potuta usarla anche dopo, aggravata
dalla violazione del ius gladii (diritto di uccidere: potere, rimarchiamo, conferito dai Cesari
solo ai Governatori romani), giusto il tempo che questi giungesse da Alessandria e
soprattutto, non si sentirono offesiper un linciaggio non eseguito: sarebbe una frase
ridicola se fosse collegata al reale eccidio di molti uomini. Un martirio collettivo di
ipotetici cristiani che viene sistematicamente ignorato da tutti i Padri della Chiesa
ad iniziare da Origene il quale non approfondisce la vicenda accusando il Sommo
Sacerdote Anano dell'eccidio.
La mania del martirio tale che la manipolazione della sua invenzione ci viene
testimoniata con una diversa versione dei fatti dal Venerabilissimo Vescovo Eusebio di
Cesarea nella sua Historia Ecclesiastica in cui leggiamo:

In realt vi furono due Apostoli di nome Giacomo: uno il Giusto, fu gettato gi dal
pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da un follatore; laltro fu decapitato (HEc. II
1,5) e, per dare maggior peso alla testimonianza, accredita a Giuseppe Flavio la falsa
affermazione che il martirio di Giacomo caus la distruzione di Gerusalemme come
punizione divina (HEc. II 23, 19-20).

Abbiamo visto che le gesta di questo Giacomo - richiamate con due narrazioni
divergeti delle rispettive morti(peraltro il Tempio di Gerusalemme, descritto
dettagliatamente da Giuseppe Flavio, in Ant. XV 392-425, non aveva pinnacoli,
diversamente dalle future Chiese cristiane) - non sono rapportabili a Giacomo, fratello di
Ges, riferito dallo storico fariseo come in procinto di essere lapidato. Le testimonianze,
macchinate da scribi falsari scoordinati fra loro, finiscono col
concretizzare un terzo "Giacomo apostolo", tenuto conto che il primo era "Giacomo il
Maggiore" ucciso, tramite decapitazione, ancor prima da Re Erode Agrippa I (At 12,1).
Siamo di fronte a tre tentativi, falliti dagli amanuensi cristiani, finalizzati a costruire su un
fatto reale, avvenuto nel primo secolo nel Sinedrio di Gerusalemme, la prova storica della
loro divinit: il Cristo salvatore dell'umanit e di suo fratello, Giacomo apostolo. Nella
cronaca sopra riportata, l'appiglio sfruttato dai clericali era costituito dalla citazione casuale
del nome Ges, molto popolare fra i Giudei dellepoca, abbinato al nome "Giacomo".
Infatti, non pu essere un caso se lo stesso "Ges", nel vangelo di Giovanni, non chiama
al Suo seguito nessun "Giacomo" apostolo, inoltre, tutti gli esegeti mistici fingono di
ignorare la piccola contraddizione contenuta nel sacro testo: san Luca segue gli
apostoli nei loro Atti degli Apostoli fino al 63 d.C. ma non riporta la morte
di Giacomo il Minore senza provare per lui alcuna piet.
Levangelista Luca, che secondo la "tradizione" mor nel 93 d.C., dopo aver riferito la
morte di Giacomo il Maggiore (il primo), descrive i viaggi di Saulo Paolo fino al suo arresto
e trasferimento a Roma nel 63 d.C. (At. 28,30), ma non sadelle "bastonate a
morte" n della lapidazione" di Giacomo il Minore che sarebbe avvenuta nel 62 d.C.
eppure si trattava di uno dei dodici Apostoli, Capo della Chiesa di Cristo e Vescovo di
Gerusalemme. E' evidente che ancora non era stato inventato lalter ego
dellunico Giacomo esistente nei manoscritti originali. Questa lacuna negli Atti degli
Apostoli talmente grave che il solito Eusebio di Cesarea decide di correggerla
raccontandola cos:

Poich Paolo si era appellato a Cesare Nerone e Festo laveva inviato a Roma, i Giudei
si volsero contro Giacomo,fratello del Signore, al quale gli apostoli avevano assegnato
il trono episcopale di Gerusalemme (HEc. II 23,1).

Ma non semplice falsare la Storia e, per rendere verosimile la fede in Cristo, inventare
un "vescovo assiso sul trono".
Gli eventi contemporanei, descritti in questo brano ecclesiastico, dimostrano che lo
scriba eusebiano (come l'evangelista Giovanni morto nel 104 d.C.) non conosceva le
conseguenze delle datazioni storiche dal momento chel'accostamento di Paolo a
Giacomo, diventa una ulteriore inesorabile prova che smentisce l'identificazione
dell'ebreo Giacomo (fratello di Ges figlio di Damneo) con il Giacomo fratello del
Signore. Infatti, non si spiegherebbe il silenzio sulla morte di Giacomo il Giusto (avvenuta
nel 62 d.C.) da parte di san Paolo, appassionato grafomane di interminabili lettere,
sapendo che quest'ultimo mor nel 67 d.C., come testimoniato da san Girolamo in "De
viris illustribus":

"San Paolo presentiva il proprio martirio ... nell'anno quattordicesimo di Nerone fu


decapitato in Roma per la sua fede in Cristo" (op. cit., cap. V).

E' impossibile giustificare l'ignoranza di san Paolo riguardante il martirio di Giacomo il


Minore, avvenuto cinque anni prima del suo, considerato che lo rammenta nella Lettera ai
Galati (I 19) ove lo chiama "il fratello del Signore" e nella Prima lettera ai Corinzi (15,7)
quando lo esalta personalmente giacch, dopo risorto, "Ges apparve a Giacomo e
quindi a tutti gli apostoli".
Se Paolo avesse saputo della straziante morte del "collega" Giacomo, ovviamente, ne
avrebbe glorificato il supplizio ed attestato la cronaca a futura memoria con una ardente
epistola. E non soltanto Paolo ...
La totale assenza di riscontri nei Codici trascritti nelle Abbazie, durante i secoli, dagli
amanuensi dell'intera cristianit, ci impone il dovere di affermare che in realt il supplizio
di Giacomo ignorato da tutti i discepoli di Cristo, dai Suoi successori e tutti i Padri
della Chiesa, san Girolamo compreso, fino a tutto il primo millennio ... con la sola
eccezione di Eusebio il quale, tuttavia, come abbiamo visto, rilascia una versione
totalmente diversa. Poich quest'ultimo visse oltre mezzo secolo prima di Girolamo e ne
costitu la fonte diretta, come possibile trovare una spiegazione a questa assurdit?

Per capire necessario consultare i manoscritti che narrano le rispettive opere e verificare
le datazioni in cui gli scribi di Dio le hanno redatte; dopodich notiamo che "Historia
Ecclesiastica" di Eusebio stata trascritta dagli amanuensi in due famiglie distinte di
codici datati fra il X ed il XIII secolo*. Diversamente, il manoscritto contenente "De viris
illustribus" di Girolamo fu stilato da altri scrivani un secolo prima ed oggi custodito nel
"Seminario Teologico di New York" contrassegnato come "Codex MS 2 Q
Neoeboracensis" risalente al IX secolo (approfondiamo i dettagli nel V studio
concernente Giovanni apostolo e nel VI studio sul Testimonium Flavianum).
Quindi del tutto evidente che le sacre penne monastiche hanno chiamato il famoso
vescovo e storico cristiano Eusebio a "testimoniare" sul martirio di Giacomo il Giusto
attingendo anche al "Codex Ambrosianus F 128" dell'XIsecolo per i richiami alle
"Antichit Giudaiche" di Giuseppe Flavio, nelle quali gli scribi introdussero il falso
Testimonium Flavianum e l'espressione "detto Cristo" nel Sinedrio di Anano che stiamo
trattando.

* I manoscritti di "Historia Ecclesiastica" di Eusebio sono divisi in due famiglie; la prima


composta dai Codici: B = Parisinus 1431 (sec. XII); D = Parisinus 1433 (sec. XII); M =
Marcianus (sec. XII); la seconda composta dai Codici: A = Parisinus 1430 (sec XI);
Laurentianus 70,20 (sec X); Laurentianus 70,7 (sec XI); Mosquensis 50 (sec XII).
A questi manoscritti si aggiungono una versione Siriaca ed una Armena contrassegnate
con "" ed una versione latina "L" fatta risalire a Rufino di Aquileia; versioni che vengono
datate "probabilmente" al V secolo: una datazione basata su un "probabilmente" destinato
ai credenti, ma non alla Storia ...

Rufino di Aquileia (345-410 d.C.) era amico di, udite udite ... san Girolamo, s, quello di
"De viris illustribus"; ma questi non sapeva della morte di Giacomo il Giusto (op. cit. cap.
II) causata dalle bastonate di un follatore, mentre il suo compagno di fede ne era al
corrente ... stando a quel che vorrebbero farci credere gli odierni esegeti spirituali. Rufino
ebbe con Girolamo alcuni contrasti riguardanti la dottrina ma nessuna discrepanza
concernente la vita degli apostoli. A causa delle insanabili anttesi presenti nei
manoscritti elencati (ad iniziare dalle datazioni ricavate semprecon poco affidabili stime
paleografiche), quando i traduttori provarono a congetturare un archtipo di "Historia
Hecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, furono costretti ad effettuare censure, tagli,
correzioni e aggiunte in base ad interpretazioni soggettive di comodo. L'editio princeps
greca, curata da da R. Estienne, fu pubblicata a Parigi nel 1544; ad essa fecero seguito
una sequela di traduzioni discordanti, dite fino ai nostri giorni.

Tuttavia - pur essendo gli interpreti dei codici scelti dall'alto clero fra i credenti
contemplativi - non esiste alcun manoscritto in grado di dimostare la conoscenza, da
parte di tutti i Padri e i Dottori della Chiesa, succeduti nei secoli, del supplizio di
Giacomo il Minore perpetrato dal Sommo Sacerdote Anano prima della stesura del
Codex Ambrosianus F 128, risalente all'XI secolo d.C., contenente Antichit
Giudaiche di Giuseppe Flavio. Finalmente, dopo oltre un millennio, gli scribi di Dio
stabilirono che il martirio di Giacomo il Giusto, fratello di Ges, avvenne tramite
lapidazione.
Quando, nove secoli fa, gli amanuensi trascrissero questo codice, aggiunsero il
famoso "detto Cristo" nel XX Librosenza rendersi conto che nello stesso momento
avrebbero dovuto correggere tutti i manoscritti giacenti nelle biblioteche
ecclesiatiche dell'intero mondo cristiano per eliminare l'altra contraddittoria morte di
Giacomo il Minore
... il Giusto, fu gettato gi dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte"
riferita nei manoscritti di "Historia Ecclesiastica" di Eusebio. Una colossale svista che,
inevitabilmente, stravolger il "Testimonium Flavianum", ovvero quella che avrebbe dovuto
costituire la prova storica extra cristiana di eccellenza, introdotta nell'XI secolo dagli
scrivani di Cristo nello stesso codice. Pubblichiamo l'indagine specifica nel VI studio.

Rientriamo ora nel presente argomento e rileviamo che lo scriba ebreo, Giuseppe, non
riporta le motivazioni dellaccusa del Sommo Sacerdote rivolta a Giacomo ed agli altri, ma
si limita ad un generico per avere trasgredito la Legge perch il procedimento contro gli
accusati, in stato di fermo cautelativo - consegnati sotto vigilanza armata - fu annullato
dalla rimozione di Anano.
Altro particolare importante da sottolineare che, in Atti degli Apostoli,
Ges Cristo non viene mai nominato nel Sinedrio se non con la generica
definizione di costui perch "Jesha" (contrazione aramaica dell'ebraico "Yehosha")
per l'evangelista era un titolo divino (Colui che salva), diversamente, come tale, non
riconosciuto dagli Ebrei; pertanto, questo episodio, riferito ad un vero atto del Sinedrio,
sconfessa gli Atti degli Apostoli dimostrando che i sacerdoti Ebrei non avevano problemi
a nominare Ges Cristo tranne in Atti di Luca.

Ancor pi significativamente, nella cronaca test letta, lo storico giudeo non accenna
allesistenza in Gerusalemme, la sua citt natale, di un Vescovo, capo della Chiesa
Cristiana e di una religione avversa all'ebraismo. La pretesa dei clericali di individuare,
nel "Giacomo" del resoconto storico, addirittura il Capo territoriale dei Cristiani giudei del
primo secolo, si ritorcer contro la menzogna di Eusebio grazie alle scoperte
archeologiche, come dimostriamo nel successivo IV studio. Attenendosi al profilo storico
razionale, Giuseppe Flavio l'avrebbe sicuramente riferito, essendo suo dovere, poich nel
62 era gi un eminente sacerdote fariseo di 25 anni. Inoltre, lo storico non usa mai il
termine Apostoli: non li conosce come non ha mai conosciuto o sentito parlare di
miracoli spettacolari da loro esibiti davanti al Tempio, sotto il portico di Salomone (allora
distrutto e precisato dall'ebreo), o nelle piazze della Citt Santa al cospetto di folle venute
dalle citt vicine. Ricordiamo che Giuseppe nacque nel 37 d.C. e, appena quattro anni
prima, i suoi genitori assistettero al film "La Passione di Cristo" senza pagare il biglietto: la
cui trama non hanno mai raccontato al figlio.

Ma ci che rende veramente importante questo Atto del Sinedrio, risalente al 62 d.C.,
costituito dal fatto che, stranamente, lunico registrato dallo storico dalla morte di
Erode il Grande in poi; e il motivo per cui fu lasciato, ovviamente, quello che stiamo
dibattendo. La singolarit del Sinodo ebreo di Anano, riferito nella cronaca di Giuseppe,
stride con l'operosit del Sinedrio chiamato continuamente a deliberare su Ges ed i suoi
successori nei documenti neotestamentari del cristianesimo paolino. Questo aspetto lo
approfondiamo nel XV studio attraverso una meticolosa analisi a riprova che gli
amanuensi di "Antichit", dall'XI secolo in poi, hanno censurato tutte le cronache e le
delibere del Sinedrio di Gerusalemme al fine di giustificare la mancanza di riscontri storici
concernenti il "processo a Ges" e relativa condanna del Messia ebreo. Sono molte le
censure che si susseguono per coprire i vuoti nella storia infatti,diversamente dai
vangeli - oltre l'assenza della delibera del Sinedrio concernente la condanna a morte
di"Ges Cristo" tramite supplizio - la storia, contrariamente a quanto narrato in "Atti degli
Apostoli", non conosce lo scontro avvenuto quattro anni prima, il 58 d.C. (quando
l'ebreo Giuseppe aveva 21 anni ed era gi un importante scriba e sacerdote fariseo), nello
stesso Sinodo fra l'ex ebreo, apostata della Legge mosaica, Saulo Paolo ed il Sommo
Sacerdote Anana: fanta diatriba apostolica, avvenuta in un Sinedrio riunito senza
autorizzazione del Legato imperiale (vedi II studio), risolta a favore di Saulo grazie
all'intervento del Tribuno romano di Gerusalemme, dipinto in "Atti" come un idiota. Ancora,
la storia di "Antichit" non sa niente della condanna a morte di santo Stefano, voluta dal
Sinedrio (convocato senza Legato romano) di "Atti degli Apostoli": il protomartire
massacrato senza piet ai piedi del giovane sinedrista "Saulo", non ancora "Paolo",
smanioso di far strage di cristiani.
Intanto, se abbiamo potuto leggere la cronaca di questo Sinedrio per un solo scopo: il
nome Ges; ma non ilCristo che tutti sappiamo, come ci si vorrebbe far credere con la
piccola manomissione mirata, bens un altro, uno dei tanti ebrei di nome Ges (Giosu)
che vivevano nella Giudea del I secolo. Cristo non pu averlo scritto Giuseppe Flavio:
stato aggiunto da un pio falsario, organizzato e diretto da mani forti.
Il primo cristiano che ebbe la possibilit di consultare gli archivi imperiali fu appunto
Eusebio di Cesarea, data la posizione di privilegio presso la corte di Costantino, e questo
aspetto era conosciuto dagli scribi che falsificarono "Antichit Giudaiche" nell'XI secolo,
pertanto pensarono di chiamare in causa il remoto Vescovo. Ma chi altri, se non uno
scriba cristiano con un preciso disegno, avrebbe potuto mettere nella penna di un
eminente sacerdote fariseo la parola Cristo equivalente a Messia, il prescelto da Dio
come guida del Suo popolo? Senza minimamente riflettere che lo scrittore, come
ebreo, si sarebbe sentito in obbligo di riempire svariati rotoli manoscritti per
descrivere la divinit salvatrice dei Giudei che lui stesso attendeva

Sin dal lontano passato, la Chiesa, al fine di provare lesistenza del suo Salvatore come
uomo, ha inteso supportare le verit evangeliche con una documentazione storica
inventandosi il Testimonium Flavianum e manipolando, inoltre, questo episodio
autentico riferito ad un tale Giacomo, fratello di Ges, il Sommo Sacerdote figlio di
Damneo, come si evince dallo scritto dello storico Giuseppe.
La dimostrazione dellalterazione del testo originale segue due percorsi:

1 La constatazione che la modifica introdotta varia da un manoscritto allaltro sempre


sullo stesso punto della frase, vitale per la prova teologica: la parola Cristo. Infatti,
mentre nel "Testimonium Flavianum", fatto risultare scritto dall'eminente fariseo Giuseppe
Flavio, gli scribi cristiani attestarono "Questi era il Cristo", viceversa, nel brano dello storico
ebreo, sopra riportato, proveniente dagli archivi ecclesiastici, leggiamo "detto Cristo...".
Pertanto riproduciamo la fotocopia di un testo antico accreditato allo stesso Giuseppe,
tradotto dal greco, risalente a cinque secoli addietro, pervenuto, superfluo a dirsi, dagli
archivi di un Vescovo, come riportato sul frontespizio:

FLAVII IOSEPHII ANTIQVITATVM IVDAICARVM


Per Hier. Frobenium e Nic. Episcopium, Basileae, MDXLVIII (Lib. XX, cap. 8)
In esso riferito, in basso a destra, fratello di Ges Cristo di nome Giacomo.

Poich queste traduzioni, provenienti da manoscritti curati da Episcopi motivati a far


risultare vera la dottrina che postulava lavvento del Messia Ges, essendo adulterate con
modalit diverse in quellunico punto del brano, si dimostra che quella piccola frase non
era originale ma aggiunta posteriormente, pertanto, se si elimina Cristo, rimane un
solo Ges, figlio di Damneo, con un fratello di nome Giacomo.
Quattro secoli prima di questa versione, fu stilata la pi vetusta copia manoscritta di
"Antichit Giudaiche", contenente il XX Libro, nel Codex Ambrosianus GR F 128,
risalente all'XI secolo. Tale datazione dimostra che tutti gli alti esegeti dell'intera Critianit
hanno spacciato il textus receptus del manoscritto come veritiero tacendo il fatto che il
Giacomo, descritto nel brano storico come fratello di Ges Cristo, se veramente fosse
stato ucciso tramite lapidazione, avrebbe contraddetto l'altra morte del fratello di
Ges "gettato gi dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte". Questa diversa fine
di Giacomo il Minore, narrata in "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, dimostra in
modo lampante la finzione del suo evento. A riprova di tali contrasti insanabili evidenziamo
che non esiste alcun manoscritto antecedente al Codex Ambrosianus GR F 128: il
primo a riportare la morte per lapidazione di Giacomo fratello di Cristo. Un insieme di
assurdi controsensi, ad iniziare dal silenzio tombale sul supplizio di Giacomo da parte
degli apostoli morti dopo di lui, tutti i successori di Cristo, Padri apostolici e
apologisti,compreso san Girolamo che ne descrive la vita. A ci faranno eccezione le
"testimonianze postume" rilasciate, oltre dieci secoli dopo, dagli amanuensi nei rispettivi
codici a nome di Origene ed Eusebio ... anch'esse divergenti fra loro.

2 Lanalisi critica svolta in conformit al diritto-potere in vigore nella Roma imperiale ha


provato che non vi fu alcuna esecuzione a morte delle persone incriminate dal Sommo
Sacerdote bens il solo decreto da lui emesso, prontamente contestato ed annullato a
causa della procedura errata seguita da Anano in contrasto con la normativa
operante. Tale prescrizione era vigente ancora prima dellepoca di Ges (ad iniziare dal
Prefetto Coponio, il 6 d.C.), tant' vero negli stessi Vangeli leggiamo che Cristo fu prima
arrestato e poi ucciso, ma solo grazie all'intervento del funzionario imperiale Pilato
nel processo a Ges. Almeno sotto questo aspetto (lunico), levangelista - prima di
inventarsi la sceneggiatura generale della granguignolesca "Passione di Cristo" finalizzata
alla Sua resurrezione escatologica - si inform sulle leggi di Roma allora in atto.
Peraltro, dalla lettura approfondita dei Vangeli, la presenza in questo Sinedrio di un
Giacomo, fratello di Ges Cristo, aggravata dalla "dolorosa" impossibilit di individuarne
il padre, come risulta dalla stessa indagine apologetica fatta dal Pontefice del Vaticano.
Gli esiti di questi due filoni di indagine si incrociano immancabilmente, sebbene, ad
ulteriore conferma delle risultanze scoperte, si sta per aggiungere un terzo riscontro che
tratteremo nel successivo argomento: l'archeologia.

Rimaniamo in tema e leggiamo cosa ha dichiarato Benedetto XVI ( in rete)


nella Udienza Generale su Giacomo il Minore tenuta il 28 Giugno 2006, a comprova di
quanto da noi sopra riportato nell'apposito I argomento avvalendoci anche della Tabella
"Nominativi degli Apostoli nei Vangeli Canonici":

Cari fratelli e sorelle, accanto alla figura di Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo, nei
Vangeli compare un altro Giacomo, che viene detto il Minore. Anchegli fa parte delle
liste dei dodici Apostoli scelti personalmente da Ges, eviene sempre specificato
come figlio di Alfeo (Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 5). E stato spesso identificato con un altro
Giacomo, detto il Piccolo (Mc 15,40), figlio di una Maria (ibid)
che potrebbe essere la Maria di Cleofa presente, secondo il Quarto Vangelo, ai piedi
della Croce insieme alla Madre di Ges (Gv 19,25). Anche lui era originario di Nazaret
e probabile parente di Ges (Mt 13,55; Mc 6,3), del quale alla maniera semitica viene
detto fratello (Mc 6,3; Gal 1,19).
Tra gli studiosi si dibatte la questione dellidentificazione di questi due
personaggi dallo stesso nome: Giacomo figlio di Alfeo e Giacomo fratello del
Signore. Le tradizioni evangeliche non ci hanno conservato alcun racconto n sulluno
n sullaltro. La pi antica informazione sulla morte di questo Giacomo ci offerta dallo
storico Flavio Giuseppe. Nelle sue Antichit Giudaiche (20, 201 s), redatte a Roma
verso la fine del I secolo, egli ci racconta che la fine di Giacomo fu decisa con iniziativa
illegittima dal Sommo Sacerdote Anano, figlio dellAnnas attestato nei Vangeli, il quale
approfitt dellintervallo tra la deposizione di un Procuratore romano (Festo) e larrivo del
successore (Albino) per decretare la sua lapidazione nellanno 62 d.C.

Come i lettori e gli stessi fedeli possono constatare, limpossibilit di dare un certificato
anagrafico a questo "Giacomo" pi che evidente allo stesso Papa dei cattolici. Tuttavia
rileviamo che il grande teologo Benedetto XVI ha taciuto appositamente agli estasiati
credenti la realt fondamentale costituita dal fatto che a partire
dagli evangelisti,apostoli, Padri successori, nonch tutti gli storici e i Dottori della
Chiesa sino all'XI secolo*, nessuno di loro sapeva della lapidazione di Giacomo,
fratello di Ges, per di pi Vescovo della Chiesa di Gerusalemme. Inoltre, ancora con
opportuno calcolo, Benedetto XVI si guardato bene dall'informare le fedeli pecorelle del
suo gregge sulla enorme contraddizione derivante dalla rappresentazione dell'altro
martirio, subito dallo stesso Giacomo, tramite le bastonate di un follatore: un evento
descritto dettagliatamente, ma con particolari totalmente diversi nella "Historia
Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, in codici stilati dal X secolo in poi. Tali risultanze
significano solo un dato di fatto: coloro che inventarono la vita e lo strazio di Giacomo il
Minore sapevano che questi era un personaggio di pura fantasia. Ne consegue che non
era esistita n la tortura, n il Santo che avrebbe dovuta patirla.

* Stando alle affermazioni del Pontefice del Vaticano, e per l'intera cristianit odierna, san
Giacomo sub il martirio nel 62 d.C. ma ... "i Cristiani del I millennio" non la pensavano
cos perch, in tal caso, sarebbero stati i primi a riferire l'evento. Ecco la lista dei seguaci
di Cristo, appassionati scrittori di lettere e cronisti di mrtiri, morti dopo Giacomo ma senza
riferire del suo supplizio: l'evangelista Luca mor il 93 d.C.; gli apostoli Pietro e Paolo
morirono nel 67 d.C.; l'evangelista Marco mor dopo di loro; l'evangelista Giovanni mor il
104 d.C.; Ireneo di Lione in "Contro le eresie" rifer degli apostoli e mor nel 202;
Tertulliano mor nel 230; Orgene Adamanzio mor nel 254; Eusebio di Cesarea mor nel
340; san Girolamo scrisse la biografia di Giacomo il Minore poi mor nel 420 d.C.
Risalendo i secoli, fino all'XI, nessun cristiano scrisse della lapidazione di Giacomo il
Minore. Stabilite le primitive testimonianze ecclesiastiche, non ci si venga a dire che, oltre
un millennio dopo la sua dipartita, lo spettro di Giuseppe Flavio inform l'umanit che
Giacomo il Minore fu lapidato in un Sinedrio giudaico nel 62 d.C.

Se quel Giacomo, protagonista passivo della vicenda esaminata in "Antichit Giudaiche",


fosse stato identificato dallo storico ebreo con il nome del padre (patronimico,
equivalente al nostro cognome) - prassi obbligatoria da lui rispettata per tutti i personaggi
dellepisodio sopra esaminato (basta rileggerlo) - in riferimento a "Giacomo fratello di
Ges detto Cristo", Giuseppe Flavio avrebbe dovuto dichiarare che (essendo fratello di
Cristo) Giacomo era figlio di (bar)Giuseppe (san) il quale, sappiamo tutti, era sposato
con Maria Vergine.
Infatti, la maniera semitica, accampata dal Papa per disconoscere i fratelli di Ges e
salvaguardare la illibatezza di Maria extra vergine, non ha rappresentato alcun problema
al cronista ebreo per distinguere tra numerosi fratelli, cugini o fratellastri, da lui citati a
partire dall'Antico Testamento, poich scrisse le sue opere prima in aramaico (la lingua di
Ges) e poi le tradusse in greco, come avvenuto per gli scritti evangelici.
Prassi essenziale confermata anche da Eusebio di Cesarea in "Storia Ecclesiastica" (II
1,2; VII,19), il quale, dopo aver letto i vangeli fra cui uno in aramaico, ben lungi dall'essere
vincolato dalla maniera semitica, scrisse:
"In quel tempo Giacomo, detto fratello del Signore, poich anch'egli era chiamato
figlio di (bar) Giuseppe, e Giuseppe era padre di Cristo ...";
"Il trono di Giacomo, che fu il primo a ricevere dal Salvatore e dagli apostoli l'episcopato
della Chiesa di Gerusalemme, e che i libri divini designano anche con il titolo di fratello
di Cristo, stato conservato fino ad oggi".

Il Papa dei credenti, Benedetto, (cos come tutti gli esegeti contemplativi) finge di ignorare
la precisa deposizione storica rilasciata dal Vescovo, suo predecessore ideologico, un
secolo prima del Concilio di Efeso, tenutosi nel 431 d.C. sotto l'Imperatore Teodosio II,
durante il quale i Metropoliti cristiani stabilirono che Maria, madre di Cristo, era anche
"Madre di Dio" (Theotokos).

E' solo un aspetto, sebbene rilevante della questione oggetto della nostra indagine, che ci
fa comprendere quale contraddizione si sarebbe palesata per la dottrina cristiana
se, conformemente ai vangeli ed alla prassi semitica, in "Antichit Giudaiche" (XX 200)
avessimo trovato scritto il patronimico: Giacomo figlio di (bar) Cleofa ... il quale era
sposato con Maria sorella di Maria (la Madonna: Gv 19,25). Benedetto XVI,
consapevole del rischio per laimpossibile omonimia tra sorelle, ha opportunamente
evitato di ricordare ai fedeli che Maria, madre di Cristo, a sua volta,
era "imparentata" (secondo "la maniera semitica" che, a suo dire, non precisa il grado di
parentela) con la"sorella di Maria" moglie di Alfeo o di Cleofa. Uomini i quali diverrebbero
tutti potenziali padri di Ges, essendoGiacomo loro figlio e allo stesso tempo fratello di
Cristo e di Giovanni (Gv 19,26), quindi figlio di Maria ma ... anchefiglio di san Giuseppe,
notizia talmente grave per il dogma mariano che lo stesso Pontefice, pur interessato a
ricercare un patronimico (al contrario: la Chiesa se ne guarda bene dal farlo) a questo
Giacomo, trascura volutamente per non manifestare la mistica "ammucchiata"
conseguente le contradditorie testimonianze evangeliche. Ricordiamo ancora che,
attenendoci a quanto evidenziato dai Sacri Testi, dalla Storia Ecclesiastica e dalla
"Tradizione patristica" cristiana, stiamo parlando di un fratello di Ges Cristo, suo Apostolo
successore, addirittura Vescovo di Gerusalemme.
E' appunto sulla base di questi dati che il maggiore biblista cattolico del mondo, John Paul
Maier, nel I volume del suo lavoro "Un ebreo marginale. Ripensare il Ges storico" a
pag. 324 attesta: ...l'opinione pi probabile che i fratelli e sorelle di Ges fossero
veri fratelli. Il famoso prete esegeta sa bene che tutte le risultanze storiche e bibliche
riportano che Maria, oltre Ges, fu madre di altri quattro figli maschi e due o pi femmine.
Da parte nostra rimandiamo i lettori al VI studio sul "Testimonium Flavianum" (II parte) per
approfondire le motivazioni che indussero i Cristiani, nel IV secolo, a modificare i vangeli
originali includendo la "Nativit" e la "Madre di Dio".

Per concludere: le deposizioni di Eusebio di Cesarea (il quale, come da lui


attestato, disponeva di un vangelo originale in aramaico) e degli evangelisti canonici sono
contradditorie fra loro stesse oltre che con quelle degli altri Padri. Ne consegue che le
diversit delle testimonianze sono incompatibili con quella di Giuseppe Flavio che si
dimostra falsificata intenzionalmente per fare apparire vera una persona mai
esistita. Giacomo il Minore, o "il Piccolo", o "il Giusto" fu niente altro che un protagonista
teologico creato dai Padri del cristianesimo in modo scoordinato.
Di questo la Chiesa ne consapevole, infatti, qualche anno fa, dopo che fu rinvenuto un
autentico ossario del I secolo, ma con la iscrizione incisa in epoca
moderna, "Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Ges", prima ancora che le autorit di
Israele scoprissero linganno archeologico, senza scomporsi pi di tanto Essa ne denunci
la menzogna pubblicamente: gli esegeti ecclesiastici sanno che Giacomo il Minore, o il
Piccolo, o il Giusto, furono inventati dai loro antesignani fideisti per non far risultare
che Giacomo, uno dei veri fratelli di Jesha, fu ucciso dal Procuratore Tiberio Giulio
Alessandro nel 46/48 d.C. assieme a suo fratello Simone, entrambi figli di Giuda il
Galileo, guarda caso, due anni dopo l'uccisione di Giacomo il Maggiore e la celestiale fuga
di Simone Pietro propiziata dall'intervento di un angelo del Signore (At 12,1-9).

La correttezza del presente studio dedicato alla verifica critica dell'esistenza dell'apostolo
"Giacomo il Minore" confermata nella sua validit da un'altra testimonianza storica
rilevante, riportata nella successiva analisi su "I falsi successori degli Apostoli", tramite la
quale, grazie all'ausilio della archeologia, si dimostra che in Gerusalemme non mai
esistito alcun Vescovo cristiano almeno sino alla fine del II sec. d.C.
Si spiega cos il motivo per cui lo storico ebreo non pot riconoscere nel Giacomo, citato
nella cronaca, il Capo spirituale di una comunit di Cristiani gesuiti in Gerusalemme.
Infatti, se fosse esistita una "Ecclesia" di Cristiani praticanti nella sua stessa citt natale -
credenti nell'avvento di un sofferente "Messia Salvatore del Mondo", quindi distinti dai
Giudei in "Attesa" del potente "Messia Dominatore del Mondo" - il fariseo Giuseppe Flavio
l'avrebbe riferito nel resoconto della vicenda. Un evento risalente al 62 d.C. quando l'ebreo
risiedeva sempre in Gerusalemme ed era un importante membro del Sinedrio, parente o
quanto meno amico del Sommo Sacerdote Anano.
Giuseppe mori agli inizi del II secolo d.C. senza riferire alcunch dei numerosi mrtiri
gesuiti, seguaci di un Messia (Meshiah) ebreo gi venuto - creati con la fantasia, oltre due
secoli dopo, dall'eminente Vescovo e storico cristiano Eusebio di Cesarea - tanto
apprezzati dagli odierni esegeti spiritualisti.

Ges e Cristo furono appellativi sacri scelti dalla setta ebraica (nazionalista come gli
Zeloti) degli Esseni, aderenti alla comunit alessandrina che, in conformit ai rotoli
rinvenuti a Qumran, ne avevano preannunziato la venuta come "Messia" e "Figlio di Dio".
In un periodo storico successivo (compreso fra la distruzione di Gerusalemme e del
Tempio effettuata da Tito nel 70, e la guerra giudaica voluta da Adriano nel 132 d.C.), in
coerenza alle loro antecedenti predizioni, gli Esseni, diversamente dalle altre sette
giudaiche, riconobbero gi compiuto l'Avvento del "Figlio di Dio" circa tre generazioni
prima. Lo designarono con due titoli divini, Salvatore e Messia, ravvisandolo in un
influente ebreo, capo dei Farisei Zeloti, seguaci della "quarta filosofia, una novit sinora
sconosciuta", ideata il 6 d.C. da Giuda il Galileo e riferita da Giuseppe Flavio nelle sue
opere.

Il figlio primogenito di Giuda, erede delle velleit messianiche del padre, riusc
effettivamente a divenire "Re dei Giudei" nel 35 d.C. mentre Roma era impegnata nella
guerra contro l'impero dei Parti: un Re Messia che venne giustiziato dal Legato imperiale,
nel 36 d.C., con le modalit che dimostreremo pi avanti. Fu in conseguenza di quel
martirio che, come eroe e martire, gli Esseni lo chiamarono nei vangeli primitivi - da loro
redatti in aramaico, greco e copto - col suo vero nome: Giovanni, nativo di Gmala. Erano
"Vangeli su Giovanni" ... non scritti da "Giovanni", narranti le gesta portentose di Giovanni,
il Messia ebraico, "Figlio di Dio", docile come un agnello (Agnus Dei), profetato da Isaia ...
senza "nascita verginale" pagana e, tantomeno, transustanziazione eucaristica.
Il rituale eucaristico teofagico della "Hostia" pagana (la vittima sacrificata consacrata al
Dio) verr successivamente innestato nel Messia giudeo dal salvifico Cristianesimo
paolino romano: una bestemmia contro la Legge ancestrale e la mitologia ebraica.
Ma come possibile affermare ci?

Dopo aver evidenziato che la storia cancella, uno ad uno, tutti gli "Apostoli" dalla realt
giudaica di quell'epoca, fatto che non avviene per i fratelli di "Cristo", andiamo avanti con
le analisi e trasferiamoci a Nazaret per dimostrare che la patria di "Ges", cos come viene
descritta nei vangeli, non corrisponde affatto alla citt attuale ma a Gmala, roccaforte
degli Zeloti e luogo nato di Giuda il Galileo e i suoi figli ... i quali avevano tutti lo stesso
nome dei fratelli di "Ges": Giacomo, Simone, Giuda, Giuseppe ... pi Giovanni,
indicato nei vangeli con "costui".

Emilio Salsi
Dopo Giacomo il Minore svaniscono i suoi finti successori: Simone, Giuda
Giusto, ecc.

La fede superstiziosa e profonda, atavica eredit cristiana - instaurata da Teodosio I nel


tardo Impero Cattolico Romano, quindi imposta ai popoli sottomessi come religione unica
e, nei secoli futuri, diffusa dai clerici sino ai pi remoti territori conosciuti - col tempo,
gradatamente ma inevitabilmente, sino all'epoca moderna, stata scalzata dai costumi
patrii grazie ad uno spontaneo processo di instaurazione delle discipline scientifiche
razionali, tale da coinvolgere la carta costituzionale fondamento della sua dottrina: le
Sacre Scritture neotestamentarie.

Quando fu creato il mito dell'Avvento del Salvatore Messia ebraico (Jesha), si


originarono variegate sette cristiane primitive ognuna delle quali basata su principi
teologici, escatologici e regolamentari diversi, ideati e scritti su testi sacri dai rispettivi
fondatori, i quali, ovviamente, si dichiaravano eletti e depositari della volont di Dio.
Predicavano i loro precetti come Sue rivelazioni promettendo la Salvezza e il benessere,
anche nell'aldil, ai propri adepti. Furono i primi Padri, portati a idealizzare Cristi diversi
e, per la loro suprema, peculiare, conoscenza (Gnosis dal greco) del Dio Salvatore,
furono detti Gnostici.
Gli antesignani di questi Padri, i veri testimoni iniziali dell'Avvento di un Messia giudeo,
Figlio di Dio, risultano essere stati gli ebrei Esseni: furono loro ad averlo profetato come
tale quando l'attendevano e si sentirono in obbligo a documentarne la discesa dal Cielo
dopo l'olocausto perpetrato dai Romani contro i Giudei.
(Rimandiamo ad una successiva analisi sugli Esseni, alla luce delle ultime verifiche
effettuate dai paleografi israeliani sui rotoli di Qumran vicino al Mar Morto).

La secolare evoluzione teologica raffigurata in vangeli "gnostici", "apocrifi" o pseudo -


cos come descritta da alcuni Padri "canonici" e pervenutaci, in parte, grazie alla scoperta
di codici rinvenuti o dissepolti casualmente da archeologi - fu seguita e curata dai Padri
del Cristianesimo. Le risultanze teologali conclusive, le stesse che ritroviamo nella dottrina
cristiana odierna, furono concepite da quei Padri che, durante il IV secolo, dopo numerosi
Concili - caratterizzati da dispute fra correnti di pensiero antagoniste sempre pi aspre e
persecutorie - concordarono il canone definitivo e stabilirono la forma e la sostanza di
Cristo, le Sue prerogative, i rapporti con gli uomini e i loro doveri verso la nuova Entit. Le
sette cristiane non allineate furono dichiarate eretiche ed i loro rappresentanti eliminati o
costretti a fuggire.

Per impedire la ricostruzione del percorso evolutivo della dottrina e l'escatologia in essa
contenuta - che avrebbe dimostrato le molteplici varianti, create da uomini, anzich una
sola credibile rivelazione divina * - i capi cristiani furono costretti a distruggere i
documenti incompatibili con il Credo Universale risultato vincente e, di conseguenza,
rimaneggiare gli stessi vangeli primitivi selezionati per renderli coerenti al canone
stabilito.

* Il Vangelo di Giuda - ritrovato e decifrato dai paleografi recentemente, datato al 275


d.C. dopo essere stato, correttamente, sottoposto a verifica tramite la spettrometria di
massa - ci rappresenta un Salvatore Ges completamente diverso da quello che
conosciamo: Nascita verginale, Resurrezione e sacrificio eucaristico teofagico sono
assenti (i fondamenti del Cristianesimo), mentre il Dio Creatore diverso. Una difformit,
tanto grave quanto basilare, riscontrabile mediante la comparazione di questo vangelo con
i due codici pi antichi completi a noi pervenuti e datati, al IV secolo, con "stime"
paleografiche senza riscontro strumentale spettrometrico, (un metodo di
datazione volutamente ignorato per i manoscritti cristiani): il Codice Vaticano e il
Codice Sinaitico.

Allora, una volta eliminati i testi discordanti e resa coerente la dottrina, nel corso dello
stesso IV secolo, i Padri si premurarono di documentare la rivelazione canonica,
arricchendo i vangeli e soprattutto gli "Atti degli Apostoli" di riferimenti storiografici, dopo
aver acquisito il potere di accedere alle biblioteche imperiali. Le vicende e i personaggi
storici, cos come risultano documentati nei testi canonici, non appaiono negli altri
vangeli.
Il primo cristiano, potente e per questo frequentatore della Corte di Costantino il Grande,
che esercit una notevole influenza sulla famiglia imperiale con la possibilit di accedere
agli archivi statali, fu l'importante storico e venerabilissimo Vescovo Eusebio di Cesarea.
Obbligato a far apparire lineare ed esclusivo, fin dall'inizio, un passato evolutivo in realt
multiforme della dottrina - i cui adepti erano avversari contemporanei - a lui va riconosciuto
il merito di aver creato una continuitas ininterrotta di mrtiri e Concili teologici indetti
da Venerabilissimi e Santi Ministri assisi sul trono episcopale (per usare le sue
espressioni), gi Capi delle Chiese del Salvatore subito dopo il Suo breve Avvento: i
Vescovi e i Papi.
Fu sua premura:

"individuare le divine Scritture autentiche da quelle eretiche, assurde ed empie,


composte da ciarlatani, strumento dell'attivit diabolica, che,
come Menandro successore di Simon Mago, ingannavano molti con l'arte del demonio
promettendo un'immortalit immediata gi in questa stessa vita senza pi morire
... ciarlatani che si mascheravano dietro il nome di Cristiani" (HEc. III 26, 1/4).

Questo Menandro, che successe a Simon Mago, non mai esistito: come il suo
"Maestro". La dimostrazione dell'invenzione di Simon Mago, uno fra i tanti protagonisti
inventati in "Atti degli Apostoli", l'abbiamo riferita con l'analisi precedente su Paolo di
Tarso, anche lui inventato. In questo caso, la prova che cancella dalla realt il "satanico
discepolo prediletto" molto pi semplice: se non esistito il "Maestro" non pu essere
vissuto il discepolo.
Stiamo assistendo a descrizioni di personaggi di pura fantasia, oltremodo ridicoli, per
questo sottaciuti ai fedeli durante le prediche ... sebbene per la Chiesa facciano ancora
parte del "Canone" e della "Tradizione" sia "Atti degli Apostoli" di Luca che "Historia
Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea.
Benedetto XVI, nell'Udienza Generale del 13 Giugno 2007, fa l'apologia di Eusebio
Vescovo esaltandone i meriti e definendolo "l'esponente pi qualificato della cultura
cristiana del suo tempo".

E' necessario sapere che la redazione dei manoscritti concernenti la tradizione cristiana
che leggiamo in "Historia Ecclesiastica" - ovvero storia eusebiana non pi originale ma
notizie in parte inventate e sempre epurate delle contraddizioni pi macroscopiche -
comprende codici contrastanti fra loro, raggruppati in due famiglie, datati solo
paleograficamente (metodo scorretto quando preclusa una verifica strumentale
indipendente dal condizionamento religioso) fra il X ed il XIII secolo d.C., mentre l'editio
princeps risale al 1544. E' sin troppo evidente che la originale "testimonianza" eusebiana
stata sottoposta a opportune censure da parte degli antichi critici ecclesiastici.
Infatti non risulta che Eusebio sia nato a Cesarea di Palestina, una notizia apparsa
all'improvviso in epoca rinascimentale, rimasta senza dati natali identificabili, come il suo
singolo nome privo di cognome, a significare i rimaneggiamenti continui dell'intera opera
sino a lasciare perplessi gli stessi curatori delle traduzioni. Lo scopo duplice e fin troppo
evidente:
1 un Eusebio Vescovo palestinese sarebbe stata la prova che nella Terra del
Signore, fin dalla Sua venuta, si costitu una numerosa comunit cristiana, ivi presente
ininterrottamente, governata da vari Episcopi fra i quali il pi importante era quello di
Gerusalemme. Una carica spirituale allora inesistente che stiamo per verificare;
2 separare le contraddizioni teologiche e storiche importate nei manoscritti,
distinguendole e accreditandole a due Eusebi diversi.

Il suo nome (eusebs) un aggettivo greco che significa religioso e mal si


concilia con l'idioma semitico di quella regione. Gli esegeti credenti odierni affermano che
si chiamava cos perch fu Vescovo di Cesarea di Palestina pur non essendo nato in
quella citt: una spiegazione tardiva senza alcun riscontro testuale, niente affatto
convincente. Data l'importanza della carica rivestita, e per questo ricordato dalla storia,
impossibile che non abbia mai detto ai suoi calligrafi o lasciato scritto direttamente da lui
nelle sue opere, dove sia nato e chi furono i suoi genitori; al contrario,sarebbe stato
obbligato a farlo per distinguersi da un altro Vescovo cristiano, suo omonimo,
altrettanto potente e come lui accreditato a frequentare la corte imperiale di Costantino il
Grande: Eusebio di Nicomdia.*

Di quest'ultimo si sa che nacque effettivamente in quella citt e dallo storico Ammiano


Marcellino (Res Gestae XXII 9,4) sappiamo che era parente di Costantino il Grande,
pertanto l'unico candidato a ricoprire nella realt il ruolo di "Eusebio di Cesarea": le
similitudini biografiche, religiose, politiche, storiche e geografiche sono impressionanti ...
fino a sovrapporsi.

* Questa antica e importante citt dell'Asia Minore assunse il ruolo di principale citt
dell'Impero, dopo Roma, quando divenne capitale della Tetrarchia Orientale e vi si insedi
l'Imperatore Diocleziano. Sin dal 313 d.C. a Nicomdia risiedeva la corte di Costantino il
Grande il quale, dopo aver fondato nel 330 d.C. la citt "Nuova Roma" (Costantinopoli)
trasferendovi la capitale, continu a dimorare nel palazzo imperiale di Nicomdia,
considerata "centro dell'Impero", sino alla sua morte avvenuta nel 337 d.C.

Poich la citt di Nicomdia aveva gi il proprio Vescovo, e non casualmente dal momento
che, come abbiamo visto, questi era parente dell'Imperatore Costantino, non ha alcun
senso logico che il capo spirituale di un'altra citt,Cesarea di Palestina, dimorasse cos
lontano dal Soglio sul quale fu insediato dal 313 d.C., sino al punto di non poter seguire
personalmente la comunit dei seguaci di Cristo a lui affidati.
Non essendo credibile la casualit di questa omonimia fittizia di due Vescovi "Eusebio"
nella stessa corte, l'unica spiegazione utile a comprenderne lo scopo consiste nella
necessit, da parte della Chiesa posteriore al Concilio di Nicea, di nascondere una
importante e compromettente variante ariana della dottrina cristiana cos come veniva
praticata prima della convocazione di ulteriori Concili destinati a stabilire l'Essenza della
divinit di Cristo.
Il metodo successivamente adottato dalla Chiesa vincente stato quello di trascrivere ex
novo le opere del Vescovo Eusebio di Nicomdia separando i contenuti teologici originali
dissimili dalla dottrina attuale accreditandoli a due persone diverse. Comunque, trattandosi
di una lunga ricerca teologica distinta dalla presente, per convenzione, continueremo a
chiamare il Vescovo Eusebio di Cesarea.

Dopo queste precisazioni proseguiamo con l'indagine su gli Apostoli e i loro succesori.

Con il precedente studio sull'apostolo Giacomo il Minore, detto anche il Giusto,


abbiamo dimostrato che questo protagonista teologico non mai esistito come uomo
reale, tanto meno come Vescovo, scelto dagli altri apostoli a Capo della Chiesa di
Cristo, in Gerusalemme, subito dopo la Sua morte, risurrezione dagli inferi e ascensione
in cielo (HEc. II 1,2):
"L'apostolo Giacomo, soprannominato anche il Giusto, fu il primo ad occupare il trono
episcopale della Chiesa di Gerusalemme".

Nella cronaca del 62 d.C., su riferita nell'analisi riguardante Giacomo il Minore, riportata in
Antichit Giudaiche, se fosse veramente esistito un Vescovo cristiano "assiso sul
Trono" - in quanto Ministro di Dio a capo della comunit in Gerusalemme dei seguaci di
un Cristo (Messia ebreo), fondatore e legislatore di una fede diversa da quella giudaica -
il primo a testimoniare l'esistenza del Vescovo sarebbe stato l'ebreo Giuseppe Flavio che
lo avrebbe nominato come tale, sentendosi in obbligo di smentirlo, essendo lo storico,
ormai venticinquenne adulto, un eminente scriba del Sinedrio, fariseo conservatore di
quella citt e un giudeo sempre in attesa dell'avvento del suo Messia divino.

Dall'analisi, infatti, il Giacomo (inizialmente senza patronimico), fratello di un certo Ges,


fatto passare per Ges Cristo dagli scribi falsari cristiani, in realt si dimostra essere
fratello di Ges figlio di Damneo, quindi anch'egli "Giacomo figlio di Damneo" ... non
Ges figlio di san Giuseppe (se fosse stato veramente fratello di Ges Cristo) e ancor
meno figlio di Cleofa, il marito di una Maria, ingenuamente mascherata da sorella di Maria
Vergine (che dei genitori abbiano dato lo stesso nome a due figlie non ha alcun
senso)* perch, trattandosi di un fratello di Ges Cristo, avrebbe significato che la
Madonna si era sposata anche con Cleofa.

* Gli scribi cristiani, non potendo ammettere che siano esistiti altri figli della Madre di Dio,
sempre immacolata anche dopo il parto, furono costretti a clonare "Maria" sei volte nei
vangeli e in "Atti". Cinque di queste "Marie" (tranne la "Maddalena") sono parenti di "Maria"
e madri di figli i cui nomi, di volta in volta, lo abbiamo visto nel primo studio, sono sempre
gli stessi e di stretta osservanza giudaica: Giacomo, Simone, Giovanni, Giuda e Giuseppe.
Di conseguenza, la Chiesa si ritrovata immersa in un ginepraio di menzogne storiche,
aggiunte successivamente nei vangeli primitivi, da cui non sa come venirne fuori, pertanto
non gli resta che nasconderle ai fedeli evitando di approfondire per non mettere in crisi il
dogma mariano.

L'inesistenza di Vescovi di Gerusalemme - ma lo stesso vale per le altre sedi episcopali,


Papi, Padri apostolici e mrtiri cristiani gesuiti - comprovata, anche, dalla invenzione
del successore dell'apostolo Giacomo Vescovo, fratello del Signore: Simone, fratello di
Ges (Mc 6,3 e Mt 13,55) che la tradizione cita come parente di Ges o cugino.
Infatti, la Chiesa di Eusebio, per esigenze di continuit, ha dovuto immaginare un
Vescovo successore a Giacomo apostolo, inventato a sua volta, sapendo che
quel Soglio Episcopale, nel I e sino ad oltre la met del II secolo,non esisteva.
Simone bar Kochba, sedicente Messia, quando prese il potere dopo essersi ribellato nel
132 d.C. contro la dominazione romana e autoproclamato "Principe dei Giudei", da ebreo
si sarebbe sentito in obbligo di eliminare tutti i Vescovi palestinesi, se fossero esisti, in
quanto Capi di una religione sottomessa all'Impero e contraria alla sua, ad iniziare da
quello di Gerusalemme.

Come abbiamo fatto con Giacomo, verifichiamo la storia di Simone, secondo Vescovo di
Gerusalemme:

Dopo il martirio di Giacomo (62 d.C.) e la caduta di Gerusalemme (70 d.C.) si riunirono i
parenti del Signore, ivi convenuti, per decidere il successore di Giacomo.
All'unanimit fu designato, Vescovo di Gerusalemme, Simone,cugino del
Salvatore (HEc. III, 11).

Questo Simone, che nei vangeli risulta come Simone Zelota, secondo le astruse teorie
delle svariate correnti religiose cristiane odierne, viene fatto passare, a volte, per cugino
di Ges, figlio di un non meglio specificato "Cleofa" (a sua volta ipotizzato come fratello di
san Giuseppe) marito di Maria, sorella di Maria Vergine; altrimenti, come fratellastro di
Ges, figlio di san Giuseppe, avuto da un matrimonio contratto in precedenza dal vecchio
falegname, non si sa con chi. Quindi, in entrambi i casi, un Simone pi anziano dello
stesso Cristo, il quale, nel vangelo di Giovanni (Gv 8,57), in barba agli altri evangelisti
(sic!), viene accreditato di quasi cinquant'anni; anzianit di Ges confermata anche dal
Vescovo Ireneo di Lione alla fine del II secolo.

Inevitabilmente ci troviamo di fronte ad un uomo molto, troppo vecchio, trasformato in un


martire che, stiamo per dimostrarlo, si rivelato una scheggia impazzita conseguente al
depistaggio dei veri fratelli zeloti originali, tutti con nomi di autentica tradizione giudaica,
protagonisti di una vicenda messianica reale, successivamente trasformata in mito da
Esseni zeloti residenti in Egitto e costretti a fuggire per sottrarsi alle persecuzioni ordinate
da Vespasiano subito dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. (cfr. "La Guerra
Giudaica" II, cap.8, 152/3; VII, cap. 10, 417/9).
Eusebio li chiama Discendenti di Davide non cristiani:

Vespasiano, dopo la caduta di Gerusalemme, ordin di ricercare tutti i discendenti della


trib di Davide, perch tra i Giudei non rimanesse pi nessuno di stirpe reale (sic!). Per
questo motivo si abbatt sui Giudei un'altra gravissima persecuzione (HEc. III 12).

Sappiamo bene che "la trib di Davide di stirpe reale" appartiene alla mitologia cristiano-
giudaica la quale, ancorch sconosciuta, non avrebbe impressionato pi di tanto i Romani
che misero a ferro e a fuoco tutte le citt giudaiche ribelli. In verit il Vescovo Eusebio,
preso atto che nei vangeli risulta scritto Neppure i suoi fratelli credevano in Lui (Gv
7,5), rendendosi conto che non poteva essere ammissibile un Dio, autore di miracoli
strabilianti, ma non riconosciuto dai suoi stessi famigliari, pens bene di far ricredere i
"fratelli del Signore" smentendo quanto testimoniato nei testi sacri ... annoverando i Suoi
famigliari non fra i discepoli, ovviamente, ma addirittura insediandone uno, Simone lo
zelota, sul Soglio Episcopale.

Ma come avrebbe potuto Eusebio, nel IV secolo, quando attest questi eventi, sapere che
quasi tre secoli prima Simone divenne Vescovo di Gerusalemme? Semplice: si invent
uno storico cristiano suo personale e lo chiam Egesippo.
Lo dipinse come ebreo apostata convertito al cristianesimo, pertanto conoscitore della
lingua semitica che gli consent di leggere vangeli ebraici e siriaci originali da lui posseduti,
testimoniandone al contempo l'esisteza. Eusebio, per, commise il primo errore
chiamandolo con un incredibile nome greco (dei genitori ebrei non l'avrebbero mai fatto
essendo in guerra contro i Greci), poi, per evitare contraddizioni storiche pericolose, lo
colloc nel II secolo fra il 110 e il 180 d.C., appena dopo la morte del vero cronista
ebreo Giuseppe Flavio, avvenuta nel 105 d.C.
Da quella data e sino alla sua dipartita lo invi nelle Chiese di Cristo "per riferire senza
errori la tradizione della predicazione apostolica dedicandosi alla stesura
della tradizione ivi conservata" (HEc. IV 8,2; IV 22,3).
Eusebio confer ad Egesippo una specializzazione "ad honorem" per la capacit
dimostrata nel ricercare mrtiri e cariche ecclesiastiche, Vescovi, Padri e Papi compresi,
distinguendolo cos dalla ignoranza specifica in materia palesata dagli altri cronisti
dell'epoca. Il Vescovo cristiano notific ai posteri che Egesippo, oltre le lingue semitiche,
fu anche un profondo conoscitore di greco e latino nonch delle varie dottrine eretiche
gnostico gesuite cui abbiamo accennato sopra. Il tutto riferito in cinque libri
"Hypomnemata" (Memorie) che nessuno, tranne Eusebio, ha mai visto n letto.

La vita di Egesippo priva di qualsivoglia riscontro storico, infatti, grazie ad Eusebio, dopo
averci "tramandato le prove" dell'esistenza di Padri, Vescovi, Papi, mrtiri e scribi
cristiani, a lui contemporanei, nessuno di questi, a loro volta,ha riferito alcunch
riguardo Egesippo ... tranne Eusebio: il suo creatore.
Padri che, pur da lui conosciuti personalmente (come riferisce Eusebio), non sapevano
dell'esistenza di un ebreo molto erudito, per di pi convertito al cristianesimo e sempre in
possesso di vangeli originali in aramaico e siriaco. E' evidente che siamo di fronte ad un
montaggio che non ha alcun senso n credibilit.
Infatti, dei numerosi Padri Apologisti, Vescovi, Papi e martiri, chiamati ad impersonare la
lunga ed ininterrotta "Sequela Christi" - prelati famosi per le cariche rivestite in qualit di
Capi di Chiese distribuite in molte citt importanti delle province romane - nessuno di
questi risulta realmente vissuto in mancanza di riscontri storici extracristiani e tantomeno
reperti archeologici. Ed quanto stiamo per dimostrare.

Sotto Traiano si scaten una persecuzione contro di noi. In essa trov la morte
Simone, figlio di Cleopa (Cleofa), che abbiamo indicato come secondo Vescovo di
Gerusalemme (dopo Giacomo). Ne testimone lo stesso Egesippo. Egli soggiunge che
Simone, da loro accusato in quel tempo, fu sottoposto per pi giorni, perch cristiano, ad
ogni tipo di tortura con stupore di chi assisteva e infine sub una morte uguale a quella del
Signore. Egli sub il martirio all'et di centoventi anni (sic!) sotto Traiano e il consolare
Attico ... Simone, torturato per molti giorni, testimoni la sua fede in modo tale che
tutti, compreso il consolare, si stupirono come un uomo di centoventi anni potesse
resistere tanto, poi fu condannato alla crocifissione (HEc. III 32,1/6).

Lo sproposito di questa descrizione talmente evidente che non possiamo fare a meno di
stupirci del conformismo acritico palesato da quasi tutti i pi importanti docenti spiritualisti
di storia del cristianesimo, i quali, al contrario, si prodigano per renderla verosimile.
Lo scopo evidente: fare una ricerca avanzata che riesca a smentire tale sciocchezza
impone mettere in discussione non solo la vicenda in s ma tutta la tradizione storica del
cristianesimo gesuita riferita da Eusebio e fatta interpretare da Vescovi, Padri e mrtiri.
Ogni notizia deve essere accertata tramite riscontri comparati storiografici, epigrafi,
archeologia e filologia; pertanto procediamo in tal senso.

Da Cronache dello stesso Eusebio, pervenuteci in latino tramite san Girolamo, a sua
volta attestato da manoscritti medievali, il martirio avvenne il 108 d.C., durante
l'undicesimo anno del regno di Traiano.
Solo uno scriba cristiano poteva concepire di far presenziare un ex
Console romano "Consularis" (cfr Tacito Ann. XIV 43), con un titolo e rango tale - dopo
aver seguito entro questa datazione un cursus attraverso varie Magistrature, nel nostro
caso con imperium militare - da meritare essere insignito come Legatus Augusti pro
Praetore Governatore di Siria col compito primario di intervenire (come avvenne) in una
possibile guerra contro i Parti.
Egesippo, incredibilmente, invi uno dei pi potenti funzionari dell'Impero Romano,
facendogli percorrere oltre 600 km da Antiochia a Gerusalemme, appositamente ad
assistere, per molti giorni, un interminabile supplizio praticato ad un santo vegliardo,
accusato assieme ad altri di essere cristiano, per poi farlo morire crocifiggendolo come
Ges: unico modo per convincerlo a cessare di vivere.

Dal modo come viene configurato, coinvolgendo pi persone, l'argomento risulta talmente
grave che, inevitabilmente, avrebbe interessato il diritto romano e per questo la vicenda
narrata non avrebbe potuto rimanere sotto silenzio.
Ma questa testimonianza sconosciuta da Plinio il Giovane, il quale, appena quattro
anni dopo tale ipotetico evento, con l'approvazione di Traiano, nel 112 d.C. in Bitinia,
affront il problema dei Cristiani, sotto il profilo giuridico,ufficializzandolo per la prima
volta dopo aver svolto un'accurata indagine, verbalizzata e inviata all'Imperatore,senza
che gli risultasse l'esistenza di Capi territoriali della Chiesa di Cristo, assisi sul trono
episcopale.
L'analisi di questo secondo episodio riportata nell'argomento sul falso martirio dei
cristiani imputato a Nerone.

Lo scriba che ide la scenografia del martirio del Vescovo Simone (accreditandola ad
Egesippo) si limit a dare una sbirciatina alla storia per cercarvi un personaggio reale da
far diventare testimone storico allo scopo di rendere credibile la vicenda narrata:
il "Consolare Attico" come risulta dal brano di Eusebio riportato sopra.
Ma l'artista amanuense medievale (l'epoca in cui furono redatti i primi manoscritti) avrebbe
fatto meglio ad approfondire la conoscenza degli avvenimenti reali anzich preoccuparsi di
decorare il suo codice con bellissime sacre immagini iconografiche.
Trattandosi di un Console, il cognomen Attico, a se stante, troppo riduttivo e
incompleto per essere riferito da un autentico storico: se Egesippo fosse realmente esistito
dal 110 al 180 d.C. (secondo le testimonianze ecclesiastiche), sarebbe stato
contemporaneo di due Consoli con questo appellativo, padre e figlio, nominati, il primo il
133 d.C. sotto Adriano, ed il secondo, ancor pi famoso, nel 143 d.C. sotto Antonino Pio.

Un autentico cronista - essendo coetaneo (come appare Egesippo) del secondo Attico, il
figlio, ben pi famoso del padre - si sarebbe sentito in obbligo di distinguerli e citarli col
nome completo dimostrando una conoscenza credibile dei personaggi come fecero i veri
storici che li descrissero. Esattamente come risulta dalle epigrafi rinvenute che hanno
consentito agli archeologi di fissare con precisione la datazione del consolato del primo
Attico padre ... fatto passare come martirizzatore del Vescovo Simone. Mentre riguardo
il figlio del Console, essendo rinomato per la sua cultura e ricco patrocinatore di
monumenti importanti, storiografia e vestigia archeologiche ne hanno tramandato le gesta
nei minimi particolari sin da quando era ancora in vita.
Il nome completo del padre era Tiberio Claudio Attico Erode, quello del figlio Lucio
Vibullio Ipparco (figlio di)Tiberio Claudio Attico Erode, tipico dell'onomastica romana
del II secolo che indusse la nobilt dell'impero ad aggiungere al proprio anche i nomi degli
avi originando lunghi polinimi.
Dovute queste precisazioni - tenuto conto della puerile scena sopra descritta gi di per s
impossibile a dimostrazione della narrazione inventata - non resta che stabilire l'anno in
cui il primo Attico fu nominato Console.

Nel 1986, a Bad Wuimpfen nel Baden-Wrttemberg, in un antico quartiere militare sotto
dominio romano, divenuto in seguito civitas capoluogo di nome "Alisinensium" nella
Provincia imperiale della Germania Superiore, sono state rinvenute due piccole lamine di
bronzo che, ricongiunte, si sono rivelate un "Diploma Militare Romano" appartenuto ad un
veterano della II Cohors Hispanorum:

AE 1990, 0763 = (Diplomi Militari Romani) RMD-03,159.


[Imp(erator) Caesar divi Traiani Parthic(i) f(ilius) Traianus Hadrianus Aug(ustus) ...
equitibus et peditibus duxiss(ent) dumtaxat] sing(uli)
singul(as)/ P(ublius) Sufenas [Verus]/Ti(berius) Claudius Atticus [Herodes
Co(n)s(ulibus)] /Coh(ortis) II Hi[s]p[anor(um) P(iae) F(idelis) cui prae(e)st] / L(ucius?) [ // ]
Ti(beri) Iul[i [Urbani?] / Q(uinti) Lolli [Festi] / L(uci) Pulli [Anthi(?)

Il ritrovamento di questo Diploma rilasciato da Adriano (i cui attributi imperiali risultano


deteriorati) datato fra il 129 e il 133 d.C. da Margaret Roxan, specialista di fama
mondiale. Tale reperto - che cita Tiberio Claudio Attico Erode insieme a Publio
Sufenate Vero, entrambi Consoli - si aggiunge a un altro Diploma, che li vede sempre
protagonisti come capi militari di quel limes dell'Impero, rinvenuto nel 1991 a Mautern in
Austria, nell'antica Provincia romana del Noricum,rilasciato in et adrianea e
datato successivamente al 129 d.C., anno in cui l'Imperatore acconsent ad essere
chiamato col titolo di eccellenza Pater Patriae proposto dal Senato l'anno prima e
attestato dalle numerose monete ritrovate. Il Diploma:

CIL 16, 00174 = AE 1991, 1286.


[IMP(erator) Caesar divi Traiani Pa]rthici f(ilius) divi N[ervae n(epos)] /
[Traianus Hadrian]us Aug(ustus) Pont(ifex) [Max(imus)] / [trib(unicia) pot(estate)
Co(n)s(ul)] P(ater) P(atriae) [equitib(us) et peditib(us) qui milit(averunt) in] alis III et
Coh(ortibus) V / [I Augusta Thracu]m et I Pann(oniorum) Tam[piana Victrix et I
Commagenorum] / [et] I Tungr(orum) |(milliaria) vex(illatio)/[et N]oricor(um) [ ] cum est
civitas iis [dat(a) aut siqui caelibes] / essent cum iis qu[as post(ea) dux(issent) dum]/taxat
singul(i) singul[as P(ublius) Sufenas] Verus / Ti(berius) Claud[ius Herodes Atticus
Co(n)s(ulibus)] / Coh(ortis) II Batavor(um) [(milliaria) cui prae(e)st] / L(ucius) Vitellius /ex/
Octavius Octa[vi f(ili)

Considerato che Publio Sufenate Vero fu uno dei Legati dell'antica Provincia romana di
Licia e Pamfilia (nell'attuale Turchia) con un mandato iniziato il 129 fino a quasi tutto
il 132 d.C., incarico confermato dal "dossier Opramoas"* e, tenuto conto che solo al
termine di questo ruolo fu scelto e nominato Console ordinario fra i due, i fatti portano
gli studiosi a concludere che l'anziano Atticus fu
nominato Console suffectus dopo l'investitura a Console prior del legato P. Sufenate
Vero, quindi meno di undici anni prima che il figlio diventasse Console ordinarius nel 143
sotto Antonino Pio. Mentre la nomina a Senatore di Erode Attico padre, concessa dal
senato con gli "ornamenta praetoria", viene fatta risalire dalle evidenze storiche ai primi
anni del regno di Adriano. A tal fine concorre anche la testimonianza di Filostrato in Vitae
Sophisti (2,1,1) ove il retore attesta che Erode Attico figlio, che conobbe
personalmente, "apparteneva per parte di padre ad una famiglia che aveva esercitato il
consolato due volte".

* Licio Opramoas fu un Sommo Sacerdote pagano del II secolo, ricco notabile e


benefattore in favore dei deboli, che fece riprodurre sulle pareti del proprio monumento
sepolcrale a Rhodiapolis (sud dell'Anatolia nell'attuale Turchia) 69 documenti, oggi
fondamentali per ricostruire la serie dei Governatori e Sommi
Sacerdoti "" (Archiereis) della Provincia imperiale romana di "Lycia et Pamphylia"
durante il periodo compreso fra il 103 ed il 152 d.C.

Tali risultanze, dopo aver dato seguito a numerose pubblicazioni, sono state trattate al
Wolfson College di Oxford il 7 Novembre 1996. Mano a mano, nel mondo accademico, si
consolidava la consapevolezza che Claudio Erode Atticopadre, fu nominato
Console suffectus successivamente al 132 d.C., sotto Adriano e non sotto Traiano.
Studiosi specializzati in epigrafi, archeologia, storia e filologia, come Margaret Roxan,
Gza Alfldy, Werner Eck, Anthony R. Birley, E. Groag, Anthony Spawforth, Malcom
Errington e via via, hanno pubblicato analisi pervenendo a questo risultato pur evitando di
polemizzare apertamente con la testimonianza di Eusebio-Egesippo.
Una scelta, dettata pi da una esigenza politica che scientifica, intesa a non urtare la
suscettibilt di eclesiastici e fedeli lesi nel proprio credo che mal avrebbero digerito un
riscontro storico tale da far "saltare" la veridicit della sequenza dei "successori degli
apostoli" del Salvatore ... fino a coinvolgere l'intera "struttura ecclesiastica" -
documentata da Eusebio di Cesarea e ufficializzata da tutte le odierne Chiese.
Un impianto storiografico - ideato dal Vescovo prima del 325 d.C. a fondamento della
"tradizione cristiana" - il quale, stando alla artificiosa documentazione manoscritta in epoca
medievale, resse le sorti dell'intera ecumne dalla morte del Redentore sino alla fine del II
secolo d.C. Ma, purtroppo per i credenti chiesastici, gli accertamenti successivi (cfr ZPE
174 anno 2010: Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik - Reinhold Merkelbach und
Ludwig Koenen) dimostrano che ai Consoli Publio Sufenate Vero (Consul prior) e Tiberio
Claudio Erode Attico (Consul suffectus) fu conferito da Adriano l'onore di reggere il
consolato, uno dopo l'altro, nel 133 d.C.

Prima dei ritrovamenti archeologici dei RDM (Diplomi Militari Romani), la ipotesi pi
caldeggiata - ostentata con magniloquenza da molti storici spiritualisti di fama - dava,
assurdamente, la Giudea elevata da Traiano al rango di Provincia imperiale autonoma,
non pi annessa alla Siria, per giustificare la presenza di un Console incaricato dal Cesare
al governo diretto di quel territorio.
Una manipolazione della storia "necessaria" al Console Attico affinch potesse
martirizzare il coriaceo, duro a morire, centoventenne Simone, il secondo Vescovo di
Gerusalemme che, secondo quanto hanno voluto farci credere gli eminenti esegeti
cristiani, sostitu Giacomo il Minore, Vescovo martire, quarantasei anni prima di lui.
Dopo aver accertato che non mai esistito un secondo Vescovo, a maggior
ragione non mai potuto esistitere un primo Vescovo di Gerusalemme
pertanto il Giacomo, fratello di Ges, riferito da Giuseppe Flavio, non poteva essere il
fratello di Ges Cristo eletto dagli apostoli "Vescovo di Gerusalemme" dopo la
morte e resurrezione del Redentore, bens un altro: Giacomo figlio di Damneo che, a
sua volta era fratello di un Sommo Sacerdote anche lui di nome "Ges". Come abbiamo
gi dimostrato nell'apposita analisi pubblicata nel precedente argomento.

Indifferente alle risultanze filologiche, storiche ed archeologiche che obbligano modificare


ipotesi insostenibili, la docente di storia dell'universit Cattolica, Marta Sordi, in Fazioni e
congiure nel mondo antico, pubblicato nel 1999, in una nota a pi di pagina 95,
evitando con opportuno calcolo che avrebbe dovuto riferire di un "Console", afferma con
proterva autorevolezza:

Tiberiano, governatore della Palestina, da identificarsi (sic!) probabilmente (marcia


indietro) con Tiberio Claudio Attico Erode ...

Nessun insegnante di storia pu permettersi di asservire la storia al catechismo perch,


una volta scoperto il malriuscito espediente, inevitabilmente, il nome dell'autore rimarr
nella ... storia.

Nel 2003, in Cassio Dione e l'impero romano da Nerva ad Antonino Pio. Alla luce dei
nuovi documenti, l'autore Guido Migliorati, docente dell'Universit Cattolica, preso atto
delle prove che hanno indotto accademici di molti paesi a rivedere una convinzione iniziale
- generalizzata ma superficiale, in linea con credenze puerili indotte - non intenzionato ad
abdicare alla propria dignit deontologica professionale, a pagina 262 cos riferisce:

Tiberio Claudio Erode Attico al quale furono concessi gli ornamenta praetoria grazie ad
un decreto del senatodivenne console nel 132, dunque sotto Adriano e non sotto
Traiano.

Lo studioso non va oltre, evitando, come i colleghi di altri Stati, di approfondire l'analisi
comparandola alla veridicit della pseudostoriografia eusebiana e trarne conseguenze
oltremodo scomode in quanto dirompenti per la fede cristiana. Infatti il primo Vescovo
gesuita a scomparire sar proprio il successore di Simone: Giuda il Giusto, figlio di
Giacomo il Giusto fratello di Ges. La fraudolenta "tradizione" cristiana oser insediare
nell'inesistente "soglio episcopale" di Gerusalemme addirittura un nipote di Cristo. Cos
san Girolamo in "Cronache":

"Simone, figlio di Cleofa, che era Vescovo di Gerusalemme, fu crocifisso durante la


persecuzione di Traiano contro i Cristiani. Gli successe Giusto".
Secondo le "Costituzioni Apostoliche" (7,46): "... gli successe Giuda, figlio di Giacomo
il Giusto".
Confermato da Epifanio di Salamina in "Panarion" (66,20,1) e, primo fra tutti, attestato da
Eusebio di Cesarea nella famosa "Historia Ecclesiastica" (III 35). A Giuda Giusto, figlio del
fratello di Ges, Giacomo il Giusto, l'impenitente falsario Eusebio (HEc. IV 5,3-34) fa
succedere una sfilza di ulteriori dodici immaginari Vescovi di Gerusalemme con
l'accortezza, facile a capirsi come gi sopra riferito, di concluderla prima dell'avvento di
Simone bar Kochba, Principe dei Giudei, l'ultimo Messia ebraico che os sfidare la
potenza di Roma.
Evidenziamo ancora una volta che, Giacomo, Simone e Giuda Giusto, i primi tre
Vescovi di Gerusalemme,inventati dalla posticcia "tradizione" cristiana, erano "legati al
Signore da vincoli di carne".

Eusebio di Cesarea, un Vescovo cristiano, privilegiato, potente e fanatico altrettanto


quanto la fede che gli accecava la ragione, dal trono episcopale su cui era assiso, si
permise di inventare, scrivere e ufficializzare una falsa "storia ecclesiastica", riconosciuta e
fondamento del Cristianesimo odierno, destinata ai credenti beati poveri di spirito, che
definiamo ingenua solo per usare un garbato eufemismo molto, molto riduttivo. E
siamo solo all'inizio.

Emilio Salsi
San Giovanni, apostolo irreale testimoniato da fittizi 'Padri'

Il rinomato editore umanista Aldus Pius Manutius (Aldo Manuzio, 1449 - 1515), figura di
spicco del Rinascimento italiano, appassionato di studi classici, amico di influenti religiosi
e frequentatore di antiche biblioteche, dopo essersi avvalso per anni della collaborazione
di esperti ricercatori di manoscritti, indispensabili alla pubblicazione di opere della civilt
greca e latina, nel 1508 stamp una edizione de "L'Epistolario di Plinio il Giovane a
Traiano..." (C. Plinii Secundi ... Epistolarum libri Dece...) fra cui, per la prima volta, il
carteggio indirizzato all'Imperatore quando il patrizio governava la Bitinia in qualit di
Proconsole.
In una di queste lettere, indirizzata a Traiano il 112 d.C., il Senatore pagano denunci
la presenza, copiosa e anomala, di una setta di Cristiani entro quella lontana Provincia
romana.

In merito all'autenticit della lettera indirizzata da Plinio il Giovane a Traiano e la relativa


risposta dell'Imperatore, da oltre un secolo, molti esperti di fama mondiale hanno
pubblicato ipotesi contrastanti, in qualche caso macchinose, nessuna delle quali
avvalorata da informazioni storiche determinanti, pertanto incapaci di andare oltre un
generico giudizio che, inevitabilmente, riflette posizioni preconcette: i credenti, convinti
della veridicit, al contrario, i non credenti affermano sia un falso.

L'intera documentazione fu ricavata dalla lettura del manoscritto classificato Codex


Parisinus Latinus 6809, datato paleograficamente al VI secolo e giacente nell'Abbazia di
San Vittore (vicino a Parigi) ove il frate domenicano Giovanni Giocondo trascrisse il codice
per poi consegnare una copia ad Aldo Manuzio. Questi si premur di pubblicarla a
Venezia e, per la prima volta, nel 1508, tutti gli studiosi interessati ad approfondire la
materia conobbero la vicenda dei precursori Cristiani, gi presenti nella Provincia di Bitinia
tra la fine del I secolo e l'inizio del II d.C., talmente numerosi da spingere Plinio Secondo a
indagare sugli adepti della setta e le sue finalit, per poi sottoporre il problema a Traiano
evidenziandone l'aspetto giuridico in conformit al diritto romano.

Questo manoscritto e gli altri - contenenti le lettere di Gaio Cecilio Plinio Secondo, detto il
Giovane, dalla disgregazione dell'Impero Romano fino a dopo l'epoca carolingia - erano
tutti conservati in biblioteche appartenenti ad abbazie, in prevalenza francesi, facenti capo
a disparate autorit ecclesiastiche. I documenti furono trascritti da copisti in pi codici a
partire da un archtipo, con ogni probabilit quello originale o, quanto meno, una copia,
ma, solo alcuni di essi riportavano il X libro: l'unico che comprendeva la corrispondenza fra
il Governatore di Bitinia e l'Imperatore Traiano consistente in 26 missive ufficiali fra cui
quella che riguardava i Cristiani primitivi.

La relazione inviata all'Imperatore dal suo Legato "Epistularum X 96" ( in rete) riferisce
le conclusioni della indagine svolta per accertare la pericolosit della nuova setta religiosa
avvalendosi, innanzitutto, della tortura sino al punto di uccidere numerosi Cristiani.
Stando alla "tradizione" ecclesiastica, documentata nella immane patrologia greca e latina,
redatta dall'alto Medio Evo in poi (antecedente a questa epoca non esiste alcun
manoscritto), quei Cristiani sottoposti a supplizio ed uccisi avrebbero dovuto essere
riconosciuti come "mrtiri".
Viceversa, leggiamo come Tertulliano in "Apologeticum" (2,6) commenta la triste
vicenda:

"Plinio Secondo, che governava una Provincia (quale?), dopo aver condannato e
costretto a rinnegare la fede alcuni Cristiani, impressionato dal loro numero e non
sapendo come comportarsi, comunic all'Imperatore Traiano di non aver in loro trovato
niente di criminoso a parte il rifiuto del culto pagano".
Questa una testimonianza "indiretta" molto riduttiva che "dimentica", volutamente,
ma inspiegabilmente a prima vista, di riportare il dato pi grave e significativo: il
supplizio e la morte di un elevato numero di Cristianiperpetrato dal Governatore di
Bitinia, Plinio il Giovane.
E' importante sottolineare che i primi manoscritti di "Apologeticum" risalgono al X
secolo. Questa datazione dimostra che, cinque secoli prima che il frate domenicano
Giocondo trascrivesse l'epistolario di Plinio Secondo, completo dei suoi rapporti a Traiano,
gi allora gli scribi cristiani erano a conoscenza delle lettere che il Governatore di
Bitinia invi all'Imperatore. Non solo, stando alla datazione del Codex Parisinus Latinus
6809, gli antichi esegeti ecclesiastici erano a conoscenza diversi secoli prima della lettera
di Plinio il Giovane e dei Cristiani torturati e uccisi. Di tale lettera gli alti prelati
possedevano nelle loro biblioteche la trascrizione, e forse anche l'originale, ma senza
averla mai pubblicata e richiamata nella imponente letteratura patristica
cristiana redatta nel corso dei secoli; pur avendo il dovere e l'nteresse a farlo ... secondo
un giudizio iniziale superficiale.
Fu appunto la lettura di "Apologeticum" che spinse l'erudito frate domenicano a indagare
sull'episodio dei numerosi Cristiani denunciati da Plinio il Giovane a Traiano e, grazie alle
sue frequentazioni con autorit dell'alto Clero, venne a conoscenza dell'esistenza della
epistola che Plinio Secondo, nella veste di Governatore, sped all'Imperatore. Una
consapevolezza che permise a Giocondo di trovare in una Abbazia la copia monoscritta
del decimo libro dell'epistolario di Plinio Secondo a Traiano col chiaro fine di dimostrare al
mondo intero l'esistenza dei Cristiani primitivi certificata da un documento storico. Almeno
quello fu il suo intento e di chi lo aiut ... molto, molto in buona fede.

Al contrario, le "eminenze grigie" dell'alto Clero - che sino all'Anno Domini 1508 erano
riuscite a mantenere nascosta la epistola ufficiale del Governatore Plinio il Giovane e il suo
intervento contro i Cristiani - iniziarono a temere che prima o poi qualcuno scoprisse il
movente che le indusse a un s grave sotterfugio. Ebbene, oggi il tempo scaduto.

Dopo che il Cristianesimo fu legalizzato da Costantino il Grande, la Chiesa si prodig per


individuare e redigere gli "Atti dei Mrtiri", costituiti da processi verbali concernenti le
cronache delle strazianti morti subite dai cristiani seguaci di Ges, a causa della loro fede,
appena dopo la Sua crocifissione ... in poi.
Oggi quegli "Atti" sono contenuti nel "Martirologio": una sorta di calendario liturgico
ufficiale in cui vengono descritte le storie dei mrtiri gesuiti di tutte le epoche.
Eppure, nonostante la riprova storica, i mrtiri cristiani di Plinio il Giovane non sono
mai stati beatificati ... neanche degni di una commemorazione al "mrtire ignoto".
Perch?

Una volta ottenuta la possibilit di consultare gli archivi imperiali sotto Costantino e
visionato l'autentico epistolario di Plinio Secondo, le "eminenze grigie" cristiane si resero
conto della vicenda e il retroscena ad essa connesso: l'episodio, oltre a dimostrare che
quei "cristiani" erano "messianisti" ma "non seguaci di Ges", faceva crollare la
credibilit di tutti i sacri testi "canonici" e delle gesta in essi narrati, ad iniziare
dagli Apostoli, i loro successori e mrtiri compresi. Le eminenze grigie del Clero
gesuita compresero subito che i Cristiani di Bitinia non conoscevano "Ges Cristo", il
"Figlio di Dio", "Salvatore" e "Redentore" dell'umanit intera.
Una evidenza che costrinse gli amanuensi a modificare la "sacra scrittura", alla fine del IV
secolo, adottando un metodo superficiale e puerile che possiamo dimostrare avvalendoci
della lettura comparata di "Atti degli Apostoli" con lastoriografia dell'epoca.

Torniamo alla vicenda di Plinio il Giovane in Bitinia e allarghiamo la visuale sul territorio
assoggettato a Roma: osserviamo che in quello stesso anno del martirio di messianisti,
il 112 d.C., un altro Proconsole incaricato da Traiano e amico di Plinio Secondo, nonch il
principale storico dell'Impero Romano, Cornelio Tacito, era insignito comeGovernatore
della Provincia d'Asia, a sud della Bitinia ... di conseguenza ...

Attraversarono la Frigia e la Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato di predicare nella


Provincia d'Asia. Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di
Ges non lo permise ... (At 16,6/7).

Scopriamo perch Dio viet a san Paolo e Barnaba di recarsi nelle Province d'Asia e
Bitinia...

L'apostolato di san Giovanni

Lo studio svolto su Simone lo zelota - fratello fratellastro parente cugino di Ges, il


quale, stando alle scritture cristiane, fu secondo Vescovo di Gerusalemme - ha
dimostrato l'inesistenza di questo personaggio come uomo e, inevitabilmente, la massima
carica sacerdotale di governo spirituale della comunit cristiana della Citt Santa,
anch'essa andata a farsi benedire sino a smentire l'esistenza del suo precursore,
l'apostolo Giacomo il Minore, primo Vescovo della stessa Diocesi.
L'indagine sulla presenza dei cristiani (messianisti, non gesuiti) denunciata da Plinio il
Giovane, avvenuta nel 112 d.C., da noi riferita ne i falsi mrtiri di Nerone, ci consente di
provare la mancanza di Capi alla guida pastorale della Chiesa di
Cristo in Bitinia. A quella stessa data non esistevano comunit di cristiani gesuiti e
loro Capi territoriali,neanche nella Provincia d'Asia, con capitale Efeso, governata dal
Proconsole romano Cornelio Tacito*, il quale, essendo sacerdote pagano, li avrebbe
quanto meno denunciati e, come Plinio il Giovane, sottoposto il problema
all'Imperatore Traiano.
A maggior ragione, perch, secondo la storiografia attestata nel codice laurenziano
mediceo MS 68 II, "apparso" l'XI secolo, lo stesso Tacito rifer la strage di seguaci di
Ges compiuta da Nerone (Ann. XV 44) che addoss ai Cristiani la colpa di aver
incendiato Roma. Al riguardo va notato che nel medesimo brano lo storico defin la setta
cristiana "una rovinosa superstizione che, come un grave flagello, dilagava anche a
Roma": una animost, dunque, ancor pi ostile di quella espressa dal Governatore Plinio
Secondo.

* Efeso divenne capitale della Provincia d'Asia Minore nel 27 a.C. sotto Cesare Augusto.
La presenza del famoso storico romano, Cornelio Tacito, come Governatore di quella
regione, comprovata dall'iscrizione marmorea trovata in Caria, a sud di Efeso, e
conservata nel Museo Archeologico di Mylas, una zona ricca di reperti antichi romani.

In contrasto al silenzio di Tacito sulla numerosa presenza di Cristiani nella Provincia da lui
governata, tutti sapevano cheGiovanni evangelista rimase nella Chiesa
di Efeso, capitale della Provincia d'Asia, secondo quanto narrato da Eusebio di
Cesarea (HEc. III 23), ripreso a sua volta da Clemente Alessandrino e Ireneo di Lione.
Quest'ultimo scrisse in "Contro le Eresie":
La Chiesa di Efeso, che Paolo fond ed in cui Giovanni rimase fino all'epoca di
Traiano, testimone veritiera della tradizione degli apostoli (op. cit. III 3,4).

La testimonianza riferita anche dal presunto successore Vescovo di Efeso, Policrate,


"collocato" da Eusebio alla fine del II secolo (HEc. V 24,1-2), in una epistola inviata a Papa
Vittore (il tredicesimo dopo san Pietro), citati entrambi dal solito Eusebio. Fu a lui che,
oltre un secolo dopo, venne recapitata, anzich a Vittore, la lettera "raccomandata" di
Policrate: uno strano fatto che ci obbligher a verificare se questi cinque Padri sono esistiti
effettivamente, vista l'attitudine a mentire del Vescovo cristiano Eusebio. Ecco la missiva
con la "deposizione" di Policrate:
"Anche Giovanni, colui che si abbandon sul petto del Signore, che fu sacerdote,
indoss la lamina d'oro (il diadema o "petalon" indossato dai Re e dai Sommi Sacerdoti
ebrei), martire e maestro, si addorment a Efeso" (HEc III 31,3).

Ma non credibile che una affollata comunit di cristiani (ecclesia), edificata da Paolo di
Tarso, e residente nella quarta capitale pi popolata e ricca dell'Impero, sia rimasta tanto
tempo senza un Vescovo dall'inizio del cristianesimo,come pure risulta scorrendo la
"Lettera agli Efesini"* inviata ai credenti di quella citt dal super apostolo dei Gentili, il
quale - malgrado la testimonianza di Ireneo di Lione appena letta - non sa che l'apostolo
prediletto del Signore era l presente. Un nere di capo spirituale che sarebbe spettato,
per dovere e per diritto, al "discepolo che Ges amava"Giovanni; come Simone Pietro a
Roma e Giacomo il Minore in Gerusalemme.
Considerato che Pietro e Giacomo non sono esistiti, alla strgua di Paolo, come abbiamo
gi provato con gli studi precedenti, sentiamo il dovere di accertare anche la credibilit
storica di san Giovanni, apostolo "prediletto del Signore".
Da sottolineare che Eusebio di Cesarea, nella sua "Historia Ecclesiastica" (III 33), riferita
a questa epoca, elenca una successione di Vescovi assisi sul Trono, in molte localit,
fino al IV Libro, senza che risultino Capi delle affollate comunit cristiane in Bitinia,
governata da Plinio il Giovane, e nella Provincia d'Asia, governata da Cornelio Tacito.

* Nel canone neotestamentario compresa la "Lettera agli Efesini" scritta da Paolo di


Tarso. In essa il super apostolo si rivolge "ai santi che sono presenti ad Efeso credenti in
Ges Cristo ..." e ricorda loro "il Ministero a lui affidato da Cristo" ma ignora che ad
Efeso vi dimorava Giovanni apostolo e, non molto prima, la SS. extra
Vergine, Madre di Dio. Giovanni, prima di Paolo, fu investito dello stesso Ministero dal
Redentore sulla croce con il preciso obbligo di prendersi cura di Sua Madre. Infatti il
Concilio ecumenico tenutosi nel 431 d.C., appositamente ad Efeso, ampli le scarne
informazioni evangeliche e patristiche decretando che "Giovanni prese con s Maria e
venne a Efeso".
In contrasto alla decisione sinodale, la lettera di san Paolo disconosce la venuta ad
Efeso della beatissima Vergine e di san Giovanni perch gli amanuensi la
scrissero prima che Maria venisse dichiarata dai Vescovi "Madre di Dio": un dettaglio
fondamentale che dimostra l'invenzione della (Teotkos = colei che genera Dio)
nella "Nativit" di Luca, scritta dagli amanuensi dopo la lettera di Paolo agli Efesini.
Poich in nessuna delle lettere paoline si fa menzione della "Madre di Dio", ci dimostra
che gli scribi cristiani, che compilarono le lettere a nome di un inesistente san
Paolo, non erano a conoscenza della futura evoluzione della dottrina voluta dai
Vescovi quando, successivamente, decretarono l'opportunista culto mariano e relativo
dogma.

Ad Efeso, dove comandava Tacito su mandato di Traiano, esistevano numerosi Cristiani


secondo quanto attestato, a chiare lettere, nella Sacra Scrittura "Atti degli Apostoli". In
essa si descrive la lunga permanenza in citt di un immaginario Paolo e la sua fruttuosa
opera di conversione quotidiana, protrattasi per due anni, corroborata da manifestazioni
pubbliche di strabilianti miracoli nella capitale di quella importante Provincia romana:

"Questo dur due anni, col risultato che tutti gli abitanti della Provincia
d'Asia (sic), Giudei e Greci, poterono ascoltare la Parola del Signore. Dio intanto
operava prodigi non comuni per opera di Paolo, al punto che si mettevano sopra i
malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui e le malattie
cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano" (At 19,11-12).

Gli unici a non accorgersi di simili straordinarie rivelazioni divine furono gli storici, i cronisti
ed i funzionari imperiali, chiunque fossero stati fra i cittadini romani dell'Impero, Giudei
compresi, ad iniziare da Giuseppe Flavio, in particolare, essendo egli ormai divenuto un
adulto sacerdote ebreo all'epoca di tali mirabilia.

"In quei tempi Giovanni, il prediletto di Ges, insieme apostolo ed evangelista, era ancora
in vita in Asia, dove, ritornato dall'esilio nell'isola di Pathmos dopo la morte di
Domiziano (96 d.C.), dirigeva le Chiese di quella regione"(HEc III 23,1).
"Dopo l'uccisione di Domiziano, Giovanni torn ad Efeso dove fond e diresse le varie
Chiese d'Asia e vi rest sino al principato di Traiano. Stremato dalla vecchiaia mor a
sessantotto anni di distanza dalla morte del Signore (nel 104 d.C.) e fu sepolto nella
stessa Efeso" (San Girolamo: "De viris illustribus" XVII).

Perci si palesa un contrasto fra la storia e la tradizione ecclesiastica cristiana - a


noi pervenuta attingendo notizie esclusivamente dalle fonti clericali - da confrontare con il
silenzio del Governatore Tacito sui cristiani gesuiti di Efeso. Citt ove il famoso
cronista, patrizio e sacerdote pagano, ancor prima di comporre gli Annales, dimorava nel
palazzo Pretorio senza accorgersi che tutti gli abitanti della Provincia d'Asia, da lui
governata, erano diventati cristiani grazie ai miracoli portentosi di san Paolo e la
carismatica guida di san Giovanni: due apostoli del Signore, colonne portanti della
Chiesa.
E' una semplice dimostrazione storica che si aggiunge allo studio precedente su Paolo,
riportato nell'apposito argomento, a comprova che il super apostolo non mai esistito; di
conseguenza non mai potuto andare a Efeso a convertire masse di Giudei e Greci.
Infatti, se tutti gli abitanti della Provincia d'Asia fossero diventati cristiani, lo
storico Proconsole Tacito - oltre a relazionare Traiano con una dovuta epistola - li
avrebbe accusati e torturati come il collega e amico, Plinio il Giovane, fece nello
stesso anno con i cristiani (messianisti ebrei, non gesuiti)della confinante Bitinia.

Tale constatazione porta la verifica critica della storia a negare anche la presenza di san
Giovanni a Efeso la qualeperde completamente di credibilit, pertanto dovremo
scoprire come mai i cinque Padri, venerati Maestri successori degli apostoli e "storici"
della Chiesa appena citati, pur affermando di conoscere la vita di Giovanni, il prediletto di
Cristo, non sapevano del suo miracoloso supplizio; e questi, a sua volta, come
loro, non sapeva del grande eccidio di cristiani perpetrato da Nerone.
Un supplizio, quello dell'apostolo Giovanni (conosciuto pure come "il discepolo che Ges
amava"), che ci stato tramandato dal pi erudito dei Padri apologisti, nonch il maggiore
fra gli autori di opere cristiane: Tertulliano.

Oltre due secoli dopo questi presunti avvenimenti, discordanti la "tradizione apostolica",
nelle province romane d'Asia e Bitinia, quando poterono accedere agli archivi imperiali, gli
amanuensi lucani si accorsero della grave mancanza di cristiani
gesuiti, sconosciuti dagli storici romani, in quella vasta regione orientale. Pensarono
bene di risolvere il problema chiamando in causa lo stesso Ges e lo Spirito Santo in Atti
degli Apostoli per dettare alla Massima Entit Una e Trina* i Paesi che doveva
evangelizzare san Paolo con l'assistente Barnaba per diffondere la fede in Cristo.
E Dio, obbediente, esegu gli ordini degli scribi:
Attraversarono la Frigia e la Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato di predicare nella
Provincia d'Asia. Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di
Ges non lo permise ... (At 16,6/7).
* La Santissima Trinit fu inventata dai Padri Venerabilissimi e Santi dopo aver
dichiarato Consustanziale lo Spirito Santo con il Figlio e il Padre nel Concilio di
Costantinopoli del 381 d.C.

Questa perla di testimonianza, riferita da "san Luca", era in contrasto con la stessa
missione apostolica che, necessariamente, in seguito smentir il divieto di Dio
disattendendolo completamente, senza ulteriore giustificazione celeste, poich lo
stesso Paolo si recher comunque ad Efeso ... stando alla fantasia distorta dello scriba
lucano.
Aggiunta alle numerose insulsaggini, gi evidenziate negli studi precedenti, si dimostra
fino a qual punto giunse l'ipocrisia delle eminenze grigie cristiane nella stesura di questo
sacro testo quando l'Impero Romano, entrato in crisi irreversibile, si vide costretto a
rinunciare alle divinit capitoline, colpevoli di non aver saputo proteggere la gloria di
Roma, per sostituire ad esse una nuova religione.
L'attuale Credo gesuita fu progettato e definito dai Cristiani, nel corso del IV secolo,
durante litigiosi Concili conclusi con le persecuzioni degli stessi fedeli correligionari
dissidenti, dichiarati eretici.
L'impegno profuso dagli aspiranti Capi all'ecumene cattolica viene cos descritto da
Ammiano Marcellino, il maggiore degli storici imperiali del IV secolo d.C., nelle sue "Res
Gestae a fine Corneli Taciti" ultimate entro il 378 d.C.:

"A caterve i Clerici viaggiavano con la scusa dei Concili, a spese dello Stato, da una
parte all'altra dell'Impero"
(op. cit. XXI 16,18);
"Nessuna bestia feroce cos ostile con gli uomini come la maggior parte dei
cristiani sono letali con se stessi"(ib XXII 6,4);
"Coloro che aspirano alla guida della Chiesa di Roma, quando hanno raggiunto lo
scopo, saranno talmente privi di scrupoli da arricchirsi, grazie alle oblazioni delle matrone,
al punto di uscire in pubblico su cocchi (carrozze di lusso) e, vestiti con ogni
cura, organizzare banchetti pi fastosi di quelli dei Re" (ib XXXVII 3,14).

E lo storico Ammiano non ha potuto vedere il seguito ...

Episcopi, paludati con vistosi e preziosissimi paramenti, avidi di potere e privilegi tanto da
essere equiparati ai Re, attraverso numerosi Concilii, selezionarono e scelsero la
sostanza e la forma della nuova Santissima Trinit da far adorare agli uomini. Per
loro, lo strumento fu il culto di Cristo lo scopo: il dominio politico. Erano atei.
Solo cinici atei potevano permettersi di creare una divinit, secondo la propria fantasia,
all'unico fine di asservire la popolazione la quale, adorando il nuovo Dio, ne avrebbe
inevitabilmente riconosciuto, venerato e mantenuto i suoi Ministri in splendida agiatezza.
Un fine ambito, nella consapevolezza che sarebbe stato autentica fonte di potere e
sottomissione dei nemici del Clero.

La venerazione dei Capi ecclesiastici era una forma di riconoscenza popolare spontanea
in cambio della promessa della vita eterna, elargita a piene mani dai Clerici in favore di chi
sottostava al loro Credo; per gli altri, pagani o scettici che fossero, viceversa, incombeva il
ricatto delle fiamme dell'inferno. Bassa teologia in cambio di dominio politico autoritario.
L'Ordine Sacro Secolare della gerarchia ecclesiastica inizi cos a praticare il pi lucroso
ma, al contempo, il peggiore dei mercimni, tanto diffamato in "Atti degli Apostoli": la
simonia spirituale.

Inizi Costantino il Grande ad assegnare beni immobili e propriet terriere alle Chiese
cristiane. Nel 390 d.C., il devoto Imperatore Teodosio, dopo aver massacrato seimila
cristiani ribelli a Tessalonica, fece pubblico pentimento al cospetto del Vescovo Ambrogio
di Milano; di seguito eman i "Decreti Teodosiani" dichiarando fuori legge i culti pagani e la
distruzione dei rispettivi Templi, pena la morte e la confisca dei beni di coloro che non
avessero ottemperato la prescrizione. Fu la prima volta che l'Impero Romano, ormai in
agonia, dichiar fuori legge tutti i culti imponendo ai sudditi il monoteismo. Prerogative
imperiali, aventi forza di legge vincolante, furono rilasciate nel 554 d.C. ai Vescovi
dall'Imperatore Giustiniano ... e per i secoli a venire.

"Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi non pu essere mio discepolo" (Lc
14,33).

In barba al preciso dettato di Cristo, tutti i Suoi successori sino agli anni '60 del secolo
scorso - prima che la contestazione giovanile gli consigliasse un opportunistico
"adeguamento" - il Pontefice della Chiesa di Roma, Paolo VI, si adornava il capo con una
pesante "Tiara" d'oro, tempestata di pietre preziose, simbolo di sovranit universale
e triplice potere o "Triregno": "Padre di tutti i Re e tutti i Principi", "Rettore del
Mondo" e "Vicario di Cristo in Terra" (ancora oggi ne fa le veci).
Dopo l'umiliazione inflitta all'Imperatore Enrico IV a Canossa, che aveva tentato di
rafforzare autonomamente la propria autorit imperiale, Papa Gregorio VII pubblic il
suo "Dettato ai Vescovi" nel 1080 d.C. in base al concetto che sulla terra i Papi erano
depositari del potere assoluto, con disprezzo del "dettato" evangelico di Cristo, palesato
alle folle di adepti con il famoso "Discorso della Montagna", che prevedeva la ricompensa,
oltre la morte, ai poveri e agli umili con l'eterna beatitudine da godersi nell'alto Regno dei
Cieli.
Per contro, ecco il "discorso papale" di Gregorio VII ai Vescovi per definire il loro potere,
dall'alto Trono pontificio:
"Fate in modo che il mondo intero comprenda e sappia che Voi potete legare e
sciogliere il cielo; Voi potete sulla terra dare e togliere a ciascuno, secondo i meriti, gli
Imperi, i Reami, i Principati, i Ducati, le Contee e tutte le possessioni degli uomini ...
Sappiano, oggi, i Re, i potenti della terra, come Voi siete grandi e quale sia la Vostra
autorit. Che essi si guardino dal tenere in poco conto l'amministrazione e
l'organizzazione della Chiesa".

Il "Dictatus" ai Vescovi fece seguto al precedente, famoso, "Dictatus Papae", redatto dallo
stesso Pontefice:

"Che solo al Papa tutti i Principi debbano baciare i piedi"; "Che ad Egli permesso di
deporre gli Imperatori"; "Che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al
contrario Egli pu riformare qualsiasi sentenza emanata da altri"; "Che Egli non
possa essere giudicato da alcuno"; "Che la Chiesa Romana non ha mai errato; n,
secondo la testimonianza delle Scritture, mai errer per l'eternit".

Tutto ci sarebbe venuto dopo perch all'inizio, dopo la "resurrezione di Ges", non
esistevano Vescovi cristiani almeno sino alla fine del II secolo d.C.: i vangeli non li
contemplavano. Appartengono ad una tradizione inventata, resasi necessaria a
comprovare una continuitas ecclesiastica dei seguaci del Salvatore, dopo il suo
Avvento, e giustificare, al contempo, i veri Capi successori: i Vescovi del IV secolo.
Oltre due secoli dopo l'Avvento di Cristo iniziarono ad essere redatti documenti da scribi
clericali per far apparire una cristianit gesuita numerosa, ben organizzata dai loro
Episcopi pastori di anime, sin dal I secolo, ad iniziare dalla pi importante, quella di
Roma, sede del Trono di Simone Pietro, il primo Papa: la vera Chiesa, custode unica della
Tradizione dei Padri maestri fondatori, ligia agli insegnamenti del Redentore, santo
baluardo contro l'eresia dilagante dei falsi Cristi Salvatori.
Continuiamo a seguire il metodo e l'attenzione con cui le eminenze grigie teologali
crearono la patrologia, struttura portante della tradizione cristiana, comparando fra loro
gli attestati manoscritti da autorevoli Padri, avvalendoci, come sempre, della
documentazione storica per ricercare dati significativi sull'esistenza del longevo discepolo
prediletto dal Signore Ges: san Giovanni.

Le sviste degli scribi "tertullianei"


Ritorniamo su "Padre" Tertulliano per verificare la Tradizione di Giovanni, apostolo
evangelista, sulla base dei documenti manoscritti a noi giunti e comparare la coerenza
delle sacre testimonianze, nonch la datazione delle "varianti" ad esse aggiunte nel corso
dei secoli. Modifiche utili per stabilire la veridicit delle deposizioni rese sul"Discepolo che
Ges amava" da parte dei presunti successori degli apostoli: Clemente
Alessandrino, Ireneo di Lione,Policrate di Efeso e Papa Vittore; tutti citati da Eusebio
di Cesarea, come abbiamo visto sopra, ai quali aggiungiamo ora lo stesso Tertulliano.
Tramite l'analisi della Nativit di Ges (vedi studio) evidenziamo la grave contraddizione
nella quale sono incappati gli amanuensi medievali, i quali, per colmare il buco
cronologico di 12 anni fra le nascite di Luca e Matteo, ebbero la malaugurata idea di far
sostituire da Tertulliano in Adversus Marcionem (IV 19) - un manoscritto "apparso"
quasi un millennio dopo il presunto "Padre" - il Governatore imperiale di Siria, Publio
Sulpicio Quirinio, con un altro, Senzio Saturnino.
Questi, Legatus Augusti pro Praetore, documentato effettivamente dagli storici come
Governatore di Siria, fu incaricato da Cesare Ottaviano in un torno di tempo durante il
quale Erode il Grande avrebbe potuto fare la strage degli innocenti per eliminare il
neonato "Ges bambino". In realt la ricerca storica dimostra che Saturnino non ha mai
potuto eseguire alcun censimento durante il quale, secondo il vangelo di Luca, nacque il
Salvatore dell'umanit.
Sulla base di quanto riportato dall'amanuense medievale, del X secolo, che compil
"Apologeticum" (XVI 1) a nome di Tertulliano, abbiamo ricavato, fra le tante, una prova
della falsificazione del martirio dei Cristiani di Nerone (confronta apposito argomento),
comparando, oltre ai testi, le datazioni dei codici. Dalla loro lettura risulta che la
testimonianza, artatamente accreditata a Tacito, posteriore di oltre un secolo rispetto a
quella dello scriba tertullianeo, il quale, richiamandosi alle opere dello storico latino, lo
accusa di aver sparso la voce che i Cristiani adoravano gli onagri come i Giudei, senza
poter immaginare che un secolo dopo di lui un altro scriba avrebbe riportato sul codice
MS 68 2, risalente all'XI secolo, gli "Annales" di Tacito in cui risulta che i Cristiani
adoravano Ges Cristo, non gli asini.
Per elevare a rango di storicit la prima informazione su Saturnino, apparsa ex
novo oltre ottocento anni dopo i fatti narrati, i pii amanuensi cristiani ricorsero a
Padre Tertulliano.
Questi fu inventato appositamente da Eusebio di Cesarea, il primo a citarlo come erudito
cronista e succedaneo dell'altro finto storico personale del Vescovo: Egesippo.
Un inesistente ebreo cristianizzato utile ad Eusebio per creare la struttura ecclesiastica,
che stiamo indagando, a fondamento della tradizione cristiana subentrata agli Apostoli
(la dimostrazione riportata nel IV argomento).

Come riferiamo nello studio su La Nativit, gli artistici scrivani mistici tardomedievali,
purtroppo per loro, dimenticarono di coordinare l'importante informazione sulla data di
nascita del Signore Ges con quella attestata dagli altri Padri che in precedenza
affrontarono lo stesso problema. Furono altres inetti quando fecero "testimoniare" a
Tertulliano in "Apologeticum V 2-3" un inesistente decreto dell'Imperatore Tiberio che
imponeva "la pena di morte contro gli accusatori dei Cristiani". Una sciocchezza tale
da cadere in contraddizione addirittura con "Atti degli Apostoli" (At 11,26) ove si riferisce
che i Cristiani si chiamarono con questo nome, la prima volta, ad Antiochia sotto il
principato diClaudio (durato dal 41 al 54 d.C.), dopo che Tiberio era gi morto nel
37 d.C.
Abbiamo approfondito anche questa analisi nell'argomento sul martirio neroniano dei
Cristiani.
L'imponente pera, accumulatasi nei secoli, e la conseguente indagine sulla vita di
Tertulliano (a cavallo fra il II e III secolo), un Padre apologista del tutto sconosciuto
dai Padri a lui coevi e a quelli successivi, fino a Eusebio (IV secolo), ci hanno portato
a concludere che "Quinto Settimio Fiorente Tertulliano non mai esistito. L'impresa
letteraria a lui accreditata fu redatta da scribi avvicendati nelle epoche posteriori la sua
immaginaria esistenza.
Dopo Eusebio e san Girolamo, la sequela dei cronisti cristiani come Orosio, Sulpicio
Severo, santAgostino, ecc. ecc., in particolare Dionigi il Piccolo (cui dobbiamo la
datazione della nascita di Ges) e, su su, nei secoli, nessuno di loro conosce Tertulliano.
Fino a quando, a partire dal IX d.C., iniziarono ad essere scritte dagli amanuensi le prime
opere di Tertulliano, accumulando, nel tempo, unimmane, quanto improbabile, tradizione
manoscritta, a lui accreditata, per essere poi collazionata e scelta nel XVI secolo allo
scopo di esibirne gli archtipi, impossibili da congetturare, comunque attribuiti al Padre
attraverso varie editio princeps opera omnia ricavate tra famiglie di codici contrastanti
fra loro. Semplice dimostrazione che non furono redatti da Tertulliano perch il vero
autore originale non avrebbe mai rilasciarto testimonianze divergenti senza contare
ulteriori scritti "persi" o piuttosto eliminati, nel corso dei secoli, in quanto inconciliabili fra
loro.
Non sussistono concrete testimonianze sul Padre apologista Q. Settimio Fiorente
Tertulliano a sostegno della sua effettiva esistenza. Viene citato da Eusebio di Cesarea, il
primo a parlarne, dopo di lui, san Girolamo, Lattanzio, san Vincenzo Lirinense, san
Gelasio e Isidoro di Siviglia, tramite manoscritti ecclesiastici, non autentici, ma
elaborati da altri autori fra il tardo medioevo ed il rinascimento (dal X secolo in su).
Data la molteplicit dei manoscritti attribuiti a Tertulliano, prima di Eusebio, avrebbero
dovuto conoscerlo, innanzitutto, il Padre apologista Origene e il Papa Ippolito di Roma, a
lui contemporanei secondo la "tradizione"; e dopo di loro la sfilza di Vescovi, Papi e Padri,
succedutisi sino ad Eusebio, i quali lo ignorano tutti.

Da rimarcare che Origene Adamanzio (185-254), uno dei maggiori "Padri Apologisti",
dopo aver diretto la scuola di teologia di Alessandria, nel 232 d.C. fond a
Cesarea una sua scuola, con tanto di discepoli, fornita di una ricca biblioteca dotata di
oltre 30.000 manoscritti, finalizzata a ricercare e raccogliere studi biblici, storici, filologici e
critici sui protagonisti della dottrina cristiana. Poich il "Pilastro Apologeta" Origene non
conosce l'imponente ricerca cristiana, attestata in numerose opere dall'altro "Pilastro
Apologeta" Tertulliano (155-230), n mai lo cita, significa che all'epoca di Origene non
esisteva Tertulliano e il frutto del suo ingegno. Non credibile che tra la fine del II e l'inizio
del III secolo un intellettuale conoscitore del greco e del latino, figlio di un centurione,
fervente pagano per buona parte della sua vita (sino a 40 anni, come attestato da san
Girolamo in "De viris illustribus" e da lui stesso in "Apologeticum"), una volta fatto prete
abbia avuto la possibilit - non solo economica ma anche temporale, con
un'organizzazione di esperti calligrafi - di scrivere un'opera omnia di 40 trattati (senza
contare quelli andati perduti) ... tutti sfuggiti al "bibliotecario" Origene.

Un impegno metodico - eccessivamente vasto ed approfondito sullo scibile del mondo


classico, storico, filosofico, giuridico e religioso - assunto mantenendo, al contempo, una
posizione, pubblicamente documentata, di veemente contrapposizione ideologica nei
confronti di funzionari imperiali che l'avrebbero "martirizzato" subito, anzich lasciarlo
invecchiare in tutta tranquillit, secondo quanto riferito da san Girolamo. Un lavoro
letterario addirittura superiore a quello, pur ampio, affrontato da Giuseppe Flavio il quale,
nel corso di venticinque anni, usufru di sostanziosi contributi concessi da due Imperatori
Flavi ed un ricco mecenate, unitamente alla possibilit di accedere agli archivi imperiali;
oppure la monumentale opera del Senatore romano, contemporaneo di Tertulliano, Cassio
Dione (Storia Romana) al quale necessitarono ventidue anni per completarla, senza
problemi organizzativi, economici e con la possibilit di consultare gli Atti del Senato e gli
archivi imperiali di Alessandro Severo suo amico. Un cmpito talmente impegnativo al
punto che, per poter stendere le sue opere, allo stesso Orgene necessitarono aiuti
economici e scrivani fornitigli da un generoso protettore "il pio Ambrogio" ... dopo averlo
convertito.
La mancanza di coordinamento, causa dei molti contrasti gi evidenziati nelle ricerche
precedenti, deriv dall'immane lavoro che, composto da amanuensi diversi e
successivamente assemblato, avrebbe richiesto una minuziosa lettura comparata dei
lavori attribuiti a Tertulliano ormai divenuta impossibile fra tanti manoscritti dispersi nelle
molteplici ecclesiae cristiane europee ed orientali. Infatti queste si erano ormai divise in
conseguenza di litigiosi scismi e anatemi reciproci, motivati da sottili esigenze dottrinali e,
soprattutto, da ambizioni di "Primato" (cos viene definito il "potere" dagli ecclesiastici).

In merito alla verifica dell'esistenza di Tertulliano doveroso porre in


risalto un'ennesima falsificazione della sua testimonianza in contrasto con le altre
deposizioni dei Padri fondatori, incompatibili fra loro: quella relativa alla vita
dell'apostolo Giovanni.

Vita, opere e miracoli di san Giovanni


L'apostolo Giovanni, prima venne identificato dalla Tradizione nell'anonimo discepolo
che Ges amava, poi fu chiamato come testimone oculare della vita di Cristo, narrata in
un canonico "Vangelo secondo Giovanni" a lui attribuito. Il Santo, infine, fu scelto da Dio
come depositario della Rivelazione (Apocalisse) del Redentore e del Suo ritorno
(Parusia) ... non pi come Salvatore ma nelle vesti di un terrificante Giustiziere che
avrebbe provocato la fine del mondo, tramite una catastrofe cosmica, dando inizio ad un
eterno "Regno dei Cieli" destinato a quella parte di umanit giudicata meritevole. San
Girolamo (Hieronymus) riconobbe san Giovanni come Apostolo, evangelista e Profeta.
Tuttavia, nonostante l'evidente montatura di una esistenza del discepolo prediletto
interamente dedicata alla vocazione, la Tradizione ecclesiastica di Apostoli, Padri,
Vescovi e Papi, compreso Eusebio di Cesarea ed il suo storico Egesippo, lo ha lasciato
morire di vecchiaia: unico indenne tra le colonne portanti della Chiesa, i grandi Profeti
evangelizzatori e miriadi di mrtiri cristiani gesuiti.
Una vita da santo ma priva di sofferenze che doveva essere corretta per non
contravvenire l'intera filosofia patristica, concepita nel IV secolo, basata sulla immaginaria
lotta contro l'idolatria pagana e quella eretica cristiana, costata un fiume di sangue versato
da inesistenti primitivi cristiani gesuiti perseguitati dalle maligne forze delle tenebre
impersonate da Imperatori e alti funzionari romani.
Il pi antico codice manoscritto che si propose di colmare il grave vuoto di san Giovanni
nel martirologio patristico cristiano risale al IX secolo, in piena epoca carolingia e,
superfluo a dirsi, in esso viene chiamato in causa Tertullianocome primo testimone dei
fatti.
Si tratta di una ridotta opera omnia tertullianea, fra cui De praescriptione
haereticorum, apparsa all'improvvisoe "acquistata" (come lasciarsela sfuggire?) dal
potente Arcivescovo Agobardo di Lione (Agobardus Lugdunensis), in carica dall'816
all'840 d.C., grande statista nei rapporti fra la Corte imperiale degli eredi di Carlo Magno e
la Chiesa di Roma retta da Papa Gregorio IV.
Agobardo don il manoscritto alla Cattedrale di Saint Etienne, guarda caso, senza riferire
la provenienza ma, di fatto, lo ufficializz. Il documento contraddistinto Codex
Agobardinus: Paris, Bibliothque Nationale, MS Latina 1622. In esso descritto il
miracolo testimoniato da Tertulliano in "De praescriptione haereticorum" (XXXVI 2,3):
... Giovanni ebbe a sopportare la relegazione in un'isola (?), dopo (quando?) che
miracolosamente nulla ebbe a soffrire, sebbene fosse stato immerso (da chi?) in un
bagno di olio bollente!.
Non una cronaca, tutt'al pi un ridicolo accenno assente di qualsiasi dato storico o
elemento probante, non riferito appositamente per evitare riscontri antitetici ma non le
nostre considerazioni:
- oggi sappiamo che l'olio d'oliva bolle a pi di trecento gradi e se vi si immerge un uomo
questi diventa una super crocchetta in pochi secondi;
- solo un miracolo pu far uscire indenne un uomo dopo simile balneazione;
- chiunque avesse assistito a tale evento si sarebbe convertito subito (anche noi atei
odierni) a partire da chi lo avrebbe ordinato;
- lo scriba cristiano che si invent questa forma di supplizio capitale non aveva la minima
conoscenza della vera tradizione sulle pene di morte praticate nel mondo antico ed in
quello greco romano in particolare: non risulta simile tortura nelle rispettive letterature e
secondo il pi elementare buon senso;
- chi avrebbe sprecato pi di un quintale di olio d'oliva per eliminare un uomo? E quale
grande recipiente, poggiato su di un robusto trpode di ferro, avrebbe potuto resistere la
temperatura elevata di un fuoco acceso al di sotto per il tempo necessario a farlo giungere
in ebollizione?;
- trattandosi di un apostolo, l'eccezionale miracolo investiva direttamente la tradizione
cristiana, pertanto, tutti i Capi delle Chiese di Cristo avrebbero dovuto esserne
informati, subito, senza aspettare che la notizia venisse ufficializzata quasi otto secoli
dopo da un Tertulliano carolingio poich il Tertulliano eusebiano del IV secolo
non ne sapeva nulla;
- il primo a sentire il dovere di riferire questo strabiliante miracolo avrebbe dovuto
essere lo stesso Giovanni, il quale, sempre secondo la tradizione apostolica, da
vecchio scrisse, oltre il Vangelo e l'Apocalisse, anche le trelettere personali a futura
memoria e in esse avrebbe sicuramente reso grazie al proprio Salvatore ... ma a noi
giunte prive di tale cronaca soprannaturale;
- l'intera documentazione della tradizione cristiana, compreso Eusebio di Cesarea,
nonch tutti gli storici ecclesiastici, Episcopi, Padri e Papi, succeduti fino a
lui, ignorano questo supplizio miracoloso, pur riferendo la vita di Giovanni.
In definitiva, assistiamo alla messa in scena scritta da un amanuense medievale, diretto
dalle mani autorevoli del Metropolita Agobardo, al fine di rafforzare una fede con la
dimostrazione, destinata ai credenti, della potenza divina del Cristo Salvatore grazie
allo strabiliante prodigio del suo apostolo prediletto: Giovanni. Il
tutto testimoniatoda un Padre apologista inventato secoli dopo: Tertulliano.
Ma non siamo i primi a renderci conto della somma di contraddizioni insite in questa finta
deposizione, telefonata dopo quasi un millennio, da un Tertulliano mai esistito: le
eminenze grigie della Chiesa ci hanno anticipato di secoli tentando di porvi
rimedio. Furono obbligate a farlo per evitare di cestinare il codice ufficializzato
dall'autorevole Arcivescovo, ormai gi trascritto e diffuso, contenente buona parte de
l'opera omnia del Padre* col risultato di tagliare una fetta troppo importante della
patrologia cristiana.
* Mancano Apologeticum e Adversus Marcionem, due opere gi trattate da noi che fino
allora non erano state inventate. Si fa notare che il Codex Agobardinus datato con
precisione storica, mentre i successivi si basano su stime paleografiche approssimative,
senza riscontro strumentale dello spettrometro di massa.
Essendo il pi antico, oltre al valore intrinseco del manoscritto, il documento costituiva la
base su cui impiantare un archtipo di supplizio giovanneo (in assenza di una fonte
autentica) da accreditare a un presunto Tertulliano in vita.Un prottipo, da selezionare tra
famiglie di codici redatti in epoche posteriori, sarebbe servito a congetturare il supplizio di
Giovanni. Codici collazionati e scelti, fra numerosi, per nascondere i rispettivi contrasti
creati dalla fantasia di pii amanuensi dettata da un eccesso di fede.
Proviamo a verificare cosa studiarono per superare il problema e, soprattutto, se ci sono
riusciti.
Tramite Documenta Catholica Omnia, Excerpta ex Migne Patrologia Latina - una raccolta
di testi manoscritti fra il basso medioevo ed il rinascimento, tradotti e pubblicati circa due
secoli fa - in Adversus Iovinianum di Hieronymus(san Girolamo), lo scriba redattore
rivela, pur se Tertulliano era morto da oltre un millennio, cosa rifer il Padre
apologista del 200 d.C. a Padre Girolamo nel 410 d.C., riguardo san Giovanni:
Giovanni Apostolo evangelista, da Profeta vide certamente l'Apocalisse nell'isola di
Pathmos ove fu relegato dall Imperatore Domiziano dopo il martirio subito per il Signore.
Inoltre Tertulliano riporta che fu immerso da Nerone*in una giara colma di olio bollente
da cui usc purificato (sic!) e pi vigoroso di come era entrato (op.cit. Lib. I 26).
* Tutti i manoscritti e le edizioni vetus latinae riportano da Nerone, tuttavia i curatori
cristiani degli ultimi tre secoli falsificano la traduzione con a Roma fu immerso
.... Cancellano Nerone pur sapendo che i devoti amanuensi dell'vo
trascorso intendevano assembrare il supplizio di Giovanni con il martirio di Pietro e Paolo,
perpetrati da quell'Imperatore.
Il motivo per cui non deve apparire Nerone colpevole del supplizio di san Giovanni
dipende dal fatto che le eminenze grigie cristiane sapevano e sanno che, se Giovanni era
vissuto durante tutto il I secolo, lui per primo avrebbe dovuto riferire dell'esecranda
strage di cristiani voluta dall'Imperatore ... ma, l'amanuense che scrisse le tre
lettere, attribuite all'apostolo per dimostrare che era esistito, ignorava questa spettacolare
vicenda cos come non conosceva il supplizio del "discepolo prediletto" del Signore. No!
Oggi meglio tenere san Giovanni lontano da Nerone: tenuto conto della gravit
dell'evento, la mancata testimonianza di Giovanni, in merito alla strage neroniana, sarebbe
balzata spontaneamente agli occhi anche ai non addetti ai lavori.
Chiunque pu capire che il martirio neroniano di cristiani gesuiti un falso se
l'apostolo Giovanni non lo ha riportato nelle sue lettere scritte alla fine del I secolo,
specie dopo essere stato immerso da Nerone in un tonificante bagnetto d'olio a oltre 300
gradi centigradi.
Ma soprattutto, dal Rinascimento in poi, le eminenze grigie sapevano e sanno che,
poich gli amanuensi continuavano ad accusare Nerone soltanto del supplizio giovanneo
senza aggiungere gli altri crimini molto pi gravi commessi dal Cesare contro i
cristiani, ci dimostra che i redattori dei Codici non sapevano allora dello spettacolare
supplizio di massa di gesuiti riferito nel manoscritto laurenziano 68 II che incolpa
lo stesso Imperatore. Quindi, stando alle varianti dei Codici, il manoscritto degli Annales di
Tacito stato "corretto" intorno alla fine del Medio Evo, pertanto dobbiamo chiederci cosa
si aspetta ad accertare con lo spettrometro di massa la datazione del documento finora
stimata con il solo metodo paleografico.
Intanto prendiamo atto che gli amanuensi del tardo medioevo decisero di arricchire la
scarna cronaca tertullianea carolingia con un san Giovanni martirizzato da Nerone
(perlomeno l'imperatore ci prov). Inoltre, quella balneazione divina tonificante gli giov
alla salute, tanto da farlo vivere sino in et avanzata, dopodich Domiziano lo releg
nell'isola di Pathmos (nel Dodecaneso) ove ebbe la profetica Rivelazione del Candido
Signore con voce di trombasulla fine del mondo. Ne consegue che san Giovanni risulta
essere stato oltremodo famoso dal momento che due Imperatori si interessarono
personalmente del Discepolo che Ges amava ... una notoriet non condivisa da nessun
altro Padre, Vescovo o Papa, a lui presenti e futuri, i quali, nessuno di loro sapeva del
miracoloso martirio giovanneo.
Una realt che doveva essere smentita: la Chiesa di Cristo non poteva ammettere un san
Giovanni, apostolo prediletto di Ges, profeta ed evangelista, morto impunemente di
semplice vecchiaia. Noi abbiamo riferito solo un esempio ma,senza alcun autentico
documento originale, dall'epoca carolingia in su, amanuensi contemplativi di tutte le
Nazioni convertite al cristianesimo sciolsero la loro fantasia e, tramite testimonianze
incrociate fra Padri, telefonate secoli dopo, finalmente individuarono le gesta del Santo.
Gli attribuirono guarigioni miracolose, gli fecero resuscitare i morti: un potere
concessogli per grazia divina pari a quello di san Paolo, per di pi "comprovato" in artistici
dipinti realizzati nelle Chiese di Dio; il martirio purficatore avvenuto ad Efeso non pi a
Roma; la giara divenne caldaia (si era capito che avrebbe funzionato meglio), inoltre,
sempre pi realisticamente, ma apocrifo:
L'olio bollente si mut in rugiada celeste e Giovanni usc dalla caldaia pi fresco e pi
vigoroso di quando vi era entrato
e, tra una Legenda Aurea e l'altra, si giunse quasi alla fine del medioevo quando
apparve l'ultima rivelazione divina: Giovanni evangelista bevve, indenne, un calice
avvelenato offertogli da un sacerdote pagano del Tempio di Efeso. Altra variante:
la coppa con la vipera (simbolo demoniaco). Quella "coppa" (sic!) rimasta esposta nella
basilica di San Giovanni in Laterano a Roma alcuni secoli, poi celata dietro le quinte
perch giudicata apocrifa.
In definitiva, una serie di miti giovannei comprovati da Padri Venerabilissimi e Santi
Episcopi, tutti successivi a Eusebio di Cesarea. Perch?
E' facile capirne la ragione: i codici della Historia Ecclesiastica eusebiana del IV secolo,
seppur corretti dopo la sua morte*, erano ormai copiati e diffusi in tutte le diocesi e i
monasteri della cristianit, ma, dopo i numerosi scismi che travagliarono la storia della
Chiesa, recuperarli per modificare la vita dell'apostolo Giovanni sarebbe stato impossibile:
meglio inventarsi qualcosa di nuovo accreditandolo ai Padri subentrati ad Eusebio.
* Dopo il Concilio di Nicea del 325 d.C., cui partecip Eusebio, seguirono numerosi altri
per stabilire la sostanza di Dio, sino a quello di Efeso nel 431. I manoscritti originali del
Padre non ci sono pervenuti perch furono eliminati. Essi avrebbero evidenziato la
differenza creatasi nella dottrina cristiana derivata dalla introduzione, successiva, della
Santissima Trinit e l'assurdo rapporto fra la Madre di Dio e la Madre del Figlio di Dio
consustanziale e coeterno al Padre dall'inizio dei secoli.

L'eccesso di testimonianze tardive, contrastanti fra loro, sul martirio giovanneo e le


gesta dell'apostolo prediletto, impose alla Chiesa di sfrondarle rendendo apocrifi
molti Acta Iohannis o Virtutes Iohannis purtroppo ... senza poter eliminare il contrasto
fra la deposizione del primo Tertulliano eusebiano, ignaro del martirio in oleo, ed il
successivo Tertulliano medievale viceversa consapevole.
Gli esegeti ispirati non sono riusciti a trovare una spiegazione plausibile nonostante
l'assoluta necessit per i fedeli di adorare un san Giovanni miracolato predicato dai
pulpiti. Per di pi il problema aggravato dalla totale mancanza di prove su chi avrebbe
dovuto eseguire il supplizio, e quando.
Sanno bene gli storici clericali che in gioco la credibilit dell'esistenza dell'Apostolo
Giovanni e di Padre Tertulliano: una questione aperta per loro, anche se pressoch
sconosciuta dai credenti, impossibile da risolvere, come per la Nativit.
Viceversa, per chi non crede, o chiunque interessato al Cristo storico intenda
documentarsi - una volta preso atto delle sciocchezze narrate nei manoscritti e scoperto le
contraddizioni derivate dalla pretesa degli scribi di farle apparire vere storicamente - non
gli resta che una conclusione: bollare come falsi protagonisti sia l'Apostolo Giovanni
che Padre Tertulliano. Di conseguenza, anche gli altri "testimoni di Giovanni" riferiti da
Eusebio, come Clemente Alessandrino,Ireneo di Lione, il Vescovo Policrate di
Efeso e Papa Vittore, sono stati inventati da Eusebio, l'Episcopo della Corte di
Costantino il Grande e, solo molto tempo dopo la sua morte, gli amanuensi medievali li
fecero risultare nella "patrologia" con richiami testuali, incrociati appositamente, per far
apparire che vissero realmente.
Ecco spiegato perch Tacito, il grande storico e Governatore della Provincia d'Asia, non
ha evidenziato alcuna esistenza di Cristiani gesuiti ad Efeso, diversamente da Plinio il
Giovane in Bitinia. Non vi fu alcun Apostolo, n successore, che si rec nella
Provincia d'Asia ad evangelizzare i Gentili pagani. Quindi, non essendo esistiti gli
Apostoli, non possono essere esistiti i loro successori Vescovi. Esattamente come
abbiamo dimostrato con gli studi precedenti su san Paolo, Giacomo il Minore, primo
Vescovo di Gerusalemme, ed il suo successore Simone, parente di Ges, secondo
Vescovo di Gerusalemme.

Sant'Ignazio, primo pseudo discepolo di san Giovanni, e Onesimo: due spropositi


storici
Ma non basta. Un altro Padre della Chiesa di Cristo, sant'Ignazio Vescovo di Antiochia, nel
108 d.C. - solo quattro anni prima dell'arrivo del Proconsole Tacito ad Efeso, nel 112 d.C.,
ed esattamente quattro anni dopo la morte di san Giovanni - scrisse una lunghissima
lettera al numeroso popolo cristiano di Efeso.
Come abbiamo evidenziato all'inizio di questo studio, in base alle testimonianze storiche di
tutti i Padri, compreso san Girolamo, alla fine del I secolo non risultano Vescovi della
importante citt di Efeso. La strana circostanza, divergente dalla "tradizione", ci ha
insospettiti e portato a scoprirne il movente sino a coinvolgere, oltre l'assenza della
Madonna "Madre di Dio" in questa citt, anche quella dell'apostolo Giovanni, successore
di Cristo e, fra tutti, il pidegno a salire sul soglio episcopale di Efeso, il quale, secondo
la "Lettera agli Efesini" di Paolo non vi risiedeva.
Ci volle circa un millennio, dalla fondazione della numerosa ecclesia efesina da parte di
Paolo, perch la Chiesa si accorgesse della significativa mancanza del Capo spirituale di
quella metropoli, sfuggita alle creative penne degli amanuensi con le gravi ripercussioni
sulla realt storica, allora cerc di porvi rimedio ricorrendo a "Ignazio di Antiochia", citato
nel XIII secolo dagli amanuensi di Eusebio di Cesarea (HEc. III 36) e da loro descritto, con
parole sue nell'immancabile lettera, come un "assatanato" dalla brama di martirio:
"Che nessuna delle cose visibili o invisibili mi impedisca di raggiungere Ges
Cristo: rogo, croce, assalti di belve, ossa sfracellate, membra squarciate, tutto
il corpo stritolato, tormenti del demonio mi colgano, purch io possa raggiungere
Ges Cristo" (HEc. III 36,9).
Dunque un uomo speciale nato nel 35 d.C. e vissuto, secondo la visionaria "tradizione"
imbastita nel IX secolo dagli scribi del "De viris illustribus" (XVI), fino al 107 d.C.: data
ultima dell'immancabile supplizio e beatificazione. Ecco il suo esplicativo martirologio,
tutt'oggi ufficiale:
"Memoria di santIgnazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo,
resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto
l'imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il
viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei
leopardi,scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire
Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima per
Cristo".
E' del tutto evidente che lo scrivano "biografo" di Ignazio, essendo afflitto da demenza
contemplativa mistica, non sapeva che i Romani, per impedire ogni possibilit di fuga ai
malcapitati rei, incatenavano i prigionieri destinati ad essere divorati dalle fiere per poi
trasportarli su carri in grosse gabbie di ferro. Mai, i miliziani romani avrebbero attrezzato -
uno scriptorium con scanno, calamaio, rotoli di papiro, leggio e clami d'oca - la maxi stia
"monolocale con servizi" ad uso personale del martire Ignazio affinch potesse scrivere
sette lettere, lunghe quanto i vangeli, preoccupandosi, per giunta, di chiamare un "postino"
onde recapitarle ai destinatari. "Le lettere di sant'Ignazio ci sono pervenute come una
preziosa testimonianza della vita delle Chiese primitive", cos commentano estasiati gli
storici illuminati odierni, felicitandosi che il servizio postale dell'antica Roma sia sempre
efficiente.
Mentre la totale mancanza di reperti archeologici - a riprova dell'inesistenza di Chiese nei
primi due secoli - indusse gli antichi amanuensi a far risultare, banalmente al mondo
intero, nelle Province dell'Impero Romano la presenza di numerosi cristiani seguaci del
Redentore ... oggi gli esegeti ecclesiastici preferiscono chiudere gli occhi convinti di
ottenebrare la ragione di tutti.
In realt, fu un calligrafo cristiano ad attestare le sciocche gesta di Ignazio nel Codex
Laurentianus Mediceus 57.7, datato paleograficamente all'XI secolo, e, grazie ad una
miracolosa telefonata spazio-temporale di mille anni dopo, fra le sette, si fece dettare dallo
spirito del mrtire la "Lettera agli Efesini" a "integrazione" della "Lettera agli Efesini" di
san Paolo. Lo spirito di Ignazio, finalmente - dopo che Eusebio era passato a miglior vita
da circa settecento anni, e prima di lui la sfilza dei Padri e cronisti storici cristiani compreso
san Girolamo, tutti ignari del fatto - rifer allo scriba che ad Efeso esisteva un Vescovo
di nome Onesimo:
"In nome di Dio ho ricevuto la vostra comunit nella persona di Onesimo, imitatore di
Cristo e rianimato nel Suo sangue, vostro Vescovo nella carne".
Secondo il Codice appena citato, il Vescovo Onesimo di Efeso, nel 107 d.C., si rec a
visitare il collega Vescovo, Ignazio di Antiochia, e da lui fu ospitato nella vettura maxi stia
"monolocale con servizi" che, per l'occasione, i "feroci" soldati romani avevano allestito
con il triclinio.
Scorrendo la lettera apprendiamo che il santo mrtire Ignazio, nel 107 d.C. (come fece
Paolo prima di lui), si rivolge, salutandoli, ai Cristiani della Chiesa di Efeso (poco prima
della venuta di Tacito come Proconsole) chiamando per nome i Presbiteri e
spronandoli "nel glorificare Ges Cristo" ... ma, anch'egli non cita Giovanni, suo
maestro e a lui coevo sino al 104 d.C., epoca di Traiano: neanche un minimo accenno
all'apostolo "che Ges amava".
Pure in questo caso, come la lettera paolina "Agli Efesini", il mancato richiamo di
Ignazio al suo maestro Giovanni, venuto ad Efeso con Maria Vergine, mina la credibilit
del "prediletto del Signore" e della Madre di Dio al punto di smentire il riferito martirologio
ufficiale della Chiesa: un "Ignazio" (da "ignis", fuoco) che, assieme al suo Maestro
Giovanni apostolo, viene spazzato via dalla storia, reliquie comprese, alla stregua dei suoi
prossimi "colleghi" discepoli e successori di san Giovanni.
Il particolare che deve essere evidenziato riguarda il contrasto fra i codici redatti dagli
amanuensi i quali hanno architettato la vita del "discepolo che Ges amava". Infatti, lo
scriba del manoscritto 57.7, non rilevando la presenza dell'apostolo Giovanni ad
Efeso, si permise di "consacrare" come Vescovo e capo spirituale dei cristiani di Efeso un
pinco pallino qualsiasi di nome "Onesimo" escludendo una "colonna portante" della
Chiesa di Cristo qual era Giovanni. L'amanuense di Dio, preoccupato di "colmare" la
cronotassi dei Vescovi di Efeso, commise la dabbenaggine di far risultare Onesimo capo
dei cristiani di quella citt sin dal 107 d.C. finendo col provare la presenza di una
affollata cristianit concomitante con il Proconsole Cornelio Tacito, governatore della
Provincia d'Asia nel 112 e 113 d.C. Una testimonianza resa da uno scriba nell'XI secolo
inconsapevole che un'altro amanuense di Dio, poco dopo di lui, avrebbe fatto risultare
Cornelio Tacito come il cronista della strage neroniana di cristiani facendogli esternare
l'odio contro i mrtiri di Cristo. Un accanimento che, per coerenza, essendo Tacito un
sacerdote pagano, avrebbe inevitabilmente trovato sfogo anche avverso la massa di
cristiani gesuiti di Efeso.
Abbiamo riportato questa "cronaca" per dimostrare che non affatto semplice ingannare
la Storia; n inventandola prima, n modificandola poi. Infatti, negli stessi anni in cui venne
stilato il Codex Laurentianus Mediceus 57.7, un'altro amanuense, inconsapevole di questo
codice, si apprestava a trascrivere gli "Annales" di Tacito nel Codex Laurentianus
Mediceus MS 68.2 attribuendo al patrizio romano la falsa testimonianza su Ges e un
impossibile "Procuratore" Pilato; commise inoltre la sciocchezza di fare esternare al pi
grande storico di Roma, nonch sacerdote pagano, il suo odio verso presunti Cristiani
massacrati dopo l'incendio di Roma del 64 d.C.
Cristiani i quali - a dispetto dei miracoli del super apostolo Paolo e del "discepolo
prediletto del Signore", Giovanni, capo della Chiesa di Efeso - erano assenti in quella
capitale nel 112 d.C. quando, come Proconsole delegato da Traiano,Tacito govern in
Efeso la Provincia d'Asia ... esattamente quattro anni dopo che
sant'Ignazio aveva"glorificato" gli Efesini gesuiti. In coerenza con il livore manifestato
da Tacito avverso i mrtiri neroniani (stando alla descrizione dello scriba del manoscritto
laurenziano mediceo 68.2), il Governatore e sacerdote pagano di Efeso, Cornelio Tacito,
avrebbe fatto una strage di Cristiani maggiore di quella attuata dal suo amico Gaio Plinio
Cecilio Secondo in Bitinia nello stesso anno.
Al fine di evitare le negative conseguenze storiche appena descritte sull'esistenza del
Vescovo di Efeso, Onesimo, la Chiesa fece cadere il suo martirio il 109 sotto Traiano. Ma
anche un ritardato mentale capisce che pi in basso di questa datazione le sottili menti
vaticane non potevano scendere in quanto vincolate dalla "Lettera agli Efesini", scritta da
Ignazio di Antiochia il 107 d.C., ove leggiamo che Ignazio, nella maxi stia, riceve
personalmente Onesimo, salutandolo come Capo della comunit cristiana della capitale
romana della Provincia d'Asia.
Una volta trascritti gli Annali di Tacito, la Chiesa si rese conto della contraddizione che si
era creata e, al colmo della paranoia da "sindrome tacitiana" cre due vescovi di Efeso,
uno in fila all'altro, di nome "Onesimo"; il primo martirizzato sotto Domiziano con tanto di
martirologio:
Martirologio Romano: "Commemorazione del beato Onesimo, che san Paolo Apostolo
accolse quale schiavo fuggiasco e gener in catene come figlio nella fede di Cristo, come
egli stesso scrisse al suo padrone Filmone"
(da Cathopedia - Biografia di sant'Onesimo); mentre il secondo "Onesimo" viene a mala
pena accennato al termine della biografia, quasi a prenderne le distanze:
"La tradizione cristiana parla anche di un martire Sant'Onesimo, vescovo di Efeso, lapidato
a Roma nel 109 durante la persecuzione di Traiano".
Un vescovo, addirittura martire e santo, la cui presenza era talmente imbarazzante per
essere stato collocato a capo della Chiesa efesina nell'epoca in cui operava Tacito; al
punto che le sottili menti vaticane hanno scelto di tagliare la successiva cronotassi
episcopale di quella provincia.
E' facile inventare mrtiri e santi, il problema si presenta quando si devono ricercare i
"martirizzatori", nella documentazione storica reale, facendo attenzione a non incappare
negli svarioni col rischio di non potersi pi "liberare" dei finti beati e delle loro reliquie ...
come nel caso di sant'Ignazio di Antiochia:

"Ignazio, vescovo di Antiochia, santo, martire, i suoi resti sono, unitamente a quelli di S.
Clemente I, nellurna posta sotto laltare maggiore di S. Clemente Papa al
Laterano" (Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma).
Con questa ulteriore prova abbiamo accertato le modalit con cui "la tradizione apostolica"
stata creata artatamente dagli scribi di Dio i quali non si sono fatti alcuno scrupolo nello
stilare "lettere" a nome di Santi e Apostoli, inventati da loro stessi, per comprovarne
l'esistenza ... finendo, inevitabilmente, col contraddirsi.
In ultima analisi, il grande personaggio "obbligato" ad entrare (erroneamente) nella storia
era "san Giovanni".

Giovanni apostolo, Policarpo di Smirne e Ireneo di Lione: una sacra triade inventata
Al fine di evidenziare il metodo adottato dagli amanuensi per "dimostrare" l'esistenza dei
protagonisti cristiani foggiati da loro nel corso dei secoli, proviamo a seguire la fantasiosa
ideazione del pi famoso discepolo di san Giovanni: sanPolicarpo martire, gi discepolo
di Ignazio, consacrato Vescovo di Smirne nell'antica Provincia romana d'Asia (dopo che
Tacito era passato a miglior vita) dal suo Primo Maestro apostolo Giovanni, "il Super
discepolo prediletto di Ges".
Policarpo, dal greco polys (molto) e karpos (frutto), da quanto desunto dai suoi scritti,
nacque, non si sa da chi, nel 69d.C. e, molti secoli dopo la sua morte, nel tardo medio evo,
scrisse una lettera che gli permise di "testimoniare" l'esistenza di sant'Ignazio di Antiochia;
il quale, a sua volta, fu "maestro" di Ireneo di Lione (Vescovo delle Chiese delle Gallie);
quest'ultimo indicato come "fonte" di Policarpo per averlo menzionato (nel tardo medio
evo) in "Adversus Haereses" (III 3,4) assieme a Papa Vittore.
Policarpo citato anche da san Girolamo in "De viris illustribus" e da Eusebio di Cesarea
(HEc. IV 15,1-43). Quest'ultimo fu il primo inventore di san Policarpo e, a suo dire,
possedeva una lettera "autentica" (mai vista da nessuno) della Diocesi di cui era capo il
santo.
Il pi antico testo di "De viris illustribus" il Codex MS 2 Q
Neoeboracensis (Eboracum: nome romano di York in Britannia), datato al IX secolo (oggi
custodito nel Seminario Teologico di New York), nel quale uno scriba vi ha attestato
che san Girolamo, nel 392 d.C., rifer la vita di Policarpo descrivendone il martirio
avvenuto oltre due secoli prima:

"Policarpo discepolo dell'apostolo Giovanni e da lui ordinato vescovo di Smirne a capo


di tutti i cristiani d'Asia ... Successivamente, durante il regno di Marcus
Antoninus e Lucius Aurelius Commodus, nella quarta persecuzione dopo Nerone, per
ordine del Proconsole, in Smirne stato bruciato mentre tutte le persone gridavano
contro di lui nell'Anfiteatro" (op. cit. XVII).

Dunque un santo martirizzato alla vegliarda et di ben oltre 107 anni a Smirne, durante il
principato di Marco Aurelio(Marcus Aurelius Antoninus Augustus diresse l'Impero dal 169
al 180 d.C.) e contemporaneamente, sotto l'imperatoreCommodo (Lucius Aurelius
Antoninus Commodus) in carica dal 180 al 192 d.C.

Tre secoli dopo la redazione di questo antico manoscritto, altri amanuensi medievali
hanno trascritto ex novo i codici (da noi gi riferiti nel III e IV studio) della "Historia
Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea ove lo storico vescovo "testimonia" la vita di
Policarpo adducendo come "fonte" Ireneo di Lione ("Adversus Haereses" III 3,4). Nel
testo si riferisce di una "lettera della Chiesa di Smirne", spedita da quei fedeli subito dopo
il supplizio del santo, ricevuta un secolo e mezzo dopo da Eusebio ma, dopo averla letta,
l'epistola and "persa" ... secondo gli storici "illuminati": un pio alibi che smentiremo fra
poco. Nella lettera contenuta la narrazione, riportata in "Historia Ecclesiastica", lunga e
minuziosa dello spettacolare martirio del vegliardo Policarpo, protetto da Dio, quindi
invulnerabile alle fiamme del rogo che avrebbero dovuto arrostirlo: un potente "accidente
divino" che costrinse il suo aguzzino a sopprimerlo con una "umile" pugnalata pagana per
spedirlo, finalmente, in paradiso ( tutt'oggi beatificato come martire). Riferiamo il brano
che narra l'avvenimento successo a Smirne nell'anfiteatro traboccante di folla:
"Gli addetti appiccarono il fuoco e, mentre divampava una grande fiamma, assistemmo
ad un miracolo. Il fuoco, infatti, prese forma di volta, come una vela di nave gonfiata dal
vento, e circond il corpo del martire, che vi era in mezzo non come carne che
bruciava, ma come oro e argento arroventato in una fornace. E noi sentimmo un
odore acuto come il profumo d'incenso o di altri aromi preziosi. Quei malvagi, infine,
vedendo che il fuoco non riusciva a consumare il suo corpo, ordinarono ad un
confector (lesecutore) di andare a conficcarvi una spada. Fatto questo, ne usc una tale
quantit di sangue che il fuoco si spense (sic) e tutta la folla stup di una cos grande
differenza tra i non credenti e gli eletti" (HEc. IV 15,36-39).

Non si capisce perch il popolo di Smirne non si sia convertito in massa alla fede cristiana,
come gli "eletti", dopo aver visto nell'anfiteatro gremito il vegliardo Vescovo arroventarsi
come oro e argento nella fornace, rimanendo illeso fino alla stoccata decisiva, per poi
spegnere l'enorme vampata con il proprio sangue. Ma la presunzione degli scribi di Dio -
nel macchinare penosi "riscontri incrociati" tramite lettere scritte secoli dopo a nome dei
Santi inventati da loro - si dimostrata del tutto incapace a basarli su dati storici concreti.
Infatti, la datazione del miracoloso martirio, diversamente dalla testimonianza di san
Girolamo (citata sopra), in questo caso viene fatta risalire dagli amanuensi che
trascrissero la "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea sottoLucio Vero, co-
imperatore assieme al fratellastro Marco Aurelio (dal 161 al 169 d.C., anno in cui mor
Vero). Inoltre la vicenda descritta, di cui riportiamo solo gli stralci significativi, inserita in
una sceneggiatura pi ricca di particolari ma completamente diversa da quella del codice
pi antico, risalente al nono secolo d.C., rispetto ai codici della "Historia Ecclesiastica" di
Eusebio, datati dal tredicesimo in poi, in cui abbiamo appena letto che il santo,
invulnerabile al rogo, viene ucciso con una spada. Tuttavia, una volta morto, gli amanuensi
fanno intervenire un centurione che, stranamente senza problemi, brucia il cadavere
consentendo ad altri Cristiani di raccoglierne le ossa.
E' doveroso sapere che dal XII secolo iniziarono a funzionare i sacri tribunali delle
inquisizioni per legittimare supplizi e roghi cui erano destinati gli eretici; pertanto, il beato
Policarpo, non essendo eretico, non poteva essere consumato dalle fiamme dell'inferno.
Ecco spiegato perch anche gli altri "colleghi" mrtiri, eliminati prima di lui nel corso della
stessa persecuzione, non necessitarono di pira ardente:
"Si dice infatti che gli spettatori presenti nel circo rimasero colpiti a vederli lacerati dai
flagelli sino alle vene e alle arterie pi profonde, al punto che si arriv a vederne persino le
parti pi nascoste; stesi su triboli e punte aguzze; e infine, dopo aver subto ogni specie di
supplizio e tortura, venivano dati in pasto alle belve" (HEc. IV 15).

Una descrizione ideata da psicopatici spiritualisti, e non un caso se lo spettacolare


supplizio di Policarpo "testimoniato" anche dalla "lettera di Policrate di Efeso" (essendo
Vescovo nella capitale della Provincia d'Asia), vista solo da Eusebio (manco a dirlo), il cui
"testo" possiamo leggere nella sua Historia Ecclesiastica con tanta fede.
Simili contraddizioni hanno reso impossibile agli storici accettare la realt di un Policarpo,
gi beatificato con tanto di reliquie e, soprattutto, poich questi fu "maestro" di sant'Ireneo
di Lione, il primo grande teologo della Chiesa universale, perse di credibilt anche
quest'ultimo e addirittura lo stesso san Giovanni, loro primo grande Maestro iniziatore:
una triade sacra vincolata da rapporti personali diretti. Fu per questo motivo che il
Pontefice Pio XII, negli anni cinquanta del secolo scorso, spron gli studiosi mistici a
risolvere il "caso Policarpo".
Trascorsero alcuni anni prima che qualche zelante credente riuscisse a proporre una tesi
in grado di giustificare l'esistenza di Policarpo, quando, finalmente, mezzo secolo fa,
nell'Anno Domini 1961, la dottoressa Marta Sordi - allora aspirante alla cattedra
dell'Universit Cattolica del Sacro Cuore in Milano - pubblic "La data del martirio di
Policarpo e di Pionio" in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 15, 1961, pp. 277 e ss :
un autentico "viatico" spirituale che sarebbe valso alla docente contemplativa
l'insediamento nell'agognato Ateneo nel 1969.
Verifichiamo adesso se l'ispirata studiosa riusc nell'intento di catechizzare la storia.

Da quanto abbiamo letto sopra, stando alla testimonianza di Ireneo (riferita da Eusebio)
come a quella di Girolamo, non dato conoscere il nome del Proconsole d'Asia (Smirne
era di quella Provincia) che ordin il supplizio di molti cristiani. Qualsiasi Legato imperiale,
in ottemperanza all'autorit insita nella massima carica della magistratura rivestita,
deteneva il ius gladii conferito dal Cesare; un potere che avrebbe potuto esercitare
solo dopo aver aperto un processo, presieduto da lui, contro gli imputati di gravi reati,
ad eccezione di quei cittadini che godevano della cittadinanza romana. Questi ultimi,
diversamente dagli altri, dovevano essere inviati a Roma in catene sulla prima trireme per
essere sottoposti ad un tribunale pubblico, diretto da pi giudici, laddove gli imputati
avevano diritto ad un avvocato difensore. Eppure, queste semplici nozioni di storia della
Roma imperiale furono totalmente ignorate dagli scribi di Dio quando inventarono il
supplizio di san Policarpo.

Per superare l'anacronismo (almeno quello) e le discrepanze delle testimonianze


concernenti i "mrtiri di Smirne", al fine di evitare le ricadute negative sulla esistenza di
Policarpo ed Ireneo (in quanto successori di san Giovanni minavano la credibilit
dell'esistenza del loro Maestro), Marta Sordi, dopo aver enumerato ipotesi su ipotesi, e
manipolato la storia come un malleabile "pongo", fra un "probabilmente", "molto
probabilmente" ed un "non c' dubbio", tenta di rientrare nella logica del diritto romano
facendo attenzione a ridurre l'incredibile et dell'ultracentenario Policarpo. Preso visione
della sequenza di coloro che hanno rivestito le cariche consolari, la Sordi "scopre" che il
diabolico funzionario romano, colpevole del martiro dei Cristiani, fu il Proconsole Stazio
Quadrato, ordinato Governatore della Provincia d'Asia nel 155d.C. dall'Imperatore
Antonino Pio, ed in questa data fissa il martirio di Policarpo.

Nel 2001, Anna Carfora, altra illuminata studiosa appassionata di mrtiri, presenta una
nuova versione dei fatti e deposita nel tribunale della storia il copyright di una propria
analisi sul martirio di Policarpo e dei suoi fratelli cristiani nel saggio dal titolo contemplativo
"Morte e presente nelle meditazioni di Marco Aurelio e negli Atti dei Martiri", La Citt
del Sole, Napoli 2001 (pp. 68 e ss). La pia studiosa, preso atto che il martirio narrato nella
"Historia Ecclesiastica" eusebiana molto pi "pittoresco", ne rialza la datazione dal 155
al 167 d.C., sotto il principato concomitante di Marco Aurelio e Lucio Vero, anno in cui, per
la seconda volta secondo la Carfora, il Proconsole romano Stazio Quadrato sarebbe stato
(una poco credibile casualit) incaricato come Governatore della Provincia d'Asia.
Anna Carfora smentisce lo studio di Marta Sordi, tuttavia entrambe, spinte da un "eccesso
di fede", non si sono rese conto di aver sconfessato le pi antiche deposizioni; non solo,
stravolgendole di sana pianta, dimostrano, esse per prime, che sono falsi ideologici sino a
giungere al punto di alterare arbitrariamente, senza esserne legittimate, le testimonianze
errate, tramandate da una documentazione antica, per renderle verosimili con il
malcelato intento di assecondare Santa Madre Chiesa.

Ma la Chiesa cosa dice? Pur compiacendosi dell'operato delle ferventi seguaci ... tace e
aspetta. Non potendo fare altro per cancellare il peccato originale contenuto nelle iniziali
contrastanti narrazioni, lascia fare gli "storici illuminati" sperando che gli tolgano le
castagne dal fuoco. Lo stesso vale per i media, i quali, indecisi a chi dar retta,
"canonizzano" entrambe le versioni, condannando l'inconsapevole Stazio Quadrato a
martirizzare due volte san Policarpo assieme a dodici cristiani della sua confraternita: la
prima sotto Antonino Pio e la seconda sotto Lucio Vero. Dopodich, oggi finalmente,
affogano nel Flegetonte il fantasma pluriomicida recidivo del Proconsole aggiungendolo
agli altri dannati nel primo girone dell'inferno con l'approvazione postuma di Dante.
Per non finisce con un "cos sia" per la Chiesa. Le sottili menti vaticane sanno che le
due studiose hanno smentito, inconsapevolmente, le testimonianze dei Padri apostolici
dimostrando che furono inventate, perci non le approva al contrario, lascia tutto
com'era secoli addietro sperando che le masse delle fedeli pecorelle non si smarriscano
nel seguire la blasfema Storia a discapito addirittura di san Giovanni, "il discepolo che
Ges amava".
Infatti, ecco l'attuale martirologio, ufficializzato dalle Chiese cristiane, di san Policarpo,
discepolo prediletto del "super discepolo prediletto del Signore":

"Martirologio Romano: Memoria di san Policarpo, vescovo e martire, che venerato


come discepolo del beato apostolo Giovanni e ultimo testimone dellepoca
apostolica; sotto gli imperatori Marco Antonino e Lucio Aurelio Commodo, a Smirne
in Asia, nellodierna Turchia, nellAnfiteatro al cospetto del Proconsole e di tutto il
popolo, quasi nonagenario, fu dato al rogo, mentre rendeva grazie a Dio Padre per
averlo ritenuto degno di essere annoverato tra i martiri e di prendere parte al calice di
Cristo".

L'assurdit del martirio, avvenuto sotto Marco Aurelio e suo figlio Commodo, resta
comunque. Con buona pace di Marta Sordi, Anna Carfora e tutti i media che condizionano
le masse tenendole nell'ignoranza oscurantista medievale, ad iniziare dalla
condiscendente Wikipedia la quale si premura di ricordare (bont sua) a tutti i credenti
dolciotti che fu lui, il beato Policarpo, ad inviare san Benigno (ottimo nome),
sant'Andochio, sant'Andeolo e san Tirso ad "evangelizzare" le Gallie: i miracoli della
"Divina Provvidenza" non pongono limiti alle sciocchezze ... come quella di far scrivere ad
un mai esistito Ignazio di Antiochia (vedi sopra) una "Lettera a Policarpo" (spettrale collega
Vescovo) per indottrinare i credenti tramite "epistole autoreferenziali reciproche" inventate
secoli dopo gli eventi descritti dagli amanuensi di Dio. Altra "piccola" puntualizzazione che
i lettori avranno gi notato: il "quasi nonagenario", citato nel martirologio al posto dell'ultra
centenario, ci induce a suggerire alle astute eminenze vaticane di studiare, oltre al
catechismo, anche l'aritmetica.
A conclusione, un macabro "dulcis in fundo". In linea con la "tradizione" dei martiri
inventati, gli antichi ecclesiastici hanno riesumato miseri resti anonimi, spacciati ancora
oggi come reliquie del santo, e distribuiti in varie Chiese per farli adorare ai beati poveri di
spirito.
Dalle risultanze della disamina appena resa, non vi alcun dubbio che il personaggio di
san Policarpo frutto di pura fantasia, di conseguenza non ha potuto scrivere nessuna
"lettera ai Filippesi" n citare "sant'Ignazio di Antiochia", il quale, lo abbiamo gi dimostrato
prima in questo studio tramite la comparazione dei codici medievali, anche lui non mai
esistito.
Queste considerazioni ci obbligano a seguire ulteriormente la beatificata "carriera" di
Policarpo per verificare eventuali relazioni intercorse fra il suo ectoplasma e quello di altri
santi. Infatti, non un caso se la "tradizione cristiana", scaturita dalle sacre penne degli
amanuensi in stato di trance, non pot (come oggi) fare a meno di collegarlo adIreneo di
Lione: altro fantomatico personaggio descritto come il primo grande teologo* del "canone"
cristiano.

* L'archtipo della corposa opera teologica accreditata ad Ireneo di Lione ricavato dai
manoscritti: Claromontanus, sec.IX; Marcianus 125, anno 1057; Arundelianus, sec. XII;
Vaticanus latinus 187, anno 1429; Vossianus, anno 1494; Erasmo, editio princeps, anno
1526; Ottobianus latinus n. 1154, anno 1530.

Ireneo , un nome celestiale greco col superlativo significato di "serafico",


anch'egli nato a Smirne e pure lui da genitori lasciati volutamente anonimi, come quelli di
Policarpo, per evitare pericolosi riscontri storici. In quella citt, ovviamente, non poteva che
divenire "discepolo prediletto" di Policarpo di Smirne, il quale fu, a sua volta, "discepolo
prediletto" del "discepolo prediletto per eccellenza": san Giovanni apostolo. Dopo
maestri di quel calibro, il loro discepolo successore, Ireneo, ebbe la strada spianata in un
cursus honorum che lo design Vescovo di Lione (Lugdunum, capitale della Gallia
Lugdunense) dal 177 al 202 d.C. Rimase insediato nel trono episcopale della Chiesa di
Lione per venticinque anni ma, la totale assenza di prove archeologiche, concernenti le
spettrali Chiese primitive e le rispettive comunit cristiane, ci autorizza a pensare che quei
fedeli avevano ricevuto l'ordine di non lasciare vestigia, n la seppur minima traccia utile a
comprovare ai posteri la loro realt ad eccezione dei cadaveri martirizzati.
La salma di Ireneo venne trafugata dai "soliti ignoti", dopo l'obbligatorio supplizio finale, ma
alla maxi reliquia sar concesso "apparire" solo dopo molti secoli nella futura Cattredrale
di san Giovanni in Lione. Purtroppo, nel 1562 d.C., la tomba di san Giovanni verr
distrutta dai cristiani protestanti, seguaci di Giovanni Calvino, contrari alla idolatria delle
false reliquie nelle Chiese.
Cristiani protestanti francesi che pagarono un prezzo salato quando, ad iniziare dalla notte
del 23 agosto 1572, vennero massacrati a migliaia dai cristiani cattolici, indifferenti al
precetto di Ges "Gloria a Dio e pace in terra agli uomini che egli ama". La strage pass
alla storia come "Massacro di san Bartolomeo" e dette la stura ad una guerra di religione
fra le pi sanguinarie mai avvenute.

Poich le molteplici raffigurazioni del Cristo, rappresentate nei vangeli primitivi gnostici e
apocrifi, a causa della loro diversit dimostravano l'invenzione umana del "Salvatore"
evolutasi nei secoli, "sant'Ireneo" divenne indispensabile agli alti prelati per testimoniare
che la dottrina cattolica finale, vincente sulle altre, esisteva sin dall'inizio in coerenza con
una esegesi ortodossa antieretica. Questo fu il movente che indusse gli amanuensi di
Cristo ad inventare "sant'Ireneo" facendolo diventare il primo cardine del cattolicesimo e,
ovviamente, dopo la sua artificiosa morte, scrivere opere a suo nome nei secoli futuri.
Durante la sequela di Concili, iniziati a Nicea nel 325, sino a quello di Efeso del 431 d.C.
(indetti per definire la "sostanza" di Ges, "Figlio di Dio", tutt'uno con il "Padre" e lo "Spirito
Santo" sino a coinvolgere la "Madre di Dio"), la Chiesa doveva dimostrare che la SS
Trinit esisteva prima che i Vescovi la inventassero, pertanto ricorse a "sant'Ireneo
martire". Una volta concepito, dal IX secolo in poi, gli scrivani del Redentore fecero
dichiarare ad Ireneo di Lione in (AdversusHaereses III 1,1) che san Giovanni dimor ad
Efeso con la Beatissima Super Vergine in adempimento alla volont del Concilio di Efeso
del 431. Per i credenti Ireneo costituisce la "prova" che i vangeli a noi pervenuti erano
quelli veri, gi "canonizzati" da lui prima della successiva vittoriosa dottrina cattolica.
Vangeli, in realt, scritti dopo il 381 d.C., comedimostriamo nel successivo VI studio
quando analizziamo il "Testimonium Flavianum" di Giuseppe Flavio.

Gli esiti scoperti finora ci impongono di procedere nella verifica dell'esistenza di san
Giovanni e dei suoi successori diretti. A tal fine ci aiuta, come sempre, Eusebio di
Cesarea.
Questi - ben determinato a riferire nei codici del XIII secolo (sic) "riscontri incrociati" per
comprovare la vita dei santi Padri inventati da lui - con un abile giochetto di prestigio tira
fuori dal cilindro miracoloso un piccolo omaggio floreale da infilare nel copioso cesto di
menzogne della sua "Historia Ecclesiatica": il signor "Florino". Un fantomatico destinatario
di una lettera indirizzatagli da Ireneo di Lione due secoli prima di Eusebio; lettera il cui
originale non ha mai visto nessuno all'infuori di Eusebio. Un "vuoto testuale" talmente
grave che gli esegeti genuflessi, nel tentativo di colmarlo, ne riportano il contenuto
separato, chiamandolo arbitrariamente "frammento", convinti che il mondo sia pieno di
sprovveduti pronti a credere che esista veramente questa epistola. Ecco il "frammento" col
quale Eusebio evidenzia le "sante" relazioni, intercorse fra tre spettrali ectoplasmi, in
"Historia Ecclesiastica" (HEc. V 20):

"Nella lettera a Florino, Ireneo ricorda le sue relazioni con Policarpo dicendo: Io ti
conobbi quando ero ancora ragazzo, nell'Asia inferiore presso la corte di Policarpo:
occupavi un posto splendido per avere una buona reputazione presso di lui posso dire il
luogo dove il santo Policarpo si sedeva per parlare, il suo aspetto fisico e le sue relazioni
con Giovanni (apostolo) e con gli altri che avevano visto il Signore, i suoi miracoli ed il suo
insegnamento; comePolicarpo, dopo aver saputo tutto ci dai testimoni oculari della
vita del Verbo (Ges), lo rifer nelle scritture Questo dice Ireneo".

Cos parl "Serafico"! A tale misera "prova conclusiva" si attengono gli storici contemplativi
di oggi, come quelli del passato, pur consapevoli delle enormi contraddizioni,
ciononostante, fanno di tutto per difendere, fallendo inesorabilmente, la vita di un san
Policarpo mai esistito. Gli storici mistici sanno bene che, se non mai esistito il
discepolo dell'apostolo Giovanni, non pu essere esistito il suo mirabolante
Maestro; cos come sanno bene che,se non esistito Policarpo "maestro" di
Ireneo, non pu essere esistito il suo "discepolo prediletto".
Naturalmente, certe evidenze non sono, n saranno mai, palesate dagli esegeti "spirituali":
loro scelgono altri percorsi "dimostrativi" arrampicandosi sullo specchio della Storia con le
mirabolanti "ventose" del Credo. Vediamo come.

Il martirio di san Giovanni


Il grave vuoto storico, concernente le deposizioni su Giovanni da parte dei suoi
testimoni, ad iniziare da Tertulliano, stato fatto proprio, allo scopo di colmarlo, dalla
dottoressa Ilaria Ramelli, laureata in Letteratura Classica e Filosofia nonch esperta
filologa.
Ascesa agli onori della esegesi cattolica in virt dei suoi studi sulla Bibbia ed il Cristo
storico, considerata dai fan credenti un genio che brilla di luce propria, tanto da
richiamare la famosa profezia messianica veterotestamentariaUna stella spunta da
Giacobbe ....
Nel duemila, anno del Grande Giubileo internazionale tenutosi a Roma sotto il papato del
Beato Karol Wojtyla il Grande, stimolata dall'occasione, la grande studiosa Ilaria Ramelli
- avvalendosi di una acuta analisi ispirata da una profonda rivelazione divina manifestata
ad hoc per il grande evento - ha risolto il caso del martirio di san Giovanni ... e lo ha
pubblicato.
Dopo quasi duemila anni, finalmente, la studiosa ha scoperto e divulgato, alla intera
umanit cristiana che l'attendeva, la identit del vero testimone del martirio
del discepolo che Ges amava: Giovenale e la IV satira!
S, avete capito bene.

Decimus Iunius Iuvenalis fu un poeta e rtore latino vissuto dal 55 al 135 d.C. Scrisse
cinque libri e nel primo riporta la celebre IV satira ( in rete) nella quale descrive
l'Imperatore Domiziano, ad Albalonga, ove allora dimorava, nell'atto di convocare un
Consiglio di Senatori impauriti per decidere come cucinare un enorme pesce rombo.
La preda, portata dal suo pescatore da Ancona in regalo all'Imperatore (era inverno), fu
deciso che doveva essere fritta intera, per non rovinare la ghiottoneria, in una enorme
padella profonda col coperchio che, ovviamente, "doveva essere reperita". Terminato il
consulto con questo impegno la seduta fu sciolta e i dignitari, tremebondi, furono
congedati bruscamente per ordine del sommo Duce simile agli Dei. Dopodich
Giovenale conclude con il suo epitaffio a Domiziano:
Oh, se avesse speso solo in queste sciocchezze la sua vita efferata! No, senza che
nessuno lo punisse o mai si vendicasse, svuot Roma di anime insigni, di uomini famosi.
Solo quando cominci ad averne terrore il popolo, cadde: questo gli fu fatale, mentre
ancora grondava del sangue dei Lami.

Tutto qui per noi; gente comune che si limita a leggere e magari sorridere sul contenuto
della satira indirizzata post mortem all'ultimo imperatore dei Flavii, Pontefice Massimo,
inetto come condottiero, dispotico e facile nel decretare pene capitali.
Ma, il genio della filologia che brilla di luce propria, da questo semplice testo stato
capace di cavar fuori una analisi miracolosa attraverso la quale la dottoressa ha scoperto
che il pesce non era un rombo ma san Giovanni.
Lo studio stato pubblicato e diffuso sul web, basta digitarne il titolo:
La Satira IV di Giovenale ed il supplizio
di san Giovanni a Roma sotto Domiziano
Ilaria Ramelli
Milano. Universit Cattolica del S. Cuore
la cui descrizione inizia con queste parole:

Si probabilmente sottovalutato il valore specifico del curioso episodio del


pesce che, incontestabilmente,costituisce il fulcro della satira ... " ben noto il valore
cristoforo del pesce, in virt dell'acrostico che risulta dal suo nome greco" e
finisce: Dunque, la tradizione raccolta da Tertulliano, Girolamo ed Ambrogio (?), oltre che
dagli apocrifi, sulla presenza a Roma di Giovanni al tempo di Domiziano e sul suo
supplizio acquisterebbe autorevolezza e peso storico (sic!).

In merito all'analisi svolta ci permettiamo di suggerire alla insigne studiosa un dettaglio


che, siamo certi, Le sar sfuggito mentre era rapita dall'estasi mistica: quando gli
inservienti provvidero a cucinare san Giovanni non ebbero bisogno di alcuno stoppino per
accendere il fuoco sotto il padellone in cui friggere l'apostolo ma si limitarono a sollevare il
Santo, ben disteso orizzontale, e lo avvicinarono con la testa agli sterpi per incendiarli con
la lingua di fuoco dello Spirito Santo posata sul suo capo (Atti degli Apostoli 2,3).
Da semplici cittadini, che paghiamo le tasse, non possiamo fare a meno di stupirci per
come sia possibile che studi simili circolino nei nostri Atenei, avvalorati, per giunta, da
giudizi fideistici di altri storici spiritualisti, grati l'un l'altro per il contributo intellettuale
apportato.
La filologa non sola. Oggi agli ingenui amanuensi di secolare memoria subentrata una
pletora di esegeti filo clericali che spacciano un Credo per Storia facendo di tutto per
renderlo verosimile, anche negli aspetti pi insensati.
Persone dotte, con o senza la tonaca, ignorano, volutamente, la datazione dei documenti
manoscritti, essenziale per capire il montaggio evolutivo delle esistenze dei "Santi"
mitizzati; tengono celate le contraddizioni riscontrate per impedire che altri evidenzino
l'aspetto ridicolo e si allontanino dalla Fede. Loro unico scopo fare apostolato
sottoponendo i giovani ad un continuo lavaggio del cervello, senza alcuna alternativa
critica, senza prove o dimostrazioni razionali, ma basato unicamente su un convincimento,
ammantato di autorevolezza, spalleggiato dai mass media: persone colte che usano la
conoscenza per impedire che altri sappiano.

Nel caso specifico abbiamo riscontrato gravi omissioni sui dati base necessari alla
verifica critica degli eventi narrati, controbilanciate, al contempo, da altre informazioni
totalmente inventate: un insieme finalizzato a rendere veritiera la tesi precostituita.
Come sulla pretesa storicit della "tradizione" richiamata con gli "Inni di Ambrogio" dei
quali non esistono documenti manoscritti che attribuiscano la paternit, a tale Vescovo,
morto nel 397 d.C., dell'inno "Amore Christi Nobilis" dedicato a Giovanni, tanto meno la
sua datazione, da collocarsi, inevitabilmente, in un'epoca successiva alla invenzione del
supplizio da parte del Vescovo Agobardo di Lione nel nono secolo.
Uno studio ridondante di richiami bibliografici i cui autori, di provata fede, nessuno, sino
alla pubblicazione della insigne "ricercatrice", ha osato coniugare Giovenale, pesce rombo,
san Giovanni, Tertulliano, Padri e quant'altro.

Ormai diventata famosa e ben quotata anche a livello internazionale - grazie alla sua
scoperta che ha risolto il problematico "caso san Giovanni", l'apostolo celato sotto le
squame di un enorme pesce rombo - Ilaria Ramelli stata intervistata e propagandata da
quotidiani e riviste a grande tiratura e supportata dal solito coro di esperti filoclericali, ben
orchestrati e tutti specializzati nel catechizzare la storia ... fra cui spicca la grande docente,
da anni pluridecorata con importanti riconoscimenti accademici esteri, ispirata mistica
anch'essa e maestra in "rivelazioni storiche divine": Marta Sordi, professoressa
dell'Universit Cattolica. Una notoriet dovuta ai suoi studi, giunta sino a noi, che ci ha
indotto a citarla, e lo faremo ancora, ogni qualvolta la troveremo nei suoi scritti a rimestare
con le mani nella marmellata della Storia.

Ilaria Ramelli e Marta Sordi hanno condiviso la "deposizione" di Giovenale "evangelista"


e del pesce rombo "apostolo Giovanni" per far ricadere sotto Domiziano il supplizio "in
oleo" dell'apostolo prediletto di Ges col subdolo fine di scagionare Nerone indicato
come il vero autore in tutti i codici manoscritti nei secoli.
Nell'anno del Grande Giubileo 2000, le due storiche della Chiesa erano consapevoli
entrambe che l'apostolo Giovanni, morto nel 104 d.C., dopo il contatto diretto con
l'Imperatore che fece strage di Cristiani (stando al Codex Laurentianus MS 68
II posteriore agli altri manoscritti), sarebbe stato obbligato a riferire l'esecranda
vicenda del martiri gesuiti, sia ai suoi discepoli che nelle tre lettere rilasciate a futura
memoria. La Ramelli e tutti gli esegeti genuflessi, pur di "salvaguardare" il falso eccidio di
Cristiani perpetrato da Nerone e narrato in quest'ultimo codice, non hanno esitato ad
incolpare Domiziano del supplizio di Giovanni ben sapendo che l'accostamento fra Nerone
imperatore e Giovanni apostolo farebbe subito balzare agli occhi di tutti il silenzio di
quest'ultimo sulla ingens multitudo di mrtiri crocefissi, ardenti come fiaccole vive, nella
Roma imperiale del 64 d.C.
Esiste un altro documento: il Codex Bodleianus Baroccianus MS 182, datato
paleograficamente all'XI secolo, conservato nella Biblioteca Bodleiana di Oxford. In esso i
copisti cristiani tardomedievali riportarono la "Chronographia" di Iohannes Malalas, uno
storico cristiano originario di Antiochia vissuto nel VI secolo. Il codice, una delle fonti
della vasta "Patrologia Greca", riporta l'opera di Malalas e in Chronica X (340 D)
leggiamo:
Sotto il regno di Domiziano avvenne una persecuzione di Cristiani: egli fece venire san
Giovanni il Teologo a Roma e lo interrog. Meravigliandosi della sapienza dell'Apostolo
stava per farlo tornare di nascosto ad Efeso dicendogli: Vai e sta in pace donde venisti.
Ma fu rimproverato e lo confin a Pathmos.
Dal confronto con gli altri codici richiamati, come sopra letto, nel VI secolo non poteva
risultare alcun supplizio in oleodi Giovanni ordinato da Domiziano (ancorch ridicolo) in
conformit alla "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea e di tutti i Padri e gli storici
cui egli si rifer ... dopo averli inventati. Un'ulteriore prova la forniscono le "Historiae
adversus Paganos", un'opera ordinata da sant'Agostino allo storico Presbitero Paolo
Orosio, nella quale al Libro VII (10,5) si afferma che "Domiziano releg nell'isola di
Pathmo il beatissimo apostolo Iohannes" ... senza aver subito alcuna tortura da parte
dell'Imperatore.
Ne consegue il netto contrasto con il supplizio neroniano sotto riportato, descritto in
Adversus Iovinianum (I 26), accreditato da san Girolamo a Tertulliano, ma risalente al
tardo medioevo; opera nella quale Girolamodisconosce, nell'altro suo lavoro "De viris
illustribus" (XVII), la propria testimonianza circa il supplizio patito sotto Nerone
dall'apostolo Giovanni. Siamo in presenza di contrasti insanabili che evidenziano la
incompetenza circa le molteplici deposizioni antitetiche rilasciate dagli amanuensi sugli
eroi fondatori del Cristianesimo primitivo. E' come se la mano destra non sapesse cosa
stava scrivendo la mano sinistra di Dio. Riguardo all'esistenza dell'apostolo Giovanni,
durante il principato di Domiziano, ecco cosa riferisce Girolamo in "De viris illustribus":

"Nell'anno quattordicesimo di Domiziano (95 d.C.), durante la seconda persecuzione dopo


quella di Nerone, Giovanni fu relegato nell'isola di Patmos ed ivi compose l'Apocalisse.
Dopo l'uccisione di Domiziano (96 d.C.), Giovanni torn ad Efeso dove fond e diresse le
varie Chiese d'Asia, e vi rest sino al principato di Traiano. Stremato dalla vecchiaia mor
a sessantotto anni di distanza dalla morte del Signore (nel 104 d.C.) e fu sepolto nella
stessa Efeso" (op. cit. XVII).

Viceversa, ecco l'altra "testimonianza" su san Giovanni fatta dallo stesso Girolamo in
"Adversus Iovinianum":

Giovanni Apostolo evangelista, da Profeta vide certamente l'Apocalisse nell'isola di


Pathmos ove fu relegato dall'ImperatoreDomiziano dopo il martirio subto per il Signore.
Inoltre Tertulliano riporta che fu immerso da Nerone in una giara colma di olio bollente
da cui usc purificato e pi vigoroso di come era entrato (op.cit. Lib. I 26).

Preso atto di questi assurdi contrasti, non dobbiamo sforzarci troppo per capire che siamo
di fronte ad un'incessante manipolazione mentale, ultra millenaria, praticata su intere
masse umane, le quali, dopo essere state illuse con l'utopica promessa della salvezza
dopo la morte e il diritto alla "vita eterna", sono state soggiogate al potere e agli interessi di
caste privilegiate parassitarie.
Dopo che Eusebio di Cesarea rifer la notizia di Ireneo di Lione, attestata in "Adversus
Haereses" (III 3,4 e V 30,3), riguardante l'ultracentenario Giovanni il quale rimase ad
Efeso sino all'epoca di Traiano, senza che gli risultasse aver patito alcun supplizio da
parte di Domiziano, Ilaria Ramelli su quale mano di Dio si collocata? ... Con buona
pace dell'enorme pesce rombo cucinato in padella da Domiziano:

"E tutti i presbiteri che in Asia vennero in contatto con Giovanni, discepolo del Signore,
testimoniano la sua tradizione. Rimase infatti tra loro fino all'epoca di Traiano" (HEc. III
23,3).

A nessun "presbitero" della provincia d'Asia, come ad alcun discepolo diretto,


l'apostolo Giovanni rifer del suo prodigioso martirio, n, soprattutto, dell'eccidio di
Cristiani da parte di Nerone. Le contraddizioni riscontrate nelle numerose
testimonianze scritte dagli amanuensi dimostrano che queste furono inventate, di
conseguenza le vicende narrate non sono avvenute. Invero, pi semplicemente, non
accaduto quello che gli storici spiritualisti non intendono neanche ipotizzare:l'apostolo
san Giovanni non mai esistito ... come non sono esistiti gli altri apostoli n i
loro vescovi successori. Anche questi ultimi furono rappresentati da "Padri", inventati in
epoche posteriori, e spacciati come "testimoni" di apostoli e mrtiri.

In disprezzo alle risultanze delle autentiche vicende, pii "studiosi" manipolano di proposito
la Storia al fine di correggere, oggi, le contraddizioni in cui incapparono gli amanuensi
quando inventarono la "tradizione" ecclesiastica. Sono consapevoli di inquinare
arbitrariamente le corrette informazioni delle fonti originali a noi tramandate dai cronisti
della Roma imperiale; ciononostante, pur di conseguire il plauso e la tangibile
riconoscenza del Clero, che li ripaga con rilevanti carriere professionali, si prestano a
sottoscrivere documenti finalizzati a condizionare la formazione dei giovani, i quali,
inconsapevolmente, finiscono col convincersi che quanto viene loro propinato sia la verit.
Gli zelanti "analisti spirituali" mentono sapendo di mentire. In mancanza di una legge che
contempli il reato di falsificazione della Storia, non resta che chiederci con quale coscienza
queste persone possano guardarsi allo specchio.

I pennivendoli del Sacro non si accontentano di adulterare la Storia ma lo fanno anche con
i "testi sacri" laddove riscontrano incompatibilit fra gli stessi, pertanto ignorano o fingono
di non sapere che i vangeli descrivono due "Giovanni" diversi, come riferiamo
dettagliatamente nel IX argomento. Il primo, adulto zelota "boanerghs", figlio dell'ira di
Yahweh, un giudeo ribelle contro il dominio di Roma e nemico degli apostati Samaritani,
quindi conforme alle risultanze storiche; il secondo, al contrario, un giovinetto, sconosciuto
agli altri evangelisti, che appare all'improvviso, nel solo vangelo di Giovanni, durante
"l'ultima cena" e individuato genericamente come "il discepolo che Ges
amava". Unica presenza "apostolica", addirittura sotto il Messia crocefisso, contraddetta
dagli altri vangeli e tutti i documenti neotestamentari nonch dalla prassi romana in
linea con la logica:

"Allora tutti i discepoli, abbandonandolo (Ges), fuggirono" (Mt 26,56).


Con i prossimi studi svolti negli argomenti specifici saremo in grado di provare che nel
corso della secolare evoluzione mitologica del "Messia Ges", i cosiddetti "apostoli" furono
creati come "involucri teologali" continuatori del messaggio salvifico del "Redentore" per
impedire ogni tentativo di identificazione con i cinque figli di Giuda il Galileo. I primi quattro
furono uccisi fra il 36 e il 48 d.C., mentre il pi giovane fu eliminato dalle caste sacerdotali
ebraiche nel 66 d.C., dopo che questi aveva sconfitto la guarnigione romana che
presidiava Gerusalemme e, al contempo, come Cristo, si era proclamato Re dei Giudei.
Facendo risultare che Simone Pietro, Giacomo (spacciato come "Minore" o "Giusto") e
Giovanni Profeta Apostolo, erano sempre vivi, ci avrebbe provato che non poteva trattarsi
dei capi Zeloti aderenti alla giudaica quarta filosofia, una novit sinora sconosciuta, la
setta fondata da Giuda il Galileo, catturati e crocefissi dai funzionari romani per essersi
ribellati al dominio imperiale.
San Giovanni, il discepolo che Ges amava, stato inventato dagli ideologi cristiani e
fatto risultare, lui solo, fra tutti i discepoli, sotto la croce, per dimostrare che non poteva
essere il Re dei Giudei giustiziato dai Romani sulla croce. Una presenza impossibile a
qualunque persona perch in contrasto con la procedura per l'esecuzione della pena
capitale pubblica dello Stato romano.
La vigilanza intorno alle persone crocefisse era praticata, per motivi di ordine pubblico, da
un cordone di miliziani armati che impediva a chiunque avvicinarsi al condannato a morte,
ad iniziare dai parenti e amici. In base alla prassi romana, alla vittima predestinata veniva
appeso al collo un cartello con il nome e la motivazione della pena capitale.

I N R I : IOHANNES NAZIREVS REX IVDAEORVM


Tramite le analisi, riferite nei successivi argomenti appositamente dedicati, dimostriamo
che quello fu l'unico, autentico,supplizio di Giovanni il Nazireo (consacrato a Dio), capo
degli Zeloti, che os autoproclamarsi Re dei Giudei, nel 35 d.C.,dopo aver liberato
Gerusalemme la Santa dalla dominazione pagana mentre Roma era impegnata nella
guerra contro la Parthia di Artabano III.
Sino alla Pasqua del 36 d.C., quando venne giustiziato dal Legato di Siria Lucio
Vitellio, Giovanni fu riconosciuto dal popolo giudaico Meshiah Jesha, Messia
Salvatore. Non fu Ponzio Pilato a giustiziare un effimero Re dei Giudei che os sfidare la
potenza di Roma, bens il plenipotenziario di Tiberio su tutto l'Oriente in guerra.

Per la prima volta nel 381 d.C., il Concilio di Costantinopoli design il Prefetto
romano Ponzio Pilato come l'esecutore di Ges Cristo, modificando, di conseguenza, il
precedente Credo niceno del 325 che non lo contemplava. Come dimostriamo nel VI e VIII
studio, dal 381 d.C. in poi furono trascritti ex novo i vangeli, in origine diversi, e riportati
nei rispettivi codici al fine di impedire agli storici di collocare gli eventi nel tempo esatto e
poter ricostruire i particolari della sollevazione nazionalista ebraica degli Zeloti capeggiati
dal figlio primogenito di Giuda il Galileo. Ma la ancestrale Legge non prevedeva un Messia
divino perdente. Il vero Messia prescelto da Yahweh avrebbe annientato i kittim invasori
della Terra Santa salvando gli Israeliti dalla dominazione pagana. L'ebreo Giovanni, una
volta sconfitto e giustiziato, sar disconosciuto e dimenticato dai Giudei non dagli
Esseni.
Dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, nonch l'olocausto ebraico del 70 d.C.
ad opera di Tito, gli Esseni terapeuti di Alessandria, grazie ad una nuova gnosi divina
ripresa dal logos ideato dal filosofo ebreo Filone Alessandrino, provarono a concepire
una nuova figura di Messia: non pi il "Figlio di Dio" Dominatore del Mondo come da
loro scritto nei frammenti dei roltoli di Qumran, bens un sofferente Figlio di Dio
Salvatore del Mondo.
Fu solo l'inizio di una dottrina la cui evoluzione durata secoli conclusasi nel
cristianesimo paolino filo imperiale caratterizzato dal sacrificio eucaristico teofagico
pagano: la "Hostia Consacrata", indispensabile per la Salvezza della vita eterna.

Emilio Salsi
I falsi 'Testimonium Flavianum'

Parte I

Nel corso delle analisi effettuate ci siamo richiamati pi volte al "Testimonium Flavianum"
in maniera nettamente critica, in particolare nel terzo e quarto studio, quando abbiamo
trattato il falso martirio di un inesistente apostolo chiamato "Giacomo il Minore".
E' nostro dovere, ora, affrontare l'argomento per spiegare effettivamente di cosa si tratta e
sottoporre ai lettori le motivazioni che ci hanno indotto a esternare un giudizio cos drastico
su un breve passo che buona parte degliopinionisti chiesastici spirituali intendono abilitare
come storia.

Testimonium Flavianum

Allo stesso tempo, visse Ges, uomo saggio, se pure lo si pu chiamare uomo; poich
egli comp opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la
verit. Egli conquist molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato ud che
dai principali nostri uomini era accusato, lo condann alla croce. Coloro che fin da
principio lo avevano amato non cessarono di amarlo. Nel terzo giorno, apparve loro
nuovamente vivo; perch i Profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose
meravigliose su di lui. E fino ad oggi non venuta meno la trib di coloro che da lui sono
detti Cristiani (HEc. I 11,7/8).

Questo il brano che testimonia l'esistenza di Ges Cristo, cos come riportato nella
"Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, scritta dal vescovo cristiano e ultimata dopo
il Concilio di Nicea del 325 d.C.
Il mistico rescritto fu accredidato da Eusebio allo storico Giuseppe Flavio;
successivamente verr diffuso in tutto il mondo e in tutte le lingue dal tardo Medioevo in
poi ... ma risulta sconosciuto da tutti i Padri della Chiesa sino al IV secolo: l'epoca del
vescovo. Nel III secolo, fra i Padri si distingue Orgene Adamanzio di Alessandria, il
quale, nella sua opera "Contra Celsum" (1,47), afferma di aver letto "Antichit Giudaiche"
con la deposizione di Giuseppe su Giovanni Battista, riportata nel XVIII Libro, ma non cita
lo storico come testimone dei miracoli n della resurrezione di Ges. La mancata
conoscenza relativa a questo passaggio del TF da parte di tutti i successori di Cristo un
elemento che, gi da solo, depone contro la sua autenticit.

Il testo che abbiamo appena restituito lo ritroviamo identico in tutti i manoscritti


dell'Apparato Critico di "Antichit Giudaiche" (Ant XVIII 63,64) messo a disposizione del
professore tedesco di Filologia Classica, Benedikt Niese, alla fine dell'800, da parte delle
autorit ecclesiastiche, e tutt'oggi rimasto invariato. A questo documento fu affidato dalla
Chiesa l'onere primario di certificare l'esistenza del Salvatore degli uomini buoni, umili e
pii.
Oltre al "Testimonium Flavianum" Eusebio riferisce del martirio di "Giacomo il Minore"
richiamandosi all'episodio descritto in Antichit XX 200, ma facendo morire a colpi di
bastone "Giacomo, fratello di Ges detto Cristo" anzich per lapidazione.
Come i lettori sanno, abbiamo analizzato la vicenda in maniera approfondita nel III e IV
studio dimostrando la falsit dell'introduzione spuria "detto Cristo".

In quanto autore della "Historia Ecclesiastica" concernente la vita degli apostoli ed i loro
successori - al fine di non fare apparire Eusebio di Cesarea il falsario creatore del
"Testimonium Flavianum" con la inevitabile perdita di credibilit sull'intera sua opera - gli
esegeti cristiani contano sui mezzi di comunicazione di massa loro accoliti, in sintonia
con la vaticana "Cathopedia", per depistare i ricercatori. Ad esempio, ecco come
argomenta "Wikipedia" (enciclopedia online a diffusione mondiale) questa possibilit:

"Poich Origene nel 250 circa sembra non conoscere queste possibili interpolazioni,
mentre parecchi decenni pi tardi esse sono note a Eusebio di Cesarea, si pu ipotizzare
che l'interpolazione celebrativa sia avvenuta proprio nel periodo che intercorre fra
Origene ed Eusebio".

Quindi una ipotesi basata su un fantomatico interpolatore: questo


tutto? ... E simile teoria ecclesiastica dovrebbe servire per scagionare
Eusebio? Impossibile! Non si pu che rimanere allibiti da tanta incapacit critica, se non
sfacciataggine, dal momento che nessuno, pur possedendo una copia privata di
"Antichit Giudaiche" di Giuseppe Flavio, avrebbe potuto manipolare un manoscritto
ufficiale ... perch sarebbe stato inutile.
Dal momento che i rotoli delle opere originali di Giuseppe, appena ultimate, vennero
depositati negli Archivi Imperiali - dei quali lo stesso Svetonio ne fu Sovrintendente sotto
Adriano e li consult, cos come se ne serv Cassio Dione (contemporaneo di Orgene) -
nessuno avrebbe potuto trarre vantaggio dal falsificare un testo storico di propriet
personale il cui originale fu autenticato pubblicamente e giaceva negli archivi di
Stato; quanto meno avrebbe corso seri rischi qualora scoperto. E nessuno lo fece sino
all'XI secolo d.C., come stiamo per verificare prendendo visione dei codici manoscritti di
"Antichit Giudaiche". Lo stesso Eusebio, biografo di Costantino nella Corte imperiale, si
limit a scrivere il Testimonium Flavianum nella sua "Historia Ecclesiastica" ma non si
permise di manomettere gli scritti autentici di "Antichit Giudaiche" conservati negli archivi
di Nicomdia (nuova sede dell'Imperatore di Roma gi dall'epoca di Diocleziano): un dato
di fatto che ci apprestiamo a dimostrare.

I documenti pi antichi dello storico ebreo, "Giuseppe, figlio di Mattia", provengono


soltanto da antiche Abbazie, fornite di biblioteca corredata di scriptorium, le quali hanno
requisito, tradotto e poi distrutto i manoscritti originali, dei quali non rimasta traccia.
Quelli a noi fatti pervenire sono copie che risalgono a pi di un millennio dopo la morte
dello storico, mentre i rotoli, sepolti nelle grotte di Qumran, sono stati ritrovati dopo oltre
duemila anni pur senza essere stati custoditi e conservati con cura.

Il testo greco pi vetusto in assoluto, contenente originariamente i libri dall'XI al XX di


"Antichit Giudaiche" con "Bios" (Autobiografia) in appendice, il "Codex Palatinus MS
14", un tomo su pergamena della Biblioteca Vaticana. E' datato paleograficamente
al decimo secolo d.C. ma risulta mancante dei libri XVIII, XIX e XX, proprio
quelli attinenti l'epoca di Ges e dei suoi successori.
Poich il XVIII e XX Libro, dei codici datati in epoche
susseguenti, riportano rispettivamente il "Testimonium Flavianum" e il "martirio di
Giacomo il Minore", abbiamo il riscontro che il manoscritto "Palatinus 14" era una
copia del testo originale redatto prima della successiva intromissione spuria delle
due testimonianze su Ges e suo fratello Giacomo, non essendo logico che la Chiesa
avesse interesse ad eliminarle.
Ma altrettanto vero che i pochi in grado di visionare il testo autentico, ad iniziare da
Eusebio, erano costretti a tenerlo celato agli stessi ecclesiastici per impedire a chiunque la
lettura completa delle vicende reali con i rispettivi protagonisti Giudei della Palestina
dell'epoca di Cristo e dei suoi successori: una conoscenza storica in contrasto con le
verit evangeliche.
In definitiva, se Eusebio avesse falsificato l'autentico "Antichit Giudaiche" di Giuseppe
Flavio, trascrivendolo ex novo, la Chiesa avrebbe potuto esibire il relativo codice greco
risalente al IV secolo d.C.; esattamente come fece con i pi antichi documenti
neotestamentari canonici completi: il Codex Vaticanus ed il Codex Sinaiticus diti alla fine
dello stesso secolo. Quindi non pu essere un caso che il corpus di
manoscritti componenti l'apparato critico, sottoposto dagli ecclesiastici al Niese per
curare la traduzione di "Antichit Giudaiche", fu stilato dagli amanuensi soltanto dopo il
codice Palatinus MS 14.

I manoscritti in greco che vedono attestato il "Testimonium Flavianum" sono:


- il Codex Ambrosianus F 128 datato paleograficamente all'XI secolo;
- il Codex Vaticanus Graecus 984, anno 1354;
- il Codex Plut. 69 cod.10 Laurentianus, XV secolo.
I manoscritti in latino del TF, in quanto traduzioni dal greco originale, non sono presi in
considerazione dalla critica.

I primi a contestare l'autenticit del TF di Giuseppe Flavio furono i cristiani protestanti


europei, ad iniziare dal XVI secolo con i filologi esegeti Hubert Van Giffen e Lucas
Odiander (quest'ultimo in "Epitomes historiae ecclesiasticae"), i quali si avvalsero di
argomentazioni scientifiche, che verranno riprese poi da altri con analisi sempre pi
precise e convincenti col trascorre del tempo. Particolarmente efficaci furono le critiche di
Louis Cappel, Jean Daill e Tanaquilius Faaber, al punto che finirono per essere accettate
dalla maggioranza internazionale dei critici di ogni appartenenza, compreso quelli di area
cattolica.

Le risultanze "apocrife" dei TF a noi pervenuti ma risalenti a periodi antecedenti il


manoscritto Palatinus 14 - fra i quali il famoso testo in arabo del Vescovo Agapio di
Hierapolis in Siria - essendo brani avulsi dal contesto storico sequenziale descritto da
Giuseppe Flavio nelle sue "Antichit Giudaiche", come stiamo per accertare, non
dipendono dalla consultazione dell'opera originale dello storico ebreo, bens dalla
prima redazione attestata da Eusebio di Cesarea nella sua "Historia Ecclesiastica", diffusa
in tutte le Chiese, ma corretta autonomamente laddove gli scribi non la considerarono
verosimile.

Per inciso ricordiamo che la "Historia Ecclesiastica" contiene l'impianto storiografico


(ideato dal Vescovo, sotto l'Imperatore Costantino, a fondamento della 'tradizione
cristiana') che attesta la struttura dei Padri della Chiesa, ad iniziare dai successori di
Ges, apostoli ed evangelizzatori, quindi corredata da una sfilza di mrtiri. Una lunga serie
diCapi spirituali di molteplici Ecclesiae, descritti con dovizia di particolari, regolarmente
registrati con tanto di dati anagrafici e doverosamente votati al martirio. Procedendo dai
primi tre Vescovi di Gerusalemme "legati al Signore da vincoli di carne" (vedi IV
studio), tutte le Chiese successive dovevano conoscere la propria storia sin dall'inizio, i cui
interpreti vennero spesso richiamati durante i Concili che si susseguirono nei secoli a
venire. Un organico di Santi pressoch ininterrotto, a partire da Cristo sino al IV secolo,
antico di oltre duemila anni, tale che nessuno Stato al mondo pu vantare una
ricostruzione del proprio passato cos minuziosa ... con un particolare da evidenziare: la
storia della Santa Sede dei primi tre secoli basata sulla fantasia di Eusebio e degli
evangelisti.

Fra i diversi tentativi, falliti, di correggere il contenuto sfacciatamente filo cristiano del TF di
Eusebio, che fin col dimostrarne la falsificazione, citiamo ad esempio il "Testimonium
Flavianum" riportato nel Libro 10 di "Chronographia" dello storico bizantino Johannes
Malalas (Antiochia, 491-578), a lui accreditato ma attestato nel Codex Baroccianus
128 datato paleograficamente all'XI secolo (dopo il Palatinus MS 14) e conservato presso
la Bodleian Library di Oxford:

"... E da allora ebbe inizio la distruzione dei Giudei; cos come scrisse Giuseppe, il filosofo
ebreo, avendo anche detto che da quando i Giudei crocifissero Ges, che era uomo
buono e giusto, se veramente necessario chiamarlo uomo e non Dio, la sventura non
abbandon la Giudea. Giuseppe stesso riport questi eventi contro i Giudei nei suoi scritti
giudaici".

Poich Giuseppe Flavio non ha mai detto che le sventure giudaiche dipesero dalla
crocifissione di Ges, bens dalla incessante lotta degli Zeloti contro il dominio di Roma, di
fatto quasi tutti i critici, cattolici compresi, rigettano l'autenticit di questo brano. Esso fu
intenzionalmente formulato da uno scrivano cristiano dell'XI secolo in modo indiretto e
inserito nell'opera di Malalas per rendere pi veritiero il TF accreditato a Giuseppe da
Eusebio di Cesarea, dopo averlo espunto dei passaggi inverosimili, in quanto riferiti da un
ebreo, come i miracoli e la resurrezione di Ges.
Infatti lo stesso scriba della "Chronographia" di Malalas ci dimostra che non aveva mai
letto "Antichit Giudaiche", altrimenti non avrebbe "testimoniato" il martirio di Giacomo il
Minore prendendo una cantonata simile:
"A Galba (primo imperatore dopo Nerone) successe Lucius Otho (il secondo imperatore,
Marcus Salvius Otho, mentre "Lucius" era il nome del padre) che govern tre mesi (69
d.C.). Sotto il suo impero mor lapostolo Giacomo, Vescovo e Patriarca di Gerusalemme".
Questo brano - cronologicamente errato in quanto Giacomo apostolo e Vescovo di
Gerusalemme, secondo la "tradizione", fu lapidato nel 62 d.C. - ignora la vicenda che vede
protagonisti il Sommo Sacerdote Anano (gi morto nel 67), ed il Procuratore Albino (morto
nel 69). Per di pi segue un altro ingiustificabile errore laddove Malalas riferisce la
decapitazione di Giovanni Battista nella citt di Sebaste in Samaria anzich nella fortezza
di Macheronte in Perea: il tutto riferito chiaramente da Giuseppe Flavio e con precisione
storica. Questi elementari dati bastano per capire che siamo di fronte ad un puerile
falso, ecco quindi spiegato perch quasi nessuno al mondo (tranne qualche sempliciotto),
oggi, prende pi in considerazione il "Testimonium Malalasianum"... essendo sufficiente il
razionalismo storico, senza tirare in ballo la filologia.

Al fine di correggere la forma smaccatamente filo cristiana ideata da Eusebio di


Cesarea, nel IX secolo venne stilato un manoscritto destinato a tramandare un TF pi
credibile tramite una modalit riflessa accreditata a san Girolamo: ilCodex MS 2Q
Neoeboracensis (conservato nella Bilioteca Teologica di New York). In esso copiata
l'opera "De virisillustribus" di Girolamo laddove, al capitolo XIII dedicato alla vita di
Giuseppe Flavio, leggiamo:

"Nel libro diciottesimo delle Antichit, Giuseppe dichiara nel modo pi


esplicito (sic!) che Gerusalemme fu distrutta per l'uccisione dell'apostolo Giacomo.
Riguardo poi al Signore, egli scrisse in questi termini: In quel medesimo tempo visse
Ges, uomo sapiente, se tuttavia si deve chiamarlo uomo. Era infatti un operatore di
grandi prodigi e maestro di coloro che accolgono volentieri la verit. Ebbe anche
moltissimi seguaci, sia tra i Giudei sia tra i Gentili; e lo credevano Cristo. Spinto dall'odio
dei nostri capi, Pilato lo condann al supplizio della croce. Ciononostante, quelli che prima
l'avevano amato, continuarono ad amarlo.

Inammissibile! Girolamo non avrebbe mai potuto scrivere sciocchezze simili poich il
laborioso Padre aveva la facolt di consultare i documenti originali; ne consegue la
condanna dell'intento falsario degli amanuensi, talmente grossolano da dover essere
chiarito bene. Il resoconto dell'atto del Sinedrio di Gerusalemme, riguardante l'uccisione
dell'apostolo Giacomo, fu riportato per intero dallo scrittore ebreo nel ventesimo libro di
"Antichit Giudaiche", ma in esso non contenuta la dichiarazione di Giuseppe
riguardante la successiva distruzione di quella citt, avvenuta otto anni dopo nel 70 d.C.,
perch lo storico sapeva che in quel momento nessuno poteva prevederla, n tale
vaticinio aveva attinenza con l'episodio descritto (da noi trattato nel III studio). Riguardo la
fine di Giacomo, che comunque non specificata nel brano, gli amanuensi giunsero a
contraddire lo stesso Girolamo mezzo millennio dopo la sua dipartita.
Il loro inganno si manifesta, oggi, allorquando non considerarono la deposizione gi resa
prima dal Dottore della Chiesa sul fratello di Cristo, infatti, scorrendo il
capitolo II concernente la vita dell'apostolo, in "De viris illustribus" non risulta alcun
martirio patito da Giacomo il Minore: una vicenda sconosciuta da tutti i Padri cristiani
sino all'avvento di Eusebio di Cesarea.
Poich il particolare sfugg agli scribi, spieghiamo perch Girolamo non rifer il supplizio di
Giacomo descritto da Eusebio.

Quest'ultimo opt per una spettacolare forma di morte dell'apostolo, diversa dalla
lapidazione, decidendo (HEc. II 1,5) di farlo precipitare gi dal Tempio di Gerusalemme
per poi finirlo a bastonate: una modalit ignorata volutamente da Girolamo perch il Padre
della Chiesa si rese conto che, se fosse stata vera, molti altri testimoni cristiani l'avrebbero
ricordata citando l'evento prima di Eusebio. Inoltre, sebbene antecedente di due secoli al
suddetto "Codex Ambrosianus F 128" (che "canonizz" Giacomo lapidato), questo brano
spurio del "De viris illustribus" non pot divenire "fonte" di un successivo TF pi credibile
per il semplice motivo che fu Eusebio, nel IV secolo, a riportare il primo
Testimonium Flavianum in "Historia Ecclesiastica": una estesa opera consistente nella
documentazione omnicomprensiva e fondamentale della tradizione cristiana con i richiami
storici di tutti gli eroici protagonisti rappresentati da Vescovi, Padri e mrtiri. Una "Historia
Ecclesiastica" indispensabile a tutte le Chiese cristiane, sia dell'Oriente bizantino che
dell'Occidente romano, quindi diffusa capillarmente in tutto il mondo dei credenti, perci
impossibile da eliminare sostituendola con un'altra.
Tali evidenze sono ben note agli esegeti del Vaticano i quali non si sono mai richiamati al
brano citato proprio perch consapevoli del fatto che le contraddizioni contenute ne
avrebbero dimostrato la falsificazione; piuttosto hanno preferito adottare un altro TF -
come il prossimo, che stiamo per indagare, ma epurato appositamente da sviste troppo
evidenti - sul quale accentrare l'attenzione degli storici odierni. Tuttavia, ora lo
verifichiamo, le contraddizioni derivanti dalla religione ebraica professata da Giuseppe
Flavio non possono, n potranno mai, essere superate.
Infine, nella II parte di questa analisi, anche i pi duri di comprendonio possono accertare
che tutti i TF finiscono, inevitabilmente, col naufragare sullo scoglio dell'anacronismo
storico ... proprio grazie ad Eusebio. Pertanto procediamo con le analisi.

A tutti gli anni sessanta del secolo scorso, le enciclopedie del mondo intero evidenziavano
l'ambiguit del TF e criticavano la sua attribuzione allo storico ebreo ingenerando,
conseguentemente, una ricaduta negativa sulla credibilit della stessa Chiesa. Ma le cose
presero una piega diversa quando, nel 1971, il professore Shlomo Pins, filosofo
dell'Universit Ebraica di Gerusalemme, pubblic una nuova versione del TF ripresa
da un'opera manoscritta in lingua araba, "Storia Universale", risalente al X secolo e
redatta dal Vescovo arabo cristiano Agapio di Hierapolis (n.? - morto dopo il 942 d.C.).
Ecco il testo:

"Similmente dice Giuseppe l'ebreo, poich egli racconta nei trattati che ha scritto sul
governo dei Giudei: In questo tempo viveva un uomo saggio che si chiamava Ges, e la
sua condotta era irreprensibile, ed era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i
Giudei e le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo condann a essere crocifisso e
morire. E quelli che erano divenuti suoi discepoli non abbandonarono la propria lealt per
lui. Essi raccontarono che Egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione, e
che Egli era vivo. Di conseguenza essi credevano che Egli fosse il Messia, di cui i
Profeti avevano raccontato le meraviglie".

Osserviamo che il "Testimonium Agapianum" scritto in forma indiretta, anche per il fatto
che Agapio (per scaricarsi responsabilt), a sua volta, si richiama ad una "cronaca"
dell'astrologo cristiano maronita "Teofilo di Edessa"*:attestazione mai vista da
nessuno ma presa molto seriamente da Pins e, come sottolineato da lui stesso:
"questa potrebbe essere una registrazione pi accurata di quella scritta da Giuseppe in
quanto manca di quelle parti che spesso sono state considerate interpolazioni di cristiani".
Pur avvalendosi del condizionale, Pins dette per scontato che Giuseppe Flavio abbia
effettivamente scritto il TF in un modo diverso e ammissibile da uno scrittore ebreo.
* Dell'astrologo Teofilo di Edessa (695-785) esistono alcuni "studi" riportati nel Codex
Vaticanus Gr. 212, e i temi trattati riguardano l'influenza degli astri nelle vicende umane;
nulla risulta di interesse storiografico e tantomeno su Giuseppe Flavio. Gli esegeti della
Chiesa oggi affermano spudoratamente che: "l'opera di Teofilo di Edessa andata
perduta". Essi sono convinti che al di fuori del Vaticano esista un mondo di citrulli pronti a
credere si sia persa motu proprio una concreta deposizione su Cristo riferita da un pinco
pallino di nome "Teofilo" della Citt Santa di Edessa, addirittura miracolata dallo stesso
Ges, secondo la "Storia Sacra" dei Cristiani.

Sopraffatto dall'euforia che questa "testimonianza scoop" - avvalorata dal fatto di essere
lui stesso ebreo - gli sarebbe valsa la gloria e l'eterna gratitudine del popolo cristiano (ad
iniziare dalle gerarchie delle rispettive sette), Pins non si cur di approfondire gli studi
concernenti la mancata conoscenza del TF da parte degli stessi Padri della Chiesa;
nemmeno lo sfior l'idea che il Vescovo Agapio avesse avuto tutto l'interesse, in quanto
cristiano, di correggere laostentata dichiarazione dottrinale accreditata dal suo
predecessore Eusebio allo storico Giuseppe.
Cos come ignor la "testimonianza" attribuita, sempre a Giuseppe Flavio, dal Patriarca di
Costantinopoli, Fozio I (820-893, poco prima di Agapio), il quale, nella sua imponente
opera "Biblioteca" (Myriobiblion, "mille libri"), nell'eptome dedicata allo storico, avvalora
l'ebreo di una eccellente, quanto falsa, "prova diretta" (un pio sogno) concernente la
"Nativit" di Ges: "Al tempo che Erode regnava nacque Cristo dalla Vergine per salvare
l'uman genere..." (parola di Giuseppe, sic). Tuttavia, e questo il riscontro
definitivo, senza aggiungere nulla sul TF che riferisce i miracoli con la resurrezione di
Ges e, tanto meno, sul martirio di "Giacomo fratello di Ges detto Cristo", fornendo
quindi una ulteriore dimostrazione che queste due "testimonianze" furono
aggiunte dagli amanuensi nei codici da loro trascritti in "Antichit Giudaiche" oltre due
secoli dopo la morte di Fozio, come abbiamo gi constatato sopra tramite l'elenco e la
datazione dei manoscritti, ad iniziare dal "Codex Ambrosianus F 128" redatto nell'XI
secolo.

Una risultanza che avvalora il giudizio di quei critici i quali, come noi, respingono in toto
l'autenticit di tutti i TF, trattandosi di brani mai scritti da Giuseppe Flavio in "Antichit
Giudaiche". Altrettanto vale per la frase appositamente aggiunta a un tal Ges "detto
Cristo" fratello di un certo Giacomo (il nome aramaico di Jesha era molto diffuso e
corrispondeva a "Giosu"). In realt quel Ges era figlio di Damneo, non di san Giuseppe
o dello Spirito Santo, e la falsa introduzione "detto Cristo" fu riportata dagli amanuensi nei
manoscritti stilati successivamente al Codex Palatinus MS 14, che ne era privo.
Valutazioni che gli eminenti esegeti cristiani hanno sempre saputo ma continuano a tacere
ai "beati poveri di spirito", oppure, se chiamati direttamente a rispondere, si dilungano in
risposte tanto inconcludenti quanto assurde.

Allora, come prevedibile, gli alti prelati ecclesiastici approfittarono dell'occasione offerta
loro dal filosofo ebreo Pins per "riaprire" la questione del "Testimonium Flavianum" e
riguadagnare credibilit alla Chiesa di Cristo, ben sapendo di contare sulla disponibilit di
tutti i mezzi d'informazione di massa. Infatti basta leggere le conclusioni di "Wikipedia" e
quelle della vaticana "Cathopedia" per accertarsi che sono le stesse e "montate" in base
alla stessa logica che lascia, bont loro, il beneficio della libera scelta, fra le tre posizioni
riferite, volendo far apparire un avvenuto sondaggio che riportiamo testualmente:
- "La maggioranza degli studiosi lo accetta parzialmente, attribendo ad alcuni
interpolatori cristiani alcune
affermazioni in esso contenute";
- "Alcuni studiosi lo considerano completamente autentico";
- "Alcuni studiosi lo rigettano completamente".

Riconoscere che "alcuni interpolatori cristiani" hanno inserito informazioni rivelatesi errate,
un fatto che ci porta ad una constatazione elementare: gli scribi di Cristo furono i
soli a creare ci che volevano nei propri codici ...correzioni comprese.
Gli amanuensi - dopo aver attestato nel brano originale, con troppa superficialit, una
dottrina coerente solo con la fede cristiana - quando successivamente si sono resi conto
delle contraddizioni risultanti con la dottrina ebraica di Giuseppe Flavio, alcuni di loro, con
iniziative autonome, hanno deciso di rettificarne gli errori.
Ad oggi la Chiesa Cattolica, seguendo la tesi dell'autorevole sacerdote biblista, il cattolico
John Paul Meier (cfr "UnEbreo marginale: ripensare il Ges storico" - Doubleday 1991 -
nel 3 capitolo sulle "Fonti" dedicato a Giuseppe Flavio),si sta orientando verso
un accoglimento parziale ammettendo le interpolazioni spurie create dai propri
amanuensi.
Considerato che noi, mai consultati da nessuno, apparteniamo alla categoria degli
"studiosi che lo rigettano completamente", sentiamo il dovere di spiegarne le motivazioni
(del tutto diverse da quelle di un Meier in linea con Pins), pertanto approfondiamo
ulteriormente le analisi per mettere in luce altri dati che ci consentiranno di rafforzare
quanto gi dimostrato sul TF col semplice raziocinio storico; notizie che, ripetiamo, sono
ben conosciute dagli eminenti esegeti ecclesiastici, Meier compreso, sin dall'epoca del
Vescovo Eusebio di Cesarea.

Parte II

Eusebio di Cesarea e l'anacronismo del TF

In "Historia Ecclesiastica" di Eusebio leggiamo:

E dunque dimostrata la falsit degli Atti contro il


nostro Salvatore, pubblicati recentemente, essi, infatti, pongono sotto il quarto
consolato di Tiberio, che coincide col suo settimo anno di regno (21 d.C.), le sofferenze
che gli Ebrei osarono infliggere al nostro Salvatore: ma in quel tempo Pilato non
governava ancora la Giudea (HEc. I 9,3/4).

Da quanto appena letto, Eusebio ci informa della pubblicazione, a lui contemporanea, di


una versione di Atti di Ges (fatta poi sparire, ovviamente) diversa da quella giunta sino
a noi, nella quale si fa cadere il supplizio di Ges il 21d.C. (quarto consolato di
Tiberio), cio sotto Valerio Grato, predecessore di Pilato. Questo particolare dimostra i
rimaneggiamenti fatti dai redattori evangelici per depistare la ricerca su chi crocifisse
veramente Ges... e la datazione di un evento palesemente immaginario: secondo quegli
Atti sarebbe stato il Prefetto Valerio Grato asacrificare Ges. Ma Eusebio aggiunge
altri particolari nella medesima "Historia Ecclesiastica" (HEc. I 10,1/6):

"1. Secondo l'evangelista (Luca), durante il quindicesimo anno del regno di Cesare
Tiberio (29 d.C.) e il quarto del governo di Ponzio Pilato, mentre erano Tetrarchi del resto
della Giudea, Erode, Lisania e Filippo, il nostro Salvatore e Signore Ges, all'et di circa
trent'anni, venne da Giovanni (Battista) per ricevere il battesimo e cominci allora la
predicazione del Vangelo.
2. La Sacra Scrittura dice che tutto il Suo insegnamento lo svolse nel periodo di tempo
compreso sotto il pontificato diAnna e di Caifa, e questo significa che tutto il tempo della
sua predicazione coincide con gli anni in cui questi tennero la loro carica. Cominci
dunque sotto il pontificato di Anna e dur fino a quello di Caifa: complessivamente non
sono un intero quadriennio. 3. Erano state abolite le regole secondo le quali il servizio
divino era a vita e trasmesso per successione ereditaria dagli avi; i governatori romani
lo assegnavano ora all'uno ora all'altro e chi lo riceveva non poteva mantenerlo per
pi di un anno.
4. Giuseppe, nel medesimo libro delle Antichit (XVIII 34-35), enumera in ordine
successivo i quattro Sommi Sacerdoti da Anna fino a Caifa, dicendo: Valerio Grato tolse
la carica sacerdotale ad Anna, figlio di (bar) Seth, e proclamSommo Sacerdote Ismaele,
figlio di (bar) Fabi, ma non molto tempo dopo destitu anche lui e nomin Sommo
Sacerdote Eleazaro, figlio del (bar) Sommo Sacerdote Anna. 5. Trascorso un anno anche
costui fu esautorato e la carica fu affidata a Simone, figlio di (bar) Kamith ed anche lui non
la tenne per pi d'un anno; fu suo successoreGiuseppe, chiamato anche Caifa*. 6.
Dunque l'intera durata dell'insegnamento del nostro Salvatore, come appare evidente, non
comprende quattro anni completi, e ci furono in questo periodo quattro Sommi
Sacerdoti, da Anna fino a Caifa, uno per anno. E il Vangelo
indicando Caifa come Sommo Sacerdote durante l'anno in cui si comp la passione di
Cristo nel vero. Da quanto ci dice e dall'osservazione precedente si pu cos stabilire la
durata dell'insegnamento di Cristo".

* La citazione di Giuseppe Flavio (Ant. XVIII 34-35), richiamata da


Eusebio, colloca questo episodio nel 18 d.C.,l'anno in cui il Prefetto Valerio Grato
nomin Caifa. Va notata inoltre la mancanza "figlio di" (bar) che impedisce il
riconoscimento della famiglia del Sommo Sacerdote "Giuseppe chiamato anche Caifa".
Non una dimenticanza dello storico ebreo ma una apposita censura, fatta dai copisti
cristiani, che richiede una analisi specifica (nel XV studio identifichiamo chi fu in realt
"Caifa") per scoprirne le motivazioni, ben sapendo che, come abbiamo visto con l'episodio
di "Giacomo il Minore", quando gli amanuensi eliminano il patronimico in una
testimonianza giudaica lo fanno per salvaguardare le "verit" della propria fede ... e Caifa,
lo sappiamo bene, fu l'accusatore di Ges.

"Lo condussero (Ges) prima da Anna, suocero di Caifa, che era Sommo Sacerdote in
quell'anno" (Gv 18,13).

Di quale anno stiamo parlando? Sappiamo tutti che Ges fu crocefisso nel 33
d.C., mentre la cronistoria di Eusebio -attinente ai nomi dei Sommi Sacerdoti del Tempio
insigniti da Governatori romani per non pi di un anno - non pu corrispondere alla
datazione dei vangeli attuali; ma, dal momento che il Vescovo si richiama a
quella riferita in "Antichit" dallo storico, allora proviamo a capire meglio.

Come sopra verificato tramite le datazioni dei codici, i calligrafi cristiani interpolarono nei
manoscritti (dopo il Codex Palatinus MS 14), dall'XI secolo in poi, l'intero brano spurio del
"Testimonium Flavianum" in "Antichit Giudaiche"
(XVIII 63/4) nel quale viene riferita la "testimonianza", falsamente accreditata allo storico
Giuseppe Flavio, con la condanna di Ges alla croce da parte di Pilato. In realt,
tutt'oggi, chiunque pu consultare il testo e, presa visione che il TF inizia con la frase "Allo
stesso tempo...", pu accertarsi che l'evento collocato (incollato) prima del 19 d.C., data
che non ricade sotto il governo di Ponzio Pilato ma sotto la prefettura di Valerio
Grato, e sotto il sommo pontificato di Caifa.
Ci siamo riferiti al 19 d.C. perch, come tutti gli storici del Cristianesimo sanno benissimo,
l'anno in cui Tiberio espulse i Giudei da Roma inviandoli in Sardegna: una vicenda che
troviamo attestata in "Antichit Giudaiche" di Giuseppe Flaviodopo la crocefissione di
Cristo. Lo storico ebreo spiega che la cacciata dei suoi connazionali avvenne come
ritorsioneper una truffa commessa da quattro di loro ai danni di una matrona
romana. Quindi il TF stato inserito dagli amanuensi nel testo di "Antichit"
addirittura prima degli eventi accaduti nel 19 d.C. e, fatto non casuale, in
coerenza, sia conil suddetto "Atti di Ges" (in uso all'epoca di
Eusebio), sia con il "Credo" del Concilio di Nicea, del 325 d.C.
Ricordiamo che l'assemblea nicena non chiamava in causa Ponzio Pilato come
il "sacrificatore" di Ges (e lo stesso Eusebio mor nel 340 d.C.), diversamente dal
"Credo" del Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. (convocato da Teodosio I e presieduto
dal Vescovo Gregorio Nazianzieno) il quale infatti recitava:

"Ges Cristo, incarnato nel seno della Vergine Maria, si fatto uomo. Fu crocifisso per
noi sotto Ponzio Pilato...".
In base ai dati ripresi dalle fonti citate, non per caso, tantomeno per un errore di
Giusepppe Flavio (come vorrebbero farci credere le eminenze grigie del Clero), che il
"Testimonium Flavianum", che riporta la morte di Cristo, sia stato inserito dai copisti
cristiani facendolo risalire molto tempo prima che Pilato governasse la
Giudea. Consapevolmente gli scribi lo collocarono sotto il Prefetto Valerio Grato
quando "Giuseppe, detto anche Caifa" era Sommo Sacerdotedel Tempio di
Gerusalemme. Fu semplicemente rispettata la dottrina dell'epoca come riportato
negli "Atti" su richiamati da Eusebio con una vincolante modifica alla datazione che
riguardava la morte del Salvatore collocata nel 21 d.C."quarto consolato di Tiberio". Tale
cambiamento fu causato dalla imposizione, citata sopra da Eusebio, che "i governatori
romani assegnavano il Sommo Sacerdozio ora all'uno ora all'altro e chi lo riceveva non
poteva mantenerlo per pi di un anno". Dal momento che tutti i vangeli
indicavano Caifa come il Sommo Sacerdote del Tempio che accus Ges, e questi pot
mantenere la carica (a lui conferita da Grato nel 18 d.C.) solo un anno, ecco spiegato il
motivo per cui ancora oggi leggiamo un TF che riferisce la morte di
Ges avvenuta prima degli avvenimenti storici del 19 d.C., quindi l'epoca della prefettura
di Valerio Grato.

Mentre questo gravissimo errore lo ritroviamo ancora oggi in "Antichit Giudaiche",


viceversa non esiste pi negli attuali "Atti". Infatti gli "Atti di Ges" verranno corretti in
seguito al Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. (che chiam in causa Pilato) e riportati
sia nel Codex Vaticanus che nel Codex Sinaiticus, consentendoci di datare i due codici a
un'epoca posteriore quel Concilio.
Una volta verificata la coincidenza fra la sequenza delle vicende descritte nei testi greci a
noi pervenuti di "Antichit Giudaiche" (eventi perfettamente interconnessi con la storia di
Roma), da una semplice analisi del "Testimonium Flavianum" chiunque capisce che
un falso perch, tutt'oggi, "Ges" risulta crocefisso prima del 19 d.C.,
quindiprima dell'anno in cui lo storico Giuseppe (Ant. XVIII 83) registra l'espulsione da
Roma di tutti i Giudei da parte di Tiberio, confermata da Tacito (Annales 2,85)
e Svetonio (Tiberius 36); ovviamente quando Caifa era Sommo Sacerdote del Tempio:
esattamente il 18 d.C.

Di conseguenza, gli amanuensi di Cristo, interpolatori di "Antichit", incapparono in una


seconda, grave, "cantonata cronologica", al punto di contraddire gli stessi vangeli: la
crocefissione di "Ges" risulta eseguita molti anni prima dell'uccisione di Giovanni
Battista, mentre gli evangelisti attestano che questi viene ucciso tre anni prima del
Salvatore. Per la storia, viceversa, la morte del Battista fu ordinata da Erode Antipa oltre
15 anni dopo la "resurrezione di Ges" riferita nel "Testimonium Flavianum", cio tra la
fine del 35 e l'inizio del 36 d.C., poco tempo prima che Antipa venisse sconfitto in guerra
dal suo ex suocero, Areta IV, Re degli arabi Nabatei, nell'estate del 36 d.C. (Ant. XVIII
116/9). Da notare che in questo passaggio Giuseppe Flavio riferisce: "il verdetto dei
Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni (Battista), nel
senso che Dio giudic bene infliggere un tale rovescio a Erode".Quindi sia Dio che il
popolo giudaico, nel 36 d.C., non sanno dell"Avvento" di un Messia divino, autore di
prodigi straordinari e osannato dalle folle come "Re dei Giudei" in
Gerusalemme, incriminato dal Sinedrio e giustiziato da Pilato: niente di quanto
magnificato nei vangeli "rivelati da Dio" e nell'illusorio TF viene confermato dalla storia.

Ma, dal momento che il "Testimonium Flavianum" (con la morte e risurrezione di Ges
Cristo) un falso creato da Eusebio nella sua "Historia Hecclesiastica", lo stesso vale
anche per i TF trascritti posteriormente, da altri scribi cristiani, appositamente per
correggere il contenuto dottrinale, marcatamente errato, ostentato nel primo TF.
Intenzionalmente gli amanuensi hanno fatto apparire che fu Giuseppe Flavio a
scrivere il TF in "Antichit Giudaiche", pertanto ognuno di questi brani - "corretto" in
epoche posteriori al IV secolo in nove TF "apocrifi" ripescati fra le pieghe della letteratura
cristiana, ad iniziare da san Girolamo - va collocato esattamente al medesimo posto in
"Antichit Giudaiche" e riscontreremo sempre l'assurdit che Ges fu "sacrificato" da
Ponzio Pilato quando il Prefetto di Giudea era Valerio Grato. Ecco spiegato il motivo
per cui tutti i TF "aggiustati" sono brani singoli, avulsi dal testo di "Antichit", ma inseriti in
"cronache" estemporanee al di fuori del preciso contesto storico; passi che dimostrano la
forzatura della intromissione spuria, in un testo estraneo, per fini esclusivamente
dottrinali.
Questo aspetto concernente l'errore cronologico del TF, coerente con un "Atti di
Ges" ormai desueto, viene sistematicamente ignorato dagli esegeti cristiani, ad iniziare
dal cattolico John P. Meier, e dalla critica in generale ... sicuramente quella riferita dai
mezzi di comunicazione di massa, fedeli epigoni del millenario potere delle Chiese di
Cristo. Cos conclude Wikipedia:

"Purtroppo, come devono ammettere gli stessi studiosi:


[] la critica testuale non in grado di risolvere la questione. [] Per esprimere un
giudizio sull'autenticit del brano,non ci resta che esaminarne il contesto, lo stile e il
contenuto".

Poich lo stile e il contenuto sono gli stessi da molti secoli e non sono serviti affatto agli
esegeti, tranne formulare giudizi ipotetici soggettivi, manca l'unica analisi del TF che noi
abbiamo appena esaminato: il contesto storico basato su dati precisi ... ma i suddetti
"studiosi" quanti secoli intendono aspettare per concludere? Quindi procediamo con gli
studi.
Come si spiega che l'anacronismo del "Testimonium Flavianum" - peraltro risultante solo
in "Antichit" e "dimenticato" da Giuseppe Flavio in "Bellum" - abbia potuto superare
indenne la secolare verifica critica degli amanuensi fino ad entrare in maniera univoca
nell'apparato critico dei manoscritti sottoposti alla traduzione curata da Benedikt Niese?
Tenuto conto degli innumerevoli abbagli storici presi dagli scribi di Dio, evidenziati negli
studi gi pubblicati, non dobbiamo meravigliarci del fatto che la dottrina abbia sempre
prevalso in loro rispetto agli eventi reali, pertanto alcunevicende, da essi inventate e fatte
passare per vere, non furono mai sottoposte dagli scrivani a letture comparate al fine di
salvaguardarsi preventivamente da possibili contraddizioni. Va sottolineato
inoltre che qualsiasi curatore della traduzione di "Antichit Giudaiche" nelle lingue
odierne, a partire dal Niese in poi, stato, e sar anche in seguito, obbligato a scegliere
tra le stesse "famiglie" di manoscritti gi selezionati dalle autorit ecclesiastiche e,
inevitabilmente, riporter l'errore cronologico della morte di Cristo riferita nel TF
accreditato allo storico ebreo.
Una dottrina che si evidenzia in maniera addirittura ingenua laddove nel TF del XVIII Libro
di "Antichit" gli amanuensi riportarono in modo inequivocabile "Egli era il Cristo", mentre
nel XX Libro, in riferimento a Giacomo apostolo scrissero un generico "fratello di
Ges detto Cristo". La diversa modalit delle due espressioni fu imposta loro dalla
consapevolezza che il secondo evento si svolgeva all'interno del Sinedrio giudaico: un
tribunale i cui Anziani, Dottori della Legge, Scribi e Sommi Sacerdoti non avrebbero mai
accettato di accusare il fratello di un Messia giudeo. Quindi i calligrafi di Dio non trovarono
niente di meglio che aggiugere "detto", quasi si trattasse di un soprannome, convinti, nella
loro ignoranza di cultura giudaica, che questo bastasse a stornare l'interesse di un
Sinedrio verso la propria divinit salvatrice: un Re condottiero, prescelto da Yahweh, che
quel popolo aspettava come il Salvatore (Jesha) per liberarela Terra Promessa dal giogo
romano. In definitiva "detto Cristo", inteso come soprannome, messo in bocca ad un ebreo
sinedrista, si dimostra un ridicolo espediente, sufficiente, tutt'al pi, a convincere ingenui
ignoranti, ma offensivo, per la sua ipocrisia, nei confronti di coloro che seguono questi
studi.

Il semplice pronunciamento della parola "Messia" all'interno del Sinedrio avrebbe imposto
ai suoi membri di aprire un processo per stabilire se si trattava dell'atteso "Salvatore"
giudaico oppure dello scemo del villaggio. Ed proprio la mancata cronaca di
Giuseppe, concernente il "processo a Ges Cristo", che ne rende impossibile
l'avvenimento reale. Infatti, dal momento che lo scriba ebreo ha sentito il dovere di riferire
nei minimi particolari il "processo a Giacomo fratello di Ges detto Cristo", per lo stesso
preciso dovere lo storico avrebbe avuto un'enormit di motivi a rendere pubblica la
cronaca di un Re Messia giudeo fatto condannare dal Sinedrio di Gerusalemme, con
relativa via crucis, poco prima che in quella citt nascesse lui, Giuseppe, il futuro storico
sinedrista. A maggior ragione perch (secondo i vangeli) furono i Giudei ad osannare
Ges come Re al momento del suo ingresso trionfale nella "Citt Santa" ... salvo poi
"ripudiarlo" a furor di popolo e finendo addirittura con chiederne l'esecuzione a Ponzio
Pilato.

Per contro, nel TF del XVIII Libro di "Antichit Giudaiche" (alla pari del TF riferito nella
"Historia Ecclesiastica" di Eusebio), gli interpolatori cristiani, indossati necessariamente i
panni di Giuseppe Flavio, furono obbligati a fargli dire che"Cristo fu accusato
dai principali nostri uomini", evitando all'ebreo di nominare il "Sinedrio", come invece
risulta in tutti i vangeli. Gli scribi sapevano bene che, se fosse stato vero, lo storico
avrebbe dovuto riferire quell'Atto del Sinedrio con la relativa condanna del Messia ebraico:
un fatto talmente eclatante da non poter essere passato sotto silenzio;viceversa, lo
sappiamo tutti, in "Antichit" non troviamo l'Atto del Sinedrio con la condanna di
Ges. Tanto pi che gli amanuensi imposero allo storico ebreo nel TF il pronunciamento
che "i Profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di
lui (risurrezione e miracoli)". Altra assurdit, sempre basata sull'ignoranza della"tradizione
degli antichi padri": usanze che Giuseppe trascrisse in "Antichit", profezie comprese,
senza che gli risultasse tale predizione contenuta nel TF. Un particolare, quest'ultimo
sui "Profeti", lo ritroviamo anche nel "Testimonium Agapianum" in arabo, a dimostrazione
della stessa dottrina che accomunava il Vescovo Agapio con il suo potente
predecessore Eusebio di Cesarea ideatore del primo TF e, al contempo, denuncia la
incomprensione delle opere dello storico ebreo da parte di Eusebio, nonch delle
tradizioni giudaiche, al punto di indurre in errore anche Agapio in quanto sua fonte.

Con buona pace dell'ormai defunto professore Shlomo Pins e delle onnipresenti
eminenze grigie di tutte le "trib" cristiane e dei loro capi; questi ultimi, calcolatori
interessati a non perdere la faccia spesa a difendere una ridicola deposizione del TF, al
punto di riscriverlo essi stessi ex novo, ancora oggi, sulla scia del precursore John Paul
Meier, un fatto che non ci stupisce dal momento che "lupus mutat pilum, non
mentem" ... Pi esplicito il motto italiano: "il lupo perde il pelo ma non il vizio".
I dati riportati, analizzati con il semplice razionalismo storico, valgono per tutti i TF
"corretti" dagli scribi successivi ad Eusebio. Studi che da soli bastano a chiudere
definitivamente la questione del "Testimonium Flavianum", ormai in coma irreversibile pur
se tenuto in vita grazie a un "accanimento terapeutico" dei mass media cristianodipendenti
impegnati a nascondere il definitivo "De profundis" gi salmodiato dalla storia.

E' doveroso ricordare ai lettori che i pi antichi manoscritti del Nuovo Testamento, quelli
che utilizzarono i Clerici per indottrinare la intera cristianit, gli stessi di oggi, risalgono alla
fine del IV secolo (datazione paleografica di massima): il Codex Vaticanus Graece 1209 e
il Codex Sinaiticus 01. Questi due codici vennero redatti qualche anno prima della Vulgata
latina di san Girolamo quando il Cattolicesimo fu imposto dall'imperatore Teodosio
come religione unica di un Impero Romano prossimo alla disgregazione finale.
In precedenza, il Cristianesimo primitivo era costituito da molte sette divise fra loro per il
modo con cui i rispettivi Vescovi - ognuno dei quali si dichiarava depositario della autentica
"rivelazione divina" - rappresentavano il "Salvatore Universale" ebreo, Figlio di Dio,
garante della resurrezione del fedele dopo la morte, ottenuta in cambio della sua
redenzione. La "gnosi di Dio" dei molti predicatori Cristiani differiva soprattutto nella
consustanzialit (stessa sostanza e natura) di Cristo con Dio Padre, sancita nel Concilio di
Nicea del 325 d.C. in opposizione ai Cristiani Ariani che non la riconoscevano. Il dogma
teologico niceno dette la stura a feroci dispute fra Cristiani, ciononostante, in seguito la
dottrina verr ancor pi ampliata sino a comprendere la Santissima Trinit. Il nuovo Credo
venne ufficializzato nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. dopo che

380 d.C. Editto di Tessalonica:

"Imperatores Gratianus, Valentinianus et Theodosius Augusti.


Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carit,
rimangano fedeli a questa religione che stata trasmessa da Dio a Pietro Apostolo
cio dobbiamo credere, conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo,
nellunit della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella
maest e nella Santa Trinit. Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i
quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri (Cristiani) li consideriamo come
persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dellinfamia come eretici, e
alle loro riunioni non attribuiremo il nome di Chiesa; costoro devono essere condannati
dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo
stati autorizzati dal Giudice Celeste" (Codex Theodosianus XVI 1,2).

Questo dogma fu stilato dalla cancelleria costantinopolitana di Teodosio I e da lui emanato


con il sigillo imperiale, valido in tutte le Province del neonato Impero Cattolico Romano;
sar poi inserito anche nel Codice di Teodosio II e rimarr in vigore per sempre. Tutt'oggi i
Cristiani Cattolici lo richiamano quotidianamente con l'ancestrale "segno della croce",
senza riflettere che in esso non si esplicita la quarta divinit allora sconosciuta: la Madre di
Dio. Fino al 380 d.C. i Vescovi e gli Imperatori non avevano ancora inventato la Mater
Magna "Madonna". Il Clero imperiale, nel successivo 431 d.C., finalmente, decret
solennemente che in futuro l'umanit dovr adorare la (Theotkos): la nuova
Grande, Universale, Dea Supervergine.
La necessit di trascrivere nuovamente i vangeli deriv dall'obbligo di adeguarli alla
dottrina cattolica, vincente sulle altre cristiane dichiarate eretiche dopo numerosi Concili
tenuti nel corso del IV secolo. La nuova (allora) Bibbia greca e latina costitu la fonte che,
dalla fine del IV, inizi V secolo, permise agli amanuensi di trascrivere nei Conventi i molti
vangeli per essere diffusi dai preti, inizialmente nelle Province e, successivamente, fino a
raggiungere i pi remoti territori allora conosciuti. Fu una propagazione capillare,
organizzata dall'Impero e avviata dai Clerici un decennio prima del Concilio di Efeso del
431 d.C. Ma i numerosi codici in loro possesso contenevano le "Lettere di san Paolo" nelle
quali era descritta la dottrina, vigente in precedenza, quando non contemplava
l'esistenza della Supervergine "Madre di Dio", cos come non sapeva dell'Annunciazione,
n dell'esistenza della "citt di Nazaret", n di san Giuseppe.
Gli scribi delle lettere di "Paolo di Tarso" non potevano conoscere la delibera di Efeso del
431 d.C. perch redassero le epistole prima di quella data, e addirittura prima del Concilio
di Costantinopoli del 381 d.C., vale a dire prima della stesura dei nuovi vangeli con le
rispettive "Nativit" di Luca e Matteo. Ecco spiegato il motivo per cui, tutt'oggi, san Paolo
non conosce la "Madre di Dio" e "Nazaret".
Va precisato che, all'epoca di Eusebio, furono stilati i primi vangeli canonici e in essi
vennero introdotte le dovute modifiche:
"Individuare le divine Scritture autentiche da quelle eretiche, assurde ed empie, composte
da ciarlatani, strumento dell'attivit diabolica" (HEc. III 26,1).
A conferma di quanto riferito dallo stesso Eusebio, rispetto ai numerosi
vangeli "apocrifi", "gnostici" e "pseudo" - a noi pervenuti con datazioni paleografiche
antecedenti - i Codici Vaticanus e Sinaiticus, diversamente da tutti gli altri,sono gli unici
che riportano nominativi di personaggi famosi, veramente esistiti, sia nel mondo
romano che in quello giudaico. Nondimeno questi due codici non furono i primi
"canonici" e lo si evince dal fatto che, oltre le 'Lettere di Paolo' divergenti dalla dottrina
successiva, il numero con i nominativi degli apostoli, riferiti da Eusebio nella sua "Historia
Ecclesiastica", non corrispondono a quelli degli attuali vangeli. Infatti, nel I studio abbiamo
gi constatato la sovrapposizione degli apostoli "Giuda" e "Tommaso", che il vescovo
identifica in uno solo, cancellando in concreto unodei "dodici" (HEc. I 13,11):
"Dopo l'ascensione di Ges, Giuda, detto anche Tomaso, mand ad Abgar l'Apostolo
Thaddaeus",
mentre, per quanto concerne la fine di uno dei due apostoli di nome Giacomo, Eusebio
fornisce una "testimonianza" (vedi terzo studio) del tutto sconosciuta dai compilatori dei
vangeli attuali:
In realt vi furono due Apostoli di nome Giacomo: uno il Giusto, fu gettato gi dal
pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da un follatore; laltro fu decapitato (HEc. II
1,5).
Chiunque, ad iniziare dai credenti, deve ammettere che l'attestazione divergente sulle
persone degli apostoli e le loro gesta, oltre a far perdere credibilit verso le "sacre
scritture" (fatto ineluttabile con la dirompente storia), porta a concludere che Eusebio
possedesse un altro codice biblico contenente documenti neotestamentari parzialmente
diversi da quelli attuali; una tesi che trova riscontro con i diversi "Atti" di Ges richiamati
dallo storico Vescovo.
La necessit di rivedere il "Codice Eusebiano" si spiega con i numerosi e cruenti Concili
che si sono tenuti nel corso del IV secolo, successivi a quello di Nicea, finalizzati a definire
la "sostanza" del Salvatore universale: un concetto di "divinit" che si completer in epoca
successiva a quella di Eusebio fino a comprendere la unigenita "immacolata concezione"
della Madre di Dio.
Stando al vangelo letto da Eusebio, il vescovo afferm nella sua "Historia Ecclesiastica"
(III 20):

"Giuda, detto fratello del Signore secondo la carne ... ".


Questa dichiarazione viene sempre confermata da san Girolamo nel 392 d.C. in "De viris
illustribus" cap. IV dedicato all'apostolo "Giuda, fratello di Giacomo..." aggiunta
a "Giacomo, soprannominato il Giusto, detto fratello del Signore secondo la
carne" (ibid cap II). Entrambe le citazioni dimostrano che un secolo dopo la morte di
Eusebio i Cristiani operarono una successiva evoluzione teologica della SS. Beata
Maria, Madre di Dio - super vergine prima, durante e dopo il parto - come dettato nel
Concilio di Efeso del 431 d.C. Al fine di giustificare teologicamente il decreto episcopale,
prima di tale evento l'evangelista Luca, con quattro secoli di ritardo, rivide il suo vangelo
inserendovi la "Nativit" e il neonato dogma della "Theotkos" ( ) "Madre di Dio"
(Lc 1,43), in modo che la volont di Dio venisse riconosciuta a Efeso. Fu cos che ebbe
inizio il culto mariano della nuova divinit, sebbene non accettato da tutte le sette cristiane.
Evidenziamo che nel canone neotestamentario compresa la "Lettera agli Efesini"
scritta da Paolo di Tarso. In essa il super apostolo si rivolge "ai Santi che sono presenti ad
Efeso credenti in Ges Cristo ..." e ricorda loro "il Ministero a lui affidato da Cristo" ma non
pu sapere che ad Efeso vi dimorava san Giovanni apostolo e la SS. extra
Vergine,Madre di Dio, per il semplice fatto che "Efeso" non era ancora stata prescelta dai
Vescovi cattolici. Giovanni, prima di Paolo, fu investito dello stesso Ministero dal
Redentore sulla croce con il preciso obbligo di prendersi cura di Sua Madre senza
specificare dove; fu appunto il Concilio ecumenico tenutosi nel 431 d.C., appositamente ad
Efeso, a definire le scarne informazioni evangeliche e patristiche decretando
che "Giovanni prese con s Maria e venne a Efeso".

In contrasto alla decisione sinodale, la lettera di san Paolo disconosce la venuta ad


Efeso della beatissima Vergine e di san Giovanni perch gli amanuensi la
scrissero prima che Maria venisse dichiarata dai Vescovi "Madre di Dio": un dettaglio
fondamentale che dimostra l'invenzione della (colei che genera Dio) nella
"Nativit" di Luca, scritta dagli amanuensi dopo la lettera di Paolo "agli Efesini". Inoltre,
poich in nessuna delle lettere paoline si fa menzione della "Madre di Dio", ci dimostra
che gli scribi cristiani (quando compilarono le lettere a nome di un inesistente san Paolo)
non erano a conoscenza della futura evoluzione della dottrina "dettata" dai Vescovi
quando optarono per il culto mariano, opportunamente mutuato dalla Dea Isis egiziana,
dalla Dea Cibele e dalla Dea Artemide, chiamata "Mater Magna" dai Romani, quindi
adattato al nuovo Credo. In particolare il culto popolare di Artemide era rappresentato ad
Efeso da un imponente Tempio dedicato alla Dea, e in tal modo fu soppresso
definitivamente.
Altra conferma della variazione nella dottrina cristiana precedente, voluta dagli Imperatori
cattolici e sancita nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., la ritroviamo nella "Lettera ai
Romani" di Paolo. Scorrendo l'epistola, risulta che Paolo di Tarso saluta le trenta
personalit pi note della Chiesa di Roma ma non cita il nome del "collega" Pietro, che ne
era il capo. Gli scribi di Dio, redassero le "Lettere di Paolo" a suo nome prima di sapere
che la religione cattolica venisse"trasmessa da Dio a Pietro apostolo" ed imposta in tutto
l'Impero Romano con l'Editto di Tessalonica del 380 d.C.
Quattro secoli dopo il Concilio di Efeso, il Patriarca di Costantinopoli, Niceforo I (758-828),
possedeva ancora la copia di un vangelo di Matteo in aramaico e ne confront la
lunghezza con il Matteo canonico, di conseguenza scrisse che nel primo risultarono 300
righe in meno. L'osservazione fatta dal Metropolita nella sua "Sticometria", riguardo
la mancata genealogia del Salvatore dimostra l'assenza della nascita verginale nel
vangelo primitivo di Matteo, non ancora inventata ma successivamente introdotta
insieme alla Eucaristia (in quanto entrambi culti pagani) nell'originale Messia ebraico. Ci
spiega perch gli Ebrei cristiani (messianisti), e le rispettive sette dei Nazirei e degli
Ebioniti (i Poveri) non riconoscevano i vangeli canonici.
Oltretutto, a riprova delle modifiche apportate ai documenti neotestamentari primitivi,
rispetto a quelli canonici fatti giungere sino a noi, doveroso ricordare l'ignoranza da parte
di san Paolo (morto nel 67 d.C.) concernente il martirio di Giacomo il Minore morto nel 62
d.C. (vedi apposito III studio); una disinformazione condivisa da san Giovanni (morto nel
104 d.C.) e da tutti i discepoli e successori del Salvatore, Padri apostolici ed apologisti.
Tutto ci conferma quanto abbiamo precisato all'inizio di questa analisi ben sapendo che
la falsificazione del martirio di Giacomo il Minore - nella cronaca del Sinedrio di Antichit
Giudaiche di Giuseppe Flavio - stata eseguita nei Codici redatti dagli amanuensi
dall'undicesimo secolo in poi.

Dopo queste semplici constatazioni una forzatura insensata dare per scontato che i
vangeli canonici attuali corrispondono a quelli originali sin dal primo secolo, di
conseguenza il francobollo-frammento "7Q5" (cm. 3x4) ed il frammento di Rylands "P52"
(cm. 6x9) non contengono alcun elemento significativo, n storico, n letterario. Ma il fatto
che gli studiosi spiritualisti azzardino arbitrariamente elaborazioni "sticometriche" per
abbinarle ai vangeli canonici dimostra soltanto che non hanno alcuna prova che attesti
l'esistenza di questi "sacri testi" nei primi due secoli. "Sticometria" era il termine usato per
indicare la misurazione del numero delle righe di un manoscritto, esattamente come il
lavoro appena riferito del Patriarca Niceforo di Costantinopoli. Ciononostante, dopo aver
alterato e dilatato il significato di "sticometria" fino all'assurdo con preciso intento falsario, i
paleografi credenti evidenziano alcune lettere o sillabe dell'alfabeto greco - rinvenute in un
antico frammento di papiro, datato a loro convenienza, e spacciato come l'intero vangelo -
per poi "adattarle" e interpolarle con arroganza dove fa loro pi comodo, fino al plagio
letterario ... pur di indottrinare gli sprovveduti.
In ogni caso ci che pi conta, allo scopo di far luce sulle vicende reali, sono i dati
importanti che ritroviamo solo nella documentazione neotestamentaria canonica,
diversamente da quella apocrifa. Eventi avvalorati appositamente dagli amanuensi grazie
alla storiografia prelevata dagli Archivi di Stato (dove erano conservati i rotoli allora intatti
dei cronisti imperiali del primo secolo), dopo che il Cattolicesimo, nel quarto secolo,
conquist il potere assoluto a discapito delle altre correnti cristiane che furono eliminate
unitamente agli altri credi.
Lo scopo fu di rendere veritieri gli eroi del Cristianesimo primitivo facendoli interagire con
personaggi reali e famosi operanti nell'Impero sin dall'avvento del Salvatore. Cos furono
comprovate le biografie dei Santi con informazioni storiche basilari, tali, che ci hanno
permesso di individuare e datare gli eventi, esattamente come abbiamo operato conla
patrologia riguardante gli apostoli e tutti i "successori di Cristo". Gli stessi elementi che,
osservati attraverso precise analisi pubblicate nel presente sito, ci hanno consentito di
provare l'inesistenza dei personaggi mitologici, creati dagli evangelisti a supporto della loro
religione, ad iniziare dal mito del Redentore Universale.

Emilio Salsi
La descrizione di Nazaret nei vangeli non corrisponde alla citt attuale, ma a Gmala

Nazareth Gmala ()

Dalla comparazione dei personaggi evidenziati da san Luca, attraverso il discorso di


Gamalile, con quelli riferiti da Giuseppe Flavio in Antichit XX 97/102, si dimostrato nel
I studio che Theudas non era un nome di persona nel I secolo ma, un attributo
religioso nazionalista, Luce di Dio (Uriel in ebraico), che si confer un sedicente Profeta,
famoso tra i Giudei subito dopo la morte di Cristo. Ne consegue che la notizia, passata
ai posteri dallo storico, stata censurata nel nome, nel patronimico e nel movente allo
scopo di impedire lidentificazione con lApostolo Thaddaeus o Taddaios, chiamato da
Luca Giuda, e lui stesso dichiaratosi "fratello di Giacomo" nella propria "Lettera
di Giuda" (1,1).
Il nome dellApostolo Thaddaeus o Taddaios (Taddeo in italiano), inesistente sia in
latino che in greco del I secolo, una parola senza senso a comprova che gli scribi
cristiani eseguirono una traduzione volutamente fuorviante dai vangeli gnostici primitivi in
quelli di Marco e Matteo, mentre in Luca viene sostituito con Giuda.
Rileviamo che fra i tanti nomi possibili di padri, in quanto citati obbligatoriamente nella
tradizione giudaica, lunico patronimico che avrebbe avuto motivo per essere censurato
dalla dottrina cristiana sarebbe stato quello di Giuda il Galileo, come realmente avvenne
... e la ragione stiamo per scoprirla.
Il nome "Giuda" fu tolto dallepisodio del Profeta perch sarebbe stato troppo evidente e
logico, da parte degli storici, sovrapporre i nomi
di Giacomo, Simone e Giuda detto Theudas (non il contraffatto "Thaddaeus"), con
i nomi di tre fratelli di Ges, per poi indirizzare la ricerca su "Giuseppe", il quarto ed
ultimo Suo fratello (vedi XV analisi).
Non doveva risultare che, nei paragrafi dal 97 al 102 del XX Libro di Antichit Giudaiche,
lo storico ebreo rifer delluccisione di tre famosi giudei rivoluzionari i cui nomi
corrispondevano a tre fratelli di Cristo.

Dopo aver dimostrato, con analisi specifiche, che gli Apostoli non furono arrestati da
alcun Sinedrio in quanto mai esistiti, ad iniziare dai santi Pietro e Paolo di Tarso, per finire
con Giacomo il Minore;
- individuato e provato le falsificazioni introdotte dai fondatori della nuova dottrina per
dare credibilit a personaggi "apostoli" con il mandato di testimoniare lesistenza di Ges
Cristo e il Suo Credo;
- che lo stesso Salvatore Messia attestato da una documentazione contraddittoria e
puerile, a partire da due Nativit evangeliche, totalmente diverse tra loro, a comprova
che furono inventati il pap di Ges, san Giuseppe, e la madre, Maria SS. Vergine (vedi
argomento specifico);
- rilevato, nell'apposito XIII studio, che Jesha (Ges-Salvatore) e Messia (Cristo)
per gli scribi "evangelisti" non erano nomi ma attributi divini;
- assodato (nel X argomento) che "Antichit Giudaiche" di Giuseppe Flavio, Atti degli
Apostoli e "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea, riportano tutti la falsificazione
della datazione di una grave carestia che afflisse i Giudei nel 35 e 36 d.C. Carestia che
scaten la rivolta ebraica a Gerusalemme mentre Roma era alle prese con Artabano III,
Re dei Parti, per il dominio sullArmenia: una falsificazione vitale per la nuova dottrina
cristiana che riform il messianismo giudaico, primo testimone delle gesta dei veri
protagonisti;
- constatato, attraverso le analisi riferite, che i vangeli originali vennero modificati in
quelli "canonici" e, come gli Atti degli Apostoli, furono poi trascritti da persone che non
risiedevano in Giudea (vedi VIII studio) ma si basarono, principalmente, sulle opere di
Giuseppe Flavio per "comprovare storicamente la dottrina come la conosciamo oggi,
dopo aver distrutto i vangeli primitivi gnostici in quanto diversi nella raffigurazione della
nuova divinit.

Prima di scoprire, con lausilio della storia, chi era il quarto fratello Giuseppe e quale
fosse il vero nome di Ges, dobbligo evidenziare lattinenza fra Giuda il Galileo e i suoi
figli, con i fratelli di Ges.
La correlazione costituita dalla citt di Gmala, conosciuta dagli storici dell'epoca come
roccaforte giudaica del patriottismo integralista antiromano e ... patria di Giuda il Galileo, i
cui figli, lo abbiamo dimostrato con gli studi gi pubblicati, avevano lo stesso nome dei
fratelli di "Cristo". Ovvero: Gmala sta ai figli di Giuda il Galileo, come Nazaret sta a
Ges e ai suoi fratelli ... tutti capi degli Zeloti, alla stregua del loro padre.

Durante il processo di adattamento dottrinale, i Padri fondatori decisero di custodire la


verit storica della loro fede, ormai divenuta leggendaria per una parte di
Ebrei, ma effettivamente credibile in quanto scaturita da una vicissitudine che coinvolse
famosi patrioti Zeloti. Successivamente, con levoluzione politica dei tempi, gli scribi
cristiani decisero di modificarne l'autenticit per nascondere il reale scopo nazionalista dei
protagonisti iniziali, assieme al nome della citt da cui provenivano. Questo fu il peccato
originale della nascente religione cristiano gesuita che, oggi, si trasformato in un
peccato mortale, perch la storia, con laiuto dellarcheologia, a volte anche per caso,
in grado di riappropriarsi della verit scoprendo le falsificazioni sino a mettere in crisi la
stessa dottrina.
Allora soffermiamoci sulla citt di Giuda, un fariseo rivoluzionario, Dottore della Legge e
capo Zelota come i suoi figli,prosecutori della irriducibile lotta patriottica e veri mrtiri
israeliti ... prima di essere mitizzati nei vangeli:

Ma un certo Giuda, un Gaulanita della citt chiamata Gmala, che aveva avuto laiuto di
Saddoc, un fariseo, si gett nel partito della ribellione ... (Ant. XVIII 4).

Gmala
Premessa. Essendo posizionata al di sopra di un monte con il profilo di una "gobba",
come un cammello, i gamalitani chiamarono la loro citt "Gmala", non "Gamla". Lo
storico Giuseppe F. spiega che il nome era pronunciato in un gergo aramaico errato (era
una enclave ebraica confinante con la Siria), tuttavia lo scriba giudeo ha sempre
mantenuto la dizione originale, voluta da quel popolo, quindi ha continuato a chiamarla
"" "Gmala". Ed quello che facciamo anche noi, nel rispetto della memoria di
coloro che lottarono, fino all'estremo sacrificio, pur di non sottomettersi al dominio di una
potenza straniera.

La citt di Gmala, per le sue difese naturali, era imprendibile, cinta di mura e rafforzata
si affacciava a mezzogiorno, e la sua sommit meridionale, elevandosi a smisurata
altezza, formava la rocca della citt, sotto cui un dirupo privo di mura piombava in
un profondissimo burrone ... allora i Giudei, stretti da ogni parte e disperando di
salvarsi, si gettarono con le mogli e i figli nel precipizio che era stato scavato a
grandissima profondit sotto la rocca. (Bellum IV 8;79).

Gmala era una antica citt ebraica, gi fortezza macedone (Ant. XIII 394) conquistata
nell'81 a.C. dal Re asmoneo Alessandro Ianneo, le cui rovine furono scoperte in modo
fortuito ed inaspettato nel 1967, riconosciuta ufficialmente dagli archeologi nel 1976, unica
citt di tutta la Palestina ad essere stata costruita sopra un monte, nel Golan inferiore
(Gaulanitide), a nord est del lago di Tiberiade (o Genezareth), importante per la storia
giudaica fin dal secolo precedente a Cristo. Venne attaccata nellautunno del 66 d.C.,
invano per sette mesi, dalle truppe di Re Agrippa II, e verr finalmente distrutta dopo altri
sei mesi di assedio, grazie allintervento di tre legioni romane agli ordini di Vespasiano e
Tito. Teatro di una battaglia sanguinosa che caus migliaia di morti fra la popolazione, di
cui, secondo quanto riferito da Giuseppe Flavio, pi della met suicidi, gettatisi in un
precipizio con donne e bambini, pur di sottrarsi a stupri e schiavit. Questa citt, chiamata
"Gmala", posizionata su di un monte, vicina a Bethsaida (la citt dove nacquero e
vissero gli apostoli Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo il Minore e Filippo era
sottostante a Gmala), nei pressi del lago, resa famosa dalla storia e comprovata dalla
archeologia ignorata dai vangeli.

Ges Cristo percorse, in lungo e in largo, la Palestina; ha navigato e passeggiato


sulle acque del lago di Tiberiade, ha fatto miracoli e discorsi in citt e villaggi molto meno
importanti, eppure, nella vicina Gmala ... non si rec mai: la ignorava!
Gmala era limitrofa alla Galilea e la pi celebrata fra le citt giudaiche del territorio in cui
Cristo, negli anni del suo ministero, visse e frequent assieme agli apostoli ebrei. Peraltro
Gmala era dotata di una sinagoga, la casa di preghiera dove si riunivano gli abitanti della
regione per praticare le liturgie del loro culto ma ... il Messia Ges, diversamente dalle
altre sinagohe, la evitava scrupolosamente. Cos come la evitava il geniale Apostolo, da
Lui nominato post mortem, Saulo Paolo, il quale, ligio alle "consegne" ricevute dal
Maestro al momento della folgorazione, doveva visitare tutte le sinagoghe tranne quella
di Gmala. In questa citt Paolo non era in grado di fare proselitismo per la salvezza delle
anime, n miracoli da lasciare in ricordo ai cronisti evangelici. Lo stesso dicasi per gli
apostoli, Simone Pietro, Giacomo, Giovanni "il discepolo prediletto" e Giovanni detto
anche Marco, nonch i membri al completo della prima comunit cristiana, i quali, in
timorato adempimento agli ordini ricevuti dal Maestro, nessuno di loro poteva recarsi a
Gmala ... ad iniziare dai cinque apostoli nati nella prossima Bethsaida.

Eppure la citt di Gmala era (ed ) vicina al lago di Tiberiade, sul ciglio del monte,
con un precipizio, Sinagoga, attivit produttive, sembra ... anzi la descrizione
della Nazaret dei vangeli.

Le rovine di Gmala

http://www.biblewalks.com/Sites/Gamla.html

Cliccando su "Ancient Gamla" della prima mappa image, in alto a destra della foto si pu
vedere il "mare di Galilea" (lago di Tiberiade), altrove sono visibili i resti della Sinagoga,
vasche per le abluzioni rituali e parte delle mura. Pur essendo i lavori di scavo eseguiti
solo parzialmente, fra i reperti rinvenuti sono presenti macine di pietra per frantoi e, fatto
che ne evidenzia una relativa autonomia dall'Impero, risultano monete esclusive ebraiche
coniate entro il 64 d.C. (non da reggenti erodiani o governatori romani) con impresso "Per
la salvezza della Santa Gerusalemme"; cio fino a poco prima della distruzione totale
avvenuta nel 67 d.C. Storia e archeologia la identificano come imprendibile citt zelota.
Per una visione pi completa basta cliccare sul link appena riferito.

Carta della Palestina nel I secolo


Vangelo di Luca.
L'evangelista ci informa che Ges abitava nella citt di Nazaret in Galilea nei seguenti
brani: Lc 1,26; 2,4; 2,39.
Cos in Matteo: " ... and ad abitare in una citt chiamata Nazaret" (Mt 2,23; 21,11);
anche in "Atti degli Apostoli" (10,38).
Vangelo di Marco:
"Ges venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da
Giovanni (Battista)." (Mc 1,9).
Vangelo di Giovanni:
" ... Questo (il battesimo di Ges) avvenne a Betania, al di l del Giordano, dove Giovanni
stava battezzando" (Gv 1,28) ... Il giorno dopo Giovanni stava ancora l con due suoi
discepoli e, fissando Ges che passava disse: Ecco l'agnello di Dio. E i suoi discepoli,
sentendolo parlare cos, seguirono Ges. Ges, vedendo che lo seguivano disse: Che
cercate?. Gli risposero: Rabb (che significa maestro), dove abiti? Disse loro: Venite e
vedrete. Andarono dunque e videro dove abitava (Marco ha indicato Nazaret) e quel
giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio" (Gv 1,35-39) ... Il
giorno dopo Ges aveva stabilito di partire per la Galilea ..." (Gv 1,43).
Sappiamo che Cristo faceva miracoli, quindi niente di strano che da Betania, dove fu
battezzato, si sia recato a Nazaret come un fulmine, coprendo una distanza di oltre 150
km. Ma che un Dio, svegliatosi al mattino nella sua casa a Nazaret, decida di trasferirsi in
Galilea, ignorando di trovarsi gi in Galilea ... b, il grave equivoco non giustificabile,
quindi proseguiamo nella lettura dei "testi sacri" per approfondire e verificare. Leggiamo
cosa dice Matteo:
"Avendo saputo che Giovanni (Battista) era stato arrestato, Ges si ritir nella Galilea (fino
allora Ges non era in Galilea) e,lasciata Nazaret (pertanto "questa" Nazaret non era in
Galilea), venne ad abitare a Cafrnao (finalmente in Galilea)." (Mt 4,13).
La presenza di Cristo a Nazaret, quando fu arrestato il Battista, confermata pi avanti
nello stesso vangelo:
"Terminate queste parabole, Ges part di l e venuto nella sua patria (Nazaret - Mt
13,54) insegnava nella loro sinagoga ... Erode aveva arrestato Giovanni (Battista) ..." (Mt
14,3).
Venuta intanto la sera, i suoi discepoli sono scesi al mare (lago di Tiberiade) e, saliti in
una barca, avanzavano versol'altra riva in direzione di Cafrnao (Gv 6,16-17).

Notiamo sulla mappa che "l'altra riva", dirimpetto a Cafrnao dove si stanno dirigendo i
discepoli, era sottostante la montagna di Gmala, quindi procediamo:

Si rec a Nazaret, dove era stato allevato; ed entr, come solito, di sabato
nella Sinagoga e si alz a leggerealludire queste cose, tutti nella Sinagoga furono
pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della citt e lo condussero fin sul ciglio
del monte sul quale la loro citt era situata, per gettarlo gi dal precipizio. Ma egli,
passando in mezzo a loro, se ne and. Poi discese a Cafrnao (Lc 4,16-28/31).

Discese a Cafrnao (a nord ovest del lago). Questa frase conserva un senso logico
soltanto se la discesa parte daGmala, unica citt di tutta la Palestina situata su di un
monte ed esattamente sovrastante Cafrnao, da cui dista 12 Km. La descrizione letta
non pu riferirsi alla Nazaret pianeggiante odierna (vedi foto sotto), la quale dista da
Cafrnao 32 Km in linea retta (ma oltre 45 reali) e non sovrastante ad essa, non
posizionata sopra alcun monte, senza un precipizio a ridosso, n vicina al
lago. Infatti, anche in Matteo leggiamo:
Quando Ges fu sceso dal monte, molta folla lo seguivaEntrato in Cafrnao (Mt
8,1-5);
lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafrnao, presso il mare (lago), nel territorio di
Zbulon e di Nftali, al di l del Giordano (Mt 4,13/15).
Per recarsi da Nazaret a Cafrnao non bisogna attraversare il Giordano ma, se si
parte da Gmala, si costretti ad attraversare il Giordano; basta guardare la carta
geografica. Accade anche in Matteo 19,1:
Terminati questi discorsi, Ges part dalla Galilea e and nel territorio della Giudea, al di
l del Giordano.

Per recarsi dalla Galilea alla Giudea, entrambe al di qua (ad ovest del Giordano), non si
deve attraversare il fiume; ma, se si parte da Gmala, il territorio della Giudea "al di l
del Giordano". Verificare sulla carta geografica.
Secondo levangelista "Giovanni detto anche Marco":
Ges intanto si ritir presso il mare (lago di Tiberiade) con i suoi discepolisal poi
sulla montagna, chiam a s quelli che egli volleentr in una casa e si radun attorno
a lui molta folla (l'elevato numero di abitanti denota una citt su di un monte) allora i
suoi, sentito questo, uscirono (dalla casa in cui abitavano sulla montagna) per andare a
prenderlogiunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a
chiamare...Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. (Mc 3,7/31).
La repentinit e la frequenza degli spostamenti di Cristo, fra monte e "mare", dimostrano
l'esitenza di una citt di montagna, ove abitava Ges, vicina al lago di Tiberiade.
L'esposizione dei vangeli indica che la Sacra Famiglia abitava in una citt situata sul
monte (Lc 4,29) quindi non poteva essere lattuale Nazaret, sita in una valle lievemente
ondulata al di qua del Giordano, ma Gmala, al di l del Giordano rispetto alla
Galilea.
Al contrario di Gmala, la citt di "Nazaret" totalmente sconosciuta dalla storia sino al III,
IV secolo dopo Cristo. La Nazaret che conosciamo, mta di pellegrini e culto dei cristiani di
tutto il mondo da oltre 1500 anni, non ha nulla a che vedere con la "citt" dei Vangeli. In
base alle descrizioni degli evangelisti, Nazaret era una citt, sopra un monte, con
la sinagoga, molte case, vicina al lago, (dista 24 Km in linea d'aria dal lago, oltre 35 di
strada) ed un precipizio, dove gli abitanti avrebbero voluto gettarvi Ges niente: non
esiste nulla che si riferisca ai Vangeli.
Storia, geografia, archeologia: mancano i tre requisiti fondamentale e tutti insieme
indispensabili, per dimostrare lesistenza di Nazaret al tempo di Cristo. E stata sondata
nel sottosuolo e studiata con le apparecchiature pi moderne, ma tutto ci che venuto
fuori, di veramente databile al I secolo, solo qualche cripta tombale scavata nella roccia
(qualche buco), per il resto solo ipotesi fideistiche irrazionali, da scoop
mediatico, tutt'altro che archeologia comprovata.
Ripetiamo: nel I secolo della nostra era dove oggi esiste Nazaret, secondo i Vangeli, l
avrebbe dovuto esistere unaCITTA con numero di abitanti adeguato e attivit economiche
tali che giustificassero anche la presenza di una laboriosa, quindi
dispendiosa, SINAGOGA, la quale, come la citt, era situata al di sopra di un MONTE con
PRECIPIZIO, e vicina al LAGO. Negli stessi Vangeli i villaggi sono indicati con vocaboli
distinti da citt.
Lesistenza di una Sinagoga comportava la presenza di sacerdoti che dovevano essere
mantenuti con i loro privilegi - insieme alla struttura e ad una organizzazione ad essa
funzionale - da una popolazione con un numero di abitanti compatibile a quello di una citt
o un grande agglomerato urbano.

La Nazaret creata dopo Ges

Diversamente da Gmala, Nazaret non posizionata su di un monte, bens adagiata in


un territorio leggermente ondulato, non ha precipizio, non vicina al lago, non esistono
resti in pietra di alcuna sinagoga risalente al I secolo ... tanto meno barche vicine. Gli
edifici pi antichi riferiti alla vita di Cristo, ammirati dai pellegrini in devota
contemplazione, come la "Casa-Chiesa di Maria", risalgono al peridodo bizantino. E
facile capirne il motivo: li fecero apposta, gradualmente nel tempo, anche durante le
crociate cristiane ... ovviamente in Galilea, come dettato dal vangelo di Marco (Mc 1,9).
La Chiesa, da quando giunse al potere nel IV secolo, ha sempre saputo che, all'epoca
di Cristo, l'unica citt della Palestina costruita al di sopra di un monte era Gmala,
cos come era consapevole del vuoto storico del nome e della citt di Nazaret; pertanto
ha cercato una giustificazione addirittura contraddicendo i vangeli e, nel V secolo,san
Girolamo la ha declassata da "citt" a villaggio perch, come tale, essendo piccolo e
insignificante, sarebbe passato inosservato agli storici e ai geografi del I secolo, spiegando
cos il loro silenzio.
Poich il sotterfugio servito solo a confermare che la citt di Nazaret non mai esistita,
allora, archeologi, papirologi e paleografi moderni, tutti filo clericali, si sono messi a
spulciare fra decine di migliaia di frammenti di papiro (compresi quelli di Qumran), cocci di
vasi o ceramiche, sparsi in tutta la Palestina e, finalmente, nel 1961, a Cesarea
Marittima, tra le vestigia di una antica sinagoga ebraica, venne ritrovato un rottame di
pietra, grande quanto una mano, riportante una epigrafe sulla quale, fra le altre parole, ne
risulta una incompleta con la scritta in ebraico nzrt. Ma, dopo una iniziale grancassa
mediatica, rendendosi conto che quattro lettere, in ebraico (era la lingua adottata dagli
Ebrei nei documenti religiosi della sinagoga) anzich in aramaico (lingua in uso), scritte
su di un reperto trovato in una citt diversa lontana oltre 60 km da Nazaret - al di l
degli ipotetici significati che un palegrafo possa loro attribuire (virgulto, verit o altri) -
non rappresenta una dimostrazione riferibile alla citt di Nazaret; ne consegue che, tranne
qualche ipocrita spiritualista, nessun'altro considera prova questo ritrovamento.
Al contrario, le macchinazioni evidenziano linconsistenza di riscontri su una citt
chiamata Nazarethantecedente e durante il I secolo della nostra era, sino al punto
da rendere superflua la datazione di questo piccolo reperto insignificante, datazione che,
comunque, i clericali, pur forzandone la stima, non sono riusciti ad abbassare a prima del
terzo secolo d.C.
Il primo cristiano a citare "Nazaret" fu Eusebio di Cesarea (HEc I 7,14) ma, per rendere
credibile la sua narrazione, si richiam a "Giulio Africano" (170-240 d.C.), un presunto
storico allievo di Orgene Adamanzio e nativo di Gerusalemme. Nella sua opera
"Cronografia" (dalla creazione dell'uomo alla nascita di Ges), mai vista n letta da
nessuno prima di Eusebio, G. Africano avrebbe nominato "Nazaret" e spiegato anche
l'errore del nome del nonno di Cristo, poich i vangeli di Luca e Matteo ne riportano due
diversi. Accenni alla "Cronografia" di G. Africano pervengono solo dai "frammenti" riportati
da Eusebio, che verranno ripresi, secoli dopo di questi, dal monaco Giorgio Sincello (inizi
IX secolo) e dal bizantino Georgios Kedrenos nell'XI secolo.
Non ci vuole un grande intelletto per capire come la deposizione di Eusebio, risalente agli
inizi del IV secolo, dimostri chea tutto il III secolo d.C. la citt di Nazaret era
inesistente ... e l'archeologia lo comprova. Gli scavi eseguiti in epoca moderna hanno
scoperto che la zona era abitata sin dal paleolitico, e molto fertile come tutta la Galilea;
quindi, durante il periodo ellenistico e romano, gli indigeni ebrei vi costruirono alcune
abitazioni, ma senza giungere a creare neanche un piccolo villaggio, tantomeno chiamato
"Nazaret". Fatto questo che pot verificarsi soltanto nel V secolo, di seguito in et
bizantina e, come acclarato, con evidenti motivazioni ideologiche.

Il nome di Nazaret e la rispettiva citt era talmente inesistente che, dopo la morte di
Ges, gli stessi Apostoli, discepoli e Padri Apostolici, inspiegabilmente, nessuno di loro
(come per Gmala) sent il bisogno di recarsi alla sua Sinagoga ... almeno per lasciare ai
Nazaretani qualche miracolo in ricordo e magari convertirli al Credo della salvezza: niente.
La "tradizione" ecclesiastica ha inventato tre parenti di Cristo "legati al Signore da vincoli
di carne" come Suoi successori in qualit di Vescovi di Gerusalemme: il
fratello Giacomo, il fratellastro Simone e infine Giuda Giusto suo nipote; ma nessuno di
loro ha mai pensato di fare qualche breve pellegrinaggio a Nazaret, la citt di Ges, in Sua
adorata memoria assieme a quella della Beatissima Super Vergine Maria.
Subito dopo la resurrezione del Salvatore, san Pietro, san Giacomo, san Matteo, san
Giovanni e l'intera squadra apostolica al completo, si recarono sotto il portico di Salomone
(a fianco del Tempio) ove strabiliarono le folle di Gerusalemme, come quelle accorse dalle
citt vicine. Guarirono tutti da ogni malattia (At 5,12-16) ... senza mai preoccuparsi di
organizzare gite "fuori porta" di fedeli in quel di Nazaret.
Nessuna citt di nome "Nazaret" viene citata dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, mai
nell'Antico Testamento, mai nel Talmud. I pellegrini iniziarono a visitare Nazaret dopo che
il Cristianesimo si dimostr vincente sugli altri Credi, ma nessun "pellegrinaggio" venne
eseguito nella citt della "Sacra Famiglia" da parte dei "cristiani arcaici".
Durante i primi tre secoli di cristianizzazione delle Province dellImpero, a partire dagli
apostoli, Nazaret fu ignorata da tutti i Santi eroi, Profeti, discepoli e credenti. In
nessuna delle tredici lettere Paolo accenna a Nazaret e lo stesso vale per le sette lettere
canoniche degli apostoli.
I Padri Apostolici e, ancor prima di loro, san Pietro, san Paolo, san Giacomo e san
Barnaba, bench questi ultimi guidati nei loro "Atti degli Apostoli" dallo Spirito di Ges e
dallo Spirito Santo, non furono mai diretti da Dio verso Nazaret come se quella citt
non fosse mai esistita, o meglio: Nazaret esistita solo per Ges e la Sacra
Famiglia.

Alla ricerca del "Precipizio Perduto" di Cristo

Per quanto concerne l'inesistenza della sinagoga di Nazaret, gli studiosi chiesastici
affermano che in epoca bizantina i cristiani realizzarono la prima
chiesa dell'Annunciazione esattamente al di sopra della sinagoga abitualmente
frequentata da Ges e chi non crede a questo dogma andr all'inferno.
Stessa fine sar riservata a coloro che non riconoscono la datazione canonica - fissata dal
Clero al primo secolo d.C. - dei simboli lasciati dai cristiani nei "luoghi sacri di Nazaret", in
realt eseguiti ad iniziare dal IV secolo in poi.
Un problema ancora pi grave costituito dalla mancanza del monte e del relativo
burrone nel quale i Nazaretani intendevano precipitare il Cristo. Le indicazioni di Luca
sono talmente precise da non poter essere "dribblate" con ipotesi ridicole come nel caso
della sinagoga "sepolta" sotto la chiesa dell'Annunciazione.
Da circa due secoli, molti ricercatori ecclesiastici, esperti della Terra Santa, si sono recati
in missione a Nazaret per tentare di risolvere la complicanza evangelica inutilmente. Ma
evitiamo di tediare i lettori mostrando la numerosa lista con i nominativi degli specialisti
che si sono cimentati a svelare l'impossibile enigma, dal momento che ognuno di loro ha
individuavato "burroni" profondi pochi metri ed ubicati in posti diversi, nessuno dei quali
compatibile con la descrizione di Luca, da cui risulta che monte e precipizio sono
inseparabili dalla citt di Nazaret. Quindi, per tutti, citiamo la "punta di diamante"
dell'archeologia biblica rappresentata dalla "Custodia Terrae Sanctae" dei frati
francescani.
Nel 2009, Benedetto XVI si recato a Nazaret e sul "Monte del Precipizio" ha celebrato
la messa. Il nome arabo della collina "Jebel el-Qaftze" e la prova "inconfutabile" che si
tratti proprio del "Monte di Cristo" fondata sulla "tradizione medievale" (sic!). Cliccare
e leggere cosa dicono i frati archeologi:

http://www.nazaret-it.custodia.org/default.asp?id=5712

Il monte consiste in una altura distante oltre due km a sud di Nazaret ed i frati ne
indicano l'altezza di 397 m dal livello del mare, ma evitano di specificare che la quota non
indica lo "spread" (differenza) rapportato al terreno naturale circostante. Ad esempio, la
basilica dell'Annunciazione a 350 mt sul livello del mare.
Soprattutto, non vengono esibite le foto dettagliate del "Precipizio" e, l'aspetto "buffo"
costituito dal filmato ( in rete) di papa Benedetto che tiene messa davanti a migliaia di
fedeli ed alle telecamere di tutto il mondo senza che nessuno, ad iniziare dai giornalisti
e dagli operatori dei mass media, si chieda dove sia finito "il monte sul quale la citt di
Nazaret era situata", cos come descritto dall'evangelista Luca, n che fine abbia fatto il
"Precipizio".
Inoltre, tutti gli esegeti credenti fingono di ignorare che in base alla legge di Roma, in
Galilea, all'epoca di Ges, l'unico ad avere il diritto di uccidere, concesso dall'Imperatore
Tiberio, era Erode il Tetrarca. Quindi da sciocchi immaginare, stando allo scriba lucano,
che una struttura ufficialmente legittimata, come la sinagoga, e diretta da Dottori della
Legge responsabili dell'operato dei suoi membri, questi ultimi abbiano potuto
impunemente trascinare un uomo per oltre due chilometri (il fatto grottesco di per se
stesso) allo scopo di scaraventarlo in un burrone. Un potere di uccidere che Roma non
delegava nemmeno al Sinedrio.
Il movente che ha spinto l'amanuense evangelista ad inventarsi la scena del precipizio
stato dettato dalla pura dottrina, ma in contrasto al diritto romano. Come abbiamo
verificato alla fine del VI studio, i vangeli canonici furono scritti nel quarto secolo e
"autenticati" con le cronache riferite dagli scrittori imperiali del I secolo, facendo apparire
che i veri protagonisti, uomini famosi, interagirono con i mrtiri cristiani primitivi. "Luca"
aveva letto i rotoli della "Guerra Giudaica" di Giuseppe Flavio ed appreso del suicidio di
massa degli abitanti di Gmala, ne rimase colpito, e volle dimostrare che, a differenza dei
Giudei, il Salvatore universale non poteva fare la loro fine stramazzato in un burrone,
pertanto "... ma Egli, passando in mezzo a loro, se ne and".
S, la ricerca del "Precipizio Perduto" di Cristo enormemente pi complicata di quella
dell'Arca dell'Alleanza.
E' Gmala la "Nazaret" dei vangeli: la patria di Giuda il Galileo e dei suoi figli
E l'unica citt di tutta la Palestina edificata sulla cima di un monte, ha un precipizio,
la sinagoga, a 9 Km dal lago, con case ed attivit produttive agripastorali, frantoi, tutto
testimoniato da resti archeologici risalenti al tempo di Cristo, conosciuta anche da
Svetonio come una citt dei Giudei importantissima (Tito 4). Geografia, storia,
archeologia: tutto concorda con le descrizioni evangeliche. Giuseppe Flavio, nel suo
impegno letterario incentrato sulla Palestina del I secolo, con scrupolosit estrema, cita e
descrive alcune centinaia di villaggi e tutte le citt della sua terra; eppure gli si avvicina
quando nomina Giaffa, un piccolo villaggio limitrofo alla odierna Nazaret, ma circa
Nazaret, che secondo i Vangeli era una citt con tanto di sinagoga, l'edificio destinato al
culto ebraico, lo storico giudeo ne ignora l'esistenza ... cos come sconosciuta all'Antico
Testamento. Nessuno storico e geografo dellepoca di Cristo, o antecedente, nomina
Nazaret.
Giuseppe Flavio chiarisce le specifiche di una polis: la citt corrispondeva ad un grado
che, oltre ad indicare un maggior numero di abitanti rispetto a un villaggio, richiedeva
essere fortificata (Ant. XVIII 28).

Il Vangelo di san Tommaso, manoscritto ritrovato nel 1945 (non manomesso) risalente al
IV secolo dice: una cittcostruita su unalto monte e fortificata non pu essere
presa n nascosta (Tm 32). In questo documento denunciato il tentativo di
nascondere una citt, la quale, se fosse stata Nazaret attuale, essa avrebbe dovuto
avere fortificazioni, infatti:

La citt di Gmala, per le sue difese naturali, era imprendibile, cinta di mura e
rafforzata (Bellum IV 9). Giuseppe Flavio, come sacerdote Comandante dellesercito
rivoluzionario della Galilea, su mandato del Sinedrio provvide a far ristrutturare le
fortificazioni, ad iniziare dalle mura, di tutte le citt della regione, nominandole una ad una,
ma riguardo Nazaret ... silenzio assoluto!

Dopo i successi ottenuti su Cestio Gallo (66 d.C.) racconter come i Giudei fortificarono
le citt, e con fedelt descriver per ogni citt i patimenti dei vinti (Bellum I 20/22).
"L'intera Galilea si trasform in un mare di fuoco e sangue, subendo ogni tipo di
sofferenza e rovina. Unica via di fuga, rimanevano le sole citt fortificate da
Giuseppe" (Bellum III 4,1).

Di Gmala e di tutte le altre citt, lo storico ne tramanda le sofferenze, mentre Nazaret,


non essendo nominata, fu lunica citt della Galilea che non soffr dal momento che non
esisteva ancora.
La tradizione ha fissato il domicilio della famiglia di Ges a Nazareth allo scopo di
spiegare cos il soprannome di Nazireo, in origine unito al nome di Ges Nazireo
certamente un nome di una setta senza rapporto con la citt di Nazareth ("La
naissance du Christianisme" Alfred Loisy, 1857-1940, sacerdote teologo e professore
universitario dellIstituto Cattolico di Parigi).
Nei vangeli non troviamo mai lespressione Ges di Nazareth ma soltanto Ges il
Nazoreo, talvolta scritto anche Nazoreno o Nazareno. Nessuno di questi appellativi,
per quanto si sia cercato di forzarne letimologia, pu farsi risalire ad un nome
come Nazareth. E da questi termini che derivato il nome della citt di Nazareth e non
viceversa. Il termine deriva invece dall'aramaico Nazir, che denota un uomo dalle lunghe
chiome consacrato con voto solenne alla pratica della purezza; in ebraico, questi devoti
erano chiamati Nozrim, cio Nazorei ("Breve storia delle religioni",1991: pag. 250 -
Ambrogio Donini, specializzato in greco ed aramaico, professore di Storia del
Cristianesimo all'Universit di Roma).
Michail Bulgakov, nella sua opera Il Maestro e Margherita, considerata da molti il miglior
romanzo russo del XX secolo, cos descrive linterrogatorio di Pilato a Ges:

Nome? - Yeshua - rispose rapido laccusato - Hai un soprannome? - Ha Nozri -


Di dove sei? - della citt di Gamala - rispose larrestato indicando con un
movimento della testa che laggi, lontano, alla sua destra, verso nord, esisteva una citt
chiamata GamalaDi che sangue sei? Non ricordo i miei genitori. Mi dicevano
chemio padre era siriano.

Lo scrittore ucraino (18911940) ha potuto immaginare questo colloquio soltanto grazie


agli studi condotti da suo padre, Afanasij Ivanovic Bulgakov - docente di Storia delle
Religioni presso l'Accademia Teologica di Kiev, in Ucraina, durante lepoca zarista
condizionata dal potere religioso cristiano ortodosso. Afanasij Ivanovic inform i familiari
sulle conclusioni delle sue ricerche ma mor nel 1906 dopo aver capito che la Nazaret
attuale non poteva essere la citt di Ges in quanto non costruita sopra di un monte,
senza precipizio n sinagoga; sapeva altres che i Vangeli contenevano unaltra
menzogna comprovata da quel Ha Nozri (il Nazireo): un titolo legato ad un voto ebraico,
incompatibile con la dottrina della salvezza eterna, pertanto gli evangelisti lo modificarono
in "Nazoreo", "Nazoreno" e "Nazareno", giustificandolo con la nascita a "Nazaret"
(approfondiamo questo aspetto nel XIII studio). Anche il richiamo al padre "siriano", pur
essendo un riferimento apparentemente indiretto, in realt molto preciso poich
collegato a Gmala, una citt che sappiamo era, ed ancora, ubicata in Gaulanitide,
nell'estremo sud della Siria.
E importante rilevare che questi ed altri studiosi giunsero a tali conclusioni molto prima
che venissero scoperti i resti della citt di Gmala. Ad essi va riconosciuto il merito di
avere compreso la verit storica senza lausilio dei nuovi dati archeologici, essenziali alla
ricerca critica.
Ges Nazaretano, non Nazareno (Nazoraios) avrebbe dovuto essere la forma corretta, o
meglio Betlemmita, in quanto, per i Vangeli, nativo di Betlemme.
Le forme Nazoraios, Nazarenos, Nazaraeus, Nazarene, provano tutte che gli scribi
ecclesiastici conoscevano lorigine della parola ed erano ben consapevoli che non era
derivata da Nazareth, ma da Nazir. Il nome storico e la posizione geografica della
citt natale di Cristo Gamala. Questa la patria del Nazireo. La montagna di Gamala
la montagna dellevangelista Luca. La montagna di tutti i Vangeli che ne parlano senza
nominarla ... Al contrario, gli abitanti di una citt chiamata Nazareth avrebbero dovuto
chiamarsi "Nazaretani" ("The Essene Origins of Christianity", 1980. Edmond B. Szekely,
ungherese, biblista e professore di greco e aramaico).
In quei giorni (dopo l'annuncio del concepimento a "Nazaret") Maria si mise in viaggio
verso la montagna e raggiunse in fretta una citt di Giuda (Lc 1,26/39).

Una citt di Giuda sopra la montagna, da raggiungere in fretta partendo dalla Nazaret
odierna, non ha alcun senso, n riscontro geografico, n storico. Nel I secolo non risulta
essere esistita in Galilea nessuna citt di Giuda al di sopra di una montagna, tanto meno
vicina a Nazaret.
Proviamo a cambiare larticolo indeterminativo e vediamo se la frase acquista un
significato:
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la citt di
Giuda il Galileo: Gmala!Ora si che ha un senso!
Una ragazza rimasta incinta fa un viaggio breve per recarsi dal suo uomo e il villaggio pi
vicino era Bethsaida, sul lago, proprio sotto Gmala, raggiungibile (in fretta), con un paio
dore di cammino al massimo, ovviamente senza attraversare il Giordano (controllare la
carta).
Ma allora, se Nazaret esistita solo per Ges e Gmala era la vera Nazaret, perch i
Vangeli canonici hanno mentito? Via! non diteci che non lo avete capito: era la citt di
Giuda il Galileo e dei suoi figli, i quali avevano lo stesso nome dei fratelli di
Ges: Giacomo, Simone, Giuda e Giuseppe ad essi, come verificheremo nel IX
studio, si aggiunger Giovanni, indicato nel Vangelo con costui senza il patronimico del
padre, Capo degli Zeloti:
Non costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Giuseppe, di Giuda e
di Simone? (Mc 6,3).

Gmala: un grave problema per la Chiesa e i suoi servili ebrei

Confutazione

Come abbiamo visto nella sesta analisi dedicata al "Testimonium Flavianum" (un brano
dedicato a Ges Cristo, incluso dagli amanuensi dall'XI secolo in poi in "Antichit
Giudaiche" di Giuseppe F.), sino agli anni '60 del secolo scorso era unanimemente
considerato un falso dalla critica, con inevitabile riflesso negativo sulla credibilit del mito
di Cristo.
Nel 1971, il prof. Shlomo Pins, dell'Universit Ebraica di Gerusalemme, pubblic una
nuova versione del TF - ripresa da un manoscritto in lingua araba redatto nel X secolo dal
Vescovo cristiano "Agapio di Hierapolis" - accompagnata da una analisi con la quale, pur
avvalendosi del condizionale, lo studioso dette per scontato che Giuseppe Flavio scrisse
effettivamente il TF, seppur in modo diverso da quello a noi pervenuto, quindi ammissibile
da un ebreo. Pins riusc, in tal modo (grazie alla grancassa mediatica), a risollevare le
sorti della divinit cristiana. Al contrario, attraverso la comparazione dei codici manoscritti
nel Medio Evo, riguardanti le testimonianze dei Padri della Chiesa, abbiamo dimostrato,
oltre ogni ragionevole dubbio, che il TF dello storico ebreo un falso creato nel IV secolo
dal Vescovo Eusebio di Cesarea, e da lui accreditato a Giuseppe F.

Nell'ultimo decennio, l'archeologo Shimon Gibson, gi Capo Dipartimento della "Israel


Antiquities Authority", scopre la "grotta di Giovanni Battista": un buco, scavato nella pietra
da monaci bizantini del VII secolo, con la raffigurazione del Battista evangelico. In seguito
Gibson riporta le sue fantasie nel libro destinato ai mistici spirituali e lo intitola nientemeno
che "The Cave of John the Baptist: The Stunning Archaeological Discovery that has
Redefined Christian History" (La grotta di Giovanni il Battista: La straordinaria scoperta
archeologica che ha ridefinito la Storia Cristiana). Proprio cos! Ma il fatto che la Storia,
come la testimonianza di Eusebio, accertino che il vero Giovanni Battista fu eliminato da
Erode Antipa tra la fine del 35 e gli inizi del 36 d.C., vale a dire pi di tre anni dopo la
presunta crocefissione di Ges, a Gibson non interessa tanto meno le valutazioni
conseguenti. Cos come non arriva a capire che le molteplici dislocazioni dei fonti
battesimali di Giovanni, create dai monaci bizantini dopo la fine dell'Impero Romano, gi
da sole dimostrano che sono frutto di fantasia.
Ancora Gibson, da frammenti di stoffa usati nel I secolo per avvolgere un cadavere in una
tomba - senza considerare che in quell'epoca violenta i cimiteri erano numerosi - ne ricava
la certezza che si tratta della "Sindone di Akeldam", il "campo di sangue" dove il vangelo
dice che si suicid "Giuda Iscariota".
Dopodich Gibson, come tocco finale, ha scritto un libro sull'archeologia gerosolimitana
del primo secolo The Final Days of Jesus: The Archaeological Evidence "Gli ultimi giorni
di Ges: le testimonianze archeologiche". Lo "scienziato" pone la ciliegina sulla torta dei
suoi studi quando, per dimostrare la storicit di Ges, dichiara che questi venne ucciso
perch era un "guaritore"; quindi, secondo Gibson, un Governatore imperiale romano
avrebbe sottoposto a supplizio un uomo in quanto "pranoterapeuta". Purtroppo, pseudo-
cultura storica e opportunismo religioso rappresentano un connubio letale per la
conoscenza.

Sappiamo tutti che gli studiosi ipocriti sono sempre esistiti. Pur di conseguire plauso e
tangibili guadagni si prestano a sottoscrivere sciocche ipotesi condizionando la formazione
dei giovani, i quali, inconsapevolmente, finiscono col convincersi che quanto viene loro
propinato sia la verit. I soliti noti "analisti spirituali", zelanti pennivendoli del sacro,
mentono sapendo di mentire; di conseguenza, in mancanza di una legge che contempli il
"reato di falsificazione della Storia", non resta che chiederci con quale coscienza queste
persone possano guardarsi allo specchio.

Il Dr. Danny Syon, membro dell'Israel Antiquities Authority (IAA), reputato fra i migliori
archeologi israeliani per aver diretto gli scavi della antica citt di Gmala, distrutta, quasi
due millenni fa, dalle legioni romane nel corso della guerra di liberazione intrapresa dai
Giudei contro l'Impero Romano dominante e, come noto, descritta dallo storico Giuseppe
Flavio.
Il ricercatore dell'IAA ha pubblicato numerosi studi concernenti i risultati dei lavori eseguiti
e tenuto conferenze in molte Universit e Musei famosi nel mondo, tuttavia, con
l'accrescere dei riconoscimenti pubblici aumentata di pari passo la propria autostima e
da qui la smania di mostrarsi, anche, quale storico capace di incantare il prossimo con
giudizi che esulano dai doveri strettamente professionali di ogni archeologo.
Senza attenersi a precisi riscontri e dati di fatto, D. Sion ha avuto la presunzione di
reinterpretare alcune risultanze storiche e geografiche delle vestigia, venute alla luce nella
citt di Gmala, contrastanti sia con il credo ebraico che con quello cristiano. D'altronde,
ormai chiaro a tutti, fama e conoscenza diventano proficue solo se asservite ai poteri
forti.

Le motivazioni sono evidenti e le riassumiamo in breve. Danny Sion consapevole che il


precipizio di Gmala costituisce un problema per la fede giudaica, la quale non ammette il
suicidio (in questo caso addirittura collettivo); inoltre sa che gli esegeti cristiani sono
estremamente imbarazzati per la esatta corrisponenza di questa citt (zelota per
eccellenza) con la descrizione riportata nei vangeli della Nazaret odierna, la quale,
effettivamente, risulta del tutto diversa da quella rappresentata dagli evangelisti. Le
affermazioni di Sion, intese a risolvere tali questioni, sono state "canonizzate" dal Gotha
dell'esegesi biblica cattolica, molto vigile nel salvaguardare la "Verit" del credo cristiano,
a qualunque costo e senza porsi alcuna remora nel demolire storia, archeologia ed
elementare logica.
Ecco come, richiamandosi a Danny Syon, tenta di screditare la corrispondenza fra Nazaret
e Gmala l'esegeta chiesastico, Gianluigi Bastia, nel suo studio aggiornato al 2009 (per
verificare copiare il link in Internet):

http://digilander.libero.it/Hard_Rain/Nazaret-Archeo.htm

"D. Syon ha fornito personalmente alcuni preziosi suggerimenti sulla geografia di


Gamla, tramite una corrispondenza e-mail intercorsa nel Giugno del 2007".

Leggiamo, dunque, uno dei "preziosi suggerimenti" rilasciati direttamente a G. Bastia dallo
"storico" Danny Sion, gi riferiti nelle sue analisi-lezioni-conferenze.
"Al tempo di Ges, Gamla non aveva un muro; gli scavi hanno dimostrato molto
chiaramente che il muro stato costruito solo nei mesi che precedono l'assedio di
Vespasiano" (Danny Sion).

Commento compiaciuto esternato dal genuflesso G. Bastia:

"Pertanto Gamla non era una citt fortificata ai tempi di Ges, del resto solo le citt
molto grandi potevano avere una cinta muraria appositamente progettata a scopo di difesa
perenne, questo non il caso n di Nazaret, che non ha alcuna cinta muraria antica, n
di Gamla, fortificata soltanto per ragioni di contingenza nel 66 d.C. Il fatto che Gamla
non fosse fortificata fino al 66 toglie autorit al passo del vangelo di Tommaso,
loghion 32, che legge:"una citt costruita su un alto monte e fortificata non pu cadere
n essere nascosta", questo loghion non pu essere utilizzato per rivelare una speciale
connessione tra la patria di Ges e la citt di Gamla".
Ben sapendo che le antiche citt erano dotate di mura difensive, G. Bastia "giustifica" (con
una considerazione subdola destinata agli sprovveduti) la mancanza di mura della
inesistente Nazaret citando Gmala quale "testimone" implicita. Richiamandosi a quanto
affermato da Sion, Bastia fa risaltare che la famosa citt giudea non aveva mura, fino a
quando vennero realizzate da Giuseppe Flavio in occasione della guerra. Dopodich
Bastia riporta la descrizione di Gmala fatta da Giuseppe Flavio (Bellum IV 5-8) e ne
ricava un dato storico "spirituale" perfettamente in linea con le conclusioni di Danny Sion:

"Questa descrizione da ritenersi molto accurata dal momento che Giuseppe Flavio era
stato comandante della guarnigione militare di Gamla e aveva una conoscenza diretta
della regione".

La vera "lezione" che i due studiosi fideisti devono imparare, sia l'ebreo D. Sion che il
cristiano G. Bastia, proviene dalla storia, unitamente all'archeologia ed alla semplice
logica quanto meno per il rispetto dovuto a quei cittadini che si immolarono, nel corso di
una impari lotta, in coerenza ad un ideale di indipendenza nazionale.
Giuseppe Flavio fu nominato dal Sinedrio di Gerusalemme come Comandante
Generale delle forze giudaiche delle due Galilee e del distretto di Gmala quando
questa citt era gi da due mesi sotto assedio delle forze di Re Agrippa II; di
conseguenza le massicce mura di Gmala esistevano prima dell'inizio della guerra
giudaica del 66 d.C.
Dovendo obliterare i condizionamenti deformanti, causati da mendaci informazioni
rilasciate dai due credenti, con valenza di referto storico si rende necessario far risaltare la
successione degli eventi, all'origine della guerra dei Giudei, avvenuti sotto il principato di
Nerone (Nero Claudius Caesar):
- nell'agosto del 66 d.C., a Gerusalemme inizi la rivolta istigata da Eleazar, Capitano
delle Guardie del Tempio e figlio del Sommo Sacerdote Anania (Bellum II 409):
" i rivoluzionari, paghi della vittoria e degli incendi, si fermarono. Ma il giorno dopo, il
quindici del mese di loos i ribelli andarono all'assalto dell'Antonia e, dopo due giorni di
assedio, presero e uccisero i soldati della guarnigione, quindi incendiarono la
fortezza" (cit. II 430);
- "loos" era il nome di un mese del calendario macedone-seleucida, in uso fra gli Ebrei
dell'epoca, equivalente al nostro luglio-agosto. Dunque, nel luglio-agosto del 66 gli insorti
prevalsero sulle forze governative, attaccarono la fortezza Antonia, la incendiarono e
uccisero tutti i soldati della guarnigione romana, in tal modo liberarono Gerusalemme dal
dominio romano ma provocarono la guerra dei Giudei, che si estese dalla Siria sino
all'Egitto;
- riscontrati gli sviluppi bellici, il Legatus Augusti Gaio Cestio Gallio (Governatore di Siria
dal 63), da Antiochia, con un esercito di trentamila uomini, marci in direzione
di Tolemaide (cinquecento km a sud), procedendo all'invasione della nazione giudaica, a
partire dalla Galilea, dove, come prima citt distrusse Chabulon.
- in questo iniziale frangente bellico (Bellum II 503), a fianco di Cestio Gallo registriamo la
presenza di Marco Giulio Agrippa II: il re cliente al quale l'Imperatore Claudio, nel 53,
aveva concesso un territorio che comprendeva la citt di Gmala. Fu allora che, come
stiamo per accertare, il Legato imperiale impart ad Agrippa di dislocare il suo esercito,
forte di tremila fanti e duemila cavalieri, a Gmala per risottomettere la citt.
Abbattuta Chabulon, Cestio prosegu con le sue legioni "per via di mare e per via di
terra, con una azione combinata, s'impadron facilmente delle citt" distruggendo quelle
che opponevano resistenza fino a che giunse a Cesarea Marittima, poi seguit verso
Antipatride e "Da Antipatride Cestio avanz su Lidda, che trov spopolata. Infatti per
laFesta dei Tabernacoli tutta la gente si era recata a Gerusalemme" (cit. II 515). La
"Festa dei Tabernacoli" cadeva alla met di ottobre. Di seguito, allo scopo di riprendere
la capitale della Giudea, Cestio raggiunse Gerusalemme per lafine di ottobre del 66 d.C.
Dopo alcuni successi riportati nei quartieri bassi di Gerusalemme, sottostanti il Tempio, il
Legatus Augusti rinunci alla conquista definitiva della citt e commise il grave errore di
ritirarsi a Bethhoron. La localit, impraticabile dalla cavalleria ed inagibile per lo
schieramento delle divisioni romane, consent alle forze giudaiche di massacrare
cinquemila legionari e circa cinquecento cavalieri: "Questi i fatti del giorno 8 del mese di
dios, nel dodicesimo anno del regno di Nerone"(Bellum II 555). Il mese "dios" del
calendario macedone-seleucida corrisponde al nostro novembre (del 66 d.C. = 12 anno
di Nerone). Di seguito.
La disfatta delle armate romane convinse anche i maggiorenti ebrei filoromani, per lo pi
Sommi Sacerdoti del Sinedrio, i quali, nel novembre-dicembre del 66, tennero assemblee
nel Tempio laddove
"vennero nominati con poteri assoluti al governo della citt (di Gerusalemme), il Sommo
Sacerdote Anano figlio di Anano e Giuseppe figlio di Gorion" (cit. II 563). Inoltre, furono
designati tutti i capi per la condotta della guerra, fra i quali:"Giuseppe figlio di Mattia (G.
Flavio) venne insignito come Comandante Generale delle due Galilee e alla sua
giurisdizione venne aggiunto il territorio di Gmala, la citt pi forte in quella
regione" (cit. II 568). Dopo aver assunto il comando "Giuseppe (lui) fortific tutte le
citt della Galilea e nella Gaulanitide egli fortific Seleucia, Soganea e Gmala" (cit. II
574).
Come abbiamo visto, il nuovo Governo giudaico si insedi a Gerusalemme dopo la
sconfitta di Cestio Gallo aBethhoron, avvenuta nel novembre del 66 e, ovviamente, non
riconosceva pi l'autorit di Roma. Ma, prima del novembre-dicembre del 66 d.C.,
Giuseppe Flavio non poteva costruire niente (n si sarebbe sognato di farlo), tantomeno il
muro di Gmala. Pertanto le asserzioni di Danny Sion e Gianluigi Bastia, finalizzate ad un
tornaconto dottrinale e personale, servono per depistare gli inetti dalle precise risultanze
storiche.
Ma continuiamo a leggere e verificare.

Dopo la disfatta romana di Bethhoron, il doppiogiochista Giuseppe Flavio, discendente


dalla pi elevata aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, sal sul carro dei vincitori;
quindi decise di fortificare tutte le citt delle due Galilee e Gmala "la citt pi forte in
quella regione". In pi occasioni si vanta di avere eseguito personalmente le fortificazioni
delle citt, mentre nella realt non avvenuto; perci si contraddice spesso, come nel
caso di Sepphoris, quando scrive "Ai soli abitanti di Sepphori Giuseppe (lui) permise di
costruire da s un muro vedendo che erano ben provvisti di ricchezze" (Bellum II 574).
Al contrario, dopo la imbelle sottomissione alla controffensiva romana da parte degli
abitanti di Sepphoris, quando Giuseppe tent di riconquistarla afferma:
"Giuseppe (lui) intraprese un'azione contro la citt sperando di riprenderla, ma lui stesso
l'aveva fortificata, prima che essa abbandonasse i Galilei, s da renderla inespugnabile
anche per i romani; perci la sua speranza fall, risultando egli troppo debole sia per
persuadere i Sepphoriti ad arrendersi (a lui), sia per costringerveli con la forza" (cit. III
61). Visto? Giuseppe si accredita la costruzione del muro di Sepphoris mentre in realt
furono i cittadini ad erigerlo.
Pi avanti, nel corso della guerra, lo storico scrive:
"Per la sua forte posizione, la citt di Gmala si era riempita di rifugiati e cos per sette
mesi aveva resistito alle truppe precedentemente inviate da Agrippa ad
assediarla" (cit. IV 10); e ad ulteriore conferma:
"Re Agrippa allora invi delle truppe, sotto il comando di Equo Modio, a distruggere la
fortezza di Gmala" (Bios 114). I "rifugiati" di Gmala erano Galilei sfuggiti al primo
attacco delle armate di Cestio Gallo, appena questi invase la loro terra e distrusse
Chabulon, poi il duce prosegu lungo la costa ... "per via di mare e per via di terra, e con
una azione combinata, s'impadron facilmente delle citt".
Dunque, come sopra evidenziato, Re Agrippa - a guerra appena iniziata e molto
tempo prima della disfatta subita da Cestio Gallo a Bethhoron - invi il suo esercito
a sottomettere Gmala, in esecuzione dell'ordine impartito dal Legato imperiale. Ma
proseguiamo la lettura per trovare possibili riscontri incrociati.
Altro importante dettaglio su chi comandava a Gmala:
"Carete e Giuseppe - erano questi due a comandare nella citt" (Bellum IV 18).
Contrariamente a quanto affermato da G. Bastia e D. Syon, questo "Giuseppe" non pu
essere il Comandante Generale Giuseppe Flavio. Infatti, pi avanti, visto l'insuccesso delle
forze di Re Agrippa, intervennero tre legioni romane, perci leggiamo:
"Molti furono uccisi dai Romani, fra gli altri Giuseppe, che fu colpito a morte mentre
cercava di uscire da una delle brecce del muro" (cit. IV 66).
Puntualizziamo che, in quello stesso momento, Giuseppe Flavio era vivo e incatenato
in prigione, pertanto non pu aver assitito alla scena del suicidio di massa, la cui
descrizione gli stata fatta a guerra finita, con ogni probabilit da un prigioniero catturato
a Gmala da Vespasiano. Peraltro, la mancata presenza di Giuseppe F. comprovata
successivamente anche alla fortezza di Masada, a causa dalla sua imprecisa descrizione
degli edifici costruiti da Erode, come per la esagerata relazione della rampa d'assedio,
costruita da genieri e legionari, in realt molto pi ridotta.
La ferma resistenza dei gamalitani all'assedio infruttuoso, durato sette mesi, delle truppe
di Re Agrippa II, inevitabilmente, provoc l'intervennero di tre legioni romane, agli ordini
di Vespasiano, avvenuto dopo che il condottiero romano aveva conquistato
Iotapata ove cattur Giuseppe Flavio:
"Cos fu presa Iotapata nel tredicesimo anno del regno di Nerone, al novilunio del mese
di panemo" (Bellum III 339). Il mese di "panemo" del calendario macedone-seleucida
corrisponde al nostro giugno (del 67 d.C.).
Segu la conquista di Tarichea da parte di Tito, quindi Vespasiano fece dono ad Agrippa
di numerosi schiavi fatti tra i prigionieri, per cui
"Agrippa, che lo aveva invitato, desideroso di accogliere il duce e l'esercito con la
munificenza della casa reale e,insieme (a Vespasiano), riportare l'ordine col loro
aiuto in alcuni territori (del regno di Agrippa, Gmala anzitutto)che erano in rivolta" (cit. III
443).
Infatti Vespasiano trafer subito l'esercito a Gmala e l, dopo altri mesi di assedio delle
forze congiunte dei Romani e di Agrippa
"Gmala fu presa il giorno ventitreesimo del mese di iperbereteo, mentre la sua ribellione
era cominciata il giorno ventiquattresimo del mese di gorpieo" (cit. IV 83). Nel calendario
macedone seleucida "iperbereteo" equivale adottobre (del 67) mentre "gorpieo"
corrisponde a settembre (del 66 d.C.).
Quindi, sin dall'inizio, Gmala rifiut di sottomettersi al Re Agrippa II, dal quale fu posta
sotto assedio nel settembre del 66, per essere poi rasa al suolo nell'ottobre del
67 d.C.; vale a dire che la resistenza della citt si protrasse per ben tredici mesi. Ma, come
abbiamo sopra visto, Giuseppe F. venne insignito a Comandante delle due Galilee nel
dicembre del 66 d.C. (cit. II 568): tre mesi dopo che Gmala, con tanto di muro
fortificato e pi torri difensive,vanificava l'attacco delle forze di Re Agrippa.

La citt aveva novemila abitanti (fra cui donne, vecchi e bambini) ma solo tre/quattromila
uomini, compresi i rifugiati, erano validi a combattere; dunque Gmala era gi fortificata
con mura poderose, spesse fino a sei metri, e torri atte a neutralizzare qualsiasi
attacco, al punto di resistere per tredici mesi alla pi potente macchina da guerra
dell'epoca, con l'impiego di oltre ventimila combattenti scelti, equipaggiati con armamento
pesante e il meglio della logistica e della tecnologia esistente a loro disposizione.
Stante cos i fatti documentati, peraltro scadenzati nel rispetto di una sequenza logica che
considera i tempi necessari agli spostamenti delle truppe, il Dr. Danny Sion escluda la sua
teoria mistica e dimostri, con citazioni precise, in quale periodo tali mura e relative torri
sarebbero state costruite? E quanto tempo sarebbe stato impiegato per realizzare simili
opere massicce? Considerato che l'inizio dei lavori (qualora impartito da Giuseppe
F.) non sarebbe potuto avvenire prima della fine del 66. E, se non fu Giuseppe F., chi
altri esegu tali opere? Poich ormai accertato che non fu lo storico ebreo a realizzarle
n avrebbe avuto il tempo per farlo. Sion ci spieghi, inoltre, perch i gamalitani non
hanno costruito il muro dalla parte degli strapiombi? Laddove, incalzati dai legionari
che facevano strage dei vinti, con un estremo gesto dettato dalla disperazione, gli ebrei si
sono precipitati con le loro famiglie, pur consapevoli che sarebbe stato estremamente
difficile uscire illesi dalla scarpata ma non del tutto impossibile.
Danny Sion e con lui Gianluigi Bastia, dopo duemila anni di intemperie trascorsi dagli
eventi bellici che sconvolsero quel territorio, la smettano di corrompere vicende e
specifiche orografiche per salvaguardare il loro credo; evitino di spacciare inutili teorie per
negare la possibilit del suicidio di massa allo scopo di sminuire l'esistenza di un
precipizio,con l'intento di scongiurare la precisa similitudine fra Gmala e Nazaret
cos come, a loro discapito, risulta dalle descrizioni degli evangelisti sopra evidenziate.
Piuttosto, entrambi tengano conto dei seguenti, precisi, dati di fatto.
Accertato che la lettura neotestamentaria pi antica - completa dei dati su citati dei
vangeli - contenuta nelCodex Sinaiticus, datato al IV secolo d.C., cio quando il
Cattolicesimo era al potere, un amanuense con lo pseudonimo "Luca", sapendo da un
vangelo originale che la patria di Ges era Gmala, soltanto allora pot consultare gli
archivi imperiali e, dalla lettura dei rotoli del I secolo, contenenti "La Guerra Giudaica" di
Giuseppe Flavio, conobbe la descrizione della citt fatta dallo storico senza che lo scriba
si sia mai recato in "Terra Santa". Lo pseudo evangelista, colpito dalla narrazione del
suicidio dei gamalitani caduti nel precipizio, volle dimostrare che il "Salvatore Universale"
cristiano non poteva fare la loro stessa fine piombando in quel burrone, quindi immagin
che i "deicidi Ebrei"tentarono di eliminare un Messia, diverso da quello che attendevano i
Giudei, gettandolo al di sotto, ma "Egli, passando in mezzo a loro, se ne and" (Lc 4,28)
per compiere il suo ministero divino.

Un altro aspetto, fondamentale per la "dottrina della salvezza eterna", obblig i teologi
cristiani ad inventare una citt chiamandola "Nazaret": dovevano sviare la risultanza del
vangelo originale esseno che indicava il Salvatore come "Nazireo".
Con l'evoluzione del credo iniziale, il voto di nazireato divenne incompatibile con la
successiva introduzione del "sacrificio eucaristico teofagico", un rituale che, come
risulta dalla "Regola della Comunit" degli Esseni, non era (e non poteva in quanto
ebrei) essere osservato da loro quando crearono il mito di Jesha; ma, al contrario, questo
sacrificio costituiva il culmine della liturgia cristiana.
Il contrasto scaturiva da due concezioni religiose diverse. La prima, nel rispetto della
Legge giudaica, contemplava il vincolo che vietava ad ogni ebreo, consacrato a Dio con il
voto di nazireato, di bere vino; mentre la seconda, ripresa dai Culti pagani, imponeva al
sacerdote di immolare la "Hostia" (vittima offerta agli Dei) che poi mangiava e ne beveva il
sangue: una cerimonia cultuale analoga a quella adottata dai successivi riformatori
cristiani del primitivo messianismo giudaico esseno.
Per rendere credibile ai Gentili l'illusione della "salvezza eterna", i nuovi teologi li
appagarono facendo istituire l'eucaristia, il sacrificio teofagico pagano, direttamente da
Ges, nell'atto di trasformare il vino del suo calice nel proprio sangue da far bere agli
apostoli:
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
resusciter" (Gv 6,54).

La transustanziazione! Questa era la dottrina che faceva presa su masse crescenti


di nuovi proseliti! L'innesto del sacrificio teofagico del Soter pagano nella religione
ebraica tramite il Messia dei Giudei. Ma un vero "Nazireo" e al contempo Dottore della
Legge, come viene connotato "Ges", non avrebbe mai potuto cenare con un calice colmo
di vino, n lo avrebbe mai trasformato in un "Santo Graal" ripieno del suo sangue
pertanto venne modificata la forma originaria ebraica da "Nazireo" in "Nazareno"
e questa mutazione fu giustificata nei vangeli con la provenienza di Ges dalla sua
nuova patria, appositamente inventata: la citt di "Nazaret", volutamente situata in
Galilea per spiegare anche il termine "Galileo" con cui venivano indicati Ges Cristo e
Simone Kefaz.
"And ad abitare in una citt chiamata Nazaret, perch si adempisse ci era stato detto
dai Profeti: Sar chiamatoNazareno" (Mt 2,23).
Il termine originale del vangelo il vocabolo greco "Nazoraios" non "Nazareno" e la
traduzione corretta "Nazoreo", ma questo lemma, cos vocalizzato, del tutto
sconosciuto a Giuseppe Flavio. Lo storico, di lingua aramaica, era esperto in greco ed in
grado di trascrivere in questa lingua le vocalizzazioni semite, rispettandone la fonetica
corretta. Nel merito, l'ebreo scrive sui "Nazirei", riferendosi a quei connazionali che,
consacrati a Dio tramite un voto, mantenevano intonsi capelli e barba (Ant. XIX 294).
Infatti, la iconografia cristiana ha sempre raffigurato "Ges" con capelli e barba lunghi
perch i "Venerabilissimi Padri" sapevano che Cristo era un "Nazireo".
Tanto vero che nell'Antico Testamento non esiste alcun accenno dei Profeti
a "Nazareno", viceversa il ProfetaAmos (2,11), grazie ad una rivelazione, manifest la
benevolenza di Yahweh verso i Profeti e i Nazirei:
"Ho fatto sorgere Profeti tra i vostri figli e Nazirei fra i vostri giovani" (op. cit.).
Ne consegu che, alle molte contraddizioni evangeliche, si aggiunse anche "una citt
chiamata Nazaret" la quale era inesistente in Galilea per i primi tre secoli d.C., perci
sconoscuta da tutti fino a quando i Cristiani decisero di costruirla appositamente.
Malgrado ci, lo fecero da estranei disinformati della regione, quindi incapaci di capire il
valore delle coordinate geografiche, sempre richiamate nei vangeli ed ivi lasciate
inalterate, con la conseguenza di leggere nei testi sacri una "Nazaret" posizionata
esattamente sul monte di Gmala. Come abbiamo dimostrato poco sopra nel presente
studio, comparando, con la mappa geografica reale, le descrizioni degli itinerari di Cristo,
da e verso la sua patria, narrate nei vangeli.

Peraltro, la stessa ignoranza di "Luca" dei luoghi santi la riscontriamo anche negli altri
evangelisti quando descrivono il miracoloso Messia ed i suoi discepoli (spacciati per
israeliti vissuti in quei territori), perch, inevitabilmente, gli amanuensi del quarto secolo
fecero operare i loro eroi nella Palestina del primo secolo incappando in grossolani errori,
toponimi compresi, tali che nessun autentico abitante di quella zona avrebbe mai
commesso.
Ecco alcuni esempi :
- Ges esorcizza i demni delle citt di Gadara (Mc 5,1-13) e Gerasa (Lc 8,26-33)
facendo precipitare da una rupe migliaia di maiali (scena ridicola) nel lago di Tiberade, al
contrario le due citt distano decine di km dal lago. Quando la Chiesa si accorse del
grave errore, commesso dagli "evangelisti", nel XIII secolo tent di scambiare la vera
"Gerasa" con una inesistente (anche questa: sic!) citt di "Gergesa";
- l'evangelista Giovanni narra che Ges viene battezzato nel Giordano a Bethania,
localit limitrofa a Gerusalemme, ma distante nientemeno 40 km dal Giordano;
- cinque apostoli di Ges vengono fatti nascere a Bethsaida, ma l'evangelista colloca la
citt in Galilea anzich nella Gaulanitide inferiore;
- l'apostolo Matteo, spacciato per ebreo purosangue, viene indicato come "Pubblicano",
appaltatore delle imposte destinate all'Imperatore Tiberio, con sede a Cafrnao in Galilea
ove, secondo Luca, risiedeva una centuria romana. Al contrario, i tributi dei Galilei
venivano raccolti da Erode Antipa a Tiberiade, mentre le centurie romanecostituivano
le "cohortes quingenariae", subordinate ad un Prefetto, e stanziate solo in Giudea e
Samaria;
- Ges fa un miracolo nella sinagoga di Cafrnao, secondo Luca costruita nel primo
secolo da un Centurione (capo della centuria), in realt realizzata da ebrei praticanti due
secoli dopo la resurrezione Cristo;
- oltre ad inventare la citt di Nazaret, sempre per motivi ideologici specifici evidenziati con
apposita analisi, gli scribi di Dio architettarono anche una finta citt di Arimatea;
- la "moltiplicazione dei pani e dei pesci", secondo Luca, indivuata in una localit
prossima a Cafrnao, ad ovest del lago di Tiberiade; mentre, secondo Giovanni, il
miracolo avvenne ad est del lago. E cos via.
Stabilito ci, anzich farfugliare sconnessamente sulle mura di Gmala, G. Bastia e D.
Sion si leggano la storia, i testi sacri, e la "historia ecclesiastica", trascritta, nel corso dei
secoli, dagli "scribi di Dio", poi ne comparino tutte le risultanze fra loro e la toponomastica
della terra santa.
Ottemperato a questo dovere, il Dr. Danny Sion, credente in "Ges", si attenga all'etica
deontologica e ci faccia leggere, nel merito, le sue considerazioni sui santi
ebrei, Cristo, apostoli ed evangelisti inabili dei luoghi dove risultano nati e
vissuti.
Le prove concernenti l'ignoranza della rispettiva terra d'origine, da parte di un mai esistito
Messia ebreo come dei suoi immaginari apostoli, si leggono nel seguente VIII studio del
presente sito web.
Dopo aver assodato l'incapacit degli amanuensi cristiani nel comprovare i loro mitici eroi,
avvalendosi di richiami errati dei luoghi dove vissero, possiamo ricercare nella storia la
risposta precisa, logica e indiscutibile, della primordiale esistenza delle mura di Gmala.
Una volta conquistata, nell'81 a.C., dal Re Alessandro Ianneo la roccaforte dei sovrani
seleucidi - i resti della quale esistono tutt'oggi nella parte pi elevata della montagna - i
subentrati monarchi asmonei favorirono il popolamento del monte di Gmala per
consolidare, con una fattiva presenza ebraica, l'estremo nord della terra d'Israele,
costituito dalle alture del Golan inferiore, avverso i confinanti nemici pagani: i Siri, adoratori
del Dio supremo Assur (Ashshr) e futuri alleati di Roma.
L'operosit dei gamalitani nel rendere fertile quel territorio - in virt di una intelligente
economia agro pastorale - permise loro di crescere numericamente e, inevitabilmente,
aumentare le proprie capacit di difesa. Da qui la necessit di adeguare, gradualmente nel
tempo, le mura della primitiva fortezza macedone per comprendere la citt in continuo
ampliamento e difenderla contro possibili attacchi dei Siri; mura comunque non necessarie
a ridosso dei ripidi strapiombi, essendo impraticabili da qualsiasi nemico durante una
eventuale offensiva.
L'efficienza difensiva dei gamalitani nella loro roccaforte giunse a capovolgere la strategia
iniziale, al punto di essere loro ad aggredire e depredare gli atavici nemici nel loro
territorio, adottando la tattica del "mordi e fuggi", ben sapendo che potevano rientrare in un
rifugio inattaccabile. Dopo l'occupazione della Palestina, gli Asmonei vennero estromessi
dal potere politico dai conquistatori Romani che li giudicarono troppo indipendentisti; ma i
loro discendenti continuarono a risiedere in edifici di lusso nella citt di Gmala, autentica
enclave integralista ebraica, giungendo a coniare autonomamente monete, ancora in uso
al momento della distruzione terminale di Vespasiano.
Della citt di Gmala, enclave ebraica nel sud della Siria, erano nativi i nazionalisti
Ezechia di Gmala e suo figlio Giuda detto "il Galileo", ovviamente entrambi discendenti
degli Asmonei, e strenui avversari degli erodiani filoromani.
Il primo, un giovane aitante e figura di spicco della citt, fu promotore di continui attacchi
contro i nemici Siri, allora il Capo di Gmala venne bandito (Ant. XIV 159) dalle
autorit romane, per questo fu intercettato ed eliminato (non a Gmala) nel 47 a.C. dal
giovane e rampante Erode, ebreo mezzosangue, futuro "Grande Re". Il Sinedrio di
Gerusalemme, consapevole del ruolo strategico costituito dai maggiorenti della roccaforte
di Gmala, incrimin Erode per l'uccisione di Ezechia (cit. XIV 169), ma l'ambizioso
filoromano, allora Comandante della Galilea, riusc a salvare la pelle grazie all'intervento
del Governatore della Provincia di Siria (fedele alleata di Roma), Sesto Giulio Cesare,
cugino di Giulio Cesare (cit. XIV 170).
Divenuto adulto, il figlio di Ezechia, Giuda, dopo la morte di Erode avvenuta il 4 a.C.,
aspirando a divenire "Re dei Giudei", capeggi la rivolta contro Antipa, figlio di Erode il
Grande, e riusc a conquistare Sepphoris, allora capitale della Galilea (da qui "Giuda il
Galileo"); ma l'impresa provoc l'intervento del figlio del Legato imperiale, Publio Quintilio
Varo, che la fece radere al suolo dalle sue legioni. Scampato ai legionari romani, alcuni
anni dopo, il 6 d.C., Giuda di Gmala fond la setta degli Zeloti e li condusse nella
guerriglia contro le legioni del Legatus Augusti, Publio Sulpicio Quirinio, incaricato da Gaio
Cesare Ottaviano di effettuare il censimento di Giudea, Samaria e Idumea, appena
annesse alla Provincia di Siria.

Dagli scritti di Giuseppe Flavio, a noi pervenuti, non risulta la fine di Giuda di Gmala (il
patriota fariseo nemico dei Farisei filoromani) perch fu censurata dagli amanuensi nei
codici di "Antichit Giudaiche", diti dall'XI secolo in poi, per salvaguardare l'anacronistico
richiamo in "Atti degli Apostoli" che cita il Profeta "Theudas" morto prima di Giuda il
Galileo: un fatto impossibile nella realt. Lo scopo di "Atti" fu quello di impedire
l'identificazione del capo degli Zeloti come padre di "Giuda Thaddaeus" (la dimostrazione
nel I studio). In realt "Theudas" venne decapitato, nel 45 d.C., dal Procuratore Cuspio
Fado, mentre, riguardo suo padre, Giuda il Galileo, le vicende determinano che fu
eliminato dal Prefetto Valerio Grato nel 17 d.C.
La guerriglia, fomentata il 6 d.C. dalla quarta filosofia nazionalista di Giuda di Gmala, si
protrasse per anni, al punto che le stesse autorit romane ed ebraiche (Sinedrio)
richiesero a Roma di alleggerire la tassazione nel 17 d.C., sotto Tiberio, perch, riferisce
Cornelio Tacito, "la popolazione era oppressa dai carichi fiscali (Ann. II 42).
La istanza venne respinta dal Senato romano, provocando, in tal modo, la reazione
veemente degli Zeloti, capeggiati da Giuda, ma repressa da Valerio Grato che lo elimin.
Nel corso di quelle sommosse, in meno di quattro anni, fra il 15 ed il 18 d.C., Valerio Grato
fu costretto a sostituire cinque Sommi Sacerdoti del Tempio (Ant. XVIII 34-35), a
significare la difficolt incontrata dai sacerdoti del Sinedrio nel tentare di placare la
riaccesa ostilit popolare avverso i tributi imposti da Roma.

Altri due capi zeloti, Giacomo e Simone, entrambi figli di Giuda il Galileo, vennero catturati
e crocefissi nel 46 d.C. dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro finch l'epopea degli
Asmonei di Gmala fu segnata, definitivamente, nel corso della guerra giudaica. Nel 66
d.C., durante la lotta tra fazioni per conseguire il potere, a Gerusalemme fu ucciso
Menahem, il pi giovane figlio di Giuda il Galileo ed effimero "Re dei Giudei". Sette anni
dopo, nel 73 d.C., mor Eleazar bar Jair, l'ultimo discendente di Giuda (Bellum VII 253): un
nipote avuto da sua figlia, sposa di Jair, e questi, ovviamente, fu padre di Eleazar (cit. II
447). Eleazar bar Jair, a sua volta, stato promotore di un altro spettacolare suicidio di
massa, attuato, nel 73 d.C., assieme ad un migliaio di Zeloti, nella fortezza di Masada,
poco prima che venisse espugnata dalle armate romane.
Lo storico Giuseppe F., ogni qualvolta si richiama a questi personaggi li
considera "Dottori (della Legge) assai pericolosi"e ne stigmatizza il loro operato ritenendoli
responsabili della distruzione della Citt Santa e del Tempio. In un lungo ricordo lontano
nel tempo, con il primo richiamo fatto a Giuda il Galileo, che si diparte dall'epoca del
censimento di Quirinio, il 6 d.C., li accusa di essersi dimostrati "spietati verso i parenti
prossimi" fino a concludere "A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime
della loro ferocia non mi sembra questo il momento pi adatto" (Bellum VII 252/274). Il
riferimento ai suoi parenti eliminati dagli Zeloti palese. Cos come divenne inevitabile lo
scontro mortale intervenuto fra i Giudei nazionalisti e quelli opportunisti filoromani, dei
quali la privilegiata famiglia sacerdotale di Giuseppe faceva parte. Da ci la soddisfazione
da lui espressa attraverso un memoriale di famiglia:
"Fecero tutti la fine che meritavano perch Dio diede a ciascuno la giusta punizione;
infatti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche
fino all'ultimo istante di vita, facendoli morire fra i pi atroci tormenti d'ogni sorta".
Dato il movente politico personale, da questo scritto si ricava che il giudizio negativo di
Giuseppe F. di parte, quindi scontato, e non pu costituire una corretta condanna
storica.
Al contrario. Da Ezechia a Eleazar, tutti i membri di quella potente dinastia, discendente
dagli Asmonei, hanno lottato e pagato per un fine patriottico nobile: risiedevano nella loro
terra quando, prima i Siri poi i Romani, erano loro gli stranieri invasori quindi i pagani
dovevano essere cacciati. Ma la loro caparbia coerenza si scontrata con un Impero
all'apice di un potere tale da incutere timore a tutti i regni confinanti che, in quell'epoca, si
guardavano bene dal provocarlo. Gli Zeloti hanno lottato contro quel potere e hanno perso
e con loro tutti i Giudei.
Comunque, per la storia, tale era e cos verr ricordato l'eroismo degli Zeloti:

Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni ... La maggioranza del
popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione, in tali circostanze che posso procedere
oltre la narrazione. Perch non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo
sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione
possa minimizzare lindifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle
pene (Ant. XVIII 24).
non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la loro forza
danimo, o cieco fanatismo che dir si voglia accogliendo i tormenti e il fuoco, con il
corpo che pareva insensibile e lanima quasi esultante (Bellum VII 416-419).
Fra le quattro correnti di pensiero, la essena e la zelota farisaica erano le due "filosofie"
che si attenevano ai principi nazionalisti della Legge, inoltre si consideravano
antischiaviste e aperte a tutte le classi sociali. Si allearono ideologicamente e mobilitarono
i Giudei alla lotta per ricostituire il grande regno di David. Dalla guerra del censimento del
6.d.C., Esseni e Zeloti rimasero solidali fino alla definitiva sconfitta del 70 d.C., sfociata
nella distruzione della Citt Santa e del Tempio. Fu un periodo di massacri caratterizzato
da molte centinaia di migliaia di morti, dei quali nei Vangeli, Atti degli Apostoli e negli scritti
dei "Padri Apostolici" non vi traccia.
E' un aspetto fondamentale di cui non tiene conto il Dr. Danny Sion quando, in modo
lezioso, esterna la convinzione, nel richiamo su riferito, della effettiva esistenza di "Ges".
Abbiamo gi deplorato l'archeologo per la sua presunzione di voler apparire uno "storico"
senza avere le basi minime indispensabili prima di emettere "verdetti" superficiali.
Infatti la vera storia, concernente la costante ribellione di un popolo che non voleva
sottomettersi al dominio pagano, non doveva e non poteva risultare nei Sacri Testi, pena
il crollo della dottrina cristiana della "salvezza per la vita eterna". Inevitabilmente, un
autentico "Messia" israelita, prescelto da Yahweh, in esecuzione della Legge e con il Suo
aiuto, avrebbe fatto strage dei pagani, adoratori di malvage divinit, e occupanti della terra
promessa.
Diversamente, in quel contesto storico, teatro di una Guerra Santa nazionalista, che vide
rivolte sanguinosamente represse, carestie e crocefissioni secondo i vangeli, intorno
all'anno 30 del I secolo, un manipolo di dodici ebrei, al seguito del rabbino "Ges",
indifferenti al sangue che sorreva sulla loro patria, vagavano per la Palestina stupendo
folle di Giudei con miracoli e "parabole". Un impossibile Messia "figlio di Dio",
inconsapevole del massacro perpetrato verso i suoi connazionali dai pagani: gli invasori
(kittim) della Terra d'Israele, destinata dal Padre di Ges, "Abba", al popolo eletto.
L'olocausto giudaico perpetrato dai Romani fu la drammatica conclusione della lotta di un
popolo, zelota verso la propria Legge ancestrale, e convinto dell'avvento del Messia, un
"Dominatore" capace di fare strage dell'esercito pi potente del mondo. L'incessante
conflitto della nazione ebraica contro l'Impero dominante, vide i discendenti degli Asmonei
affrontare senza sosta, alla testa degli Zeloti, i legionari e gli ausiliari delle coorti di Roma.
Una triste epopea del tutto compatibile con le reali vicende di quegli anni, riferite
soprattutto da Giuseppe Flavio e Cornelio Tacito, ma confermate, pur con descrizioni
ridotte, da Filone Alessandrino, Gaio Svetonio e Cassio Dione, le cui analisi sono gi
pubblicate in questo sito web.
Emilio Salsi
La grande menzogna dei vangeli: Ges e apostoli non conoscono la loro patria

Tramite le analisi pubblicate, abbiamo pi volte dichiarato che gli scribi cristiani, redattori
dei vangeli, non erano di provenienza giudaica n mai si preoccuparono di verificare se le
localit, citt, edifici di culto, richiamate nelle loro scritture, esistevano veramente nel I
secolo: l'epoca del ministero di Cristo e degli apostoli. Un dato di fatto che abbiamo gi
verificato con il precedente studio sulla citt di Nazaret, la quale, stando alla descrizione
dei vangeli, era"situata sul ciglio del monte" (Lc 4,29) e ad est del lago di Tiberiade,
viceversa la Nazaret odierna adagiata in una valle ad ovest del lago.

Nel VI studio abbiamo accertato che i codici dei vangeli vigenti furono redatti dopo il
381 d.C. ma, in essi, riscontriamo molti altri errori dovuti alla mancata coincidenza fra la
descrizione dei luoghi sacri - ove operarono i protagonisti del "cristianesimo primitivo" del I
secolo - e la realt antica portata alla luce da archeologia, toponomastica ed orografia; al
punto da non rendere pi credibili le gesta mirabolanti degli eroi che avrebbero dovuto
testimoniare l'avvento del Salvatore ebreo nella propria terra.
Ancora prima del 381, agli inizi del IV secolo, i Cristiani, grazie ad Eusebio di Cesarea,
consultarono a Nicomdia la biblioteca imperiale di Costantino e scrissero i primi testi sacri
canonici sulla base della dottrina in auge alla loro epoca, pertanto diversi dai vangeli
successivi. Ma gli scrivani di Eusebio non seppero verificare tutti i nominativi originali dei
siti, soprattutto per le localit palestinesi meno famose, n potevano prevedere i futuri
ritrovamenti archeologici. Peraltro, il problema della toponomastica giudaica fu
sottovalutato anche dai redattori dei successivi codici greci (come i codici Vaticanus e
Sinaiticus), manoscritti quasi contemporaneamente alla Vulgata latina di san Girolamo per
essere insieme distribuiti, agli inizi del V secolo, ai Vescovi di tutte le Province dell'Impero
Romano.

Col trascorrere dei secoli, il potente Clero cattolico individu gli errori contenuti nelle
scritture divine, talmente gravi da minare la credibilit della dottrina per la "salvezza
eterna". Pertanto, ogni qualvolta si scopriva una contraddizione, per ovviare al problema
intervenivano gli amanuensi di Dio, i quali, non potendo modificare la Bibbia, ormai diffusa
ben oltre le Province dell'ex Impero Romano, inventarono appositi "Commentarii" dei
vangeli canonici destinati a "chiarire" i brani oggetto di controversie teologiche, come pure
quelli in contrasto con la realt storica e geografica.
E' scontato il fatto che tutti i Commentari vennero opportunamente predatati allo scopo di
far risultare che ogni contraddizione, contenuta nella documentazione neotestamentaria,
era gi stata "spiegata" e risolta sin dall'Avvento di Cristo.
Le sottili menti del Clero hanno sempre operato con questo preciso intento ma, non
potendo oggi far manoscrivere nuovi Codici, anzich agli ingenui calligrafi di secolare
memoria, con una strategia collaudata affidano a titolati docenti chiesastici il compito di
"reinterpretare" ulteriormente gli antichi "Commentari Biblici" avvalendosi di "lezioni".
Vediamo come.

Bethania, Bethsaida, Gerasa, Gadara, Gergesa, Arimatea, Cafrnao: il sacro inganno

Bethania

" Questo avvenne a Betnia, al di l del Giordano, dove Giovanni stava


battezzando. Il giorno dopo, Giovanni vedendo Ges venire verso di lui disse: Ecco
l'agnello di Dio" (Gv 1,28-29);
"Accorreva a Giovanni tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme si
facevano battezzare da lui nel fiume Giordano" (Mc 1,5).
Quindi a Bethania Ges incontr Giovanni Battista "dove stava battezzando" nel Giordano.
Purtroppo, per gli evangelisti (e per gli odierni credenti), l'unica Bethania esistente in
Giudea si trovava (e si trova ancora oggi) a meno di quattro chilometri da Gerusalemme,
non "al di l", bens "al di qua del Giordano", o meglio a oltre quaranta chilometri al di qua
del Giordano (la misura veniva effettuata in "stadi" romani). Questo "pasticcio" fu
combinato dall'evangelista di Dio, Giovanni apostolo, un ebreo che avrebbe dovuto essere
pratico dei luoghi in cui nacque (inizi I secolo a Bethsaida) e, in base alla storia
ecclesiastica, vi avrebbe operato fino al 104 d.C. e spesso a Gerusalemme. I vangeli
attestano chiaramente che Ges si rec da Giovanni (Battista) a farsi battezzare nel
Giordano, per poi iniziare il ministero divino della redenzione umana.
Inevitabilmente, facendo risultare nel vangelo di Giovanni che il Giordano scorreva a
Bethania (Gv 1,28), si dimostra che lo scriba cristiano di questa narrazione non era
mai stato in quella citt. Con tutte le conseguenze che ne derivano per la credibilit di
Cristo Dio

Giovanni, ancora giovane, da fedele "discepolo che Ges amava", stando ai vangeli, segu
il Maestro quando si rec nella citt santa per essere osannato dalla folla come "Re dei
Giudei". Sempre allora, in Gerusalemme, dopo l'Ascensione in cielo del Risorto, il
prediletto Giovanni trascorse quaranta giorni in attesa dello Spirito Santo, dopodich,
assieme agli altri colleghi apostoli, si recava davanti al Tempio per guarire intere folle da
qualsiasi male presso un inesistente "Portico di Salomone" (At 5,12) lo stesso portico
(distrutto dai Romani il 4 a.C. e mai pi ricostruito; cfr Ant. XVII 262 e XX 222) sotto il
quale Giovanni apostolo invi il suo Maestro a meditare (Gv 10,23).

Ma, per le eminenze del Clero, i problemi non finiscono qui. Vicino a Gerusalemme, a
Bethania, per mano di Maria Maddalena, il giudeo "discepolo prediletto", sottopose il Suo
Messia ad una incredibile lubrificazione pedestre ebraica pre-sepoltura (Gv 12,3), con
rituali divergenti dagli altri vangeli al punto di condannare alla "damnatio memoriae" santa
Maria di Magdala, residente a Bethania assieme al fratello Lazzaro. Un'unzione che, nella
immediata sequenza del racconto evangelico, finalizzata all'entrata trionfale in
Gerusalemme di un autentico Re Messia ebreo, e come tale acclamato dalla folla "Re
d'Israele" (Gv 12,13). Sempre a Bethania Ges effettu la portentosa resurrezione
dell'amico Lazzaro, gi tumulato e in putrefazione nel sepolcro da quattro giorni: "Lazzaro,
vieni fuori!" (Gv 11,43). Una resurrezione narrata nel solo vangelo di Giovanni che ne
certifica la notoriet in Gerusalemme e dintorni al punto che i Sommi Sacerdoti
decretarono di ri-ammazzare il ri-sorto Lazzaro (Gv 12,9-11). Una mirabilia conclamata
dall'umanit praticante ma ignorata dagli altri evangelisti. Viceversa i tre vangeli sinottici
riferiscono di un'altra resurrezione, quella della "figlia di Giairo", sconosciuta
dall'evangelista Giovanni. Un insieme di fatti sconclusionati che gli indottrinatori evitano di
certificare alle devote masse.

Quando si accorsero della svista evangelica, implicante le conseguenze appena descritte,


gli scrivani di Dio - al fine di non far risultare essi stessi i veri artefici - con un millennio di
ritardo decisero di "anticipare" la spiegazione del sacro "qui pro quo" facendo intervenire
nientemeno che Orgene Adamnzio, il grande apologista cristiano del III secolo.
Fu allora che gli amanuensi redassero il "Commentario a Giovanni", testo
pseudoepigrafico (sotto falso nome) apparentemente narrato in prima persona dallo
spettro di Orgene, rievocato con una apposita seduta spiritica.
Lo ritroviamo nel "Codex Monacensis Gr 314", stimato paleograficamente al XIII secolo;
cui fece seguito un altro "Commentario" trascritto nel "Codex Venetus Gr 43" del XIV
secolo e, successivamente, in altri quattro codici ancor pi tardivi. Leggiamo cosa avrebbe
detto Orgene.
Origenes. "Commentarii in evangelium Ioannis" - XL -

"So bene che la lezione di quasi (?) tutti i manoscritti : Questo avvenne in Befania (?)
non lo ignoriamo, e che [questa sostituzione] sembra (?) essere avvenuta gi da tempo
perch gi in Eracleone (?) abbiamo letto Befania. Sono per altrettanto convinto che
la lezione (?) esatta non Betania ma Bethabara essendomi recato in quei posti per
ricostruire l'itinerario di Ges, dei suoi discepoli e profeti. Betania infatti, la patria di
Lazzaro, di Marta e di Maria, dista quindici stadi da Gerusalemme ("meno di due
miglia", Gv. 11,18) come attesta lo stesso evangelista, ed separata dal fiume Giordano
da una distanza di centottanta stadi. N vi nei dintorni del Giordano un'altra
localit di questo nome. Mentre invece dicono (chi?) che sulle rive di questo fiume
indicata Bethabara dove narrano che Giovanni battezzasse".

Dopo essersi accertati che "Bethabara" era il toponimo della localit pi vicina all'ipotetico
punto dove Giovanni Battista avrebbe potuto effettuare il rito di iniziazione, gli scribi di Dio
del XIII secolo hanno distribuito carte false incaricando come "mazziere" Orgene, mille
anni dopo la sua dipartita. A m di "lezione" lo fecero addiritura recare "in quei posti per
ricostruire l'itinerario di Ges, dei suoi discepoli e profeti" e citare un ignaro "Eracleone"
(un padre gnostico collocato dagli ecclesiastici nel II secolo), ben sapendo che non
esisteva alcun suo vangelo, con il compito di anticipare "testimonianze" fumose tramite la
ipocrita "lezione Befania primitiva".
Una fatica vana, gi intrapresa, dopo la fine dell'Impero Romano (molto tempo prima degli
amanuensi tardomedievali) dalle eminenze grige della Chiesa bizantina, in epoca risalente
al V e VI secolo. I Clerici costruirono, in diverse zone adiacenti al Giordano, alcuni
Santuari forniti di cisterna e impianto idrico per alimentare il fonte battesimale di Giovanni
Battista finendo inevitabilmente con l'aggiungere falsit alle menzogne. Infatti, dal
momento che quegli edifici vennero sbandati in localit con nomi diversi* dalla "lezione
Bethabara" ci dimostra che la Chiesa di allora non conosceva il luogo dove fu
battezzato Ges.
* I siti individuati sono: Saphsaphas, Ainon, aL-Maghtas, Tell Mar Elias, Tel al-Karrar e Ain
Karim. Quest'ultimo, ubicato ad ovest di Gerusalemme e risalente al VII secolo, stato
scoperto nel 2004 dall'archeologo Shimon Gibson.

Le sottili menti bizantine, una volta compreso che le disparate ubicazioni degli edifici
battesimali di Cristo, realizzati da monaci, ne comprovavano la falsit, li abbandonarono
uno dopo l'altro. Oggi infatti, per evitare smentite archeologiche, gli esegeti spiritualisti,
sostituendosi agli evangelisti, affermano che il Battista abitava in un "buco", ovviamente
"scoperto" da loro. Ma dove? Ecco la soluzione.
Nonostante gli "antichi fiaschi", pur di abbindolare i beati poveri di spirito, scendono in
campo i clerici dello "Studium Biblicum Franciscanum": la punta di diamante della Fede
per sconfiggere il Demonio che riusc ad ingannare l'ingenuo "discepolo che Ges
amava".

I frati sanno che le affermazioni, accreditate ad Orgene, anzich eliminare la diabolica


"trappola" del caso Bethania, al contrario, la peggiorano. Allora? Rilanciano con protervia il
"grande bluff". Oltre a Orgene chiamano a "testimoniare", Eusebio di Cesarea, Costantino
il Grande e la sacra famiglia imperiale, i Vescovi al completo del Concilio di Nicea I, ed
una sfilza di pellegrini che, dal III secolo in poi, si recarono tutti a Bethabara.
Per rafforzare le loro tesi citano l'Onomasticon di Eusebio di Cesarea, un repertorio di
nomi di persona e luoghi relativi alla storia del Cristianesimo ma evitando di riferire che
il manoscritto pi antico di quest'opera il "Codex Vaticanus Gr 1456" risalente
all'XI secolo.
L'infinita analisi pubblicata dallo "Studium Biblicum Franciscanum" il 6 Marzo 2000, in
occasione del Grande Giubileo Cattolico Internazionale, col titolo "Il santuario di Betania
al di l del fiume Giordano" ed firmata dal frate Michele Piccirillo. Ancora prima,
sapendo del Giubileo, il 5/6/1998, i frati avevano gi inaugurato il "Santuario di Betania in
Perea" corredato del relativo studio in cui gli itinerari dei "Grandi Pellegrini del IV secolo"
vengono citati con pignoleria; tuttavia, a partire da Eusebio, in nessun Codice
manoscritto antecedente al Monacensis Gr 314 (del XIII secolo) si accenna
a "Bethabara".

Nessun Padre, Vescovo o Dottore della Chiesa, almeno fino a tutto il IV secolo (data entro
la quale vennero redatti i vangeli in greco e tradotti in latino all'inizio del V), ha mai sentito
parlare di "santuario di Bethabara", n di "santuario di Bethania", sia "al di qua" che "al di
l" del Giordano.
La ragione molto semplice e la abbiamo sopra anticipata: i vangeli che noi leggiamo
furono scritti dopo il Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. Ne consegue che, pur
volendo ammettere per assurdo (solo per assurdo), che Eusebio, l'Imperatore Costantino
ed i vescovi del IV secolo, se tutti loro avessero saputo di "Bethabara" nelle centinaia di
antichi Codici biblici a noi pervenuti avremmo trovato scritto "Bethabara" anzich
"Bethania". E non solo nel vangelo di Giovanni, ma in tutti i vangeli canonici che citano
il Battista e, dulcis in fundo, in tutti i "Commentarii" dei vangeli- scritti da Padri, Vescovi
e Dottori della Chiesa - avremmo riscontrato la stessa identica, stupida e falsa, lezione:
"Bethabara".

Otto secoli fa, gli amanuensi di Dio hanno mentito scrivendo il commentario a nome di
Orgene, ma anche oggi, i francescani, spinti da un "eccesso di carit cristiana", stimolata
dal Grande Giubileo A.D. 2000, ci hanno riprovato, convinti che mai nessuno si sarebbe
levato lo sghiribizzo di verificare se le innumerevoli citazioni riferite (per impressionare gli
sprovveduti) corrispondevano alla verit. Una carit pelosa determinata a modificare le
risultanze evangeliche tramite la duplicazione di Bethania che, spostata "motu proprio" di
oltre quaranta chilometri nella regione di Perea, viene collocata in un "buco" "al di l del
Giordano" et voil! Il gioco fatto: ecco Bethabara! Dopodich Parroci, Popi, Pastori,
Reverendi, Padri e Ministri di Dio, tutti interessati ad indottrinare il prossimo, ben coordinati
con i Tours Operator e per le rispettive laute felicit, organizzano convogli di pellegrini
(inconsapevoli di vangeli) destinati alla falsa "seconda Bethania in Perea", laddove, in
prossimit del "buco", immergono per intero le loro "spoglie" nel Giordano con la
promessa della vita eterna. Per i pellegrini e tutti i credenti, che non leggono i sacri testi,
riportiamo i brani del vangelo di Giovanni relativi a Bethania unitamente alla ubicazione
della antica citt, ancora oggi esistente, richiamata con le precise distanze di riferimento:

"Questo avvenne a Betnia, al di l del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. Il


giorno dopo, Giovanni vedendo Ges venire verso di lui disse " (Gv 1,28-
29); "Betnia distava da Gerusalemme meno di due miglia"(Gv 11,18).

Bethania, dove Giovanni stava battezzando, era vicina a Gerusalemme, di


conseguenza distava pi di trenta miglia romane (40 km) dal Giordano: vale a dire la
vera, unica, attuale, Bethania limitrofa a Gerusalemme ovviamentesenza Giordano.

Seguendo lo schema della falsificazione attuata dagli antichi Padri della Chiesa nei
confronti del toponimo "Gmala" mascherato con "Nazaret" (vedi precedente studio), gli
scaltri ecclesiastici, ben sapendo che le due citazioni del vangelo di Giovanni bloccano
qualsiasi tentativo di speculazione, convinti che il mondo sia pieno di babbei, con una
forzatura della verit hanno reinterpretato il brano, scritto a chiare lettere nel vangelo, col
risultato di confermare il loro interesse a depistare dalla giusta conoscenza anzich riferire
la verit. Un dovere deontologico spettante soprattutto a chi, per professione, insegna
religione nelle nostre scuole pubbliche, con stipendio a carico della collettivit atei
compresi.
Pertanto, riteniamo doveroso evidenziare la scorretta "tecnica" di indottrinamento,
praticata ai giovani studenti, nascosta dietro l'innocuo "obbiettivo formativo". Cliccare:
Bethabara - Il Battesimo di Ges -
Maria Grazia Montuolo
Istituto Comprensivo G. Micali - Livorno -
Anno scolastico 2008 - 2009

Preso visione del vangelo di Giovanni, consapevole delle ricadute negative per la
propagazione della Fede, la docente di religione, Maria Grazia Montuolo, valutati gli effetti
dirompenti causati da impossibili prodigi accreditati a Ges Cristo in una Bethania
erroneamente ubicata dall'evangelista "al di l" del Giordano, ma in realt vicina a
Gerusalemme, pubblica un lunghissimo e macchinoso studio concernente il "Battesimo di
Ges" sulla falsariga di quello dei suindicati frati. Alla pari dei francescani, la Montuolo fa
passare come veritiera la sua analisi e la propina agli studenti delle scuole in cui insegna
senza verificare preventivamente se i contenuti ideologici, intesi a modificare le risultanze
evangeliche, sono basati su una documentazione corretta, sia nelle citazioni, sia sotto il
profilo delle antiche testimonianze archeologiche come di quelle storiche. Non un caso,
infatti, che la docente, nel suo lungo studio, eviti di riferire la "Historia Ecclesiastica" dello
storico Eusebio di Cesarea (materia di sua competenza), laddove si attesta che, al
contrario dei vangeli, Giovanni Battista venne eliminato da Erode Antipa a fine 35, inizi
36 d.C., cio molti anni dopo che Ges era morto:

"Erode Tetrarca spos Erodiade, la moglie di suo fratello (Erode Filippo, morto nel
34) dopo aver ripudiato la prima moglie che aveva sposato secondo le leggi (era la figlia di
Areta, re della Petrea) dopo aver separato Erodiade dal marito, che era ancora vivente.
E per causa di questa donna fece uccidere Giovanni Battista e mosse guerra
adAreta, di cui aveva disonorato la figlia" (op. cit. I 11,1).

Constatiamo che causa ed effetto della guerra sono immediati, ma dalla storia abbiamo la
conferma che Areta IV apr il conflitto contro Erode Antipa nell'estate del 36 d.C. Inoltre, da
"Antichit Giudaiche" di Giuseppe Flavio, risulta che Giovanni Battista, da vivo, operava in
Galilea, non a Bethabara (secondo i frati nel sud della Perea), essendo quest'ultima una
localit desertica, quindi senza ascoltatori:

Quando la gente si affollava intorno a Giovanni Battista, essendo i suoi sermoni giunti
al pi alto grado, Erode(Antipa) si allarm. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti
cos grandi, poteva portare a forme di sedizione a motivo dei sospetti di Erode, fu
portato in catene nel Macheronte, una fortezza in Perea, e quivi fu messo a morte. Ma il
verdetto dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel
senso che Dio giudic bene infliggere un tale rovescio a Erode (Ant. XVIII 118/9).
Il Battista fu portato al Macheronte dopo aver sobillato il popolo. I territori sotto la
giurisdizione del Tetrarca Erode Antipa erano la Galilea e la Perea, ma va tenuto conto
che la zona a sud di questa regione, scelta dai Francescani, era desertica; diversamente
dalla Galilea, rigogliosa ed affollata, i cui abitanti appartenevano all'ala ebraica pi
estremista e rivoluzionaria antiromana.

Da quanto esposto si evince lo scorretto impiego dei docenti di religione il cui dovere
istituzionale non pu essere quello di impedire la conoscenza, non solo della storia
riguardante il Cristianesimo, ma addiritura dello stesso vangelo, fino al punto di alterarne
le reali informazioni rese. Stante cos i fatti, non dobbiamo sforzarci troppo per capire che
il modus operandi della insegnante livornese sia condiviso da tutti i docenti di religione,
ben coordinati dal supremo interesse della Chiesa, la quale adotta una strategia analoga
anche nei successivi, compromettenti, brani evangelici.
Bethsaida

Dalla cronaca "in diretta" concernente il ministero di Cristo apprendiamo:

"Questi si avvicinarono a Filippo che era di Betsaida di Galilea " (Gv 12,21);
"Il giorno dopo Ges stabil di partire per la Galilea. Incontr Filippo e gli disse:
Seguimi. Filippo era di Betsaida, la citt di Andrea e di Pietro" (Gv 1,43-44).

"Bethsaida", nome aramaico che significa "casa della caccia" (tzayd: caccia) era un antico
villaggio ubicato all'estremo nord del lago di Tiberiade (o di Gennesaret). Fu menzionata
da Giuseppe Flavio dopo essere stata ingrandita, fortificata ed elevata al grado di citt
(polis), dal Tetrarca Filippo (figlio di Erode il Grande):

"Filippo ingrand Panea, la citt vicino alle fonti del Giordano e la chiam Cesarea; e la
zona di Betsaida sul lago di Genesaret la eresse al grado di citt aumentandone gli
abitanti e irrobustendone le fortificazioni, e la chiam Giulia, dal nome della figlia di
Cesare" (Ant. XVIII 28);

richiamata dallo storico ebreo anche in "La Guerra Giudaica":

"Quando, alla morte di Augusto, che aveva regnato per cinquantasette anni sei mesi e due
giorni, l'impero dei romani pass nelle mani di Tiberio, figlio di Giulia (no: di Livia Drusilla),
le Tetrarchie rimasero in possesso di Erode e Filippo. Questi fond una citt di nome
Cesarea presso le fonti del Giordano nella Paniade, e un'altra citt di
nome Giuliadenella Gaulanitide inferiore" (Bellum II 168; ib. cfr III 56);
"il Giordano oltrepassata la citt di Giuliade, fluisce nel mezzo del lago di
Gennesar" (Bellum III 515).

Filippo, dopo l'ampliamento di Bethsaida, la inaugur sotto Tiberio chiamando la nuova


citt "Giuliade" in onore di Giulia,figlia (Ant. XVIII 28) dell'Imperatore Cesare Augusto ed
in memoria di lui per avergli attribuito i territori dopo la morte di Erode il Grande.
Individuate con precisione le vestigia della citt di Bethsaida nel primo secolo, possiamo
accertare le sviste "dettate da Dio" agli ingenui scribi cristiani. Infatti, contrariamente alle
testimonianze evangeliche, Bethsaida non apparteneva amministrativamente alla
Galilea (sotto Erode Tetrarca) ma alla Traconitide (Ant. XVII 319; Bellum II 95) e, come
risulta dalle citazioni storiche confermate dalla archeologia, era ubicata nella Gaulanitide
inferiore, ad est delGiordano, in prossimit del punto in cui il fiume si immette nel lago di
Tiberiade. Ma, dal momento che la Galilea era ad ovest del Giordano qui iniziano i
dolori per le meraviglie narrate nelle sacre scritture:

"Giunsero a Betsaida, dove condussero a Ges un cieco pregandolo di toccarlo.


Allora preso il cieco per mano fu sanato e vide chiaramente ogni cosa a
distanza" (Mc 8,22-25);
"Ordin poi ai suoi discepoli di salire sulla barca e, procedendo sull'altra riva, verso
Betsaida Ges and verso di loro camminando sul mare" (Mc 6,45-48);
"Ges prese con s gli apostoli e si ritir verso una citt chiamata Betsaida. Ma le folle lo
seppero e lo seguirono"(Lc 9,10)...

il prosieguo del brano, appena citato da Luca, narra lo spettacolare miracolo della
"moltiplicazione dei pani e dei pesci":

" Allora Ges prese i cinque pani e due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li
spezz e li diede ai discepoli perch li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si
saziarono " (Lc 9,16).

E' il prodigio descritto dagli evangelisti in cui si narra come Cristo, due millenni fa, sfam
migliaia di suoi fedeli, uomini, donne e bambini; esso riferito dettagliatamente in tutti i
vangeli ma, in nessuno di questi, gli evangelisti, ad iniziare da Luca, si sono resi conto
che "le folle" dovevano attraversare il fiume Giordano per recarsi da Bethsaida alla
localit ubicata ad ovest del fiume, in Galilea, dove avvenne la moltiplicazione dei pani.

Lo stesso evangelista Giovanni, nativo di Bethsaida, se fosse realmente esistito non


avrebbe mai commesso un simile errore perch il Giordano scorreva vicino alla sua
stessa casa. E non solo. San Girolamo in "De viris illustribus" (Cap. IX), nella biografia
dell'apostolo, scrive:

"Giovanni, dopo aver letto i volumi (rotoli dei vangeli) di Matteo, Marco e Luca, approv
senz'altro il testo della loro narrazione, sottolineandone la piena verit".

La mancata conoscenza dei luoghi in cui vissero Ges ed apostoli dimostrata addirittura
dal Dottore della Chiesa quando, all'inizio del V secolo, tradusse personalmente dal greco
in latino la famosa Bibbia Vulgata. Infatti, la "piena verit" richiamata da Girolamo
sconfessata dalla non conoscenza della terra di Cristo, ad iniziare proprio da Giovanni, il
quale avrebbe dovuto insegnare a Ges, assieme ai colleghi
apostoli Pietro, Andea e Filippo, nati a Bethsaida, chequesta citt era in
Gaulanitide, non in "Galilea", come invece afferma il vangelo nel brano "Gv 1,44" su
riportato. Consapevoli della grave contraddizione, gli ipocriti esegeti cristiani odierni
inseriscono, sfacciatamente, nelle loro mappe della Palestina, una seconda Bethsaida in
Galilea, senza alcuna prova storica ed archeologica ... indifferenti alla impossibilit che
due citt cos vicine fra loro abbiano lo stesso nome.
In conseguenza dei contrasti evidenziati, possiamo confermare quanto gi dimostrato
negli studi precedenti che non sono mai esititi n apostoli, n evangelisti. Al contrario,
sono realmente vissuti gli amanuensi cristiani i quali attestarono i fantastici eventi alla fine
del 4 secolo e, come abili trasformisti, si fecero passare per Giudei del 1 secolo nonch
seguaci del "Salvatore" allo scopo di rendere veritiere le falsit che stavano inventando
pur di illudere i popoli con la promessa della vita eterna.

Anche in questo caso, come per Bethania, la localit dove avvenne il miracolo della
moltiplicazione dei pani e dei pesci fu appositamente scelta in Galilea, durante l'epoca
bizantina, dopo la disgregazione dell'Impero Romano: si chiamava "Tabgha", e l venne
realizzato un Santuario, poi finito in disuso, ma individuato all'inizio del secolo scorso.
Con la costruzione di un Santuario in Galilea, a Tabgha, nei pressi del lago di Tiberiade,
indicato come il luogo dove avvenne il miracolo dei pani e dei pesci, l'alto Clero bizantino
intese "dimostrare" al mondo intero, con tanto di mosaico, il punto preciso dove accadde
l'evento eccezionale senza capire la grave incompatibilit con il vangelo di Luca (Lc
9,10-17) al punto di costringere la grande folla, radunata nella parabola, ad attraversare
il fiume sacro per recarsida Bethsaida a Tabgha. Il tutto accaduto senza che Ges
avesse fatto alcun miracolo, antecedente a quello dei pani, per aprire le acque del
Giordano e consentire alle folle di attraversarlo, come fece il suo omonimo eroe ebreo
"Giosu" (Yehosha) quando questi permise al popol o israelita, Arca dell'Alleanza
compresa, di oltrepassare il biblico immissario del lago di "Kinnereth" (poi di "Genesareth"
infine di "Tiberiade"), oppure ripiegare sul meno spettacolare miracolo per consentire alla
moltitudine di fedeli di "camminare sulle acque" come fece Lui (Mc 6,48).
Ma il colmo della contraddizione si riscontra nel vangelo di Giovanni. L'evangelista fa
avvenire il miracolo dei pani e dei pesci sopra una montagna, ad est del lago di
Tiberiade non ad ovest, nella riva opposta a Cafrnao smentendo la
fasulla "Tabgha", quest'ultima venerata sia dagli ortodossi-bizantini che dai cattolici
romani:

"Dopo questi fatti, Ges and all'altra riva del mare di Tiberiade e una grande folla lo
seguiva ... Ges sal sullamontagna vide che una grande folla veniva da lui" "Si
sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Ges prese i pani e, dopo aver
reso grazie, li distribu a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finch ne
vollero" (Gv 6,1-11) "Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare e, saliti in
una barca, si avviarono verso l'altra riva in direzione di Cafrnao (Gv 6,16).
Poich Cafrnao era (ed ) posizionata ad ovest del lago di Tiberiade, questo significa
che il miracolo dei pani e dei pesci avvenne su di una montagna sita nella riva opposta a
Cafrnao, quindi ad est del lago.
"Il giorno dopo, la folla, rimasta dallaltra parte del mare (sempre ad est del lago), vide
che cera soltanto una barca e che Ges non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma
i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano intanto giunte da
Tiberade (ubicata ad ovest del lago) vicino al luogo dove avevano mangiato il
pane (ad est, l'altra riva del lago). Quando la folla vide che Ges non era pi
l (ovviamente ad est) e nemmeno i suoi discepoli,sal sulle barche e si diresse alla
volta di Cafrnao (ad ovest) alla ricerca di Ges. Lo trovarono di l dal mare (a
Cafrnao ad ovest del lago) e gli dissero: Rabb, quando sei venuto qua? (Gv 6,22-25).

La Chiesa, oggi, talmente imbarazzata per le contraddizioni ingenerate da una


Bethsaida, ubicata ad est del Giordano anzich ad ovest in Galilea, che ha scelto di
prendere le distanze da questa citt in punta di piedi.
Infatti, basta cliccare in Internet "Cathopedia" aggiungendo "moltiplicazione dei pani e dei
pesci" per leggere commenti elusivi e arzigogolati come: "significato simbolico", "risonanze
messianiche", "termini diretti", "termini lati" e "profetici","compimento neotestamentario"
purch non si parli di Bethsaida, tanto meno di miracolo di pani e pesci. Manca solo la
frase finale d'obbligo onde evitare fastidiosi equivoci: "Ogni riferimento a persone o fatti
mai accaduti puramente casuale".
Nelle Parrocchie, come nelle Chiese scismatiche cristiane, invece tutt'altra musica. Alla
stregua di Bethania: Parroci, Popi, Pastori, Ministri, Padri, Madri, Sorelle, Reverendi, e tutti
coloro interessati ad indottrinare il prossimo, ben coordinati con i Tours Operator,
organizzano carovane di pellegrini in piena crisi mistica ma facendo molta attenzione a
non seguire l'insegnamento di Luca quando fece attraversare il Giordano alle folle da
Bethsaida a Tabgha a nuoto.

Gerasa e Gadara: dove Ges esorcizz i demni

"Approdarono nella regione dei Geraseni, che sta di fronte alla Galilea. Ges era appena
sceso a terra, quando gli venne incontro un uomo della citt posseduto dai demni Alla
vista di Ges gli si gett ai piedi urlando a gran voce: Che cosa vuoi da me, Ges, Figlio
del Dio altissimo? Ti prego, non tormentarmi!. Ges gli domand : Qual il tuo nome?
. Rispose: Legione, perch molti demoni erano entrati in lui e lo supplicavano che non
ordinasse loro di andarsene nell'abisso. Vi era l un numeroso branco di porci che
pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo
permise. I demni uscirono dall'uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a
gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e anneg" (Luca 8,26-33).

L'esorcismo pi famoso della storia, praticato da Cristo contro le potenze demoniache


delle tenebre, viene descritto con stile tanto pittoresco quanto adolescenziale, oscurantista
e medievale, destinato alla umanit praticante assidua nella preghiera: unica difesa
avverso il Maligno. Similmente anche in Matteo e Marco:
"Giunto sull'altra riva (del lago di Tiberiade, di fronte a Cafrnao: Mt 8,14) nel paese
dei Gadarni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, vennero incontro a Ges " (Mt
8,28-34);
"Nella regione dei Geraseni, c'era un uomo posseduto da uno spirito immondo Ges gli
domand: Come ti chiami? . Mi chiamo Legione, perch siamo in molti. Sul monte
c'era una grande mandria di porci E gli spiriti lo scongiurarono: Mandaci da quei porci,
perch entriamo in essi ... La mandria si lanci dal precipizio nel mare (lago di
Tiberiade) e circa duemila d'essi annegarono" (Mc 5,1-13).

Bel colpo! Con un solo esorcismo Ges elimin duemila demni entrati in duemila porci
che, pazientemente, lo stavano aspettando in una inesistente citt "Gerasa" per farsi
annegare.
Come avvenuto per il "caso Bethania", quando nei testi sacri dettati da Dio venivano
riscontrati abbagli divini, gli amanuensi ricorrevano ai "Commentari". Nel XIII secolo, i
redattori del manoscritto "Codex Monacensis Gr 314" si rivolsero, ancora una volta, ad
Origene per risolvere anche il "caso Gerasa" ed il "caso Gadara".

Gerasa il nome di una antica citt la cui storia viene citata da Giuseppe Flavio (Bellum I
104) quando fu sottomessa dai Giudei, nell'84 a.C., condotti dal Re asmoneo Alessandro
Ianneo. Successivamente, dopo la conquista di Pompeo Magno, nel 63 a.C., la citt
raggiunse il massimo splendore sotto il dominio romano ma ... Gerasa dista cinquanta
chilometri a sud dal lago di Tiberiade e venti ad est oltre il Giordano. Nell'epoca
dell'esorcismo di Cristo apparteneva alla regione di Decapolis mentre le sue spettacolari
vestigia lontane dal lago, nei secoli, si sono conservate intatte sotto la sabbia.
Gadara, dista dieci chilometri dal lago di Tiberiade, Giuseppe Flavio la cita pi volte ad
iniziare dall'occupazione giudaica attuata da Alessandro Ianneo dopo dieci mesi d'assedio
(Bellum I 86). Era una bella citt di cultura ellenistica, cinta da mura, con teatri, terme,
ippodromo, ninfeo e mausoleo; pertanto anch'essa entr a far parte di Decapolis dopo la
sua liberazione e ricostruzione voluta da Pompeo Magno (Bellum I 155). Nei secoli
seguenti, sotto il dominio bizantino, grazie ai richiami evangelici, divenne una famosa meta
di pellegrini cristiani.
Leggiamo come operarono, otto secoli fa, gli esegeti amanuensi per "salvare" la credibilit
di Ges esorcista che precipit i maiali indemoniati di Gerasa e Gadara in un lago
inesistente presso le due citt. E' sempre Origene che parla in prima persona nella
"diretta streaming" del XIII secolo.

Origenes. "Commentarii in evangelium Ioannis" - XLI -

"Quanto poi al fatto che i manoscritti greci contengano spesso errori nella trascrizione dei
nomi, uno potrebbe convincersene anche da questi casi che troviamo nei vangeli.
L'economia dei porci precipitati dalla rupe e annegati in mare dai demoni collocata dai
vangeli nella regione dei Geraseni. Ora, Gerasa una citt dell'Arabia e non ha nei
dintorni n un mare n un lago. N gli evangelisti avrebbero potuto dire un'inesattezza
cos evidente ed esposta a una facile smentita, tanto pi poi che essi conoscevano
perfettamente (sic!) le regioni intorno alla Giudea. Siccome in alcuni esemplari troviamo
Nella regione dei Gadareni occorre dimostrare falsa anche questa
lezione. Gadarainfatti bens una citt della Giudea, ma nei suoi dintorni ci sono
le celebri terme, non un lago sovrastato da rupi n il mare".

Gli scrivani di Dio avevano un problema molto difficile da risolvere, anzi impossibile,
perch costrinsero il povero ectoplasma di Origene ad arrampicarsi su per l'Antico
Testamento e, percorrendolo tutto, dall'epoca di Abramo in poi, ha interrogato una sfilza di
Profeti per cercare affinit con nomi di localit, fra le pi disparate, da abbinare a Gerasa e
a Gadara tramite una miracolosa "lezione" invano. Ben sapendo che Gadara era
ubicata nella Decapoli, e famosa per le celebri terme alimentate da sorgenti calde, le sacre
penne tardo medievali hanno riempito svariate pagine, che risparmiamo ai lettori perch
l'evanescente Origene non riusc a risolvere l'abbaglio evangelico. Al termine della
sequela di nomi, lo spettro di Origene tagli corto e arbitrariamente scelse la "lezione
Gergesa":

"C' per Gergesa, da cui prendono nome i Gergeseni, un'antica citt sulle rive di quello
che oggi si chiama mar di Tiberiade, che ha nei dintorni una rupe che sovrasta il mare:
di qui, come [ancora] si indica, che i porci sono stati precipitati dai demoni. Il nome
Gergesa, del resto, vuol dire appunto "abitazione di coloro che hanno scacciato": un nome
che contiene forse un'allusione profetica" (ibid. XLI).

"Gergesa" spacciata per Gerasa

Gergesa una localit sconosciuta agli evangelisti, a Giuseppe Flavio e all'Antico


Testamento. Inevitabilmente, la sua forzatura non in grado di sostituirsi ad entrambi i
lemmi "Gadara" e "Gerasa", al punto che oggi nessun archeologo, a partire da quelli
Vaticani, osa fare propria la fallimentare scelta di "Gergesa", manoscritta nella "lezione
origeniana" dagli amanuensi medievali.
Anche in questo caso, accortisi dello svarione evangelico, le sottili menti del clero
bizantino, ancora prima del clero romano, individuarono una localit adiacente la riva est
del lago, con pochi resti abbandonati di un antico villaggio ebreo di pescatori, e vi
costruirono un monastero con annessa Chiesa. Il nome della localit non "Gergesa"
bens "Kursi", ma, trattandosi di un antico insediamento israelita, si poneva il problema di
duemila porci che pascolavano in attesa di Ges. Allora gli indottrinatori spirituali, in
comunella con i Tours Operator, "esorcizzano" il contrasto con i costumi giudaici
affermando che si trattava di un antico villaggio romano pagano, attrezzato con un piccolo
porto. Ovviamente, i furbi indottrinatori non si spingono a dire che i Romani avrebbero
realizzato il porticciolo per ormeggiarvi le trireme con cui andare a pescare nel lago
Gennesar, consapevoli del fatto che Pompeo Magno, quando conquist la Palestina,
appositamente non fece costruire "Gergesa" per fare un dispetto ai futuri evangelisti.
I fedeli pellegrini, convinti dai catechizzatori che i vangeli parlano dell'esorcismo in
Gergesa (anzich a Gerasa), visitano questa citt a pagamento nella speranza di ottenere
la vita eterna e l'immunit contro il diavolo.

In conclusione, n Gerasa, n Gadara, le citt riferite nei sacri testi, sono ubicate sulla riva
del lago di Tiberiade; pertanto un vero Dio Messia ebreo non avrebbe mai "rivelato" ai suoi
evangelisti "buone novelle" con errori simili. Cos come i Suoi apostoli ed evangelisti, se
fossero esititi veramente, in quanto nativi giudei, non avrebbero mai testimoniato i prodigi
del proprio Re Messia avvenuti in posti sbagliati nella sua stessa Patria.
Allo scopo di correggere lo sproposito neotestamentario, i Primati bizantini scelsero una
localit del lago che poteva corrispondere ai vangeli e la chiamarono "Gergesa", sapendo
che i Gergeseti erano un antico popolo pagano che fu scacciato da Giosu dalla propria
terra. Ma, successivamente, anche l'antico nome biblico "Gergeseti" venne modificato in
"Gergeseni" per impedire che la correlazione fra i porci, "scacciati" da Cristo, ed i
Gergeseti pagani, "scacciati" da Giosu, evidenziasse l'origine ideologica del lemma
finendo col dimostrane il richiamo esclusivamente dottrinale, quindi non corrispondente
alla realt toponomastica che, abbiamo visto, "Kursi".

Ciononostante, indifferenti alle risultanze evangeliche che si riferiscono a "Gerasa", i


catechizzatori e i Tours Operator, in ossequio all'ectoplasma di Orgene, indirizzano i
"pellegrini" ad una mai esitita "Gergesa": un nome con un'allusione profetica.
Arimatea

"Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio, buono e giusto. Egli
non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Era di Arimatea,
una citt della Giudea, e aspettava il regno di Dio" (Lc 23,50-51).

Ahi! Ci risiamo Gli scribi cristiani incappano sempre nello stesso errore: un autentico
testimone giudeo, oltre al nome, si sarebbe obbligato a citare il patronimico, cos:
"Giuseppe, figlio di (bar) "; tenuto conto che "Giuseppe" era un appellativo ebraico fra i
pi comuni e, stando ai vangeli, addiritura un autorevole membro del Sinedrio impegnato a
prendersi cura del cadavere di Cristo. Ma, secondo l'evangelista, come ora stiamo per
verificare, Giuseppe d'Arimatea doveva svolgere un compito ancora pi importante sotto il
profilo della dottrina.
La fama di Giuseppe d'A. dipese dal fatto che "And da Pilato e gli chiese il corpo di Ges.
Allora Pilato ordin che gli fosse consegnato" (Mt 27,58). Anche questa bella! Mai, a
nessun estraneo, i governatori romani avrebbero concesso di prelevare la salma di un
defunto giustiziato da loro: solo un famigliare poteva richiederla per le esequie funebri
onde evitare che venisse gettata in una fossa anonima.
Da tale considerazione alcuni esegeti, anche credenti, ritengono che Giuseppe d'A. sia
stato un parente di Ges facente parte dei primi settanta discepoli-apostoli; non un caso,
quindi, che i Cristiani lo abbiano santificato, anche se, lo ricordiarmo, "Giuseppe" (Mt
13,55) era effettivamente il nome di uno dei fratelli carnali di Ges (per l'identificazione di
Giuseppe, fratello minore di Cristo, rimandiamo i lettori all'apposito studio).

Nel rispetto della dottrina cattolica, gli evangelisti di Dio fecero intervenire "Giuseppe
d'Arimatea" per evitare al padre putativo del Re Messia, san Giuseppe carpentiere (mai
nato n defunto), di spiegare a Pilato la propria genealogia finendo con l'impappinarsi ed
essere crocefisso pure lui. Infatti, anche gli asini sanno che il "san Giuseppe" di Luca
aveva il padre "Eli" (Lc 3,23) diverso dal "san Giuseppe" di Matteo: "Giacobbe" (Mt 1,16).
Ne consegue che gli evangelisti sapevano di non poter far reclamare il cadavere di Cristo
Re, "Figlio di Dio" n dallo Spirito Santo, n dall'Arcangelo Gabriele. A causa dello
stesso impedimento, gli amanuensi cattolici, con opportuno calcolo, non fecero intervenire
la "Madre di Dio" per non impegnare la SS. Vergine Maria in una imbarazzante
spiegazione, dovuta al Governatore romano Ponzio Pilato, su chi sarebbe stato il suo
"sposo" e, al contempo, genitore del Cristo appena giustiziato. Peraltro, il mancato
interrogatorio, utile a Pilato per conoscere il nome del Re Messia e quello di suo padre
(obbligatori per gli Ebrei del Sinedrio e per i governatori imperiali tenuti a certificare gli atti
delle udienze), dimostra la montatura di un processo farsa narrato da ignoranti in diritto
romano e giudaico.

In ultima analisi, il silenzio dell'evangelista - che non pu vincolare la Madre di


Dio "Teotkos" (Maria) a reclamare la salma del Figlio dello Spirito Santo - dimostra
che la Madre di Ges Cristo (diversamente dal Concilio di Nicea del 325 d.C.) per la
prima volta, fu "concepita" assieme a Pilato dalla dottrina cattolica sancita nel Credo del
Concilio di Costantinopoli del 381 d.C.; a ulteriore dimostrazione che gli attuali vangeli
furono scritti dopo questa data. Infatti, un vangelo redatto prima del Credo
costantinopolitano non avrebbe avuto problemi a far reclamare la salma di Ges da parte
di sua madre, moglie di un semplice "Giuseppe, figlio di ".
Stabilito che, ad esecuzione avvenuta di Ges, doveva pur intervenire qualcuno al posto
dei famigliari per prendersi cura del Dio appena sacrificato, l'evangelista abbin il nome
"Giuseppe" ad uno strano lemma fatto passare come nome di citt: Arimatea. Fu una
scelta superficiale e infelice, adottata dagli evangelisti alla fine del IV secolo, allora non in
grado di prevedere le future conseguenze perch, purtroppo per i fedeli praticanti,
all'infuori della penna dello scriba lucano, in Giudea non mai esistita la "citt di
Arimatea".

Consapevoli del fatto che alle devote masse interessava solo la promessa della vita
eterna, i teologi del Cristianesimo, una volta sollevata la Madre di Dio dall'obbligo di
richiedere a Pilato la salma del Salvatore per le esequie funebri, dimenticarono Giuseppe
d'A. sino all'epoca delle Crociate in Terra Santa.
Effettivamente, prima dei vangeli vigenti, in nessun testo viene riferito di "Giuseppe
d'Arimatea", ad iniziare da Eusebio di Cesarea. Anche san Girolamo lo ignora ma,
evidenziato che il codice pi antico di "De viris illustribus" risale al IX secolo, ne
deduciamo che, all'epoca in cui gli amanuensi ne trascrissero il testo, "Giuseppe
d'Arimatea" non era ancora diventato "illustre", tanto meno "beatificato". Quindi, non un
caso che i Primati dell'Impero Bizantino non lo abbiano, gi dall'inizio, commemorato nei
numerosi Santuari edificati a testimonianza dei "Luoghi Santi" del Salvatore universale.
Le "gesta accessorie" (antecedenti i codici biblici di fine IV secolo) attribuite al santo di
Arimatea - non contemplate nei vangeli ma riferite da altri "santi", a iniziare da Ireneo di
Lione - le ritroviamo tutte trascritte in codici datati in epoca posteriore a quella del "De viris
illustribus" di Girolamo, vale a dire dal X secolo in poi.

La ricerca della citt di Arimatea ebbe inizio con l'avvento dei Crociati quando si recarono
in Terra Santa per liberare il Santo Sepolcro. Fu allora che i "compagni d'arme" di Cristo
valutarono l'importanza dei "tumulatori di Dio": Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Nell'XI
secolo, i Crociati aprirono e conclusero la ricerca. Con una forzatura, identificarono nella
ridente citt di Ramla la biblica "Ramathaim" (luogo natio del profeta Samuele) per poi
assimilare quest'ultima alla pi gesuita e grecizzata "Arimatea".
I "frutti" delle Crociate - compreso il santo Graal e il sangue di Cristo raccolto da Giuseppe
d'A. - vennero trasferiti nel pi antico manoscritto che ne riferisce le gesta
particolareggiate: il Codex Ambrosianus Gr E 140, datato paleograficamente
al XII secolo.
Si tratta di un testo apocrifo neotestamentario citato come "Atti di Pilato" o "Vangelo di
Nicodemo", la cui narrazione fantasiosa e puerile sconfessata, oggi, dalla stessa Chiesa
ma non nel Medio Evo.

All'epoca, viceversa, il lungo e particolareggiato racconto, magnificato dai pulpiti, dette la


stura a numerose leggende riscuotendo un successo tale che "Giuseppe di Arimatea"
venne beatificato nel 1585 dal Cardinale Baronio, vale a dire 1500 anni dopo la sacra
tumulazione e, sappiamo tutti, quando la Chiesa manda qualcuno in Paradiso, ebbene, l
resta altrimenti finirebbe la Sua infallibilit divina. La logica conseguenza fu che in
quell'epoca carovane di pellegrini si diressero in Terra Santa spinte da un profondo
"bisogno spirituale" indotto dalla promessa della vita eterna.
Ma la forzatura dei Crociati non poteva reggere alle pi esigenti analisi moderne, per cui
tent una soluzione il Rev. William F. Albright (famoso archeologo biblico studioso dei
rotoli dei mar Morto) il quale, mezzo secolo fa, aveva individuato la citt di Arimatea in
"Rainallah" gi "Rarnataim". Ma anche la spiegazione del Reverendo non convinse per
mancanza di riscontri archeologici e, sino a tutto il 1998, ogni ricerca su "Arimatea" si era
dimostrata infruttuosa.
A questa data, il valente paleografo Luigi Moraldi ultima la traduzione di "Antichit
Giudaiche" (UTET 1998), redatta in collaborazione con il Cardinale Carlo Maria Martini che
gli concesse di consultare i Codici della Bibioteca Ambrosiana.
Il Moraldi, con molta discrezione, a pag. 787 nota 29, richiamandosi al Giuseppe di
Arimatea del vangelo di Matteo (Mt 27,57) indica tre localit giudaiche, similari nelle
consonanti fonetiche, proponendole come candidate di Arimatea: Ramathaim, Armathain e
Ramath. Preso atto che la collocazione della citt di Ramathaim, alla pari delle altre due,
non offre alcuna certezza per la totale mancanza di ogni indizio archeologico, la stessa
Cathopedia vaticana in primis si tiene alla larga dalla inesistente "citt di Arimatea".
Ne consegue che non vengono organizzati pellegrinaggi ad alcuna "Arimatea", in
compenso san Giuseppe d'Arimatea viene commemorato con la visita al "Santo Sepolcro".

In conclusione, il discepolo prediletto Giovanni, nativo di Betsida secondo la Chiesa,


quindi ebreo purosangue, se fosse esistito veramente non avrebbe mai abbinato il nome
"Giuseppe" ad una inesistente citt della Giudea chiamata "Arimatea". Lo stesso dicasi per
gli altri apostoli ed evangelisti spacciati per Giudei. Nella realt, scribi cristiani con
pseudonimi evangelici si limitarono a narrare favole ambientandole in un territorio, ad essi
sconosciuto, quattro secoli prima del loro tempo, senza mai recarsi in Palestina, n
accertarsi preventivamente che le "verit" propinate alle ingenue masse avessero concreti
fondamenti storici e geografici quanto meno utili per giustificare l'illusione della vita
eterna oltre la morte.
Il fatto che questi "particolari" non verranno mai chiariti ai "beati poveri di spirito".

Cafrnao: Ges fa il miracolo in una Sinagoga costruita oltre un secolo dopo di lui

L'insistenza con cui gli evangelisti ricorrono al "demonio" dipende dal fatto che la dottrina
monoteista universale aveva assoluto bisogno di una "Entit" su cui far ricadere la colpa di
tutti i mali che affliggono l'umanit: il "Maligno delle Tenebre". Questi, in effetti, costituisce
l'Alibi di Dio, Creatore della Luce e della Vita, ma incapace di impedire i guai che da
sempre hanno angosciato gli uomini. Sulla interazione del dualismo "Bene Male" si fonda il
concetto religioso dei catechizzatori per garantirsi la sottomissione della massa di credenti
i quali, per non andare all'inferno, non osano chiedersi: perch Dio, "l'Essere perfettissimo,
Creatore e Signore del cielo e della terra" cre il Maligno il quale poi, a sua volta,
diventer la causa delle inevitabili sofferenze umane?
Perci gli evangelisti, vincolati a questa esigenza della dottrina, chiamano ripetutamente il
Salvatore per scacciare il Demonio ma facendo molta attenzione a non eliminarlo
definitivamente; altrimenti la colpa dei mali futuri, in mancanza dell'irrinunciabile
onnipresente Diavolo, ricadr sul Figlio e il Padre Suo.
Non un caso, quindi, che gli "esorcisti" odierni si limitano anch'essi a "scacciare" il
Demonio, perch, se andassero oltre, rimarrebbero disoccupati come Cristo:

"Poi Ges discese a Cafrnao, una citt della Galilea, e al sabato ammaestrava la gente.
Nella Sinagoga c'era un uomo con un demonio immondo e cominci a gridare forte:
Basta! Che abbiamo a che fare con te, Ges Nazareno? Sei venuto a rovinarci? So bene
chi sei: il Santo di Dio!. Ges gli intim: Taci, esci da costui!. E il demonio, gettatolo a
terra in mezzo alla gente, usc da lui" (Lc 4,31-35).

Ma anche in questa parabola, come nelle precedenti, gli scribi di Dio costrinsero il
Salvatore a dimostrare le Sue mirabilia in contrasto con la storia e l'archeologia.
Cafrnao, nome composto dall'aramaico "Kefr" che vuol dire "villaggio" e "Nahum"
nome di un profeta dell'Antico Testamento, in tutta la sua storia risulta sempre
come villaggio, mai citt, sito in Galilea. Esattamente come lo chiama Giuseppe Flavio
alla fine del 1 secolo. Ne scaturisce una prima evidenza: i protagonisti apostoli, pur
risultando nati in Galilea, non sapevano che "Kefr" era un "villaggio" di nome e di fatto ...
perch i loro inventori non erano ebrei, n si erano mai recati in quei territori.
Gli amanuensi scrissero i vangeli dopo il Credo costantinopolitano del 381 d.C. e li
comprovarono con i riferimenti storici prelevati dai rotoli, redatti dai cronisti del I secolo,
giacenti nella biblioteca imperiale di Teodosio il Grande.
Ciononostante, l'avventato esorcismo narrato da Luca non tenne conto delle risultanze
storico archeologiche perch l'evangelista di Dio invi il Salvatore nell'edificio di culto
ebraico, pi bello e spettacolare di tutta la Palestina, due secoli prima che venisse
realizzato: la Sinagoga di Cafrnao.
Secondo lo scriba lucano: "Il centurione merita che tu (Ges) gli faccia la grazia perch
ama il nostro popolo ed stato lui a costruirci la sinagoga" (Lc 7,5). Quindi, stando al
vangelo, la Sinagoga fu costruita da un Centurione romano che, ovviamente, doveva
essere molto ricco e al contempo, molto, anzi, troppo filo giudeo in una Galilea molto,
anzi, troppo nazionalista contro il dominio di Roma.
Il comandante di una centuria romana doveva essere sempre pronto con i suoi uomini ad
ingaggiare un combattimento per reprimere qualsiasi atto di ribellione nella terra con la
maggiore concentrazione di Zeloti di tutta la Palestina. Tuttavia, direbbe il solito
indottrinatore: "le vie del Signore sono infinite". Beh, constatato che finora il "Signore" non
ha fatto altro che inciampare percorrendo la sua terra, accertiamoci se riesce a superare
indenne le risultanze storiche ed archeologiche.

Iniziamo con la storia. Lo scriba lucano non spiega cosa ci faceva una centuria romana - in
quell'epoca agli ordini di un Centurione subalterno del Prefetto Ponzio Pilato - dislocata in
Galilea: una regione che, per decisione di Cesare Augusto, apparteneva
alla Tetrarchia sottoposta alla giurisdizione di Erode Antipa con il potere, conferitogli
dall'Imperatore, di dotarsi di un proprio esercito. Preso atto di questa assurdit,
procediamo con lo studio.
Lo storico Giuseppe Flavio, insignito come comandante delle forze giudaiche della
Galilea, cita "Cafrnao" decantandone la feconda sorgente di acqua (Bellum III 519) e,
diversamente dai vangeli che la qualificano sempre "citt", lo definisce come un semplice
"villaggio" quando vi sost momentaneamente per via di una leggera ferita (Bios 403).
Quest'ultimo episodio riportato in "Autobiografia", stilata da lui alla fine del primo
secolo, venticinque annidopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e oltre mezzo
secolo dopo il miracolo di Ges.
Ma, essendo Giuseppe un eminente sacerdote giudeo, la sua mancata cronaca riguardo
l'esistenza della sinagoga di Cafrnao, l'edificio di culto giudaico pi bello e
monumentale dell'intera Palestina, dimostra che non esisteva a tutto il primo secolo d.C.
Basti dire che la sinagoga di Cafrnao contiene quattrocento posti a sedere e, come tutte
le sinagoghe della Diaspora ebraica post bellica, presenta analogie estetiche con i templi
pagani romani, sino ad emularli in bellezza. Va sottolineato che lo storico giudeo rifer i
dettagli di sinagoghe meno maestose: a Tiberiade (Bios 54,277),Dora (Ant. XIX 300)
e Cesarea Marittima (Bellum II 285).

Inoltre, confrontando la parabola lucana con la storia, notiamo che la sceneggiatura vede
un Centurione ed un Ges operare entrambi in un territorio molto pi popolato rispetto a
quello descritto dal testimone oculare Giuseppe Flavio, e questo significa che
l'insediamento abitativo di Cafrnao si svilupp dopo la guerra giudaica del 66/70
d.C. Successivamente, l'agglomerato urbano galilaico crebbe fino a quando i residenti
poterono disporre dei mezzi finanziari che consentirono loro di costruire una sinagoga di
prima grandezza, compreso il mantenimento di alcuni sacerdoti, muniti dei rotoli della
Legge, esperti nei riti del culto divino e dedicati alla custodia dell'edificio.

In effetti, lo sviluppo urbano di Cafrnao fu incentivato sotto Adriano quando, dopo aver
costituito la nuova Provincia di "Syria Palaestina", l'Imperatore realizz il "cardo maximus",
la via consolare (segnata da un cippo miliare ritrovato) che conduceva a Damasco, mentre
a Cafrnao i Romani costruirono un monumentale mausoleo pagano. Tuttavia
l'insediamento di Cafrnao non pot essere mai qualificato come "citt" perch arriv ad
ospitare un massimo di 1700 abitanti, e neanche pot realizzare mura fortificate, quindi
rimase sempre un villaggio; mentre la presenza del mausoleo pagano spinse gli Ebrei ad
emularlo edificando una sinagoga esteticamente ancora pi bella, e per questo famosa.
Alla fine del 4 secolo, quando redassero i vangeli attuali, gli evangelisti erano convinti che
la sinagoga esistesse gi dal 1 secolo, inoltre, le rovine del tempio pagano e la strada
consolare per loro costituivano la prova evidente che in quel luogo, nel passato, operarono
guarnigioni militari romane, pertanto vi stazionarono una centuria nel 1 secolo. Sempre a
Cafrnao, gli scrivani cristiani, inconsapevoli delle risultanze storiche, insediarono
l'apostolo "Matteo Levi" come esattore capo (Pubblicano), incaricato per la riscossione dei
tributi per conto di Roma, mentre in realt la responsabilit di tale incombenza era
delegata direttamente ad Erode Antipa il quale, essendo la sua Tetrarchia considerata un
protettorato romano, operava in piena autonomia come suo padre Erode il Grande. Antipa
era tenuto a versare all'Imperatore Tiberio un tributo annuo fisso da detrarsi dalla propria
rendita territoriale che ammontava a duecento talenti d'oro (Ant. Giu. XVII 318), mentre
l'apparato amministrativo delle riscossioni risiedeva nella capitale della Galilea: Tiberiade.
Malauguratamente per gli scribi di Dio, strada consolare, tempio pagano e insediamento
romano si realizzarono dopo la fine di Giuseppe Flavio, altrimenti questi particolari li
avrebbe riferiti lui nella cronaca dettagliata sul villaggio di Cafrnao. Una considerazione
analoga vale anche per la impossibile presenza di una stazione romana delle imposte, di
fatto sconosciuta allo storico. Proseguiamo ora nella ricerca e compariamo le citate
evidenze storiche con le testimonianze evangeliche.

In contrasto con lo sterminio attuato dalle legioni romane a spese dei ribelli Giudei - mrtiri
immolati contro il dominio pagano sulla loro patria - la fede ebraica non fu mai proibita
nell'Impero Romano sino ai decreti cattolici di Teodosio il Grande, promulgati a fine 4
secolo. Ci dimostrato dal diritto concesso agli Ebrei, dopo la distruzione del Tempio
voluta dal generale Tito, di costruire in Palestina (stante i ritrovamenti archeologici), fra il
2 e 4 secolo, molte sinagoghe oltre quella di Cafrnao; come avvenuto, per esempio, a
Kfar Bar'Am (3 secolo), Meiron (3 sec.), Korazim (4 sec.) e Hammat Tiberiade (4 sec.).
Le grandi sinagoghe furono considerate sacre dai Giudei dopo il 1 secolo e le
monumentali facciate vennero tutte orientate verso Gerusalemme in direzione del Tempio
distrutto dal condottiero romano Tito, ben sapendo che Roma non avrebbe pi concesso
loro di edificarne uno nuovo.

Avendo gi dimostrato, tramite le analisi pubblicate, l'inesistenza di Cristo Salvatore,


apostoli e loro successori, verifichiamo adesso se le risultanze storiche, contrastanti la
presenza della sinagoga "miracolata" da Ges, sono confermate anche dalla archeologia.

Source: Israeli Foreign Ministry 26 nov. 2003

http://www.mfa.gov.il/mfa/israelexperience/history/pages/capernaum%20-
%20city%20of%20jesus%20and%20its%20jewish%20synagogue.aspx

Si riportano i dati essenziali tradotti in italiano:

Capernaum, citt di Jesus e della Sinagoga dei Giudei


Le opinioni dei ricercatori differiscono per quanto riguarda la data di costruzione della
sinagoga ma tutti concordano sul fatto che non la CE (AD) sinagoga del 1 secolo
dei tempi di Ges. Secondo la maggioranza, il tipo di sinagoga galilea, a cui la sinagoga
di Cafarnao appartiene, risale al periodo romano (2 e 3 secolo dC). Essa
comprende elementi architettonici romani (le colonne e gli elementi architettonici sopra
le colonne: gli architravi, i fregi e le cornici), con evidenza sulla forma esterna e la
decorazione della struttura. Anche i dati storici sostengono questa data di
costruzione. In questo periodo, in seguito alla distruzione di Gerusalemme e del
Tempio, la popolazione ebraica e le sue istituzioni religiose si sono concentrate in
Galilea, dove la loro predominanza politica ed economica ha reso possibile la costruzione
di una cos elaborata sinagoga.
In nuovi scavi, nelle fondamenta del podio artificiale (sopraelevato di 2 m) su cui
sorgeva la sinagoga, sono stati trovati alcuni resti del villaggio del 1 secolo, esistito
fino al 4 secolo.
Vasellame e monete ritrovate sotto il pavimento della sinagoga e nel riempimento del
podio datano la struttura, secondo l'opinione espressa dai padri Francescani che hanno
effettuato gli scavi, a non prima del 4 o all'inizio del 5 secolo.
Su un'iscrizione aramaica, trovata su una colonna, che apparentemente si trovava nel
cortile della sinagoga, si legge:Halfu figlio di Zebida, figlio di Yohanan, ha donato
questa colonna. Possa egli essere benedetto.

Source: Jewish Virtualli Library

http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Archaeology/capesyn.html

Si riportano i dati essenziali tradotti in italiano:

The Synagogue at Capernaum


"Andarono a Cafarnao e, quando venne il sabato, Ges entr nella sinagoga e si mise a
insegnare" (Marco 1,21).
"Le rovine di una grande sinagoga sono state identificate nel 1866 nel corso di un
sondaggio da parte del cartografo britannico capitano Charles W. Wilson. Parzialmente
ricostruita nel 1926, la datazione della sinagoga di Cafarnao continua ad essere una
questione di dibattito. Quello che certo che la rovina imponente non la sinagoga
di cui al Vangelo di Marco, anche se sembra sia stata costruita sul sito di un precedente
edificio del 1 secolo.
Costruita con pietre importate di calcare bianco su fondamenta di pietra di basalto
(scuro), la pianta simile alla sinagoga del 4 secolo, a Chorazim (Korazim, 4 km a nord),
e la sinagoga del 3 secolo, a Bar'am (nel nord della Galilea), ma la decorazione
architettonica dell'edificio di Cafarnao molto pi elaborata, con capitelli corinzi e rilievi
in pietra finemente intagliati (vite e foglie di fico, disegni geometrici, aquile, ecc.)
Una iscrizione aramaica del 4 secolo in una delle colonne spezzate registra il nome
del donatore, "Halfu, figlio di Zebida". Questi nomi in forma greca (Alfeo e Zebedeo)
sono menzionati nel Nuovo Testamento.
La sinagoga come appariva nel 381 stata descritta dalla pellegrina spagnola, la
Signora Egeria*, che ha riferito che la strada verso la struttura era su molti passi, e che
l'edificio stato realizzato in pietra lavorata.
La stessa grandezza della sinagoga di Cafarnao ha contribuito alla controversia
riguardante la datazione attuale dell'edificio. Sono state proposte diverse teorie. Prove
per una data risalente al 4 secolo, si basano in parte
sullemonete e vasellame trovati sotto il pavimento. I fautori di una data precedente al
2 secolo dicono che questi potrebbero essere stati lasciati durante le riparazioni
successive e la ricostruzione, forse a seguito del terremoto del 363. Un'altra possibilit
che la sinagoga sia stata costruita durante il breve regno (361-363) dell'imperatore
Giuliano l'Apostata, che potrebbe anche coincidere con la data del terremoto".

* Rimandiamo di poco la scheda sulla mai esistita "Egeria".

E' facile capire che "tutti concordano sul fatto che non la sinagoga del 1 secolo dei
tempi di Ges" per il semplice motivo che sulle colonne in calcare bianco sono scolpiti i
nomi dei donatori ebrei e non del Centurione romano. Viceversa, i fautori che fanno
risalire a una data precedente al 2 secolo la costruzione della sinagoga, sono costituiti dal
Clero evangelizzatore ad iniziare dai proprietari dell'area sacra: "CUSTODIAE TERRAE
SANCTAE - Francescani missionari a servizio della Terra Santa".
Vediamo allora come hanno "interpretato" i dati archeologici i frati, quando, dopo aver
comprato l'area, da custodi rigorosi hanno poi proceduto alle escavazioni. Cliccare il link in
Internet, e poi in basso a dx leggiamo:
http://www.cafarnao.custodia.org/default.asp?id=4653

"In et bizantina sia la sinagoga che la chiesa ottagonale furono ricostruite in forme
eleganti e monumentali, a testimonianza anche dellaccresciuto benessere economico e
sociale degli abitanti e delle attenzioni delle due comunit cristiana ed ebraica (?
n.d.a) verso lo stesso luogo di Cafarnao Nel I sec d.C. a Cafarnao si radun una
comunit di Giudeo-Cristiani che stabil nella casa di Pietro il luogo di incontro delle
assemblee, costituendo unluogo di culto domestico".

Questa bella! Se nel 1 secolo fosse veramente esistita una "comunit di Giudeo-
Cristiani" a Cafrnao, con tanto di Chiesa, Giuseppe Flavio lo avrebbe riferito nel suo
"Testimonium Flavianum" su Ges Cristo, arricchendolo con l'esorcismo eseguito dal
Salvatore nella sinagoga ebraica.
Seguendo la ricerca nel sito web francescano, sull'argomento "Storia e archeologia"
scopriamo che, secondo i monaci, all'epoca di Ges, a Cafrnao esisteva non solo una
sinagoga ma anche la casa di san Pietro, la quale, alla fine del primo secolo, secondo
loro, divenne una Chiesa molto frequentata dai "Giudei Cristiani". Tuttavia, affermano i
frati, entrambe le strutture sarebbero state ri-costruite in et bizantina, vale a dire: "la
sinagoga di Cafrnao stata ri-fatta in una seconda epoca sopra la sinagoga di Ges,
esattamente come la "ri-casa ri-chiesa" di san Pietro, ri-fatte anch'esse sopra le
"primitive". Questa la conclusione della congrega catechizzatrice a termine di un sinuoso
tragitto studiato per superare gli insormontabili ostacoli archeologici e storici. Ma basato su
quali prove? Basta cliccare su "Sinagoga" e:

"Le indagini mirano a capire dove fosse la sinagoga fatta costruire dal Centurione romano
e frequentata da Ges. I nuovi scavi portano alla scoperta delle strutture appartenute
agli edifici pi antichi sostituiti dalla sinagoga del V secolo".

Interessante anche il sito archeo-mistico francescano:

http://www.christusrex.org/www1/ofm/sites/TScpsyn1_It.html

Di fronte alle precise risultanze archeologiche, ma obbligati a salvare la credibilit dei


vangeli, a partire da quarant'anni fa le indagini degli archeologi spiritualisti, sotto la guida
del geniale frate Virgilio Canio Corbo, hanno "mirato a capire" che gli "edifici pi antichi"
erano costituiti sia da una sinagoga "primitiva" (sulla quale verr poi riedificata una
sinagoga bizantina), sia dalla casa-chiesa di san Pietro, anch'essa riedificata dai Bizantini.
Ma, se ci corrispondesse al vero, data l'importanza degli eventi riguardanti due grandi
sacre "reliquie" toccate dalla "mano di Ges", gli scribi cristiani dell'epoca si sarebbero
sentiti in obbligo, loro per primi, di documentare entrambe le ricostruzioni non i
monaci odierni. Seguendo i ragionamenti dei Francescani, tutti basati sui condizionali
d'obbligo, dato che al di sotto del podio di base della sinagoga attuale le fondazioni sono
state realizzate con pietre di basalto scuro, diverse da quelle dell'edificio esterno, i
religiosi risolvono "quasi certamente" che queste pietre costituiscono la sinagoga primitiva
di Ges, sulla quale, nel V secolo, stata ri-edificata la nuova. Si sarebbe trattato allora di
una iniziale sinagoga nera del 1 secolo, realizzata, a suo tempo, come le altre case del
villaggio costruite fino al 4 secolo?

In realt, per esigenze economiche, tutte le abitazioni familiari in quell'area furono


costruite con pietre scure locali, di basso pregio, evitando cos ai proprietari l'aggravio di
spesa per importarne da lontano altre esteticamente migliori. Ma, trattandosi di un edificio
sacro, ecco spiegato il motivo per cui i costruttori della sinagoga galilaica limitarono i
risparmi solo alle fondazioni interrate (nel grande basamento alto due metri) costituite dalle
mura di una vecchia casa privata. Tale economia, ovviamente, non venne ripetuta per le
opere esterne che furono realizzate con pietre, introdotte da lontano, di pregiato calcare
bianco e in contrasto col basalto nero delle case locali. Esattamente come fece lo stesso
Clero bizantino quando, per la prima ed unica volta, edific la Chiesa ottagonale nel 5
secolo (inglobando una vecchia casa falsamente attribuita a san Pietro), laddove, per le
fondamenta interrate, utilizz pietre locali in basalto scuro, mentre per le sovrastrutture
esterne adoper pietre importate di calcare bianco.

Le datazioni delle vestigia archeologiche sono chiare: la casa-Chiesa di Pietro in


perfetto stile bizantino, quindi risalente al 5 secolo, viceversa la sinagoga, in perfetto
stile romano, con caratteristiche specifiche del 2 o 3 secolo. Comunque entrambe dopo
il ministero di Ges, di conseguenza i vangeli che descrivono Ges nella sinagoga
ebraica furono redatti, a fine 4 secolo, da fantasiosi scribi che non sapevano nulla di
giudaismo se non indirettamente o per sentito dire. Ed quello che hanno capito i frati, i
quali, per difendere le verit evangeliche, si sono obbligati a non tenere in alcun conto la
datazione imposta dalle numerose monete ritrovate datate al IV e V secolo (nascoste in
due depositi adattati nelle fondamenta), nonch dalle ceramiche e dagli elementi
architettonici della sinagoga in stile romano imperiale, non bizantino. Ma perch i
religiosi forzano la data della ri-costruzione (secondo loro) della sinagoga addirittura al 5
secolo, quando potrebbero riconoscerla, come nella realt, nel 2 o 3 secolo
comunque dopo l'operato di Ges? Il motivo consiste nel bisogno assoluto di fornire
una prova per smentire risultanze archeologiche ineccepibili, ricorrendo addirittura ad un
"testimone oculare" che afferm di aver visto e toccato lacasa di san Pietro divenuta
Chiesa (presso la sinagoga), prima che venisse ri-costruita: la "famosa
pellegrina Egeria". Leggiamo cosa dicono i frati "archeologi" della "CUSTODIAE TERRAE
SANCTAE" nel loro sito web:

"La Terra Santa diventa la meta di tanti pellegrini cristiani e la famosa Egeria lascer
questa notizia importante sulla casa di Pietro: In Cafarnao poi, la casa del principe
degli apostoli fu trasformata in chiesa; senonch le sue pareti sono rimaste immutate.
Verso la fine del quarto secolo inoltre, iniziarono i lavori per la costruzione
dellimpressionante sinagoga, condotta a termine dopo la met del quinto secolo.
Anche il luogo tradizionale della casa di Pietro sub delle profonde trasformazioni, quando
verso la met del quinto secolo i Bizantini, dopo avere abbattuto la precedente domus
ecclesia, eressero sopra la casa di Pietro unelegante chiesa ottagonale. davvero strano
come le fonti rabbiniche non menzionino mai la sinagoga".

Come stiamo per accertare, non affatto strano che nessuno abbia mai menzionato gli
abbattimenti-rifacimenti della sinagoga di Ges e della "domus ecclesia" di san Pietro dal
momento che gli scribi cristiani del quinto secolo non poterono riferire alcuna demolizione
e ricostruzione della chiesa-casa di Pietro perch i Bizantini costruirono la Chiesa per
la prima volta, mentre la sinagoga fu costruita nel 2 o 3 secolo, molto
tempo dopo l"Avvento di Ges".

Sin dal lontano passato, la necessit di provare l'esistenza degli edifici frequentati da
Cristo obblig il Clero ad inventare "pellegrini" col compito di redigere ognuno il "diario" di
un viaggio, avvenuto in epoche antecedenti, con le descrizioni particolareggiate dei luoghi
santi. In realt si trattava di "documenti", scritti in Abbazie secoli dopo i fatti narrati, in
modo che, all'occorrenza, potessero essere rintracciati ed esibiti come autentiche "prove
pregresse".
Presi in contropiede dai reperti archeologici ed in mancanza di qualsiasi dato storico a
sostegno delle loro ipotesi, i Francescani si sono appigliati a "Egeria" (famosa per gli
spiritualisti) sapendo che, in base ad una montatura ecclesiastica attestata in un
manoscritto medievale, sarebbe stata protagonista di un pellegrinaggio, ai luoghi santi,
avvenuto in un arco di tempo compreso fra il 363 ed il 540 d.C., datazione ricavabile dalla
cronologia citata nel testo. Ma, come stiamo per verificare, essendo tale datazione poco
utile agli scopi prefissi, gli studiosi contemplativi moderni, avvalendosi di ragionamenti
capziosi, la "costringono" fra il 391 ed il 394 d.C. Pertanto, come da copione, gli archeologi
consacrati chiamano "Egeria" a fungere da testimone diretto nella causa contro la
blasfema archeologia per "dimostrare" che, a tutto il 381 d.C. (una data fondamentale per
la dottrina cristiana), a Cafrnao esisteva la autentica casa di san Pietro accanto alla
sinagoga miracolata da Ges. A questo punto proviamo a verificare le ipotesi, mirate a
salvaguardare la credibilit dei vangeli, basate sul documento "anagrafico" della "teste
oculare" per accertarci se sia realmente esistita. Ecco la scheda su

Egeria, la "pellegrina" pi famosa della storia

"Egeria" un semplice nome senza specifiche biografiche, obbligatorie in epoca imperiale


e a valenza legale per identificare tutti i cives romani, tramite i legami di famiglia o
parentela (gentes) fondati sullordinamento gentilizio. Egeria un appellativo "apparso"
alcuni decenni fa, grazie ad un artificio letterario, e rappresenta l'ultimo stadio di una
messinscena pseudo storica, iniziata nel 1884, della quale
descriviamo movente, percorso dei testi manoscritti e modalit.

Dopo il primo millennio, come abbiamo visto, tutti i luoghi della "Terra Santa" e gli edifici
visitati da Cristo, ma ubicati erroneamente dagli evangelisti, furono "comprovati"
artatamente da un Clero che, avvalendosi delle "lezioni" sopra riferite, pervenne al
risultato di aggiungere altre falsit a quelle contenute nei testi sacri originali. Lo stesso
antico Clero, prima di Egeria, si avvalse anche di "testimoni oculari", appositamente
collocati in epoche remote indefinite, impersonati da viaggiatori inventati e privi di qualsiasi
fondamento per gli errori riportati nei loro scritti. Come nel caso del pellegrino "Antonino
di Piacenza" (beatificato), il viaggio del quale, sino ad un secolo fa, la Chiesa datava a
fine III secolo d.C. ma, a causa delle contraddizioni riscontrate, la sua cronologia fu
spostata, giocoforza, al VII secolo; fermo restando che la narrazione pi antica, incompleta
e piena di errori, la troviamo nel "Codex Sangallensis MS 133" risalente al IX secolo. A
questo primo codice ne seguirono altri 21, fino al XVII secolo, nei quali furono eliminate le
sviste iniziali tramite grossolane interpolazioni, ciononostante gli studiosi amanti dell'Aldil
hanno la faccia tosta di affermare che i codici tardivi rappresentano l'archtipo. Per
salvaguardare dal fiasco storico "sant'Antonino patrono di Piacenza" - identificato nel
"Codex Vaticanus Lat. 5771" del IX secolo "Inventio corporis Sancti Antonini martyris" e
riconosciuto con tale nome sino al XX secolo - gli esegeti mistici odierni hanno preso le
distanze da "Antonino martire" sbattezzando il pellegrino originale
in "Anonimo Piacentino" con buona pace per le "anonime reliquie" conservate nella
Basilica di Piacenza.

Fra l'XI e il XII secolo gli amanuensi dell'Abbazia di Montecassino stilarono una ulteriore
documentazione, in tardo latino beneventano, con il fine di "certificare" la
datazione precisa rilasciata da un "testimone" che si era recato personalmente ai siti ed ai
sacri edifici in Terra Santa: gli stessi che, secondo i vangeli, vennero frequentati dal
Signore.Edifici, quindi, che dovevano risultare esistenti molto prima della stesura del
documento. Il manoscritto, composto da 74 fogli in pergamena, oggi classificato
"Codex Aretinus 405" e conservato nella Biblioteca della citt di Arezzo. Venne ritrovato
a met '800 nella biblioteca della "Fraternit di Santa Maria di Arezzo" da Gianfrancesco
Gamurrini, bibliotecario della "Confraternita dei Laici" della stessa citt, laddove in 44 fogli
era descritta una"Peregrinatio ad loca sancta" (Pellegrinaggio ai luoghi santi) da parte di
una visitatrice anonima e senza alcuna provenienza. La mancanza delle notizie
biografiche - obbligatorie per conoscere il nome e l'estrazione di un testimone
rintracciabile - cos come la insussistenza di informazioni cronologiche probanti,
indispensabili per stabilire una precisa cronologia del pellegrinaggio effettuato, dimostra
che l'opera venne tralasciata prima di essere completata; anche perch, visti i contenuti,
con ogni probabilit fu giudicata demenziale sin dall'inizio da ecclesiastici altolocati e
pertanto venne scartata. In sostanza, un pacco preconfezionato mal riuscito per colpa di
una narrazione niente affatto convincente.

Comunque, in mancanza di meglio, lo scopritore la pubblic nel 1884


intitolandola "Dell'inedita peregrinazione ai Luoghi Santi nel IV secolo, scoperti in un
antiquissimo codice" ovviamente sempre anonima e senza alcun termine di riferimento
utile a completare le infomazioni. L'anno successivo, nel 1885, Gamurrini ripubblic lo
studio "Dell'inedita peregrinazione ai Luoghi Santi nel quarto secolo" ancora anonimo e
senza dati utili. Due anni dopo, nel 1887, sempre Gamurrini, con il chiaro intento di
"integrarne" i dati storici mancanti, stamp nuovamente il testo nella rivista della
"Bibioteca dell'Accademia storico giuridica" di Roma, col titolo contemplativo "Sanctae
Silviae Aquitaniae.Peregrinatio ad Loca Sancta annis fere 385-388". Laddove appariva
"Silvia di Aquitania" primo nome della presunta autrice "ripescato" dallo stesso Gamurrini
nella "Storia Lausiaca" scritta dal Vescovo agiografo di Elenopoli (Bitinia)
"Palladio di Galazia" (vissuto fra il IV e V secolo) il quale, durante un suo viaggio annot:
"accompagnavamo la beata Silvania, la vergine che era la cognata
dell'ex prefetto Rufino". Tutto qui.

Ma nonostante la evidente forzatura della sovrapposizione dei personaggi e la immediata


"beatificazione" della Chiesa, Silvia, nativa nella Provincia romana di Aquitania, si dimostr
un flop storico ( santificata con tanto di martirologio) a causa del problema dell'et della
"santa vergine", ormai sessantenne, secondo quanto affermato dallo stesso Palladio di
Galazia*, nonch del grave errore di datazione dell'evento. Infatti il viaggio della presunta
pellegrina (stando alla forzosa cronologia ipotizzata da Gamurrini) iniziava nel 385 d.C.,
cio tre anni prima (Itinerarium 17,1) della stesura del diario che sarebbe avvenuta
nel 388, a viaggio finito; mentre il potente Console Flavio Rufino, allora Ministro cattolico
imperiale, fu nominato Prefetto del Pretorio nel 392 da Teodosio I, dunque sette anni
dopo la partenza di Egeria.
Il richiamo di Palladio all'ex prefetto Rufino, inoltre, implicava la decadenza dall'incarico
prefettizio di Rufino alla morte di Teodosio, avvenuta il 15 gennaio 395, quando l'ex
Prefetto divenne Consigliere militare di Arcadio, il figlio maggiore dell'appena defunto
Imperatore: vale a dire sette anni dopo la fine dell'ipotetico viaggio di Egeria (388).
Superfluo a dirsi, cadde l'intera testimonianza del manoscritto medievale "denudando" i
sacri edifici di Cristo delle certificazioni cronologiche rilasciate da un "testimone
oculare" prima che venissero riedificati, secondo la tesi dei frati, in epoca bizantina.

* L'idea fissa dei cronisti cristiani di qualificare la "verginit" come virt femminile impone
una domanda: i Vescovi, come Palladio, si accertavano personalmente prima di rilasciare
simili affermazioni "storiche"?

Non dobbiamo sforzarci troppo per capire che la Chiesa, da quando esiste come ente
organizzato, mistifica documenti al fine di rimuovere le contraddizioni neotestamentarie
avverse la storia e l'archeologia. Da tale necessit, rendiamo noto che "in adempimento al
proprio dovere" i devoti amanuensi di Montecassino fecero attenzione a fornire la santa
vergine di un apposito baule contenente: il testo dell"Onomasticon" (il dizionario dei
luoghi biblici accreditato ad Eusebio di Cesarea ma redatto nel "Codex Vaticanus Gr
1456" datato all'XI secolo); il "Codex Laurentianus Gr 70,20" dell'XIsecolo concernente la
"Historia Ecclesiastica" dello stesso Vescovo; la "Bibbia Vulgata" redatta da san
Girolamo oltre dieci anni dopo la partenza di Egeria e, dulcis in fundo, l'intero corredo
di rotoli manoscritti dell'Antico Testamento, completi di Salmi, Preghiere e Cantici, che ella
declamava, tutti e per intero, appena raggiunta ogni mta, tappa dopo tappa. Ridicolo!
Ad iniziare dal monte Sinai, gli amanuensi indirizzarono una suora nelle localit desertiche
percorse dagli Ebrei dell'esodo, considerate sacre anche dai Cristiani, obbligandola a
viaggiare per tre anni e facendole contare i passi di ogni itinerario al fine di comprovare le
distanze (misurate secoli dopo da qualche Crociato o da monaci appositamente incaricati),
pervenendo ad un racconto adolescenziale, fuori dalla realt, concepito da un clamo in
piena estasi mistica. La pellegrina fu inviata alle sedi di "Venerabilissimi Vescovi" di
importanti citt, con i quali si intrattenne cordialmente assieme alle altolocate autorit civili,
ma gli ipocriti amanuensi evitarono di farle trascrivere nel diario i loro nomi onde evitare
pericolosi riscontri storici. Ma c' di pi, dalla lettura del testo originale risulta che gli scribi
del XII secolo fecero vergare, ad una anonima suora del IV secolo, diverse lettere
indirizzate, senza specificare il recapito, ad astratte consorelle "venerabiles dominae
sorores" ("venerabili signore sorelle": altro tonfo storico) appartenenti all'ordine
monastico femminile. Un tipo di monachesimo muliebre la cui fondazione
ebbe inizio nel VI secolo da parte di san Benedetto da Norcia, cio almeno due secoli
dopo il falso viaggio di Egeria. Infine, a coronamento della loro impostura, gli scribi di Dio
le fecero compilare il diario di un viaggio, avvenuto nel IV secolo, nella loro stessa
parlata neolatina beneventana del XII secolo.

A fine '800, dopo aver "bruciato" banalmente una beata "vergine Silvia", sorella del
Prefetto Rufino - a causa del grossolano errore cronologico concernente un personaggio
reale chiamato come "teste dei fatti" - gli amanti del Paradiso, astutamente, fecero
trascorrere il tempo necessario per aiutare i fedeli a dimenticare i fallimenti iniziali.
Trascorsi quindici anni a rovistare un'infinit di scartoffie; ripescata una vecchia
corrispondenza (avulsa al codice di Montecassino) di un insignificante monaco "Valerio del
Bierzo" indirizzata ad una anonima suora del VII secolo; previo un "montaggio" arbitrario
con richiamo aggiunto in epoca successiva (una glossa marginale non originale)
finalizzato a concretizzare cinque ipotetici appellativi femminili finalmente, nel 1903, il
frate benedettino Dom Mario Frotin ne scelse uno: "Etheria" di Galizia (Spagna).
Dunque: una spagnola del IV secolo, "scoperta" nel XX secolo, che scrisse in grafia
neolatina beneventana del XII secolo e, obbligatoriamente, esperta anche in lingua greca
e aramaico siriaco per spostarsi nell'oriente dell'Impero. Ma ancora non basta. Una volta
per sempre, stabilita la definitiva datazione del fantastico viaggio, iniziato nel 391 e
concluso nel 394 d.C., ci vollero ancora decenni di ipotesi fideiste avanzate da una
cinquantina di concorrenti ed il ballottaggio finale vinto, nel 1982, dal prof. di Cristianesimo
antico, il francesePierre Maraval, grazie ad una "profonda lezione" spiritual contemplativa.
Da quella data, finalmente, con la benedizione dell'alto Clero, venne ufficializzato il nome
della pellegrina che "illuminer" la storiografia dei "Luoghi Santi", da Abramo a Cristo, e,
dalla fine del XX secolo in poi, sar considerato dagli archeologi in catarsi mistica come il
teste pi attendibile per datare "scientificamente" ogni antica
escavazione: "sanctimonialis Egeria" ovvero la "monaca Egeria".

Ma tutti gli studiosi benedetti, nelle loro "lezioni", evitano deliberatamente di riferire che
"Egeria", la pi famosapellegrina della cristianit, risulta sconosciuta a tutti i Padri,
Dottori della Chiesa, Vescovi e storici cristiani che si sono susseguiti nei secoli, ad
iniziare da quelli a lei contemporanei. Il primo e pi significativo dei quali , per l'appunto,
il Vescovo Palladio di Galazia, mancato "teste" del flop iniziale "Silvania-Egeria", cui
seguono: san Girolamo, Paolo Orosio, sant'Agostino d'Ippona, Socrate Scolastico,
Sulpicio Severo di Aquitania, il monaco Rufino di Aquileia, san Giovanni Crisostomo,
Salminio Sozomeno, Cromazio d'Aquileia e Quinto Giulio Ilariano. Nessun ecclesiastico
cristiano, romano o bizantino, ha mai sentito parlare di una "pellegrina Egeria" o
qualsivoglia definire "Ethria", "Eicheria", "Eiheria", Eucheria fino al XX secolo.

Le attestazioni sui luoghi santi divennero indispensabili quando, a fine Ottocento, la


Chiesa comprese che gli scavi archeologici stavano progredendo col rischio che si
venissero a scoprire le imposture macchinate dal Clero nel corso dei secoli. Non un caso
se "l'affare Cafrnao", dopo il ritrovamento archeologico nel 1866 da parte del capitano
inglese Charles Wilson, venne concluso dai frati missionari il 19 settembre 1884 a nome
della "Custodia di Terra Santa" e, nove anni dopo, nel 1903, il monaco Dom Mario Frotin
"inaugur" il secondo nome della pellegrina "Etheria di Galizia" dopo l'iniziale fiasco di
"Silvia di Aquitania".
La necessit di un "testimone oculare" - vivente prima che i "Luoghi Santi" di Cristo
venissero edificati dai Bizantini - stata recepita da servili studiosi "pro Chiesa", una
cinquantina di gabbamondo disposti a modificare con le loro "lezioni"l'insensato "Diario di
Viaggio di Egeria" fino a "ricostruirne l'archtipo con buone probabilit di
verisimiglianza" (sic) laddove le informazioni risultano manifestamente errate, sciocche o
insufficienti. Il tutto sotto la supervisione di eruditi clericali* interessati a rendere credibile
l'avventuroso cammino adolescenziale di una monaca, ma premurosi a non evidenziarne
le contraddizioni per non vanificare le "prove" destinate ai beati poveri di spirito.

* Nota. Ho letto il libro "Egeria Diario di Viaggio" Ed. Paoline 2006, e chi trovo come
"introduttore"? Nientepopodimenoche Agostino Clerici, in quel di Como. S, proprio
lui! Il parroco rampante che fugge a gambe levate pur di evitare un dibattito col
sottoscritto. Nel 2012, tramite a.r. (il documento pubblicato nell'ultimo argomento del
sito) ho chiesto un confronto pubblico in diretta con lui da tenersi presso la emittente
"Espansione TV", sua "fedele partner": invano. Agostino Clerici ha personalmente
sollecitato il confronto con l'ateo Luigi Cascioli, ma con me ... nisba. Sappia il prete che la
mia richiesta sempre aperta.
Emilio Salsi

Il contenuto del libro su "Egeria" concettualmente demenziale, ma diventa offensivo


verso chiunque nel momento in cui lo si vuol far passare come il resoconto, minuzioso e
reale, di un viaggio durato tre anni che vede protagonista una suora, in territori desolati
entro i lontani ed incerti confini di un Impero Romano ormai prossimo alla disgregazione
finale. Un impossibile viaggio di un'apparente protagonista, narrato in un diario senza
data, scritto da una autrice senza nome, senza provenienza e senza alcuna notizia
diretta o matrice biografica, necessaria come informativa e spontanea a tutti i compilatori
di diari concernenti le proprie gesta da trasmettere a terzi. La totale mancanza di
generalit, obbligatorie in qualsiasi diario, fu voluta dagli amanuensi del XII secolo per non
incorrere in errori quando stilarono il Codex Aretinus 405. Un assoluto vuoto di
informazioni che gli studiosi celestiali odierni, ben orchestrati dall'alto Clero, tentano di
colmare con "deduzioni" artificiose, infondate ed arbitrarie, spalleggiandosi gli uni con gli
altri per darsi autorevolezza allo scopo di rendere veritiere le assurdit.
I frati missionari della "Custodia di Terra Santa", convinti che fuori i conventi ci sia
un'umanit di sprovveduti, hanno basato le loro argomentazioni pseudo storiche sulla
"teste Egeria": invano.
Il richiamo della citazione sopra riferita a "Egeria" un falso conclamato poich la
loro "portavoce" non ha mai scritto niente sulla casa di san Pietro e sulla sinagoga
di Cafrnao. L'accenno dei Francescani a "Egeria" in realt una sovrapposizione,
strumentale e forzata, all'opera "Liber de locis sanctis" scritta in latino da Pietro
Diacono, un monaco del XII secolo, che riport il seguente brano sulla "localit Cafrnao"
senza mai nominare "Egeria":

"A Cafrnao la casa del principe degli apostoli stata trasformata in chiesa. Le sue pareti
restano in piedi immutate fino ad oggi e l il Signore guar il paralitico. In quel
luogo c' anche la sinagoga nella quale il Signore san l'uomo posseduto dal demonio.
Questa sinagoga costruita con pietre squadrate e vi si accede salendo molti gradini".
Pietro Diacono parla al presente e riferisce lo stato delle costruzioni descrivendole
come a lui risultavano alla sua epoca, con casa-chiesa e sinagoga, senza citare alcuna
pellegrina, tantomeno "Egeria" n avrebbe potuto farlo perch dovranno passare otto
secoli prima che lei venisse inventata. Ma, soprattutto, Pietro Diacono, diversamente dai
Francescani, non afferma che la sinagoga di Cafrnao un edificio rifatto sopra una
sinagoga pi antica: per lui, la sinagoga di Cafrnao quella miracolata dal Signore,
come da vangeli, senza aggiungere altro. L'atavico monaco non era a conoscenza delle
risultanze archeologiche e storiche capaci di provare l'infondatezza della sinagoga di
Cafrnao al tempo di Ges, pertanto, diversamente dai frati "missionari" in Terra Santa,
non sent il bisogno di andare in "missione" per ingannare il prossimo. Infatti, alla stregua
di Pietro Diacono, nessun altro ecclesiastiaco aveva mai parlato di ri-costruzione della
sinagoga di Cafrnao, effettuata al di sopra di quella miracolata da Ges ... fino al 1969.
A quella data il frate Virgilio Canio Corbo (dello Studium Biblicum Franciscanum) si rese
conto che le prove archeologiche, concernenti l'inesistenza della sinagoga al tempo di
Ges, erano inconfutabili; allora il monaco studi una "lezione" miracolosa per salvare il
mito di Cristo: la ri-costruzione.
Cos, vivaddio, alle soglie del terzo millennio, la Chiesa decise finalmente di informare la
cristianit praticante che la sinagoga miracolata dal Signore era stata "ricostruita" nel 5
secolo ben sapendo che i "beati poveri di spirito", pur di andare in Paradiso, avrebbero
inghiottito qualsiasi panzana.

Alla fine del 4 secolo, la crisi economica e militare dell'Impero Romano volgeva al peggio,
di conseguenza la pressione dei Barbari alle frontiere era in continuo aumento, mentre i
contrasti religiosi interni si esasperavano.
Nel 388 d.C., il Vescovo Aurelius Ambrosius di Milano (sant'Ambrogio) scrisse una
violenta reprimenda all'Imperatore Teodosio il Grande perch aveva osato condannare i
Cristiani a ricostruire la sinagoga di Callinicus (Siria) da loro data alle fiamme:

"Bruciare la sinagoga degli Ebrei vergogna per la legge dello Stato, ma merito della
legge di Dio, che ne assicura la grazia, perch non vi sia alcun luogo dove si neghi la
divinit di Cristo" (Epistolarium 40).

In ottemperanza alla volont dei Vescovi, i decreti teodosiani dichiararono fuori legge
qualsiasi culto al di fuori di quello cattolico, fino a perseguitare gli altri culti cristiani
"eretici". L'Impero Romano, per la prima volta nella sua storia, vide una guerra civile di
religione con due schieramenti contrapposti: da un lato i Pagani ed i Cristiani dissidenti,
dichiarati fuori legge da Teodosio il Grande con l'Editto di Tessalonica del 380, e
dall'altro i Cattolici. Lo scontro armato avvenne nel settembre del 394 d.C., presso l'attuale
fiume Isonzo (Friuli), laddove le armate cattoliche sconfissero gli avversari nella "battaglia
del Frigido" segnando il definitivo trionfo della loro dottrina.
Le conseguenze della guerra si fecero subito sentire con la ripresa di una sistematica
opera di abbattimento di Templi pagani, iniziata dopo la morte di Costantino il Grande, ma
interrotta dall'imperatore Giuliano l'Apostata. Quello era allora il clima politico religioso che
incombeva sul crepuscolo di un Impero Cattolico Romano ormai prossimo alla
disgregazione finale, i cui sudditi erano indottrinati su un dettato evangelico
assoluto, vera parola di Dio, al punto che, dopo la condanna del Messia Salvatore da parte
dei Giudei, obbligava questi ultimi a scagliare contro se stessi e le generazioni future la
maledizione eterna:

E tutto il popolo rispose: il suo sangue (di Ges) ricada sopra di noi e i nostri
figli (Mt 27,25).

Negli stessi anni, Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, Santo e Dottore della
Chiesa, si distinse come un teologo fanatico che estern il rancore cristiano nelle sue
"Omelie contro gli Ebrei":

"Per i deicidi Giudei nessuna indulgenza, nessun perdono possibile Essi massacrano
i loro figli e li sacrificano al diavolo" "fuggite le assemblee e i luoghi di riunione dei
Giudei, e non venerate la Sinagoga per i libri, anzi proprio per questo abbiatela in
odio e avversione"" i libri possiedono una loro propria santit, che non trasmettono al
luogo che li custodisce, a causa dellempiet delle persone che vi si radunano. Si deve
pensare nello stesso modo per quanto riguarda la Sinagoga. Anche se in essa non si
trova alcun idolo, tuttavia vi abitano i demni"
(Op. cit. "Prima Omelia").

Proseguendo in tale clima di violenza religiosa, Teodosio II, Imperatore di Costantinopoli,


nel 438 d.C. decret nel nuovo "Codice Teodosiano" l'inferiorit degli Ebrei. Ma, stando
cos i fatti di quell'epoca critica, il rapporto idilliaco fra Giudei e Cristiani, descritto in modo
caramelloso dai frati archeologi della "Custodiae Terrae Sanctae", solo un pio sogno
odierno, utile a loro soltanto per poter affermare che gli Ebrei ricostruirono la sinagoga di
Ges, nell'ultra cattolico Impero Bizantino, durante "la seconda met del V secolo".

In realt - come avvenuto per gli altri edifici sacri riferiti sopra - nel 5 secolo il Clero
Bizantino, in adempimento ai vangeli, scelse una casa nel villaggio di Cafrnao e, dopo
averla "battezzata" come "casa di san Pietro", per la prima volta, su di essa fece
costruire la Chiesa cristiana (sconosciuta dai vangeli) a pianta ottagonale. La sinagoga
di Cafrnao, invece, poich venne "decontaminata" (sempre secondo i vangeli) dalla
presenza del demonio da parte di Ges Cristo in persona, fu considerato un luogo sacro
per l'intera ecumene cristiana. A partire dal 5 secolo, fino a che i Bizantini mantennero il
potere sulla Terra Santa, la sinagoga di Cafrnao venne frequentata dai credenti (senza
compilare minuziosi diari) e conservata con cura grazie alle offerte dei pi abbienti, in
conformit agli usi giudaici precedenti, come dimostrano le numerose monete ritrovate in
due depositi nascosti, appositamente ricavati nelle fondamenta.
Dovranno poi trascorrere secoli di lotte cruente fra Cristiani e Islamici per il dominio sulla
Terra Santa finch, nel XII secolo, a Cafrnao, accanto ai ruderi della "casa-Chiesa"
bizantina (di san Pietro) esistevano sempre le vestigia della stupenda sinagoga ebrea;
entrambe descritte dal monaco Pietro Diacono, convinto dal vangelo che risalissero ai
tempi di Ges. Torniamo ora alla:

Sinagoga di Cafrnao, dove Ges scacci il demnio

Abbiamo constatato che il grave problema della datazione della sinagoga non pu essere
risolto da una pellegrina mai esistita, semmai, per la Chiesa, l'impresa complicata
oltremodo da ulteriori risultanze archeologiche.
In mancanza di veri argomenti probanti, il Clero odierno ha commissionato una
cinquantina di studi (clicca = The Pilgrim Egeria: A Select Bibliography) in molte lingue.
Queste ricerche, finalizzate a rendere plausibile una pellegrina inventata, dimostrano
quale importanza rivesta per la dottrina cristiana la testimonianza di Egeria sulla
sinagoga di Cafrnao gi realizzata al tempo di Ges. Dati archeologici fondamentali,
oltre quelli storici sopra analizzati, che i proclivi ricercatori mistici, tutti insieme ben
orchestrati, non manifestano appositamente per non svelare il movente che li obbliga a
difendere le sciocchezze ecclesiali.
Da quanto scritto sopra, su una colonna in calcare bianco della sinagoga di Cafrnao
risultano scolpiti appellativi,importantissimi, che i frati e tutti gli analisti contemplativi
evitano accuratamente di menzionare, come se non li avessero mai letti, o meglio, come
se non esistessero pur avendo forzato all'inverosimile le "analisi" per ricercare
impossibili prove sull'esistenza della sinagoga di Cafrnao, sin dal 1 secolo, durante il
ministero di Ges.
Abbiamo visto che la scritta aramaica, scolpita su di una colonna in marmo, riporta il nome
del donatore: "Halfu figlio di Zebida, figlio di Yohanan". Si tratta di epiteti di stretta
osservanza giudaica (usati dagli Ebrei per identificare il lignaggio di famiglia) i quali,
trascritti in greco (italianizzato) diventano: "Alfeo, figlio di Zebedeo, figlio di Giovanni".
E' questo un "particolare" che impone, assolutamente, alle sottili menti degli indottrinatori
di alzare al 5 secolo la (ipotizzata da loro) ri-costruzione della "impressionante
sinagoga". Infatti, avendo i frati archeologi adottato "obtorto collo" la tesi del ri-facimento
dell'edificio di culto giudaico che differenza avrebbe fatto se fosse avvenuto nel 2 o nel
3 secolo? Per i monaci non avrebbe avuto importanza dal momento che la sinagoga di
Ges del 1 secolo, secondo quanto loro stessi affermano, era sotto le fondamenta di
quella ri-edificata sopra. Allora, perch i subdoli esegeti ne forzano la datazione addirittura
al 5 secolo?

Basta rifletterci sopra per capire anche noi quello che hanno sempre saputo le eminenze
grige della Fede. Secondo i vangeli, Giovanni era figlio di Zebedeo e, come Giacomo suo
fratello, era uno dei dodici apostoli, per giunta il "prediletto del Signore": "Giacomo di
Zebedeo e Giovanni suo fratello" (Mc 4,21). A questi nomi va aggiunto anche "Alfeo", un
altro protagonista dell'epoca di Ges che i vangeli indicano come padre di due apostoli,
"Giacomo" (il Minore) e suo fratello "Giuda": "Giacomo, figlio di Alfeo Giuda, fratello di
Giacomo" (Codex Sinaiticus: Lc 6,15-16). Peraltro, con astruse varianti, gli evangelisti
chiamano la moglie di Alfeo anche "Maria di Cleofa", ingenerando confusione fra due
mariti "Alfeo" e "Cleofa". Inoltre, "Maria moglie di Cleofa" (cio "Alfeo") era anche sorella di
"Maria Vergine" ma, a questo punto, la impossibile omonimia di due sorelle induce forti
sospetti:

"Presso la croce di Ges stavano sua madre (Maria) e la sorella di sua madre, Maria di
Cleofa, e Maria di Mgdala"(Codex Sinaiticus: Gv 19,25).
La faccenda si complica oltremisura quando, di seguito, nel quarto vangelo (di Giovanni),
leggiamo che "il discepolo che Ges amava", cio Giovanni stesso, era addirittura figlio di
Maria:
Ges allora, vedendo la madre e l accanto a lei il discepolo che Egli
amava (Giovanni), disse alla madre: donna,ecco tuo figlio!. Poi disse al discepolo:
Ecco tua madre!... (Gv 19,26).

Proviamo a capire meglio leggendo anche gli altri vangeli:

Non forse il figlio del carpentiere? Sua madre (di Ges) non si chiama Maria e i
suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe,Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra
noi? (Mt 13,55-56);
Non costui il carpentiere, il figlio di
Maria (Ges), il fratello di Giacomo, Ioses (Giuseppe), di Giuda e di Simone? E le sue
sorelle non stanno qui con noi? (Mc 6,3).

Nei reperti archeologici di Cafrnao, oltre alla dimostrazione che non fu un incredibile
Centurione romano a realizzare la sinagoga, ritroviamo la corrispondenza dei nominativi di
una famiglia ebrea (appartenente ad uno dei finanziatori dell'edificio) con quelli che
leggiamo nei vangeli attuali. Come abbiamo visto, il nome di uno di questi, "Alfeo" (o
Cleofa), in alcuni richiami evangelici coinvolge quattro apostoli che hanno la stessa
denominazione di quattro fratelli di Ges, quindi figli di
Maria: Giacomo, Giuda, Giovanni e Simone. Dalla cerchia degli apostoli resta fuori il
figlioGiuseppe il quale, a sua volta, era figlio di "Maria, madre di Giacomo il Minore e di
Ioses" (Mc 15,40), di conseguenza anche lui "Giuseppe" figlio di Alfeo.
Dunque, stando ai testi evangelici di Matteo e Marco, Maria ebbe diversi figli, ma, adesso
la domanda che dobbiamo porci : quando Maria fu riconosciuta madre di Ges unico
figlio?
Nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. i Vescovi dell'Impero Romano stabilirono
il nuovo Credo costantinopolitano, ancora oggi riconosciuto dai Cristiani, (diverso dal
Credo niceno del 325) in cui, per la prima volta, risulta Maria Vergine, madre del
Salvatore universale, e Ponzio Pilato, sotto il quale Cristo comp il suo ministero:

"Credo in un solo Signore, Ges Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di
tutti i secoli Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello
Spirito Santo si incarnato nel seno della Vergine Mariae si fatto uomo. Fu
crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, mor e fu sepolto".

Un preciso dettato che impose agli scribi cattolici di rivedere i vangeli - ufficializzati
precedentemente sotto Costantino il Grande - ai quali vennero aggiunte le "nativit" di
Luca e Matteo con la "Teothkos", madre di Ges "unigenito": Maria Vergine non poteva
aver generato altri figli all'infuori di Cristo. E Lui soltanto "per opera dello Spirito
Santo". Cos sentenziarono i Vescovi dell'Impero Cattolico Romano.

Sapendo che la stesura degli attuali vangeli ufficiali, riportati nei Codici "Sinaiticus" e
"Vaticanus", risale al 4 secolo, fu proprio la compromettente coincidenza dei nomi, quelli
ritrovati nella sinagoga di Cafrnao con quelli dei protagonisti evangelici, che ha imposto ai
monaci archeologi di elevare la data di ricostruzione della sinagoga di Cafrnao al 5
secolo, dopo il Credo di Costantinopoli del 381 d.C.
Con questo espediente cronologico i frati tentano di impedire agli storici del Cristianesimo
di capire il movente, derivato dal culto della nuova teologia mariana, che obblig gli
evangelisti ad attribuire altri "padri" ed altre madri ai figli della Vergine Maria, la quale,
secondo il nuovo Credo, era madre di Ges unigenito. Infatti, secondo la logica degli
archeologi mistici, qualora venisse accolta la loro ipotesi concernente la ri-costruzione
della sinagoga avvenuta nel 5 secolo, ciodopo il Credo costantinopolitano
del 381 d.C., nessuno potr mai dubitare che l'uguaglianza dei nomi scolpiti nel
5 secolo sull'edificio, con quelli citati nei vangeli redatti prima della ri-costruzione, sia
dovuta a pura casualit.
Al contrario, qualora la ri-costruzione della sinagoga fosse stata eseguita prima del Credo
cattolico del 381, in questo caso la coincidenza degli appellativi galilaici con quelli
evangelici "Zebedeo" e "Alfeo" (padri di figli con gli stessi nomi di quelli di Maria) non
potrebbe pi avvalersi dell'alibi della casualit perch sarebbe palese il movente
dogmatico della nuova dottrina (decretata nel 381 d.C.); un Credo che imponeva agli
scribi cattolici di dare genitori diversi ai figli di Maria, mentre il nome di lei fu
(scioccamente) assegnato ad una sua sorella, inventata ad hoc per la circostanza.

In definitiva, i monaci (e la Chiesa) sanno che i nomi "Alfeo" e "Zebedeo" sono stati
"adottati" dagli evangelisti come "pap" dei cinque figli maschi di "Maria Vergine"; padri
che, giocoforza, furono sposati con altre "mamme Marie".
E per il "pap" del Salvatore universale? Meglio affidarsi a un decrepito san Giuseppe
assistito dallo Spirito Santo nella inseminazione eterologa di Maria.
Le eminenze grigie cristiane sanno che la sinagoga di Cafrnao costituisce la prova
archeologica che Maria non era vergine, pur se madre del Salvatore universale. La
"Madre di Ges Cristo" fu creata appositamente dai Cattolici, alla fine del 4 secolo, come
"super Dea" allo scopo di rafforzare la loro dottrina in concorrenza con le altre divinit
pagane, tutte dotate di "Mater Magna", come la famosa Artemide.
Tuttavia, la nuova super Dea cristiana, Maria Vergine, rimasta sconosciuta a Paolo di
Tarso: l'apostolo dei Gentili non conosce l'esistenza della "Madre di Dio", come non sa,
nella sua "Lettera agli Efesini", che la "Mater Dei" and ad abitare ad Efeso assieme a
Giovanni, apostolo "prediletto del Signore". Peraltro, anche gli evangelisti non possono
sapere della dimora ad Efeso di Maria Vergine perch la "Madre di Ges" verr dichiarata
"Madre di Dio" nel "Concilio diEfeso", ivi convocato appositamente nel 431 d.C. Fu allora
che i Vescovi decretarono la "Mater Dei" modificando la precedente "Madre di Ges
Cristo", ed in quella citt ne fissarono la dimora sopprimendo, al contempo, il Credo
popolare della Dea Artemide (Mater Magna), che proprio ad Efeso era rappresentato da
un imponente Tempio ad essa dedicato. Intanto i vangeli in greco e la Vulgata in latino di
Girolamo, erano ormai stati diffusi dai Clerici a spese dello Stato nei territori di un Impero
in fase di disgregazione finale.
La spiegazione alla grave ignoranza di Paolo riguardo la Vergine Maria, madre di Ges
Cristo, semplice: le "Lettere di Paolo" erano state diffuse nelle Province, all'inizio del IV
secolo, separate dai vangeli. Lo scopo fu di propagandare il Cristianesimo, secondo gli
insegnamenti di Paolo, come religione proclive all'Impero, quindi favorevole alla schiavit
e nemica della originale religione ebraica fondamentalmente antiromana. La grande
divulgazione della dottrina cristiana paolina rese impossibile rintracciare, per eliminare e
correggere, i manoscritti dedicati alle "Lettere di Paolo", di conseguenza, alla fine del IV
secolo queste ultime non subirono modifiche da parte degli scribi, i quali contarono sul
fatto che la "Madonna" era comunque testimoniata nelle "Nativit" di Luca e Matteo.

Tutte le Chiese cristiane datano i vangeli attuali come se fossero stati scritti nel 1 o nel 2
secolo ma, rimarchiamo ancora, all'infuori dei testi greci costituiti dai Codici "Sinaitico" e
"Vaticano", stilati a fine 4 secolo dopo il Concilio di Costantinopoli, non esiste altra
documentazione anteriore completa; in mancanza della quale vengono esibiti
insignificanti frammenti spacciati per archtipi. Ne consegue che chiunque tenti di
abbassare al 2 o 3 secolo la datazione dei Codici Latini - "Vercellensis", "Veronensis" e
"Corbeiensis" - in malafede. Per salvaguardare la verginit della Madonna, la Chiesa fa
passare i fratelli di Ges alla stregua di suoi cugini o parenti, inoltre tenta di far apparire le
"Nativit" di Luca e Matteo come se fossero state scritte prima del Concilio di
Costantinopoli del 381 d.C. al fine di nascondere il movente che ne obblig la stesura.
Datando ad un'epoca antecedente il 381 d.C. i sopra citati manoscritti in lingua "vetus
latina", le eminenze grige del Clero vogliono nascondere la causa conciliare che impose la
creazione della "Nativit".
Ma l'intento falsario viene smentito dal fatto che i vangeli antecedenti erano dissimili,
oltre che per la mancanza della "Nativit" - come attestato in un vangelo di Matteo in
aramaico - anche per le gesta ed i nominativi degli apostoli. Questa dimostrazione
riportata alla fine dello studio sul "Testimonium Flavianum".

Oltre a ci evidenziamo il fatto che non esistono Codici ecclesiastici scritti dai Padri
apostolici e apologisti, n dagli storici e dai Dottori della Chiesa, risalenti ad un'epoca
antecedente il VII secolo e, soprattutto nessun documento,ad iniziare dai
vangeli, risulta datato con l'analisi del radiocarbonio mediante spettrometria di massa:
un esame, affatto invasivo, a verifica delle datazioni paleografiche, grossolane, farcite con
insipide ipotesi tanto care agli studiosi di fede cristiana.
La constatazione che la Chiesa rifugga l'utilizzo dello spettrometro di massa per
scadenzare l'imponente Opera Omnia neotestamentaria, compilata in Conventi e datata
soltanto paleograficamente dal IV secolo fino al Rinascimento, dimostra che le
eminenze grigie del Clero sanno bene quanto sia rischioso per la loro dottrina
estrapolare una cronologia precisa che riveli il montaggio del mito di Ges Cristo e dei
suoi successori teologali ad iniziare dalle "Nativit" di Luca e Matteo, scritte nei vangeli
dopo che i Vescovi dell'Impero stabilirono il definitivo Credo cattolico nel Concilio di
Costantinopoli del 381 d.C.

Alcuni anni fa, i paleografi del "Vangelo di Giuda", correttamente, hanno sottoposto il
manoscritto alla verifica del C 14 ricavandone una datazione contenuta fra il 220 ed il 340
d.C. fissando la stima al 275 d.C. con un margine d'errore di 50 anni Ma quando si
decideranno gli "esegeti illuminati" di Cristo ad esibire prove concrete di scritture
contenenti la "Teotkos" (Genitrice di Dio) del vangelo di Luca, le quali, sottoposte ad
analisi con radiodatazione C14, stabiliscano, senza ombra di dubbio, la loro compilazione
antecedente al IV secolo?
Ciononostante, i manoscritti afferenti le "Historie Ecclesiasticae" di autori cristiani, pur
stimati paleograficamente dal 7 secolo in poi, attestano protagonisti evangelici diversi, sia
nel numero che nelle gesta, ad iniziare dagli apostoli. Questo significa che i vangeli
preesistenti erano discordanti da quelli a noi pervenuti.

Dopo il Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., i calligrafi di Dio si obbligarono a trascrivere
i vangeli in nuovi codici facendo in modo che i cinque figli di Maria (compreso Ges), gi
richiamati nei vangeli precedenti, risultassero figli di altre "Marie", a loro volta mogli di
padri ebrei diversi e, per essere certi di non inventare appellativi giudaici strani, si
avvalsero dei nomi trovati nella sinagoga di Cafrnao: il monumento israelita pi
spettacolare di tutta la Palestina dopo il Tempio di Gerusalemme ormai distrutto. Infine,
per dimostrare che la dottrina cristiana era superiore a quella ebraica veterotestamentaria,
al Salvatore universale fecero scacciare il demonio presente nella stessa sinagoga.
Ricordiamo, inoltre, che gli attuali vangeli, stilati a fine 4 secolo, non riferiscono la
presenza di alcuna Chiesa-casa di san Pietro perch verr costruita dai Bizantini circa un
secolo dopo.
Maria fu dichiarata "Madre di Ges Cristo unigenito" nel 381 d.C. ma, poich secondo gli
stessi vangeli ebbe altri figli, il nuovo dogma ingener gravi contrasti con i testi "canonici"
redatti poco prima del Concilio di Nicea del 325. Problemi ancora pi seri di quelli che, in
conseguenza del Credo del 381, obbligarono gli evangelisti ad inventare un ebreo di nome
"Giuseppe d'Arimatea" (ovviamente sconosciuto al precedente storico cristiano Eusebio di
Cesarea) per evitare alla super Vergine di richiedere la salma del "Re dei Giudei" a Ponzio
Pilato, sollevando cos la Madre di Dio dalla ineludibile risposta (alla domanda d'obbligo di
un Prefetto imperiale) che il "Padre" del Re Messia era lo Spirito Santo: fatto inammissibile
dalla logica di un vero processo romano.

Conclusione

Gli apostoli e gli evangelisti di Dio non erano Giudei convertiti, n mai si sono recati nelle
localit palestinesi in cui hanno fatto operare gli eroi della salvezza eterna; ciononostante
gli scribi cristiani giunsero al punto di inventarsi una sinagoga, mai vista da nessuno, in
una "citt di Nazareth" inesistente per i primi tre secoli, e l inviarono il "Salvatore" a
predicare ai Giudei.
L' ignoranza manifestata sui luoghi della patria di Cristo la ritroviamo anche nella
superficialit con cui gli evangelisti trattano i costumi degli Ebrei ed il loro Sinedrio. Lo
stesso vale per la descrizione del comportamento degli alti ufficiali romani incaricati a
governare un territorio popolato da uomini ribelli al dominio di Roma. Atti che denotano
una leggerezza ingiustificabile, al punto da rendere irreale il comportamento di Ponzio
Pilato quando questi, dopo aver sottoposto a processo un "Re dei Giudei" - non voluto da
Tiberio e accusato di aver sobillato il popolo a non pagare i tributi (Lc 23,1) - il
Governatore romano fa di tutto per non eliminarlo: insensato! Tanto pi che, secondo i
vangeli, il Prefetto imperiale fin per imporre ad un "innocente" (a suo giudizio) una
straziante crocefissione dopo una lunga "via crucis", al di fuori della prassi e della logica
romana, mentre avrebbe potuto avvalersi della normale decapitazione.
Basti considerare che le legioni di Roma, a causa di tre guerre condotte nell'arco di due
generazioni, dal 70 al 135 d.C., causarono un milione e duecentomila morti fra i Giudei
perch quel popolo non volle sottomettersi al dominio dell'Impero; senza contare gli
schiavi e tutte le citt distrutte assieme ai villaggi pi importanti. Cafrnao venne
risparmiato perch, nel I secolo, era un insignificante villaggio.
Gli evangelisti allora, come la pia confraternita degli esegeti credenti oggi, avrebbero
dovuto studiare meglio la storia prima di raccontare favole.

Dopo l'Olocausto giudaico perpetrato dai Romani, gli ebrei Esseni elaborarono una
"rivelazione divina" basata sulla comparsa di una nuova figura di "Re Messia" non
l'atteso, fino allora, "Dominatore del Mondo" ma un "Salvatore del Mondo", "Figlio di Dio" e
"Taumaturgo", in grado di far rinascere gli "eletti" dopo morti. Il successo popolare,
riscosso nel III secolo dal mito ebraico della salvezza, indusse ambiziosi opportunisti
religiosi ad "infiltrarsi" finendo col prevalere rispetto agli originali e, una volta giunti al
potere, conformarono il mito originale alla concezione occidentale innestando nel Messia
ebraico il rito teofagico pagano dell'Eucaristia, giungendo a documentare l'Avvento del
"Salvatore" con i dati prelevati negli archivi imperiali. Ma, nel tentativo di comprovare la
saga di eventi risalenti a tre secoli prima, gli scribi cristiani, ormai subentrati ai primitivi
redattori Esseni, sono incappati in contraddizioni e sviste tali al punto di sbagliare i luoghi
e gli usi giudaici, dimostrando anche la scarsa padronanza della lingua semita.
Ma come possibile giustificare tanta superficialit da parte dei manipolatori di vicende
fondamentali concernenti una Fede, spacciata come storicamente vera? La spiegazione
va ricercata nel fatto che gli scribi di Dio appartenevano alla potente cerchia religiosa dei
fautori della "dottrina della Salvezza": un Credo capace di convincere masse di nuovi
proseliti nella possibilit di risorgere dopo morti. Le sottili menti dell'alto Clero sapevano
che nessuno avrebbe mai potuto consultare i vangeli per poi comparali con i volumi (rotoli
manoscritti) degli storici del 1 secolo, accaparrati da loro e conservati nelle Abbazie ma
vietati a chiunque.

L'illusione della "resurrezione paradisiaca" fu propagandata da congreghe religiose le


quali, dalla fine del terzo secolo, mano a mano divennero sempre pi numerose e
organizzate, fino a costituirsi in un'unica struttura distribuita capillarmente nei distretti ad
essa assegnati dal Dominus a capo dell'Impero, grazie al peso politico popolare acquisito.
Un alto Clero posto a guida di Conventi e mantenuto in primo luogo dalla plebe indigente,
servi della gleba, di basso rango e senza alcuna speranza di riscatto, sparsi in un
immenso territorio in avanzata fase di decomposizione economica e militare.
Il monopolio della conoscenza fu l'unico accorgimento che avrebbe impedito a chiunque di
confutare la divina "buona novella": una dottrina monoteista assoluta, diffusa in un Impero
teocratico agonizzante, e creata allo scopo di sostentare i "venerabili ministri di Dio" riuniti
nel pi colossale organismo parassitario mai realizzato dall'uomo. Una "santa"
macrostruttura fondata da uomini per sfruttare altri uomini in cambio della promessa
della resurrezione.
Alla resa dei conti, sottovalutare le possibilit del razionalismo storico, convalidato dai
reperti archeologici, fu il peccato originale degli scribi di Dio: un imperdonabile errore che
oggi si sta dimostrando come il pi grave dei peccati mortali e nessun "mea culpa" sar
pi in grado di assolverlo.

Col trascorrere del tempo, lentamente, ma inesorabilmente, la consapevolezza dei


credenti sulle falsit contenute nei Sacri Testi porter all'estinzione la peggiore
superstizione oscurantista che l'umanit abbia mai sperimentato: il Cristianesimo
ovvero "la Salvezza per la vita eterna".

Emilio Salsi

Proseguiamo ora con lo studio per capire come nacque e si evolse il mito messianico del
"Salvatore universale".
Jesha Giovanni e gli Zeloti di Gmala redenti dal Cristianesimo dei Gentili

Tramite gli studi condotti sinora, abbiamo provato che gli Apostoli, uno dopo laltro,
vengono eliminati dalla verifica critica storiologica. Le stesse analisi ci hanno consentito di
scoprire brani spuri e simulazioni apportate dagli scribi cristiani, durante la secolare
evoluzione della dottrina, sia nei sacri testi che in quelli storici.
Manomissioni, ancora in atto, intese ad impedire il riconoscimento dei veri
protagonisti, capi del movimento zelota di liberazione nazionale giudeo, celati dietro la
straordinaria veste apostolica che li raffigur miti come agnelli, predicatori di pace e
giustizia in terra, e la promessa della vita eterna nell'aldil.

Dovevano sparire i cruenti rivoluzionari della quarta filosofia zelota, una novit sinora
sconosciuta (cos la defin Giuseppe Flavio), fondata da Giuda il Galileo il 6 d.C. Una
dottrina che postulava il capovolgimento della societ ebraica tramite leliminazione della
schiavit, della nobilt sacerdotale corrotta e dei privilegiati filo romani. Un nuovo sistema
economico che avrebbe redistribuito le ricchezze con maggior egualitarismo a beneficio
delle classi pi diseredate: "gli ebioniti", dall'aramaico "ebionim" , i poveri.
La "quarta filosofia giudaica" annoverava capi farisei Zeloti, "Dottori della Legge di grande
potere, fanatici nazionalistivotati al martirio.
Lo storico ebreo Giuseppe, un nobile fariseo conservatore appartenente ad una ricca
casta sacerdotale opportunista, li descrisse esprimendo odio nei loro confronti in "Antichit
Giudaiche" e "La Guerra Giudaica":

"Lo zelo che Giuda (il Galileo) e Saddoc (il Fariseo) ispirarono nella giovent fu
l'elemento della rovina della nostra causa. Il popolo ha visto la tenacia della loro
risoluzione e l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle
pene" (Ant. XVIII 10-24). "Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da
Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo
religioso. Ciarlatani (Predicatori) e briganti istigavano molti a ribellarsi e li incitavano alla
libert minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei Romani. Zeloti, tale,
infatti, era il nome che quelli si erano dati, quasi fossero zelatori di opere buone" (Bell II
259-264; IV 161; VII 259).

Intrapresero una lotta, mpari, per salvare la loro terra dal dominio pagano romano e
ricostituire su di essa, grazie allavvento di un Messia prescelto da Yahw, un nuovo regno
giudeo destinato a durare in eterno che, dopo la riforma universale cattolica, verr
chiamato Regno dei Cieli.
Ma le motivazioni degli Ebrei erano molto diverse. La tradizione veterotestamentaria
imponeva loro scelte radicali, senza compromessi, contrapposte all'aristocrazia
sacerdotale moderata, ai ricchi commercianti ed ai proprietari latifondisti.
La certezza che Dio avrebbe aiutato gli Israeliti a scacciare i pagani invasori era scritta
nella Legge: i "kittim", sarebbero stati sconfitti e umiliati dal Messia divino. Un Re
nazionalista trionfante grazie all'intervento delle schiere celesti inviate da Yahweh in
soccorso del "popolo eletto".

Giuda il Galileo, ideatore della "quarta filosofia", alla morte di Erode il Grande attacc il
palazzo reale di Sefforis, capitale della Galilea, costrinse alla fuga Erode Antipa, il figlio
successore di Erode il Grande, e si insedi sul trono dei Giudei.
L'intervento delle legioni romane del Legato di Siria, figlio di P. Quintilio Varo, ripristin
l'ordinamento augusteo nella Galilea dopo aver distrutto Sefforis e crocefisso,
pubblicamente, duemila ebrei.
Discendenti da una stirpe di sangue reale, gli Asmonei, sopravvissuta per via materna alla
sistematica eliminazione dello spietato megalomane Erode il Grande, cinque
fratelli lottarono contro i suoi eredi non riconoscendo ad essi il diritto, delegato da Roma,
di regnare e governare sui Giudei. Era un diritto messianico che apparteneva a loro e lo
rivendicarono con le armi ad iniziare da Ezechia, loro nonno e padre di Giuda il Galileo,
che fu ucciso da Erode ancor prima di essere insignito come Re, nel 40 a.C., da Marco
Antonio e Gaio Giulio Ottaviano, allora Triumviri.

La tensione sociale, ad alto rischio per lo spargimento di sangue che comportava


l'integralismo nazionalista, fatalmente si compenetrava nei nuclei familiari provocando
polemiche e discordie, spesso con gravi rotture fra i giovani irruenti e gli anziani. Lo stato
di guerra civile, iniziato sin dall'epoca del censimento di Quirinio, il 6 d.C., si protrarr in
forma endemica, ininterrottamente, fino alla guerra aperta contro Roma nel 66 d.C., con
una pausa durante il regno di Erode Agrippa il Grande, dal 41 al 44 d.C.
La denuncia della conflittualit zelota nell'ambito della societ teocratica dei Giudei di quel
torno di tempo, con inevitabile ricaduta all'interno delle famiglie, coinvolse anche il
"Messia" prescelto da Dio alla guida del popolo d'Israele e "trasuda" dalle testimonianze
evangeliche per bocca dello stesso "Ges":

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse gi
acceso! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma la
divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due
contro tre: padre contro figlio e figlio contro padre" (Lc 12,49-52).

I nomi dei cinque fratelli, dettati dalla tradizione di rigida osservanza giudaica, sono
tuttora presenti nei Vangeli ecorrispondono ai fratelli di
Ges: Giovanni, Giuda, Simone, Giacomo e Giuseppe; gli stessi che vengono attribuiti
anche ai figli delle varie Marie, mogli di Alfeo, Clopa, Zebedeo e Cleofa. Tutte queste
"mogli" sono sorelle,parenti fra loro, ma portano lo stesso nome di Maria la madre
di Ges, e risultano tutte madri di figli con gli stessi nomi dei fratelli di Cristo.
La presenza di tante "Marie" nei documenti neotestamentari non veritiera (ne risultano
sei) al punto che, almeno una, risulta essere sorella della madre del "Redentore Figlio di
Dio":

"Stavano presso la croce di Ges sua madre (Maria), la sorella di sua madre, Maria di
Cleofa ..." (Gv 19,25).

Come avrebbero potuto dei genitori chiamare i propri figli con nomi uguali? Nel merito, la
Chiesa, sin dall'antichit, una volta inteso le contraddizioni contenute nelle "rivelazioni"
evangeliche, decise di "comprimere" le sei Marie in "tre Marie" con analisi dimostratesi
scorrette, come riferiamo nel successivo apposito studio su "Le sei Marie". Una di esse,
fatta passare come moglie di Alfeo, padre dell'apostolo Levi, cio "Matteo il
Pubblicano", si dimostra un falso conclamato una volta accertato (cfr studi I e VIII e quello
su "La Nativit") che questo "Matteo" non mai esistito:

" ... Egli (Ges), nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e
gli disse: Seguimi" (Mc 2,13-14).
E' ovvio che, come provato nel primo e ottavo studio come in quello su "La
Nativit", l'inesistenza di Levi Matteo sconfessa inequivocabilmente l'esistenza di
suo padre, Alfeo, e quella di sua moglie, Maria, con la quale avrebbe dovuto concepire
il futuro apostolo, "esattore delle tasse" per conto di Cesare.
Di queste sei "Marie" solo una non aveva figli: Maria di Mgdala. Cosa abbia
rappresentato per il "Ges" storico del nostro studio, questa poco credibile Maria, non
crediamo sia stato significativo nella realt politica dell'epoca; molto pericolosa per il
popolo d'Israele che non intendeva sottomettersi al dominio di Roma.
Altre quattro "Marie" furono clonate da una sola e "divise", maldestramente, per separare
l'insieme dei fratelli, tutti con nomi uguali ai figli dell'unica vera Maria, madre di "Ges"
(Mt 13,55 e Mc 6,3). Lo scopo fu di impedire ad eventuali ricercatori di rintracciare nella
storia i veri protagonisti delle vicende narrate nei vangeli identificandoli negli ultimi eredi
dell'unica dinastia che, nel corso di tre generazioni, si era distinta per aver guidato gli
Ebrei nella lotta di liberazione contro i "kittim" romani.

La vera Maria, madre di cinque figli maschi e due o pi femmine, era una nobile
discendente degli Asmonei, moglie di Giuda il Galileo, "Dottore della Legge di grande
potere", padre, a sua volta, di Giovanni, il primogenito. Dunque una stirpe di sangue reale
cui spettava per diritto il trono dei Giudei, occupato dagli erodiani, semigiudei di estrazione
araba, insediati dagli imperatori di Roma.
I cinque fratelli appartenevano ad una societ teocratica, propugnavano la lotta armata
basata su principi religiosi e politici contenuti nella sacra Legge ancestrale, per cui l'unica
regalit ammessa era quella voluta da Dio: una regalit messianica. Erano Zeloti e
depositari dell'integralismo nazionalista pi estremista fra le quattro correnti religiose
ebraiche dell'epoca costituite da Zeloti, Farisei, Esseni e Sadducei. Nel 6 d.C...

"Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia, una novit finora
sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro
hanno un ardentissimo amore per la libert (gli Zeloti erano Farisei rivoluzionari
irredentisti contro la schiavit) convinti come sono che solo Dio loro guida e Padrone; ad
essi poco importa affrontare forme di morte non comuni ..." (Ant. XVIII 1,23).

La maggioranza del popolo giudaico, soprattutto i giovani, era spinto da un impellente


bisogno di riscatto nazionalistico morale e di giustizia sociale, pertanto condivideva i
principi degli Zeloti e del suo capo Giuda. Una generazione dopo, suo figlio, Giovanni,
riuscir a conquistare Gerusalemme, nel 35 d.C., dopo aver liberato la Citt Santa
dall'occupazione pagana, ottenendo il riconoscimento del popolo come "Salvatore"
(Jesha) e Re dei Giudei ... fino a quando venne detronizzato e crocefisso dai Romani nel
36 d.C. Per gli Ebrei il vero Messia divino non poteva essere sconfitto dai kittim
invasori, pertanto Giovanni fu rinnegato e dimenticato.
Nel periodo storico successivo alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio - perpetrata
da Tito nel 70 d.C. unitamente al massacro etnico di Ebrei nelle citt orientali dell'Impero -
si apr una crisi di identit religiosa che coinvolse l'intera ecumene giudaica.

Sino al momento dell'olocausto, gli Esseni furono i pi attivi tra i Profeti che avevano
annunziato l'Avvento del Messia d'Israele il quale, riuniti tutti gli Ebrei in una rinnovata
Alleanza santificata da Dio, avrebbe fatto strage di kittim pagani.
Dopo l'eccezionale catastrofe, una corrente riformista ebraica della diaspora, guidata
da sacerdoti Esseni residenti in Egitto, ispirandosi all'astratto "Logos" del filosofo semita
Filone d'Alessandria, concep una nuova figura di "Salvatore Messia" in alternativa
al "Dominatore del Mondo" riferito da Giuseppe Flavio (Bellum VI 310-315). Un Messia
divino, non pi il bellicoso condottiero del popolo d'Israele che avrebbe sconfitto gli
invasori pagani, bens docile come un agnello"Salvatore del Mondo", quindi accettabile dal
potere imperiale romano, e meno pericoloso per le famiglie della diaspora. Pur sempre un
Messia ancora osservante della Legge ancestrale profetata da Isaia:

"Egli (il Messia), dopo essere passato fra gli uomini in maniera cos umile e modesta nelle
parvenze da non esssere rimarcato da alcuno, seguir i suoi carnefici silenzioso e docile
come un agnello che viene condotto al mattatoio"(Isaia 53,1);
"Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1,29).
Gli Esseni, anzich ammettere il fallimento del proprio vaticinio sull'intervento
del "Salvatore" davidico, addebitarono la colpa delle sciagure e dei lutti subiti dai Giudei
al mancato riconoscimento, da parte loro, dell'Avvento: il Messia, atteso con anelante fede
dagli Ebrei durante il primo secolo; l'Unto, prescelto da Yahw, che li avrebbe guidati
contro i pagani invasori della Terra Promessa, era gi venuto, ma non fu identificato
come tale dal Suo popolo.
Nella storia giudaica dell'epoca, che vide come protagonista reale il nobile Giovanni e la
straziante fine subita, questo era l'unico episodio adatto cui richiamarsi
per essere mitizzato come "Agnus Dei" e "Salvatore del Mondo" anzich "Dominatore del
Mondo".
Un "Salvatore" che i monaci esseni, in virt della loro "Gnosi" (conoscenza di Dio),
iniziarono a rappresentare nelle proprie scritture, predicandolo come il Demiurgo
Terapeuta, Figlio di Dio, dotato di poteri straordinari.
Lo avevano gi profetato nel frammento 4Q246 di Qumran, che evidenzia il pathos
nazionalista zelota, conforme all'tica di una societ teocratica come quella giudaica, in
linea con la figura regale messianica:

"Egli sar chiamato il Figlio di Dio: essi lo chiameranno il Figlio dell'Altissimo. Il Suo
regno sar un dominio eterno ... il popolo di Dio si lever e fermer tutti con la
spada".

Un Messia le cui tracce permangono tutt'oggi nei vangeli. Cos Luca:

"Egli sar grande e sar chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli dar il
trono di suo padre Davide ... perci quello che nascer sar chiamato santo Figlio di
Dio" (Lc 1,32-35).

Cos Matteo: "Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma una spada" (Mt 10,34).

Fra i protagonisti dei vangeli "cristianizzati", Giovanni risulta il meno appariscente bench
molto rimaneggiato nel personaggio, a differenza dei vangeli originali. Nella tradizione
"canonica", Giovanni venne fatto interpretare da un indefinibile senza nome il discepolo
che Ges amava e chiamato come testimone oculare della vita di Cristo narrata nel
proprio vangelo; infine, scelto come depositario della Sua Rivelazione (Apocalisse) e del
Suo ritorno (Parusia), non pi come Salvatore ma nelle vesti di un terrificante
Giustiziere che avrebbe provocato la fine del mondo tramite una catastrofe cosmica
dando inizio al "Regno di Dio".
In realt questo discepolo senza nome, come abbiamo visto con lo studio
precedente, non esistito, quindi non ha scritto alcun vangelo, n l'Apocalisse, tantomeno
lettere. Pochi sanno che sono due i vangeli accreditati a Giovanni: uno di Giovanni" e
l'altro di Giovanni detto anche Marco.
Per distinguerli e giustificarne le differenze, incompatibili come testimonianza univoca per
l'enorme differenza sui fatti narrati (basta ricontrollare la Tabella degli Apostoli e le loro
qualifiche nel I argomento), a un Giovanni venne aggiunto detto anche Marco in Atti
degli Apostoli (12,12) dove, il discepolo prediletto spunta fuori, all'improvviso, poco
prima il decesso di Erode Agrippa I, avvenuto nel 44 d.C., e risulta figlio di
Maria residente "in casa dellamadre a Gerusalemme (non in quella di Zebedeo, suo
padre, secondo i vangeli sinottici).
Viceversa, in nessun vangelo si fa menzione di un apostolo col nome di Giovanni detto
anche Marco pur essendo stato "ufficializzato" dalla "tradizione", ad iniziare da Eusebio di
Cesarea che lo chiam, molto superficialmente, col semplice nome di "Marco".

Nel vangelo di Giovanni detto anche Marco abbiamo conosciuto un Giovanni figlio di
Zebedeo, integralista zelotacome suo fratello Giacomo, qualificati entrambi
come boanerghs *, figli dell'ira di Yahw avverso la dominazione romana della Terra
d'Israele. Quindi un ribelle adulto, fanatico nazionalista, schierato contro il potere
costituito, che non avrebbe mai accettato, ideologicamente, di darsi un secondo
appellativo trasteverino: Marco.
Dal vangelo di Luca (Lc 9,53) Giovanni risulta uno Zelota pronto ad incendiare villaggi dei
Samaritani, nemici dei Giudei, assieme all'altro suo fratello: Giacomo (il Maggiore).
* Vedi spiegazione del termine "boanerghs" nel I argomento.

Un divieto sull'uso del nome gentilizio, ancor pi tassativo, era imposto dalla Legge
romana, l'unica che veramente contava nell'Impero, trascurata con sciocca dabbenaggine
dai redattori di Atti degli Apostoli; un errore simile a quello commesso sulla cittadinanza
da san Paolo (vedi studio), a dimostrazione che questo documento, considerato sacro dai
credenti, fu composto successivamente il 212 d.C.
Per quella data l'Imperatore Marcus Aurelius Caracalla decret di estendere la
cittadinanza romana a tutti i liberi abitanti dell'Impero al fine di equipararne i privilegi, ma
con il risultato di abolirli con i rispettivi "Diplomi di Cittadinanza Romana", ormai inutili.
Prima di allora, gi in epoca repubblicana, solo agli stranieri cui veniva conferita
la cittadinanza romana, era concesso il diritto di attribuirsi nomi romani ed il divieto
per chi non lo era. Fu uno dei princpi cui, dopo Giulio Cesare, anche Cesare Augusto,
come riferito da Svetonio (Cal. 38), confer un valore particolare ordinando tre
censimenti cognitivi al fine di accertare, fra gli abitanti dell'Impero, quelli che
possedevano la cittadinanza romana. Un titolo registrato negli Atti del Senato
comprovato dal rilascio di un Diploma, analogo a quello militare, contenente un attestato
di benemerenza rilasciato dalle autorit, ad iniziare dai Cesari, da esibirsi su richiesta di
qualsiasi funzionario imperiale.
Cos Svetonio (Claudio 25):

Le persone di nazionalit straniera furono diffidate dal prendere nomi romani, tanto
meno nomi gentilizi.Quanto a coloro che usurpavano il diritto di cittadinanza
romana,(Claudio) li fece decapitare nel campo Esquilino.
Tranne Giulio Cesare e Nerva (quest'ultimo, anziano, in carica per meno di due anni), tutti
gli Imperatori e i condottieri romani perseguitarono i Giudei. A Gerusalemme, il Tribuno
militare, di rango equestre con tanto di laticlavio, funzionario imperiale durante il principato
di Claudio, essendo obbligato a far rispettare la Legge di Roma, avrebbe fatto passare
guai seri ad un ebreo che si fosse dato un nome romano, gentilizio per eccellenza
come "Marcus", senza possedere il diploma di cittadinanza.
Ne consegue che "Marco" uno pseudonimo scelto dagli scribi cristiani, in epoca
successiva all'editto di Caracalla, inconsapevoli di una vecchia legge imperiale
ormai desueta ed ignari della severit dei costumi giudaici.
Nella realt dell'Impero Romano del I secolo, il nome gentilizio "Marco", affibbiato ad un
suddito giudeo privo di cittadinanza romana, violava leggi ed usanze di entrambi i
Paesi.

Al contrario, il Giovanni, descritto dalla tradizione giovannea, non un adulto


combattente ribelle integralista, tanto meno "detto anche Marco", ma viene fatto
interpretare da un innominato sconosciuto ragazzo giovanissimo il discepolo che Ges
amava materializzato all'improvviso nell'ultima cena durante la quale venne celebrato il
primo rito del sacrificio eucaristico cristiano. Tranne per il riferimento al Battista, il nome
Giovanni sconosciuto dallo stesso evangelista e non appare mai nel proprio vangelo;
neanche quando Ges chiama i discepoli al Suo seguito nella missione affidatagli dal
Padreterno. Sappiamo dell'esistenza de i figli di Zebedeo (Gv 21,2), dopo la morte e
resurrezione di Cristo, nel 21 capitolo, l'ultimo. Dagli esami condotti da vari studiosi,
risulta essere stato aggiunto in epoca posteriore allo scopo di ridurre i contrasti con gli altri
vangeli sul numero e sul nome degli apostoli (cfr tabella nel I studio e relativa nota).
Il Giovanni del quarto vangelo stato dipinto come un adolescente legato al Salvatore da
un rapporto fisico affettivo molto forte, come di parentela, al punto che, nell'ultima
cena, giunge a reclinarsi sul petto di Ges (Gv 13,25).
Questo aspetto del discepolo prediletto, abbandonato languidamente sul corpo di Cristo,
ignorato dagli altri evangelisti. Altres, perch un Dio avrebbe creato un giovanissimo
discepolo-apostolo da prediligere rispetto agli altri?
La risposta la troviamo nel passaggio escatologico finale descritto nello stesso vangelo,
all'atto della crocefissione, in cui si rappresenta una scena con tre Marie aggrappate ai
piedi della croce assieme ad un ragazzo.
Impossibile nella realt perch la Legge di Roma impediva a chiunque avvicinarsi ad
un pubblico suppliziointerponendo un cordone di miliziani armati: ad iniziare da parenti,
amici, e discepoli ... nessuno, Apostoli compresi,poteva stanziare presso la croce.

Ges allora, vedendo la madre e l accanto a lei il discepolo che Egli amava (Giovanni),
disse alla madre: donna,ecco tuo figlio!. Poi disse al discepolo:Ecco tua madre!. E
da quel momento il discepolo la prese nella sua casa(Gv 19,26/7).
Ma in casa di chi? Del padre Zebedeo secondo i vangeli sinottici? Certamente no, poich
il "discepolo che Ges amava"risulta figlio di Maria, come affermato da Cristo, quindi il
padre, secondo la "Nativit" di Luca e Matteo, doveva essere San Giuseppe marito di
Maria, non Zebedeo.
Infatti, in Atti degli Apostoli abbiamo gi visto che Giovanni detto anche Marco, viveva
a Gerusalemme in casa di Maria, sua madre. Per come si pu credere che un ragazzo
abbia potuto prendersi cura di una donna anziana?
Siamo di fronte ad una sceneggiatura giovannea, totalmente diversa da quella degli altri
evangelisti, allestita per rappresentare il sacrificio umano della nuova Entit
trascendentale che avrebbe salvato l'umanit dalle pene dell'inferno. Al momento
della trascrizione da un manoscritto originale, certamente lo scriba cristiano non dette
eccessivo peso ai "dettagli" di questo vangelo, residui "stratificati" di una forma di
messianismo primitivo, che avrebbero creato gravi problemi aperti tutt'oggi.
Tanto vero che nel versetto del vangelo appena letto evidente
che, essendo Maria madre di Ges e del"discepolo che Egli amava", ne deriva che
questi era un fratello di "Ges" o "Egli" stesso (nel I studio, dopo la tabella apostoli,
abbiamo elencato i Codici antichi, poi "scartati", nei quali in Matteo 13,55 risulta anche
Giovanni compreso nei figli di Maria). Ma, dal momento che "il discepolo prediletto" si
chiamava Giovanni e sotto la croce non poteva esserci nessuno poich lo vietava la
legge romana, si dimostra che Egli, "Ges", era Giovanni ... sulla croce. Senza alcun
discepolo n sotto, n vicino alla croce ... confermato dai vangeli canonici:

"Allora tutti i discepoli, abbandonandolo (Ges), fuggirono" (Mt 26,56).

In ultima analisi, l'innominato "discepolo che Egli amava" non altri che
l'avatar di Giovanni; nome che non appare nel vangelo di Giovanni fra gli apostoli
chiamati al Suo seguito da Cristo perch Lui: "Ges".
Il "Vangelo di Giovanni" cos inizia:

Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni


Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno
accolto
(Gv 1, 6-11)

Giovanni, l'unico appellativo indicato nel prlogo di questo vangelo, trascritto da


un'altro originale nel quale, pur richiamandosi al Dio Creatore, non appariva il nome di
"Ges Cristo" che verr aggiunto, successivamente, alla fine del preambolo. Infatti, a
riprova di quanto test affermato, subito dopo leggiamo:
"Chi sei tu? Egli confess e non neg, e confess: Io non sono il Cristo" (Gv
1,20).
Un raggiro di parole visibilmente manomesse per smentire quel che risultava nel
vangelo primitivo: "Io sono il Messia", ribadito nello stesso testo che stiamo per
declamare, nel quale lo si accusa di essersi proclamato Re ... ma sappiamo bene che
un vero monarca giudeo si sottoponeva al rituale dell'unzione, da cui "Unto", in
ebraico "Meshiah".Sull'attesa messianica degli Ebrei, Luca si spinge oltremodo:

"Il popolo era in attesa e tutti si domandavano, riguardo Giovanni, se non fosse Lui
il Cristo" (Lc 3,15).

Un concetto prettamente cristiano che, come in altri numerosi casi, fraintende la Legge
ebraica: il popolo d'Israele era in attesa del Messia divino, ma la sua speranza non
poteva spingersi oltre, facendo nomi inutili, perch era consapevole che solo Yahweh
avrebbe scelto il vero Messia...

"Tutta l'assemblea si alz, lo condussero (Ges) da Pilato e lo accusarono: Abbiamo


trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e
affermava di essere il Cristo (Messia) Re (Lc 23,1).
"Se (Pilato) liberi costui (Ges) non sei amico di Cesare! Chiunque si fa Re si mette
contro Cesare" (Gv 19,12).

La comparazione fra le testimonianze dei due vangeli evidenzia la accusa, rivolta a un


"costui" senza precisarne il nome, colpevole di incitare la popolazione a non pagare i
tributi all'imperatore di Roma e di essersi proclamato Re dei Giudei consacrandosi (tramite
l'unzione) come loro Messia.
Da sottolineare la descrizione della vicenda, narrata da ignoranti, la quale non risulta
conforme al diritto romano che imponeva ad un Prefetto imperiale l'obbligo di eliminare
chiunque si autoproclamasse Re in un territorio di propriet del Cesare - per di
pi con intenti apertamente sovversivi contro il pagamento dei tributi imposti da
Roma - senza che nessuno osasse ricordargli quale fosse il suo dovere (ius gladii).
Il nome era Giovanni, travestito, maldestramente, da Giovanni detto il Battista; come,
sin dall'inizio, la Chiesa ebbe tutto l'interesse farci credere per nascondere i nomi degli
autentici protagonisti zeloti dei vangeli primitivi, ricorrendo spesso allo stratagemma di
sovrapporre i nomi e le loro gesta nei vangeli attuali trascritti dagli originali:

"In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Ges. Egli disse ai suoi
cortigiani: Costui Giovanni il Battista risuscitato dai morti; perci la potenza dei
miracoli opera in lui" (Mt 14,1-3).

Il vero Giovanni, in realt, fu uno zelota "boanerghs" la cui dottrina nazionalista, la quarta
filosofia ebraica,spingeva il popolo a non pagare le tasse a Roma. Un "Giovanni" che
venne mascherato dietro l'omonimo Battista, il quale, a sua volta, fu fatto passare da
Luca, addirittura ... per cugino di "Ges Cristo". Parentela assurda ignorata nel
vangelo di "Giovanni" che dimostra la macchinosit degli scribi ecclesiastici quando
scelsero di far interagire i due protagonisti.

Una ingenuit che si evidenzia ancor pi quando Eusebio di Cesarea invent il


"Testimonium Flavianum" e lo accredit a Giuseppe Flavio facendo apparire che Ges
Cristo era famoso, ma dimentic di menzionare la parentela del Battista con il pi
importante "Cristo", un Dio risorto tre giorni dopo la Sua morte (cfr HEc. I 11,7 con Ant.
XVIII 63 ).
"Giovanni" non poteva essere stato il Battista per la ragione che la storia chiara e
insegna che quest'ultimo aveva un solo nemico: Erode Antipa il Tetrarca*. Fu lui ad
ucciderlo proprio perch, diversamente dal brano del vangelo (Gv 1,11) appena letto nel
prlogo Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto, la sua gente lo
aveva accolto con troppo favore:

Quando la gente si affollava intorno a lui (Giovanni Battista), essendo i suoi sermoni
giunti al pi alto grado, Erode(Antipa) si allarm. Una eloquenza che sugli uomini aveva
effetti cos grandi, poteva portare a forme di sedizione a motivo dei sospetti di Erode,
fu portato in catene nel Macheronte, una fortezza in Perea, e quivi fu messo a morte. Ma
il verdetto dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel
senso che Dio giudic bene infliggere un tale rovescio a Erode (Ant. XVIII 118/9).

* Erode Antipa spos Erodiade pur avendo in moglie un'altra pricipessa: la figlia di Areta
IV, Re degli arabi Nabatei. Antipa Tetrarca contava di essere nominato Re da Tiberio, ma
solo una delle due mogli pricipesse avrebbe potutodivenire Regina. Erodiade pose questa
condizione, che Erode accett in segreto, ma la figlia di Areta lo venne a sapere ed
inform il padre che dichiar guerra al Tetrarca, rivendicando, al contempo, territori che
confinavano con la Perea, amministrati dal semiebreo erodiano. Territori, comunque, sotto
"protettorato" romano.

Nei Vangeli si equivoca volutamente fra Giovanni Battista e Ges, usando il primo come
"controfigura" del secondo, sovrapponendo le due figure ideologiche al punto che san
Luca inizia la sua novella con la Nativit di:

Giovanni Egli sar grande davanti al Signore; non berr vino n bevande
inebrianti (Lc 1,13/15).

Chi non poteva bere vino era un Nazireo, ma, secondo la storia, Giovanni Battista non
era un Nazireo, tanto meno un Messia. Giuseppe Flavio era ebreo e sapeva benissimo
cosa rappresentava il "Messia" per i Giudei, cos come conosceva i Nazirei. Li descrive,
decantandoli per l'importanza alla stregua di Samuele e Sansone, consacrati a Dio tramite
il voto di nazireato; pertanto, se il Battista fosse stato un Nazireo come loro lo avrebbe
specificato nel lungo brano a lui dedicato.
Parimenti, oltre che per dovere di cronaca ma, soprattutto, in quanto sacerdote fariseo, si
sarebbe sentito in obbligo di informare l'intera ecumene giudaica che Giovanni Battista fu
precursore e profeta dell'imminente avvento di un Messiadivino, per di pi depositario di
una dottrina totalmente diversa da quella ebraica. Questo secondo i vangeli. Inoltre
avrebbe riferito anche della parentela con l'ancor pi celebre Messia "Ges", confermando
la notizia evangelica che lo attesta come cugino di Giovanni Battista.
A maggior ragione, data l'eccezionalit dell'evento messianico atteso dai fedeli Giudei, lo
storico avrebbe informato i lettori che il popolo scambi il Battista addirittura per un
Messia, come scritto superficialmente da Luca.
L'insieme dei dati evidenziati nelle scritture evangeliche sono di stretta pertinenza al credo
giudaico, pertanto, se Giuseppe Flavio non li ha richiamati nella particolareggiata vicenda
storica, ci vuol dire che non sono veri, quindi gli scribi cristiani hanno mentito ... ma con
un disegno preciso che stiamo per scoprire.

Innanzi tutto, "Nazireo" era l'appellativo del fedele ebreo che si consacrava a Dio
vincolandosi per tutta la durata del voto a non bere bevande inebrianti e mantenere
intonsa capigliatura e barba. Gli aderenti entravano a far parte della setta dei Nazirei
collegata direttamente con "Jesha" Giovanni, diversamente dal Battista.
Dopo la profezia appena letta su Giovanni Nazireo, Luca continua la narrazione
descrivendo prima la "nativit" di"Giovanni", poi quella di "Ges" come se quella di
Cristo sia stata aggiunta dopo; inoltre, nella sua esposizione dell'evento, giunge sino a
"dipingere" una relazione intermaterna di un feto:

Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salut Elisabetta. Appena Elisabetta ud il saluto di
Maria, il bambino le sussult nel grembo (Lc 1,41).

Lo scriba cristiano riferisce che Giovanni, ancora nel grembo della sua ipotetica
madre Elisabetta, quando arriva Maria la riconosce o percepisce come sua vera madre,
ma ... essendo fisicamente impossibile che, nel 6 a.C. (secondo la datazione moderna
della Chiesa), Luca abbia potuto poggiare lorecchio sul ventre di Elisabetta, ci siamo
sforzati di immaginare il Padreterno, quando, dallAlto dei Cieli, si chin per suggerire
nellorecchio del santo evangelista (a lui solo) questo particolare del sussulto del feto
allinterno di un grembo materno e farlo tramandare ai posteri credenti beati poveri di
spirito. Fedeli ai quali i preti, ed i loro pedissequi esegeti, "dimenticano" di evidenziare che
l'evangelista Luca, secondo la "tradizione", nacque il 10 d.C., cio 16 anni dopo la
"Nativit" di Ges.

Nel "Protovangelo di Giacomo" leggiamo:

Elisabetta, sentito che si cercava Giovanni, lo prese e sal sulla montagna (22,3). Erode
cercava Giovannie disse loro: Giovanni colui che regner su Israele (op.cit.
23,1-2).

In questo vangelo, un manoscritto stimato pi antico dei Codici Vaticano e Sinaitico,


perch Erode avrebbe dovuto perseguitare Giovanni se non era destinato a divenire Re
dei Giudei? diritto che spettava alla stirpe degli Asmonei? E di quale montagna
poteva trattarsi se non quella di Gmala? la patria di Giuda il Galileo e dei suoi figli:
Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Giuseppe.
Procedendo con la ricerca, potremo stabilire che i primitivi "vangeli di Giovanni, degli
Esseni, non erano manoscritti fattida Giovanni, ma narravano di Giovanni Messia
Salvatore.

Nello studio precedente abbiamo verificato l'inesistenza di san Giovanni apostolo, "il
prediletto del Signore". Per tale dimostrazione, data la lunga vita e la veneranda et
accreditata al "discepolo che Ges amava", inevitabilmente, ci siamo avvalsi delle
testimonianze dei "successori degli apostoli", dei quali il primo stato Simone, fatto
passare comesecondo Vescovo di Gerusalemme dopo Giacomo il Minore.
"Successori" riferiti dalla "tradizione ecclesiastica", pervenutaci da antichi manoscritti che
continueremo a confrontare
fra loro per verificare cosa riuscirono ad inventarsi i "Padri" cristiani al fine di "testimoniare"
l'esistenza di san Giovanni. Furono obbligati a farlo perch avevavo capito che "il
discepolo che Ges amava" era "Giovanni Ges", ma, in base al loro intento, se Giovanni
invecchi nessuno avrebbe mai potuto sospettare che era lui Ges "Crocefisso".

Individuati tutti e quattro i fratelli, compreso il pi giovane, Giuseppe (vedi XV studio)


... nella storia non si deve ricercare un inesistente "Ges Cristo risorto", ma
Giovanni: un comune mortale. Personaggio di primo piano, famoso tra i Giudei ancor pi
dei suoi fratelli. Intenzionalmente, il suo appellativo venne scartato in quelle versioni dei
vangeli di Matteo che lo rappresentavano insieme a tutti i figli di Maria; viceversa, lo
abbiamo visto nel I argomento, gli ecclesiastici scelsero i manoscritti nei quali non fu mai
nominato contemporaneamente agli altri quattro fratelli perch lui era il
vero soggetto, indicato con costui per riempire il "vuoto" lasciato da quel nome.

Giovanni e i suoi fratelli furono promotori di imprese rischiose sino al martirio, imprese
di capi guerriglieri integralisti, di Apostoli Profeti sobillatori, di fanatici nazionalisti, di
... Zeloti.
E questo Giovanni, uguale a "Ges" sino alle "impronte digitali", lasciate dai "cibi proibiti
ed Egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purit" (Bellum VII 264) mangiati senza
aver fatto le rituali abluzioni prima del pranzo, alla stregua di Cristo, la storia ce lo
restituisce attraverso un ricordo, lontano nel tempo, rievocato dallo storico ebreo
Giuseppe Flavio a guerra finita, dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da
parte di Tito: un intero capitolo di ben 22 paragrafi. Per la Legge, i Giudei che mangiavano
cibi proibiti erano peccatori. Cos i vangeli:

"Come mai Egli (Ges) mangia e beve in compagnia dei peccatori?" (Mc 2,16);
"Ecco (Ges) un mangione e beone, amico dei pubblicani e peccatori" (Lc 7,34);
"Egli (Ges) si mise a tavola. Il fariseo si meravigli che non avesse fatto le abluzioni
prima del pranzo" (Lc 11,38).

Oltre il falso "Testimonium Flavianum" e il finto "Giacomo, fratello di Ges Cristo",


ricercare autentiche tracce di "Ges Cristo" nelle opere di Giuseppe Flavio un'impresa
vana a priori poich lo storico era ebreo e tale rimase sino alla morte. Nel XIII argomento,
infatti, dimostriamo che "Ges", "Cristo" e "Nazareno" non erano nomi propri ma titoli
divini.
Lo storico ebreo, nobile fariseo conservatore, rampollo della pi elevata aristocrazia
sacerdotale di Gerusalemme, discendente dagli Asmonei per parte di madre ... nacque nel
37 d.C., qualche anno dopo, secondo i vangeli, che un "Re dei Giudei" fu crocefisso dai
Romani in ottemperanza ad una delibera del Sinedrio, incredibilmente avallata dal
popolo stesso che lo aveva osannato ... Una farsa di "processo" montato in funzione
di una dottrina ma in contrasto alla legge di Roma.
Il vero Diritto Romano, coerente al potere imperiale, l'unico ad aver autorit, imponeva
direttamente al "Legatus Augusti pro praetore", Governatore provinciale, di eliminare
chiunque si fosse insediato autonomamente sul trono in un territorio sotto dominio di
Roma.

I genitori dello storico fariseo, residenti in Gerusalemme, presenziarono all'esecuzione di


"Giovanni", dopo che questi aveva capeggiato una rivolta durante la quale vennero uccisi
Sommi Sacerdoti del Tempio e "sfasciarono tutto ci che restava degli ordinamenti
civili". Il solo "ordinamento civile" nella Giudea era costituito dal governo prefettizio di
Ponzio Pilato, stanziato a Cesarea Marittima, la capitale imperiale di quella Provincia,
mentre in Gerusalemme la massima autorit romana era rappresentata dal Tribuno
militare di rango eguestre, che, a capo di una coorte di 500 uomini ed una o pi ali di
cavalleria, dimorava nella Fortezza Antonia.
E' una lunga analisi, esclusivamente storica, tramite la quale si evidenziano "vuoti"
ingiustificabili, creati da tagli, nella sequenza storica del XVIII libro di "Antichit
Giudaiche": l'epoca di "Ges". Censure praticate allo scopo di impedire il riconoscimento
delle gesta dei "boanerghs" zeloti, ma evidenziate da altre fonti storiche le quali ci hanno
consentito di colmare le lacune e ricostruire gli eventi reali.
La fine di Giovanni e dei capi zeloti, riferita nel memoriale dell'ebreo, cos descritta in
"Bellum VII 272":
"Fecero tutti la fine che meritavano, perch Dio diede a ciascuno la giusta punizione;
infattti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche
sino all'ultimo istante di vita, facendoli morire fra i pi atroci tormenti d'ogni sorta".
Lo scrittore de "La Guerra Giudaica", a conflitto ormai concluso con l'olocausto etnico
ebraico e la distruzione del Tempio di Gerusalemme, rievoca "Giovanni" in un lungo
ricordo incentrato sull'azione degli Zeloti avviata da Giuda il Galileo, che richiama assieme
al censimento di Quirinio del 6 d.C. Poich la narrazione delle gesta e la morte di questo
"Giovanni" corrisponde al "Giovanni" zelota dei vangeli, gli scribi falsari intervenirono per
impedire la identificazione del personaggio storico con quello evangelico. In questo caso
"il protagonista" stato fatto "slittare" di una generazione e "coperto", tramite una nota
"chiarificatrice" a pi di pagina, da un'altra controfigura reale: Giovanni di Giscala. Ma,
come in altre circostanze analoghe, i curatori cristiani delle traduzioni non erano (e non
sono) portati ad elaborare letture comparate fra i manoscritti consultati e la storia. Se
l'avessero fatto avrebbero constatato che Giovanni di Giscala, un capo ribelle della
guerra giudaica, fu catturato nel 70 d.C. da Tito e imprigionato a vita anzich essere
eliminato tramite supplizio.

Poich "La Guerra Giudaica" fu redatta da Giuseppe Flavio sotto Vespasiano, fra il 75 e il
79 d.C., mentre lo storico riferiva la testimonianza appena letta, Giovanni di Giscala,
suo acerrimo nemico, era sempre vivo.
L'ebreo Giuseppe conosceva personalmente Giovanni di Giscala ed a lui dedic buona
parte del rotolo manoscritto "Autobiografia" (redatto negli anni 90 del I secolo)
descrivendolo come un arrivista che tent, senza riuscirvi, di screditarlo nei confronti del
Sinedrio per sostituirlo nell'incarico di Governatore della Galilea.
Lo studio, troppo lungo per essere riprodotto in sintesi negli argomenti in "bacheca",
riportato nel libro "Giovanni il Nazireo detto 'Ges Cristo' e i suoi fratelli".

Verificato, tramite l'analisi precedente, che la citt di Ges, descritta nei Vangeli, non
corrisponde alla Nazaret odierna bens a Gmala, la citt di Giuda il Galileo e dei suoi
figli, i quali avevano gli stessi nomi dei fratelli del Signore se ne deduce che Nazaret
serv a giustificare il titolo di Nazareno, modifica letteraria di Nazireo, ossia il
consacrato a Dio tramite il voto Nazir: una promessa che obbligava gli adepti a non bere
vino e non tagliarsi i capelli.

Nei vangeli il voto stato falsamente accreditato a Giovanni "Battista" perch il nazireato
era incompatibile con la nuova dottrina cristiano gesuita: contrastava con il rito eucaristico
della trasformazione del vino nel sangue.
Un Nazireo, vincolato dal voto Nazir, non avrebbe mai potuto bere il vino nellultima
cena per poi trasformarlo in sangue da far bere ad altri Ebrei Apostoli, per giunta suoi
fratelli.
Fu questa esigenza della nuova teologia a costringere i Padri fondatori della dottrina
cristiana della salvezza, come riferito nel vangelo di Giovanni, a sovrapporre (avendo
entrambi lo stesso nome) il falso nazireo Giovanni Battista a quello
vero, Giovanni, il maggiore dei fratelli, figli di Giuda il Galileo.

In base alla Legge degli antichi Padri, i Giudei non attendevano lUnto di Yahw per
crocifiggerlo, mangiarlo come "Hostia" e berne il sangue; il loro Messia doveva essere un
Re condottiero: un Salvatore (Jesha) della terra dIsraele dalla dominazione pagana.
Il rituale teofagico eucaristico, che contemplava bere il sangue della "vittima sacrificata
agli Dei" (Hostia), fu ripreso dalle dottrine pagane e innestato nella religione ebraica;
venne adottato dai primi cristiani gesuiti nella seconda met del II secolo, dopo la seconda
distruzione di Gerusalemme del 135 d.C. da parte dei Romani, mantenendo la liturgia
della "frazione del pane" praticata dagli Ebrei Esseni e descritta nel loro "Rotolo della
Regola" ritrovato a Qumran.
Monaci e alto Clero, sin dallinizio, sapevano di discendere ideologicamente dagli Esseni
Terapeuti dAlessandria come riferito, nel IV secolo, dai Vescovi Epifanio ed Eusebio di
Cesarea (HEc. II 16,1-2).
Poich i Vangeli non riportano la descrizione dellaspetto del Salvatore, nei secoli futuri,
Ges fu da loro specificato, agli artisti che lo raffigurarono, vestito con il semplice camice
bianco usato dagli adepti alla setta (Bellum II 123) e con capelli e barba
lunghi, obbligatori per un Nazireo, oppure con il manto color porpora degno di un Re
... perch, effettivamente, Giovanni riusc a divenire Re dei Giudei riconosciuto come
loro "Jesha" nel 35 d.C.

Pur di non farlo apparire Nazireo, particolare che avrebbe messo in crisi la dottrina della
salvezza, i Padri fondatori vollero dimostrare che non lo era, ma esagerarono nel senso
oppostoe a un Dio, disceso sulla terra per salvare lumanit, prima gli fecero
trasformare lacqua in vino, poi, senza scrupolo alcuno, lo fecero passare per beone e
mangione insieme a peccatori (per gli Ebrei peccava chi mangiava cibi proibiti) e
a pubblicani, cio gli esattori dei tributi dovuti dai Giudei a Cesare.
Al fine di impedirne la identificazione con gli Zeloti che lottarono contro i tributi, i falsari
ideologi, con volgarit, preferirono far passare Ges per un ebreo crumiro mezzano
che, con i suoi discepoli, prima di essere osannato dal popolo di Gerusalemme
come "Cristo Re", era dalla parte dei Romani anzich dei suoi connazionali, sino al punto
di nominare un pubblicano, Matteo, suo Apostolo:

Poi Levi gli prepar un grande banchetto nella sua casa. Cera una folla di pubblicani e
daltra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai
suoi discepoli: Perch mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? (Lc 5,29-
30);
"Interrogato poi: E lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare? egli disse: date a
Cesare ci che di Cesare e a Dio ci che di Dio (Lc 20,22/25)

Risposta precisa che vuol dire: pagate le tasse allImperatore e poi pregate. In barba al
Credo nazionalista che pervadeva la societ giudaica e mobilitava una giovent, astiosa e
turbolenta, insofferente al dominio romano pagano sulla Terra Promessa da Yahweh al
"popolo eletto".

I Padri fondatori del Cristianesimo - in un futuro ormai evoluto e diverso politicamente in


conseguenza delle sanguinose guerre contro Roma - si resero conto che le vicende
narrate traevano origine da fatti reali che videro protagonisti i mrtiri irredentisti della patria
Giudea. Eroi che, pur se mitizzati, col tempo erano entrati in contrasto con la nuova
dottrina perch di ideali rivoluzionari, tutt'altro che docili come "agnelli di Dio".
Andavano apportati cambiamenti per rendere pi credibile il sacrificio di un Salvatore,
in quanto incarnato in un vero uomo, diverso da quello delle religioni pagane basato solo
su miti; sacrificio teofagico avente per fine la vita eternache, unito alla speranza di
guarigioni miracolose, era diventato il cavallo vincente del cristianesimo gesuita.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivr in
eterno e il pane che io dar la mia carne (Gv 6,51).
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
resusciter (Gv 6,54).

Questa era la nuova dottrina che faceva presa su masse di nuovi proseliti: linnesto del
sacrificio del "Soter"
(Salvatore) pagano nella religione ebraica tramite il Messia, Jesha dei Giudei
Messia non disceso dal cielo, come postulato inizialmente dai mistici creatori dei
vangeli primitivi, profetato dagli Esseni nel frammento manoscritto di Qumran
(4Q286/7) lo Spirito Santo che si posa sul suo Messia e ripreso letteralmente
nel vangelo di Luca (Lc 3,22), ma un Salvatore partorito da una vergine, in una grotta.
"Grotta" il vocabolo riportato nei testi medievali accreditati a Giustino e Orgene; simile
alla "Nativit" di altri credi, con un sincretismo mirato, soprattutto con il Dio Mitra.
Sconfitto il concorrente Dio Mitra, la grotta (mitreo) sparir dai Vangeli proprio per
recidere una delle matrici ideologiche pagane ma essa rimarr impressa ugualmente
nella memoria popolare, superando i secoli, fino ad oggi, smentendo gli stessi Vangeli
canonici ... con la "benedizione", a denti stretti, della Santa Sede.

Non era pi necessario uccidere animali e berne il sangue, rituale sacro riservato a neofiti
pagani benestanti, seguaci dei Culti Misterici, troppo costoso per la plebe. Bastava seguire
una liturgia con semplice frazione del pane vivo consacrato per avere diritto alla vita
eterna. La stessa liturgia, senza rito teofagico, descritta dagli Esseni nella Regola della
Comunit di Qumran.
Il Vangelo di Giuda, un manoscritto originale, sopravvissuto alle devastanti censure
ecclesiastiche, venuto alla luce di recente e datato al 275 d.C., tramite verifica con la
spettrometria di massa, ci descrive un Ges e un Dio Creatore diversi da quelli raffigurati
dalla Chiesa: non parla di Pilato, n di rito eucaristico teofagico avvenuto nella ultima
cena, tanto meno di Resurrezione.
Siamo di fronte ad un Salvatore ancora in parte giudaico, ma non condottiero di un
popolo che lotta per liberare la sua terra invasa dai pagani. Lo stesso vale per altri Vangeli
scoperti a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945; diversit riscontrate anche nei papiri di
Ossirinco d'Egitto.
Questo per rimarcare le differenze teologiche esistenti, fra dottrine in embrione, seguite
dai primi Cristiani; e quanto si rese inevitabile per la Chiesa, a partire
dagli autentici Padri del IV secolo d.C., selezionare e unificare i diversi Credi
cristiano-gesuiti con la distruzione dei rispettivi vangeli.

Ancora prima della vittoria di Costantino sul pagano Massenzio nel 312 d.C., svariate
correnti teologiche cristiane
iniziarono una guerra fra loro, che si protrarr per oltre un secolo, nella convinzione che
ognuna di esse fosse depositaria della vera Rivelazione sulla Verit della Salvezza, o
della vera Sostanza del Salvatore, o della gnosi delFiglio a forma del Padre o di
quante Potenze o Sostanze dovesse essere composto Il Verbo o il Logos: se da
unPadre Ignoto, Infinito e Informe; o se dovesse essere Dio, tramite un Battesimo
Illuminante a creare "Suo Figlio come Umanizzazione dello Spirito; o se dovesse
essere "lo Spirito Santo, in una perfetta ipostasi col Padre e col Figlio,a far generare da
una Vergine, secondo la carne, il Verbo fatto carnein una consustanziale e coeterna
Trinit Finch non venne coniato il Verbo definitivo, che sar descritto
dettagliatamente nelle enciclopedie ed i vocabolari di tutto il
mondo: Transustanziazione. Ovvero:

Il rituale attraverso il quale si attua la presenza reale del Corpo e del Sangue di
Ges nellEucaristia, con laconversione della sostanza: del vino nel Sangue e del
pane nel Corpo di Ges Cristorimanendo immutate solo le apparenze del pane e
del vino.
E tutto ci, grazie ad un universale lavaggio del cervello, fu introdotto in una
ostia. Hostia: Vittima sacrificale che i pagani offrivano agli Dei sopra
un Altare: lastra di pietra, elevata dal suolo, su cui venivano consumati i sacrifici.

Erano gli Episcopi, Patriarchi e Imperatori Pontefici Massimi, tutti auto


nominatisi Venerabilissimi e Santi, i quali, fabulando, creavano le divinit da fare
adorare agli uomini. Divinit cos contrastanti fra loro, ideologicamente, da ingenerare
tensioni e guerre; conflitti talmente cruenti che si rese necessario indire Concili su Concili
per tentare di conciliare dottrine scismatiche che preferirono massacrarsi, accusandosi
reciprocamente, come eretiche,apostate o folli. Dottrina contro dottrina Santi
contro Santi uomini contro uomini, persecuzioni e martirii di Cristiani contro
Cristiani, seguaci di Cristi diversi potere contro potere morte contro morte per
la vita eterna.

Noi abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzioni, le tribolazioni, le


minacce per la fede Si deve anatemizzare ogni eresia, specialmente quella degli
Eunomiani o Amonei, degli Ariani o Eudossiani, dei Serniariani e Pneumatomachi, dei
Sebelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi Basilidiani, Docetisti,
Carpocraziani, Cleobiani, Cerintiani, Modalisti, Adozionisti, Dositei, Marcioniani, Masbotei,
Montaniani, Maniani, Novaziani, Simoniaci, Donatisti, Priscilliani, Menandrianisti,
Pelagiani, Monofisiti (Copti), Nestoriani, Abelliani, Valentiniani, Saturnilliani ecc

E il massacro fra i Cristiani continu, nel IV e V secolo, sino a che tutte le dottrine cristiane
dichiarate eretiche furono eliminate, con i rispettivi vangeli, da quella vincente
sopravvissutacome una sorta di naturale evoluzione adattativa delle spcie religiose: il
Cristianesimo odierno.
L'odio profuso dagli aspiranti Capi all'ecumene cattolica viene cos descritto da Ammiano
Marcellino, il maggiore degli storici imperiali del IV secolo d.C., nelle sue "Res Gestae"
ultimate entro il 378 d.C.:

"Nessuna bestia feroce ostile con gli uomini come la maggior parte dei cristiani fra
loro" (ib XXII 5,3-4).

Concepire una nuova figura teologica di Messia Salvatore, sin dallinizio, non fu semplice
per le sette degli Esseni sparse a oriente dellImpero tenuto conto che, tuttoggi, ognuno
(non gli atei) immagina il suo Dio secondo le proprie esigenze o fantasie

I nuovi Padri evangelisti studiano i manoscritti disponibili; eliminano la paccottiglia


ridicola; dichiarano eretica quella astratta fondata su una gnosi, pi adatta ad asceti
portati allesaltazione mistica, ma poco richiesta e poco praticata, perch incompresa, da
un popolo bisognoso di eternit e di miracoli terapeutici.
Distruggono molti vangeli con i relativi Ges, diversi e in contrasto teologico fra loro, che
dimostrano, troppo apertamente, i molteplici tentativi di costruzione della nuova
religione. Li chiamano apocrifi, che vuol dire celati locuzione ipocrita come chi la us
impropriamente.
Scrivono gli Atti degli Apostoli per "testimoniare" e "dimostrare storicamente" la diffusione
della nuova dottrina evolutasi dai vangeli primitivi esseno-giudaici accordandola alle
esigenze universali del nuovo Credo, ma devono manipolare la compromettente
identit dei "fratelli di Ges", trasformandoli in Apostoli, replicati, incaricati di
predicare e diffondere la "Vera Fede voluta da Dio".
A conclusione di questa evoluzione "adattativa" dei manoscritti nel corso dei secoli, nella
nuova teologia sono rimasti, sino ad oggi, nei vangeli in greco e latino, termini e vocaboli
autentici (in passato non compresi) che denuncianol'origine zelota antiromana di una
dottrina filo giudaica ... prima di essere "redenta" dal cristianesimo paolino.
Nelle fonti storiche, come nei vangeli e nei testi patristici, sono state apportate correzioni
per impedire il riconoscimento dei veri protagonisti ed il contesto politico che impose a
Giovanni, capo degli Zeloti, figlio maggiore di Giuda il Galileo, di attaccare la guarnigione
romana di stanza in Gerusalemme e liberare la Citt Santa dal dominio imperiale mentre
Roma era impegnata in guerra contro l'Impero dei Parti. Nel contempo, in Giudea, una
gravissiva carestia mieteva numerose vittime tra la popolazione indigente al punto "
... venne poi la carestia che rese gli Zeloti sfrenati in modo travolgente ...". Una
penuria di viveri talmente grave da indurre la popolazione giudaica, sotto la guida degli
Zeloti, a ribellarsi contro le autorit costituite e distruggere l'ordinamento politico vigente.

L'analisi minuziosa delle cronache dell'epoca, comparata ai resoconti degli storici cristiani,
evidenzia contraffazioni talmente grossolane, a partire dal camuffamento della carestia,
che ci consentiranno di accertare come si svolsero gli eventi reali.
Seguitiamo lo studio nel successivo argomento e verifichiamolo insieme.

Emilio Salsi
Una grave carestia indusse Jesha a proclamarsi Re dei Giudei

Sintesi
Come sopra dimostrato con lo specifico studio, abbiamo scoperto la effettiva identit dell
Apostolo chiamato, ancora oggi, Giuda Taddeo dalla nuova Chiesa cristiana riformata,
evolutasi da quella esseno giudaica.
Il nome autentico era Giuda detto Theudas che in greco significa Luce di Dio: un titolo
messianico tradotto dall'originale ebraico aggiunto al semplice appellativo. Era uno dei
fratelli di Giovanni Jesha e figlio di Giuda il Galileo.
Fu un sedicente Profeta capo di guerriglieri Zeloti, protagonista della lotta di liberazione
nazionale contro i Pagani; una volta intercettato da uno squadrone di cavalleria romana, i
suoi uomini vennero sconfitti e lui decapitato. La sua testa fu portata a Gerusalemme ed
esibita alla popolazione come monito rivolto a chi intendesse emularne le gesta.
Il Taddaios greco e Thaddaeus latino dei Vangeli erano vocaboli inesistenti in entrambe
le lingue nel I secolo e questo aspetto, unitamente allanalisi storica, ci ha consentito di
accertare il motivo della falsificazione: la nuova dottrina del Salvatore pacifico
universale non poteva ammettere la propria genesi zelota integralista giudaica.
Tramite la lettura di Atti degli Apostoli abbiamo provato anche linesistenza di san Paolo
e degli altri protagonisti evangelici, tutti dotati di poteri soprannaturali trasmessi loro dallo
"Spirito Santo", descritti in maniera talmente puerile e sciocca al punto che i dotti esegeti
ecclesiastici, ad iniziare dal Pontefice, si vergognano di riferire questi particolari ai credenti
per evitare di far cadere nel ridicolo i "santi attori" ... ed essi stessi.
Purtuttavia, bisogna ammettere che sarebbe stato avvincente incontrare per strada uomini
con una lunga barba,
sguardo fisso al cielo, aspetto ieratico ed una "lingua di fuoco posata sulla testa": lo
"Spirito Santo" (At 2,3/4) che li accompagnava nel loro incedere solenne ...
Stiamo per scoprire un altro di questi personaggi straordinari inventati da Luca : il
Profeta gabo.

In Atti (At 21,8/11), "a casa di Filippo, uno dei sette" tale Profeta predisse, "Questo dice lo
Spirito Santo", a san Paolo la sua cattura da parte dei Pagani (i Procuratori Antonio Felice
e Porcio Festo) ... ma, grazie allo studio su Paolo di Tarso, sappiamo che le vicende e i
personaggi tutti, compreso Filippo, furono inventati da scribi falsari cristiani con lo
pseudonimo "Luca".
La mistificazione che stiamo per accertare, come le precedenti, aveva un suo scopo ben
preciso e vitale per la nuova dottrina: nascondere, in questo caso, la data precisa e
relativo contesto storico che port Ges e i suoi fratelli, capi del movimento di
liberazione nazionale degli Zeloti, a prendere il potere a Gerusalemme, il 35 d.C.
Questo fu l'anno in cui Iohannes riusc a farsi incoronare Re dei Giudei, per poi essere
giustiziato nella Citt Santa dai Romani nel periodo della Pasqua ebraica dellanno
successivo.

Continuiamo, dunque, a comparare fra loro gli scritti neotestamentari e la storia.


Dai "documenti sacri", anche se a prima vista potrebbe sembrare impossibile, siamo in
grado di far emergere la Storia, quella vera, dimostrando che gli eventi reali, connessi a
Ges Cristo, riguardarono una semplice guerra, fra le molte sostenute dallImpero
Romano, resasi necessaria per mantenere sotto il dominio di Roma una terra i cui
abitanti, gli Israeliti, consideravano Santa e inviolabile perch assegnata loro da
Dio, pertanto non potevano accettare fosse sottomessa ai Pagani.

Giuseppe Flavio, Antichit Giudaiche (Lib. XX 101):


Fu sotto lamministrazione di Tiberio Alessandro (dal 46 al 48 d.C.) che in Giudea
avvenne una grave carestia, durante la quale la regina Elena compr grano dallEgitto
con una grande quantit di denaro e lo distribu ai bisognosi,come ho detto sopra.
Un lettore, ddito alla lettura progressiva del testo, giunto a questo punto, si rende conto di
trovarsi di fronte ad una ripetizione, molto ridotta, di un grave evento riferito,
dettagliatamente, poco prima dallo storico e non pu fare a meno di chiedersi il perch.
Ci che colpisce il risalto attribuito alla datazione, vero scopo dellintroduzione spuria
di questo passo: sotto lamministrazione del Procuratore Tiberio Giulio Alessandro (46-48
d.C.), quindi sotto il principato di Claudio.
In effetti cosa aveva detto sopra lo storico ebreo della regina Elena?
"La sua venuta fu di grande utilit per il popolo di Gerusalemme, perch in quel tempo la
citt era rattristata dalla carestia e molta gente moriva perch sprovvista del denaro per
acquistare ci di cui abbisognava. La regina Elena invi i suoi attendenti, ad Alessandria,
per acquistare ingenti quantit di grano, ed altri a Cipro per carichi di fichi secchi.
Quando Izate, suo figlio, seppe della carestia, anchegli mand ai capi di
Gerusalemme una grande somma di denaro. La distribuzione di queste somme ai
bisognosi, liber molti dai disagi della carestia. Lascio a un altro momentoil racconto dei
benefici compiuti da questa coppia reale per la nostra citt" (Ant. XX 51/53).

Rileviamo subito un primo dettaglio che rende incompatibili le due notizie: quella appena
letta, molto circostanziata,
parla di "capi di Gerusalemme", mentre la precedente, laconica, ci informa che vi era un
solo "capo", ovviamente romano: il Procuratore Tiberio Alessandro.
Consapevoli che dal 6 al 48 d.C. i Governatori della Giudea che si avvicendarono in quella
Provincia erano singoli Legati imperiali romani, ad eccezione dell'interregno del Re ebreo
Erode Agrippa I (dal 41 al 44 d.C.), proseguiamo nell'indagine per chiarire meglio.
Elena e suo figlio Izate furono rispettivamente Regina e Re, ebrei, dellAdiabene, una
regione a sud dellArmenia e ad est dellalto corso del fiume Eufrate, confine concordato
fra lImpero Romano e la Parthia.
Subito prima di questo episodio leggiamo che, appena nominato Re:
Quando Izate giunse ad Adiabene per prendersi il Regno e vide i suoi fratelli ...
giudicando cosa empia ucciderli, tenendo presente gli affronti ricevuti, ne mand alcuni a
Roma da Claudio Cesare, con i loro figli come ostaggi; e con la stessa scusa
altri (fratelli) li mand da Artabano re dei Parti (Ant. XX 36-37).
Laccostamento cronologico dei due grandi Imperatori nella vicenda un errore storico
gravissimo che Giuseppe Flavio non ha potuto commettere: lui sapeva benissimo
che Artabano sarebbe morto nel 38 d.C. perch lo riferisce pi avanti. Questa notizia
viene data dallo storico dopo aver descritto la carestia e la guerra condotta dal Re
parto contro Tiberio; cos come sapeva che Claudio fu proclamato Imperatore nel
41 d.C. (ne riporta la cronaca).
Peraltro i manoscritti del cronista ebreo, nel I sec., furono sottoposti alla verifica degli
storici romani prima di essere approvati e depositati negli Archivi Imperiali ... e questa
storia di Roma.
Ne consegue che, essendo Artabano vivo, lunico Imperatore avente causa con lui fu
Tiberio e non altri.
Che si trattasse dellimperatore Tiberio lo conferma inequivocabilmente ancora la storia,
infatti in Ant. XX 92 Giuseppe scrive: Izate mor, avendo let di cinquantadue anni
e ventiquattro di regno (divenne Re a 28 anni).
Sapendo da Tacito (Ann. XII 13-14) che nel 49 d.C. Izate era sempre vivo, ne ricaviamo
che fu nominato Re prima del 30 d.C. ma, avendo letto che, appena insediato nel Regno,
mand i suoi fratelli come ostaggi allImperatore di Roma,questi non poteva essere che
Tiberio.
Procedendo nella lettura di "Antichit", dopo l'invio dei parenti di Izate come ostaggi,
consapevoli di essere sotto Tiberio, osserviamo la presenza della Regina Elena a
Gerusalemme ed il suo provvidenziale aiuto al popolo affamato, appena
riportato. Successivamente, sempre in Antichit XX, dal par. 54 al par. 68, Giuseppe
Flavio descrivela crisi politica di Artabano III, supremo Re dei Parti, che, confermata
dalla storia di Tacito, sappiamo avvenuta nella seconda met del 35 e fu causata dal
condottiero romano Lucio Vitellio (Ann. VI 31/38).
Da quanto sopra esposto risulta evidente, senza alcuna ombra di dubbio, che la carestia,
descritta nei par. da 51 a 53, afflisse la Giudea prima della crisi di Artabano avvenuta
alla fine del 35 d.C.; crisi descritta nei par. da 54 a 68.Infatti, a questa carestia posero
rimedio (con quali benefici concreti impossibile stabilirlo) innanzitutto la famiglia reale
ebrea con aiuti diretti, poi il Legato imperiale Lucio Vitellio, con la detassazione dei prodotti
alimentari, che ne abbass i costi e la tensione sociale, comunicata durante la Pasqua del
36 d.C. (Ant. XVIII 90), a seguito delle vicende sopra descritte.
E importante sottolineare che la sequenza cronologica degli avvenimenti, cos come la
leggiamo in Antichit Giudaiche, semplicemente assurda poich prima viene citato
limperatore Claudio (eletto nel 41), cui Izate invia i parenti come ostaggi, poi la carestia
che, secondo gli "Atti" di Luca (stiamo per leggerli) e il par. 101 del Lib. XX in Antichit
(soprariportato), viene datata dopo il 46, ed infine (il contrasto nella sequenza)
sappiamo della crisi del 35 d.C. di Artabano, antecedente la sua morte avvenuta il
38 d.C. Questa progressione sballata di date torna perfettamente a posto semplicemente
correggendo lerrore dellImperatore: Tiberio anzich Claudio.
La crisi politica di Artabano, avvenuta alla fine del 35, fu causata sia dall'intervento delle
legioni romane che dalla corruzione dei Satrapi, parenti e amici del vecchio Re, da parte di
Vitellio. Il Legato consolare oper grazie al mandato ed ai capitali di Tiberio, per
riprendere, come avvenne, lArmenia conquistata da Artabano l'anno prima, il 34 d.C.
La grave difficolt del Capo della Parthia fu superata grazie allintervento di Izate, nel 36
d.C., che convinse i grandi dignitari Satrapi a riconoscere nuovamente il Re di sangue
arsacide come loro Re dei Re.
Agli inizi del 37 d.C., Artabano e Vitellio si incontrarono sul fiume Eufrate, limes tra i due
Imperi, per siglare il trattato che vedeva l'Armenia tornare sotto dominio romano:
Giunti al termine degli accordi, il tetrarca Erode (Antipa) diede una festa sotto una tenda
da lui innalzata in mezzo al ponte con grande spesa (Ant. XVIII 101-102).

Tiberio fece appena in tempo a ricevere l'importante notizia ed esultarne che il 16 Marzo
del 37 d.C. pass a miglior vita.Ma anche

Poco tempo dopo Artabano mor e lasci il regno a suo figlio Vardane (Ant. XX 69).
Correva lanno 38 d.C.
La sostituzione del nome dellimperatore Tiberio con quello di Claudio la
effettuarono amanuensi cristiani per farci credere che lepisodio della carestia avvenne
sotto Claudio, esattamente come riportata in Atti degli Apostoli (11,28-29), arricchendo
"leschetta storica" della carestia con l'abituale camuffamento della "Profezia" divina:
Un Profeta di nome gabo, alzatosi in piedi, annunzi, per impulso dello Spirito Santo,
che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ci che di fatto avvenne
sotto limpero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono per mandare un soccorso ai
fratelli abitanti in Giudea, indirizzandolo agli anziani per mezzo di Brnaba e
Saulo (Paolo).

Da evidenziare che i redattori di Atti degli Apostoli, cos come quelli delle "lettere di
Paolo", dopo averci passata questa informazione, si dimenticarono di riferire la
conclusione della missione di san Saulo Paolo nella Giudea, pur motivata da una causa
ben specificata e importante per la gravit della sciagura, abbattutasi su quella regione, al
punto di provocare numerose vittime fra la popolazione.
Ci che importava agli amanuensi cristiani era solo far risultare che avvenne sotto
Claudio, pertanto perch sprecare altro prezioso papiro e inchiostro? Senza contare il
rischio di prendere qualche svista storica.
Infatti il riferimento a Claudio non fu accidentale ma mirato. Luca, spulciando fra gli
eventi accaduti alla ricerca di un alibi per sviare gli studiosi, dopo aver scartato una
carestia avvenuta a Roma sotto Tiberio nel 32 d.C. (Ann. VI 13) poich troppo vicina
allepoca del Ges evangelico, lo trov in unaltra carestia che afflisse Roma durante
limprio di Claudio, riportata da Svetonio e da Tacito:

laddebito avanzato contro uno dei due fu daver visto, in sogno, Claudio cinto di una
corona di spighe volte allindietro, con conseguente predizione di una carestia (Ann. XI
4).
Questo sogno profetico serv a Luca per farsi dettare da Dio il vaticinio del Profeta
Agabo e depistare, cronologicamente, la vera carestia, molto pi grave, avvenuta in
Giudea ove raggiunse l'acme negli anni 35 e 36 d.C.; ma, essendo i due territori troppo
lontani fra loro, per contenerli entrambi fece dichiarare al Profeta che una grave carestia
sarebbe scoppiata su tutta la terra: un evento di cos elevata drammaticit, tale da dover
essere riferito da ogni scrittore dellepoca.
Fatto che non si verificato, ovviamente, perch, quella di Roma, pi che di una seria
carestia si tratt di carenza di cibo, di breve durata, risolta senza che nessuno morisse di
fame; diversamente da quanto avvenne in Giudea.

La eccezionale penuria di generi alimentari fu letale per molti Giudei e questo


evento divenne una delle cause scatenanti che spinsero "Jesha" a prendere il potere in
Gerusalemme facendosi proclamare Re dei Giudei.
A questo obiettivo concorsero i pellegrini dell'ecumene ebraica, soprattutto Galilei, Idumei
e Giudei, oltre gli abitanti di Gerusalemme esasperati dagli stenti; tutti in rivolta contro il
potere imperiale e l'aristocrazia religiosa filo romana.
Al fine di impedire che tale calamit, unitamente agli eventi bellici in corso fra il 34 ed il 36
d.C., richiamasse l'attenzione degli storici inducendoli a indagare e scoprire che il 36 fu la
data della morte di "Ges Cristo" e, peggio ancora, individuare che l'uomo veramente
esistito non corrispondeva ideologicamente all'essere prodigioso, soprannaturale, creato
sul suo mito molto tempo dopo gli avvenimenti reali, gli scribi cristiani lucani fecero slittare
in avanti di oltre dieci anni la notizia riguardante la carestia: sotto Claudio anzich sotto
Tiberio.

LEminente Episcopo, Eusebio di Cesarea, grazie alla sua posizione di rilievo presso la
corte del Pontefice Massimo, lImperatore Costantino, fu il primo cristiano che pot
accedere agli Archivi di Stato e consultare i rotoli manoscritti integri di "Antichit" di
Giuseppe Flavio. Preso visione degli eventi reali e delle gravi ricadute avverso la dottrina
cristiana, quando invent la Historia Ecclesiastica in essa rifer di tale carestia in modo
particolareggiato e, per renderla pi credibile, non pot fare a meno (e lo ringraziamo!) di
citare la testimonianza, dovutamente corretta di Giuseppe Flavio, rapportandola sia a
quella di "Atti degli Apostoli", con la profezia di gabo, sia allintervento della regina Elena:
il tutto, ovviamente, sotto Claudio (HEc. II 12,1/3).
Con la sua testimonianza, Eusebio intese garantire le menzogne di san Luca in Atti
falsificando le notizie dello storico ebreo, nei punti sopra riferiti, allo scopo di nascondere
l'identit dei veri protagonisti delle vicende e la loro datazione; ma commise il grave errore
di specificare che quella era la carestia della regina Elena, la stessa, lo abbiamo
visto, che la storia dimostra essere avvenuta sotto Tiberio anzich sotto Claudio.
Eusebio mistific in Historia Ecclesiastica il contenuto dello stesso rotolo manoscritto che
riportava la cronaca, in origine completa del vero nome con patronimico, riguardante il
Profeta Theudas di nome Giuda, uno dei fratelli di Ges; non solo, fu costretto ad
eliminare anche la notizia, sopra annunciata dallo storico ebreo, riguardante ulteriori
elargizioni a beneficio di Gerusalemme, che avremmo certamente letto:

Lascio a un altro momento il racconto dei benefici compiuti da questa coppia reale per la
nostra citt (ibid).
San Paolo Saulo, il Segretario di Stato senza jet-executive, fu lui ad occuparsi della
colletta per gli aiuti e possiamo star certi che i Giudei, finalmente, se pur oltre dieci anni
dopo, si rimpinzarono a saziet e gli storici mistici contemplativi odierni, allibiti dalla
suddetta profezia, inghiottono leschetta infilzata sullamo del Profeta, quasi fosse
unostia consacrata e, allunanimit, si attivano subito per interpolare con note a pi di
pagina, allusive alla carestia sotto Claudio e agli Atti degli Apostoli, i testi didattici e
Antichit Giudaiche, allo scopo di indottrinare i giovani in ossequio alla veridicit storica
di uno pseudonimo: "san Luca evangelista" limpostore.
Ma perch questa menzogna - riferita in "Atti" e ripresa in "Historia Ecclesiastica" - fu
ritenuta talmente rilevante al punto di manomettere la fonte principale: gli scritti di
Giuseppe Flavio?
Della funesta carestia lo storico ebreo gi ne parla in Antichit Giudaiche allinizio del
XVIII Libro, par. 8, nel preambolo riferito agli Zeloti e cos introduce:

Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue civile, sia per i massacri
che facevano i nazionalisti fanatici(gli Zeloti), sia per la strage che facevano dei loro
avversari. Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente
Se gli Atti degli Apostoli ed Eusebio di Cesarea hanno sentito la necessit di mentire
sulla datazione di questa calamit evidente che era vitale per la dottrina cristiana e
doveva essere depistata per impedire la ricostruzione delle vicende che coinvolsero i veri
protagonisti col rischio che venissero identificati in Ges Cristo e i suoi fratelli.
Dal 34 al 37 d.C. avvenne un conflitto fra Roma e il Regno dei Parti perch Artabano III, il
loro Re dei Re, come riferito da Tacito (Ann. VI 31) Si impossess dellArmenia
minacciando di invadere le terre gi possedute da Ciro e Alessandro, fra le quali
era compresa la Palestina. Per impedirlo, nella primavera del 35, Tiberio invi ad
Antiochia il suo "Legatus Augusti pro Praetore" di rango consolare, Lucio Vitellio, con
pieni poteri su tutto lOriente, e questi, durante la crisi bellica che si protrarr sino agli
inizi del 37 d.C., trov il tempo di recarsi a Gerusalemme, 600 km pi a Sud, alla testa
delle sue legioni, nel periodo della Pasqua ebraica del 36 d.C., per:
Intanto Vitellio giunse in Giudea e sal a Gerusalemme dove i Giudei stavano celebrando
la loro festa tradizionale chiamata Pasqua. Accolto con molti onori, rilasci in perpetuo
agli abitanti tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli e acconsent che labito
del Sommo Pontefice, e con esso i suoi arredi, fossero custoditi dai sacerdoti nel
Tempio (Ant. XVIII 90).
Questo evento ha un prlogo: nel XV Libro di Antichit Giudaiche lo scrittore spiega
che la Sacra Veste,appartenuta ai Re e ai Sommi Sacerdoti di sangue Asmoneo, fu
tolta ai Giudei alla morte di Re Erode il Grande.
Da allora i Romani la custodivano nella fortezza Antonia e la concedevano ai Sommi
Sacerdoti solo per le festivit ebraiche (Ant. XV 403/409). E evidente lalto valore
simbolico, e di potere, che tale paramento sacro rappresentava per il popolo giudeo e i
Romani ne erano consapevoli.
Ci si protrasse fino alla Pasqua del 36 d.C., appunto, quando Vitellio riconsegn la
sacra veste alle autorit religiose dopo aver nominato un nuovo Sommo Sacerdote filo
romano. Lo storico conclude il prlogo dicendo che: Questa digressione stata
occasionata dalla triste esperienza che si ebbe dopo (ibid). Ma quale triste
esperienza si ebbe dopo"? E perch la "digressione" provoc la deviazione o rottura della
prassi descritta?
In Antichit non troviamo la spiegazione dell'importante preambolo - che avrebbe dovuto
essere riferita nel XVIII libro, prima del brano citato riguardante il condono delle tasse ai
Giudei - perch verr censurata anchessa dagli scribi di Dio.
Nel corso di una guerra contro l'Impero dei Parti (un immenso Stato orientale, da sempre
rivale di Roma, governato da un Re dei Re) non credibile che luomo pi potente
dellImpero Romano dopo Tiberio, in virt del mandato ricevuto, si sia recato tanto a Sud,
a Gerusalemme, solo per detassare i Giudei sui prodotti agricoli perch affamati dalla
carestia.
Che bisogno cera per Vitellio, Luogotenente di Tiberio, Comandante di tutte le
forze romane dOriente, di recarsi personalmente in Giudea durante un frangente
bellico rischioso, e lasciare Antiochia, sede del pi importante presidio militare anti
partico? Sarebbe bastato inviare corrieri al Prefetto Ponzio Pilato, suo subalterno, con
lordine di detassare i Giudei. Al contrario, per imporre le tasse sarebbe stato
necessario limpiego della forza non per abolirle.
Quando un Generale romano, Capo di Stato Maggiore, al comando di pi legioni, si
muoveva in un momento cos difficile e pericoloso, voleva dire che era accaduto qualcosa
di grave e, per lImpero Romano, grave significava guerra.
Approfittando della situazione politica internazionale, nel 35 d.C., mentre Vitellio era alle
prese con Artabano III, Re dei Parti, gli Zeloti giudei colsero il momento propizio del
conflitto fra Roma e la Parthia per innescare la rivolta e liberare Gerusalemme, la
Santa, dalla dominazione pagana...
"Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente"
Era in atto una grave carestia e il popolo affamato e vessato dai tributi dovuti a Cesare -
incitato dai profeti zeloti con veementi prediche per il ripristino della Legge di Yahw - si
ribell alla guarnigione romana pagana che stanziava nella Citt Santa, massacrandola "...
e sfasciarono tutto ci che restava degli ordinamenti civili" (Bellum VII cap. 8). Questo
richiamo fatto dallo storico inserito in un lontano ricordo al fine di denunciare le gesta
eversive del Capo zelota Giovanni, tali da giungere a sopprimere gli "ordinamenti civili"
costituiti dal governo romano e dai sacerdoti opportunisti del Sinedrio collusi con il potere
imperiale.

Un discendente per parte di madre della stirpe reale asmonea, linfluente Rabbino di
Gmala, Giovanni detto il Nazireo*, figlio primogenito del Dottore della Legge, Giuda il
Galileo, definito dallo storico "di grande potere", alcuni giorni prima della Festa delle
Capanne del 35 d.C. (inizio autunno) si mise a capo della rivolta riuscendo a farsi
riconoscere Re dei Giudei e insieme Sommo Sacerdote del Tempio. Una volta eliminato il
contingente militare di Roma, Giovanni restaur la prassi degli antenati monarchi Asmonei
che rivestirono entrambi i sacri uffizi di Re e Sommo Sacerdote.
* Come riferito con maggiori particolari nello studio precedente, siamo in grado di
identificarlo attraverso l'analisi di un lontano ricordo riferito da Giuseppe Flavio alla fine
della Guerra Giudaica, Libro VII cap. 8.
Per gli Ebrei, in quel momemto, fu il Jesha (Salvatore), della terra santa e, dopo essersi
fatto consacrare Messia (Cristo) tramite il rituale dell'unzione descritto dalla ancestrale
Legge, dette inizio ad un nuovo Regno, senza schiavi, in cui solo Dio era
Padrone, adempiendo i precetti della "quarta filosofia, una novit sinora
sconosciuta" ideata da suo padre Giuda di Gmala.
Ma non durer a lungo. Entro la fine dellanno 35 d.C., Vitellio riusci a mettere in crisi
Artabano costringendolo alla fuga e, dopo aver assoggettato nuovamente lArmenia al
dominio di Roma, da oltre il fiume Eufrate, "ove si era spinto col nerbo delle legioni romane
e gli alleati" invase il Regno dei Parti, poi, "ritenendo bastevole aver fatto mostra delle armi
romane ai Grandi Dignitari parti, rientr in Siria ad Antiochia con le sue legioni" (Tacito,
Annales VI 37).
Quando il condottiero romano raggiunse il Presidio, tra la fine del 35 e gli inizi del
36, venne informato degli eventi accaduti in Giudea e, dopo aver fatto riposare lesercito
nei quartieri invernali, si rimise in marcia alla testa delle sue legioni per riprendere
Gerusalemme e giustiziare il monarca, che, illegittimamente, si era proclamato Re dei
Giudei.
Nel frattempo aveva gi inviato il Prefetto Marcello a Cesarea Marittima per rilevare
Ponzio Pilato dal suo incarico.
Il Legato imperiale consider il Prefetto Ponzio Pilato, di rango equestre, responsabile
della perdita di Gerusalemme non essendo riuscito a prevenire la sommossa. In occasione
delle festivit ebraiche, Pilato avrebbe dovuto rafforzare il contingente degli
ausiliari romani, anzi tempo, come previsto dalle precise consegne militari.

Un paio di giorni prima della Pasqua del 36 d.C., Lucio Vitellio, dopo aver cinto dassedio
ed inviato un ultimatum alla Citt Santa, ormai impossibilitata a resistere senza scorte di
viveri (gli aiuti di Elena non poterono durare a lungo e sfamare un popolo intero), ne
otterr la resa e la consegna del Re abusivo.
Fu il Sinedrio, convocato da Giovanni in qualit di Sommo Sacerdote del Tempio, in un
momento cos drammatico, a decretare la fine del Re ed il suo breve
regno. Cos argoment Caifa, agli anziani riuniti, l'intimazione di Vitellio della resa di
Gerusalemme:
"Considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la
nazione intera" (Gv 11,50).
Questa testimonianza, sopravvissuta alle censure ecclesiastiche praticate al "vangelo di
Giovanni", gi da sola dimostra come il pericolo per l'intera nazione giudaica non
poteva essere costituito dalle semplici forze ausiliarie reclutate da un Prefetto,
individuato nei vangeli in Ponzio Pilato. Soltanto un Proconsole "Legatus Augusti pro
Praetore" come Lucio Vitellio - capo dello Stato Maggiore romano di stanza ad Antiochia
in Siria, inviato da Tiberio con pieni poteri su tutto il contingente militare dello scacchiere
d'Oriente - era in grado di distruggere una rivolta degli Ebrei coordinata in una "Santa
Alleanza".
Per Giovanni, il "Salvatore" Re dei Giudei, non vi fu alcuna possibilit di scampo e accett
il suo destino: la crocefissione.Venne arrestato e portato nella Fortezza Antonia,
incatenato e piantonato a vista. La Veste Sacra, ancor prima indossata da Caifa,
depositata nel Tempio e assegnata in tutela al Sommo Sacerdote Gionata, appena
nominato da Vitellio e figlio del sadduceo conservatore Sommo Sacerdote Anano ("Anna"
dei vangeli); mentre il Diadema (la Sacra Corona) ritorn sotto la custodia del Tribuno,
Comandante della Guarnigione romana e rimarr nella fortezza cinque anni sino a che,
per volere di Claudio Cesare, potr cingere il capo del futuro Re dei Giudei, Erode Agrippa
il Grande.
Il giorno successivo, dopo un lungo, inutile interrogatorio, sotto tortura, per fargli
confessare i nomi dei complici ed i particolari sulla organizzazione rivoluzionaria, Giovanni
il Nazireo, figlio di Giuda, venne crocefisso pubblicamente, come monito rivolto agli Ebrei e
per rimarcare la potenza dell'Impero Romano.
Giovanni era il capo dei Farisei Zeloti, la setta fondata da suo padre, la pi popolare fra i
Giudei per i principi filosofici e gli scopi prefissi. E gli Zeloti, come gli Esseni, erano votati
al martirio pur di salvare la Terra Promessa da Dio al popolo dIsraele. In quanto Capi
degli Zeloti, la esecuzione dei fratelli, figli di Giuda il Galileo, doveva essere pubblica: un
esemplare monito agli Ebrei. Nove anni dopo Giovanni, nel 45 d.C., toccher a suo
fratello, Giuda.
Anche se questi fu ucciso da Cuspio Fado, lontano da Gerusalemme, la sua testa fu
portata nella Citt santa e l esposta: altro avvertimento significativo. Due anni dopo, nel
47 d.C., sar la volta di Giacomo e Simone: anch'essi crocefissi pubblicamente dopo
essere stati catturati e processati dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro.
Non sar cos per il quinto fratello, il pi giovane. Nel 66 d.C., Giuseppe, detto Menahem*,
capo degli Zeloti, dopo aver distrutto la guarnigione romana di Gerusalemme, anche lui,
come Giovanni, riuscir a proclamarsi Re dei Giudei ma verr ucciso dalle Guardie del
Tempio agli ordini della aristocrazia sacerdotale che aveva spodestato.
* Identificare Menahem con Giuseppe, il quarto fratello di Giovanni "Jesha", sar
semplice come l'uovo di Colombo.

Zeloti, Esseni, Farisei, Sadducei e il popolo tutto, distanziati da un fitto cordone


di sbarramento composto da miliziani romani, presenziarono in silenzio, impotenti, alla
morte di Giovanni, sopraggiunta dopo una lunga agonia "fra i pi atroci tormenti d'ogni
sorta fino all'ultimo istante di vita" (Bellum VII cap. 8,272), consapevoli del suo significato
... mentre fuori Gerusalemme erano accampate le legioni di Roma. In base alla legge
romana, alla vittima predestinata veniva appeso al collo un cartello con il nome e la
motivazione della pena capitale.
I N R I : IOHANNES NAZIREVS REX IVDAEORVM

Per esigenze ideologiche, la futura iconografia cristiana ha rappresentato il supplizio del


suo Dio affisso su una croce, stilizzata ma irreale per il complesso lavoro di falegnameria
con tanto di "crux" a incastro e "predellino" poggia piedi; quest'ultimo dimostra che, ancora
oggi, non si conosce il modo con cui i Romani trafiggevano i piedi ... quando li
trafiggevano. Una tortura, ritualizzata con modalit irreali, che vede il condannato
percorrere una immaginaria "via crucis", senza riscontro alcuno con la letteratura classica.
Lucio Anneo Seneca (3 a.C. - 65 d.C.), il famoso filosofo stoico coevo a "Ges", in "De
Consolatione Ad Marciam" (XX 3) afferma che le croci (o patiboli) venivano realizzate in
molti modi per torturare i condannati. Oltre Seneca anche Marco Tullio Cicerone, Maccio
Plauto e Plinio il Vecchio, pur riferendo sulle crocifissioni, nessuno di loro accenna alla "via
crucis": una complicazione ridicola perch avrebbe obbligato il servizio d'ordine a muovere
il cordone di miliziani intorno al condannato e seguirlo. La crocifissione di "Cristo" doveva
ostentare un macabro spargimento di sangue, molto copioso per simboleggiare il sacrificio
eucaristico universale ... ma la scritta "I N R I" non poteva nascondere il "Sacro Cuore di
Ges" pertanto la parte superiore della "crux" fu prolungata appositamente, a m di
locandina, per ospitare il pi famoso manifesto dell'umanit indottrinata.

Yahweh aveva abbandonato Giovanni al suo destino e per gli Ebrei questo voleva dire che
non poteva essere il Messia prescelto da Lui. Secondo i Profeti ebrei, l'intervento di
Yahweh avrebbe schierato le potenze celesti e la Sua ira annientato la supremazia dei
"Kittim" pagani invasori con una grande strage; consentendo al popolo eletto di costituire
un "Regno che sarebbe durato in eterno" (Rotoli di Qumran: frammento 4Q 246).
Il vero "Messia" giudeo sarebbe stato un "Dominatore del Mondo" il cui avvento, dato per
certo dai Profeti, spinse i Giudei alla guerra contro Roma, come spieg Giuseppe Flavio in
"La Guerra Giudaica" (VI 317).
Ma lo storico ebreo non poteva prevedere che, dopo la sua morte, sarebbe nata una
nuova dottrina messianista, derivata dalla "quarta filosofia, una novit sinora sconosciuta",
intesa a riformare il "Messia" giudaico ("Christos" in greco) da "Dominatore del Mondo" in
"Salvatore del Mondo": Ges.

Nell'analisi precedente abbiamo dimostrato che Giovanni era sulla croce non sotto la
croce, come riportato nel vangelo in cui risulta attorniato da svariate "Marie", madri di
figli con nomi giudaici corrispondenti ai fratelli di Cristo. Madri "Marie" inventate per
confondere e impedire ai credenti di capire il nesso tra i figli dell'unica, vera, Maria con i
figli di Giuda il Galileo tramite l'abbinamento degli appellativi che risultano identici.
Ma a nessuno era concesso avvicinarsi al condannato, tanto meno i parenti. Le esigenze
escatologiche imposero agli scribi cristiani, di questa rappresentazione evangelica, ideare
una scena incompatibile con la realt storica:

"Stavano presso la croce di Ges sua madre (Maria) e la sorella di sua madre, Maria di
Cleofa (sic! due sorelle con lo stesso nome) e Maria di Magdala. Ges allora, vedendo la
madre e l accanto a lei il discepolo che Egli amava disse alla madre:"Donna, ecco
tuo figlio!" (Gv 19,25-26).
Il non meglio specificato "discepolo che Ges amava", che la Chiesa identifica con
"Giovanni", sarebbe stato crocefisso anche lui se avesse osato avvicinarsi ad
un condannato alla pena di morte, pubblicamente e atrocemente torturato come
esemplare monito agli Ebrei per dissuaderli ad imitarne le imprese. L'unico posto
permesso a Giovanni il Nazireo dalla legge di Roma era inchiodato sulla croce ... chiunque
altro doveva mantenersi alla larga, tenuto a bada con le armi.
"Allora tutti i discepoli, abbandonandolo (Ges), fuggirono" (Mt 26,56).

Nel vangelo secondo Matteo, almeno su questo aspetto, la legge di Roma viene
ottemperata. I Suoi fratelli e gli Zeloti pi in vista sapevano di poter essere identificati e
denunciati da qualche delatore del partito conservatore, contrario a quei cambiamenti
sociali che avevano cancellato i privilegi acquisiti prima del breve regno di "Jesha".
Vantaggi sociali e ricchezze combattute dall'ideologia della "quarta filosofia, una novit
sinora sconosciuta", ideata dal padre di Johannes bar Yehudas nel 6 d.C.
Giovanni era il nome di uno dei figli di Maria, "madre di Ges", elencato assieme agli
altri fratelli, come riferito in alcuni codici manoscritti del vangelo di Matteo che abbiamo
elencato nel primo studio "Non sono esistiti gli Apostoli".

Non vi fu alcun processo per stabilire la colpevolezza o meno dellimputato, non ve nera
bisogno: la flagranza di reato era manifesta. Giovanni, un suddito dell'Impero, approfitt
della guerra contro i Parti per insediarsi con la forza sul trono di un territorio di Tiberio: un
ribelle senza cittadinanza romana divenne nemico di Roma e come tale fu eliminato.
Il Processo stata uninvenzione per far ricadere sui Giudei la colpa delluccisione del
Salvatore. Infatti, Ges Cristo Nostro Signore, per la nuova dottrina, non doveva
risultare giustiziato da un alto plenipotenziario imperiale di Roma perch ci avrebbe
dimostrato che fu un Re ebreo zelota guerriero e questo era in contrasto con la nuova,
docile, figuradell Agnus Dei, vittima sacrificale divina per il bene dellumanit.
Un "Agnello di Dio" con intenti bellicosi, stando alle Sue parole:
"Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma una spada" (Mt 10,34);
"E quei nemici che non volevano diventassi loro Re, conduceteli qui e uccideteli
davanti a me" (Lc 19,27);
"Chi non ha spada venda il mantello e ne compri una...gli apostoli dissero: Signore, ecco
due spade" (Lc 22,36/38).
I Vangeli, lo sappiamo tutti, narrano che, costretto dai Giudei, fu Ponzio Pilato ad
uccidere Ges e non Lucio Vitellio. Anche due scritti extracristiani di Giuseppe Flavio
(Testimonium Flavianum) e di Cornelio Tacito (Ann. XV cap. 44), giunti sino a noi per
mano degli amanuensi cristiani, riportano che luccisore di Ges fu Ponzio Pilato. Cos
come lo riporta il Credo che, quale simbolo apostolico di fede, masse di praticanti
recitano ad alta voce in una cantilena puerile, reiterata allinfinito, durante la liturgia della
Messa domenicale: pat sotto Ponzio Pilato.... Un vero e proprio lavaggio del cervello
perpetrato allo scopo di impedire la conoscenza della verit storica, alterata spostando la
datazione dell'esecuzione di "Ges" avvenuta poco dopo la destituzione di Pilato.
Nella analisi comparata delle cronache di Cornelio Tacito e Giuseppe Flavio, riportata nel
successivo studio sui mrtiri di Nerone, dimostriamo che i passaggi dei due grandi storici
del I secolo sono interpolazioni spurie. Furono introdotte da falsari amanuensi i quali, dopo
aver copiato e censurato i manoscritti originali dei due scrittori, con le modifiche aggiunte,
anzich conservarli li distrussero per eliminare le prove delle loro manomissioni.
Tuttavia Ponzio Pilato - il Magistrato romano che, secondo i vangeli, non intendeva
giustiziare Ges ma si sottomise alla decisione del Sinedrio e del popolo giudaico che lo
voleva crocifisso - la storia lo fa scomparire anche dalCredo.
Il nome di quel Prefetto fu introdotto nel Credo del Concilio di Costantinopoli, convocato
dai Cristiani cattolici nel 381d.C., che declamava:

incarnato nel seno della Vergine Maria e si fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto
Ponzio Pilato, si sacrific e fu sepolto, il terzo giorno resuscitato.

Mentre, il Credo originale, formulato a Nicea nel 325 d.C., recitava cos:
si incarnato, e si fatto uomo, si sacrific, e il terzo giorno resuscitato .
Oltre Pilato, altro particolare di importanza vitale per la nuova dottrina, manca la Vergine
Maria Madre di Dio la cui "Immacolata Concezione" non era ancora stata ripresa dai culti
pagani, fatto sancito nel Concilio di Efeso del 431 sotto l'Imperatore Teodosio II. In
relazione al Prefetto imperiale di Tiberio, doveroso riportare una dichiarazione, molto
importante, fatta nel IV secolo da Eusebio di Cesarea:
E dunque dimostrata la falsit degli Atti contro il nostro Salvatore, pubblicati
recentemente, essi, infatti, pongono sotto il quarto consolato di Tiberio, che coincide
col suo settimo anno di regno, le sofferenze che gli Ebrei osarono infliggere al nostro
Salvatore: ma in quel tempo Pilato non governava ancora la Giudea
(HEc. I 9,3/4).
Da quanto appena letto, Eusebio ci informa della pubblicazione di una versione di Atti di
Ges (fatta poi sparire, ovviamente), diversa da quella giunta sino a noi, nella quale si fa
cadere il supplizio di Cristo il 21 d.C. (quarto consolato di Tiberio), cio sotto Valerio
Grato, predecessore di Pilato, a dimostrazione dei rimaneggiamenti fatti dai redattori
evangelici per depistare la ricerca su chi crocifisse veramente il Salvatore... e la
datazione dell'evento immaginario. Secondo quegli Atti di Ges fu il Prefetto Valerio
Grato a sacrificare Cristo.

Stando a quanto scritto dai calligrafi cristiani di Eusebio quando interpolarono il brano
spurio del "Testimonium Flavianum" in "Historia Ecclesiastica" (I 11,7/8) - nel quale viene
riferita la "testimonianza" dello storico Giuseppe con la condanna di Ges alla croce da
parte di Pilato - tutt'oggi leggiamo che gli ingenui amanuensi collocarono (incollarono)
l'evento nel 19 d.C., sotto Valerio Grato.
Da una semplice analisi del "Testimonium Flavianum", come abbiamo provato
nell'apposito studio, chiunque capisce che un falso perch "Ges" risulta crocefisso nel
medesimo periodo in cui lo storico ebreo registra la cacciata da Roma di tutti i Giudei da
parte di Tiberio nel 19 d.C. confermata da Tacito (Annales 2,85) e Svetonio (Tiberius 36).
Peraltro, gli amanuensi di Eusebio hanno preso una seconda "dolorosa cantonata mistica"
sino al punto di smentire gli stessi vangeli: la crocifissione di "Ges" risulta eseguita
molti anni prima dell'uccisione di Giovanni Battista, mentre gli evangelisti attestano che
muore prima di Cristo. Per la storia la morte del Battista fu ordinata da Erode Antipa oltre
15 anni dopo la "resurrezione di Ges" riferita nel "Testimonium Flavianum", cio agli inizi
del 36 d.C., anno in cui Antipa fu sconfitto nella guerra, a lui dichiarata nell'estate dall'ex
suocero Re Areta IV (Ant. XVIII 116/119).
Un ulteriore riscontro alla datazione che dimostra l'esecuzione di Giovanni Battista
avvenuta a fine 35 inizi 36 d.C., lo ritroviamo nella "Historia Ecclesiastica" di Eusebio di
Cesarea:
"Erode Tetrarca spos Erodiade, la moglie di suo fratello, dopo aver ripudiato la prima
moglie che aveva sposato secondo le leggi (era la figlia di Areta, re della Petrea) dopo
aver separato Erodiade dal marito, che era ancora vivente. E per causa di questa donna
fece uccidere Giovanni e mosse guerra ad Areta, di cui aveva disonorato la
figlia" (op. cit. I 11,1).
Constatiamo che causa ed effetto della guerra sono immediati, e dalla storia abbiamo la
conferma che Areta IV apr il conflitto contro Erode Antipa l'estate del 36 d.C.; quindi,
sapendo che il Battista era gi morto, ne consegue che la crocefissione del "Salvatore"
ebreo avvenne per la Pasqua del 36 d.C.
Al contrario della realt, le vicende narrate nei vangeli evidenziano contraddizioni
cronologiche insanabili con la storiografia, ma basta spostare al 36 d.C. la morte di "Ges"
che le scadenze dei fatti diventano coerenti fra loro, sia per la storia che per i
vangeli, ottenendo una sequenza incontrovertibile di date: morte di Giovanni Battista, fine
35 inizi 36 d.C.; destituzione di Pilato da Governatore della Giudea all'inizio del 36 d.C.;
intervento di Lucio Vitellio per la Pasqua del 36 d.C.
Lo stesso Eusebio, al fine di "garantire" la presenza evangelica di Pilato come giudice al
Processo di Cristo, si spinse ad affermare che il Governatore romano (HEc. I 9,2) "Ponzio
Pilato ottenne la procuratura della Giudea e vi rest per dieci anni fino alla morte di
Tiberio" ("Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea". Citt Nuova Editrice, II ediz. Sett.
2005, a cura di Franzo Migliore e Salvatore Borz). Tiberio mor nel Marzo del 37 d.C.
ma la storia attesta che Pilato fu destituito per ordine di Vitellio agli inizi del 36
quando l'Imperatore era sempre vivo. Nonostante le continue rielaborazioni e
rimaneggiamenti dei documenti neotestamentari e quelli patristici, riguardo Ponzio Pilato
permane la certezza che gli scribi cristiani non hanno mai incolpato il Prefetto
romano per l'uccisione di "Ges", bens il Sinedrio e tutto il popolo ebraico, come
attestato da Eusebio (ibid):
"furono gli Ebrei che osarono infliggere le sofferenze al nostro Salvatore"...
Esiste un'altra importante testimonianza sul Governatore della Giudea Pilato che,
inevitabilmente, si riflette anche su Jesha il "Salvatore" ebreo dell'umanit: quella del
grande studioso e filosofo giudeo Filone Alessandrino (20 a.C - 45 d.C.), contemporaneo
del Messia Ges e di Ponzio Pilato.
Dopo aver riferito nel suo trattato "De Providentia" (II 107) che si recava frequentemente
in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per offrire sacrifici a Dio (senza accennare
all'esistenza di Ges Cristo e suoi Apostoli, tanto meno loro "miracoli"), nella sua opera
"De Legatione ad Caium" (paragrafi 299-303), Filone rilasci un giudizio negativo su
Ponzio Pilato:

"Un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia ... Orgoglio, prepotenza
e insolenza erano la sua regola. Il paese sotto di lui fu lasciato al saccheggio e la
gente veniva uccisa senza il rispetto di alcuna legge".

Risulta evidente il richiamo agli Zeloti rivoluzionari e l'impossibilit del Prefetto, al comando
di una forza militare ridotta, a prevenire e contrastare le numerose scorrerie eversive che
avvenivano ovunque in una Palestina dove il partito dei "fanatici nazionalisti" era
maggioritario.
Filone era un ricco ebreo privilegiato e riport questa informazione sul recente passato
dopo la sfortunata Legazione
al cospetto di Gaio Caligola (op. cit. XXX 203) avvenuta nel 40 d.C. Ma il filosofo ebreo,
profondo sapiente dell'Antico Testamento, in nessuna delle sue opere riferisce l'Avvento di
un "Messia" divino giudaico (Crists) di nome "Ges" che,secondo i vangeli, visse nella
stessa terra, stesso periodo, autore di prodigi straordinari, osannato dagli abitanti di
Gerusalemme come "Re dei Giudei" e da loro chiamato "figlio di Davide" ... n sa della
sua crocifissione avvenuta per volere del Sinedrio ed attuata dal Prefetto romano
Ponzio Pilato.

Come possiamo constatare, nel IV secolo la costruzione storica della nuova fede era
ancora in evoluzione e tendeva ad allontanarsi dalle religioni pagane precedenti,
soprattutto da quella dellultimo Salvatore sacrificato: il Dio Mitra.
Oltre ad aver inventato la nuova Madre di Dio, che prima non esisteva, per farla adorare
ai gentili dolciotti, iVenerabilissimi Santi Episcopi inventarono anche il sacrificatore di
Ges ripescando il funzionario romano Pilato, (senza incolparlo del delitto) precedente a
Lucio Vitellio, per depistare la ricerca storica sullintera vicenda.
Il colpo di stato, vero e proprio atto di guerra contro il dominio di Roma, imponeva a
Vitellio, ancora in conflitto con i Parti, di sottoporre direttamente a supplizio il capo
responsabile e ucciderlo. Plenipotenziario e rappresentante imperiale su tutto lOriente,
Egemone unico della Provincia di Siria cui erano annesse Giudea, Idumea e Samaria, il
Luogotenente di Tiberio sapeva che quella ribellione mirava ad esautorarlo dei suoi poteri-
doveri, il primo dei quali consisteva nel garantire il primato di Roma sui territori ad essa
sottomessi.
Giovanni il Nazireo aveva osato nominarsi Re dei Giudei, Re di un territorio di propriet
dellImpero, macchiandosi del crimine pi grave imputabile ad un suddito del Cesare. Un
attentato contro la sovranit di Roma e gli ordinamenti imperiali intesi a salvaguardare lo
Stato e, conseguentemente, la sicurezza di tutti.
Era Tiberio, lImperatore, che decideva chi, quando e dove, nellambito dei possedimenti
sotto la sua giurisdizione, potesse fare il Re, purch sempre suo fedele cliente.
Da quando Pompeo Magno, nel 63 a.C., conquist la Palestina, tutti i Re e Tetrarchi, che
si susseguirono nel governo di quelle regioni, venivano nominati da Roma; e vi
rimanevano finch lImperatore voleva e lImperatore acconsentiva fintanto, a suo
inappellabile giudizio, riteneva che essi operassero nellinteresse dellImpero un
semplice dubbio e venivano subito destituiti o esiliati; come successe il 6 d.C. ad Erode
Archelao e come avverr nel 39 ad Erode Antipa.

Durante linterrogatorio, Vitellio (lo stesso sarebbe valso anche per Pilato), non fu neanche
sfiorato dallidea di chiedere a Giovanni il Nazireo: Sei tu il Re dei Giudei?; o peggio
ancora, mentre Ges era davanti a lui, avrebbe chiesto alla folla: Volete che vi rilasci il
Re dei Giudei? (Mc 15,8-9); oppure, rimanendo su Pilato, in riferimento alle consegne di
un Prefetto imperiale di Roma, sentite cosa ci vuol far credere san Luca nel suo Vangelo,
per scagionarlo:
Essi insistevano a gran voce chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida
crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasci
colui (Barabba) che era stato messo in carcere per sommossa ed omicidio(Lc
23,25).
Non tanto per luccisione di un giudeo, che ad un romano non sarebbe importato pi
di tanto, ma un Prefetto di Tiberio, che governava un territorio di Roma su suo mandato,
non avrebbe mai rilasciato il responsabile di una sommossa gi arrestato da lui solo
un esercito avrebbe potuto farlo desistere ma lesercito era ai suoi ordini e le legioni agli
ordini del suo diretto superiore: Vitellio.
Solo menti in piena estasi mistica, visionari senza la minima conoscenza della realt
storica di tutti i tempi e di tutti gli Imperi, antecedenti e successivi a quello romano, hanno
potuto concepire idiozie simili e, pur avendo compreso il motivo per cui labbiano fatto, lo
sproposito rimane ugualmente anche per chi, ingenuamente e docilmente, vi crede.
L'amanuense "Luca" evangelista e tutti quelli che, come lui, lo hanno imitato, non volevano
far risultare che un potente funzionario romano aveva sottoposto a supplizio Ges il
Salvatore, per aver messo in atto una sanguinosa sovversione politica contro il potere di
Roma.

Nei Vangeli stato introdotto un falso processo per far ricadere la decisione della
condanna di Ges sui Giudei e sul Sinedrio con motivazioni esclusivamente religiose,
non patriottiche rivoluzionarie che provocarono spargimento di sangue: l Agnus Dei non
poteva aver organizzato e commesso unazione militare cos violenta e palesemente
antiromana.
Tutti i sudditi dellImpero erano testimoni che Roma non aveva mai perseguitato gli adepti
di alcuna religione, tranne per casi limite e ben motivati. Al suo interno esisteva un crogiolo
di dottrine che vivevano a contatto con altri credi senza problemi; sarebbero stati guai per i
Romani se le avessero perseguitate: lImpero sarebbe caduto.
Le autorit si preoccupavano quando una religione diventava la base ideologica per
sobillare il popolo e sovvertire le istituzioni, allora, in quel caso, scattava la repressione,
violenta, come contro quella ebraica nazionalista.
Gli scribi cristiani "lucani" erano ben consapevoli di ci e provvidero a nascondere il
Salvatore, e gli altri protagonisti ebrei che lo attorniavano, dietro unaureola di santit
innocua e rassicurantefino al punto di far apparire un Ges che predicava,
impunemente, ai Giudei di "dare a Cesare il tributo" mentre, nella realt, per una
provocazione simile, i Giudei avrebbero lapidato il Cristo ancor prima che finisse la
paraboletta.
La nuova dottrina cristiano gesuita, evolutasi dalla riforma del Messia da parte degli ebrei
Esseni, dopo le guerre del 66/70 e del 132/135 d.C. e i conseguenti olocausti dei Giudei in
molte citt orientali dellImpero, era diventata, opportunamente filo romana.
Giunti a questo punto dello studio abbiamo individuato con precisione quattro figli di Giuda
il Galileo: Giovanni,Giacomo, Simone e Giuda, i cui nomi erano uguali a quelli dei fratelli
di Ges. Abbiamo anche accennato, in parte, alle gesta di un quinto figlio, il pi
giovane, Giuseppe, anch'egli fratello di Cristo, che lo storico ebreo chiama "Menahem
figlio di Giuda il Galileo", il quale riusc a divenire Re dei Giudei nel 66 d.C. Ricordiamo
che l'identificazione di "Menahem" con "Giuseppe" riferita nel XV studio.
Giovanni fu il promogenito con diritto di investitura a Re dei Giudei, e per questo, alcune
generazioni dopo l'avvenimento storico, il personaggio verr mitizzato dai monaci ebrei
Esseni come "Messia" col titolo divino aramaico di "Jesha", Salvatore.
Durante la dominazione romana, gli ebrei Esseni, anch'essi nazionalisti come gli Zeloti,
usavano le loro "profezie" allo stesso modo degli "Oracoli di Yahweh" per incitare il popolo
a ribellarsi. Ma dopo lo sterminio etnico perpetrato dai Romani e le persecuzioni ordinate
da Vespasiano contro i Giudei, familiari compresi, che non lo riconoscevano come Signore
o Padrone, gli Esseni, preso atto della disparit di forze, rividero la rappresentazione del
Messia condottiero, atteso dal popolo come il mitico Davide.
Non pi, quindi, un "Dominatore del Mondo", bens un "Salvatore del Mondo" ... docile
come un "Agnus Dei".
Furono cinque fratelli, uomini appartenenti a una dinastia ebraica definita pi volte da
Giuseppe Flavio "di grande potere" ... Una stirpe di sangue reale che, rivendicando il diritto
a sedersi sul trono dei Giudei appartenente agli Asmonei, si impegn, fino al martirio, in
una guerra contro il dominio di Roma attraverso un contesto storico pericoloso ed
estremamente difficile per gli Ebrei.
Il casato asmoneo si estinguer definitivamente nel 73 d.C. per mano dei Romani con la
caduta di Masada, ultima roccaforte degli Zeloti, condotti dal nipote di Giuda il Galileo:
Eleazar bar Jair (Lazzaro figlio di Giairo).
Una triste epopea perfettamente compatibile con le vicende reali di quegli anni, riferite,
soprattutto, da Tacito e Giuseppe Flavio, ma confermate, pur con descrizioni ridotte,
anche da Filone Alessandrino, Svetonio e Cassio Dione.

Emilio Salsi
Due finte nativit di Ges per una 'immacolata concezione'

Prlogo

Appena salito sul trono pontificio, nel 1978, Papa Karol Wojtyla, beatificato come
Giovanni Paolo II il Grande, attu una moderna forma di apostolato d'avanguardia
collocando nelle principali reti televisive conduttori selezionati fra credenti di provata fede,
al fine, dimostratosi poi illusorio, di restaurare una credibilit verso la religione cristiana
messa alle corde dal movimento di contestazione giovanile degli anni 60 e 70.
Fu propiziata una modalit di indottrinamento ad "alta tecnologia" che si avvalse di
Madonne piangenti, imbrattate con dolorose lacrime di sangue; oppure quella della
Vergine Maria, vista, in esclusiva, da sei visionari di Medjugorie; o dellambiguo terzo
segreto di Fatima, altra Madonna che, secondo quanto da lui stesso affermato, avrebbe
deviato il proiettile indirizzato al cuore di Karol il Grande dallattentatore turco Ali Agca,
ultimo sedicente Messia; senza contare la beatificazione di oltre 1300 nuovi Santi e,
dulcis in fundo, la creazione dellultima divinit, incarnata in Padre Pio, da far adorare ai
credenti dolciotti.

Se si esclude la mazzata scientifica presa dalla Sacra Sindone, dimostratasi un


clamoroso falso dopo svariati esami al radiocarbonio, nella variegata setta cristiano-
gesuita disseminata sulla Terra si diffuse un clima di rivalsa spirituale che vedeva una
Chiesa Cattolica vincente, a livello mediatico propagandistico, sul piano del Ges
storico realmente vissuto come uomo e come Dio.

Purtuttavia, nella dottrina cristiana permaneva ancora un problema gravissimo, irrisolto,


evidenziato sin dal lontano passato e documentato nelle enciclopedie di tutto il mondo, in
conseguenza della nomina di Publio Sulpicio Quirinio aGovernatore di Siria, insignito da
Cesare Augusto, il 6 d.C., con lincarico di effettuare il censimento in quella Provincia
imperiale cui era stata appena annessa la Giudea. Ne conseguiva che la cronologia della
nascita di Ges, attestata nei vangeli di Luca e Matteo, risultava diversa, storicamente, di
ben 12 anni, perch, secondo Matteo, il neonato Salvatore scamp alla strage degli
innocenti, ordinata da Erode il Grande (un paio danni prima di morire il 4
a.C.) esattamente dodici anni prima che Quirinio divenisse Governatore di Siria e, come
tale, citato nel vangelo di Luca assieme al richiamo storico del censimento per
testimoniare un altro Avvento di Cristo senza "strage degli innocenti": la storia
sconfessava la nascita del Divino Redentore.

Siamo giunti agli anni '90 del secolo scorso, il terzo millennio cristiano si sta avvicinando
e con esso il Grande Giubileo da propagandare in tutte le Nazioni. I tempi ormai sono
maturi e lultima spina rimasta nel costato dolente della fede cristiana deve essere
rimossa, in ogni modo anche al prezzo di prendere a spallate la Storia: il culto
mariano,fondato sulle uniche due contrastanti deposizioni evangeliche della S.S.
Vergine Maria, cos esaltato e divulgato da Karol Wojtyla il Grande, doveva
essere "comprovato".

Scartato un iniziale tentativo degli studiosi genuflessi, in primis i cattolici di "scuola


spagnola" - basato sulla forzatura grammaticalmente scorretta e risibile di interpretare il
vocabolo greco del vangelo di Luca "prote", che significa "primo", modificandolo
in "precedente" (riferito al censimento) - liniziativa viene intrapresa dal "principe" degli
esegeti del Vaticano: lattuale Cardinale Gian Franco Ravasi. In una intervista rilasciata
a "Il Corriere della Sera" del 29.5.1996 rende ufficiale la scoperta, fatta dallo
studioso "profondamente ispirato", Giulio Firpo (docente universitario di Storia Romana),
concernente un censimento non potuto eseguire dal Governatore di Siria, Gaio Senzio
Saturnino, incaricato da Augusto dal 9 al 6 a.C., ma attuato, in sua vece, da Quirinio nel 7
a.C.
La tesi, costruita con tanti condizionali potrebbe forse sembra induce a credere
ecc., richiamata pi volte dallo stesso Ravasi anche nella Rai TV di Stato, fu ripresa e
sottoscritta, allunisono come una litania (con lintento di rafforzarne la credibilit), dal
Gotha degli studiosi e docenti cristiani italiani ed esteri - ad iniziare dalla titolare della
cattedra di storia dellUniversit Cattolica, Marta Sordi - per essere poi diffusa da tutti i
mezzi di comunicazione di massa, sino a finire addirittura sulla accondiscendente
Wikipedia.
La riassumiamo in poche righe seguendo l'esposizione di Ravasi.

Gli storici spiritualisti ideatori e i loro numerosi epigoni, rifacendosi a quanto attestato agli
inizi del III secolo d.C. dal Padre apologista Tertulliano in Adversus Marcionem (IV 19),
si autoconvincono che il censimento sarebbe stato iniziato dal Governatore di Siria Senzio
Saturnino ... ma, ecco la "scoperta", questi, in quell'epoca probabilmente
impegnato (parole di Ravasi) nella guerra di successione al trono dArmenia (la notizia di
tale mandato senza fonte e il tentativo di far coincidere un conflitto contro un popolo
diverso da quello da censire gi una forzatura), non riusc portare a termine lincarico e
gli subentr P.S. Quirinio, nel 7 a.C. (ma le fonti storiche dirette dicono che non era ancora
stato nominato Governatore di Siria), dopo aver sconfitto gli Omonadesi di Cilicia,
anchessa annessa alla Siria (una guerra i cui documenti non indicano la datazione - cfr
Tacito Ann. III 48 e Strabone Geo. XII 6,5 - sebbene in linea con l'operazione del
censimento del 6 d.C.).

Consapevoli che lipotesi formulata, oltre ad essere macchinosa, sostanzialmente non


comprova nulla (stiamo per evidenziarne le contraddizioni), gli storici cristiani tentano di
rafforzarla interpretando, attraverso la lente deformante della loro catechesi, alcune
epigrafi, ormai datate, del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL).
Fra esse, lunica degna di essere presa in considerazione, perch contiene dati certi
riguardanti il censimento di Quirinio, la lapide di Venezia Lapis Venetus, la cui
scoperta risale al 1674 e conservata presso il Museo Archeologico della citt,
catalogata CIL III 6687, nella quale si legge il memoriale dell'evento fatto incidere su
pietra dal Prefetto Quinto Emilio:
per comando di P. Sulpicio Quirinio, condussi un censimento dei 117.000 uomini,
cittadini della citt di Apamena (in Siria).
Questo reperto archeologico dimostra, semplicemente, la correttezza della cronaca del
censimento in Siria e nei territori ad essa annessi (Giudea), riferita dallo storico ebreo
Giuseppe Flavio, la cui opera fu sottoposta alla approvazione degli storici romani
sotto Vespasiano prima di essere depositata negli archivi imperiali, in cui si specifica
che il Legato imperiale di Siria si rec in Giudea per soffocare la grave rivolta popolare
contro l'imposizione del censimento tributario.
Un'altra epigrafe latina, trovata a Tivoli nel 1764, non cita alcun censimento tanto meno
Quirinio o qualsivoglia riferimento utile per la datazione; nelle parti illeggibili gli
storici credenti hanno interpolato, entro opportune parentesi quadre, la propria dottrina
facendo apparire "miracolosamente" il nome di P.S. Quirinio.

Tali ipotesi catechtiche, elevate al rango di "lezioni", avallate da una minoranza di


studiosi in piena crisi mistica, in realt sono falsificazioni della storia: nessuno deve
permettersi di inserire arbitrariamente in resti archeologici nomi a vanvera col fine di
giustificare gli errori commessi dagli scribi cristiani quando pretesero di comprovare la
nascita verginale di una divinit. Studiosi che, al contempo, nascondono ai credenti le
innumerevoli contraddizioni
contenute nelle due testimonianze evangeliche contravvenendo alla deontologia
professionale. Molte informazioni sono riferite (e bisogna tenere conto di tali apporti
cognitivi) nelle scritture dei primi Padri della Chiesa, i quali, sin dalla formulazione iniziale
della dottrina, descrissero anch'essi l'Evento divino straordinario.

Gi da questi primi accenni si evidenzia il conflitto di interessi con la storia, da parte degli
studiosi genuflessi, a causa del peccato originale in loro radicato: leggono le vicende del
passato allunico scopo di dimostrare la veridicit degli scritti neotestamentari e, dopo
averle plasmate, se ne servono per fare apostolato.
Non si rendono conto che chiunque, formulando unipotesi dietro laltra, pu indirizzare lo
studio con una deriva prefissata per giungere alla conclusione voluta e non capiscono che
la stessa fede a precludergli la capacit di effettuare analisi critiche comparate dei due
vangeli che riferiscono la "Nativit", con l'effetto di trascurare circostanze concrete
fondamentali sino al punto di accentrare l'attenzione esclusivamente sull'asincronia della
datazione per depistare, di fatto, le numerose discordanze contenute nei vangeli e nelle
testimonianze patristiche.
E' doveroso utilizzare tutte le fonti dellepoca, compresi gli scritti dei Padri del
cristianesimo, i primi interessati a trattare, studiare e risolvere le gravi contraddizioni
evangeliche; tenendo sempre conto, come stiamo per evidenziare, che la storiografia,
soprattutto, a fornire, in modo chiaro, logico e incontrovertibile, tutti i dati che sconfessano
la forzosa teoria di un doppio censimento effettuato in Giudea dal Governatore di Siria,
Legato di Cesare Augusto, Publio Sulpicio Quirinio. Secondo quanto sostenuto dai
credenti, il Proconsole sarebbe stato l'unico Governatore della Roma imperiale a ricoprire
due volte lo stesso incarico in quella Provincia; un onore talmente eccezionale che
avrebbe dovuto essere evidenziato da tutti gli storici dell'epoca ad iniziare da Tacito e
Giuseppe Flavio, i quali entrambi riferiscono le gesta del famoso condottiero romano.

Nel caso in questione, dopo aver esaminato le testimonianze dei Padri, la teoria del
doppio censimento di Quirinio decade sin dallinizio perch Tertulliano non scrisse mai
che Senzio Saturnino effettu un censimento quando govern la Siria. Infatti, una
notizia di tale importanza avrebbe obbligato tutti i Padri del Cristianesimo a tenerne conto
e riferirla, ad iniziare da Orgene, suo contemporaneo, che ignora addirittura la stessa
esistenza di Tertulliano* ma descrive la "Nativit di Ges" con una analisi specifica
propria. Anche il Papa martire Ippolito di Roma, a lui coetaneo, non conosce Tertulliano.
Nessun Vescovo, Papa, Padre, conosce Tertulliano, sino ad Eusebio di Cesarea, il primo
a parlarne, poi verr san Girolamo; ma entrambi nulla sanno del censimento di Saturnino.
Dopo di loro, la sequela dei cronisti cristiani, succedutisi nei secoli, ad eccezione dei
quattro riferiti nella nota, cita Tertulliano nei loro manoscritti, tanto meno sanno del
censimento di Saturnino. Vedi Orosio, Sulpicio Severo, santAgostino, ecc. ecc., in
particolareDionigi il Piccolo (cui dobbiamo la datazione della nascita di Ges) e, su su,
nei secoli, fino a quando, a partire dal IX d.C., iniziarono ad essere scritte dagli amanuensi
le prime opere di Tertulliano, accumulando, nel tempo, unimmane, quanto improbabile,
tradizione manoscritta, a lui accreditata, per essere poi collazionata e scelta nel XVI
secolo.
Lo scopo era di ricercare un archtipo, da attribuire al Padre, attraverso una editio
princeps opera omnia tra famiglie di codici contrastanti fra loro, a dimostrazione che
non furono redatti da Tertulliano (l'autore originale autentico non avrebbe mai rilasciato
testimonianze divergenti) senza contare ulteriori opere "scomparse".

Come visto, il brano specifico su Senzio Saturnino lo ritroviamo in Adversus Marcionem


(IV 19), anchesso collazionato fra una tradizione numerosa di codici redatti fra il IX e
il XV secolo talmente discordanti e "contaminati" da rendere impossibile congetturare
l'archtipo. Lo scriba cristiano che invent la testimonianza di Tertulliano lo fece per
giustificare, ingenuamente come stiamo per provare, la contraddizione cronologica
riscontrata nei vangeli di Luca e Matteo evidenziata dalla ricerca storica di Dionigi il
Piccolo; ma non fu in grado di "presagire" che un altro amanuense, un paio di secoli dopo,
avrebbe interpolato gli "Annales" di Tacito riportando un falso e spettacolare martirio di
cristiani gesuiti, ascritto a Nerone, nel Codex Laurentianus Mediceus manoscritto M II
smentendo Tertulliano nel suo "Apologeticum XVI" (vedi XII studio) ... non avendolo
letto. La vera "lezione" che gli storici ispirati non intendono imparare quella di attenersi
alla Storia senza manometterla.
A partire dal 2004, durante le festivit natalizie, in tutte le reti televisive della RAI TV
italiana di Stato, veniva trasmesso il programma "Inchiesta su Ges" curato e condotto
dal dott. Giovanni Minoli e il "vaticanista" Andrea Tornielli. Un goffo tentativo di
"ricostruzione storica" dell'esistenza di Cristo, spacciato come "scientifico" e, verso la fine,
si invitavano gli storici a provare il contrario.
In data 15 Novembre 2008, unitamente al biblista dott. Giancarlo Tranfo decidemmo di
onorare la richiesta comunicando, tramite lettera r.r., la nostra disponibilit ad un confronto
con i famosi ed esperti esegeti della Chiesa Cattolica ravvisati nel sacerdote Gian Franco
Ravasi e lo studioso Vittorio Messori, notoriamente disposti ad intervenire con entusiasmo
nei pubblici dibattiti televisivi in difesa della storicit di Ges.
Documento reso pubblico, riportato sul presente sito (vedi XVI argom.), cui non stato
dato seguito ... eccetto di ritirare, tacitamente, il programma in oggetto nello stesso anno.

E una strategia, ma la Chiesa e gli storici spiritualisti, per risolvere le contraddizioni e le


falsificazioni riportate nei sacri testi, sono ora costretti a farlo tramite canali TV e siti web
privati destinati ai loro fedeli e, per "confortarli", li accontentano con ipotesi complicate e
ridicole che in un dibattito pubblico verrebbero immediatamente smentite perch la Storia
chiarissima e non si presta a equivoci.
Una sfilza di congetture indispensabili ai vari partiti cristiani della Terra poich i loro Capi,
"Ministri di Dio", sanno bene che un "Credo" non potr mai essere sconfessato da alcuna
"ipotesi", ma, purtroppo per loro, ormai il tempo delle teorie di comodo fatalmente
scaduto: la Storia le espelle nella spazzatura.

Nel dicembre dello stesso anno, dal sito clericale di Cristianesimo Primitivo, un forum
notoriamente affollato di saccenti esegeti spiritualisti, dopo averli lasciati di stucco con la
presente analisi, vista la loro incapacit di replicare rivolsi un appello ai fedeli credenti
affinch sollecitassero uno studioso famoso di Storia del Cristianesimo, magari titolare
della cattedra di Storia dellUniversit Cattolica, e fargli dichiarare, al fine di aprire
un dibattito nel merito, che Publio Sulpicio Quirinio effettu un censimento in
Giudea prima della morte di Erode il Grande: silenzio assoluto! Gli esegeti clericali, con o
senza la tonaca, si tengono alla larga di chiunque intenda confutare la "Nativit" con dati di
fatto.
Riproposi la sfida in altri forum, pur frequentati da credenti, ma neanche la notoria
sicumera ostentata dai ciellini del partito di Comunione e Liberazione ha voluto
cimentarsi con la realt della Storia: il silenzio degli esegeti credenti, seguito al ripetuto
richiamo storico, gi da solo dimostra come le nascite di Ges, narrate dagli evangelisti
Luca e Matteo, non possono essere veritiere contraddicendo chi vuol far passare levento
come un fatto realmente accaduto. La disponibilit al confronto storico tutt'oggi aperta e
rivolta anche agli studiosi cristiani, profondamente ispirati, dei Paesi di lingua anglofona.
Emilio Salsi

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* Testimonianze cos contraddittorie sul Padre apologista Q. Settimio Fiorente Tertulliano
rendono inaccettabile la sua effettiva esistenza. Esso viene citato da Eusebio di Cesarea,
san Girolamo, Lattanzio, san Vincenzo Lirinense, san Gelasio e Isidoro di Siviglia,
tramite manoscritti ecclesiastici, non originali, ma elaborati da altri autori fra il tardo
medioevo ed il rinascimento, senza che nessuno di loro abbia evidenziato la
deposizione, oggi ritenuta basilare dai teorici mistici, sul censimento accreditato a Senzio
Saturnino.
La mancanza di coordinamento, all'origine dei contrasti, deriv dall'enorme opera
apologetica che, composta da diversi amanuensi e successivamente assemblata, avrebbe
richiesto una impossibile lettura comparata fra tanti manoscritti diffusi nelle molteplici
ecclesiae cristiane europee e bizantine, ormai divise in conseguenza di litigiosi scismi e
anatemi reciproci, motivati da sottili esigenze dottrinali e, soprattutto, da ambizioni di
"primato" (cos viene definito il "potere" dagli ecclesiastici).

Non credibile che tra la fine del II e l'inizio del III secolo un berbero cartaginese, pagano
sino a matura et (40 anni), figlio di un centurione, una volta convertito al cristianesimo e
imparato il greco e il latino, abbia avuto la possibilit - non solo economica ma anche in
termini di tempo - di scrivere un'opera di oltre 30 trattati, vasta ed approfondita sullo scibile
del mondo classico, storico, filosofico, giuridico e religioso - assumendo, al contempo, una
posizione, pubblicamente documentata, di veemente contrapposizione ideologica verso
funzionari imperiali che l'avrebbero "martirizzato" subito, anzich lasciarlo invecchiare in
tutta tranquillit; stando a quanto riportato da san Girolamo in un documento non originale
trascritto in epoca tardo medievale: il "Codex MS 2Q Neoeboracensis". Un lavoro letterario
addirittura superiore a quello, pur ampio, affrontato da Giuseppe Flavio il quale, nel corso
di venticinque anni, usufru di sostanziosi contributi concessi da due Imperatori Flavi ed un
ricco mecenate, unitamente alla possibilit di accedere agli archivi imperiali; oppure la
monumentale opera del Senatore romano, contemporaneo di Tertulliano, Cassio Dione
(Storia Romana) al quale necessitarono ventidue anni per completarla, senza problemi
organizzativi, economici e con la possibilit di consultare gli Atti del Senato e gli Archivi
Imperiali di Alessandro Severo, Princeps dello Stato Romano e suo amico.

In ultima analisi un'opera incentrata sul cristianesimo del tutto sconosciuta, come il nome
del suo presunto autore, a tutti i Vescovi, Papi e Padri cristiani succedutisi nel governo
della Chiesa fino al Vescovo Eusebio di Cesarea: il suo inventore.
Ma la mancata conoscenza del rinomato Padre Tertulliano, da parte dell'altro grande
Padre apologeta Origene(a lui contemporaneo), gi da sola prova che il primo non
mai esitito dal momento che, appena due anni dopo la sua immaginaria morte (230 d.C.),
Origene lasci la scuola di teologia di Alessandria per fondare a Cesarea, nel 232
d.C., una nuova scuola, dotata di una ricca biblioteca fornita di testi sacri e scientifici, allo
scopo di approfondire la ricerca filologica, storica e teologica sul cristianesimo ... senza
aver mai saputo nulla della "Opera Omnia" tertullianea.
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Sin dagli albori del Cristianesimo la Chiesa si arrovella per rendere compatibili due
Nativit del Cristo inventate di sana pianta da evangelisti fantasiosi; nascite, per di pi,
complicate dagli interventi dei Padri Apologisti che tentarono maldestramente di
conciliarne le contraddizioni, ottenendo, invece, lesatto contrario.
Tutto ci premesso, verifichiamo adesso le reali cronache della storiografia e
compariamole alle "verit" evangeliche al fine di sbugiardare i primi creatori della "Nativit"
di Cristo, nonch le astruse teorie odierne dei maldestri storici genuflessi obbligati a
rattopparne gli svarioni.

Le "immacolate concezioni"
Parte I
Con il presente studio intendiamo dimostrare che la Nativit del Messia, assente nei
vangeli originali, fu inventata nel corso del processo evolutivo della iniziale dottrina
gnostica messianica degli ebrei Esseni, che ne era priva. Cos come, sempre in epoca
successiva, fu innestato nel trascendente Messia giudaico anche il sacrificio eucaristico
teofagico pagano, la Hostia consacrata alla divinit, finalizzato alla risurrezione del fedele
dopo la morte.
I culti orientali gentilizi riservati ai soli adepti, per questo chiamati "Culti dei Misteri",
preesistenti al cristianesimo, contemplavano ladorazione di Semidei
Sotres (Salvatori) generati da una Divinit che si accoppiava con una giovane
vergine. Erano per met uomini e met Dei, pertanto con la caratteristica di morire, in
quanto uomini, ma con il dono di risorgere, come Dei, dopo tre giorni trascorsi nel regno
degli Inferi, l'Ade pagano: Deit che tutelavano il benessere dei propri fedeli sia in vita
che nell'aldil oltre la morte.
La verginit della fanciulla era condizione necessaria in quanto garanzia di purezza
durante laccoppiamento col Dio:affinch non nascesse un bastardo era obbligatoria una
immacolata concezione.
Il cristianesimo gesuita riprese da questi miti la Nativit. Fu un involucro ideologico con
cui rivestire il Messia divino giudaico ma i Padri creatori fecero molta, troppa,
confusione: la presunzione di farla apparire storia, di una vera nascita di uomo, sin
dallinizio, venne sconfessata a causa delle contraddizioni riportate nei sacri testi.
Il padre putativo di Ges, san Giuseppe, la S.S. Vergine Maria, e la sacra famiglia tutta,
divennero protagonisti di vicende assurde, fino al ridicolo e alloffesa, da parte dei
Pagani e degli stessi Ebrei
In base alle descrizioni degli avvenimenti fatte dagli evangelisti Luca e Matteo, gli unici che
ne parlano, la nascita di Ges risulta totalmente diversa, tranne i nomi dei protagonisti
teologici.
Se togliessimo questi nomi ci troveremmo di fronte a due eventi talmente estranei fra loro
ed incompatibili al punto di far decadere la testimonianza dellAvvento di Cristo Salvatore,
o meglio, anzich attestare la Rivelazione Divina, ne dimostrano linvenzione umana. Lo
capirono, sin dallinizio, i Padri apologisti della Chiesa i quali, nel tentativo di giustificare i
contrasti insanabili contenuti nei due Vangeli, ottennero leffetto contrario; come testimonia
Celso, il filosofo greco loro coevo, vissuto fra la fine del II e inizi III secolo d.C., che
dichiar nel suo Discorso Veritiero avverso i cristiani, citato da Origene ("Contra
Celsum" I 62):

E noto a tutti che ci che avete scritto il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in
seguito alle critiche che vi venivano apportate.
Infatti Luca, facendo nascere Ges il 6 d.C., anno in cui Publio Sulpicio Quirinio esegu il
censimento in Siria e Giudea, cio, 10 anni dopo la morte di Erode il Grande ... condann
la Madonna a rimanere 12 anni incinta rispetto alla nascita, avvenuta, secondo Matteo, il
6 a.C., ossia, 2 anni prima della morte dello stesso Re ... sempre che i due evangelisti di
riferissero alla stessa donna, allo stesso parto e allo stesso Figlio di Dio.
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordin di fare il censimento di tutta la terra.
Questo primo censimento fu fatto quando era Governatore della Siria Quirinio (Lc 2,1).

Un censimento ordinato da Augusto in tutto lImpero avrebbe avuto una tale risonanza da
non poter essere ignorato da alcuno storico dellepoca, ad iniziare dallo stesso Imperatore
che, nelle sue "Res Gestae" (VIII 2,4), rifer di tre censimenti da lui eseguiti (negli anni 28
a.C.; 8 a.C; 14 d.C.) sugli abitanti che godevano della cittadinanza romana (cfr. Tacito
Ann. I 11).
I censimenti indetti da Cesare Augusto avevano due finalit: imposizione dei tributi per il
sostentamento dello Stato etenere aggiornato l'elenco di tutti i cittadini dell'Impero ai quali
fu rilasciato il diploma di cittadinanza; presupposto fondamentale per la loro carriera
politica, militare ed economica (come l'ampliamento del latifondo), quindi prerogativa di
potere. Di conseguenza il diritto romano prevedeva la pena di morte, tramite
decapitazione, per i sudditi che si spacciavano come cittadini romani.

Nessun censimento risulta essere stato eseguito dai Legati imperiali "in due tempi",
come ipotizza (tentando di arrampicarsi sullo specchio della storia per salvare le
contraddizioni evangeliche) Papa Benedetto XVI nel suo "Ges di Nazaret" vol. 3 : una
affermazione senza citazioni, quindi priva di riscontro ... e di logica. Il Papa giunto al
punto di ignorare (tacendole ai credenti) le specifiche deposizioni dei Padri della Chiesa
sulla nascita di Cristo, nessuno dei qualisi permise di ipotizzare un "censimento in due
tempi" e, soprattutto, dopo aver glorificato (nell'Udienza Generale del 13 giugno 2007) il
Vescovo Eusebio di Cesarea, lo storico per eccellenza della "tradizione cristiana",
definendolo"l'esponente pi qualificato della cultura del suo tempo". Come fra poco
vedremo, Eusebio scrisse del censimento di Quirinio richiamandosi al vangelo di Luca e
collocandolo, inequivocabilmente, nello stesso anno della rivolta di Giuda il Galileo
avvenuta nel 6 d.C.: omettere informazioni basilari un "peccato mortale" per qualsiasi
esegeta...ancora peggio se questi un "Papa".

Oltre ai due tipi di censimento appena descritti, il pi grande statista della Roma
imperiale, Cesare Augusto, non cens mai i cittadini dell'Impero per sapere a quale
etnia appartenessero. La ipotesi del "censimento etnico" ordinato daCesare Augusto
l'ultima sciocchezza escogitata dagli storici spiritualisti per tentare di sbrogliare la matassa
delle contraddizioni evangeliche create dagli scribi quando descrissero la "Nativit": una
offesa all'intelligenza di chiunque si dedichi alla corretta lettura della storia senza
pretendere di "evangelizzarla".

In base a manoscritti datati fra il IX e il XV secolo, il primo ad accorgersi della grave


contraddizione fu Tertulliano, in nome del quale, l'amanuense redattore, non rilevando
lassurdit che il Vangelo riport un "censimento di tutta la terra", per eliminare il
problema cronologico della "Nativit" di Cristo Nostro Signore, sment addirittura Luca
eliminando Quirinio che sostitu con il Legato Senzio Saturnino, incaricato imperiale a
Governatore di Siria durante gli ultimi anni di vita di Erode il Grande:

Risulta siano stati fatti censimenti sotto Augusto, in Giudea, con Senzio Saturnino, nei
quali possibile sia stata ricercata la sua(di Cristo) origine (Adversus Marcionem IV
19,10).
La titubante testimonianza falsamente accreditata a Tertulliano (ovviamente senza
alcuna risultanza storica), facendo sparire Quirinio, sment la "Nativit" di Luca senza
risolvere il problema ... al contrario: lo scriba cristiano dimostr che i Vangeli, dettati
da Dio, erano incoerenti con la storiografia. A complicare ulteriormente la data di
nascita di Ges ci si mise d'impegno, nel III secolo, il maggiore dei Padri, Origene, il
quale, essendo del III secolo non poteva conoscere Tertulliano (inventato da Eusebio nel
IV secolo) n la sua grandiosa opera (scritta molto tempo dopo), afferm:
Nei giorni del censimento, quando con ogni probabilit nacque Ges, un certo Giuda
Galileo conquist al suo seguito un gran numero di Giudei (Contra Celsum I 57).

Per Orgene: censimento, nascita di Ges e rivolta di Giuda il Galileo furono


contemporanei, come per san Luca, e sappiamo avvennero il 6 d.C.; e lo ribadisce,
subito dopo, cercando, comunque, di coordinare Luca e Matteo, ma ...:
Erode il Tetrarca mand degli uomini per uccidere tutti i bambini nati nello stesso tempo,
ritenendo di eliminare anche Ges per timore che gli potesse occupare il regno (ibid I 58).
Orgene, che non poteva sapere di "Tertulliano", dava per scontato la nascita di Ges il 6
d.C., come appena riportato, e ne dedusse, smentendo la Nativit di Matteo, che, a
quella data, solo Erode Antipa, Tetrarca della Galilea, avrebbe potuto fare la Strage degli
Innocenti poich sapeva che Erode il Grande era morto il 4 a.C. e, essendo stato esiliato
suo figlio (il 6 d.C.) Erode Archelao da Cesare Augusto, in Giudea non cera alcun Re a
governare ma Coponio, un Prefetto romano. Peraltro, Erode il Grande e i suoi
discendenti erano ben consapevoli che solo lImperatore decideva se potevano continuare
a regnare o destituirli, ma, in quel caso, al Re non restava che obbedire perch ad
Antiochia stanziava il Legato di Siria, Proconsole al comando delle legioni di Roma, pronto
a far rispettare i decreti imperiali.
Secondo Matteo la Strage riguardava direttamente il neonato Ges bambino; lui era
lobiettivo di Erode e la conseguente Fuga in Egitto, propiziata dalla omert dei Magi
(ignorati la Luca) venuti ad adorare il Re dei Re, fu un evento drammatico per la Sacra
Famiglia al punto che lesilio in quella terra si protrasse fin dopo la morte del Re, dipinto
come un criminale solo da quell'evangelista (non da Luca). Dramma che si
concluder nella celestiale Nazaret, unica citt tranquilla della Galilea, ove la Madonna e
San Giuseppe potranno accudire Ges bambino ignari (come Matteo) del sangue che
scorreva sulla loro terra, messa a ferro e a fuoco dalle legioni romane di Quintilio Varo, il
Legato di Siria di Cesare Augusto, inviate per domare, con migliaia di crocifissi e decine di
migliaia di morti in battaglia e schiavi, le ribellioni giudaiche fra cui quella capeggiata da
Giuda il Galileo, Re pro tempore della Galilea.
La sempliciotta ignoranza, palesata dal finto ebreo "Matteo", sugli avvenimenti che
sconvolsero la Galilea dopo la morte di Erode il Grande, dimostra la falsit del suo
Vangelo con il rientro dalla fuga in Egitto; infatti Nazaret, dove ritorn la Sacra
Famiglia, era vicinissima (5 Km) alla capitale Seffori, che fu rasa al suolo e i suoi abitanti
uccisi o deportati come schiavi assieme a tutti i Galilei ribelli catturati.
San Luca, al contrario, ignora il pericolo che corre il bambin Ges; per lui Re Erode non
un criminale: un altro Erode, non "il Grande" e la Sacra Famiglia pu pensare al
suo tranquillo mnage domestico quotidiano senza avere la necessit di sfuggire da
alcuna minaccia.
Poich gli evangelisti, Luca, Marco e Giovanni, non riportano l'angoscioso pericolo corso
da Ges bambino, con la fuga in Egitto per sfuggirlo, ci significa che uninvenzione
e il Natale, festeggiato da centinaia di milioni di fedeli in tutto il mondo, una subdola
montatura ideata dai Padri del cristianesimo per sostituire sia la festa annuale pagana
del Dio Sole, resa ufficiale in tutto lImpero da Aureliano a partire dal 25 dicembre del 274
d.C. (Dies Natalis Solis Invicti), sia quella del Dio Mitra, il Salvatore con maggior seguito
popolare prima del nuovo Salvatore Ges nati entrambi, come il Dio Sole, nello stesso
giorno dellanno.
Accreditati di capacit profetiche e taumaturgiche miracolose (quasi quanto gli Apostoli), i
Magi erano i sacerdoti del culto del Dio Mitra, originario nellantica Persia, diffuso ed
evolutosi nellImpero Romano e anchesso nato in una grotta (mitreo). Sia la grotta che il
bue e lasino non compaiono nei Vangeli canonici, e la grotta, in particolare, era un
simbolo cultuale ricorrente in altre religioni orientali, preesistenti al cristianesimo; religioni
che contemplavano la nascita di una divinit partorita in una grotta da una vergine, in fuga,
cui le forze del male davano la caccia per impedire che il bene potesse sopravvivere ad
esse per poi sconfiggerle.
Levangelista Matteo (Mt 2,9), dal lontano Oriente, con tanta fantasia, fece recare i Magi a
Betlemme dove risiedeva la "sacra famiglia" (mentre per Luca abitava a Nazaret). Questi
furono guidati da una stella (anch'essa sconosciuta da Luca) che li
precedette, lentamente, sino a posizionarsi (vista solo da loro ma non da Erode e i suoi
militi, diventati tutti miopi) sulla casa dove era nato Ges bambino, per sottomettersi al
nuovo Re dei Re (era il titolo degli imperatori Parti) offrendo i doni simbolici del potere
regale (oro), di quello spirituale (incenso) e della vita eterna (mirra). Ovviamente in casa (e
nei vangeli) mancavano il bue e lasino.
Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finch giunse e si
ferm sopra il luogo dove si trovava il bambino. Entrati nella casalo adorarono (Mt
2,9/11).
Impossibilitata a rendere coerente la data di nascita di un uomo, per le contraddizioni
esistenti fra il Vangelo di Luca e quello di Matteo, agli inizi del VI secolo la Chiesa incaric
un erudito monaco, Dionigi il Piccolo, di risolvere il problema attraverso ladozione di un
nuovo sistema di riferimento per la numerazione degli anni della storia. Anzich dalla
fondazione di Roma, in vigore sino allora, tutte le vicende narrate dovevano relazionarsi
allanno della nascita di Nostro Signore: lAnno Domini corrispondente al 753 anno
dalla fondazione dellUrbe. Dionigi fece i calcoli esatti ma, di fronte alle contraddizioni di
Luca e Matteo, posizion diplomaticamente lAvvento di Ges proprio a met fra le due
nascite, col risultato che sment entrambi gli evangelisti. E non avrebbe potuto fare
diversamente dal momento che Luca (Lc 3,1) attesta nel suo vangelo che "Nell'anno
decimoquinto dell'impero di Tiberio ... (29 d.C.)" inizia la predicazione di Giovanni
Battista prima del "Ministero di Ges". Lo stesso evangelista riferisce dopo "Quando
Ges incominci il suo ministero aveva circa trent'anni" (Lc 3,23), confermato da Eusebio
di Cesarea (HEc. I 10,1):

"Secondo l'evangelista (Luca), durante il quindicesimo anno del regno di Cesare


Tiberio (29 d.C.) e il quarto del governo di Ponzio Pilato, mentre erano Tetrarchi del resto
della Giudea, Erode, Lisania e Filippo, il nostro Salvatore e Signore Ges, all'et di
circa trent'anni, venne da Giovanni (Battista) per ricevere il battesimo e cominci allora
la predicazione del Vangelo" ...
pertanto Dionigi fu costretto dal dato storico preciso di Tiberio, riferito nel vangelo di
Luca, a fissare la datazione all'Anno Domini 1 che conosciamo tutt'oggi.
Nonostante ci Benedetto XVI deve smentirlo perch sa benissimo, ma lo nasconde ai
fedeli, che la notizia di Luca sconfessa la testimonianza di Matteo. Un riscontro reale
talmente esatto al punto di provare, gi da solo, che "Al tempo di Erode, re della
Giudea ..." (Lc 1,5) questo "Erode" non era attribuito ad "Erode il Grande" in quanto gi
morto da oltre quattro anni, come approfondiremo pi avanti.

Papa Giovanni I, che aveva affidato la ricerca a Dionigi il Piccolo, cap subito ma tacque
l'anacronismo alle masse dei credenti e, a tal fine, non adott il nuovo
calendario; sebbene "l'Anno del Signore" si impose spontaneamente fra le comunit
cristiane nei secoli successivi ... anche se gli esegeti clericali, gi allora, sapevano che
lAnno Domini 1 aveva tagliato sia la strage degli Innocenti - attuata da Erode il Grande
(secondo Matteo) 6 anni prima dell'Anno Domini 1 - che il censimento di Quirinio,
riportato da Luca 6 anni dopo. Questo fu il movente che indusse gli amanuensi a far
"testimoniare" Tertulliano sul censimento di Senzio Saturnino ... prendendo una "dolorosa
cantonata" contro lo spigolo della storia, come stiamo per documentare. Inoltre, i mistici
inventori si prodigarono, nei secoli medievali a venire, per arricchire la favola stabilendo in
tre il numero dei Magi, con tanto di nomi e doni: il tutto ignorato dai Vangeli.
Di fronte a queste incoerenze gli esegeti ispirati mistici odierni, stanno facendo miracoli
per falsificare la storia tentando di accreditare a Quirinio un altro inesistente censimento,
basato su impossibili ipotesi, potendo contare sul silenzio dei media e delle istituzioni
scolastiche. Sanno che la storia, cos come risulta nella realt, smentisce la realt di
Ges e ad essi non rimane altro che modificare la realt della storia omettendone
particolari importanti pur di garantire la loro dottrina. Ne consegue che, una volta fatta
propria la teoria del doppio censimento di Quirinio, per esigenze di coerenza, devono
insistere e mantenere la tesi anche se basata su vuoti sofismi. Il prof. Giulio Firpo, dall'alto
della cattedra di storia del cristianesimo dell'Universit di Chieti Pescara, si permesso di
"catechizzare" la Storia di Roma ben sapendo di avere le spalle coperte da un nutrito
stuolo di esegeti spiritualisti ... o, quanto meno, ci hanno provato insieme ... senza
riuscirci. Vediamo perch.
Cassio Dione (Storia Romana LV 27,6) colloca nel 6 d.C., sotto il consolato di Emilio
Lepido e Lucio Arrunzio, l'esilio imposto da Augusto ad Archelao. Lo stesso anno, come
logica conseguenza, l'Imperatore decreta la Giudea "Provincia annessa alla Siria" sotto la
diretta amministrazione romana e ne ordina il censimento. Senza fare il nome di Archelao,
Strabone (Geo. XVI 2,46) scrive che un figlio di Erode fu esiliato a Vienne (a sud di
Lione) da Augusto.
Per la documentazione degli avvenimenti e i loro moventi, per larcheologia, per la
semplice elementare logica, tutti gli storici (tranne la schiera mistica pervasa da profonda
fede), riconoscono lunico censimento effettuato da Quirinio il 6 d.C., quando, per la prima
ed unica volta, fu inviato da Cesare Augusto come suo Legato in Siria a sovrintendere tale
atto. Roma deliber il provvedimento finalizzato allesazione diretta dei tributi come misura
amministrativa conseguente alla costituzione della nuova Provincia, annessa alla Siria, sui
territori della ex Etnarchia di Erode Archelao, appena deposto dallImperatore Augusto ed
esiliato in Gallia per inettitudine (Ant. XVII 344).
Le reggenze di due figli di Erode il Grande, Erode Archelao ed Erode Antipa, furono
contrassegnate da numerose sommosse guidate da ribelli ebrei che si proclamarono Re,
non riconoscendo agli erodiani il diritto a sedersi sul trono dei Giudei (Ant. XVII
271/285); solo il continuo intervento delle legioni romane di Siria riusc ad eliminarli
tutti, tranne Giuda il Galileo, ripristinando lordine, finch, dopo dieci anni, Augusto, vista
la incapacit di Archelao a governare, prese in mano la situazione sottoponendo quel
territorio alla diretta egemonia di Roma.
La regione soggetta ad Archelao fu annessa alla Siria e Quirinio, persona consolare,
fu mandato da Cesare a compiere una stima delle propriet in Siria e vendere il patrimonio
di Archelao (Ant. XVII 355). Quirinio vendette i beni di Archelao, e nello stesso tempo
ebbero luogo le registrazioni delle propriet che avvennero neltrentasettesimo anno dalla
disfatta di Azio, inflitta da Cesare ad Antonio (Ant. XVIII 26).

La battaglia di Azio avvenne il 31 a.C., quindi 37 meno 31 anni uguale 6. I territori dellex
Etnarca, costituiti da Giudea, Idumea e Samaria, furono registrati come possedimento di
Roma e affidati con pieni poteri, il 6 d.C., al Prefetto Coponio, di rango equestre, di
stanza a Cesarea Marittima con guarnigioni militari dislocate anche a Gerusalemme e a
Sebaste, capitale della Samaria (Ant. XIX 365).
Nellambito di quei territori, legemonia del Prefetto era subordinata solo al Legato di Siria
oltre lImperatore e contemplava il ius gladii, il diritto di processare, sottoporre a supplizio
(torturare) e condannare a morte chiunque si fosse ribellato allautorit del
funzionario romano.
Queste furono le vicende che, da quella data, indussero i Giudei a ribellarsi nuovamente a
Roma, capeggiati dal potente Dottore della Legge, il fariseo zelota, Giuda detto il
Galileo
Il cristianesimo (messianismo) gesuita primitivo, derivato, come abbiamo sopra
evidenziato, dallinnesto del rituale teofagico eucaristico pagano nel giudaismo
messianico, fece propria la dottrina della salvezza, o soteriologia, grazie alla
redenzione dal peccato e del destino umano oltre la morte.
Tale dottrina era contemplata da molte religioni dei Misteri del mondo classico pre
cristiano e prevedeva anche limmacolata concezione di Vergini umane, fecondate dalle
variegate divinit pagane orientali, per generare un Figlio Semidio, chiamato in greco
Sotre, in italiano Salvatore, in aramaico Jesha allora, i Padri, creatori del
nuovoconnubio religioso, ebbero la pretesa di trasformare il mito in storia ma,
anzich Storia ... fecero danni ...

Le nativit

Parte II

Il Ministero di Cristo inizi in Galilea ove (come fece suo padre Erode il Grande) buona
parte dei tributi riscossi da Erode Antipa il Tetrarca doveva inviarli al Cesare gi convertiti
in talenti d'oro. Lo scriba cristiano che introdusse l'esattore Matteo il Pubblicano fra gli
Apostoli di Cristo lo fece al solo, unico, scopo di allontanare eventuali sospetti di
zelotismo da Ges e i suoi discepoli, poich gli Zeloti lottavano contro il fisco imposto da
Roma. Ma fu una precauzione eccessiva pertanto ingenua. In quanto esattore,
lapostolo evangelista Matteo (sconosciuto dall'apostolo evangelista Giovanni) avrebbe
dovuto essere uno specialista in materia di tasse e, come tale, era tenuto a sapere che
lImpero impose il tributo direttamente ai Giudei nel 6 d.C.
Ne consegu una guerriglia, fomentata dalla quarta filosofia nazionalista di Giuda il
Galileo, che si protrasse per anni, al punto che le stesse autorit romane ed ebraiche
(Sinedrio) richiesero a Roma di alleggerire la tassazione nel 17 d.C., sotto Tiberio,
perch, riferisce Tacito, "la popolazione era oppressa dai carichi fiscali (Ann. II 42): una
istanza respinta dal Senato. Intanto, secondo la Chiesa, a quella data Ges Cristo era
gi adulto.

Come stiamo per documentare, lesattore Pubblicano, Apostolo evangelista


"Matteo", testimone oculare della vita diGes e sua Madre, secondo quanto riferito
dallo scriba cristiano che se lo invent, non sapeva (lo scriba) che il censimento,
decretato da Augusto per tassare i Giudei, fu causa del viaggio di san Giuseppe e la
Vergine Maria Gravida da Nazaret a Betlemme, come ideato dall'altro scriba con lo
pseudonimo "Luca".
Ci vuol dire che non vi fu alcun censimento quando Erode il Grande era ancora
vivo, altrimenti sarebbe stato Matteo, il Pubblicano esattore delle tasse, non Luca, a
riferire lo scopo e la necessit di quel viaggio.

Gaius Sentius Saturninus e Publius Sulpicius Quirinius furono nominati consoli, da


giovani, rispettivamente: il primo, nel 19 a.C. ed il secondo, nel 12 a.C.. Entrambi vennero
inviati dallImperatore a governare la Provincia di Siria, come suoi Luogotenenti, nel
rispetto dellanzianit di nomina e di carriera, per il cui fine, raggiungere il consolato, sotto
Augusto, era presupposto indispensabile a ricoprire limportante successivo incarico: il
primo, Saturnino, nel 9 a.C. ed il secondo, Quirinio, nel 6 d.C.; questultimo, con un titolo di
eccellenza inerente al compito, pericoloso, (al comando di pi legioni) di effettuare, per la
prima volta, il censimento della Siria e dei territori palestinesi ad essa annessi: Giudea,
Idumea e Samaria (Ant. XVIII 1,2).
Lo storico ebreo, in modo particolareggiato, riporta tutti gli avvenimenti antecedenti il
6 d.C., riguardanti la sua terra (lui e i suoi antenati erano di Gerusalemme) e,
soprattutto, i potenti Legati di Siria (con autorit militare e giuridica superiore agli stessi
Re palestinesi), che cita tutti e fra i quali non risulta che Publio Sulpicio Quirinio sia stato
Legato di Siria prima del 6 d.C. e abbia avuto, in precedenza, un altro incarico simile e
tanto meno di fare un censimento anteriore; come non risulta dagli scritti degli altri storici
dellImpero: non pu risultare ci che non accadde.

La capacit di Erode di curare le rendite della Palestina indusse Cesare Augusto, dopo
avergli ingrandito il Regno tramite la concessione di nuove regioni, ad affidargli la gestione
di territori che andavano ben oltre i confini del suo dominio (Bellum I 396/404).
La qualifica o massimo ufficio, nellambito della gerarchia amministrativa imperiale di
Roma, fu riconosciuto, tra i monarchi giudaici, solo ad Erode il Grande quando venne
nominato da Cesare Augusto
Procuratore di tutta la Siria s che nessuno dei Procuratori poteva agire senza il
suo assenso (Bellum I 399 e Ant. XV 360) "con lonere di riscuotere i tributi in tutte le
regioni di quella Provincia" (Bellum I 428).
Pur essendo subordinato, giuridicamente e militarmente, al Legato di Siria dellImperatore,
Erode il Grande non fu mai sottoposto, amministrativamente, allo stesso; e le entrate
fiscali, in virt dellincarico, gli imposero di costruire, a nome di Cesare Augusto e dei suoi
familiari, opere grandiose, compresi Templi pagani, anche nelle citt fuori del suo Regno
(Bellum I 422/425).
Finch Erode il Grande rimase in vita, essendo lui il Procuratore di tutta la Siria, n in
Siria, n in Giudea si rese necessario svolgere alcun censimento da parte di Roma:
era lui che, quale fiduciario di Augusto, si adoperava a riscuotere le tasse curando le
rendite dellImperatore. Va notato che La Guerra Giudaica fu sottoposta alla verifica e
approvazione degli storici romani di Vespasiano e tale documento, depositato negli
Archivi Imperiali, fu consultato anche da Svetonio mezzo secolo dopo (Vespasiano 4-
5). Tale rilievo per rimarcare che, diversamente dagli esegeti mistici ispirati, stiamo
seguendo la storia di Roma non il "catechismo di Ges".

Per lImperatore, nessuno, meglio di Erode, era in grado di amministrare e curare i suoi
interessi, i suoi beni e le sue rendite in Siria e in Palestina e, nessun Governatore, senza
un suo preciso mandato, lo avrebbe potuto fare. Le entrate erano valutate in talenti
doro e, alla morte di Erode il Grande, la rendita di quei territori ammontava quasi a mille
talenti d'oro lanno (Ant. XVII 317/323).
Morto il Re, Cesare Augusto provvide subito ad inviare Sabino, in Giudea,
come "nuovo Procuratore romano per la Siria, a rilevare lufficio, svolto dal monarca
efficacemente, per prendersi cura della propriet di Erode , cio di tutto il Regno, ma
sottoposto, militarmente e giuridicamente, al Legato di Siria, Quintilio Varo (Ant. XVII 221-
222).
Sabino, il Procuratore della Siria, si rec in Giudea per sottoporre a sequestro
conservativo le sostanze di Erode(Bell. II 16), appunto perch Erode era
stato Procuratore di tutta la Siria per conto di Roma. La nomina di Sabino a tale
incarico dimostra la continuit della cura delle rendite delle propriet e dei beni,
costituiti dai territori sottomessi allImpero di Cesare Augusto ad iniziare dalla riscossione
dei tributi, gi compito di Erode il Grande, in tutta la Siria compreso il regno di Palestina,
fino al suo decesso avvenuto il 4 a.C.

Giuseppe riporta tutte le iniziative prese dal Legato Senzio Saturnino il quale,
giuridicamente e militarmente, pur essendo pi potente di Erode il Grande, tuttavia non
poteva intromettersi nella sua amministrazione senza un mandato specifico di Cesare
Augusto; come avverr poi con Publio Sulpicio Quirinio, che lo far il 6 d.C. con un
incarico imperiale speciale, pi importante del precedente Legato Saturnino. Del quale,
comunque, leggiamo tutti gli interventi (Ant. XVI 277/283-344-368-369; XVII 7-25-57-
89; Bell. I 538/554), senza registrare alcun censimento da lui eseguito; n altri avrebbe
potuto effettuare latto amministrativo per la gravit e la pericolosit insite nella reazione
del popolo giudeo avverso tale provvedimento senza passare inosservato allo storico
ebreo.
Erode il Grande, oltre ad essere stato un fedele alleato, in quanto nemico giurato dei
minacciosi Parti, si dimostr una gallina dalle uova doro per lImpero; infine, che in
Giudea non avvenne il censimento di Quirinio, fintanto era vivo il Re, lo conferma il
Vangelo di Matteo nel quale, come appena detto, levangelista, pur essendo un
Pubblicano esattore di tributi, non si sogna di citarlo, ma avrebbe dovuto farlo se, come
dice Luca, fu la causa del viaggio di Maria e San Giuseppe da Nazaret a Betlemme per
farsi censire.

Quirinio, senatore romano passato attraverso tutte le magistrature fino al consolato,


persona estremamente distinta sotto ogni aspetto, inviato da Cesare, (il 6 d.C.) visit la
Giudea per fare una valutazione delle propriet dei Giudei eliquidare le sostanze di
Archelao (Giudea, Idumea e Samaria divennero possedimento di Roma) e nello stesso
tempoebbero luogo le registazioni delle propriet che avvennero
nel trentasettesimo anno dalla disfatta di Azio (31a.C.), inflitta da Cesare ad
Antonio (Ant. XVIII 2 e 26).

Una descrizione del censimento cos dettagliata, riportata molte volte dallo storico fariseo,
dimostra lo sconvolgimento economico sociale e religioso, causato da tale atto nei costumi
giudaici, in violazione della antica Legge che vietava la sottomissione all'invasore pagano
del popolo di Israele, della Terra Santa e del suo Dio, Jahwhe.
Sotto Costantino, nel IV secolo, il Vescovo cristiano Eusebio di Cesarea cos scrisse in
"Historia Ecclesiastica":
Al tempo del primo censimento, mentre Quirinio era Governatore della Siria, nacque a
Betlemme il nostro Salvatore e Signore Ges Cristo. Anche Flavio Giuseppe ricorda
questo censimento, sotto Quirinio, quando parla della rivolta dei Galilei che
accadde in quel medesimo tempo e della quale (rivolta) fa menzione anche Luca
negli Atti degli Apostoli (HEc. I 5,2-3).

Nel suo libro celebrativo "Ges di Nazaret", il Pontefice Benedetto XVI tace
opportunamente ai credenti la testimonianza di Eusebio il quale riporta a chiare lettere la
contemporaneit fra la nascita di Ges Cristo con il censimento di Quirinio citato da
Flavio Giuseppe e la rivolta giudaica del 6 d.C. capeggiata da Giuda il
Galileo; avvenimenti, precisa, tutti menzionati da Luca in Atti degli Apostoli e nel suo
Vangelo.
La storia non riporta altri atti amministrativi imperiali, in Giudea, prima di questo; se
i docenti spiritualisti asseriscono il contrario, che lo dimostrino, facendoci leggere quello
che scrissero gli storici di allora, non sofismi personali, scritti oggi, e propinati a giovani
studenti portati a credere ai loro insegnanti, ignare vittime di un indottrinamento religioso
finalizzato a mascherare, rendendo artatamente coerenti, due Nascite evangeliche in
contrasto fra loro, evidentemente inventate.

San Luca, per fare un dispetto agli esegeti baciapile, riporta due volte il censimento di
Quirinio: la prima, nel suo Vangelo in occasione della nascita di Ges (Lc 2,1-2), e la
seconda nel discorso di Gamalile (At 5,34/39), come gi riferito nel I studio. Se
levangelista intendeva citare due censimenti diversi, fatti da Publio Sulpicio Quirinio in
date diverse, essendo uno riferito alla nascita veginale del Figlio di Dio, lavrebbe
specificato nelle sue opere e, per distinguerli, consapevole dellequivoco che ne sarebbe
scaturito, avrebbe chiarito in Atti degli Apostoli che, quello richiamato a Giuda il Galileo,
del 6 d.C., era il secondo censimento.
Ma se Luca non lo ha fatto il motivo lampante: il censimento fu veramente il
primo effettuato da Roma in quella Provincia e Ges Cristo, per lui, nacque il 6 d.C.; pur
se, va capito, gli storici in piena crisi mistica, prima di riconoscere che la Madonna rimase
incinta 12 anni, preferirebbero ... andare allinferno. Eppure la soluzione lavevano a
portata di mano: partorire un Dio concepito da uno Spirito Santo, in fin dei conti,
avrebbe richiesto un periodo di gestazione pi lungo ad una Vergine e nessun credente
avrebbe trovato da ridire.

Peraltro il censimento veniva fatto dai Romani nel distretto dove si produceva, cio quello
di residenza; era l che gli esattori (i pubblicani) avrebbero riscosso i tributi dai cittadini
uomini (lo abbiamo letto nella epigrafe della Lapis Venetus); ma il luogo di lavoro del
falegname san Giuseppe, capo Sacra Famiglia, era a Nazaret, sita
in Galilea(secondo Luca), non Betlemme, sita in Giudea. Poich il censimento fu
eseguito in Giudea, Idumea e Samaria ... non in Galilea, ne consegue che la
motivazione di quel viaggio non giustificata dalla storia.
Infatti i Nazaretani dovevano pagare i tributi al Tetrarca della Galilea, Erode Antipa, il
quale, essendo un vassallo sotto Protettorato di Roma, avrebbe provveduto poi a
rendere la parte dovuta a Cesare Augusto. Come sopra spiegato anche la fuga in Egitto
non ha alcun senso: i due viaggi della "Sacra Famiglia" risultano forzature ingenue che
dimostrano la macchinazione dei racconti fatti da amanuensi cristiani manchevoli di
cognizioni sulle reali vicende giudaiche ed incapaci di razionalismo storico. Tanto pi,
Maria non era obbligata a viaggiare poich non produceva reddito.
Una volta in Egitto la Sacra Famiglia ...

"Avvertito in sogno da un angelo, (san Giuseppe) si ritir nelle regioni della Galilea e,
appena giunto, and ad abitare in una citt chiamata Nazaret, perch si adempisse ci
che era stato detto dai Profeti: Sar chiamato Nazareno"
(Mt 2,22-23).

Lo scriba cristiano che si spacci per l'ebreo "Matteo evangelista Pubblicano", non solo
era digiuno di storia giudaica ma non conosceva neppure l'Antico Testamento perch il
vaticinio accreditato ai "Profeti" inesistente nella mitologia ebraica. Un vero apostolo ex
ebreo, infatti, nella sua narrazione non avrebbe potuto ignorare il vaticinio dell'avvento del
Messia profetato secoli prima da Michea:

"Betlemme Efrata, da te mi nascer colui che deve essere il Dominatore in Israele... Egli
star ritto e pascer con la Potenza del Signore, con la Maest del nome del Signore, suo
Dio " (Mi 5,1-3).

Altro dato contrastante, ma sottaciuto agli ingenui credenti, il nonno di Ges (il padre di
san Giuseppe), che per Luca Eli, per Matteo Giacobbe (Lc 3,23; Mt 1,16).
Tali contraddizioni, anagrafico cronologiche genetiche e geografiche sulle Nascite,
riportate nei documenti sacri, dimostrano che sono invenzioni aggiunte,
successivamente, a testi in origine diversi; ne consegue che Ges, san Giuseppe e la
Madonna non sono mai esistiti.
Infatti gli evangelisti Giovanni detto anche Marco e Giovanni non conoscono la
nativit di Ges e il grave rischio da Lui corso in quel momento in conseguenza
della "strage degli innocenti".
In effetti i vangeli primitivi si limitavano ad un concetto di Messia Salvatore pi giudaico,
che ancora non contemplava la nascita verginale nella grotta, adottata in epoca
successiva ( Orgene nel III sec. a citare la "grotta"), destinata a generare un Sotre
(Salvatore) con relativo sacrificio teofagico ripreso dai riti pagani.

La frase di inizio del vangelo di Luca, citando un generico "Erode", trae in inganno anche
gli studiosi laici poco attenti che lo individuano in Erode il Grande:
Al tempo di Erode, Re della Giudea (Lc 1,5); Avendo saputo che era Re della
Giudea Archelao (Mt 2,22); il passo 14,1-9 di Matteo, concernente la decapitazione del
Battista, ingenera altra confusione, tra i molteplici e non meglio precisati "Erode"
evangelici, chiamando "Re" anche Erode Antipa "In quel tempo il tetrarca Erode ...
il Re (sempre il tetrarca Erode) ne fu contristato".
Come rilevato, sono gli stessi evangelisti ad affermare che Erode Archelao fu Re della
Giudea.
Anche lo storico ebreo riferisce che Archelao, prevaricando i poteri di Etnarca concessigli
da Cesare Augusto dopo la morte del padre aveva spinto alcuni a cingerlo del diadema
e si era assiso sul trono e agito con poteri di Re (Bell. II 27). L Episcopo Eusebio di
Cesarea, dopo aver consultato gli Archivi Imperiali, scrisse:

Erode fu scelto come Re dei Giudei da Antonio e da Augusto con un senatoconsulto. I


suoi figli furono Erode e gli altriTetrarchi (HEc. I 7,12);
"Gaio (Caligola) successore di Tiberio, condanna Erode Antipa all'esilio perpetuo e
nomina Re dei Giudei Agrippa"(HEc. II 4);
"Agrippa, detto anche Erode poich aveva perseguitato gli Apostoli" (HEc II 10).
La nomina di Erode a Re dei Giudei cui si riferisce Eusebio avvenne nel 40 a.C.
L'ampiamento dei territori del suo Regno a tutta la Palestina fu decretato,
successivamente, da Ottaviano Augusto come ricompensa alla sua capacit di gestione
economica e tributaria, ma, significativo il fatto che il Vescovo cristiano, come Luca, cita
Erode Archelao e lo distingue dai Tetrarchi, Antipa e Filippo, che Giuseppe Flavio
chiama entrambi Erode (Ant. XVIII 109). Pertanto, quando nacquero, a questi tre figli
maschi, potenziali eredi del regno di Palestina, fu dato come primo nome quello del padre
in onore del Grande Re.
Erode Archelao si proclam Re della Giudea, diversamente da suo padre, Erode il
Grande, che, all'epoca del racconto di Matteo, era Re di tutta la Palestina, della quale la
Giudea era una parte. Solo suo nipote, Re Erode Agrippa I il Grande, nel 41 d.C., potr
anchegli regnare su tutta la Palestina sino alla morte, per concessione dellImperatore
Claudio, e lo storico ebreo lo chiama Re Agrippa o Agrippa il Grande, mentre in Atti
degli Apostoli chiamato con il solito generico e impreciso Re Erode (In quel tempo Re
Erode ... At. 12,1) e sua sorella: Erodiade. Pertanto, come le vicende narrate in Atti
degli Apostoli di Luca ci permettono di capire che si trattava di Erode Agrippa I, anche le
vicende narrate nel Vangelo dello stesso evangelista si riferiscono
ad Erode Archelao, Re della Giudea; non ad Erode il Grande, Re della Palestina.

Gli storici credenti fingono di ignorare che "Al tempo di Erode, Re della Giudea ..." (Lc
1,5) questo brano del racconto di Luca non si riferisce alla nascita di Ges ma al
periodo del concepimento di Giovanni Battista e, dopo sei mesi (Lc 1,26) descrive la
"fecondazione" divina di Ges. Sommati a nove mesi di gestazione diventano 15 trascorsi
in totale da"quel tempo", dopo nasce il Salvatore, frattanto Cesare Augusto aveva esiliato
Erode Archelao per incapacit ed elevato la Giudea a Provincia di Roma annessa alla
Siria e governata da un Prefetto. Sempre Luca (3,1) attesta che:"Nell'anno decimoquinto
dell'impero di Tiberio (29 d.C.) ..." inizia la predicazione di Giovanni Battista, prima del
"Ministero di Ges"; e subito dopo lo stesso evangelista aggiunge (Lc 3,23): "Quando
Ges inizi il suo ministero aveva circa trent'anni". Ecco perch nessuno pu permettersi
di affermare che "Al tempo di Erode ..." Luca, con questa frase, si riferiva ad Erode il
Grande: essendo Ges nato quasi trent'anni prima del 29 d.C., Erode il Grande era
morto gi da quattro anni ... prima della "Nativit" lucana.

Infatti, la nascita di Ges concepita da Luca, concernente la Strage degli


Innocenti (riferita solo da Matteo), gli d ragione: sicuramente si era letto il centinaio di
pagine (rotoli manoscritti) che Giuseppe Flavio dedic a Erode il Grande, senza che gli
risultasse questo fatto gravissimo inventato da "Matteo"; ecco spiegato perch l'Erode da
lui citato "Al tempo di Erode Re della Giudea ..." (Lc 1,5) non poteva essere il
massacratore di bambini "Erode il Grande Re della Palestina". L'evangelista aveva torto,
invece, quando, dopo essersi fatto spacciare per medico tramite una lettera accreditata a
san Paolo Saulo (Colossesi 4,14), decise, diversamente da Matteo, di far fare alla
Madonna, mentre era prossima a partorire, un tortuoso e impervio percorso di oltre 200
Km. sul dorso di un asino per recarsi da Nazaret a Betlemme a farsi censire ed "avverare"
cos la profezia messianica di Michea 5,1 "Da te, Betlemme di Efrata, uscir colui che
deve essere il Dominatore in Israele".
Stando alla testimonianza di san Paolo, riferita nelle sue lettere, l'evangelista Luca era un
medico, come leggiamo in:
Col 4,14: "Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema"; Fm 23-24: "Ti saluta Epafra ... con
Marco, Aristarco, Dema eLuca, miei collaboratori"; 2 Tm 4,11: "Solo Luca con me".
Ma il caro medico Luca, evidentemente, come i casti e pudici scribi impostori che
inventarono le "Nativit" e l'apostolo "Paolo di Tarso" (vedi II studio), in vita loro non
avevano mai visto il ventre nudo di una donna prossima a partorire. Questo particolare dei
due lunghi viaggi - da Nazaret a Betlemme e da l fino in Egitto - che sottopongono la
puerpera Maria, appena generato un figlio, ad altri 200 Km a dorso d'asino (come lo scriba
di Matteo) per un totale di oltre 400 Km. di sola andata, ne siamo certi, una "sfumatura"
ignorata tuttoggi dalle mamme inginocchiate a pregare sotto la statua dei santi evangelisti
o di quella di Ges bambino. Donne opportunamente tenute alloscuro riguardo questi
dettagli apocrifi (celati) per impedir loro di riflettere su tali assurdit.

Abbiamo dimostrato le false nascite di Matteo e Luca i quali datano lAvvento di Ges,
luno il 6 a.C., due anni prima della morte di Erode il Grande, laltro il 6 d.C., l'anno del
censimento di Quirinio. Nativit errate che vanificano i futuri dogmi "rivelati da Dio" ma
voluti ed emanati dai Papi, Pio IX nel 1854 e Pio XII nel 1950, con l'intento di rafforzare il
culto mariano attraverso la millenaria "costruzione" di una divinit, auspicata per
convenienza dalle sottili eminenze grigie del Vaticano, ma basata, questo s, sulla
ingenuit di fedeli credenti.

Ma nel Vangelo di Giovanni si riporta un particolare sullet del Messia che doveroso
riferire per sottolineare la confusione fatta dagli evangelisti nel creare l'involucro
teologico della Divinit (Gv 8,57):

Dissero allora i Giudei a Ges: non hai ancora cinquanta anni e hai gi visto
Abramo?

A tutti i lettori credenti, ai ciellini spiritualisti del partito di Comunione e Liberazione in


particolare, lasciamo loro il tempo di meditare assidui e concordi nella preghiera; nel
contempo, dopo Karol Wojtyla il Grande, a Benedetto XVI, Francesco I ed ai loro
successori non rester che seguitare a controllare i mezzi di comunicazione di massa per
contenere il propagarsi della verit storica sull'origine del mito di "Ges Cristo", pur nella
consapevolezza che tale strategia, a lungo andare, non riuscir ad arrestare la diffusione
della conoscenza, fra gli uomini, che determiner la fine della dottrina su cui stato
costruito il potere secolare della Chiesa e dei suoi capi.

Emilio Salsi
L'inganno dei mrtiri cristiani di Nerone

Il Codex Laurentianus Mediceus MS 68 II, conservato presso la Biblioteca Medicea


Laurenziana in Firenze, il manoscritto pi antico che attesta il famoso brano su Cristo e i
Cristiani, riportato nel XV Libro, cap. 44, degli Annales dello storico romano Cornelio
Tacito. La sua datazione stimata dai paleografi intorno allXI secolo, cio un millennio
dopo la morte dello scrittore latino, e costituisce l'archtipo di altri codici copiati in epoche
ancor pi recenti.
Fu rinvenuto nel 1356 (tre secoli dopo la presunta data di stesura) dal famoso letterato
Zanobi da Strada, nella veste di Vicario del Vescovo Angelo Acciaiuoli, all'interno della
grande Abbazia dell'ordine benedettino di Montecassino, specializzata in grafia
beneventana latina, fornita di scriptorium e arricchita con una biblioteca di codici miniati
nonch opere sacre e classiche.

Da circa tre secoli la sua autenticit oggetto di controversia fra i massimi esperti della
materia e, superfluo a dirsi, viziata da posizioni ideologico fideiste di parte che
rappresentano lostacolo principale a chiudere definitivamente la questione. La posta in
gioco alta: si tratta della testimonianza pi importante sullesistenza di Ges e i suoi
seguaci nel I secolo proveniente dalla principale fonte storica extracristiana; ancor pi
significativa di quelle di Giuseppe Flavio, Svetonio e Plinio il Giovane.
Tuttoggi il dibattito ancora incentrato sullanalisi paleografica del documento e, come
appena rilevato, sempre in fase di stallo. Per di pi gli esperti sanno che "La paleografia
una scienza fondata su stime di massima, insicure a causa dellarco di tempo
trascorso cos esteso; un metodo che, troppo spesso, viene fatto passare come una
certezza per confondere i non specialisti, pertanto storicamente scorretto (Robert
Eisenman, uno dei pi importanti paleografi del mondo).

Dato il grande interesse manifestato su questo delicato argomento storico, anche a livello
internazionale, non si capisce cosa aspettano i dirigenti della Biblioteca Medicea
Laurenziana, in particolare gli esperti del Settore Manoscritti, a sottoporre il Codex MS
68.2 alla verifica strumentale dello spettrometro di massa al fine di accertarne la
datazione, finora stimata soltanto col metodo paleografico.
Tale necessit deriva dalla constatazione che tutti gli antichi Codici datati (anch'essi
paleograficamente) sia prima che dopo il "laurentianus 68.2" - manoscritti da cristiani nel
corso di molti secoli e riguardanti la Patrologia Latina e Greca -pur richiamando
criticamente le gesta di Nerone ignorano la vicenda dell'eccidio dei seguaci di
Ges perpetrato dal Cesare a seguito del rovinoso incendio di Roma del 64 d.C.
E' una contraddizione stridente considerato il dovere storico spettante ai Padri della
Chiesa, ed ai loro amanuensi, dover riferire la cronaca della spettacolare strage dei propri
mrtiri subito dopo l'evento.
Ne consegue che i tre secoli di silenzio, intercorsi fra la prima trascrizione dell'eccezionale
manoscritto e l'epoca del suo ritrovamento, rappresentano un vuoto troppo sospetto cui si
aggiunge la riluttanza della Chiesa, inspiegabilmente avversa alla diffusione della
straordinaria testimonianza tacitiana per ulteriori due secoli. Pertanto l'analisi strumentale,
qualora determinasse una datazione sovrapponibile a quella della "scoperta", si
trasformerebbe in una prova utile ad individuare il committente. Tuttavia, nel 1470 i
tipografi Johann & Wendelin stamparono a Venezia gli Annales di Tacito contenenti i Libri
dall'XI al XVI grazie alla fonte costituita dal Codex MS 68.2.

Tutto ci premesso, sappiamo che esistono altre metodologie scientifiche basate su dati
oggettivi inconfutabili come archeologia, numismatica e testimonianze storiche, compresi i
fatti riportati nei Codici della Patrologia cristiana: in sostanza, un insieme di elementi
accertati che ci consentono di pervenire ad una conclusione storiologica definitiva.
Sottoponiamo, quindi, ad analisi comparata tutte le informazioni concernenti la cronaca
tacitiana riguardante la testimonianza su Ges e i suoi adepti all'inizio dell'era cristiana.

Le Testimonianze di Tacito e Giuseppe Flavio su Ges

Parte I: sintesi

Con questo studio intendiamo mettere a confronto le informazioni, ad oggi


pervenuteci tramite copie manoscritte non originali, di Cornelio Tacito e di Giuseppe
Flavio - gli unici storici che citano Cristo, identificandolo esplicitamente col Ges dei
Vangeli - per verificare se, dagli scritti tramandatici, viene effettivamente comprovata
lesistenza del Figlio di Dio nel I secolo, oppure si tratta di menzogne apportate nei
documenti da copisti falsari allo scopo di rendere pi credibile la dottrina cristiano-gesuita.

Alla fine del I secolo, nelle sue opere, giunte sino a noi tramite manoscritti medievali, il
sacerdote fariseo Giuseppe Flavio (37-105 d.C.), nato e vissuto in Gerusalemme, nonch
influente membro del Sinedrio, riferisce gli atti basilari delle quattro correnti religiose
ebraiche esistenti in Giudea sino a quando rimase in vita: Farisea, Sadducea, Essena e
Zelota.
Viceversa lo storico ebreo non descrive i principi della religione
chiamata Messianismo o, in lingua grecaCristianesimo ( ), tuttavia,
nella sua narrazione, in due brani si richiama a Ges Cristo: "Testimonium Flavianum" e
Giacomo fratello di Ges Cristo.
Pertanto, scopo della nostra indagine approfondire il motivo di questa incoerenza e
verificarla, cos come abbiamo fatto con l'analisi su "Giacomo il Minore" fratello di Ges.
Infatti lo studio ha dimostrato che "Giacomo il Minore", in realt, era un altro uomo
anch'egli di nome Giacomo, ma non il primo Vescovo di Gerusalemme fratello di Ges
Cristo, bens fratello di un giudeo che casualmente si chiamava Ges, quindi non il figlio di
san Giuseppe conosciuto da tutti, bens un figlio di Damneo, padre dello stesso Ges che
fu nominato Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, come specificato da
Giuseppe Flavio. Analisi confermata da ritrovamenti archeologici che hanno dimostrato
l'inesistenza di Vescovi cristiani in Gerusalemme nei primi due secoli contraddicendo la
"Historia Ecclesiastica".

Contraddizione che riscontriamo anche nel famoso storico romano Cornelio Tacito (155 -
220 d.C.), quando, nella sua opera Historiae in latino, destina 12 capitoli del Libro V (dal
2 al 13) per spiegare i fondamenti della religione ebraica in Giudea, senza riferire
niente sul Cristianesimo (Christianismus) o, quanto meno, accennare ai criteri
essenziali della nuova dottrina (pur avendo ricevuto lincarico ufficiale di sorvegliare i culti
stranieri); mentre nellaltro suo lavoro, Annales, cita Cristo e Pilato quando narra il
martirio dei cristiani a Roma, ordinato da Nerone in conseguenza del famoso incendio,
ravvisando nella Giudea la terra dorigine del Cristianesimo.

Come stiamo per verificare, entrambi i millenari cronisti avrebbero avuto forti motivazioni
per indagare sui precetti e le finalit del movimento cristiano gesuita, se veramente fosse
esistito nel I secolo. Infatti, un altro significativo riscontro a questa grave lacuna classica ci
pervenuto dallo storico e filosofo ebreo Filone Alessandrino (20 a.C. - 45 d.C.), influente
membro della comunit giudaica di Alessandria, il quale, nel suo trattato "De Providentia"
(II 107), riferisce che si recava frequentemente al Tempio di Gerusalemme per offrire
sacrifici a Dio ma, in nessuna delle sue opere, riporta l'avvento del Messia giudeo di nome
"Ges", a lui coevo; un Messia che, stando ai vangeli, fu osannato dal popolo di
Gerusalemme come "Re dei Giudei" e "figlio di Davide". N sa, Filone, dell'esistenza di
una nuova dottrina religiosa, gi dilagata nella Giudea, il cui capo spirituale era Giacomo,
Vescovo di Gerusalemme e fratello dell'anelato Messia prescelto da Jahweh. Tanto meno,
l'erudito ebreo ha mai sentito parlare di spettacolari miracoli esibiti dinanzi al Sacro
Tempio giudaico dai discepoli Apostoli e successori di Cristo, capaci di guarire intere folle
di malati accorsi anche dalle citt vicine a Gerusalemme, secondo quanto narrato in "Atti
degli Apostoli". Notizie talmente importanti per il coinvolgimento della religione ebraica che
lo stesso Filone si sarebbe sentito in obbligo di tramandarle ai posteri e, perch no, magari
convertirsi anche lui al Cristianesimo: la dottrina per la "salvezza della vita eterna".

Anche Gaio Svetonio Tranquillo parla di cristiani del I secolo e di lui riferiamo tra poco
perch la sua testimonianza, gi da sola, comprova che la unica parola Cristo, a se
stante, non distingue il Cristo giudaico dellAttesa messianica ... dal Cristo Ges
dellAvvento.
Lo stesso dicasi per Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, che, allinizio del
II secolo, come vedremo pi avanti, nell "Epistolarum X 96" inviato a Traiano ( in rete:
basta cliccare), oltre a Cristo cita i cristiani ma, lassenza del nome del "Messia"
significa che per quei cristiani Ges non era ancora venuto.
Nelle testimonianze storiche, la mancanza del nome Ges, Jesha, in aramaico, che
vuol dire Salvatore, un particolare di importanza fondamentale. Infatti gli Ebrei
chiamavano Salvatore, inteso come attributo divino, i condottieri che riuscivano a
liberare, al pari di Giosu, la terra promessa dal dominio dei pagani salvo poi
disconoscerli quando venivano sconfitti. Le locuzioni Cristo e Cristiani sono generiche e
si riferiscono a fedeli giudei, cio Ebrei della diaspora, esuli, promotori di sommosse,
vittime di repressioni o guerre giudaiche, sparsi nelle province dellImpero in Attesa del
loro Messia.

Il significato indeterminato di cristiani (vocabolo greco tradotto da quello originale ebraico


"messianisti", a sua volta derivato da "Messia") sar sfruttato successivamente dalla
Chiesa e fatto passare come credenti cristiani gesuiti per i quali lAvvento del Messia,
chiamato Ges, si era gi concretizzato entro lanno 31-33 del I secolo. Qualunque
dicitura come Cristo o cristiani, riportata dagli scrittori dellepoca, secondo la
Chiesa, doveva riferirsi al loro unico Cristo (Messia) Salvatore: Ges.
La Chiesa ne ha sempre riconosciuto solo uno e doveva essere Lui: era la sua dottrina
ed ovvio che sia stato cos. Non logico, invece, che gli storici "spiritualisti" moderni
avallino questa fede facendola passare per storia.
Detto in parole pi semplici: cristiani erano coloro che aspettavano Cristo, e cristiani
erano coloro convinti che il Messia fosse gi venuto. Ci che li distingueva era il nome
Ges, col quale i secondi battezzarono il Messia; mentre i primi non poterono battezzare
nessuno perch, per loro, non era ancora giunto il Messia prescelto da Dio, atteso come
un invincibile condottiero davidico.

Come approfondiremo pi avanti, le risultanze dell'indagine ci consentiranno di provare


che i cristiani di Plinio il Giovane in realt erano messianisti ebrei Esseni di Bitinia,
tutt'altro che seguaci di un "Ges" salvatore e redentore universale. Ebrei quindi non
ancora coinvolti dal mutamento gnostico iniziale riguardante la figura biblica del
Messia Salvatore giudaico, avviatosi lontano, nellalto Egitto, ove si erano rifugiati gli
Esseni nazionalisti perseguitati da Vespasiano sul finire della guerra giudaica. Come
evidenziato nello studio riguardante l'esistenza di san Giovanni apostolo, in Bitinia non vi
erano cristiani gesuiti perch Dio imped agli apostoli di convertire gli abitanti di quella
regione:

Attraversarono la Frigia e la Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato di predicare nella


Provincia d'Asia. Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Ges
non lo permise ... (At 16,6/7).
La motivazione di questo "divieto divino" spiegata nella apposita analisi tramite la quale -
dopo aver letto l'episodio riferito da Plinio il Giovane e viste le modalit con cui stato
riportato negli antichi codici manoscritti - accertiamo il mancato riconoscimento del
supplizio dei numerosi cristiani uccisi dal Governatore della Bitinia poich per la Chiesa
quei mrtiri erano "messianisti" non seguaci di Ges. Gli esegeti del Clero hanno
sempre saputo che i cristiani di Bitinia non conoscevano Ges Cristo, il Figlio di
Dio, Salvatore (Ges) dell'intera umanit.
Ma l'aspetto altrettanto grave per la dottrina cristiano-gesuita consiste nel fatto che lo
studio dimostra l'inesistenza dell'apostolo Giovanni: una risultanza tale da riflettersi,
inevitabilmente, sulla presente ricerca in modo dirompente; come fra poco accerteremo.

Infatti, nel 112 d.C., in Bitinia, i messianisti di allora non erano a conoscenza del Cristo
Ges, Salvatore universale,inventato successivamente. Si trattava di una setta ebraica
di Esseni sempre in attesa del Messia (Cristo) non ilFiglio di Dio, bens un prescelto
da Dio come avvenne con Re Davide. Unica speranza ad essi rimasta da contrapporre
allenorme potere militare romano che aveva distrutto, quarantanni prima, la Citt Santa e
il Tempio.
Praticavano la liturgia essena del pasto comunitaro, riportata nella loro regola
(Rotolo di Qumran) assieme ad altriprincpi che saranno ripresi dai futuri cristiani
gesuiti. Ma, se quei fedeli fossero stati i seguaci di un "Ges Figlio di Dio e Dio stesso",
nuova figura di Messia simile ad una "Hostia" sacrificale pagana - il quale si offr per
essere mangiato "corpo e sangue" al fine di entrare "in comunione con Lui" e risorgere
dopo morti, cio una fede diversa da quella ebraica - quegli adepti, quindi, si sarebbero
sentiti in obbligo di distinguersi, onde evitare equivoci, e avrebbero chiamato il loro Cristo
col nome completo Ges Cristo, non soltanto Cristo, consapevoli
che Cristo (Messia) era la divinit che attendevano i Giudei, come dimostrano i rotoli del
Mar Morto stilati dagli Esseni.

Essendo stato un suo compito specifico, per aver fatto parte di un collegio sacerdotale
designato a sorvegliare i culti stranieri, Tacito, nelle sue Historiae, dedica buona
parte del Libro V a descrivere la religione e le vicende del popolo giudaico, tramite una
retrospettiva storica, dal lontano passato sino al 70 d.C.
Nella lunga narrazione lo storico ignora l'esistenza della religione cristiana e colui che
l'aveva creata, "Ges Cristo", nonch il nome del funzionario romano che lo elimin.
Nonostante lo storico, a partire da Pompeo Magno, elenchi numerosi Governatori imperiali
della Giudea di rango equestre, facendo anche il nome di alcuni Procuratori, non
considera Pilato degno di essere menzionato sebbene autore di una impresa memorabile
per aver ucciso il capo fondatore di una malefica dottrina "rovinosa" che aveva invaso
l'Urbe.
Viceversa, negli Annales, a seguito del devastante incendio di Roma, scritto:

... coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome
derivava da Cristo, il quale, sotto limperatore Tiberio, tramite il procuratore Ponzio
Pilato era stato sottoposto a supplizio; repressa per il momento, quella rovinosa
superstizione dilagava di nuovo, non solo per la Giudea, luogo dorigine del male, ma
anche per Roma (Libro XV 44).

Ma nelle sue Historiae Tacito non fa il minimo accenno a Ges Cristo, al


cristianesimo, al ProcuratorePonzio Pilato e agli Apostoli.
E impossibile non rilevare che la grave lacuna nelle Historiae diventa una esplicita
contraddizione degli Annales perch Tacito avrebbe dovuto essere iper sensibilizzato al
problema del nuovo cristianesimo gesuita proprio per la gravit di quanto accaduto a
Roma, nel 64 d.C., ad epilogo del devastante incendio che vide - secondo il testo dei suoi
Annali trascritto dai copisti nell'XI secolo - come vittime sacrificali, crocefissi una ingente
moltitudine di cristiani accusati da Nerone di avere incendiato lUrbe.

Come! Nella terra di Cristo, la Giudea, luogo dorigine dove il male dilagava, lo
storico non sente il dovere di indagare sulle misure repressive, messe in atto da un
Procuratore imperiale di Tiberio, tese a stroncare il grave flagello e culminate con
luccisione del capo di un culto straniero? Tacito racconta della Giudea, dei suoi abitanti,
del loro vetusto unico Credo ebraico, a partire dal primo remoto legislatore Mos "loro
guida venuta dal cielo", e non sente il bisogno di approfondire quali furono le motivazioni
religiose, l originate, che trascinarono una ingente moltitudinedi cittadini cristiani
nel pi drammatico martirio collettivo, da lui descritto negli Annali, spettacolare
e unico nella storia di Roma...senza accennare al recente ultimo legislatore
ebraico, Figlio di Dio, di nome Ges, la cui dottrina dopo soli tre decenni ormai dilagava
nell'Impero infettandolo come un nefando morbo.
Niente! In "Historiae" lo storico riferisce solo di Giudei ed ebraismo, un credo che
approfondisce per dodici capitoli, mentre sul Cristianesimo, Ges Cristo e Apostoli:
neanche una parola ... No! E' un vuoto troppo vistoso: Tacito non pu aver scritto
questo passaggio negli Annali! ...

Nel I secolo, dei tanti prodigi esibiti dal Maestro e dai Dodici non ne sentirono parlare:
n Tacito, nelle sue Historiae; n gli Esseni nei loro rotoli manoscritti; n l'erudito ebreo
Filone e lo storico Giuseppe residenti nel luogo dorigine dove il male dilagava e
nessun altro. Ma, soprattutto, non ne sentirono parlare, e tanto meno videro, i
Giudei troppo impegnati a combattere i pagani, invasori della loro terra.
Essi continuarono a sperare che un condottiero, il vero Unto Divino, li guidasse alla vittoria
sino al 132 d.C., quando, sempre in Attesa del loro Salvatore, lo ravvisarono in
Simon bar Kokhba: fu su di lui che riposero le ultime speranze di riscatto.
LAvvento del Salvatore, identificato dagli Ebrei in Simone bar Kosba, Principe dei
Giudei, chiamato col nome profetico messianico Figlio della Stella (Kokhba), dimostra
che il messianismo gesuita, conseguente allAvvento di Ges nella loro terra un secolo
prima, uninvenzione che viene spazzata via dalla Storia come carta straccia a conferma
delle falsificazioni contenute nelle Sacre Scritture.

Allinfuori della vampata di cristiani apparsa nel cap. 44 del XV libro degli Annali, nelle
opere di Tacito, nulla risulta che si riferisca al cristianesimo di Ges, ai suoi capi e i loro
prodigi, alla sua ideologia ed ai decreti di Roma che, secondo i Padri della Chiesa,
ordinavano la persecuzione dei suoi adepti. No! Non fu Tacito lo scriba dello spettacolare
martirio ardente!

Un erudito Padre, l'apologeta cristiano Q. Settimio Fiorente Tertulliano, rifer


questa importante testimonianza su Tacito in "Apologeticum", XVI:

Stupida e falsa laccusa che i Cristiani adorino una testa dasino. E invero avete
sognato che una testa dasino il nostro Dio. Codesto sospetto lo ha introdotto
Cornelio Tacito. Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, prendendo a congetturare
sul nome e la religione di quella gente, narra che i Giudei, liberati dallEgitto, trovandosi
nelle vaste localit dellArabia prive dacqua, tormentati dalla sete, su lindizio di onagri che
si recavano dopo il pasto a bere, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio
consacrarono la figura di tale bestia. Cos si presunse che anche noi Cristiani, come
parenti della religione giudaica, alla adorazione della medesima immagine venissimo
iniziati. Vero che Cornelio Tacito, pur essendo quel gran chiacchierone di
menzogne .
Abbiamo gi verificato nello studio su Giovanni apostolo e in quello su "La Nativit" che
Tertulliano, vissuto secondo la "tradizione ecclesiastica" dal 160 al 230 d.C., in realt , non
mai esistito. L'amanuense medievale di "Apologeticum", senza rendersene conto,
afferma che i Cristiani (gesuiti), erano equiparati ai Giudei dai Romani, e di questo
incolpa lo storico Tacito il quale, in Historiae, si gi visto, parla solo di Giudei
ma, se lo scriba cristiano, che aveva letto Tacito, avesse trovato scritto in Annales:

coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome
derivava da Cristo, il quale, sotto lImperatore Tiberio, tramite il Procuratore Ponzio
Pilato, era stato sottoposto a supplizio

come avrebbe potuto l'amanuense riportare le affermazioni in Apologeticum XVI, dal


momento che lo storico latino,secondo quanto interpolato da scribi falsari, sapeva
perfettamente che i Cristiani erano seguaci di Ges Cristo e adoravano Lui, non una testa
d'asino?
E evidente che il calligrafo di Apologeticum, non pot leggere il cap. 44 del libro XV
degli Annali perch la testimonianza dello spettacolare martirio non era ancora stata
inventata dai futuri, Venerabilissimi Santi Padri, garanti della Verit della Fede
Cristiana; ad iniziare proprio da "Tertulliano", il quale, se fosse veramente esistito, non
sarebbe mai incappato in simile contraddizione.

In base ai manoscritti rispettivamente datati, gi richiamati nello studio sull'Apostolo


Giovanni, evidenziamo che il primo Codice contenente "Apologeticum" risale al X
secolo, cio oltre un secolo prima che apparisse il Codex Laurentianus "tacitiano" M
II (68,2) conservato nella Biblioteca Medicea di Firenze. Queste semplici constatazioni gi
da sole bastano per dimostrare che Tacito non conosceva i Cristiani seguaci di Ges ma
solo Ebrei, cos come lo sapeva benissimo anche lo scriba di Apologeticum XVI al punto di
essere stato lui, per primo, ad accreditare al pi famoso storico della Roma imperiale una
falsa testimonianza su inesistenti gesuiti e su un impossibile "Cristo" il cui "Avvento"
sarebbe stato inventato un secolo dopo.
Come abbiamo appena letto, Padre Tertulliano accusa Tacito di essere gran
chiacchierone di menzogne ma, pi avanti, saremo noi a dimostrare che il vero falsario
fu proprio l'amanuense di Dio quando, allo stesso fine, scrisse di suo pugno, mille anni
dopo, facendo "testimoniare" a un "Padre Tertulliano" inventato la dichiarazione
dell'Imperatore Tiberio sull'Avvento di Ges Cristo e sul decreto del Senato romano che ne
vietava il culto agli stessi Cristiani.

Ma non basta
Se l'eminente storico patrizio avesse stilato manu propria il brano su Cristo, riportato nel
cap. 44, non avrebbe mai affermato che Ponzio Pilato era un Procuratore, bens un
Prefetto.
Il 6 d.C., esiliato da Cesare Augusto lEtnarca Erode Archelao, sul suo ex territorio fu
costituita la Provincia romana di Giudea, Samaria e Idumea, annessa
amministrativamente e giuridicamente alla Siria. Venne affidata a Coponio, un
governatore di rango equestre con il titolo di Praefectus, al comando di pi coorti
ausiliarie formate da uomini reclutati nelle province e due o pi ali di cavalleria, col compito
prioritario di garantire lesazione dei tributi dovuti a Roma e, nel contempo, mantenere
lordine pubblico.
Lannessione comportava una subordinazione giurisdizionale al Legato di Siria, sia militare
che amministrativa; quest'ultima fu attuata, prima, con lintervento di tassazione eseguito
da P. Sulpicio Quirinio tramite il censimento del6 e, dopo, con quello di detassazione,
effettuato dal Legatus Augusti pro Praetore, Lucio Vitellio, nel 36 d.C.
Col titolo di Praefectus i Governatori della Provincia si susseguirono in tale ufficio sino al
40 d.C., perch, l'anno successivo, il 41 d.C., Claudio decret la riunificazione del regno
di Palestina sotto Re Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande, con l'incarico di
riscuotere i tributi in quella regione per conto dell'Imperatore.
Da evidenziare che i territori assegnati al nuovo Re giudeo corrispondevano quasi
interamente a quelli concessi da Cesare Augusto al defunto Grande Monarca (Ant. XIX
351).
Cos come Cesare Augusto fece con Erode il Grande, Claudio impose gli stessi neri
amministrativi al suo nipote, Erode Agrippa I, ripristinando la tassazione originale ai
Giudei, affrancata loro da Lucio Vitellio nel 36 d.C.
Era dallepoca di Erode il Grande che la Palestina non veniva riconosciuta
come Grande Regno unificato e, in conseguenza di ci, Roma smise di inviare i
Prefetti che, sino allora, avevano governato la Giudea dal 6 d.C.
Essendo Re di tutta la Palestina, Giuseppe Flavio chiama Erode Agrippa "il Grande" alla
pari del nonno "Erode il Grande".
Claudio, proponendosi di rendere pi efficiente il sistema burocratico che gestiva
laerarium, (la conquista della Britannia costava) lo centralizz creando il fiscus che
sottopose alla sua gestione come patrimonium (Dione Cassio, Storia Romana LIII 22)
e, alla morte di Erode Agrippa, nel 44 d.C., ricostitu nuovamente la Provincia romana
su tutto lex Regno, pertanto molto pi estesa di quella governata dai Prefetti. Oltre la
Tetrarchia del defunto Erode Filippo (un figlio di Erode il Grande), che fu assegnata ad
Erode Agrippa da Gaio Caligola nel 37 d.C., erano incluse le regioni di Giudea, Samaria,
Idumea, Galilea, Perea e il distretto di Cesarea Marittima. Quindi
l'Imperatore mand Cuspio Fado comeProcuratore della Giudea e di tutto il
regno (Ant. XIX 363) e da allora, sino al termine della prima guerra giudaica, lufficio e di
conseguenza il titolo dei Governatori romani, in quel territorio, divenne Procurator,
appunto per rimarcare la maggiore responsabilit inerente alla cura amministrativa
autonoma delle propriet in favore del Princeps di Roma. Morto Erode Agrippa il Grande,
Claudio invi un Procuratore adottando, anche in questo caso, lo stesso criterio di Cesare
Augusto quando mor Erode il Grande: allora l'Imperatore "invi in
Giudea Sabino, Procuratore di Cesare per la Siria, per prendersi cura delle propriet di
Erode" (Ant. XVII 221). Da notare che Erode il Grande, sino alla sua morte, oltre del suo
reame era anche "Procuratore di Tutta la Siria"; un aspetto importante che abbiamo
evidenziato con lo studio sulla "Nativit".

I nuovi Procuratori di Claudio, come prima i Prefetti, disponevano di una schiera (due
ali) di cavalleria, composta da uomini di Cesarea e di Sebaste, e di cinque coorti (Ant. XIX
365) e secondo Svetonio alcune ali della cavalleria (Cla. 28); ma, sotto il profilo
giurisdizionale e militare, rimanevano subordinati al Governatore di Siria,
luogotenente dellImperatore e comandante di almeno quattro legioni oltre ai corpi ausiliari.

Nel 1961, archeologi italiani, a Cesarea Marittima, in un anfiteatro di quella che fu la antica
capitale imperiale romana della Provincia di Giudea, rinvennero una lapide (di cm.82 x 65)
con scolpito nella pietra:

TIBERIEVM
PONTIVS PILATVS
PRAEFECTVS IVDAEAE

Inequivocabile! Ma, allora, come potuto succedere che Tacito - alto funzionario in
carriera, dopo aver ricoperto importanti incarichi, compreso il consolato, sino a quello di
Governatore dAsia in qualit di Proconsole, e conosciuto, per esperienza diretta, i rapporti
gerarchici connessi a tale responsabilit - nel libro XV degli Annali al cap. 44, abbia potuto
scambiare un Prefetto per un Procuratore?
Ci arriviamo subito. Lo stesso errore, guarda caso, lo commette san Luca nel suo
vangelo, di cui riproduciamo sotto i passi interessati (Lc 3,1), ripresi nel Novum
Testamentum Graece et Latine, H. Kaine, Paris: Ed. F. Didot, anno 1861 e, nel Novum
Testamentum Graece et Latine, A. Merk, Roma: Pont. Ist. Biblico, anno 1933:

I traduttori latini del vangelo di Luca dal greco, sin dallinizio (Vulgata di san Girolamo),
riportarono la unica qualifica precisa di Pilato come procuratore, nonostante
provenisse da due vocaboli greci di significato diversotrascritti in due Codici distinti.
Successivamente (nell'XI secolo, secondo la stima paleografica del manoscritto
laurenziano M II), quando il copista falsario decise di introdurre nella storia dellincendio di
Roma la notizia del sacrificio di Ges, lo abbin, ovviamente, al nome del suo
sacrificatore, cio Ponzio Pilato, che sapeva essere procuratore dopo aver letto il
passo del vangelo tradotto in latino.
Era consapevole di manipolare lo scritto in latino dellimportante storico e questa
precisazione storica richiedeva un riscontro che trov nello stesso Tacito (Ann. XII 54 e
60) quando lo scrittore chiama (giustamente dal 44 d.C. in poi,ma non prima del 41,
come stiamo per dimostrare) Procuratori di Galilea e Samaria, Ventidio Cumano e
Antonio Felice.

Tutto doveva coincidere: la storia che Tacito aveva fatto conoscere agli uomini e la
storia che Dio aveva fatto conoscere allevangelista. La storia doveva confermare la
parola di Dio: la Verit da Lui dettata allevangelista e riportata nel Vangelo.
Verificata la corrispondenza fra san Luca e Tacito, lAbate Priore, senza rendersene
conto, ordin agli abatini amanuensi, di riprendere la qualifica, specifica ma errata, del
Vangelo di Luca trasferendola nellatestimonianza di Tacito.
Scusate scappa da ridere, ma accadde proprio cos: gli ingenui copisti falsari
rimasero vittime della loro buona fede.
Questo spiega perch, da mezzo secolo, cio, da quando fu scoperta la famosa lastra di
pietra con scolpito il nome e la qualifica di Ponzio Pilato, gli storici ispirati hanno iniziato a
convocare congressi, scrivere libri, verbali e relazioni solo su questi quattro vocaboli:
Ponzio Pilato Prefetto di Giudea mentre il popolo dei lavoratori, impegnato a sbarcare il
lunario, non si capacitava del perch tanto interesse.
Per loro, gli esegeti genuflessi, avevano gi compreso il significato di quella scritta e
tratto le conclusioni: ladimostrazione storica dellesistenza di Ges, testimoniata da
Tacito nel cap. 44 libro XV degli Annali, era saltata non solo, era diventata una prova
che, una volta scoperto limbroglio, gli si ritorceva contro dimostrando che il cap. 44 fu
una interpolazione creata da scribi falsari cristiani per far risultare nella storia ci
che non era vero: a Roma, nel primo secolo, una ingente moltitudine di seguaci della
setta di Ges Cristo era un falso conclamato.

Una volta sconfessato dallarcheologia, lattributo di Procuratore, riportato a suo tempo


su milioni di Vangeli di Luca in tutto il mondo, diventava, di conseguenza, la conferma
della falsificazione dello scritto di Tacito.
Allora gli ispirati storici baciapile corsero ai ripari studiando la strategia da seguire: prima di
tutto, per evitare confronti diretti, eliminare, nelle successive edizioni dei Vangeli in lingua
moderna, la qualifica di procuratore, sostituendolacon il pi generico governatore e,
per ovviare al passato, sminuire, sempre e il pi possibile, la differenza tra Procuratore e
Prefetto fino al punto da non poterli pi distinguere.

Sapevano e sanno che, in questo caso, i vocaboli originali scritti in greco nei vangeli
non hanno importanza.
Tacito scriveva in latino e la sua testimonianza venne trascritta in latino da scribi
falsari che si susseguirono nei secoli. A loro risultava che Ponzio Pilato era Procuratore
perch il vangelo latino di Luca lo defin tale: questo era quanto e ... basta.
Agli storici mistici odierni interessa che i beati poveri di spirito continuino ad
inginocchiarsi davanti a statue, simulacri e feticci per conservare il potere secolare della
Chiesa; pertanto, poich Prefetto e Procuratore sono troppo facili da comprendere,
derivando litaliano dal latino, hanno riempito di chiacchiere complicate e senza costrutto
relazioni e libri, tirando in ballo il greco, che ci entra come i cavoli a merenda, per
concludere che Tacito, indifferentemente, avrebbe potuto scrivere sia praefectus che
procurator e, se scrisse procurator fu un caso.
Finsero e fingono di ignorare che Tacito visse nel I secolo e conosceva per esperienza
diretta i compiti di entrambi i funzionari, lo stesso vale per Giuseppe Flavio, il quale, come
lo storico latino, poteva consultare gli Archivi Imperiali. I due scrittori non potevano
sbagliare sulla investitura di un funzionario che operava in una Provincia imperiale.
Incarico preciso e definito, vigente nel I secolo; come stiamo per dimostrare.

Il pi antico testo greco, il "Codex Palatinus MS 14" (su pergamena) della Biblioteca
Vaticana, datato con stima paleografica al X secolo e contenente, originariamente, i libri
dall'XI al XX di "Antichit Giudaiche" pi "Bios" (Vita), "mancante", guarda il caso, di tre
libri: XVIII, XIX e XX, attinenti l'epoca di Ges e i suoi successori.
Otto secoli dopo la traduzione delle copie manoscritte dal greco delle opere di Giuseppe
Flavio, pervenute in forma ufficiale tramite la "Editio Maior" del famoso filologo Benedikt
Niese (1849-1910), oggi leggiamo che Pilato era Procuratore, ma quali copie
manoscritte dellebreo lessero i primi traduttori in latino dal greco quando, tre secoli prima
del Niese, riportarono che, Coponio, Marco Ambivolo, Annio Rufo, Valerio Grato e Ponzio
Pilato, dal 6 d.C. in poi,furono tutti Praefectus?
Come esposto in: FLAVII IOSEPHII ANTIQVITATVM IVDAICARVM Libri XX, "DE
BELLO IVDAICO" Libri VII, tradotti dal greco (come riportato sul frontespizio) da
Sigismundo Gelenio per Hier. Frobenium et Nic. Episcopium, Basileae, MDXLVIII
(Lib. XVIII cap. I e seg.), anno 1548, e come risulta in altri testi, anch'essi tradotti dal
greco, risalenti allo stesso secolo, che abbiamo copiato con fotocamera digitale.
Dagli stessi documenti risulta che, successivamente alla morte di Erode Agrippa il
Grande, Claudio smise di inviare Prefetti e incaric Cuspio Fado come primo funzionario
romano il quale viene indicato come Procurator,distinguendo nettamente i due
incarichi a riprova che nel manoscritto greco, il curatore della traduzione,Sigismundo
Gelenio, vi lesse due vocaboli diversi. Parimenti, alla morte di Erode il Grande,
anche Sabino, inviato da Cesare Augusto, viene qualificato da Sigismundo Gelenio come
"Procurator".
Trattandosi di due circostanze analoghe ovvio che Roma si sia comportata
ammministrativamente con le stesse modalit.
Riportiamo una copia delle pagine 479 e 531 del testo citato con le qualifiche distinte di

"praefectus" et "procurator" (cliccare sopra per visualizzare il testo).

Questa la prova che cinque secoli fa erano rimaste in circolazione copie di codici
manoscritti di opere dello storico ebreo non ancora epurate in questo particolare e, nel
contempo, la dimostrazione che la documentazione, fattaci pervenire dal lontano
passato dagli esegeti credenti, fu scelta e ufficializzata allo scopo di depistare la
ricerca riportando appositamente, perch risultasse come tale, Procuratore Ponzio
Pilato, in Antichit Giudaiche e in La Guerra Giudaica, e coprire, in tal modo, lerrore
contenuto nel vangelo di Luca, e quello, conseguente,del passo falsificato di Tacito.

Il sistema di stampa di Gutemberg stava diffondendo, oltre la Bibbia, le opere di Giuseppe


Flavio e Tacito, ma, lerrore dettato da Dio allevangelista Luca, dopo essere stato
riportato negli Annales dello storico latino, costrinse i copisti amanuensi a correggere i
manoscritti di Giuseppe Flavio, che ancora riportavano il vero titolo di Prefetto da
Coponio a Pilato ... e far sparire quelli gi copiati correttamente.
Accortisi che lerrore riportato nei vangeli fu ripreso e riportato negli Annali di
Tacito, i falsari compresero che gli storici li avrebbero collegati e, scoperto linganno,
denunciato la falsit del martirio di gesuiti fatto da Nerone pertanto i Prefetti, citati da
Giuseppe Flavio nelle sue opere, dovevano diventare tutti Procurator come
quello di Tacito falsificato.
E da molti secoli addietro che le Eminenze Grigie dell'Alto Clero, decisero di correggere
la storia per salvaguardare la credibilit degli scritti sacri, poich questi, con gli sbagli
contenuti, erano ormai enormemente diffusi e ricopiati dai religiosi che li diffusero in
tutto il mondo. Al contrario, i manoscritti originali di Giuseppe Flavio, rarissimi ed
accaparrati esclusivamente da loro, furono trascritti e poi distrutti.
Errori e manomissioni coperti dagli esegeti genuflessi odierni, nonostante gli sia caduta
una grossa lapide in testa, schiacciandone la logica.

Tramite la documentazione, trasmessaci dai filologi precedenti sino al Niese, si possono


definire in modo preciso le funzioni e le responsabilit amministrative, giuridiche e
gerarchico-militari dei Luogotenenti, dei Procuratori e dei Prefetti che governarono nella
Provincia imperiale di Siria.
Durante lepoca del Principato, a partire dallincarico di Procuratore di tutta la Siria
(Bellum I 399), conferito da Cesare Augusto ad Erode il Grande, la differenza
fondamentale tra la funzione di Procuratore e quella di Prefetto consisteva nel fatto
che, il primo - oltre a governare, difendere e mantenere lordine pubblico nel territorio
assegnatogli (compito sin qui analogo al Prefetto) - come curatore aveva, in pi, un
mandato con il potere di censire, stimare, espropriare, accatastare e prendere decisioni
prettamente amministrative, comprese quelle di stabilire le misure tributarie, finalizzate a
migliorare le rendite dei territori assoggettati al dominio dellImperatore (cfr Annales XIV
54; XVI 17).
Sotto il profilo economico-militare, un territorio sottomesso allImpero poteva essere
governato, amministrato e curato da un Re indigeno (ovviamente insediato o ratificato
dal Cesare), oppure da un Governatore che poteva essere un funzionario romano,
incaricato dal Senato o dallImperatore, di rango equestre o di rango consolare o pretorio;
oppure, a partire dal 53 d.C., con un editto di Claudio (Ann. XII 60), addirittura un liberto
fiduciario del Principe da lui scelto a seconda della grandezza o importanza economica
del territorio o singola citt.
Le sentenze emesse tramite i suoi Procuratori dovevano avere la stessa efficacia di
quelle pronunciate da Claudio.
Con questo decreto (Ann. XII 60) Claudio conferm Antonio Felice, fratello del liberto
Pallante, Procuratore della Giudea. Fatto non condiviso da Tacito che contro di lui cos si
espresse:
Claudio affid la Provincia di Giudea a cavalieri romani o a liberti. Uno di
questi, Antonio Felice, esercit poteri regali con animo da servo, fra violenze e arbitrii di
ogni tipo (His. V 9).
Questo particolare sta a significare che i Romani e i cronisti dellepoca seguivano con
interesse il potere politico di chi amministrava quella Provincia.

Quando la costituzione del governo di un territorio, sottomesso allImpero, da monarchica


veniva modificata in quella egemonica imposta direttamente da Roma, il Cesare,
attraverso un funzionario da lui delegato, era interessato a verificare o rivedere le stime
delle rendite precedenti. Quanto pi lestensione o limportanza economica del territorio si
ingrandiva, tanto pi le rendite dovevano aumentare.
Solo un Legatus Augusti, con mandato specifico, e un Procuratore potevano curare
amministrativamente tali interessi, assumere iniziative ed emettere norme a tal fine. Al
contrario, un cavaliere Prefetto aveva il dovere di applicare le normative e il potere di
farle rispettare; non di modificarle. Il compito di un Prefetto era esclusivamente militare e
nella Provincia imperiale di Giudea lincarico era ricoperto da cittadini romani di rango
equestre al comando di pi coorti, ognuna delle quali agli ordini di un Tribuno.
Nellambito del territorio della Provincia assegnatagli, il Praefectus agiva come un
Comandante di Brigata, inserito nella gerarchia militare e subordinato solo al
Luogotenente dellImperatore, Capo di Stato Maggiore, ed allo stesso Princeps.
Come abbiamo visto nei due passaggi sopra riportati, Sabino (Ant. XVII 221/223) fu il
primo pro curatore romano che si prese cura del Regno alla morte di Erode il
Grande e, Cuspio Fado (Ant. XIX 363) fu il primo pro curatoreromano che si prese
cura del Regno alla morte di Erode Agrippa il Grande.

Dopo la morte di Erode il Grande e dieci anni di guerre e rivoluzioni giudaiche, Cesare
Augusto esili Archelao e dette un incarico di eccellenza al suo Legato di Siria,
comandante di pi legioni, Publio Sulpicio Quirinio, per effettuare nel 6 d.C. il censimento
della Siria (Erode ne fu Procuratore) e dei territori ad essa annessi, pertanto

La regione soggetta ad Archelao fu annessa alla Siria e Quirinio, persona consolare, fu


mandato da Cesare a compiere una stima delle propriet in Siria e vendere il
patrimonio di Archelao (Ant. XVII 355).
Quirinio visit la Giudea, allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione delle
propriet dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao e nello stesso tempo
ebbero luogo le registrazioni delle propriet
(Ant. XVIII 1-2, 26).
Contemporaneamente lImperatore invi
Coponio, di ordine equestre, visit la Giudea; fu inviato (da Cesare) con lui (assieme a
Quirinio) per governare sui Giudei con piena autorit (ibid.).
Lo storico, descrivendo i compiti assegnati da Cesare Augusto, chiaro: al contrario di
Quirinio, Coponio non ebbe lincarico di curatore dei beni imperiali, cos come,
dopo di lui, quelli che lo sostituirono si limitarono a difendere e conservare quei beni
essendo cavalieri Prefetti.
Lucio Vitellio, nel 36 d.C., Legato di Siria su mandato di Tiberio, con pieni poteri su tutto
lOriente, pot tassare la trib dei Cliti di Cappadocia, detassare i Giudei edestituire
Pilato. La descrizione dettagliata degli incarichi espletati dai due funzionari romani da
parte di Giuseppe Flavio, ne prova l'esatta conoscenza al punto di evidenziare le diversit.
A partire da Coponio, il 6 d.C., sino al 40 d.C., tutti i Governatori della Provincia di Giudea,
compreso Ponzio Pilato, furono qualificati dallo storico ebreo come "Prefetti", in conformit
alla spiegazione, data da lui stesso, riguardante l'ufficio da essi svolto.

Gli scribi cristiani sostituirono Prefetto con Procuratore, come erroneamente


riferito nel vangelo latino di Luca,senza capire che gli storici del I secolo, in base al
volere dei Cesari, attribuirono compiti diversi ai due funzionari imperiali e, di
conseguenza, ne descrissero le mansioni distinte.

Ponzio Pilato fu un Prefetto, non un Procuratore, perci Tacito non scrisse mai

Cristiani, il cui nome derivava da Cristo, il quale, sotto lImperatore Tiberio, fu condannato
a supplizio tramite il Procuratore Ponzio Pilato

ma, ancora non basta

Parte II: sintesi


Dal IV secolo d.C. in poi, gli scribi dei Padri Apologisti si sentirono in obbligo a far
entrare nella storia Ges, pertanto, nei manoscritti tardo medievali di "Apologeticum",
accreditati ad un ignoto Padre Tertulliano (sconosciuto da tutti i "Padri" fino al suo
inventore Eusebio), leggiamo di una discussione in Senato, su proposta di Tiberio (che
mor il 37 d.C.), mirante a legalizzare il messianismo gesuita:
Essendo stati annunziati a Tiberio, al tempo in cui il Cristianesimo entr nel mondo
dalla Palestina, i fatti che col la Verit aveva rivelato della Divinit stessa, votando egli
per primo favorevolmente. Il Senato, poich quei fatti non aveva approvati, li rigett (op.
cit. V 2).
Lo scopo, fatto proprio dagli storici spiritualisti odierni (indifferenti per tornaconto alla
datazione dei codici), era duplice:
1, far risultare che sin dalla Sua morte si era affermato il movimento dei seguaci di Ges;
2, mantenerlo fuori legge, con la bocciatura del Senato, per giustificarne le persecuzioni,
inventate, da parte degli Imperatori del I secolo al contrario delle altre religioni che non
ebbero alcuna difficolt ad essere riconosciute e legalizzate, compresa quella giudaica, la
pi fanatica nazionalista antiromana.

Secondo quanto risulta negli scritti contenuti nella vasta "Patrologia Ecclesiastica" -
struttura portante della "tradizione" dei "Padri" della Chiesa - nessun "Apostolo successore
di Cristo", Papa o Vescovo, risulta abbia mai richiesto allo Stato romano l'ufficializzazione
del proprio Credo. Stando a questa non meglio definita "tradizione", risalente a scritture
medievali, gli amanuensi celebrarono "Padri" impegnati esclusivamente a fare "apologia"
di Ges, mrtiri e proselitismo; mentre qualsiasi ipotesi di "legalizzazione" della religione
cristiana venne scartata per due motivi:
1, l'autenticazione di un atto emanato dalla pubblica autorit sarebbe stato riferito dai
cronisti del I secolo ... fatto sconosciuto per il Cristianesimo. Al contrario del Giudaismo i
cui decreti di approvazione risalgono a Giulio Cesare;
2, con la legalizzazione del Cristianesimo non ci sarebbero stati mrtiri ... ad iniziare dagli
immaginari Apostoli, Papi, Vescovi,"Padri" e loro successori.
Infatti, non si capisce perch il cristianesimo gesuita non potesse essere professato
nellImpero se la sua dottrina, cos come ideata dagli scribi che crearono san Paolo e le
sue lettere, non conteneva insegnamenti contro le autorit o il potere costituito, semmai
ne postulava il servilismo come un ordinamento dettato da Dio:

E bene stare sottomessi e pagare i tributi perch quelli dediti a questo compito sono
funzionari di Dio (Rm 13);
Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore (Ef 6,5);
Ciascuno sia sottomesso alle autorit costituite perch non c autorit se non da Dio, e
quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone allautorit, si oppone
allordine stabilito da Dio (Rm 13,1/7).

La votazione del Senato riportata da Tertulliano, ridicola nel contenuto perch nessuno
storico dell'epoca riferisce tale decreto avverso il Cristianesimo, e tanto meno
lAnnunciazione a Tiberio (del solito Angelo del Signore?), dimostra lipocrisia di cui
erano capaci i Padri, sin dal IV secolo, allo scopo di dare una base di verit alla nuova
dottrina che andava evolvendosi dalla primitiva esseno giudaica.
La totale mancanza di fonti documentate, utili a comprovare l'emissione di decreti
normativi, specifici, secondo il diritto romano - in base al quale i funzionari imperali
avrebbero potuto giudicare, perseguitare e sottoporre a supplizio i cristiani seguaci di
"Ges" - ha suggerito agli esegeti contemplativi odierni di riprendere questo passaggio
storico di Padre Tertulliano e sottoscriverlo, sfrontatamente, come un atto probabile di
Tiberio (alcuni da docenti universitari ad iniziare dalle "geniali" cattoliche, Ilaria Ramelli e
Marta Sordi) con lintento di dimostrare che il cristianesimo gesuita gi esisteva negli
anni 30, e convalidarne "giuridicamente" la persecuzione in virt del voto negativo del
Senato romano.
Si, i loro nomi rimarranno nella storia, smentiti sia dalla logica che dalla storia.

Infatti, ancor prima che Ges venisse crocefisso, Tiberio, nel 29 d.C., come rifer
Tacito, facendo valere lautoritvincolante del principe priv il Senato di ogni
potere (Ann. V 5) e fino alla sua morte (37 d.C.), tale organo non vot pi in sua
presenza limitandosi ad emettere delibere accertandosi, preventivamente, di non
contraddirlo.
Questo particolare storico fu recepito dagli stessi calligrafi cristiani autori dei primi codici
manoscritti di Apologeticum
- contrastanti fra loro e comparsi, improvvisamente, a partire dal X sec. d.C. in poi - ai
quali, in seguito, aggiunsero
al brano riportato (op. cit. V 2) il seguente sproposito:

"L'Imperatore Tiberio rimase fermo nella sua opinione, stabilendo la pena di morte
contro gli accusatori dei cristiani. Consultate i vostri Annali" (Apo. V 3).

E' una "perla" di testimonianza che, diversamente dagli storici credenti, non possiamo
fingere di ignorare: il primo che avrebbe riportato sugli Annali il decreto, inventato da
Tertulliano, se Tiberio lo avesse emanato, sarebbe stato Tacito, appunto perch
rientrava nella sua funzione di sorvegliante dei culti stranieri; esattamente come rifer del
vero decreto emesso dal Senato sotto lo stesso Imperatore, nel 19 d.C., riguardante
lespulsione degli Ebrei con lobbligo del servizio militare (Ann. II 85).
Ma se Tacito avesse documentato la delibera imperiale a favore dei Cristiani, Tertulliano la
avrebbe citata con precisione, senza inventarla. Controprova: ammettiamo per assurdo
(ma solo per assurdo) che Tiberio avesse emesso un simile decreto perch Plinio il
Giovane sent il bisogno di scrivere a Traiano per sapere come regolarsi con i cristiani, e
perch lImperatore gli rispose (Epistularum X 97) senza fare cenno all'editto emesso da
Tiberio in precedenza? Si trattava di una ordinanza in base alla quale Traiano avrebbe
dovuto far giustiziare lo stesso Plinio il Giovane perch questi, in contrasto all'editto
tiberiano, non si limit ad accusare i Cristiani ma addirittura li tortur e li mise a morte. E
evidente che il problema cristiani, cio messianisti Giudei, non gesuiti, si
evidenzi sotto il profilo giuridico, la prima volta, con l'episodio descritto da Plinio il
Giovane avvenuto nel 112 d.C.
Tanto pi che lo stesso Tertulliano, agli inizi del III secolo d.C. (data, imposta senza
costrutto, cui viene fatta risalire la redazione dell'archtipo di "Apologeticum" col brano
rifererito su Tiberio), dimostra di non conoscere,contraddicendoli, gli "Atti degli
Apostoli", in cui si afferma "ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono
chiamati Cristiani" (At 11,26) sotto il principato di Claudio (41-54 d.C.) anzich sotto
quello di Tiberio (14-37 d.C.).
E' una manifesta "cantonata" non rilevata dagli esegeti credenti, incapaci di leggere
criticamente i "testi sacri", bens impegnati a costruire tesi insostenibili per indottrinare gli
sprovveduti.
Poich "discepoli" era un termine generico riferibile a seguaci di qualsiasi Maestro delle
disparate discipline dello scibile umano in quell'epoca, a questo punto non possiamo fare
a meno di chiederci che nome avessero gli affiliati alla dottrina di Ges dopo la Sua
dipartita e risurrezione. Ci viene in aiuto lo storico cristiano bizantino Iohannes Malalas
(491-578), per l'appunto nativo di Antiochia, laddove nel Libro X della sua
"Chronographia", dopo essersi posto lo stesso interrogativo, riporta:

"All'inizio del regno di Claudio cesare (41 d.C.), coloro che prima erano
chiamati Nazareni e Galilei presero il nome di Cristiani".

Malalas rifer questa informazione, attinta da una fonte corretta originale, senza rendersi
conto delle implicazioni derivate dalla citazione di due sette prettamente giudaiche i cui
effetti li chiariremo fra poco; ben sapendo che "Nazareni" non erano gli abitanti di
Nazareth, allora inesistente come provato con lo studio, per giunta, stando ai Vangeli, i
"Nazaretani" erano nemici di Ges, al punto di volerlo gettare nel precipizio.

"Messia" cio "Unto", a se stante, era un titolo e basta e, nel caso esaminato da Plinio il
Giovane, il nome di quel Cristo era essenziale per identificare il capo di una setta
potenzialmente nemica di Roma, ad iniziare dal Vescovo*, loro sorvegliante in
capo, successore degli apostoli e dello stesso Cristo ma, come abbiamo visto, Ges
non venne fuori dalle risultanze dellindagine che non fu affatto benevola con i cristiani
dei quali molti furono torturati e uccisi (erano Esseni messianisti) ma,
soprattutto, ignorava la relazione di Tacito.
* Qualsiasi culto, compresi quelli pagani, richiedeva la presenza di un "Ministro del Dio": il
Sacerdote. E questo valeva anche per i Cristiani, tanto pi che, in Bitinia, secondo quanto
riferito da Plinio il Giovane, "Non soltanto le citt, ma anche i borghi e le campagne sono
pervase dal contagio di questa superstizione".
Il mancato interessamento da parte del Legato imperiale di Traiano sull'esistenza di un
capo della numerosa comunit religiosa eversiva, in Bitinia, dimostra che non esisteva
Vescovo, perch, in tal caso, sarebbe stato lui il primo ad essere martirizzato. Questo
particolare esclude si trattasse di una "ecclesia" cristiana gesuita (la Chiesa per
prima ne consapevole e non ha mai fatto propri i "mrtiri" di Plinio il Giovane), tanto
meno di una Sinagoga ebraica.
Se ne accorse anche lo scriba cristiano che trascrisse, secoli dopo, la "Historia
Ecclesiastica" di Eusebio di Cesarea ove si riporta l'evento (HEc. III 33) nel bel mezzo di
una successione di Vescovi "assisi sul Trono" che prosegue anche nel IV Libro, ma ... non
risulta quello della affollata comunit di Bitinia.

Procediamo con l'indagine dell'episodio in cui si riferisce di "due ancelle dette


Ministre": un altro aspetto importante perch nelle comunit cristiane gesuite, secondo
la dottrina (in questo caso equiparata a quella ebraica) riferita da Paolo di Tarso:

"Come in tutte le comunit dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perch non
loro permesso parlare, stiano invece sottomesse, come dice anche la
Legge (Mosaica). Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti,
perch sconveniente per una donna parlare in assemblea" (1 Cor. XIV 34,35);

"la donna impari il silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di
insegnare, n di dettar legge alluomo, piuttosto se ne stia in atteggiamento
tranquilloessa potr vivere salvata (andare in paradiso) partorendo figli, a condizione di
perseverare nella fede, nella carit nella santificazione, con modestia" (1 Tim 2,11).

Plinio scopre un altro aspetto, caratteristico di quella comunit e confessato sotto tortura
dagli stessi fedeli, degno di essere preso in considerazione:

"Affermavano che tutta la loro colpa consisteva nell'essere soliti riunirsi prima dell'alba e
intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un Dio".

Cos Giuseppe Flavio descrive gli Esseni (Bellum II 128; cap. 8,5):

"Verso la Divinit sono di una piet particolare; prima che sorga il sole gli rivolgono
certe tradizionali preghiere,come supplicandolo di sorgere".

Nei rotoli di Qumran gli Esseni si definiscono "Figli dell'Aurora" (Frammento 4Q298). Si
tratta di riscontri a regole religiose che testimoniano diversit comportamentali e liturgiche
insormontabili: nessun documento del cristianesimo riformato da san Paolo riporta un
cerimoniale di culto, tale, da avvicinarsi a quello pagano.

Tornando a Plinio Secondo, in base alle risultanze della sua inchiesta, evidente che il
Governatore non aveva le stesse cognizioni sui cristiani di Tacito, amico poco pi
anziano di lui. Meglio ancora, n Plinio n Traiano sentono il dovere di ricordare quanto
avvenuto a Roma in conseguenza del tragico incendio del 64 d.C. e la altrettanto famosa
persecuzione da parte di Nerone dei cristiani descritti dal cronista romano come
nemici affetti da una smodata superstizione.
Da rilevare che la testimonianza dello storico patrizio doveva essere offensiva verso
i gesuiti poich era un sacerdote pagano, viceversa avrebbe palesato la sua
falsit e questo gli scribi falsari lo sapevano.
No!, Tacito, alto funzionario di Roma era conosciuto da entrambi ma, nei suoi
Annales, non aveva riportato la persecuzione dei "cristiani gesuiti" perch Plinio il
Giovane e Traiano la ignoravano.

Agli stessi Ebrei, fino al 70 d.C., non venne fatto obbligo di adorare i Cesari. Soltanto
dopo la prima guerra giudaica, a partire da Vespasiano, come riporta Giuseppe Flavio, i
Giudei furono obbligati a onorare gli Imperatori (Bellum VII 416/19) perch, secondo
Tacito:
Gli Ebrei non elevano statue, nemmeno templi e rifiutano queste adulazioni ai
Re e onore ai Cesari (His. V 5).
La guerra era finita, Gerusalemme e il Tempio distrutti, la Palestina giudaica in ginocchio
ma gli Ebrei Zeloti dovevano essere giustiziati, ovunque si trovavano, anche ad
Alessandria d'Egitto:
Seicento sicari (zeloti) vennero catturati immediatamente e quelli che avevano cercato di
fuggire all'interno dell'Egitto vennero arrestati e riportati indietro (ad Alessandria). Riguardo
a costoro non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la forza
d'animo, o cieco fanatismo che dir si voglia. Infatti, pur essendo stata escogitatacontro di
loro ogni forma di supplizio e di tortura, soltanto perch dicessero di riconoscere
Cesare (Vespasiano)come loro Padrone, nessuno cedette ma tutti serbarono il proprio
convincimento al di sopra di ogni costrizione, accogliendo i tormenti e il fuoco con il
corpo che pareva insensibile e l'anima quasi esultante. Ma ad impressionare soprattutto i
presenti furono i ragazzi, dei quali non uno si lasci piegare a chiamare Cesare il suo
Padrone*: a tal punto la forza d'animo prevalse sulla debolezza dei loro corpi!" (Bellum VII
416/19).

* Gli Ebrei traducevano "Padrone" e "Signore" con "Adoni", un termine usato solo dai
Sommi Sacerdoti quando si rivolgevano al loro Dio "Yahweh".

Vespasiano non si considerava Dio ma, avendoli combattuti di persona, sapeva come
fare per distinguere fra Ebrei e Zeloti integralisti, i quali ultimi, obbedendo alla propria fede
nazionalista, non si sarebbero mai sottomessi al dominio di nessun Padrone o
Signore se non al loro Dio Yahweh. La cronaca letta una vicenda avvenuta in una
singola citt, inerente il mrtirio di centinaia di Ebrei integralisti i quali preferirono
sopportare atroci supplizi anzich rinunciare ai propri ideali. Ma nessun Apostolo, Padre,
Vescovo, o storico cristiano accenn alle migliaia di mrtiri appartenenti all'intera ecumene
ebraica disseminata nelle Province orientali della Roma imperiale.
Una volta dimostrata la falsificazione di tutte le testimonianze extracristiane riguardanti i
finti mrtiri gesuiti, quell'epoca vide solo Ebrei nazionalisti torturati dai Romani: erano
messianisti ("cristiani" dal greco) che speravano nell'avvento del Messia davidico che li
avrebbe liberati dal giogo pagano. Il primo storico cristiano gesuita, Eusebio di Cesarea,
dopo aver letto negli Archivi Imperiali i fatti descritti da Giuseppe Flavio, ritenne opportuno
mascherare le vittime della repressione romana contro gli Zeloti, trasformandole in
"discendenti di stirpe reale":

Vespasiano, dopo la caduta di Gerusalemme, ordin di ricercare tutti i discendenti della


trib di Davide, perch tra i Giudei non rimanesse pi nessuno di stirpe reale. Per questo
motivo si abbatt sui Giudei un'altra gravissima persecuzione (HEc. III 12).

Fino al 70 d.C. nessun Imperatore, compreso Nerone, impose il proprio culto tranne Gaio
Caligola, per due anni dal 39 al 41 d.C.: lui si era illuso di essere un Dio, ma la sua
insanit mentale fu riferita da tutti gli scribi romani.
Poich nessuno storico del I secolo accusa i cristiani gesuiti di rifiutarsi di
venerare Cesare, o il Principe, ne consegue che la mancata persecuzione dei
seguaci di Ges, da parte del Dio Gaio Caligola convinto di dover essere adorato
come tale, dimostra che quella setta non esisteva nellImpero.

Secondo lo steretipo del "cristiano" inculcatoci nella mente sin da bambini,


inevitabilmente, durante il principato di Caligola, si sarebbe formata una lunga lista di
mrtiri da venerare ... se fossero esistiti i cristiani gesuiti.
Chi pag un grave scotto furono soltanto gli Ebrei alessandrini e poco manc che il
contrasto con la Giudea si trasformasse in conflitto aperto se Gaio Caligola non fosse
stato eliminato da un complotto di Stato.
Consapevoli del "vuoto" storico di mrtiri gesuiti sotto il "Dio" Caligola, ad iniziare da "Atti
degli Apostoli", nessun Apostolo, Evangelista, Padre, Vescovo o Apologeta cristiano,
compreso Eusebio di Cesarea nel IV secolo, nonch tutti i "Dottori" e storici ecclesiastici
successivi, nessuno di loro menziona il decreto di Gaio Caligola che imponeva a tutti i
sudditi dell'Impero di adorarlo come un "Dio" ... ben sapendo che l'assenza di mrtiri
seguaci di Ges Cristo dimostrava che il Suo "Avvento" ancora non era stato
inventato nel I secolo.
Ma ancora non basta

Capita, a volte, che il silenzio possa diventare una testimonianza.


Ci riferiamo al mutismo di tutti i Padri apostolici e apologisti della Chiesa Cristiana, dalle
origini al IV secolo, quelli cio coevi o pi vicini al grande martirio neroniano: la
spettacolare crocifissione di massa con la testimonianza di Ges e Pilato, non viene
riportata da alcuno scrittore dellImpero Romano, allinfuori di Tacito, ma, contraddizione
grave per la verifica critica, ignorata anche dagli stessi Padri apostolici e apologisti
cristiani, scrittori prolissi (i cui manoscritti risalgono al medioevo) pervasi da profondo
misticismo e tanta fantasia nellinventarsi mrtiri, i quali, se fossero veramente esistiti,
avrebbero avuto, oltre che linteresse ideologico fideista, anche il dovere storico di riferire
un genocidio cos crudele che colp direttamente fedeli adepti al loro stesso Credo.

Nessuno di loro relaziona delleccezionale martirio, neanche l'immaginario Tertulliano


(ignoto a tutti i Padri sino a Eusebio del IV secolo) il quale, tramite un manoscritto
risalente al X secolo, ci riporta una persecuzione diversa di cristiani,non crocifissi
ma, tramite spada per ordine di Nerone, senza rapportarli allincendio di Roma, n a
Ges Cristo n a Ponzio Pilato, diversamente a quanto fatto testimoniare da Tacito col
Codice laurenziano oltre un secolo dopo. Soprattutto, lo scriba di Apologeticum non
cita lo storico romano come testimone della vicenda, nonostante, lo abbiamo gi
accertato in Apologeticum XVI, avesse letto le sue opere.
Inoltre, fatto di rilevanza primaria che si ritorce contro gli esegeti mistici odierni (che
fingono di ignoralo), Eusebio di Cesarea, lo storico Vescovo cristiano del IV secolo, nella
sua Historia Ecclesiastica (l'editio princeps risale al 1544, collazionata tra famiglie
di Codici datati fra l'XI e il XIII secolo) - improntata ad inventare Vescovi e martiri
disseminati in tutto lImpero Romano sin dalla morte di Ges - pur riferendo il passo di
Tertulliano (HEc. II 25,4), non riporta la cronaca di Tacito con le atrocit subite dai
cristiani gesuiti e i dettagli su Ges, Tiberio e Pilato. Cronaca che non avrebbe potuto
sfuggirgli e tramandata ai posteri se Tacito lavesse scritta, ma nessuno pot scrivere
nulla poich, sino al 337 d.C. quando mor Eusebio, nessuno aveva ancora inventato nulla
... in coerenza col Credo di Nicea, del 325 d.C., che non prevedeva Ponzio Pilato
come sacrificatore del Salvatore.

Eppure, oltre le risultanze lette, il silenzio pi grave e significativo sui mrtiri cristiani
seguaci di Ges quello tenuto dallapostolo Giovanni, accreditato da tutta la
tradizione ecclesiastica di una lunga vita, fino a morire di vecchiaia sotto il regno di
Traiano.
Nellapposito argomento conferito a questo apostolo, tramite lanalisi e relativa datazione
dei codici manoscritti a lui dedicati - redatti nel corso del Medio Evo (non ne esistono di
antecedenti) e attribuiti sia a Tertulliano che ad altri finti Padri e Vescovi - abbiamo
verificato che il discepolo che Ges amava non mai vissuto, esattamente come non
sono esistiti i suoi Padri testimoni. Da qui deriva il silenzio totale dei Padri cristiani,
successori di Pietro, sui mrtiri gesuiti di Nerone: inesistenti Padri non possono aver
testimoniato alcunch.
Una verifica in linea con le analisi pubblicate che hanno provato anche l'invenzione di san
Paolo, Giacomo il Minore e Simone lo zelota, questi ultimi fatti passare per "Vescovi" di
Gerusalemme.

Per quanto concerne il "discepolo prediletto del Signore", lo studio ha accertato che tutti i
codici che lo riguardano riportano san Giovanni martirizzato da Nerone, immerso in
una giara colma di olio bollente a 300 C gradi, ma (immaginiamo la stizza del Nero) il
santo Apostolo usc dal bagnetto tonificante illeso e pi arzillo di quando vi era entrato.
Gli esegeti clericali cristiani, tutti, meno di tre secoli fa, decisero che non fu Nerone a
torturare san Giovanni in oleobens Domiziano; di conseguenza, tutti gli amanuensi
precedenti, che si susseguirono nel corso dei lunghi secoli medievali, si erano sbagliati
quando stilarono i loro preziosissimi Codici.

Va da s che le vite dei Santi sono state fatte e disfatte dalle penne di chi, mano a mano,
le inventava scrivendo per arricchirle di particolari, e siamo certi che quasi tutti i lettori
hanno gi capito quale sia stato il movente che ha indotto gli esegeti spiritualisti odierni a
cambiare la "realt giovannea" ingannando il prossimo: una elementare esigenza di
coerenza storico dottrinale. Comunque, per chi non ci fosse ancora arrivato, chiariamo
subito.

Secondo la tradizione ecclesiastica, messa insieme in modo posticcio da scribi incapaci


e scoordinati, san Giovanni, oltre il Vangelo e lApocalisse, scrisse anche tre lettere da
rilasciare a futura memoria. Lo scopo? Semplice: dimostrare ai posteri che era esistito.
Identica strategia adottata dagli amanuensi con le lettere di san Paolo. Purtroppo per loro,
i calligrafi dimenticarono di riportare nelle "missive" la tremenda tortura subita dal Santo. O
meglio, come abbiamo visto nello studio apposito, il supplizio nellolio bollente fu inventato
dal potente Arcivescovo Agobardo di Lione, nel IX secolo sotto Ludovico il Pio senza
che il Metropolita sapesse delle epistole giovannee. Infatti, in queste lettere, (sono in rete)
il Santo prediletto non sa di essere stato sottoposto ad una tortura cos micidiale da cui
usc illeso per grazia del suo Salvatore Ges n sotto il Nero, n sotto Domiziano.

Nel caso di un Nerone torturatore di san Giovanni in oleo, la contraddizione diventa


particolarmente stridente poich significa che vi fu un rapporto diretto fra lapostolo e
limperatore avvenuto prima del 68 d.C., anno del suicidio del megalomane Cesare.
Il contatto personale fra san Giovanni e Nerone entro quella data esclude la
possibilit che il discepolo che Ges amava non sapesse delleccidio di gesuiti, voluto
dallimperatore nel 64 d.C., poich, cos risulta, scrisse Vangelo, Apocalisse e Lettere
molto tempo dopo la fine di Nerone. Ma, soprattutto, le Eminenze Grigie della storiologia
catechizzata sanno perfettamente che gli amanuensi medievali continuavano ad
accusare Nerone del supplizio di Giovanni apostolo, senza aggiungere altro, perch
non sapevano ancora dello spettacolare supplizio neroniano di gesuiti, riferito nel
Codex MS 68 2 Laurentianus di Tacito, dal momento che questo manoscritto
"apparso" dopo i loro Codici.

Linnocente candore degli scribi medievali, che ignoravano il grande eccidio neroniano
dei fedeli gesuiti, percepito dagli esegeti genuflessi odierni come una lancia conficcata
nel costato dolente della Storia, la quale deve essere ricondotta nel canone della
dottrina, in tutti i modi anche a rischio di cadere nel ridicolo. Pertanto - consapevoli del
grave contrasto scaturito dalla tradizione ecclesiastica che ignora la testimonianza
sulleccidio gesuita neroniano da parte di Apostoli, Padri, Vescovi e "Papi" - gli
studiosi ispirati, dopo un intenso ritiro spirituale, si sono convinti di aver trovato il rimedio
asserendo (in coro ben orchestrato per dare maggior peso all'espediente congetturato)
che Tacito, nel riferire il martirio dei cristiani, us un linguaggio offensivo verso di loro
pertanto Apostoli Vescovi Papi o Padri che fossero, nessuno di loro intese citare
Tacito come testimone per non richiamare le stesse frasi ingiuriose verso i mrtiri gesuiti.

Questa formuletta elevata al rango di tesi, sottoscritta da famosi esperti di storia del
cristianesimo in piena crisi mistica, non solo ingannevole ma anche lesiva della dignit
altrui perch basata sull'autoconvincimento che il mondo sia pieno di sprovveduti.
Infatti, ammesso per assurdo (solo per assurdo) che furono i cristiani gesuiti le vittime
della carneficina avvenuta a Roma nel 64 d.C., questi, in quanto testimoni diretti non
avrebbero avuto alcun bisogno di ricorrere alle citazioni di Tacito per sapere che loro
stessi erano stati perseguitati: tutti gli scribi cristiani, ad iniziare dallapostolo Giovanni e
dall'evangelista Luca morto nel 93 d.C., lavrebbero riferito direttamente con parole
proprie punto e basta. Chi avrebbe impedito loro di redigere un bel resoconto, ad uso e
ricordo perenne dell'ecumene cristiana, doverosamente utile per essere affisso sulla
bacheca de "Gli Atti dei Mrtiri"? Peraltro, ancora Giovanni, non ha mai accennato
personalmente dell'eccidio neroniano ai suoi discepoli successori, nonch Vescovi, come
Ignazio di Antichia e Policarpo di Smirne, sempre intenti a scrivere "lettere" recapitate, due
secoli dopo, ad Eusebio di Cesarea. Padri tutti ignari dei loro "colleghi" mrtiri.
Ma se gli scribi che inventarono i Padri non lo hanno fatto, questo dimostra che Nerone
non crocifisse alcun gesuita sino alla fine del Medio Evo.
I docenti spiritualisti, ad iniziare dal dottore Andrea Nicolotti, "assegnatista di ricerca"
all'Universit di Torino, riferiscano l'insieme di queste risultanze ai loro discepoli, non le
nascondano fingendo di ignorarle ... anche se, al prof. Andrea, ormai non resta che
concludere la sua famosa ricerca universitaria sulla "demonologia" e "l'esorcismo nei
primi tre secoli del cristianesimo" nell'intento di scoprire "pie pratiche" efficaci a
scacciare la "malefica" verit della Storia, divenuta oggi lo strumento brandito da Satana
contro la sacrosanta verit della Fede.

La mancata testimonianza dei primi Padri unulteriore dimostrazione che Nerone


non crocefisse seguaci di Ges, perch, innanzitutto, non esistevano n Padri, n
Vescovi, n mrtiri gesuiti nel corso di tutto il I secolo. Le prove della loro esistenza
verranno costruite, successivamente, dai riformatori della nuova religione universale per
confermare lAvvento di Ges, Figlio di Dio, capo e iniziatore della setta dei cristiani
gesuiti. "Prove" cristiane ed extracristiane, una dopo l'altra, vengono neutralizzate da
archeologia, filologia e razionalismo storico.
La deposizione tacitiana in esame - lo abbiamo accertato con l'errore del "Procurator"
evangelico chiamato a rimpiazzare un "Praefectus" romano - stata creata, molti secoli
successivi la prima traduzione in latino dei Vangeli, per mano di un pio scriba dopo che il
Cristianesimo del Salvatore del Mondo era ormai pervenuto al potere e diventato religione
di Stato.

Ma ancora non basta

Dopo una prima espulsione dei Giudei, voluta da Tiberio nel 19 d.C., questi ultimi nel 41
d.C. "erano talmente cresciuti di numero che Claudio non li espulse ma ingiunse loro di
non riunirsi, pur permettendo di conservare i costumi tradizionali" (Cassio Dione: Storia
Romana LX 6,6). Promulgando un apposito editto, Claudio viet agli Ebrei alessandrini di
accrescersi ed emigrare da Siria ed Egitto definendoli come "una piaga della
terra" (Corpus Papyrorum Judaicarum = CPJ II 153). Nello stesso anno, come sopra
riferito, l'Imperatore nomin Erode Agrippa I re di tutta la Palestina ma, dopo la morte di
quest'ultimo nel 44, i moti di ribellione in Giudea ripresero vigore e si estesero sino a
Roma, di conseguenza, come gi Tiberio, anche Claudio ordin nuovamente di cacciarli
nel 49 d.C. con un decreto che Svetonio sintetizz in sette parole:

Iudaeos impulsore Chresto adsidue tumultuantes Roma expluit: i Giudei, su


istigazione di Chresto, si sollevavano continuamente, (Claudio) li espulse da
Roma (Cla. 25).

La relazione Chresto/Giudei non lascia dubbi che si trattasse di "Christo", il Messia


Davidico atteso dagli ebrei Zeloti, rivoltosi contro la dominazione romana della Terra
Promessa a loro da Yahw. Gli integralisti, pronti a ribellarsi all'autorit, avrebbero
riconosciuto come loro capo soltanto un ebreo di pura discendenza
giudaica chiamato con un nome e patronimico di stretta osservanza della loro
tradizione; pertanto non avrebbero mai seguito uno strano agitatore sovversivo avente
per nome un "aggettivo" greco privo della garanzia originaria israelita.

Lo storico Presbitero Paulus Orosio, collaboratore di S. Agostino e allievo di san


Girolamo, quando riport questo passo di Svetonio nelle sue Historiae Adversus
Paganos ultimate nel 418 d.C. (Op. cit. VII 6,15) ...

"Racconta Giuseppe Flavio che nel nono anno del regno di Claudio (49 d.C.) i Giudei
furono espulsi dall'Urbe. Maancor pi mi impressiona Svetonio che si esprime
cos: Claudio, su istigazione di Christo, espulse da Roma i Giudei in continuo tumulto

... afferm di esserne stato colpito perch era attestato impulsore Christo (non
"Chresto") in una vicenda che vedeva coinvolti solo gli Ebrei, vittime di una repressione
che ignorava la presenza dei Cristiani gesuiti.
Paulus Orosio non poteva prevedere che le future "eminenze grigie" ecclesiastiche - una
volta compreso il nesso
compromettente che rivelava l'esistenza esclusiva di cristiani giudei ignorando i
cristiani gesuiti - avrebbero successivamente modificato "Christo" in "Chresto", un
aggettivo greco che vuol dire "buono", ricorrendo allo stratagemma di trasformare
l'attributo divino giudaico in un nome proprio. L'espulsione dei Giudei fu un evento che,
in base alle fonti non manomesse in possesso del Presbitero cronista, aveva riferito
anche Giuseppe Flavio.
Stiamo progredendo nella ricerca e non possiamo fare a meno di rilevare la censura di
una cronaca, che fu riportata direttamente nei testi dallo storico fariseo, a noi trasmessa
mutila, di un episodio realmente avvenuto, con il preciso intento di colmare il grave
"vuoto" storico dei seguaci di "Ges".
Un eminente sacerdote ebreo riferisce e commenta tutte le persecuzioni subite dai Giudei
da parte dei Cesari ma dimentica soltanto quella in cui si parla di Cristo Perch?
Era un caso grave che lo coinvolgeva direttamente (siamo nel 49 d.C., quando lui aveva
12 anni) anche sotto il profilo religioso, poich i Giudei erano in attesa della venuta del
Messia, e Giuseppe, possiamo dimostrarlo, riport levento spiegando chi era il Messia
che incitava i Giudei a rivoltarsi contro il dominio romano:

Quello che maggiormente li incit (i Giudei) nella sovversione fu unambigua profezia,


ritrovata nelle Sacre Scritture, secondo cui, in quel tempo, uno proveniente dal loro
paese sarebbe divenuto il Dominatore del Mondo cos alcuni Giudei interpretarono i
presagi come a loro faceva piacere, altri non li considerarono.

Questa testimonianza sul Messia "Dominatore" - ravvisato poi (nel 67 d.C., dopo la sua
cattura) dallo storico ebreo in Vespasiano (Bellum VI 310/315) - entrava in contrasto con
il Messia gesuita Salvatore del Mondo evolutosi dalla riforma degli Esseni a seguito
dell'olocausto giudaico, prima del quale avevano profetato l'avvento di un Messia cosiffatto
nel frammento di Qumran (4Q246):

"Egli sar chiamato il Figlio di Dio: essi lo chiameranno il Figlio dell'Altissimo. Il Suo
regno sar un dominio eterno ... il popolo di Dio si lever e fermer tutti con la
spada".

E' facile capire perch gli Esseni sentirono la necessit di trasformare il "Dominatore" in un
"Salvatore", dopo lo sterminio etnico subito dai Giudei da parte di Roma, in quanto il
Messia atteso "in quel tempo" dagli Ebrei non riusc a fare strage di "Kittim"
romani. Inoltre, se fosse esistito un Ges Cristo "Salvatore del Mondo" a guisa dei vangeli
canonici o del "Testimonium Flavianum" - falsamente accreditato a Giuseppe Flavio da
Eusebio di Cesarea tre secoli dopo - lo storico avrebbe dovuto riferirlo contrapponendolo,
ideologicamente, al Dominatore del Mondo. Un particolare, questo, opportunamente
valutato dall'impenitente falsario Vescovo Eusebio che provvide subito a "fagocitare" nella
dottrina cristiana la profezia ebraica di Giuseppe sul "Dominatore del Mondo" riferendola a
"Ges Cristo" (HEc. III 8,11) ... ma tenedosi alla larga dal "Christo" di Svetonio.

Ecco spiegato perch gli scribi cristiani, successivamente, si vedranno costretti


ad eliminare questa testimonianza dellebreo a partire da Eusebio, il quale, nella
sua "Historia Ecclesiastica", non riport la persecuzione di Claudio nei confronti dei
Giudei: sapeva che quell'evento, riferito da Svetonio e Giuseppe Flavio, informava su un
"Cristo" ideologicamente pericoloso perch in contrasto con quello della Chiesa.
Eusebio ignor addirittura gli "Atti degli Apostoli", i quali narrano della persecuzione
rapportandola indirettamente a san Paolo (per creare prove sulla sua esistenza) ma
"sorvolano" su quel "Christo" evitando di mettere il dito nella piaga della dottrina. Con
l'identico fine gli storici clericali odierni, non trovando altri appigli, ad iniziare dalla docente
cattolica Marta Sordi, hanno scelto di far passare da scemo lo storico presbitero cristiano,
Paulus Orosio, per aver riferito il brano sopra citato su Christo e i Giudei nella sua opera ...
voluta da sant'Agostino.
E pensare che sino a qualche anno fa tutti gli esegeti cristiani, fra cui la stessa Sordi,
con protervia, ostentavano il brano di Svetonio come prova inconfutabile dell'esisteza del
loro Ges Cristo "Agnus Dei" ... ma, le analisi degli storici atei, evidentemente, hanno
colpito nel segno raggiungendo lo scopo di fare venir meno la loro sicumera.

Christo il nome greco di Christs traslitterato in latino in maniera errata (come gi


evidenziato laccostamento Christo e Giudei non lascia dubbi che si trattasse di
"Christs", il Messia ebreo) e contraddice il Christus in latino corretto di Tacito ma, era
di Tacito?
Svetonio fu Segretario dellImperatore Adriano e addetto agli Archivi Imperiali; egli scrisse
in latino Vita dei Cesari intorno al 120 d.C. Questo particolare induce pensare che i
latini di Roma, a quella data, non conoscevano la dizione latina corretta di Christus
tanto meno Iesus Christus.
Poich Tacito scrisse Annales alcuni anni prima di Vita dei Cesari redatti da Svetonio,
la sua precisione della forma letteraria di Christus, dimostra che fu introdotta da
una pia mano molti secoli dopo. Per inciso: il Christo di Svetonio (come giustamente
riferisce Orosio) sincero, mentre il Christus di Tacito no!
Infatti Svetonio, in qualit di Segretario degli Archivi Imperiali, lesse Tacito pertanto, se
dagli Annales (come a noi risulta oggi nel XV libro) avesse saputo che Christus fu
ucciso sotto Tiberio (che mor nel 37), si sarebbe sentito in obbligo di chiarire chi potesse
essere quel Christo che nel 49 d.C. fu istigatore o ispiratore delle sommosse giudaiche

No! Quando Svetonio lesse gli Annales non vi trov lepisodio del cap. 44 del XV
libro, cos come ci stato tramandato dai pii copisti, desiderosi di creare testimonianze su
Ges e i suoi mrtiri a partire dal I secolo.

Peraltro, stando al Codex Laurentianus MS 68 II, cos come a noi pervenuto, ancor pi
stridente il "silenzio" di Tacito sul decreto di Claudio del 49 d.C. avverso i Giudei. Come
si spiega che lo storico latino, dopo averci informato del gi riferito provvedimento di
Tiberio avverso i Giudei, risalente al 19 d.C., "dimentichi" l'analogo atto di Claudio
dovutamente registrato negli Archivi Imperiali e negli Atti del Senato? La risposta
semplicissima: la cronaca tacitiana fu censurata dai copisti cristiani consapevoli della
contraddizione implicita in un "Cristo" (Messia) ucciso sotto Tiberio, il quale mor nel
37 d.C., ed un altro "Cristo" (Messia) che istigava i Giudei (non i cristiani gesuiti) a
ribellarsi sotto Claudio nel 49d.C. E' evidente che, ammettendo l'evento in ipotesi, Tacito
si sarebbe sentito in obbligo di chiarire ... una assurdit senza alcun senso.
Chiunque intende manomettere la storia faccia molta attenzione e si accerti, prima di
alterare qualsiasi vicenda reale, delle molteplici "ricadute" su tutti i fatti interconnessi e
conseguenti. Svetonio non si limit a leggere solo Tacito ma, spinto dalla seconda guerra
giudaica avviatasi in Alessandria d'Egitto sotto Traiano, per conoscere le motivazioni che
spingevano gli Ebrei a ribellarsi continuamente, lesse anche Giuseppe Flavio (cfr Vesp.
5) ma non vi trov scritto il"Testimonium Flavianum" (sar inventato da Eusebio di
Cesarea nel IV secolo), che riferiva l'Avvento di Cristo e la Sua fine in croce, con tanto
di "nome e cognome": Ges Cristo.
Ne consegue che, nel I secolo, il "Christo impulsore" dei moti giudaici sotto Claudio,
riferito da Svetonio, poteva essere soltanto il "Messia" ebraico dell'Attesa ancora senza
nome ... non il Messia "Ges" dell'Avvento.
Alle eminenze grigie ecclesiastiche non rimase che ordinare agli amanuensi di modificare
il titolo divino "Christo" giudaico del brano svetoniano (inteso come "Messia") nel comune
aggettivo greco "chresto" che vuol dire "buono".

Tacito, Plinio il Giovane, Svetonio e Traiano erano contemporanei e al vertice dello Stato
imperiale romano, pertanto, non sono accettabili rapporti scoordinati su quel Cristo, che
si ignoravano lun laltro, al punto di sottacere il grave episodio dell'eccidio neroniano.
Com possibile che Svetonio, quando scrisse Vite dei Cesari, non abbia connesso
il Christo del 49, quello attestato da un costernato ma sincero Orosio, allincendio di
Roma? E perch lo storico gesuita Orosio non sapeva del martirio di massa di Cristiani
ordinato da Nerone? Svetonio, segretario degli Archivi Imperiali sotto Adriano, nel 120
d.C., non poteva trascurare, n la vicenda storica, n gli Annales gi scritti da Tacito, che
considerava suo maestro, pochi anni prima.
Per contro, com possibile che Tacito, al termine dellincendio di Roma del 64, quando gli
scribi falsari gli fecero testimoniare che Christus fu ucciso sotto Tiberio (lImperatore mor
nel 37), non sapesse che lo stesso fu il promotore dei moti giudaici nel 49, causa del
decreto despulsione? Perch Tacito non riferisce questo episodio, avvenuto realmente e
conosciuto dai suoi genitori o amici pi anziani?
Esiste solo una risposta a queste contraddizioni: la vera cronaca di Tacito sulla
persecuzione dei Giudei nel 49 d.C."impulsore Christo", sotto Claudio, doveva essere
censurata dai copisti cristiani nel manoscritto laurenziano 68 II, come risulta. Essa entrava
in contrasto con laltra cronaca, interpolata nel passaggio mirato su Cristo e Pilato, finta
ma molto pi importante ai fini della testimonianza cristiana: il martirio dei cristiani
gesuiti perpetrato da Nerone riferiva che Cristo era stato giustiziato sotto
Tiberio che mor nel 37 d.C.
Non un caso se nessuno dei "Padri della Chiesa" rifer la testimonianza di Svetonio,
ad eccezione di Orosio, il quale afferm, esterrefatto, che anche Giuseppe Flavio la
riportava ... senza aggiungere altro perch vi lesse che i Giudei erano spronati nei moti
insurrezionali convinti dalla profezia che sarebbe giunto il Messia "Dominatore del
Mondo": un condottiero divino che li avrebbe guidati nella guerra di distruzione
dei "Kittim" romani e liberato per sempre la terra d'Israele dal loro dominio.

Ma ancora non basta

In quei fatidici giorni di Luglio del 64 d.C., mentre il fuoco, inesorabilmente, divorava la
Capitale del Mondo, un giovane testimone, aitante e di belle speranze, si allontanava
correndo dal Palazzo per sfuggire alle fiamme che avanzavano minacciose.
A volte si dice guarda caso! Beh ... il caso successe veramente: il giovane in
questione era il Testimonium per eccellenza: Giuseppe Flavio!
Nella sua autobiografia, (Bio. 3,13-16) lo storico sacerdote fariseo, ebreo
conservatore, racconta che alla fine del 63d.C., allora ventiseienne, su mandato del
Sinedrio di Gerusalemme, si rec a Roma a perorare, presso lImperatore in persona, la
liberazione di altri sacerdoti l inviati, in stato di arresto, dal precedente Procuratore di
Giudea, Antonio Felice, per giustificarsi da accuse risibili, e si trattenne nellUrbe
sino a circa la met del 65 portando a termine la missione affidatagli dopo che riusc a far
liberare i sacerdoti e ottenuto da Poppea non solo questo beneficio, ma anche
grandi favori, me ne tornai in patria. Giunse a Gerusalemme tra fine 65 inizio 66 d.C. e
vi trovai i primordi delle agitazioni rivoluzionarie.

S, nel 64 e prima fase del 65 d.C., Giuseppe era a Roma e avrebbe dovuto vedere
lincendio e il martirio di unaingente moltitudine di cristiani avvenuto fra cumuli di
macerie riarse.
Solo che il Testimonium non ne parla. Niente. N di incendio, n di martirio, n di rovine
riarse. Lui riferisce soltanto quello che vi abbiamo detto in poche righe. Lo
storico descrive, dettagliatamente, Nerone anche in Antichit Giudaiche e in La
Guerra Giudaica ma di questo episodio, gravissimo, non fa alcun cenno, pur essendo
stato ospitato nella corte da Poppea.
Riflettiamo un momento: sappiamo che lincendio avvenuto, essendo troppi gli storici
depoca che lo citano e i reperti archeologici lo confermano; quindi scontato che lebreo
lo abbia visto e ne sia rimasto sconvolto. Un fariseo filo romano ha avuto loccasione di
andare, personalmente, a visitare la capitale del mondo, di conoscere dal vero la
potenza imperiale, i palazzi degli uomini che dominavano e governavano la terra,
lorganizzazione militare, il foro, i monumenti, i templi, i giochi, il circo, i giardini, il Cesare,
e i resti inceneriti della metropoli distrutta dal fuoco ma nella memoria di quel
viaggio non risulta nulla di tutto ci.

Non torna! No, proprio non torna! Proviamo a sentire cosa dicono gli storici spiritualisti
nel loro Congresso s, ne parlano: il silenzio di Giuseppe, sui mrtiri cristiani e
sullincendio, per loro ininfluente! Come, ininfluente? No! Stanno mettendo le mani
avanti, hanno paura di cadere ora iniziamo a capire: dietro tutto c lAbate Priore
Mistico.
Lui, il Grande Abate Prior, leggendo la Autobiografia* dellebreo, quando arriv a
questo capitolo che parlavadellincendio senza citare il mrtirio dei cristiani, cap le
gravi implicazioni che ci avrebbe comportato:diversamente da tutti gli storici che non
avevano parlato del martirio correlato allincendio, Giuseppe era un Giudeoche veniva
dalla terra dove stava dilagando il cristianesimo, la rovinosa superstizione e come
tale veniva chiamato in causa direttamente.

* I manoscritti che ci hanno trasmesso "Autobiografia" (Bios) vennero copiati dagli


amanuensi ad iniziare dall'XI secolo, vale a dire alla stessa datazione del Codex
Laurentianus MS 68.2 degli "Annales" di Tacito la cui falsificazione comport, gioco
forza, la censura di alcuni brani del terzo capitolo di Bios afferenti la permanenza a Roma
del sacerdote ebreo durante l'immane incendio del 64 d.C. Parimenti, le date delle
trascrizioni pi antiche di tutti i resoconti storici di Giuseppe Flavio e Cornelio Tacito
insieme, risalgono all'XI secolo: la coincidenza dimostra che la decisione del Clero fu
concordata dai pi alti gradi gerarchici, previo gli accorgimenti intesi a salvaguardare le
"verit" della "tradizione sacra". A tal fine venne trascritto il testo di "Antichit Giudaiche"
contenente, per la prima volta, i Libri dal XVIII al XX: il Codex Ambrosianus F 128,
ovviamente con inserito il falso "Testimonium Flavianum" e il "detto Cristo" aggiunto a
"Ges, fratello di Giacomo". I codici trascritti ex novo in epoche successive, beninteso in
coerenza, riportano tutti le medesime falsificazioni.

Se Giuseppe, veramente, avesse assistito allo spettacolare martirio dei cristiani -


nome che lui, a conoscenza del greco, intendeva messianisti, seguaci di
un Messia gi venuto, lEletto di Yahwhe, il cui Avvento fu annunciato dai Profeti
fondatore di una nuova religione, originatasi nella sua terra - come sacerdote giudeo,
avrebbe scritto, scritto, e ancora scritto molto pi che il Testimonium Flavianum
Il Grande Martirio doveva essere la Grande Testimonianza che lui, Abate Priore Mistico
Depositario della Verit della Fede Cristiana, aveva fatto rendere a Tacito, lo storico pi
accreditato di tutto lImpero! Ma poi? Cosa ne avrebbero dedotto, un domani, gli storici
dal resoconto autobiografico di un sacerdote giudeo, innocente testimone del solo
incendio? No, nessuna logica avrebbe potuto giustificare due testimonianze cos
contraddittorie fra loro: quella di Tacito sui cristiani seguaci di un Messia e il silenzio
del giudeo Giuseppe sui mrtiri ardenti di Roma seguaci del Messia che lui e il suo
popolo stavano aspettando.

E questo ancora era niente. Sempre lui, Abate Priore Massimo, sapeva che laltro Santo
Episcopo, Eusebio di Cesarea, Venerabilissimo Padre della Fede Cristiana, prima di lui
aveva inserito in Historia Ecclesiastica il Testimonium Flavianum che parlava di Ges
Cristo ma, dopo un martirio di messianisti cos clamoroso e spettacolare, unaltra
testimonianza su quel Messia giudeo, additittura "Figlio" dello stesso Yahweh, ed i
suoi seguaci crocifissi in Roma, era dobbligo, ma avrebbe dovuto essere
molto, troppo, pi impegnativa.
Testimonianza? Perch testimonianza?! Sotto la tortura, non testimonianza! Lui, come
Giudeo, proveniente dalla terra dove si era generata la rovinosa superstizione,
sarebbe gi stato "cristianizzato" e come infiltrato nel Palazzo, lo avrebbero preso e,
prima torturato e poi crocifisso, anche lui, insieme a tutti gli altri cristiani messianisti,
compresi i sacerdoti che erano in prigione; nondimeno in tal caso, le opere dell'ebreo
non sarebbero giunte sino a noi

A questo punto, lAbate Priore Mistico, con le mani tremanti, la fronte imperlata di sudore,
decise che la cosa pi saggia, per evitare brutte sorprese storiche, era di togliere il
capitolo dellincendio di Roma da tutte le opere dellebreo e, di conservarlo
nellinceneritore, cio di renderlo ininfluente come dicono gli storici baciapile odierni,
convinti che il mondo sia pieno di creduloni: ininfluente, ovvio.
E, no! Altro che ininfluente. Se Giuseppe, come giudeo, pot scrivere le sue opere, vuol
dire che non ci fu alcun martirio di cristiani, a Roma, nel 64 d.C., anche se, sappiamo, i
beati poveri di spirito dovranno rileggersi questo capitolo una dozzina di volte per capirlo
forse.

ma, ancora non basta

Parte III: sintesi

Unaltro particolare accomuna gli scritti dei due storici e riguarda sia il Testimonium
Flavianum che questo capitolo degli Annales: entrambi sono interpolazioni inserite
cronologicamente in maniera errata.
Ora osserviamo nei particolari lincendio di Roma avvenuto nel Luglio del 64 d.C. descritto
nel XV libro. I capitoli interessati vanno dal 38 al 44.
Il 38, 39 e 40 descrivono lenorme catastrofe e il dramma della popolazione in modo
realistico, particolareggiato ed efficace, quasi fosse un evento vissuto da Tacito; quelli dal
41 al 43 parlano della ricostruzione di Roma e la edificazione della Casa Dorata
(Domus Aurea) di Nerone, ed infine, ma dopo, il capitolo del martirio e la testimonianza su
Cristo e Pilato: il famoso 44 controverso.
La capitale dellImpero, allepoca, contava circa un milione di abitanti distribuiti in
quattordici rioni (regiones urbis) di cui dieci finirono quasi interamente distrutti.
Lo storico, alla fine del 38 capitolo, riferisce che limmane trappola di fuoco non fu
accidentale, ma voluta, e coloro che appiccavano il fuoco con le torce gridavano
che avevano ricevuto lordine". Alla fine del 39 leggiamo:
Si era sparsa la voce che, mentre la citt era in preda alle fiamme, (Nerone) era salito
sul palcoscenico del Palazzo a cantare la caduta di Troia, paragonando a quellantica
sciagura il disastro attuale;
e nel 40 vengono ribadite le dicerie che accusano Nerone di avere voluto lincendio
per cercare la gloria di fondare una nuova citt e darle il suo nome; poi, nel 41,
valutazione dei danni; successivamente, nel 42 e 43,edificazione della Domus
Aurea e ricostruzione di Roma.
Siamo arrivati al 44 capitolo e rileggiamo:

Ma nessun mezzo umano, n largizioni del principe o sacre cerimonie espiatorie


riuscivano a sfatare la tremenda diceria per cui si credeva che lincendio fosse stato
comandato. Per far cessare queste voci, Nerone invent dei colpevoli.

Si gi capito come and. Il copista amanuense (era un artista e sappiamo come sono gli
artisti) si fece uno spinello dincenso di troppo e dimentic la raccomandazione che lAbate
Priore Mistico gli aveva ripetuto cento volte:

Fai attenzione fratello non ti distrarre e rispetta, tassativamente, la cronistoria;


pertanto, questo capitolo inseriscilo subito dopo il 40 perch l si citano le ultime dicerie;
occhio! E un passo molto importante, e se lo metti in fondo, dopo la ricostruzione, si
capirebbe che passato troppo tempo e le dicerie, che devono rappresentare il
movente del principe per martirizzare i Cristiani, non avrebbero pi senso, e tieni
presente che il Nero muore nel 68. Hai capito? Vai! Datti da fare ah, un momento,
quando hai finito portami il manoscritto originale di Tacito che ci penso io a conservarlo
come tutti gli altri.

Labatino fece tutto quello che gli disse lAbate Priore: gli riport loriginale e questi lo
conserv subito nellinceneritore; solo che lamanuense, avendo capito fischi per fiaschi,
inser il brano dopo il 43 anzich il 40, cos oggi leggiamo che il Nero soffoca
una diceria ormai sbollita da anni necessari a ricostruire Roma. Linterpolazione
incollata dopo la ricostruzione obbliga il Principe a fare un supplizio a freddo che
non ha pi senso, se non per la spettacolare testimonianza dottrinale.

Il vero significato di questo anacronismo saremo in grado di spiegarlo, dettagliatamente,


pi avanti, con ulteriori informazioni storiche, consapevoli, sin dora, che la ricostruzione
non pot avvenire prima di due o tre anni.
Come vedremo, nel 66 d.C. si metteranno in moto avvenimenti di una valenza tale che, ad
iniziare dalla guerra giudaica, sommati alle conseguenze economiche causate
dallincendio, porteranno alla caduta di Nerone. Vicende che non risultano riportate negli
Annales di Tacito: svista di gravit estrema che si spiega solo con la censura praticata,
molti secoli dopo, dai copisti attenti a non lasciare tracce che permettessero di individuare
nessi o correlazioni storiche, pericolose per la credibilit della persecuzione dei cristiani a
seguito dellincendio ... al punto di "portare alla luce" il Codice tacitiano, proveniente
dall'Abbazia di Montecassino, ricopiato ma "tagliato" nella cronistoria in maniera mirata. E'
doveroso da parte nostra rimarcare questa importante considerazione perch un Padre,
Dottore della Chiesa veramente esistito nel IV secolo, san Girolamo Sofronio, in una delle
sue opere "Commentarium in Zachariam" (3,14) giunta sino a noi con questa
testimonianza sfuggita ai futuri censori cristiani della storia, rifer:

"Cornelio Tacito stil trenta rotoli manoscritti sulla vita dei Cesari, dalla morte di
Augusto alla morte di Domiziano".

Una informazione di importanza tale che, al fine di acclarare l'epurazione delle opere
tacitiane, ci impone di proseguire nell'indagine perch dalla lettura di tutti i lavori di
Girolamo non risulta alcun riferimento ai mrtiri gesuiti crocefissi a Roma da Nerone a
causa dell'incendio del 64. Basta scorrere la lunga lista dei primi eroi, fondatori del
cristianesimo primitivo, le cui vite furono riportate dallo stesso Girolamo in "De viris
illustribus", per accertarsi che, tranne "Giacomo il Maggiore", nessuno degli
immaginari Apostoli ed evangelisti risulta essere stato "martirizzato" entro il 64 d.C.:
sonotutti morti dopo tale data. Poich il Codex MS 2 Q Neoeboracensis, che ci ha
tramandato il "De viris illustribus", datato al IX secolo, cio antecedente al Codex
Laurentianus MS 68.2, ecco spiegata l'enorme contraddizione conseguente alla
adulterazione del lavoro di Cornelio Tacito, il cui titolo originario era "Ab excessu divi
Augusti". E possiamo scommettere che san Girolamo non si limit a contare i rotoli, al
contrario, li lesse con molta attenzione appunto per verificare l'esistenza dei primitivi
Cristiani ... gesuiti. Ma non vi trov cronache che potessero accertare l'esistenza di
seguaci del Redentore ebreo, Figlio di Dio. E dopo Girolamo, con identico scopo, chiss
quanti altri custodi delle "verit" della Fede avranno letto i rotoli di Tacito, invano ... infine
hanno scelto di distruggerli dopo averli copiati, previa censura di alcuni Libri e brani,
compromettenti, al punto che avrebbero dimostrato l'esatto contrario. A proposito di
inganni, ricordiamo agli esegeti odierni che si accingono a catechizzare la storia: fate
molta attenzione e accertatevi, prima di alterare qualsiasi vicenda reale, delle molteplici
"ricadute" su tutti i fatti interconnessi e conseguenti.

Ma ancora non basta

Ci sono contraddizioni ideologiche, molto gravi, che dobbiamo definire. Proviamo a


metterci nei panni di quel milione di Romani di allora anzi, ammettiamo per un momento
che, nella Roma di oggi, degli energumeni, agli ordini di un potente psicopatico,
incomincino ad incendiare le case della gente (anche quelle dei credenti), e immaginiamo
quali potrebbero essere le reazioni (anche quelle dei credenti) nel sentirsi dire stiamo
eseguendo un ordine: innanzi tutto gli esecutori di ordini verrebbero immediatamente
cotti alla brace (anche dai credenti) e, subito dopo, si scatenerebbe una guerra civile
contro il Palazzo dello psicopatico.
Stabilito ci, ci sorgono dubbi atroci e

La prima domanda : perch un milione di Romani permisero, senza reagire, come


inebetiti, che degli uomini incendiassero le loro case provocando migliaia di morti nelle
trappole di fuoco create, contemporaneamente, in molti siti per impedire le vie di fuga?

La seconda domanda : perch, alla fine del capitolo 44, dopo aver organizzato lo
spettacolo e lingente moltitudine di cristiani ardeva sulle croci per illuminare la scena, il
Nero, vestito da auriga, se la spassava tranquillamente, non protetto dalle guardie
pretoriane, in mezzo al popolo, senza che la plebe si vendicasse del male sofferto facendo
arrostire lui, il Principe?
Eppure, la diceria popolare, che lo accusava come responsabile, appare ancora
(sic!) esplicita nel capitolo 44.

La terza domanda : se una massa di gente convinta che il Cesare ha bruciato le loro
case e i propri cari, come possibile farla ricredere inventandosi dei colpevoli ? Un
milione di Romani ha provato sulla propria pelle le conseguenze del fuoco e della
devastazione, sa chi il colpevole e lui cosa fa? Prende una ingente moltitudine di
loro, li incolpa, li crocefigge e tutto finisce con un bel baccanale ardente
Chi ha scritto questo un tarato mentale! Lo scriba falsario non ha riflettuto che fra le
case bruciate vi erano anche quelle di una ingente moltitudine di cristiani e questo
particolare, non solo li avrebbe assolti dallaccusa inventatacontro di loro, ma avrebbe
promosso la solidariet popolare in loro favore; anzi sarebbero stati il popolo, e
Nerone, attaccando loro, avrebbe nuovamente attaccato il popolo di Roma dopo avergli
gi distrutto le case No! Non torna! Cosa aspettava quel popolo a reagire?
Qualora fosse vero quanto descritto nel cap. 44.

La quarta domanda verte sul dilemma basilare di chi avrebbe dovuto eseguire un
ordine simile, piuttosto su chi lavrebbe dato. Gli storici mistici, da sempre, si arrovellano
per risolvere questo problema. Hanno dovuto scartare i militari, perch non avrebbero mai
eseguito lordine di attaccare e distruggere Roma, ordine a cui si sarebbero ribellati e,
anche ammesso (per assurdo) fosse avvenuto, tutti gli storici lo avrebbero riportato.
Inoltre, la conseguente guerra civile popolare contro il Palazzo sarebbe avvenuta
comunque e, sia Tacito che gli altri scrittori lo avrebbero riferito: ma niente di tutto questo
risulta dalla storia.
E allora, cosa studiare ? Semplice: riprendere una diceria di Svetonio (Nero 38); un
brano cos confuso che doveroso dichiararlo manomesso perch in esso risulta
edificata la Casa Dorata (Domus Aurea) prima dellincendio. L si parla di cubicularii,
cio camerieri! s: i servi di camera e, secondo gli esegeti contemplativi ispirati, and
cos

Una mattina di Luglio del 64 (molto tardi), ad Anzio, il Nero, dopo una notte di bagordi, si
sveglia e incomincia a studiare come passare il tempo. Sbadiglia, profondamente
annoiato, viziato, ha provato tutte le sensazioni possibili e non sa cosaltro inventarsi
Dopo essersi grattato la capoccia una ventina di volte, allimprovviso, gli si accende una
torcia nel cervello S, a quei tempi non cerano le lampadine e questo fu la sfortuna di
Roma.
Lui, con le torce, poteva risolvere tutti i problemi: avrebbe distrutto la citt che, essendo
poco ellenica, gli faceva schifo. Lavrebbe ricostruita, a tempo di record e, dopo aver
fatto ricadere la colpa sui cristiani, li avrebbe accesi crocefissi; ultimo ritrovato
tecnologico per illuminare le nuove opere di urbanizzazione, mox (subito dopo) la fine
dei riti propiziatori e di ringraziamento agli Dei previsti dallinaugurazione.
S, la giornata prometteva bene, batt le mani e chiam deciso: cubicularii e, ancora
pi imperioso: cubicularii !. Subito entrarono i camerieri e si inginocchiarono dicendo:
comanda Divino Cesare . E il Nero: Prendete torce e stoppini e andate a incendiare
Roma !!?! Ma, Cesare hai detto di mettere a fuoco lUrbe ? S, e sbrigatevi,
che stanotte voglio vedere le lingue di fuoco alte fino in cielo Ma, se i romani fanno
obiezione, cosa diciamo? Ditegli che siete stati autorizzati! e loro: Ah beh,
se cos, eseguiamo .

E cos fecero con un particolare che, quando poi avvenne il martirio, Tacito non not:
fra la ingente moltitudine di croci ve nera una infissa capovolta: quella di Simone Pietro,
Vescovo di Roma. Questi, infatti evaso di prigione con laiuto di un angelo, dopo aver:

miracolato un cane, facendolo parlare con voce umana in latino ciceroniano; risorgere
unaringa affumicata facendola sguazzare in una piscina natatoria; sconfitto il Mago
Simone, detto lAngelo di Satana, facendolo schiantare al suolo in una gara di levitazione

(Atti di Pietro 9,2 e 13,1 - lettura evangelica che raccomandiamo ai beati credenti per
rafforzare la propria Fede nelmagnificare la Gloria del Signore) ... Pietro, infine, dopo
aver incontrato per strada Ges, nuovamente risorto e, come nulla fosse accaduto
(troppe resurrezioni erano diventate noiose), gli disse: Domine, quo
vadis? ...proseguendo, comunque, senza neanche salutarlo. Ultimata la missione
assegnatagli da Cristo in questo mondo, su consiglio del suo amico Eusebio di Cesarea
(HEc. III 1,2), in qualit di 1 Papa, chiese, ufficialmente, al Nero, di crocifiggerlo a testa
allingi, poich la sua umilt gli impediva di paragonarsi a Ges. Cosa che quel tarato
mentale del Principe approv subito per verificare leffetto scenografico di una croce
capovolta accesa.
Ma non gli bast: alcuni istanti prima di issare la croce fece chiamare Caravaggio e
Michelangelo, fra i pi grandi pittori di sempre, e ordin loro di riprendere la scena di
quellesperimento fatidico per tramandarlo ai posteri.
Questa la ricostruzione scientifica ufficiale dei fatti riportata nel verbale dassemblea,
sottoscritto alla unanimit nel Congresso degli storici spiritualisti in piena crisi mistica, che
abbiamo trafugato segretamente.
Ah, c anche una nota con scritto classificato ma, con limpegno di non dirla a nessuno,
la passiamo ugualmente:

evitare di parlare dellaccusa di Padre Tertulliano a Nerone (Apologetico 5,3): lui incolpa il
principe di aver perseguitato i cristiani con la spada, senza parlare di crocifissioni
ardenti imputabili allincendio e senza riportare il particolare di Ponzio Pilato e di Ges
Cristo. Stiamo molto attenti a non entrare in questo dettaglio perch, oltre a sconfessare
lingente moltitudine di cristiani crocifissi, dimostra che il cap. 44 nel libro XV
degli Annales di Tacito, non era ancora stato interpolato quando, nel X
secolo, gli amanuensi inventarono l'Apologetico.

La quinta domanda che poniamo agli esegeti mistici contemplativi : di tutti gli scrittori
che narrano lincendio di Roma, perch solo Tacito lo collega allo spettacolare martirio?
Noi sappiamo che i tre storici, Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane, si conoscevano. Plinio il
Giovane era amico di Svetonio e questi, a sua volta, come Segretario degli Archivi
Imperiali sotto Adriano, aveva letto gli Annali allora, perch, dei tre, solo Tacito ha
trasmesso ai posteri un evento cos eccezionale come la grande crocifissione dei cristiani
ardenti, incolpati di aver incendiato lUrbe? Un episodio di tale gravit era dobbligo
venisse riportato, oltre da loro tre, anche da tutti gli scrittori del I secolo e successivi, ad
iniziare da Plinio il Vecchio (Nat. His. XVII 1,5), Svetonio (Nero 38) e Cassio Dione (Storia
Romana LXII 16,18), i quali riferiscono dell'incendio incolpando Nerone ma ignorano
l'olocausto di cristiani ardenti.

La fantasia dimostrata nellinscenare il macabro spettacolo derivata dallesigenza


maniacale di ricorrere al martirio: il messaggio di testimonianza storica doveva essere
trasmesso col sangue arrostito; una psicosi da esaltazione spirituale cruenta che
dimostra una mentalit incapace di pensare ad altro che il sacrificio rituale di massa per
attestare la presenza di numerosi cristiani gesuiti, nel I secolo, addirittura nella capitale
dellImpero.
E perch, solo per voi, storici genuflessi (e siete rimasti in pochi), quel martirio cos
necessario? Mentre, per un semplice credente, pur sapendo che quel martirio non
avvenne, il suo credo non verrebbe intaccato perch vi ostinate a sentire il
bisogno che Nerone abbia messo sulla griglia una ingente moltitudine di cristiani?
Anzich rilassarvi, sapendo che non vi furono innocenti cristiani con i corpi straziati e
dilaniati dalle fiamme, perch, la semplice ipotesi che ci non avvenne la rigettate come se
vi dispiacesse? Riempite le vostre relazioni di latinismi, ostentate un profondo sapere del
diritto della Roma imperiale e dei suoi storici, che citate connettendoli agli Atti, ai
Vangeli, alle lettere, ai Padri apostolici e ai Padri apologisti, in modo talmente
confuso e dogmatico che non ci si capisce nulla.

Sciorinando le vostre dotte conoscenze, in questo modo, dimostrate di usarle come


scudo; i fatti sono semplici, naturali, ma voi la buttate sul difficile e, dopo il vostro, fate in
modo di raggrovigliolare il cervello della gente dolciotta che vi ascolta pur di non
rispondere alla semplice domanda che, da sempre, vi viene rivolta: perch, fra tanti
storici, solo Tacito rifer di quel grande e spettacolare martirio? Possibile che non
siate sfiorati da un minimo dubbio? Possibile che non sentiate il dovere, come studiosi,
di valutare che il grande martirio di massa, con la testimonianza di Ges Cristo, non fu
riportato sui manoscritti originali di Tacito, cos come il Testimonium Flavianum di
Giuseppe?
Ci che leggiamo oggi proviene da copie; gli originali non esistono pi: si sono persi
nella notte dei secoli entro i bui meandri dei monasteri, volutamente distrutti, e, questa
mancanza contemporanea dei manoscritti originali di entrambi gli storici, da sola,
dovrebbe obbligarvi, professionalmente, a considerare il movente ideologico religioso di
parte, contenuto nei brani riportati, prima di sottoscriverli come Storia.
Oppure, ostentando le vostre certezze, intendete coprire, opportunamente, la semplice
verit che il fedele comune neanche si immagina? Si, voi sapete tutto e non volete che
gli altri sappiano: tutte le testimonianze extracristiane del I secolo, riguardanti Ges e sui
seguaci, sono false.
Fate come i preti di un tempo: quando qualcuno poneva loro una domanda imbarazzante
rispondevano in latino.

Parte IV: sintesi

Allora, Nerone perseguit o non perseguit i cristiani?


Svetonio dice di s, senza collegare la persecuzione allincendio dellUrbe e,
particolare decisivo, senza parlare di crocifissioni ardenti e tanto meno di Ges e
Pilato (ancora non erano stati interpolati negli Annali di Tacito).
Una volta accertata la mutilazione del manoscritto tacitiano, anche noi, lo abbiamo capito
grazie a Orosio, Giuseppe Flavio e Svetonio: erano messianisti giudei sempre in
tumulto in convinta Attesa del Dominatore del Mondo prescelto da Yahwhe, sicuri che
li avrebbe salvati dal dominio romano.
I cristiani gesuiti, invece, erano cos buoni che, in attesa di essere martirizzati, se ne
stavano sereni e, con le mani giunte, guardavano fissi in cielo "assidui e concordi in
preghiera" ma questo al Nero non dava fastidio. Invece cos Svetonio:

Furono inviati a supplizio i cristiani (messianisti non gesuiti), razza di uomini dediti a
una nuova malefica superstizione (Nero 16,2).

Come gi rilevato, neanche Svetonio, alla pari di Tacito, fu chiamato a deporre, come
testimone di mrtiri gesuiti, da nessun Apostolo, Padri apologisti o "Vescovi", che
sarebbero vissuti in quel periodo, appunto perch i cristiani eranomessianisti giudei
e gli amanuensi che crearono la "tradizione" cristiana lo sapevano bene.
Giovanni apostolo non dice niente dell'eccidio di gesuiti nelle sue lettere; nemmeno
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica, rivendica Svetonio come
testimone dei suoi correligiosi mrtiri cristiani, pur essendo un fantasioso inventore di
moltitudini di beati, tutti decisi a lasciarsi morire: arsi vivi, divorati dalle belve, flagellati,
bastonati, inchiodati, lapidati piuttosto che ripudiare la fede nel Salvatore.
Al contrario degli utopici mrtiri cristiani gesuiti, immaginati soltanto dalla futura
letteratura ecclesiastica, i Giudei erano credenti poco sottomessi, molto irritabili e portati a
fare sommosse per di pi, convinti di avere ragione.
In conseguenza della guerra santa contro loccupazione romana, iniziatasi nel 66 mentre
Nerone si trovava in Grecia, lanno successivo, nel 67 d.C., il movimento messianista
giudaico dette luogo a sommosse per protestare contro lordine dellImperatore di
inviare le legioni romane, condotte da Vespasiano, a riprendersi quei territori della
Palestina che gli Zeloti avevano liberato salvato nellautunno del 66 d.C., sconfiggendo le
armate del Legato di Siria, Cestio Gallo, a Beth Horon.
Nerone, appena informato dei rovesci subiti in Giudea, fu colto da una segreta angoscia e
mentre in pubblico affettava noncuranza e disdegno, stimando che per il prestigio
dellImpero gli conveniva mostrare disprezzo per i casi avversi, ostentava un animo
superiore ad ogni calamit; ma la sua ansia interiore era tradita dalla preoccupazione.Egli
valutava a chi affidare lOriente in sommossa per punire linsurrezione dei Giudei e
impedire il dilagare della ribellione che aveva gi contagiato i paesi circonvicini e
trov che il solo Vespasiano era allaltezza del compito(Bellum III 1-2).

I Damasceni (di Damasco), venuti a sapere la disfatta subita dai Romani, si affrettarono a
sterminare i Giudei residenti nella loro citt Alla notizia della strage, i Giudei si diedero a
devastare i villaggi dei Siri e le citt vicine, Filadelfia, lEsebonitide, Cerasa, Pella e
Scitopoli. Poi piombarono su Gadara, Ippo, la Gaulanitide, mettendole a ferro e a fuoco,
quindi avanzarono contro Cadasa dei Tiri, Tolemaide, Gaba e Cesarea. Neppure Sebaste
e Ascalona resistettero al loro assalto e dopo averle date alle fiamme distrussero anche
Antedone e Gaza ... (Bellum II 462 e segg.).
Tutta la Siria divenne teatro di orribili sconvolgimenti; ogni citt si divise in due
accampamenti (Giudei contro Pagani: e i Cristiani?) e la salvezza degli uni consisteva nel
prevenire gli altri. E passavano il giorno a scannarsi e a far strage degli avversari spinti
dalla cupidigia, infatti si appropriavano a man salva delle sostanze della gente ammazzata
e, come da un campo di battaglia, si portavano a casa le spoglie degli uccisi, e si copriva
di gloria chi aveva fatto pi bottino. Si potevano vedere le citt piene di cadaveri insepolti,
corpi di vecchi e di bambini gettati alla rinfusa, di donne senza il pi piccolo indumento e
lintera provincia (di Siria) piena di orrori indescrivibili (Bellum ibid.).

Ma i Giudei ne pagarono subito le conseguenze e la Storia, nella tarda primavera


del 67 d.C., registra la stessa scena come quella riportata dallo scriba di Dio (a
nome di Tacito) sulla persecuzione dei cristiani seguaci di Ges:

Al tempo in cui era stata dichiarata la guerra, e Vespasiano era da poco sbarcato in
Siria, mentre dappertutto era salita al massimo la marea dodio contro i Giudeiad
Antiochia i Giudei furono accusati di aver tramato di dare alle fiamme tutta la citt in
una sola notte s che a stento fu impedito che il fuoco si appiccasse a tutta la citt il
popolo non seppe contenere il furore e si scagli contro la massa dei Giudei, convinti
che per salvare la patria bisognava punirli e decret che gli individui
consegnati morissero tra le fiamme e subito quelli furono tutti bruciati nel
teatro (Bellum VII 46/62).

S, proprio cos, questo evento fornir lispirazione della sceneggiatura del martirio
cristiano di massa ai futuri Abati Priori copisti falsari manca solo Nerone sul
cocchio vestito da auriga.
E tutto ci, come per i martiri riarsi cristiani gesuiti, avveniva in Antiochia nella
indifferenza dellevangelista Giovanni (sulla mezza et allepoca dei fatti se fosse
esistito) e dei Padri Apostolici, anchessi inesistenti testimoni per niente preoccupati del
pericolo che correvano le folle antiochene cristianizzate da san Barnaba e san Saulo
Paolo, in numero tale che "una folla considerevole fu condotta al Signore Ges e ad
Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati Cristiani" (cfr. At 11,20/26).

La rivoluzione popolare del 66 d.C. fu promossa e capeggiata dai sacerdoti giudei (erano
migliaia), farisei zeloti ed esseni zeloti, decisi, con una Guerra Santa, a liberare la terra del
popolo di Israele dal dominio pagano. Come riferisce Tacito:

I Giudei assegnavano alla dignit sacerdotale il ruolo di sostenere la propria


potenza.
Giuseppe, discendente dalla pi elevata ed eccellente stirpe sacerdotale, ormai famoso
per la sua impresa, essendo riuscito a liberare i sacerdoti giudei con laria di fronda
patriottica religiosa che tirava, dopo un primo momento dincertezza, ritenne pi igienico
fingersi dei loro abbracciando la causa della Salvezza della Terra Santa.
Su mandato del Sinedrio, in virt dei suoi titoli, fu insignito del comando delle forze
ebraiche della Galilea, costituite da alcune decine di migliaia di uomini ma, niente affatto
convinto di combattere contro le legioni romane, fu investito, anzi se la squagli prima
di farsi stritolare dal rullo compressore dei legionari del futuro Imperatore.

Giuseppe (lui) vedeva a quale triste fine stavano per andare incontro i Giudei e
riconosceva che lunica salvezza per loro era cambiare politica. Personalmente egli si
aspettava di essere perdonato dai Romani, tuttavia preferiva mille volte morire che tradire
la Patria e disonorare il comando affidatogli (?) piuttosto che far fortuna presso coloro (i
Romani) che era stato mandato a combattere (Bellum III 136-137).

Lo storico la racconta cos ma fin troppo chiaro che gli interess salvare la pelle e i futuri
personali interessi. Si rifugi nella fortezza di Jotapata, dove, dopo un assedio di
quarantasette giorni si consegn al nemico in modo vergognoso e fu la sua fortuna di
ambizioso ruffiano, anche se rimase prigioniero sino al 70 d.C.
Tutto ci avvenne nel 67 d.C., lo stesso anno in cui, nelle citt orientali dellImpero,
scoppiarono i tumulti degli ebrei messianisti che protestavano contro la missione di
Vespasiano; tumulti che, con motivazioni storiche concrete, avvennero anche a Roma.

Da quanto sopra visto, nel cap. 44 del XV libro degli Annali di Tacito, la persecuzione dei
cristiani, cos come riportata, venne eseguita dopo la ricostruzione di Roma, ancora
sotto Nerone. Ma la ricostruzione di una metropoli avrebbe richiesto anni, non un periodo
breve, addirittura un paio di mesi, come quello ipotizzato dagli storici baciapile, che si
citano lun laltro per farsi coraggio e sostenere una tesi assurda (sempre convinti che ci
sia un mondo di grulli) finalizzata a giustificare la rabbiosa reazione di Nerone che avrebbe
avuto un senso soltanto se fosse avvenuta subito dopo lincendio.
In realt i messianisti giudei furono perseguitati nellImpero per i loro moti contro
lintervento militare dei Romani decisi a risottomettere la Terra Promessa nella primavera
del 67 d.C., non per aver incendiato Roma tre anni prima: il nesso fra lincendio e la
repressione di Nerone fu artatamente creato da falsari copisti, secoli dopo.

Traiano, Plinio il Giovane e Svetonio, pur avendo rapporti diretti fra loro e conosciuto
personalmente Tacito, non collegano mai le risultanze delle loro indagini sui cristiani a
quellincendio, riscontro che sarebbe stato pi che ovvio data la estrema gravit
dellavvenimento n a Ges, nome che non avevano mai sentito pronunciare dagli
stessi cristiani; ma se non lo fecero perch non vi fu alcuna relazione fra lincendio
dellUrbe e la successiva repressione dei cristiani giudei attuata nel 67 d.C.
I Giudei messianisti, in quellepoca tragica per loro, anelavano la venuta di un Messia, non
un Ges Salvatore per crocifiggerlo, mangiarselo e berne il sangue, bens quello dei
rotoli di Qumran, vero e proprio Dominatore del Mondoche, grazie alla sua Rivelazione,
avrebbe distrutto col suo esercito di angeli vendicatori, in una vera e propria nemesi
apocalittica, i Romani invasori pagani e la loro capitale: Roma, la Babilonia del peccato.

Le sommosse giudaiche, nellImpero, furono represse da un Nerone adirato da quanto


accaduto in Giudea, luogo dorigine del male, la rovinosa superstizione che dilagava
anche per Roma vale a dire il messianismo nazionalista dei cristiani zeloti.
Giuseppe Flavio sapr dei moti da prigioniero, ma quando descriver la guerra, nella sua
opera dimenticher di trascrivere la persecuzione di spada ovvero ius gladii (come
riferita anche da Tertulliano mille anni dopo) del 67 d.C., dei cristiani giudei perch fu
lAbate Priore a fargli venire lamnesia con linceneritore, in quanto sconfessava il cap.
44 del XV libro degli Annali di Tacito.
Mentre Nerone agli inizi del 64 d.C. era a Napoli, Poppea ospit Giuseppe nel Palazzo
romano per quasi due anni (da fine 63 a met 65) e l'Imperatore, dopo avere accertato la
fondatezza delle tesi difensive dell'ebreo, ne accolse le suppliche e adulazioni liberando i
sacerdoti giudei verso la met del 65, ovviamente dopo lincendio del 64: fatto questo
che non sarebbe potuto avvenire una volta iniziata la guerra del 66 d.C.
Da tale data i Giudei, ormai in guerra contro lImpero, erano visti come nemici; al
contrario, prima dellinizio della rivolta giudaica gli Ebrei non erano considerati ostili da
Nerone, anche se spesso agitati.
Erano Giudei, irriconoscenti e tutti mentalmente tarati dallebraismo messianista,
la rovinosa superstizione che si era dilagata dalla Giudea, loro terra dorigine solo una
cosa meritavano gli ingrati: il ius gladii. E cos fu: il Nero strinse il pugno e, col braccio
teso in avanti, punt il pollice verso correva lanno 67 d.C.

Negli Annales di Tacito, a noi pervenuti, non risulta la descrizione della guerra fra i
Romani e i Giudei, mentre, nelle sue Historiae, il racconto inizia ma si interrompe al
momento in cui Tito predispone le opere dassedio a Gerusalemme.
Fra gli scrittori dellepoca, Tacito risulta essere stato il pi preciso nel riportare le vicende
belliche e civili che coinvolsero lImpero nel I secolo.
Quella vittoria e la conseguente celebrazione trionfale, cui molto probabilmente assistette
di persona all'et di quindici anni, fu trasmessa ai posteri con lerezione dellArco di Trionfo
di Tito, esistente in Roma tuttoggi, ove sono scolpiti nella pietra i simboli religiosi a
testimonianza perenne della sottomissione dei Giudei che osarono ribellarsi allImpero
Romano a causa di una rovinosa superstizione dilagante, non solo in Giudea, luogo
dorigine del male, ma anche a Roma.
Sotto quellarco lo storico romano transit molte volte prima di morire e scrisse, ne
siamo certi, tutti i particolari di quel conflitto.
E' impossibile che Tacito non abbia descritto una guerra tanto sanguinosa, vinta da
Roma e degna di essere celebrata con un trionfo. Come in tanti altri episodi, molto
meno gravi, rifer che un popolo si ribell ai Romani motivato dal suo credo integralista:
una rivoluzione nazional religiosa che si propag oltre i confini palestinesi e coinvolse la
Siria, lEgitto ed altre regioni limitrofe. Ma Roma, forte del diritto di potenza imperiale,
represse tutti coloro che, in coerenza alla propria fede, non si sottomisero al suo dominio.

Tacito scrisse che ebrei estremisti, integralisti religiosi, catturati durante e dopo la guerra,
furono sottoposti ad atroci supplizi, dati in pasto alle fiere o obbligati a combattere contro i
gladiatori nelle arene in spettacoli pubblici allestiti nelle citt orientali dellImpero.
A conferma di quanto riportato da Giuseppe Flavio, anche Tacito espose tutto ci nei suoi
Annales ma i copisti amanuensi, in futuro, distrussero i manoscritti originali perch
dimostravano che, nel I secolo, in realt, furono suppliziati soltanto Giudei fanatici
nazionalisti. Una storia che avrebbe palesato linesistenza dei cristiani gesuiti e
sconfessato il loro martirio.

Come abbiamo visto, furono molti e importanti gli avvenimenti connessi fra loro, in quel
periodo, alla base delle motivazioni storiche che inducono a pensare che Tacito, nei
manoscritti originali, abbia riportato la persecuzione dei messianisti giudei ordinata da
Nerone il 67 d.C.
Nel capitolo interpolato viene espresso un giudizio fortemente negativo contro i cristiani
che ricalca loffensivodisprezzo dello storico manifestato verso gli Ebrei e gi riportato
nel libro V delle Historiae.
Le frasi, dovutamente ingiuriose contro questi ultimi (fu sacerdote pagano di estrazione
patrizia), rispecchiano fedelmente lo stile di Tacito e molto probabilmente sono le stesse;
fatto che non rappresent una difficolt per i falsari; al contrario, divennero una guida per
formare il senso compiuto della narrazione rendendola autenticamente credibile.
Dopo di che al copista bast accostare il brano alla fine della descrizione dei riti
purificatori e dei banchetti di ringraziamento agli Dei subito dopo la ricostruzione et
voil : il gioco fatto! ma fatto male e fuori tempo.
Per rifinirlo bast aggiungere il brano degli esecutori, che appiccavano apertamente il
fuoco gridando che questo era lordine ricevuto, alla fine del 38 cap., per incolpare
direttamente Nerone, di stile letterario decisamente neutro, ma in stridente contrasto con
lapertura dello stesso capitolo ove lo storico afferma che la causa del disastro fu non
si sa se accidentale o per dolo del principe.
Il breve accenno agli esecutori che appiccavano il fuoco una interpolazione
estemporanea dilettantesca. Non possibile che lo storico patrizio si sia limitato a riferire
un particolare simile senza obbligarsi a completarlo del commento necessario a spiegare
la estrema gravit di tale operato, indicando, a chiare lettere, che l'unico a poter dare
quell'ordine fu un Nerone impazzito.

Inoltre, il copista falsario ha calcato la mano, tradendosi nuovamente, sul giudizio


esageratamente dispregiativo che ha fatto rendere a Tacito su una Roma, dove tutto
ci che c al mondo di atroce e di vergognoso da ogni parte confluisce e trova seguito
.
Lo storico, pur denunciando nelle sue opere una certa decadenza, soprattutto politica,
nonch il lassismo e la mancanza di disciplina nei costumi sociali dellUrbe, ci
nonostante, mai usa un linguaggio cos offensivo, come in questo caso, da sembrare un
nemico di Roma.
Al contrario, il contenuto e lo scopo delle sue opere palesano la passione politica, morale
e patriottica per le sorti di Roma, la sua potenza e la sua gloria.

Questo passaggio scritto sotto Traiano - allepoca sarebbe stato pericoloso per il
contenuto ingiurioso verso la capitale di un Impero al massimo del suo splendore -
falso e riflette una ideologia preconcetta, condizionata da un credo impregnato di
puritanesimo ed odio apocalittico tipo la Babilonia del peccato come quello che
ritroviamo nei continui attacchi contro limpudicizia (lascivia), vera e propria malsana
fobia mentale, riscontrabile negli Atti degli Apostoli e negli scritti dei Padri Apologisti del
cristianesimo gesuita.
Nerone, motivato dal pretesto del disastro di Roma, colse loccasione per rastrellare
enormi ricchezze personali; perseguit i Senatori e in preda a megalomania si fece
costruire una fastosa casa dorata impadronendosi di circa un terzo dell'intera superfice
della citt, finendo, in tal modo, con lalienarsi anche il favore del popolo, sino a quel
momento con lui. Ma gli coster caro: una volta isolato politicamente non gli rimarr che il
suicidio.
"Mor nel trentaduesimo anno d'et e la pubblica esultanza fu cos grande che i plebei
corsero per tutta la citt con i berretti di feltro sulla testa" (Svet. Nero 57).
Ecco perch le dicerie popolari che lo incolpano di aver provocato
lincendio, riferite dagli storici, sono autentiche: rispecchiano il pensiero della gente, in
ogni tempo sino ad oggi, palesato nella convinzione di un tornaconto personale da parte di
chi detiene il potere ed amministra i conti pubblici in conseguenza di catastrofi, guerre,
alluvioni, terremoti, eccetera

Conclusione
Lo studio riportato ha evidenziato numerose prove che dimostrano la falsificazione del
manoscritto laurenziano M 68 II, laddove un abile calligrafo, diretto da un potente, ispirato
e venerabile episcopo, ide un evento facendolo sembrareuna cronaca riferita
dal principale storico della romanit: il pi grande martirio di massa, mai avvenuto nella
Roma imperiale, perpetrato da Nerone contro inesistenti cristiani ... gesuiti.
La conoscenza delle vicende reali, col tempo, lentamente ma inesorabolmente, si
diffonder nel mondo senza che le Chiese Cristiane, i "ministri di Dio" ed i loro accoliti
esegeti possano impedirlo ...

Emilio Salsi
'Ges' e 'Cristo': due attributi divini del Nazireo

"Gli rispose la samaritana: So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli
verr, ci annuncer ogni cosa. Le dice Ges: Sono io, che parlo con te" (Gv 4,25-26).
Langelo Gabriele fu mandato da Dio a una vergine che si chiamava Maria. Entrato da lei
disse: Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Ges (Lc 1,26-31).
"Maria partorir un figlio e tu (san Giuseppe) lo chiamerai Ges, poich Egli salver il suo
popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21).

Ges: tale nome - giunto sino a noi attraverso il latino Iesus, traslitterato dal greco
Iesos, a sua volta dallaramaico Jesha, forma contratta dellebraico Jehosha - il
nome biblico di Giosu, leroe dellAntico Testamento e significa Colui che salva o
Salvatore.
Ges e Giosu sono due nomi resi dissimili, volutamente, nelle traduzioni da una lingua
allaltra ma, inizialmente, il vocabolo era uguale.
I manoscritti originali in greco di Antichit Giudaiche e La Guerra Giudaica dello storico
ebreo Giuseppe Flavio, ricopiati dagli amanuensi cristiani secoli dopo, chiamano Ges
anche il condottiero biblico che conquist la terra di Canaan. Ci vuol dire che, in prima
stesura, a partire dallAntico Testamento, in tutte le opere di Giuseppe Flavio era presente
un solo identico nome: Giosu.
Mos, ormai vecchio, design Ges a succedergli sia nella funzione profetica sia come
comandante in capo per qualsiasi occorrenza: e a lui, per ordine di Dio, affid la
direzione di tutti gli affari (Ant. IV 165).
Jehosha o Jesha (contratto), come per noi Salvatore, aveva un doppio
significato: semplice nome proprio di persona, oppure in qualit di "titolo divino"; a
seconda dell'argomento contestuale in cui veniva usato. Il titolo, attribuito a chi si rese
protagonista di gesta per ordine di Dio, fu Colui che salva, Jehosha, proprio come
Giosu.
Le molte persone di nome Ges, che incontriamo nelle opere dello scrittore ebreo
Giuseppe, si riferiscono tutte a Giosu, un appellativo modificato appositamente dagli
scribi ecclesiastici per distinguere i due protagonisti. Gli Ebrei che adottavano questo
nome lo facevano per onorare la memoria del conquistatore della Terra Promessa a loro
da Dio e questo spiega perch ci imbattiamo in tanti Ges nelle opere di Giuseppe
Flavio.
I Giudei, quando citavano "Ges", si riferivano al successore di Mos, che salv i loro
padri dando ad essi una Patria, non alla nuova divinit Ges il Messia. Due titoli
famosi concretizzati in un personaggio che, con l'aiuto di Dio, avrebbe consegnato al
popolo d'Israele il Nuovo Regno dopo aver fatto strage dei kittim invasori.
Messia Salvatore o Meshiah Jehosha in ebraico, Meshiah Jesha in aramaico
o Christs Iesos in greco e Iesus Christus in latino, erano titoli divini per i
redattori "evangelisti" cristiani, i quali, a loro volta, si celarono dietro pseudonimi.
I vangeli primitivi gnostici, concepiti da una corrente giudaica essena alessandrina, non
furono scritti da Giovanni ma parlavano di Giovanni: un Messia ebreo Salvatore del
Mondo. Non pi il Dominatore del Mondo atteso dai Giudei, come riferito dal
sacerdote ebreo Giuseppe Flavio, dopo che questi, in qualit di comandante delle armate
giudaiche della Galilea, fu sconfitto e imprigionato dal condottiero romano Vespasiano,
futuro Imperatore di Roma.
La dottrina "salvatrice dell'umanit" non doveva far risultare che il vero nome di "Ges
Cristo" era Giovanni perch i Padri fondatori del cristianesimo sapevano che si trattava del
figlio primogenito di Giuda il Galileo: il fondatore del Movimento di Liberazione Nazionale
ebraico.
Giovanni, a capo degli Zeloti, il 35 d.C., riusc a prendere il potere in Gerusalemme mentre
Roma era impegnata nella guerra contro i Parti e la Giudea afflitta da una gravissima
carestia. Come discendente di sangue reale asmoneo venne proclamato Re dei Giudei e
Messia loro Salvatore. Nel 36 d.C., il Luogotenete di Tiberio su tutto l'Oriente, Lucio
Vitellio, dopo aver sconfitto i Parti, risottomise la Citt Santa al dominio di Roma e
crocefisse il Re illegittimo. Per gli Ebrei, un Messia sconfitto dai pagani, non poteva essere
il "prescelto" di Jahw, pertanto fu disconosciuto e dimenticato.
Il titolo divino di Salvatore venne conferito a Giovanni, in epoca successiva
allolocausto di Gerusalemme del 70 d.C., e riconosciuto come tale, oltre due generazioni
dopo, dalla corrente religiosa ebraica degli Esseni i quali avevano gi in
precedenza profetato lavvento del "Messia" e "Figlio di Dio" in soccorso del popolo
d'Israele. Cos risulta dai rotoli del Mar Morto che tratteremo in un prossimo studio.
Nei vangeli l'appellativo "Ges" inteso come "Salvatore", quindi non corrispondente ad
un semplice nome proprio di persona, e la prova consiste nel fatto che, in Atti degli
Apostoli, i Sadducei e i Farisei del Sinedrio, sempre, lo chiamano costui, mai Ges.
Lo scriba cristiano di "Atti" con lo pseudonimo "Luca" identificava in "Ges" un "salvatore
divino" ma era consapevole che gli Ebrei non potevano riconoscerlo in quanto essi erano
(e sono) sempre in attesa dell'avvento messianico.
Per l'identico motivo, coloro che trascrissero i vangeli e gli "Atti" sapevano che Ges era
un attributo divino e quando ravvisarono in Giovanni un Salvatore scelto da Dio erano
consapevoli che soltanto chi lo riconosceva come tale poteva chiamarlo Ges, pertanto
ne consegu che gli Ebrei, seguaci di una fede diversa, non potevano ammettere n quel
titolo, tanto meno la divinit.

Se Ges fosse stato un semplice nome di persona, e ve nerano molti fra i Giudei che lo
adottavano in memoria del conquistatore della terra di Canaan, nelle riunioni del Sinedrio
e allinterno delle Sinagoghe, come riportato in "Atti" e nei Vangeli, i sacerdoti, anzich
indicarlo con costui, non avrebbero avuto alcun problema a chiamarlo Ges, col
patronimico, obbligatorio per gli Ebrei, ma sempre mancante per Ges. Soprattutto,
dalla lettura dei vangeli determinante la constatazione che, sebbene il Redentore si sia
qualificato come "Cristo e Messia", Lui stesso non si mai chiamato o presentato a
terzi col nome di "Ges", limitandosi a definirsi con un generico quanto
insignificante"figlio dell'uomo", addirittura offensivo per il comune buon senso di coloro
che si aspettavano di sapere autentici dati identificabili di riconoscimento.
A controprova, come sopra riportato nel III studio, in quellunico Atto del Sinedrio autentico
(tranne per laggiunta di detto Cristo) riguardante Giacomo, fratello di Ges (figlio di
Damneo), pervenutoci nelle opere di Giuseppe Flavio, i Giudei lo chiamarono per nome:
Ges. Non lo indicarono con costui sconfessando gli "Atti degli Apostoli" e dimostrando,
al contempo, di non essere il Ges che la Chiesa ha voluto farci credere, ad iniziare dal
falsario Vescovo Eusebio di Cesarea, autore dell'interpolazione spuria "detto Cristo"
affibbiata ad un comune ebreo di nome Ges, protagonista della cronaca.
Inoltre, quando idearono la farsa del "processo a Ges", gli scribi evangelisti hanno fatto
molta attenzione onde evitare al Prefetto di Giudea Ponzio Pilato, il magistrato romano cui
spettava decidere la sorte dell'imputato, di chiedergli il nome ed il patronimico; dati
anagrafici che, ovviamente, non dovevano essere pronunciati dallo stesso Salvatore
ebreo.
Un particolare, questo, non sfuggito allo studioso Afanasij Ivanovic Bulgakov, docente di
storia delle religioni durante l'epoca zarista, e padre di Michail Bulgakov, l'autore del
romanzo fantastico "Il Maestro e Margherita", in cui viene riportato il famoso interrogatorio
di Pilato a "Ges", durante il quale il Prefetto chiede subito le generalit con nome e
patronimico e l'accusato ammette di chiamarsi "Ges", originario della citt di Gmala e
figlio di un siriano (Gmala era nell'estremo sud della Siria).

In conseguenza alla contrazione subita dal vocabolo originario "Jehosha", riferito al


personaggio oggi chiamato "Giosu", in aramaico "Jesha", essendo quest'ultimo
corrispondente al famoso Ges, coerentemente, fu riportato dai copisti cristiani delle
opere di Giuseppe il nome greco Iesos.
Messia Salvatore o Meshiah Jehosha in ebraico, Meshiah Jesha in aramaico o
Christs Iesous in greco e Iesus Christus in latino, erano entrambi titoli divini. La
dottrina salvatrice dell'umanit non doveva far risultare che il vero nome di "Ges Cristo"
era Giovanni, il capo degli Zeloti, perch i veri Padri fondatori del cristianesimo
(messianismo), riformato da quello giudaico, sapevano che si trattava di uno dei figli di
Giuda il Galileo. Di conseguenza tutti i nomi degli evangelisti "testimoni oculari dei
fatti" non sono reali ma pseudonimi: come gi dimostrato.
I vangeli primitivi gnostici, concepiti da una corrente giudaica essena egiziana, non furono
scritti da Giovanni ma parlavano di Giovanni: un Messia ebreo Salvatore del Mondo;
non pi Dominatore del Mondo, da essi stessi profetato.
Il Meshiah Jesha Giovanni, per gli Esseni, era ancora giudaico, senza "immacolata
concezione" e tantomeno "sacrificio eucaristico": inconcepibili per la Legge degli ancestrali
Padri "rivelata" ai Profeti da Jahwhe. del Messia "Salvatore del Mondo" riformato dagli
Esseni per sostituire il pericoloso "Dominatore del Mondo" carico di odio contro Roma e,
successivamente, evolutosi ulteriormente nel tempo con l'innesto del rito pagano teofagico
dell'eucaristia ... ed infine con la "Nativit", anch'essa pagana, attraverso la "immacolata
concezione" di un Figlio di Dio partorito dalla "Madre Vergine" e
fatto "della stessa sostanza del Padre dall'inizio dei secoli".
Le testimonianze "storiche" sulla Sua nascita sono talmente contraddittorie da
rappresentare solo una delle molteplici prove che evidenziano il percorso di questo mito
arricchito dagli scribi teologi neotestamentari nel corso di tre secoli.

La lettura comparata dei vangeli con la storiografia ci consente di individuare e dimostrare


una serie di falsificazioni di eventi, create allo scopo di celare una vicenda reale che vide il
Rabbino fariseo Giovanni, alla testa del Movimento di
Liberazione Nazionale degli Zeloti fondato da suo padre. Era uno dei cinque figli di Maria,
citati nei vangeli di Marco e Matteo nei quali chiamato costui, mentre i codici
dell'apparato critico biblico (indicati nel I studio) che riportavano anche "Giovanni", sono
stati esclusi dal "canone" in epoca successiva dagli scribi ecclesiastici quando compresero
i veri fatti storici. Gli esegeti del Clero sapevano che era il figlio primogenito di Giuda il
Galileo e, per parte di madre, discendente dagli Asmonei, una stirpe giudaica di sangue
reale.
Con l'aiuto dei fratelli, capi di bande composte dagli Zeloti, cogliendo il momento
propizio nel mentre che Roma era impegnata in una rischiosa guerra contro i Parti di
Artabano III, nel 35 d.C. il Rabbino Giovanni, figlio di Giuda, riusc a conquistare il potere a
Gerusalemme facendosi riconoscere come Re dei Giudei.
La risposta dell'Impero non si fece attendere troppo ... e fu inesorabile. L'anno seguente,
dopo aver momentaneamente sconfitto il "Re dei Re" Artabano III, il Comandante in capo
di tutte le operazioni dOriente, Lucio Vitellio, Luogotenente di Tiberio, con le sue legioni si
rec da Antiochia a Gerusalemme, in quelloccasione afflitta da una gravissima carestia,
risottomise la Citt Santa al dominio di Roma e fece crocefiggere il monarca abusivo.
Fu l'ebreo Giovanni, martire zelota sacrificato alla causa nazionalista giudaica - in un
periodo successivo alla distruzione del Tempio da parte di Tito - ad essere riconosciuto
dagli Esseni, una delle quattro correnti religiose ebraiche dellepoca, come il Salvatore
Messia prescelto da Dio, da essi profetato nei rotoli di Qumran, con uno dei nomi pi
popolari fra gli ebrei sino a tutto il I secolo: Jesha.
Ma, soprattutto, era il significato del vocabolo, con cui fu chiamato, che interess i futuri
cristiani gesuiti: Salvatore; equivalente al Soter dei pagani, in particolare il Dio Mitra, il
culto del quale ebbe maggior seguito popolare prima del cristianesimo. Quello fu il primo
passo di una dottrina che si evolse nel cristianesimo paolino della salvezza dei Gentili.
Ci avvenne nel tempo ulteriore al terzo grande olocausto romano di Giudei perpetrato da
Adriano fra il 132 e il 135 d.C., costato ad essi la perdita di 580.000 morti (Cassio Dione)
che, sommati a quelli causati dall'intervento di Vespasiano e Tito, avvenuto 60 anni prima,
e alla feroce repressione antiebraica di Traiano nel 115 d.C., la cifra complessiva
ammont a ben oltre un milione di vittime, senza considerare gli schiavi catturati, il cui
numero fu talmente elevato da far crollare il mercato.
L'odio di Roma verso questa etnia arriv a superare quello contro i Cartaginesi. Scrisse
Cassio Dione: "Adriano invi contro di loro i pi valenti comandanti: il primo fra loro era
Giulio Severo, che dalla Britannia, di cui era Governatore, fu mandato contro i Giudei ...
vennero uccisi nelle scorrerie e nei combattimenti cinquecentottantamila uomini; fu
incalcolabile, invece, il numero di coloro che morirono per fame, per malattia e per gli
incendi, cosicch quasi tutta la Giudea rimase spopolata".
Sebbene la religione giudaica non verr mai dichiarata fuori legge sino ai decreti di
Teodosio I, emanati nel 391 e 392 d.C. per imporre il monoteismo cristiano, nell'Impero
dell'epoca di Adriano chiunque veniva additato come ebreo correva il rischio di essere
perseguitato: ad essi non rimase che la "diaspora" verso i pi remoti confini della terra.
Fu allora che inizi a diffondersi una nuova dottrina che postulava una diversa figura
di "Messia" ebraico universale, non pi nazionalista zelota ... non un "Dominatore del
Mondo" ma un "Salvatore del Mondo".
Nel corso del III secolo si manifest lincapacit militare dell'Impero Romano a difendere i
propri confini e questo evento, gravissimo, fu allorigine della perdita di credibilit popolare
nei confronti delle Divinit capitoline tutelari di Roma, propiziando la diffusione di molteplici
religioni orientali, fra le quali primeggi il Cristianesimo.
Una volta riunificato lImpero, Costantino il Grande, nella veste di Pontefice Massimo,
decise di sincretizzare, in un solo Credo e unico Salvatore, i Soteres delle pi
importanti religioni esistenti nelle Province imperiali. In seguito, la nuova religione
universale, risultata vincente dopo oltre un secolo di lotte intestine fra gli stessi cristiani,
gradualmente, per distinguersi dai Soteres pagani, fece passare il titolo divino di
Salvatore come semplice nome proprio di persona: Ges. Ma Ges con aggiunto il
Salvatore significa Salvatore, il Salvatore.
Giovanni, il vero nome del Messia, non risulta citato nei codici usati e scelti ufficialmente
dai curatori biblisti del vangelo di Matteo (Mt 13,55) perch essi sapevano (e sanno)
che lui era il soggetto. Giovanni il vero protagonista dei vangeli in cui si equivoca
volutamente fra Giovanni Battista e Ges, sovrapponendo le due figure ideologiche, fino
al punto che san Luca inizia la sua novella con la nascita di

Giovanni, egli sar grande davanti al Signore; non berr vino n bevande
inebrianti (Lc 1, 13/15).
Mentre il Vangelo di Giovanni cos inizia:

Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovannivenne fra la sua
gente, ma i suoi non lo hanno accolto (Gv 1, 6/11).
Questi non pu essere Giovanni Battista, lui aveva un solo nemico: Erode Antipa.
Il Tetrarca lo uccise proprio perch il popolo lo accolse e segu con troppo favore (Ant.
XVIII 118). Giovanni Battista, inoltre, non era un Nazireo (anche se i vangeli vorrebbero
farlo apparire come tale per depistare il vero Giovanni), altrimenti Giuseppe Flavio
sarebbe stato obbligato a riferirlo nel lungo capitolo a lui dedicato (ibid), perch i Nazirei
erano perseguiti in quanto tali (lo afferma lo storico), essendosi consacrati a Dio tramite un
voto, come quello di Sansone, che li vincolava a combattere contro gli invasori della Terra
Santa per liberarla dai pagani Romani e le caste aristocratiche religiose opportuniste.

Il vero Giovanni di Gmala era un Nazireo e, in quanto tale, doveva mantenere intonsi
barba e capelli; inoltre non poteva bere vino, ma questo aspetto - gravissimo per la
dottrina della salvezza fondata sul rito teofagico eucaristico pagano grazie
alla trasformazione del vino (che Ges e Apostoli stavano bevendo nella Ultima
Cena) nel Suo sangue - costringer i Padri creatori della fede cristiana riformata a farlo
diventare Nazareno:
Avvertito in sogno da un angelo, (san Giuseppe) si ritir nelle regioni della Galilea e,
appena giunto, and ad abitare in una citt chiamata Nazaret, perch si adempisse ci
che era stato detto dai Profeti: Sar chiamato Nazareno
(Mt 2,22-23).

Rileviamo che il vaticinio dei Profeti sul nome Nazareno inesistente nellAntico
Testamento, a riprova che lo scriba cristiano auto nominatosi Matteo non poteva essere
ebreo: nessun giudeo si sarebbe permesso di inventare La Legge. Gli amanuensi copisti
ricorsero a questa finta profezia per celare il significato di Nazareno, che conoscevano
bene, facendolo sembrare come abitante di una citt chiamata Nazareth, allora
inesistente.
Lo storico cristiano bizantino Iohannes Malalas (491-578), di Antiochia, nel Libro X della
sua "Chronographia" riporta:

"All'inizio del regno di Claudio Cesare (41 d.C.), coloro che prima erano
chiamati Nazareni e Galilei presero il nome di Cristiani".

Malalas rifer questa informazione, attinta da una fonte corretta, senza rendersi conto (non
essendo ebreo) delle implicazioni derivate dalla citazione di due sette prettamente
giudaiche. Sappiamo che i "Nazareni" non erano gli abitanti di Nazareth, allora inesistente
come provato con lo studio apposito; per giunta, stando ai Vangeli, i "Nazaretani" erano
nemici di Ges, al punto di volerlo gettare nel precipizio.
Ancora prima, san Girolamo (Hieronymus) in De Viris Illustribus, redatto nel 392
d.C., afferm che copi e tradusse in greco e latino il vangelo originale di Matteo ... "scritto
in aramaico, riconosciuto e accettato dagli Ebioniti (poveri), daiNazarei (Nazirei o
Nazareni) ed Ebrei cristiani (messianisti)".
In ultima analisi "Nazarei", "Nazirei" o "Nazareni" sono gli appellativi, tradotti in greco e
latino, degli aderenti ad una setta ebraica fondamentalista, essendo assimilata a "Galilei",
un termine quest'ultimo il cui significato andava oltre la semplice regione di provenienza,
come abbiamo gi spiegato nel I studio. Per convenzione, abbiamo scelto "Nazirei" il cui
significato corrisponde alla descrizione ufficiale fornita dalla esegesi cattolica.

Dal Dizionario Biblico curato dal famoso esegeta cattolico mons. Francesco Spadafora,
alla voce Nazireato apprendiamo che Nazareno deriva dalla radice ebraica nazar,
che vuol dire votarsi o consacrarsi. Si trattava di un preciso ordinamento, contemplato
dalla ancestrale Legge, al quale gli Ebrei potevano aderire obbligandosi verso Dio tramite
un voto della durata minima di trenta giorni sino a tutta la vita: il Nazireato.

In ultima analisi, "Nazarei" "Nazirei" o "Nazareni" sono appellativi tradotti in greco e latino
appartenenti ai seguaci di una setta fondamentalista giudaica la quale, come citato da
Malalas, era simile ai Galilei, un termine che non si riferiva soltanto agli abitanti di una
regione nazionalista come la Galilea ma, come abbiamo visto nel primo studio, veniva
utilizzato solitamente in riferimento a tutti i ribelli integralisti ebraici.
Gli adepti vincolati a questo voto erano chiamati Nazirei e ad essi era imposto di
astenersi dal bere qualsiasi liquore e tutto ci che risultava inebriante, mantenere capelli e
barba intonsi ed evitare di toccare un cadavere. Sansone e Samuele furono Nazirei per
tutta la vita.

Sin dalla antica tradizione israelita, il voto comportava lobbligo di conservare le usanze
jahwiste e lottare contro il politeismo dei Cananei. I Nazirei si consideravano uomini di
Dio e assieme ai leviti e i profeti costituirono il fulcro e la coscienza pi profonda che
anim la lotta ebraica contro lidolatria per affermare il culto del solo Jahw, al punto che il
profeta Amos (2,11), attraverso una rivelazione, vide la manifestazione
della benevolenza divina verso i Profeti e i Nazirei.
"Ho fatto sorgere Profeti tra i vostri figli e Nazirei fra i vostri giovani" (op. cit.).

E per questo che, oltre al complesso liturgico degli atti esteriori, il nazireato vincolava i
suoi adepti a una morale e un impegno di vita pi elevato rispetto gli altri Israeliti.

La Legge mosaica dettata da Jahw - con il rilevante retaggio storico tramandato dalla
mitologica lotta degli ancestrali Padri per conquistare e difendere la Terra Promessa dagli
invasori pagani - era perfettamente coerente con i principi del nazireato. Insegnamenti
ripresi, a loro volta, dalla quarta filosofia fondata da Giuda il Galileo quando innesc la
rivolta contro Cesare Augusto dopo che questi aveva trasformato la Giudea in Provincia
imperiale e imposto il versamento dei tributi. I Nazirei, attenendosi ad un regime di vita
estremamente puro, costituivano la setta d'lite del radicale movimento degli Zeloti nella
"Guerra Santa" contro il dominio di Roma e le sue leggi.
Tali avvenimenti, per il popolo ebraico, significavano la sottomissione di Israele alle divinit
pagane, pertanto, Giuda il Galileo, attingendo dallinsegnamento di matrice biblica dello
stesso Profeta Amos - che avvers le caste sacerdotali corrotte e i potenti ebrei colpevoli
di aver ridotto in miseria la popolazione - postul un capovolgimento della societ giudaica
mirando alla abolizione della schiavit e leliminazione dei ricchi privilegiati con luso della
forza.

"Voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del Paese ... di spada periranno tutti
i peccatori del mio popolo. Rialzer la capanna di Davide" (op. cit. 8.4; 9,10).

Il 6 d.C. nacque lo zelotismo messianico nazionalista, che tanto seguito ebbe fra i Giudei
ad iniziare dai giovani:

"Lo zelo che Giuda (il Galileo) e Saddoc ispirarono nella giovent fu l'elemento della
rovina della nostra causa" (Ant. XVIII 10; cap.1).

Una dottrina estremista che li porter alla distruzione quasi totale. Roma non accett mai
di perdere la Palestina, una fertile terra affacciata sul Mediterraneo orientale, interposta fra
il minaccioso Regno dei Parti, la Siria e il pi importante granaio dellImpero: lEgitto. Il
desiderio dei regnanti parti di penetrare con la forza nel ricco bacino del "mare
nostrum" dei romani sar sempre frustrato dalla supremazia militare delle legioni imperiali.

Se Ges Cristo fosse risultato appartenente alla setta ebraica dei nazirei, il Suo voto gli
avrebbe impedito di intavolare a cena una libagione proibita come il vino, di
conseguenza non avrebbe potuto trasformarlo in sangue umano da far bere ad apostoli
ebrei, innestando cos un rituale pagano nella religione giudaica. E su tale sacrificio,
conservato nella hostia, la vittima sacrificata agli Dei, che si fonder la nuova dottrina
della salvezza: il cristianesimo gesuita.

Il sacerdote cattolico Alfred Loisy, cui abbiamo accennato allinizio del primo studio, da
profondo studioso qualera delle lingue semite e dei costumi giudaici, comprese che
nazareno era una qualifica che non si riferiva ad una citt, sconosciuta dalla storia, ma
un titolo derivato dalla radice ebraica nazar allorigine del nazireato e os dirlo
apertamente, ma venne scomunicato:

La tradizione ha fissato il domicilio della famiglia di Ges a Nazareth allo scopo di


spiegare cos il soprannome diNazireo, in origine unito al nome di Ges. Nazireo
certamente un nome di una setta senza alcun rapporto con la citt di Nazareth ( La
naissance du Christianisme Alfred Loisy, 18571940).
Un Messia consacrato come Nazireo non avrebbe mai potuto dare inizio alla
dottrina della salvezza universale cristiana:

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo


resusciter (Gv 6,54);

Mentre essi mangiavano, Ges prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezz e


lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo il mio corpo. Poi prese il
calice e, reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti perch questo il mio
sangue, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che non berr pi diquesto
frutto della vite sino al giorno che lo berr nuovamente con voi nel Regno del Padre
mio (Mt 26,26/29).

Successivamente, quando la nuova religione riformata dal giudaismo and al potere,


Nazaret inizi ad essere edificata con le strutture del culto cristiano nel IV secolo, a 6 Km
dalla capitale Seffori, la quale, allepoca del racconto evangelico di uno scriba Matteo
Pubblicano ignorante di storia ebraica, fu rasa al suolo dai legionari del Legatus Augusti
pro Praetore di Siria, Publio Quintilio Varo, in una Galilea sconvolta da una guerra
sanguinosa.
Ma chi scelse il sito commise un errore gravissimo: non tenne conto della descrizione di
Nazaret e la sua ubicazione riportata nei Vangeli primitivi. In questo modo fu lasciata e
trasmessa, senza rendersi conto che la rappresentazione della citt, cos come era riferita
nei Testi Sacri, corrispondeva a quella di Gmala, la citt di Giuda il Galileo e dei suoi
figli: Giovanni (non costui), Simone, Giuda, Giacomo e Giuseppe.

Emilio Salsi
Dai falsi miracoli alla Sindone: Santi Padri inventarono la "Tradizione" cristiana

Il Tempio di Gerusalemme e i miracoli apostolici

Nel I studio abbiamo provato linvenzione - fatta dagli scribi cristiani di "Atti degli Apostoli" -
di un fittizio Atto del Sinedrio che vide come protagonisti inesistenti Apostoli fatti
arrestare dal Sommo Sacerdote per essere messi a morte.
I Santi Successori, incaricati da Cristo per continuare a diffondere il messaggio della
salvezza dopo la Sua Passione e ascensione in cielo, mentre risiedevano ancora nella
citt santa di Gerusalemme, furono accusati dal Sinedrio di aver predicato in nome
di costui (Ges) ed aver fatto troppi miracoli davanti al portico di Salomone (At 5,13-
16).
Sono accuse ridicole: perch mai un Sommo Sacerdote del Tempio avrebbe dovuto
uccidere chi aveva poteri divini simili? Siamo di fronte a un Credo basato sulla unica
testimonianza trasmessa da Sacre Scritture. In esse si narra di uomini, come Ges e
Apostoli, vissuti circa duemila anni fa, dotati di poteri sovrumani e autori di prodigi
straordinari; uomini che, secondo le narrazioni evangeliche, interagirono con altri uomini
famosi, realmente esistiti, pertanto rintracciabili nella storiografia dellepoca.
Scorrendo il I studio abbiamo accertato che lindagine sulla falsa testimonianza di Theudas
(san Taddeo), fatta rendere a Gamalile da Luca, basata su un profilo esclusivamente
storico, semplice da verificare perch l'anno della morte di Erode Agrippa I si trova in una
qualsiasi enciclopedia; lo stesso vale per i dati dei Procuratori romani Cuspio Fado e
Tiberio Giulio Alessandro.
Eppure, la stessa informazione teologica di questo Atto del Sinedrio posticcio, cos come
riportata nel testo, richiede un ulteriore approfondimento critico perch, secondo quanto
descritto da san Luca, gli Apostoli furono fatti arrestare dal Sommo Sacerdote e dai
Sadducei pieni di livore in quanto colpevoli di:
Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli. Tutti erano
soliti stare insieme nelportico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a
loro (gli Apostoli), ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli
uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli
ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perch, quando Pietro
passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle
citt vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti
immondi e tutti venivano guariti (Atti 5,12/16).
Lassurda esagerazione di quanto descritto si commenta da s ( solo un piccolo
esempio), pertanto la prima domanda da porsi : come si spiega che la storiografia
particolareggiata degli eventi giudaici del I secolo, riferita dal sacerdote fariseo Giuseppe
Flavio, di famiglia sacerdotale aristocratica residente in Gerusalemme proprio in quegli
anni, e lui stesso membro del Sinedrio, non riporta simili eventi? La risposta,
inequivocabilmente, una sola: non sono mai accaduti.
Oltre all'evidente paradosso della vicenda narrata, questa affermazione suffragata da un
importante dettaglio: ilportico di Salomone, dove si riunivano gli Apostoli fautori di
miracoli, non esisteva al tempo in cui san Luca inserisce lepisodio (subito dopo la morte di
Cristo). Vediamo perch.

Il Tempio
In Antichit Giudaiche (Ed. UTET 1998), Luigi Moraldi, il curatore della traduzione
incaricato dal biblista esegeta Cardinale Martini, a pi di pag. 980 (Libro XV), nota n 96,
riporta vari autori di studi sul Tempio di Gerusalemme basati, tra laltro, su scavi
archeologici. Va aggiunto che, secondo i ricercatori odierni dello "Israel Antiquities
Authority", di resti del Tempio erodiano non rimasto quasi nulla tranne qualche pietra e
due epigrafi di marmo che vietavano ai Gentili pagani di oltrepassare l'area ad essi
riservata.
Alla pag. 984, nota n 104, riferita alla velocit del lavoro del Tempio, iniziato nel 23/22
a.C. e inaugurato da Erode il Grande nel 18 a.C., lo stesso Moraldi afferma che in realt
lintera opera fu completata fra il 62 e il 64 d.C., quindi sotto il Procuratore Albino al tempo
di Nerone, e certamente dopo le strabilianti esibizioni degli Apostoli sotto un portico allora
inesistente.
Questa la tesi accettata da quasi la totalit degli archeologi da oltre mezzo secolo e
condivisa da molti esegeti credenti i quali, per, evitano di approfondire per non
evidenziare le gravi contraddizioni con le testimonianze evangeliche. Come fa lo stesso
Moraldi quando, nella nota n 104, si limita a citare il vangelo di Giovanni ove si parla del
Tempio (Gv 2,20) ma dimentica di riferire i miracoli fatti dagli Apostoli sotto il Portico di
Salomone del medesimo Tempio in Gerusalemme. La sbrigativa concisione del Moraldi
comprensibile: nel brano citato del vangelo i Giudei dicono a Ges che il Tempio venne
costruito in 46 anni, senza che Cristo obiettasse simile affermazione totalmente sbagliata,
non solo, meditando ... il Salvatore passeggiava sotto quel portico. Ecco spiegato perch
lo studioso ha evitato l'imbarazzante approfondimento.
Oltre a ci dobbiamo evidenziare che, secondo la "Tradizione", il longevo apostolo
"Giovanni" scrisse il suo vangelo alla fine del I secolo, cio quasi trenta anni dopo che il
Tempio venisse distrutto da Tito, pertanto l'evangelista, se fosse veramente esistito, nella
sua "parabola" avrebbe innanzitutto descritto il grave evento e "suggerito" a Ges come
replicare ai Giudei, dissuadendo il Redentore, ad ogni costo, di passeggiare sotto
l'inesistente portico di Salomone.

Dopo queste premesse, pur tuttavia, da parte nostra si rende necessario una ulteriore
verifica critica per accertare gli errori commessi dagli scribi cristiani quando stilarono gli
"Atti" e trascrissero il vangelo di Giovanni a suo nome ... molto tempo dopo i fatti narrati
incappando nel grossolano errore.
Dalla documentazione storica non risulta che, dopo linaugurazione del Tempio, i lavori
vennero sospesi e non furono realizzati i porticati dallo stesso Erode il Grande; al
contrario, Giuseppe Flavio descrive l'intera opera finita e la sua inaugurazione nel XV
libro pertanto non si pu concordare con le conclusioni riferite dal Moraldi e da chi le
condivide perch, come sempre affermato, le informazioni precise e particolareggiate
pervenuteci dalla storia siamo tenuti a rispettarle.
Poco dopo la morte di Erode il Grande (Ant. XVII par. 254/264), per la Pentecoste ebraica
del 4 a.C. scoppi una violenta rivolta in Gerusalemme contro il Procuratore romano
Sabino (divamper poi in una guerra allargata anche alla Galilea) cui aderirono Giudei,
Galilei e Idumei. Nel corso dei combattimenti:
... i ribelli montarono sui portici che circondano il cortile esterno del Tempio (par.
259) allora i Romani, trovandosi in una situazione disperata, diedero fuoco ai portici,
e il tetto, saturo di pece e cera si arrese alle fiamme e quellopera grandiosa e
magnifica fu completamente distrutta (par. 262).
Secondo quanto descritto dallo storico ebreo, le colonne in monolito del porticato erano
legate all'pice da imponenti strutture in legno, a guisa di architravi, su cui poggiava il
soffitto: I soffitti del portico furono fatti di legno massiccio (Ant. XV 416).
Il crollo delle altissime colonne fu conseguente al precipitare della pesante soffittatura
incendiata in maniera irregolare, travolgendo quindi le stesse con un effetto a cascata, le
une addosso alle altre. Da notare che il portico di Salomone era a picco su di una
profonda valle (valle del Cedron) in cui finirono molte, disintegrandosi irrimediabilmente.
Lo storico ebreo illustra dettagliatamente il Tempio anche in La Guerra Giudaica, la sua
prima opera completata negli anni settanta sotto Vespasiano, nel Libro V dal par. 184 al
226.
La disamina descrive le tre cinta murarie di Gerusalemme nei par. 136/183, poi, dal par.
142 al 145 leggiamo:
Il pi antico dei tre muri, partendo dalla Torre Ippico raggiungeva il portico orientale
del Tempio.
Il "portico orientale" era quello di Salomone. In Bellum, le esposizioni del muro antico e
del Tempio sono statiche - non essendo collegate ad azione di guerra contingente che
coinvolge tutti i porticati - diversamente da quanto riferito sopra nellepisodio della rivolta
in Gerusalemme, dopo la morte di Erode il Grande; quando, allora, vennero distrutti
completamente. Giuseppe Flavio, nel 75 d.C., ancora non sapeva che avrebbe scritto
"Antichit Giudaiche", pertanto rappresent quelle opere imponenti nel Libro V di Bellum
(Tempio e cinta murarie) prima che venissero demolite definitivamente da Tito. Il
condottiero romano lasci in piedi solo alcune torri fortificate per scopi militari.
Le descrizioni del Tempio e delle mura con le imponenti torri, riferite dettagliatamente nelle
dimensioni, Giuseppe ha potuto farle solo guardando i progetti esecutivi che si premur di
salvare con il consenso dello stesso Tito. E impossibile, per chiunque, citare misurazioni
talmente precise da permettere la ricostruzione esatta di modelli in scala ridotta. Poco
prima del saccheggio di Gerusalemme, in "Autobiografia" lo storico ebreo riferisce:
"... non essendovi nulla da conservare di cos prezioso che il suo possesso potesse dar
conforto alle mie sventure, feci richiesta e ottenni, per graziosa concessione di Tito,
dei libri sacri" (Bios cap. 75 par. 418).
Sempre Giuseppe, nell'ultima sua opera, "Contro Apione" Libro I dal par. 28 al 46,
evidenzia la cura costante da parte dei Sacerdoti e Sommi Sacerdoti del Tempio nel
redigere:
"Annali degni di fede per trasmettere il ricordo degli eventi pubblici" di cui le sue
"Antichit", dichiara egli stesso, "ne sono un estratto fedele ... e fino ai nostri giorni questo
costume stato osservato".
Lo storico ebreo scrisse negli anni novanta, sotto Domiziano, Antichit Giudaiche, la
sua opera maggiormente particolareggiata, nella quale dedic un intero capitolo al
Portico di Salomone. Di quest'opera rifer che Re Erode Agrippa II, alla fine del 63,
inizi 64 d.C. (poco prima dellarrivo del nuovo Procuratore Gessio Floro inviato da Nerone
in sostituzione di Albino), decret che non venisse eretto per il costo eccessivo (Ant. XX
215).
Questa datazione ci obbliga ad evidenziare un fatto importante: Giuseppe Flavio non era
in Gerusalemme quando il Re decise di non ricostruire il portico. Come riferisce nella sua
Autobiografia (3,13/16), alla fine del 63 fu inviato a Roma, dal Sinedrio, per chiedere a
Nerone la scarcerazione di alcuni Sacerdoti ebrei arrestati dal precedente Procuratore
Antonio Felice e vi rimase sino a circa met 65 d.C. (ibid 4,17).
Quando rientr in patria, nel 66 d.C., la tensione rivoluzionaria era gi in atto, gli eventi
stavano precipitando, e Giuseppe, come tutti, era preoccupato pi del futuro che del
passato e non seppe, allora, il particolare riguardante il Tempio. Questo spiega perch
non riport in Bellum l'episodio di Re Agrippa II; ma lo sapr grazie ai Sacerdoti ebrei che
continuavano a registrare "annali degni di fede per trasmettere il ricordo degli eventi
pubblici".
Pertanto "Antichit" diventa la prova che il Portico di Salomone non venne pi riedificato,
altrimenti lo storico fariseo sarebbe stato obbligato a riferire una notizia cos importante,
almeno quanto gli stupefacenti miracoli esibiti dagli Apostoli ... sconosciuti nei loro annali
anche dai Sacerdoti e Sommi Sacerdoti del Tempio.
Verso la fine della procuratela di Albino (Ant. XX 219/223), in merito alla richiesta del
popolo ebraico che voleva innalzare il portico di Salomone, Re Agrippa II dichiar: E
sempre facile demolire una struttura Questa frase non si riferiva ad una demolizione
da effettuarsi, ma gi avvenuta nel passato: la distruzione dei portici causata dal fuoco
dei Romani per difendersi dagli insorti. E aggiunse il Re: difficile
erigerne unaltra (struttura) e ancor pi questo portico. Il portico di Salomone non
avrebbe avuto alcun motivo per essere pi difficile degli altri due gi nuovamente eretti se
non per il maggior numero di colonne che andarono distrutte, precipitate nella valle del
Cedron. Semmai il portico pi impegnativo avrebbe dovuto essere quello Reale, a sud, ma
gi ricostruito.
Oltre ogni ragionevole dubbio, ci che rende inconfutabile la prova dellinesistenza del
portico di Salomone durante il periodo apostolico laffermazione lapidaria dello storico
concernente l'evento datato fine 63 inizi 64 d.C.:
i Gerosolimitani spinsero il Re ad innalzare il portico orientale. Questa era un'opera
del Re Salomone che per primo eresse tutto il Tempio (Ant. XX 220/1), che si conclude
con il decreto reale altrettanto lapidario di Agrippa II: respinse il Re perci la loro
richiesta (ib. 222).
Buona parte degli storici credenti riconosce lerrore dellevangelista Luca (che riferisce i
miracoli degli Apostoli al Portico di Salomone), altri, viceversa, cercano di porvi rimedio
con tergiversazioni ingenue e superflue Beh, vanno compresi! Non cos facile
ammettere di essere stati dolciotti e aver subito un lavaggio del cervello basato
sullillusione della vita eterna. Soprattutto da parte di coloro che, dopo indottrinati, a loro
volta si sono dedicati ad una propaganda capillare intesa a fare nuovi proseliti facendo il
lavaggio del cervello ad altri: lo chiamano apostolato
Il popolo fuor di s per lo stupore (di un miracolo) accorse presso gli Apostoli al
portico detto di Salomone. Vedendo ci Pietro disse al popolo: Uomini dIsraele, il Dio
di Abramo e Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Ges, che voi
avete rinnegato e consegnato a Pilato, mentre egli (Pilato) aveva deciso di liberarlo;
voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete ucciso lautore della vita. Ma Dio
lo ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni (At 3,11/15).
Inesistenti Apostoli, autori di miracoli e sermoni, inventati sotto un inesistente
portico: con una testimonianza simile anche noi atei non potremo esimerci dal credere
nella Risurrezione di Cristo, soprattutto perch lo stesso Salvatore riusc a compiere il
Miracolo dei Miracoli facendo "risorgere" il portico di Salomone distrutto dai Romani:
"Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Ges passeggiava
nel Tempio sotto il portico di Salomone" (Gv 10,23).
Secondo i Vangeli, i Gerosolimitani, quando spinsero Agrippa II ad innalzare il portico,
erano tutti rincitrulliti ... ed il Re ancor pi di loro, dal momento che, essendo stato il portico
gi ricostruito, avrebbe potuto accontentarli "gratis" ... grazie alla benevolenza di Ges.

La "Tradizione" cristiana

Come abbiamo gi riferito nei precedenti studi, Eusebio di Cesarea fu il primo cristiano
della Corte dell'Imperatore Costantino in grado di accedere agli Archivi di Stato e
manomettere le cronache passate. Il venerabile Vescovo ebbe in tal modo l'opportunit di
costruire una Tradizione, consistente in personaggi cristiani inventati, da trasmettere ai
posteri sotto forma di Historia Ecclesiastica.
Simile Tradizione, impersonata e rappresentata da testimoni diretti, era indispensabile
per dimostrare l'Avvento di Cristo, nuovo Dio, ed i successivi seguaci del Suo
insegnamento, sin dal I secolo. Una "Tradizione" riconosciuta come storicamente
comprovata, pertanto ufficializzata da tutte le Chiese Cristiane del mondo e tutt'oggi
propagandata, addirittura, nelle scuole di formazione giovanile, come deliberato in Paesi
retti da Governi legati a doppio filo col potere confessionale. "Tradizione" che si avvalse
della effettiva presenza, nell'Impero, dei Cristiani (Messianisti) Giudei in
attesa dell'avvento del loro Messia davidico prescelto da Dio per liberarli
dall'asservimento pagano. Questi Messianisti, perseguitati dai Romani, furono fatti
passare per "Cristiani gesuiti".
Malauguratamente - per coloro dditi a fare apostolato indottrinando e sottoponendo i
giovani a narrazioni banali e puerili - tramite l'ausilio di archeologia e filologia abbiamo
evidenziato le cantonate prese dagli amanuensi quando inserirono dati storici reali e
significativi sia nei vangeli che negli scritti patristici, per renderli veritieri, senza
approfondire cautelativamente gli studi attraverso la comparazione degli eventi letti, prima
di attestarli.
Dati storici fallaci - ancora latenti negli "scritti sacri", sopravvissuti all'evoluzione di un mito
giudaico originale prima di essere riformato dal cristianesimo paolino - sfuggiti ai copisti
dei vangeli primitivi, quando li trascrissero in quelli attuali, perch non analizzati
compiutamente prima di essere manipolati da persone, oltre tutto, estranee ai costumi
israeliti del I secolo.
Una sequela di errori derivati dalla superficialit nel maneggiare dati storici, come
avvenuto per la incredibile coincidenza della fantasiosa comunit di cristiani
gesuiti, convertiti in massa dai miracoli di san Paolo ad Efeso e Provincia d'Asia. La
totale cristianizzazione di quella grande regione - in virt di Paolo e, dopo di lui, san
Giovanni apostolo - viene smentita dalla storia perch in contrasto alla presenza, reale, del
Governatore di quella Provincia: Publio Cornelio Tacito, il pi famoso cronista pagano
dell'epoca ... il quale li avrebbe quantomeno denunciati a Traiano come fece Plinio il
Giovane nella vicina Bitinia (vedi studi V e X). La presenza, data per assoluta in "Atti degli
Apostoli", di Cristiani residenti nel territorio governato dal sacerdote pagano Tacito
assurda, e lo abbiamo verificato negli studi precedenti, ma sfuggita all'impostore Eusebio
quando volle far apparire nel mondo conosciuto di allora numerose Ecclesiae di seguaci
di Ges, gi convertiti dal Suo Avvento e Resurrezione.

Ad ulteriore esempio evidenziamo l'espediente truffaldino con cui lo stesso Eusebio intese
testimoniare ai posteri - nella sua Historia Ecclesiastica redatta a tale scopo - anche
l'adesione al cristianesimo gesuita della salvezza niente meno che l'Imperatore romano
Filippo, soprannominato l'Arabo, che detenne il sommo principato dal 244 al 249 d.C.:
Dopo che Gordiano resse l'Impero dei Romani per sei anni interi, gli succedette
nell'autorit imperiale Filippo insieme con il figlio Filippo. Si racconta che egli, che era
cristiano, il giorno dell'ultima veglia pasquale volle prendere parte con la folla alle
preghiere che si tenevano nella Chiesa (dove e quando?); ma da colui che ne era allora a
Capo (chi?) non gli fu permesso di entrare (all'Imperatore, sic!) prima di essersi
confessato ed unito alla schiera di quanti avevano peccato ed occupavano il posto dei
penitenti: perch altrimenti, se non l'avesse fatto, non sarebbe mai stato accolto da lui (il
Capo) a causa delle molte accuse che gli si rivolgevano contro. E si dice che
egli (l'Imperatore) obbed (si confess) di buon grado, dimostrando con le azioni
l'autenticit e la devozione del suo sentimento riguardo al timor di Dio (HEc. VI 34).
Non fu casuale la decisione di Eusebio di far apparire cristiano l'Imperatore Filippo
I perch la carica pi importante del mondo fu rivestita da un cittadino romano di rango
equestre, nativo di Shahba della Traconitide (a sud della Siria, gi regno di Erode Filippo
poi di Re Erode Agrippa I ma, dopo la morte di quest'ultimo, fu riannessa alla Siria da
Claudio) e figlio di un capo arabo: da qui l'appellativo di "Filippo l'Arabo".
La Traconitide durante il "ministero pubblico di Ges" era compresa nella Palestina e la
sua capitale, Cesarea di Filippo, fu visitata da Cristo Salvatore insieme agli apostoli (Mc
8,27-33; Mt 16,13-23). Peraltro, la Traconitide era limitrofa alla Galilea, il territorio
frequentato dal "Figlio di Dio" ove Egli esib alle folle molti, stupefacenti, miracoli:
"Ges andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando
la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermit del popolo. La
sua fama si sparse per tutta la Siria e cos condussero a lui tutti i malati, tormentati da
varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. E grandi folle
cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da
oltre il Giordano" (Mt 4,23).
I prodigi di Ges, inevitabilmente, furono tramandati oralmente dagli antenati di tutti gli
abitanti della zona, pertanto i loro figli ne avrebbero dovuto conservare un ricordo
indelebile.
Queste furono le prime considerazioni fatte dal venerabile Vescovo falsario, cortigiano di
Costantino, ottant'anni dopo il ridicolo episodio architettato riguardante Filippo l'Arabo. In
quanto principale fautore della dottrina salvifica dell'umanit,Eusebio fu costretto a
dichiarare cristiano l'Imperatore Filippo I.
Dopo avere magnificato Cristo Salvatore, con poteri al pari di Dio ostentati alle folle
palestinesi che lo osannarono, la stessa propaganda ideologica del Vescovo non poteva
ammettere il contrasto insanabile di un popolo dimentico di simili mirabilia; a maggior
ragione se il caso volle che da quella gente sia disceso un Imperatore di Roma.

Eusebio sapeva che nessun cittadino pagano dell'Impero avrebbe creduto nel mito del
prodigioso Figlio di Dio, capace di risorgere i defunti e risorto Lui stesso tre giorni dopo
morto, se il Princeps dello Stato Romano, nato e cresciuto vicino alla terra dove si era
esibito Ges, non fosse risultato cristiano.
Al Vescovo non restava che una soluzione per superare la palese
contraddizione: Filippo doveva entrare nella storia come primo Imperatore gesuita
dall'Avvento di Cristo.
Ma, come gli esegeti spiritualisti dovrebbero sapere, "il diavolo fa le pentole senza i
coperchi": i rinvenimenti archeologici e le autentiche cronache dell'epoca descrivono una
realt imperiale diametralmente opposta facendo eclissare le mire raggiranti degli storici
baciapile odierni, basate unicamente sulla Historia eusebiana.

Cinque reperti costituiti da Diplomi Militari Romani in lamine di bronzo incise - rilasciati ad
personam dall'Imperatore Filippo ai veterani dell'esercito al termine di una onorata carriera
militare - provano, tutti inconfutabilmente, a quale culto si dedicava il Cesare:
H. Nesselhauf. Diplomata Militaria, Berlin, anni 1936/1955: CIL (Corpus Inscriptionum
Latinarum) XVI 00149; CIL XVI 00151; CIL XVI 00152; CIL XVI 00153 e (riportiamo solo il
pi breve) CIL XVI 00150:
[IMP(erator) Caes(ar) M(arcus) Iulius Philippus
Pius/[Felix Aug(ustus) Pont(ifex) Max(imus) trib(unicia) pot(estate)] III Co(n)s(ul) P(ater)
P(atriae)/ [M(arcus) Iulius Philippus nob(ilissimus)] Caes(ar)/[nomina militum qui
militaverunt in [a(nte)d(iem)VII Id(us) Ian(uarias)/Coh(ors) [Philippiana P(ia)V(index)/
M(arcus) Aure[lius]/descri[pt(um) et recognit(um) ex tabula aenea/qu(a)e fixa [est in muro
post] templ(um) d[ivi Aug(usti) ad Minervam].
Dunque, non fu "Papa universale cattolico", Marco Giulio Filippo, ma
"semplice" Pio Pontefice Massimo dell'Impero; perci, paludato in solenne vesti,
professava la liturgia dei sacrifici animali, uccisi con le sue mani, come atto propiziatorio in
adorazione delle divinit pagane.
Anzich accostarsi devotamente, "dopo essersi confessato" (dice Eusebio), al sacramento
dell'Eucaristia cristiana, alimentandosi con l'Ostia transustanziata contenente il sangue
e il corpo di nostro Signore Ges Cristo (Corpus Domini nostrum) ... nei sacri rituali
Filippo inghiottiva la Hostia pagana, tradotto: la vittima sacrificata agli Di.
Il fatto che l'Imperatore Filippo I, detto l'Arabo, risultasse un devoto cristiano gesuita,
timorato del Dio Ges, condiviso per esclusivo tornaconto da tutti gli esegeti, con o
senza abito talare, credenti nel Suo Avvento e conseguente salvezza per la vita eterna.
Gli "scienziati spiritualisti" sono consapevoli della necessit di coerenza con "la Tradizione
cristiana" pertanto si guardano bene dal far conoscere ai fedeli le motivazioni del Vescovo
falsario (a questo abbiamo provveduto noi) per non evidenziare contraddizioni che
possano vanificare il loro apostolato.
Lo stesso Santo (Pietro Giovanni) Mazzarino, illustre storico della Roma antica, non ha
saputo fare a meno di macchiare, con questo "neo" acritico, la sua pregevole opera
L'Impero Romano facendo propria la testimonianza di Eusebio: avito retaggio di fede
cristiana acquisito al Collegio dei Padri Salesiani frequentato da giovane.

Leggiamo come ha argomentato il fideismo incondizionato dell'imperatore la


professoressa Marta Sordi, docente di Storia Antica presso l'Universit Cattolica di Milano,
nel suo libro celebrativo dai toni encomiastici, ottimo panegirico per un proficuo apostolato,
I Cristiani e l'Impero Romano, Ediz. 2004:

La pacifica espansione del Cristianesimo va di pari passo con la ascesa dei Cristiani nelle
classi dirigenti dell'impero eaddirittura, con Filippo l'Arabo, al trono imperiale (op. cit.
pag. 203).
La insegnante dell'Universit Cattolica - alla quale si unita l'altra geniale filologa Ilaria
Ramelli e il solito codazzo ben orchestrato di sostenitori genuflessi - prima di gabellare
Catechismo per Storia, tutti insieme, Santo Mazzarino compreso, avrebbero dovuto
scrutinare correttamente la storia e criticare, semmai, la Historia Ecclesiastica di
Eusebio, l'unica fonte dalla quale i "credenti" hanno attinto la informazione ricca di
fantasiosi e banali particolari inventati, spacciata come verit.
Numerosi storici dell'epoca, ancorch gesuiti convinti, riferirono le cronache degli
Imperatori romani del III secolo, ma nessuno di loro riport che Filippo era un cristiano,
tranne Eusebio ed il succedaneo Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, che
ne riprese l'annunzio intorno al 400 d.C. completandolo col nome dello sconosciuto, sino a
quella data, Capo cristiano che diffid l'Imperatore Filippo dall'entrare in Chiesa se prima
non si fosse confessato: san Babila, un altro Vescovo inventato, senza dati
anagrafici, Capo spirituale della Diocesi di Antiochia e beatificato al quale, nei secoli
a venire, verranno dedicate Chiese, Piazze e Teatri.
Il Venerabilissimo Arcivescovo Crisostomo, essendo lui s nativo di Antiochia, intese
rendere pi credibile la testimonianza di Eusebio, perfezionandola, spiegando che
il martirio di Babila fu voluto da (udite, udite) Filippo l'Arabo, perch os impedirgli di
entrare in Chiesa. Ma, stando al disegno di Crisostomo (che significa "bocca d'oro"), se il
nome del Capo cristiano Vescovo della Chiesa di Antiochia era noto, lo avrebbe
riferito San Girolamo nella cronaca degli "Uomini illustri" ancor prima di lui. Invece
"bocca d'oro" volle creare un nuovo martire da beatificare finendo con lo smentire "la
Tradizione cristiana" ... per questo anch'egli fu dichiarato "Santo" dalla Chiesa Universale.

Dal martirologio della (cliccare per credere) "Basilica Collegiata Prepositurale San
Babila" in Milano:
"E' ben documentata la sorte delle reliquie di san Babila: il testimone principale al
riguardo ancora san Giovanni Crisostomo"... il quale, secondo la sua "Tradizione",
testimoni ai posteri che "Babila martire venne tratto in prigione in catene dall'Imperatore
Decio ed ivi mor per i patimenti subiti". Piccolo dettaglio sfuggito ad Eusebio, vissuto
pi vicino all'epoca dei fatti narrati e campione in assoluto nell'inventare mrtiri suppliziati,
il quale sceglie di farlo morire di vecchiaia "come il Vescovo Alessandro, Babila sub il
carcere coronato da una vigorosa vecchiaia e da una venerabile calvizie" (HEc. VI 39,1-
4).

Ma, a complicare vieppi l'invenzione di san Babila (questa bella) concorre la versione di
un altro successivo pio storico cristiano, Giovanni Malalas, pure lui scrisse di san
Babila nel VI secolo arricchendo, a sua volta, la "leggenda del Santo inventato" con un
altro particolare che ne evidenziava l'attitudine a strigliare gli Imperatori: Marco Aurelio
Numeriano, Princeps dell'Impero dopo oltre un trentennio dalla morte di Filippo l'Arabo.
Numeriano stato un effimero Caesar sul trono di Roma per poco pi di un anno (283/284
d.C.), giusto il tempo di essere scacciato dalla Chiesa in Antiochia dall'arcigno Vescovo
Babila, parola di Malalas: per aver le mani ancora lorde del sangue dei sacrifici pagani.
Cronaca altrettanto ridicola e sconfessabile, come le precedenti, innanzitutto perch in
Antiochia, all'epoca di san Babila, quindi sotto Filippo l'Arabo e Numeriano, non esistevano
Chiese cristiane nel III secolo d.C.; poi, se fosse veramente accaduto l'evento, il primo a
dover riferire di un Filippo Imperatore cristiano sarebbe stato lo storico Ammiano
Marcellino (del IV secolo), nativo proprio di Antiochia ed interessato ai Cristiani sui
quali argoment nelle sue cronache. Inoltre, dulcis in fundo, il venerando storico Eusebio
di Cesarea, essendo molto pi vicino all'epoca di Numeriano e Filippo, si sarebbe sentito
felicemente obbligato a riportare l'intera vicenda particolareggiata due secoli prima di
Malalas, dal momento che l'Imperatore Numeriano, diversamente dell'antecessore
Filippo, anzich confessarsi, stando allo storico cristiano Malalas martirizz Babila per
l'affronto subito: da qui l'ennesimo martirio con miracoli, "beatificazione finale" e tanto
di statue e reliquie da far venerare ai credenti dolciotti. Come gi detto, una "sacra
leggenda", quella di Babila, ignorata da un suo santo successore: san Girolamo. Questi,
ad iniziare dagli apostoli, in "Deviris illustribus" racconta la vita di tutti i Vescovi cristiani
ma ... si dimentica di citare il famoso Vescovo e martire "san Babila", cos come non
menziona il cristiano "Imperatore Filippo l'Arabo".
La rabberciata vicenda del martirio babiliano dimostra come gli amanuensi cristiani hanno
assemblato la "Tradizione" dei Santi e delle loro reliquie, nel corso di secoli, spacciandola
per storia, cosicch falsi Santi inventarono altri falsi Santi con tanto di falsi mrtiri. In
questo caso, tutto ebbe inizio dalla necessit che costrinse Eusebio a far risultare
"storicamente" cristiano Filippo l'Arabo, essendo l'Imperatore nativo della Traconitide, una
regione che, al tempo di Ges e dei Suoi miracoli, era compresa nella Palestina sotto il
Tetrarca Erode Filippo, fratellastro di Erode Antipa.

Giulio Capitolino, Aurelio Vittore, Eutropio, Giorgio Codino, Landolfo Sagace, Sulpicio
Severo, Dionigi il Piccolo, Paolo Orosio, Epitome dei Cesari, Ammiano Marcellino,
Gregorio Nazianzeno, Isidoro di Siviglia, Paolo Diacono, e molti altri,Padri e Dottori della
Chiesa compresi; nessuno di loro, a partire dal III secolo in poi, ha riferito la notizia, tanto
straordinaria quanto inverosimile, di un Imperatore di Roma cristiano, prima di Costantino
il Grande, con forti dubbi, sollevati da numismatica ed archeologia, riguardo la concreta
fede cristiana anche su quest'ultimo.
Qualsiasi insegnante di storia e letteratura classica, filologo od esegeta, non pu fingere di
ignorare dati significativi di questa portata, ad iniziare dai reperti archeologici, numismatici
e CIL.
Il goffo tentativo di far passare l'Imperatore Filippo l'Arabo come cristiano, oltre le
risultanze archeologiche numismatiche e storiche accertate, dal punto di vista dei credenti
si scontra pure con l'immagine dei cristiani gesuiti, propinataci sin da fanciulli, patrimonio
spirituale dello stesso Eusebio.

Da Eutropio e dalla Historia Augusta di Giulio Capitolino apprendiamo che Filippo I fece
divinizzare il suo predecessore, l'Imperatore Gordiano III, dopo averlo ucciso. Per stornare
i sospetti, gli eresse un importante monumento sepolcrale a Circesium, una fortezza
militare romana presso l'Eufrate, perch quest'ultimo venisse adorato con statue e
monumenti a lui dedicati.
Nel corso del suo imperium Filippo coni numerose monete e sul retro della sua effige,
tutt'oggi, possiamo ammirare le numerose divinit pagane capitoline ... nulla di cristiano.
Il caso volle che sotto la reggenza imperiale di Marco Giulio Filippo si compisse il primo
millennio dalla fondazione di Roma (a.U.c. ab Urbe condita, 753 anni prima di Cristo) e il
Cesare lo celebr con un anno di ritardo perch impegnato in guerra sul limes danubiano.
Nel 248 d.C., il Pio imperatore commemor l'evento con l'emissione di monete che lo
raffiguravano come Pontefice Massimo nell'atto di sacrificare agli Di e, per l'eccezionale
occasione, allest nelle citt dell'Impero spettacoli sfarzosi e giochi circensi grandiosi ...
non immaginando di avere i giorni contati. Dopo aver sconfitto alcune rivolte interne, l'anno
successivo, nel 249 d.C., fu ucciso da un suo generale, Quinto Decio, che gli usurp il
trono senza dargli il tempo di convertirsi al Cristianesimo.

Essendo ancora in argomento, sentiamo il dovere di evidenziare un altro famoso martire


inventato: San Biagio.
Venne descritto dal sacerdote Camillo Tutini (1594-1670) in "Narrazione della vita e
miracoli di San Biagio Vescovo e martire", rifacendosi a una tradizione risalente al
medico bizantino Aezio di Amida, vissuto nel VI secolo, che lo cita senza particolari
significativi e ad un Sinassario liturgico armeno dell'XI secolo in cui descritta la sua vita e
il supplizio patito: un'accozzaglia di assurdit che solo uno psicopatico poteva inventarsi,
ma normale per la Chiesa che ha eternizzato il Santo sotto tortura nella Cappella Sistina di
Michelangelo. Basta cliccare "san Biagio" e leggere cosa salta fuori in Wikipedia.
San Biagio il martire che batte il record in assoluto delle reliquie del suo corpo,
disseminato in ventitr Basiliche, per lo pi in Italia, oggetto di culto da parte dei fedeli
indottrinati. Dal Sinassario risulta essere stato medico, poi Vescovo di Sebaste, capitale
dell'Armenia Minore sotto Costantino il Grande, ma, e qui casca l'asino: san Biagio
Vescovo martire ignorato da Eusebio di Cesarea, il pi grande inventore e
"collezionista" di mrtiri, vittime dei pi raffinati supplizi della cristianit e di "tutti i Capi
della Chiesa che mostrarono col proprio sangue l'autenticit della religione che
professavano". Ad Eusebio non sarebbe potuto sfuggire, non solo per il "cardatore", lo
strumento con cui fu torturato, ma soprattutto il fatto che gli ideatori del Sinassario dei
Santi commisero il grave errore di collocare san Biagio come Vescovo a Sebaste, nella
stessa epoca di Eusebio. Quest'ultimo viveva a Nicomdia nella reggia di Costantino,
quindi vicina a Sebaste, pertanto impossibile che non sapesse dell'inusitato, lungo e
doloroso, martirio patito dal suo collega Vescovo di quella citt. A riprova della tardiva
invenzione ecclesiastica del Vescovo san Biagio concorre la disinformazione su di lui da
parte di san Girolamo il quale non lo menziona in "De viris illustribus".

I primordi di una "Tradizione" simulata ...

Se qualcuno pensa che l'eminente Vescovo Eusebio si sia limitato a coinvolgere nella fede
di Ges Cristo un unico semplice imperatore ebbene si sbaglia di grosso. Un Dio,
capace di redimere l'intera umanit grazie alla promessa della vita eterna, doveva essere
universale e, come tale, certificato da una documentazione internazionale ineccepibile
sin dalla Sua venuta. Pertanto l'alto prelato ebbe l'ardire di chiamare a testimoniare -
Avvento, Miracoli, Resurrezione e Ascensione in cielo, in un sol colpo - il vetusto Re Abgar
di Edessa, capitale dell'Osrohene, piccolo ma antico regno della Mesopotamia, oltre il
fiume Eufrate, confinante a est con la Parthia e ad ovest con la Siria.
Nella sua Historia Ecclesiastica (I 13) il Vescovo cristiano, tre secoli dopo la morte del
Redentore dell'umanit,dichiara di possedere la copia della testimonianza scritta
proveniente dagli archivi di Edessa consistente nella lettera ( in rete) che Re Abgar
scrisse e invi a Ges, tramite il corriere Anana, pregandolo di recarsi da lui e sanarlo di
un male inguaribile:

Abgar, toparca di Edessa, saluta Ges il buon Salvatore ...

A questa richiesta Ges rispose con una lettera, che invi ad Abgar tramite un corriere,
nella quale informava il Re che sarebbe risorto dopo morto:

Tu beato, che hai creduto in me senza avermi visto Quando sar stato assunto in
cielo, ti invier uno dei miei discepoli per guarirti della tua sofferenza e dare la vita a te ed
ai tuoi. A queste lettere era aggiunto anche questo in lingua siriaca: Dopo l'ascensione
di Ges, Giuda, detto anche Tomaso, mand ad Abgar l'Apostolo Thaddaeus (HEc. I
13,9/11).

Stiamo seguendo un lungo percorso dedicato a studi critici - funzionali a comprendere


l'evoluzione mitologica del Messia giudaico tramite l'ausilio di archeologia storiografia e
filologia - ma, a questo punto, imbattersi in simile testimonianza, sull'Avvento di Ges e
le sue strabilianti gesta, saremmo tentati di ignorarne il contenuto, artificiale e idiota,
destinato a indottrinare persone dotate di un quoziente di intelligenza inferiore alla
protoscimmia.
Credenti incapaci di capire il vuoto creato nelle testimonianze evangeliche
conseguente alla mancata conoscenza del miracolo da parte degli Apostoli - sempre
vivi e vegeti quando Re Abgar V (che mor entro il 50 d.C.) venne guarito dalla
lebbra assieme ad una moltitudine di cittadini Edesseni ... tre secoli dopo, per opera di
Eusebio. Apostoli incredibilmente ignari in Atti degli Apostoli del supermiracolo
internazionale compiuto dal Salvatore dell'umanit e ufficializzato con lo scambio
delle sacre missive, poi concretizzato dai rispettivi ambasciatori.
Infatti sant'Agostino di Ippona (354-430) nella sua opera "Contro Fausto Manicheo" nel
Libro 28 cap. 4 evidenzia questo particolare fondamentale:
"Se fossero venuti alla luce scritti che si dicesse essere di Cristo stesso e di nessun altro
autore, come poteva avvenire che, se erano veramente suoi, non venissero letti, non
venissero accettati, non trovassero posto al culmine sommo dell'autorit nella sua Chiesa,
che a partire da lui stesso, attraverso gli apostoli e i vescovi loro successori, si propaga e
si dilata fino al tempo presente".

Queste ovvie considerazioni indussero Papa Gelasio I (400-496) a decretare come


"apocrife" le lettere di Abgar e di Ges "testimoniate" da Eusebio; una realt che fa
decadere, ovviamente, anche la presenza delle missive originali giacenti negli Archivi di
Edessa altrimenti Gelasio non si sarebbe permesso di emettere un decreto in tal senso.

Nostro malgrado, sorprendentemente, ancora oggi, studiosi con tanto di titoli accademici
prendono sul serio questo puerile disegno della Divina Provvidenza, arricchendolo di
ulteriori particolari, pur definendolo, come Wikipedia,apocrifo del II secolo (nascosto),
o leggenda risalente al II secolo. Fra tanti eruditi - che sgomitano per superare i
concorrenti e salire sull'ambto podio al fine di riscuotere la immediata gratifica dell'Alto
Clero plaudente nonch la sua eterna riconoscenza - si distingue il giovane docente di
filosofia e teoria del linguaggio, Massimo Leone, specialista in semiotica, dal
greco (semeion) che vuol dire segno, manco a dirlo divino, come esplicitato
nella sua evoluta ricerca scientifica La sacralit delle parole di Ges ad Abgar (basta
cliccare, il video in rete e lo raccomandiamo a chi voglia rafforzare la propria fede nella
Gloria del Signore).

Dopo essersi dilungato in un prologo psichedelico-semiotico-poetico, l'aspirante


professore, con fare estremamente contrito, ci spiega, non tutta, la serie di testimonianze
prodotte nei secoli posteriori ad Eusebio, riguardanti, oltre le divine parole di Ges,
addirittura la Sua Sacra Immagine, inviata con lo stesso ambasciatore, sempre da
Cristo Salvatore, in quel di Edessa. Il docente, pur di accaparrarsi l'encomio dell'auditorio
sognatore spiritualista, cos intento a descrivere i fantaeventi celesti con acrobatiche
evoluzioni pindariche di "parole e immagini sante" al punto da non accorgersi che l'aereo
sacro si gi schiantato al suolo prima di decollare ... risparmiandoci l'ostentazione della
sua capacit di "studiare" i segni divini.

La "Sacra Immagine" o "Sacro Volto" o "Mandylion"* di Cristo, un particolare


decisivo "sfuggito" ad Eusebio (il quale si limit ad inventare le "Sacre Lettere") ma non
ai successivi calligrafi cristiani, quando, secoli dopo di lui, redassero appositi codici con
particolari aggiunti allo scopo di "perfezionare" i vangeli perch non descrivevano la figura
di Ges, cogliendo anche l'occasione per arricchire il Suo mito attribuendogli altri
supermiracoli post mortem.

* Gli odierni studiosi del "Sacro" derivano questa parola dal greco, dall'aramaico e
dall'arabo, per indicare un normale fazzoletto o velo (mai un lenzuolo funebre) che, nel
nostro caso, diventa unico perch ha dipinto un Volto "non fatto da mano umana",
chiamato dai saccenti "Immagine Acheropita": Il Mandylion.
Questa figura chimerica, che si trasformer in culto praticato e tutt'oggi "confortato" da
giudizi di scienziati spiritualisti, ci obbliga a verificarne la autenticit sin dall'inizio. Un
leggenda gonfiata ma, al contempo, contrastante la cronaca eusebiana la quale riferisce
esclusivamente le parole di "Ges" che informa Abgar dell'invio di un discepolo dopo la
Sua morte e resurrezione, senza spedire alcuna "Sacra Immagine".
E sar appunto l'immancabile, ignoto, amanuense cristiano ad inviare
l'Apostolo Thaddaeus (di cui abbiamo dimostrato l'invenzione nel I studio) a
Edessa ove guar Re Abgar, la sua famiglia e tutta la popolazione malata della citt.
Questa la sintesi del lungo e insensato resoconto eusebiano letto in Historia Ecclesiastica
(I 13,1/22) da cui non risulta che Ges abbia spedito la Sua immagine impressa su un
telo. N si sapr mai che fine fecero le famose copie delle "Sacre Lettere degli Archivi di
Edessa" che il Vescovo afferm di possedere, mentre, risulta chiarissimo l'insanabile
contrasto fra la "parabola" eusebiana e le Sacre Scritture neotestamentarie alle quali tutti i
Padri della Chiesa si attennero nei secoli precedenti.

Constatazioni elementari, ovvie, dalle quali il penitente Leone maximus docente si tiene
alla larga. Siamo certi che ritroveremo il precoce insegnante, al culmine della sua carriera,
quale novello stilita dall'alto di una colonna a meditare profondamente sulle eccelse vette
della divina semiotica: una disciplina che, grazie al rampante fideismo dello studioso, si
vedr costretta a soccombere al pi lineare e pragmatico razionalismo storico.

Fra tanti acritici pedissequi - pronti ad assecondare le esigenze clericali sminuendo le pie
sciocchezze tramite una costante opera di apostolato - spicca la notoria Wikipedia la quale
non si accorge che, dopo averli evidenziati come documenti divini ... lettere inesistenti non
possono essere datate, cos come non pu essere predatata al II secolo una leggenda
spuntata fuori dal nulla e riferita, la prima volta nel IV secolo, dal Vescovo cristiano
Eusebio.
In ottemperanza al consolidato "paradigma ecclesiastico" di certificare con prove create
posteriormente le deposizioni storiche sulla puerile favola, queste vengono riprese ed
ampliate da cronisti amanti del gusto che sa di miracoloso; anche se inattendibili per la
pi elementare logica, ma finalizzate a confermare la arcaica "Tradizione" cristiana.
Dopo la "trovata" di Eusebio, osserviamo accodarsi al Venerabile Vescovo ormai defunto,
una processione di testimoni regolarmente documentati secoli dopo i fatti descritti; fatti
che, superfluo a dirsi, sono tutti diversi e in assoluto contrasto fra loro, cio incompatibili, a
conferma della estrema difficolt degli amanuensi a consultarsi e coordinarsi prima di
inventare storie. Come la "Dottrina di Addai", un testo datato paleograficamente al V
secolo, ove si "continua" la leggenda inventata da Eusebio arricchendola con l'invenzione
del disegno della immagine di Ges realizzato dal corriere di Abgar che, si dice, era un
pittore il quale, ovviamente, port il ritratto a Edessa e l fu collocato nella reggia del Re.
Comunque, sino al quinto secolo, il volto di Cristo era ancora "fatto da mano umana".
Ormai i tempi erano maturi per un ulteriore passo in avanti nella elaborazione della "storia"
e nel VI secolo "appare" un'altra leggenda: gli "Atti di Mar Mari". In essi viene
"specificato" che il pittore di Abgar "non riusciva a raffigurare Nostro Signore, allora, il
Vivificatore del Mondo prese un telo e lo premette sul proprio Volto, cos come ".
In tal modo, finalmente, giunse a Edessa il Volto Acheropita: "non fatto da mano umana".
Un secolo dopo verranno scritti gli "Atti di Taddeo", aggiornati e particolareggiati, con una
"procedura" leggermente discosta ma, a questo punto, ormai era doveroso che entrassero
in azione gli scribi bizantini, oggi citati dagli esegeti clericali come autentici "testimoni dei
fatti".
I "cronisti di Dio", consapevoli che la leggenda iniziata da Eusebio di Cesarea era
finalmente completa nei minimi particolari, si adoperarono per renderla ancor pi veritiera
"storicamente" descrivendo i meravigliosi poteri del "Mandylion" di Edessa quando questa
citt fu attaccata dalle armate del Re sasanide Khusrow I, che invasero la Siria nel 540
d.C.
Gli amanuensi trascrissero ex novo i Codici originali (che vennero eliminati) riguardanti sia
la Storia delle Guerre dello storico bizantino Procopio di Cesarea, che la "Historia
Ecclesiastica" dello storico cristiano Evagrio detto"Scolastico" (Evagrius Scholasticus di
Epiphania in Celesiria), vissuti entrambi nel VI sec. d.C.
Il manoscritto pi antico delle "Guerre" di Procopio lo ritroviamo nel Codex Athos, Lavra
H-73, datato paleograficamente alla fine del XIII secolo; mentre quello pi antico
riguardante Evagrio contenuto nel Codex Laurentianus L XIX 5, datato all'XI secolo.
Ma le due versioni antitetiche, giunte sino a noi, tramite le quali si descrive l'evento
miracoloso che indusse i Persiani a togliere l'assedio alla citt di Edessa (fatta miracolare
da Cristo tre secoli dopo la Sua resurrezione, per volont di Eusebio), gi da sole bastano
a sconfessarne la veridicit. Evagrio, che morir dopo il 594 d.C., in particolare, fu
preceduto di qualche anno da un'altra "pia" fonte storica: Giovanni Malalas (491-578
d.C.), fanatico cronista cristiano anch'egli del VI secolo e nativo di Antiochia in Siria (la
regione invasa dai Persiani), il quale non sa niente dei prodigi fatti dalla
Scritta o Immagine Sacra di Ges.

Nel testo non originale a noi pervenuto, il II Libro di "Storia delle Guerre" di Procopio, si
riportano due scarne cronache miracolose riferite al primo assedio di Edessa del 540 d.C.
quando il Re persiano sasanide Kusrow attacc la citt ma, una volta assediata, "Il Re
vide inciso le parole di Ges ad Abgar sulle porte della citt...", quindi bast la sola visione
della Scritta Sacra a indurre Kusrow a ritirare le sue armate e, con estrema ingenuit
dovuta ad un "eccesso di fede", i copisti cristiani fecero dire a Procopio "Kusrow perse la
rotta e gli venne il mal di testa" ... tutto qui.

Dal canto suo, Evagrio in "Historia Ecclesiastica", nel Libro IV cap. 27, durante la guerra
condotta dal Re Kusrow I, lo storico cristiano, come autentico "testimone dei fatti" riporta
(ma il Codice stato scritto nell'XI secolo) che i Persiani avevano cinto le mura di Edessa
con opere di assedio e, richiamandosi all'episodio ora citato da Procopio (Codice del XIII
secolo), in cui si riferiscono "le parole di Ges ad Abgar", aggiunge: "Vi dir io cosa
successe" ... ed inizia una nuova "versione dei fatti" in cui si introduce la "discesa in
campo", non pi del solo "Scritto Sacro" ma addirittura "l'Immagine Sacra" del Cristo e la
Sua potenza "irradiata" tramite spruzzi di ... "Acqua Santa Incendiaria".
A tal fine Evagrio accentra l'attenzione su di una imponente torre d'assedio in legno che i
Persiani avevano costruito sopra un terrapieno per colpire meglio i difensori. Questi, a loro
volta, tentarono di incendiare la grande struttura dopo aver scavato un lungo cunicolo
sotterraneo sotto di essa, ma invano:

" ... non c'era verso di appiccare il fuoco alla catasta di legno, preparata appositamente,
per mancanza d'aria. In preda alla disperazione gli Edesseni portarono una immagine
non realizzata da mano umana (Acheiropoietos),quella che Cristo, il nostro Dio, invi
ad Abgar quando il Re desiderava vedere Ges. Nel tunnel bagnarono l'Immagine con
acqua e ne spruzzarono alcune gocce sulla pira di legno. Il Potere Divino, sollecitato
dalla fede degli Edesseni,comp ci che fu impossibile a loro: il fuoco divamp
ovunque e la legna fu ridotta in cenere pi velocemente della parola".

Da notare che il trascrittore dell'opera dello storico Procopio di Cesarea, pur riferendo lo
stesso evento, nel II libro di "Storia delle Guerre", attesta una cronaca ignara
dell'intervento "pirotecnico" del "Potere Divino" del Sacro Mandylion con l'immagine di
Cristo che indusse i Persiani a lasciare Edessa. Infatti Kusrow I, Re sasanide "dall'anima
immortale", vincer la guerra costringendo Giustiniano a pagare pesanti tributi in oro,
nonostante la Potenza della "Sacra Immagine".

Evagrio Scolastico fu un Prefetto cristiano bizantino del VI secolo, intimo amico di famosi
Padri e Anacoreti Stiliti a loro accomunato da una sublime ispirazione mistica. Col magro
intento di celebrare la gloria di un utopico Impero Cristiano Universale voluto da Dio,
Evagrio si propose come continuatore storiografico di Eusebio di Cesarea e, in linea con
gli stessi princpi, scrisse anche lui una Historia Ecclesiastica agiografica e malleabile
improntata a denigrare eresie e storicizzare miracoli. Gli amanuensi che copiarono il testo
originale conoscevano questo "vizietto" dello storico cristiano e, in sua memoria, ne
rispettarono la "coerenza", ma ... ignorarono il gi citato storico cristiano: Johannes
Malalas(491-578 d.C.); il quale, ricordiamo, di poco antecedente a Evagrio, le cui
cronache giungono sino al 565 d.C. (anno della morte di Giustiniano) e anch'egli con lo
stesso "vizietto".
La "Chronographia" di Malalas costituita da un compendio di cronache storiche giunte
sino a noi tramite il Codex Barocciano Greco 182, trascritto nell'XI secolo, e resti
del Codex Criptense Z.. XXIV risalente al XII secolo. Malalas di Antiochia, con la Siria
sotto attacco dei Persiani, lui presente, non fa alcun accenno all'eclatante episodio
della Sacra Immagine di Ges e del Suo miracolo nella citt di Edessa.

Da sottolineare che Malalas era un cristiano iconfilo esaltato al punto di riportare, come
fatto storico realmente accaduto, che l'emorroissa guarita da Ges (Mc 5,25-34) era una
donna molto ricca la quale, con una sorta di voto, fece innalzare una statua d'oro al suo
Salvatore. Inoltre, come sopra riferito, invent uno dei tanti martiri, secondo la
sgangherata "Tradizione" gesuita, cui fu sottoposto il finto san Babila da vari Imperatori
romani, che per Malalas fu Numeriano.
Non credibile che Malalas, indottrinato a tal punto nella fede in Cristo, si sia lasciato
sfuggire il miracolo di Edessa (attuato da Ges dall'Alto dei Cieli tramite la Sua Sacra
Immagine) quando lo storico aveva poco pi di cinquant'anni, e arricchire, in tal
modo, il corpus delle sue "Sante Cronache", degne della migliore "Tradizione" monastica
cos ricca di insanabili contraddizioni, fatte passare come "Storia" dalle testimonianze
ecclesiastiche conferite a posteriori.
In realt, sino alla fine del IV secolo d.C., i Padri della Chiesa di Roma, in contrasto
all'idolatria diffusa nel mondo pagano, non riconoscevano la possibilit di rappresentare la
immagine di Cristo e dei Santi, conformemente al dettato dell'apostolo Paolo (II Cor
5,16) "... anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne ora non lo conosciamo
pi cos", e in (Col 1,15) "Egli immagine di Dio invisibile, generato prima di ogni
creatura", anche Matteo (11,27)"Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". Sulla base di
precisi comandamenti biblici, allo scopo di cancellare usanze pagane fra i Cristiani,
nel 303 d.C. si tenne in Spagna il "Concilio di Elvira", nel corso del quale venne
decretato il Canone 36:
"Decidiamo che non ci debbono essere pitture nelle Chiese, affinch non sia dipinto
sulle pareti quel che viene riverito ed adorato"; confermato da Eusebio di Cesarea
nella sua "Lettera a Costanza", la sorella di Costantino il Grande, alla quale il Vescovo
confermava che "... essendo la parte mortale finita con la vita, Ges Cristo, dopo la sua
morte e resurrezione, non era pi raffigurabile".
Soltanto dal V secolo iniziarono le pressioni degli iconfili (favorevoli alle icone), in
continuo crescendo, sino ad introdurre nelle Chiese immagini sacre al punto che, alla fine
del VII secolo, l'Imperatore Giustiniano II Rinotmeto di Bisanzio, per la prima volta nella
storia, fece coniare monete con l'effigie di Cristo, sebbene lo stesso Imperatore, per
cautelarsi da eventuali opposizioni, nel 692 d.C. convoc a Costantinopoli il Concilio
Quinsesto per ratificare la possibilit di rappresentare Ges in forma umana.
Il concetto teologico che consentiva di riprodurre una divinit con disegni e statue
affondava le sue radici nella variegata cultura pagana e questo fatto si scontrava con un
tipo di ortodossia, derivata da quella ebraica, poich nei vangeli non viene mai descritta la
figura di Ges. Altrimenti chi avrebbe impedito agli evangelisti di raccontare dettagli sul
fisico e la statura del loro Messia Salvatore. Ortodossia fatta propria dai Padri del
cristianesimo ufficializzato da Costantino: una dottrina integralista che divenne insofferente
verso l'introduzione di nuove usanze cristiane.
Per contro, l'esigenza di chi voleva rappresentare le sante immagini, necessariamente,
doveva essere supportata da un "diritto divino" documentato sia da scritti sacri che da
vicende storiche.
Ecco spiegata la "lievitazione" della leggenda inventata da Eusebio - che fece spedire dal
IV secolo a un ignaro Re Abgar, morto da 280 anni, una semplice "lettera divina" scritta da
Ges - sino a gonfiarsi in uno Scrigno contenente il telo con il "Sacro Volto" impresso per
volont dello stesso Dio, "Vivificatore del Mondo, Nostro Signore Ges". E, come abbiamo
sopra visto, anche la storiografia doveva "aggiornarsi" per comprovare i poteri divini di
immagini e reliquie.
Questo processo teologale si evolse al punto di scatenare, nell'VIII secolo, persecuzioni
cruente, appoggiate dai Patriarchi partigiani iconoclasti, da parte dell'Imperatore
cristiano Leone III l'Isaurico, e continuate da suo figlioCostantino V, chiamato
"Copronimo" (nome di sterco) dai nemici correligiosi.
Ne conseguirono lotte feroci e sanguinose fra i cristiani "iconoclasti" (contrari alle
immagini) e quelli "iconduli" (a favore), con anatemi, distruzione delle sante reliquie,
rovine di affreschi e icone nelle Chiese, rimozioni di mosaici, mutilazioni di mani agli
iconografi (disegnatori), decapitazioni, supplizi e roghi. Quelle gravi persecuzioni,
trattandosi di cristiani contro cristiani, gli storici genuflessi odierni, con un eufemismo
ipocrita e riduttivo le chiamano "dispute iconoclaste", come si fosse trattato di animate
riunioni di condominio.
In quell'epoca la tensione teologica coinvolse, da un lato, il papato romano, favorevole alle
icone, e dall'altro, il patriarcato ortodosso bizantino, viceversa contrario.
Appena eletto, Papa Gregorio III, nel novembre del 731 d.C., convoc a Roma un Concilio
cui parteciparono 93 Vescovi, e denunci l'iconoclastia decretando la "scomunica per
coloro che negano la possibilit di trarre conforto dallereliquie e dalle immagini sacre".
Per tutta risposta il primo Concilio "iconoclasta" fu indetto a Hieria, nel 754, presieduto dal
Patriarca Teodoro di Efeso durante il quale, fra l'altro, venne letta la su citata "Lettera a
Costanza" di Eusebio di Cesarea, contraria alla raffigurazione di Cristo. Il Concilio decret
chiaramente:
"Sia anatema chi si applica a fissare l'aspetto dei Santi in icone inanimate e mute con
colori materiali, perch tali immagini non portano alcun profitto; produrle un'idea
insensata e una trovata diabolica; invece di riprodurre in se stessi come icone viventi le
virt dei Santi, che ci sono state da loro tramandate per iscritto, essendo cos spronati a
uno zelo uguale al loro".
In opposizione segu il Concilio Laterano del 769 ovviamente "icondulo", poi, nel 787, si
tenne il II Concilio di Nicea, questi fu veramente ecumenico, le cui conclusioni, al
momento, risultarono favorevoli alle immagini:
"E' stato dimostrato che le immagini dei Santi sono miracolose e operano guarigioni ...
Gloria a Te o Dio che operi miracoli per mezzo delle Sacre Immagini ... noi definiamo con
ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le
venerande e Sante Immagini, sia dipinte che in mosaico o di qualsiasi altra materia adatta,
debbono essere esposte nelle Sante Chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti,
sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'Immagine del Signore e Dio
Salvatore nostro Ges Cristo, o quella della Immacolata Signora nostra, la Santa Madre di
Dio, degli Angeli degni di onore, di tutti i Santi e Pii uomini".
Si succedettero altri Concili con alterni decreti, appositamente indetti dalle rispettive fazioni
... ma, anzich "conciliare", aggravarono il contenzioso.
I contrasti si protrassero fino all'epoca di Carlo Magno il quale, a seguito del Concilio di
Francoforte del 794 d.C., medi tra le due correnti e consent le immagini le quali,
comunque, non potevano essere oggetto di culto.
Nell'843 d.C., la reggente Imperatrice Teodora II d'Armenia, vedova dell'Imperatore Teofilo
di Bisanzio, dopo aver fatto massacrare migliaia di cristiani Pauliciani, seguaci
dell'insegnamento di Paolo di Tarso (quindi contrari alla raffigurazione di Cristo) restaur il
culto delle immagini anche in Oriente, ove, dopo un paio di tentativi iconoclasti, si
consolid definitivamente.

In onore di Julian Chrysostomides del Royal Holloway College

Nel 2000, anno del Grande Giubileo Cattolico, il professore Michael Whitby, docente di
Studi Classici e Storia Antica Bizantina, porta a termine l'alto incarico di curare una
moderna traduzione in inglese di "Historia Ecclesiastica" (The Ecclesiastical History of
Evagrius Scholasticus) di Evagrio Scolastico e, per dovere professionale, studia gli "Atti
del II Concilio Ecumenico di Nicea" tenutosi nel 787 d.C., durante i lavori del quale si
discusse della iconoclastia. Preso visione di alcune risultanze, dopo oltre milleduecento
anni, nella apposita appendice del suo libro Whitby "sente il bisogno" di confutare gli studi
della dottoressa Julian Chrysostomides, del "Royal Holloway College" London
University, la quale precedentemente aveva criticato, in maniera netta e radicale,
l'autenticit del miracolo a Edessa narrato in "Historia Ecclesiastica" di Evagrio Scolastico,
avvalendosi di studi sullo stile della scrittura e della lingua.
La docente, nativa di Costantinopoli, aveva alle spalle una lunga carriera accademica
come esperta ricercatrice specializzata in Letteratura Greca Classica e in testi di Storia
Bizantina, quindi, avvalendosi di precise analisi, la studiosa ne consegu che la storia
dell'icona era un falso, frutto delle lotte iconoclaste fra cristiani (di cui abbiamo appena
riferito) durante le quali si produssero molte contraffazioni in materia religiosa.
A Ms. Chrysostomides va riconosciuto il merito di essere giunta a queste conclusioni molto
tempo prima che venissero effettuati quattro esami al radiocarbonio 14, tra il 2004 e il
2007, su due famosi reperti sacri antichi, tutt'ora oggetto di culto, fabbricati tra il VII e il IX
secolo, mentre erano in corso le lotte iconoclaste fratricide tra cristiani; reperti dei quali
parleremo fra poco specificamente.
Per capire meglio i termini della discussione fra i due ricercatori di storia bizantina, loro
stessi evidenziano che, dagli "Atti del Concilio Nicea II" - appositamente richiesto
all'Imperatrice Irene d'Oriente da Papa Adriano I per deliberare sul culto delle immagini -
risulta che, durante lo svolgimento della quinta sessione, il monaco Stefano present un
testo di Evagrio privo di qualsiasi allusione all'icona miracolosa; per contro l'Abate Giorgio
del Monastero di Hyacintus ("fortunatamente", secondo Whitby) era in possesso di un altro
testo in cui risultava il miracolo di Edessa compiuto dal Mandylion del Sacro Volto di Ges
impresso su un telo di lino: quello che abbiamo letto sopra nel brano .della torre d'assedio
in cui era riportato l'episodio della "Sacra Immagine Incendiaria" di Cristo. Per la
dottoressa Julian la presenza di due Codici evagriani diversi diventava una delle basilari
prove a dimostrazione che il telo col Volto Sacro di Cristo era solo frutto di una falsa
leggenda montata nel corso delle sanguinose contese cristiane pro o contro la
iconoclastia.
Whitby si laureato al "Corpus Christi College" di Oxford e possiamo presumere quale
"imprinting" gli abbia impedito di capire le concrete ragioni della Chrysostomides; pertanto
si scomodato in una critica, tanto laboriosa quanto inutile, parziale e deviante, incentrata
esclusivamente sulla indigesta (per il Prof.) analisi della studiosa.
Preso visione delle due posizioni antitetiche, anche noi sentiamo il dovere di entrare nel
merito avvalendoci di ulteriori constatazioni.

Nella sua "contro analisi" Whitby deprezza acriticamente, con un metodo inaccettabile
dalla storiologia, la mancata testimonianza del miracolo di Edessa da parte del cronista
cristiano Giovanni Malalas, sulla mezza et quando sarebbe avvenuto il prodigio, ma
rifer della guerra del Re persiano Kusrow quando, nel 540 d.C., dalla Mesopotamia dette
inizio all'invasione della Siria, sottomettendola dopo aver sconfitto i Bizantini (Malalas mor
nel 578 d.C.).
Inoltre, il professore non valuta la datazione dei Codici accettando, con superficialit,
come archtipo dell'originale il testo da lui personalmente tradotto, inoltre, pur essendo
evidente l'importanza, sminuisce i contrasti nella descrizione dell'evento
miracoloso fra la storia di Evagrio e quella di Procopio: contraddizioni che gi da sole
dimostrano l'invenzione del miracolo.
Whitby, addirittura, evita di trarre le logiche conseguenze derivanti dalla contrapposizione
fra due "Historia Ecclesiastica" dello stesso Evagrio Scolastico presenti nel Concilio, a
riprova che due testi diversi del medesimo autore, dei quali uno senza miracolo, non
possono essere originali ma trascritti posteriormente gli eventi storici narrati a
dimostrazione che gli scribi cristiani iconduli inventavano a piacimento le "manifestazioni
divine".
Di conseguenza, per schivare questa ovvia deduzione, afferma impudentemente che il
testo di Evagrio senza il miracolo era stato "cancellato" appositamente in quel punto ...
ma sa bene che non pu dimostrarlo perch quel manoscritto non esiste pi, e fra
poco vedremo perch.
Infine, Whitby non d alcun peso alla "Lettera dei Tre Patriarchi", un testo
apparentemente scritto da tre Metropoliti delle Chiese orientali dopo un presunto Sinodo
tenutosi a Gerusalemme, indirizzato nell'836 d.C. all'Imperatore Teofilo di Bisanzio con lo
scopo di convincerlo ad intervenire militarmente per liberare Gerusalemme e i cristiani
palestinesi dall'occupazione islamica.
In questo documento, analizzato dalla Chrysostomides, si palesa il favore verso le icone
dei Patriarchi fornendo una "testimonianza" totalmente diversa del miracolo del Mandylion
durante l'assedio di Edessa, senza che essi sapessero alcunch della narrazione
miracolosa trascritta dai copisti di Evagrio Scolastico trattata nel Concilio Nicea II.
La descrizione dell'evento riporta che Re Kusrow ordin di accatastare legname di olivo
tutto intorno le mura di Edessa, legna che fece incendiare per creare una fitta cortina
fumogena e soffocare gli abitanti assediati (questa una "pia" sciocchezza) ma, il
venerabile Vescovo Eulalio di Edessa prese la "Sacra Immagine" di Cristo e,
ostentandola, "fa il giro dei bastioni, sino a quando si lev una raffica di vento miracolosa
che rivolse le fiamme contro i Persiani costringendoli alla fuga".
Poich la storia documenta l'Imperatore Teofilo di fede iconoclasta convinto e avversario
di icone e reliquie, nella realt nessun Vescovo si sarebbe azzardato a sottoporgli una
narrazione cos ridicola, pertanto la lettera non pu che essere un falso, come l'ignoto
"Vescovo Eulalio" di Edessa. Ci nonostante conserva tutta la sua importanza perch
dimostra la produzione di materiale storico fraudolento da parte di scribi iconduli,
scoordinati fra loro nel gonfiare il mito iniziale.
V sottolineato, inoltre, che furono molti i cronisti cristiani iconfili nel periodo delle lotte
iconoclaste. Essi descrissero la storia allo scopo di magnificare gli eventi miracolosi
inerenti la "Tradizione" dei seguaci di Cristo, e fra questi, poich tratt l'epoca che ci
interessa, si deve citare il bizantino Teofane il Confessore (758-818), dotto aristocratico,
fattosi monaco per vocazione, il quale scrisse in greco "Cronaca", la storia che va da
Diocleziano all'anno 813 d.C. sotto l'Imperatore Leone V di Bisanzio (775-820).
Teofane fu un icondulo, convinto sostenitore delle immagini e delle reliquie, per questo
venne beatificato dalla Chiesa. La sua "Cronaca" fu tradotta in latino dal monaco
Anastasio nel IX secolo ma ... in nessuna delle vicende narrate il Santo ha riportato lo
spettacolare miracolo avvenuto nella citt di Edessa grazie alla Sacra Immagine di Cristo.
Un altro storico, in quanto presente personalmente all'epoca e nei luoghi interessati dal
conflitto iniziatosi nel 540 d.C. tra Persiani e Bizantini, le sue cronache di allora diventano
particolarmente preziose per la comparazione delle vicende reali vissute da lui con quelle
miracolose descritte secoli dopo dai copisti di Evagrio e Procopio.
E' Giovanni da Efeso, Vescovo cattolico e storico bizantino. Nacque il 507 d.C. ad Amida,
in Mesopotamia, fu consacrato Diacono nel 529; si rec a Costantinopoli e
nel 542 l'Imperatore Giustiniano gli affid il comando della feroce spedizione punitiva
contro gli Zoroastriani e gli ultimi Pagani. Fece costruire decine di Chiese sulle rovine di
altrettanti Templi distrutti, dopodich attu una spietata repressione contro i cristiani
Montanisti. Nel 558 (come premio) fu ordinato Vescovo di Efeso. Mor dopo il 588, anno
che registra gli ultimi eventi narrati nelle sue due opere: "Biografia dei Santi dell'Est" e
"Storia della Chiesa".
Il Vescovo, pur avendo vissuto di persona l'epoca delle guerre persiane contro l'Impero
Bizantino condotte da Re Kusrow ... esattamente come lo storico Giovanni Malalas, coevo
e presente ai fatti come lui, non riferisce nulla della Sacra Immagine di Cristo che fece
fuggire le armate del Re dei Re "dall'anima immortale" nella battaglia contro
Edessa "La Citt Santa", protetta da Cristo Nostro Signore.
Dopo queste prime corpose puntualizzazioni, indirizzate al prof. Whitby, torniamo ad
analizzare i suoi studi.
Egli, soprattutto, non considera che il monaco Stefano e l'abate Giorgio erano entrambi a
favore delle icone e, come tutti i presenti a Nicea II anch'essi consenzienti, da specialisti in
testi cristiani conoscevano alla perfezione gli "Atti degli Apostoli" perci sapevano che,
tranne Giacomo il Maggiore, i continuatori di Ges nel messaggio evangelico erano tutti
vivi quando Abgar mor nel 50 d.C., senza che ad essi risultasse che il Re e la sua
famiglia vennero guariti dalla lebbra ... n tramite semplice "lettera", n tramite il "Sacro
Volto".
I Padri sinodali erano consapevoli che i successori di Abgar V non si convertirono al
cristianesimo, contraddicendo la favola che i loro antenati e tutti gli abitanti malati di
Edessa vennero anch'essi sanati dalla potenza divina del Cristo tramite un inesistente san
Thaddaeus ... secondo la stramba "Tradizione" cristiana appositamente creata secoli dopo
per indottrinare i "beati poveri di spirito" e la pletora di sindonologi ispirati.
Tutti i convenuti al II Concilio di Nicea, un avvenimento che interessava l'intera ecumene
cristiana, ne riconoscevano l'importanza e lo presero seriamente nella forma e col metodo
da sempre congeniale ai Clerici. Indipendentemente dal grado gerarchico, ogni prelato
sapeva che le icone, come le reliquie, aiutavano a propagandare la Fede in Cristo e un
decreto in tal senso era necessario affinch venisse riconosciuto e "dimostrato che le
Immagini dei Santi e delle reliquie sono miracolose e operano guarigioni": questa fu
l'essenza conclusiva del Sinodo.
Nulla di pi che una sorta di "comandamento" senza alcuna "dimostrazione" dal momento
che i Padri sinodali non fecero alcun riferimento agli "Atti di Taddeo", n, tanto meno,
sentirono la necessit di recarsi, o inviare un testimone a Edessa, non molto lontano da
Nicea, per constatare la effettiva presenza della Sacra Immagine di Cristo,ben sapendo
che non esisteva; cos come erano assolutamente certi della falsit degli "Atti di Taddeo".
Questo spiega come fu possibile al documentato monaco Stefano esibire nell'asseblea
icondula, impunemente, il vero testo della "Storia Ecclesiastica" di un Evagrio Scolastico
ignaro del miracolo avvenuto a Edessa.
In effetti, come vedremo fra poco, la storia si evolver, pur se attraverso ulteriori dilanianti
contrasti fra cristiani, a favore delle icone e delle reliquie, sino a cadere nel parossismo ...
tutt'oggi sotto i nostri occhi e quelli di Whitby.
Come dimostrato nel Concilio Icondulo sulle Sacre Impronte, tenutosi a Torino nel
2010 in occasione della Grande Ostensione della Sacra Sindone, durante il quale la
dottoressa Ester Brunet si sentita in dovere di "anatemizzare" pubblicamente le indigeste
analisi della ormai defunta Julian Chrysostomides, che cita espressamente, concludendo:
"Si pu considerare lanalisi di Whitby lennesimo monito contro gli eccessi di una certa
critica interpolazionistica"
(infatti il suo "mnito" ci sta facendo tremare) e per "comprovare" lo studio del prof.
aggiunge "secondo la teologia neoplatonica di Giovanni Damasceno proprio di tutte le
icone partecipare in un certo qual modo della dynamis, dell energia del prototipo; non
perch portatrici in s della divinit (altrimenti venerarle sarebbe idolatria), ma perch
transitus a colui che vi rappresentato". La Brunet tira in ballo Platone, fingendo di
ignorare che ingenui popolani, convinti dai preti, sanno che ignoti resti umani
appartengono a questo o quel "santo", e, in quanto reliquie dotate di poteri miracolosi, le
adorano quotidianamente. Queste sono le argomentazioni "scientifiche" usate dai saccenti
iconduli, ben introdotti negli ambienti clero-intellettuali ... purch non dicano tutto.
I Codici di Evagrio Scaolastico e Procopio di Cesarea manomessi dagli amanuensi

Sono quattro i manoscritti a noi pervenuti che riportano la "Storia Ecclesiastica" di


Evagrio Scolastico con la "testimonianza" del miracolo di Edessa, il pi antico dei quali,
come abbiamo visto, il Codex Laurentianus LXIX 5, datato paleograficamente all'XI
secolo d.C. ma, dell'originale, secondo la Chiesa e i suoi partigiani studiosi, del Codice
"miracoloso", che possedeva l'Abate Giorgio a Nicea II, non vi alcuna traccia. Una
mancanza impossibile da giustificare perch quel Concilio fu voluto da Papa Adriano I, il
rappresentante pi autorevole di tutta la Cristianit e icondulo convinto, quindi la
documentazione relativa agli Atti del Sinodo era di sua pertinenza e, insieme a questi,
avrebbe dovuto portare a Roma in Vaticano anche il prezioso originale Codice del VI
secolo scritto da Evagrio, o, quanto meno, una sua copia dell'epoca con la testimonianza
storica dello strabiliante miracolo. Adriano I non sent il dovere di recarsi
personalmente a Edessa, o inviare un testimone in quella citt, non molto lontano da
Nicea, per accertare la effettiva presenza della Sacra Immagine di Cristo, ben sapendo
che non esisteva.

Dopo queste ovvie constatazioni, spacciare oggi il Codice Laurentianus LXIX 5 come
archtipo della "Storia Ecclesiastica" di Evagrio solo un'opportunista teoria fantareligiosa
riflettente la dottrina favorevole alle icone, in auge quando venne redatto il nuovo Codice
nell'XI secolo.
Pure il Codice presentato, tre secoli prima del Laurentianus, dal monaco Stefano a Nicea
II con il miracolo "cancellato", come vogliono farci credere i genuflessi studiosi, il vero
originale: sparito anch'esso. Dati di fatto determinanti che gli esegeti filo clericali evitano
accuratamente di segnalare, ma le ragioni, ripetiamo, sono pi che evidenti: l'epoca
storica dei manoscritti, a noi pervenuti col miracolo, documenta un interesse popolare
verso le sacre immagini e reliquie (alimentato da una Chiesa che ha saputo coglierne
l'opportunit) di intensit gi elevatissima, tale che tutti i Priori delle Abbazie attrezzate con
copisterie dovevano considerare e seguitare ad alimentare trascrivendo ex novo i Codici.
Stesse motivazioni e stessa sorte per il Codex Athos, Lavra H-73, relativo a "Storia delle
Guerre" di Procopio di Cesarea, ricopiato dagli amanuensi alla fine del XIII secolo.
Attenendosi ad un tacito accordo di tipo omertoso, nessun prelato o studioso credente
(come la erudita Ester Brunet), oggi, ritiene doveroso manifestare apertamente che tutti i
presenti al II Concilio di Nicea, favorevoli alle Sacre Immagini, cos come tutti i convenuti
ai Concili antecedenti e successivi, pro e contro le icone, tenutisi sullo scottante tema, se
avessero avuto un minimo appiglio per riconoscere come veritiera e originale la narrazione
della Sua Immagine, rilasciata appositamente dallo stesso Ges ancora vivo ... tutti,
senza eccezione alcuna e sin dall'inizio, la avrebbero "adorata", non semplicemente
"venerata".
La Chiesa oggi sa perfettamente - come i Suoi colti adepti collocati nelle elevate cattedre
della Conoscenza e tutti i Padri conciliari hanno sempre saputo - che gli evangelisti e gli
Apostoli avrebbero sbito scritto nei Vangeli la "parabola della Sacra Immagine";
successivamente, in "Atti degli Apostoli", avrebbero riferito del "Sacro Volto" e del super
miracolo internazionale di Ges, che guar dalla lebbra Abgar, la sua famiglia e gli abitanti
di Edessa; un evento tale, infine, che sarebbe stato magnificato anche nelle
rispettive Lettere Apostoliche "spedite" a futura memoria dai "Successori di Cristo", ma a
noi pervenute prive della testimonianza di quello che sarebbe stato il pi grande
miracolo compiuto da Ges.
Per di pi, in base al Sacro Testo, tutti gli esegeti della cristianit odierna sanno, come tutti
i Padri sinodali sapevano, che, dopo la morte di Ges, gli Apostoli si riunirono per
quaranta giorni in Gerusalemme assieme a Maria Vergine in attesa dello Spirito
Santo, compreso Giuda, incaricato della missione salvifica inventata da Eusebio di
Cesarea tre secoli dopo:
"Dopo l'ascensione di Ges, Giuda, detto anche Tomaso, mand ad Abgar l'Apostolo
Thaddaeus".
Ma, nella narrazione sacra apostolica dei loro "Atti", neanche alla Madre di Cristo, Giuda,
rappresent nel Sacro Concilio questa "volont" espressa da Suo Figlio quando era in vita.
Tanto pi perch l'Apostolo Taddeo era sconosciuto dallo scriba lucano di "Atti", quindi
non era presente con gli altri successori di Cristo, riuniti, "assidui e concordi nella
preghiera" con Sua Madre.
Ecco perch a Nicea II, tutti i presenti all'assemblea conciliare, indistintamente, sapevano
che nessun Apostolo,Padre, Vescovo, Papa o storico cristiano, sino ad Eusebio di
Cesarea, aveva mai sentito parlare, non solo di Sacro Volto, ma neanche di semplice
"lettera divina" che, nel giro di un paio di secoli dopo il Vescovo, si trasformer in
"Immagine sacra di Ges".
Anche se, pur di favorire un opportunistico "apostolato" tutto ci viene furbescamente
taciuto, l'intera ecumene degli studiosi cristiani genuflessi ne consapevole oggi, come
tutti i convenuti al II Concilio di Nicea lo sapevano allora ... tranne, 1200 anni dopo, l'ignaro
Prof. Michael Whitby, laureato al "Corpus Christi College", che ha sprecato quattro pagine
per una comoda "ispirata critica" alla dottoressa Julian Chrysostomides, da offrire in
dono "ad hoc" ai credenti "beati poveri di spirito" in occasione delle celebrazioni del
"Grande Giubileo Universale, Anno Domini 2000".

Ancora sulla "Tradizione" cristiana

Nello stesso II Concilio di Nicea venne messo agli Atti il Canone 82 del VI Concilio
(Concilio Quinsesto del 692 d.C.) convocato a Costantinopoli dall'Imperatore bizantino
Giustiniano II Rinotmeto. Il Canone 82 di quel Concilio, letto a Nicea II ad alta voce dal
Protopresbitero Elia, decretava la possibilit di rappresentare in forma umana il Cristo:

"Comandiamo che dora innanzi, invece dellantico agnello (Agnus Dei), il carattere di
colui che toglie i peccati del mondo, cio di Cristo nostro Dio, sia dipinto e raffigurato
sotto forma umana".

Mai, prima e dopo tutti i Concili della Chiesa, non solo quelli iconoclasti o iconduli,
nessun Padre sinodale accenn a simboli quali "pesce" "pane" "vino" "ncora" "fico"
"olivo" e quant'altro la fantasia dei saccenti credenti odierni riesce ad inventarsi, scrivendo
trattati pseudo scientifici, in materia, allo scopo di creare prove sull'esistenza dei
fantomatici cristiani gesuiti nei primi due secoli. Oggi le raffigurazioni, rinvenute nelle
catacombe pagane di molti alimenti o oggetti, vengono "abbinate" a Ges dagli studiosi
baciapile ... anche a costo di espropriare la fede pietosa che imponeva ai Gentili di
"accompagnare" il caro defunto nella discesa agli "Inferi" (il regno dell'Ade) con ordinarie
pitture di cibo e oggetti a lui graditi in vita.
La rappresentazione di un semplice banchetto pagano, molto in voga nella opulenta Roma
imperiale, diventa "l'ultima cena con la celebrazione dell'eucaristia". Una mamma che
allatta un neonato diventa "la Madonna" e l'uomo che la ammira un "Profeta"; uno squalo
che azzanna un naufrago "Giona risputato dalla balena"; una vite con l'uva "la Chiesa
di Cristo"; un comune pastore di ovini non pu che essere "il Buon Pastore Ges che dona
la Sua vita per le Sue pecore" ... e cos via.

I musei di tutta Europa conservano moltissime epigrafi su lastre tombali di pietra, pitture e
graffiti, ove gli antichi Romani trascrivevano vicende di vita quotidiana, anche fuori delle
catacombe ... ma nulla risulta attinente al cristianesimo dei primi tre secoli. Ne deduciamo
che le migliaia di mrtiri, pronti ad affrontare i pi atroci supplizi anzich rinnegare la
propria fede (secondo la artefatta "tradizione"), nella realt, pur potendo conservare
l'anonimato, avevano grossi problemi ad incidere su lastre di marmo i "detti del
Signore" (logia), indicando, naturalmente, che l'Autore della dottrina era Cristo.
I Papi Zefirino e Callisto, stando alle affermazioni degli esegeti del Vaticano, erano
i "Sovrintendenti le catacombe della Via Appia"... ma, da quanto risulta, le vite di questi
Santi sono "certificate" in epoca futura da altri Santi successori e attestate solo in Codici
medievali stilati durante l'epopea icondula.
Diversamente dall'ingente patrimonio di iscrizioni arcaiche raccolte - ad iniziare dalle
scritture cuneiformi su tavolette d'argilla dei Sumeri risalenti a 3000 anni avanti Cristo - nei
primi tre secoli dell'Impero Romano non esiste alcuna raccolta (Corpus Inscriptionum
Christianorum) di epigrafi, epitaffi o scritte lapidee antiche a riprova dell'esistenza di
numerose Ecclesiae cristiane amministrate dai "Vescovi assisi sul trono" e sparse in tutto
l'Impero ... secondo quanto "postulato" da una Tradizione ecclesiastica creata a posteriori.
Un vero e proprio "buco" archeologico che conferma gli studi precedenti tramite i quali
abbiamo accertato l'inesistenza degli Apostoli ed i loro successori almeno nei primi due
secoli d.C.

La stessa immagine del "Dio Sole", un mosaico della antica Basilica di San Pietro (sotto
l'attuale in Vaticano) - che rappresenta il Sol Invictus Deus Elios mentre si innalza verso lo
znit del cielo sullo splendente cocchio trainato da cavalli rampanti - ai sottomessi credenti
viene propinata come "l'Ascensione di Cristo".
Fingendo di ignorare l'evangelico "pio" asinello montato da Ges, le guide turistiche
evitano, molto opportunamente, di spiegare cosa ci faceva sul pavimento della prima
Basilica di san Pietro questo mosaico raffigurante una divinit pagana ... ben sapendo che
un generico "chiarimento archeologico" suona come una sorta di "esorcismo" contro i
cattivi pensieri di quella parte di praticanti odierni che hanno, sia pur vagamente, sentito
parlare di un Cristo Salvatore ideologizzato tramite il sincretismo religioso derivato dalla
mescolanza di riti e pratiche spirituali con origini diverse.
Gli studiosi ispirati "dribblano" ipocritamente la stessa "Tradizione Ecclesiastica", evitando
di documentare ai fedeli credenti che nessuno degli Apostoli, Padri
apologisti, Vescovi, Papi, e gli innumeri "cronisti di Cristo", abbia mai riferito di un
Ges rappresentato da un "pesce".
La strombazzata combinazione acronima di "ictus", che in greco vuol dire "pesce", solo
una delle mille bizzarrie fantasiose da "enigmistica tascabile gesuita" ... ciononostante, per
i proni indottrinatori che fanno "apostolato" diventa la "chiave criptata" per rintracciare
inesistenti seguaci di Ges nei primi secoli. Quindi, diversamente dai fantomatici
paleocristiani gesuiti, solo per i cristiani odierni un pesce disegnato in una catacomba
dell'antica Roma significa: "Ges Cristo figlio di Dio Salvatore". E il lavaggio del cervello ha
prodotto i suoi frutti "esotici", al punto che la filologa cattolica Ilaria Ramelli, nel suo studio
(lo abbiamo riportato nel V argomento sull'apostolo Giovanni) afferma che " ben noto il
valore cristoforo del pesce, in virt dell'acrostico che risulta dal suo nome greco", e dopo
tale divino "acrostico bizzarro", postulato dalla geniale dottoressa, essa capace di
identificare sotto le squame di un enorme pesce rombo nientemeno che ... san Giovanni
apostolo (sic!: leggere per credere).
Basta ricercare nel vocabolo l'opportuno accoppiamento scegliendo iniziali, sillabe o parti
del lemma, come nel caso di un ignaro pesce "piscis" dipinto in una antica catacomba
romana pagana e, affinch il giochetto funzioni, obbligatoriamente, si deve tradurlo dal
latino nel greco (ichthus), da cui i mistici enigmisti ricavano "Iess Christos Theou
Yios Soter", poi ritradurlo nelle varie lingue madri dei "cristiani gesuiti primitivi" i quali,
stando alla "Tradizione", erano Ebrei plebei di parlata aramaica ... tutti frequentatori dei
corsi serali delle scuole di formazione multilingue.
Ma c' ancora dell'altro. Come sopra visto, i Patriarchi cristiani iconoclasti ordinarono
anche la distruzione delle"reliquie dei santi", fatto talmente grave da provocare la
scomunica da parte di Papa Gregorio III nel 731 d.C. Questo evento comprovava (e
ancora dimostra) una realt molto scomoda allora per Papa Gregorio e inaccettabile, oggi,
dalla dottrina della Chiesa Universale: Imperatori, Patriarchi, Vescovi e Presbiteri, tutti
cristiani, quando decretarono la fine delle "sante reliquie", lo fecero perch sapevano che
erano false ... come il Mandylion. Le Eminenze Grigie della moderna esegesi ecclesiastica
controllano attentamente che i verbali dei Concili dell'era iconoclasta non vengano
pubblicati in forma ufficiale per intero onde evitare che la "Assoluta Verit della Fede" non
venga scalfita dalle umili testimonianze di Clerici in sincera buona fede.

Convinto da un potente "manipolatore teologale", il Mandylion di Cristo fu "documentato"


dallo scriba cristiano che copi il manoscritto originale di Evagrio Scolastico (ovviamente
distrutto) durante la cruenta secolare guerra iconoclasta che vide cristiani massacrare altri
cristiani.
Il telo Acheiropoietos "non fatto da mano umana" non mai stato visto da "alcun occhio
umano"; anche le sue future "apparizioni" sono leggendarie, richiamate senza dati storici
concreti, e inizieranno quando il Medio Evo volger al termine ma, ancora oggi, nessuna
Chiesa in grado di ostentare la "Sacra Immagine Acheiropoietos" rivendicandone
l'autenticit.
La diversit dei tre Mandylion esistenti in Italia, ognuno corredato dalla propria leggenda,
gi da sola dimostra che sono falsi ... ancorch ridicoli: basta guardarli! Sono tutti
rinascimentali e "conservati" a Genova nella Chiesa di S. Bartolomeo, a Roma in Vaticano
e a Manoppello (vicino a Pescara) "Citt del Volto Santo" cos si definisce l'attuale
Comune propagandandosi attraverso il "Santo richiamo turistico". Infine, il Mandylion del
Vaticano addirittura su tavola ... del resto, per il Dio Ges non fu certo un problema
fissare la Sua immagine sul legno.

Dopo questa ultima sintesi, incentrata e basata sui dati storici essenziali comparati alla
documentazione patristica e neotestamentaria al fine di evidenziare la artificiosa
montatura della "secolare tradizione cristiana" tramite particolari specifici accertati durante
l'excursus dei Concili ufficiali sulle sacre icone, il cui divieto perdur a fasi alterne sino
all'epoca carolingia ... A partire dal tardo Medio Evo la storia dell'arte sacra gesuita
registra il crescente sforzo del Clero per colmare il vuoto di immagini delle divinit cristiane
ed i loro Santi, beatificati dalla Chiesa con le loro reliquie, sino a culminare, cinque secoli
dopo l'incoronazione di Carlo Magno, con la pi famosa e controversa immagine del
mitologico "Ges" che la cristianit abbia mai conosciuto ... n mai sentito parlare prima di
allora: la Sindone di Torino.

Sacre Sindoni a caterve

Ancora prima dell'epoca carolingia, la volont popolare, gi superstiziosa di sua natura,


per di pi indottrinata "a puntino" grazie ai pulpiti che promettevano la vita eterna, esigeva
la adorazione delle immagini sacre e fin, inevitabilmente, col prevalere. Dopo secoli di
lotte intestine fra cristiani, finalmente, sia il papato di Roma che il patriarcato di Bisanzio
decisero che "le icone rafforzavano la fede dei credenti" ... con buona pace dello specifico
dettato di san Paolo, ma non delle anime dei suoi seguaci Pauliciani, i quali, dopo essere
stati massacrati, furono spediti direttamente ad arrostire nelle fiamme dell'Inferno.
Ci che interessava al Clero era, innanzitutto, la popolarit: che fu acquisita con una
dottrina che seppe veicolare leantiche credenze pagane - ancora presenti nella memoria
di un volgo che non intendeva rinunciare alla protezione atavica dei "Numi Tutelari" - per
trasferirle nei Santi "Patroni", appositamente beatificati a migliaia e "autenticati" dalle
rispettive reliquie, il cui commercio prolifer a dismisura per soddisfare l'incessante
crescita della domanda.
La richiesta era pressante e la motivazione fin troppo evidente: le popolane masse, ancor
prima del conseguimento della paradisiaca immortalit, anche nel quotidiano presente
volevano essere "cautelate" da divinit appositamente "specializzate" nella protezione
contro le oscure insidie naturali del corpo e della mente ... financo a garanzia dei concreti
e "spiccioli" affanni delle corporazioni dei mestieranti.
Il risultato tutt'oggi sotto i nostri occhi: in confronto all'immortale "Regno Celeste", il pi
popoloso degli Olimpi ormai declassato, numericamente, a meno di una capocchia di
spillo.
Molto pi in basso, nelle terrene Cattedrali del mondo cristiano, al fine di rafforzare la
spiritualit dei fedeli riuniti nel "sublime messaggio divino", apparvero miracolosamente, e
si conservano tutt'oggi, le spoglie intere dello stesso Apostolo, Santo, Evangelista, Re
Mago, Mrtire ecc. Allora, per evitare di esagerare con le eccessive "clonazioni", le Chiese
ripiegarono sulle "particole dei Santi", ovvero "pezzi" dello stesso Beato, magari la testa o
un femore, ma andavano bene anche semplici frammenti ossei o sangue, che si
prestavano ad essere distribuiti pi facilmente e capillarmente ... come una dozzina di
autentici "Santi Graal": la coppa dell'Ultima Cena contenente il sangue di Cristo.

Il numero dei "Santi Graal" fu superato da quello dei "Santi Prepuzi" di una ventina di
"Bambin Ges" circoncisi, la cui autenticit fu rivendicata da un altrettanto numero di
Basiliche, sino al punto che la Chiesa di Roma, consapevole del discredito di cui veniva
fatta oggetto, anche pubblicamente, con il Decreto n 37 del 3 Febbraio 1900, viet a
chiunque di parlare o scrivere del "Santo Prepuzio" pena la scomunica. La legge stata
riconfermata nell'Italia repubblicana nel 1954 da Pio XII.
Le "convalide" delle reliquie erano garantite da guarigioni miracolose "certificate" da
apposite Congregazioni e regolarmente verbalizzate per essere poi sottoscritte dai Capi
Spirituali delle Diocesi di appartenenza dei sanati dai divini prodigi.
Ma anche gli strumenti utilizzati per "la Passione di Cristo" apparvero in numero talmente
elevato da inflazionare la "Via Crucis" al punto che non sarebbero bastati cento "Cirenei"
per aiutare Ges a trasportare sino al Glgota tutte le croci riassemblate, tanto erano
numerosi i pezzi di legno della "Santa Croce" ritrovati. Stessa proliferazione abnorme per
chiodi, corone di spine, lance, flagelli, dadi, tuniche, scale, culle, mangiatoie, ecc.
Molto prima dei tre Mandylion rinascimentali sopra descritti, a partire dal X secolo
iniziarono i "ritrovamenti tangibili" e la diffusione delle immagini acheropite "non fatte da
mano umana", sottinteso: "per opera divina".

Il Volto Santo, durante la Passione, fu asciugato e riprodotto non una, come da vangelo,
ma una decina di volte dalla pia donna che in seguito, con uno studiato gioco di parole,
verr furbescamente chiamata "Veronica" (vera icona): gli "originali" dell'Immagine sono
conservati in altrettante Basiliche, Cattedrali e Monasteri.

Ma, quello vero, il pi importante Mandylion il "Sagrado Rostro" (Volto Santo) del
"Sudario di Oviedo", in Spagna: un comune telo intriso di alcune macchie di sangue che
non lascia intravedere alcun lineamento umano. Si tratta del lino (cm 85x53) che, stando
al vangelo di Giovanni, fu visto nel Santo Sepolcro da Simone Pietro e il "discepolo
prediletto". La particolareggiata "cronistoria" imbastita dal Vescovo Pelagio di Oviedo, in
carica dal 1101 al 1130, e arricchita di particolari dagli ispirati "sindonologi" odierni - capaci
di ricostruire il bimillenario percorso del telo, custodito da san Pietro in un "Sacro Scrigno"
assieme ad altre reliquie - ha reso questi studiosi cos certi dell'autenticit che il Centro
Espaol de Sindonologa (CES: Centro Spagnolo di Sindonologia), benedetto dalla Santa
Sede, ha osato sottoporre il reperto del"Sagrado Rostro" alla verifica del radiocarbonio 14
per accertarne la datazione con il malcelato intento di riaprire il "caso" della Sindone di
Torino, gi bollata come un falso dai diversi accertamenti eseguiti sempre tramite il C14.
Ma la deludente risposta ha infranto le speranze dei sindonologi mistici: la verifica
strumentale fa risalire la reliquia del "Volto Santo" a sette secoli successivi la Passione
di Cristo (l'epoca coincide con quella delle lotte iconoclaste tra cristiani). Dopo il test gli
scienziati spiritualisti spagnoli del CES si sono "accorti" che "questa datazione potrebbe
essere frutto di contaminazione dei funghi". Per contro, l'Istituto Nacional de Toxicologia
Ciencias Forense - previo un altro esame al C14 - l'8 Luglio 2007, per voce di Antonio
Alonso del "Ministerio de Justicia", comunica: "la unica evidenza scientifica, quella del test
al radiocarbonio 14, dice che la reliquia falsa".

Nonostante la certezza della contraffazione, la "reliquia" continua ed essere ostentata ai


fedeli dalle autorit ecclesiastiche come un autentico oggetto di culto insieme al "Sacro
Scrigno" che la conteneva. Uno scrigno che, ricordiamo, accoglie e conserva altre reliquie
la cui datazione, ormai, esclusiva pertinenza del "Credo" dal momento che, dopo la
"Passione" scientifica subita per colpa del C14, l'Alto Clero non vuol pi correre ulteriori
rischi sottoponendole all'accertamento dello strumento satanico. Per altro, le Eminenze
Grigie della Chiesa sanno benissimo (ma fanno attenzione a non riferirlo, nemmeno ai
sottomessi "Sindonologi Mistici") che, stando alla "ricostruzione storica pi attendibile"
propagandata dagli esegeti spiritualisti, il "Sacro Scrigno", se veramente l'avesse preso
san Pietro con il lino del "Sacro Volto", come postulato dagli scienziati spiritualisti,
l'apostolo avrebbe dovuto consegnarlo a Maria, quando, nei giorni successivi la morte di
Suo Figlio, i dodici apostoli erano tutti assieme alla Madre di Dio. Ma gli "Atti degli
Apostoli" li vede riuniti nel Cenacolo assieme a Maria "Assidui e concordi in preghiera per
quaranta giorni sino allaDiscesa dello Spirito Santo"... senza specificare la presenza delle
Divine Reliquie, troppo importanti per essere dimenticate dai successori di Cristo, ad
iniziare dal Volto Santo impresso nel telo per Sua volont ... se fosse vera la Sacra
Leggenda, assemblata con testimonianze di "Storia Sacra", tutte contrastanti fra loro.

Seguono il Volto Santo di Lucca e il Volto Santo di Sansepolcro, due crocifissi lignei in
Toscana le cui leggende ed i relativi ritrovamenti sono macchinosi e puerili al contempo: la
loro "utilit" legata al mantenimento delle rispettive sagre popolane; oltre che
rappresentare una ghiotta occasione per gli scrittori amanti del "mistero divino".
I ritrovamenti delle Sindoni si moltiplicano: la Sindone di Carcassonne in Francia; la
Sindone di Cadouin in Francia; la Sindone di Compigne in Francia; il Sudario di
Kornelimunster presso Aachen in Germania; ancora in Francia il Sudario di Cahors,
completo della "Sacra Cuffia" per assorbire il "Sacro Sangue" fuoriuscito a causa delle
"Sacre Spine" della "Sacra Corona". Appare la Sindone di Aquisgrana; il Sudario di Arles;
il Lino di Cristo di Iohanavank in Armenia; il Santo Sudario di Lisbona; il Santo Sudario di
Magonza; la Sindone di Parigi; la Sindone Mondissima di Limoges, il Sudario di Akeldam
a Gerusalemme e tante altre ancora ... ma ci siamo stufati di elencarle.

Finalmente (se ne sentiva la mancanza) giunge tutta intera la "Tunica Sacra" di Ges, ad
Argenteuil in Francia.
Fu donata a Carlo Magno dall'Imperatrice Irene di Costantinopoli circa nell'800 d.C., e
questi l'affid alla figlia Teodrada dell'Abbazia di Argenteuil, ivi conservata, con alterne
vicende, fino ad oggi. Sulla tunica sono visibili macchie di sangue: una, sulla spalla
causata dal peso della Croce trasportata, altre sulla schiena dove fu flagellato Ges.
Con un trascorso storico simile e la precisa corrispondenza alla tormentosa narrazione
evangelica non esisteva credente al mondo che dubitasse della sua autenticit ... sino al
punto di sfidare il responso del radiocarbonio 14.

Il 17 maggio del 2004 il "Commissariat a l'Energie Atomique" di Saclay, vicino Parigi, ha


sottoposto il Sacro reperto all'accertamento strumentale C14 ricavando la datazione del
650 d.C.: una doccia fredda per i "beati poveri di spirito".
I sindonologi partigiani della autenticit della "Sacra Tunica di Cristo", non rassegnati,
hanno richiesto un altro esame a controprova, grazie anche alla pressione dei credenti. Il
test viene ripetuto nel 2005 con l'esito definitivo che fa risalire la "Sacra Tunica di Ges"
al 750 d.C.
Come per il "Sudario del Volto Santo" di Oviedo anche la datazione della "Sacra
Tunica" di Argenteuil coincide con le cruente contese iconoclaste che obbligarono
Papa Gregorio III ad indire il Concilio del 731 d.C. a Roma, con cui decret la scomunica
per i cristiani contrari alle sacre reliquie e le immagini dei Santi.
Nel rispetto della memoria della dottoressa Julian Chrisostomides, doveroso ricordare la
precisione delle sue analisi a dimostrazione che durante l'epoca delle lotte iconoclaste fra
Cristiani vi fu una grande produzione di reliquie, quindi i quattro test al C14 eseguiti
nell'ultimo decennio hanno confermato i risultati dei suoi studi.
Ormai, sulla "Sacra Tunica" che indoss Cristo sette secoli dopo la Sua "Passione"
calato irrevocabilmente il rassegnato silenzio dei suoi fan.

Ne sono rimasti alcuni pezzi, sparsi qua e l in Basiliche e Cattedrali varie ma, come per il
Sacro Sudario di Oviedo, l'Alto Clero ha relegato la propria caparbia convinzione
confinandola nel pi cristianamente affidabile "Credo" ... limitandosi ad alimentare la Fede
dei credenti dolciotti con gli ultimi ritrovati scientifici: i pollini; il sangue del gruppo AB;
l'esplosione di luce della resurrezione; il DNA mitocondriale ... tutti "compatibili" con la
terra di Cristo ed il Suo sangue, giunto sino a noi per essere "quasi clonato"... stando alle
conclusioni dell'icondulo showman Roberto Giacobbo, esternate nel ciclo Voyager del 18
marzo 2009 "La verit nascosta del Santo Sudario di Oviedo"; cui seguiranno le
considerazioni mistiche del 25 maggio 2010 (anno della Sua ostensione) concernenti "La
Sacra Sindone", "un mistero difficile da spiegare": parola di san Giacobbo.

La Sindone di Torino

XIV secolo. L'epopea delle lotte iconoclaste fratricide tra cristiani ormai dimenticata, le
Crociate in Terra Santa sono finite da poco e il monastico Ordine dei Cavalieri Templari,
"Compagni d'armi di Cristo", stato appena soppresso.
Ci troviamo nel pieno dell'era icondula paganizzante, quando, all'improvviso, a Lirey in
Francia "appare" la prima volta, per volont di Dio, nell'Anno Domini 1353, un telo - lungo
oltre quattro metri e largo poco pi di uno, del peso di un paio di chili - contenente una
immagine frontale e dorsale della "Sacra Impronta" rimasta fissata nel lino in
cui fu adagiato Cristo dopo la straziante "Passione" subita 1320 anni prima.
Accantonata la cronistoria delle Auguste Immagini di Cristo, troppo numerose per
indagarle tutte, spostiamo la nostra attenzione sulla "Sacra Sindone" conservata nel
Duomo di Torino, tenendo ben presente anche gli esiti degli esami radiometrici al C14 con
gli accertamenti delle falsit riscontrate nelle Sacre Reliquie che hanno osato sottoporsi ai
test fra gli anni 2004 e 2007: la Sacra Tunica di Argenteuil e il Santo Sudario di Oviedo.
L'esito negativo di questi esami ha vanificato il disperato tentativo della Chiesa di
dequalificare la sacrilega condanna alla "Damnatio Memoriae" per frode ecclesiastica della
Sindone di Torino. La sentenza venne emessa, il 13 ottobre 1988, a seguito di tre verifiche
effettuate contemporaneamente nei tre laboratori, diversi e indipendenti fra loro, di Oxford,
Tucson e Zurigo, scelti dalle autorit ecclesiastiche della "Accademia Pontificia delle
Scienze" assieme al relativo protocollo da seguire: il tutto con la benedizione di Papa
Wojtyla ... ma non del C14, la cui risposta univoca dei tre Istituti datava la Sindone fra il
1260 e il 1390. Quindi "centrando" in pieno la prima "apparizione" convalidata da concreti
riscontri storiografici.

Le ripercussioni negative sulla credibilit della Chiesa e la Sua dottrina non si sono fatte
attendere: la domenica gli Stadi traboccano, mentre, via via che si susseguivano gli esiti
del C14, le Chiese andavano sempre pi svuotandosi e la religione un argomento ormai
indifferente alla massa delle persone.
Una volta messo con le spalle al muro il Clero ha continuato ad ostentare un "millantato
credito" grazie ai media, tutti compiacenti, facendo il possibile per affollare Piazza San
Pietro con gite organizzate e la onnipresente settimanale "foto-memoria di piazza"
trasmessa via TV. Purtuttavia, ben sapendo che questa messa in scena non in grado di
ribaltare i negativi responsi della scienza sulle tre reliquie esaminate, la Chiesa Universale
ha indetto una Santa Crociata Mediatica e chiamato a raccolta gli "Scienziati di Cristo",
incitandoli ad elaborare teorie scientifiche di "ultima generazione" da esporre nel Concilio
Icondulo sulle "Sacre Impronte" tenutosi a Torino fra il 18 e il 20 maggio 2010: anno
della Grande Ostensione Sindonica.
Intanto, per far cessare le continue defezioni, il Clero studia una tattica di "contenimento"
facendo entrare in azione i "Sindonologi Mistici" (SM) folgorati da "Rivelazioni Divine", utili
a trattenere quei praticanti meno portati alla critica.

Al contempo, dall'Alto dei Cieli, l'Eterno Creatore rivela agli Eletti Scienziati Illuminati (ESI)
che lo Strumento di Satana riuscito ad ingannarli, sinora, tramite una "circonvenzione di
incapaci": azione illecita punita dal Codice Penale, quindi tutti gli esami devono
considerarsi "invalidati". Inoltre, stante la grave emergenza di Fede, dopo aver fatto
miracolosamente apparire sulla Sindone di Torino la scritta "ENEA", l'Altissimo emette un
rigido Protocollo Divino, da osservarsi scrupolosamente, equiparato a "Comandamento":
"Tutti i Sindonologi Mistici e gli Eletti Scienziati Illuminati devono astenersi pubblicamente
dall'entrare nei particolari neotestamentari, cessare di ricorrere a ulteriori "Rivelazioni
Divine" ed evitare, tassativamente, di citare la storia patristica cristiana sino a tutto il IV
secolo, nonch qualsiasi Concilio tenutosi su le "Sacre Impronte" dal VI secolo in poi ...
pena le Fiamme dell'Inferno".

E tutti gli Eletti Scienziati Illuminati assieme ai Sindonologi Mistici, in ottemperanza al


Nuovo Comandamento, convocano conferenze, seminari, convegni, realizzano
documentari televisivi e spiegano che si trattato di un maligno complotto: l'esame
radiometrico del C14 non poteva applicarsi. Punto e basta. Viceversa, spiegano, pi
valido il "metodo laser" in grado di dimostrare che la Sindone conserva ancora le tracce
dell'Esplosione di Luce al momento della Resurrezione. Anche l'RPD sacrosanto e
affidabile, il Rilevatore Pollini Divini, quelli "compatibili con la Terra di Cristo", in grado di
sopravvivere 2000 anni e provare il percorso fatto da Gerusalemme a Lirey in Francia
dove "apparve" per volont di Dio,la prima volta nel 1353, il lenzuolo funebre extra long
con la Sacra Immagine di Cristo deposto dalla Santa Croce.

Viene poi introdotta la novit "storica" in assoluto, roba che neanche il Beatificato Karol
Wojtyla riusc a profetare durante il suo longevo papato: la Sindone di Torino e il
Mandylion sono la stessa "Sacra Reliquia". Una "contorta indagine" inventata inizialmente
dallo scrittore inglese Ian Wilson nel 1978, e come tale considerata dagli esegeti
accreditati della Chiesa ... sino ai tempi recenti.
Alla data della sua prima apparizione, essendo un telo ignoto senza alcun richiamo
storico, neotestamentario e neanche patristico, per superare il pericoloso "impasse" della
assenza di "Tradizione", i Sindonologi Mistici per colmare l'ultra millenario silenzio
sindonico riesumano la "Leggenda del Volto Santo" (il mito evolutosi dalla Sacra Lettera di
Ges ad Abgar) quindi ci spiegano che "la Sindone in realt il Mandylion di Edessa" il
quale, inizialmente, fu opportunamente ripiegato quattro volte in modo da ottenere otto
strati sovrapposti per lasciare visibile solo il Sacro Volto. Se qualcuno poi obietta che la
Sindone di Torino raffigura un Sacro Cadavere con gli occhi chiusi, mentre il Mandylion
ritrae il Cristo vivo e vegeto ad occhi aperti, allora spiegano che basta concentrarsi
intensamente e, ecco il miracolo: gli occhi di entrambi si aprono e si chiudono a
discrezione poich il Potere Divino ascolta la Fede del Giusto esaudendo il suo desiderio.
Chi non fra questi non potr vedere n capire.

Alleluia! Fra questi il pio Giacobbo. Il 25 maggio 2010, appena cinque giorni dopo il
Concilio Icondulo di Torino su le "Sacre Impronte", il programma "Voyager" manda in
onda sulla TV di Stato Rai 2 "La Sacra Sindone". Una inchiesta ad "Alto Profilo Scientifico"
con il palese fine di svelare l'arcano che aleggia sul Sudario che avvolse il Corpo esamine
di Cristo: "un mistero difficile da spiegare". Sin dall'inizio lo showman ammaliatore,
accompagnato da un coro celestiale come sottofondo sonoro e da una voce narrante fuori
campo, chiarisce subito il mistero e spiega che "da secoli, questoTelo Divino, conserva
intatto il suo segreto: la reliquia pi importante della cristianit, la raffigurazione quasi
tangibile della sofferenza e del Sacrificio di un uomo condannato a torture terribili e ad
una morte atroce percrocifissione"... ma, consapevole dell'ultimo Comandamento dettato
da Dio, Giacobbo non menziona gli esiti delle datazioni al C14 nonostante abbiano gi
chiarito definitivamente il "mistero".

Gli Eletti Scienziati Illuminati e i Sindonologi Mistici, in virt delle Rivelazioni Divine
ricevute, scatenano nella "Crociata Mediatica" un fuoco "in Crociato" di Sacre Tesi
riportate su innumeri libri, lezioni, verbali, filmati e quant'altro le fantasie mistiche si
sforzano di congetturare: da Costantino il Grande, su su nei secoli, fino ai Cavalieri
Templari ... giungendo a contraddirsi l'un l'altro. In questo Sacro Bailamme altisonante di
teorie strampalate, senza alcuna base storica e scientifica, si distingue una autorevole
voce fuori dal coro: Andrea Nicolotti. Chi l'avrebbe mai detto?
L'insigne studioso, da molti anni impegnato a "rammendare" i numerosi "strappi" alla storia
contenuti nelle Verit neotestamentarie, intravede nella Crociata Mediatica in atto il
concreto rischio di una perdita di credibilit da parte di quel mondo intellettuale e
razionale, poco incline a farsi prendere in giro.
Constatato che la schiera dei Sindonologi Mistici vede cresciuti a dismisura e fuori
controllo quelli convinti che la Sindone di Torino e il Mandylion di Edessa siano la stessa
reliquia, affronta seriamente la questione e nel 2011 pubblica un libro con uno studio
approfondito* presentato al Congresso di Torino, attraverso il quale, avvalendosi di fonti
storiche, letterarie e iconografiche, sconfessa la puerile teoria con precisi dati di fatto e,
senza remore, ne cita molti, italiani ed esteri, con tanto di nome e cognome.
Il dottor Nicolotti sa, ed ha ragione (questa volta), che a lungo andare le argomentazioni
sciocche hanno la peggio finendo col gettare ulteriore discredito sulla gi traballante
credibilit della Chiesa.

* "Dal Mandilio di Edessa alla Sindone di Torino. Metamorfosi di una leggenda"


Anche in rete pubblica uno studio specifico, consultabile liberamente, "Forme e vicende
del Mandilio di Edessa"

La disamina contiene una ricerca iconografica che si allarga alle reliquie documentate sino
a ricostruire la storia del famoso reliquiario custodito a Costantinopoli dagli Imperatori
bizantini a partire dal 944 d.C.
Nel 1204 la citt fu assalita e saccheggiata dai Crociati i quali salvarono il reliquiario
divenuto propriet di Baldovino I, nuovo Imperatore di Costantinopoli nel 1228, fu
poi venduto da suo figlio Baldovino II dietro pagamento di una cifra esorbitante a
(Ludovico) Luigi IX detto il Santo, Re di Francia dal 1226 fino alla sua morte nel 1270 (poi
' stato fatto veramente Santo). Al termine del particolareggiato excursus storico, Nicolotti
conclude:
Siamo in grado di sapere con precisione quali furono le reliquie cedute al sovrano
francese perch ci pervenuto il testo di una dichiarazione, datata giugno 1247, che le
elenca una ad una:

"La sacrosanta corona di spine del Signore, e la santa croce; poi del sangue del Signore
nostro Ges Cristo; i panni dellinfanzia del Salvatore, con i quali fu avvolto nella culla;
unaltra grande porzione del legno della santa croce; il sangue che, per stupefacente
miracolo, still da unimmagine del Signore percossa da un infedele; poi la catena, o
vincolo di ferro, fatto quasi in forma di anello, con il quale, si ritiene, nostro Signore fu
legato; la santa tela inserita in una tavola; gran parte della pietra del sepolcro del Signore
nostro Ges Cristo; del latte della beata vergine Maria; poi il ferro della sacra lancia con
il quale il fianco del Signore nostro Ges Cristo venne trafitto; unaltra piccola croce, che
gli antichi chiamavano croce trionfale, perch gli imperatori erano soliti portarla alle guerre
per speranza di vittoria; la clamide scarlatta che i soldati misero addosso al Signore nostro
Ges Cristo, a suo scherno; la canna che gli posero in mano al posto dello scettro; la
spugna piena daceto che gli sporsero quando era assetato sulla croce;parte del
sudario con il quale il suo corpo fu avvolto nel sepolcro; poi il lino di cui si cinse
quando lav i piedi dei discepoli, e con il quale asciug i loro piedi; la verga di Mos; la
parte superiore della testa del beato Giovanni Battista, e le teste dei
santi Biagio, Clemente e Simeone"* (Epistula Ludovico IX).
Questo documento storico conferma che sino al 1247 d.C. non esisteva ancora la ben pi
famosa Sacra Sindone in Francia ove, come sappiamo, far la sua comparsa a Lirey un
secolo dopo, "devotamente" integra. San Luigi, Re di Francia, grazie al potere e ai capitali
a sua disposizione avrebbe certamente completata la sua gi ricca collezione di reliquie
sostituendo il "pezzo di Sindone", ovviamente falso, con la Sindone "autentica".

* San Biagio, ne abbiamo dimostrato l'invenzione all'inizio di questo studio;


san Simeone anche lui inventato, vedi studio IV; san Clemente (Alessandrino) idem, vedi
studio V.

L'analisi di Nicolotti, negando l'identificazione del Mandylion con la Sindone di Torino, di


fatto (solo su questo punto), conferma le conclusioni dei maggiori sindonologi atei italiani,
Antonio Lombatti, collaboratore del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle
Affermazioni sul Paranormale) e Luigi Garlaschelli del Dipartimento di Chimica Organica
dell'Universit di Pavia.
Tutti insieme, pur "militando" in schiere contrapposte, i loro studi evitano, accuratamente
ma con ragioni diverse, di entrare nel merito della cruenta storia scritta nei decreti
conciliari sulle reliquie e la raffigurazione delle divinit cristiane. Cos come, insieme,
evitano la lettura comparata dei documenti neotestamentari con quelli afferenti la
Tradizione patristica che trattano il momento della morte e risurrezione di "Nostro
Signore", e il periodo seguente quando entrano in azione i Suoi successori.
Da quanto risulta, l'Ultimo Protocollo equiparato a Comandamento e rivelato da Dio
dall'Alto dei Cieli ai Sindonologi Mistici ed agli Eletti Scienziati Illuminati, viene ottemperato
anche dagli scienziati atei (la minuscola d'obbligo quando non si tratta di Santi) e dallo
stesso CICAP. Tanto peggio per loro perch l'apparizione miracolosa voluta dal Creatore,
apparsa sulla Sindone in contemporanea con la Grande Ostensione del 2010, la scritta
"ENEA", mai vista prima, viene scoperta, manco a dirlo ... dall'ENEA. S, avete capito
bene, l'Agenzia Nazionale per le Nuove tecnologie Energia e sviluppo sostenibile. E
quando la "Scienza" entra in campo contro la "Scienza" ... le cose si complicano per la
"Scienza".

La notizia viene ufficializzata dal dottor Paolo di Lazzaro, responsabile del Laboratorio
Eccimeri del Centro Ricerche ENEA di Frascati, il quale spiega subito che l'omonimia della
scritta un caso ma, la dichiarazione seguente chiarisce meglio la posizione dello
Scienziato e dell'ENEA:

Centro Ricerche ENEA di Frascati. Ufficio Stampa.

La Sindone un enigma scientifico a molte facce. Ci spiega il dott. Paolo Di Lazzaro,


responsabile del Laboratorio Eccimeri del Centro Ricerche ENEA di Frascati La misura di
radio datazione effettuata con il carbonio 14, per esempio, ha collocato lorigine del telo in
pieno medioevo (12601390) ma questa misura sembra aver sofferto sia di errori
materiali di calcolo sia di problemi di contaminazione, ed in contrasto con molti indizi
tessili, iconografici, storici che suggeriscono che questo telo sia pi antico di
quanto dica la radio datazione.
Non ci vuole molto a capire che l'Eletto Scienziato Illuminato ha emesso un Giudizio
Divino basato sulla semplice Fede poich "sembra" e "indizi" non hanno alcuna valenza
probatoria scientifica, utili, questo s, ad eccitare e indottrinare gli sprovveduti, e Di
Lazzaro lo sa bene. Consapevolmente il dottor Paolo alimenta la credulit superstiziosa
coinvolgendo la Scienza in quanto suo rappresentante, quindi "testimone" della
inaffidabilit della stessa, ottenendo quanto si era prefisso: il Sacro diventa certezza, la
Scienza no!

Dottor Di Lazzaro, prima di richiamarsi a "indizi storici", si legga la Storia, e al contempo si


legga i Sacri Testi e la documentazione patristica dei "Successori di Cristo", poi, dopo una
decina d'anni di studi a tempo pieno, stia certo, non oser pi fare "sparate" in cui
miscelare Credo e Scienza al fine di insinuare pesanti dubbi su misurazioni fatte da tre
Istituti di rilevanza mondiale che si sono avvalsi di strumenti scientifici ai quali Lei stesso,
in ultima analisi, affida i suoi oracoli.

L'Illuminazione che ha folgorato lo Scienziato Eletto si concretizza con la "ricostruzione"


del "Bagliore Divino della Risurrezione" che gener Cristo nel lenzuolo funebre entro cui fu
avvolto lasciandovi la Sua Impronta nell'attimo in cui "spar". "I ricercatori dell'ENEA
credono sia stato un potente fascio di raggi ultravioletti a marcare indelebilmente il
Sudario di Cristo" dice Giacobbo all'inizio dello show; e aggiunge "una potente luce si
gener dal Corpo di Cristo all'interno del Sudario"; poi fa scendere in campo Di Lazzaro,
che si presta ben volentieri, e il dottore, con un laser a eccimeri, produce un potente
raggio di luce ultravioletta "di energia pari a quella di quel giorno di 2000 anni
fa"(sottolinea Giacobbo).
Il laser, indirizzato su un piccolo campione di tessuto "riesce" a bruciacchiarlo facendogli
una macchia o ombreggiatura (che i pii chiamano "impronta"). "Cambiando l'onda di
emissione abbiamo ottenuto un colore molto pi giallo e molto pi vicino alla colorazione
cromatica della immagine sindonica; l'azione coinvolge le fibre pi esterne, quelle che
guardano la luce laser" conclude lo Scienziato.

E allora? Cosa c' di speciale nello strinare con un potentissimo raggio ultravioletto un
pezzetto di telo bianco sino a macchiarlo? Lo Scienziato Eletto ci spieghi piuttosto come fa
un "laser a eccimeri" a riprodurre la assenza di deformazioni geometriche tipiche di un
corpo tridimensionale al quale aderisce un lenzuolo come una maschera al volto di un
uomo.
Perch, quando spianiamo la maschera ben stirata come il Lenzuolo di Torino, quella che i
Sindonologi Mistici chiamano "Impronta del Volto" finisce col risultare una grottesca faccia
slargata a dismisura, e lo stesso vale per il resto del corpo ... ma chi realizz il falso lo
sapeva bene e fece in modo che il "Corpo Sacro" apparisse di proporzioni umane corrette.
Gi, ma molto pi alto della media umana dell'epoca: come si conveniva a un Dio che
sovrastava tutta l'umanit.

Roberto Giacobbo, avvalendosi di un intelligente montaggio unito ad


una scaltra manipolazione mediatica finalizzata a dimostrare la veridicit della
Risurrezione, riuscito a incantare masse di ascoltatori, convinti di aver assistito a un
documentario scientifico ... in quel momento ... poi, appena giunta domenica, gli stadi
continuano a riempirsi, ma le Chiese a svuotarsi.

A seguito i "miracolisi" esperimenti compiuti dal Laboratorio ENEA in diretta TV, contiamo
sull'interesse del pio scienziato divulgatore cattolico, il professore Antonino Zichichi,
affinch, dopo aver raccolto le preventive necessarie adesioni dei fisici pi famosi del
mondo, promuova gli atti necessari a candidare il dottor Paolo Di Lazzaro presso il
Comitato Norvegese di Oslo per l'assegnazione del Premio Nobel per la fisica "essendo
riuscito a riprodurre l'energia che si sprigion da Cristo al momento della Sua
Risurrezione". Rimaniamo in devota attesa della conferma ufficiale del prestigioso
riconoscimento, orgoglio dell'ingegno italiano.

Dopo questa fastidiosa sequela di "prove", "teorie", "confutazioni", "fantasie", "credenze",


"convinzioni", sciocche e spesso puerili, ma soprattutto superstiziose e caparbie,
rimangono semplici e brevi considerazioni dalle quali non si pu prescindere. Particolari
che qualsiasi prete o semplice studioso di testi sacri e tradizione patristica conosce alla
perfezione ... ma che tace volutamente per calcolato opportunismo.
Una volta accettate per vere le narrazioni evangeliche canoniche neotestamentarie, basta
leggerle con attenzione critica per ricavare i dati inerenti alle reliquie documentate nei
Sacri Testi. Nel caso della Sindone e del velo usato per asciugare il volto di Cristo
seguiamo cosa dice il vangelo di Giovanni dopo che Ges fu deposto nel sepolcro da
Giuseppe d'Arimatea seguito da Nicodmo:
"Vi and anche Nicodmo e port una mistura di mirra e di aloe di circa cento libre.
Essi presero il corpo di Ges elo avvolsero in bende insieme con gli oli aromatici" (Gv
19,40. Bibbia CEI).
"Allora Simon Pietro, insieme all'altro discepolo (Giovanni) si recarono al sepolcro.
Correvano insieme ma l'altro discepolo corse pi veloce di Pietro e giunse per primo al
sepolcro. Chinatosi vide per primo le bende per terra, manon entr. Giunse intanto
anche Simon Pietro ed entr e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era
statoposto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte" (Gv
20,3/7. Bibbia CEI).

Questa tutt'ora la traduzione ufficiale del vangelo di Giovanni da parte della CEI
(Conferenza Episcopale Italiana) conforme al "Codex Vaticanus Graece 1209": quindi una
Sacra Scrittura in vigore da oltre 1500 anni, utilizzata per evangelizzare la intera
Cristianit.
Scopo dello scriba di questo vangelo fu di rappresentare l'imbalsamazione della salma del
Messia da parte dei due autorevoli Giudei, gi forniti di trentadue chili (in libbre romane) di
miscela balsamica, secondo rituali riservati ai Re e praticati nei paesi orientali, dall'India
alla Persia fino all'Egitto. Erano salme sacre e dovevano essere preservate dalla
decomposizione garantendo loro una vita eterna nell'aldil dopo essere state cosparse di
unguenti e avvolte con bende di lino intrise nella stessa sostanza.
La miscela di mirra e aloe aveva questa propriet ma, come tutti i credenti riconoscono (in
ossequio alla fantastica teologia dell'evangelista), il rituale per impedire la putrefazione del
Suo cadavere non serv a Ges: Egli risuscit da morte entro il terzo giorno, prima di
decomporsi.

Il vangelo di Giovanni, a differenza dei tre sinottici, non parla di lenzuolo nel quale
fu avvolto l'intero corpo di Cristo quando fu deposto dalla croce: l'unico sudario era un
telo posto sul suo capo, quindi di misura molto ridotta rispetto a quello utile a contenere
l'intero corpo come una sindone di oltre quattro metri. Infatti i vangeli sinottici non riportano
la presenza del piccolo sudario, pertanto, mentre la tumulazione della salma uguale in
tutti i vangeli, viceversa, il procedimento rituale per l'imbalsamazione del corpo si realizza
solo nel quarto vangelo.
La sepoltura pi famosa dell'umanit viene descritta con due rituali funebri, diversi e
contratanti fra loro, riguardanti lo stesso defunto, e il fatto non pu che discreditare la
successiva narrazione della risurrezione del cadavere, un fenomeno che viola le leggi
naturali, ragion per cui: impossibile.

Sin dal 1979, sotto il neo eletto papa Karol Wojtyla, l'Accademia Pontificia delle Scienze
manifest l'intenzione, attraverso un protocollo pubblico, di sottoporre la Sindone di Torino
a vari esami tra i quali la datazione al radiocarbonio. Da allora l'attenzione degli esegeti si
focalizzata sulle descrizioni degli evangelisti al momento della deposizione e
preparazione per la sepoltura della salma di Cristo, evidenziando la diversit fra i sinottici,
in cui si descrive un lenzuolo come sudario, e il vangelo di Giovanni che
specifica "avvolsero il corpo in bende", non nella Sindone.
Le eminenze grigie, giustamente, paventavano che la pubblicit, scaturita da un esame
pubblico della reliquia pi famosa della cristianit, avrebbe aumentato la curiosit delle
masse, cui sarebbe seguita l'inevitabile denuncia della grave contraddizione fra i vangeli,
finendo col ridurne la credibilit. Inoltre, a peggiorare il giudizio, molti critici avevano
iniziato ad insinuare che il falsario della Sindone fu obbligato ad ignorare il vangelo di
Giovanni perch non poteva eseguire l'opera particolareggiata su delle bende. Ma la
Chiesa era con le mani legate: se avesse modificato la traduzione del vangelo di Giovanni
avrebbe scatenato la reazione dei critici e attirato ancor pi l'attenzione sul grave
contrasto fra le diverse testimonianze evangeliche della "resurrezione di Cristo".
Come nel caso di Luca quando, nel suo vangelo, narra di un Ges appena risorto che si
intrattiene con gli apostoli giusto il tempo di consumare nel "cenacolo" una cenetta a base
di pesce e ... "alzate le mani, li benedisse e si stacc da loro e fu portato verso il cielo" nel
medesimo giorno(Lc 24,51). Ma lo stesso Luca, in "Atti degli Apostoli", rilascia una
versione diversa: "Egli (Ges) si mostr ad essi (gli apostoli) vivo dopo la sua passione,
con molte prove (sic), apparendo a loro per quaranta giorni ... e fu elevato in alto ai loro
occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,3/9).

Nel 1988, quasi in sordina, un prete laziale, ossessionato dalla dubbia credibilit circa la
"Resurrezione di Cristo" a causa le contraddizioni evangeliche, don Antonio Persili,
banalizzando apertamente e con superficialit la millenaria versione ufficiale, decide
autonomamente di "riparare" il vangelo di Giovanni e pubblica il suo studio in un volumetto
che, non potendo fare altro, viene ignorato dalle autorit ecclesiastiche: "Sulle tracce del
Cristo risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari".
Dovranno passare una dozzina d'anni di dispute interne sulla Sindone prima che qualche
esegeta della Chiesa pensasse che era opportuno modificare il vangelo di Giovanni, in
quel preciso punto. Al contrario, i veri esegeti ecclesiastici, le sottili Eminenze Grigie,
hanno capito che il volenteroso prete era animato da un sincero "eccesso di fede" ed
hanno fatto finta di niente, ben sapendo che se avessero iniziato a "correggere" i vangeli
... sarebbero stati costretti a riscriverli tutti dall'inizio, appunto per "l'eccesso di
contraddizioni" in essi contenute.

Nel 2000 d.C., anno del Grande Giubileo Cattolico, iniziata a circolare la versione, tuttora
ufficiosa, in grazia della "Rivelazione Divina" ricevuta dall'evangelista don Antonio Persili,
incentrata sul brano di Giovanni, corredata di nuove teorie e "dovutamente" caricata di
tortuosi grecismi ricercati nel groviglio dei vocabolari disordinatamente sfogliati, ma, non
essendo bastante estrapolare qualche parola, per corroborare la sua teoria le cambia con
delle nuove.
Ignorando il preciso rituale dell'imbalsamazione e le motivazioni escatologiche
rappresentate dallo scriba, il brano appena sopra letto viene modificato nel nuovo vangelo
di don Antonio Persili ed entusiasticamente accettato dai saccenti dditi a fare apostolato,
ma frustrati dal vangelo di Giovanni "discepolo prediletto di Ges", il quale viene fatto
passare come "giovane inesperto" ... nonostante, quando scrisse il vangelo, era quasi
centenario. Un particolare che l'evangelista Persili e gli avviliti sapienti, con Vittorio
Messori "capocordata", si guardano bene dall'evidenziare.
Ecco il nuovo versetto "riparato":
"Giovanni ... chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entr. Giunge intanto anche
Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese e il
sudario che era sul capo di lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una
posizione unica".
Le motivazioni di chi ha scritto questo brano, e di chi lo condivide, sono evidenti dal
momento che la stessa "necessit" di modificare un vangelo, gi da sola, dimostra che chi
lo fa sa che fu scritto da uno scriba senza alcuna "rivelazione" di Dio; quindi sa che pu
"correggerlo" per ridurre le contraddizioni con le altre "resurrezioni". Ma consigliamo i
lettori di non "infilarsi" nel web in questa "ricerca" per evitare di ritrovarsi nel mezzo di una
bolgia mediatica tipo quella relativa il Mandylion-Sindone e, soprattutto, perch ... inutile.
Pi i falsificatori si agitano per "salvarsi" dalle sabbie mobili delle sacre contraddizioni e pi
finiscono coll'affondarvi.
Non un caso che Dio abbia dettato il Protocollo Divino equiparato a "Comandamento", in
base al quale tutti i Sindonologi Mistici e gli Eletti Scienziati Illuminati devono astenersi
dall'entrare nei particolari neotestamentari: Evitare, tassativamente, ulteriori "Rivelazioni
Divine" e smettere di citare la storia patristica cristiana sino a tutto il IV secolo, nonch
qualsiasi Concilio tenutosi su le "Sacre Impronte" dal VI secolo in poi, pena le Fiamme
dell'Inferno ...
S, il Padreterno aveva delle ottime ragioni per impedire che il castello di sabbia delle
menzogne si sciogliesse col sopraggiungere delle onde del razionalismo storico.

Dopo che la Chiesa Universale ha indetto l'ultima Santa Crociata Mediatica e chiamato a
raccolta gli "Scienziati di Cristo", incitandoli ad elaborare teorie scientifiche di "ultima
generazione" da esporre nel Concilio Icondulo sulle "Sacre Impronte" tenutosi a Torino
nel 2010, la grancassa ha suonato cos forte che, ormai, l'elenco delle "Impronte"
rilasciate dalle "Sacre Reliquie" talmente lungo che la immancabile, pedissequa
Wikipedia, "Per Grazia Ricevuta" lo ha sciorinato compiutamente. E sappiamo tutti che
qualsiasi informazione "entrata" nel web, l resta ... anche a voler cancellare "la fonte".

Allora, a partire dai vangeli, limitiamoci a seguire il percorso delle due reliquie in essi citate
e decantate a squarciagola dalla cristianit praticante: la Sindone, lungo sudario del Cristo
defunto e il piccolo sudario che avvolse il Suo capo.
L'unico ad entrare nel Sacro Sepolcro fu Simone Pietro, lui vide i due sudari, intanto fuori
era gi risorto "Rabbun, il Maestro" e parlava con Maria di Mgdala. Poi, nello stesso
giorno, la sceneggiatura si sposta dal sepolcro alla casa dove si erano rifugiati gli apostoli,
e l Ges si rivela anche a loro gi risorto, per otto giorni. Poi si rivela ancora a loro sul
mare di Tiberiade, e dal lago ... le rivelazioni proseguono nella Citt Santa in "Atti degli
Apostoli".
Ove leggiamo che i Successori di Cristo si riuniscono per quaranta giorni: prima nel
Cenacolo sul Monte degli Ulivi, poi a Gerusalemme, assieme a Maria Vergine in attesa
dello Spirito Santo "assidui e concordi nella preghiera". Fra essi presente Simone Pietro,
l'unico di loro ad essere entrato nel Sacro Sepolcro, quindi il solo ad avere il Sacro Dovere
di salvaguardare le due reliquie del Figlio per consegnarle alla Madre di Cristo. Ma, lo
scriba di "Atti" che si firma Luca, non sa nulla della Sindone riferita dallo scriba del vangelo
di san Luca. Pertanto questo amanuense non sente il dovere di far restituire da san Pietro
alla Theotkos , la Madre di Dio, come chiamata nel vangelo lucano, il
lenzuolo funebre di Suo Figlio. Lo stesso vale per il piccolo sudario che avvolse la testa di
Cristo.
A questo punto, per gli iconduli reliquiaristi le cose si complicano davvero. Nella casa,
assieme agli altri apostoli, presente anche Giuda "non il Traditore", il quale, stando alla
"tradizione" inventata durante le lotte iconoclaste tra cristiani, gi possiede il fazzoletto con
l'Immagine di Ges vivo e, quanto meno, deve sentire il cristiano obbligo di farla vedere a
Sua Madre ed agli stessi apostoli, perch essi riferiscano la parabola nei vangeli e nelle
loro lettere, informandoli, inoltre, che lui stesso, dopo la discesa dello Spirito Santo,
avrebbe ordinato all'apostolo Taddeo (ma, come sappiamo, san Luca non lo conosce,
infatti l non c') di recarsi a Edessa per consegnare ad Abgar il Mandylion e miracolare
l'intera citt affetta dalla lebbra, secondo la testimonianza di Eusebio riferita tre secoli
dopo, ripresa ancora due secoli successivi dagli "Atti di Taddeo":
"Dopo l'ascensione di Ges, Giuda, detto anche Tommaso, mand ad Abgar l'Apostolo
Taddeo".
Ma, nella narrazione sacra apostolica dei loro "Atti", neanche Giuda, l
presente, espresse alla Madre di Cristo questa "volont" ordinata da Suo Figlio quando
era in vita.

Ecco perch a Nicea II, come abbiamo sopra visto, tutti i presenti all'assemblea conciliare,
indistintamente, sapevano che nessun Apostolo, Padre, Vescovo, Papa o storico
cristiano, sino ad Eusebio di Cesarea, aveva mai sentito parlare, non solo di "Sacro
Volto", ma neanche di semplice "lettera divina" che, nel giro di un paio di secoli dopo il
menzognero Vescovo, si trasformer in "Immagine Sacra di Ges".

Intanto, mentre stiamo scrivendo queste righe, il frastuono della Crociata Mediatica indetta
da Santa Madre Chiesa per comprovare l'esistenza delle Sacre Reliquie, non si placa,
anzi, continua peggio di prima perch, ormai, i depositari iconduli delle "Rivelazioni
Divine" litigano fra di loro nella corsa serrata a chi le spara pi grosse, perci ... si
verificato quello che Dio aveva temuto e tentato di evitare con l'Ultimo Protocollo ...

Atti degli Apostoli


Da poco si consumata la Passione di Cristo, ma gli Apostoli sono ancora riuniti con
Ges e cenano insieme un'ultima volta, poi, il Figlio di Dio, troppo impegnato a governare
l'Infinito Cosmo con il Padre, li lascia e, dopo aver loro detto che li avrebbe fatti battezzare
dalla Divina Potenza dello Spirito Santo "fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo
sottrasse al loro sguardo". Dal Cenacolo, sul Monte degli Ulivi, rientrano in Gerusalemme
nella Sacra Casa dove abitavano e, in attesa della Solenne Discesa della Fiamma dello
Spirito Santo che avrebbe dato loro la Grazia di compiere i miracoli sotto il Portico di
Salomone, gli Apostoli ...
"Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la
Madre di Ges e i fratelli di lui". E cos per diversi giorni, dall'alba a notte inoltrata, con
devozione e nel silenzio pi assoluto, certi della Divina Provvidenza dello Spirito Santo.
Finch una sera, ormai tardi, mentre dall'incensario si diffondeva il celestiale profumo, i
Santi, raccolti intorno alla fioca luce di un candido cero, continuano a pregare rapiti
nell'estasi mistica. Allorquando, in un angolo buio della grande stanza, recndito, dietro gli
scaffali di legno ove erano sistemate alla meglio tutte le reliquie che continuavano a
giungere ed accumularsi, un piccolo bagliore rossastro, sinistro, lampeggia un attimo
nell'oscurit pi fitta: Belial l'Eterno, il Viscido, depravato tentatore alla verginit di Eva,
insinuatosi nascostamente nella Sacra Casa dove si teneva la Sacra Sinassi, con un
ghigno pio, introduce furtivamente uno strano oggetto e, lentamente, lo accosta alle Sacre
Reliquie; poi, sinuosamente come era entrato, il Maligno si allontana ...
Trascorsa la notte nelle rispettive celle, all'alba del giorno dopo, gli Apostoli sono appena
riuniti concordi nella Sacra Assemblea, quando Giuda, non il traditore, rivolgendosi a tutti
loro dice: Questa notte ho sognato il Nostro Maestro e Salvatore che, dopo avermi
chiamato Tommaso, mi ha detto di inviare l'apostolo Taddeo a Edessa per guarire Re
Abgar dalla lebbra recando la Sua Immagine, dopodich devo fare la relazione degli Atti di
Taddeo. Tutti lo guardano increduli, allora Simone Pietro, capo della neonata Ecclesia, si
rivolge a lui severamente: Giuda! Fra noi non esiste alcun Apostolo di nome Taddeo;
Ges ha detto che i Troni a noi destinati nel Regno dei Cieli sono Dodici, quindi smetti di
dire sciocchezze. Poi rivolgendosi a Matteo: Se Giuda ha fatto questo sogno colpa
tua; continui a chiamarlo Taddeo finendo col confonderlo. Risponde allora Matteo:
Guarda che ti sbagli Pietro, Giuda che, quando gli chiedono che nome ha, a volte dice
di chiamarsi Tommaso, altre Taddeo. A questo punto gli Apostoli si innervosiscono
e Tommaso pi di tutti, finch Giovanni, il discepolo che Ges amava, li zittisce con un
gesto autorevole e rivolgendosi a Giuda: Rifletti un attimo Giuda, il tuo stato solo un
assurdo sogno. Nella realt non potr mai accadere che tu ordini ad un Apostolo di andare
a Edessa, se quell'Apostolo sei tu stesso col nome di Taddeo. Poi, ha ragione Pietro:
qui fra noi non esiste alcun Taddeo e finiscila di farti passare per Tommaso, altrimenti
lui si arrabbia davvero. Pur non palesandolo, intimamente Giovanni provava
malessere per la eccesiva presenza di apostoliperch a lui risultava che il Maestro
aveva chiamato a s solo sette discepoli.

Pietro, allora, rivolto a Giuda con fare conciliante: Guarda, contiamoci, e capirai: Pietro e
Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo
e Simone lo Zelta, infine Giuda di Giacomo. Come vedi siamo undici, ma fuori dell'uscio
c' Mattia, il dodicesimo, pronto a sostituire Giuda il traditore che, sappiamo tutti, si
ucciso squarciandosi il ventre e spargendo fuori tutte le sue viscere. In verit, fra loro
non c'era Taddeo... ma a questo punto, Matteo interrompe Pietro: Simone, guarda che ti
sbagli. Ho visto Giuda impiccarsi con i miei occhi. Con fare collerico risponde Pietro:
Matteo, questo dimostra che sei strabico perch anch'io l'ho visto e sii certo che vedo
bene. La questione minaccia di mettersi male e le Pie donne sono in apprensione, perci
Giovanni, il prediletto del Signore, poich a lui non risultava che Giuda il traditore si fosse
ucciso, n impiccato n sventrandosi, non dice nulla per evitare la rissa e, saggiamente,
cambia argomento. Chiede a Giuda, non il traditore ma sempre mortificato, di riordinare le
Sacre Reliquie, tanto per distrarlo. Ben lieto l'Apostolo si mette all'opera e, poco dopo, fra
esse rinviene un piccolo strumento a lui sconosciuto che non rientrava fra quelli della
Passione di Cristo. Perplesso, lo prende, poi torna nella Sacra Sinassi, mentre tutti sono
assorti in preghiera insieme alle Pie donne con Maria la Madre di Ges, e lo porge a
Pietro. Simone, non lo Zelta, lo guarda attentamente ed esclama: Ma un tiralatte! ...
Nella penombra della Ecclesia nessuno rileva il tenue rossore che colora le guance della
Madonna.

Era il "Sacro Tiralatte", quello servito alla Vergine Maria quando gli evangelisti Luca e
Matteo la obbligarono attraverso le loro "nativit" (vedi studio IX) a rimanere dodici anni
incinta prima di partorire Nostro Signore, il Vivificatore e Dio Salvatore. Nella lunga,
snervante attesa, la Madre di Dio fu costretta ad alleggerire il carico di latte che, via via,
andava accumulandosi nel Sacro Seno.
Il Beato San Luigi IX, Re di Francia, avrebbe ceduto il Trono pur di entrare in possesso del
"Sacro Tiralatte", ma si dovuto accontentare del solo "Sacro Latte" ... il che, riflettendoci
bene, non poca cosa ...

IV Secolo dopo Cristo


Eusebio di Cesarea scrive la "Historia Ecclesiastica", il documento che costituisce il
fondamento della "Tradizione Cristiana"; e al Libro I 13,11 riferisce:

"Dopo l'ascensione di Ges, Giuda, detto anche Tommaso, mand ad Abgar l'apostolo
Taddeo".

Questa irresponsabile testimonianza, lo abbiamo studiato, ha dato la stura a ingenue


falsificazioni utili a comprovare una sequela di leggende correlate, l'una pi idiota dell'altra,
sorrette da una posticcia storiografia icondula sconosciuta nei primi sei secoli, sino a
culminare, 1300 anni dopo Cristo, nella realizzazione della Sacra Sindone di Torino. Ma
l'assenza di storia, n leggenda, sulla quale basarsi, ha indotto i sindonologi del Clero a
identificare questo finto sudario funebre nel Mandyllion di Edessa commettendo un
gravissimo errore irreversibile. La Chiesa di Roma - depositaria della secolare infallibilit
dogmatica del Ministero divino, spettante a tutti gli Apostoli ed i loro successori Vescovi -
per coerenza non potr pi modificare questa assurdit senza perdere altra credibilit
verso i propri fedeli.
Ogni prete e studioso della Bibbia consapevole che identificare Giuda con Tommaso,
sovrapponendoli, significa cancellare uno dei dodici Apostoli, smentendo, quindi, i vangeli
e lo stesso Ges. Le loro sottili menti, con opportunista calcolo, sanno che, se
evidenziassero questa pia sciocchezza, le ripercussioni sulla credibilit della Chiesa e del
suo Credo sarebbero talmente gravi da far crollare la gi traballante impalcatura delle
superstizioni da Essa montata nel corso dei secoli. Perci gli astuti esegeti devono far s
che il popolo dei praticanti non scoprano che l'autenticit della Sindone di Lirey, oggi
conservata nella cattedrale di Torino, fu oggetto di una indagine della Chiesa la quale, sin
dall'epoca delle sue prime ostensioni, dichiar falsa la Sindone subito ... col "design"
nuovo di fabbrica.

A Papa Clemente VII. Memoriale del Vescovo Pierre d'Arcis del 1389
(trad. G. Ciccone)

"Santo Padre, da poco nella diocesi di Troyes, il decano della chiesa collegiata di Lirey,
coscientemente e malvagiamente, mosso dal fuoco dellavarizia e della cupidigia, non per
devozione ma per interesse, si procurato per la sua chiesa un panno dipinto con
un artificio, nel quale in modo ingegnoso era dipinta limmagine doppia di un uomo, cio
sia dalla parte anteriore sia dalla parte posteriore, asserendo falsamente e facendo finta di
credere che quello fosse proprio il sudario nel quale il nostro salvatore Ges Cristo era
stato avvolto nel sepolcro e sul quale era rimasta impressa leffigie intera del Salvatore,
con le ferite che aveva riportato. Questo fatto fu divulgato non solo per il regno di Francia,
ma quasi per tutto il mondo, a tal punto che accorrevano l folle da tutte le parti del mondo.
Per imbrogliare le folle ed estorcer loro denaro in modo ingegnoso, facevano finta,
mentendo, che l avvenissero miracoli ad alcuni uomini, che erano stati assoldati a
pagamento, i quali fingevano di essere guariti durante lostensione del Sudario, che tutti
credevano il Sudario del Signore. Informato di ci, il defunto Enrico di Poitier, di buona
memoria, allora vescovo di Troyes, persuaso e spinto da molte persone sagge, si premur
di investigare con sollecitudine sulla verit di questo fatto, come era suo dovere per il
potere di vescovo ordinario. Molti teologi e altre sagge persone asserivano che quello, che
recava limmagine del Salvatore, in realt non poteva essere il Sudario del Signore, dato
che di questa immagine impressa il santo vangelo non faceva nessuna menzione,
mentre invece, se fosse stato vero, non verisimile che il fatto sarebbe stato taciuto e
omesso dai santi evangelisti e non verisimile che esso sia stato nascosto e
ignorato fino ad oggi. Infine, procedendo con diligenza nel prendere informazioni,
finalmente scopr la frode e in che modo quel panno era stato dipinto tramite un
artificio, e fu comprovato, anche per mezzo dellartigiano che laveva dipinto, che era
opera di un uomo e non miracolosamente prodotto o pervenuto".
Il Vescovo Enrico di Poitier, in ottemperanza al suo dovere, emise il verdetto dopo aver
visto e toccato con mano un telo dipinto poco tempo prima "tramite un aritificio" per mezzo
di un artigiano. Da un punto di vista storico religioso, inerente le testimonianze degli
evangelisti e degli apostoli, ripresa la stessa analisi fatta da sant'Agostino che noi
abbiamo citato sopra nel presente studio ("Le origini di una tradizione simulata"). E
sant'Agostino, che mor nel 430 d.C., si rifer solo alla lettera di Ges ad Abgar perch
non poteva sapere dell'immagine di Cristo, n delle Sue future reliquie ... inventate
dopo il santo dai successori del Vivificatore e Salvatore dell'umanit.

Pasqua 2013

In ottemperanza alla volont, manifestata dal neo eletto Papa Francesco - finalizzata a
ridestare la Crociata sulle Sacre Impronte gi indetta a Torino nel 2010 da Benedetto
XVI per convincere il popolo ad adorare la Sacra Sindone - la Rai TV dello Stato italiano
ha impiegato tutti i suoi mezzi per condizionare le masse. A partire da RaiUno, durante il
periodo pasquale 2013, la televisione italiana di propriet pubblica ha riempito i sacri
palinsesti delle emittenti nazionali con numerosi servizi e documentari celebrativi la
passione di Ges.
Il 29 Marzo, terminata la lunga inchiesta A sua immagine iniziata alle ore 14,15 e
incentrata su Luomo della Sindone, in attesa della successiva diretta TV sulla Via
Crucis, subentra lo Speciale Porta a Porta delle 20,30 ove il famoso showman Bruno
Vespa, notoriamente proclive al dettato della Santa Sede (e se ne vanta), sfoggia lultima
straordinaria scoperta scientifica destinata a cancellare definitivamente le tre
radiodatazioni eseguite nel 1988 tramite il C14.
La denuncia della falsificazione della reliquia, inevitabilmente mal digerita dai credenti,
continua a ricadere sulla Chiesa stessa, pertanto, il pio Vespa sente il sacro dovere di
smentire le sentenze degli spettrometri di massa (strumenti di Satana) e avvia la inchiesta-
scoop facendo scendere in campo lo Scienziato Illuminato prof. Giulio Fanti.
Il luminare, secondo quanto riportato in un suo libro, spiega le ricerche scientifiche che
dimostrano lerrore della datazione medievale della Sindone e la riportano allepoca di
Cristo eseguite su una vecchia campionatura del santo sudario.
Il mercato delle ipotesi divine, non essendo pi in grado di offrire niente di meglio sulla
reliquia di Ges, ricorre alla nuova rivelazione che consiste ne le Sacre Fibre
Polverose, pertanto, grazie allanalisi di un vecchio cascame sindonico prelevato con
un aspirapolvere, la trasmissione Speciale del pio Vespa bolla perentoriamente come
erronei i tre famosi esami del C14 che hanno fatto risalire il lenzuolo funebre del Cristo al
14 secolo dopo il Cristo; concludendo, finalmente, che la Sindone di Torino quella
del Salvatore risorto.
A questo punto, con una coincidenza mediatica impressionante, a dimostrazione di una
pia regia, non poteva mancare lo showman scientifico per eccellenza di
Voyager: Roberto Giacobbo. Puntualmente, il 30 Marzo mattina su RaiDue, rieccotelo
con la scontata inchiesta Speciale Sindone che si diparte da i soliti pollini divini
bimillenari, il sangue compatibile con quello di Ges ecc. ecc. tutti segni che coincidono
perfettamente con il resoconto evangelico ma, proprio oggi, una nuova eccezionale
ricerca scientifica, condotta su campioni della Sindone . Riallacciandosi allo scoop di
Bruno Vespa, san Giacobbo tira fuori dal suo cilindro magico lo Scienziato Illuminato prof.
Giulio Fanti che riferisce le solite conclusioni matematiche capaci di far risalire la
Sindone allanno in cui mor Cristo.
Visto e sentito ci, cosa possiamo eccepire noi, umili mortali, di fronte a tanta supponenza
scientifica, solennemente sbandierata al punto di sconfessare gli inattendibili spettrometri
di massa, ormai spazzatura da smaltire? Solo alcuni dettagli sfuggiti alla nuova
eccezionale ricerca scientifica che i pii showman e gli Scienziati Illuminati ignorano
volutamente:
gli assunti evangelici, contrastanti fra loro, sulla Resurrezione; le mancate testimonianze
nel merito da parte degli Apostoli, primi successori di Cristo; la documentazione specifica
dei Padri della Chiesa; i verbali dei Concili cristiani iconoclasti e iconduli che affrontarono
la tematica delle reliquie; la ultramillenaria storia ecclesiastica scritta dai cronisti di Dio che
non menziona la sconosciuta Sindone; le quattro datazioni al C14 eseguite nellultimo
decennio sulla Tunica di Argenteuille presso Parigi e sul Volto Sacro Sagrado Rostro di
Oviedo, entrambi accertati come falsi reperti; le decine di Sindoni, tuttoggi esistenti,
conclamate come autentiche dal tardo Medioevo in su; centinaia di false reliquie attinenti
la Passione di Cristo tutte documentate provenienti da Gerusalemme e, dulcis in fundo, il
verbale della indagine svolta dalla Chiesa stessa appena fu realizzata la falsa Sindone ...
uscita fresca fresca di fabbrica.
Un insieme di analisi, svolte nel presente studio Dai falsi miracoli alla Sindone, tracciate
sulla base di codici e documenti ecclesiastici presi come fonte di notizie e dati, scadenzati
nel lungo periodo, indispensabili per la ricostruzione storica ma volutamente celati alle
popolane masse dagli esegeti cristiani.
Evidenze nascoste sistematicamente e coperte da un martellamento ideologico dottrinale
attuato dai furbi showmen i quali, con calcolo opportunista, sanno che se venissero
svelate, come dovere deontologico impone, gli ignari telespettatori cambierebbero subito
canale allontanandosi in molti dalla fede.
Un coordinato omertoso silenzio sui molteplici dati riferiti da una millenaria
documentazione storica ecclesiastica ufficiale compresa lultima, pubblicata due giorni
prima dello Speciale Porta a Porta di Bruno Vespa e tre giorni prima dello Speciale
Sindone di Roberto Giacobbo:

Dichiarazione del Custode Pontificio della Sacra Sindone, Arcivescovo Cesare


Nosiglia
Con riferimento alla notizia della pubblicazione da parte delleditore Rizzoli del volume Il
mistero della Sindone di Giulio Fanti e Saverio Gaeta, nel quale verrebbero riportate
ricerche effettuate su materiale che si suppone provenire dalla Sindone, il Custode
Pontificio della Sacra Sindone conferma quanto contenuto in proposito nelle dichiarazioni
ufficiali su esperimenti e analisi riguardanti la Sacra Sindone gi rilasciate in occasione
di altri analoghi tentativi effettuati in passato su presunti campioni di materiale sindonico
dai suoi predecessori: dal Cardinal Giovanni Saldarini nel settembre 1995 e dal Cardinal
Severino Poletto il 4 maggio 2009.
In particolare ribadisce che, non essendoci nessun grado di sicurezza sullappartenenza
dei materiali sui quali sarebbero stati eseguiti detti esperimenti al lenzuolo sindonico, la
Propriet e la Custodia dichiarano di non poter riconoscere alcun serio valore ai risultati di
tali pretesi esperimenti.

Mons. Cesare Nosiglia


Arcivescovo di Torino
Custode Pontificio della Sacra Sindone
Torino, 27 Marzo 2013.

La presa di posizione dellArcivescovo un atto dovuto, imposto dalla pi elementare


logica, avendo gi fatto verificare da specialisti di fiducia le teorie, il metodo e le risultanze
esposte nel libro scoop dello Scienziato Illuminato Giulio Fanti. Lalto prelato sa bene
che la Chiesa non pu riconoscere, fare proprie e propagandare simili analisi perch il
mondo scientifico interverrebbe per sconfessarle finendo col gettare altro discredito sulla
Sacra Sindone e la credibilit della Chiesa stessa.
Infatti sul sito Vatican insider, lo stesso 27 Marzo, interviene nel merito anche il CIS:
Il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino esprime le proprie riserve dinanzi a un
approccio al tema che si baserebbe su elementi quali lanalisi di campioni di tessuto la cui
appartenenza al telo sindonico risulta perlomeno dubbia e comunque non provabile, in
quanto privi di qualsiasi tracciabilit.

Sono trascorsi pi di 25 anni dal verdetto negativo sulla autenticit della Sindone di Torino
emesso da tre fra i migliori laboratori mondiali e selezionati dagli stessi ecclesiastici
tramite un loro protocollo che contemplava le modalit di esecuzione. Un lasso di tempo
impiegato dagli Scienziati Illuminati di Cristo per elaborare le teorie pi strambe allunico
scopo di invalidare le risposte strumentali che hanno dimostrato la falsificazione, ormai
accertata dalla storia, di innumerevoli reliquie attribuite a Ges. Venticinque anni di
polemiche, sterili sotto il profilo scientifico ed ingannevoli nei confronti degli stessi fedeli, i
quali, vittime inconsapevoli, vengono raggirati tramite inchieste televisive spacciate per
scientifiche da chi, scaltramente, nasconde il fatto che nessun indizio evangelico
autorizza a credere sia stato prelevato e conservato il lenzuolo che avvolse il corpo
di Ges dopo la deposizione allinterno del sepolcro. Al contrario, la descrizione del
vangelo di Giovanni prosegue e si addentra nel sepolcro dove fu tumulato il Salvatore e l
risulta che la salma fu avvolta esclusivamente con bende impregnate di trenta chili di
unguento utili a imbalsamare il cadavere in conformit ad un preciso e diffuso rituale
orientale riservato ai Re o ai Gran Sacerdoti, dallIndia, alla Persia, fino allEgitto.
Ad iniziare dagli Apostoli ed i loro successori, tutta la documentazione dei primi Padri della
Chiesa, come quella dei secoli seguenti, non ha mai riferito lesistenza della reliquia
sindonica. Furono indetti e verbalizzati Concili pro e contro le reliquie, convocati in
conseguenza delle lotte sanguinose tra opposte fazioni di credenti, senza mai accennare
alla esistenza della Sindone extralong. Se fosse veramente esistito, un simile reperto di
Ges sarebbe stato un segno tangibile, talmente carico di significato religioso, al punto di
essere adorato da tutti i Cristiani rendendo inutili i Concili indetti sulle finte reliquie ed
evitando di conseguenza i massacri reciproci.
Solo dallXI secolo in poi vennero falsificati dagli amanuensi i codici originali delle opere
degli storici bizantini Evagrio Scolastico e Procopio di Cesarea, come abbiamo dimostrato
sopra nel presente studio, per far apparire documentata storicamente una miracolosa
immagine del volto di Cristo rilasciata da Lui stesso quando era vivo. Ma, ripetiamo,
mai, in nessun Concilio dei numerosi che la Chiesa convoc appositamente sulle reliquie
nei primi mille anni, si fa cenno della esistenza del lenzuolo funebre che avvolse il
Redentore dellumanit. Nessun rapporto venne mai ufficializzato e stilato dai
numerosissimi cronisti di Dio concernente quella che la Chiesa considera la reliquia pi
importante di tutta la cristianit.

La prima indagine sulla Sindone, e non poteva essere altrimenti, venne eseguita proprio
dalla Chiesa poco dopo la sua prima apparizione, quindi appena realizzata, e si concluse
col verdetto, stilato dal Vescovo Pierre di Arcis nel 1359d.C., che si trattava di un falso
dipinto tramite un artificio e comprovato per mezzo dellartigiano che laveva
dipinto. Questa precisa datazione storica, ricavata dal documento che abbiamo
pubblicato sopra per intero,conferma la affidabilit della datazione tramite il C14; al
contempo aiuta a capire (chi vuole intendere) chelartificio, adottato dallartigiano che se
ne avvalse, consisteva in composti organici che, col trascorrere dei secoli, mano a mano si
sono volatilizzati lasciando, ad oggi, solo una sacra impronta residua che impedisce al
chimico di individuare la sostanza originale ... senza per questo chiamare in causa alcun
mistero indispensabile a sbalordire gli sprovveduti.

Solo dopo aver esaminato minuziosamente tutte le risultanze testuali utili a questa ricerca
- ad iniziare dalla documentazione neotestamentaria e patristica per proseguire
analizzando le secolari vicende ecclesiastiche - gli accertamenti fatti impongono al
razionalismo scientifico il dovere di riconoscere allo spettrometro di massa la capacit di
datare la storia grazie ai reperti antichi: servizio che lo strumento ha fatto e sta facendo
tuttoggi.
Lo sanno benissimo anche gli Scienziati Illuminati filoclericali i quali, dopo aver
polemizzato con sceneggiate coordinate ad hoc per gettare pesanti ombre e discredito sui
metodi e sulle risultanze dei laboratori incaricati dalla Chiesa stessa, si guardano bene dal
chiedere di sottoporre nuovamente ad un altro esame del C14 la Sindone di Torino:
basterebbe un piccolissimo ritaglio di stoffa di pochi cm quadrati prelevato da un lenzuolo
lungo quasi 4 metri e mezzo. Una ripetizione dellesame proprio come preteso dai fedeli
delusi ed eseguito con la Tunica di Argenteuille in Parigi e ripetuto anche con il Sagrado
Rostro di Oviedo ... ma, visto la conferma strumentale di entrambi i reperti, alle sottili
menti grigie conviene continuare a parlare, parlare, parlare per illudere e indottrinare gli
ingenui con strambe, pie scoperte.Come avvenuto con il Sagrado Rostro la cui
datazione del C14, voluta dalla Chiesa, dopo aver sconfessato le testarde convinzioni
degli Scienziati Illuminati, li ha indotti ad affermare che "questa datazione potrebbe essere
frutto di contaminazione di funghi".

Al potente Clero, con il consenso dei Governi confessionali, non resta che indire
Congressi e Convegni presso compiacenti Atenei al fine di conservare, alimentare e
valorizzare "culturalmente" le peggiori superstizioni, appositamente create durante l'oscuro
Medio Evo. L'antica, "Santa Scaramanzia", rivestita "scientificamente" ad hoc, cos
pronta e confezionata per essere propinata dai media alle ignare devote masse ... per
la Maggior Gloria di Cristo Dio, Nostro Salvatore nell'Alto dei Cieli ... e il terreno benessere
dei Suoi Ministri.
Sacrosanto Giubileo Universale, Anno Domini 3000
Dal "Nuovo Sinassario Liturgico dei Santi".
Martirologio:
"Laudato sii m Signore per la diuota osservanza alla Ampulla de lo Suo sangue che va
riconosciuta sempre infinita al Deuoto Autore, san Giacobbo martire, icondulo di gran
merito, la cui Santa Causa nelli mala tempora fu arricchita da prorumpente Miraculoso
Populare Plauso alli meriti Sui, sino allo martyrio, per il commun benefizio di Santa Madre
Chiesa".

Emilio Salsi
La storia identifica il Sommo Sacerdote Caifa e Giuseppe, fratello minore di Ges

Parte I
Il Sommo Sacerdote Caifa

Nel VI argomento, concernente il Testimonium Flavianum, abbiamo evidenziato come,


nella sua "Historia Ecclesiastica" del IV secolo, il Vescovo Eusebio di Cesarea abbia
censurato il patronimico del Sommo Sacerdote "Giuseppe detto Caifa", unico nome
paterno mancante nella lista dei cinque Sommi Sacerdoti citati. Esattamente come risulta
anche in "Antichit Giudaiche", dello storico ebreo, nei codici da noi individuati e trascritti
dagli amanuensi dopo l'XI secolo, per essere successivamente conferiti al professor
Niese, a fine '800, col compito di curarne la traduzione. Ergo, giunti a questo punto degli
studi, per procedere oltre dobbiamo ripartire dalla "Historia Ecclesiastica" di Eusebio:
"4. Giuseppe (Flavio), nel medesimo libro delle Antichit (XVIII 34-35), enumera in ordine
successivo i quattro Sommi Sacerdoti da Anna fino a Caifa, dicendo: Valerio Grato tolse
la carica sacerdotale ad Anna, figlio di (bar) Seth, e proclam Sommo Sacerdote Ismaele,
figlio di (bar) Fabi, ma non molto tempo dopo destitu anche lui e nomin Sommo
Sacerdote Eleazaro, figlio del (bar) Sommo Sacerdote Anna. 5. Trascorso un anno anche
costui fu esautorato e la carica fu affidata a Simone, figlio di (bar) Kamith ed anche lui non
la tenne per pi d'un anno; fu suo successoreGiuseppe, chiamato anche Caifa. 6.
Dunque l'intera durata dell'insegnamento del nostro Salvatore, come appare evidente, non
comprende quattro anni completi, e ci furono in questo periodo quattro
Sommi Sacerdoti, da Annafino a Caifa, uno per anno. E il Vangelo indicando Caifa
come Sommo Sacerdote durante l'anno in cui si comp la passione di Cristo nel vero. Da
quanto ci dice e dall'osservazione precedente si pu cos stabilire la durata
dell'insegnamento di Cristo" (HEc. I 10, 4/6).
La citazione di Caifa, fatta da Giuseppe Flavio (Ant. XVIII 34-35) e richiamata da Eusebio,
come abbiamo dimostrato nel VI studio, colloca questo episodio nel 18 d.C., l'anno in cui il
Prefetto Valerio Grato insign Giuseppe detto Caifa a Sommo Sacerdote del Tempio di
Gerusalemme. Va notata, soprattutto, la mancanza del patronimico "figlio di" (bar), parte
integrante del nome dei Giudei: un particolare fondamentale che impedisce il
riconoscimento della famiglia del Sommo Sacerdote "Giuseppe chiamato anche Caifa".
Non una dimenticanza dello storico ebreo ma una apposita censura, fatta dai copisti
cristiani, che ci obbliga ad avviare un'analisi specifica per scoprirne le motivazioni, ben
sapendo che, come abbiamo visto con l'episodio di "Giacomo il Minore", quando gli
amanuensi eliminano il patronimico in una testimonianza giudaica lo fanno per
salvaguardare le "verit" della propria fede a discapito della Storia. E Caifa, lo
sappiamo bene, secondo i vangeli fu l'accusatore di Ges.
Trattando di Giacomo il Minore abbiamo riferito che quellAtto del Sinedrio di
Gerusalemme era lunico pervenutoci da"Antichit" di Giuseppe ed il motivo per cui venne
lasciato fu quello di fargli testimoniare su Ges Cristo e suo fratello Giacomo: un
intendimento mal riuscito, come abbiamo dimostrato nel III e IV studio.
Ma siamo veramente certi che Giuseppe Flavio non abbia riportato altri "Atti del Sinedrio"
di Gerusalemme? E perch numerosi "Atti del Sinedrio" vengono riferiti solo da Vangeli
e "Atti degli Apostoli"? Eppure di motivi gravi che richiedevano l'intervento del massimo
tribunale giudaico ne risultano molti, stando alle cronache dell'epoca ...

L'odiato Giuda il Galileo, ricordato spesso da Giuseppe come il principale nemico delle
caste sacerdotali filo romane, ad iniziare dai Sommi Sacerdoti nominati dai funzionari
imperiali, fond la "quarta filosofia" il 6 d.C., la dottrina giudaica pi estremista. Il ribelle
nazionalista riusc a trascinare il popolo nella incessante lotta contro Roma, al punto che il
Movimento di Liberazione Nazionale, da lui fondato, provoc la distruzione della Citt
Santa e del Tempio. Giuda era un Dottore della Legge (Rabbino) a capo degli
Zeloti, ma di lui lo storico ebreo non riporta la fine, viceversa riferisce la crocefissione
dei suoi figli. Sappiamo che la sua morte viene descritta nel Sinedrio riportato in "Atti
degli Apostoli" (At 5,34-40) mentre non risulta alcun intervento del vero Sinedrio
giudaico.
Giuseppe Flavio si sarebbe certamente presa la soddisfazione di pronuciare un bel
necrologio al cruento antagonista dei suoi familiari ed amici farisei conservatori; una
cronaca che, inevitabilmente, avrebbe richiamato all'attenzione dei lettori l'operato
sovversivo svolto anche dai discendenti di Giuda e contenente, al contempo, l'insieme dei
nomi: un dato che avrebbe consentito agli storici di collegare e sovrapporre questi nomi ai
fratelli di Cristo.

Come riportato nel I studio, il Profeta ebreo Theudas viene denunciato nel Sinedrio di "Atti
degli Apostoli" e, anche l, abbiamo verificato che, contrariamente alla regola giudaica di
aggiungere al nome proprio quello del padre, ci non risulta, come non risulta nel XX Libro
di "Antichit" (par. 97/99). Pertanto evidente che gli fu tolto, sebbene, con apposita
analisi, abbiamo dimostrato che "Theudas" era un titolo mentre il vero nome era "Giuda".
Per di pi, la testa di un famoso Profeta ebreo viene portata ed esibita a
Gerusalemme e il Sinedrio (quello vero) non registra l'evento: non credibile.

Infatti la notizia pervenutaci su Theudas incompleta: da ingenui accettare che i Romani


abbiano inviato, da Cesarea Marittima sino al fiume Giordano, uno squadrone di cavalleria
per andare a massacrare uomini che, seguendo un Profeta, venivano sobillati ad
attraversare il fiume emulando la tecnica spartiacque di Giosu e Mos.
Per il diritto romano non era reato quanto descritto in "Antichit", ma dal momento che il
Procuratore Cuspio Fado ordin la strage fu perch quegli uomini erano ebrei rivoluzionari
zeloti, sicari sediziosi, colpevoli di agire contro la sovranit imperiale di Roma. Una volta
segnalati furono colti in flagranza di reato, quindi ingaggiati e passati a fil di spada mentre
tentavano di attraversare il Giordano per sfuggire allattacco.
Su questa base, nel I studio, abbiamo scoperto che Theudas si chiamava Giuda, nonch
il collegamento fra lui, Giuda il Galileo e la crocefissione dei due figli di
quest'ultimo: Giacomo e Simone.

La incompletezza delle informazioni pi importanti dipende dalla mancanza di motivazioni


da parte dei Romani, stando alle descrizioni di questi episodi, e trova spiegazione nella
censura del testo a noi pervenuto. I copisti cristiani non potevano far passare nello stesso
Libro di "Antichit Giudaiche" (XX cap. 5), un paragrafo dopo laltro, tre nomi di sobillatori,
giustiziati, uguali a quelli di tre apostoli e, peggio ancora, uguali a quelli di tre fratelli di
Ges (su quattro): Giuda,Giacomo e Simone. Le accuse di sedizione contro i tre Profeti
rivoluzionari non dovevano risultare identiche a quelle fatte ai fratelli di Cristo perch,
inevitabilmente, lo avrebbero coinvolto come sovversivo; pertanto l'arringa difensiva in
favore degli apostoli (fra i quali Giuda, Giacomo e Simone) fatta da Gamalile, in Atti degli
Apostoli (At 5,34/40), una verit camuffata maldestramente e manipolata al punto che
ha finito col dimostrare il contrario, come abbiamo accertato nel I studio.
All'inizio di questa analisi dedicata ad Eusebio di Cesarea, nel brano citato di Historia
Ecclesiastica (Libro I 10,4-6), il vescovo elenca i cinque sommi sacerdoti del Tempio di
Gerusalemme che si susseguirono durante la predicazione di Cristo, durata quasi un
quadriennio, ad iniziare da Anna sino a Caifa.
Nel par. 4 del brano, lo storico vescovo, richiamando espressamente le Antichit
Giudaiche di Giuseppe Flavio (XVIII 34-35), elenca i nomi dei Sommi Pontefici che
presiedettero il Sinedrio ed ivi afferma che furono insigniti nel loro ufficio dal Governatore
della Giudea Valerio Grato (in carica dal 15 al 26 d.C.); ma, in base a questi dati,
risulterebbe che Ges svolse la sua missione salvifica dal 15 al 18 d.C.: di fatto un
avvento datato come gli Atti di Ges in vigore all'epoca di Eusebio (da lui riferito in
HEc. I 9,3/4), cos come datato ancora oggi il TF di "Antichit" (la dimostrazione nel
VI studio).
Peraltro, dalla lettura di Antichit, non risulta che sotto il governo di Ponzio
Pilato (dal 26 agli inizi del 36 d.C.)siano stati conferiti uno o pi incarichi di sommi
sacerdoti del Tempio, tanto meno aventi i nomi uguali alla lista fatta da
Eusebio (HEc. I 10,1-6); sappiamo solo che nel 36 d.C. il Legato imperiale di Tiberio,
Lucio Vitellio, si rec a Gerusalemme e sostitu Caifa dopo aver estromesso Ponzio Pilato
dal suo incarico.
Per gli storici credenti sufficiente che Caifa risultasse sommo pontefice del Tempio nel
36 d.C. per concludere che lo fu anche nel 33 d.C.: anno della passione del Salvatore
secondo loro. Danno per scontato, con troppa leggerezza, che Caifa rimase in carica
come sommo sacerdote del Tempio dal 18 al 36 d.C., cio per 18 anni consecutivi ma,
se fosse vera, questa eventualit - unica per l'estrema durata del rilevante ufficio
dall'epoca del regno degli Asmonei, libero dalla dominazione romana - risulterebbe in
netto contrasto anche con quanto premesso (al par. 3 del suddetto brano) dallo stesso
Eusebio:

... i Governatori romani assegnavano il servizio divino (sommo sacerdozio) ora all'uno
ora all'altro e chi lo riceveva non poteva mantenerlo per pi di un anno.

Quindi, oltre a Caifa, gli altri quattro sommi sacerdoti del Tempio, elencati da
Eusebio e nominati da Valerio Grato 10 anni prima dell'arrivo di Pilato, che fine hanno
fatto? Perch Giuseppe Flavio non ne riporta i nomi che avrebbero dovuto
succedersi dal 29 al 33 d.C.? ... Pur tentando, forzosamente, di conciliare Eusebio con i
vangeli attuali.
L'unica spiegazione alla mancata relazione dello storico ebreo, circa le investiture dei
sommi sacerdoti del Tempio di Gerusalemme per non pi di un anno, consiste nel fatto
che i nomi dei successivi pontefici (dopo Caifa del 18 d.C.)non corrispondevano a
quelli dei vangeli. Questo fu il movente che ha obbligato i copisti di Antichit Giudaiche,
trascritte dall'XI secolo in poi, ad eliminare gli alti conferimenti dei sommi sacerdoti del
Tempio avvenuti dal 19 al 36 d.C., in conformit alla prassi dettata da Roma, come
invece risulta nel testo storico dal 36 in poi.
Oltre a quanto gi evidenziato, a causa dei contrasti con i vangeli attuali, gli amanuensi
non si limitarono a censurare i Sommi Sacerdoti che officiarono durante la presunta epoca
della missione di Cristo: altri importanti eventi costrinsero le sottili menti di Dio a tagliare
cronache di Antichit Giudaiche e non solo.

Nel XVIII Libro di "Antichit", che coincide con l'epoca di "Ges", si palesa un "vuoto
storico" che non trova giustificazione tenuto conto della solerzia con cui il cronista
Giuseppe denuncia sempre le crudeli gesta degli Zeloti.L'accusa nei confronti dei ribelli,
discepoli dei capi della nuova dottrina nazionalistica fondata il 6 d.C. da Giuda di Gmala,
viene cos espressa dallo storico ebreo:
Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue, sia per i massacri reciproci
che facevano i nazionalisti fanatici (gli Zeloti) desiderosi di non cedere ai nemici, sia per
la strage che facevano degli avversari (Ant. XVIII 8).

Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia, la novit finora
sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto che costoro hanno un
ardentissimo amore per la libert, convinti come sono che solo Dio loro guida e
Padrone (Adonai) ... Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni e
permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, pur di impedire di chiamare un
uomo padrone. Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio (Profeti),
macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo
religioso (Ant. XVIII 23).
Il ritrovamento archeologico del "Rotolo della Guerra" a Qumran dimostra il linguaggio
rassicurante, basato sulla certezza dell'intervento divino, adottato dai Profeti zeloti per
istigare le masse a ribellarsi contro i "kittim" invasori:
Ascolta, Israele! Voi state per combattere contro i vostri nemici Non spaventatevi e non
allarmatevi innanzi a loro. Poich il vostro Dio cammina con voi per combattere i
vostri nemici e per salvarvi Allorch nel vostro paese verr una guerra contro un
oppressore che vi opprime, e suonerete le trombe e il vostro Dio si ricorder di voi e
sarete salvi dai vostri nemici ...

E, fra il popolo credente, molti seguaci andavano a farsi ammazzare

Giuda il Galileo aveva persuaso non pochi Giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo
tempo da Quirinio nella Giudea. A quellepoca (dal 6 d.C. in poi) i Sicari (il braccio armato
dello zelotismo) ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la
sottomissione ai romani e li combatterono in ogni modo come nemici, depredandoli
degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case (Bellum VII 254).

Eppure il loro nome, Zeloti, lavevano derivato dal loro preteso zelo nellaspirare alla virt,
sia che volessero prendersi gioco, con la loro bestiale natura, delle vittime dei loro
soprusi, sia perch stimavano beni i peggiori dei mali. Comunque, fecero tutti la fine
che meritavano, perch Dio diede a ciascuno la giusta punizione; infatti tutti i castighi
che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche fino allultimo
istante di vita,facendoli morire fra i pi atroci tormenti dogni sorta (ibid VII 270/2).
Ma queste informazioni, citate nel prlogo del XVIII libro di "Antichit" e in un lontano
ricordo di Giuseppe Flavio richiamato nel VII Libro di "La Guerra Giudaica", non trovano
specifici riscontri in vicende risalenti l'epoca di "Ges" e dei suoi fratelli "apostoli". Due di
essi, Giovanni e Giacomo, nei vangeli sono chiamati "Boanerghs", vale a dire "figli
dell'ira", erano infatti portati ideologicamente ad incendiare i villaggi dei nemici
Samaritani (cfr Lc 9,53). I copisti di "Antichit" - l'opera dell'ebreo pi ricca di particolari e
riferimenti storici risalenti a quel periodo - hanno tagliato nel XVIII libro tutte le azioni
sanguinose del movimento nazionalista di liberazione, denunciate da Giuseppe, per non
evidenziare i nomi dei Capi guerriglieri sottoposti a supplizio quando venivano catturati dai
Romani: nomi corrispondenti ai santi eroi evangelici.
Un mancato resoconto di vicende dell'epoca di Cristo fu evidenziato indirettamente dallo
storico ebreo Filone Alessandrino. Questi, dopo aver riferito nel suo trattato "De
Providentia" (II 107) che si recava frequentemente in pellegrinaggio al Tempio di
Gerusalemme per offrire sacrifici a Dio (senza accennare all'esistenza di Ges Cristo e dei
suoi apostoli, tanto meno ai loro "miracoli"), nella sua opera "De Legatione ad Caium"
(XXXVIII 299-303), Filone ricord il giudizio di Erode Agrippa I quando descrisse a Gaio
Caligola il comportamento di Ponzio Pilato, accusando il Prefetto di non essere stato
capace di reprimere la guerriglia zelota:

"Un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia. Orgoglio, prepotenza e
insolenza erano la sua regola ... Il paese sotto di lui fu lasciato al saccheggio e la gente
veniva uccisa senza il rispetto di alcuna legge".
Risulta evidente il richiamo agli Zeloti rivoluzionari e l'accusa al Prefetto per la
sua difficolt, dipesa da una limitata forza militare, nel contrastare le numerose
scorribande eversive che depredavano i poderi dei ricchi conservatori in una Palestina
dove il partito dei "fanatici nazionalisti" era maggioritario.
Filone era un ricco ebreo privilegiato e riport questa informazione sul recente passato
dopo la sfortunata Legazione al cospetto di Gaio Caligola avvenuta nel 40 d.C. Ma il
filosofo ebreo, profondo sapiente dell'Antico Testamento, in nessuna delle sue opere
riferisce l'Avvento di un "Messia" divino giudaico (Christs) di nome "Ges" che,
secondo i vangeli, visse nella stessa terra, stesso periodo, autore di prodigi
straordinari e osannato dagli abitanti di Gerusalemme come "Re dei Giudei" e "figlio di
Davide" ... n sa della sua crocefissione decretata dal Sinedrio ed eseguita dal
Prefetto Ponzio Pilato.
Le crocefissioni erano supplizi pubblici aventi lo scopo di dissuadere chiunque intendesse
emulare le gesta dei condannati, disposti dalle autorit che rappresentavano lImperatore,
pertanto le incriminazioni, come informative scritte, dovevano essere
registrate negli Atti del Sinedrio essendo avvenimenti che riguardavano direttamente gli
Ebrei, la loro religione ed i loro sacerdoti, ma, nelle opere di Giuseppe Flavio, non viene
citato il Sinedrio nel I secolo, sino al martirio di Giacomo il Minore nel 62 d.C.
Sembra che il Supremo Tribunale Giudaico, organo costituzionale della Sacra Legge, in
quel periodo non sia esistito, al contrario della sua operosit in Atti degli Apostoli e
Vangeli.
Di tutt'altro avviso, Giuseppe, nell'ultima sua opera, "Contro Apione" (Libro I par. 28/46),
evidenzia la cura costante da parte dei Sacerdoti e Sommi Sacerdoti del Tempio nel
redigere:

"Annali degni di fede per trasmettere il ricordo degli eventi pubblici di cui le
mie "Antichit", ne sono un estratto fedele ... e fino ai nostri giorni (inizio II secolo) questo
costume stato osservato".

Infatti, dagli Atti di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il Processo a Ges,
non sarebbe mai risultato che i Giudei osarono scagliare contro se stessi e i propri figli la
maledizione riportata nei Vangeli (Mt 27,25):

E tutto il popolo rispose: il suo sangue (di Ges) ricada sopra di noi e i nostri figli.

Un eminente sacerdote e nobile ebreo, come Giuseppe Flavio - discendente dagli


Asmonei per parte di madre e daSommi Sacerdoti aristocratici per linea paterna - cos
come tutti i Giudei di allora e di oggi, non avrebbe mai potuto riconoscere verosimile
questo paradosso: gli Ebrei, dopo averlo osannato, fanno crocefiggere il proprio Messia
e nel contempo si maledicono per leternit. L'evento, se per assurdo fosse accaduto,
sarebbe stato di una tale gravit che lo storico sacerdote, ligio al proprio credo, l'avrebbe
riferito nelle sue cronache.

Con l'esclusione del periodo compreso fra il 19 ed il 36 d.C., in Antichit Giudaiche


vengono, puntualmente, riportate tutte le nomine e sostituzioni dei Sommi Sacerdoti del
Tempio che presiedevano tale Consiglio, la cui unica delibera, sino al 62, risulta essere
appunto quella riguardante Giacomo, fratello di Ges. In effetti lo storico scadenzava gli
annali giudaici con i nominativi dei Sommi Sacerdoti del Tempio, al pari di Cornelio Tacito
che scadenzava gli annali di Roma con i nominativi dei Consoli.

Dopo la morte di Erode e suo figlio Archelao, la costituzione divenne aristocratica e i


Sommi Sacerdoti furono designati (da Roma) alla guida della nazione (Ant. XX 251).
Allora, come non chiedersi: perch lo storico ci ha trasmesso una sequela di nomi, tutti
con patronico, di Sommi Sacerdoti del Tempio di Gerusalemme che presiedevano il
Sinedrio, senza riferire gli atti svolti da tale organo attinenticronache significative?
Questa constatazione ci porta ad una conclusione: gli ideologi del cristianesimo gesuita
furono costretti ad eliminare da "Antichit Giudaiche" tutti i richiami e le citazioni dei veri
Atti del Sinedrio, dalla morte di Erode il Grande sino al martirio di Giacomo il Minore, per
poterli riprodurre, ideologicamente contraffatti, in "Atti degli Apostoli" e nei Vangeli
evitando contraddizioni palesi fra i personaggi santificati e lindagine critica della storia che
si sarebbe conclusa con la scoperta della loro identit e le vere gesta.

Ma l'aspetto pi grave era rappresentato dal "processo a Ges", in particolare per il modo
come stato ideato dagli evangelisti: un processo al Messia ebraico accusato dal Sinedrio
di Gerusalemme di essersi proclamato Re dei Giudei.
Un fatto talmente eclatante al punto che, se fosse stato vero, inevitabilmente sarebbe
stato riferito da Giuseppe in conseguenza del fatto che i suoi genitori avrebbero
sicuramente presenziato all'evento pubblico della cruenta "via crucis" e crocefissione di un
Messia ebreo.
Ne consegue che tutti gli interventi del Sinedro avrebbero dovuto essere riportati dallo
storico in "Antichit Giudaiche" ma, in mancanza del richiamo al pi importante di tutti,
cio il "processo al Re Messia" ... simile "vuoto" ne avrebbe dimostrato la falsit sino
a sconfessare, inevitabilmente, la credibilit dei vangeli. Da qui l'obbligo di eliminare tutti
gli Atti del vero Sinedrio citati da Giuseppe Flavio, quasi fossero ininfluenti per la storia
ebraica del I secolo.
Infatti, a riprova di quanto appena affermato e come sopra riportato, gli scribi cristiani che
inventarono il "Testimonium Flavianum" non poterono far dichiarare a Giuseppe Flavio che
fu il Sinedrio ad incolpare Ges ma si limitarono ad un generico " ... dai principali nostri
uomini fu accusato ...".

Nel corso della ricerca, tesa a identificare i figli di Giuda il Galileo, a guerra giudaica finita,
la storia registra il nome di un altro importante personaggio che, stando ai vangeli, mor
ma fu risuscitato da Ges: Lazzaro (in aramaico Eleazar). In realt un potente capo zelota
arroccato nella fortezza di Masada, sotto assedio romano, famoso perch riusc a
convincere, con la promessa della "resurrezione dell'anima", circa mille ribelli, famiglie
comprese, a suicidarsi per evitare l'umiliazione di stupri e schiavit da parte dei legionari.
La "resurrezione di Lazzaro", narrata solo nel vangelo di Giovanni,intende dimostrare che
per i Cristiani possibile la "rinascita del corpo", non solo dell'anima.
Lo storico (Bellum II 447 e VII 253) afferma che (Lazzaro) "Eleazar... era figlio di
Giairo, parente di Menahem e discendente di Giuda di Gmala". Controlliamo se
abbiamo inteso bene: discendente di Giuda di Gmala, figlio di Giairo (Jair) e parente di
Menahem "ultimo figlio di Giuda il Galileo". Come possono vincolarsi direttamente
questi consanguinei? Le abbiamo provate tutte ma ci rimasta una sola risposta: una
delle figlie di Giuda di Gmala si spos con Giairo (Jair) e dette alla luce
Eleazar, nipote di Giuda di Gmala. Ma, essendo figlia di Giuda il
Galileo, fu quindisorella di Giovanni il quale, come ricostruito nel VII e VIII studio, per
meno di un anno fu il Jesha, Re dei Giudei.

Adesso, per, viene spontanea unaltra domanda di fondamentale importanza: come


faceva Giuseppe Flavio a sapere che Eleazar era figlio di (bar) Jair, discendeva da Giuda
il Galileo ed era parente di Menahem, e questi, a sua volta, figlio dello stesso Giuda?
Perch evoca continui ricordi carichi di odio contro Giuda il Galileo e i suoi discendenti,
nelle sue opere? Le accuse al potente capo sovversivo sono troppo ricorrenti come per
i suoi figli, che conosce tutti, rimarcandone la discendenza.
Le risposte potrebbero essere molte, ipotetiche, ma una sola la pi
realistica: Giuseppe figlio di (bar) Mattia, appartenente alla pi elevata famiglia
sacerdotale di Gerusalemme, era parente di quella dinastia di Farisei zeloti, Dottori
della Legge (Rabbini), di grande potere, tramite sua madre discendente dagli Asmonei.
Procediamo con la ricerca in tal senso. Dice lo storico:

Da noi leccellenza della stirpe trova conferma nellappartenenza allordine


sacerdotale. La mia famiglia non solo discende da sacerdoti, ma addirittura dalla prima
delle ventiquattro classi che gi di per s un segno di distinzione, e, allinterno di questa,
dalla pi illustre delle trib. Inoltre, da parte di madre, sono imparentato con la famiglia
reale, giacch i discendenti di Asmoneo (i Maccabei), dei quali lei nipote, detennero per
lungo tempo il sommo sacerdozio e il regno del nostro popolo. Questa la mia
genealogia, e la esporr. Nostro bisavolo fu Simone il Balbuziente, visse al tempo di colui
che per primo tra i sommi sacerdoti ebbe nome Ircano (134 a.C.). Simone il Balbuziente
ebbe nove figli, dei quali uno, Mattia, chiamato figlio d'Efeo, prese in moglie una figlia del
Sommo Sacerdote Gionata, il primo fra gli Asmonei a rivestire il sommo acerdozio e
fratello del Sommo Sacerdote Simone. Durante il primo anno del regno di Ircano, a Mattia,
figlio d'Efeo, nacque un figlio: Mattia detto il Gobbo. Da costui, nel nono anno del regno di
Alessandra, nacque Giuseppe, e da Giuseppe nacque Mattia, nel decimo anno del
regno di Archelao (6 d.C., anno del censimento di Quirinio), infine, da Mattia nacqui io, il
primo anno del regno di Gaio Cesare(37 d.C.) (Bios 1,1-5).
Prima il nonno Giuseppe, poi suo padre Mattia e infine lui, Giuseppe Flavio ... ma, suo
nonno, "Giuseppe" non sar stato per caso il "Giuseppe detto Caifa" che, come Sommo
Sacerdote del Sinedrio, secondo i vangeli, si dette tanto da fare per accusare Ges?
Esattamente come il suo storico nipote (Giuseppe Flavio) ha reiterato le accuse contro
Giuda il Galileo ed i suoi figli. Lo scrittore definisce la sua una stirpe sacerdotale di
eccellenza la prima delle ventiquattro classi sacerdotali si, Giuseppe detto Caifa
sembrerebbe avere tutti i requisiti per essere il nonno di Giuseppe Flavio e quindi genero
di Anano, i cui figli maschi diverranno tutti Sommi Sacerdoti; infatti, quando lultimo di essi,
anchegli di nome Anano, verr ucciso dai rivoluzionari, Giuseppe se ne disperer come
per la perdita di un caro amico o parente. Anano "Anna" (italianizzato) e, stando ai
vangeli, era suocero del Sommo Sacerdote del Tempio, Caifa: entrambi furono i grandi
accusatori del Salvatore.

Era consuetudine da parte dei sacerdoti del Tempio sposare le figlie di altri sacerdoti della
stessa casta per rafforzare il proprio potere dinastico e politico. Hanno conosciuto e
frequentato Giuda di Gmala, prima, e i suoi figli, dopo; Dottori potenti (Rabbini),
discendenti dagli Asmonei, pretendenti al trono di Davide, ma di una corrente politico
religiosa estremista e indipendentista cui aderirono altri Farisei zeloti, e
anticonservatori. Dal tempo del censimento in poi, si sono ritrovati su posizioni politico
religiose contrapposte, veri e propri nemici, e certamente vittime gli uni degli altri:
nazionalisti rivoluzionari avversari dei conservatori filoromani.

Il nonno e il padre di Giuseppe Flavio erano sicuramente presenti nel Sinedrio quando fu
crocefisso Ges ... ma qualcun altro prima di noi, preso atto della appartenenza dello
storico alla classe sacerdotale pi aristocratica di Gerusalemme, deve essere giunto alla
stessa conclusione. Le eminenze grigie erano consapevoli che, se Caifa fosse stato il
nonno di Giuseppe, simile risultanza avrebbe obbligato lo storico a
riferire dettagliatamente l'Atto del Sinedrio relativo al "processo contro il Messia Ges";
fatto che sappiamo non essere avvenuto ma, tale "vuoto" avrebbe smentito i vangeli, i
quali difatti ne parlano approfonditamente ed a chiare lettere.
L'inesistente "processo a Ges", per il modo superficiale con cui fu ideato dagli evangelisti,
rischiava di essere smascherato: gli oscuri prelati sapevano che quel giudizio non pot
mai avvenire. Erano certi che un suddito dell'Impero, a capo di ribelli sediziosi contro la
sovranit di Roma, pur essendo riuscito a sopraffare la guarnigione militare di stanza a
Gerusalemme e farsi proclamare Re della Provincia di Giudea, un territorio
dell'Imperatore, avrebbe scatenato la reazione delle legioni romane. Di conseguenza, una
volta sconfitto e catturato, non sarebbe mai stato rinviato ad alcun tribunale: il Legatus
Augusti, dall'alto della magistratura nella quale fu insignito, lo avrebbe crocefisso
direttamente facendo morire il capo degli Zeloti fra i pi atroci tormenti fino all'ultimo
istante di vita.
Le sottili menti degli scrivani di Dio decisero allora di prevenire la possibilit che si
scoprisse la dirompente verit tramite l'individuazione della famiglia del Sommo Sacerdote
"Giuseppe chiamato Caifa", l'accusatore evangelico del Messia ebreo.
Pertanto vi posero rimedio, o meglio ... ci provarono, nel modo come stiamo per accertare.

La discendenza da una famiglia di Sacerdoti, cos antica e potente, ci ha indotti a indagare


e scoprire, con tanto di prove, che lo storico Giuseppe Flavio stato uno dei nipoti
di Giuseppe, che fu chiamato Caifa, proclamato Sommo Sacerdote dal Prefetto Valerio
Grato il 18 d.C. (Ant. XVIII 35).
Egli fu laccusatore di Ges Cristo nei Vangeli e, come appena detto, qualcun altro, molti
secoli prima di noi, giunse a questo esito e provvide nel merito ma lo fece male.

Nella genealogia della grande stirpe sacerdotale dello storico, risalente oltre un secolo e
mezzo prima di lui, contenuto un errore gravissimo che riguarda proprio suo nonno
Giuseppe. Questi, da quanto risulta in (Bios 1,1-5), sarebbe nato

nel nono anno del regno di Alessandra nacque Giuseppe, cio il 68 a.C., e da
lui nacque, nel decimo anno del regno di Archelao, Mattia, il padre di Giuseppe
Flavio, cio il 6 d.C., infine da Mattia nacqui io, il primo anno dellimpero di Gaio
Cesare, il 37 d.C.
Se questa successione generazionale fosse corretta, il nonno di Giuseppe Flavio avrebbe
avuto un figlio allet di 74anni ma, questa assurdit viene smentita da un evento che,
correlato ad altri, ci aiuta a fare chiarezza:

Quando Erode il Grande assunse il potere rgio (37 a.C) uccise Ircano e tutti gli altri
membri del Sinedrio eccetto Samaia (Ant. XIV 175).
Fra tutti i membri del Sinedrio uccisi da Re Erode il 37 aC. - per aver osato accusarlo, otto
anni prima, in quanto responsabile delluccisione di Ezechia, padre di Giuda il Galileo
(Erode rischi di essere lapidato e non lo dimentic: Ant. XIV 167-168) - vi era certamente
anche un antenato della "stirpe sacerdotale di eccellenza" cui apparteneva Giuseppe
Flavio (iniziatasi nel II secolo a.C.). Ma quell'antenato, ovviamente con prole, non poteva
essere il suo ultimo nonno "Giuseppe" nato nel 68 a.C. poich si sarebbe interrotta
la ascendenza e il futuro storico di "Antichit Giudaiche" non sarebbe mai nato: ecco
perch i conti non tornano. E evidente che fra lantenato Giuseppenato il 68 a.C. e il
Giuseppe, suo vero nonno diretto, c una mancanza; ma lerrore non lo commise lo
storico: impossibile che Giuseppe Flavio non conoscesse let di suo nonno e non abbia
ricordato e connesso l'eccidio dell'intero Sinedrio che, inevitabilmente, coinvolse la
famiglia sacerdotale pi famosa di Gerusalemme. Lerrore intenzionale e si spiega con
una eliminazione mistica nella sua genealogia, descritta in Autobiografia: una
manipolazione effettuata da coloro che avevano linteresse ideologico di non fare risultare
Giuseppe che fu chiamato Caifa, il Sommo Sacerdote, come nonno di Giuseppe Flavio.

Il movente che indusse gli amanuensi cristiani ad eliminare il patronimico del Sommo
Sacerdote "Giuseppe detto Caifa" fu quello di impedire ai ricercatori di individuare la
famiglia di appartenza di Caifa: il Sommo Sacerdote del Tempio cheaccus il Messia
Ges facendolo condannare a morte.
Rimarchiamo la prima coincidenza del nome di "Giuseppe detto Caifa" con il nome del
nonno Giuseppe; poi quella che il nonno dello storico ebreo risulta avere avuto un figlio
all'et di 74 anni; inoltre, il patronimico di Giuseppe detto Caifa" stato eliminato nella
documentazione patristica come in quella storica. Sono un insieme di dati assurdi
che - una volta evidenziati e spiegati con la imprescindibile necessit dei Cristiani di
nascondere la parentela tra Caifa e Giuseppe Flavio - diventano la prova evidente della
manomissione dei testi storici da parte degli amanuensi per salvaguardare la propria
dottrina.
Il nostro scriba Giuseppe, ligio ai suoi doveri di storico, trasmise ai posteri tutti i
nominativi dei Sommi Sacerdoti del Tempio che presiedettero il Sinedrio, i quali, per
lecumene degli Ebrei di allora, erano equivalenti al Papa di oggi dei cattolici. Lo fece
riportando, come dobbligo, il nome del padre di ognuno di loro tranne uno: quello
diGiuseppe che fu chiamato Caifa (Ant. XVIII 35).
Questo modo di identificare il Sommo Sacerdote, in un richiamo storico ufficiale, unico
e non rientra, sia nella prassi ebraica, dovuta allora per il riconoscimento delle persone,
sia nel rispetto delle ancestrali usanze adottato puntualmente dallo scrittore per tutti gli
altri Sommi Pontefici, il cui nominativo richiedeva essere tramandato a futura
memoriacompleto di patronimico, a maggior ragione per limportanza dellufficio ricoperto.
Se non si considera questa mancanza, si giungerebbe alla inevitabile conclusione che
escluderebbe matematicamente il nonno di Giuseppe Flavio come accusatore di Ges
perch, se nel 6 d.C. aveva 74 anni, allepoca in cui lo incolp ne avrebbe avuti 103
secondo i Vangeli; mentre la verifica storica accerta 106 anni (e quiinciampa lo scriba di
Dio) perch Caifa fu dismesso da Lucio Vitellio per la Pasqua del 36 d.C.
Secondo quanto vollero far apparire i manipolatori mistici, simile vetust di un Sommo
Sacerdote del Tempio sarebbe servita a dirottare la curiosit degli storici troppo indiscreti
e pignoli dalla vera identit di Giuseppe che fu chiamato Caifa: l'accusatore di Cristo
E, guarda caso, il Nuovo Dizionario Biblico, a cura di Ren Pache, Edit. Centro Biblico
(della Santa Sede), anno 1993,sotto la voce Sinedrio fa una lunga relazione delle
funzioni e i poteri di tale organo riportando tutte le citazioni di Giuseppe Flavio tranne
una: il brano suddetto che riporta l'uccisione di tutti i Sommi Sacerdoti del Sinedrio attuata
da Erode il Grande dopo il 37 a.C. (Ant. XIV 175), una volta insediato come Re dai
Romani. Anche il precedente Dizionario Biblico, Ed. "Studium" del 2.4.1963, curato dal
famoso esegeta cattolico, Mons. Francesco Spadafora, alla voce "Sinedrio" non cita
questo passo, il pi importante di tutti (data la unicit dell'evento
sanguinoso contrastante latradizione e la Legge ebraica) a causa dell'eliminazione di tutti
i membri del Sinedrio".

Riflettiamo un attimo: se Caifa, laccusatore pi accanito di Ges Cristo, secondo i


Vangeli, risultasse essere stato realmente il nonno dello storico, immaginiamo quale
dettagliata descrizione della vita del Figlio di Dio avrebbe dovuto tramandarci lo scrittore:
un "Super Testimonium Flavianum" lungo quanto un vangelo. Giuseppe non sarebbe
stato storico ebreo, bens storico cristiano gesuita, avendo suo nonno e suo padre
toccato con mano, a Gerusalemme, il tanto atteso Messia Ges e lo avrebbero
sicuramente raccontato anche a lui da bambino, soprattutto quando, dopo averlo accusato
e fatto crocifiggere, da testimoni esterrefatti, videro che:
Si fece buio su tutta la terra, il velo del tempio si squarci, la terra si scosse, le rocce si
spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti morti risuscitarono e uscendo dai sepolcri
entrarono nella Citt Santa e apparvero a molti
(Mt 27,51/53).

Secondo i mistici falsari lo shock, subito alla vista degli zombi che camminavano al buio
per le vie di Gerusalemme, avrebbe dovuto obbligare Caifa, suo figlio e successivamente
suo nipote a pentirsi e convertirsi al Cristianesimo.
A conferma che le "eminenze grigie" sono tutt'oggi sempre impegnate nell'oscuro
millenario lavoro, facciamo notare che mai nessun film, celebrativo della vita e passione di
Cristo, ha riportato la scena "horror" dei cadaveri putrefatti che passeggiavano fra la gente
nell'oscurit lungo i vicoli e le piazze della Citt Santa quando Lui mor.

I copisti non poterono rassegnarsi al fatto che lo storico non avesse riportato la cronaca di
quegli avvenimenti e non fosse diventato cristiano; ma, pi di ogni altra cosa la
mancata cronaca di quei fatti cos clamorosi dimostra che non avvennero.
S, non possono esservi dubbi, fu questo il movente della manipolazione genealogica dello
storico sacerdote: "Giuseppe detto Caifa" era il nonno di Giuseppe Flavio, ma, con tale
soprannome, non doveva risultare nella genealogia da lui riportata in Autobiografia per le
deduzioni che ne avrebbero tratto gli storici. Al contrario, nei Vangeli, solo con questo
soprannome che conosciamo il Sommo Sacerdote: Caifa. Ma, altro particolare
significativo, Caifa (in greco), come nome proprio non esisteva nella Giudea di
allora: era solo un soprannome che, attenendosi alla etimologia aramaica, significava
roccia e, preso a se stante, non aveva alcun senso. Giuseppe detto Roccia, questo era
un nome completo con un significato preciso, esattamente come lo riporta la
storia per, come abbiamo visto,senza patronimico. Al nonno dello storico ebreo, il
nome gli venne censurato nei Vangeli, il soprannome in Autobiografia e il patronimico in
Antichit.

L'accorgimento di tagliare l'ascendenza di Giuseppe detto Caifa fu adottato per primo da


Eusebio nella sua "Historia Ecclesiastica" al fine di impedire lidentificazione del Sommo
Sacerdote che, secondo i vangeli, accus il Messia ebraico: una vicenda talmente grave
che, qualora fosse realmente avvenuta, avrebbe obbligato Giuseppe Flavio a riportarne
la intera cronaca compreso il processo indetto dal Sinedrio.
Dalla esposizione di questo Atto da parte di Giuseppe, inevitabilmente, sarebbe risultato il
nome intero del Sommo Sacerdote "Giuseppe detto Caifa" completo di
patronimico, esattamente come fece in Antichit XX 200 nel processo intentato dal
Sommo Sacerdote Anano, figlio di (bar) Anano, contro Giacomo fratello di
Ges. Inoltre, come nel caso di Anano contro Giacomo, lo storico avrebbe evidenziato
anche l'accusa di Caifa contro Ges con la condanna, supplizio e morte del Messia: una
vicenda ebraica clamorosa che avrebbe confermato le scritture evangeliche. Viceversa
sappiamo tutti che nelle cronache di Giuseppe Flavio non esiste niente di tutto ci ... e di
questo "vuoto storico" era perfettamente consapevole Eusebio. Ma il Vescovo, pur di
comprovare l'esistenza di Ges Cristo, os compilare ed inserire nella sua "Historia
Ecclesiastica", a nome dello storico fariseo, un misero Testimonium Flavianum, inetto ed
elusivo, evitando accuratamente di riferire dati precisi e significativi se non quello,
anacronistico e non credibile, di Pilato: nient'altro che una manifestazione di fede cristiana
in contrasto con quella ebraica.

A questo punto degli studi manca ancora un ultimo dato: conoscere la fine
del quarto fratello di Ges.

Parte II

Giuseppe, il fratello minore di Ges

Non costui (Ges) il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses


(Giuseppe), di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi? (Mc 6,3);
Non forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi
fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone eGiuda? E le sue sorelle non sono tutte fra
noi? (Mt 13,55-56).
I nomi appena letti nei vangeli di Marco e Matteo corrispondono ai quattro fratelli di
"Ges", il quale, nelle analisi riportate, abbiamo gi dimostrato si chiamava "Giovanni",
mentre "Ges" (Jesha in aramaico) era un appellativo dettato da Dio come attributo
divino dal significato di "Salvatore" (vedi XI studio). Uno dopo l'altro, siamo stati in grado di
rintracciarli tutti attraverso la comparazione diretta fra le notizie riferite nei documenti
neotestamentari e la storiografia.E' rimasto soltanto Giuseppe.
Giuseppe: lunico dei fratelli che non entra mai in scena. I vangeli lo nominano tra figli
di Maria senza aggiungere altro. Nulla risulta dalle opere di Giuseppe Flavio almeno
sembra.

Menahem, la storia ne scrive, per mano dellebreo, che lo cita pi volte come ultimo dei
figli di Giuda il Galileo(Bellum II 433, 437; Bios 21), il Capo zelota fariseo che,
ricordiamo, rivendic il diritto al trono dei Giudei e fu promotore della rivolta del
censimento il 6 d.C.
Menahem era un nome che ritroviamo in "Antichit Giudaiche" e, appena ritoccato, in Atti
degli Apostoli:
Cerano nella comunit di Antiochia Profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto Niger,
Lucio di Cirene, Manaen, compagno dinfanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Dopo aver
digiunato e pregato imposero loro le mani e li accomiatarono (At 13,1).
Constatato che quel viaggio di san Paolo ad Antiochia era senza scopo, rileviamo che fra
tali nomi solo uno autore di gesta: Manaen, compagno dinfanzia di Erode tetrarca.
Questo richiamo obbliga lo storico a ricordarsi di un altro Manaem, personaggio,
descritto come un Profeta dallebreo in Antichit, che predisse il Regno ad Erode il
Grande quando questi era ancora un ragazzo (Ant. XV 373).
Noi dobbiamo notare che Erode padre ed Erode Tetrarca figlio, nella loro giovinezza,
ebbero entrambi causa con Profeti di nome Menahem distanziati fra loro di una
generazione; una sovrapposizione casuale troppo forzata per non destare sospetti su
entrambi i veggenti di Atti e Antichit come se dietro a tali nomi ci sia stata una pia
regia per farli apparire usuali fra i Giudei dellepoca, fatto che non risulta dalle opere
dellebreo, ad eccezione di quello appena citato, dobbligo come il Profeta degli Atti.

Quel che certo, Menahem, ultimo figlio di Giuda di Gmala, era un appellativo che, nel
primo secolo, nessun giudeo, con la cultura dello Scriba fariseo conservatore Giuseppe
Flavio e condivisa dal Dottore fariseo Giuda il Galileo, lo avrebbe mai dato ai propri figli,
poich era il nome di uno dei personaggi pi odiosi dellAntico Testamento. Menahem,
dice lo storico, fu un Generale ebreo che, auto proclamatosi Re, ma non riconosciuto
come tale dal suo popolo...
Menahem fece un genocidio contro quelli della sua stessa stirpe, non risparmiando
neppure i fanciulli e non arrestandosi davanti ad alcun eccesso di crudelt e di
barbarie (Ant. IX 229/231).
No! Giuda di Gmala era un Dottore della Legge e, se pur rivoluzionario, proveniva dalla
stessa scuola farisaica dello scrittore ebreo, era istruito e non pu aver dato questo nome
a suo figlio; lo chiam cos Giuseppe Flavio che, ravvisando in lui comportamenti analoghi,
identific nell'ancestrale feroce Re biblico Menahem lultimo dei figli di
Giuda:Giuseppe, anche lui auto proclamatosi Re nel 66 d.C.
Lo storico non aveva ancora il cognome onorifico Flavio, lo adotter dopo la guerra,
concessogli dalla Gens Flavii insieme a molti altri favori (la vita in primis) che ricevette
dagli Imperatori Vespasiano e suo figlio Tito.
Giuseppe aveva il nome uguale al suo, quasi certamente parente, ma sicuramente
nemico; era uno dei banditi, nazional religiosi e palesemente odiati, che aveva descritto
prima e durante la guerra giudaica alla quale partecip.

Lebreo Giuseppe racconta del conflitto e i suoi interventi parlando di se stesso in terza
persona, come un cronista che riferisce gli eventi vissuti da protagonista osservandosi dal
di fuori del contesto descritto e, come tale, deve citarsi frequentemente, pertanto non pu,
n vuole, confondersi con laltro Giuseppe detestato.
Come avrebbe potuto scrivere, di fatto accusandosi ingiustamente se avesse usato il
proprio nome: la morte del Sommo Sacerdote Anana (che conosceva bene) aveva
esaltato Giuseppe (anzich Menahem) fino alla ferocia (Bellum II 442); come avrebbe
potuto auto definirsi boia e vigliacco, epteti con cui qualifica laltro, suo omonimo,
responsabile delle gesta criminali descritte.
"Menahem" il nome da affibbiare a quel malfattore: un marchio che dovr rimanere nella
storia. Non solo, se lo avesse chiamato col vero nome Giuseppe, avrebbe dovuto
scriverlo col suo patronimico: Giuseppe, figlio di (bar) Giuda il Galileo. No! Impossibile!
... Il proprio nome diventava figlio del personaggio pi avversato nelle sue opere.
Allora, per non essere scambiato con laltro, ogni volta che ne ha riferito le imprese
efferate, avrebbe potuto citare il nome del proprio padre alla maniera giudaica: Giuseppe
figlio di Mattia. Peggio! Suo padre, Mattia, sarebbe statoscambiato per il padre di un
famoso assassino boia e vigliacco di nome Giuseppe, tiranno usurpatore del trono,
ingenerando una confusione inestricabile fra nomi identici, inaccettabile per la precisa
identificazione storica dei protagonisti di questa vicenda, odiosa per lo scrittore.
No! Meglio ribattezzare, con il nome biblico del Generale Menahem - che si comport
da "boia e vigliacco" col suo popolo pur di essere riconosciuto Re - quellaltro
Giuseppe Dottore potente che lo storico conosceva bene, come conosceva Eleazar
(Lazzaro) figlio di Giairo ... entrambi discendenti del Dottore della Legge, Giuda il Galileo,
tutti appartenenti ad una dinastia di grande potere.
La narrazione dello storico ebreo una autentica manifestazione di odio, uno sfogo
personale, ma anche espressione della sua convinzione politico-costituzionale che si
scontrava con quella dell'esecrato nemico discendente da una casta sacerdotale potente
che mirava alla restaurazione di una monarchia di tipo asmoneo, in opposizione alla
aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme che non intendeva farsi spodestare per
conservare i privilegi acquisiti.

Fu allora che un certo Menahem, figlio di Giuda detto il Galileo, un Dottore (della
Legge) assai pericoloso che gi ai tempi di Quirinio aveva rimproverato ai Giudei di
riconoscere la signoria dei Romani quando gi avevano Dio come Signore (Adonai in
aramaico), messosi alla testa di alcuni fidi raggiunse Masda (roccaforte poi occupata dal
suo parente Eleazar bar Jair), dove apr, a forza, larsenale del Re Erode e, avendo
armato oltre ai paesani (di Gmala)altri briganti, fece di questi la guardia del corpo; quindi
ritorn a Gerusalemme e assunse il comando della ribellione(Bellum II 433-434).
"Contro Menahem si levarono i partigiani di Eleazar (un altro Eleazar, Capitano delle
Guardie del Tempio, figlio del Sommo Sacerdote Anana ucciso da Menahem) affermando
che non era il caso di ribellarsi ai Romani spinti dal desiderio di libert per poi sacrificarla a
un boia paesano (non di Gerusalemme) e sopportare un padrone che, se anche non
avesse fatto nulla di male, era pur sempre inferiore a loro" (ibid II 443).

Giuseppe Menahem di Gmala (in quanto figlio di Giuda il Galileo), ormai capo del
movimento nazional-religioso degli Zeloti, un Dottore della Legge integralista,
carismatico e, tramite madre, appartenente alla dinastia degli Asmonei che, fin da suo
nonno Ezechia, uomo di grande potere ucciso da Erode il Grande, si era immolata per la
liberazione dIsraele dal dominio della Roma pagana e delle caste dominanti corrotte.
Diventato promotore e guida della rivolta, dopo aver attaccato e sconfitto i Romani,
Giuseppe Menahem uccide il Sommo Sacerdote Anana, a lui contrario, dopodich il
nuovo Sinedrio rivoluzionario lo riconoscer Re dei Giudei.
Della sua investitura Giuseppe Flavio non parla direttamente: Giuseppe Menahem non ha
avuto il crisma della Legge come la interpretava lo storico ebreo ma il crisma della
Legge dei Farisei zeloti, in grado di condizionare con la forza anche i sacerdoti pi
moderati, lo ebbe certamente, almeno in quel momento.
Prima della sua fine, lo storico racconta, sprezzante, che, nel Settembre del 66 d.C., a
capo della sua fazione di rivoluzionari, leminente zelota riusc ad indossare, ornato in
gran pompa, la veste rgia (Bellum II 444).
I partigiani di Eleazar (il Capitano delle Guardie del Tempio) lo assalirono nel Tempio; vi
si era infatti recato a pregare in gran pompa, ornato della veste rgia avendo i suoi pi
fanatici seguaci come guardia del corpo Menahem era scappato nel quartiere detto Ofel
e vi si era vigliaccamente nascosto, fu preso, tirato fuori e dopo molti supplizi ucciso, e
cos pure i suoi luogotenenti e Absalom, il Primo Ministro della sua tirannide (ibid II 440-
446).
Il nostro erudito scrittore, nelle vicende narrate, considerava Tiranni i sovrani assoluti che
si impadronirono, con la violenza, di ogni potere e in questo caso del potere spirituale
(Sommo Sacerdozio) e di quello regale.
Potere, come visto, risultato effimero poich laristocrazia sacerdotale riusc a spodestarlo
con un colpo militare.
Nato dopo il censimento del 6 d.C., Giuseppe Menahem figlio di Giuda, negli anni 30 del
I secolo non fu riconosciutocome capo carismatico, capace, con le sue profezie, di
trascinare uomini a rischiare la vita per un ideale nazional religioso; quindi non si rese
protagonista di gesta tali da essere ricordato dalla storia o dai testi sacri alla pari di un
Profeta. Stando alle verifiche effettuate nel I studio, questo il motivo per cui il suo nome
compare solo nella lista dei fratelli di Ges, ma non fra gli Apostoli.
Attraverso le apposite analisi pubblicate abbiamo accertato che i fratelli
di Giovanni (Jesha) erano: Giuda detto Theudas, Simone detto Kefaz, e Giacomo ...
tutti corrispondenti ai figli di Giuda il Galileo, gi morti per mano dei Romani, rimaneva
solo Giuseppe, ultimo di loro ancora in vita Ma, essendo Menahem, a sua
volta, lultimo dei figli di Giuda il Galileo, ci significa che Menahem e Giuseppe era
la stessa persona.

Giuseppe, da giovane, si form alla scuola farisaica per diventare anchegli un Dottore
della Legge mentre i suoi fratelli, pi anziani - come fecero il nonno Ezechia e il padre
Giuda - stavano conducendo una lotta mortale.
Ad iniziare da Giovanni Ges, nei dieci anni successivi, vedr anche gli altri fratelli
morire per la guerriglia da loro ripresa, nel 44 d.C., dopo che Roma
ricostituir come Provincia, annessa alla Siria, il Grande Regno riunificato da Re Agrippa I,
assoggettando l'intero territorio palestinese al governo dei Procuratori romani.
Successivamente, pi maturo, Giuseppe aspetter, in disparte, il momento favorevole per
raggiungere il fine perseguito dalla sua dinastia: divenire Re dei Giudei.
Luccisione del Sommo Sacerdote Anana e la sua presenza allinterno del Tempio a
pregare, con indosso una veste rgia, portano a concludere che Menahem, oltre ad
essere Re, fu anche Sommo Sacerdote al posto dellaltro spodestato e ucciso. Giuseppe
Flavio questo non lo dice, ma ne comprendiamo la ragione, poich, appartenendo ad una
casta sacerdotale conservatrice, avversaria degli Zeloti antischiavisti, ovvio che non
riconobbe mai, come legittima, linvestitura a Messia di un nemico ideologico, figlio di
Giuda il Galileo.

Giuseppe Menahem vi riuscir, ma il suo regno avr vita breve; infatti, come appena
letto, limpresa lo vedr soccombere per mano di Eleazar, il sacerdote comandante delle
Guardie del Tempio e figlio del Sommo Sacerdote Anana, che lo stesso Menahem aveva
fatto uccidere.

La morte di Giuseppe, "detto Menahem" dallo storico cronista, segna la fine dei cinque
fratelli, uomini appartenenti a una dinastia definita pi volte da Giuseppe Flavio "di grande
potere" ... Una stirpe di sangue reale che - rivendicando il diritto a sedersi sul trono dei
Giudei, appartenuto agli Asmonei ma spodestati dai Romani in favore di Erode - si
impegn, fino al martirio, in una guerra contro il dominio di Roma attraverso un contesto
storico pericoloso ed estremamente difficile per gli Ebrei.

"Dopo la morte di Aristobulo (7 a.C.), Erode non affid pi il pontificato a discendenti dei
figli di Asmonei. Anche Archelao, figlio di Erode, nella designazione dei Sommi Sacerdoti
segu la stessa politica e, dopo di lui, fecero cos anche i Romani quando presero il
governo dei Giudei (6 d.C.)" (Ant. XX 249).
Dal 6 d.C. in poi, furono due i periodi durante i quali, nel I secolo, si verific un vuoto di
potere imperiale: il primo dalla fine estate del 35 alla Pasqua del 36 d.C., mentre Roma
era impegnata nella guerra contro i Parti; e il secondo durante la guerra contro i Giudei dal
66 al 70 d.C. Fu solo in quei due lassi di tempo che i Romani non poterono impedire
l'investitura al Sommo Sacerdozio ai discendenti dei figli degli Asmonei. Il casato asmoneo
si estinguer definitivamente nel 73 d.C. per mano dei Romani con la caduta di Masda,
ultima roccaforte degli Zeloti, condotti dal nipote di Giuda il Galileo: Eleazar bar Jair
(Lazzaro figlio di Giairo).
Dallanalisi delle vicende narrate nei vangeli, comparate con quelle reali, sin dall'inizio
abbiamo scoperto che i pi importanti interpreti della Storia Sacra furono i capi Zeloti di
un partito integralista ebraico, figli di Giuda il Galileo.
Il suo primogenito, Giovanni, in occasione della festa delle Capanne del 35 d.C., riusc ad
insediarsi nel trono dei Giudei e da essi riconosciuto come Re e loro
Salvatore Jesha per meno di un anno. Dopo la sua fine, seguita all'intervento romano,
diressero la guerriglia patriottica i suoi fratelli: Simone, Giacomo e Giuda, capi del
Movimento di Liberazione Nazionale dal giogo imperialista di Roma, spinti da un ideale
religioso che lo storico definisce:

quarta filosofia, la novit finora sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei
Farisei eccetto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libert, convinti come
sono che solo Dio loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare forme di
morte non comuni e permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, pur
di impedire di chiamare un uomo padrone. Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere
ispirati da Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al
fanatismo religioso (Ant. XVIII 10,23).

Il vero cristianesimo primitivo, ancor pi correttamente chiamato messianismo primitivo,


fu rappresentato dal movimento messianista zelota, ovvero la quarta filosofia, la novit
finora sconosciuta, come la chiam lo storico. La quarta filosofia, la dottrina ideata dai
Farisei zeloti Giuda il Galileo e Saddoc, postulava un capovolgimento sociale ed
economico che prevedeva labolizione della schiavit e leliminazione delle caste
sacerdotali ebraiche, aristocratiche e corrotte, conservatrici dei loro privilegi e filo
romane.

Una dottrina, a fondamento del partito giudaico pi popolare, che si prefisse lo scopo di
liberare i territori palestinesi per riedificare su di essi lantico Regno di Israele: una fede
accettata dalla maggioranza della nazione ebraica sino acomprendere la diaspora.
Secondo gli Zeloti, nel rispetto della Legge degli antichi padri, un condottiero, consacrato
(Unto) come Re, per volere e con laiuto di Dio, come fece Re David, avrebbe guidato il
popolo ebreo diviso e disperso - dopo averlo riunificato in una nuova alleanza cui
aderirono gli Esseni - per annientare i pagani invasori. Sarebbe stato un Messia divino a
salvare il popolo eletto di Yahweh dalla potenza di Roma: un "Dominatore del mondo" il
cui regno sarebbe durato in eterno.
Il movimento fu osteggiato da Sadducei e Farisei conservatori, contrari ad un radicale
cambiamento politico, sociale ed economico, che avrebbe fatto perdere i loro privilegi. Per
impedire ci, le caste aristocratiche sacerdotali, insieme ai reggenti erodiani, favorirono la
feroce repressione dei Romani nei confronti del Movimento di Liberazione Nazionale del
quale gli Zeloti rappresentarono lavanguardia ideologica pi estremista e popolare sino
alla catastrofe militare finale.

I Farisei zeloti e gli Esseni zeloti, per tre generazioni, hanno condotto una guerriglia
pericolosa abituati al rischio della morte ... accettandola con un coraggio ed un disprezzo
del dolore forgiato nella lotta contro i dominatori pagani. Morte accettata stoicamente e
basata sulla convinzione della rinascita dellanima; un indottrinamento religioso integralista
ed estremista che aveva le sue radici nellepopea eroica dei fratelli Maccabei i quali, con il
loro sacrificio, avevano liberato la terra, a loro promessa da Yahweh, dalla dominazione
macedone ellenistica.
In Antichit Giudaiche nel Lib. XVIII al par. 24, Giuseppe, parlando della quarta
filosofia, cos dice degli Zeloti:
La maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro determinazione, in tali
circostanze che posso procedere oltre la narrazione. Perch non ho timore che qualsiasi
cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel
fatto che la mia esposizione possa minimizzare lindifferenza con la quale accettano la
lacerante sofferenza delle pene.
Giovanni di Gmala, detto il Nazireo, era il primogenito di Giuda il Galileo e, sia lui che i
suoi fratelli hanno dimostrato con i fatti di accettare i rischi cui andavano incontro, ne
erano preparati psicologicamente, sapevano che la morte, se affrontata a viso aperto, non
facendo una piega pur nel momento in cui si sottoposti ai peggiori supplizi, diventa essa
stessa unarma ideologica esemplare che avrebbe portato altri giovani ad emularli
perseguendo un fine che poi si riveler utopico. Ci tramanda Giuseppe:

non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la loro forza
danimo, o cieco fanatismo che dir si vogliaaccogliendo i tormenti e il fuoco, con il
corpo che pareva insensibile e lanima quasi esultante.

Ezechia, Giuda il Galileo, Giovanni il Nazireo, Simone detto Kefaz, Giacomo, Giuda
detto Theudas, Giuseppe detto Menahem ed Eleazar bar Jair: ogni membro di quella
dinastia di Signori, discendenti dagli Asmonei, ha lottato e rischiato per un fine patriottico
religioso nobile. Erano nella loro terra, i Romani erano gli invasori quindi i pagani
dovevano essere cacciati. Ma la loro caparbia coerenza si scontrata con un Impero al
culmine di un potere tale da incutere timore a tutti i regni confinanti che, in quel periodo, si
guardavano bene dal provocarlo. Gli Zeloti hanno lottato contro quel potere e hanno perso
e con loro tutti i Giudei.
Le due filosofie religiose ebraiche, la essena e la zelota, entrambe antischiaviste e
aperte a tutte le classi sociali, si allearono ideologicamente per mobilitare i Giudei alla lotta
e ricostituire il Regno dIsraele. Dalla guerra del censimento del 6.d.C. rimasero solidali
fino alla sconfitta del 70 d.C. culminata nella distruzione della Citt Santa e del Tempio. Fu
un periodo di massacri caratterizzato da centinaia di migliaia di morti, dei quali nei Vangeli
non vi traccia.
Ma la vera storia, concernente la costante ribellione di un popolo che non voleva
sottomettersi al dominio pagano, non doveva risultare nei Sacri Testi pena il crollo della
dottrina cristiana della "salvezza per la vita eterna".
In quel contesto storico, teatro di una Guerra Santa nazionalista che vide rivolte
sanguinosamente represse, carestie e crocefissioni, secondo i vangeli, intorno agli anni
'30 del I secolo, un gruppo di dodici Ebrei e il loro Maestro, Ges Cristo, indifferenti al
sangue che sorreva sulla loro patria, vagavano per la Palestina stupendo folle con discorsi
e gesta mirabolanti. Un impossibile Messia ebraico, Figlio di Dio, inconsapevole del
massacro perpetrato verso i suoi connazionali dai pagani: gli invasori (kittim) della Terra,
promessa dal Padre suo "Abba" al popolo eletto.
"Spinti dall'odio e dal furore, i soldati romani si divertivano a crocifiggere i prigionieri in
varie posizioni, e tale era il loro numero che mancava lo spazio per le croci e le croci per le
vittime" (Bellum V 451).
Appena dopo la morte di Erode il Grande, avvenuta il 4 a.C., gli Ebrei si ribellarono alla
volont di Cesare Augusto che impose la divisione del Regno di Palestina in Tetrarchie
assegnate in eredit ai figli di un monarca semiebreo; eredi che non furono riconosciuti
dagli Israeliti come loro Capi, alla stregua di Erode. La violenta ribellione dilag in una
guerra che costrinse Roma ad inviare in quei territori le legioni imperiali condotte dal
Legatus Augusti pro Praetore, Publio Quintilio Varo, per sconfiggere gli insorti, dopodich
duemila di loro furono crocefissi pubblicamente come esemplare mnito rivolto a chiunque
intendesse emularne le gesta. Ciononostante, da allora in poi, la componente zelota,
maggioritaria fra la popolazione, non volle mai sottomettersi al giogo romano.
Gli scribi cristiani, che in epoche successive compilarono i vangeli e gli "Atti degli
Apostoli", fecero attenzione che gli eroici discepoli del Messia ebreo non testimoniassero
sulle gesta del movimento di liberazione nazionale, sempre attivo in quel tempo, pur
essendo i "Santi" di sangue giudeo.
Stando alle datazioni "storiche" - macchinate dalla Chiesa dopo aver conquistato il potere
assoluto nel IV secolo d.C. - quasi tutti gli apostoli e gli evangelisti assisterono alla
distruzione di Gerusalemme da parte di Tito, ma nessuno di loro riporta il martirio subto
per crocefissione da moltitudini di Giudei. Un vuoto storico troppo stridente con la realt
delle vicende del primo secolo: un silenzio reso volutamente coerente con la mancanza di
richiami concernenti l'esistenza di Cristiani gesuiti nelle cronache riferite dagli scrittori
imperiali, testimoni diretti degli avvenimenti di allora. Fu questo il motivo che, dopo oltre un
millennio, spinse gli amanuensi dell'Abbazia di Montecassino a falsificare gli "Annales" di
Cornelio Tacito inventando cos l'assurdo eccidio di un ingente numero di Cristiani che, nel
64 d.C., a Roma vennero crocefissi, spalmati di grasso, ed accesi come torce ardenti per
illuminare un insensato, quanto incredibile, "baccanale" neroniano.
I calligrafi di Dio, quando stilarono queste sciocchezze in grafia beneventana latina, non si
resero conto che avrebbero dovuto riscrivere ex novo tutta la enorme "tradizione", sparsa
nelle biblioteche dell'intera cristianit, al fine di correggere le contraddizioni insorte per la
mancata testimonianza sui mrtiri gesuiti da parte di storici romani, evangelisti, apostoli e i
loro successori. Come abbiamo provato con gli studi precedenti.

Dopo l'olocausto giudaico perpetrato dalle legioni romane, una corrente religiosa giudaica
ritenne necessario creare una nuova raffigurazione del Messia ebreo, diverso dallo zelota
nazionalista voluto da Yahweh, originando il Cristianesimo gesuita ... ovviamente dopo la
morte di Giuseppe Flavio. La immagine ideologica si evolse, nei secoli seguenti, dal
messianismo primitivo, descritto dallo storico ebreo come la "quarta filosofia, una novit
sinora sconosciuta", in conseguenza del genocidio degli Ebrei perpetrato in tre guerre (dal
70 al 135 d.C.) dai vincitori che repressero tutte le rivolte giudaiche. Nell'arco di tempo di
due generazioni, fra il 70 ed il 135 d.C., i Romani causarono pi di un milione di morti, la
distruzione di tutte le citt e dei villaggi pi importanti della Giudea, sin quasi a svuotarla
dei suoi abitanti; senza contare l'enorme numero di schiavi che fece crollare il mercato. Il
potere imperiale di Roma annientava chiunque non voleva sottostare al suo dominio,
pertanto, buona parte degli ebrei sopravvissuti, ad iniziare dalla diaspora delle Province,
scelsero di modificare il concetto di Messia "Dominatore del Mondo" in quello di Messia
"Salvatore del Mondo".
La nuova dottrina fu ideata dagli ebrei Esseni d'Egitto che adottarono il "Logos
divino" (Verbo di Dio) concepito, meno di un secolo prima, dal filosofo Filone
d'Alessandria, il pi influente rappresentante della numerosa comunit ebraica della
seconda citt dell'Impero Romano, ma la pi avanzata nella cultura scientifica e filosofica.

L'elaborazione del "Logos" - incarnato nel Messia "Figlio di Dio" che, in quanto tale,
avrebbe "garantito" la salvezza della vita eterna ai Suoi credenti - avvenne in epoca
successiva alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio di Yahweh da parte dei
Romani. Gli Esseni avviarono il mito del "Messia Salvatore" ebreo che si evolse,
attraverso un processo storico, con raffigurazioni evangeliche diverse e contrastanti fra
loro, al punto di obbligare la convocazione di numerosi Concilinel IV secolo, ad iniziare da
quello di Nicea nel 325 d.C., finalizzati a risolvere le controversie cristologiche sulla
"sostanza" della divinit del "Salvatore". Il Concilio conclusivo del lungo processo di
trasformazione teologica del Cristianesimo fu indetto ad Efeso nel 431 d.C.; in esso venne
decretato che la Beata Vergine Maria, Madre di Dio"Theotokos", aveva generato il Logos
che risiedeva nell'uomo Cristo "Figlio di Dio", seppur gi Dio consustanziale al Padre
dall'inizio dei secoli. Chi ci capisce qualcosa bravo ...

L'olocausto ebraico perpetrato dai Romani fu la drammatica conclusione della lotta di un


popolo, zelota verso la propria Legge ancestrale e convinto dell'avvento di un Messia,
prescelto da Yahweh, capace di fare strage dell'esercito pi potente del mondo.
Un continuo conflitto del "popolo eletto" da Dio contro l'Impero dominante: lotta che vide i
discendenti degli Asmonei affrontare, alla testa degli Zeloti, i legionari e gli ausiliari delle
coorti di Roma. Una triste epopea perfettamente compatibile con le vicende reali di quegli
anni, riferite, come abbiamo visto negli studi precedenti, soprattutto da Giuseppe Flavio e
Tacito, e confermate, pur con descrizioni ridotte, anche da Filone Alessandrino, Svetonio e
Cassio Dione.

Emilio Salsi
Ad iniziare dagli alti prelati, tutti gli esegeti del Vaticano temono il confronto sulla mitologia
cristiana con Emilio Salsi. Ecco il carteggio

Breve premessa

Chiunque si addentri nella ricerca storica, concernente le vicende degli uomini che
portarono all'ascesa della potenza di Roma antica sino al consolidamento di un impero
che dur mezzo millennio, consapevole che la narrazione di tali eventi ci stata
trascritta nel Medioevo in codici redatti da amanuensi cristiani all'interno di antiche
Abbazie attrezzate con apposite copisterie.
E' grazie a quegli antichi scrivani che oggi possiamo conoscere e conservare nella
memoria, le guerre, i nomi dei condottieri, o le vite private dei protagonisti pi famosi,
anche se lontani nel tempo.
Purtuttavia, sebbene i copisti si siano premurati di non disperdere la conoscenza di quelle
epoche remote, il fatto che non ci abbiano fatto pervenire alcun rotolo manoscritto o codice
originale stilato dai numerosi cronisti imperiali di uno Stato altamente organizzato e
strutturato come quello romano, un aspetto che ha indotto molti studiosi di letteratura
classica a dubitare che quei documenti siano stati distrutti volutamente dal Clero cristiano
per eliminare, con una censura mirata, prove che avrebbero inficiato l'attendibilit della
Chiesa primitiva e la sua "Tradizione" successiva.

Ciononostante, ogni ricercatore dell'era classica sa bene che le antiche vestigia e


i ritrovamenti archeologici, sempre in atto, continuano a confermare la veridicit
dei resoconti a noi fatti giungere dai copisti, i quali, comunque, risultano mutili nei brani
che trattano l'epoca del nascente cristianesimo del I secolo.
Roma non ci ha lasciato solo rovine dell'antico splendore, ma epigrafi, lamine bronzee
incise, dediche, storia scolpita nella pietra e nei monumenti. Solo per approfondire la
ricerca sul Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), disseminate nei musei di tutta Europa ed
oltre, esistono specialisti che vi dedicano una vita intera.
Il capolavoro di Cornelio Tacito, i cui calligrafi stilarono in trenta rotoli (ognuno dei quali
costituiva un libro), ci stato trasmesso grazie a due manoscritti mancanti di diversi libri: il
Codex Mediceus I (Laurentianus 68 prior) e il Codex Mediceus II (Laurentianus 68
secundus) trascritti, la prima volta secondo quanto ci consentito sapere, da una o pi
copie di archtipi mille anni dopo la morte del famoso storico.
Vincolato a ricercare testimonianze su Cristo e i prodigiosi apostoli, san Girolamo non si
limit a contare i rotoli di Tacitoin cui erano descritti minuziosamente gli avvenimenti del I
secolo ma, dopo averli letti, unica sua premura fu di tradurre i vangeli in latino alla fine del
IV secolo. Mentre i successori ecclesiastici di Girolamo non ebbero alcuna difficolt a
conservare integri i documenti neotestamentari, ci non avvenuto per le cronache
tacitiane; infatti, a controprovadella inadempienza degli scrivani cristiani censori dei
testi, oltre due secoli prima degli scritti di Tacito, gli Esseni iniziarono a stilare i rotoli
del Mar Morto giunti sino a noi senza alcuna cura conservativa.
Stessa sorte per l'intera opera di Giuseppe Flavio (la pi importante per i cristiani), da lui
scritta in aramaico e in greco, nella quale risulta carente la testimonianza del periodo
corrispondente all'era paleocristiana del I secolo narrato nei libri dal XVIII al XX di
"Antichit Giudaiche", ultimate sotto il regno di Domiziano, e a noi giunte in greco e in
latino.
Il pi antico testo greco, il "Codex Palatinus MS 14" (su pergamena) della Biblioteca
Vaticana, datato paleograficamente al X secolo e contenente, originariamente, i libri dall
XI al XX di "Antichit Giudaiche" pi "Bios" (Vita), "mancante", guarda il caso, di tre
libri: XVIII, XIX e XX, attinenti l'epoca di Ges e i suoi successori. N sapremo mai il
contenuto integro originale di questi tre libri; mentre fra i manoscritti in greco dell'Apparato
Critico usufruito da Benedikt Niese, tutt'oggi ritenuto valido, i Codici che riportano i libri
XVIII, XIX e XX, risalgono a un'epoca pi tarda. In particolare il XVIII, il periodo storico
corrispondente a quello di Ges, ha subito tagli talmente vistosi, dimostrabili con uno
studio specifico, sino al punto di creare un vuoto nella storia che, comunque, possibile
colmare in buona parte grazie alla ricerca comparata con lavori di altri autori quali, Filone
Alessandrino, Tacito, Svetonio e Cassio Dione.
Poich la conoscenza della terra di Cristo e le usanze giudaiche era fondamentale per i
Cristiani, la lettura di Giuseppe Flavio si rese indispensabile ai loro Capi sin dall'inizio,
pertanto la datazione del Codex Palatinus e la soppressione dei tre libri specifici un dato
di fatto che dimostra la volont della Chiesa di modificare successivamente i Codici prima
di renderli pubblici: un adempimento che si concretizzer solo dopo aver praticato
epurazioni e varianti inserite nei testi, seppur in maniera disomogenea ed in epoche
diverse. Ritroviamo libri dello storico ebreo con censure parziali nel periodo rinascimentale
quando colti umanisti, scelti appositamente da Vescovi, tradussero codici greci e li
pubblicarono in latino ma con informazioni divergenti.
La difformit che distingue i molteplici vangeli cristiani - apocrifi, gnostici o pseudo - dai
quattro canonici, non consiste solo nella raffigurazione della divinit del Salvatore ma,
soprattutto, nella copiosit di particolari storici, inseriti di proposito, viceversa totalmente
assenti negli altri.
Una possibilit che si materializz quando le autorit cristiane ebbero libero accesso agli
archivi di stato, nel IV secolo, grazie alla grande diffusione popolare della religione della
salvezza per la vita eterna, iniziatasi nel secolo precedente quando la crisi militare
dell'Impero fu interpretata dai sudditi come impotenza delle divinit capitoline a difendere
la gloria di Roma. Avvalendosi di contraffazioni della storia, lo scopo dei Capi
cristiani intendeva dimostrare all'umanit che il nuovo Salvatore universale era vissuto
realmente. La riprova di quanto affermato la ritroviamo nella datazione del "Codex
Vaticanus Graece 1209" redatto in prima stesura nel IV secolo, confermata sia dal Codex
Sinaiticus, anch'esso risalente al IV secolo, che dal Codex Bezae Cantabrigiensis,
posteriore di mezzo secolo.

Eppure gli espedienti non consentiranno ai creatori del nuovo mito di salvaguardarne per
sempre la veridicit. Modificare gli eventi storici o reinterpretarli, al fine di sviare i credenti
e gli studiosi dal corretto percorso della ricerca, si riveler molto pi difficile di quanto pot
sembrare ai falsari iniziali quando si limitarono ad una lettura superficiale delle vicende.
Infatti le stesse informazioni storiche, tramandate dai copisti, analizzate nel loro insieme
attraverso una lettura critica comparata di tutte le fonti, unitamente agli accertamenti
archeologici, ci hanno consentito di pervenire alla definitiva demolizione
del leggendario "Salvatore" universale.
Ovviamente, i primi ad essere consapevoli delle alterazioni della storia, riguardanti la
letteratura di tutta la "tradizione" cristiana, furono gli scrivani del Nuovo Testamento che si
avvicendarono nel corso dei secoli. La necessit da parte degli esegeti ecclesiastici di
intervenire e correggere gli errori evidenziati nella compilazione dei documenti
neotestamentari e patristici, commessi dagli amanuensi in epoche remote, un dato di
fatto che abbiamo riscontrato con le nostre analisi a partire dalla "Nativit" in poi.
I prelati dell'Alto Clero sanno, e hanno sempre saputo, che la narrazione
particolareggiata dei protagonisti evangelici e dei loro successori pura fantasia, creata
dai Padri ideatori del nuovo Credo allo scopo di godere dei benefici derivatidal potere
politico acquisito grazie alla popolarit congeniale alla promessa della risurrezione dopo la
morte.
Lo sapevano allora e lo sanno oggi, ma, da specialisti in cristologia comparata alla
storia, hanno capito che ormai anche noi possediamo le prove per dimostrare la verit e,
al contempo, manifestare ai loro fedeli che i biblisti della Chiesa sono sempre stati
consapevoli dell'inganno. Braccati dalla lucida imparziale Storia,
oggi gli esegeti ecclesiastici non possonopi permettersi di affrontare impunemente un
dibattito, incentrato sulla esistenza di Cristo e la "tradizione" apostolica patristica, durante
il quale venga accertata pubblicamente l'inesistenza dei mitologici eroi del cristianesimo
gesuita ... e le rispettive reliquie. Sanno che, una volta chiarito
"l'enigma Ges", l'inverosimile "processo a Ges" si trasformerebbe in un reale "processo
alla Chiesa"; quindi, piuttostosto che scendere dai pulpiti e affrontare un pubblico dibattito
sul Cristo storico, i "Ministri di Dio" del Vaticano preferirebbero andare a convertire
all'idolatria cristiana coloro che stanno morendo di fame nel Corno d'Africa: leggere per
accertarsi ...

Emilio Salsi

Nel novembre 2007, Giancarlo Tranfo ed io, due volonterosi biblisti quasi sconosciuti -
sapendo che "La storia siamo noi" di Rai Edu 2, per il periodo natalizio si apprestava a
mandare in onda su tutte le reti Rai, l'abituale maldestro programma "Inchiesta su Ges",
avviato nel 2004 - accogliendo l'invito manifestato ogni volta durante la trasmissione
dallo stesso conduttore, il "vaticanista" Andrea Tornielli, abbiamo inoltrato una precisa
richiesta di confronto pubblico. La nostra domanda venne ignorata e la ridicola
"inchiesta" stata regolarmente trasmessa.
L'anno successivo, nel novembre 2008, consapevoli che la TV di Stato era in procinto di
trasmettere dai soliti pulpititelevisivi la stessa grossolana "inchiesta", utile per
evangelizzare gli incompetenti, inviammo una seconda lettera r.r. ma ... questa volta,
avevamo entrambi pubblicato un saggio che trattava la materia specifica. Quindi non
potevamo essere pi ignorati. Ecco il testo.
Come anticipato nella missiva, il contenuto stato pubblicato ed alcuni lettori, estimatori
delle mie analisi sulla mancata storicit di Cristo, scrissero a loro volta e telefonarono
direttamente a Giovanni Minoli sollecitandolo per organizzare il confronto. Eppure,
malgrado ci, la Rai ha continuato a tacere ma ... con una iniziativa particolare e molto
significativa: il programma natalizio "Inchiesta su Ges" non stato trasmesso. E da allora
mai pi.
Inevitabilmente, la domanda che ci siamo posti, Giancarlo ed io, stata la seguente: dopo
aver ricevuto una lettera raccomandata - con la quale richiedevamo espressamente il
confronto televisivo con l'esegeta della Chiesa Gianfranco Ravasi e il signor Vittorio
Messori, entrambi famosi storici del Cristianesimo - il Direttore di Rai Edu 2 sent il dovere
di contattare e informare questi signori o decise autonomamente di non relazionarli? Prima
di rispondere al quesito necessario scorrere i successivi documenti.

Nel gennaio 2009, l'emittente televisiva ETV di Como, dopo essersi fatta carico delle
spese di viaggio e albergo, invit nel programma "30 Denari" il signor Luigi Cascioli, un
altro critico dell'esistenza di Cristo, a confrontarsi con il sacerdote esegeta della Chiesa
don Agostino Clerici. Il dibattito si concluso con la netta prevalenza, accompagnata con
buona dose di arroganza, del "Ministro di Dio", e la ripresa televisiva, diffusa anche su
Youtube, stata riprodotta dalla rete internet dei siti clericali e laici. Nei "forum" i credenti
si facevano beffe degli atei, alcuni dei quali, pur di non restare con "la coda fra le gambe",
reagivano scompostamente. Ma non passer molto tempo che il filmato sparir da tutti i
siti, quelli ecclesiastici in primis. In questo caso il movente che ha "consigliato" il Clero ad
un atto che potrebbe apparire autolesionista non si pone neanche, tanto facile capirlo ...
conoscendo il seguito.
Gli studi sulla effettiva esistenza del Messia Salvatore ebraico mi hanno obbligato a
notificare le risultanze e, al contempo, affrontare gli esegeti della Chiesa sull'unico terreno
possibile: quello storico. Per atteggiamento naturale, per educazione, per il severo stile di
una vita trascorsa in ambiente militare di professione, non mi sarei mai permesso di
criticare la religione del mio Stato se questo Credo non fosse entrato in contrasto,
falsandole, con le autentiche vicende che videro protagonisti i nostri lontani antenati.
Questo fu lo scopo che mi indusse ad approfondire le indagini sul messianismo giudaico, i
cui risultati sono riportati nel presente sito web.

Il 17 marzo 2009 inviai al professor Mauro Pesce, presso l'Universit di Bologna, la prima
analisi concernente l'inesistenza degli apostoli: due giorni dopo mi rispose in termini
lusinghieri ... ma su questo carteggio torneremo fra poco.
A fine giugno 2009 mi viene proposto dalla Redazione di Teletibur, la TV locale di Tivoli,
un confronto con il prelato esegeta don Silvio Barbaglia, autore di una contestazione delle
tesi di Luigi Cascioli pubblicata nel suo blog "La Nuova Regaldi", in quel di Novara, una
Associazione di giovani studenti e lavoratori, catechizzati a puntino dal capace "pastore di
pecorelle smarrite". Il 2 luglio ho comunicato la mia disponibilit ma, dieci giorni dopo, la
Redazione mi notificava la rinuncia del sacerdote: don Barbaglia aveva letto il libro e il sito,
dopodich ha ritenuto pi "igienico" evitare il confronto. Non solo, ha fatto "sparire" dal suo
blog anche la confutazione a Cascioli "La favola di Cascioli" adottando la strategia di
"affondare" il proprio studio nascondendolo nelle pi recondite pieghe del suo sito web. Il
prete esegeta non lo ha spiegato, anche se il motivo era (ed ) chiaro: se avesse lasciato
in bella vista "La favola di Cascioli" avrebbe dovuto eccepire ex novo "La favola di Emilio
Salsi". Studio fattibile anche adesso ma ... come farebbe poi ad evitare un confronto?

Il 20 marzo 2010, concordato dalla Redazione, presso l'emittente televisiva Teletibur in


Tivoli, avvenuto il primo confronto televisivo con il sacerdote Gianluigi Pasquale, Preside
dello Studio Teologico Laurentianum di Venezia, nonch Professore Incaricato presso la
Facolt di Sacra Teologia della Pontificia Universit Lateranense e presso lo Studium
Generale Marcianum di Venezia. Il dotto sacerdote, un autentico credente (so distinguere
il vero dal finto osservante), uscito sconvolto dopo circa due ore di comparazioni fra
vangeli e storia, senza sapere come venirne fuori. Essendo esperto di esegesi paolina,
verso la fine ha provato a giocare la carta "san Paolo": non l'avesse mai fatto! Ho colto la
palla al balzo ed ho invitato il sacerdote ad un successivo confronto sull'esistenza del
super apostolo. Il prelato ha pubblicamente accettato il dibattito da tenersi presso la stessa
emittente televisiva, concordato poi per il 3 giugno 2010 tramite mail personali dirette
reciproche, ma ... poco prima della data fissata, senza avvertirmi, ha
comunicato allaRedazione la sua impossibilit ad intervenire. Anche lui aveva letto la mia
analisi su Paolo di Tarso, stampata sul sito, ed ha concluso che era meglio desistere.
Trascorsi ancora un paio di mesi, il presentatore di Teletibur mi telefona per chiedermi di
togliere il filmato del confronto col sacerdote dal mio sito altrimenti lo avrebbero licenziato
in tronco. Ho subito chiamato Gianluigi Pasquale che mi ha confermato la esigenza di
togliere la trasmissione perch era a rischio anche la sua carriera. Era avvenuto che nel
forum di Yuotube i miscredenti prendevano in giro i praticanti e questi, frustrati, si sono
rivolti al Vescovo di Tivoli accusando di incapacit il sacerdote. Unica soluzione togliere la
ripresa televisiva anche dal mio sito per evitare che si facesse del male ad un sacerdote e
ad un giornalista.

Dopo dieci anni di studi a tempo pieno, ormai rassegnato all'idea che nessun esegeta
della Chiesa avrebbe avuto il coraggio di confrontarsi con me, ho realizzato che c'era
ancora un conto in sospeso: don Agostino Clerici. Come avrebbe potuto il combattivo
sacerdote sottrarsi al confronto televisivo quando non si fece alcuna remora di invitare
prima, per poi "strigliare", Luigi Cascioli alla ETV comasca in "30 Denari"? Questo "titolo",
riferito al compenso di "Giuda il Traditore", gi da solo aiuta a capire la tendenza della
emittente di Como: stiamo a vedere.
Ho ricevuto il riscontro postale sottoscritto personalmente da don Agostino Clerici come
quello firmato dal funzionario della emittente TV comasca ... e nient'altro: silenzio
assoluto. La coerenza fra il sacerdote e la ETV di Como, l'organo che dovrebbe
richiamarsi ad una informazione pubblica, impressionante. Una congiura del silenzio
basata su criteri di opportunismo reciproco, non importa se a discapito della cultura e della
conoscenza, diritto che appartiene e compete ad ogni singolo cittadino. Il
comportamento trasformista del prete svela la bassezza del suo carattere: aggressivo
quando sa di essere il pi forte, pavido quando sa di perdere; quindi, come in questo
caso, preferisce nascondersi nell'ombra ... con i media suoi complici.

Decido allora di rivolgermi al "top" dell'esegesi cattolica mondiale: il Cardinale Gianfranco


Ravasi.
Lettera di Ravasi
Il Grande Luminare del Vaticano ignora volutamente i precisi richiami alle testimonianze
storiche e archeologiche attinenti i protagonisti evangelici, quindi sceglie di defilarsi con
tergiversazioni banali "in chiave strettamente tecnica"ma ... commette una leggerezza
citando John Paul Meier. Non pu essere un caso dal momento che, fra i cattolici di tutto il
mondo, l'esegeta americano il pi vicino ai miei studi, pertanto Ravasi li ha
letti. Convengo di metterlo con le spalle al muro: se l'Eminente Prelato del Vaticano
impegnato, allora faccia lui il nome di colui che, fra i numerosi "Ministri di Dio" attivi nei
"Centri di Studi Biblici", sia disposto a confrontarsi pubblicamente con me sul Cristo
storico.
Risposta a Ravasi
Come era prevedibile, il "principe" degli esegeti del Vaticano si sottratto al dibattimento
pubblico sulla concreta esistenza dei protagonisti teologali dei vangeli canonici, ben
sapendo, lui prima di noi tutti, che non sono esititi, glissando al contempo la richiesta di
confronto con qualsuasi esegeta dei Centri di Studi Biblici. Identica motivazione che lo
ha persuaso ad evitarmi, sin dal novembre 2008, dopo che il Direttore di Rai Edu 2 aveva
informato, sia lui che Messori (Minoli era obbligato: una lettera r.r. li chiamava in causa
personalmente e non avrebbe potuto nasconderla agli interessati), dell'accoglimento da
parte mia e di Giancarlo dell'invito pubblico manifestato da Rai Edu 2. Quel programma
stato tolto definitivamente dal palinsesto Rai per una ragione semplicissima: se Minoli lo
avesse pubblicato avrebbedovuto "tagliare" l'invito-sfida agli ascoltatori per non correre pi
il rischio che altri si facessero avanti (Tranfo ed io prima di altri). Ma, una volta censurato
l'invito, l'inchiesta su Ges, gi debole di suo, avrebbe sollevato ancor pi dubbi sulla
capacit di fare "apostolato" perch in molti avrebbero notato la assenza della plateale
sfida.

Ma torniamo al presente.

Papa Benedetto XVI, oltre a volere "il Cortile dei Gentili per aprire un dialogo col fratello
ateo", ha preso un'altra importante iniziativa per tentare di rianimare l'ormai esanime
processo di evangelizzazione di una umanit troppo indifferente alla sacralit spirituale,
bens distratta da discoteche, sesso e calcio: la XIII Assemblea Generale del Sinodo dei
Vescovi.
Il Grande Coordinatore, su cui grava la storica responsabilit della riuscita della Missione
ispirata da Dio il Presidente del "Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova
Evangelizzazione": l'Arcivescovo Rino Fisichella.
In effetti, il problema concernente la attendibilit dei vangeli lo investe addirittura in prima
persona. Provo a sottoporlo direttamente all'Alto Prelato del Vaticano.
lettera di Fisichella
L'autorevole Arcivescovo, oberato dagli impegni, si preso una "dilazione" che arriva a
tutto il 2013 "Anno della Fede". In fin dei conti c'era da aspettarselo ... ma non finita qui:
sta per partire un'altra r.r.
No! Non al Papa. Non cambierebbe il fine e la sostanza degli strateghi in abito talare.
Provo con uno studioso in abito civile che, in teoria, dovrebbe affrontare la tematica del
Cristo storico con un metodo esclusivamente scientifico,adempiendo al compito
istituzionale di cui investito.
Trascorso ormai un mese senza risposta, pubblico la lettera per evidenziare un altro
squallido forfait: sebbene l'invito sia stato manifestato esclusivamente "sulle risultanze
accertate", il docente di "Storia del Cristianesimo", Mauro Pesce, si sottrae al pubblico
confronto attinente la veridicit di Cristo, Madonna, Apostoli, Vescovi, Padri e l'intera
struttura ecclesiastica primitiva. Inoltre, fatto ancor pi grave, il biblista viene meno al
dovere istituzionale di approfondire la ricerca critica, indispensabile ad accertare gli
eventi narrati nei documenti neotestamentari, laddove gli scribi cristiani hanno descritto
i protagonisti evangelici ed i loro Padri successori facendoli interagire con famosi
personaggi, realmente esistiti nell'Impero Romano, allo scopo di rendere veritiere vicende
inventate di sana pianta.
Il contrasto insanabile fra queste narrazioni e la realt ormai pi che provato dalla
storiologia, la scienza che si avvale della lettura storiografica supportata dalla archeologia:
la lineare e imparziale Storia ci ha trasmesso tutti i dati utili a smentire le "verit"
evangeliche. Ne consegue che gli esiti devono essere ufficializzati dalla struttura di ricerca
pubblica, implementati attraverso l'informatica e resi disponibili per qualsiasi studioso
interessato alla tematica specifica.
Chi impedisce questo processo commette un reato contro la conoscenza e la storia. Se
Mauro Pesce ha delle ragioni per non adempiere a questo dovere tenuto ad esporle nel
confronto pubblico diretto assumendosi la responsbilit delle proprie conclusioni cos
come faccio io attraverso i miei studi.

Ma, dal momento che non un prete, perch uno storico, docente di Cristianesimo e
biblista, decide di celare dati storici talmente significativi che lui stesso aveva riscontrato e
sottoscritto come esatti per poi sollevare remore nell'ammettere che ormai comprovata
definitivamente l'inesistenza di Ges, Madonna, Apostoli, Vescovi e Padri della fantasiosa
Chiesa cristiana primitiva? Esiste solo una risposta: consapevole che le prove scoperte
non sono frutto del suo ingegno. Sa che dopo lunghi anni dedicati allo studio sulle origini
del cristianesimo non stato capace di attingere alcun dato storico significativo dalle fonti
dirette per poi compararlo alle risultanze archeologiche e trarne le ovvie conclusioni.
Non solo, ma ha anche firmato la sua incapacit con le proprie mani dal momento che ha
scritto libri sul tema specifico senza mai affrontare il nocciolo fondamentale della effettiva
esistenza delle divinit cristiane. Dando tutto per scontato si soffermato sugli aspetti
antropologici della religione aggiungendo interpretazioni o ipotesi personali, il tutto
riportato in libri che chiunque, dopo averli letti, si ritrovato al punto di partenza.

Non si pu accettare che un docente di "Storia del Cristianesimo", oggi, si limiti ad


esternare un semplice e riduttivo "non credo", dopo essersi dilungato per anni con inutili
ipotesi su ci che avrebbe detto o fatto Ges, evitando accuratamente di esibire le prove
che dimostrano "perch" non crede (se non crede); quando, per contro, gli ecclesiastici
di Stato ed i loro studiosi adepti, opportunamente selezionati, proclamano a gran voce
nelle aule scolastiche e nelle TV nazionali le verit storiche delle loro
divinit avvalendosi di pseudo ricerche manifestamente errate, che devono essere
dununciate come tali con prove schiaccianti dall'Avvento alla Resurrezione. Per di pi la
mitologia evangelica e patristica cristiana si spinge sino a ridicolizzare gli autentici
protagonisti della Roma imperiale, offendendone la memoria, senza che nessuno osi
criticare tali assurdit.

Invito tutti i lettori, in particolare gli anziani, a ricordare se nel corso della loro esistenza
hanno assistito ad un pubblico dibattito sulle reti televisive nazionali durante il quale un
critico biblista abbia aperto i vangeli e i testi patristici, comparandoli a quelli di storia, per
evidenziare la impossibilit dei fatti descritti da narrazioni spacciate come "dettate da Dio".
Non mai accaduto n mai avverr finch gli uomini
che ci governano continueranno a legarsi al potere confessionale coniugando gli interessi
di Casta e Clero finalizzati a conservare i rispettivi privilegi.
"La Storia siamo noi" di Rai Edu 2, diretta dal dott. Giovanni Minoli, per quattro anni stato
il pulpito di eccellenza adempiendo alla "missione apostolica" con il programma "Inchiesta
su Ges". Alla pari lo showman Roberto Giacobbo continua (ci prova) a prodigarsi nella
sua opera di catechizzazione dei dittadini con l'intento di rimediare la perdita di credibilit
della Chiesa a causa della artefatta Sindone di Torino e del "Sagrado Rostro" (Volto Santo
di Oviedo), o della Nazareth di Ges, facendo attenzione a montare le sue
"inchieste" evitando di sollecitare confronti aperti in direttafra studiosi contrapposti e
"dimenticando" sempre di informare gli ascoltatori che le reliquie di Cristo, sottoposte al
responso del radiocarbonio C14, compresa la Tunica di Argenteuille in Francia, sono tre:
tutte risultate false.

Altri esempi. La recente "ricostruzione" di un immaginoso "Quo Vadis", condotta dallo


"studioso di cristianesimo primitivo" Alberto Angela (molto compiaciuto della "scoperta") in
"Ulisse" di Rai 3, la cui trama si svolge nella Roma imperiale,durante
il principato di Nerone, entro catacombe romane inesistenti sino al
III secolo ... esattamente come non esistevano i cristiani gesuiti che non avrebbero mai
potuto frequentarle. Infatti gli "Atti degli Apostoli" non ne parlano, ad iniziare
dall'immaginario san Pietro al quale il talk man fa addirittura "tenere Messa", fra loculi
ricettacoli di cadaveri inumati, entro ambulacri sotterranei che inizieranno ad essere
costruiti fuori dall'Urbe quasi un secolo e mezzo dopo.Nonch la antecedente cronaca
dell'incendio di Roma del 64 d.C. descritta dal padre di Alberto, lo "scienziato" Piero
Angela che dipinge il solito martirizzatore di fantasiosi cristiani gesuiti, Nerone -
appena dopo aver riedificato (in due o tre mesi) una metropoli di un milione di
abitanti quasi interamente distrutta - senza chiedersi come sia stato possibile dal momento
che nessun Apostolo, Vescovo, Papa, Padre apologista o qualsivoglia presunto
successore di Cristo sapesse nulla della vicenda riguardante i propri mrtiri. Soprattutto
facendo molta attenzione, il pedissequo Piero, a non riferire ai telespettatori che il pi
antico documento riportante l'episodio accreditato a Tacito risale a mille anni dopo la
morte dello storico e si tratta di una copia trascritta proveniente da una Abbazia
ma, nonostante l'importanza e la gravit dell'evento narrato, la Chiesa lo render
pubblico solo qualche secolo dopo, in pieno Rinascimento ... senza aver mai riconosciuto
quei mrtiri.

Il "comune denominatore" della strategia che accomuna tali pseudo inchieste di una
gravit impressionante: manca sempre la voce contraria. L'informazione che passa
univoca, di conseguenza diventa "verit". Tutti i conduttori delle reti televisive a diffusione
nazionale affrontano la tematica della religione del nostro Stato col fine di salvaguardare la
"vita eterna" delle proprie carriere, possibilmente fino alla "quinta et". Lo stesso vale per i
giornalisti in auge della stampa quotidiana e periodica, tanto meglio se dichiaratamente
atei: la loro "testimonianza" (intenzionale), in questi casi, acquista ancor pi valore
probatorio ... e il posto di lavoro iper compensato garantito vita natural durante.
Viviamo in un sitema politico che si presta, e continua, ad indottrinare smaccatamente il
popolo ad una religione di Stato fondata su miti ormai accertati essere falsi. Iniziando dalle
Scuole e avvalendosi di un metodo didattico acritico, coerente con quello informatico
ufficiale, la Casta politica ha volutamente creato uno strumento utile per il lavaggio del
cervello di buona parte dei futuri cittadini. Una popolazione, quest'ultima, sottomessa al
mantenimento di una struttura clericale elefantiaca il cui esorbitante onere, oltre i credenti,
grava forzatamente anche sulla massa degli atei, agnostici e razionalisti, niente affatto
consenzienti ma consapevoli di essere defraudati anche delle basilari libert di scelta
individuale e intime personali, come nel caso della autentica eutanasia (la dolce morte:
che non ha niente a che vedere con lo "staccare la spina") quando viene richiesta da chi,
giunto all'estremo insopportabile dolore, chiede gli venga risparmiato un lungo e
straziante tormento finale. Una piet che non ho avuto problemi legali a praticare in favore
di un fidato, amato e compianto amico di famiglia: il nostro cane.
Genuflessi a una volont dogmatica, imposta dai clericali che si arrogano il diritto di
interpretare il "dettato" di una divinit inventata dai loro stessi predecessori, i politici hanno
emanato leggi con il potere di rovinare l'esistenza di quei medici e cittadini, compresi i
credenti, i quali, mossi da una coscienza compassionevole, decidono di aiutare coloro che
scelgono di porre termine alla propria esistenza ormai ridotta a straziante sofferenza,
umiliante fisicamente per il succube e angosciosa per i famigliari ... senza alternativa di
sorta se non una tormentosa e prolungata agonia.

La censura il modus operandi del professore Mauro Pesce, titolare della cattedra
di Storia del Cristianesimo

Il 30 marzo 2013 il dottor Ferruccio Rondinella interviene nel forum di "facebook" e, con
l'intento di approfondire un commento anti Sindone pubblicato dal professor Mauro Pesce,
gli scrive:

"Professore io ammiro molto l'alto valore morale dei suoi posts, ma, mi permetta, da un
punto di vista storico non ci siamo.
Non ci fu nessun lenzuolo perch non ci fu nessuna sepoltura: a un capo ribelle,
proclamatosi messia, di ideologia zelota, mai e poi mai sarebbe stata concessa la
sepoltura col rischio che quel sepolcro diventasse luogo di aggregazione di seguaci
irriducibili.
La storia dei "volti sacri di Ges" tardiva e l'analizza bene Emilio Salsi qui"

http://www.vangeliestoria.eu/approfondimento.asp?ID=19

La risposta di Pesce immediata:

"Mi permetta Rondinella, non condivido nulla di queste affermazioni che sono del tutto
marginali nella critica internazionale. Mi scusi il mio mestiere."

Il 31 marzo il dottor Rondinella obietta a sua volta:

"Egregio Professor Pesce, mi scusi se replico alla sua risposta e per questo breve off
topic, ma tengo a precisare che da molti anni seguo con estremo interesse le passate
vicende che originarono il mito di Ges Cristo, avvalendomi di ricerche su testi e sul web.
Pur non essendo il mio mestiere (sono medico), credo di conoscere i criteri di base della
ricerca storiologica come conosco i criteri della ricerca in campo clinico.
Ho letto svariati libri di autori che hanno affrontato questa tematica e credo di essere in
grado di valutarne la reale efficacia, pertanto, dopo averne apprezzato la capacit di
affrontare le specifiche analisi storiche, ho ritenuto mio dovere segnalare alla sua
attenzione (oltre che a quella degli altri iscritti al gruppo) gli studi che Emilio Salsi ha
pubblicato sul suo sito web, consapevole di rivolgermi ad un Professore di Storia del
Cristianesimo.
Peraltro ho preso visione della lettera che il Salsi le ha inviato con la proposta di un
confronto pubblico basato su dati di fatto accertati; invito, pubblicato sul suo sito, in cui
afferma di averle gi sottoposto la prima analisi sulla inesistenza degli apostoli, studio al
quale, da quanto leggo, lei personalmente ha risposto complimentandosi con lui.
Poich lo studioso procede nella ricerca attraverso la comparazione diretta delle fonti
storiche con gli eventi narrati nei documenti neotestamentari e patristici, evidenziando le
contraddizioni che sconfessano i testi sacri, considero elusivo il suo atteggiamento di non
voler entrare mai nel merito delle ricerche del Salsi con precise confutazioni su argomenti
che sono di dominio pubblico e nel contempo di stretta pertinenza al compito istituzionale
di cui investito: la Storia del Cristianesimo.
Nel confermarle che leggo sempre con vivo interesse e apprezzamento i suoi interventi,
colgo l'occasione per farle i miei pi sinceri auguri di Buona Pasqua."

Prendiamo atto del preciso richiamo al dovere, inerente al compito istituzionale spettante
al docente, di entrare nel merito della ricerca storica sulle origini del Cristianesimo tramite
confutazioni esatte di analisi precise che si avvalgono della comparazione tra le
fonti tramandate dai cronisti della Roma imperiale e le fonti perpetuate dalla
documentazione neotestamentaria e patristica ... ma il professor Pesce cosa
fa? Censura la lettera del dottor Rondinella evitando di rendere
pubbliche argomentazioni pro o contro studi dettagliati, ben sapendo di poter incappare
in facili svarioni storici che Emilio Salsi non farebbe certamente passare sotto silenzio.
Il Cristo storico

Per Cristo storico si intende la intricata


disputa fra teologi, esegeti, archeologi, studiosi
laici e credenti, che dura ormai da oltre un
secolo, sulla effettiva esistenza del
personaggio di Ges Cristo. In altre parole,
molti nel corso del tempo si sono domandati, e
continuano a domandarsi, ma Ges esistito
davvero, o soltanto una bella fantasia?
Diciamo subito che non vi sono prove assolute
n in un senso n nellaltro. Vi per una
sufficiente quantit di riscontri documentali
fra cui primeggiano ovviamente i Vangeli per
affermare almeno che un certo predicatore di
nome Joshua abbia calcato il suolo della
Palestina in quel periodo storico. Il vero
problema, casomai, stabilire quali episodi a
lui attribuiti siano veri e quali eventualmente
no. Nel cercare di ricomporre questo
complicato puzzle, infatti, subentrano
continuamente possibilit di una lettura
allegorica, che spesso sdoppiano il personaggio di Ges in una versione prettamente
umana, ed un suo possibile duplicato simbolico, con valenze anche divine.
In altre parole, il Ges che predicava alle genti nelle piazze lo stesso Ges che faceva i
miracoli e camminava sullacqua? O forse quello miracoloso uno strato aggiuntivo,
sovrapposto alla figura del normale predicatore per aumentarne la credibilit presso i suoi
contemporanei? Oppure ancora, i miracoli erano veri miracoli nel senso che
trasgredivano le leggi della natura o erano solo rappresentazioni metaforiche di banali
eventi quotidiani? (Ad esempio, nella comunit degli Esseni il sacerdote che praticava i
battesimi raggiungeva il centro della pozza dacqua camminando su una sottile plancia di
legno, e visto da lontano sembrava che camminasse sullacqua. Era infatti definito,
allinterno della comunit, colui che cammina sullacqua. Se Cristo fosse stato come
molti sostengono un sacerdote esseno, faceva dei veri miracoli, o era semplicemente
uno a cui non piaceva bagnarsi i piedi?)
Ma il vero problema, che rende difficile una qualunque ricostruzione storica, sta nel fatto
che la stessa fonte dei Vangeli sia inaffidabile per sua natura. Contrariamente a quanto
molti credono, infatti, i Vangeli degli apostoli non furono scritti direttamente da Marco,
Matteo Luca e Giovanni, . ma dai loro discepoli, o dai discepoli dei loro discepoli, una
cinquantina di anni pi tardi. Al tempo di Ges prevaleva ancora la tradizione orale, e
soltanto sul finire del primo secolo si inizi a sentire lesigenza di mettere anche il tutto
nero su bianco. E come ben sa chiunque abbia giocato a passaparola, una frase come
ho perso il sonno fa molto in fretta a diventare morto il nonno.
Ecco perch, in questo caso, assumono grande importanza i riscontri incrociati. Se il
Vangelo A descrive un certo episodio, e lo stesso episodio si ritrova anche nel Vangelo
B, si moltiplicano di colpo le possibilit che lepisodio sia accaduto davvero. Secondo la
tradizione, infatti, i discepoli si sarebbero dispersi dopo la morte di Ges, dando vita a
rivoli separati di tradizione orale, che hanno viaggiato in modo indipendente fino al
momento di venir fissati sulla carta. Per quanto preziosi, per, i riscontri incrociati
rappresentano anche unarma a doppio taglio: chi ci dice infatti che un certo passaggio del
Vangelo A, invece di riportare la tradizione orale da cui deriva, non sia stato
semplicemente copiato dal Vangelo B? Poich nessuno conosce il momento esatto di
pubblicazione di ciascun Vangelo, infatti, possibile che certe comunit cristiane abbiano
attinto da altri testi evangelici, gi in circolazione al momento di scrivere il proprio.
E lo stesso problema descritto da Walter Benjamin, duemila anni dopo, nel suo libro
Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, ed un problema che ormai
tutti viviamo quotidianamente in Internet. Vi sono intere parti del Vangelo di Luca, ad
esempio, che sono chiaramente tratte dal Vangelo di Marco (certi passaggi sono
letteralmente copiati, parola per parola). La stessa cosa avviene per Matteo, di cui quasi la
met del testo chiaramente tratta da Marco. Il Vangelo di Marco quindi viene collocato
prima, in ordine di tempo, di quelli di Luca e Matteo. A loro volta, per, Luca e Matteo
hanno molte parti in comune che non compaiono in Marco, portando ad ipotizzare
lesistenza di un quinto Vangelo, detto Q, che sarebbe stato contemporaneo di Marco.
(Q sta per quelle, che in tedesco significa la fonte).
C poi il Vangelo di Giovanni, fra i cosiddetti canonici, che presenta una lettura molto
diversa dai tre precedenti della vicenda di Ges. I primi tre infatti sono detti anche
sinottici, che significa letteralmente che la vedono allo stesso modo, implicando che
Giovanni la vede invece in modo diverso. Ma la tombola delle possibilit non si esaurisce
certo con lidentificazione storica delle diverse fonti evangeliche. Fra queste e i Vangeli
giunti fino a noi, infatti, ci sono quasi 300 anni di dispute feroci fra i cosiddetti Padri della
Chiesa, cio i vescovi e i sacerdoti di tutte le pi importanti comunit cristiane dellepoca,
su molte questioni di fondamentale importanza storica e teologica.
La pi nota di tutte fu la diatriba sulla reale natura di Ges, fra chi sosteneva che fosse
una entit separata da quella divina, che da questa discendeva, e chi invece diceva che
fosse costituito dalla stessa sostanza del Creatore. Vinsero i secondi, che
scomunicarono il vescovo Ario, sostenitore dlla prima ipotesi. Naturalmente, nellambito di
queste dispute interminabili, i testi sacri passavano continuamente di mano in mano,
creando infinite possibilit per la scomparsa di certi passaggi scomodi, come per la
comparsa delle cosiddette interpolazioni. Alcuni scambi epistolari fra i vescovi dellepoca,
ad esempio, suggeriscono che Ges predicasse la reincarnazione, caratteristica
dellesistenza umana che sarebbe del tutto scomparsa nella versione finale del
cristianesimo, poich in contraddizione con la visione escatologica della vita, di
fondamentale importanza per chi avrebbe imperniato tutto il suo potere sulla paura
dellinferno.
(Si campa una volta sola, ci dice il cristianesimo, e chi sbaglia perduto per sempre. Se
invece ci fosse stata la possibilit di ritornare, e di rimediare agli errori commessi nelle vite
precedenti, i preti rischiavano di venire accolti da una selva di pernacchie ogni volta che
nominassero linferno. Via quindi la reincarnazione, e avanti con il Diavolo, il tridente e il
Giudizio Individuale).
A loro volta, sul fronte delle interpolazioni ci sono diversi passaggi che lasciano
decisamente in dubbio gli studiosi, in quanto sembrano inseriti apposta per rimediare a
vistosi buchi narrativi, che a loro volta testimoniano della grande confusione che dovesse
regnare fra i Padri della Chiesa in quel periodo. Vi sono alcuni casi in cui stato addirittura
possibile dimostrare che un certo passaggio sia platealmente falso, cio aggiunto in
seguito alla stesura originale. In una certa lettera di S.Paolo, ad esempio, lapostolo
utilizza una espressione verbale che sarebbe entrata in uso solo una cinquantina di anni
dopo, dimostrando che il passaggio stato aggiunto in seguito, da qualche scriba poco
attento allevoluzione del linguaggio.
E come se in un film degli anni 50 Alberto Sordi si mettesse improvvisamente a gridare
viuleeenza!, quando tutti sanno che quellespressione stata coniata negli anni 80 da
Diego Abatantuono. In quel caso sarebbe chiaro che la scena falsa, e che stata
aggiunta in seguito, ovvero interpolata fra quella che la precede e quella che la segue. In
ogni caso, fu solo nel 325 che i Padri della Chiesa consegnarono nelle mani di Costantino
la versione ufficiale del cristianesimo come lo conosciamo oggi. Era costituita da 36 libri
della Bibbia ebraica (Antico Testamento) con laggiunta del Nuovo Testamento, che
contiene i 4 Vangeli canonici (Marco, Matteo, Luca e Giovanni), gli Atti degli Apostoli, le
Epistole e l Apocalisse di Giovanni (il noto testo profetico in cui compaiono anche la
bestia, la grande prostituta e il numero 666).
Va notato che Paolo viene considerato uno degli apostoli, per quanto non abbia mai
incontrato Ges nella sua vita. Solo dopo la sua morte si sarebbe convertito al
cristianesimo (sulla via di Damasco), del quale propose una interpretazione per i gentili
che avrebbe condizionato pi di ogni altro apostolo la futura dottrina cristiana. Ma i
problemi di discordia non finirono certo con la definizione dei Vangeli canonici: a furia di
cambiare, di aggiungere, di tagliare e di interpolare, i Padri della Chiesa non si sono
nemmeno accorti che questi quattro Vangeli finiscono spesso per contraddirsi fra di loro.
Se prendiamo ad esempio la scena della crocefissione, abbiamo addirittura tre versioni
diverse sulle ultime parole di Ges:
MARCO: Ges grid con voce forte: Elo, Elo, lem sabactni?, che significa: Dio mio,
Dio mio, perch mi hai abbandonato? Ma Ges, dando un forte grido, spir.
LUCA: Ges, gridando a gran voce, disse: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Detto questo spir.
GIOVANNI: Ges disse: Tutto compiuto!. E, chinato il capo, spir.
Secondo Matteo, Luca e Giovanni a Ges fu dato aceto da bere, imbevuto in una spugna.
Secondo Marco invece era vino con mirra.
Per Marco la prima a visitare il sepolcro, la domenica mattina, fu Maria Maddalena,
insieme allaltra Maria. Secondo Marco cera anche Salom. Secondo Luca cerano
Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo, e altre donne. Secondo Giovanni
Maria Maddalena era sola.
Marco racconta che allalba della domenica le donne trovarono il sepolcro sigillato dalla
grande pietra. Matteo, Luca e Giovanni dicono invece che la pietra era gi stata rimossa.
Eccetera eccetera eccetera
Non si tratta certo di contraddizioni gravi, poich non intaccano la coerenza complessiva
del racconto, ma testimoniano del percorso particolarmente accidentato che debbono
aver fatto queste narrative prima di finire una volta per tutte sulla pagina scritta. E finora
abbiamo parlato solo di quelli canonici, cio dei Vangeli ufficiali che i Padri della Chiesa
hanno scelto di inserire nel Nuovo Testamento. Ma esiste tutta una serie di Vangeli, detti
apocrifi, che sono rimasti esclusi dalla selezione, e che raccontano spesso una storia
molto diversa.
Va notato che apocrifo non significa falso, come molti credono, ma nascosto. Il
termine deriva dal greco ap-kryptomai, dove ap significa sotto, e kryptomai significa
nascondere. (Da cui il termine cripta, che un locale sotterraneo della chiesa, quasi
sempre nascosto al pubblico). Pare infatti che alcuni preti, meno ubbidienti di altri,
tenessero questi documenti ben nascosti sotto laltare, per evitare persecuzioni da parte
delle autorit ecclesiastiche, che ne proibivano la circolazione. Solo con il tempo, a furia di
dichiarare questi Vangeli falsi, il termine apocrifo venuto ad assumere quel significato.
Gli apocrifi offrono quindi agli studiosi una serie ulteriore di riscontri incrociati,
nella loro faticosa ricerca del Cristo storico.
Se si prende ad esempio il Vangelo di Tommaso, ritrovato in Egitto nel 1947, e lo si
confronta con i canonici, risulta che circa la met degli episodi descritti nel primo (una
cinquantina circa) compaiono anche nei secondi. E poich il Vangelo di Tommaso, che
risale circa al 200 d.C., ci giunto praticamente intatto, grazie allotre che lo ha protetto
per 18 secoli, avremmo di fronte unulteriore conferma della probabile veridicit di almeno
una parte degli episodi attribuiti a Ges. Ce ne sono per almeno altrettanti che non
trovano corrispondenza nei canonici, e questo ha gettato nel pi totale scompiglio molti
studiosi, aprendo le porte ad una serie di possibilit praticamente infinita sulla reale
esistenza di Ges.
Paradossalmente, i dubbi non si dissolvono nemmeno con la sua morte, ma continuano
anche dopo. Vi sono infatti diversi elementi che suggeriscono che Ges non sia affatto
morto sulla croce, ma sia stato salvato in extremis dai suoi discepoli, e portato via di
nascosto durante la notte. Quando il costato di Ges viene trafitto dalla lancia, ad
esempio, esce del sangue. Questo significa che Ges, nonostante le apparenze, fosse
ancora vivo. (Da un cadavere trafitto non esce pi sangue, perch viene a mancare la
pressione arteriosa).
Sul finire della giornata entra in scena un curioso personaggio, Giuseppe da Arimatea, che
chiede ed ottiene da Pilato il permesso di portarsi via il corpo di Ges. Chi era, da dove
veniva, e perch mai i discepoli ed i familiari di Ges glielo avrebbero concesso cos
facilmente? Quando giunge al Calvario questo Giuseppe porta con s 30 o 40 chili di
unguento di aloe, con i quali ricopre il corpo di Ges prima di seppellirlo. Ma laloe anche
un potente disinfettante, che in quel tempo veniva usato proprio per curare le ferite. Tutta
la faccenda della pietra smossa, inoltre, sembra indicare pi una fuga terrena, praticata in
fretta e furia dai discepoli che si portavano via Ges, che non un risorgere di tipo divino.
Anche le bende lasciate allinterno del sepolcro vuoto sembrano testimoniare di una
rinascita molto frettolosa e terrena.
Per quanto noi siamo abituati a pensare che Ges sia andato direttamente in Paradiso,
infatti, va ricordato che i Vangeli ci parlano di un semplice risorgere, inteso come
rialzarsi.
E risorto, non qui dicono i personaggi trovati dalle donne di fronte al sepolcro Ecco
il luogo dove lavevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi
precede in Galilea. L lo vedrete, come vi ha detto.
Ed infatti Ges apparir pi volte ai discepoli, nei giorni seguenti, in situazioni del tutto
terrene, mentre l ascensione vera e propria avviene, sempre secondo i Vangeli, solo
40 giorni dopo.
Nel libro Jung e i Vangeli perduti lo storico Stephan Hoeller ha raccolto tutti gli elementi, i
dati storici e i reperti archeologici che sembrano supportare la tesi che Ges sia
effettivamente morto in India, una ventina di anni pi tardi. Dopo essere sopravvissuto alla
crocefissione, sostiene Hoeller (insieme ad altri storici), Ges avrebbe predicato per un
certo periodo lungo le coste della Turchia, prima di intraprendere un lungo viaggio, in
compagnia della madre, che lo avrebbe portato prima in Persia, e poi fino alle pendici
dellHimalaya.
Altri storici hanno trovato tracce di una prolungata permanenza di Ges in Medio Oriente,
dove avrebbe continuato a predicare fino al giorno della sua morte.
Vi sono poi ipotesi di tipo esoterico peraltro meno supportate storicamente che
sostengono che Ges sia invece giunto in Francia, dove avrebbe dato origine alla stirpe
reale dei Merovingi, a cui molti attribuiscono qualit divine.
In ogni caso, quello che conta davvero la vicenda del Cristo che tutti bene o male
abbiamo assorbito nel corso della nostra vita, e che fa ormai parte integrante della nostra
cultura. In altre parole, qualunque siano stati gli eventi realmente vissuti da Ges, quel che
conta il cristianesimo come giunto fino a noi, e come ha condizionato nel frattempo
nel bene e nel male lintero percorso della storia umana. E forse persino un bene che
sia impossibile fare chiarezza assoluta sulla vicenda reale di Ges, lasciando cos a
ciascuno quel margine di interpretazione che giusto lasciare ad un evento di tale portata
storica e di tale valenza spirituale come il suo passaggio sulla terra.
Massimo Mazzucco

Rudolf Steiner
Il Vangelo di Giovanni e Sinottici
Il prof. Allegro, tra i pi discussi ed intriganti studiosi che ebbe il rarissimo privilegio di
poter analizzare per primo i famosi rotoli qumramiani, sosteneva che tra quei testi vi
fossero anche le radici del Padre Nostro: lunica singolarissima preghiera lasciataci da
Ges. Abbiamo gi avuto occasione di dimostrare che le tesi che Allegro sosteneva
relazionando lessenismo al cristianeismo erano pi che fondate. Quelle stesse tesi gli
procurarono la messa al bando e la ridicolizzazione nel mondo accademico sicuramente
influendo profondamente nel suo stato psicofisico e portandolo alla precoce scoparsa negli
anni 80.
Siamo lieti, oggi, di tributare un ulteriore omaggio a questo coraggioso eroe delle moderne
persecuzioni accademiche, ancora oggi infangato in maniera indegna anche in rete da siti,
quarda caso tenuti da accademici. Quanto Allegro sosteneva in relazione al Padre Nostro
ed alle sue radici nella liturgia qumramiana rispondeva a vero e lo dimostreremo con il
presente articolo. Nella analisi adopereremo il testo che, in Italia e nel mondo, ha
consentito al grande pubblico, di conoscere dopo un decennio dalla scoparsa e dopo
quasi 50 anni dalla scoperta dei manoscritti, il corpus completo della liturgia essena:
F.Martinez I Testi di Qumran 1996 rist. 2002 ed. PIDEIA (per lItalia) La dimostrazione
passa attraverso una comparazione, passo passo, del Padre nostro con le preghiere
estratte dalla liturgia qumramiana.
Il numero esiguo di questi specifici testi liturgici ritrovati a Qumran amplifica la loro
valenza, facendoci intuire, che la letteratura liturgica essena conteneva in se
lessenza del pensiero e della teologia che ispir Ges nel redigere la famosa
preghiera.
Ges: Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome
Abbiamo invocato il tuo nome e ci hai creato per la tua gloria e come figli tuoi ci hai posti
agli occhi di tutte le nazioni: hai chiamato Israele <<mio primogenito>> e ci hai corretti
come un padre suo figlio. 4Q504 Col IIIver. 4-7 datazione paleografica II sec. a.c.
Basterebbe questo brano a far accattonare la pelle.
Il rapporto di figliolanza esplicito e ribadito pi volte nel testo, associato alla invocazione
del nome ed alla primogenitura del popolo di Israele paragonata alla primogenitura di
Ges emblematico. Nessun brano biblico riporta in forma cos inequivocabile e diretta
questi contenuti, ma soprattutto nessun brano veterotestamentario relaziona la
invocazione del nome al rapporto di figliolanza tra il Popolo di Israele e Dio come quello
che abbiamo di fronte. Il brano, per essere compreso in tutta la sua dirompente novit
teologica, va rapportato a in 4Q174
<<Jahweh ti ha annunziato che ti edificher una casa: io susciter la tua discendenza
dopo di te e render stabile il trono del suo regno in eterno. Per lui sar come un padre ed
egli sar mio figlio>>.Questo il rampollo di David che si elever come interprete della
legge, che sorger in Sion alla fine dei giorni, come st scritto:<<E susciter la tenda di
David che caduta>>; egli (linterpetre) la tenda di David che caduta e che si elever
per salvare Israele 4Q164 10 e seg.
C tutto il senso del messianesimo evangelico. Il Messia il discendente di Davide che
diviene Figlio di Dio ed interpetre della Legge ricostruendo il Regno eterno sulla base del
nuovo tempio (spirituale) fondato sulla reale sostanza della norma. Egli salva
(Ges=Yeshua = Yhvh salvezza) Israele dal peccato, primo tra tutti quello di aver
inerpretato male la legge e di aver seguito quella errata norma obbligando tutti gli ebrei a
fare altrettanto. C da chiedersi quale onest intellettuale ci si possa aspettare da coloro,
peraltro i medesimi che hanno infangato il nome del prof. Allegro prima e del prof.
Eisenmann oggi, che di fronte ad un brano come 4Q246
Egli sar chiamato il figlio di Dio: essi lo chiameranno figlio dellAltissimo.Il suo Regno
sar eterno ed egli sar Giusto in tutte le sue Vie 4Q246 Col II
negano lintimo legame con 4Q164 e con il precedente testo liturgico affermando che, qui
come altrove, non si parla di un legame di figliolanza tra il Messia e Dio.
A costoro rispondiamo: non solo c il legame di figliolanza messianica, ma nella liturgia
essena esiste gi lestensione di questo legame a tutto Israele: estensione che sarebbe
stata sancita proprio dalla salvezza portata dal Messia, dal suo essere assunto a figlio di
Dio, dalla reinterpretazione corretta della legge e dalla conseguente costituzione del
Regno eterno attaraverso i figli del Nuovo Patto (cos gli esseni chiamano se stessi, vedi
Docuemento di Damasco) che, dopo aver preparato la Via vengono adotatti a figli di Dio.
Ges:Venga il tuo regno
Hai amato Israele fra tutti i popoli e hai scelto Giuda e hai stabilito un patto con Davide
perch fosse come un pastore, un principe per il tuo popolo e sedesse sul trono di Israele
di fronte a te per sempre 4Q504 Col IV ver. 3-7
E singolare che questi contenuti siano esposti nel medesimo testo liturgico poco dopo il
precedente brano.Il Regno chiaramente quello di Israele che ricollega Davide alla figura
del pastore messianico centrale i tutti i testi qumramiani. Il Regno che i qumramiani
attendevano nel deserto preparando la via, non era solo un fenomeno politico, ma un
evento religioso dal significato profondo. Il nuovo Regno fatto da un popolo perfettamente
e profondamente legato alla volont divina, era il sigillo di un nuovo patto fondato su un
reale rapporto di figliolanza di Israele con il suo Dio.
Ges: sia fatta la tua volont
La stirpe delluomo non ha compreso tutto quello che gli hai dato in eredit e non ti ha
conosciuto per mettere in pratica la tua parola agiscono pi empiamente di tutti e non
comprendono la tua grande forza 4Q508 3-4 datazione paleografica inizio I sec. d.c.
da vedere anche in confronto con:
alcuni scribi e farisei dissero:<<Perch i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli
antichi?>> Ed egli rispose loro <<Perch voi trasgredite il comandamento di Dio in nome
della vostra tradizione?Bene ha detto il profeta Isaia : Questo popolo mi onora con le
labbra ma il suo cuore lontano da me Matteo cap 15 fr.3
Il Padre Nostro chiarisce e sintetizza mirabilmente, lobiettivo che i qumramiani davano
allattesa messianica ed alla ricostruzione del Regno. Israele corrotto non era il regno di
Dio perch il popolo aveva mal inteso gli ordinamenti della Legge modificandoli a misura
duomo e privandoli della loro reale essenza: si era fatta divenire la Legge di Dio legge di
uomini. Serviva un Interprete, e tale la funzione ed il termine che ritroviamo nei testi
qumramiani in riferimento al Messia: egli linterprete della Legge che viene a completare
lopera iniziata dal Maestro di Giustizia e dagli Esseni: quella di ritornare allessenza della
norma e metterla in pratica come stile di vita.
Ges: come in cielo cos in terra
per prosperare grazie alle nubi del cielo e ai prodotti della terra per essere in grado di
distinguere il giusto dalingiusto 4Q508 Fr. I 1-2.
Gli ultimi due stralci appartengono da uno stesso documento.
Ges:dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li
rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal peccato.Amen
tu ci guarirai dallaccecamento del cuore a causa delle nostre iniquit siamo stati venduti
ma malgrado i nostri peccati ci hai chiamatie ci libererai dal peccare nei tuoi confronti
4Q504 14-16
nei secoli dei secoli.Amen 4Q509 fr 1-4, 7 databile paleograficamente al primo
secolo.
Ci libererai dal peccare, una formula identica e si trova in un testo liturgico. Peccato
manchi il brano precedente che ci avrebbe di certo consentito anche di decifrare
lambiguit del non ci indurre in tentazione. E, per, evidente che il testo qumramiano
assegna la colpa del peccato alle iniquit delluomo ed esclude totalmente lambiguit
segnalando la piet ed il perdono di Dio che comunque chiama lebreo peccatore a se
nonostante tutto. C da chiedersi, e lo ribadisco, che cosa legga la maggioranza degli
esegeti e degli studiosi della storia cristiana e di quella esseno-qumramiana: di certo non i
testi qumramiani per non notare labnorme fallacit del loro approccio. Non sono in grado
di avere la bench minima visione comparativa e dinsieme del corpus, dalla quale, anche
agli occhi di un bambino emergerebbe la impossibilit di negare un rapporto di totale
dipendenza del pensiero di Ges da quello esseno.
Trattandosi, spesso, di persone dallacume eccezionale e dalla intelligenza sottilissima,
purtroppo, lunica spiegazione possibile resta quella pi sconcertante e preoccupante. Ma
andiamo oltre nella nostra analisi. Una cosa singolare la datazione non solo di questi
testi ma anche della maggioranza dei testi liturgici riportati nel volume di Marinez, che ne
colloca la maggior parte al I. sec.d.c. Tra questi testi va ricordato in particolare 4Q503 che
la preghiera che gli Esseni facevano al mattino al sorgere del sole e che comincia come
segue:
E al levarsi del soleil firmamento del cielo.Benediranno e prenderanno la parola
dicendo << Sia benedetto il Dio dIsraele 4Q503 Fr 1-6 1 e seg.
Un altro elemento singolare la numerazione pressoch progressiva dei testi liturgici.
Ricordando che la numerazione indicativa della vicinanza fisica dei frammenti allatto del
ritrovamento, in fatto che questi testi fossero posti affiancati e che il contenuto di tutti
correlato in qualche modo al Padre Nostro, oltre al fatto che fossero nella stessa grotta dei
testi messianici, accresce la sensazione di uniformit del contenuto di tutta la liturgia
Essena. Un elemento fondante della preghiera che traspare dai testi liturgici pervenutici, ,
appunto, il rapporto intimo dei qumramiani con Dio, un rapporto Padre-figli che si
manifestava in invocazione mattutine che il singolo faceva propria pur nellambito di una
preghiera di gruppo.
l luogo dellultima cena era uno dei nascondigli del tesoro del Tempio di Gerusalemme
Abbiamo pi volte avuto occasione di apprezzare , in altre parti del sito, il lavoro di
padre Bargil Pixner, grandissimo archeologo scomparso ad aprile dello scorso anno,
relativamente alle sue rivoluzionarie ricerche e scoperte effettuate attraverso scavi
compiuti a partire dalla met degli anni 70 sul monte Sion in Gerusalemme. Pixner, dotato
di grandissima capacit ed intuito, basandosi sui manoscritti di Qumran, sui testi di Flavio
oltre che sui documenti evangelici, identifico, una serie davvero notevole di prove ed indizi
archeologici a sostegno della esistenza di un quartiere esseno in Gerusalemme, a partire
dalla famosa porta degli Esseni citata da Flavio, dal Betso citato nel Rotolo del Tempio, ai
numerosi bagni rituali esseni in Gerusalemme, fino di una sinagoga giudeocristiana al
centro del quartiere esseno, sotto la tomba di Davide che egli associ al luogo dellultima
cena. Pixner.
Pixner part pionieristicamente negli anni 70, con una serie di studi in memoria di padre
Belarmino Bagatti, altro studioso cui larcheologia neotestamentaria deve moltissimo,
autore delle importantissime scoperte degli ossari e della zona cimiteriale giudeo-cristiana
sul Monte degli Ulivi, fu suo degno successore superandolo, a nostro avviso, di gran lunga
per importanza delle scoperte ed intuito. Ma veniamo alla scoperta che pu essere
considerata lultimo e pi sensazionale dono di Pixner ai moderni archeologi e storici: il
primo documento che reca il nome di Ges ma che lo fa in un contesto tale da costituire,
se si dimostrasse vera la ricostruzione di Pixner, una delle pi grandi rivoluzioni storiche
del secolo.
Alla attivit di archeologo, infatti, Pixner aveva fato sempre seguire la sua abilit come
studioso di testi antichi. Nel 1983 pubblic un suo studio sul Rotolo di Rame, enigmatico
documento qumramiano contenente un elenco dei 64 nascondigli di quello che alcuni
ritengono essere il Tesoro del Tempio. Ci che stiamo per raccontare contenuto, ad
esempio, in Ges e la comunit di Qumran di J.H. Charlesworth ed.:PIEMME, bellissimo
volume che presenta una raccolta di articoli dei maggiori studiosi della problematica.
Larticolo cui facciamo riferimento quello di Rainer Riesner La comunit primitiva ed il
quartiere esseno di Gerusalemme, paragrafo Alla ricerca del luogo dellultima cena.
Ma andiamo al punto.
Nello studio di Pixner citato da Riesner, viene proposta la seguente lettura e traduzione
del brano che indica il settimo nascondiglio del Rotolo di Rame Nella grotta della casa
diroccata di Yeshu associando il nascondiglio, ad un luogo sul Monte Sion che egli
identifica con la casa ove Ges celebr lultima cena. Anche senza entrare nel dettaglio di
questa sua lettura gi si comprendono la miriade di effetti di questa traduzione ma
approfondire la interpretazione di Pixner .
Cominciamo col dire che il brano prosegue cos al terzo piano, 65 libre di oro per
passare poi al nascondiglio successivo.
Per completezza diciamo che la traduzione del brano che Pixner legge hmrt byt hmdhh
ysw ha avuto anche altre e pi note traduzioni ed interpretazioni. Ad esempio Moraldi lo
traduce con Nella grotta, casa del vecchio maestro, Martinez invece preferisce tradurre il
testo con Nella grotta della casa dellacqua, ed Allegro lesse nellultima lettera una
daleth. La differenza essenzialmente dovuta al fatto che Pixner legge, lultima parola ysw
separata da quella precedente e soprattutto legge la lettera finale come w ove altri
interpretano la stessa come n. Il Reisner, comunque, ritiene perfettamente legittima la
traduzione di Pixner non meno di quelle proposte dagli altri studiosi.
Ma vediamo le conseguenze di questa traduzione.
La prima la enuncia lo stesso Pixner. Se questa traduzione corretta il Rotolo di Rame
(documento scritto tra il 30 d.c. ed il 130 d.c, alcuni pensano di certo dopo il 68 d.c.)
contiene un nascondiglio in un posto che viene indicato come la Casa di Yeshu e che
Pixner identifica, chiaramente, con il luogo dellultima cena.
Da ci si evince che:
1) A Qumran c un documento che parla di Ges (appellandolo come Yeshu in modo
analogo a quanto avviene nelle Toledot ebraiche, testo polemico medievale) e quindi
prova una conoscenza diretta di Ges da parte degli Esseni. Ci costituirebbe un chiaro
indizio nella trasformazione del gruppo di Esseni qumramiani in giudeo-cristiani (quindi
non servirebbe pi nemmeno il misterioso Rotolo dellAngelo per sostenere che a Qumran
cera il nome di Ges)
2) Quel documento parla di un luogo che Pixner riconosce come il Monte Zion ove Pixner
ha scoperto il quartiere esseno, associandolo agli altri nascondigli del II e III cap. del
Rotolo di Rame che sono tutti in Gerusalemme
3) Il documento parla di una casa diroccata e quindi, probabilmente, successivo alla
distruzione di Gerusalemme come del resto si poteva dedurre anche da altri elementi
primo tra tutti il limite inferiore posto comunemente per la datazione del Rotolo di Rame:
non prima del 30 d.c.
4) Il documento afferma che il luogo dellultima cena divenne un nascondiglio per una
parte ingente del Tesoro del Tempio. In quello stesso luogo fu poi edificata, come lo
stesso Pixner dimostr, la prima sinagoga giudeo-cristiana successivamente ed
erroneamente associata alla Tomba di Davide.
Ma il documento aggiunge molte cose in pi.
Sebbene, infatti, si parli di una grotta, si dice anche di un terzo piano o livello. Ora se la
grotta costituiva un seminterrato delledificio, il terzo livello il livello superiore o piano
superiore di cui parla Luca nei Vangeli e quindi un primo piano. Quindi il tesoro sarebbe
sepolto nella grotta che funge da seminterrato delledificio che, al primo piano, ospitava la
casa di Yeshu.
Ma Pixner rincara la dose osservando che il Codex Bazae Cantabrigiensis (del V sec.),
parla della casa dellultima cena come casa diroccata, confermando lesistenza di una
tradizione in tal senso.

Ma non finita qui. Alle parole di Pixner aggiungiamo noi unaltra osservazione che ci
viene da unaltro importante ritrovamento: quello del primo simbolo giudeo cristiano: lo
scettro di davide costituito da un pesce sormontato da una Menor che intersecandosi
formano la stella di Davide. Lo scettro fu trovato, guarda caso, sotto la Tomba di David l
dove Pixner, attraverso la particolare orientazione verso il Golgota ed attraverso la
incisione di un monogramma costantiniano nel pavimento, identific la sinagoga uscita
fuori dagli scavi come una sinagoga giudeo-cristiana.
Il luogo denominato Tomba di Davide , come detto associato al luogo dellultima cena,
ma ci che ci interessa che subito fuori dalla Tomba di Davide, esiste una grotta chiusa
da un cancello in cui fu ritrovato, insieme allo scettro, anche una pietra con su scritto per
lolio e per lo spirito e numerosi oggetti, vasi ed oliere recanti il nome di Ges.
In pratica la grotta sotto la Tomba di Davide e quindi sotto la casa ove Ges celebr
lultima cena, era una sorta di camera per le cerimonie di unzione, e se quello che ha detto
Pixner vero, proprio l si trovano nascoste (o si trovavano nascoste) le 65 libre di oro che
sarebbero la prova definitiva di una trasformazione dellessenismo in cristianeismo
giudaico, e dle legame tra Ges e gli esseni.
Insomma, se si trovassero le 65 libre di oro (magari anche dotate di marchi che potrebbero
rivelare altri elementi interessanti), si avrebbe la prova definitiva che Pixner aveva ragione
e che, non solo Ges celebr lultima cena nel quartiere esseno, ma che egli fu un esseno
e che gli esseni si riconobbero in lui. Una vera rivoluzione nella storia del cristianesimo
che costituirebbe una prova definitiva di ci che sosteniamo da anni.
Ma, indipendentemente da tutto, ci che ci chiediamo : ma Pixner era cosciente della
rivoluzione e della enormit della sua affermazione, indipendentemente da fatto che fosse
vera o falsa? Noi riteniamo di si come lo sono coloro che sostengono con fondi e studi la
Century one Foundation che finanzi gli studi di Pixner e che, tra le 4 linee di ricerca,
finanzia oggi anche gli studi di J.H.Charlesworth sui Manoscritti del Mar Morto.
Lunica sfortuna in tutto ci che questa scoperta sarebbe stata seguita sicuramente dagli
arditi sforzi di Pixner per effettuare una verifica archeologica ma purtroppo Pixner
morto e comunque, per quel che se ne sa, questa affermazione non stata presa sul serio
da nessunoma ne siamo proprio sicuri?
Il tredicesimo apostolo

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