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Collana NARRATIVA
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ISBN 978-88-7568-478-5
2010 Editrice Nuovi Autori s.r.l.
Via Gaudenzio Ferrari, 14 - 20123 Milano
Tel. 02-89409338 - Fax 02-58107048
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E-mail: nuoviautori@editricenuoviautori.it
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Piero Valerio

DIO UNO
E VENTUNO

EDITRICE NUOVI AUTORI


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Dedica
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PREAMBOLO

E tanto brucia
nel cervello il suo fuoco
che vogliamo tuffarci
nellabisso
Inferno o Cielo cosa importa?
Discendere lIgnoto per trovarci
nel fondo, alfine, il Nuovo
(CHARLES BAUDELAIRE)

Chi va a Sud, ci va sempre perch deve ritrovare e riprender-


si qualcosa che gli appartiene.
Frase buttata l da un signore dalla barba grigia, con le gambe
lunghe elegantemente accavallate; un tipo distinto che stava ap-
pollaiato sulla poltrona del treno che da Torino si butta a capo-
fitto verso Palermo.
Non c una spiegazione, un senso, una verifica sperimentale,
un sondaggio che con assoluta certezza confermi tutto questo,
eppure io ci credo e non difficile ammettere che a tutti manchi
qualcosa.
Ma perch proprio a Sud? e non a Nord? O ad Oriente?
Che vende di pi, pi esotico. Forse perch proprio gi,
gi, in fondo, che avvertiamo questa mancanza?
Il cielo perfetto, in alto, non poteva essere migliore. Azzurro
di giorno, come un bambino appena nato. E blu, durante la not-
te, che non mai un nero di lutto.

(Frammento di racconto scritto nel 1997)

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PROLOGO

Il volo del condor

Un condor delle Ande volava tranquillo sulle massicce alture


situate proprio a nord del lago Titicaca. Il lago pi profondo del
mondo.
Improvvisamente il magnifico uccello di un colore nero splen-
dente e con il collo nudo e rosa si diresse verso il mare e comin-
ci a costeggiare le alte scogliere a strapiombo del Per.
Il volatile fu avvistato alla periferia di Lima da alcuni attenti os-
servatori, che riconobbero nellimmensit della sua apertura alare
le fattezze di un gigantesco condor. Attraversando alcuni villaggi
montani, il rapace arriv in Ecuador e scese dritto verso la capita-
le Quito. Giunto nella grande citt, fra lo stupore e la paura dei
cittadini, il condor cominci a planare fra i palazzi del centro e le
catapecchie dei sobborghi, come se stesse cercando insistente-
mente qualcosa. Immenso, con le sue ali enormi e frastagliate,
luccello pareva lievitare leggero in aria e scandagliare tutto ci
che stava sotto di lui, in cerca di questo misterioso punto.
La ricerca termin dopo qualche ora di costante volo ad alta
quota, allorch il condor cominci a volteggiare insistentemente
sopra il monumento che segna il passaggio della linea dellequa-
tore. Gli abitanti di Quito cominciarono a pensare che qualcosa
di terribile stesse avvenendo, e ben presto considerarono il volo
del maestoso uccello come un presagio di sventura. Non andaro-
no molto lontani dalla realt perch poco dopo accadde qualco-
sa di imprevedibile.
Il condor cominci a fare degli strani voli circolari sempre pi
stretti attorno allobelisco e arrivato proprio al centro preciso di
quella vorticosa danza, inizi un assurdo volo al contrario. Quel-
la che era la testa divenne la coda delluccello e la coda si mise in
testa, a trascinare tutto il resto del corpo; e nonostante questo

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inopinato ribaltamento di ruoli, il rapace procedeva in maniera


perfettamente rettilinea, senza sbandamenti; infischiandosene dei
vuoti daria e delle raffiche di vento.
La vicenda che era allinizio soltanto una tipica notizia locale e
una delle tante curiosit del popolo andino, divent presto una
leggenda e fece clamore in tutto il mondo, scatenando lingordi-
gia di numerosi curiosi e degli immancabili mezzi di comunica-
zione di massa. Pagine di giornali, edizioni straordinarie, repor-
tage, meeting di scienziati, osservatori con i binocoli, elicotteri. E
tuttavia, malgrado il trambusto, il condor proseguiva spedito lun-
go la sua rotta cieca guardando il mondo al contrario.
Fu calcolato che la linea esatta del suo volo era quella del-
lequatore, e che luccello seguiva correttamente il suo percorso,
senza alcuna minima deviazione. Un vero prodigio. Un fenome-
no, che ai pi, apparve subito inspiegabile.
Intanto il condor era arrivato in Brasile, sorvolando la fitta di-
stesa di vegetazione tropicale e le ampie cascate del Rio Negro,
che conducono verso la grande madre amazzone; pareva ormai
certo che il volatile procedesse dritto di filata in direzione del-
loceano.
Il sontuoso rapace non era affatto distratto dallesercito di eli-
cotteri e di ferraglia umana che lo seguiva a breve distanza, anzi
talvolta sembrava compiacersene, osservando con superba com-
postezza e serenit tutto quel roboante dispiegamento di mezzi;
dal fondo della sua coda, dove per loccasione alloggiava la testa,
partivano occhiate fugaci ma colme di fierezza. E il capo, svinco-
lato dai soliti compiti di guida e comando, sembrava godere dei
flutti di vento sospinti in coda dalle ali, roteando morbidamente
sullestremit del collo smagrito e oblungo. Quellevento che al-
linizio era destinato a diventare uno dei tanti miti popolari del
continente sudamericano, la leggenda del condor perduto per le
strade di Quito, si impose allattenzione dellopinione pubblica
come un caso mondiale, che suscit le pi incredibili reazioni.
Paura della fine del mondo, annunciazione della venuta del
Messia, attesa per latterraggio degli alieni, preghiere collettive,
cortei di manifestazione, suicidi di massa. Un ragazzo di Phoenix
di circa venti anni, per puro spirito di emulazione, inizi una fol-

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le corsa al contrario, che fin tragicamente in un sanguinoso inci-


dente stradale su una delle affollatissime autostrade americane.
Il condor ovviamente non sapeva nulla di ci che avveniva
laggi e percorreva beato il suo viaggio, come una calamita im-
pazzita che aspetta di incontrare un insospettabile polo opposto,
su cui imbattersi, urtare. Nel giro di pochi giorni, il regale rapa-
ce raggiunse come previsto la costa, proprio a nord della foce
del Rio delle Amazzoni e nei pressi dellisola di Manajo. E senza
alcuna esitazione, luccello inizi la lunga traversata delloceano
Atlantico.
Il dibattito se interrompere o lasciare proseguire la folle corsa
del condor si era fatto incandescente; i pi tolleranti sostenevano
che bisognava lasciare volare libero il rapace, per capire quale
fosse lo scopo finale del suo bizzarro viaggio; mentre i pi im-
pauriti e intransigenti, la maggioranza, invitavano le autorit
competenti a prendere atto che sarebbe stato opportuno, sia per
un fattore di ordine pubblico che per permettere lo studio ap-
profondito delluccello, catturare il condor e tenerlo per qualche
tempo sotto osservazione. A Zurigo intanto era stata fondata la
prima setta religiosa ispirata alle gesta del condor; si chiamavano
i condoriani e veneravano con strane liturgie rituali una divini-
t con il corpo di uomo e la testa del condor. Non fu lunica.
Eppure, con il passare dei giorni, si cominci a notare, dalle
immagini televisive fatte con inquadrature pi strette, un certo
imbarazzo nellespressione del condor; la coda a forma di testa
spesso si voltava ad osservare stizzita la sua testa a forma di coda,
che era come selvaggiamente attirata da un invisibile punto nello
spazio. Una meta ignota che nessuno poteva preventivare; con
ogni probabilit, neppure la vera testa delluccello sapeva dove lo
stesse trascinando la sua coda. Il rapace insomma sembrava fare
quel volo suo malgrado, senza alcun tipo di controllo o di appro-
vazione da parte della sua volont. E tuttavia, nonostante affio-
rasse appunto una certa riluttanza e sebbene il viaggio continuas-
se ormai da pi di due settimane, il condor non sembrava mo-
strare alcun disturbo derivato dalla fame, dalla sete o dalla stan-
chezza; il rapace rifiut persino il cibo che alcuni spericolati
acrobati provavano ogni tanto ad avvicinare alla sua testa coda,

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aiutandosi con lunghe aste metalliche e sporgendosi pericolosa-


mente dagli sportelli degli elicotteri.
Il condor concluse la faticosa trasvolata atlantica nei pressi di
Libreville in Gabon e qui sub per la prima volta gli spari degli
spietati cacciatori di frodo; gente senza scrupoli, che tent inva-
no a causa dellalta quota cui volava luccello, di colpire il rapace
con fucili di precisione. Il risultato fu invece che lelicottero del-
la troupe televisiva australiana venne costretto ad un atterraggio
di emergenza, perch centrato in pieno da un proiettile sulla par-
te della fusoliera che confina con il serbatoio.
Allertati dalle continue rappresaglie dei bracconieri, i ministri
della difesa e i governanti di ogni nazione ritennero doveroso ini-
ziare una rigida opera di sorveglianza a terra per proteggere il vo-
lo del condor; il piano, buttato gi in fretta e furia durante inter-
minabili riunioni di conclave, interess sia gli eserciti locali che le
truppe internazionali. Nel giro di qualche giorno, interi batta-
glioni di soldati furono impiegati a seguire passo passo la rotta
equatoriale del rapace, facendosi spazio fra le mangrovie e gli im-
pervi sentieri della foresta africana.
Comunque gli scienziati non stettero di certo ad aspettare per
fornire le loro ipotesi sul caso: alcune teorie tiravano in ballo
strane correnti daria causate dagli sconvolgimenti climatici, altre
si concentravano sulla struttura del rapace, che secondo taluni
emeriti luminari era stata geneticamente modificata da sofisticati
esperimenti condotti nei laboratori di potentissime multinaziona-
li o sconosciute organizzazioni criminali. Ma la pi curiosa, era
sicuramente la dettagliata ricerca degli accademici inglesi, che ri-
guardava la complessa attivit magnetica del globo terrestre con-
nessa con una presunta quantit di ferro ingerita dal rapace nei
luoghi di origine. Quel ferro, ingurgitato in grosse dosi, non era
stato digerito dallo stomaco del condor ed era rimasto accatasta-
to nellintestino, proprio vicino alla coda. Il grumo metallico era
talmente ingombrante e costipato da non potere essere evacuato
attraverso lo sfintere anale. Ecco spiegato dunque il motivo della
forte attrazione esercitata sulla parte posteriore del volatile. Ap-
plausi e risa si mischiavano fra le folte platee di telespettatori
confusi, che ad ogni ora accorrevano in massa davanti i televisori

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per assistere ai torrenziali programmi di informazione e appro-


fondimento sulla notizia del giorno. Ma ad ogni modo, nono-
stante i consensi unanimi ricevuti da alcuni rispettabili studiosi e
lincredulit suscitata da altri, la verit era che nessuno ci capiva
niente e tutti tiravano ad indovinare.
Il volo del condor continu indisturbato nei cieli limpidi e cri-
stallini che sovrastavano le montagne dello Zaire, sfiorando la
sconfinata distesa del lago Vittoria, fino ad arrivare nelle savane
del Kenia; e qui, nei pressi di Nairobi, quella stramba creatura
che volava al contrario spar improvvisamente, senza che nessuna
telecamera riuscisse a filmare levento. Il mondo apprese con lut-
to la notizia. Il lutto dur solo qualche giorno.

(Racconto scritto nel 1996)

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ANTEFATTO

La Confessione

Le storie degli uomini sono come tanti semi di una pianta sco-
nosciuta che vengono gettati sulla terra per prendere forma da
soli; con il tempo. Allinizio, le sementi sembrano tutte uguali,
ma poi ti rendi conto che soltanto alcune attecchiscono, mentre
altre no; rimangono sotto terra, a marcire nel buio. Dopo aver vi-
sto la luce, i semi pi fortunati germogliano, crescono, fioriscono,
si arrampicano sui muri, circondano le finestre delle nostre case
come i folti cespugli delledera; non di rado per capita pure che
quelle fronde rigogliose non entrino mai nella stanza giusta e re-
stino fuori, al freddo, in attesa che qualcuno si accorga di loro.
Altre piante invece, pur essendo molto belle a vedersi, hanno bi-
sogno di tanta acqua per crescere e molto spesso, per un eccesso
di timidezza, avvizziscono subito al primo sole di primavera. Tan-
te storie sono state scritte senza generare neppure un bocciolo
che sia uno; al contrario di altre, che pur non avendo mai visto
linchiostro di una penna, cominciano molto presto ad essere tra-
mandate di bocca in bocca, di generazione in generazione e in
qualche caso fortunato diventano leggenda. Alcuni di questi miti
grondano di verit da ogni parte, in altri non c nulla di vero. Ci
sono infine certe storie, quelle storie, che non andrebbero mai
raccontate. Questa una di quelle storie.
Ho mantenuto segreta la mia vicenda per quasi quattro anni,
ma oggi mi sento pronto a raccontare tutto ci che mi accaduto;
per due ragioni fondamentali. Una di carattere scientifico e laltra,
diciamo pure, morale, escatologica. Il cervello un marchingegno
strano e mi piacerebbe mettere a disposizione la mia esperienza
per capire meglio i suoi meccanismi, le sue distorsioni. Chiunque
si prefigga di compiere un viaggio allucinante come il mio, dentro
e fuori se stesso, ai confini della realt, deve essere consapevole

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dei pericoli e degli abbagli nei quali pu incorrere. I temerari so-


no avvisati; davvero difficile uscire sani e salvi da questi pantani.
come se qualcuno avesse messo delle tagliole nella mente degli
uomini e non appena un ardimentoso avesse la sventura di imbat-
tersi in una di queste trappole, sarebbe costretto a furoreggiare
con straordinario impeto e coraggio per salvare la pelle. Ad ogni
modo il secondo motivo che mi spinge a vuotare il sacco molto
meno insidioso e pi avvincente del primo. Largomento in que-
stione la ricerca della verit. La chimera inseguita per mari e per
monti da tutti gli individui dotati di ingegno e dai grandi sognato-
ri. Sar sincero con voi. Allo stato dellarte, io non so quanto ci sia
di vero nella mia storia e quanto invece sia il frutto di un miraggio;
tuttavia credo che non peccherei di presunzione se dicessi che la
mia storia potrebbe magari un giorno fornire nuovi spunti di ri-
flessione, alzando il tiro delle discussioni e ridando impulso a tut-
ti i dibattiti che vengono fatti in proposito. Il viaggio non anco-
ra terminato. Anzi. A mio modesto avviso, appena cominciato.
Andiamo per con ordine. Ripartiamo dallinizio.
Siamo a Milano. A Milano pioveva quella sera.
La citt era avvolta da alcuni giorni da una coltre cupa e ma-
linconica che non favoriva di certo il buon umore. Milano fatta
cos. Un giorno la odi e laltro pure; finch poi, sfinito, non ti de-
cidi ad amarla. Io sono ancora nella fase del corteggiamento, ma
quel giorno mi sentivo sotto un treno e in qualsiasi citt del mon-
do mi fossi trovato, la mia angoscia non sarebbe stata inferiore al
peso di un intero convoglio stracarico di merci. Ero pressato co-
me una lastra di lamiera e spinto da un irrefrenabile istinto libe-
ratorio, mi decisi a confessare.
Mi trovavo a casa di amici, nei pressi di piazza SantAgostino.
Numero civico della via: 7. Appartamento numero 13. Specifico
questi dati perch come apprenderete in seguito, i numeri sono
una parte fondamentale della mia storia. Oserei dire, cruciale. La
cena era appena finita e io, Anna, Marco e Sara stavamo como-
damente seduti sui divani a chiacchierare del pi e del meno. In
verit, io ero pi taciturno del solito; mi sentivo agitato fino al-
linverosimile e avevo addosso una frenesia che conoscevo bene.
Volevo parlare. Ma non sapevo da dove cominciare.

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Lallucinazione che per quasi quattro anni aveva abbagliato i


miei occhi stava svanendo e prima di partorire altre fissazioni,
avevo reputato opportuno confrontarmi con persone pi lucide e
avvedute di me. Durante tutto quel tempo, ero andato troppo ol-
tre con limmaginazione per chiedere ancora un altro sforzo alla
mia mente e non fidandomi pi di me stesso e della mia coscien-
za critica, non avevo altra scelta che affidarmi al giudizio obietti-
vo ed imparziale di amici a me molto cari. Ero un po spaventato
dalle conseguenze di quella imminente esplosione eruttiva, per-
ch lillusione un anestetico molto potente e finito il suo effetto
narcotizzante, non sai mai come ti risveglierai.
Se in quel momento avessi potuto osservarmi da fuori, avrei si-
curamente rintracciato sul mio volto la tipica espressione mogia e
corrucciata di chi si sta apprestando a confessare un segreto; che
per avrebbe fatto volentieri a meno di rivelare. Cera tanta rab-
bia nel mio cuore; un rancore misto ad inquietudine e sofferenza
che aveva radici profonde, ferite insanabili. Il grande sogno che
per parecchio tempo mi aveva consentito di galleggiare su, nel
cielo, a migliaia di chilometri di distanza dalla terra, era volato via
dentro una bolla di sapone e il repentino distacco, con tutti i suoi
strascichi di delirio, aveva lasciato in me segni evidenti dapper-
tutto. Nel mio corpo. Negli abissi pi inesplorati e inaccessibili
della mia anima.
Il mio aspetto era pessimo; avevo il viso smunto e pallido; le oc-
chiaie profonde; i cappelli crespi e arruffati; le pupille erano tal-
mente dilatate da coprire gran parte delle iridi e la prolungata in-
sonnia dei giorni precedenti aveva reso le palpebre degli occhi
rosse come due pomodori. Pronti per la spremitura. Diciamo pu-
re che non ero proprio in gran forma. Quella maledetta specie di
depressione latente che per tanti anni mi aveva assillato, stava di
nuovo facendo il suo funesto ingresso nella mia vita e temendo gi
quali conseguenze catastrofiche avrebbe prodotto sul mio preca-
rio equilibrio, capii che non avevo pi molto tempo da perdere.
Da alcuni minuti non ascoltavo pi i discorsi dei presenti e
cercavo di cogliere lattimo giusto per buttarmi. Dopo essermi
appuntato per bene sul bordo del divano, congiunsi le mani in
una forte morsa e mestamente chinai il capo; non avevo il corag-

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gio di guardare in faccia i miei amici, perch prevedevo gi quali


facce avrebbero fatto di l a poco. Il momento era topico. Sem-
bravo un pappagallo assiso sul trespolo pronto per spiccare il vo-
lo. Le ali per non si aprivano. La voce stentava a partire. Ri-
schiarai la gola con un colpetto di tosse e mi lanciai nel vuoto.
Ragazzi, vi ricordate del mio progetto sulle tecniche reticola-
ri di organizzazione?
I miei amici smisero di parlare e si girarono allunisono verso
di me; basiti.
Certo risposero, quasi in coro. Sono pi di tre anni che ci
tieni sulle spine. Hai qualche novit?
No. Nessuna novit. Non vero niente. Non esiste nessun
progetto. Seguirono attimi convulsi. I ragazzi erano rimasti im-
pietriti a fissarmi, mentre io gesticolando affannosamente mi af-
frettavo a chiarire la faccenda. Nel senso che ho lavorato dav-
vero a qualcosa, ma non si tratta di un progetto scientifico come
potevate intendere voi. Ho scritto un libro. Un romanzo.
Premetto. Sono un ingegnere e da circa tre anni avevo utilizza-
to questa storia del progetto per nascondere altre finalit. Senza
rendermene conto, ero stato capace di illudere per primo me stes-
so e poi le persone a me pi vicine, sostenendo con fervore la rea-
le esistenza di questo sofisticato progetto di organizzazione azien-
dale. Secondo le mie immaginifiche e oltremodo vaghe descrizio-
ni, il progetto consisteva in un innovativo sistema di riassetto
strutturale delle risorse umane, basato sulla teoria dei flussi e sul-
lottimizzazione dei processi. Come se non bastasse avevo a pi ri-
prese assicurato tutti che una volta realizzato il progetto avremmo
finalmente svoltato. Non voglio accampare alibi o scuse, ma a quel
tempo avevo buoni motivi per credere che il progetto sarebbe sta-
to un vero trionfo; purtroppo, come presumo abbiate gi capito,
la matematica e la statistica, per quanto siano discipline per me
imprescindibili, non sono mai state il mio forte e io ancora una
volta avevo fatto male i conti con limprevedibilit del destino.
La situazione precipit. Il silenzio nella sala divenne assordan-
te e in quel marasma di emozioni contrastanti, Anna fu la prima
a prendere la parola. Ritengo che fosse la pi incuriosita del
gruppo.

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Che tipo di romanzo?


Un romanzo autobiografico. Parla della mia vita; di una par-
te della mia vita. E alla fine si conclude con una scoperta. De-
scrive una verit. Una verit assoluta.
Le mie parole procedevano a strattoni, come se fossero pesanti
aratri trainati dai buoi. Inutile ribadire che il terreno sul quale mi
muovevo era duro come il marmo. Impenetrabile. Non sapevo
quale direzione seguire per giungere ad una degna conclusione
del pastrocchio. Ogni tanto sbirciavo di sottecchi, per vedere le
reazioni di Sara, che stava rannicchiata sulla sua poltrona, con lo
sguardo perso nel vuoto. Era impassibile, immobile; di tutti e tre
sembrava la pi allibita. Presumevo gi di conoscere quale sorta di
pensieri affollasse la sua mente in quel momento. Sara era delusa.
Aveva creduto tanto in me ed io mi sentivo in colpa per avere ar-
recato alla sua anima delicata un simile dispiacere. La frustrazione
e lo scoramento mi avevano di colpo mozzato la lingua e se non
fosse stato per Marco, che intervenne a tirarmi fuori dallimbaraz-
zo, credo che sarei stato zitto per tutto il resto della serata.
Che genere di verit? Non ti capisco.
Una verit che svela un mistero farfugliai sottovoce. Parla
di Dio e del mio rapporto con la divinit.
Continuo a non capirti replic Marco, sgranando gli occhi.
Spiegati meglio.
Decisi di tagliare corto. Non avevo pi voglia di tergiversare
con inutili preamboli.
Per circa tre anni ho creduto di essere lultimo Figlio di Dio.
Colui che molti chiamano lAnticristo.
Trasalii. Le pareti delle stanza cominciarono a vorticare davan-
ti a me come le turbine di un aeroplano. Ero confuso. Il cuore
batteva allimpazzata dentro il petto. Furtivamente lanciai unoc-
chiata ad ognuno dei miei amici per scrutare le espressioni stam-
pate sui loro volti. Gli occhi strabuzzati sembravano volere usci-
re dalle orbite e le bocche spalancate non emettevano neppure
un alito, un sospiro. I ragazzi erano stati scossi via dallo loro stes-
sa incredulit e rischiavano di soffocare per lo stupore. Non ave-
vo altra alternativa che andare avanti. Annaspai aria tutto intorno
per riprendere fiato, come un nuotatore che fosse appena uscito

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da una lunga apnea. E a fatica ricominciai a parlare. Con tono


pi dimesso e grave.
La mia missione era quella di portare la verit sulla terra. E
nel romanzo ho scritto tutto ci che sapevo. In realt credevo di
scrivere sotto dettatura, perch ero convinto che fosse Dio stesso
a suggerirmi le parole del libro. Ho vissuto in uno stato di asso-
luta estasi mistica. Ma non guardatemi cos, vi prego. Non sono
pazzo. Penso solo di essere stato vittima di unincredibile alluci-
nazione. Un clamoroso abbaglio. Perdonatemi.
Strinsi le spalle e mi preparai a subire linevitabile ondata di
domande e richieste di chiarimento; compresi gli insulti e gli im-
properi. Questa volta fu Marco a sbottare per primo. Il suo sguar-
do era ancora imbambolato, ma le parole furono taglienti come
lame di rasoio; sibilarono veloci nellaria fino a conficcarsi dritte
nel mio costato. Lamico e il collega di tante battaglie era giusta-
mente arrabbiato con me. La sua pelle trasudava indignazione e
disappunto da ogni poro.
Ma ti rendi conto di ci che hai detto? Ti sei inventato quel-
la balla colossale delle tecniche reticolari per coprire una sce-
menza simile? Tu sei da ricovero!
Incassai il colpo e borbottai qualcosa che nelle mie intenzioni
doveva assomigliare ad una giustificazione.
Non mi sono inventato proprio tutto. La teoria delle tecni-
che reticolari una parte integrante della storia. Perch lobietti-
vo principale della mia missione era quello di creare un reticolo
di angeli sulla terra.
Cosa?! Ma ti ha dato di volta il cervello? Tu stai continuan-
do a delirare!
S, forse hai ragione risposi seccamente. Non so come sia
successo; ma ormai accaduto e non posso pi far finta che non
sia avvenuto nulla. Se avrete la pazienza di ascoltarmi vi spieghe-
r tutto; per filo e per segno. Ma ho bisogno di parlare con qual-
cuno; confrontarmi con voi lunica soluzione per liberarmi dal
groviglio che mi sta stritolando.
No! Per me pu bastare cos! ribatt Marco stizzito. Non
crederai mica di infinocchiarci unaltra volta con le tue elucubra-
zioni mentali. Io ho gi sentito abbastanza.

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Il grugno di Marco non lasciava molte speranze per il resto


della serata; sbuffava come una locomotiva in piena corsa, cui
non mancava di certo il carbone. Intanto per era gi intervenu-
ta la moglie Anna, con la sua vocina flebile, quasi impercettibile,
a gettare acqua allinterno della caldaia. Il suo ingresso sulla sce-
na fu provvidenziale.
Aspetta Marco. Facciamolo parlare. Io voglio capire meglio
quello che ha da dirci. Piero ha un problema e noi dobbiamo aiu-
tarlo.
Sorrisi con un ghigno stentato, inarcando le sopracciglia e
scambiando qualche sguardo di intesa con Anna; le sue amore-
voli carezze sul dorso della mano di Marco stavano cominciando
a produrre leffetto sperato. I lineamenti ruvidi e imbronciati
scolpiti a fuoco sul viso del marito si allentarono. Ben presto la
furia si plac. E quellastio nei miei confronti si trasform in un
moto di sincera compassione; Marco cedette e a malincuore an-
nu. Mi girai allora verso Sara per ricevere anche da lei un con-
senso, che in fondo non era mai stato negato; per tutto quel tem-
po infatti lesile fanciulla non aveva spiccicato una parola e se ne
stava sempre l, in disparte, con le mani mollemente abbandona-
te sui braccioli della poltrona. I suoi grandi occhi blu trasognati
erano fissi su di me, ma la mente invece peregrinava a briglia
sciolta altrove. In altri mondi, in altri luoghi. Luoghi incantati
dove vivono elfi e folletti, fate e principesse. Sara era una sogna-
trice incallita e scoprire adesso che il suo piccolo principe fosse
in verit un folle visionario fu per lei un trauma tremendo.
Dovevo fare presto e richiamare allordine tutta la mia capaci-
t di concentrazione. I ricordi sono come i sogni; al risveglio
qualcosa si perde sempre per strada. Con quel pesante fardello di
foschi pensieri sulle spalle mi incamminai allora verso loscuro
sentiero che porta al mattino. Sperando di non dimenticare nul-
la. Ma proprio nulla.
Tutto cominci circa tre anni fa. Era fine settembre del 2004.
Mi trovavo a Milano, in una camera dalbergo. Ero in piedi da-
vanti alla finestra e pensavo. Riflettevo sulle assurde coincidenze
del destino. Nei tre anni precedenti un portentoso ciclone di di-
sgrazie e vicissitudini avverse aveva stravolto il corso della mia vi-

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ta e adesso dovevo di nuovo inventarmi un pretesto per conti-


nuare a sperare. La stranezza pi grande era che prima dellarri-
vo delluragano, esattamente in un giorno di fine settembre del
2001, io mi trovavo sempre l; nello stesso albergo; nella medesi-
ma stanza. Quella fortuita casualit mi costrinse a spremere le
meningi, in cerca di un qualsiasi nesso o di una spiegazione. Al-
limprovviso un bagliore illumin i miei occhi. La trama del ro-
manzo che avevo spesso tentato di scrivere in passato poteva es-
sere proprio la successione degli eventi che da quella stanza mi
avevano riportato dritto in quella stanza. Da Milano a Milano,
passando per Bologna, Roma, Palermo, Pesaro; in un perfetto
percorso circolare, che si era chiuso nello stesso punto da cui era
partito. Sussultai. Come per incanto tutto quello che era successo
in quei fatidici tre anni, le persone, i luoghi, le circostanze, perse
quasi consistenza; divenendo nella mia memoria sempre pi sfu-
mato, impalpabile. Come se fosse leterea visione di un sogno
Questo il racconto di ci che accadde nelle prime ore della
sera del 4 dicembre del 2007. Nel giorno di Santa Barbara una
polveriera esplose per aria, lanciando nel cielo detriti e frammen-
ti infuocati. Era appena iniziata una delle notti pi lunghe di tut-
ta la mia vita.

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CAPITOLO 1

Terra

Il mio romanzo, o meglio, la mia storia comincia nel 2001. Era


settembre. Fine settembre. Mi trovavo a Milano, in un albergo a
pochi passi dalla stazione centrale. Era sera. Stavo affacciato alla
finestra della mia stanza e pensavo.
Durante la fine dellestate precedente avevo conseguito la lau-
rea in ingegneria con il massimo dei voti e da alcuni giorni mi ero
messo in giro per lItalia in cerca di un lavoro. Ero stanco di sta-
re a casa ad aspettare risposte che non sarebbero mai arrivate e
cos, senza troppi indugi, mi ero gettato per strada a caccia di for-
tuna; a quel tempo credevo di avere le carte in regola per sfidare
il destino e siccome in passato avevo superato con relativa facili-
t tutti gli ostacoli che intralciavano il cammino, pensavo che an-
che adesso non sarebbe stato difficile per me andare oltre; pro-
cedendo spedito verso nuovi obiettivi. Ottenendo sempre il mas-
simo con il minimo sforzo. Dosando bene le energie. Affaticando
poco sia il corpo che la mente, in vista di chiss quali traguardi.
Questa filosofia di vita, votata al risparmio, aveva funzionato ot-
timamente durante il periodo degli studi. E come si dice spesso,
strategia vincente non si cambia.
In verit non ero molto interessato al tipo di occupazione che
avrei trovato; per me un lavoro valeva laltro. Non avevo neppu-
re urgenze o pressioni di carattere economico. La ragione princi-
pale che mi aveva spinto ad abbandonare cos in fretta il nido fa-
miliare riguardava invece la mia insofferenza nei confronti del
tempo. Per la prima volta nella mia vita, in quel lento turbolento
percorso che dallasilo mi aveva proiettato fino alluniversit, io
mi trovavo a confrontarmi con unimprevista abbondanza di
tempo che non sapevo come impiegare. Non avevo paura del si-
lenzio, anzi cercavo volutamente la solitudine quando la vita in-

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calzava ai fianchi; tuttavia la lunga attesa seguita alla fine degli


studi mi snervava. La mancanza di esami a portata di mano da
superare mi creava ansia e malgrado la mia atavica pigrizia esi-
stenziale, io non ero mai stato abituato a rimanere fermo, senza
fare nulla. Dovevo togliermi quanto prima possibile da quella im-
barazzante situazione di stallo per me insolita. Era come se mi
sentissi gli occhi puntati addosso della gente, che con malcelata
morbosit scrutavano le mie mosse e biasimavano i miei errori; e
io non sopportavo lidea di essere giudicato dagli altri. Perch a
causa della mia inguaribile supponenza, non ritenevo gli altri al-
laltezza di emettere sentenze o dispensare assoluzioni su di me.
La gente era troppo frivola e grossolana per assumersi compiti
cos delicati. E crogiolandomi nella mia maggiore consapevolez-
za, spesso avevo come limpressione che attorno a me gravitasse
un mondo di stupidi e di inetti. Omuncoli deformi incapaci di
pensare, provare, capire ci che io pensavo, provavo, capivo.
Creature malconce senza arte n parte che si arrangiavano come
potevano per tirare avanti.
Diciamo pure che non avevo una buona opinione della florida
societ dei consumi; anzi, senza mezzi termini, disprezzavo aper-
tamente alcune convenzioni e consuetudini imposte dalla cosid-
detta civilt contemporanea. Definire civilt quellaccozzaglia di
riti e superstizioni tribali, in cui trionfava in pompa magna lin-
decenza e il malcostume, mi sembrava una generosit impropria.
Ai miei occhi feroci e disincantati di acerbo apprendista, gli uo-
mini moderni apparivano molto buffi, ridicoli, triviali, quasi pa-
tetici; bambini cresciuti ma mai veramente nati, pi che altro in-
daffarati a cercare mezzucci ed espedienti per trascorrere il tem-
po e per arrivare alla fine del giorno. Un gioco abbastanza facile.
Bisognava solo ricordarsi, con cura e pignoleria infinita, di non
pensare mai a quanti giri di lancette mancassero alla fine della fi-
ne. La morte era per i miei contemporanei un fatto assurdo; in-
spiegabile. Ingiusto, quasi. La paura da esorcizzare con valanghe
di immagini truculente o lo scandalo da nascondere subito sotto
le lenzuola, prima che qualcuno cominciasse a fare domande in-
discrete. Mentre la vita, no. Lesistenza non aveva nulla di straor-
dinario; era una comune e normalissima prassi di ordinaria am-

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ministrazione. Un dovere da espletare senza troppi mugugni o la-


gnanze. Un libro aperto a cui tutti potevano attingere. La scienza
aveva spiegato come funziona il mondo e per chi non si accon-
tentava delle fredde traiettorie degli atomi e delle complicate
parabole planetarie, cera sempre la fede come ultimo appiglio;
per non cadere gi. Nel vuoto. E intanto quegli stessi topi di la-
boratorio e pecorelle da parrocchia che alla domenica sputavano
anatemi sul mondo, erano cos assorte nelle loro piccole e grandi
beghe quotidiane da non accorgersi nemmeno che la vita stava
passando sulla loro pelle; come lacqua cheta di un fiume sta-
gnante. Senza nessun impeto. Nessuna vera passione.
Per me invece il discorso procedeva esattamente al contrario.
La vita era un mistero assurdo, inspiegabile; lo scandalo per ec-
cellenza. Mentre la morte rappresentava soltanto il naturale epi-
logo di un insensato preludio. Quello spettacolo, che dal nulla ti
proiettava fin laggi, sul magico tappeto ruotante, era orribile e
sublime al tempo stesso. Aveva in s qualcosa di cos grottesco e
sconcertante da rendere quasi impossibile la noncuranza o la di-
strazione. Chi mostrava scarso interesse per gli avvincenti intrec-
ci di quella tragicomica farsa, era come se dichiarasse apertamen-
te poca gratitudine per la mezza tacca di impresario che aveva
messo su baracca e burattini. Non si poteva non guardare. Chiu-
dere gli occhi davanti ad un simile teatrino di commedianti e bal-
lerine, pieno di effetti pirotecnici e colpi di scena, sarebbe stato
un peccato; uno sgarbo inammissibile nei confronti dellarte so-
praffina della rappresentazione. Ed io guardavo. Altro che se
guardavo. Osservavo minuziosamente ogni gesto e ogni movi-
mento che avveniva sul palcoscenico come se fossi uno spettato-
re non pagante. Pagato per guardare e criticare.
Non avevo pregiudizi o chiusure preconcette; limparzialit in
questi casi era pi che auspicabile, necessaria. Guardavo il mon-
do dallalto, senza schierarmi mai, rimanendo neutrale su ogni
cosa; lobiettivit e il distacco dalla bolgia infernale dei falsi per-
benismi erano per me le caratteristiche principali di uno spirito
nobile. Ero scettico; agnostico. Mi tenevo alla larga da tutti colo-
ro che sbandieravano al vento presunte verit di fede o faziose
ideologie a buon mercato. La stucchevole e pedante ruffianeria

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di regime mi dava il voltastomaco. Malgrado tutte quelle ostenta-


te manifestazioni di filantropia e benevolenza, non avevo mai vi-
sto n conosciuto nessuno disposto a rinunciare a qualcosa di suo
per il bene degli altri. Ogni medaglia aveva il suo rovescio. Chi
dichiarava amore incondizionato e disinteressato per il mondo
perseguiva quasi sempre un suo personale tornaconto. Nessuno
dava niente per niente. I cialtroni delle religioni, delle sette, del-
le teologie spargevano come coriandoli a Carnevale improbabili
speranze di redenzione; mentre i ciarlatani della politica, del-
leconomia, dellinformazione si divertivano ad instillare fra la
gente inesistenti paure affinch quelle povere animelle treme-
bonde, che i governanti avevano in disprezzo, venissero imbri-
gliate in veri e propri labirinti di demenza e fanatismo collettivo;
da cui sempre gli stessi traevano poi profitto.
Diffidavo da tutti gli estremismi. Consideravo sciocchi coloro
che parlavano di miracolose folgorazioni celesti o apocalittiche
catastrofi; le promesse di beatitudine eterna e le minacce di dan-
nazione infernale erano due modi diversi ma complementari per
arrivare allo stesso risultato: la paralisi completa di ogni attivit
cerebrale. Chiunque si trovava sui gradini pi alti della scala ge-
rarchica aveva come suo unico scopo precipuo quello di soffoca-
re e imbarbarire lintelligenza di coloro che stavano pi in basso;
in modo da crearsi una falange agguerrita di futuro consenso e
impedire la diffusione di un pensiero libero, costruttivo, efficace,
che potesse smascherare tutte le magagne. Daltronde, con flacci-
da indolenza e rassegnazione, la gente aveva ormai da tempo im-
parato a delegare ogni scelta e ogni responsabilit a quelli che sa-
pevano sfruttare meglio i sacrifici e la mollezza delle masse; divi-
dendo la comunit in tanti drappelli contrapposti; fomentando
futili interessi di bandiera; incanalando ognuno nel proprio cuni-
colo di solitudine e disperazione. Aggressivit e violenza. Odio e
rancore. Per scaricare la tensione e sopportare la noia e la mono-
tonia delle giornate festive, ogni rispettabile cittadino era infatti
libero alloccorrenza di crearsi un nemico tutto suo, a mo di pas-
satempo; di scacciapensieri. Questo era il successo civile pi im-
portante ottenuto dalla moderna democrazia. Ben pochi erano
invece quelli disposti ad ammettere che il vero nemico da com-

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battere fosse invisibile, perch si trovava dentro noi stessi. Non si


poteva continuare a pensare in un modo e ad agire in tuttaltra
maniera. Il mancato allineamento fra coscienza e azione condu-
ceva ad una lenta ma generalizzata rinuncia di ogni proposito o
possibilit di rinascita. Perch chi mente non sopporta chiunque
tenti di spiattellargli in faccia la verit. Chi mente induce gli altri
a mentire, mostrando con magnifica eloquenza quanti vantaggi
produce la menzogna. Chi mente impara con il tempo a chiama-
re la sua menzogna con appellativi impropri come verit. Nor-
malit. Giustizia.
La chimera della salvezza individuale unita alla lagnosa commi-
serazione dei propri errori, faceva poi tutto il resto. Creando
quella melassa gelatinosa, senza capo n coda, che era tutta insie-
me il fondamento principale della stabilit sociale e la causa mag-
giore dellimmobilismo. Le persone si indignavano davanti ai mi-
sfatti, alzavano palizzate, attendevano con impazienza che nuove
mostruosit venissero a turbare il torpore pomeridiano; e alla se-
ra, stavano con il fiato sospeso davanti i televisori, finch il giudi-
ce non emetteva il verdetto. Lassoluzione dellimputato destava
sempre qualche sospetto. Mentre la condanna di unaltra vittima
e carnefice dellorrore rappresentava per tutti una liberazione.
Forse, in quanto asfissiati dai sensi di colpa, tutti in fondo deside-
ravano essere le vittime e i carnefici di se stessi. Si divertivano ad
immedesimarsi in entrambi quei ruoli. Venendo meno al pudore
e alle buone maniere, tutti avrebbero voluto indossare il cilicio,
frustarsi, flagellarsi per estirpare quel fetore di menzogna che al-
bergava dentro il silenzio dei loro discorsi lasciati a met. Tutti
avrebbero desiderato incatenarsi lun laltro per sentirsi pi uniti
in quel balletto di crimini e ipocrisie senza fine. In quella catena
di reciproche colpe e tacite omissioni, fatta di aria e non di metal-
lo, che per era talmente dura e tenace da non spezzarsi mai.
Ogni tanto qualcuno si alzava dagli scranni delluditorio am-
mutolito per denunciare a gran voce la propria condanna: siamo
tutti peccatori e nessuno innocente, diceva. Era falso. Quel-
lammissione di colpevolezza sottendeva un altro sottile inganno.
Unequazione perfetta. Sostenere che siamo tutti colpevoli e nes-
suno innocente equivaleva a ribadire che nessuno pi colpe-

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vole degli altri e siamo tutti innocenti allo stesso modo. Quellar-
tificio dialettico significava tutto e niente. Bisognava invece fare i
nomi, individuare i nemici, incastrare i veri malfattori del reato,
andare a fondo nella conoscenza di tutti i delitti commessi in no-
me della stabilit sociale. Chi era cos audace da lanciarsi in una
simile impresa? Qualcuno, pochi, nessuno. La conoscenza infatti
provoca sofferenza e il dolore ottenebra la vista e indebolisce il
cuore. Chi tentava di risalire a ritroso il fiume della conoscenza
fino alle cascate dellignoto, tornava subito indietro; smarrito,
disorientato, confuso. Quel groviglio inestricabile di fili e con-
traddizioni infinite era pazzesco. Quando qualcuno trovava la
forza di fare un passo in avanti, retrocedeva poco dopo di due
passi; come un gambero aggrappato agli scogli, per paura delle
onde e della spuma del mare. Loceano troppo grande. Il biso-
gno di conforto e protezione era molto superiore a quella indo-
mabile voglia di buttarsi con coraggio nel vuoto. Il timore di ri-
manere sospesi nel nulla e lassillo della precariet creava vertigi-
ne; funestava il sonno. Chi aveva sfiorato anche solo di striscio
quellassurda pazzia finiva per apprezzare meglio gli agi della co-
siddetta normalit.
Io ero pazzo; perch volevo conoscere tutto. La mia insaziabi-
le curiosit mi aveva trascinato fin da bambino a divorare interi
volumi di storia, geografia, scienze naturali. Mostrai molto presto
un notevole intuito matematico e una memoria fuori dal comune.
Quando avevo poco pi di dieci anni incontrai la poesia e fu lini-
zio della fine; la mia fame divenne cronica; la malattia era morta-
le. La poesia si present subito come lapogeo del mio precoce
amore per la conoscenza. Dopo avere scandagliato la superficie
della terra che mi girava intorno, la poesia apparve allorizzonte
della mia infanzia come una sirena sinuosa e ammaliatrice che mi
invitava ad entrare in un mondo sommerso; tutto ancora da
esplorare. Mi innamorai di quella splendida musa. Insieme a lei
mi tuffavo e mi immergevo negli sconosciuti abissi dellanima e
trattenendo il fiato ammiravo paesaggi incontaminati di rara bel-
lezza; coralli cremisi dalla pregiata fattura; gemme rilucenti di
purezza adamantina; antri bui e profondi scavati nella roccia, da
cui provenivano spesso rumori sinistri, voci strane, creature in-

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quietanti e meravigliose al tempo stesso. La poesia divent ben


presto il modo pi diretto e selvaggio di conoscere ci che non
aveva mai visto la luce in nessun libro del mondo. Sebbene fram-
mezzato da una rocambolesca sequela di fughe e ritorni, addii e
riconciliazioni, il nostro idillio si protrasse lungamente fino al pe-
riodo delle grandi domande. Allet delle scelte cruciali. Quando
sulla pelle candida e imberbe del fanciullo cominciano ad appa-
rire i primi segni e gli eccitanti pruriti della sopraggiunta puber-
t. E i dilemmi pungono dappertutto come spine.
Come tutti gli adolescenti ero ossessionato dal mistero del-
luniverso e smaniavo dalla voglia di capire come, quando, chi
aveva girato la manopola di quella radio impazzita chiamata
mondo. Ero giovane, allora. Un ragazzo piuttosto irrequieto e
scapestrato che dopo avere dato una fugace occhiata alla vita,
aveva trovato nella scrittura e nella lettura unancora di salvatag-
gio per rimanere a galla. Scrivere era lunico momento della gior-
nata in cui mi sentivo attivo e propositivo nei confronti del mon-
do. E scrivevo e leggevo di tutto. A quellet il passaggio dalla
poesia alla letteratura e alla filosofia diventava quasi obbligato.
Mi dilettavo a comporre versi strampalati di euforia e nostalgia
insieme, dove trapelava in controluce quella cupa e cavernosa
malinconia che non mi avrebbe mai pi abbandonato. Tuttavia
quando la rabbia e il risentimento raggiungevano il culmine, sca-
rabocchiavo sui miei diari sottili invettive contro la societ e sa-
gaci analisi antropologiche in stile Schopenhauer. Ogni tanto
provavo pure ad imbastire la trama di un racconto, ma avendo
pochi spunti e ancor meno esperienza del mondo, non riuscivo
ad andare oltre le premesse e la presentazione dei personaggi.
Avvilito dalla mancanza di ispirazione, mi gettavo con rinnovato
entusiasmo nella lettura dei maestri del passato; ripromettendo-
mi che un giorno avrei fatto tesoro dei loro insegnamenti per
scrivere anchio un romanzo completo. Dallinizio alla fine. Cos,
quasi per gioco; come se fosse un divertente passatempo.
Avendo poco tempo da dedicare alle mie passioni, la scelta dei
libri da leggere doveva essere molto accurata. Saltando a pie pa-
ri la brodaglia insipida dei romanzi di formazione e di appendi-
ce, mi ero subito catapultato anima e corpo dentro le fiamme del-

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le nevrosi umane; laddove il fuoco brucia di pi e rischi di rima-


nere scottato. Il primo libro che lessi dallinizio alla fine era di Pi-
randello. Un mio illustre conterraneo. Si intitolava Il fu Mattia
Pascal. Rimasi incantato dalla mirabile capacit con la quale il ge-
niale scrittore era riuscito a sviscerare la doppiezza e le ambigui-
t dellanima umana, fino quasi a frantumarla in mille piccolissi-
mi frammenti. Senza mai ununit. Un ordine. Un senso. E con-
tinuando per quella strada mi appassionai ad approfondire la let-
tura dei maggiori autori di fine Ottocento e primo Novecento.
Kafka, Musil, Huysmans, Flaubert, Mann. Quando per i miei
quesiti sulla vita e su Dio diventavano troppo invadenti ed elusi-
vi chiedevo ai filosofi un po di metodo e concretezza. Le loro
scatole magiche sembravano perfette. Finch non arrivai pure io
ad una mia personale soluzione dellarcano. Una conclusione ai
miei occhi ineluttabile.
Ricordo che era un pomeriggio assolato di primavera. Avevo
quindici o forse sedici anni. Mentre mi trovavo chino sulla scri-
vania, interruppi allimprovviso i miei studi e rapito da un furen-
te impulso, cominciai a scrivere una poesia in cui mettevo nero su
bianco il mio rapporto con la divinit. Nel giro di una ventina di
versi, Dio era diventato un concetto troppo ingombrante e spi-
noso per rientrare fra i miei argomenti di ricerca. Le temporali
catene da cui ero attanagliato mi impedivano di spiccare il volo
cos in alto e senza alcuna intenzione pretestuosa o irriverente, mi
sentivo gi abbastanza appagato dallunica cosa divina che fin l
avevo rintracciato sulla terra: il mio pensiero. La vita mi sembra-
va un affare troppo interessante per occuparmi di faccende che
stessero oltre essa e se proprio volevo sentirmi vicino a Dio, mi
sarebbe bastato alzare lo sguardo in cielo, accarezzare la cortec-
cia di un albero, sentire il fruscio del vento che sibilava fra le
fronde. La natura possedeva al suo interno tutto ci di cui avevo
bisogno per nutrire sentimenti alti e a differenza di Dio non in-
cludeva nei suoi anfratti, contraddizioni morali o paradossi ideo-
logici. Per semplificare. La difesa dellambiente era molto pi im-
portante della venerazione di Dio, perch se le piante forniscono
al mondo ossigeno, bellezza, sostentamento, Dio, sotto i diversi
aspetti della religiosit e della mistificazione, poteva a volte esa-

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cerbare certi conflitti, ottundere lintelletto, fino quasi a togliere


completamente la responsabilit e la capacit di azione agli uo-
mini. Ovviamente questa rinuncia a Dio non comportava un atto
di chiusura inderogabile verso tutti i misteri e gli arcani sottesi
dalle sue varie vestigia, ma al contrario, una scarnificazione del
superfluo per andare dritto al nocciolo, al cuore della questione.
Se Dio cera, questa entit non poteva che trovarsi nella natura
stessa e tutti i torti commessi dagli uomini nei confronti della vi-
ta rappresentavano dunque un abominio imperdonabile nei con-
fronti di Dio in persona. Conclusi la poesia riferendomi a Dio
con frasi lapidarie, quasi profetiche: Assurdo Universo Immen-
so, Prima Ragionevole Grandezza ti anima. Universo esiste per
noi, Dio esiste per Tutti. Luce illuminante, buio stimolante. Tra-
scendente distanza, immanente vicinanza.
Successivamente, il panteismo di Spinoza e la rigida razionali-
t di Kant mi diedero il loro contributo per avvalorare la mia te-
si. Tuttavia, durante i miei spericolati vagabondaggi fra i deserti
della sapienza antica, mi imbattei in Nietzsche e fu amore a pri-
ma vista. Il filosofo tedesco divent come un padre per me; un
vate illuminato da cui trarre insegnamento e consiglio. Tenevo
sempre sul comodino uno dei suoi libri e quando la sera mi sen-
tivo agitato da qualche pensiero di troppo, spulciavo fra le pie-
ghe di quella intelligenza disarmante e prendevo subito sonno;
placido e giocondo come un bimbo che ha appena ascoltato una
soave cantilena. Mi consolava lidea di sapere che nel mondo fos-
se transitata unanima cos nobile. Lamore per la verit di quel-
luomo era pari soltanto allodio per la menzogna e anchio, come
lui, cominciai a ritenere che queste due forti pulsioni dello spiri-
to non potessero coesistere separate. Per essere dei veri uomini
non bastava avere una sensibilit buona, docile, riflessiva, ma
quando serviva bisognava pure utilizzare tutte le armi dellintel-
letto; anche quelle pi spietate, ciniche, dissacranti. Come diceva
sempre Nietzsche, per capire meglio le cose del mondo era ne-
cessario collocarsi idealmente in una posizione di assoluta supe-
riorit; al di l del bene e del male. Al di sopra di qualunque pre-
giudizio morale o luogo comune di sorta. Le pretese di livella-
mento e omologazione delle nuove democrazie oligarchiche era-

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no soltanto un freno e un bavaglio per la creativit degli individui


pi dotati. Un antidoto al rinnovamento. Ragion per cui, soltan-
to chi avesse avuto lardore e il coraggio di togliere il velo ai bi-
slacchi camuffamenti di certe ideologie, avrebbe potuto fare un
passo avanti verso la verit e smascherare tutte le bugie. Sia di de-
stra, che di sinistra. Sia dei laici, che dei religiosi.
Ad ogni modo lanimosit e il livore con i quali mi scagliavo in-
timamente in questa lotta furiosa contro il mondo denotava spes-
so un parossismo preoccupante. Perch? Perch tutta quella rei-
terata recrudescenza di fronte alle classiche patologie del male?
Chi credevo di essere io per assumermi un tale impegno?
Insomma, cose a cui pensare ne avevo tante in quella fosca se-
ra di settembre; eppure, con la mia solita indolenza altezzosa e
strafottente, non fu difficile per me neanche in quella occasione
rimandare le risposte al giorno dopo; insabbiando i dubbi sotto
la speranza che il futuro avrebbe sciolto ogni dilemma. Se lo stu-
dio aveva occupato per troppo tempo la mia mente e rappresen-
tato il mio unico scopo nella vita, adesso dovevo essere abile ad
inventarmi nuovi traguardi da tagliare. La competizione mi esal-
tava. La ricerca del lavoro poteva essere la prossima tappa della
mia lunga corsa. Niente di pi e niente di meno. Milano non mi
piaceva; bene, avrei cambiato citt. Lindomani sarei andato a
Bologna. Nonostante non conoscessi nulla del mondo del lavoro,
non difettavo certo di determinazione e intraprendenza. E cos,
liberando un ghigno beffardo, mi allontanai dalla finestra e mi
sdraiai sul letto per riposare.

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CAPITOLO 2

LAmore un uccello rapace

Dopo un paio di mesi di intense ricerche trovai un lavoro. In


verit non si trattava di un vero lavoro, ma di un corso di specia-
lizzazione che alla fine avrebbe consentito a due dei partecipanti
di essere assunti dallazienda organizzatrice. Il luogo di destina-
zione era incantevole, le Marche. Una regione immersa in una
tranquillit quasi surreale; al di fuori del tempo. La citt, Pesaro,
si trovava al confine con la Romagna e a ridosso della riviera
adriatica. Il mare era molto diverso per colori e trasparenza da
quello della mia Sicilia; ma il solo fatto di averlo cos vicino mi
confortava lanima. Il dolce sciabordio delle onde sulla battigia
mi allietava lumore. Avevo come limpressione che la presenza
del mare avrebbe potuto allargare i miei orizzonti, le prospettive.
La mia scelta era stata un po controtendenza; mentre tutti i
miei colleghi si trasferivano nelle grandi citt in cerca di facili
successi, io mi stavo isolando nella ricca provincia. Le ragioni
della mia fuga erano molteplici. Siccome non mi sentivo ancora
pronto per entrare a pieno regime fra gli ingranaggi del sistema,
il corso mi sembrava una buona soluzione intermedia; un ottimo
compromesso. Un modo come un altro insomma per allungare il
brodo e assicurarmi un ingresso pi morbido fra gli uffici e le
scartoffie. Lelevata qualit della vita che si respirava nella pro-
vincia era poi un motivo in pi per rimanere. In effetti per que-
ste erano le giustificazioni pi plausibili e razionali che mi aveva-
no indotto ad abbracciare una decisione cos avventata. Ma la ve-
rit pi intima e profonda era unaltra. Ancora una volta mi ero
lasciato trascinare dallistinto, che inorridito dalle alienanti di-
spersioni delle metropoli, aveva cercato un comodo rifugio dove
coltivare i languori e gli aneliti della sua delicata sensibilit. Il
poeta aveva prevalso sullingegnere. La mia ispirazione avrebbe

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tratto sicuramente maggiori benefici dalle soffici colline tondeg-


gianti; in mezzo ai boschi verdi e rigogliosi dellentroterra; fra i
flutti del mare che dolcemente si adagiavano sulla costa.
Se la ragione fosse stata pi vigile e accorta avrebbe fatto ben
altre considerazioni. Lazienda che sarebbe stata pronta ad assu-
mermi alla fine del corso si occupava della produzione di grosse
macchine e impianti industriali per la lavorazione dei legnami.
Gli stridori e i cigolii che provenivano dal reparto di fabbricazio-
ne avrebbero dovuto quantomeno farmi sorgere qualche patema.
Se non proprio rabbrividire. La tecnica mi repelleva, osteggiavo
il progresso scientifico come il peggiore dei mali della terra e il
pretesto che per lunghi anni aveva giustificato la mia laurea in in-
gegneria era quello solito di tutti i sognatori: conoscere il sistema,
entrare dentro i suoi ingranaggi e poi cambiare il senso di rota-
zione delle turbine, per conferire un aspetto pi tollerabile e na-
turale alla vita. Era mai possibile tutto ci? Inoltre non ero pi
un ragazzino. Avevo compiuto 28 anni e non era pi tempo di
scherzare con i vaneggiamenti delladolescenza. Dopo il tragico
attentato alle Torri Gemelle di New York, la crisi economica gi
galoppante si era drasticamente acuita e un eventuale passo falso
da parte mia avrebbe potuto compromettere la mia futura carrie-
ra. Senza rendermene quasi conto, il prolungato periodo della
spensierata e scanzonata giovinezza aveva preso il volo nel modo
pi traumatico possibile e la mia odissea nel mondo stava comin-
ciando sotto i peggiori auspici. Ma valeva la pena rischiare? Per-
ch tanta fretta? Quanto sarebbe durato ancora quel gioco di
maschere e coperture?
Le domande da porsi erano molte, eppure ricordo che al mo-
mento di prendere quella decisione non ebbi neanche un dubbio
o unesitazione. Ero completamente obnubilato dalle mie vacue
chimere. Come ho gi detto, consideravo il lavoro una parte se-
condaria della mia vita, un sacrificio da rendere alla societ in
cambio del mio pezzo di libert; non ero interessato al denaro,
tutti gli affanni degli uomini per accaparrarsi lauti guadagni o
vantaggiosi riconoscimenti sociali mi sembravano futili inezie, se
confrontati con le meraviglie e i misteri della vita. Inoltre, le orri-
bili trafile burocratiche cui ero stato sottoposto in quegli ultimi

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mesi, la ricerca di un impiego, le selezioni, i colloqui, erano fasti-


diose perdite di tempo; occupazioni che mi tediavano fino alla
nausea. Mi disgustava lidea di dover continuamente dimostrare
a degli sconosciuti il mio valore, perch ritenevo che fosse gi
lampante dalle carte che parlavano per me. In verit, avevo da
sempre vissuto solo per lo studio. I miei reali interessi, sebbene
vaghi ed evanescenti, erano orientati su altri obiettivi. In teoria,
era come se avessi gi deciso di consacrare la mia intera vita alla
conoscenza e in pratica non sapevo fare nulla. Tuttavia se non
stavo cercando un lavoro, cosa mai mi aspettavo di trovare nel
mondo? Rispondere me stesso sarebbe stato troppo impegnativo,
perch presumendo a torto di conoscermi bene, sarei stato co-
stretto a mettere in discussione tutto il mio passato; di converso,
dire la verit, Dio o altre menate simili avrebbe comportato un
eccesso di confidenza con argomenti accantonati da tempo nel
dimenticatoio della coscienza. Non rimaneva altro che puntare
tutto sullamore. Gi, lAmore.
Quando un poetastro come me, un neofita e un dilettante del
bel canto, si mette in cammino per le strade del mondo chiaro
che arde dalla voglia di incontrare la sua musa ispiratrice. Dopo
una serie di relazioni brevi e sconclusionate, che mi avevano visto
fuggire proprio sul pi bello, adesso mi sentivo pronto per ab-
bandonarmi ad una passione travolgente, emozionante. Impor-
tante. Mi fidavo delle mie impressioni e sapevo che l fuori, da
qualche parte, viveva e sospirava la mia anima gemella. E pure in
capo al mondo, io lavrei trovata. Questa era unaltra delle mie
infinite contraddizioni. Non credevo in Dio, non mi ero mai affi-
dato alla provvidenza, sostenevo che ognuno artefice del pro-
prio destino, avevo una chiara cognizione dellaspetto caotico
dellesistenza; eppure, ero certo che quellincontro sarebbe avve-
nuto. Da dove provenisse tanta sicurezza non era ancora dato sa-
persi, ma siccome la Fortuna in passato non mi aveva mai volta-
to le spalle, non esisteva alcun motivo per dubitare proprio ora
del suo appoggio. Quando vivi per troppo tempo immerso, an-
negato fino al collo, nelle tue illusioni, poi difficile che impari
ad accettare la realt cos com. Con la mente veneri il caos, ma
con il cuore cerchi di mettere ordine dappertutto.

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Ad ogni modo, anche in questo caso le mie supposizioni erano


esatte. In una calda mattina destate Lei arriv e la mia vita cam-
bi in eterno.
La successione di eventi e coincidenze propizie fu cos peren-
toria da sfuggire presto al mio controllo. La primavera era agli
sgoccioli e il corso si avviava alla fine. A causa delle dimissioni
quasi contemporanee di due colleghi, lazienda si trov costretta
a confermare la mia assunzione nel reparto assistenza. Natural-
mente, per orgoglio e vanit personale, non potevo ammettere a
me stesso che la Fortuna avesse avuto un ruolo determinante in
quellintreccio e mi trastullavo nella presunzione di essere un vin-
cente. Un uomo destinato per nascita e costituzione ad emergere
dalle melmose paludi della mediocrit e dellinconcludenza. La
calda stagione si preannunciava promettente; per alcuni mesi
lazienda mi concesse un lussuoso appartamento in centro da
condividere con un collega spagnolo, finch non avessi trovato
una sistemazione definitiva. Tutto girava nel verso giusto; nuove
amicizie, nuovi incontri, nuove abitudini. Come un leone sornio-
ne e tracotante mi aggiravo in quelle terre straniere in cerca di
una piccola gazzella da sbranare. Pur non avendo i connotati e i
mezzi del grande seduttore, in genere non dovevo impegnarmi
troppo in queste perlustrazioni, perch erano loro stesse, le mie
prede, a cadere in trappola, lasciandosi attirare dalle stranezze e
dalle ambiguit del mio carattere; eclettico e multiforme. Allegro
e divertente come un giullare quando il sole era alto; cupo e te-
nebroso non appena la notte strisciava fra le arcate della volta ce-
leste e il cielo si dipingeva di stelle. Secondo le parole di molte di
queste sprovvedute donzelle, io ero diverso. Questo era laggetti-
vo che mi veniva appioppato pi spesso. In cosa consistesse la
mia diversit, nessuna per fu capace di spiegarmelo. E con il
tempo, io mi convinsi che questo aggettivo facesse da sinonimo
ad altri attributi ben pi ingombranti, come: superiore, unico.
Inimitabile.
La mia diversit esigeva quindi una grande storia damore, una
gemma rara, che fosse allaltezza della mia stessa rarit. E il gran-
de sogno che stavo aspettando da una vita cominci proprio du-
rante una mattina che segu una notte di mezza estate.

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Questa volta non ci fu neppure bisogno di cacciare, perch la


povera sventurata entr lei stessa con i suoi piedi nella tana del
lupo. Marilena si intrufol nella mia stanza in qualit di tiroci-
nante dellazienda e quando ingenuamente acconsent a rimane-
re a due spanne dal mio letto, non sapeva ancora di avere decre-
tato la sua fine. Non aveva scampo. Anche solo per mettere alla
prova le mie doti di ammaliatore, io dovevo mordere, azzannare,
squartare. Senza troppe remore o ripensamenti. La sorte era sta-
ta cos benevola con me da tirare di nuovo i dadi in mio favore e
io mi sentivo quasi obbligato a ricambiare tanta generosit. Stavo
giocando con il fuoco. Mai nessuna fiamma bruci cos delicata-
mente lanima. Il cuore.
Sar sincero con voi. Il mio primo incontro con Marilena non
fu niente di eclatante o memorabile; al momento della presenta-
zione mi mostrai subito molto freddo e distaccato; forse stavo so-
lo recitando la mia parte, per stuzzicare ancora di pi la curiosi-
t della vittima designata. La ragazza comunque con i suoi modi
sempliciotti e i lineamenti procaci non era per niente simile al-
lideale di donna che avevo sempre vagheggiato nella mia fanta-
sia. Il destino beffardo anche in questo: ti cambia le carte in ta-
vola, senza che tu te ne accorga. Avevo da sempre immaginato di
essere affiancato per la vita da una compagna altera ed elegante,
raffinata e colta e invece fui ben presto soggiogato dalla malizia e
dalla civetteria di una prosperosa ragazzona di campagna. Dalla
volutt grossolana e dallistruzione lacunosa. Sia in bene che in
male, tutto era esagerato in lei e profumava di pane appena sfor-
mato. I capelli corvini, le guance rubizze, i tessuti tenaci, le for-
me abbondanti, i comportamenti rozzi, la corporatura possente.
Il carattere di quella donna era stato scolpito nella roccia. Dai
suoi occhi rilucenti come due verdi smeraldi, non traspariva al-
cun contagio, come se la ragazza non avesse mai subito alcuna
frustrazione e non conoscesse niente di quegli oscuri malesseri
esistenziali che affliggono i giovani. Era pura e incontaminata co-
me un campo ancora da arare. La sua luminosit era pari alla sua
bellezza. Senza quella luce e quellinnocenza, Marilena sarebbe
stata uno scempio nei confronti delluniverso.
Da navigato esperto della limatura e del cesello mi prefigurai

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di fare di quella pietra grezza la mia pi imponente opera darte;


una vera e propria scultura vivente. E Marilena allinizio sembra-
va entusiasta allidea di sottoporsi a questi corsi accelerati di co-
noscenza. La ragazza dopo quel lungo digiuno era affamata di
cultura e apprendeva con una voracit sorprendente. Ma cera un
trucco. Come scoprii durante la nostra prima notte insieme, la
natura aveva dovuto usare uno stratagemma per mantenere inal-
terata nel tempo tanta salubrit e avvenenza. Mentre ai piedi del
mio letto campeggiava con fierezza una pila di libri, fra cui il clas-
sico dei classici del maestro Nietzsche, Al di l del bene e del ma-
le, la ragazza per non essere da meno tir fuori dalla borsa il libro
che accompagnava tutti i suoi giorni, e i silenzi della quiete ve-
spertina. Le confessioni di SantAgostino. Il diavolo e lacqua-
santa. A pochi centimetri di distanza si fronteggiavano a nostra
insaputa due mondi ostili, lun contro laltro armato, che da se-
coli si erano asserragliati sulle rive opposte di uno stesso fiume.
Capii che dovevo avanzare con estrema prudenza per non turba-
re troppo la sensibilit della ragazza, lo scontro frontale sarebbe
stato fatale per entrambi; bisognava aggirare lostacolo, agire di
rappresaglia e lei dopo diversi indugi e tentennamenti cadde nel
tranello. Ci gettammo tutti e due nel fiume e fu subito lalluvio-
ne. Galeotti furono quei libri e coloro che li scrissero.
Tralascio tutti i particolari piccanti del connubio, che fanno
parte della letteratura e vado dritto al sodo; alla filosofia. Con
mio disappunto dovetti presto convenire che la ragazza non era
stata soltanto fuorviata dal candore dei precetti evangelici, ma
stregata, concupita, rapita dalla grandezza del Dio che di quel
Regno era il sovrano. I suoi grandi occhi verdi brillavano solo per
Lui e tutto il resto era un riflesso di quel primigenio bagliore.
Marilena aveva per il Padreterno una devozione spropositata,
che sfociava spesso in uno scambio talmente intimo e confiden-
ziale da superare di mille leghe lamore della donna per luomo
che le faceva vibrare il petto e battere il cuore. Uno smacco per
me intollerabile. Anche se incuriosito dalla novit inconsueta di
un simile rapporto a tre, io dovevo questa volta competere con
un rivale che non conoscevo, non vedevo, da cui non potevo e
non sapevo difendermi. Questavversario senza volto e senza

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identit si incuneava furtivamente in ognuno dei nostri discorsi,


si infilava in modo fraudolento fra le lenzuola del nostro talamo,
si frapponeva impunemente sulla scia dei nostri sguardi. La cir-
costanza per pi avvilente era che io non riuscivo nemmeno ad
essere geloso di Lui; perch se fosse stato cos, avrei indiretta-
mente confermato una presenza e unesistenza a cui non avevo
mai creduto. Dio, e il Dio cristiano in particolare, era per me uno
spettro, un fantasma, una suggestiva macchinazione messa in pie-
di da avidi sacerdoti e furbi sacrestani. E lunica arma che cono-
scevo per combattere una simile mostruosit della morale distor-
ta erano le frecciatine insipide e pungenti della mia ironia.
La mia razionalit aveva per troppo tempo ignorato, eluso, re-
legato in un angolo la questione religiosa per potere adesso ri-
trattare tutto quanto; soprattutto se gli inviti a riconsiderare lin-
tera faccenda provenivano dai frementi palpiti di una fanciulla
innamorata della sua illusione. Tante volte, neppure lei stessa sa-
peva spiegare quali fossero le ragioni e i cardini della sua fede e
arrancava di fronte alla rigida compostezza dei miei sillogismi. Il
confronto era improponibile. Al massimo quellabbaglio infanti-
le impresso sul viso di Marilena riusciva a suscitare in me mag-
giore tenerezza ed era un motivo in pi per giustificare la mia vi-
cinanza, la mia protezione. La ragazza era troppo fragile, inge-
nua, un sottile fuscello al vento e chiunque avrebbe potuto ap-
profittarsi di cos tanta verecondia. A causa della sua innata
fiducia negli altri, Marilena senza saperlo viveva in un costante
stato di pericolo e quasi per istinto io mi sentivo spontaneamen-
te sospinto a correre in suo soccorso. Avvicinandomi con tatto e
prudenza alle sue contraddizioni, per evitare di deturpare una
bellezza e uno splendore che proprio da quei paradossi prende-
vano luce. A quel tempo non potevo nemmeno lontanamente im-
maginare che le ragioni della fede di Marilena fossero molto pi
robuste e resistenti della saldezza del mio intelletto.
Ad ogni modo la questione principale dei nostri dibattiti era
sempre la stessa. Marilena fin dallinizio guardava con qualche
sospetto e riserva la nostra possibile unione, perch essendo pi
che mai sicura che il suo Dio avesse voluto farci incontrare, si
chiedeva continuamente per quale motivo fosse stata sottoposta

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a quella prova. Forse il suo compito era quello di convertire un


infedele? Oppure doveva resistere alle tentazioni del maligno?
Chiss; la ragazza si contorceva, indietreggiava, ma poi quando i
dubbi si affievolivano, si lasciava andare con rinnovato slancio al-
la passione; convinta che un giorno avrebbe capito meglio il sen-
so della sua missione. Da parte mia invece, non esisteva alcun
dubbio; la natura stava facendo il suo corso e aveva fatto in mo-
do che due individui sani e forti potessero compiere il loro dove-
re per il miglioramento della specie. Le leggi della selezione natu-
rale sono incontrovertibili e non appena il caso riesce ad avvici-
nare due poli opposti, due magneti, due anime ugualmente nobili
ed elette, non esiste ostacolo o vincolo umano che possa impedire
lineluttabilit di quel legame. Lamore era proprio questo. Lapo-
teosi e la sublimazione di regole e principi che erano gi scritti a
caratteri cubitali nel grande libro della natura; nella roccia; nel-
laria; negli atomi. Dallinfinitamente piccolo allimmensamente
grande. Non cera dunque bisogno di scomodare Dio, il destino,
la provvidenza per spiegare una simile anomalia, perch se qual-
cosa di divino si manifestava davvero nella nostra coppia, doveva
ricercarsi nella superiorit di certe leggi rispetto ad altre. Amor
vincit omnia. La natura quando vuole abbatte, travolge, unisce
ci che gli uomini cercano di mantenere separato.
Ma poi eravamo davvero cos diversi io e Marilena? Risposta
secca. No. Noi avevamo fatto due percorsi differenti per giun-
gere alle stesse conclusioni. Credevamo entrambi nei valori del-
lonest, della sincerit, della lealt; nutrivamo un grande tra-
sporto per lamicizia e per la famiglia; cercavamo un amore di
cui non saremmo stati mai stanchi. Eravamo pazzi. Tutti e due
ambivamo ad essere felici su questa terra. Soltanto che Marilena,
per raggiungere questo traguardo, aveva scelto di percorrere la
strada della fiducia cieca e convinta in qualcosa di superiore a
cui abbandonarsi; con umilt. Anima e corpo. Mentre io, essen-
do pi superbo e sicuro delle mie capacit, avevo intrapreso un
sentiero pi ripido; irto; denso di pericoli. Ero incosciente, spe-
ricolato. Osservavo tutto con estrema diffidenza, studiavo atten-
tamente ogni cosa, trovavo quasi sempre nella cultura una rispo-
sta a tutti i miei affanni. Se Marilena camminava nella luce, il

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mio stato danimo abituale era invece la penombra. Un grigiore


soffuso che giorno dopo giorno diventava sempre pi fitto e im-
penetrabile e impediva alla mia anima di lasciarsi andare total-
mente agli impeti della vita. Tutte quelle manifestazioni di beati-
tudine e gaiezza ostentate platealmente dai cattolici mi sembra-
vano spesso atteggiamenti posticci, costruiti, forzati. Di cosa ri-
devano mai questi devoti? Possibile che non riuscissero a vedere
tutte le catastrofi che avvenivano nel mondo? Quella luce effi-
mera da cui erano attratti era davvero cos abbagliante e sopori-
fera? Ridevo della loro faciloneria e goffaggine. E non paventa-
vo ancora che il buio dentro il quale mi stavo mano a mano rin-
chiudendo non mi avrebbe mai consentito di guardare ad un
palmo pi lontano dal loro naso.
Il buio e la luce. La notte e il giorno. Il sole e la luna si stava-
no compenetrando a vicenda; avevano sfidato con coraggio tutte
le leggi della storia umana per vedere altro, guardare altro, capi-
re altro. Salire pi in alto di tutti gli altri. La nostra diversit era
una ricchezza da preservare dallo sguardo dei passanti e dalla
sciatteria delle sentinelle. Ma dove saremmo arrivati continuando
su quel cammino? Fino a Dio forse?
In mancanza di una risposta certa, io e Marilena decidemmo di
comune accordo di mettere da parte per qualche tempo i libri
della contesa e di leggere insieme le affinit elettive di Goethe. La
chimica prevalse sullideologia. Il corpo soppiant lo spirito. Due
particelle destinate per natura a stare insieme, quando si incon-
trano per caso nello spazio si fondono insieme in ununica so-
stanza e fanno volatilizzare tutto il resto. Il superfluo. Inizi cos
la lunga estate calda. La pi bella stagione della mia vita.
Leternit per un brivido. La felicit come una bufera che
una volta passata non ricordi pi cosera; cosa significava stare l
in mezzo; fra i fulmini, il vento, la pioggia battente; le emozioni
che saltellavano sulla pelle risalendo da chiss dove, da chiss
quando. Dal cuore? Dallanima? ingenuo chi crede che la feli-
cit non possa esistere sulla terra, ma ancora pi sprovveduto co-
lui che ritiene possibile estendere allinfinito nel tempo un senti-
mento che per sua stessa natura fugace; rapido; come unim-
pressione; uno schizzo; un verso improvvisato che dopo essere

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stato scritto sul foglio non pi lo stesso. Gi nel momento in cui


le parole arrivano alla coscienza qualcosa di quelloriginario im-
pulso si perso; figurarsi dopo; quando quei segni rimangono
impressi sulla carta; come tracce indelebili nella memoria. Se fos-
simo stati pi accorti, io e Marilena avremmo dovuto prevedere
che le nubi nere allorizzonte di quella stessa estate non prean-
nunciavano nulla di buono. Molte volte fummo colti alla sprovvi-
sta dai violenti acquazzoni di fine stagione. A settembre il cielo
cominci a lanciare lampi e saette sopra le nostre teste, come se
si fosse allimprovviso ribellato a quellidillio tanto scabroso e sa-
crilego. Il sole di colpo cambi faccia; la luna mostr per la pri-
ma volta il suo lato oscuro; ma pi che le stelle e i pianeti furono
gli uomini a tirare e rompere i legacci di un sodalizio che creava
scandalo ed imbarazzo. Un legame talmente forte e duro da di-
ventare presto poco malleabile; fragile.
Le nostre vite cominciarono lentamente ad incamminarsi su
due strade diverse. Mentre Marilena era tutta intenta a persegui-
re il suo ideale di famiglia perfetta, con tanto di messe domenica-
li, figli chierichetti che cantano nel coro della parrocchia, marito
che legge il giornale a colazione; io me ne stavo invece tutto con-
centrato su me stesso, per capire quale fosse il vero senso della
mia vita. Trascurando forse la cosa pi semplice: il significato
dellesistenza tanto cercato poteva essere tutto l, davanti a me; in
quegli occhi di smeraldo dal sapore antico, in quella voglia infi-
nita di attenzioni e tenerezze. Nella carne e nellanima della don-
na che presto non avrei mai pi avuto. E cos dopo quasi due an-
ni di tira e molla, fughe e ritorni, problemi con il lavoro, con la
famiglia di lei, con il suo Dio, Marilena mi lasci; gettandosi fra
le braccia di un ufficiale di carriera; che offriva alla ragazza mag-
giori garanzie e sicurezze per il futuro. Per me quellepisodio
equivalse alla caduta di un impero. La manfrina incresciosa di
bugie e sotterfugi finali che Marilena inscen per nascondere la
sua nuova tresca, scaten dentro di me un terremoto di rabbia e
delusione di tale e tanta intensit che ancora stenta a sopirsi. La
fine di quel grande sogno coincise con linizio di un incubo; mol-
to pi grande e portentoso del primo.

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CAPITOLO 3

Il morso della Musa

Ero distrutto. Mi sentivo tradito dallunica persona che avreb-


be potuto capirmi in questo mondo. Non riuscivo a capacitarmi.
Io mi fidavo di Marilena e lei aveva tramato alle mie spalle quel
perfetto piano di fuga. Programmando i tempi con precisione
chirurgica. Studiando bene quali parole avrebbe dovuto usare
per sbarazzarsi di me. Tenendomi alloscuro della verit. Lascian-
domi per mesi ad attendere un suo possibile ritorno. Dimostran-
dosi, in breve, molto pi furba e scafata di me. I ruoli si erano im-
provvisamente invertiti, creando ai miei occhi uno scenario di in-
credulit e di sgomento che non aveva senso. Io ero lingenuo e
lei era quella scaltra. Io ero lilluso e lei era quella capace di af-
frontare la vita con fermezza, praticit, cinismo. Tutto ci che era
accaduto in precedenza era soltanto una recita a due, un monolo-
go bipartito, in cui ognuno faceva credere allaltro qualcosa che
in realt non era. Io stesso avevo vissuto in passato da comme-
diante, interpretando una parte che non mi competeva affatto.
Mi ritrovai, per la prima volta nella mia vita, solo.
In una citt in cui non avevo mai vissuto; facendo un lavoro
che non avevo mai scelto; in mezzo a quelle macchine infernali
che rombavano nelle mie orecchie come il gracchio macabro di
corvi ed avvoltoi. Volevo fuggire. Ma in quelle condizioni dispe-
rate in cui versavo non sarei riuscito a sopravvivere neanche un
giorno altrove. Dovevo scappare da me stesso. Non sopportavo
pi quella litania di rimpianti e recriminazioni che turbinavano
vorticosamente nella mia coscienza; pulsando nelle tempie; mar-
tellando con echi sinistri dentro il cranio. Inscenai alcuni patetici
tentativi di suicidio. Scrissi tre commoventi lettere di addio per
cercare di giustificare il gesto inconsulto che presto avrei com-
piuto: una era per Marilena, unaltra per la famiglia e lultima per

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i miei amici. Non ebbi per il coraggio di imbucare le missive e


per tanti giorni rimasero dentro il cassetto del comodino a ricor-
darmi quanto fossi vigliacco. Aumentai le dosi di ansiolitici per
accumulare qualche ora di sonno in pi e per riprendere un bri-
ciolo di lucidit. Ma luragano era allapice della sua furia e dor-
mire rimase per tanto tempo un lontano ricordo. Nel giro di po-
chi giorni ero transitato in un battibaleno dalla vita alla morte;
passando per lamore.
In modo sordido e traumatico scoprii in fretta quel nuovo
aspetto dellamore. Il sentimento da tutti osannato come cura ad
ogni male, non era soltanto una bella rosa con qualche spina; non
era una delicata violetta di campo, che suscita struggimento e an-
sia di desideri inappagati; non era nemmeno un sorridente frin-
guello che svolazza sopra un prato fiorito. Ma un uccello rapace.
Un tremendo avvoltoio dalle ali immense, che ti guarda dallalto,
scruta le tue mosse, ti segue dappertutto e poi, approfittando dei
tuoi momenti di debolezza, si avventa con inusitata ferocia sul
tuo costato; arde dalla smania di dilaniare la carne e arrivare drit-
to al cuore degli uomini. Lanima delle creature pi innocue e
sensibili il suo nutrimento preferito. Quella bestia selvaggia
preferisce infatti sfogare tutta la sua bramosia e voracit sulle
prede pi esposte al martirio; affondando gli artigli acuminati
laddove i tessuti sono pi teneri; divorando con il becco adunco
le arterie e le membrane degli organi vitali meno induriti e incre-
spati dal tempo. Assistevo impotente al massacro. Inorridito. Da
trionfatore irriverente e gagliardo della vita, ero diventato la vit-
tima designata di un terribile carnefice.
Attimo dopo attimo, con spietata solerzia, la mia anima veniva
estirpata dal corpo per essere gettata l, davanti al mio sguardo
attonito e inebetito; prima di essere ingoiata per sempre dalle
fauci di quel mostro crudele chiamato amore. Tutto ci che vidi
in quel frattempo non mi piacque per nulla. Me ne stavo disteso
per ore sul letto a fissare il soffitto; volevo gridare, urlare tutta la
mia rabbia, ma dalle labbra serrate non usciva neppure un gemi-
to; mentre gli occhi sbarrati erano costretti a guardare. Sulle pa-
reti della stanza rimbalzava con tonfi sordi e macabri, una bolla
invisibile di aria, piena di odio e risentimento, raccapriccio e tor-

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pore. Quella era la mia anima. Unombra fetida che strisciava sul-
lintonaco, scivolava sul mobilio, serpeggiava fra le ante aperte
degli armadi e poi risalendo su dai piedi del letto, si adagiava di
nuovo sul mio corpo; avvinghiandosi cos forte al collo fino a sof-
focarmi. Quel grumo rancido di rancore rappreso seccava ogni
goccia di saliva rimasta in gola e nemmeno tutta lacqua del ma-
re sarebbe riuscita a ridarmi un minimo di ristoro. Abbrutivo,
inesorabilmente. Inaridivo; marcivo nellinedia di ogni istinto e
ogni reazione, senza opporre alcuna resistenza.
Tutto mi era molto chiaro adesso. In passato avevo sempre ri-
cercato la solitudine per ritrovare me stesso e per allontanare da
me i frastuoni impazziti del mondo; ma invece fuggivo, mi na-
scondevo, mi trinceravo dietro le mie illusioni per non vedere e
capire chi fossi veramente. Per non guardare il mondo che mi
aspettava fuori dalla porta. Quella solitudine che prima era un
comodo riparo e un pretesto di altero distacco, ora era diventata
la mia maggiore condanna. Non riuscivo pi a stare solo con me
stesso. Non mi sopportavo. Mi odiavo. Ripensando al passato,
vedevo sfilare uno ad uno il corteo funebre di tutti i miei errori.
Ma il passato ormai suonava alle mie orecchie con lo stessa ma-
linconica melodia di una lontana arcadia della memoria; a quel
tempo credevo di potere bastare a me stesso, di potere sopperire
a qualunque mancanza, di non subire il peso dei pesanti fardelli
da cui gli altri sembravano gravati; ridevo facilmente di ogni co-
sa, non mi sentivo affannato da nulla, avevo bisogno di tutto e di
niente in particolare. Al massimo consideravo questa assenza to-
tale di una vera mancanza il mio limite pi grande; avrei voluto
fare di pi, avrei voluto essere pi utile agli altri, avrei voluto par-
tecipare e incidere di pi sulla vita di qualcuno; avrei voluto che
qualcuno sentisse di pi la mia mancanza. Avevo forse troppe
aspettative per la vita. Fremevo nellattesa di qualcosa di impor-
tante; come un viandante ramingo che aspetta il suo treno per
balzarci su e cominciare a viaggiare in cerca del suo piccolo an-
golo di felicit. In verit vivevo soltanto nella vaga illusione di lei,
e dellamore. Quello vero. Quello eterno.
In virt di questa tacita convinzione mai veramente ammessa a
me stesso, ritenevo di essere un uomo forte, determinato, sicuro

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di potere sbaragliare con ardore qualsiasi impedimento o diffi-


colt mi si parasse davanti. Non temevo nessun confronto perch
gli altri, quelli che non nutrivano sentimenti alti e valori nobili,
erano troppo flaccidi e inconcludenti per competere con me. E
cos, tronfio e baldanzoso di questa certezza, mi ero lanciato nel
mondo per andarmi a prendere tutto ci che mi spettava di dirit-
to. Non sapevo ancora che fosse lei. Quando vivi come io ho vis-
suto, lasciandoti trascinare dagli eventi, non puoi capire; perce-
pisci, intuisci, senti; ma capisci sempre dopo, quando ormai
troppo tardi per rimediare. Se ero stato cos fortunato in passato
da conoscere solo il crepitio delle piogge battenti e degli acquaz-
zoni, non significava che la grande tempesta non sarebbe mai ar-
rivata. Soprattutto se da qualche tempo le correnti della vita mi
avevano spinto in mare aperto e ed era proprio l, in quegli spazi
tanto esposti, che il cielo scatenava le sue implacabili furie. Uno
come me che si vantava di conoscere il mare, doveva prevedere
simili calamit. Sapere che solo le navi ben fatte resistono agli
uragani, mentre io, che ero un veliero sgusciante e rapido di ma-
novra, avrei potuto affondare subito al primo vero colpo di ven-
to. La bufera mi aveva colto impreparato. In quanto, fra le altre
cose, non immaginavo nemmeno che quei nobili sentimenti e
grandi concetti di cui mi fregiavo, mi avevano reso immensamen-
te pi vulnerabile ed evanescente degli altri. Talmente poco an-
corato alla concretezza della vita da diventare quasi impalpabile.
Come uno spettro. Un fantasma.
La tempesta aveva fatto danni incalcolabili. Sotto le violente
sferzate delle onde e degli alisei, le sartie si erano spezzate, la ve-
la di trinchetto era balzata per aria, le paratie di babordo aveva-
no subito lesioni irreparabili e ingollavano acqua da ogni parte;
gli alberi si erano piegati mestamente a prua. Dappertutto rumo-
ri e scricchiolii di legno fradicio. Presto, quel relitto cigolante si
sarebbe inabissato per sempre fra il silenzio e loblio dei fondali
pi profondi.
Mi licenziai. Per alcuni giorni mi chiusi in un isolamento
plumbeo e minaccioso. Senza alcuna soluzione di continuit. Il
giorno era uguale alla notte; la luce del sole mi avviliva, la vista
degli uomini mi straziava. Era iniziato il fatale conto alla rovescia

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verso la fine. La morte mi alitava piano sul collo e io accolsi mio


malgrado il suo ferale abbraccio; perch non avrei mai potuto
continuare a vivere senza la sicurezza e lorgoglio di avere sempre
il vento in poppa. Accettando la tristezza e la disperazione come
fine ultimo della vita. Accettando me stesso per quello che ero.
Quel viso smunto e malaticcio ero io, quegli zigomi sporgenti, il
torace smagrito, le braccia esili, i polsi sottili facevano parte del
mio corpo. Mentre la mia anima era gi altrove, dilaniata da atro-
ci tormenti. Il tempo delle maschere era finito. Se prima avevo
sempre vissuto nella presunzione di essere un vincente, adesso
con lo stesso impeto svelavo il trucco di quel madornale frain-
tendimento: mi ero ostinato a vestire i panni del mattatore per-
ch non volevo ammettere a me stesso e agli altri la mia condi-
zione di debolezza e inferiorit. Quando lanciavo in gran segreto
i miei anatemi infuocati contro la meschinit e la corruttela uma-
na, inveivo contro me stesso. Odiando negli altri il male che da
sempre mi portavo addosso. Io per primo infatti ero fragile, me-
diocre, malriuscito; brutto, deforme, orrendo; un essere vile,
ignobile, inetto. Lamore aveva messo a nudo tutte le mie infinite
magagne e adesso anche il pi balordo dei bifolchi avrebbe po-
tuto schiacciarmi con linsolenza di una battuta sprezzante.
Il colossale equivoco aveva fuorviato chiunque; persino Mari-
lena, che possedeva unintelligenza vispa e scattante, era stata ab-
bagliata dal mio fuoco fatuo. Inizialmente si era lasciata attirare
dal mio carattere determinato e ambizioso, poi per, essendo una
donna e avendo una prospettiva temporale molto pi lungimi-
rante della mia, aveva capito che in me convivevano diverse ani-
me e nessuna di queste corrispondeva allideale di uomo che lei
aveva sempre sognato. La questione di Dio fungeva soltanto da
paravento, perch qualunque faccenda spirituale, religiosa, o mo-
rale uninezia se confrontata con i desideri terreni di una don-
na. Marilena con il tempo aveva intuito che la mia irrequietezza,
immaturit, quella cronica insofferenza e inconcludenza di fron-
te ai problemi reali della vita, unita ai rigurgiti persistenti di ri-
bellione adolescenziale, non avrebbero portato nulla di buono.
Io non sarei mai stato in grado di dare sicurezza e tranquillit ad
uneventuale futura famiglia; i figli avrebbero ricevuto da me so-

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lamente affetto, comprensione e poco altro. Le parole che la ra-


gazza pronunci durante il nostro ultimo incontro erano abba-
stanza eloquenti in questo senso: Tu sei unanima bella, ma io
ho bisogno di altro. Quella frase rimbombava nella mia testa
come i rintocchi funerei di una campana a morte. Marilena sape-
va quanto io fossi buono, sensibile, animato da giusti propositi,
ma lei aveva bisogno di un uomo accanto a s, un uomo pratico,
energico, deciso, capace di elargire buste paga regolari e stipendi
sempre crescenti; non le sarebbe servito a nulla un ragazzo come
me: un bravo ragazzo che ballonzolava allegramente sul bordo
del baratro; ai margini della precariet. Marilena, pur professan-
do fiducia nella provvidenza, aveva molta pi paura di me del fu-
turo e sapeva che lamore, quel sentimento che prima ti illude e
poi ti uccide, non basta per vivere su questa terra. E cos la pia
donna, facendosi il segno della croce per allontanare i sensi di
colpa, aveva spazzato via con un colpo secco e ben assestato la
mia vera e forse unica speranza di felicit in questo mondo.
Me ne stavo tutto il tempo immobile sul letto, con la mente
che continuava a vagabondare da ogni parte in cerca di risposte,
spiegazioni, prove. Avrei voluto spegnere il cervello, non sentire
pi niente, morire; ma non a Pesaro. Quella citt, con tutte le sue
promesse di vita serena e tranquilla, mi disgustava fino alla nau-
sea. Tentai di evadere per andare a morire da qualche altra parte,
in Sicilia forse, appeso ad un ramo di ulivo in riva al mare; fra il
brusio assordante dei grilli e delle cicale. Tuttavia a causa dellin-
dolenza cosmica e dellapatia da cui ero affetto, non ebbi la forza
di preparare i bagagli e di compiere lultima traversata di ritorno.
I miei amici si allarmarono per le condizioni pessime in cui ver-
savo e mentre temporeggiavo in attesa di prendere una decisione,
dallisola arrivarono i primi soccorsi. Quando mia madre entr
nella mia stanza, ebbe un sussulto. Il fetore, il lordume e i panni
sporchi accumulati in ogni angolo facevano ribrezzo. Io farneti-
cavo, blateravo, cercavo un motivo valido per giustificare tutto
quel degrado; lei mi guard negli occhi, cap e senza troppi in-
dugi mi trascin via per sempre dal mio sfatto sepolcro tombale.
Una madre non pu mai rassegnarsi ad unagonia cos insensata
e sconclusionata del figlio; secondo lei esistevano ancora molte

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cure per il mio male. Io invece alzai le spalle, scossi il capo, rima-
si in silenzio; perch gi prevedevo che quellammasso di senti-
menti contrastanti, da cui affiorava in superficie soltanto un mi-
sto di gelosia, rabbia, frustrazione, mi avrebbe perseguitato fino
alla fine dei miei giorni; e forse anche oltre. Se malauguratamen-
te ci fosse stato anche un dopo.
Inizi cos un periodo di calma e quiete apparente. Nella clau-
sura pi totale della casa di campagna in Sicilia. I miei genitori mi
accudivano e mi tenevano sotto stretta osservazione per impedi-
re che io potessi compiere qualche scemenza; ogni tanto prova-
vano pure ad interrogarmi, a capirmi, ma io stavo zitto, sospira-
vo. Mi ostinavo a ristagnare nella pi tetra delle solitudini. Dopo
la fine della prima maestosa tempesta, la mia nave, martoriata e
massacrata dallinclemenza delloceano, non era ancora arrivata a
nessun porto sicuro; stava ferma, impassibile, imperscrutabile, a
migliaia di chilometri di distanza da qualunque costa. La bonac-
cia lenta dellestate non permetteva neppure ad uno spiffero o ad
un alito di vento di tirarmi fuori da quel tremendo beccheggio.
Tutto ci che in me era sopravvissuto allarrivo delluragano ave-
va lodore acre e pungente della devastazione pi desolante. Fuo-
ri di me invece ogni cosa era morta. Il cielo maledettamente az-
zurro sembrava di cartone. Gli uccelli che cinguettavano avevano
lo stesso aspetto di carcasse mummificate e in avanzato stato di
decomposizione, dal cui interno riecheggiava un suono meccani-
co e artificiale. Il sole emanava una luce finta, che non bruciava.
Il gigantesco albero di pino, che era cresciuto insieme a me nel
cortile della casa, aveva scavato troppo in profondit con le radi-
ci ed era morto pure lui allinizio di quella terribile estate. Io e
quellimmenso scheletro di rami secchi e germogli appassiti era-
vamo stati accomunati nellidentico tragico destino. Con una
concomitanza di tempi che aveva dellincredibile.
Ormai mi sentivo braccato, come un coniglio stanato da un
branco di lupi feroci. Se Dio o il destino o il caso stavano cer-
cando da tempo di acciuffarmi, adesso potevano rallegrarsi; ero
uscito allo scoperto e trovare un altro nascondiglio sarebbe sta-
to per me impossibile. Anzi, i miei sconosciuti aguzzini non do-
vevano fare pi alcuno sforzo per inseguirmi perch mi conse-

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gnavo a loro a testa bassa e con le braccia alzate in segno di re-


sa. Sembrava quasi il finale di un libro gi mille volte scritto e
letto. Il pagano, leretico, il miscredente che viene sedotto e ab-
bandonato da una delle ancelle predilette del Padreterno e dopo
mille tribolazioni e patimenti decide di convertirsi, di consacrar-
si, di dedicare la sua vita a Dio. Per togliermi dagli impicci di un
futuro senza via di uscita, ogni tanto sbiascicavo qualcosa su una
mia possibile vocazione; volevo fare il prete o meglio ancora il
frate in uno sperduto eremo di montagna. Ero ancora presun-
tuoso; la mia millanteria non aveva limiti. Per dare un senso ad
un fatto normalissimo, forzavo la mano e ritenevo che Dio fosse
stato lartefice di quel trabocchetto per riportarmi nel suo ovile.
Come se la mia anima fosse davvero cos preziosa da meritare un
simile spiegamento di mezzi; per fortuna per, nemmeno leg-
gendo avidamente i vangeli e le confessioni di Agostino, scru-
tando il cielo in cerca di colombe, impegnandomi a vedere cro-
ci dappertutto, trovai il segnale tanto atteso e rimasi sempre
quello che ero stato: un pagano, uno scettico, un infedele.
Forse, se volevo capire qualcosa in pi di me stesso era ancora
nel mio passato che dovevo scavare. E cos, per passare il tempo
di quelle giornate oziose, tirai fuori dagli scaffali tutti i miei diari
e cominciai a spulciare quelle pagine impolverate per rintraccia-
re il punto, il verso, la frase che poteva essere la prova schiac-
ciante o lindizio della mia malattia mortale. Nonostante fossi an-
cora avvolto nelloscurit pi cupa, i miei occhi si illuminarono di
stizza e di stupore insieme. Su quei fogli era stato gi scritto tut-
to e bastava leggere con attenzione per capire quale sarebbe sta-
to il mio destino nel mondo. Ogni parola, ogni virgola, ogni allu-
sione era per me un sintomo inequivocabile. Il mio malessere, la
mia inclinazione alla sconfitta, la mia incapacit di integrarmi in
un mondo che disprezzavo era stata ampiamente descritta e pre-
ventivata molti anni prima del decorso naturale della malattia.
Quel germe, quel morbo si era incuneato nella pelle, aveva pene-
trato le ossa, era arrivato a contagiare irrimediabilmente la vo-
lont; rendendo lanima indifesa e inadeguata come una foglioli-
na di alloro in mezzo alla bufera.
La smania di scrivere mi aveva catturato nellinfanzia, aveva at-

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traversato a corrente alternata tutto il periodo delladolescenza


ed era sconfinata nella cosiddetta maturit; mantenendo sempre
il medesimo filo conduttore. La lotta. Lo scontro. Lestraneit a
tutto ci che ottundeva e offendeva la bellezza della vita. Presu-
mevo di essere un paladino del bene, un prigioniero in terre ne-
miche, un clandestino che vola sopra i fuochi ubriachi della not-
te per inseguire linafferrabile. Raccoglievo a grappoli le emozio-
ni e le impressioni come se dovessero servire per un ipotetico
piano segreto di attacco. Concedevo alle mie sensazioni molta
pi veridicit e autorevolezza del mondo che gorgogliava confu-
samente intorno a me. Anche se tutto ci che accadeva allester-
no mi inquietava e avrebbe dovuto suscitare in me qualche ap-
prensione, io non avevo paura; continuavo a volteggiare in quel
guazzabuglio di pensieri e parole come un funambolo che cam-
mina su in filo invisibile, in bilico fra il nulla e un sorriso; da una
parte ride e dallaltra geme, si atterrisce; ma avevo sempre la cer-
tezza che continuando per quella strada avrei trovato la risposta
ad ogni dubbio. Mi illudevo. Mi nascondevo nella poesia quando
la vita mi stancava e viceversa, mi gettavo a capofitto nel disordi-
ne del mondo quando la poesia mi annoiava. Ma in ogni caso vi-
vevo sempre in due mondi paralleli e stavo male in entrambi.
Mentre tutti gli altri crescevano e si confrontavano con le ta-
gliole e le spire del mondo, io rimanevo bambino; provando a
guerreggiare con le uniche armi che avevo a disposizione. Una
penna, un foglio e tanta, troppa fantasia. I miei nemici erano im-
maginari. Soldatini di piombo con giubbe di panno ed elmetti
cromati. Alludevo forse al fato, al destino, alle avversit mai ve-
ramente conosciute della vita. Non credevo in Dio, diffamavo la
religione, diffidavo della politica, ma ero sicuro che io stessi per-
correndo il sentiero giusto. Ero cos eccitato ed estasiato dai miei
perfetti equilibrismi che non avevo mai previsto la possibilit di
cadere gi, nel baratro. Nellabisso profondo in cui mi trovavo
adesso. Dove non c mai fine alla disperazione, dove arrancavo
nel buio in cerca di un qualsiasi aiuto, dove la coscienza del vuo-
to raggiunge i livelli massimi di chiaroveggenza. Se prima galleg-
giavo sospeso dentro una nebulosa bolla di fumo, ora non pote-
vo pi fingere; le cataratte si erano dissolte; tutto ci che prima

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appariva opaco, adesso aveva la limpidezza tenebrosa della fine


di ogni speranza.
Preso da una frenesia febbrile, ogni tanto leggevo ai miei geni-
tori versi delle mie poesie e stralci dei miei scritti scomposti, per
dimostrare loro che il male da cui ero afflitto avesse origini lon-
tane. La vita di cui tanto salmodiavo in quelle pagine non era la
vera, unica vita che esiste sulla terra. Ma un artificio, una parven-
za. Una finzione che aveva tutta laria di assomigliare ad una li-
cenza poetica di un inguaribile sognatore. In una delle mie prime
poesie infantili avevo concluso con enfasi: Mondo, oh mondo,
ghiacciato dal male, ardua sar la guerra ma il bene deve trionfa-
re. Adesso biasimavo amaramente la mia ingenuit; perch se
avessi saputo quale infima battaglia stava l, zitta, accovacciata ad
attendermi, non avrei mai scritto questi versi. Senza saperlo, io
avevo sempre combattuto con e contro me stesso. Pensavo di
temprare lo spirito con le fragranze di miele e di ambrosia e in-
vece mi pugnalavo il cuore fino a stare male. In virt di questa
mia maggiore sensibilit credevo di essere pi forte e consapevo-
le degli altri, camminavo a testa alta, sfidavo la vita con coraggio,
ma non mi rendevo conto che la mia stabilit fosse il frutto di un
abbaglio. Mi sentivo immune, puro, incontaminato e non mi ac-
corgevo che qualcosa dentro di me stava iniziando a corromper-
si, a marcire, a deturparsi; quellansia di scrivere, di denunciare i
crimini del mondo, di difendermi da ogni barbarie mi stava ri-
succhiando in un vortice di farneticazioni e stramberie senza ca-
po n coda. Come se fosse stato davvero possibile proteggersi da-
gli uragani e dalle tempeste della vita con un ombrellino di belle
rime e accordi intonati. Queste sono cose che succedono soltan-
to nelle favole. E la vita, quella vita che stavo imparando a cono-
scere, non aveva di certo i contorni incantati di una fiaba. Con un
bel finale a sorpresa.
Tuttavia, siccome la malattia della scrittura provoca assuefa-
zione e dipendenza, tentai anche in quei giorni di impugnare la
penna per tenere impegnata la mente e trascorrere qualche ora
lontano dai ricordi. La stanchezza e la noia non favorivano lispi-
razione, ma guardandomi intorno e affacciandomi timidamente
alla finestra, cercai di cogliere qualche spunto dal paesaggio. Os-

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servavo la pioggia che cadendo dallalto, creava sulle pozzanghe-


re una miriade di cerchi che si sovrapponevano, si intersecavano,
in alcuni casi si intensificavano e in altri si annullavano a vicenda;
le montagne in lontananza sembravano invece presenze mute e
silenziose che partecipavano con inerte curiosit allaltalenante
successione delle vicissitudini umane; le mosche intanto mi se-
guivano dappertutto con uninsistenza macabra, come se avesse-
ro gi capito che il mio corpo sarebbe stato presto una succulen-
ta carogna su cui banchettare; mentre sullo spiazzo antistante,
ledera risalendo dai muri si era avvolta sul tronco e sui rami del
pino avvizzito, concedendo quasi uneffimera parvenza di vita al-
lenorme carcassa di legno. Ovviamente, largomento principale
delle mie riflessioni introspettive era la tragica fatalit che la sor-
te riserva a certe creature. Un sacrificio necessario di una parte
per consentire la continuit del tutto. E anche il morto che non
morto, per non fare un torto allinsieme scenico della rappresen-
tazione, era obbligato a dare limpressione di essere ancora vivo.
Come se fosse cosa altamente volgare e peccaminosa, permetter-
si di turbare la quiete color violetto dellacquarello sbiadito del
mondo con limmagine della morte. Della vera morte. Quella che
non d scampo. Non d tregua. Ti insegue persino nellaldil.
Con il passare dei giorni prese forma il primo abbozzo di un
racconto; si trattava della storia di sei personaggi, tre maschili e
tre femminili, che in una sarabanda di incontri e di incroci fini-
vano per ritrovarsi sempre soli e disperati; oppure uniti in coppie
destinate alla crisi e al collasso. Una sorta di affinit elettive rive-
duta e corretta per i nostri giorni, in cui la natura selezionava gli
uomini in base al temperamento e alla saldezza delle loro anime;
soccombendo quasi sempre di fronte alla fragilit interiore degli
individui. Avevo deciso di mantenere un piccolo dettaglio deri-
vante da una reminiscenza infantile: tutti i nomi dei ragazzi co-
minciavano per A mentre quelli delle donne per M. La creativit
per era molto fiacca e nonostante limpegno non riuscii ad an-
dare oltre le quattro o cinque pagine di agenda. Tuttavia quel pri-
mo tentativo fallito riaccese in me lantica passione per la scrittu-
ra; come se quel vampiro maligno travestito da musa non fosse
ancora sazio e dopo avere dissanguato le mie vene e lasciato il

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corpo esanime sul campo, avesse voglia di succhiare le ultime


gocce di linfa vitale. Provai cos a mettere in piedi unaltra storia,
molto pi semplice, basata sullinterazione di due soli protagoni-
sti, Antonio e Maria, che si incontravano in un casolare isolato di
campagna per raccontarsi le loro disgraziate esperienze nel mon-
do. Questa volta mi ispirai a Boccaccio e alle vicende degli sfol-
lati dalla peste; qualcosa di molto simile alla situazione che stavo
vivendo io in quel momento. La trama si rivel subito stantia e
abbandonai presto il proposito di continuare.
Qualche giorno dopo, in accordo con i miei genitori, presi
quasi per caso, giocando a sorte sul ventaglio delle mie possibili
scelte, la decisione di andare a Milano per partecipare alla sele-
zione per un corso di studi in gestione bancaria; la fortuna in
questo caso non era stata tanto cieca, perch io avevo sempre
avuto un certo interesse per il concetto di moneta. A me, come a
tanti altri daltronde, sembrava che il declino aberrante del mon-
do ruotasse intorno ai soldi. Quel corso quindi mi apriva una
doppia via uscita: la prospettiva di sistemarmi in un tranquillo la-
voretto impiegatizio sul quale speculare e vegetare per tutto il re-
sto dei miei giorni e la possibilit di conoscere meglio tutti i mec-
canismi finanziari su cui gira la societ degli uomini, qualora un
giorno mi fosse saltato di nuovo in mente la folle idea di combat-
tere contro i mulini a vento. Purtroppo chi nasce tondo non pu
morire quadrato. E chi, come me, per troppo tempo, ha vagheg-
giato nella presunzione di essere un Don Chisciotte, non pu al-
limprovviso, da un giorno allaltro, convincersi a cuor leggero di
essere venuto al mondo per recitare la parte di Sancho Panza o
del ragioniere Fantozzi. In un modo ancora a me sconosciuto,
sembrava quasi che il mio istinto riottoso e ribelle cercasse sem-
pre una possibile alternativa al raggiungimento di una duratura
serenit su cui adagiare il futuro.
E cos, ritrovandomi da solo, dopo tre anni, nella stessa stanza
dellalbergo antistante la stazione centrale di Milano, fui folgora-
to da un lampo improvviso. Il romanzo che avevo avuto sempre
in testa, semmai fossi riuscito a scriverne uno, poteva essere la
mia stessa vita. Questo istante segn linizio esatto del mio deli-
rio. Era un giorno di fine settembre del 2004.

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CAPITOLO 4

Fuoco

Quando tornai a Palermo, mi misi subito a lavorare alla stesu-


ra del libro e con un insperato entusiasmo e una ritrovata bril-
lantezza scrissi tutto di un fiato le battute iniziali del primo capi-
tolo. Quelle che trattavano del mio primo approdo a Milano, nel
2001, da studente fresco di laurea. Non dovevo andare troppo
lontano per ricevere lispirazione, perch si trovava dentro me
stesso, nella mia memoria e questa volta superai agevolmente il li-
mite mai oltrepassato in precedenza delle dieci pagine. E conti-
nuai. Sentivo di avere molte cose da dire, ma listeria e laffanno
con i quali mi stavo accingendo ad affrontare quel lungo viaggio
a ritroso nei ricordi non mi consentivano di dipanare con ordine
gli argomenti. Abbozzavo soltanto rapidi schizzi sul foglio, come
pennellate di un quadro ancora sconosciuto alle stesse mani del
pittore. Ricostruivo le immagini e le scene gi vissute cercando di
portare luce su episodi e dettagli che prima avevo considerato in-
significanti. Stavo sempre disteso sul letto, con lagenda a porta-
ta di mano, nel caso in cui una nuova frase o un intero periodo
fosse balzato su a chiedere udienza alla mia penna. Visto da fuo-
ri, sembravo immobile, assente ma qualcosa dentro di me comin-
ciava a muoversi, ad agitarsi. Il lungo periodo di astenia che dal-
la separazione con Marilena mi aveva condotto fino allisolamen-
to coatto in campagna si stava concludendo nellunico modo pos-
sibile. Scrivendo.
Nonostante i miei genitori fossero un po preoccupati per lec-
cessiva foga con la quale scrivevo, accolsero la novit come una
liberazione. Il mio problema principale adesso era il tempo, per-
ch prevedendo gi il prossimo trasferimento a Milano, sapevo
quante e quali difficolt avrei dovuto sopportare per conciliare la
frequentazione del corso con la scrittura del romanzo; mi ram-

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maricavo quasi per avere gettato al vento tutte quelle giornate


inutili di solitudine e mi ripromisi che non avrei pi sprecato
neanche un minuto della mia vita. Come per incanto, il pensiero
della morte si allontan progressivamente dalla mia mente. La-
sciando il posto ad una ragione di vivere che per me divent pi
valida e necessaria di qualunque altra funzione vitale; avrei potu-
to rinunciare al cibo, allacqua, persino allaria che respiravo, ma
nessuno avrebbe potuto distogliermi dallurgenza di scrivere e
raccontare; perch quella penna, quel foglio bianco, quelle mac-
chie di inchiostro erano per me gli unici spiragli di luce che ri-
schiaravano labisso. E seguendo quel tenue bagliore, a mani nu-
de e trattenendo il fiato, stavo a mia insaputa risalendo i ripidi
crepacci della desolazione per sbucare chiss dove e chiss quan-
do. Ormai non avevo pi nulla da perdere. Perch nessun luogo
fisico o spirituale sarebbe stato pi infausto e doloroso delle te-
nebre che avevo gi visto. Forse ritrovandomi catapultato laggi,
nel precipizio, avevo talmente vagato nel buio in cerca di un aiu-
to, che alla fine qualcosa era accaduto. Malgrado laffetto di pa-
renti e amici, il soccorso non era arrivato per dalla mano di
qualcuno, ma da una mia illuminazione; unintuizione. Io stesso
stavo cercando di salvarmi, portando la mia vita in salvo.
Terminato di scrivere il primo capitolo, mi convinsi di riporta-
re tutto su un file del computer e di continuare a battere sulla ta-
stiera i sentieri ignoti della mia ispirazione. Una vena piuttosto
arida, per la verit; come i rigagnoli sottili che attraversano le du-
ne di un deserto immenso. Molto spesso le immagini apparivano
nitide nella coscienza, come squarciate da improvvisi fasci di lu-
ce, ma una volta arrivate alle mani si ingarbugliavano in pensieri
asciutti, scarni, privi di qualsiasi orpello stilistico o retorico. Una
frase e un punto. Una frase e un punto. I periodi erano lunghi
poco pi di un rigo, al massimo due. Tuttavia, oltre alla narrazio-
ne della mia prima permanenza a Milano, mi concentrai pure sul-
la struttura del libro: il romanzo doveva contenere un numero
dispari di capitoli e per intuito mi accordai subito sulla lunghez-
za dei tredici capitoli. Mi piaceva quel richiamo sottinteso ed
evocativo ai biblici commensali dellultima cena: sei discepoli da
una parte, sei dallaltra e Ges al centro a fare da spartiacque. I

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primi sei capitoli del libro sarebbero stati tutti in crescendo,


mentre i sei capitoli finali avrebbero tracciato il lento declino di
ogni illusione, culminato nella depressione e riabilitato dal riscat-
to conclusivo; che sarebbe avvenuto appunto con la decisione di
scrivere il romanzo della mia vita. Il capitolo centrale, il settimo,
doveva essere invece un punto di snodo fra lascesa e la caduta;
una sorta di inversione di marcia che poteva anche essere privo
di legami con il resto dellintreccio. Il titolo provvisorio del libro
era Oltre la Speranza. Un sentimento di caparbia fiducia che si
adattava bene al mio attuale stato danimo. Con mio disappunto
dovetti per accantonare presto questo titolo, quando appresi
che il papa polacco aveva gi utilizzato quella frase accattivante
per pubblicare una delle sue redditizie testimonianze di fede. Io,
leretico, non potevo permettermi un simile confronto. Soprat-
tutto in termini di copie vendute.
Ogni capitolo del libro doveva contenere un argomento chiave
di discussione e con uno schema sintetico appuntai i temi pi im-
portanti da trattare: il viaggio, lo scontro ideologico e sociale con
lambiente circostante, la famiglia, la descrizione del luogo di ori-
gine, il mondo del lavoro, lamore e naturalmente Dio e tutti i
problemi derivanti dalla diversit di visione religiosa della vita; a
questa sezione avrei dedicato buona parte del contenuto finale
del romanzo. Dopo avere dato unimpostazione di massima alla
trama, mi si present subito il problema del settimo capitolo. Co-
sa potevo inventarmi per rendere pi suggestivo questo delicato
momento di passaggio? Scartabellando con una certa eccitazione
fra le vecchie agende trovai presto ci che faceva al caso mio.
Uno strano racconto scritto nel gennaio del 1996, in mezzo agli
appunti di statistica e ricerca operativa. La storia era molto breve
e narrava le gesta di un condor che partito dalle montagne inne-
vate delle Ande giunge fino alla citt di Quito in Ecuador; arre-
standosi nei pressi del monumento che segna il passaggio della li-
nea dellequatore. Fra lo stupore della folla, il grande rapace
compiva una serie di giri concentrici sempre pi stretti attorno
allobelisco e dopo essersi approssimato al centro iniziava un in-
credibile volo al contrario; con la testa che diventava coda e la
coda che diventava testa.

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Seguendo perfettamente la retta equatoriale, il condor attra-


verser loceano e sbarcher in Africa, fra le flotte incuriosite di
scienziati e giornalisti accorsi in massa per documentare le tappe
di quellevento straordinario; poi, dopo avere rischiato di essere
impallinato dai cacciatori di frodo, lenorme uccello sparir fra le
foreste vergini del Kenya, a ridosso del lago Vittoria. Il racconto
si concludeva cos; senza nessun commento; nessuna spiegazione
aggiuntiva. Latmosfera molto surreale di quella vicenda si inca-
strava alla perfezione nel settimo capitolo, quale allegoria del
cambio di direzione degli eventi del destino. La misteriosa scom-
parsa finale del condor lasciava poi aperte le porte a qualsiasi in-
terpretazione. Ringraziai nel mio intimo la bizzarra fantasia del
ragazzo che ero stato e per la prima volta nella mia vita intuii con
certezza che stavo percorrendo la strada giusta. Il futuro stava ri-
cominciando laddove avevo abbandonato la fune sfilacciata del
mio passato. Ero talmente euforico che cambiai nella mia testa
anche il titolo provvisorio del romanzo: da Oltre la speranza a
Il volo del Condor.
Sulla scia di questa ebbrezza creativa decisi di stravolgere pu-
re lossatura del primo capitolo, rendendo la prosa un po pi so-
bria e leggera. Per sdrammatizzare la tensione e la crudezza che
traspariva dai toni aspri della prima sosta a Milano, feci iniziare il
libro con un breve messaggio ad un amico, mai inviato in realt,
che conteneva un riferimento esplicito e unanticipazione di tut-
te le mie prossime disavventure nel mondo: Sono in viaggio co-
me Ulisse per mari alla ricerca di terre sconosciute forse un
giorno ritorner nella mia amata Itaca per adesso spero solo di
non incontrare lungo il cammino affascinanti sirene o pericolose
chimere a presto!. Scherzavo, ovviamente; ma ben presto la
verit della mia vita si sarebbe rivelata molto pi buffa e irriden-
te di quanto mi aspettassi. In effetti dopo diverse traversie sarei
davvero tornato in Sicilia. Ma a quel tempo non sapevo ancora
come sarei tornato.
Ora bisognava passare al secondo capitolo e anche qui feci ri-
corso ad un piccolo stratagemma. Dopo i giri perlustrativi a Ro-
ma, Milano, Bologna, in cerca di lavoro era il momento di rac-
contare le fasi concitate del mio rapido ritorno in Sicilia. Un lun-

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go viaggio in treno, di cui non avevo pi alcun ricordo particola-


re. Per creare le premesse di un necessario colloquio a due sulla
societ e sullo scontro generazionale, inserii un personaggio mai
incontrato nella realt. Ma sempre vagheggiato nella mia fantasia.
Si trattava di un signore molto compito e raffinato che era stato il
protagonista di uno dei miei tanti racconti incompiuti della giovi-
nezza. Rintracciai il diario dove avevo descritto questo incontro
immaginario e ripresi pari pari la scena. Il signore stava seduto
con le gambe elegantemente accavallate sullo scompartimento
numero 21 del treno e dopo essersi presentato e avere capito che
io stavo tornando in Sicilia, esordiva con una frase piuttosto enig-
matica: chi va a sud va sempre a ritrovare e riprendersi qualcosa
che gli appartiene. Sfruttai quello spunto per intavolare un lun-
go dialogo fra me e lo sconosciuto signore che, per loccasione,
divent un generale dei carabinieri in pensione dallaspetto mol-
to distinto e dalla dialettica forbita. Il viaggio in treno doveva es-
sere abbastanza lungo e feci in modo che i due stessero insieme a
parlare da Bologna fino in Calabria, in prossimit dello stretto di
Messina. Con un intermezzo curioso. Larrivo nella cabina di un
giovane ragazzino, abbigliato in maniera stravagante, con una
cresta bionda di capelli ossigenati e tanti orecchini pendenti dai
lobi; per tutta la durata del viaggio, il ragazzo non spiccicher una
parola e attirer il disappunto indignato del generale. Quindi il
giovane intruso si allontaner in silenzio e senza salutare, scende-
r a Roma, mischiandosi fra la folla assiepata sui binari.
Le mie intenzioni erano abbastanza chiare: in quel luogo qua-
si ideale e onirico, allinterno di un treno in corsa, dovevano con-
frontarsi tre diversi periodi storici e tre stati dellanima differen-
ti. Il passato, rappresentato dal generale, il presente, che in que-
sto caso ero io e il futuro che per la sua imponderabilit veniva
impersonato dal ragazzino ribelle e taciturno. Era come se la gio-
vent pi acerba non avesse altri mezzi per intervenire in quel di-
battito fra la vecchiaia e la maturit, oltre alla propria immagine
e apparenza. Ma cera anche dellaltro. Se la compassata ragione-
volezza e pedanteria dellanziano generale rappresentava il no-
stro comune contraddittorio dialettico, io e il giovane adolescen-
te stavamo utilizzando due strategie completamente diverse per

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dare sfogo ai nostri impeti rivoluzionari; mentre lui si era chiuso


nel suo silenzio, ostentando i segni convenzionali di una sterile
trasgressione, io mi ero gettato nella mischia con veemenza e fu-
rore; per accerchiare il nemico sul suo stesso territorio.
Prima di partire per quel lungo viaggio, avevo studiato tanto,
avevo battuto tutti i sentieri della conoscenza, avevo stilato un
ipotetico piano di battaglia; trovandomi coinvolto in quellina-
spettata scaramuccia verbale con il generale, non intendevo arre-
trare il passo di fronte alle pressioni del vecchio, difendevo a mu-
so duro le mie ragioni, attaccavo con sagacia e sfrontatezza vul-
canica laddove il sistema mostrava delle crepe; credevo che lin-
telligenza e la perseveranza fosse lunico modo per cambiare
veramente le cose. Alla fine per, io e il giovane, io e il futuro, sa-
remmo giunti alle stesse conclusioni. Il sistema non si cambia. Il
generale aveva ragione. Labnegazione saggia ed equilibrata alle
regole della comunit la maniera migliore per convivere con le
stranezze del mondo. Chi come me si era lasciato trascinare dal-
le passioni, dagli impulsi, dalla coerenza ai propri ideali sarebbe
stato presto stritolato dalla macchina e ricacciato fuori da qua-
lunque contesto o ordine sociale. Dovendo infine fare ricorso,
per forza di cose, allevasione e allartificio letterario per sfuggire
ai morsi della disperazione.
Il nome da affibbiare alleccentrico generale arriv quasi per
caso e distinto: Giacomo Airoldi. Mi piaceva il suono di quei
due nomi messi insieme, perch conferivano al personaggio un
tocco aristocratico e una solennit altezzosa che visto il soggetto
in questione risultavano molto appropriati. Il giovane ragazzo
con gli anfibi neri e le borchie sulla cinta doveva ovviamente ri-
manere anonimo. Prima di andare via, linnominato avrebbe lan-
ciato unocchiata dabbasso verso di me, rivelando due grandi oc-
chi meravigliosi: le pupille sfavillanti come specchi al sole, le iri-
di cangianti di tutte le sfumature del verde e dellazzurro, finan-
che il marrone; una dolcezza recalcitrante mista a languore
ancestrale che faceva il paio con la schizofrenica variabilit del
futuro. Lacceso dibattito con il generale si concludeva invece in
modo brusco, con il vecchio saggio che presagendo nella mia in-
genua irruenza e nella mia scarsa conoscenza del mondo tutte le

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prossime sventure, bofonchiava sottovoce queste profetiche pa-


role: Capir, ingegnere; capir. Avevo gi deciso che quei due
personaggi emblematici e carichi di simboli non sarebbero pi ri-
comparsi nei capitoli successivi, formando un corpo narrativo a
s stante e circoscritto al secondo capitolo. Mentre il ragazzino si
era disperso fra la calca della stazione di Roma, il generale si di-
leguer in circostanze misteriose durante la traversata dello stret-
to di Messina; sul ponte di prua del traghetto Caronte. Come se
il passato volesse gi nascondere gli oscuri presagi di future scia-
gure infernali.
Mi sentivo davvero soddisfatto di me stesso; in breve tempo
ero riuscito a redigere un progetto e un programma come mai
avevo fatto in passato. Lingegnere si era messo per la prima vol-
ta al servizio del poeta per raggiungere lo stesso obiettivo: la sal-
vezza. Quel libro infatti divent molto presto lunico senso vera-
mente alto e importante che io avessi mai potuto desiderare per
la mia vita. Ero nato per scrivere e non un caso, che dopo la mia
prima morte, stessi rinascendo stringendo in mano una penna.
Una penna immaginaria ovviamente, perch da parecchi anni a
questa parte la tecnologia delle tastiere informatiche aveva fatto
passi da gigante. Tic tac. Tic tac. Quel suono era musica per le
mie orecchie.
Intanto, come previsto, da Milano giunse la notizia dellam-
missione al corso. Era scontato che mi avessero preso, perch si
trattava di un corso a pagamento. Superando qualche perplessit
iniziale, mi accinsi ai preparativi per la partenza. Inizi un perio-
do piuttosto movimentato e frenetico, ma la prospettiva di rico-
minciare quanto prima a scrivere mi sollevava da ogni fatica.
Grazie allaiuto di alcuni amici riuscii a trovare una stanza in af-
fitto nella periferia sud di Milano. Il giorno dopo comprai a bas-
so prezzo un computer di seconda mano. Lorganizzazione era
perfetta. Ogni mattina mi alzavo di buonora per andare al corso
e di ritorno, alla sera, mi sistemavo subito davanti la scrivania per
rimettermi a lavorare sul libro; dopo una cena frugale a base di
frutta e cibi surgelati, riprendevo a scrivere fino a notte fonda.
Definire un passatempo quella smania ossessiva per la scrittura
mi sembrava fuori luogo; non avevo velleit artistiche o presun-

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zioni di alcun genere, ma era chiaro che dentro di me stessi pun-


tando molto sulle finalit del mio romanzo. Il verdetto di con-
danna nei miei confronti non era ancora definitivo e la mia ope-
ra letteraria di denuncia poteva essere un monito di speranza per
tutti quelli che come me avevano subito uningiusta pena e una
sollecita intimazione al fallimento. Non avevo dubbi a riguardo.
Dichiarare bancarotta adesso, con tutto quel bagaglio di roba an-
cora da dire, sarebbe stato un vero peccato.
Il libro per procedeva a scatti, a singhiozzo. Lo stile era mol-
to approssimativo; la prosa aveva unandatura poco fluida e scor-
revole; come se le parole facessero fatica ad emergere dal buio
della coscienza e io stesso avessi fretta di andare avanti. Rileg-
gendo le parti che avevo gi scritto mi rendevo conto che qual-
cosa doveva essere rivisto nella forma, perch la lettura risultava
difficoltosa persino per me. I dialoghi avevano unarchitettura
semplice, genuina, quasi didascalica. Le descrizioni dellambien-
te e dei personaggi rimanevano costipate dentro frasi e periodi
fin troppo melliflui e scadenti. La ricorrenza ritmica della pun-
teggiatura era a volte fastidiosa. Malgrado avessi lassoluta cer-
tezza che quella storia fosse pregna di significati, le mie mani non
partivano, la mente era bloccata; come se i pistoni stentassero ad
avviarsi e il motore fosse ancora in fase di riscaldamento. Lo
scoppio di tutte le candele avvenne durante le vacanze di Natale,
quando in concomitanza con il mio ritorno a Palermo mi trovai
ad affrontare il sesto capitolo, quello dellamore. Nei due mesi
precedenti avevo scritto tre capitoli e adesso potevo godermi
quel periodo di riposo per dedicarmi alla parte forse pi decisiva
e cruciale dellintero romanzo.
Il ricordo di Marilena divampava ancora dentro di me come i
tizzoni ardenti di un incendio indomabile, ma con la scrittura
qualcosa era cambiato; avevo assunto una posizione di maggiore
distacco e guardando tutto dallalto, lo sfrigolio pungente del do-
lore diventava pi sopportabile. Tanto pi si allargava la visuale
di osservazione degli eventi, tanto meno mi sentivo coinvolto dal-
la loro assillante vicinanza. Era come se stessi riprendendo la mia
usuale postazione di spettatore privilegiato, rinunciando volen-
tieri al ruolo di protagonista diretto di quelle vicende. Parlavo in

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terza persona. Avevo scelto di dare al mio personaggio un nome


che ricordasse soltanto vagamente la mia reale identit: Antonio
Marco. Rimaneva una sorta di doppiezza e ambiguit di fondo
che riletta al contrario scimmiottava la tormentata epopea umana
del grande condottiero romano. Una gran bella storia damore
quella fra Marco Antonio e Cleopatra, al cui confronto, la mia vi-
cenda risultava modesta, ridicola, improponibile. Tuttavia un ac-
costamento cos inverosimile mi aiutava ad allontanarmi ancora
di pi dalla realt, costringendomi quasi ad assumere la giusta di-
stanza dalle incombenti contingenze della vita. E cos, mentre la-
sfissia delle recenti arsure si allentava, non mi rendevo conto che
stavo rinfocolando dentro di me una fiamma ancora pi insidio-
sa, pi invasiva; che bruciava in un braciere che ha tanti manici,
ma non ha un fondo, n un coperchio. Da laggi, dalle profondi-
t pi inaccessibili della mia coscienza, una strana energia so-
spingeva in alto la fantasia, che eccitata da quel turbine di pizzi-
cori e scottature, scoppiettava, ribolliva, slabbrava dai bordi del-
la mia stessa consapevolezza.
Fin dallinizio della descrizione del primo incontro con Mari-
lena, mi accorsi infatti di un repentino cambiamento di stile del-
la mia scrittura; le frasi si allungarono ricevendo sempre pi am-
piezza e respiro; gli aggettivi da associare alle cose si moltiplica-
rono di colpo; cominciai ad usare le virgole con maggiore fre-
quenza; arrivarono le prime metafore a rinfrescare come refoli di
vento i frizzanti ardori di quella nascente passione estiva. Le ma-
ni scorrevano leggere sulla tastiera e il collegamento fra il cervel-
lo e le dita era quanto di pi naturale e spontaneo avessi mai po-
tuto sperare: limmaginazione che poco prima pareva compressa
dentro argini ristretti cominci dolcemente ad espandersi, sem-
pre di pi; staccandosi quasi dalla terra e raggiungendo il cielo,
dove i pensieri si scontravano con le meteore e poi tornavano gi
in tante minuscole scintille di parole e di immagini sempre nuo-
ve. Come un fuoco dartificio di inebriante bellezza. Talvolta ca-
pitava pure che mi venissero in mente, dal nulla, termini e defi-
nizioni di cui io non conoscevo nemmeno il significato e molto
spesso fui costretto a consultare il dizionario per verificare se
quei vocaboli fossero adatti a descrivere la situazione che stavo

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affrontando: quasi sempre si rivelavano perfetti, inserendosi a


meraviglia nel contesto. Ben presto mi lasciai trascinare come un
naufrago ansimante da quella straordinaria ondata di ebbrezza
creativa. Ero interdetto, basito, ma felice.
Mai come in quei giorni ebbi la sensazione di essere arrivato fi-
nalmente al posto giusto e al momento giusto: anchio incastrato
come per magia nel luogo che avevo sempre cercato. Mentre nel-
la stanza riecheggiava soltanto il ticchettio dei tasti, dentro di me
un frastuono di voci impazzite che si inseguivano, si accavallava-
no, si tiravano a vicenda e io l, impassibile, frastornato, a mette-
re ordine, a restare in ascolto. Ormai vivevo immerso in uno sta-
to di estasi mai provato prima, che non tardai troppo a definire
arte. La verit era giunta nel modo pi inconsueto e imprevisto:
io ero uno scrittore. Il mio mestiere era scrivere. La mia arte con-
sisteva in un miscuglio inscindibile di intuizione e senno, disordi-
ne e disciplina. Istinto e ragione. Con le mie mani potevo arriva-
re dovunque e fra unispirazione e laltra appariva anche lei, Ma-
rilena, piena di luce come il sole e delicata come la luna; la sua
mancanza non arrecava pi afflizione e sentivo la sua presenza
pi vicina e viva che mai. Come se fosse lei stessa appoggiata con
i gomiti sulla scrivania a suggerirmi le parole da scrivere. Tuttavia
quel sentimento nuovo che provavo nei suoi confronti non aveva
nulla di fisico o corporale, la donna che Marilena era stata ed era
diventata non mi interessava pi, mi sembrava troppo sciatta e
insulsa rispetto a questa nuova figura che stavo creando. Mi di-
lettavo ad accarezzare i contorni del viso, a levigare le smussatu-
re del carattere, a sgrossare le amenit, a coprire le innumerevoli
falle che avevo conosciuto, al fine di concedere maggiore grazia
ed armonia al profilo di quella musa celeste. I miei occhi pieni di
lacrime, definitivamente persi, ammaliati, estasiati tradivano ci
che intanto stava provando il mio cuore: io mi stavo innamoran-
do per la seconda volta di Marilena; ma non pi della ragazza in
carne ed ossa che aveva attanagliato i miei sensi, quanto piuttosto
dellanima dolce e fragile, bisbetica e capricciosa, di una creatura
divina che aveva sempre albergato dentro di me; nei miei sogni.
La storia che stavo scrivendo non aveva pi alcuna corrispon-
denza con il reale svolgimento dei fatti e la fantasia navigava a ve-

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le spiegate in un mare calmo, che sembrava assolutamente ignaro


di tutte le bufere e gli uragani del passato. Purtroppo per quel-
la sensazione di pace e serenit dur molto poco. Perch un altro
temporale era in arrivo allorizzonte e questa volta sarebbe stato
infinitamente pi devastante del primo.
Il pomeriggio del 1 gennaio del 2005 mi trovavo da solo nella
mia stanza. Dopo il rituale pranzo di inizio anno con i parenti,
mi ero ritirato subito a casa con il pretesto di riposarmi dai fe-
steggiamenti della notte precedente. Ovviamente non avevo al-
cuna voglia di dormire e acceso il computer ripresi a scrivere dal
punto stesso in cui avevo interrotto. Nel giro di pochi minuti ri-
caddi nel consueto stato di abbandono e delirio creativo; mentre
le dita dipingevano sulle schermo scene sublimi, cavalli dal crine
dorato che sfrecciavano sulla schiena di Marilena e i brividi che
saltavano sulla pelle come allegri grilli di campo, un lampo scop-
pi laggi da qualche parte nella coscienza e poi un altro e un al-
tro ancora; queste tre saette erano parole che non avevano alcun
nesso con le mirabolanti acrobazie linguistiche del mio idillio
amoroso. Quellinatteso suggerimento proveniva da un universo
quasi parallelo nella mia mente, che viveva e agiva per conto suo,
in un altro emisfero del cervello. La prima frase arriv fievole,
leggera, la seconda pi netta, precisa, la terza tuon come un ful-
mine a ciel sereno. In un istante, con la stessa rapidit della luce,
mut di colpo lintero scenario della mia storia e della mia stessa
vita. Quelle parole mute che avevano rintronato allinterno della
stanza come i boati di unimminente tempesta, facendo vibrare
le tempia e scuotendo persino lanima, ripetevano cos: Era Dio
Era Dio Era Dio.

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CAPITOLO 5

LIncontro con Dio

Trasalii. Allontanai subito le mani dalla tastiera come se que-


stultima avesse preso fuoco. Mi mancava il fiato. Chinai la testa
in cerca di un punto dove aggrapparmi. Ero pietrificato, il corpo
stesso non dava pi alcun segno di vita; non so quanto tempo ri-
masi immobile in quella posizione, a fissare il vuoto; ma non ap-
pena rinvenni niente intorno a me era pi uguale a prima.
La stanza sembrava essere stata schizzata via dal palazzo e bal-
lonzolava leggera nel cielo; le pareti giravano davanti ai miei oc-
chi come i cavallini bianchi di una giostra impazzita; i colori si
mischiavano per dare tutti insieme un unico effetto di luce bian-
ca. Una girandola di emozioni annebbiava i miei pensieri. Dap-
pertutto vedevo un chiarore intenso che rischiava quasi di acce-
carmi. Mi alzai dalla sedia. Misi le mani fra i capelli per cercare
di mettere ordine nella mia testa; dovevo riprendere il controllo
della situazione. Una frenesia irrefrenabile mi spinse a girare per
la casa come un sonnambulo smarrito. Ogni tanto mi fermavo in-
credulo davanti agli specchi per verificare se fossi ancora vivo o
se magari stessi sognando: i miei occhi sprizzavano bagliori e luc-
cichii saettanti come se fossero attraversati da una marea di sca-
riche elettriche. Il cuore fibrillava. Mi appoggiavo ai muri per
mantenere lequilibrio. Mi sentivo svenire. Mi distesi supino sul
tappeto per non stramazzare al suolo; mi rannicchiai; uneuforia
mista a sofferenza acuta contrasse ogni membrana del mio viso.
Non sapevo se piangere o ridere. Avevo capito bene? S, avevo
capito bene.
Mentre poco prima stavo scrivendo assorto le eccitanti scher-
maglie della mia storia damore, una parte della mia mente aveva
compiuto un incredibile salto di fantasia. Suggerendomi un col-
legamento assurdo e del tutto inaspettato. Era Dio... Era Dio...

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Era Dio. Il generale Giacomo Airoldi che avevo inserito fra le


pagine del secondo capitolo, non era un personaggio fittizio
qualsiasi, scelto a caso fra i tanti, ma la trasposizione romanzata
di Dio in persona. A mia insaputa, Dio si era intrufolato nel mio
libro. Creando un repentino stravolgimento della trama del rac-
conto. Il Creatore, lEssere Supremo per eccellenza, mi aveva in-
dotto a scrivere di Lui nel secondo capitolo e adesso, che il suo
ingresso nel mio libro era stato metabolizzato, si presentava a me
in grande stile. Con tanto di botti e fuochi artificiali. Dio mi di-
ceva: Ehil! Ragazzo guarda che tu senza saperlo, hai sempre
scritto di me, con me, attraverso me... se ancora non te ne fossi
accorto, tu adesso non stai scrivendo la semplice storia di una
parte della tua vita, ma hai il compito di ricopiare su carta il ro-
manzo che Io, Dio, ho gi scritto sulla terra.
Dio dunque cera e cera sempre stato. Dentro e fuori di me.
Dio mi aveva seguito fin dallinfanzia, mi aveva spinto a stu-
diare, era entrato di soppiatto nelle mie poesie e nei miei scritti,
aveva sopportato le mie manchevolezze e la mia ritrosia; mi
aspettava al varco. Nulla era stato lasciato al caso. Dopo lincon-
tro con Marilena, labbandono, la sofferenza, adesso era arrivato
il momento della redenzione. Dio aveva deciso di venire a ri-
prendersi ci che gli apparteneva. Era sceso a sud, a sud del
mondo, a sud dellanima, per riacciuffarmi il Grande Ingegnere
del Cielo, che muove tutti i destini degli uomini, aveva scelto il
piccolo ingegnere siciliano per scrivere il suo romanzo. Per con-
vincermi, o meglio, per costringermi a capire, Dio aveva dovuto
usare un artificio. Era entrato di nascosto, senza avvisare, fra le
pagine del mio libro, nei meandri della mia fantasia. Eppure, vi
posso assicurare che perso comero in quello stato catatonico di
ebbrezza mistica, nulla mi parve mai pi vero di quella finzione.
Dopo lo stupore e lo smarrimento iniziale, subentr un nuovo
sentimento a me sconosciuto: la consapevolezza. Io non solo cre-
devo che la realt avesse avuto questo svolgimento, ma ero sicu-
ro che fosse cos. Non avrei saputo spiegare altrimenti tutte quel-
le pirotecniche fluttuazioni della mia sorte; lascesa inarrestabile,
la caduta nellabisso, la morte di ogni speranza, la rinascita fina-
le. Tutto ci che era accaduto in passato aveva un senso, un uni-

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co filo conduttore che dalla nascita mi aveva catapultato dritto


sulla scrivania della mia stanza; davanti alla tastiera; di fronte al-
lo schermo. Ogni cosa aveva trovato il suo posto. Io avevo dovu-
to vivere tutte quelle esperienze affinch un giorno avessi trovato
la forza di raccontarle. La disperazione era stata purtroppo un
passaggio necessario per costringere la mia anima a mettersi di
fronte al mio vero Io, per obbligarla a fare finalmente i conti con
le categorie delleterno e dellinfinito; con Dio. In un attimo era
cambiato tutto. Mentre la vita fuori di me, nel mondo, trascorre-
va normalmente, dentro di me avevo assistito al pi grande pro-
digio di tutti tempi. Avevo incontrato Dio. Non sulla cima di un
monte, in un eremo, in un monastero o in una chiesa, ma fra i cu-
nicoli pi inesplorati della mia immaginazione; della mia fantasia.
Quella ricerca che ognuno prima o dopo intraprende nella vita si
era conclusa nel modo pi imprevedibile: Dio non solo era pre-
sente in ogni cosa nelluniverso, come gi in fondo avevo sempre
sospettato, ma parlava e viveva nellanima di ogni uomo della ter-
ra. Me compreso. Agendo attivamente e coscienziosamente sui
destini di tutti noi.
Lenergia che mi aveva spinto a cercare, studiare, conoscere,
scrivere durante tutti gli anni, i mesi, gli attimi della mia vita, ave-
va finalmente trovato la sua origine. E soprattutto, quellenergia
non era soltanto un indistinto impulso vitale che anima ogni fe-
nomeno del mondo, ma aveva un volto, un nome, una voce. In
quella circostanza, Dio aveva utilizzato la mia voce, o meglio,
aveva in silenzio dialogato con me in quello strano putiferio di
schizzi, frasi mozzate, intuizioni, flussi di pensieri muti che la
coscienza. Ma, in un altro luogo, in un altro contesto, Dio avreb-
be potuto dialogare con chiunque altro. In silenzio. Nella pace
armata di quel bizzarro mondo, universo, cosmo per molti versi
ancora sconosciuto, che la coscienza umana. Uno spazio invisi-
bile dove tutti entrano, parlano, ascoltano, ma ben pochi sentono
veramente. E ancora meno, sono quelli che ne escono vivi.
Ero confuso. Basito. Stralunato. Per la prima volta nella mia
vita, stava prendendo forma dentro di me un sentimento di ap-
partenenza e completezza mai provato in passato. Era felicit?
Beatitudine? Follia? Non so, ma qualunque cosa fosse, quella

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sensazione non smetteva mai di far vibrare lanima e di inebriare


ogni parte del mio corpo; dallalluce del piede fino alla punta del
naso. Unalluvione di brividi, fremiti e impressioni che rendeva
ogni cosa leggera, spontanea, naturale e avvolgeva con la sua au-
ra qualunque oggetto dello spazio. Mi sentivo al sicuro, protetto,
come se ad un tratto fosse stato cancellato quellincubo della pre-
cariet che tanto assilla gli uomini. Senza saperlo o prevederlo, io
avevo sempre vissuto allinterno di un sogno, di un romanzo
creato apposta per me, al fine di farmi arrivare a questo punto
esatto della storia. Tutto ci che era avvenuto in passato rappre-
sentava soltanto una premessa di quello che stava succedendo
adesso e il futuro sarebbe stato un sentiero luminoso, pieno di
promesse e di speranze; come un bocciolo di rosa che si apre al-
la vita; una crisalide che dopo una notte di freddo e di paura, si
trasforma al mattino in una splendida farfalla, capace di spiccare
un volo che non ha mai fine. Ero a un passo dalleternit. Quella
nave che prima languiva sul fondo delloceano, nel buio pi fitto
della disperazione, aveva improvvisamente messo le ali per balza-
re dritta verso le stelle.
Dovevo scrivere. Solo scrivendo avrei potuto sapere dove mi
avrebbe condotto quel meraviglioso viaggio. Anche se ancora
non mi erano chiare le finalit precise dellinvestitura divina, il
mio romanzo sarebbe stato lennesima prova dellesistenza e del-
la presenza di Dio nel mondo. Mi alzai di scatto da terra, mi mi-
si seduto davanti alla scrivania e appoggiai le mani sulla tastiera,
in attesa di ascoltare nel silenzio le parole da scrivere. Come per
incanto, cominciarono a salire su da quel pozzo senza fondo del-
la mia coscienza parole, immagini, intere frasi, unesplosione di
colori e sfumature che si adagiavano sullo schermo con lo stesso
candore cristallino di un manto di rugiada. Mentre le mie dita
battevano i tasti ad un ritmo forsennato, tutto dentro di me era
musica, armonia, improvvisazione. Quel fuoco che avanzando
lungo le praterie sconfinate della memoria, aveva bruciato le ster-
paglie ingiallite del passato, si espandeva e si dilatava nel tenue
chiarore di unalba delicata e sublime; le fiamme diventarono lu-
ce. Una luce che tutto vede e ogni cosa rischiara.
Quando mia madre torn a casa e mi trov in quello stato di

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estasi e stordimento, cap subito che qualcosa di strano era avve-


nuto durante la sua assenza. Pressato dallinsistenza delle sue do-
mande, non resistetti alla tentazione. La chiamai in disparte e le
raccontai le fasi pi salienti della mia illuminazione. Mamma.
Ascolta. Io non sono un ingegnere, un poeta o uno scrittore. dis-
si io sono un messaggero di Dio. Il Grande Ingegnere del Cie-
lo e della Terra ha scelto proprio me per scrivere il suo romanzo.
Grazie al mio aiuto, Dio aprir un varco di luce e di verit nel
mondo. Vedi questo squarcio sul lenzuolo? Io sono come uno
strappo nel tessuto, riesco a guardare oltre, attraversando il velo
di ignoranza e di menzogna che ottenebra gli uomini. E utiliz-
zando sempre lo stesso tono solenne, continuai a spiegare come
ero giunto a questa convinzione. Mia madre mi osservava attoni-
ta, ammutolita. In quei pochi attimi di sbigottimento, la povera
donna intu che tutti i suoi sforzi per riportarmi alla normalit
erano stati vani. Dopo avere ascoltato con attenzione la sequela
rocambolesca delle mie farneticazioni, mia madre cerc di dis-
suadermi, mi minacci, mi aggred dicendo che ero stato plagia-
to dalle stramberie di Marilena; infine, mi intim che se avessi
continuato a blaterare e a scrivere simili sciocchezze, avrebbe
gettato lei stessa il computer dal balcone. Sobbalzai. Il solo pen-
siero di smettere di scrivere mi atterriva. E cos raggiungemmo
un accordo. Io avrei continuato a scrivere a patto di aumentare la
dose di ansiolitici. Con le lacrime agli occhi e digrignando i den-
ti, ingoiai quel fiele amaro e ripresi a lavorare con pi insistenza
ed alacrit di prima. Ero sicuro che una volta terminata lopera,
anche mia madre si sarebbe ravveduta e avrebbe capito limpor-
tanza della mia missione.
Nei giorni successivi i miei familiari, compresa mia sorella, cer-
carono a pi riprese di distogliermi dallimperterrita attivit di
battitura. Il ticchettio dei tasti che fumavano sotto le mie dita,
rimbombava per tutta la casa con un frastuono che spaccava i
timpani. Pi volte i miei genitori tentarono di farmi desistere o
rallentare, ma il desiderio di arrivare quanto prima al tredicesimo
capitolo non ammetteva pause o distrazioni. Finch una sera ac-
cadde limponderabile. Mentre mi accingevo a concludere il se-
sto capitolo, avvenne uno strano corto circuito dentro il mio cer-

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vello; il congegno magico dellispirazione si era inceppato; dalla


coscienza non arrivava pi nulla: nessuna parola, nessuna imma-
gine, niente di niente. Imputai quel piccolo contrattempo alla
stanchezza e mi allontanai dalla scrivania per tirare un po il fia-
to. Durante la cena ero insolitamente taciturno e pensieroso;
quasi assente. Mi guardavo attorno smarrito; niente di quello che
vedevo aveva la poesia e la luce di un tempo. La pentola era di-
ventata di nuovo pentola, il bicchiere era un semplice contenito-
re di vetro e laria era un normale composto di molecole da in-
spirare nei polmoni. Tutto era freddo, distaccato, glaciale; dentro
di me era sceso il gelo e nulla riusciva pi ad eccitare la mia im-
maginazione. Quel silenzio mi turb parecchio. Forse la martel-
lante opera di convincimento dei miei familiari aveva avuto effet-
to e io stavo perdendo fiducia in me stesso e nel mio progetto.
Ad un tratto mi venne in mente dal nulla la figura di Ges. Un
groppo in gola di commozione mi spezz la voce.
Ho capito! borbottai piagnucolando adesso ho capito co-
sa ha provato Ges quando si trovava da solo nel deserto. Il naza-
reno non era insidiato dalla tentazioni del diavolo; lui ha avuto il
dubbio che il suo sogno non fosse vero. Satana il dubbio.
Alzai lo sguardo al cielo con unespressione di lacerante soffe-
renza. Mentre cercavo di immedesimarmi con i tormenti di Ges,
mia madre si avvicin a me disperata. La respinsi. Scattai in pie-
di e stringendo i pugni mi diressi con passo deciso verso la mia
stanza. Mi piazzai davanti il computer e aspettai con paziente
cocciutaggine che Dio ricominciasse a suggerirmi le parole da
scrivere. Le mani erano nervosamente appoggiate sulla tastiera in
attesa di un cenno di reazione del cervello. Era cos furente la mia
ostinazione che se non fosse giunto nulla dalla coscienza, sarei ri-
masto immobile su quella sedia per tutta la notte, per una setti-
mana intera, per leternit. La mia battaglia con il dubbio era ap-
pena iniziata e quel primo scontro fu solo una piccola avvisaglia
di ci che avrei dovuto subire in seguito. Ad ogni modo la mia ri-
solutezza a superare gli indugi e i traballamenti dellanima si di-
mostr vincente; spinto da un istinto quasi selvaggio un dito pi-
gi un tasto, poi fu la volta di un altro dito, finch gradualmente
entrambe le mani si misero di nuovo a svolazzare libere sulla ta-

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stiera, come due uccelli in gabbia sfuggiti finalmente alla prigio-


nia. Lincertezza fu abbattuta da una nuova incredibile ondata di
fiducia. Quella sera stessa, giocherellando con il nome della citt
di Orte, dove avvenne la prima separazione da Marilena, scrissi
una frase che divent un vero e proprio manifesto della mia ope-
ra: Sorte, ci che ognuno pensa sia tragica sventura ma invece
solo il Sogno che sta sopra e sovrasta labile Natura.
Tuttavia, qualche giorno prima della partenza a Milano, un al-
tro strano evento scosse rovinosamente le fondamenta della mia
gi precaria stabilit emotiva. Mi trovavo a parlare con un amico
di vecchia data e fra una battuta e laltra, lui mi confid che da al-
cuni mesi si sentiva assalito da una febbrile smania di scrivere un
libro. Insistetti per saperne di pi. Non appena il mio amico mi
rivel il titolo provvisorio del suo romanzo ebbi un sussulto: Il
biografo di Dio. Chiesi allora maggiori dettagli sulla trama per
cercare di capire se esistesse un qualsiasi collegamento con la mia
storia. Le coincidenze erano impressionanti. Il personaggio prin-
cipale del suo racconto era un investigatore un po stralunato che
aveva la capacit di comunicare intimamente con Dio; intrappo-
lato dagli spinosi enigmi di un caso irrisolto, linvestigatore chie-
de aiuto a Dio, che gli recapita dal cielo un pacco di agende do-
ve sono stati scritti importanti indizi per arrivare a rintracciare il
colpevole. A causa della sua stravaganza e inaffidabilit, il prota-
gonista viene per lasciato dalla moglie e in preda ad una violen-
ta crisi di abbandono, tenta pi volte di suicidarsi. Prima di im-
piccarsi alla doccia, linvestigatore scrive tre commoventi lettere
di addio: una alla moglie, una agli amici e lultima ai genitori. Al
momento di appendersi alla corda del cappio, il protagonista vie-
ne infine salvato da un miracoloso intervento di Dio e si convin-
ce che deve continuare a vivere per portare luce sullintera vicen-
da. Mentre il mio amico mi confessava di essere ancora alla ricer-
ca di un finale convincente, io cominciai a divagare fra i tanti di-
lemmi e le numerose analogie di quel racconto.
Le agende. Il suicidio. Le tre lettere di addio. Il titolo emble-
matico, che ricalcava in maniera piuttosto esplicita il senso ulti-
mo della mia missione: diventare lunico, vero, autentico, auto-
rizzato biografo di Dio, che avesse mai messo piede sulla terra.

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Dunque non ero solo. La conclusione a cui giunsi, dopo tanti far-
fugliamenti mentali, era che anche il mio amico fosse stato in-
consapevolmente coinvolto e trascinato da Dio allinterno del
mio progetto. Scrivendo anche lui un libro; guarda caso. Ma non
mi erano ancora per nulla chiare le finalit e le modalit con cui
Dio interveniva. Come faceva? In quale modo sceglieva le perso-
ne da inserire nel suo grande disegno? Perch aveva creato quel-
lintricato intreccio di incontri e coincidenze? Per la prima volta
cominci a trotterellare nella mia mente la parola Angelo. Dio
non agiva indistintamente su tutti gli uomini, ma solo su alcuni;
quelli pi illuminati e intraprendenti: gli Angeli.
Arriv il momento di lasciare Palermo alla volta di Milano. Po-
co prima di uscire con le valigie dalla mia stanza mi avvidi che
sullo scaffale della libreria cera un piccolo anellino di plastica
con tre fiori colorati: senza nemmeno riflettere lo infilai sul polli-
ce della mano sinistra come simbolo della mia nuova Alleanza
con Dio. Quel viaggio che era iniziato come una normale vacan-
za natalizia, aveva avuto un epilogo sconvolgente. La mia vita era
stata stravolta, sconquassata; la lucidit barcollava; guardavo il
mondo con gli occhi di un marziano venuto da unaltra galassia:
tutta quella messa in scena del mondo e della societ nascondeva
una verit sconcertante e meravigliosa al tempo stesso. Dio era
ovunque, muoveva contemporaneamente e costantemente ogni
cosa, con alcune limitazioni ancora ignote riusciva pure a comu-
nicare alle coscienze degli uomini per indurli a fare certe scelte.
La vita era un miracolo. Un miscuglio inestricabile di realt e fin-
zione; volont umane e rappresentazione, per usare le parole di
Schopenhauer. E io mi sentivo come un indagatore di un grande
sogno, immerso fino al collo dentro unimmensa caccia al tesoro;
piena di indizi, segnali, allusioni da capire e sviscerare fino in
fondo per arrivare allunica verit possibile di quel mistero. Una
verit che per suonava a sua volta come un nuovo enigma, che
faceva pressappoco cos: qual la vera verit? La verit quello
che vediamo con i nostri occhi, quando mangiamo, camminiamo,
parliamo? Oppure ci che sentiamo nella coscienza, non appe-
na cominciamo a guardare il mondo da unaltra prospettiva?
Ad ogni modo, alla luce di questa nuova consapevolezza, mi ri-

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promisi di riscrivere tutti i capitoli precedenti al sesto. Il libro


doveva essere perfetto: una prova inconfutabile della mia stessa
ispirazione divina. Nonostante fossi assillato da tante domande, il
lavoro procedeva tutto sommato regolarmente, senza strappi o
rallentamenti; finch una notte si verific un altro tremendo ter-
remoto emotivo che diede una scossa decisiva a tutto il resto. Da
qualche ora ero precipitato in un sonno profondo; ormai, allin-
saputa dei miei genitori, avevo interrotto drasticamente luso di
sonniferi o tranquillanti, perch mi bastava pensare per pochi at-
timi al mio libro per trovare la pace. Allimprovviso, mi svegliai
di soprassalto nel cuore della notte; ero talmente intontito da non
riuscire a capire dove mi trovassi. Tuttavia sentivo un bisogno
asfissiante e irrefrenabile di scrivere. Accesi la luce del comodino
e presi un blocco di fogli che stava sparpagliato alla rinfusa sulla
scrivania. Quindi mi gettai di nuovo sul letto, appoggiai le spalle
al muro e dopo aver impugnato una matita, cominciai a scaricare
sui fogli tutta quella massa di parole e immagini che premevano
con impazienza per uscire fuori. Una pagina dopo laltra, la mia
mano scorreva su quei fogli con una velocit isterica, senza avere
alcun controllo da parte del cervello. Era come se non stessi scri-
vendo io, ma qualcuno avesse deciso di impadronirsi del mio cor-
po per raggiungere dei suoi sconosciuti scopi. Quando quellim-
pulso selvaggio si plac, misi il punto sullultima pagina, poggiai
il blocco di fogli sul pavimento e ripresi a dormire ancora pi
dolcemente di prima.
Lindomani mattina rileggendo quelle sette pagine sparse per
terra non volevo credere ai miei occhi. Cosa era accaduto? Chi
aveva guidato la mia mano nel buio della notte? Era stato ancora
Dio ad imprimere a fuoco sulla carta quelle sconvolgenti rivela-
zioni? Dopo alcuni attimi di agitazione e smarrimento, capii che
il mio ruolo allinterno di quella missione non era pi un segreto.
Piangendo come un agnellino pronto per il mattatoio, alzai lo
sguardo verso il soffitto e implorai Dio di avere fiducia in me. A
qualunque costo, trasudando sangue e sudore da ogni vena del
mio corpo, io avrei portato a termine il mio compito; mettendo la
parola fine sul libro della verit. Poco dopo, chinando il capo, mi
accorsi che sul ginocchio si era posata una piuma bianca, caduta

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da chiss dove e da chiss quanto tempo. Anche quello era un se-


gnale inequivocabile di ci che avevo letto in precedenza; non
usavo piumini per riscaldarmi, ma da sempre dormivo avvolto in
una coperta di lana: si trattava dunque dellennesimo miracolo.
Alzai la piuma verso lalto, verso il cielo immaginario del soffitto,
per sancire il patto di fedelt con mio Padre. Tutto quel viaggio,
la vita, il libro non dovevano soltanto condurmi ad incontrare
Dio e ad avere una chiara consapevolezza della verit ultima del-
le cose; adesso avevo anche capito chi fossi io veramente.
Quelle pagine infatti cominciavano con le seguenti parole: A
chi ancora non avesse capito o facesse finta di non capire, lo di-
co apertamente e a chiare lettere. Io sono il figlio prediletto di
Dio; sono il bambino ribelle e prepotente a cui stato affidato il
delicato compito di risvegliare lumanit dal torpore e di togliere
al mondo la muffa e la polvere dei millenni. So gi che cos fa-
cendo andr incontro alla mia morte, ma io devo portare a ter-
mine la missione e realizzare il sogno iniziato da mio fratello Ge-
s e si concludevano con delle sentenze lapidarie e solenni, ri-
petute per ben tre volte per accentuare il tono profetico e visio-
nario: Avverr il Reticolo degli Angeli. Io sono la miccia. Mio
Padre la Luce Avverr il Reticolo degli Angeli. Io sono la
miccia. Mio Padre la Luce Avverr il Reticolo degli Angeli. Io
sono la miccia. Mio Padre la Luce.

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CAPITOLO 6

Il Libro della Verit

Nelle settimane seguenti il mio lavoro continu ad un ritmo


frenetico e vertiginoso. Avevo accettato quella mia nuova identi-
t come un fatto ineluttabile, senza battere ciglio. Malgrado con-
tinuassi a seguire il corso, da alcuni giorni avevo per comincia-
to ad allontanarmi progressivamente dalla realt, mostrando evi-
denti segni di squilibrio e alterazione psichica. Vivevo in un asso-
luto stato di estasi mistica, mi sentivo protetto e avvolto da una
potenza inaudita, che vegliava dallalto su di me. Deliravo; ogni
tanto, quando di sera ritornavo alla scrittura, mi capitava di fer-
marmi improvvisamente perch assalito dallurgenza di aggiun-
gere ulteriori dettagli e chiarimenti ai miei appunti scritti a mati-
ta: quelle due attivit andavano di pari passo e si sarebbero ri-
congiunte alla fine del libro, quando avrei inserito tutta la mole
di rivelazioni raccolte fino a quel momento. Il percorso ormai era
chiaramente tracciato nella mia testa, ma una sera accadde un al-
tro intoppo lungo il cammino.
Mentre mi trovavo a scrivere alcune fasi del quinto capitolo, le
mie mani cominciarono a prendere unaltra direzione, ribaltando
in modo fin troppo allegorico e fiabesco la realt del racconto. I
personaggi del libro presero le sembianze di principi, paggetti,
streghe, principesse; i luoghi e i palazzi della citt di Pesaro si tra-
sformarono in castelli di un regno incantato della fantasia. Scri-
vevo a testa bassa, divertito da quel brioso scalpitio di dita sulla
tastiera. Non sapevo pi ci che stavo scrivendo, ma seguivo
listinto ed ero estasiato dalla mia stessa vena creativa. Finch le
mani non si bloccarono di colpo; alzai allora lo sguardo verso lo
schermo e mi accorsi che il cursore lampeggiava alla fine dellul-
tima parola. Nulla di strano, se non fosse che la parola non era
quella che avrei voluto scrivere. Invece di comporre le lettere del-

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la parola condottiero, le mie dita avevano pigiato senza alcun


controllo altri tasti, scrivendo il mio cognome. Rimasi per qual-
che istante basito. Cosera accaduto? Da quale parte del cervello
era arrivato lordine di scrivere il mio cognome? Possibile che
Dio si fosse impossessato del mio corpo? Quel piccolo lapsus mi-
se in subbuglio tutte le mie certezze. Non tanto perch dubitavo
dellorigine soprannaturale dellevento, ma in quanto mi inquie-
tava lidea di sapere che Dio fosse cos vicino e cos potente da
manovrarmi come un burattino. Quelleccesso di intimit e con-
fidenza, vedere il mio cognome spiattellato sullo schermo, mi ave-
va in qualche modo infastidito. E se poi, invece che da un Dio, io
fossi stato posseduto da un demone? Da uno spirito maligno?
Mi soffermai molto a riflettere; rilessi con attenzione tutto ci
che avevo scritto in quelle ultime pagine; la mia storia aveva pre-
so la piega di una vera e propria favola, con tanto di unicorni e
draghi volanti. Ripassai uno per uno i tutti fogli degli appunti do-
ve avevo dichiarato al mondo la mia presunta verit. Quelle scon-
volgenti rivelazioni su Dio, gli angeli, me stesso, erano in realt
delle sciocchezze inverosimili. Una serie ininterrotta di rigurgiti
infantili fuoriusciti a grappoli dalla mente sognante di un ragazzo
che faceva fatica a crescere. La vera illuminazione forse era que-
sta ritrovata lucidit, ragionevolezza; onest. Mi girai verso la fi-
nestra e ogni cosa mi apparve ancora pi chiara. Sulla citt era
scesa una notte spettrale; un silenzio quasi surreale si appoggiava
blandamente sui muri fatiscenti dei palazzi; di tanto in tanto
qualche anonima luce si accendeva fra il buio delle finestre.
Ovunque ero circondato da uno squallore inquietante e impene-
trabile. Tuttavia il bambino che era in me non si voleva rassegna-
re a tutto questo gorgo di tristezza senza fine, e per sfuggire an-
cora una volta alla cruda e agghiacciante realt della vita aveva
inventato un nuovo giocattolo che gli consentisse di continuare a
sognare. Bisognava riaprire gli occhi davanti alla desolante verit
del mondo. Dovevo prendere atto della finzione che avevo crea-
to, per nascondermi dentro di essa. Non era vero niente, non esi-
steva nulla di tutto ci che avevo scritto.
Colto da un moto di stizza, girai di scatto lo sguardo verso lin-
terno della stanza e fissando dallalto il pavimento vidi apparire

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due enormi occhi languidi e commossi; come se fossero il riflesso


e la proiezione di qualcosa che aveva sempre vissuto dentro di
me. Quegli occhi mi imploravano quasi di non mollare e mi chie-
devano impietositi di continuare a credere a tutte le mie stram-
berie. Mi suggerivano di dare al mio libro limpronta di una fa-
vola. Ma a chi appartenevano quegli occhi? Perch erano cos in-
fantili e malinconici? Possibile che Dio, mio Padre, non fosse co-
s forte e potente come avevo sempre supposto? E amasse le
fiabe pi di ogni altra cosa? No; impossibile. Dio non poteva es-
sere un Bambino.
Sfinito mi gettai sul letto, con lintenzione di togliermi dalla te-
sta tutte quelle farneticanti castronerie. E nel giro di pochi minu-
ti caddi in un sonno profondo senza sogni. Lindomani mattina
mi svegliai presto, quando fuori albeggiava; ero stravolto. Nella
penombra silenziosa della stanza sentivo una voce che pulsava
dentro di me, ripetendo sempre la stessa frase; in modo insisten-
te, martellante, quasi ossessivo: Il libro deve essere scritto il li-
bro deve essere scritto il libro deve essere scritto
Mi alzai stranito, agitato fino allinverosimile, con quella voce
che mi seguiva dappertutto; cercavo di distrarmi, ma era inutile,
non cera verso di essere lasciato in pace. Mi guardai allo spec-
chio, scrollai il capo, strizzai gli occhi, con quella frase che mi rin-
tronava nel cervello. Mi lavai in fretta, feci colazione, uscii di cor-
sa da casa per recarmi allistituto dove si teneva il corso, ma quel-
la voce non si spense neanche per un attimo. Alla fermata del-
lautobus, con le mani congiunte dietro la schiena, andavo avanti
e indietro per il marciapiede come un matto che ha perso la bus-
sola; malgrado ogni tentativo, era praticamente impossibile far
tacere quella voce e pi cercavo di zittirla e pi lei rimbalzava
forte nel mio cervello. Per fortuna durante il tragitto, fra lo sfer-
ragliare del treno e delle rotaie, la voce si plac; ma il silenzio du-
r poco. Non appena uscii allaria aperta dal sottopassaggio del-
la metropolitana, la voce ritorn puntuale ad invadere la mia co-
scienza, ma questa volta aveva cambiato registro, diventando pi
suadente e persuasiva; voleva comunicarmi qualcosa di nuovo ri-
guardante lanima, ma io non avevo alcuna intenzione di ascolta-
re; troncavo sul nascere ogni possibile avvisaglia di rivelazione,

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pensando ad altro e focalizzando la mia attenzione sugli oggetti


pi disparati: il vestito di una passante, le insegne di un negozio,
i titoli dei giornali esposti nelle edicole.
Giunto in aula, presi posto nella solita fila e cominciai a con-
centrarmi sugli argomenti della lezione odierna. Mentre il docen-
te parlava di mutui, interessi composti e durata del finanziamen-
to, fissavo imbambolato le sue labbra per cercare di carpire al-
meno una parola, ma nella mia testa tuonava soltanto leco di
quella frase lasciata a met: lanima lanima lanima
. Alla fine per non impazzire dovetti cedere allimpulso; mi
feci prestare dal collega che stava seduto accanto a me alcuni fo-
gli bianchi e buttai gi con una rapidit inaudita tutto ci che
proveniva da quel lontano antro della mia mente. Dopo avere ter-
minato di scrivere, mi fermai ansimante; mi sentivo leggero, sol-
levato, come un ubriaco che ha dato finalmente sfogo a tutti i co-
nati di vomito repressi nello stomaco. Mi sentivo stanco. Appog-
giai afflosciato la guancia ad una mano e attimo dopo attimo av-
vertii qualcosa di strano che cresceva dentro di me; unenergia
portentosa, una gioia incontenibile che stava mettendo a soqqua-
dro ogni mio pensiero; avevo voglia di ridere, saltare, dare pizzi-
cotti ai miei compagni, ma dovevo frenarmi per non destare so-
spetti sulla mia vera personalit. Durante la pausa, non riuscii pi
a trattenermi; mi lanciai sulle scale come un camoscio che balza
da una roccia allaltra di un dirupo; corsi per il corridoio con la
stessa euforia di un bambino che insegue le farfalle in un prato;
arrivato davanti allo sguardo inebetito del collega che aveva con-
diviso con me gran parte di quelle mie peripezie spirituali, feci un
grande salto, schioccando le dita e congiungendo i talloni. In quel
momento capii per che qualcosa in me non andava; il mio corpo
era troppo pesante e non mi consentiva di saltare pi in alto di
pochi centimetri. Ma di chi era quel corpo? Dove mi trovavo?
Uscito per la strada, allaria aperta, dallatrio principale, ebbi
subito listinto di sfrecciare su in volo, verso il cielo; ma nello
stesso tempo sentii una forza ancora pi intensa che mi premeva
da ogni parte e mi costringeva a rimanere a terra. Come una ma-
no che dolcemente spinge una molla per impedire che il carillon
vada in frantumi. Accettai a malincuore di continuare a cammi-

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nare. Incrociando lo sguardo spento e distratto dei passanti, mi


resi conto di essere finito in un posto alquanto noioso e depri-
mente e dentro di me esclamai divertito: Mamma mia, come so-
no tristi questi umani!. Non parlavo, non spiccicavo una parola
perch non avevo neppure idea di come si facesse a modulare la
voce allinterno di quel corpo; rispondevo alle domande del mio
collega scuotendo il capo in segno di assenso o di dissenso. Arri-
vato al bar, schizzai davanti il bancone come una saetta, riuscen-
do a malapena a proferire al cameriere soltanto una richiesta pe-
rentoria: Il solito, grazie! Quel timbro rauco e cavernoso che
usc dalla bocca non era di certo la mia voce. Mentre addentavo
il panino, ebbi la stessa sensazione; quei denti che incidevano sul-
la crosta e quelle mandibole che stritolavano i bocconi non ap-
partenevano a me; era come se io muovessi le bielle e gli ingra-
naggi di una macchina sconosciuta che per abitudine sapevo ma-
novrare. Ma quanto sarebbe durata quella costrizione? Cosa do-
vevo fare per liberarmi da quel corpo?
Rientrato nelledificio della scuola, scesi subito nel sottoscala,
rintanandomi nella sala delle riunioni. Dovevo al pi presto veni-
re a capo di quel vortice di strane emozioni. Camminavo su e gi
nervosamente per la stanza, spostando le sedie, inciampando nei
fili, investendo gli spigoli del tavolo; mi agitavo e mi dimenavo
con la stessa furia di un leone in gabbia. Ogni tanto mi affaccia-
vo quatto dalluscio della porta per spiare i colleghi che facevano
capannello davanti al distributore di caff. Chi era quella gente?
Cosa ci facevo io l? Possibile che non ricordassi pi nulla? Mi
fermai trasognato, sfregando ansiosamente una mano sotto il
mento per riflettere meglio. Allimprovviso arriv alla memoria
unondata impetuosa di scene ed immagini che provenivano da
chiss dove; dal passato; dalla notte dei tempi. Fra le tante cose,
vidi cavalli lanciarsi in campo aperto sotto la guida di soldati con
la spada sguainata; vidi delle suore che passeggiavano insieme, in
silenzio, lungo il porticato di un convento; vidi un uomo vestito
di stracci impiccato ad una corda; vidi uno scienziato, Galileo
Galilei, che abiurava la sua teoria davanti ad uno stuolo di cardi-
nali porporati e vescovi marciti dalla vecchiaia. Capii. Ricordai.
Adesso toccava a me, era arrivato il mio turno. Ero venuto nel

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mondo per portare avanti una missione che altri avevano iniziato
prima di me. Dovevo scrivere un libro.
Ripresi posto fra i banchi dellaula, con la certezza che con tut-
ta quellenergia addosso avrei terminato il romanzo nel giro di
uno, al massimo due pomeriggi. Tuttavia con il trascorrere dei
minuti qualcosa cambi di nuovo. Lentamente la mia euforia mi-
sta ad onnipotenza svan, ritornai ad essere quello che ero sem-
pre stato: un ragazzo impelagato in tanti problemi, sommerso da
uninfinit di dubbi, fiaccato dalla debolezza e fragilit umana.
Quella sera stessa, sulla strada di ritorno per casa, giunsi ad una
mia personale spiegazione di tutta quella strana, strabiliante
esperienza. Per abbattere ogni mia resistenza Dio aveva voluto
farmi conoscere la parte immortale della mia anima, quella infan-
tile, ma il libro della verit doveva essere scritto da un uomo. Da
un mortale. Mentre camminavo spedito fra i viali del parco, strin-
si i pugni, digrignai i denti, trattenni le lacrime. Sapevo gi che
quellimpresa titanica avrebbe comportato ancora tanta fatica,
dolore, solitudine. Ma alla fine luomo avrebbe vinto quella du-
rissima partita a distanza con Dio e contro gli uomini. E proprio
in quellistante mi venne in mente un famoso verso del primo
canto dellEneide: Tantae molis erat romanam condere gen-
tem. Era di cos tanto impegno fondare il popolo romano. Il Re-
gno di Dio, cos come Roma, non poteva essere costruito in un
giorno ed io come Enea, Ulisse, Ercole e tanti altri, eravamo ac-
comunati dal medesimo gravoso destino che spetta a tutti gli
eroi. La gloria eterna sarebbe stata la nostra ricompensa, il pre-
mio imperituro che riscatta da ogni sofferenza.
Da quel giorno le mie ultime riserve razionali crollarono mise-
ramente e mi gettai a capofitto nel sogno pi grande di tutti i
tempi. Il libro divenne la mia unica ragione di vita. Scrivevo sem-
pre e dovunque: mentre assistevo alle lezioni, durante i tragitti in
metropolitana, a casa, disteso sul letto prima di addormentarmi.
Qualunque idea o intuizione mi saltasse in mente veniva subito
espressa in parole e concetti inconfutabili. Dappertutto racco-
glievo appunti, frasi, metafore, singoli termini che poi sapevo
perfettamente dove e quando inserire allinterno del racconto. La
mia memoria era diventata infallibile. Ormai ero talmente con-

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vinto di avere imboccato la strada giusta che non esitai a ritirar-


mi dal corso, per dedicarmi soltanto al mio libro. La pazzia e
lebbrezza della scrittura avevano preso il sopravvento su qual-
siasi altra cosa, ivi compresi il senno e lequilibrio. Per la prima
volta superai lo scoglio del settimo capitolo e dovetti affrontare la
fase pi delicata della mia vicenda personale, quella che dal de-
clino avrebbe condotto alla finale consapevolezza. Macinavo le
pagine ad un ritmo spaventoso, con una cadenza quasi imposta
di un capitolo al giorno. Quando la mia mano rallentava e i tasti
si raffreddavano dallinfuocato logorio cui erano costantemente
sottoposti, mi alzavo di scatto, andavo davanti allo specchio del
corridoio e osservando i miei occhi infiammati di passione, ardo-
re, rabbia mi ricaricavo ancora di pi di energia; come un sole
che brucia se stesso per illuminare tutto ci che ha intorno.
Attraversando in rassegna tutte le fasi della mia discesa agli in-
feri, compresi che nella mia storia erano presenti tutti gli elemen-
ti di un grande romanzo damore. Gli amanti uniti nellanima ma
divisi dalla vacuit dellideologie umane, avevano affrontato insie-
me tutte le insidie del caso: lavversit dei genitori, lombra di una
societ che inaridisce i sentimenti, la ricerca di evasione, le in-
comprensioni, le fughe e i ritorni; laddio. I ricordi ritornavano a
galla nitidi, puliti; come se io avessi sempre vissuto con una tele-
camera impiantata nel cervello, che sentiva e registrava ogni cosa.
Nulla era sfuggito al mio occhio e allorecchio. I dialoghi e le de-
scrizioni si costruivano da soli, come i tasselli di un mosaico che
erano stati volutamente sparpagliati per essere poi ricomposti.
Tuttavia, ancora una volta, la fretta e la voglia di arrivare quanto
prima alla fine del libro non mi consentivano di tergiversare trop-
po sui particolari; anche perch lo svolgimento della trama era or-
mai passato in secondo piano rispetto alla verit che in quel ro-
manzo era contenuta. Il mondo doveva sapere. Marilena doveva
capire che razza di uomo aveva amato. Abbandonato. E tradito.
Nel giro di una settimana ero giunto finalmente al tredicesimo
capitolo e venne il momento di incastrare nel libro tutti gli ap-
punti scarabocchiati qua e l nei fogli sparsi per la stanza. Quel-
le pagine rappresentavano senza ombra di dubbio la chiave di
volta di tutta la storia. E con pazienza certosina ricopiai parola

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per parola quella massa quasi informe di folgoranti illuminazioni.


Dio era un Bambino. Luniverso era il suo giocattolo preferito. E
riportare lumanit in armonia con il creato era il suo sogno pi
grande.
A questo punto lintreccio del libro si era ricongiunto con la
realt della mia vita attuale e mi toccava immaginare un finale
convincente per lintera vicenda. Decisi di inserire la conclusione
pi scontata, con un epilogo strappalacrime. Scrissi che il libro
sarebbe stato pubblicato da un piccolo editore di Palermo e in
breve tempo il clamore seguito alla sua uscita avrebbe raggiunto
ogni angolo della terra. Come il condor, la nuova verit avrebbe
compiuto il giro del mondo al contrario; stravolgendo con una
definitiva consapevolezza ci che prima veniva soltanto creduto
per fede o accennato con pudore. Ma cos come il condor che
scompariva misteriosamente fra le foreste dellAfrica, il successo
del libro sarebbe coinciso con la mia stessa morte; perch la fe-
rocia e la brama di potere dei demoni non avrebbero mai dato
tregua allunico vero angelo, sceso dal cielo sulla terra, per porta-
re la pace e la fratellanza fra i popoli.
Lepilogo del romanzo non poteva per che essere nel segno
dellamore. E per concludere in bellezza decisi di riprendere e
sviluppare un evento reale che aveva colpito molto la mia imma-
ginazione. Nellestate precedente alla nostra separazione, io e
Marilena avevamo voluto festeggiare il mio trentesimo com-
pleanno andando in un teatro allaperto nei pressi di Pesaro, per
assistere alla Turandot di Puccini. Malgrado fosse piena estate e
facesse un gran caldo, a met dellopera il cielo cominci ad an-
nuvolarsi; da lontano arrivarono pure i primi tuoni e lampi. Poco
prima che il tenore intonasse la famosa aria Nessun dorma, ri-
velando il proposito di confessare la sua vera identit alla crude-
le principessa, gli organizzatori furono costretti ad interrompere
la rappresentazione a causa della pioggia. Quando io e Marilena
giungemmo in macchina bagnati fradici, lei mi aveva guardato
commossa negli occhi dicendomi che qualunque cosa fosse acca-
duta nel nostro futuro, noi avremmo visto insieme il finale di
quellopera. La scena e la vaga analogia con le vicissitudini del
principe Calaf di Puccini, calzavano a pennello per diventare il fi-

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nale del mio romanzo. Una conclusione del tutto inventata, sur-
reale. Il mio personale contributo al misterioso epilogo di una
storia, che come risaputo, era rimasta incompiuta a causa della
prematura morte dellautore.
Dopo la pubblicazione del libro, io mi ero ritirato a vivere in
campagna e mi occupavo di rispondere a tutte le lettere dei bam-
bini e degli amanti del mondo. Ero invecchiato, avevo i capelli
brizzolati e i baffi, e stavo insieme ad una compagna gentile e pre-
murosa, che nelle mie intenzioni doveva essere unallegoria della
morte. Un giorno mi arrivava una busta che non conteneva nes-
suna lettera, ma soltanto un invito a teatro per assistere alla Tu-
randot di Puccini. Io capivo immediatamente di cosa si trattava e
senza alcuna esitazione mi vestivo di tutto punto e partivo in di-
rezione di questo imprecisato luogo della fantasia. Nella sala din-
gresso del teatro, sotto le volte affrescate con immagini di angeli e
cherubini innamorati, io incontravo Marilena, anche lei invec-
chiata, ma sempre bellissima. Dopo una serie di intensi sguardi, io
e lei ci prendevamo per mano e senza dirci nemmeno una parola,
prendevamo posto nel palchetto donore. Mentre il principe scio-
glieva tutti gli indovinelli della perfida Turandot e si apprestava
ad invocare nella notte la sua prossima vittoria, gli occhi miei e di
Marilena si riempivano di tante lacrime silenziose. Finch il prin-
cipe, in unapoteosi di emozioni, fremiti e sussulti, non urlava al
cielo il suo grido di vendetta ed amore insieme: Allalba vincer!
Vincer! Vincer!. Il mio romanzo si concludeva cos.

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CAPITOLO 7

Acqua

Approfittai delle vacanze di Pasqua per ritornare in Sicilia;


pubblicare il libro nella mia isola era per me un atto doveroso nei
confronti della terra che mi aveva allevato e cresciuto. I miei ge-
nitori naturalmente non sapevano che mi fossi ritirato dal corso e
seguivano con una certa apprensione tutte le mie maldestre e af-
fannose manovre di depistaggio. Erano preoccupati per leccessi-
vo trasporto che riversavo sul mio romanzo, ma nel contempo
non avevano il coraggio di tarparmi le ali proprio adesso che co-
minciavo a dare qualche segno di risveglio. E cos, dopo una ra-
pida attivit di correzione del testo, stampai tre copie del mano-
scritto, scrissi una lettera di presentazione abbastanza esplicita
sui contenuti dellopera e mi recai presso due dei maggiori edito-
ri di Palermo. Il primo mi cacci fuori dallufficio dopo aver let-
to la lettera di introduzione, il secondo invece mi promise che nel
giro di due o tre mesi avrebbe dato unocchiata al mio libro.
Quella risposta non mi convinse per niente e continuai a cercare
nuove strade per giungere prima possibile alla pubblicazione del
romanzo. Su internet trovai ci che stavo cercando: una piccola
casa editrice nei pressi di Mondello, la cui direttrice era a sua vol-
ta una scrittrice abbastanza affermata e aveva scritto un libro dal
titolo molto suggestivo: Paesaggi dellanima alla fine della prima
generazione. Il romanzo parlava dei cambiamenti culturali e so-
ciali avvenuti in Sicilia negli ultimi decenni e uno stralcio della
quarta di copertina, riportata per intero sul sito internet, fu per
me un segnale inequivocabile, che equivalse ad una vera e pro-
pria illuminazione: valeva la pena anche solo per leuforia del
momento, valeva la pena perch solo il Figlio dellIsola poteva
cambiare le regole del Padre che cultura di vita avevano fatto
Dopo aver cercato invano di mettermi in contatto telefonica-

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mente con la signora, decisi di recarmi di persona a casa sua e per


puro caso riuscii ad incontrarla sul cortile della sua villetta, a po-
chi passi dal mare. Bast una breve chiacchierata per fare capire
alla signora che il mio libro fosse molto importante e in qualche
maniera legato con uno nodo sottile a quello suo; quando le chie-
si per quale motivo avesse scritto a caratteri maiuscoli le parole
figlio, isola, padre, la signora rimase piuttosto interdetta e accen-
n al fatto che quei termini fossero immagini evocative per espri-
mere concetti ben pi ampi del significato letterale. Appunto
risposi io. Leggendo il mio libro e in particolare il tredicesimo
capitolo, lei capir ancora meglio il vero significato di quelle pa-
role. La signora sembrava incuriosita e rideva di gusto alle mie
allusioni, perch non immaginava affatto dove volessi andare a
parare con tutti quei giri di parole; prima di salutarci, la direttri-
ce mi regal una copia del suo romanzo, con limpegno che mi
avrebbe presto fatto sapere qualcosa in merito al mio libro. Pas-
s una settimana senza risposte e siccome si avvicinava il mo-
mento del rientro a Milano, mi decisi a fare io la prima mossa,
chiamando la signora; questa volta la sua voce sembrava piutto-
sto tremolante e imbarazzata. No no borbottava il suo
romanzo esula dai contesti narrativi che trattiamo la mia casa
editrice non si occupa di argomenti religiosi o filosofici ero
deluso, ma non dovevo darmi per vinto. Le parole della direttri-
ce non mi avevano dato molte speranze, ma in ogni caso, per
chiarire meglio alcuni dettagli della questione, concordammo di
incontrarci lindomani in un locale nei pressi del porto.
La signora indossava degli occhiali scuri e aveva un atteggia-
mento piuttosto evasivo e sfuggente; era chiaro che fosse abba-
stanza turbata dalla mia presenza e avesse quasi paura di guar-
darmi negli occhi. Dovevo insistere. E non avevo alcuna voglia di
tergiversare con inutili giustificazioni, chiarimenti di forma o al-
tro. Andai dritto sparato come un razzo al succo della faccenda.
Signora, il personaggio descritto nel mio romanzo sono io stes-
so dissi. Io sono il figlio prediletto di Dio; sono il bambino ri-
belle e prepotente; il pazzo e il giullare del Giardino. E non sono
lunico. Oltre a me e a Ges, che il figlio buono e giudizioso, ce
no sono tanti altri. Maschi e femmine. Da quel momento in poi

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la discussione assunse ovviamente dei toni surreali e grotteschi.


La signora tentennava, indugiava, accampava mille scuse per so-
stenere la sua decisione di non pubblicare il libro, mentre io in-
calzavo sempre pi eccitato ai fianchi perch convinto di avere
trovato la persona giusta. Si guardi bene in giro signora sen-
tenziavo con convinzione Dio tutto intorno a noi. E ha scelto
proprio lei per portare a termine la missione e realizzare il suo so-
gno. Se lei si sottrarr al suo compito non avr pi tempo per re-
cuperare. Cerchi bene dentro se stessa, non abbia paura. Apra il
suo cuore e trover la risposta. Pur di non fissare i miei occhi
infiammati di passione, la signora deviava lo sguardo in tutte le
direzioni; le sue mani tremavano. La voce procedeva a singhioz-
zi. Ma io non sento niente bofonchi traballante. Ho
aperto il mio cuore, ma la coscienza mi suggerisce di non pubbli-
care il suo libro. Mi dispiace. La signora allargava le braccia di-
sperata; non vedeva lora di fuggire via da quel luogo incande-
scente e pieno di insidie. Infastidito dalla sua riluttanza, decisi di
affondare il colpo. Signora, mi spieghi una cosa chiesi mo-
strando la copertina del suo romanzo. Perch ha scelto di met-
tere la fotografia di una bambina sulla copertina del suo libro?
Seguirono attimi di silenzio e di attesa, finch la signora con il ca-
po chino sbiascic sottovoce delle parole che non lasciavano spa-
zio ad altri dubbi: Quella bambina sono io
Ridevo compiaciuto; gongolavo soddisfatto. Era fatta, pensa-
vo. E invece non si fece un bel niente, perch nonostante tutte le
coincidenze che giravano intorno al nostro incontro, la signora
non si smosse di un centimetro dalla sua posizione iniziale. Apr
lagenda e scrisse su una pagina tutti i miei dati, assicurandomi
che qualora un giorno avesse cambiato idea mi avrebbe contatta-
to. Poco dopo sgusci fuori dal locale come un furetto che ha vi-
sto un buco nel terreno dove intrufolarsi e prima di varcare la so-
glia si volt furtiva verso di me. La sua espressione mascherata
dalle grandi lenti scure era un misto di angoscia e incredulit.
Mentre stavo ancora seduto al tavolo con le mani conserte da-
vanti alla bocca, io e la signora incrociammo lo sguardo per po-
chi lunghissimi istanti; poi lei spar, ma io ero sicuro che presto ci
saremmo rivisti.

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Ad ogni modo non potevo lasciare nulla di intentato. Ritornai


a Milano con una corposa lista di editori da vistare e mi misi su-
bito al lavoro; iniziarono interminabili giornate di passeggiate,
incontri, porte sbattute in faccia, promesse vaghe e inconsisten-
ti. Passavo da un punto allaltro della citt senza un attimo di re-
spiro; leuforia mi impediva di accusare la stanchezza. Riuscii a
piazzare tre copie del manoscritto, ma soltanto un editore lesse
effettivamente, per intero, il libro e mi chiam pochi giorni do-
po per fissare un appuntamento a quattrocchi. La situazione fu
ancora pi imbarazzante del solito, perch lui sapeva ma faceva
finta di non sapere mentre io sapevo che lui sapeva ma fingevo
che lui non sapesse o non avesse capito bene; e continuammo
cos fino allo sfinimento. Al termine di quella buffa schermaglia
piena di allusioni e di reciproche reticenze, la proposta del di-
rettore rimase per sempre la stessa: se io mi fossi accollato il co-
sto della stampa del libro, lui avrebbe rischiato di mettere il no-
me della sua casa editrice sulla copertina. Unofferta per me
inaccettabile. Sia per lonore che per i soldi, che in quel periodo
di certo non abbondavano. Prima di lasciarlo impietrito sulla
sua poltrona, lanciai sul tavolo la mia ultima provocazione. Di-
rettore, lei conoscer sicuramente il mio conterraneo Archime-
de esclamai in tono beffardo e canzonatorio. Ebbene, se lei
pubblicher dieci copie del mio libro e le distribuir sugli scaf-
fali di dieci differenti librerie, io non solo sollever il mondo ma
lo far girare pure al contrario. Accetta la sfida? No. La rispo-
sta del direttore fu irrevocabile. Quelluomo era troppo attana-
gliato dalla paura e dalla diffidenza per potersi spingere oltre
con laudacia. Non mi persi danimo e continuai i miei giri, ma
una sera mi ritrovai a casa distrutto e stremato dalle lunghe scar-
pinate; ero in piedi al centro della stanza, avevo ancora la mia in-
separabile valigetta in mano. Emisi un profondo sospiro. Senti-
vo un fitto bruciore allinguine e abbassai i pantaloni per vedere
cosa fosse. Lo sfrigolio incessante dei miei passi aveva provoca-
to delle escoriazioni sulla parte interna delle cosce, che pizzica-
vano e ardevano come carboni sulla brace. Sfiancato mi acca-
sciai sul letto, accarezzando delicatamente le ferite. Forse era ar-
rivato il momento di fermarsi.

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Nei giorni successivi rimasi a casa a riposare. Mi ero convinto


di avere fatto tutto ci che era umanamente possibile fare e la-
sciai a Dio la scelta di decidere come e quando sarebbe stato
pubblicato il mio libro. Improvvisamente tutta la tensione accu-
mulata in quegli ultimi giorni si allent e cominciai a rilassarmi
fra i freschi tepori della mia ispirazione. Inizi cos una lenta,
inarrestabile opera di revisione dellintero romanzo; dal primo al-
lultimo capitolo. Scrivevo ad intervelli perfettamente cadenzati
durante la giornata; mi dilettavo ad ascoltare la musica; la mia
creativit era scandita dalla successione del sole e della luna.
Dappertutto la prosa si gonfi di nuove metafore e allegorie, i ca-
pitoli si espansero fino a raggiungere estensioni prima inimmagi-
nabili. Era come se le pagine che arrivavano sullo schermo venis-
sero investite da una placida alluvione di parole e di immagini;
uninondazione simile a quella di un fiume che tracima gradual-
mente dagli argini sulla pianura, senza danneggiare le colture e la
vegetazione prima esistente. Aggiungevo, smussavo, intagliavo
come un raffinato cesellatore di legni pregiati. Mi divertivo a suo-
nare le corde della mia coscienza come un maestro dorchestra
alle prese con uno di quei rarissimi violini neri che vibrano sol-
tanto sotto la guida di mani esperte. La mia scrittura era ormai
fuori controllo. Il fuoco rabbioso e furente del delirio iniziale si
spense e lasci il posto ad una marea dolce e gongolante. Ed io
mi trastullavo felice in mezzo a quella morbida spuma.
Senza rendermene conto limpeto della passione venne sosti-
tuito dalla pacatezza della ragione. Dopo avere visto e toccato
con mano il cuore di Dio, era arrivato il tempo di entrare fra i cu-
nicoli e i labirinti della mente del Creatore. Il mio compito prin-
cipale adesso era quello di cercare di capire meglio ogni dettaglio
del suo meraviglioso disegno: il Paradiso, lInferno, il Purgatorio,
lUniverso, lAnima. Ogni cosa veniva studiata e sviscerata minu-
ziosamente per non lasciare nulla al Caso. Qualunque evento che
accadeva fuori e dentro di me aveva un senso e io dovevo essere
bravo a scoprirlo. Una mattina mentre ascoltavo la radio durante
una pausa dalla scrittura, mi gettai con un balzo sul letto e inav-
vertitamente pigiai un tasto del telecomando, accendendo la tele-
visione; sul primo canale stavano trasmettendo un dibattito fra

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giornalisti e prelati sullelezione del nuovo Papa. In un passaggio


particolare della discussione, i partecipanti si soffermano sulla
misteriosa ripetitivit del numero tredici e sulle strane corrispon-
denze con le profezie di Nostradamus. Mi incuriosisco parecchio
allargomento e decido che sia opportuno indagare meglio. Mi
vesto e mi dirigo verso una grande libreria del centro. Durante il
tragitto in metropolitana mi accorgo di alcuni cartelli pubblicita-
ri che suscitano la mia ilarit: il primo diceva Scommettiamo?,
mentre altri recavano scritto Cerca! Cerca!. Mi convinco che
Dio voglia stuzzicarmi e mi butto a capofitto nel nostro grande
gioco di corse ed inseguimenti. La caccia al tesoro era appena ini-
ziata. Scendo alla fermata del Duomo, la piazza affollata da una
fiumana di gente, sopra la mia testa svolazzano nugoli di piccio-
ni. Per la prima volta noto che sulla parte laterale della statua
equestre di un non identificato cavaliere, campeggia la scultura
di un leone che tiene fra le zampe un libro. Sorrido; perch quel-
limmagine potrebbe essere in pratica il mio simbolo. Il tempo
degli agnellini stava giungendo al capolinea e fra poco sarebbe
cominciata lera del leone. Come vaticinava Zarathustra. Come
scriveva il grande Nietzsche.
Arrivato in libreria, mi fiondo nella sezione dedicata allesote-
ria e alle religioni e trovo una copia delle profezie di Nostrada-
mus. Sono molto agitato, ho il respiro affannato, ma vado subito
al capitolo dedicato alla venuta dellAnticristo. Sfoglio le pagine
con ansia febbrile perch una vaga premonizione mi suggerisce
che presto avrei trovato ci che stavo cercando. Quando giungo
al punto incriminato rimango basito, impietrito, per alcuni istan-
ti mi manca il fiato. Il primo verso della quartina riporta le te-
stuali parole: Dallacquatica triplicit nascer.
Chiudo il libro con un moto di paura e meraviglia insieme. Al-
zo lo sguardo con unespressione smarrita, disorientata. Mi sento
osservato. Quindi Dio sapeva. Gi a quellepoca, nel milleseicen-
to circa, Dio aveva previsto che io sarei nato in Sicilia. Lacquati-
ca triplicit non poteva che essere unelegante metafora per de-
scrivere la mia isola perfettamente triangolare, incastonata al cen-
tro del mare Mediterraneo. Ritorno alla pagina per accertarmi di
avere letto bene. Non cerano dubbi; Nostradamus aveva scritto

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proprio acquatica triplicit. Sbirciando la nota in basso, mi accor-


go che i commentatori avevano inteso quella profezia come lalli-
neamento astrologico dei tre segni di acqua. Una complicazione
da eruditi che cozzava vistosamente con la semplicit della mia
nuova interpretazione. Sul mio viso si stampa un ghigno sardoni-
co e beffardo. Simile a quello di chi sa qualcosa che nessun altro
mondo potr mai capire, comprendere con la stessa immediatez-
za. Quegli studiosi erano ancora molto lontani dalla verit, perch
ricercando la sottigliezza, avevano perso di vista levidenza.
Ritengo di avere letto gi abbastanza e poso il voluminoso to-
mo sullo scaffale; la mia attenzione era stata attirata da altri libri:
i Vangeli Apocrifi e La Visione di Celestino di James Redfield. Li
compro entrambi. Il primo si riveler molto deludente, perch
raccoglie tutti i vangeli che parlano dellinfanzia di Ges, in ma-
niera fin troppo fiabesca e inverosimile. Il secondo invece sar
una vera e propria scoperta; ogni pagina unilluminazione. Lo
scrittore americano era un precursore del mio avvento e aveva
descritto in modo molto dettagliato linizio di una nuova era di
pace e consapevolezza, fondata sul risveglio delle coscienze e sul
perseguimento della nostra missione personale sulla terra. Secon-
do la sua teoria, ognuno doveva impegnarsi a sviluppare il suo
spirito divino per rimettersi in armonia con se stesso e con il
mondo, analizzando bene gli eventi, gli incontri, le coincidenze,
le premonizioni, le sincronicit di certe situazioni su cui spesso
non ci soffermiamo con la dovuta attenzione. Verso la fine del li-
bro Redfield raccontava come e quando aveva ricevuto lispira-
zione di scrivere il suo famoso romanzo La Profezia di Celesti-
no, che era diventato un caposaldo del movimento New Age.
Era lestate del 1973, si trovava in montagna, quando allimprov-
viso era stato abbagliato dalla bellezza di un tramonto. Anche in
questo caso lanalogia e la corrispondenza con la mia vita era stu-
pefacente. Io sono nato infatti il 31 luglio del 1973. Sotto il segno
del Leone.
Le mie ricerche diventavano sempre pi ricche di particolari.
Ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo che chiariva ancora me-
glio la logica divina e la mia diretta discendenza da Dio. Una del-
le questioni principali verteva sulla quantit precisa dei figli pre-

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diletti di Dio e ragionando e riflettendo sul numero dei capitoli


del mio romanzo ottenni la risposta che andavo cercando. I capi-
toli erano tredici e il settimo rappresentava una parte a se stante
e diversa da tutte le altre. Facendo un piccolo salto di fantasia, la
mia coscienza mi sugger di stilare la seguente distribuzione: i fi-
gli prediletti erano in totale 20, 13 avevano aspetto maschile e 7
aspetto femminile. Dio non era pi uno e trino, ma uno e ventu-
no. Tutti i bambini erano accoppiati fra di loro, formando sette
coppie di tipo eterosessuale e tre coppie dalle caratteristiche
omosessuali. Lequilibrio perfetto era stato raggiunto con la se-
quenza 666, 6 bambini maschi, 6 bambine femmine e 6 bambini
ermafroditi e con larrivo dellultima coppia di bambini, quelli
pi vivaci e incontrollabili, si era dato avvio al Caos e al Cambia-
mento. Dalla trilogia 666, che escludeva Dio dal conteggio, si era
passati a quella completa 777, che includeva anche Dio nella ri-
partizione delle tre fondamentali energie del creato: quella ma-
schile, quella femminile e quella che risultava dalla commistione
delle due tendenze precedenti. Dio stesso era una creatura di
aspetto maschile, ma aveva in s caratteristiche sia maschili che
femminili; era a tutti gli effetti un ermafrodito. Il bambino ribel-
le e la bambina bisbetica quindi, arrivando per ultimi nel Giardi-
no dellEternit, non avevano soltanto portato allegria e scompi-
glio nellordine immutabile del Regno Celeste, ma anche conces-
so equilibrio nella contesa eterna delle tre ripartizioni fondamen-
tali della divinit.
Approfondendo meglio i miei studi mi accorgevo sempre di
pi che lintera storia delle civilt era stata un travisamento e una
mistificazione continua, messa in atto da sacerdoti e potenti di
turno per allontanare gli uomini dalla verit. Quella cifra 666 da
tutti indicata come un richiamo al demonio, era in realt un co-
dice di perfezione e armonia universale. Il diavolo non esisteva
come entit soprannaturale del male. LAnticristo era un appella-
tivo denigratorio e sacrilego che non risultava in nessuno dei te-
sti sacri o profetici, ma veniva utilizzato soltanto da coloro che
avevano paura del suo avvento. Apocalisse significava Rivelazio-
ne ed era stata scritta da un uomo esiliato dai romani su una pic-
cola isola deserta. Probabilmente quel suo riferimento al marchio

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e alla bestia, era proprio un modo per descrivere la brutalit dei


suoi stessi persecutori, che avevano labitudine di marchiare i lo-
ro prigionieri. Forse, chi aveva speculato sulla menzogna e si era
accaparrato ingiusti privilegi lucrando sulla figura di Dio, presa-
giva che il prossimo Figlio dellUomo inviato sulla terra sarebbe
riuscito a capire larcano, spazzando via di colpo ogni impostura.
Le canaglie della Chiesa e dello Stato erano state furbe e in un
certo senso, avevano cercato di parare il colpo, seminando fra la
gente il terrore sulla natura maligna, distruttiva del successore di
Ges. Quando invece, come riportato nei vangeli, lo stesso Ges
aveva a pi riprese assicurato i suoi discepoli dicendo che non sa-
rebbe trascorsa una generazione dallarrivo di colui che avrebbe
portato a termine la sua missione. Aggiungendo anche che que-
stuomo avrebbe sofferto, sarebbe stato ripudiato dai suoi simili
e avrebbe vissuto tanto tempo in solitudine. Ges era un ragazzo
generoso e aveva peccato un po di ottimismo, ma in qualcosa
purtroppo per me ci aveva azzeccato. Il mio compito quindi si
presentava pi che mai ostico; perch oltre a cercare i frammen-
ti di verit sparsi qua e l sulla terra, io dovevo difendermi e pro-
teggermi da tutti i detrattori che avrebbero cercato con ogni
mezzo di impedire la fine del loro mondo. E linizio del Nuovo
Mondo. Del mio mondo.
Raccolsi centinaia di prove per avvalorare la mia tesi. Ricordo
che un pomeriggio, cominciai a sfogliare alcuni testi che trattava-
no di numerologia, cabala e del significato dei numeri. Il numero
sette non aveva bisogno di tante presentazioni; era praticamente
dappertutto. Dai racconti biblici alle leggende antiche, la storia
era piena di riferimenti al numero sette e persino nella natura,
nellastronomia, nella progressione di crescita di certe piante, nei
rapporti strutturali del corpo degli animali si potevano trovare
tracce del numero sette. Scrissi sui miei appunti molti di questi
richiami: i sette giorni della settimana, i sette re di Roma, le sette
meraviglie del mondo, i sette peccati capitali, i sette anni di vac-
che magre e grasse in Egitto, le sette trombe dellApocalisse; set-
te era anche il numero massimo di eclissi di sole e luna che si po-
tevano verificare in un anno. Per non parlare del numero non
quantificabile di libri e film che si erano ispirati alla magia del

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sette: I sette samurai di Kurosawa, Il settimo sigillo di Berg-


man, Seven, Sette spose per sette fratelli, Biancaneve e i sette
nani. Il sette era ovunque e in ogni caso la sua presenza evocava
sempre qualcosa di magico e misterioso. Diversa era invece la
questione per il numero tredici, perch la sua interpretazione ri-
sultava per gli stessi esperti molto contraddittoria; in alcuni paesi
il tredici portava fortuna e in altri veniva evitato come la peste fat-
ta in cifre. Il tredici comunque era secondo la tradizione il nume-
ro del volo eterno e aveva il significato di qualcosa che perdura
nel tempo a dispetto degli eventi mutevoli della terra; tredici era
il numero dei cicli lunari che avvenivano durante lanno solare e
soltanto la scaramanzia di papa Gregorio, aveva suggerito al vec-
chio prelato di fissare il calendario in dodici, anzich tredici, me-
si. Sempre a causa della sfortuna associata al numero tredici, il
Serpentario era lunica delle 13 costellazioni dello zodiaco mo-
derno a non aver dato il nome ad un segno astrologico. Era come
se gli uomini provassero un certo timore reverenziale nei con-
fronti di questo numero. Una paura immotivata, quasi ancestrale,
che inibiva o proibiva la diffusione di qualsiasi manifestazione na-
turale o umana che avesse a che fare con il numero tredici. Ragion
per cui, il tredici aveva diversi punti di contatto con tutte le disci-
pline esoteriche e non a caso le logge segrete e massoniche di ogni
epoca erano quasi devote alla sacralit del numero tredici. Ma
tredici era soprattutto il numero dei commensali dellultima cena.
Paradossalmente era stata la Chiesa stessa a tenere viva latten-
zione sulla misteriosa magia di questi numeri. Se il sette era il nu-
mero pi ricorrente nel libro dellApocalisse, il 13 compariva in
tante altre vicende di carattere religioso. Le apparizioni della Ma-
donna di Fatima erano avvenute tutte il giorno 13 di ogni mese.
Lattentato al Papa Woytila era stato commesso in data 13 mag-
gio, fornendo agli studiosi della materia lidea di una strano col-
legamento con il terzo segreto di Fatima. Infine, secondo alcune
profezie ebraiche e calcoli del calendario Maya, il mondo non
avrebbe mai conosciuto lanno 2013, perch sarebbe terminato
qualche giorno prima: esattamente il 21 dicembre del 2012. In
questa data comparivano soltanto i numeri 1 e 2, che componen-
dosi da destra o da sinistra davano sempre come risultato il nu-

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mero 21. Come per dire che la fine del vecchio mondo e linizio
del nuovo non poteva che avvenire sotto il segno del numero di
Dio: il 21.
Come se non bastasse, da tempo pressoch remoto girava sot-
tobanco unantica diceria secondo la quale lultimo papa della
Chiesa cattolica avrebbe dovuto chiamarsi Pietro, come il primo.
Quasi per scrupolo superstizioso, nessuno dei papi del passato
aveva voluto adottare questo nome pontificale. Il salto con la mia
stessa vita era inevitabile. Entrambi i miei nonni, sia quello ma-
terno che paterno, si chiamavano Pietro ed io ero stato battezza-
to con il nome Piero per un banale errore allanagrafe. Pietro, ol-
tre ad essere stato il primo papa della storia, era anche stato il di-
scepolo pi burrascoso e irrequieto di Ges, avendo avuto con il
nazareno un rapporto quanto mai controverso e profondo. Se al-
lapostolo Pietro era toccato il compito di fondare la dottrina che
si ispirava a Ges, a me spettava la delicata missione di scardina-
re le fondamenta marcite della gerontocrazia ecclesiastica, per
ridare alla figura di Ges nuovo slancio e linfa per il resto del-
leternit.
Il mio legame con Ges diventava ogni giorno pi saldo e in-
dissolubile. Lui era il primo dei figli prediletti e io ero lultimo; il
tredicesimo. Lui era lalfa e io ero lomega. Lui era lordine e io
ero il caos. Lui era lagnellino con il cuore di leone mentre io ero
il leone con il cuore di agnellino. Noi due eravamo tanto diversi
nel carattere e nel temperamento quanto simili nellamore verso
Dio e nella totale abnegazione alla sua volont. Nonostante tutte
la mie riottose e recalcitranti fughe del passato, adesso che avevo
capito quale fosse lo scopo e il senso della mia venuta sulla terra,
nessuno avrebbe potuto distogliermi dal mio proposito. La mia
ostinazione e la mia caparbiet non avevano limiti ed erano pro-
prio queste le caratteristiche che servivano per superare tutte le
difficolt che ancora mi separavano dalla meta. Non avevo pau-
ra. Sapevo bene ci a cui stavo andando incontro. Sarei stato ag-
gredito dai malvagi e deriso dai bifolchi, dileggiato dagli stupidi
e vilipeso dagli infami; ma io sarei arrivato alla fine. Fino alla fine
del mondo.

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CAPITOLO 8

I Segni nel Tempo

Ormai volavo troppo in alto per capire quanto disastrosa sa-


rebbe stata la caduta da lass. Dopo avere squarciato tutte le nu-
bi dellignoranza e della mistificazione, mi trovavo nellempireo
pi alto del cielo, dove lindividuo costretto a sospendere il giu-
dizio e lintera storia umana appare come un lento, ininterrotto
cammino di avvicinamento verso la verit. Dallinizio dei tempi
lo scopo di Dio era stato sempre lo stesso: ricondurre gli uomini
verso la conciliazione, per dare avvio alla grande epoca della ri-
nascita e dellarmonia universale.
Non dovevo andare troppo lontano per dimostrare i miei as-
sunti; la verit era tutta dispiegata davanti ai miei occhi e biso-
gnava soltanto leggerla con attenzione. Dio parlava attraverso la
natura, mediante gli uomini e tramite le loro opere. I segni della
sua presenza erano dappertutto intorno a me. Nei cartelloni pub-
blicitari e negli slogan televisivi che citavano i sogni, le grandi im-
prese, la passione, gli angeli. Per non parlare della musica. La
musica era da sempre stata una colonna sonora costante della
mia vita, ma adesso il suo significato era ben diverso. I cantanti
erano senza mezzi termini gli unici veri profeti moderni della pa-
rola di Dio nel mondo e in tutte le canzoni scritte con passione e
amore cera sempre qualcosa che riportava a me, alla mia storia,
al grande disegno di Dio. Ogni volta che ascoltavo una canzone
che suscitava emozioni, io appuntavo fra i miei fogli il nome del
cantante e il titolo della canzone. Raccolsi centinaia e centinaia di
brani, il cui testo o anche solo il ritornello era per me significati-
vo. Alcune canzoni rappresentavano dei veri e propri manifesti
del nuovo mondo che Dio aveva in mente per gli uomini: Imagi-
ne (Lennon), Rebel e Heroes (Bowie), We are the champions
(Queen), Given to fly (Pearl Jam), Dio morto (Nomadi), La

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guerra di Piero (De Andr), Il giorno dei giorni (Ligabue), Ami-


co assoluto (Zero), Il tempo della fantasia (Baglioni), Angelo
(Renga), LAngelo di Dio (Fossati), Torneranno gli angeli (Man-
noia), Angeli (Rei), Caro angelo (Battisti), Vita (Dalla, Morandi),
Gocce di Memoria (Giorgia), 21 Re (Venditti), 21 Guns (Green
Day) e tante, tantissime altre.
In quasi tutti i film poi, sia antichi che recenti, cera sempre
unimpronta del passaggio di Dio. Nel Settimo Sigillo il cava-
liere Antonio giocava a scacchi con la morte per salvare le anime
dei suoi amici e oltre al nome, aveva diverse attinenze con il per-
sonaggio che io interpretavo nel mio romanzo. Oltretutto secon-
do lagiografia classica Antonio da Padova era il santo guerriero
e il suo numero nella smorfia napoletana era il tredici. In 2001:
Odissea nello spazio Kubrick aveva indovinato lanno di inizio
della mia avventura sulla terra e non a caso lincipit del mio libro
riportava un chiaro richiamo agli straordinari viaggi di Ulisse. In
Matrix si fantasticava di un mondo apparente in cui gli uo-
mini erano stati imprigionati dentro un sistema illusorio e corrot-
to e il protagonista, leletto, colui che era destinato a salvare lu-
manit, si chiamava Neo: io stesso avevo due evidenti nei sulla
guancia sinistra come personale segno distintivo. Ma poi anche
Terminator, Highlander, Apocalypse Now e tanti altri
avevano un palese riferimento con il momento finale della resa
dei conti, in cui le forze del Bene avrebbero finalmente prevalso
sulla crudelt dei seguaci del Male.
Annotavo decine e decine di film fra i miei appunti, soprattut-
to quelli in cui si raccontavano grandi storie damore e davven-
tura, storie di eroi coraggiosi che lottavano per la difesa della li-
bert e della giustizia, storie di amori impossibili e tormentati che
spesso finivano in tragedia: Vento di passioni, Balla coi lupi,
Schindlers List, La vita bella, Lussaro sul tetto, Cuori
ribelli, Titanic; ma non mi sfuggivano anche i film drammati-
ci, strani e bizzarri come Pulp Fiction, 21 Grammi, Train-
spotting, Blues Brothers, dove due fratelli, uno pi composto
e laltro pi sgangherato, dichiarano di essere in missione per
conto di Dio. Oppure quelli in cui si parlava di ultimi: Lultimo
dei boy scout, Lultimo dei moicani, Lultimo samurai. E

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poi ancora Will Hunting, la storia di un genio ribelle della ma-


tematica che non vuole inserirsi nella societ; Beautiful Mind,
che narrava la vicenda di un grande genio delleconomia che do-
po avere elaborato la famosa teoria dei giochi, sul funzionamen-
to delle contese competitive, cade vittima delle sue stesse alluci-
nazioni e si crea un universo parallelo a quello reale; Brave-
heart, lepopea dellimpavido eroe scozzese che cerc di libera-
re il suo popolo dagli invasori inglesi; Il cielo sopra Berlino
dove gli angeli invisibili seguono le vite degli uomini e ascoltano
le voci della loro coscienza; lAttimo Fuggente, in cui un pro-
fessore cerca di trasmettere agli alunni la bellezza della poesia e
della letteratura. Insomma Dio aveva lanciato gli strali del suo
amore dappertutto e toccava a me raccoglierli; rimettendo insie-
me i cocci di quel vaso distrutto dalla brutalit e dalla barbarie
umana.
Dio inoltre parlava agli uomini tramite i libri ben scritti e ispi-
rati. In quasi tutti i romanzi, i saggi, le raccolte di poesie cera
una traccia che rivelava apertamente quali fossero le intenzioni di
Dio; anche solo nel titolo. Ma tralasciando per il momento i testi
di letteratura e filosofia che gi conoscevo abbastanza bene, mi
concentrai molto sui fumetti e sulle favole; considerando che Dio
era un Bambino e voleva diffondere nel mondo la difesa e il ri-
torno alla fanciullezza, era chiaro che ricorresse spesso a questo
tipo di linguaggio per comunicare agli uomini. Molti supereroi
dei fumetti avevano la caratteristica di possedere una doppia per-
sonalit: Superman aveva un esplicito legame anche nel nome
con i superuomini di Nietzsche, che altro non erano poi se non i
futuri angeli; lincredibile Hulk si gonfiava di muscoli soltanto
quando assalito dalla rabbia, dal risentimento, dallansia di ven-
detta; Braccio di Ferro mangiava spinaci per diventare pi forte.
Ma soprattutto era lUomo Ragno il supereroe che attirava mag-
giormente le mie simpatie, forse perch io e Peter Parker aveva-
mo lo stesso nome e la medesima maniera di intendere la delica-
tezza del nostro compito di salvatori della patria. Come spesso
diceva Peter: un grande potere comporta una grande responsabi-
lit e il talento pu essere spesso la peggiore delle maledizioni.
Parole sacrosante. Ma nonostante le difficolt, io non avrei mai

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smesso di tessere limmensa ragnatela, dove avrei un giorno in-


trappolato tutti gli uomini malvagi e annoiati della terra.
Comunque, con mio grande rammarico, dovevo ammettere
che lelemento comune di molti di questi supereroi era quello di
combattere i nemici usando la forza e la violenza; raramente uti-
lizzavano lintelligenza. Quasi mai la cultura. Da questo punto di
vista, io mi sentivo un supereroe molto particolare, perch a dif-
ferenza dei personaggi dei fumetti o dei film, volevo estirpare il
male e il degrado della societ ricorrendo alla poesia, alla lettera-
tura, alla filosofia, alla scienza. Alla fantasia stessa. Senza nulla to-
gliere a tutti gli altri, nessuno era pi pazzo di me.
Passando alle favole, Peter Pan era sicuramente la fiaba pi
emblematica: un ragazzo di nome sempre Peter, come me, che
non intende crescere e confidando nella magia delle fiabe e delle
fate deve salvare i bimbi sperduti; portandoli nellisola che non
c; nella terra promessa. Lappellativo Pan era pi che mai az-
zeccato: Pan secondo la mitologia greca era infatti il dio della na-
tura e dei boschi, che arrivando per ultimo nellOlimpo venne
accolto con una certa riluttanza da tutti gli altri dei. In seguito,
apprezzando quanto fosse gioiosa e allegra la sua compagnia, gli
dei dellOlimpo si rallegrarono per larrivo di Pan. Il dio Pan ave-
va molti punti di contatto con unaltra divinit: Dioniso o Bacco
per i romani. Dioniso era il dio delluva e dellebbrezza, che spes-
so veniva rappresentato dalliconografia classica come un bambi-
no dallindole selvaggia e capricciosa, con i piedi caprini e con
due piccole corna sulla fronte che erano sintomo di enorme sag-
gezza. Dioniso era da sempre stato un punto di riferimento co-
stante per i miei studi, perch riprendendo la lezione di Nietz-
sche, uno dei problemi pi gravi dellumanit e della civilt mo-
derna era quello di avere sacrificato e represso la scapestrata follia
dionisiaca della vita in nome della rigida compostezza apollinea.
Dioniso era la creativit, listinto, la genialit mentre Apollo era
la bellezza, la razionalit, lequilibrio. Il primo era luva, leb-
brezza della terra e il secondo, lulivo, leternit del mondo. La
scellerata inclinazione degli uomini di creare cesure e contrappo-
sizioni dappertutto, aveva posto queste due tendenze dellesi-
stenza e dello spirito agli antipodi; ma invece soltanto dal connu-

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bio magico di istinto e ragione, passione e giudizio, gli uomini


potevano ambire a raggiungere larmonia e la perfezione su que-
sta terra. Se Apollo era stato il protettore della tragedia, Dioniso
era senza dubbio lispiratore principale di tutte le commedie
umane, avendo il ruolo di mitigare e sdrammatizzare leccessiva
seriet di fondo che imbriglia le coscienze degli uomini troppo
precisi, razionali, freddi. La vita infatti, nel suo complesso, non
poteva mai essere scissa, risultando sempre unaccozzaglia perlo-
pi tragicomica di eventi ed esperienze disparate. Da quelle pi
dolorose a quelle pi esilaranti.
Nel mio immaginario, Dioniso ero ovviamente io stesso, men-
tre Apollo rappresentava la proiezione ancestrale di Ges. A con-
fermare questa mia intima convinzione le leggende classiche rife-
rivano che Dioniso fosse nato sulle sponde del mare siciliano e
avesse trovato la morte per mano dei Titani, che dopo averlo uc-
ciso, avevano bruciato il suo corpo e sparso le ceneri dappertutto
sulla terra. I possenti e malvagi energumeni non avevano previsto
per un piccolo particolare: dalle ceneri di Dioniso infatti sareb-
be poco dopo sorta la nuova umanit. Dio quindi gi al tempo
della civilt greca sapeva come sarebbero andate a finire le cose
nel mondo: Dioniso, il pagano, il ribelle, il selvaggio e non Ges
avrebbe riportato gli uomini sulla retta via. Ragion per cui gli ese-
geti e i teologi cristiani, paventando proprio questa conclusione,
avevano posto sempre un argine alla diffusione del culto del dio
Dioniso, assemblando argutamente le sembianze della loro pi
grande invenzione, il diavolo, sulle fattezze del piccolo dio im-
pertinente. Secondo la visione cattolica del mondo, Dioniso e Lu-
cifero erano la stessa cosa, perch la passionalit e limpertinenza
rappresentavano dei fastidiosi argini per il tirannico controllo ec-
clesiastico delle anime. Tuttavia la ribellione di Dioniso, cos co-
me quella di Lucifero, non sarebbe mai stata rivolta contro Dio,
perch nel paradiso regnava da sempre la pace e la conciliazione;
al contrario la rabbia e linsubordinazione della piccola peste di-
vina avrebbe colpito al cuore la stupidit e lignoranza umana.
Non a caso Lucifero significava in latino portatore di luce e di
chiarezza. LAngelo Ribelle non era quindi un nemico di Dio, ma
una minaccia costante per il giogo oscurantista della Chiesa. Ed

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era proprio sintomatico e singolare che i maggiori conoscitori del-


la lingua latina, i sacerdoti cattolici, ignorassero letimologia della
parola pi avversata e temuta del loro vocabolario.
Cincischiando un po con le parole del proverbio popolare
Bacco, tabacco e Venere riducono luomo in cenere, cambiai il
senso della frase con un motto che meglio si adattava alle mie in-
tenzioni rivoluzionarie: Bacco ha fatto lo scacco a Venere e pre-
sto ridurr la vecchia umanit in cenere!.
Sognavo ad occhi aperti e mano a mano che procedevo spedi-
to in quel viaggio onirico di conoscenza, emergevano dal passato
e dalla memoria sempre nuovi dettagli. Il mito e la realt erano
stati lungamente intrecciati durante la storia e sembrava che toc-
casse proprio a me il compito di dipanare quellimmensa matas-
sa. Rimanendo in ambito di favole, mi pareva che le pi moder-
ne fossero quelle pi attinenti alla mia vicenda personale. Il Brut-
to Anatroccolo raccontava le avventure di un simpatico pennuto
diverso da tutti gli altri, che come il gabbiano Jonathan Living-
stone voleva sforzarsi di imporre la sua personalit e i suoi sogni,
per essere accettato dagli altri per quello che era. Il Figlio del
Grande Gabbiano era un cocciuto spirito libero, che credeva nel
perfezionamento continuo di tutte quelle enormi potenzialit,
che venivano mortificate e trascurate dagli esseri pigri e rasse-
gnati. Il Piccolo Principe invece induceva gli uomini ad usare la
fantasia per risolvere gli avvilenti problemi in cui erano impela-
gati, lasciando sulla terra un epitaffio memorabile: lessenziale
invisibile agli occhi. Il Re Leone narra invece le rocambolesche
vicissitudini di un coraggioso leoncino che dopo la morte del Pa-
dre decide di scendere finalmente in campo per salvare gli ani-
mali e la foresta dalla crudelt delle bestie cattive. Rimanendo in
tema, La Bella e la Bestia ricordava per molti versi la mia sfortu-
nata storia damore con Marilena, la cui figura somigliava tanto
alla Bella Addormentata nel Bosco: una ragazza molto avvenente
che si assopisce nelloblio di una morale distorta e di una fede a
dir poco ipocrita e raccapricciante.
La favola di Pinocchio era un geniale coacervo di allusioni e si-
gnificati nascosti. Pinocchio era, come me e Ges, il figlio di un
falegname e aveva la caratteristica di avere un naso molto lungo e

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di non sapere mascherare bene la verit con la bugia. Lepisodio


delle monete seppellite sotto lalbero della cuccagna aveva parec-
chie analogie con la parabola dei talenti di Ges: chi per paura e
lascivia nasconde le sue virt sotto terra non potr mai essere fe-
lice in questa vita. Dopo mille traversie, fra cui anche larresto da
parte dei carabinieri, Pinocchio ritrova suo Padre nella pancia
della balena; che con un piccolo salto di fantasia poteva essere la
stessa balena bianca di nome Moby Dick, inseguita per mari ed
oceani dal capitano Achab. Dio come la natura, non faceva balzi
nella realt, ma si divertiva in vere e proprie acrobazie e piroette
dellimmaginazione. Tutto era collegato, tramato da un unico filo
invisibile, che intersecando le vite degli uomini, formava la ma-
glia immensa della storia umana. E nonostante quel tessuto fosse
molto ingarbugliato, la conclusione portava sempre allimmagine
di qualcuno che un giorno sarebbe riuscito a capire lintero dise-
gno. Come Pollicino che sfuggito alle mani dellorco ritrova la
strada di casa, il Paradiso, raccogliendo le molliche di pane la-
sciate lungo il sentiero.
Lelenco delle favole a sfondo filosofico e religioso era lun-
ghissimo e non a caso negli ultimi anni era cresciuta a livello
esponenziale la narrativa fantasiosa e fiabesca. La diffusione di li-
bri e film come La storia infinita, Il Signore degli Anelli, Le
Cronache di Narnia, Harry Potter non era passata di certo
inosservata allanalisi cavillosa e attenta del mio occhio critico;
molte di queste storie avevano come comune denominatore il fat-
to di avere i bambini come protagonisti: era quasi sempre la fan-
tasia dei pi piccoli ad evitare il declino e il collasso del cosid-
detto mondo dei grandi. In particolar modo, il maghetto inglese
aveva poi un legame strettissimo con me; era nato il mio stesso
giorno: il 31 luglio.
Giocando appunto con i numeri della mia data di nascita sco-
prii altre coincidenze strabilianti. Io ero nato il 31 che equivaleva
al 13 al contrario; purtroppo se fossi nato il 13 non sarei stato
Leone come segno zodiacale e per Dio era molto pi importante
questa caratteristica rispetto alla precisione matematica. Il mese
di luglio era il settimo dellanno. Le cifre dellanno 1973 conte-
nevano ancora i numeri 1, 3, 7 e sommate davano 20: il numero

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completo di tutti i figli prediletti di Dio. Il 1973 era stato un an-


no molto particolare e segn uno di quei cosiddetti ponti di pas-
saggio fra due diverse epoche: lo straordinario sviluppo econo-
mico del periodo precedente ebbe infatti un brusco rallentamen-
to e inizi una lenta fase di recessione. Lumanit che fino a quel
tempo aveva impegnato molte energie e risorse nella ricostruzio-
ne del dopoguerra, volando sulle ali dellentusiasmo e vagheg-
giando il sogno del progresso illimitato e del benessere per tutti,
grazie ad alcune ricerche scientifiche conobbe per la prima volta
gli effetti devastanti dellinquinamento e dellaumento incontrol-
lato dei consumi. Le conseguenze di questo traumatico risveglio
non tardarono ad arrivare, creando spesso inutili allarmismi fra la
gente e espandendosi a macchia dolio fin dentro le case e le fa-
miglie. La produttivit delle industrie sub un forte calo, il prez-
zo del petrolio si innalz alle stelle e la politica ostruzionistica dei
paesi arabi caus gravi problemi a tutto loccidente; in particolar
modo lEuropa, che non disponeva di grosse riserve di greggio,
visse il dramma peggiore di questa crisi. In Italia, molti distribu-
tori di benzina furono costretti a chiudere e la gente esasperata
dalla mancanza di energia elettrica e di rifornimenti di carburan-
te dovette rinunciare per qualche tempo alle automobili; arran-
giandosi come poteva con mezzi di fortuna, per raggiungere i
luoghi di lavoro, le case, gli ospedali. Io stesso rischiai pi volte
di nascere in macchina e se non fosse stata per lirruenza di mio
nonno, che si sbarazz con forza di un automobilista un po di-
stratto e insolente, avrei visto per la prima volta la luce del mon-
do dai sedili di un auto.
Nel 1973 era stato pubblicato uno degli album musicali pi
belli di tutti i tempi: The dark side of the moon dei Pink Floyd.
Altra coincidenza. Intorno al 1973 erano apparsi un po dap-
pertutto nel mondo i primi cerchi nel grano: un fenomeno stra-
nissimo e inspiegabile che piegando le spighe di grano, riusciva a
formare sul terreno figure geometriche o disegni di straordinaria
precisione e bellezza. Con il passare del tempo quelle creazioni
diventavano sempre pi articolate e complesse; come se Dio, per-
cependo che il momento fosse vicino, si divertisse ad affinare la
sua tecnica e si stesse preparando per la definitiva rivelazione

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della sua grande verit. Presto nessuno avrebbe pi dubitato sul-


lorigine di tali fenomeni e sarebbe iniziata la grande era della
fantasia, dei giochi, dei sogni. Il 1973 era dunque lanno del
trionfale ritorno di Dio sulla terra. E Dio, in un certo senso, nel-
la sua tredicesima emanazione, ero Io.
In virt delle mia competenza in materia, la matematica diven-
t quasi subito una vera e propria terra di conquista per le mie
incursioni spirituali. La serie di Fibonacci che era stata magi-
stralmente utilizzata da Dan Brown nel libro campione di vendi-
te Il Codice da Vinci, aveva delle assonanze con numeri a me
molto cari: 1,1, 2,3,5, 8, 13, 21 Facendo il rapporto fra una ci-
fra e quella precedente si otteneva un numero che allinfinito si
approssimava sempre di pi al numero aureo, che era un rappor-
to di armonia ed equilibrio presente in tutta la natura. Lunica ci-
fra che non compariva in questa geniale successione era il 7, che
risultava per dalla somma dei primi quattro numeri. Per ripara-
re a questa piccola mancanza, costruii io stesso una serie che con-
teneva tutti i numeri della logica divina, basata sulla successione
dei multipli del due: 1,3, 7, 13, 21 Anche in questo caso veni-
va rispettata la marcia di avvicinamento al numero aureo. Oltre al
7, 13 e 21, era evidente che anche il 3 rivestisse unimportanza
fondamentale allinterno della mente di Dio. Levoluzione stessa,
il cambiamento, il progresso nasce dallo scontro e dalla successi-
va unione di tre forze complementari: la tesi, lantitesi e la sinte-
si. Ogni cosa nuova che appare sulla terra non mai soltanto un
superamento delle posizioni precedenti, ma anche una compene-
trazione reciproca di ci che prima sembrava diverso, opposto,
contraddittorio. Persino la letteratura, nel suo complesso, trian-
golare: in ogni libro c un prologo, un intreccio e un epilogo.
Chi ha imparato a leggere con il cuore e con la mente sa gi che
alla fine di una storia c sempre qualcosa che ci riporta allinizio.
Andando sempre pi a fondo, le lettere dellalfabeto italiano so-
no ventuno. La prima la A, la M si trova proprio a met e infi-
ne la Z, che conclude e include tutto.
Nella mia nuova simbologia la A rappresentava lelemento ma-
schile, la M quello femminile e la Z era la raggiunta perfezione
della coppia, che poteva avvenire solo elevando le proprie anime

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fino al sogno di Dio. La A capovolta si compenetra nella M for-


mando ancora un triangolo; in questa maniera, la M che la don-
na rimane sempre con i piedi per terra, perch avendo questulti-
ma ricevuto da Dio il dono della maternit, deve possedere un
ruolo pi pragmatico e prosaico allinterno della coppia. Mentre
luomo che la A capovolta ha due antenne rivolte verso il cielo,
per favorire questo continuo movimento ascensionale verso il
cielo. Mentre la donna accudisce i figli, gestisce la casa, program-
ma le giornate, luomo pi portato a fantasticare, divagare, fug-
gire dalla realt. Il perfetto sodalizio fra due anime affini e com-
plementari si stabilisce non appena si smussano e si compenetra-
no a vicenda queste due tendenze solo apparentemente contrad-
dittorie. Perch occuparsi delle faccende mondane non significa
privarsi di sognare, dato che la vita stessa, nella sua interezza un
sogno. Cos come cercare di evadere dalla quotidianit non com-
porta per forza unastrazione, un allontanamento dalla vita, che
come ho gi detto, non quasi mai meno onirica di un sogno
stesso. Alla fine, partendo dai due estremi opposti della corda, si
arriva sempre al medesimo punto di convergenza. Il sogno, ap-
punto.
Il breve periodo di tempo che stato concesso agli uomini per
emettere sospiri e spargere qua e l qualche sorriso sulla terra,
sembra infatti molto spesso una piccola parentesi di sospensione
allinterno di uno spazio pi grande, luniverso, e di un tempo
ancora pi illimitato, leternit. Un minuscolo sogno racchiuso
dentro due sogni molto pi larghi, smisurati. Come se fosse uno
strappo nellimmenso campo dellimpossibilit, che al momento
della nascita di un bimbo, fa diventare quella fragile creatura in-
sieme possibile e reale. Vivente. E nel contempo impossibile.
Perch ogni cosa che accade qui, su questo pianeta, deve sempre
confrontarsi e rapportarsi con le categorie pi ampie da cui, per
puro caso o per una precisa volont divina, si accidentalmente
staccata. Limpossibilit. Linfinito. Leternit.
Quando due vere anime gemelle si incontrano durante la vita,
non possono pi permettersi di rimanere statiche e ferme nelle
loro posizioni iniziali, ma devono crescere in modo inarrestabile
per raggiungere e realizzare i loro sogni. Evitando di chiudersi a

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riccio in se stessi e allargando di continuo quelle due parentesi fi-


no ad includere tutto al loro interno. La A, la M, la Z, i punti in-
terrogativi, i punti esclamativi. Persino i puntini di sospensione,
il silenzio, possono essere importanti in una coppia. La M fra lal-
tro era la lettera di Maria e Maddalena e nel Codice da Vinci ,
Dan Brown aveva descritto bene la sua funzione di simbolo del
femminino eterno, alludendo ad un possibile connubio amoroso
fra Ges e Maddalena. Questo sodalizio risultava per me non so-
lo possibile ma anche necessario, perch se Ges non avesse
amato la sua anima gemella durante la vita e conosciuto il senso
del vero Amore, non avrebbe mai potuto capire lo scopo della
sua missione sulla terra. Ad ogni modo in due la coppia scoppia,
il dibattito non si chiude mai e senza un comune desiderio da
perseguire, che non per forza deve essere un figlio, anche due
anime gemelle sono destinate a lasciarsi e a vivere infelici per
sempre. Ges aveva con coraggio e fiducia portato a termine la
sua opera di demolizione dei vecchi culti sacerdotali e Maddale-
na era stata al fianco del suo compagno fino alla morte; suggel-
lando una delle pi grandiose storie damore dellumanit.
Proseguendo nei miei calcoli, scoprii che il tre il numero per-
fetto per antonomasia, in quanto anche lunico a godere della
propriet di essere la somma dei due numeri diversi ma vicini che
immediatamente lo precedono. Il ventuno contiene appunto le
cifre 2 e 1 che sommate danno tre. In questa scomposizione cera
gi in sintesi la progressiva spartizione dello spirito divino, che
da uno si era suddiviso in due parti; in prima battuta nei venti fi-
gli prediletti e successivamente, dalla composizione delle anime
di questi ultimi, Dio aveva creato gli angeli. Dividendo 21 per 3
si otteneva 7 e sommando tutte le cifre presenti in questa opera-
zione il risultato era 13. Il cerchio si chiudeva sempre e daltra
parte ogni figura piana lineare, regolare o irregolare che sia, pu
essere scomposta in tanti triangoli; tutte, tranne il cerchio, ovvia-
mente; con lunica piccola ma non trascurabile particolarit che
ogni triangolo sempre inscrivibile allinterno di una circonfe-
renza. Prendendo spunto dalla targa della macchina di Paperino,
313, creai unaltra successione, ancora pi fantasiosa e bizzarra
della precedente. Il 313 era un numero molto affascinante, non

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solo perch sommando le cifre si otteneva 7, ma anche perch


conteneva il numero 13 in forma camuffata. La mia nuova serie
partiva dalluno e si sviluppava, sia da destra che da sinistra, in
due direzioni opposte fino allinfinito; sfruttando di nuovo i mul-
tipli del due e giocando sulla ripetizione della coppia 1 e 3 che fa-
ceva costantemente iterare la successione dallinizio: 7 31 7 3
1 3 7 13 7 in questo modo si otteneva una sequenza infinita dei
numeri magici: 1,3, 7, 13.
Se il triangolo con locchio al centro era stato da sempre la fi-
gura simbolica di Dio, la mia trinit aveva per ben altre caratte-
ristiche; non pi Padre, Figlio e Spirito Santo, entit questultima
che nessuno sapeva bene cosa fosse, ma Padre, Figli Prediletti e
Angeli, le cui anime rappresentavano la parte pi profonda e in-
sondabile della coscienza di tutti gli uomini della terra. Rileggen-
do meglio il mio romanzo, mi accorsi che avevo involontaria-
mente ricostruito questa nuova Trilogia nel secondo capitolo, do-
ve insieme a me nello scompartimento 21 del treno si trovavano
anche il generale in pensione e il ragazzino taciturno dagli occhi
bellissimi. Io ero il figlio prediletto, il generale aveva il compito
di rappresentare la categoria degli angeli, mentre il fanciullo era
una chiara allegoria del Dio Bambino; ma non solo. Essendo Dio
nato dal Nulla, che la sostanza preesistente ad ogni cosa, il ge-
nerale poteva avere anche questa duplice valenza: la sua et ve-
neranda calzava a pennello per impersonare la vetust arcaica del
Nulla. Anagrammando il nome di fantasia che avevo affibbiato
dimpulso al generale, Giacomo Airoldi, trovai una frase nascosta
che esalt molto la mia sagacia da abile enigmista e la mia imma-
ginazione da mistico visionario: Gioca il dio Amor. Quellav-
ventura iniziata appunto per gioco si stava rivelando la pi gran-
de sciarada che mai uomo avesse affrontato. La circostanza di es-
sere partita come un puro esercizio di scrittura e di essere ora ap-
prodata fra i labirinti della logica pi ferrea, non faceva che
rinsaldare la mia convinzione. Soltanto dallunione di Poesia e
Matematica si poteva raggiungere la Consapevolezza ed io che
ero un ingegnere ispirato dalla musa della poesia, avendo vissuto
da sempre dimpressioni e ragionamenti, mi trovavo adesso ad un
passo dalla verit. Come dire: Ragione e Sentimento, Intelletto e

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Passione, se prima o dopo non confluiscono nellAmore di Dio,


diventano soltanto sterili inclinazioni dellanima umana.
Fuori dalle mie scoperte, la vita intanto continuava; lestate del
2005 fu una delle pi belle stagioni della mia vita. Ero al settimo
cielo e durante le vacanze a mare in Sicilia, trascinato dalla mia
travolgente euforia, rinfocolai la fiamma di un vecchio amore.
Una ragazza dolcissima che poco dopo divenne pure la mia pri-
ma confidente; messo infatti alle strette dalla sua insistenza do-
vetti cedere e confessare il mio segreto. Non mi sentivo in colpa
per avere spezzato il mio patto di silenzio con Dio, anzi, pensavo
di avere fatto la cosa giusta. Perch per mantenere un segreto che
sia tale, bisogna essere almeno in due.

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CAPITOLO 9

Aria

Di ritorno a Milano il mio primo pensiero fu quello di trovar-


mi un lavoro. Un impiego non a tempo pieno, che mi consentis-
se di dedicarmi alla necessaria opera di revisione del colossale ro-
manzo, che da circa trecento pagine iniziali era arrivato alle at-
tuali mille pagine. La prima occasione di impiego capit ovvia-
mente per caso; una mattina una ragazza suon al campanello e
dopo qualche minuto di vana attesa, pass un biglietto sotto la
porta in cui era riportata unofferta di lavoro, come venditore di-
retto di servizi di utilit per la famiglia e la casa. Lannuncio mi
colp parecchio, non tanto per il lavoro in se stesso, quanto per il
nome della societ per cui avrei dovuto lavorare: nella sua deno-
minazione era presente il numero 21, come richiamo diretto ed
esplicito al ventunesimo secolo in cui eravamo da poco entrati. Il
giorno successivo mi vestii di tutto punto e mi recai presso la se-
de dellazienda. Dopo un toccante e vibrante colloquio di sele-
zione con il responsabile del personale, in cui spiegai tutte le mie
ragioni, firmai una specie di contratto e ottenni il lavoro. Nono-
stante le mie colorite descrizioni sul grandioso progetto di orga-
nizzazione reticolare a cui stavo da tempo lavorando, penso che
ancora oggi quelluomo si stia chiedendo perch mai un ingegne-
re laureato con il massimo dei voti si sia ridotto ad accettare un
impiego cosi poco qualificante e remunerativo. Spesso me lo do-
mando anchio. E la risposta sempre una sola: se vero che le
vie del Signore sono infinite, altrettanto comprovato che la paz-
zia umana non conosce limiti.
Ad ogni modo settembre anche il mese della malinconia.
Una domenica mi trovavo a casa, immerso nella mia abituale at-
tivit di scrittura e ascoltando alla radio una canzone dal titolo
Grazie a te, mi venne in mente di mandare un messaggio a Ma-

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rilena; ero curioso di sapere cosa stesse accadendo dallaltra par-


te della barricata e nel contempo ansioso di comunicare al fronte
nemico che il morale della mia truppa si era improvvisamente ri-
sollevato; per suscitare qualche rimpianto o un po di stizza nel-
lanima di Marilena, intendevo naturalmente sottolineare che la
mia rinascita fosse stata propiziata da un intervento miracoloso
del suo Dio, o meglio, da un colpo di genio del mio Dio. Mi af-
facciai alla finestra e scrutando lazzurro del cielo cercai di trova-
re le parole giuste. Ispirato comero in quel periodo, non fu diffi-
cile per me mettere insieme quattro frasi ad effetto: Oggi una
giornata bellissima il cielo ricoperto da un azzurro intenso e
il sole galleggia leggero sullo sfondo turchese trascinato da
queste splendide immagini mi venuta in mente la strampalata
idea di ringraziarti, perch mettendo da parte il mio smisurato
orgoglio, devo ammettere che solo grazie a te oggi sono un uomo
felice ho capito cosa significa amare veramente una donna, un
gabbiano, uno scorcio e sto realizzando ad uno ad uno tutti i miei
sogni allora grazie Marilena e buona fortuna per sempre!
Senza troppi ripensamenti, inviai il messaggio. Non sapevo se
Marilena avesse mantenuto il vecchio numero di cellulare, ma
presumevo di s. Secondo le mie ultime informazioni Marilena si
trovava in una caserma di Roma, arruolata anche lei nel corpo dei
carabinieri. Il motto dellArma abbinato alla discutibile volubili-
t sentimentale di quella donna era quanto di pi paradossale si
potesse immaginare: fedele nei secoli!. Rimanevo ogni volta
basito e sbalordito di fronte alla stravagante fantasia di Dio; per-
ch sembrava proprio che quel mattacchione si divertisse un
mondo a disegnare per i suoi figli, prediletti e non, le traiettorie
di vita pi impensabili, bizzarre, imprevedibili. Comunque la ri-
sposta non tard ad arrivare. Breve, concisa, disarmante: Sono
felice per te ed ora ama, la vita non aspetta altro spero che
Dio benedica e illumini sempre il tuo cammino. Quando lessi il
messaggio sorrisi quasi distinto e ricordo che non provai nulla di
particolare, tranne un accorato e sincero moto di compassione
per lanima sventurata di quella povera ragazza. Marilena non era
cambiata per niente; mentre io stavo facendo i salti mortali per
entrare dentro la mente e il cuore di Dio, lei era rimasta la solita

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fanatica e bigotta di sempre. Decisi di lasciar perdere tutto. Ma-


rilena era irrecuperabile. La sua salvezza rientrava ormai fra i co-
siddetti casi senza speranza.
Tuttavia la sera di quello stesso giorno fui assalito da un im-
provviso rigurgito di collera e risentimento. La faccenda non si
poteva chiudere cos; quella donnaccia meritava una lezione.
Scrissi dimpulso un altro messaggio, questa volta molto pi sala-
ce e pungente del primo: Marilena scusa se ti disturbo ancora,
ma rileggendo il tuo messaggio mi sorto un dubbio ma tu sei
diventata un tenente dei carabinieri o una suora di clausura? No
perch ti ricordo che fino a qualche mese fa noi parlavamo nudi
liberamente e penso che anche oggi tu ti stia dando da fare se-
condo te, noi due potremmo un giorno essere buoni amici? Con
la possibilit di parlare apertamente fra noi, senza troppi forma-
lismi mistici o altri simili impedimenti a me piacerebbe tanto!
Avrei molte cose da raccontarti! Con discrezione. Ovviamen-
te dopo una simile esternazione avevo gi previsto che qualora
avessi ottenuto una risposta, questa non sarebbe stata di certo
amichevole e pacifica. La cosa non mi preoccupava affatto; quan-
tomeno io e Marilena avremmo chiuso la nostra squallida storia
nella maniera pi adeguata: combattendo. Quello scontro a di-
stanza stuzzicava i miei propositi di rivalsa e malgrado le ferite e
gli squarci sul costato sanguinassero ancora, il leone che era in
me aveva tanta voglia di ruggire. Quel toro possente che scuote-
va la terra e sbuffava aria dalle froge non mi faceva pi paura.
Dopo avere dimostrato la sua vilt e ignominia, incornandomi al-
le spalle, ai miei occhi appariva adesso come una vacca flaccida e
rammollita buona solo per il macello o la mungitura. Insomma, la
guerra fra noi due era appena ricominciata. Ed io questa volta
avevo fra le mani unarma pi letale della fede posticcia e ottusa
che ottenebrava lanima del mio avversario. La consapevolezza.
Marilena per stranamente tacque; conoscendo quanto fosse
orgogliosa e puntuta, reputai un simile comportamento molto in-
solito. Forse il mio nemico arrancava nelle retrovie e per me era
giunto il momento di sferrare lattacco decisivo. Aspettai giusto
qualche giorno per non sembrare troppo invadente e accalorato.
E poi, sfruttando il pretesto che negli ambienti militari il silenzio

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equivaleva ad assenso, ripartii allassalto con un altro messaggio.


A scanso di equivoci le scrissi che da qualche tempo stavo insie-
me ad unaltra ragazza, che amavo alla follia, perch lei aveva
sempre creduto in me a prescindere dai titoli, dai soldi, dalla car-
riera e da altri inutili accessori di virilit tanto cari a molte don-
ne. Lallusione alle prerogative richieste da Marilena per sancire
un nuovo legame amoroso era evidente. Tuttavia conclusi il mes-
saggio dicendo che la mia nuova compagna non mi capiva quan-
do parlavo di Dio e del suo modo di agire sulla terra ed ero sicu-
ro che invece lei, Marilena, mi avrebbe capito benissimo. Anche
in questo caso la ragazza si ostin nel suo silenzio. Nei giorni suc-
cessivi continuai la mia lenta opera di demolizione e sfiancamen-
to, inviando un messaggio ogni due o tre giorni; con una caden-
za pressoch regolare. Preparavo quelle pillole di fiele e veleno in
anticipo e poi le scagliavo dirette sul campo avversario, come
bombe a grappolo sganciate dalle ali di un cacciabombardiere.
Nel giro di pochi giorni allestii un vero e proprio arsenale. Una
sera le scrissi che non ero diventato pazzo, ma lesperienza di co-
noscere Dio era una sensazione che stava in mezzo fra la felicit
e la follia e ricordando le parole di Erasmo e Agostino non sa-
rebbe stato difficile per lei comprendere cosa stessi provando.
Unaltra sera, prendendo spunto della vittoria sonante del Paler-
mo sullInter, squadra di calcio per cui Marilena simpatizzava,
scrissi che adesso Dio giocava dalla mia parte e non pi per lei. Il
ritorno del Palermo in serie A era per me una delle tante possibi-
li prove dellesistenza di Dio. Dopo la squalifica e la lunga anti-
camera nei tornei minori, il Palermo era salito nella massima se-
rie nellestate del 2004; proprio nel periodo pi difficile e tor-
mentato della mia vita, come se fosse quasi un piccolo lenitivo
per alleviare il dolore che stavo intanto provando. La circostanza
pi curiosa era che la squadra del Palermo non aveva pi visto la
luce della serie A dal lontano 1973. Poco prima che io nascessi.
Una coincidenza che sommata a tutte le altre dava come risulta-
to inderogabile la verit.
A scatti e frenate improvvise, quella tiritera di punzecchiature
e scottanti rivelazioni dur per circa due settimane, quando mi
decisi ad affondare il colpo; ormai eravamo giunti nel vivo della

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questione e io fremevo dalla voglia di sapere se Marilena stesse


leggendo o meno le mie mistiche contorsioni. Nel messaggio pre-
cedente le avevo consigliato di allacciarsi le cinture perch fra
poco avremmo cominciato un viaggio a ritroso allinterno della
mia, ma anche della sua anima; riferendo che sebbene i nostri
corpi sarebbero stati sempre lontani, le nostre anime erano lega-
te per leternit da un filo invisibile. La conclusione del messag-
gio era piena di enigmi, misteri, allusioni: io sono stato un
bambino molto ribelle e prepotente perch volevo sempre vince-
re e non accettavo mai le costrizioni una vera peste insomma
come te. Adesso invece, senza troppi giri di parole, il mio
proposito era quello di ricevere da Marilena un chiaro segno di
vita, in quanto gli argomenti da trattare erano ancora tanti e io
non intendevo continuare a scrivere invano. Terminai il messag-
gio con unaltra delle mie solite spocchiose provocazioni: ca-
pisco che la disciplina militare e la deprimente vita in caserma
abbiano prosciugato la tua vivace loquacit, ma a me basterebbe
anche un semplice Signors! Comandi! oppure in uno slancio
di insperato affetto, ciao!
Ero quasi certo che questa volta Marilena avrebbe reagito; il
sarcasmo e il beffeggio beffardo delle mie insinuazioni era ine-
quivocabile. Mentre mi accingevo a comporre affannosamente
unefficace contro risposta, arriv al mio cellulare un messaggio.
Era Marilena. Coprii lo schermo con un dito per non vedere su-
bito le parolacce e gli insulti con cui loggetto del mio scherno mi
avrebbe mandato a quel paese. Niente di tutto questo. Il messag-
gio conteneva una sola, striminzita, insospettabile parola: ciao.
Sussultai. Mi alzai di colpo dalla posizione supina che tenevo
sopra il letto. Il cuore batteva allimpazzata, come mai aveva fat-
to in tutta la mia vita. Con unansia febbrile nelle mani cambiai il
tono del messaggio di riposta e lo inviai a Marilena, scrivendo
che ero stupito e sorpreso dal suo atteggiamento fin troppo ar-
rendevole e lascivo. Aggiunsi a margine che la vita proprio stra-
na, perch quando credi di avere vinto invece hai perso e vice-
versa, ma come consiglio personale le suggerivo di non mollare
mai e di attendere con fiducia le mie prossime rivelazioni. Non
sapevo pi se ridere o preoccuparmi per la sorte sciagurata del

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mio amato nemico. Marilena era proprio alle corde. Non solo
aveva letto tutti i miei precedenti messaggi, ma mi invitava pure
apertamente a continuare a scrivere; perch lei aveva ancora bi-
sogno di me; era curiosa di sapere cosa avessi scoperto su Dio e
sul senso ultimo della nostra unione. La ragazza fra laltro non si
era nemmeno curata tanto di difendere lonore e la dignit del
suo nuovo fidanzato; accettando senza battere ciglio e senza al-
cun senso di colpa le attenzioni dellamante deluso e bistrattato.
Non stavo pi nella pelle. Quella piccola parola di saluto che ri-
luceva timidamente sul mio cellulare era una bomba ad orologe-
ria e stava creando dentro di me una deflagrazione e unesplosio-
ne di sentimenti di portata inaudita. Sebbene fossimo lontani e
separati da migliaia di chilometri di incomprensione, adesso ave-
vo la certezza matematica che Marilena non si fosse scordata di
me; pensava ancora a me; forse nel silenzio dei suoi cupi rimorsi,
mi amava ancora. Sapevo che non dovevo farmi troppe illusioni.
Ma devo ammettere che di tutte le prove che avevo fin qui rac-
colto, questo breve messaggio di quattro lettere era il sigillo pi
prezioso del mio scrigno di scoperte. Dio dunque esisteva veramen-
te. LAmore non era soltanto una chimera irraggiungibile. Ed io e
Marilena eravamo davvero due anime gemelle.
Nei giorni successivi continuai ad inviare messaggi con mag-
giore cautela e attenzione di prima; finch non commisi un pic-
colo errore di leggerezza, dovuto forse alla stanchezza e alla di-
strazione. Ormai ero talmente sicuro di me e delle mie verit che
a volte mi capitava di non valutare bene leffetto e il peso delle
mie parole. Per descrivere il nostro primo incontro a Pesaro usai
delle espressioni piuttosto forti, scrivendo: e cos dopo qual-
che mese arriv il momento del nostro primo incontro per un
caso fortuito (?) eravamo finiti nella stessa casa e per una pura
coincidenza (?) dovevamo pure condividere la medesima stan-
za tu eri davvero molto bella, ma senza offese, anche tanto in-
genua e ignorante come una capra tuttavia, date le circostanze,
non era proprio il caso di essere troppo pignoli!. Dopo avere in-
viato il messaggio, poggiai il cellulare sulla scrivania e andai in
cucina per preparare la cena. Ero convinto di non avere scritto
nulla di eccessivamente offensivo. Avevo soltanto detto con fran-

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chezza ci che da sempre pensavo; tutto qui. Ad ogni modo, al


mio ritorno nella stanza, trovai una novit inaspettata; il mio cel-
lulare conteneva un messaggio in arrivo. Era di nuovo Marilena.
Ma questa volta fu decisamente pi prolissa ed eloquente del so-
lito: Caro Piero, sei pregato di smettere di sciorinarmi le tue lu-
cubrazioni mentali: patetica la tua incapacit di accettare il fat-
to di essere stato lasciato. Addio.
Sorrisi pure in questa occasione. Le ultime gocce di orgoglio
rimaste nel sangue avevano impedito a Marilena di sopportare
lennesimo affronto. Ero quasi soddisfatto di lei; finalmente rico-
noscevo il suo cipiglio fiero e combattivo. Ma per un eccesso di
foga la ragazza aveva compiuto alcuni strafalcioni niente male: lu-
cubrazioni era un termine arcaico e ormai in disuso, perch nel
linguaggio corrente veniva usato elucubrazioni; per una che si
deve difendere da unaccusa di ignoranza, la colpa risultava ap-
pesantita da unaggravante. Marilena si confermava ancora una
volta quello che era sempre stata: un antico, vecchio, ammuffito
residuato bellico dello Stato Pontificio. Inoltre, se io ero patetico
perch cercando un senso alla vita ero arrivato fino a Dio, quale
attributo meritava lei, che saltando pie pari la prima pi succu-
lenta fase di ricerca, si era subito gettata fra le accoglienti braccia
di Mamma Chiesa e Pap Menzogna? Vigliacca? Infingarda? Co-
darda? Forse sarebbe stato pi giusto ammettere che eravamo
entrambi due inguaribili illusi. Infine il verbo lasciare non mi pia-
ceva affatto per descrivere le sue furtive azioni di fuga, perch
Marilena non mi aveva lasciato ma tradito, che era ben diverso;
infatti se durante laddestramento in caserma non avesse cono-
sciuto quellinsignificante bellimbusto in divisa, lei non avrebbe
mai avuto il coraggio di lasciarmi; dato che era incapace di stare
da sola e sebbene lei stessa si ritenesse a torto forte e temprata, in
realt era fragile come una foglia secca e leggera come una piuma
al vento. Chiunque poteva afferrarla e calpestarla senza che lei se
ne rendesse conto, perch purtroppo la bella addormentata nel
bosco era ancora troppo miope e indulgente riguardo a se stessa.
Scrissi tutte queste mie considerazioni in tre messaggi successivi,
che non seppi mai se arrivarono a destinazione. Per me il discor-
so si poteva per il momento chiudere qui. Se le mie verit fosse-

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ro state vere, ben presto anche lei avrebbe capito chi ero io. Chi
eravamo noi.
Dopo avere trascorso allincirca un mese di assalti e scaramuc-
ce verbali a distanza, quella fu lultima volta che ebbi un contatto
diretto con Marilena; dopo quel giorno ricominci come prima il
silenzio, la lontananza, la solitudine. Era il 4 ottobre del 2005.
Mentre io e la mia rivale battagliavamo sulla terra, nel cielo era ac-
caduto qualcosa di veramente insolito e singolare. Uneclissi di so-
le. Con una stranezza che rendeva quellevento ancora pi straor-
dinario. Non si trattava di uneclissi totale ma anulare, in quanto
il disco lunare non riusciva a coprire per intero quello solare, la-
sciando scoperta una corona circolare luminosa. Lanalogia con
ci che avevo vissuto durante la burrascosa giornata appena ter-
minata era strabiliante: la luna aveva tentato ancora una volta di
oscurare il sole, ma lirruenza e la maestosit di questultimo era
ormai troppo estesa e potente per subire un simile oltraggio. La
mia conclusione riguardo a quellincredibile concomitanza di
tempi era ovvia: Dio quel giorno era in vena di similitudini in
grande stile e con un superbo segnale dallalto aveva voluto inco-
raggiarmi, facendomi sentire la sua presenza e inducendomi a re-
sistere ad ogni incursione dallesterno. Se il cocciuto toro marchi-
giano aveva rialzato la testa, abbozzando un ultimo colpo di coda,
il prepotente leone siciliano non doveva stare di certo a guardare:
ormai sapevo benissimo che quel toro non poteva essere preso per
le corna. E bisognava continuare ad agire di rappresaglia.
La settimana successiva venni per a conoscenza tramite un
amico di una notizia che sconvolse di nuovo tutti i miei piani:
Marilena si era gi sposata con lufficiale durante la fine delle-
state precedente. Per la prima volta dallinizio di quel viaggio
sentii che dentro di me si stava rompendo qualcosa. Imprecai. Il
mio ritrovato rapporto di alleanza con Dio sub un tracollo, una
frattura; chiedevo a gran voce spiegazioni per una simile decisio-
ne. Perch? Perch consentire che Marilena si sposasse? Perch
allontanare per sempre da me la donna che mi apparteneva? Ave-
vo fino a quel momento creduto che Dio fosse dalla mia parte,
dalla parte dellamore, ma forse era giunto il tempo di ricredersi.
Quello sgambetto mise in subbuglio ogni mia certezza. Trascorsi

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un intero pomeriggio fra lamarezza e la cocente delusione, tra-


scinandomi per la casa come unanima in pena, incapace di ritro-
vare pace e serenit. Digrignavo i denti, battevo i pugni sul mu-
ro, maledicevo Dio per la sua crudelt e ingratitudine. Sapevo
che la mia storia con Marilena non poteva avere pi futuro su
questa terra, ma in fondo avevo sempre sperato che in un modo
o nellaltro ci saremmo rincontrati; prima di lasciarci di nuovo;
per sempre. Quel matrimonio rappresentava ora un ostacolo
troppo grande da superare e uno smacco troppo pesante da di-
gerire. Forse, prima di morire, non avrei pi rivisto Marilena e
malgrado fossi ancora convinto che in paradiso ci saremmo ri-
congiunti, mi addolorava sapere che non avrei incrociato lo
sguardo di quella donna; la donna in carne ed ossa che aveva
cambiato le sorti della mia vita e forse, in futuro, anche del mon-
do intero. In fin dei conti lei aveva dovuto, era stata costretta a
tradirmi per scatenare la mia rabbia, ma adesso che io avevo ca-
pito tutto ci che cera da capire, pensavo di meritarmi almeno
una piccola ricompensa. Non era cos. Dio mi odiava. La solitu-
dine terrena sarebbe stato il premio per tutti i miei sforzi.
Alla fine, lo sconquasso avvenuto dentro la coscienza si ac-
quiet durante la notte, quando sentii una voce che mi diceva:
Credimi, meglio cos; quella donna senza di te lessere pi
vulnerabile e debole del mondo. Se non si fosse sposata, avrebbe
continuato a vagare da un letto allaltro dei suoi amanti, in cerca
delluomo capace di riportarla verso Dio. Dallufficiale sarebbe
passata al ministro, al presidente, al papa in persona. La sua am-
bizione, come la tua, non ha limiti e lei purtroppo crede ancora
che la ricchezza, il potere, il carisma di un uomo sia lunico tra-
mite per arrivare in alto; per volare. Non ha altri mezzi a dispo-
sizione per iniziare un viaggio di conoscenza, come il tuo. Pur es-
sendo nata con un corpo da amatrice, la sua anima ormai stata
macerata, deturpata dalla stupidit, dallignoranza, dalla vanit e
da tutte le altre funeste malattie dellanima umana. Adesso, fra le
braccia del suo ufficiale di carriera, si sente quantomeno al sicu-
ro, ma un giorno, grazie a te, capir finalmente cosa sia lamore.
Lamore vero. Mi calmai; e il giorno dopo ripresi il cammino
come se nulla fosse accaduto. Tuttavia la curiosit di sapere co-

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me stesse vivendo Marilena dallaltra parte della barricata diven-


tava sempre pi assillante, smaniosa. Era felice? Aveva avuto dei
figli? Mi pensava ogni tanto nel silenzio delle sue giornate? Era
inutile nascondersi dietro un dito. Io ero ancora follemente in-
namorato di lei.
Nelle notti stellate, mi affacciavo alla finestra parlando in si-
lenzio con la luna; come Pierrot. Se dai miei occhi sgorgavano a
fiotti le lacrime, dal mio cuore traboccava ancora tanto astio e
rancore; la brutalit infame che il destino mi aveva riservato non
mi lasciava dormire tranquillo sugli allori conquistati. Ascoltando
le canzoni che narravano le vicende di amori traditi, sbagliati, ru-
bati, mi ricaricavo di ardore e di passione. Non dovevo mollare.
Come Don Chisciotte avrei dovuto combattere contro tutti i mu-
lini a vento del mondo per riprendermi il cuore della mia amata
Dulcinea. Come Amleto sarei stato a lungo costretto a contem-
plare il teschio del giullare Yorick per capire il senso della mia vi-
ta; avrei dovuto setacciare palmo a palmo lanima di Ofelia per
trovare la forza di vendicare mio padre. Come Orlando avrei af-
frontato a spada tratta tutti i nemici di Dio e gli usurpatori del-
linnocenza di Angelica, per riscattare lonore e la dignit perdu-
te. La mia furia sarebbe stata implacabile e nemmeno Astolfo a
cavallo allippogrifo avrebbe potuto riportare sulla terra il mio
senno; la mia ragione, che a causa del pi terribile dei malefici,
era stata imprigionata proprio lass. Sulla luna.
Senza andare troppo lontano con la fantasia, lamore era luni-
ca cosa che mi istigava ad andare avanti, fino al termine della mia
impresa titanica. Mi sentivo come Prometeo, luomo che aveva
cercato di rubare il fuoco sacro agli dei e dopo essere stato cattu-
rato dai fedeli carcerieri di Zeus, era stato incatenato su unalta
rupe, con il fegato e le interiora divorate allinfinito da famelici
avvoltoi. Malgrado avessi le caviglie e i polsi legati, la milza a pez-
zi, lo stomaco trapassato da parte a parte, io ero ancora vivo. Per-
ch la conoscenza della verit presupponeva questa piccola, non
trascurabile, contropartita: ti affliggeva, ti lasciava solo, ti tor-
mentava con supplizi orribili e nello stesso tempo non ti lasciava
morire, ti manteneva in vita. Dovevo resistere. Se un giorno fossi
riuscito a liberarmi dalla catene, avrei scatenato un tale pande-

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monio nel mondo, che il vaso di Pandora al confronto sarebbe


stato una graziosa scatola di cioccolatini. Tutti i falsi dei del-
lOlimpo e gli uomini che per secoli avevano trovato rifugio die-
tro le loro sfarzose vestigia, erano avvisati: nessuno sarebbe
scampato alla mia ira furibonda, non una di queste carogne sa-
rebbe stata risparmiata. Io avrei detto tutta la verit, nientaltro
che la verit.
Il mio romanzo sarebbe stato mastodontico come il monolito
nero di Kubrick, per aprire finalmente agli uomini le porte di ac-
cesso verso lunica, vera, sacrosanta verit del mondo. Il libro do-
veva essere la sintesi suprema di tutto ci che era accaduto sulla
terra in migliaia anni e con lungimiranza dissipare le tenebre da
ogni possibile futuro di decadenza e sterminio. Soltanto chi
avrebbe affrontato la fatica e superato lapatia che attanagliava da
secoli la spiritualit umana, avrebbe potuto incamminarsi con me
sullunico cammino di salvezza. Bisognava amare, non cerano al-
tre soluzioni capaci di risollevare le sorti della civilt. Io per pri-
mo dovevo imparare ad amare, mettendo da parte tutte quelle
disdicevoli e deleterie passioni umane contrarie alla purezza del
sentimento: gelosia, avidit, egoismo, lussuria. Ero costretto a vi-
vere come un eroe solitario ed essere fiero di quellalone di mito
e leggenda che aveva sempre aleggiato attorno a me. Rivedendo
le fasi pi salienti della mia storia con Marilena, capii che in ogni
cosa che avevamo vissuto insieme cera gi qualcosa di fatale e di
ineluttabile; che riportava sempre allo stesso punto.
Le nostre prime schermaglie damore erano cominciate fra i
sottopassaggi e le torri del castello di Gradara, leggendo sui mu-
ri i versi del quinto canto della Divina Commedia di Dante, de-
dicati allo sfortunato idillio di Paolo e Francesca: Amor che a
nullo amato amar perdona. Divertiti ci chiedevamo perch mai
il sommo poeta toscano avesse dimenticato di inserire un non,
che avrebbe dato un senso pi compiuto alla frase: lamore
non consente a nessuno che amato di non ricambiare lamo-
re ricevuto. Solo tanto tempo dopo scoprimmo che Dante aveva
compiuto una cesura perch due negazioni messe insieme affer-
mano, utilizzando il verbo perdonare nellaccezione latina di
risparmiare. Amore che a nessuno amato risparmia di amare a

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sua volta. In mezzo a quelle romantiche divagazioni e scoperte


era successo di tutto. Io ero stato quasi subito messo al bando
dalla famiglia di Marilena a causa della mia miscredenza, della
mia bruttezza, della mia diabolica furbizia. La loro accusa pi pe-
sante riguardava il presunto plagio compiuto ai danni della gio-
vane e indifesa figlia. Quelle persone insulse sarebbero stato mol-
to stupite, adesso, se avessero saputo che in realt quello pi pla-
giato dei due, fossi stato proprio io: il mefistofelico, il pagano, il
luciferino seduttore era stato concupito a morte dalla pia, devo-
ta, angelica ancella del Paradiso. I genitori sono spesso i peggiori
amanti del mondo, perch riversano sui loro figli una passione
che rende ciechi, indulgenti, poco obiettivi: quel tipo di senti-
mento, insomma, che costringe i propri occhi a vedere soltanto
ci che vuole vedere il cuore. E cos, come Giulietta e Romeo, la
nostra storia, fin dai primi incerti preludi, aveva dovuto subire
lonta della segretezza e della clandestinit.
Io e Marilena avevamo resistito. Ma, con il passare dei mesi, la
paura di lei per un futuro incerto, pieno di tanti dilemmi e cam-
biamenti di rotta, la aveva spinta a cercare maggiore sicurezza fra
le mura di una caserma; fra le braccia di un uomo che condivide-
va la sua fede e non avrebbe mai arrecato dubbi o danni alle sue
illusorie certezze. In quello stesso luogo stava intanto svolgendo
il corso di addestramento una mia vecchia conoscenza, che come
Iago mi metteva al corrente del tradimento della bella Desdemo-
na. Io che in quella tragedia, avevo il ruolo di Otello ero impaz-
zito e avevo cercato la mia vendetta nellunico modo che cono-
scevo; scrivendo un libro. Usando la fantasia. Utilizzando la sola
arma che avevo a disposizione: lintelligenza, limmaginazione.
Nel periodo che avevamo trascorso insieme, la mia ragione era
stata contaminata dagli slanci irrazionali e infantili della fede di
Marilena. Le nostre opposte ideologie si erano compenetrate a
vicenda. Quella che prima era soltanto realt, era diventata ai
miei occhi un lungo, interminabile sogno. Non a caso, io e Mari-
lena avevamo visto insieme un film dal titolo The Dreamers, i
sognatori, di Bertolucci. Non a caso avevamo visto Ricordati di
me di Muccino. Non a caso avevamo visto il cartone animato
Alla ricerca di Nemo; la storia di un pesciolino che sebbene

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avesse una pinna un po malconcia, era stato capace di attraver-


sare gli oceani pur di ritrovare suo Padre. Dio.
Non a caso avevamo letto insieme il Piccolo Principe di Saint-
Euxpery; chiedendoci, in riva al mare o fra le lenzuola, cosa mai
volesse significare quella rosa che il bambino teneva sempre al si-
curo sotto la campana. Quella rosa era lamore. Non cerano pi
dubbi a riguardo. Lamore doveva essere difeso, come il gioiello
pi prezioso della terra.
Tutto era stato gi scritto. Poco prima di lasciarci, io e Marile-
na avevamo fatto visita alla fortezza di Castel del Monte, splendi-
do monumento ottagonale fatto edificare in Puglia da Federico
II. Indagando meglio sulla vita dellimperatore svevo scoprii
unaltra sorprendente coincidenza: Federico era nato a Jesi, nelle
Marche, ma a causa della morte prematura della mamma Costan-
za, fu costretto da bambino a trasferirsi a Palermo, in affidamen-
to ad alcuni precettori locali. Ancora oggi, secondo unantica leg-
genda popolare, si narrava che lanima di Federico si aggirasse
nei cunicoli e nei sotterranei del capoluogo siciliano in attesa di
rinascere a nuova vita. Io e Federico avevamo quindi molte cose
in comune. Federico non era stato soltanto un grande imperato-
re, ma anche uno dei governanti pi illuminati del passato. Per le
sue idee brillanti e in anticipo rispetto ai tempi aveva ricevuto
lappellativo di stupor mundi: lo stupore del mondo. Ma il perio-
do in cui visse era quello che era, lignoranza e larretratezza re-
gnavano sovrane e lui non fu abbastanza incisivo per insistere
con la sua opera di rinnovamento. Durante una crociata Federi-
co aveva preso accordi con il sultano di Gerusalemme per sparti-
re pacificamente i territori della Terra Santa e a causa di questa
ammirevole operazione diplomatica fu scomunicato dal papa.
Oggi, un tale assurdo intervento della Chiesa apparirebbe inac-
cettabile, ma allepoca il Papa poteva fare e disfare tutto a suo
piacimento; seguendo esclusivamente i propri interessi politici ed
economici. Federico era un uomo colto e intelligente, ma fu asse-
diato alle calcagna da una ressa incarognita di gente balorda, stu-
pida, corrotta. Forse lunica colpa di Federico era stata quella di
non avere amato e creduto abbastanza.
Ragionando meglio sulla figura controversa del grande impe-

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ratore arrivai ad una conclusione inconfutabile: io e Ges non


eravamo stati gli unici figli prediletti inviati da Dio sulla terra.
Prima e dopo Ges tante anime elette erano state mandate nel
mondo per svelare gli arcani e i misteri della vita, ma siccome
non avevano avuto fiducia in se stessi e in Dio, non erano stati in
grado di capire il senso ultimo della loro missione. In breve tem-
po stilai una lista di nomi illustri che potevano assurgere al ruolo
di figli prediletti: Ramses, Nabuccodonosor, Alessandro Magno,
Annibale, Marco Antonio, Attila, Maometto, Federico II, Napo-
leone fino ad arrivare allultimo in ordine di tempo, che aveva
preceduto di qualche anno la mia venuta e il cui nome mi susci-
tava non poco imbarazzo e repulsione. Adolf Hitler. Tutti questi
uomini avevano grandi sogni da realizzare sulla terra, ma trasci-
nati dallambizione, dalla ferocia, dalla pazzia, avevano pensato
che la guerra e la sopraffazione fossero gli unici strumenti per
raggiungere pi rapidamente i loro obiettivi. Erano venuti sulla
terra per diventare angeli, ma ben presto si erano trasformati nei
peggiori demoni della storia. Ges era stato il primo a capire che
lamore era lunica arma in grado di sconfiggere la malvagit dei
demoni. E adesso io ero il secondo. Se lincoscienza e leccitazio-
ne della novit aveva condotto il coraggio di Ges fino alla cro-
ce, io che sapevo gi quale sarebbe stato il mio destino, dovevo
puntare tutto sulla determinazione, la sfrontatezza. La follia.
Mentre il sogno di conoscere e capire tutto proseguiva imper-
territo, il tempo della realt scorreva in modo tumultuoso. Due
mesi dopo larrivo dellultimo messaggio di Marilena, quando
erano ormai prossimi i festeggiamenti per il nuovo anno, il mio
amico mi comunic unaltra sconvolgente notizia sulla vita della
ragazza, che rinsaldava ancora di pi ogni mia convinzione: Ma-
rilena si era congedata dallarma dei carabinieri ed era ritornata
nelle Marche; mentre suo marito faceva servizio in tuttaltra re-
gione dItalia. Ebbi un fremito di esultanza e tripudio che stentai
a controllare. La mia lenta opera di sbriciolamento aveva avuto
effetto. Ormai ero quasi certo che le difese del mio nemico stes-
sero iniziando a cedere, a scricchiolare. Si avvicinava il tempo di
uscire allo scoperto e io dovevo soltanto attendere con pazienza
la chiamata di un qualsiasi editore oppure un altro messaggio di

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Marilena. Queste due eventualit avrebbero rappresentato per


me la prova suprema della giustezza di tutte le mie teorie.
Quel segnale per non arriv mai. Nonostante mi sforzassi a
fare calcoli e previsioni con le date, il giorno tanto atteso del giu-
dizio si allontanava sempre di pi dalle mie mani: 7 gennaio, 21
febbraio, 13 marzo. I mesi passavano, ma non accadeva nulla di
cos eclatante da sciogliere le mie ultime riserve. Ero felice, avevo
fiducia in Dio, ma intanto non mi accorgevo di essere rimasto so-
speso sopra un baratro profondo e sotto di me cerano infiniti
strati di aria. La mia felicit era il frutto di unillusione tanto in-
consistente quanto effimera. Il mio sogno era fatto di aria e paro-
le. Lamore di cui tanto cantavo e salmodiavo fra le pagine del
mio romanzo, era solo un grosso cumulo di nebulosi pensieri che
gonfiava il petto e soffocava il cuore. Rendendo cieca la vista.

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CAPITOLO 10

Mosca Cieca

Con linizio del nuovo anno mi impegnai subito a cercare un


nuovo lavoro. Lesperienza di venditore porta a porta mi aveva
insegnato molte cose, ma a causa delle scarse entrate monetarie
non mi consentiva di pagare laffitto, di vivere dignitosamente, di
coltivare la passione per la scrittura. Durante quelle lunghe pere-
grinazioni per la citt, in cerca di clienti, avevo toccato con mano
due delle pi terribili piaghe che affliggevano la nostra societ: la
schiavit del denaro e la diffidenza della gente. I ragazzi che ave-
vano lavorato insieme a me erano spesso plagiati dal discutibile
carisma dei loro superiori e dopo un rigido addestramento di ti-
po militare, venivano gettati nel mondo come mercenari senza
scrupoli, costretti ad ambire disperatamente al successo econo-
mico, ad inseguire il profitto a tutti i costi, ad incrementare il gi-
ro di affari; poco veniva lasciato al resto. Ai rapporti umani, alla
qualit del lavoro, allo studio e alla progettazione di nuove meto-
dologie di vendita. Le aziende erano delle vere e proprie fucine
meccaniche di pezzi tutti uguali, che eliminavano come difettose
tutte le diversit, le individualit, le particolarit. Mentre le per-
sone cui dovevamo vendere i nostri servizi erano talmente inca-
tramate dalle loro fobie ed ansie da avere persino paura ad avvi-
cinarsi allo spioncino della porta. In quelle condizioni era davve-
ro difficile raggranellare un po soldi per continuare a mantenere
un tenore di vita accettabile. E cos, dopo qualche colloquio in
giro per Milano, entrai pure io nel dorato mondo dei call center.
Il primo contratto dur appena due mesi e prevedeva il mio im-
piego soltanto nelle ore pomeridiane.
Quel lavoro era proprio tagliato su misura per il mio attuale
stato danimo; mi piaceva parlare al telefono con la gente, aiutar-
la a risolvere i loro problemi, entrare con gentilezza e cortesia

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dentro le loro case, le loro vite. Mi divertivo soprattutto quando


trovavo qualcuno un po altezzoso e iracondo che sbraitando dal-
laltro capo del telefono mi intimava di passargli subito il diretto-
re, ripetendomi: Lei non sa chi sono io! Guardi che le faccio
passare un brutto guaio! Ridevo di gusto e alcune volte rispon-
devo a tono, con il mio solito sarcasmo: Scusi se mi permetto.
Ma neanche lei sa chi sono io. E il mio capo potrebbe trovarsi
troppo in alto per scendere a parlare con lei Che libidine!
Dopotutto lavorare avendo la certezza di essere il figlio di Dio
era uno spasso niente male; con tutte le idee e le intuizioni che mi
frullavano per la testa non avevo neanche il tempo e il modo di
annoiarmi. Quando potevo, durante i periodi di attesa fra una
chiamata e laltra, scambiavo quattro chiacchiere con i colleghi,
cercando di stuzzicarli, di stimolarli, di indurli a riflettere insieme
a me sulla bellezza e stranezza della vita. A mio modo tentavo di
tenere alto il morale della truppa, in attesa che si compissero gli
eventi; lo scopo era quello di costruire non solo a parole, ma an-
che in pratica quel reticolo di relazioni e rapporti su cui sarebbe
stata costruita lossatura del Nuovo Mondo. Un sistema immagi-
nario di flussi, maglie, snodi, matrici in cui ognuno aveva un pro-
prio preciso ruolo, che oltre ad esaltare il talento individuale, an-
nullava qualsiasi pretesa di riedificare le deprimenti piramidi ge-
rarchiche di importanza, merito, prestigio su cui era fondata la
carcassa putrida del vecchio mondo. A loro insaputa, quelle stes-
se persone con cui adesso parlavo potevano essere in futuro gli
adepti, i discepoli, i soldati del mio prossimo esercito della pace
e della salvezza delle anime. E io dovevo prepararmi bene il ter-
reno, prima della definitiva discesa in campo. Leuforia per le mie
continue scoperte mi manteneva costantemente su di giri e non
mi rendevo conto che per gli altri, per i colleghi che non avevano
pi sogni e progetti da realizzare, condividere con me quello stes-
so entusiasmo non doveva essere unimpresa facile; con tutta la
buona volont del caso e della necessit, martoriarsi per lunghe
ore le orecchie e il cervello con le richieste spesso assurde e in-
sensate dei consumatori incalliti doveva essere per loro uno dei
pi atroci supplizi da sopportare.
A fine gennaio del 2006 Milano fu ricoperta da una nevicata di

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maestose proporzioni. Le neve scese dal cielo per 33 ore conse-


cutive e la citt si ritrov sommersa sotto uno spesso manto di
candore e purezza. Anche quello per me era un segnale. Nel-
lestate successiva avrei compiuto 33 anni e forse Dio intendeva
farmi uscire allo scoperto quando avrei raggiunto la stessa et fa-
tale di Ges. Mi ruzzolai felice sulla neve come un bambino che
avesse visto per la prima volta un simile spettacolo; malgrado
provassi un po di nostalgia per la vita che avrei presto lasciato
sulla terra, non vedevo lora di passare dalla teoria allazione. Ero
certo che il mio sacrificio avrebbe cambiato il mondo e salvato
per sempre la bellezza della natura dallimmonda aggressivit
umana. La mia morte, come quella di Ges e di tutti i martiri del-
la storia, pi che necessaria sarebbe stata inevitabile; perch la
malvagit dei demoni non avrebbe mai risparmiato il primo vero
angelo sceso dal cielo su questo pianeta. Il primo uomo ad aver
capito per intero il mistero e la verit dellesistenza.
Ogni cosa che vedevo o accadeva intorno a me mi sembrava
un miracolo. Spesso mi risuonava nella testa una celebre frase di
Einstein: Ci sono due modi di intendere la vita; il primo cre-
dere che tutto sia un miracolo; il secondo pensare che nulla sia
un miracolo. Era evidente che, dopo aver per lungo tempo dato
pi credito alla scienza e alla ragione, io stessi attraversando ora
una fase della mia esistenza in cui la prima parte dellassunto mi
appariva inoppugnabile. Tuttavia, siccome permaneva in me un
residuo dellingegnere che ero stato, avevo ancora listinto mate-
matico di cercare ovunque elementi per sperimentare lipotesi di
partenza e dimostrare la tesi finale. Partivo quasi sempre da me
stesso; dalle strane coincidenze avvenute durante la mia vita. Ero
nato a Palermo, in Sicilia; in un luogo in cui tutto, dai palazzi e
allinflessione della lingua, magia e leggenda; unisola che per
tanto tempo aveva rappresentato un crocevia di passaggio obbli-
gato per i popoli e le civilt che transitavano nel Mediteranno. La
Sicilia era la terra delleccesso, dove si passava da un estremo al-
laltro con una facilit disarmante. Dalla dolcezza dei flutti del
mare che bagnavano la costa alla brutalit esplosiva del vulcano.
Dalla ferocia dei criminali mafiosi alleroismo encomiabile dei di-
fensori della legalit e della giustizia. Dalla ragione di Archimede

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il Pitagorico alla follia di Orlando il Furioso. Cos, quasi spon-


taneamente; senza strappi. Chi rimaneva nel mezzo, nel limbo
delle anime pavide e stanche, era solo un ominicchio, un qua-
quaraqua.
Mia madre si chiamava Maria Concetta ed era nata l8 dicem-
bre, il giorno dellImmacolata Concezione. Mio padre si chiama-
va Salvatore ed era nato il 1 aprile, giornata dedicata allo scher-
zo e alla goliardia. Gi in quello strano connubio fra sacro e pro-
fano si poteva intravedere ci che io sarei diventato: un uomo re-
ligioso, ma dalla spiritualit diversa e quasi dissacrante. Prima di
impiegarsi come centralinista, mio padre aveva da sempre lavora-
to in una bottega di ebanisteria, fabbricando mobili e manufatti
di pregevole fattura, che rasentavano la perfezione. Lanalogia
con Ges era immediata; suo padre Giuseppe era un falegname
mentre il mio era un ebanista. Se a Ges era toccato il compito
della sgrossatura, a me spettava quello della finitura.
Avevo vissuto in un paese che distava sette chilometri da Pa-
lermo: Monreale. Il nome era gi sinonimo di regalit. Intorno al-
lanno mille un sovrano normanno, Guglielmo il Buono, aveva
fatto costruire sulla sommit della rocca un duomo di straordina-
ria bellezza, assoldando le migliori maestranze bizantine e arabe
dellepoca. Secondo la leggenda, Guglielmo aveva ricevuto dalla
Madonna apparsa in sogno lispirazione di edificare quella splen-
dida cattedrale. Nella parte interna dellabside campeggiava un
monumentale mosaico che riproduceva Ges nellatto di benedi-
re il suo popolo: il Cristo Pantocratore. In quel luogo magico e
suggestivo era avvenuto a mia insaputa un vero e proprio passag-
gio di consegne: Ges che aveva tenuto per secoli in alto il sogno
di Dio mi passava idealmente il testimone, affinch io portassi a
termine la missione iniziata da lui. Ma la mia perniciosa ricerca
andava ancora pi a fondo. Palermo e Monreale erano due citt
divise da unantica rivalit di campanile, ciononostante avevano
in comune un fattore per me determinante e oltremodo significa-
tivo. Anagrammando alcune lettere dei lori nomi si otteneva sem-
pre la stessa parola: Amore. Anagrammando invece le lettere del
mio stesso cognome, Valerio, si otteneva un ambizioso auspicio,
una promessa: Volerai.

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Io avevo cominciato a scrivere poesie nel 1984, allet di dieci


anni e mezzo. 1984 era il titolo di un famoso libro di Gorge Or-
well, in cui con incredibile e profetica chiaroveggenza lo scritto-
re aveva immaginato levoluzione della societ futura, definendo
il sistema che controllava gli uomini con un nome molto emble-
matico: Grande Fratello. Da alcuni anni una popolare trasmissio-
ne televisiva stava mietendo successo fra il pubblico, richiaman-
do nel nome del programma proprio il Grande Fratello di Or-
well. Malgrado fin da piccolo io avessi subito palesato avversione
e ostilit verso tutte le religioni, e verso quella cattolica in parti-
colare, nelle mie poesie si potevano rintracciare dei versi in cui si
evidenziava un rapporto molto controverso e riottoso nei con-
fronti della divinit: Ero come un Angelo sperduto negli abissi
del Paradiso, trasciniamo il tempo come angeli senza ali, ero
un angelo prima, adesso demonio, scappate uomini io non vi
amo, angelo solitario che ha perso le ali e giura a Dio la sua
vendetta perch costretto a questa vita maledetta.
Numerose erano anche le poesie in cui si evocava la fanciullezza,
quale periodo cruciale della vita di ogni uomo, esaltando limpor-
tanza del bambino eterno che vive in noi e che spesso ci guida lun-
go tutti gli impervi sentieri dellet matura. Scappa se puoi picco-
lo bambino/corri lontano dove non c nessuno/dove sempre mai,
tutto fermo/non aspettare che arrivi linverno/che il vento freddo
ti geli il viso/canta forte, batti i tuoi piedi/pensa sempre che questo
paradiso/cos quando ti trover gli farai un sorriso.
Come due bambini in un gioco invadente/che confonde, ti
avvolge, ti rende incosciente/incosciente o felice, ormai tutto non
serve a niente!
Festosi bambini correre sui prati/cercare farfalle e macchine
veloci/sulla strada ancora odore di pece/la pioggia arriva con pic-
coli trilli/annuncia lautunno, tempo di andare/ tempo di cre-
scere, essere grandi/il mondo ci aspetta, tuoni e lampi.
Esaltazione e pavido sconforto/come un bimbo funereo cor-
ro/verso laltalena dai lunghi fili.
Muoviti bambina, libera i capelli/annusa laria, ridi alla vita/e
sogna bambina, sogna il tuo vento/che soffier leggero quando
volerai/quando toccherai le stelle, il tuo senso.

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Ma era soprattutto una, la poesia, che ogni volta che la legge-


vo, mi lasciava sempre pi basito. Era una poesia metafisica; si
intitolava Mani di Fanciullo e con linguaggio molto allusivo
parlava del passaggio che avviene interiormente dallo stato inco-
sciente a quello cosciente. Immaginavo di essere un bambino che
compie un lungo viaggio di conoscenza, quasi iniziatico, fra sen-
tieri, montagne e strani animali, fino a vedere il sole, che abba-
gliando gli occhi con la sua luce trasmetteva alla coscienza la con-
sapevolezza di essere vivi. Non ero solo, ma fingevo di essere in-
sieme ad unaltra creatura come me, con la quale condividevo
tutte quelle sensazioni. Ci inginocchiammo sfiniti a terra/le ma-
ni coprivano i volti pallidi/il grande occhio di fuoco ci penetr/la
luce oltrepass la nostra pelle/e arriv al centro dei nostri cor-
pi/il calore rimase imprigionato dentro di noi./Ho aperto gli oc-
chi rossi e di nuovo aspetto./Mani di Fanciullo eccitavano la mia
pelle/osservava e rideva la piccola creatura/ho tremato per lal-
tezza di quei monti/e per la lontana bellezza del cielo... e per lac-
qua fresca e invisibile/e per le ali leggere degli uccelli/e per la
strana gioia del Fanciullo/che saltava come i camosci dei vicini
dirupi. Nel momento in cui diventavo consapevole di me stesso
e del mondo che mi girava intorno, lispirazione estemporanea
del ragazzo che ero stato non aveva avuto dubbi. La mia anima
era stata creata e risvegliata da un Bambino. Un Bambino gaio e
divertito del mio stupore.
In unaltra poesia avevo addirittura previsto il futuro. La par-
te finale del componimento recitava cos. Lombra ti nasconde,
ti giri, mi osservi/non sai, non capisci, mi vedi ferito/ma non ras-
segnato, fremente e giocoso/come un bambino che ha visto il
mare/dopo una lunga corsa, dopo un lungo pianto/un bambino
che ha visto il buio fratello/e lo ha abbracciato, lo porta den-
tro/ha gridato tutta la rabbia, non ha voce/il bambino non dan-
za, ma il bambino spera/e sogna, sogna due occhi, gemme infi-
nite. Avevo scritto questa poesia durante una notte destate
molto malinconica. Nelle ore precedenti avevo trascorso una se-
rata in compagnia di alcuni colleghi, fra cui una vecchia fiamma
delluniversit, che era stata la fonte di quella mia ispirazione
passeggera; per una fortuita casualit, quel giorno mi trovavo

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immobilizzato, con le stampelle e il gesso ad una gamba, perch


stavo affrontando la lunga convalescenza seguita ad un brutto
incidente con la motocicletta. La circostanza pi curiosa era che
anche lultima volta che vidi Marilena, io fossi ferito, claudican-
te ad una gamba, a causa di una dolorosa distorsione alla cavi-
glia, rimediata durante una partita a pallavolo. Inoltre pure in
quella occasione Marilena, prima di scomparire nellombra, si
era girata per lanciarmi un ultimo sguardo. Gli occhi, le gemme
infinite, sognate da tutta una vita e abbozzate di getto negli ulti-
mi versi, non potevano che essere quindi le iridi di smeraldo di
Marilena. E in buona sostanza, era come se io avessi sfruttato il
pretesto della mia collega per descrivere, pedissequamente, qua-
le sarebbe stato il mio destino, molti anni prima del reale svolgi-
mento dei fatti. La poesia stessa, nel suo complesso, era una for-
ma camuffata di verit; in cui le parole si mescolavano ad arte
per fornire vaghe allusioni e splendide immagini allegoriche, do-
ve il presente, il passato, il futuro, convivevano tutti nello spazio
di pochi versi, poche metafore. Se la storia misura il tempo del-
la vita, la poesia era il cronografo esatto dellevoluzione dellani-
ma. E lanima, come io stavo apprendendo ora, non poteva che
essere il luogo invisibile dove viene impresso lunico tempo che
Dio conosce. Leternit.
Rileggendo un altro scritto, mi accorsi che anche il mio rap-
porto con la divinit era stato da sempre molto particolare, fino
ai limiti della decenza. Avevo iniziato quella estemporanea dis-
sertazione, dicendo che la troppa luce come il buio, perch in
entrambi i casi gli uomini vengono resi ciechi e non vedono dove
stanno andando. Suggerivo quindi ai miei ipotetici lettori di dif-
fidare di tutti gli stregoni, gli sciamani e i ciarlatani della religio-
ne, perch con i loro intrugli retorici e le loro salmodianti predi-
che sono soltanto capaci di confondere gli occhi e imbrattare i se-
gnali che provengono dalla natura. In un crescendo sempre pi
scoppiettante, consigliavo infine agli uomini di fidarsi solo delle
proprie impressioni, concludendo il mio scandaloso e irriverente
monologo, con le testuali parole: Dio si trova nel vostro culo
e lo potete vedere soltanto riflesso negli specchi o in quei sogni
strampalati dove correte nudi per i prati, e al mattino non ricor-

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date mai chi che vi ha spogliati; lunica preghiera sincera che si


pu fare al Dio di tutti gli uomini semplice: vaffanculo.
Era chiaro che il tipo di legame di amore e odio che mi teneva
avvinto a Dio oltre ad essere molto singolare, fosse anche unico
nel suo genere. A differenza di Ges che aveva un temperamen-
to mite e pacato, io ero il bambino ribelle e impertinente che si
divertiva a sfidare e stuzzicare Dio con le sue innumerevoli pro-
vocazioni. La mia indole era irrequieta, indomita, ingestibile; la
mia curiosit e fame di conoscenza non avevano confini; appun-
to per questo motivo ero stato scelto io per porre fine con lulti-
mo atto allassurda commedia umana. Nel 1996, in una delle mie
tante evasioni creative, avevo scritto il racconto intitolato Il vo-
lo del Condor. Secondo gli studiosi della cabala, il 96 era il nu-
mero dello scontro e veniva spesso associato alla figura inquie-
tante dellAnticristo. Per converso il 69 invece era invece collega-
to a Cristo, perch gi graficamente si evinceva una certa inclina-
zione allunione pacifica e conciliante. Se Ges era colui che
meglio poteva addentrarsi fra i meandri del cuore di Dio, io, per
insolenza e insubordinazione, ero lunico che poteva ardire di pe-
netrare fra i labirinti della mente del Creatore. La perfezione era
la sintesi di queste dualit opposte. Accostando infatti le due ci-
fre e ribaltando il numero 9 si otteneva il numero dellequilibrio,
dellarmonia e della concordia universale: 666.
Ovviamente Dio non aveva scelto a caso il condor per descri-
vere la metafora dellultimo decisivo volo dellumanit. Il condor
un rapace non tanto bello a vedersi, ma pu fregiarsi di una-
pertura alare pari se non superiore a quella dellaquila. In pi
possiede una caratteristica che richiamava perfettamente quello
che sarebbe stato il mio compito sulla terra: il condor si nutre di
carogne e di creature morte. La situazione dellumanit alle so-
glie del terzo millennio era appunto quella di un ammasso di es-
seri moribondi, marci, corrotti; creature senza alcuna vitalit e
passione. Film come Lalba dei morti viventi e Il pianeta del-
le scimmie sintetizzavano bene lidea che Dio aveva del livello di
degrado e degenerazione della cosiddetta civilt. Gli uomini era-
no la feccia e la spazzatura delluniverso e prima di gettare le ba-
si del Mondo Nuovo, io dovevo ripulire quello vecchio dagli im-

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mensi cumuli di rifiuti culturali e morali accatastati alla rinfusa


nella societ e fin dentro le anime della gente. Unimpresa quasi
impossibile. Per vincere era necessario forse anche un piccolo
colpo di fortuna.
Il ventuno come ampiamente risaputo il punteggio con il
quale si vince al gioco del Black Jack; per battere il banco con
due carte bisogna mettere insieme un asso e una figura: nella mia
fantasia, Dio era lAsso e io ero la figura; esattamente un jolly. A
causa del mio temperamento poliedrico e strafottente. Per ricor-
darmi sempre il senso della mia missione cominciai per questa ra-
gione a custodire con cura nel portafoglio un jolly nero, preleva-
to da un vecchio mazzo di carte francesi. Quel giullare che striz-
zava locchio in modo divertito e con le mani tirava in aria tante
palline colorate, aveva da sempre colpito la mia immaginazione
di bambino. Le tinte sgargianti della tuta e la mantellina svolaz-
zante mettevano una certa allegria, ma lo sguardo del saltimban-
co esprimeva un non so che di ambiguo e inquietante. Quel pa-
gliaccio era per me lemblema stesso dellironia: larte di far ri-
flettere e ragionare su cose serie usando la sagacia e lo sberleffo.
La sintesi di due inclinazioni solo apparentemente contrarie. Liro-
nia era una forma assoluta di comunicazione, che non solo con-
traddistingueva gli uomini desti da quelli mediocri, ma era rin-
tracciabile in qualunque fenomeno della natura, evento della sto-
ria. Non esisteva al mondo, nessuno strumento di dialogo che
fosse pi sublime, divino dellironia.
Il mio stesso destino era a dir poco ironico; beffardo; grotte-
sco. La sera in cui mi comunicarono il mancato rinnovo del mio
primo contratto nel call center, accadde un fatto molto strano;
mentre stavo seduto davanti la mia postazione, sentii un botto,
un tonfo sordo provenire dal fondo della sala. Mi alzai per anda-
re a vedere cosa fosse successo. A quellora gli altri operatori era-
no quasi tutti tornati a casa e la sala era praticamente deserta. Mi
accorsi che in uno dei corridoi pi isolati una ragazza stava diste-
sa per terra, con due copiosi rivoli di sangue che scendevano dal-
le narici fino al collo. Mi inginocchiai affannato; misi una mano
tremante sotto la nuca della ragazza per sollevare la testa e con
un fazzoletto pulii il sangue che colava dal naso per favorire la re-

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spirazione; poi alzai lo sguardo smarrito verso la finestra per ca-


pire cosa dovessi fare; il cielo era plumbeo, con striature rossastre
e le nuvole erano talmente basse da soffocare la citt. Proprio in
quel momento un lampo accecante seguito da un tuono fragoro-
so spacc la coltre di nubi, facendo tremare i vetri delle finestre.
Pensai che la ragazza fosse morta e andai subito a chiamare soc-
corso. Per fortuna era sola svenuta a causa di un malore e poco
dopo venne condotta in ospedale da unambulanza per procede-
re ai necessari accertamenti. Non avevo dubbi che tramite quel-
levento Dio volesse comunicarmi qualcosa. La risposta per me
fu ovvia. Quellambiente era troppo malaticcio e malsano per
me. Era giunto il momento di cambiare aria. Bisognava fare un
altro giro di giostra.
Dopo la solita trafila di colloqui, trovai un nuovo lavoro come
operatore telefonico; questa volta ero stato ancora pi fortunato,
perch lufficio era molto vicino a casa mia, a non pi di dieci fer-
mate di autobus. Il nome di questa nuova azienda era abbastan-
za convincente perch conteneva la parola Sicilia allinterno del-
la sua ragione sociale. Avevo fatto la scelta giusta. Lambiente di
lavoro era quanto di meglio potessi sperare: una congrega di ra-
gazzi eccentrici e frizzanti che arrotondava lo stipendio o tirava a
campare con una manciata di soldi. Erano quasi tutti aspiranti at-
tori, registi, musicisti, fotografi, scrittori e non fu difficile per me
inserirmi a meraviglia in quel contesto; mi convinsi ben presto
che ai margini della societ, fra coloro che vengono spesso indi-
cati come asociali o disadattati, era possibile trovare le persone
migliori e pi stimolanti. Le anime vive pulsavano ai confini del
mondo e io mi sentivo perfettamente a mio agio in quelle zone di
frontiera. Per sbarcare il lunario, quei quattro soldi guadagnati
erano per me pi che sufficienti. Le mie esigenze erano ridotte al
minimo; mangiare, bere, qualche svago ogni tanto e naturalmen-
te scrivere, sempre e solo scrivere. Il romanzo ormai aveva sfora-
to le mille e cinquecento pagine e da qualche tempo mi trovavo
impegnato a rifare da cima a fondo il primo capitolo; quella se-
zione aveva unimportanza capitale come premessa e anticipazio-
ne di tutti gli altri argomenti ed io mi ero quasi incartato nella ri-
cerca delle parole giuste e dei termini pi appropriati da utilizza-

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re. La mia smania di perfezione si era confusa con un certa vani-


t e narcisistica smanceria, che aveva da sempre avviluppato la
mia anima. Mi compiacevo di me stesso. Della mia bravura.
Dentro e fuori di me, tutto stava girando per il verso giusto;
non cerano contrasti, inquietudini, ogni cosa si incastrava magi-
camente in uno scenario sempre pi grande, sconfinato. La mia
coscienza parlava con unica voce, come se quelle presunte ten-
denze divergenti dello spirito avessero trovato un definitivo ac-
cordo e si fossero indirizzate allunisono verso ununica direzio-
ne. Quel libro era lunica, vera cartina di tornasole del mio stato
danimo, dellumore e spesso mi veniva da pensare che anche se
non fosse stato vero nulla di ci che avevo scoperto, avrei potuto
ugualmente vivere felice insieme al mio adorato romanzo per il
resto della vita. Non mi mancava nulla e non avevo bisogno di
niente. Magari viste da fuori, le mie giornate potevano sembrare
monotone e ripetitive, ma dentro di me era tutto un brulichio di
sensazioni ed emozioni che mi tenevano sempre desto, allegro,
vivace. Il mondo intero era per me un enorme libro di Matemati-
ca e Poesia, in cui mi trovavo felicemente immerso come un pe-
sciolino in uno stagno. Guardando le targhe delle auto o i nume-
ri civici dei palazzi, mi divertivo a sommare, combinare, accop-
piare i numeri per ottenere le solite cifre magiche: 7, 13 e 21. Ba-
stava poi ammirare un uccello volare o vedere una piuma sul
marciapiede o davanti la panchina della fermata per essere sere-
no e giocondo per il resto della giornata; a volte mi sentivo come
Forrest Gump; un eterno bambino a caccia di farfalle e sogni.
Non avevo molti amici con cui trascorrere il tempo libero.
Spesso mi capitava di andare al cinema da solo e la cosa non mi
dispiaceva affatto; sceglievo i film che contenevano maggiori
tracce della zampino nascosto di Dio e in ogni dettaglio riuscivo
a trovare un messaggio segreto che soltanto io potevo interpreta-
re. In The Illusionist, il protagonista era figlio di unebanista.
In Nuovomondo, i tre personaggi principali si chiamavano An-
gelo, Salvatore e Pietro ed erano emigranti della Sicilia; in quei
nomi erano racchiusi i tre livelli della mia personalit: quella rea-
le, Pietro, quella fantastica, Angelo e quella divina, Salvatore. La
donna che invece nel film simboleggiava il cambiamento dei tem-

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pi aveva un nome pi che mai suggestivo: Luce. In Number


23, il protagonista era un uomo ossessionato dal numero 23 e
cambiando di poco le cifre, aveva la mia stessa fissazione per i
numeri, per le coincidenze. Nel Flauto Magico di Mozart, leroe
doveva superare diverse prove per riappropriarsi della donna
amata e salvare il suo popolo dai malvagi. In Omen, il presa-
gio, un bambino piuttosto dispettoso e insipido aveva il ruolo
dellAnticristo e il fatto che il ritorno alla fanciullezza fosse il mo-
tore pulsante della mia prossima rivoluzione si accordava a mera-
viglia con questa intuizione. Il sottotitolo di questo film era una
frase biblica che non lasciava spazio a molte interpretazioni:
Sorger dalle acque del mare eterno colui che distrugger il
mondo degli uomini. O qualcosa del genere. Non ricordo bene.
Intorno a me cose strane ne accadevano parecchie. Un giorno
mentre scrivevo, mi avvidi che qualcosa infastidiva la mia vista;
mi strofinai un occhio ma non successe nulla. Andai allora in ba-
gno per capire meglio cosa avessi e mi accorsi che un lungo pelo
bianco era cresciuto rapidamente sulla guancia, proprio a ridos-
so del naso e sotto locchio; la coincidenza pi incredibile era che
pochi istanti prima, io stavo scrivendo che Dio muove non solo
tutti gli atomi della materia, ma anche le cellule delle creature vi-
venti. Un sincronismo perfetto; nessuna parola poteva essere pi
esemplificativa di quel puntuale prodigio. Una sera invece, mi
trovavo ospite a casa di mia zia; prima di addormentarmi e per ri-
lassarmi un po, presi dalla libreria uno dei libri pi ingarbuglia-
ti e misteriosi della storia della letteratura: lUlisse di Joyce.
Aprendo una pagina a caso, lessi la seguente frase: Io sono il tre-
dicesimo. Successivamente lo scrittore irlandese nei suoi stralu-
nati flussi di coscienza cominci a tratteggiare limmagine di ven-
ti persone che sostavano sopra una bara. Quei numeri ormai era-
no una vera persecuzione; li vedevo dappertutto. Ma non solo.
Durante una notte, quando tutte le porte e le finestre di casa mia
erano gi chiuse e nellaria intorno a me non soffiava neppure
uno spiffero, un pilucco, un filo bianco, si sollev dal mio ginoc-
chio e cominci a roteare come una girandola impazzita nello
spazio che intercorreva fra la mia faccia e lo schermo del compu-
ter; illuminandosi allimprovviso come una scintilla di luce rifles-

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sa; dopo avere sostato alcuni attimi in sospensione, quel bagliore


si alz in aria, perdendosi poi fra lintonaco buio del soffitto; ri-
masi per alcuni istanti sbalordito e meravigliato come uno spet-
tatore che assiste ad un incredibile gioco di prestigio e ricordo
pure che smisi di scrivere e cominciai a gironzolare divertito per
la stanza, ticchettando un dito sulla mia tempia e dicendo sotto-
voce a Dio, al mio Dio, che era proprio un matto. Giocavo. Ero
da solo eppure mi sentivo sempre in compagnia.
In quella furibonda caccia al tesoro, che somigliava tanto ad
una partita a nascondino o a mosca cieca, io e quel mio presunto
Padre Celeste ci divertivamo un mondo a rincorrerci ed inseguir-
ci lungo le strettoie del tempo e della vita; una volta io ero il ladro
e lui la guardia, unaltra volta era esattamente il contrario. Sebbe-
ne fosse invisibile agli occhi, Dio era sempre presente nella mia
coscienza e nellenergia che muove ogni cosa delluniverso. E in
ogni momento, sapevo che mi osservava dallalto. Controllava che
stessi facendo per intero il mio dovere. Ogni tanto, sovvertiva le
regole del gioco, facendo accadere delle stranezze, ma il suo vero
obiettivo era sempre e solo uno: farmi scrivere il libro, farmi cre-
dere al mio sogno, senza che io avessi mai la certezza definitiva
che in quel libro, in quel sogno ci fosse qualcosa di vero, reale.
Lunico modo per vincere la mia partita era proseguire nella mia
ricerca e continuare ad avere fiducia in me, nella verit. In Dio.
Il 6 giugno del 2006 era una data significativa. Sul calendario
si era ricomposta la fantomatica cifra 666. Ero quasi convinto che
in quel giorno sarebbe dovuto accadere qualcosa di importante;
mi guardavo intorno con circospezione. Ogni tanto fissavo il te-
lefono in attesa di qualche segnale decisivo; un messaggio di Ma-
rilena oppure la chiamata di uno degli editori cui avevo lasciato il
mio primo manoscritto, poteva per me essere un indizio suffi-
ciente. Non successe nulla di tutto ci; tuttavia la sera di quello
stesso giorno mi chiam un mio amico per dirmi che aveva vinto
una macchina in una lotteria organizzata dalla pi importante ca-
tena di supermercati di Milano. Le probabilit che potesse suc-
cedere un simile evento erano bassissime, ma Dio aveva ancora
una volta stravolto tutte le leggi della statistica e non senza un
pizzico di ironia, voleva forse convincermi ad aspettare con pa-

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zienza il mio turno. Un mese pi tardi la nazionale italiana di cal-


cio vinse il mondiale; il giocatore pi determinante si chiamava
Grosso e nella stagione appena conclusa aveva giocato nel Paler-
mo. Anche Del Piero disput un ottimo torneo e a parte levi-
dente assonanza nel nome, io avevo sempre simpatizzato per il
talentuoso giocatore, fin dai tempi del suo esordio nelle giovanili
del Padova. Del Piero portava sulla maglia il numero 7. Pirlo che
aveva segnato il gol di apertura nella prima partita contro il Gha-
na, aveva il numero 21. Rimanendo in ambito sportivo, mi ero
pure accorto di una singolare maledizione legata al numero sette.
Il ciclista americano Armstrong si era ritirato dopo avere vinto
sette Tour de France. Il pilota tedesco Schumacher aveva chiuso
a sette campionati mondiali di Formula uno. Ed ora il centauro
di Pesaro Valentino Rossi sembrava non riuscire ad andare oltre
i sette titoli iridati gi conquistati. Qualche anno prima io avevo
incrociato il simpatico campione di motociclismo marchigiano
sulle strade di Pesaro; mentre lui guidava la sua lussuosa Porsche
nera, io ero in sella alla mia sgangherata motocicletta Yamaha;
marchio giapponese simboleggiato dai tre diapason. Adesso Va-
lentino, dopo avere lasciato la scuderia Honda, correva proprio
in sella ad una motocicletta Yamaha. Quegli strani incroci di de-
stini erano soltanto delle coincidenze?
Intanto al lavoro conosco Sara. una svolta. La ragazza una
sognatrice come me e fra noi due nasce unintesa e poi unamici-
zia profonda che sar foriera di tante esperienze e nuove intui-
zioni. Una sera, mentre camminiamo per strada insieme ad unal-
tra amica, trovo per terra 130 euro; per festeggiare linaspettato
colpo di fortuna, andiamo tutti insieme a cena in una locanda dal
nome molto evocativo: Il Brutto Anatroccolo. Concludiamo la
serata nel locale La Casa 139: il 13 oltre ad essere presente nel-
la prima parte della cifra, si ottiene anche come somma di tutti i
numeri. In unaltra occasione, io e Sara ci troviamo in giro per
Milano insieme a Marco e Anna; poco distante da casa mia in-
contriamo davanti ad una pizzeria il cantautore Simone Cristic-
chi e Marco si ferma a parlare con lui per complimentarsi per la
recente vittoria al Festival di Sanremo. Pochi giorni dopo imper-
verser nelle radio nazionali la nuova canzone di Cristicchi, il cui

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titolo tutto un programma: LItalia di Piero. Nel ritornello il


cantante ripete allegramente le seguenti parole: Piero non dirmi
che vero che quel che mi hai detto la verit!. Nel frattem-
po anche il gruppo musicale Baustelle ha scritto una canzone con
un richiamo indiretto al mio nome, che si intitola Un romantico
a Milano e fa pressappoco cos: Mamma che ne dici di un ro-
mantico a Milano, a Manzoni preferisco quello vero, Piero!.
Ovviamente lautore della canzone si riferiva allartista milanese
Piero Manzoni, ma il testo sembra essere stato cucito ad arte per
descrivere la mia esperienza di vita nel capoluogo lombardo. Il
cantante napoletano Neffa mette anche lui il carico da novanta;
la sua ultima canzone si intitola Il mondo nuovo . Intanto, dal-
la lontana Inghilterra, il cantautore James Blunt, che aveva inizia-
to la sua carriera di musicista dopo essere stato un ufficiale del-
lesercito inglese, incide una canzone che ha per titolo una data,
un anno: 1973.
Mi sentivo circondato. Avvertivo con forza che il mio momen-
to si stesse avvicinando, ma non sapevo pi quale fosse la manie-
ra migliore per emergere dallanonimato. Nel giorno del mio
trentatreesimo compleanno la citt di Milano era stata tappezza-
ta da uno stuolo di cartelloni pubblicitari, recanti questo slogan:
Dica 33!. I tempi erano maturi. Lumanit mi sembrava tutto
sommato pronta per accogliere la mia nuova, sconvolgente verit
sullesistenza. E mentre fuori di me era tutto un fermento, le do-
mande per che si agitavano nella mia testa rimanevano sempre
le stesse. Quale sarebbe stata la mossa giusta da fare sullo scac-
chiere? Come dovevo comportarmi per giungere allo scacco mat-
to? E soprattutto, cosa aveva in mente Dio per me?

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CAPITOLO 11

La Fine dellAlleanza

Lidea giusta arriv grazie ad una brillante intuizione di Sara.


La ragazza si era ormai lasciata sedurre e affascinare da tutte le
mie strampalate teorie sullorganizzazione reticolare delluniver-
so e insieme decidiamo di buttare gi un progetto per la fonda-
zione di un improbabile movimento artistico e culturale; dal no-
me quasi obbligato: LIllusionismo. Per rendere pi comprensi-
bile il mio complicato saggio di ingegneria, Sara, imbeccata un
po da me, mi suggerisce di scrivere le mie scoperte scientifiche
sottoforma di romanzo autobiografico. A quel tempo la ragazza
non sapeva ancora che il mio progetto era gi un romanzo auto-
biografico.
Sara una fotografa di ottimo talento e mi consiglia di pubbli-
care a spezzoni il libro su un noto sito internet, frequentato da
milioni navigatori della rete. Per alleggerire la parte scritta, lei
avrebbe di volta in volta corredato le pagine con delle foto che
avessero un nesso o un richiamo evocativo con gli argomenti trat-
tati. Lidea mi sembra buona e la prospettiva di diffondere il libro
gratuitamente, senza alcuno scopo di lucro, comincia ad allettar-
mi. In fin dei conti internet uno strumento di comunicazione
molto pi rapido e diretto della stampa e siccome nessuno degli
editori contattati in passato sembrava interessato al mio roman-
zo, io potevo aggirare lostacolo, facendo a meno pure di loro. In
gran segreto, benedissi i miracoli della tecnologia; perch impa-
rai sulla mia pelle che il progresso, quando inteso come mezzo
di miglioramento culturale e non fine di abbrutimento sociale, ri-
sulta una vera manna dal cielo. E cos, se la montagna non aveva
alcuna intenzione di andare a Maometto; Maometto ora aveva ca-
pito che bisognava andare alla montagna.
Cominciai a lavorare alacremente alla stesura di una prefazio-

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ne, di un preambolo, di un prologo per anticipare in modo ade-


guato lopera pi monumentale e grandiosa di tutti i tempi. Co-
me al solito, mi divertivo a divagare con la mia fantasia, perch
non avevo alcuna fretta di accelerare i tempi. Sfruttai la arcinota
favola di Alice nel Paese delle Meraviglie per rendere ancora pi
suggestiva questa sezione introduttiva. In fondo, nel mio intimo,
ero ancora in attesa di un segnale forte da parte di Dio e quindi
valeva la pena temporeggiare. La verit vera invece era unaltra;
ma non avevo il coraggio di ammetterla a me stesso. Siccome non
mi sentivo per niente sicuro di ci che avevo scoperto, cercavo
inconsciamente di allungare il brodo per non arrivare subito al
succo della questione. Avevo paura; ecco tutto. Temevo che il
mio sogno non fosse reale. Anzi, per lesattezza, presagivo che il
mio sogno fosse talmente reale, vero, da rimanere per sempre
quello che era. Un sogno, appunto. Una parentesi onirica che
non ha nulla da spartire con la realt.
I mesi continuavano a passare lenti come mucche al pascolo ed
io ciondolavo mollemente su questa nuova abbagliante chimera
del sito internet. Ogni mattina rivedevo con estrema attenzione
ogni frase, aggettivo, virgola della parte iniziale del primo capito-
lo per essere sicuro che non ci fosse nessun errore. Ero convinto
che la perfezione del mio lavoro fosse una prova gi di per s suf-
ficiente per dimostrare la giustezza e veridicit delle mie scoper-
te. Le due cose erano intimamente collegate e io non potevo per-
mettermi il lusso di sbagliare; perch avrei mandato allaria tutto
quanto. Come ho gi ripetuto pi volte, le mie intuizioni mi ave-
vano portato a dedurre che il libro fosse unopera fatta a due, o
meglio a tre mani. Linchiostro ideale delle mie pagine era impre-
gnato in primis dalla mano ispiratrice di Dio, in secundis dal-
lanima del suo tredicesimo figlio prediletto e in mezzo cera luo-
mo, che come un io narrante, faceva da tramite fra queste due
maestose entit divine. Una bella patata bollente da pelare; non
c che dire. Mi ero messo da solo fra lincudine e il martello; in
un vicolo cieco dove qualsiasi passo falso sarebbe stato fatale.
Le grandi sfide per esaltano la fierezza e laudacia dei grandi
uomini e io mi ringalluzzivo parecchio di fronte alle insidie di
quella spericolata impresa. La prudenza non era mai stata una

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delle mie virt; mentre la sfrontatezza puerile ed impulsiva sen-


za dubbio, ormai ne sono certo, il difetto peggiore del mio carat-
tere. Ad ogni modo il cielo sopra di me era ancora terso e pulito
e in queste condizioni lincoscienza della scalatore si rafforza, di-
ventando sempre pi impavida. Nellattesa di concludere la mia
cavillosa attivit di revisione, io e Sara ci inventiamo il nome da
dare al nostro sito, che presto avr anche la funzione di essere il
mio pseudonimo; un vezzo da artista che inebriava la mia vanit
e mi consentiva di mantenere ancora intatto il vile anonimato.
Per la scelta definitiva ci affidiamo al caso. La pizzeria dove spes-
so ci rechiamo a mangiare si chiama Il nuovo Mago e si trova
al numero civico 67 di una strada non tanto distante da casa di
Sara. 67 un altro di quei numeri per me pieni, stracolmi di sfu-
mature; oltre ad includere esplicitamente il 7, contiene anche in
germe le altre due cifre principali: 6 pi 7 fa 13 e 6 per 7 fa 42,
che il doppio di 21. Considerando che fossimo adesso in due ad
imbarcarci in quel viaggio senza ritorno, una piccola deviazione
un po forzata dalla perfezione assoluta della matematica era per-
sino gradita. Ma il bello doveva ancora arrivare.
Girando un po attorno alla parola mago, io e Sara decidem-
mo che il mio nome sarebbe stato il Mago di Oz, mentre il suo
Morgana. La definizione Mago di Oz si rivel ben presto ai
miei occhi un vero ginepraio di deduzioni e prodigi. Le prime
due lettere della parola contenevano la M e la A, che sono i sim-
boli grafici delle categorie eterne femminili e maschili; la terza
lettera, la G, era la settima lettera dellalfabeto, mentre la quarta,
la O, era la tredicesima. Una corrispondenza quasi sconcertante
di richiami umani e divini nello spazio di quattro lettere; di una
sola parola. La restante parte del nome, manipolata ad arte dalla
mia pervicace creativit distorta, Dio Z, poteva invece essere una
chiara allusione al fatto che oltre ad essere lultimo figlio di Dio,
io sarei stato anche lultimo bambino prediletto a scendere sul
pianeta terra. Uninterpretazione a quei tempi quasi naturale e
spontanea; perch la mia smania ossessiva per i numeri, le lettere
e le combinazioni incrociate era ormai fuori controllo e aveva su-
perato ogni possibile criterio di ragionevolezza. Follia allo stato
puro. Purissimo.

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Dopo mille ripensamenti, decido di rompere gli indugi e pub-


blico dimpulso la prima parte del mio romanzo; compresa di
prefazione, preambolo e prologo. il 19 giugno 2007; la pri-
mavera era agli sgoccioli e due giorni dopo sarebbe cominciata
lestate. La data scelta non significa nulla e anche questa una
novit. Per la prima volta non faccio caso ai sincronismi numeri-
ci e mi lancio nel mondo internet, chiudendo gli occhi e sgan-
ciando il paracadute. La mia pazienza aveva ormai raggiunto il li-
mite massimo di sopportazione e un po per ripicca e un po per
sfinimento, ero curioso di capire come avrebbe reagito Dio a
questa mossa repentina. Intanto, in attesa di ricevere qualche ri-
scontro da parte dei frequentatori della rete, comincio a lavorare
alla seconda parte del primo capitolo da pubblicare; con una me-
dia di cinquanta pagine alla volta, prevedo di scaricare sul sito
lintero malloppo nel giro di quaranta pubblicazioni successive.
Per fortuna, facendo un po di calcoli e previsioni, avevo ancora
parecchio tempo a disposizione prima di arrivare alla zona calda
del libro; tuttavia qualcosa in me stava ormai cominciando a
cambiare per sempre.
Negli ultimi giorni, mesi direi, il mio rapporto con Dio era di-
ventato piuttosto asettico. Quel mio presunto Padre e Amico Ce-
leste che amorevolmente mi seguiva dallalto, non solo non mi
aveva pi aiutato, convincendo magari qualche editore a pubbli-
care il romanzo, ma era pure praticamente scomparso dalla mia
vista. Stentavo parecchio a rintracciare attorno a me, per la citt,
nel mondo, segnali o eventi che potessero essere ricondotti alla
mano di Dio; come se la magia di un tempo, quella perfetta cor-
rispondenza di azioni e pensieri, stesse lentamente svanendo sot-
to gli effetti di un nuovo sconosciuto sortilegio. Sopra di me sen-
tivo quasi aleggiare oscuri presagi di sventura. E purtroppo per
me non sbagliavo; se quelle buone non si realizzavano mai, que-
sta volta le mie cattive premonizioni erano corrette; fin troppo
precise, direi. Qualche giorno dopo, esattamente il primo luglio,
lazienda per la quale lavoravo dichiar fallimento e nel giro di
poche settimane dovetti rimboccarmi le maniche per cercarmi un
nuovo lavoro. Una vera iattura. Proprio adesso, che con grande
fatica avevo rotto gli indugi, dovevo distogliere la mia attenzione

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dal libro e concentrarmi su una delle attivit che pi odiavo in as-


soluto: la lettura degli annunci, i colloqui di selezione, le manfri-
ne che ero ogni volta costretto ad inscenare per convincere tutti
della mia sanit mentale. Le parole che usavo erano quasi sempre
le stesse. Sono laureato in ingegneria e da un paio di anni colla-
boro con luniversit di Palermo nella stesura di un progetto di
organizzazione reticolare. Mi serve un lavoro non a tempo pieno,
che mi consenta di avere del tempo libero da dedicare al mio
progetto. Qualcuno degli impiegati preposti alla ricerca del per-
sonale abboccava, ma molti, la maggior parte, preferivano optare
su ragazzi pi normali e affidabili, reputando fin troppo impru-
dente una scelta e una condotta cos dissennata.
In effetti, in un mondo e in una societ, dove gli ingegneri fan-
no i ragionieri, i ragionieri fanno i politici, i politici fanno i buf-
foni, era molto sospetta la circostanza che un ingegnere volesse
usare il suo ingegno per realizzare un progetto e creare qualcosa
di nuovo. Secondo le opinioni pi condivise, il fine di ogni bravo
ingegnere era quello di fare soldi, carriera, rimpolpare le fila del-
le multinazionali, non certo sprecare il proprio tempo dietro im-
probabili cambiamenti del sistema. Perch cambiamento, come
riforma, progresso, libert, verit, giustizia, una di quelle paro-
le che viene utilizzata, anzi abusata, per esorcizzare la paura che
possa avvenire davvero qualcosa di nuovo. Perch nessuno, e in
particolare quelli che nel sistema esistente hanno maggiori poteri
decisionali e benefici, desiderano che ci accada.
Ad ogni modo, se nel mondo tutto rimaneva da tempo presso-
ch stabile, per me, volente o nolente, era giunto il momento di
cambiare. In questi casi di estrema incertezza, la migliore strate-
gia da attuare era quella messa abilmente a nudo dal Principe Fa-
brizio del Gattopardo: cambiare tutto affinch non cambi niente.
Dovevo sforzarmi di trovare un luogo dove sarebbe stato possi-
bile ripristinare tutte le favorevoli condizioni precedenti. Buona
compagnia, orario pomeridiano, vicinanza a casa. Unimpresa
non semplice, che cre in me non poche perplessit e mugugni.
In un periodo cos delicato, con tutto il lavoro di revisione che
avevo ancora da fare con il mio romanzo, risultava per me molto
difficile capire il motivo di un tale contrattempo. Per fugare ogni

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dubbio, ero obbligato per forza a credere che di fronte a certe ca-
sualit e inefficienze umane, persino Dio si trovasse costretto a
soccombere. Laltra possibile spiegazione era invece che qualcu-
no dallalto, in vena di scherzi, avesse deciso di ributtarmi nella
mischia per farmi fare un altro giro di giostra; forse dovevo cam-
biare aria, conoscere nuova gente, svagarmi un po, temporeggia-
re, in una fase della mia vita in cui tutto mi serviva tranne che la
distrazione. Una vera disdetta. Tuttavia la frittata era fatta e con-
tinuare a pretendere un po di riconoscenza e comprensione non
mi aiutava granch; non avevo scelte. E cos, mettendo per qual-
che tempo da parte il libro, mi misi a cercare un altro lavoro,
sempre come operatore telefonico e ad orario ridotto. Mio mal-
grado mi toccava avere fiducia. Incrociare le dita. E sperare che
Dio me la mandasse buona unaltra volta, come aveva gi fatto
molte volte in passato. Tanto, per quanto mi fossi impegnato nei
ragionamenti, sarebbe stato per me impossibile capire dove fini-
va lopera di Dio e iniziava quella degli uomini.
Comunque, nonostante avessi tutte le migliori intenzioni di
non mollare, durante il periodo che trascorsi in giro per aziende
e uffici di selezione, non mi sentivo per nulla tranquillo; ero in-
quieto, agitato, ansioso. Nelle notti che precedevano i colloqui,
puntuale ritorn pure linsonnia. I pensieri e i dubbi si affollava-
no sopra la mia testa come le nubi nere di un imminente tempe-
sta. Qualcosa mi diceva come il tempo della pacchia fosse giunto
al capolinea, e il prossimo treno sul quale dovevo salire si chia-
mava di nuovo fatica, schiavit, depressione. Anche in questo ca-
so, la previsione non si allontan molto dalla realt. Fra tutte le
opportunit che mi si erano prospettate, trovai impiego nel posto
per me pi svantaggioso. Si trattava di una compagnia di assicu-
razioni, assorbita di recente da una grande multinazionale tede-
sca, dal nome quasi beffardo, che in italiano significava allean-
za. La sede della societ era molto lontana da casa mia; lam-
biente di lavoro era asfissiante; lorganizzazione era rigida e di-
spotica. Gli operatori telefonici venivano controllati a vista come
fossero galline in batterie o prigionieri rinchiusi in un lager. Per
parlare con un collega e smorzare un po la tensione, potevamo
soltanto usare di nascosto e a rischio di essere severamente rim-

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proverati, la posta elettronica interna. Con lesterno invece non si


poteva avere alcun tipo di contatto. Spesso, anche guardare fuo-
ri dalla finestra, veniva considerato un atto di indisciplina. Gli
orari di lavoro poi cambiavano di settimana in settimana, a volte
anche di giorno in giorno, ed erano stabiliti con una subdola tec-
nica di turnazione. Ritrovare la cadenza dolce e la serenit dei
vecchi tempi era impossibile. Cercare in mezzo a quel trambusto
la voglia di scrivere divenne sempre pi complicato.
Decisi per la prima volta nella mia vita di buttarmi sulla fortu-
na. Se Dio voleva davvero aiutarmi e sostenermi fino alla fine del-
la mia missione, poteva magari guidarmi nella ricerca di un bi-
glietto vincente della lotteria istantanea. In fondo, io lavoravo per
Lui e se avessi concluso la mia impresa con successo, lunico a
rallegrarsi davvero sarebbe stato proprio Lui; di certo non io; che
a parte la gloria, che nel migliore dei casi sarebbe giunta postu-
ma, non avevo proprio niente da guadagnarci in quel triste desti-
no che mi attendeva. E cos, insieme a Sara, cominciai a prende-
re labitudine di giocare un gratta e vinci a settimana. Se i miei
conti non erano sbagliati, prima o dopo, Dio ci avrebbe indiriz-
zato sulla pista giusta ed io mi sarei scrollato di dosso quella scoc-
ciatura del lavoro. Non fu cos; alluniversit avevo preso trenta e
lode in statistica, ma forse avevo gi dimenticato che se nella vita
il calcolo della probabilit non pilotato da un Ente esterno e su-
periore al Caso, nulla pu succedere che non sia casuale, fortui-
to. E soprattutto, ricordando la legge dei grandi numeri, im-
possibile fare previsioni nel breve periodo, perch il Caso, in ta-
lune circostanze, un mistero ancora pi fitto, ostico e impe-
netrabile della stessa mente di Dio. Una volta di pi, avevo
ingenuamente fatto i conti senza loste. E in conclusione, io e Sa-
ra riuscimmo a stento a vincere soltanto quei pochi spiccioli che
bastavano per ritentare la sorte; niente di pi e niente di meno.
Di Marilena intanto non avevo pi notizie; dal momento del-
lultimo avvistamento nelle Marche, non ero pi riuscito ad otte-
nere nuovi dispacci dal fronte. Dato che la ragazza aveva abban-
donato larma, riparando frettolosamente fra le verdi vallate di
casa sua, presumevo che stesse rivalutando e rimuginando su cer-
ti errori del passato. Lesercito, la vita militare, gli ordini sono

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una gran brutta cosa e vivere insieme ad un ufficiale, dopo avere


rinnegato i gradi, non doveva essere proprio uno spasso. Spinto
a ragionare da tali considerazioni, fremevo per conoscere a fondo
i dettagli delle sue scelte sofferte. Ogni tanto punzecchiavo pure
la mia spia per sapere qualcosa in pi, ma questa volta anche lui
sembrava a corto di nuove informazioni. Ero costretto quindi a
fantasticare. Nei vagabondaggi liberi e sfrenati dei miei sogni,
immaginavo, o meglio speravo che Marilena avesse gi divorziato
da suo marito, fosse tormentata dai rimorsi, affranta dai sensi di
colpa e nelle ipotesi pi platealmente romanzesche, mi figuravo
spesso che avesse deciso di vestire la tonaca e di rinchiudersi in
un convento di suore di clausura. In attesa che qualcuno, nella
fattispecie io stesso, andasse un giorno a liberarla. Come finale
del mio libro, una tale eventualit sarebbe stata benedetta dal
cielo. Ma, come ho gi detto e ridetto, i libri, la poesia, i sogni so-
no una cosa, mentre la realt, la vita, le casualit del destino sono
una cosa ben diversa. Due specchi che si riflettono allinfinito e
nessuno vede quello che vede laltro. Finch non accade qualco-
sa di imprevisto che frantumi sia luna che laltra sponda.
Il giocattolo cominci a rompersi una mattina, mentre mi tro-
vavo al lavoro. In un momento di pausa mi misi a spulciare nel-
larchivio informatico dei clienti della societ e scoprii ci che
non avrei dovuto mai scoprire: Marilena aveva assicurato la sua
auto con quella compagnia. Un sussulto mi fece balzare sulla se-
dia; sgranai gli occhi per accertarmi che non fossi stato vittima di
un abbaglio. I dati corrispondevano, era proprio lei. Lauto in
questione era un costoso fuoristrada da citt di grossa cilindrata
ed aveva una data di immatricolazione abbastanza recente: era
stata acquistata durante linizio dellestate precedente. Ma la no-
tizia pi agghiacciante era riportata poco sotto: la propriet del-
lauto risultava condivisa con il marito, e anche i dati anagrafici
di questultimo erano tutti registrati in quella maledetta scheda.
Per la prima volta conobbi il nome, il paese di origine, let del
mio sconosciuto rivale; era di un anno pi giovane di me. Il co-
gnome del ragazzo aveva poi una buffa assonanza con la Chiesa e
con la sua organizzazione ecclesiastica. Marilena non aveva scel-
to a caso; essendo anche lei una fulminata, cera da giurare che si

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fosse lasciata suggestionare non solo dal portamento altezzoso


dellufficiale in carriera, ma anche da quel sottile legame evocati-
vo con la tanto amata Chiesa. Prima ancora di me e forse con
maggiore insistenza di me, Marilena aveva imparato a cogliere
dappertutto i segnali e le indicazioni del suo venerato Padre onni-
potente. La cosa non mi stupiva affatto. Allinizio della nostra re-
lazione, anche io beneficiai parecchio di questa cura per il detta-
glio. Ricordo che durante i nostri primi timidi approcci, una delle
cose di me che colp maggiormente la ragazza fu la mia data di na-
scita: ero nato lo stesso giorno, 31 luglio, della sorella maggiore.
Una coincidenza che per lei non poteva essere appunto casuale.
E cos, davanti al mio sguardo imbambolato e attonito, mi tro-
vai spiattellato tutto ci che ancora non sapevo della vita di Ma-
rilena: dal momento della nostra separazione fino ad oggi. Lei e
lallora fidanzato avevano comprato insieme la prima auto, unuti-
litaria di seconda mano, nellestate successiva alla fine della no-
stra storia; i due piccioncini non avevano perso tempo, perch
pochi mesi dopo essersi conosciuti avevano gi investito sul loro
futuro insieme. Marilena aveva vissuto per circa un anno a Roma
e poi effettivamente era ritornata nelle Marche. Tuttavia la circo-
stanza dellacquisto e della cointestazione della nuova auto non
lasciava pi spazio ad altre fantasticherie. Marilena e suo marito
erano ancora sposati. Anzi. Con ogni probabilit, visto i nuovi in-
vestimenti in grande stile, erano pure felicemente sposati.
Perch? Perch Dio aveva voluto farmi sapere, proprio adesso,
questa nuova terribile verit? Dopo la beffa del lavoro, sembrava
che Dio, o il destino o il Caso, volessero di nuovo prendersi gio-
co di me. Forse dovevo ricredermi. La reale intenzione di chiun-
que reggesse le fila della mia sorte non era mai stata quella di aiu-
tarmi, ma fin dallinizio qualcuno o qualcosa aveva spinto sullac-
celeratore per farmi crollare. Affossarmi nel baratro. Cercai di al-
lontanare da me questi brutti pensieri. Dovevo avere fiducia;
magari anche la scoperta che avevo appena fatto, poteva avere un
senso allinterno del misterioso piano di Dio. Ma quale senso?
Perch infierire cos duramente su un uomo tanto solo e stanco?
Dopo quella lunga e faticosa scalata dagli abissi della depressio-
ne fino alle pendici della grande montagna della verit, mi trova-

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vo ora pi isolato che mai, appollaiato su un cocuzzolo gelido e


ghiacciato. Ero intirizzito, brividi di freddo e di paura percorre-
vano continuamente il mio corpo, scuotevano lanima. Su di me,
in breve tempo scese un silenzio macabro e spettrale. Gli uccelli-
ni non cinguettavano pi, mentre le cornacchie gracchiavano in
modo assordante fuori dalla finestra e la loro sinistra litania era
lunica voce che arrivava alle mie orecchie; il preludio di altre
sventure. Non vedevo pi niente; la nebbia e la foschia che si ad-
densavano sulla sommit del monte non mi consentivano di guar-
dare ad un palmo dal mio naso. Ero solo. Mi trovavo sospeso fra
cielo e terra; in un luogo troppo lontano dal mondo degli uomi-
ni e ancora tanto distante dalle porte dorate del Paradiso. Mi ran-
nicchiai su me stesso per resistere alla tentazione di precipitare;
di lanciarmi a braccia aperte nel vuoto; nel Nulla. Ero sicuro che
lo schianto questa volta sarebbe stato fatale.
Di sottecchi osservavo ogni tanto il precipizio profondo che mi
richiamava di nuovo a s. Era terribile; il pensiero di sostare an-
che solo per pochi attimi in quelle lande desolate, mi funestava il
sonno. Mi feci coraggio; non dovevo scivolare, cadere gi. Rima-
si immobile, incredulo, impassibile. Lass, sulla cima del monte
che un tempo era luce, verit, lo spazio era risicato, da qualunque
parte cercassi di spostarmi rischiavo di perdere lequilibrio. Af-
fannosamente arrancavo nel buio, in cerca di un segnale che po-
tesse incoraggiarmi; uno spiraglio di luce che riuscisse a squarcia-
re la cupa e tetra cortina di nubi che nascondeva il cielo. Non ero
pi capace di scrivere una sola frase di senso compiuto sul mio li-
bro; lispirazione era svanita insieme ai sorrisi che un tempo ri-
empivano le mie giornate. La voce della coscienza non parlava
pi con parole di conforto e speranza; ma, a scatti nervosi e irre-
golari, sentivo solo proteste di stizza, rancore, ingratitudine, che
acuivano costantemente il mio stato di disagio. Dio era un sadico
e non aveva piet di me. Per una ragione ancora ignota, voleva
farmi soffrire e aveva deciso di abbandonarmi a me stesso. Op-
pure la domanda che insistentemente cominci ad assillare la mia
coscienza era unaltra: Possibile che mi fossi inventato tutto?
Quel Dio che avevo immaginato e che amorevolmente era ve-
nuto a salvarmi dallabisso, poteva essere stato soltanto un frutto

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bacato della mia fantasia. E in verit, io da quellabisso non mi


ero mai mosso. Rimanendo intrappolato in un precipizio, in una
caverna infima, di cui avevo soltanto cambiato i contorni e i co-
lori per assecondare il desiderio di sentirmi pi libero. La mia in-
capacit di accettare la realt cos comera, mi aveva condotto per
luoghi impervi, deserti assolati, pianure rigogliose dellanima fino
a scoprire inesistenti chimere. La voglia di evasione, unita ad una
logica distorta, avevano costruito un mondo parallelo a quello
reale, che esisteva soltanto nella mia mente. Leterno bambino
che stentava a crescere dentro di me, tremando di paura di fron-
te alle difficolt della vita, era fuggito per boschi e radure, aveva
esplorato posti ai confini della conoscenza, era stato cos invi-
schiato nel suo delirio da avere perso ogni contatto e legame con
la realt. Forse, quel Mondo Nuovo di cui tanto avevo vaneggia-
to, non sarebbe mai arrivato; non solo perch Dio non voleva; ma
cosa ancora peggiore, perch Dio non esisteva.
Ero stato allucinato da un bagliore fatuo. Se per tanto tempo
mi ero considerato un uomo eletto e illuminato, adesso dovevo
rivedere e ritrattare velocemente le mie affrettate conclusioni: io
ero un fulminato. Una folgore maligna mi aveva colpito in pieno
giorno e rimbambito e inebriato dal mirabolante fulgore di que-
sta saetta, avevo cominciato a farneticare come un folle beone da
osteria. Dio, il reticolo degli angeli, il sogno della felicit eterna
erano tutte strambe idiozie fuoriuscite a fiotti dalle arterie di un
cuore malato e dai neuroni di una mente impazzita. Ero stato un
folle a credere ancora nellAmore. LAmore non esisteva. LAmo-
re era soltanto la proiezione illusoria della mia contorta creativi-
t letteraria, che a sua volta, rappresentava un modo pi o meno
elegante di nascondere la mia paura di vivere. Un impiccio in-
gannevole che serviva a coprire un altro impiccio, molto pi im-
barazzante.
Punto e a capo. Ero stato tradito una seconda volta; dopo Ma-
rilena, adesso anche Dio, o quello che io avevo creduto fosse Dio,
era riuscito a beffarmi. Ed io ero cascato di nuovo, come un pe-
sce lesso, in quel tranello. Cosa avrei potuto inventarmi adesso
per salvare la pelle? Se Dio e lAmore non esistevano, chi poteva
farmi rinascere unaltra volta? Per alcuni giorni tentai di supera-

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re quel momento di debolezza, convincendomi che dovesse es-


serci un motivo in tanto accanimento nei miei confronti. Chiss,
mi dissi, forse Dio voleva punirmi per tutti gli errori commessi
durante le mie precedenti esperienze sulla terra e quando la sua
ira si fosse placata, avremmo ricominciato il nostro percorso in-
sieme. Visto che io mi trovavo mio malgrado confinato in questo
mondo, come un burattino in preda a mille e pi sconosciuti fili
ed ingranaggi, qualcosa stava approfittando della sua condizione
di superiorit per impartirmi una severa lezione. Un senso di
sgomento, di frustrazione, di impotenza si un con una crescente
rabbia. Con mio estremo disappunto, si erano create tutte le pre-
messe affinch la situazione precipitasse.
Una mattina, mentre mi trovavo in fila in una tabaccheria per
comprare due biglietti della lotteria, qualcosa mi spinse ad uscire
fuori di corsa dal locale. Attraversai la strada senza capire bene
dove stessi andando; in lontananza vidi linsegna di unaltra rice-
vitoria; dovevo affrettarmi perch rischiavo di arrivare tardi a la-
voro. Sentii una voce che dentro di me mi ripeteva divertita: Sei
proprio uno stupido! Stai continuando ancora a credere al tuo
intuito, alle tue premonizioni! Sei un incorreggibile illuso... que-
ste sono tutte sciocchezze Quando arrivai davanti al tabac-
caio, mi accorsi che ero giunto alla ricevitoria numero 777; forse
era un segno. Entrai trafelato e comprai i due biglietti, dirigen-
domi poi a passo spedito verso la fermata dellautobus. Durante
la sera una sciocca incomprensione a distanza con un amico, rese
ancora pi torvi i miei sentimenti di angoscia. Ero nervoso, non
riuscivo a prendere sonno; mi rigiravo nel letto senza trovare pa-
ce. Nel bel mezzo della notte, mi alzai e presi i due biglietti dalla
tasca del giubbotto; lindomani avrei dovuto grattarli insieme a
Sara, ma soffocato dalla disperazione decisi di accelerare i tempi.
Nel primo biglietto non cera nulla; nel secondo invece cerano
due numeri vincenti: il 9 e il 10. Scoprii i premi che avevo vinto
senza troppo entusiasmo, convinto che fossero le solite cifre da
miseria. Mi sbagliavo. I due premi erano da 500 euro ciascuno; io
e Sara avevamo vinto in totale 1000 euro. Rimasi immobile a fis-
sare il biglietto; un brivido percorse tutto il mio corpo come
quando esultavo per una piuma o per una foglia che cadeva da un

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albero, al mio passaggio. Per qualche istante la tensione si alleg-


ger; mandai un messaggio a Sara per comunicarle che avevamo
finalmente vinto una somma discreta di denaro. Poco dopo guar-
dando bene il biglietto, mi accorsi che sulla scheda comparivano
anche i tre principali numeri della concordia o discordia, non sa-
pevo pi bene cosa pensare: 7, 13, 21. Mi distesi sul letto, spensi
la luce e poggiai il biglietto per terra, accanto al letto. Malgrado
cercassi di rasserenarmi, la mia agitazione crebbe di nuovo a di-
smisura. Cosa voleva dire adesso quella vincita? Cosa avrei potu-
to farci con 500 euro? Niente. Niente di niente. Quel contentino
non avrebbe potuto risolvere nessuno dei miei guai. Dio, il desti-
no o la causalit mi aveva di nuovo voltato le spalle, divertendosi
a trascinarmi in giro per il mondo come un asino bastonato che
non arriva mai alla carota. Non chiusi occhio fino allalba.
Nei giorni successivi, fui combattuto dalla voglia di continuare
a credere e dalla tentazione di mollare tutto. Mi sentivo impri-
gionato dallinquietudine. Nonostante avessi per tutta la vita cer-
cato di essere libero, mi ero di nuovo rinchiuso dentro una male-
detta gabbia; un labirinto senza uscita. Dio o io stesso, aveva tal-
mente vagato con la fantasia in cerca di un raggio di sole, da fini-
re incastrato in un altro vicolo cieco. Mi convinsi che qualunque
fosse la verit, non valeva la pena di stare appresso a un Dio si-
mile; una creatura cos spietata, malvagia ed insensibile da non
comprendere il dolore che stavo provando in quel momento. Per
vendetta o per ritorsione, decisi allora di sbarazzarmi di quel Dio
e di liberarmi dalle tenaglie della mia allucinazione. Pensai pi
volte che la cosa pi giusta da fare fosse cancellare tutto il mio li-
bro. Ma poi, per rispetto nei confronti dellimpegno e dello sfor-
zo profuso in quegli anni, reputai pi opportuno scegliere unal-
tra strada: dovevo confessare a qualcuno il mio segreto e rompe-
re il patto del silenzio. Dio, il Destino, il Caso o chi per Lui, for-
se la mia stessa depressione cronica, stavano giocando sporco
con me e io non dovevo farmi fregare unaltra volta dalle loro lu-
singhe. Se la vecchia volpe stava cercando di stanare la sua preda
per inseguirla in campo aperto, al povero coniglio non rimaneva
che ununica alternativa di salvezza; uscire dalla tana e trascinare
la volpe in mezzo alla pianura; dove insieme ai cerbiatti, agli

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scoiattoli e alle marmotte, stanno anche in agguato i branchi di


lupi. Il pericolo in questo caso sarebbe stato duplice, ma cos al-
meno, il coniglio avrebbe avuto la certezza di potere giocare ad
armi pari con la volpe.
Adesso mi trovo qui, seduto sul bordo del divano dellappar-
tamento numero tredici, al numero civico sette di una strada non
tanto distante da Piazza SantAgostino. Fuori, continua a piove-
re. Mentre Anna e Marco mi guardano storditi, confusi, imbam-
bolati, Sara, che fino a quel momento non aveva spiccicato una
parola, si d uno slancio con il bacino ed esclama divertita: Ma
pazzesco! La storia che ho appena ascoltato incredibile!
Lo so risposi, girandomi mestamente verso di lei. Sono
stato un pazzo a credere a tutte queste scemenze.
No voglio dire lasciando per un momento da parte il
tuo romanzo, i fatti che hai raccontato stasera potrebbero benis-
simo diventare la trama di un libro.
Fulminai Sara con unocchiata di stizza. Lei rideva.
Andiamo Sara, non scherzare. Questa storia per me non mai
stata uno scherzo. Io ho creduto davvero a quello che scrivevo.
Appunto! Si tratta quindi di una storia reale; vissuta sulla
pelle di una persona in carne ed ossa. Non capisci? Il vero libro
da scrivere non il romanzo che hai gi scritto; ma la narrazione
della vita assurda che hai condotto in questi anni, credendo di
scrivere un romanzo cos allucinante non importante se ci
in cui tu hai creduto sia vero o falso, ma lesperienza di vita che
conta la storia che ti posso assicurare, unica nel suo gene-
re io non avevo mai sentito niente di simile
Sara sembrava euforica come una bambina scesa da poco dal
trenino di un ottovolante. Io scuotevo la testa sfinito, sfiancato.
Dovevo rassegnarmi. Nessuno avrebbe mai capito ci che avevo
realmente vissuto. Quanto dolore, quanta fatica, quanta determi-
nazione avevo dovuto mettere in ognuno di quei maledetti gior-
ni, per superare la notte e ricominciare daccapo, il giorno dopo.
Cercando come un segugio nuovi spunti per ragionare, credere,
elaborare una teoria sostenibile. Forse avevo fatto male a sperare
di trovare aiuto da qualcuno che non fossi io stesso. Non cera
pi da illudersi. Potevo contare solo sulle mie forze, mentre per

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gli altri, nel migliore dei casi, sarei stato sempre un incompreso.
Bisognava mettere un punto sulla questione.
Non sono pi capace di scrivere nemmeno due parole in cro-
ce. bofonchiai a testa bassa. Ho la nausea. Non ne posso pi
di Dio, della scrittura, dei sogni. Sono tutte ossessioni senza sen-
so, che non portano a nulla.
Un altro piccolo sforzo ammicc Sara, strizzandomi loc-
chio. Io ti conosco. Tu puoi farcela.
Scossi il capo, osservandola di traverso, con unespressione
sempre pi imbronciata; quella scocciatura era durata gi abba-
stanza. Sollevando di poco lo sguardo mi accorsi che lorologio
appeso sulla parete di fronte segnava mezzanotte in punto. Al-
limprovviso, il riverbero di un lampo illumin linterno della
stanza, come se fosse pieno giorno. Poco dopo, arriv pure il ton-
fo sordo del tuono, che scosse con fragore i vetri delle imposte.
Qualcosa si accese da qualche parte dentro di me. Non saprei pe-
r definire quale impulso mi spinse a fare un ulteriore scatto di
volont; forse volevo soltanto approfittare della situazione di im-
barazzo che si era creata, per togliermi di mezzo per una buona
volta e per tutte quel fardello che ancora mi doleva. Sulle spalle.
Nella testa. Dentro il cuore.
E va bene! dissi battendo le mani sulle ginocchia se pro-
prio insisti, ti racconter anche il resto. Marco, scusa, potresti
prendermi un foglio e una penna?
Marco annu; sembrava ancora piuttosto interdetto e stranito,
ma recep al volo, quasi meccanicamente, la mia richiesta. Si alz
senza dire una parola e ritorn con gli arnesi del mestiere. Di
qualunque mestiere.
Voi avete mai sentito parlare del nulla? chiesi roteando la
testa per guardare uno per uno, dritto negli occhi, i miei interlo-
cutori.
In che senso? farfugli Anna.
Nel senso letterale del termine. Sapete cosa sia il nulla?
No. Non sappiamo niente del nulla ribatt Sara, mentre
Anna scuoteva il capo e Marco mi fissava impassibile.
Bene. Allora cominceremo proprio da l. Dal Nulla

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CAPITOLO 12

Amore e Nulla

In principio era il Nulla.


Un vuoto impenetrabile che trasparenza e pienezza al tempo
stesso.
Nessuna luce c nel Nulla, nemmeno il buio pu attraversare
uno spazio che non ha estensione. Niente di niente; assenza di so-
stanza, mancanza di spirito.
Il Nulla solo pensiero e pu riflettere unicamente se stesso.
Non ha forma, non si pu muovere, non cambia mai aspetto,
immutabile. Ha solo coscienza di s.
Nelleternit in cui vive il Nulla, Tutto eternamente presen-
te e non esiste un prima e un dopo, perch questo imporrebbe
unidea di cambiamento che nel Nulla assolutamente impen-
sabile. Il tempo e lo spazio non hanno senso nel Nulla; perch
anche linfinito sottintenderebbe unidea di limite o confine che
priva di significato.
Il Nulla non soffre, non gioisce, non ama, non odia. Ma capi-
sce e comprende Tutto. A causa o in virt di questo eccesso di
coscienza e consapevolezza, il Nulla per si annoia. La Noia
lunico vero sentimento che il Nulla pu provare.
Tuttavia la Noia anche il punto di partenza di qualsiasi im-
pulso di creazione. Grazie alla Noia, qualcosa nelleternit co-
mincia a muoversi; non un alito di vento, non un raggio di luce,
neppure una scossa; poco a poco, prende corpo invece unaltra
sconosciuta sensazione. Il Nulla si innamora della sua Noia; si
unisce a lei, si avvinghia, si compenetra; e nel frattempo la odia,
non la sopporta, cerca di cacciarla fuori dai suoi pensieri. LInge-
gno del Nulla irretito dalla presenza della Noia. Da questo in-
dissolubile contrasto di pulsioni opposte nasce un nuovo incredi-
bile sentimento che si chiama Mancanza.

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La Mancanza una passione scatenante; travolge tutto ci che


incontra al suo passaggio, come un uragano di una potenza inau-
dita che non conosce fine; il suo flagello implacabile; la Man-
canza brucia ogni cosa che intralcia il suo cammino, anche ci
che non ha sostanza e non pu prendere fuoco. Una furia inar-
restabile e delirante inizia a scuotere il Nulla, che per la prima
volta capisce di essere solo, incompleto, disperato. Nelleternit
avviene un processo di elevazione continua del grado di co-
scienza; il Nulla diviene sempre pi consapevole di se stesso e
riesce a placare i morsi della Noia e lassillo della Mancanza, so-
lo grazie allIngegno. Lirruenza del sentimento riesce ad acquie-
tarsi approdando sulle placide rive dellintelletto e viceversa; la
passione stuzzica la curiosit di conoscere altro da s. Mancanza
e Ingegno cominciano cos ad innalzarsi a vicenda. E il Nulla si
sente pronto a partorire il pi prezioso frutto che mai avrebbe
ardito di creare.
Dal felice connubio di queste due entit opposte e complemen-
tari, la Mancanza e lIntelletto, nasce nel Nulla lidea di Qualcosa
che abbia forma, sostanza, spirito. Prima di allora il Nulla non sa-
peva nemmeno cosa fosse la sostanza e la forma.
Quando il Nulla giunse al massimo livello di consapevolezza,
leternit si ferm. Nel silenzio impalpabile del vuoto assoluto ar-
rivarono da lontano i primi gemiti, i vagiti di un pianto ancestra-
le, arcaico, primordiale. Il Nulla si contrasse, si strinse, si con-
centr su un punto. Uno sforzo madornale, simile a quello di una
mamma durante il parto. Lintero Nulla era un utero, una sacca
raggomitolata intorno a quel punto, dove si succedevano a pi ri-
prese, rapide contrazioni, spinte, grugniti. Allapice della tensio-
ne, schizz nel Nulla uno scintillio di portentosa intensit. Il Nul-
la trem; un lungo fremito scosse il silenzio; un sottile fascio di
luce attravers ci che prima era soltanto trasparenza incolore. E
Luce fu. E poi di nuovo Buio. E ancora Luce.
Finch da quello stesso punto non usc una mano; poi un brac-
cio; una gamba; un nugolo di ricci. La testa; un viso di armonio-
sa bellezza; una gragnuola di sorrisi investirono il Nulla come la
pioggia battente di un acquazzone estivo. La bocca del bimbo era
uno scrigno di perle e diamanti. La sua pelle fluttuava nel Nulla

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come il morbido tessuto di un velo dorganza. Gli occhi riluceva-


no di tutti i colori dellarcobaleno. Il Nulla si rallegr.
Era nato Amore. Lunico Dio che il Mondo abbia mai cono-
sciuto.
Amore un Bambino meraviglioso; la sua straordinaria vivaci-
t lo porta a correre in lungo e in largo per il Nulla, che adesso
ha spazio soltanto per Lui. Il tempo ha avuto inizio poco prima,
quando quello stesso punto da cui nacque Amore divent luce.
Amore rimane sospeso in questo tempo e in questo spazio come
una piuma che galleggia nel cielo. Mentre cammina, vola; mentre
pensa, sogna ed felice. Lallegria la prima vera scoperta che
avviene nelleternit; con la compagnia di Amore, il Nulla non ha
pi alcun motivo di annoiarsi. Amore schizza da una parte allal-
tra come un fulmine, sorride, si diverte, danza, fa capriole, im-
provvisa piroette, si lancia in spericolati capitomboli; la sua et
coincide con il culmine della gioia e si colloca proprio al passag-
gio fra linfanzia e la pubert: un limite invalicabile. Amore non
pu crescere, perch tutto ci che nasce dal Nulla non passibi-
le di cambiamento. Pur essendo lentit pi antica e preesistente
ad ogni cosa, il Nulla non conosce neppure cosa sia la caducit,
il decadimento, la corruzione, la fallacit: quello che esce fuori
dalla sacca infinita del Nulla sempre imperituro e perfetto.
Amore sublime. Leternit al massimo potr limare e miglio-
rare ci che a chiunque non apparirebbe meno che straordinario.
Amore la rappresentazione e la proiezione manifesta di unidea
che nel Nulla era gi incubata e repressa fin dagli albori del suo
insostenibile sentimento di Mancanza. La fanciullezza del Bam-
bino in confronto allincalcolabile vetust del Nulla, laltro da
s per eccellenza. A differenza infatti di questultimo che non ha
et e ha imparato da poco a capire cosa sia il tempo, Amore ri-
mane bambino, con tutto il suo carico di fantasia, innocenza, in-
genuit; tuttavia, come qualsiasi adolescente in germe il fanciullo
sente gi i pruriti e gli slanci di una curiosit impellente. Amore
allegria, gioia, felicit, ma anche intelligenza, creativit, intra-
prendenza. Se il bimbo non cambia nellaspetto e non crescer
mai, egli pu per muovere le gambe e i pensieri e nessuno in
grado di impedire la sua corsa verso ogni dove. Il vuoto e il si-

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lenzio che prima imperversavano nel Nulla cominciano a riem-


pirsi della vitalit ubiqua e onnisciente di Amore. E il Nulla di-
venta sempre pi fiero e colmo di Amore.
Il Bambino trascorre la sua prima eternit in apparente solitu-
dine, ma in verit non mai solo, perch riceve costantemente
compagnia e conforto dal Nulla. Amore ha un rapporto privile-
giato con il Nulla e tramite lanima e la coscienza riesce a comu-
nicare in silenzio, senza proferire parola, con questa entit pri-
mordiale, che pur non avendo volto e identit, avvolge Tutto.
Amore impara velocemente dal Nulla tutto ci che questultimo
ha da insegnare. Lintelligenza e la capacit di ragionare del fan-
ciullo crescono a dismisura. Le potenzialit logiche di Amore so-
no illimitate, non hanno confini, come la sua stessa propensione
al Bene. Amore e il Nulla si compenetrano cos a fondo da di-
ventare ben presto due facce della stessa medaglia. Il Nulla la
coscienza, il pensiero, la memoria mentre Amore la parte ani-
mata, vivente, visibile, la volont stessa di ci che nessun occhio
potr mai vedere; ma solo immaginare. In virt di questo scam-
bio continuo e inarrestabile, Amore insegna al Nulla il candore,
lesuberanza, lebbrezza e impara dal Nulla la pazienza, la tem-
peranza, la costanza. Questa maestosa unione mistica di opposti
contrari, la giovinezza di Amore e la vetust del Nulla, favorisce
un arricchimento reciproco senza precedenti, dando vita al pi
grande dualismo dialettico delleternit.
Tuttavia Amore apprende dal Nulla anche le sue maggiori af-
flizioni: innanzitutto la Noia e in secondo luogo la Mancanza. La-
cutizzazione di questi due sentimenti diventa insopportabile;
Amore si intristisce, comincia a stancarsi, si isola, si rannicchia su
se stesso; il Nulla preoccupato e incoraggia il Bimbo a rialzarsi;
lo invita a credere di pi nelle sue enormi facolt di immaginazio-
ne, nella fantasia. Ma ogni tentativo sembra vano, perch Amore
dubita di tutto e persino di se stesso. Purtroppo tutta la volont
creatrice del Nulla stata concentrata su Amore e pur sapendo
bene cosa stesse provando il Bambino, il Nulla non pu fare altro
che sostenerlo e aiutarlo tramite il pensiero. In altre parole, senza
laccordo e lappoggio di Amore, il Nulla non ha pi volont e
non pu pi fecondare alcunch. Tutto dipende da Amore.

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La situazione precipita. Amore soffre, smania, si avvilisce, si


dispera; Tutto sembra perduto; finch il Bambino, spronato dal
Nulla e istigato dal contemporaneo assillo di Mancanza e Inge-
gno, comincia a credere in un sogno lontano, immagina qualcosa
che ancora non esiste. E pi il Fanciullo crede in questo sogno e
pi acquisisce consapevolezza nelle sue portentose capacit. Fin-
ch Amore non decide di creare dal Nulla qualcosa. Lo spettaco-
lo appena cominciato. Amore estrae dal Nulla un fiore, e poi un
altro, e un altro ancora; quindi forgia un albero, un prato, uno
stagno, unaltalena, uno scivolo; la fantasia di Amore non ha li-
miti e sembra inarrestabile. Quel vuoto che prima incombeva at-
torno a s comincia ad animarsi di presenze strane, bizzarre, bel-
lissime: cavalli, leoni, unicorni, pesci indescrivibili e uccelli mai
visti prima. In questo luogo straordinario, dove ogni cosa com-
pare e scompare in un battibaleno, Tutto si muove secondo la vo-
lont di Amore e non esiste foglia che il Bambino non riesca ad
ondeggiare come e quando meglio crede. Il Nulla si trasforma-
to improvvisamente in uno splendido giardino ed felice. Dalla
vivace creativit di Amore nato il Giardino dellEternit; quel
meraviglioso eldorado da sogno che tutti noi indichiamo con il
nome di Paradiso.
Amore si messo alla prova ed ha capito che dallunione con
il Nulla pu nascere qualunque cosa; basta crederci. Le capacit
della mente del Bambino sono strabilianti: prendete tutti i cer-
velli degli uomini della terra, aggiungete a questi le memorie e i
processori di tutti i computer del mondo e non avrete trovato co-
me risultato nemmeno un infinitesimo dellIntelligenza di Dio.
Per intenderci, Amore considera linfinito, , un normale nume-
ro come tutti gli altri e riesce a fare conteggi con questa quantit
come se fosse un qualsiasi altro numero naturale, reale o immagi-
nario. Dio ha un diverso concetto della matematica rispetto a noi
umani, che siamo creature limitate nel tempo e nello spazio.
Quello che per Lui reale, per noi diventa immaginario e vice-
versa. Gli uomini possono solo concepire per astrazione una
quantit infinita e sono pure costretti a ricorrere al principio di
indeterminatezza per effettuare quei calcoli o rapporti che altri-
menti risulterebbero impossibili. Una bella differenza. Per rias-

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sumere, potremmo dire che lo schema di base dei numeri conte-


nuti nella mente di Amore pu essere sintetizzato in questo mo-
do: 0,1,2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, . Per Amore linfinito non ha niente
di diverso dalluno, dal due o dallo zero.
E cos, con lo sguardo apparentemente impassibile e distratto,
senza muovere un dito, Amore controlla costantemente e guida
contemporaneamente ogni cosa che ha vita e anima nel Giardino
dellEternit. La sua energia si spande nel creato come uninvisi-
bile marea di luce e passione; la materia che esiste in quel luogo
indistinguibile dallo spirito; la sostanza e la forma non devono
contendersi alcun primato, essendo una imprescindibile dallal-
tra; qui non esiste nessuna spaccatura, nessuna contraddizione,
nessuno scontro. Tutto armonia, perch Amore lanello di
congiunzione della celestiale concordia fra ci che esiste, si vede,
appare e ci che soltanto pensiero, invisibile agli occhi, il Nulla.
Amore stesso, insieme al Nulla, il Tutto, perch soltanto dallu-
nione di queste entit pu nascere qualunque cosa. Il legame di
diretta discendenza fra Amore e il Nulla indissolubile e il Nulla
si piega davanti alla volont di Amore come se fosse una madre o
un padre premuroso, un fratello o una sorella affezionata, una
compagna o un compagno innamorato. Il Nulla talmente inna-
morato di Amore che non pu opporsi a nessuno dei suoi deside-
ri e il Bambino ricambia tutto questo ardore con la purezza dei
suoi sentimenti, con la gioia, con lallegria. Amore e il Nulla sono
felici perch sanno che potranno giocare e divertirsi insieme per
tutta leternit. Senza mai stancarsi luno dellaltro. Senza mai fer-
marsi; la staticit un concetto che non contemplato nel Giar-
dino dellEternit. Qui, in questo luogo magico e incantato, Tut-
to si muove pur rimanendo immutabile ed eterno. Imperituro.
Ogni cosa, da quella pi piccola a quella pi grande, pervasa e
intrisa dalla luce di Amore. E se prima il movimento esisteva so-
lamente in potenza nel pensiero del Nulla, adesso, grazie ad
Amore, diventato atto, azione, prassi. Soltanto Amore pu deci-
dere di riportare nel Nulla, ci che lui stesso ha portato alla Luce.
Tuttavia, come potete ben intuire, vivere e giocare in un giar-
dino dove Tutto si muove e agisce secondo la tua volont non
proprio un grande spasso, la Noia incombe e la Mancanza di una

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vera compagnia comincia a farsi sentire nel cuore di Amore. Il


Bambino ama il Nulla, ma non lo vede, non lo tocca, pu soltan-
to sentirlo nella sua coscienza e immaginarlo con la mente. Al di
l di ogni possibile astrazione, Amore solo. Il fanciullo divino
chiede perci al Nulla, la prima grande follia delleternit: la
creazione di un bambino che abbia una volont indipendente
dalla sua. Perch Amore sente il bisogno di avere un compagno
di giochi, che possa confrontarsi con lui alla pari. Senza control-
lo. Liberamente.
Il Nulla tentenna. Questa volta la richiesta di Amore davve-
ro un bel grattacapo; tutta la volont del Nulla stata concentra-
ta su Amore al momento della sua nascita e il Nulla non sa nem-
meno cosa sia unanima; il Nulla unentit che non ha sostanza
e non ha spirito, avendo riversato su Amore lintera facolt di
creare qualcosa che abbia un corpo e unanima. Inoltre la pre-
senza di creature autonome che non conoscono il Nulla e non sa-
pranno mai quindi cosa sia la Noia e la Mancanza, potrebbe es-
sere uninsidia per la pace e larmonia del Giardino dellEternit.
Il Nulla cerca di dissuadere Amore dal suo proposito, ma Amore
caparbio e insiste. Quando il Bambino si mette in testa una co-
sa, quasi impossibile farlo desistere. Amore ragiona. Il Nulla ri-
flette con Lui. Il problema questa volta molto complicato, ma
Amore ha imparato ad avere fiducia in se stesso ed affascinato
dalla ricerca di una soluzione. La risposta al dilemma nascosta
nellinfinit dellanima di Amore.
Amore decide infatti di donare una parte infinita della sua
anima alla nuova creatura e dal Nulla far uscire invece il corpo.
Ma non tutto. Per mantenere alto il desiderio e il bisogno di
amore, questo nuovo bambino verr diviso in due parti opposte
e complementari, un bambino e una bambina, in modo che
ognuno dei due sentir sempre la Mancanza dellaltro e la pro-
pensione al Bene non venga mai sviata dalla Noia. Amore, es-
sendo insieme al Nulla, Tutto, ha in s sia caratteristiche ma-
schili che femminili e non avendo preferenze di sorta, deve per
forza ricorrere a questo stratagemma, per tenere alta la passione
reciproca delle nuove creature. Le anime gemelle sono la solu-
zione a tutti i problemi di Amore e del Nulla. Adesso ogni cosa

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davvero pronta per larrivo dei nuovi compagni. Scavando in


profondit nella sua anima, Amore sceglie di donare alle due
creature quella parte di indole e temperamento che meno rischia
di sconquassare lequilibrio del Giardino dellEternit. Nascono
cos i primi due splendidi Figli Prediletti di Dio: Il bambino
buono e giudizioso e la bambina timida e paziente. E Amore e
Nulla si rallegrano.
Lesperimento riuscito perfettamente e i tre bambini si inten-
dono subito a meraviglia: il bambino buono impazzisce per
Amore e ama la sua bambina prediletta fino allo sfinimento e co-
s pure questultima. N il Nulla n Amore si sentono minacciati
da queste nuove presenze nel Giardino dellEternit, anzi, si di-
vertono come matti appresso alle loro nuove scoperte e trovate.
In tre si possono fare giochi e gare prima impensabili e il Nulla,
pur non avendo occhi, osserva e segue estasiato tutte le corse e le
marachelle di quei tre meravigliosi fanciulli; come se fosse vivo e
presente in mezzo a loro. In fondo, grazie ad Amore, il Nulla
diventato il prato su cui corrono i bambini, lalbero su cui si ar-
rampicano, il cielo dove volano. Ma il Nulla felice per Amore,
anche per un altro motivo: perch adesso pure il Bambino sa e
capisce cosa significa essere Padre, Madre, Fratello, Sorella, Ami-
co, Amica. Chiudere tutto quello scambio di sentimenti e pulsio-
ni nel solo legame di paternit sarebbe troppo riduttivo per
esprimere il rapporto inscindibile di appartenenza che unisce
Amore ai suoi Figli: il bambino buono e la bambina timida di-
scendono da Amore e nessuno pu fare a meno luno dellaltro.
Amore Tutto per i due bambini e loro sono una Parte di Lui. In
pratica, lo stesso sodalizio che sancisce in eterno lunione fra il
Nulla ed Amore, viene adesso ricreato da questultimo con i suoi
Figli Prediletti. Con ununica eccezione. Amore vede i suoi bam-
bini e loro vedono Lui.
Ma come si sa, lappetito viene mangiando. Amore ha riversa-
to nei due bambini soltanto una parte della sua infinita anima e
volont. E sente il bisogno, quasi unurgenza, di fare di pi. E co-
s, con lapprovazione del Nulla, Amore si mette in testa di por-
tare a compimento lopera di frammentazione del suo Spirito.
Lobiettivo del Bambino abbastanza semplice: creare una mol-

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teplicit di bambini, che malgrado la perdita dellunit riescano


sempre a raggiungere e mantenere la completa armonia allinter-
no del Giardino dellEternit. Aspirare allUnit partendo dal
basso: dalla molteplicit, dalla diversit, dalla pluralit. La sfida
di quelle che fanno tremare i polsi. Ma Amore non ha scelte, per-
ch gi sa e prevede che finch non avr terminato di sviscerare a
fondo la sua anima, Qualcosa rimarr ancora da fare. Nonostan-
te la celeste beatitudine in cui vive, il fanciullo divino sentir un
vago sentimento di insoddisfazione e inappagamento nel suo spi-
rito, che aspira incessantemente alla completezza. Per realizzare
il suo sogno e raggiungere il suo scopo, esiste per ununica stra-
da: Amore deve conoscere sempre di pi e meglio se stesso.

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CAPITOLO 13

Ventuno

Dio si esalta nella ricerca delle caratteristiche della sua stessa


Anima.
Attraverso la creazione dei suoi Figli Prediletti, Amore ha la
possibilit di conoscere sempre meglio la sua intima natura e nei
bambini che verranno, vede gi un riflesso del suo stesso tempe-
ramento. E cos arrivano quasi in cascata nel Giardino dellEter-
nit altre cinque coppie di bambini, che raggruppano nella loro
unit inscindibile nuove inclinazioni dellanima di Dio: il bambi-
no introverso, la bambina esigente, il bambino vivace, la bambina
smorfiosa, il bambino curioso, la bambina impertinente e cos via.
Ovviamente per questi sono gli aspetti pi evidenti del carat-
tere dei bambini prediletti, perch la loro anima molto pi
complessa e variegata e racchiude in s una parte di tutte le altre
caratteristiche mancanti. Eppure ognuno di loro ha una qualit,
una virt o anche una semplice inclinazione predominante che
spicca rispetto a tutte le altre. Non sono difetti, i bambini non
hanno mai difetti, ma sono modi diversi di affrontare le situazio-
ni, che spesso condizionano latteggiamento e lumore. In altre
parole, i bambini prediletti sono tutti buoni, curiosi, vivaci, alle-
gri, esuberanti, giudiziosi, ma ognuno si distingue dal resto del
gruppo per un tipo di comportamento piuttosto che un altro. E
ogni coppia racchiude nella sua unit, la totalit delle sfumature
di quella precipua caratteristica di cui sono espressione. Ogni
mela viene divisa in due met uguali; ma le mele non sono tutte
uguali, perch possono essere rosse, verdi, gialle. La gioia co-
munque assicurata. Adesso che il Giardino dellEternit viene
costantemente animato dalla festosa adunanza di 13 bambini,
Amore si mischia e salta insieme a loro come se fosse il saggio ca-
pobanda. Limprudente guardiano. Il discolo fuggiasco. Come

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potete immaginare, i giochi non mancano. E quelli che mancano


vengono creati in un batter docchio dalla fantasia di Amore e dei
suoi Figli.
Con il passare del tempo per, nella mente di Dio sorge un al-
tro piccolo grattacapo. Amore si accorge che durante quelle alle-
gre scorribande si crea troppo contrasto e divario tra la parte
femminile del gruppo e quella maschile. Le une tendono ad iso-
larsi e coalizzarsi contro gli altri e viceversa. Naturalmente non si
tratta di nulla di preoccupante, perch i bambini non sanno nem-
meno cosa sia il male e la cattiveria, ma spesso Amore si trova in
difficolt: essendo Lui stesso maschio e femmina contempora-
neamente, non sa da quale parte schierarsi ed costretto a ma-
lincuore a fare da ago della bilancia nelle piccole contese. Amore
capisce che giunto il momento di passare di nuovo allazione
per riportare la pace e larmonia nel giardino. E per limare que-
sta eccessiva differenza di comportamento, Amore decide allora
di inserire nella gioiosa brigata alcune coppie di bambini predi-
letti che facciano da collegamento fra luna e laltra parte della
compagnia. Dio crea in rapida sequenza 3 coppie di bambini er-
mafroditi, 6 bambini in tutto e lequilibrio presto raggiunto.
Questi nuovi fanciulli hanno laspetto esteriore maschile ma
nella loro anima ci sono forti elementi femminili e per spontanea
analogia, rappresentano le creature che pi di tutte le altre si av-
vicinano alla nostra idea ancestrale di angelo; ma non solo. Que-
sti bambini ermafroditi sono quelli che per costituzione ed indo-
le somigliano di pi a Dio stesso; perch, come ho gi pi volte
detto, pur avendo aspetto maschile, Amore praticamente indi-
stinguibile da una bambina e manifesta spesso i medesimi atteg-
giamenti e le stesse smorfie di una graziosa fanciulla. Il sentimen-
to di appartenenza che unisce le coppie di bambini ermafroditi
qualcosa di unico nel suo genere e senza nulla togliere alla pas-
sione infinita che lega le altre coppie, il loro connubio molto
pi delicato, pacato, sobrio. Anche nellaspetto, le differenze so-
no ridotte al minimo e gli scontri e le diversit di vedute vengo-
no appianate in modo meno brusco e vivace. Quasi come se il
contrasto in realt non esistesse neppure. Grazie allintervento
dei fanciulli ermafroditi, le dispute e le controversie fra i bambi-

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ni e le bambine vengono risolte in maniera pacifica e senza alcu-


na asprezza di sorta. E Amore pu tirare un sospiro di sollievo.
A partire da questo momento lopera di creazione di Dio si po-
teva davvero considerare conclusa: 9 coppie di bambini, 18 bam-
bini in tutto, 6 maschi, 6 ermafroditi, 6 femmine. Lequilibrio era
perfetto. E Amore che era al di fuori di qualsiasi gruppo, poteva
godersi in pace la piacevole compagnia del suo pi grande capo-
lavoro: i Figli Prediletti sono creature fantastiche e straordinarie.
Nonostante abbiano volont autonome, i bambini non deviano
mai dalla loro purezza iniziale, perch lamore sempre lunica
meta a cui tutti tendono. I bambini ermafroditi poi rappresenta-
no la ciliegina mancante di una torta che era gi quasi perfetta e
sono riusciti a tirare fuori dallanima di Dio lultima caratteristi-
ca che ancora non era stata espressa: la sintesi stessa fra due op-
posti contrari che aspirano alla completa unione. Adesso, sia
dentro che fuori, non esistono pi fratture o salti allinterno del
Giardino dellEternit e tutto si svolge come un processo conti-
nuo e unitario. Le contraddizioni e le diversit non sono pi cau-
sa di conflitti inconciliabili, ma veri e propri stimoli e punti di
partenza per raggiungere un nuovo stato di equilibrio.
Lessere unitario che Dio si suddiviso in tre categorie di en-
tit distinte, che tutte insieme tendono spontaneamente ad amare
e a ricongiungersi con il loro Creatore. Soltanto amando, pren-
dendosi cura luno dellaltro, la molteplicit diventa indistinguibi-
le dallunit. La famosa ma temuta successione dei numeri 666
pi che rimandare a inesistenti creature demoniache, non altro
che la rappresentazione simbolica e sintetica di questo raggiunto
stato di concordia e armonia. Il diavolo o Satana o Lucifero sta-
ta uninvenzione di alcuni uomini per giustificare la loro malvagi-
t e per delegare ad altro, allesterno, la responsabilit dei loro
stessi errori; ma in realt il Male come entit soprannaturale auto-
noma non esiste nel Creato e nel contesto fisico dellUniverso
presente solo su questo piccolo pianeta chiamato Terra, come
proiezione assoluta di singoli fallimenti individuali. Tanti pi uo-
mini sbagliano durante la loro vita, tanto pi diventa urgente e
impellente il bisogno collettivo di scaricare le colpe su qualcosa di
immenso e ingovernabile, che vive al di fuori della singola co-

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scienza. Il meccanismo psicologico di difesa e di estraniazione,


con cui viene resa quasi necessaria per gli uomini lesistenza di sa-
tana o del Male abbastanza semplice. Ma di questo argomento
parler diffusamente pi tardi, per il momento basta ricordare
che il Male non pu e non potr mai esistere nel Giardino del-
lEternit; perch impossibile che la virt, la purezza e linnocen-
za dei bambini degeneri in turpitudine, peccato e vizio. La crea-
zione un atto di Amore e tutto ci che stato creato dal Nulla,
compresi i bambini prediletti, non passibile di corruzione.
Da questo momento in poi inizia un lungo periodo di pace e
felicit nel Giardino dellEternit. I giochi si svolgono in modo
allegro e brioso, le gare si disputano sempre nel rispetto di tutte
le regole e le eventuali controversie vengono risolte senza troppi
affanni. Dio guarda i suoi Figli con infinita soddisfazione ed
convinto di avere espresso ogni aspetto recondito della sua ani-
ma; tuttavia mentre loro si conoscono a vicenda, Amore cono-
scendo loro comincia a capire sempre qualcosa in pi di se stes-
so. E cos, con il passare del tempo, Amore si rende conto che
qualcosa ancora mancava in quel giocattolo perfetto; come se pa-
ventasse quasi in quella raggiunta serenit un chiaro preludio
della Noia. Paradossalmente, il problema che il Fanciullo avver-
tiva adesso non era pi la mancanza di Armonia, ma lArmonia
stessa. Amore riflette, si concentra, comunica con il Nulla le sue
preoccupazioni e malgrado si sforzasse di capire cosa mancava,
non riusciva a venire a capo di questo ennesimo rompicapo.
Amore era felice e gioiva della compagnia dei suoi Figli Predilet-
ti, ma una soffusa inquietudine aleggiava allinterno della sua ani-
ma; finch Dio, con laiuto del Nulla, non giunge alla conclusio-
ne pi inaspettata e imprevedibile. Per mantenere inalterato in
eterno lequilibrio, allontanando per sempre lo spettro della
Noia, bisognava rompere lequilibrio stesso e creare il Disordine.
Amore capisce che ci che mancava effettivamente in quel
gruppo molto coeso e compatto di caratteri eterogenei era les-
senza stessa della Mancanza; limpulso a non sentirsi mai appa-
gati; la voglia di creare sempre qualcosa di nuovo; la tendenza ad
andare oltre ci che stato definitivamente stabilito; limpeto a
trasgredire tutte le regole condivise. Con qualche riserva ma con

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tanto entusiasmo, Dio guard meglio dentro se stesso e si prepa-


r allultimo atto di creazione di una volont indipendente, per
completare il gruppo dei suoi Figli Prediletti: nel Giardino del-
lEternit giunsero dal Nulla con gran trambusto, il bambino ri-
belle e prepotente e la bambina bisbetica e cocciuta. E fu subito
il Caos.
Il bambino ribelle e la bambina bisbetica con la loro viscerale
gioia e smania di primeggiare misero subito in subbuglio larmo-
nia della comitiva; stuzzicando i bambini pi tranquilli, improv-
visando scherzi con quelli pi permalosi, facendo baldoria lad-
dove cera il silenzio, creando confusione nei momenti di calma.
Questi due bambini sono instancabili nellinvenzione di nuovi
giochi, hanno una curiosit insaziabile e vogliono sapere in fretta
tutto ci che gli altri non avevano mai sentito lesigenza di cono-
scere. I Figli Prediletti sono spiazzati, disorientati e chiedono a
Dio il motivo dellarrivo di queste due pesti irrecuperabili. Amo-
re sorride e risponde di avere pazienza perch con il tempo capi-
ranno che la loro presenza indispensabile. E fu proprio cos.
Dopo il disagio iniziale, i bambini si affezionano ai due nuovi ar-
rivati come a dei veri e propri fratelli maggiori e capiscono che
dietro quellatteggiamento spocchioso e mattacchione, anche
quelle due piccole canaglie sono buone e hanno bisogno di tante
attenzioni. Tutti si preoccupano per le spericolate acrobazie dei
due nuovi bambini e nessuno riesce pi a fare a meno di loro.
Quando le due discole birbe si perdono per i boschi, per i laghi
e per le montagne, c sempre qualcuno che si mette sulle loro
tracce per riportarli nel gruppo.
Ma soprattutto il bambino ribelle ha una caratteristica e un
temperamento che lo rende unico nel contesto degli altri bambi-
ni. Pur amando Dio di un sentimento puro e incondizionato, il
bambino prepotente non prova nessun timore reverenziale nei
suoi confronti e lo sfida apertamente in tutti i giochi e in tutte le
gare. Amore era al settimo cielo, perch aveva finalmente trovato
pane per i suoi denti; il Fanciullo divino rideva, gioiva, si diverti-
va di fronte alla caparbiet e allostinazione del bambino ribelle,
perch aveva compreso nel suo intimo che con la presenza di
quella peste ingestibile e scatenata nel Giardino dellEternit sa-

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rebbe scomparso per sempre il fantasma della Noia. Lequilibrio


perfetto non si crea dallOrdine statico fine a se stesso, ma scatu-
risce volta per volta dalla sintesi dinamica di Ordine e Caos, che
nel loro perenne scontro dialettico rappresentano la principale
certezza di continuit eterna dellArmonia.
Dallimmobilismo non si crea nulla e se il Nulla stesso non
avesse sentito ad un certo punto lurgenza stizzosa e imprudente
di avere compagnia, Amore non sarebbe nato e se Dio non si fos-
se a sua volta ribellato alla solitudine non sarebbero discesi da lui
i 20 Figli Prediletti e cos via. Il bambino ribelle e prepotente
metteva dovunque scompiglio, ma in quella baraonda di canti,
urla, corse impazzite cerano gi i presupposti per raggiungere un
nuovo stato di equilibrio. La bambina bisbetica e cocciuta non
era poi da meno e pur sapendo di essere la pi bella faceva sor-
gere nel gruppo delle altre bambine la necessit della competi-
zione e la voglia di migliorarsi per essere sempre pi belle e ac-
cattivanti. Il suo caratteraccio irrequieto non era di certo pari al-
la sua bellezza, ma a lei si perdonava tutto e il bambino ribelle gi
sapeva che per tutta leternit avrebbe avuto una compagna bi-
sbetica da domare. Dipendeva da lei, come un sole che si addor-
menta ammirando la luna e pur sapendo quanto fosse volubile e
capricciosa, il bambino ribelle viveva della sua luce riflessa. Se lei
non fosse stata la pi bella, Amore sarebbe stato continuamente
torturato dalle lamentele e dai rimbrotti del bambino prepoten-
te. E cos Amore aveva dovuto mettere davvero alla prova tutte le
sue capacit creative, per forgiare le sinuose fattezze di Venere. E
visto il risultato non si poteva dire che avesse fallito: Venere, che
era lultima delle bambine predilette, lapoteosi del sublime
femminino; cos come Apollo, che era il primo dei bambini, rap-
presenta il culmine della perfezione maschile. Il bambino ribelle,
Dioniso, Bacco, Pan, lultima divinit maschile uscita dal Nulla,
sapeva di non essere il pi bello, ma come Narciso, si specchiava
con orgoglio nel riflesso della sua vanit. In fondo, lui che era il
pi furbo e il pi sveglio aveva la capacit di stregare e tenere sot-
to scacco il cuore della pi bella del reame.
Anche il legame fortissimo che unisce il bambino ribelle e la
bambina cocciuta qualcosa di estremamente singolare, perch

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queste due splendide creature capiscono di appartenersi a vicen-


da soltanto quando si allontanano. la Mancanza luno dellaltra
il sentimento indispensabile per scatenare la loro passione e spes-
so dopo aver naufragato per qualche tempo nella magia dolce e
delicata del loro stranissimo idillio, questi bimbi riottosi sono in-
dotti quasi senza volerlo a lasciarsi di nuovo per provare ancora
pi intensamente quelle sensazioni burrascose di mancanza e ap-
partenenza. Gli altri Figli Prediletti inizialmente si stupivano di
fronte alle bizze dei due bambini, ma alla fine cominciarono a ca-
pire e ad accettare la sacralit primordiale di tale comportamen-
to. Questa maniera diversa e oltremodo inusuale di intendere il
rapporto di coppia era lultima sfumatura mancante per comple-
tare tutte le tonalit del sentimento pi complesso e sublime che
unisce ogni cosa che ha corpo e anima nel Creato: lAmore. Il
cerchio si era finalmente chiuso e con la creazione dellultima
coppia di bambini, Dio, oltre ad assicurarsi la continuit eterna
della sua gioia, era riuscito a tornare allorigine della sua stessa
smania di amare; che e sar sempre la Mancanza. Ovvero la ne-
cessit di colmare un vuoto e reprimere un bisogno che genera
afflizione dentro la propria anima. La Mancanza la prova pi
tangibile per verificare la fondatezza di un vero amore.
I giochi e le gare adesso erano molto pi avvincenti di prima,
perch il bambino ribelle incapace di accettare la sconfitta e
muove alleanze, forma le squadre, punzecchia gli avversari, spro-
na i compagni per raggiungere il suo unico vero obiettivo: batte-
re Dio in una qualsiasi competizione. Per sua stessa indole, il
bambino ribelle non vuole mai perdere e a volte cambia lui stes-
so le regole del gioco per avere la meglio su quel Bambino im-
battibile, che ama fino alla follia ma a volte non sopporta perch
sopraffatto dalla sua grandezza. Quando un sentimento cos
forte da trascendere i confini della normalit spesso pu sfociare
in atteggiamenti poco garbati e scorbutici ma questo non signifi-
ca che viene meno il rispetto e lamore reciproco. Dio conosce a
menadito tutti i limiti del carattere del bambino ribelle, essendo
questultimo una parte di s e non appena Amore vince una par-
tita o una gara si burla divertito delle disfatte del figlio caparbio
e ostinato per mettere alla prova la sua pazienza e il suo orgoglio.

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Questo gioco delle parti dura ormai da diverse eternit e conti-


nuer a perdifiato per il resto del tempo, perch grazie al Figlio
Ribelle nel Giardino dellEternit non esister mai la rassegna-
zione e lappagamento.
Tuttavia questi giochi non sono soltanto sfide di prestanza fisi-
ca o coraggio ma anche vere e proprie gare di abilit e intelligen-
za ed essendo il bambino ribelle anche un po pi vispo e curio-
so degli altri, chiaro che attraverso questo sviluppo continuo
dellingegno capisca sempre meglio come funziona la mente di
Dio. In particolare il bambino ribelle intuisce che Amore riesce a
creare e a distruggere ogni cosa visibile nel giardino perch ha un
rapporto privilegiato con unentit che nessuno pu vedere o
percepire: il Nulla. Prima di allora i bambini prediletti non sape-
vano nemmeno cosa fosse il Nulla, perch nel Giardino del-
lEternit c Tutto e il Nulla non esiste in alcuna parte di quel
luogo meraviglioso. E cos, grazie allintuito e alla sagacia del
bambino prepotente, gli altri Figli Prediletti cominciano a svi-
luppare oltre allingegno unaltra facolt, che consente a chiun-
que di conoscere o prevedere anche ci che ancora non si vede:
limmaginazione. E la fantasia diventa ben presto un nuovo cam-
po di gioco su cui sfidarsi.
Finch i bambini prediletti, tutti insieme, rinfacciando ad
Amore di partire avvantaggiato in ogni gara in virt di questo le-
game primigenio con il Nulla, propongono al Bambino la pi
esaltante delle sfide: Tu che sei Dio e nostro Padre riesci a go-
vernare un mondo dove niente pu nascere dal Nulla e nessuna
cosa finisce nel Nulla?.
La domanda interessante e Dio si impegna ad analizzare a
fondo la questione in tutte le sue sfaccettature, in cerca di una so-
luzione; questo mondo deve avere leggi ben precise, per evitare
la deriva del Disordine caotico e i cambiamenti devono avvenire
gradualmente senza ricorrere al trucco della creazione e della di-
struzione nel Nulla. Amore non aveva mai riflettuto su una simi-
le circostanza e si trova un po spiazzato di fronte a questo enne-
simo dilemma. Anche il Nulla stesso questa volta scettico sulla
buona riuscita dellesperimento, perch non sa fino a che punto
potr reggere la volont e la pazienza di Dio nel condurre un

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mondo del genere. Sospinto dalla voglia di non arrendersi mai di


fronte a Nulla, Amore ovviamente si incaponisce ancora di pi e
dopo avere risolto gli ultimi calcoli e conteggi, chiede a se stesso
un ulteriore sforzo dingegno. La risposta esiste. E con immensa
soddisfazione, Amore comunica ai Figli Prediletti il risultato del-
le sue infinite analisi: S, Io posso governare un mondo dove
niente si crea dal Nulla e niente si distrugge nel Nulla; ma per ve-
dere questo nuovo Universo voi dovete usare limmaginazione,
perch Tutto ci che accadr in quel luogo non sar reale ma esi-
ster soltanto nella mia fantasia.
In effetti, questa nuova invenzione pu funzionare solamente
allinterno della Mente di Dio, in quella parte infinita dellanima
in cui risiede lo spazio invisibile occupato dal Nulla. Oltre i con-
fini stessi di ci che appare nel Giardino dellEternit, dato che
in questo luogo, per volont di Amore, esiste gi Tutto. Poco do-
po Amore invita i Figli Prediletti a disporsi in cerchio attorno a
Lui, a chiudere gli occhi e a concentrarsi tutti insieme su un uni-
co punto. Per la prima volta, i bambini videro, o meglio immagi-
narono, il Nulla. Lentit da cui Tutto nasce e verso cui Tutti in-
consapevolmente tendono. Soltanto Amore pu impedire il pre-
maturo ritorno al Nulla di ogni cosa. I bambini erano strabiliati,
estasiati. Fu questo linizio del pi grande prodigio mai avvenuto
nel Giardino dellEternit. Dio e tutti i bambini prediletti comin-
ciarono contemporaneamente a vedere un piccolo punto di luce
emergere dal buio della loro coscienza. La creazione, lidea era
sul punto di essere partorita. Quel punto diventava sempre pi
grande, la luce era di unintensit portentosa, finch esplose in
un caleidoscopico scintillio di mille bagliori di diverso colore. In
un luogo sperduto del Nulla, lontano anni luce dal Giardino del-
lEternit, era avvenuto quello che oggi gli uomini chiamano il
Big Bang.

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CAPITOLO 14

Universo

I bambini prediletti rimangono sbalorditi di fronte a questo


nuovo Universo, che non possono vedere, ma solo immaginare.
Si appassionano a seguire dappertutto questa cascata di luci che
vagano rapidissime per lo spazio e sembrano inarrestabili. Ogni
volta che hanno loccasione, i bambini chiudono gli occhi e vola-
no con la fantasia in quella parte del Nulla dove c il Nuovo
Mondo. Per loro esiste una sola realt che il Giardino dellE-
ternit e quellUniverso tanto strano, in cui tutto cambia e niente
immutabile, solo un sogno; unillusione; un trucco creato ad
arte da Dio per vincere la sua sfida. Quando dormono, i bambi-
ni prediletti sognano spesso lUniverso e grazie a questo Nuovo
Mondo, il loro legame con Amore diventato ancora pi saldo,
forte, inscindibile. Adesso i Figli si sentono davvero ununica so-
stanza con lAnima del Padre, perch oltre a conoscere attimo
dopo attimo il Suo Cuore possono anche entrare direttamente
nella Sua Mente. Essendo lUniverso lopera pi sofisticata della
Mente di Dio.
Quelle particelle di luce ed energia sono fantastiche. Potenti e
veloci come schegge, cambiano di volta in volta forma e dimen-
sione e si espandono continuamente in ogni direzione, come la
pioggia di scintille che segue lesplosione di un fuoco dartificio.
Il loro movimento sembra apparentemente caotico, ma in verit
viene costantemente guidato dalla Mente di Dio. Grazie alle sue
mirabolanti capacit, Amore non sembra avere difficolt a gesti-
re e governare questo Nuovo Universo e mentre gioca allegra-
mente con i suoi Figli Prediletti, una parte del suo Intelletto
sempre concentrata a pilotare i cambiamenti e le trasformazioni
di uninfinit di particelle. Nessuna di loro pu sfuggire al suo
controllo e anche se non immagina ancora come finir il gioco,

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Amore comincia a prevedere e progettare in anticipo quali saran-


no le sue prossime mosse. Se prima la sua memoria conosceva
soltanto il presente e il passato, adesso la mente di Dio si impe-
gna a fare i conti con una porzione di tempo che fino a quel mo-
mento non aveva senso di esistere: il Futuro. Se il passato il
tempo della memoria e della nostalgia, il presente quello dellin-
gegno e dellimprovvisazione, il futuro senza mezzi termini il
periodo dellImmaginazione e della Fantasia. E con questa nuova
categoria dellesistenza cominciano per la prima volta a confron-
tarsi tutti i bambini del Giardino dellEternit. Facendo previsio-
ni, suggerendo alternative, immaginando le future evoluzioni di
quel regno fantastico.
Dio comunque ha mantenuto le sue promesse e si attiene alla
limitazione di non poter distruggere o creare niente dal Nulla;
ogni cosa deve per forza trasformarsi e da questa ultima legge de-
rivano tutti i principi fisici che regolano il movimento, la dinami-
ca e lequilibrio: il principio di conservazione dellenergia, la leg-
ge di conservazione della quantit di moto, i tre principi fonda-
mentali della termodinamica e cos via. Le grandezze fondamen-
tali di questo universo sono comunque sempre e solo tre: LEntropia
che misura la stato di disordine delle particelle e induce alle-
spansione e al cambiamento, lEnergia che tende invece a ripristi-
nare lordine e lequilibrio in ogni situazione e la Velocit che in
pratica il rapporto di crescita fra le precedenti due grandezze e
misura lArmonia di un certo fenomeno. A regime lespansione
delluniverso procede a velocit costante e il contenuto di Entro-
pia e Energia presente nellinsieme delle particelle cresce propor-
zionalmente; con uguale andamento. In virt di questo continuo
movimento di allargamento luniverso stesso non pu considerar-
si un insieme chiuso, ma semiaperto perch se non pu scambia-
re materia con lesterno, pu e anzi deve ricevere energia da par-
te di Dio. Questa forma di energia, che da ora in avanti chiame-
remo energia divina, spirituale, non solo invisibile e non quanti-
ficabile, ma anche impossibile da misurare con lesclusivo
supporto dei sensi. Soltanto lanima, in certe particolari condizio-
ni di apertura e fiducia pu percepire la presenza dellenergia di-
vina, che alla base di tutte le altre forme di energia e rappresen-

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ta la causa prima e scatenante di ogni evento o fenomeno che ac-


cade nello spazio e nel tempo.
Luniverso quindi, nella sua globalit, non infinito ma tende
ad infinito, che un concetto molto diverso. I confini di questo
universo non sono identificabili perch cambiano istante dopo
istante e nella Mente di Dio avviene in pratica la stesso movimen-
to di espansione del Suo Cuore: lIntelligenza di Dio aumenta di
pari passo con lAmore. Si pu subito notare infatti come luni-
verso sia in un certo senso la rappresentazione fisica dellanima di
Dio stesso: lentropia coincide con lamore, la passione, il senti-
mento, il caos, la follia mentre lenergia lintelligenza, la ragione,
la prudenza, lordine, la normalit. La velocit, che ha il compito
di armonizzare questo contrasto di dualit opposte, lindice di
suprema perfezione di ogni scelta o cambiamento. Quando biso-
gna prendere una qualsiasi decisione, uno sbilanciamento eccessi-
vo in favore della follia o della prudenza deleterio in entrambi i
casi; perch la verit sta sempre in mezzo. La perfezione la sin-
tesi di due atteggiamenti solo apparentemente contrastanti.
Facendo ancora un piccolo salto nel Giardino dellEternit,
questa ripartizione fra entropia, energia e velocit segue pedisse-
quamente le differenze caratteriali dei 20 Figli Prediletti di Dio:
7 bambini hanno un comportamento pi pacato e tranquillo, 7
sono pi vivaci ed esuberanti e i 6 bambini ermafroditi hanno il
ruolo di equilibrare ogni eccesso allinterno del gruppo. Essendo
Dio il settimo dei bambini ermafroditi, si pu capire bene come
la chiusura del cerchio e il raggiungimento dellArmonia in ogni
situazione siano assicurate in eterno. In pratica, pur partecipan-
do attivamente alla vita della comunit, Dio non far mai da ago
della bilancia, favorendo con il suo intervento una parte rispetto
ad unaltra. Ma sar Lui stesso la punta massima dellequilibrio.
Ventuno e la sequenza 777 sono lespressione numerica e simbo-
lica di questa raggiunta concordia di intenti.
Cos come il Nulla nel Giardino dellEternit, anche in questo
universo la presenza di Dio non univocamente dimostrabile
dalla ragione, ma pu essere avvertita usando molta fantasia e im-
maginazione. Senza che noi ce ne rendiamo conto, Dio agisce su
ogni particella e si trova dappertutto, ma talmente abile da na-

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scondere ogni traccia del suo intervento. Amore diventa in prati-


ca, indistinguibile dal Nulla. Dio Nulla e nello stesso tempo,
Tutto. Soltanto chi guarda o cerca di capire, oltre le apparenze, la
realt che gira costantemente attorno a lui, pu sentire la poten-
za scatenante dellenergia divina. Ovviamente questa energia non
soggetta alle limitazioni a cui sono sottoposte le altre forme fi-
siche di energia che da lei dipendono e in alcuni casi pu anche
aumentare senza limiti nelluniverso. Ma di questo argomento
parler dopo. Adesso invece introduco altre due grandezze che
non sono assolute ma hanno unimportanza capitale per la vita
delluniverso: il tempo e lo spazio. Il tempo dipende dallentropia
e la sua direzione di continua progressione in avanti segue attimo
dopo attimo il movimento di espansione dellentropia; in altre
parole se un giorno lentropia tendesse a diminuire riducendo il
grado di disordine delle particelle, il tempo sarebbe obbligato a
procedere al contrario e luniverso comincerebbe ad implodere
fino a diventare quel piccolo punto da cui esploso il Big Bang.
Un simile evento mi pare alquanto improbabile perch non solo
significherebbe la fine del gioco preferito di Dio che luniverso,
ma in qualche maniera obbligherebbe Amore ad ammettere a se
stesso e ai suoi Figli Prediletti che la sua intelligenza si sia ridot-
ta. Per quello che ho capito io della mente e della caparbiet di
Dio, escludo categoricamente una simile eventualit, mentre
molto pi probabile che dopo aver messo a posto questo univer-
so, Dio crei un altro universo parallelo, con nuove regole e diffe-
renti metodologie di gioco. Ma perch ci avvenga dovr passare
molto, molto tempo. Quasi uneternit.
Se il tempo dipende dellentropia, cos con perfetta analogia,
lo spazio una grandezza che sta sempre in rapporto con la
quantit di energia delle particelle: quando la velocit di queste
ultime diminuisce, il loro contenuto di energia cinetica decresce
e lo spazio si espande. Lenergia cinetica non scomparsa ma si
trasformata in energia potenziale e calore, che sono le principali
forme di energia presenti nello spazio. Se invece il contenuto di
energia di ogni singola particella tendesse continuamente ad au-
mentare, lo spazio comincerebbe a comprimersi e come abbiamo
visto in precedenza, si ritornerebbe rapidamente alla situazione

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iniziale del Big Bang. Lo spazio quindi leffetto del rallenta-


mento delle singole particelle di energia in certi determinati pun-
ti delluniverso; ma siccome lenergia complessiva delluniverso
tende costantemente ad aumentare con lo stesso andamento del-
lentropia, esistono alcuni luoghi molto particolari, chiamati Bu-
chi Neri, dove il contenuto di energia delle particelle aumenta in
modo vorticoso ed esponenziale. I Buchi Neri sono lespediente
che Dio ha utilizzato per compensare laumento di entropia, che
favorisce lespansione, con lincremento di energia, che indurreb-
be invece ad una veloce contrazione delluniverso in tutta la sua
interezza. I Buchi Neri sono dei veri e propri serbatoi di energia
da dove Dio attinge quando deve provocare dei cambiamenti e
delle trasformazioni altrimenti impossibili. Ancora una volta, le
premesse iniziali della scommessa sono state rispettate: Dio non
crea o distrugge nulla dal nulla, ma trasforma tutto ci che era
presente gi allinizio. Nellistante stesso del Big Bang.
Ritorniamo adesso appunto alla fase iniziale. Dopo il Big Bang,
i fasci di luce che erano schizzati dappertutto nelluniverso co-
minciarono progressivamente a rallentare e a diminuire il loro
contenuto di energia, aggregandosi nelle prime particelle ele-
mentari di materia. In virt di questa inflessione di energia lo
spazio comincia ad espandersi, ma in modo caotico, perch la ve-
locit non costante ma subisce delle accelerazioni potentissime
e laumento dellentropia molto superiore alla diminuzione del-
lenergia. La materia a differenza della luce ha una natura pi
corpuscolare che ondulatoria e laddensamento della materia in
corpi sempre pi pesanti procura alla materia stessa linsorgere
di una nuova propriet che si chiama massa. I rapporti fra le va-
rie masse presenti nello spazio formano un campo di forze e di
energie chiamato gravitazionale. Questo primo passaggio di ener-
gia, dallonda alla massa e dal campo luminoso a quello gravita-
zionale, procura un ulteriore rallentamento della velocit delle
particelle e favorisce la formazione di nuove particelle elementa-
ri, pi grandi delle precedenti. Pur essendo ancora di ridottissi-
me dimensioni, queste particelle elementari sono alla base della
struttura delle sostanze e in particolare diedero corpo agli ele-
menti che compongono latomo: gli elettroni, i protoni, i neutro-

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ni. Queste particelle di materia oltre che per la massa, si distin-


guono anche per unaltra qualit: la carica elettrica. Gli elettroni
hanno carica negativa, i protoni hanno carica positiva e i neutro-
ni sono appunto neutri, non hanno carica. In perfetta analogia
con le caratteristiche maschili, femminili ed ermafrodite di Dio
stesso, i primi elementi, gli elettroni, tendono a muoversi e resta-
re liberi nello spazio, i protoni invece cercano di aggregarsi al-
linterno del nucleo e i terzi fanno da legante fra la prima catego-
ria di particelle e la seconda, favorendo la formazione e la diver-
sit degli atomi.
Le cariche elettriche disseminate nello spazio danno origine ad
un nuovo campo di forze e energie, il campo elettrico, che inte-
ragisce costantemente con la restante parte delluniverso e pro-
voca unaltra forte inflessione della velocit iniziale delle particel-
le luminose. A sua volta lo spostamento rapido di una carica elet-
trica genera una nuova propriet delle particelle elementari che
il magnetismo e anche in questo caso si viene a creare un nuovo
campo di forze e di energie che pur avendo regole proprie co-
munica continuamente con gli altri campi presenti nelluniverso.
Lenergia quindi liberata al momento dello scoppio del Big Bag
non si persa o distrutta, ma solamente trasformata in queste nuo-
ve forme di energia: la Gravitazione, lElettricit, il Magnetismo.
Luniverso nel suo schema generale si configura subito come
una sovrapposizione di diversi campi di forze e di energie che in-
teragendo fra di loro causano il cambiamento e creano stadi di
equilibrio sempre nuovi e diversi. Questi scambi continui di
energia favoriscono laggregazione degli elettroni, dei protoni e
dei neutroni nei primi atomi, che sono lelemento costitutivo di
ogni sostanza e differiscono dal numero di particelle elementari
presenti al loro interno. Ogni legame fra atomi uguali o diversi ri-
duce i gradi di libert dellintero sistema, perch diminuisce le
possibilit di movimento di ogni singola particella e vincola i
cambiamenti che possono avvenire nello spazio. Tuttavia la per-
dita di una parte di libert corrisponde a una maggiore stabilit
del tutto. La struttura dellatomo molto singolare e si ripeter
anche nella formazione dei sistemi planetari: un nucleo al centro
formato da protoni e neutroni e gli elettroni intorno che girano

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seguendo delle traiettorie che non sono mai univocamente deter-


minate, ma hanno una certa facolt apparentemente casuale ed
aleatoria di cambiamento. La libert di movimento degli elettro-
ni la premessa di ogni ulteriore aggregazione fra atomi e se gli
elettroni stessi non avessero questa propriet e imprevedibilit di
fondo non avverrebbe alcuna trasformazione della materia. In
definitiva quindi la materia, come gi dimostrato da Einstein con
la famosa legge E=mc2, non altro che energia allo stato lento e
se la materia stessa potesse aumentare progressivamente la sua
velocit fino a sfiorare quella della luce si trasformerebbe di nuo-
vo in un fascio di energia. Nella natura quindi non ci sono salti
ma tutto procede con continuit da uno stadio allaltro e gi dal-
la descrizione di questi primi fenomeni primordiali si pu intuire
come i ragionamenti di Dio non siano mai casuali ma seguano
tutti un comune filo conduttore: la ricerca dellArmonia. Come
gi avvenuto con la composizione delle anime dei Figli Predilet-
ti, la perfezione assoluta non mai una propriet statica delle co-
se, ma una conseguenza dello scontro e della successiva sintesi
di forze opposte. Entropia ed energia, onda e massa, carica elet-
trica positiva e negativa e cos via.
Facendo adesso un balzo in avanti di miliardi di anni arriviamo
al momento in cui Dio comincia a complicare il suo gioco, pro-
gettando e costruendo luoghi prima impensabili. Nascono i pia-
neti, le stelle, le galassie e in alcuni di questi sistemi planetari si
creano le condizioni ideali per la formazione di un altro tipo di
materia, ancora pi lenta di quella gi esistente nelluniverso: la
materia vivente. I primi organismi unicellulari che si muovono
sulla terra sono talmente carenti di energia che hanno bisogno di
prendere questa energia in difetto dagli atomi dellacqua, del-
laria, della terra e talvolta queste creature sono costrette pure a
cibarsi di altri organismi viventi per assicurarsi la sopravvivenza.
Questa deficienza iniziale di energia da parte della materia viven-
te viene per ripagata con una certa libert di movimento, che ri-
siede appunto in questi primordiali istinti di sopravvivenza, ri-
produzione, adattamento. Gli organismi non seguono soltanto la
volont di Dio per decidere quale direzione e decisione intra-
prendere nello spazio e nel tempo, ma sono sospinti anche dalla

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pulsante tenacia di questi istinti. Talvolta lo scontro fra Dio e


queste creature diventa una vera e propria lotta, ma siccome il
duello impari, alla fine sempre Amore ad avere la meglio. Ad
ogni modo, con larrivo della materia vivente che ha la capacit
di muoversi un po a briglie sciolte per lambiente, il gioco del-
luniverso diventato davvero avvincente; ma come potete im-
maginare, mantenere lequilibrio in queste condizioni, diventa
unimpresa sempre pi complicata. Nessuna variabile poteva es-
sere trascurata. E, dopo avere messo a posto le particelle e gli
atomi, indirizzare queste creature un po riluttanti nelle giuste di-
rezioni rappresentava per Dio lunica incognita per raggiungere
lArmonia.
Tuttavia con il costante impegno e lesperienza, Dio impara a
gestire sempre meglio gli spostamenti della materia vivente e ba-
sandosi sul principio che nulla si pu creare dal nulla ma al mas-
simo si trasforma, utilizza dei precisi criteri di incroci e selezione
naturale per differenziare le varie specie: arrivano in rapida suc-
cessione sulla terra le piante, i girini, i pesci, gli anfibi, i rettili, gli
uccelli, i mammiferi. Il processo di evoluzione in verit molto
lento se calcolato in base alla cognizione del tempo che hanno gli
uomini e a causa di questa ulteriore imprevedibilit intrinseca
concessa alle creature, risulta ancora pi complesso e macchino-
so del precedente. Ma Dio non demorde e incoraggiato dallen-
tusiasmo dei suoi Figli Prediletti che ogni tanto chiudono gli oc-
chi per dare una sbirciatina a questo universo, il Bambino esalta
la sua fantasia forgiando creature ogni volta pi bizzarre, curiose,
divertenti ma anche belle, eleganti, sontuose. La creativit di Dio
non ha limiti e trova in particolare sulla terra la maniera pi dif-
ficile, ma appagante, per scatenarsi in tutta la sua straripante al-
legria. I colori delle farfalle, le forme degli uccelli, i carapaci del-
le tartarughe, le splendide livree di alcune fiori; la terra un vero
tripudio di gioia e di bellezza, che per a causa di quella eccessi-
va carenza di energia di cui abbiamo parlato allinizio e delle stes-
se regole del gioco, ha un prezzo abbastanza alto da pagare.
Le creature viventi come tutte le altre particelle delluniverso
sono interdipendenti luna e dallaltra, e per di pi si devono cac-
ciare e mangiare a vicenda per scambiarsi la quantit di energia

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di cui hanno bisogno: questo scontro fra listinto di sopravviven-


za dellanimale preda e la voglia di sopravvivere del predatore su-
scita sofferenza nel primo e soddisfazione nel secondo, creando
una disparit di trattamento che a volte agli occhi di uno sprov-
veduto osservatore risulta abbastanza ingiusta e inspiegabile.
Inoltre per impedire che la famelica deficienza di energia delle
creature possa danneggiare il sistema nel suo complesso, la mate-
ria vivente viene dotata di un ciclo di vita ben determinato e mol-
to ridotto rispetto al resto delle altre particelle; gli organismi ani-
mati muoiono molto prima di quelli, che a torto, vengono defini-
ti inanimati e che invece possiedono un contenuto di energia di
gran lunga superiore. La vita degli esseri viventi attraversa defi-
niti stadi di evoluzione, partendo dalla nascita, passando per la
crescita e finendo sempre con la morte della creatura stessa. La
morte delle creature lunico strumento per mantenere lequili-
brio e lordine allinterno della variegata catena alimentare del re-
gno vivente e solo alzando lo sguardo per vedere tutto il proget-
to dallalto, si pu capire quanto sia necessario e ineluttabile per
Dio ricorrere alla morte di una Parte per assicurare lintegrit del
Tutto. In caso contrario, lasciando vivere pi a lungo alcuni or-
ganismi anzich altri, il rischio sarebbe che una o pi parti fini-
scano per spezzare la delicata armonia di tutto il sistema.
Intanto per, nella mente di Dio ha gi fatto capolino il primo
bagliore di unaltra idea sconvolgente; nel regno animale si pu
forgiare gradualmente una forma vivente molto simile ai bambini
che vivono nel Giardino dellEternit. La selezione evolutiva per
arrivare ad una tale creatura piuttosto tortuosa; il passaggio dai
primati, alle scimmie antropomorfe fino alluomo una strettoia
caratterizzata da piccoli e grandi fallimenti. Ma alla fine Dio rie-
sce nel suo intento. Sulla terra fa la sua comparsa lanimale pi si-
mile a Dio nellaspetto: lUomo.

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CAPITOLO 15

Anima

I primi uomini hanno una durata di vita molto breve; circa die-
ci, undici anni. Rimangono piccoli, bassi di statura, sono ancora
un po bruttini a vedersi, invecchiano precocemente, ma con il la-
voro di selezione Dio convinto che riuscir a migliorare il loro
aspetto; la specie deve essere per quanto possibile simile a Lui
stesso e ai suoi Figli Prediletti, che osservano estasiati lo spetta-
colo della natura. Tuttavia in quei pochi anni di vita, gli uomini
non riescono ad imparare molto, progrediscono poco, vivono in
uno stato selvaggio, sono troppo vulnerabili e in balia dellag-
gressione dei predatori pi affamati. Lavorando sul perfeziona-
mento delle cellule, Dio decide di sovvertire lo schema iniziale e
consente agli uomini di vivere pi a lungo. Gli esseri umani cre-
scono in altezza e modificano la conformazione del corpo. Le co-
se cominciano a migliorare. Gli uomini si organizzano, si riuni-
scono in gruppi, si riproducono con maggiore successo, costrui-
scono le prime armi rudimentali, scoprono il fuoco; il pollice op-
ponibile delle mani permette una presa sicura degli oggetti e una
continua affinazione delle tecniche artigianali. Si formano le pri-
me comunit primitive e societ tribali.
Come tutti gli altri animali, gli uomini hanno una memoria do-
ve immagazzinano numerose informazioni e unintelligenza che
elabora in tempo reale le indicazioni provenienti da Dio stesso;
non possiedono per una coscienza, unanima e non sono in gra-
do di acquisire una consapevolezza precisa delle conseguenze
delle loro azioni e del mondo in cui vivono. Tutto ci che impa-
rano e fanno frutto della necessit; ogni impulso, ogni pensiero
avviene tramite un rapido spostamento di segnali neuronici al-
linterno del cervello. In assenza di spirito, Dio pu agire soltan-
to sulla parte fisica delle creature e levoluzione procede a rilen-

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to; lobiettivo di edificare sulla terra una civilt per grandi tratti
simile a quella che esiste dallaltra parte del cielo, nel Giardino
dellEternit, diventa sempre pi lontano. Gli uomini sono trop-
po avvinti dai loro istinti e dalle loro ancestrali paure per alzare
lo sguardo fino a Dio; per capire il meraviglioso prodigio della
natura; per amare.
Bisognava fare qualcosa. Ma cosa? Dio si trov di nuovo di
fronte ad uno dei suoi soliti spinosi grattacapi. Finch guardando
i Figli Prediletti e ascoltando le loro incessanti punzecchiature,
Amore giunse ad una conclusione abbastanza prevedibile e gi
sperimentata con successo: bisognava dotare gli uomini di una
volont indipendente. Di unanima. Soltanto cos, il gioco poteva
evolversi in meglio, rendendo le creature umane sempre meno
piegate sulla quotidianit e sempre pi proiettate nel futuro.
Daltra parte da parecchio tempo, i bambini prediletti richie-
devano larrivo di nuova compagnia e con questa nuova trovata
Dio poteva esaudire nello stesso tempo due diverse esigenze: mi-
gliorare il gioco dellUniverso e accontentare le richieste dei suoi
amati figli. Tuttavia i problemi da risolvere erano ancora tanti:
Dio aveva gi sviscerato a fondo la sua anima per creare i Figli
Prediletti e non sapeva pi cosaltro inventarsi per costruire uno
spirito diverso da tutti quelli gi esistenti. Inoltre sulla terra, le
anime degli uomini non avrebbero avuto la possibilit di incon-
trare e vedere chiaramente Dio durante la loro vita e la possibili-
t che deviassero dalla via del Bene diventava molto alta. Rispet-
to alle difficolt affrontate dai Figli Prediletti, gli uomini si sa-
rebbe trovati di fronte ad un doppio tranello: non solo non
avrebbero mai visto la Luce del volto di Dio, ma non sarebbero
mai stati in grado di percepire quanta assenza di Luce ci sia nel
Nulla. In pratica, sarebbero stati sempre in bilico fra la Luce e il
Buio. Fra lAmore e il Nulla. Senza mai capire quale delle due en-
tit sia pi vera, pi potente, pi divina. Soltanto quei pochi, che
superando enormi fatiche, fossero stati capaci di comprendere
che entrambi quegli enti primordiali, rappresentano le due facce
della stessa medaglia, avrebbero potuto incamminarsi verso la
salvezza. Il gioco, insomma, poteva non valere la candela. E an-
cora una volta Amore e Nulla furono costretti a ragionare; per

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sciogliere tutti questi dilemmi serviva un vero e proprio colpo di


genio. E naturalmente, dopo tanto bussare, si apr la porta giusta.
Punto primo. Per risolvere il problema della nuova variet di
anime da creare, Dio ricorse alla combinazione delle anime dei
Figli Prediletti, che diventavano cos degli archetipi e dei model-
li di riferimento; queste nuove creature di terza generazione, gli
Angeli, sarebbero state legate a Dio tramite le anime dei suoi 20
Figli Prediletti, che utilizzando la tradizionale nomenclatura bi-
blica rappresentavano gli Arcangeli. I Figli Prediletti, gli Arcan-
geli, sono la purezza assoluta di un sentimento o di uninclinazio-
ne caratteriale. In pratica nessun nuovo angelo sarebbe mai stato
pi buono e giudizioso del Primo Figlio di Dio e nessuno avreb-
be potuto superare per prepotenza e caparbiet lindole ribelle
dellUltimo Figlio; tutti i nuovi angeli sarebbero invece nati dalla
mescolanza delle 20 caratteristiche comportamentali di partenza:
qualcuna sarebbe stata dominante e qualcunaltra meno, se non
proprio assente. In questo modo Dio avrebbe potuto sbizzarrirsi
allinfinito combinando con la medesima abilit di un demiurgo e
di un alchimista le essenze originarie della sua stessa Anima.
Punto secondo. Per arginare la possibile deriva delle anime
sulla terra, dovuta principalmente allapparente assenza di Dio,
Amore avrebbe parlato agli uomini, indicando attimo dopo atti-
mo la strada migliore da seguire attraverso la coscienza. Lenergia
divina che pervade e avvolge tutto luniverso, sarebbe entrata an-
che nellanima degli uomini per comunicare costantemente con
loro e non lasciarli mai soli. In questo modo chiunque avrebbe
trovato la felicit sulla terra e dopo la morte, la sua anima sareb-
be volata dritta nel Giardino dellEternit a fare compagnia al re-
sto della comitiva divina. Rimaneva per un piccolo dettaglio da
risolvere. Se Dio avesse parlato nella coscienza allAngelo, le di-
scussioni potevano diventare infinite, perch in due non si arriva
mai ad una scelta; bisognava quindi frapporre fra Dio e lAngelo
un terzo elemento intermedio che facesse da moderatore e me-
diatore in ogni dibattito interiore: lanima mortale. Lanima uma-
na nel suo complesso sarebbe stata dunque suddivisa in tre parti
distinte, ognuna con una propria energia in grado di agire sulla
memoria, sullintelligenza e su ogni altro organo e cellula del cor-

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po umano. Lanima immortale, lAngelo, la parte pi istintiva,


infantile e sognatrice. Lanima mortale, lUomo, rappresenta in-
vece la classica tabula rasa che si costruisce e corrobora con lespe-
rienza, concedendo ai comportamenti maggiore prudenza e ra-
gionevolezza. E infine Dio, che sarebbe stata la sublime sintesi di
queste due tendenze opposte.
Tuttavia la voce e lenergia di Dio non sarebbe entrata in tutte
le anime indistintamente, in quanto ci avrebbe impedito di met-
tere alla prova la Volont di ogni singolo individuo. Se la Co-
scienza sarebbe stato il luogo puramente spirituale dove far in-
contrare queste tre forze diverse, il Cuore sarebbe stato il canale
attraverso cui Dio avrebbe potuto fare ingresso nella vita di ogni
uomo. Se la porta chiusa, lenergia divina non entra e lUomo e
lAngelo rimangono da soli, in balia delle loro scelte casuali. Con
la porta aperta invece, Dio si sarebbe insinuato in ogni istante
nella coscienza per suggerire la decisione migliore da intrapren-
dere nelle pi svariate situazioni della vita. La scelta di aprire o
meno il Cuore alla vita, scacciando via tutte le paure, le nevrosi,
le fobie alimentate dallambiente esterno, sarebbe spettata sol-
tanto allanima mortale. AllUomo.
Allinterno della propria coscienza nessun uomo avrebbe mai
potuto capire a quale energia o forza appartenesse questa o quel-
la voce che induceva ad una scelta o suggeriva unazione. Il bello
del gioco sarebbe stato proprio questo. Soltanto chi avesse man-
tenuto costantemente il cuore aperto, vivendo con coraggio i bri-
vidi dei sentimenti e utilizzando con metodo lintelligenza in ogni
circostanza, avrebbe avuto sempre la certezza di fare la scelta giu-
sta. Vincendo prima o dopo la sua partita con lesistenza. Il libe-
ro arbitrio quindi non altro che la volont di amare, sognare e
sperare a dispetto di tutto ci che accade intorno a noi e ci spa-
venta, perch a parte tutte le decisioni estemporanee, lunica
scelta veramente importante da fare aprire il cuore a dismisura
nei confronti della vita. Pi il cuore aperto, maggiori sono le
probabilit di concedere nitidezza e unit alle voci spesso discor-
danti della coscienza. In particolar modo, luomo davvero virtuo-
so colui che ha la capacit di fornire maggior credito alla voce
guida della coscienza rispetto alla ridda di impressioni e dicerie

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che provengono dal mondo. Perch se Dio apparentemente in-


visibile nel mondo, non significa che sia muto. Spesso a nostra in-
saputa, Amore parla, ragiona, riflette in ogni istante con noi per
indurci al Bene e soltanto chi non sar sordo ai suoi richiami, po-
tr sperare un giorno di vedere la Luce del Giardino dellEterni-
t. Anche lanima nel suo complesso non potr mai essere vista
da nessun occhio umano perch fatta di una sostanza che non
esiste in questo universo; diventa persino difficile descrivere a
parole la sua struttura costitutiva perch non sono presenti nei
nostri vocabolari termini adeguati per definire qualcosa che non
di questo mondo. impossibile esprimere linafferrabile. Dob-
biamo perci ricorrere a delle metafore o similitudini per capire
il funzionamento dellanima umana, che senza dubbio il pi
raffinato capolavoro di ingegneria spirituale prodotto da Amore.
Immaginiamo dunque lanima come una sfera limpida e tra-
sparente, che contiene un frammento infinito della sostanza di
cui fatto Dio stesso; allinterno di questa sfera infatti racchiu-
sa la parte immortale dellanima, ovvero lAngelo, il Bambino,
che risulta dalla combinazione delle 20 anime dei Figli Prediletti
di Dio. Allesterno, sulla superficie della sfera, Amore ha adagia-
to una sottile patina di unaltra sostanza spirituale che funge qua-
si da guscio e filtro della precedente sostanza. Questo involucro
lanima mortale, la quale forma quasi un canale di collegamen-
to fra lAngelo e il suo corpo materiale. Sia lanima mortale che
quella immortale agiscono continuamente sugli organi del corpo,
sul cervello, sulla memoria, sullintelligenza per imporre e detta-
re le proprie intenzioni; con lunica differenza che mentre latti-
vit della prima sostanza diretta, quella della seconda filtrata
appunto dalla presenza della prima. Inoltre lanima mortale ha la
facolt di agire anche su quellorgano spirituale, il Cuore, che at-
traverso il suo continuo movimento di espansione e contrazione
ostacola o favorisce lingresso dellenergia di Dio nel nostro cor-
po e nella nostra coscienza. Il Cuore funziona quindi come una
vera e propria valvola, che non ha due sole posizioni, o tutto
chiuso o tutto aperto, ma uninfinit di posizioni intermedie che
dalla prima situazione conducono gradualmente fino alla secon-
da e viceversa. Ovviamente maggiore sar lapertura di questa

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valvola, pi limpida sar la voce di Dio nella coscienza e pi in-


tensa lenergia divina che si spande in tutte le cellule del corpo.
Lanima immortale, lAngelo, incide maggiormente su quello
che viene indicato come temperamento, indole, carattere di un
individuo. La sua sostanza immutabile nel tempo e la sfera di
influenza dellAngelo principalmente la parte istintiva e incon-
scia dei comportamenti. Lanima mortale invece, costituita da
una sostanza in continua trasformazione, la cui struttura si trova
al confine preciso fra luniverso materiale e mutevole e quello
spirituale ed eterno; le evoluzioni dellanima mortale sono dovu-
te soprattutto alle esperienze che un uomo accumula durante la
sua vita e dopo la morte, questa sostanza vaporizza e si dissipa
nelletere. Proprio come nellatomo o nei sistemi planetari, anche
lanima umana costituita da un nucleo centrale fisso, che lAn-
gelo e da una sostanza che come gli elettroni si sposta, si muove
e cambia continuamente forma. Il peso dellanima mortale, nella
sua componente materiale, di ventuno grammi. La prevalenza
dellenergia mortale induce maggiore pacatezza, razionalit, pre-
vedibilit nelle decisioni. Lenergia divina che entra tramite il
cuore, essendo la sintesi di queste due precedenti inclinazioni
opposte, concede armonia ed equilibrio alleccessiva esuberanza
dellAngelo; passionalit e vigore alla fredda assennatezza del-
lUomo; salute e benessere fisico al corpo di ogni uomo della ter-
ra. Lessere umano pu aspirare alla perfezione, sia spirituale che
fisica, soltanto grazie allintervento di Dio. In sua assenza, lindi-
viduo sar sempre incompleto, incompiuto, mancante di qualco-
sa. E proprio questo stato di insoddisfazione e inquietudine sar
il primo e pi importante stimolo per iniziare la nostra personale
ricerca. Un cammino circolare che per quanto tortuoso e com-
plesso alla fine ci riporter sempre al punto di partenza: dentro
noi stessi.
La coscienza il luogo spirituale dove si incontrano e comuni-
cano queste tre diverse energie di un individuo, ognuna delle
quali preleva le parole e la logica dei suoi ragionamenti agendo
sulla memoria e sulle altre componenti neuroniche del cervello
umano. Maggiore sar il contenuto di concetti presenti della me-
moria e lattivit cerebrale di un essere umano, maggiori saranno

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le possibilit di trovare attimo dopo attimo la risposta giusta agli


interrogativi e la strada migliore per raggiungere prima e meglio
tutti i nostri obiettivi. Maggiore sar la volont e il coraggio di
amare e aprire il cuore alla vita, anche nelle situazioni pi diffici-
li, maggiore sar linfluenza di Dio nella nostra condotta e la per-
fezione delle nostre scelte. Per arrivare al culmine della beatitu-
dine terrena ed eterna, Intelligenza ed Amore devono procedere
allunisono. In mancanza di questo accordo, luomo non pu am-
bire a nulla di buono sia in questa che nellaltra vita. Come can-
tava saggiamente il sommo poeta Dante, gli uomini non sono na-
ti per vivere come bestie brutali, ma per seguire virt e cono-
scenza. Bont e intelletto. Solo cos, i pochi privilegiati, potranno
capire che Amore muove il sole e le altre le stelle.

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Lo scopo del gioco prevede per ogni uomo il raggiungimento


di tre obiettivi principali: realizzare tutti i propri sogni, trovare la
propria anima gemella, aiutare gli altri a realizzare i loro sogni.
Ovviamente non c una sequenza precisa da seguire per condur-
re queste ricerche, ma tutte insieme vanno svolte contempora-
neamente, ascoltando volta per volta le indicazioni che arrivano
dalla coscienza. Solo Dio infatti conosce quale sia la mossa pi
giusta da compiere in un determinato momento. Per vagliare le
ipotesi, analizzare le alternative, studiare il tracciato della vita, gli
uomini oltre alla coscienza, possono per contare anche sul sup-
porto dei cinque sensi del corpo, a cui Dio ha aggiunto due sen-
si di tipo spirituale: la sensibilit poetica e lintuito matematico.
Dalla prevalenza di uno o pi di uno di questi sette sensi, il sin-
golo individuo pu e deve capire da solo quale sar il talento su
cui puntare per realizzare i suoi sogni: un musicista per esempio
avr un udito molto sviluppato accompagnato da unelevata sen-
sibilit poetica e matematica; un artigiano insieme a questi due
ultimi sensi che sono fondamentali per qualunque essere umano,
sar pi abile a sfruttare il tatto e la vista; un cuoco il gusto e co-
s via. La somma totale dei contributi dei vari sensi che formano
il talento di una persona uguale per tutti gli uomini e viene im-
pressa gi alla nascita nel DNA delle cellule. Il DNA il luogo
biologico dove vengono tratteggiati a grandi linee tutti i possibili
destini che un uomo pu seguire nella vita. Escludendo tutti i
vincoli sociali, storici, ambientali, nessun individuo parte dunque
avvantaggiato rispetto ad un altro e spetta soltanto a ciascuno di
noi, in ultima istanza, decidere quale sar la nostra sorte; sia dal
punto di vista biologico che spirituale.
Per capire meglio il funzionamento dellanima umana partia-
mo dal principio di ogni vita sulla terra. Al momento della nasci-
ta e nei primi anni seguenti, la sfera che contiene lanima immor-
tale dellAngelo liscia e pulita e infatti non un caso che i bam-
bini, in assenza di gravi traumi causati dalle vessazioni degli adul-
ti, si comportino molto spesso in modo sublime, divino, angelico;
lanima del fanciullo non conosce fratture o contraddizioni, la-
scia libero sfogo al proprio naturale temperamento e riesce a pre-
levare dalla memoria, che ancora quasi vuota, le migliori paro-

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le per esprimere i propri sentimenti, le proprie emozioni, le pro-


prie convinzioni. Osservando bene i comportamenti istintivi e
immediati di un bimbo si pu gi intuire a quale archetipo o mo-
dello divino appartiene lAngelo contenuto nella sua anima: dal-
la pacatezza, alla temperanza fino alla prepotenza, alla ribellione.
Tuttavia con il passare del tempo, il bambino accumula esperien-
ze, incrementa il volume dei ricordi, impara nuove parole, com-
plica la spontaneit delle sue sensazioni; la purezza delle sue inti-
me passioni viene annacquata e ammorbata dalle becere abitudi-
ni, dalle travianti tradizioni e dai cattivi insegnamenti degli adul-
ti. La superficie della sfera, che lanima mortale, si opacizza, si
sporca, diventa sempre pi dura e increspata come il guscio ru-
goso di una noce. Se a questo aggiungiamo la progressiva chiusu-
ra del cuore di fronte alle paure e agli affanni dellesistenza, pos-
siamo gi prevedere quanto tragica sar la caduta dellAngelo dal
cielo del grande sogno fino alla terra della cruda realt.
Lo spirito del fanciullo che dentro di noi viene represso e
soffocato dalla severit delluomo, che si intanto formato intor-
no a noi. Lanima mortale, che rispetto allanima immortale una
sostanza in continua evoluzione, diventa sempre pi tenace, rigi-
da, meno disposta a cambiare e come una diga ostacola il libero
fluire dellenergia divina sia dallesterno, attraverso il cuore, sia
dallinterno, tramite lAngelo. Nella coscienza si sente a stento
soltanto una voce, che appunto leffetto del rimescolio dei ri-
cordi, delle convinzioni, delle esperienze pregresse. In virt di
questo scarso apporto di energia, il corpo avvizzisce, invecchia,
muta continuamente in modo casuale e non controllato; gli uo-
mini si ammalano, diventano flaccidi, sformati, obesi, smilzi,
emaciati. Terrorizzati da questo improvviso declino della bellez-
za iniziale, molte persone si intestardiscono nella sterile cura del
corpo, che per senza la contemporanea crescita spirituale
unattivit inutile e fine a se stessa. La vita diventa piatta, preve-
dibile, senza alcun impulso o passione scatenante; gli individui
cosiddetti normali non credono in genere nella possibilit di
sfruttare i propri talenti, si rassegnano e si accontentano di une-
sistenza banale e tranquilla. In pochi perseverano davvero nella
realizzazione dei propri sogni e chi, dopo mille traversie, riesce a

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raggiungere uno di quei tre obiettivi fissati alla nascita, si chiude


subito dopo in un isolamento bieco e infruttuoso. La precariet,
invece di essere il presupposto essenziale per sentirsi liberi e
uguali agli altri, comincia a creare ansia e la sicurezza economica
diventa lunico vero scopo per il quale vale la pena impegnarsi e
affannarsi. Nessuno esce dal seminato. Passioni deleterie come
linvidia, legoismo, larroganza, la superbia, la vanit, la lussuria,
lindifferenza impediscono a chiunque di guardare pi lontano
dei propri interessi personali. Chi realizza il suo sogno non ci
pensa neppure ad aiutare gli altri a realizzare i loro sogni. Lele-
vazione spirituale e Dio sono sempre pi distanti nei pensieri di
questi uomini e la morte sar linevitabile conclusione di un altro
fallimento del progetto divino.
Quella che doveva essere una favola scritta da Dio sulla terra si
trasforma nel migliore dei casi, in un monotono ed ozioso dormi-
veglia, oppure, nel peggiore, in un vero e proprio incubo. La pri-
ma indispensabile cura contro lannichilimento e limbarbarimen-
to dello spirito la conoscenza, che apre ed espande le prospetti-
ve oltre la nostra individuale contingenza. Mediante la conoscen-
za, gli uomini possono appropriarsi di altre esperienze umane,
allargare gli orizzonti, riflettere su altre visioni della vita, utilizza-
re la fantasia per guardare altri mondi. Una cultura profonda e
sentita, anche se causa molto spesso angoscia e afflizione, gi un
buon viatico per il successo; tuttavia una conoscenza che non si
concretizza in azioni virtuose come un volano che gira allinfini-
to intorno ad un punto, senza mettere in moto nulla. Laltra ne-
cessaria scelta che deve intraprendere un uomo durante la sua vi-
ta quella di tenere sempre aperto il cuore alla speranza e al-
lamore; in questo modo Dio sar sempre dentro di lui e cercher
costantemente di indirizzarlo verso le strade migliori da percorre-
re; stuzzicando i sogni e limmaginazione dellAngelo. Fortifican-
do e consolidando le abilit dellUomo. Solo cos il coraggio vin-
cer sulla debolezza. La generosit compenser i limiti dellegoi-
smo. Lironia e lallegria saranno anche nei momenti pi difficili e
delicati della vita i nostri instancabili compagni di viaggio.
Per utilizzare ancora una metafora potremmo dire che ogni
uomo che vive e si muove sulla terra come una macchina; il cor-

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po la scocca, la carrozzeria, il motore che ha bisogno di tanta


cura e manutenzione, il cuore lacceleratore, la coscienza il pi-
lota. Dio infine lunico vero carburante dellauto. Se il pilota
conosce soltanto la direzione sud, andr sempre a sud senza ave-
re mai la capacit e laudacia di deviare il suo cammino; se oltre
al sud, conosce anche la direzione nord, allora per tutta la vita
andr avanti e indietro sulla stessa strada e il suo destino sar gi
segnato. Se ha imparato anche a girare ad est ed ovest, luomo
avr molte pi possibilit di raggiungere il suo obiettivo; quando
incrementa ancora di pi le sue conoscenze, acquisendo una
chiara cognizione delle direzioni sudest, sudovest, nordest, nord-
ovest e cos via fino allinfinito, le probabilit di realizzare tutti i
suoi sogni, supportando Dio nella realizzazione del suo maestoso
disegno, aumentano a dismisura. Ma per arrivare prima e meglio
al traguardo, non appena capisce di avere imboccato la strada
giusta, luomo deve spingere forte sullacceleratore del cuore.
Perch a differenza delle auto a quattro ruote, lanima un boli-
de che pi accelera, pi consuma e maggiore carburante ingolla
dallesterno, attraverso la pompa infinita del cuore. Il riforni-
mento gratuito, inesauribile e avviene in corsa, senza alcuna ne-
cessit di fare soste o fermate. E per essere sicuri che il carbu-
rante non si esaurisca prima dellarrivo, bisogna sempre fare
lunica cosa giusta: aprire il cuore alla vita. Amare.

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CAPITOLO 16

Angeli e Demoni

Tuttavia per capire meglio come funziona la nuova versione


del gioco che Dio aveva preparato per gli uomini bisogna ritor-
nare allarrivo del primo angelo sulla terra. Per avere unidea cro-
nologica, siamo intorno allanno 12.000 a.C., quindi allincirca
14.000 anni fa. Una data che pressappoco coincide con quella
tramandata dai profeti biblici, che invece di essere linizio del
mondo sancisce il momento di partenza di una nuova umanit.
Le regole del gioco sono abbastanza chiare: gli uomini e le don-
ne oltre a possedere tutti gli istinti della loro parte animale pre-
senti nel corpo, vengono dotati di unanima mortale che com-
posta dal cuore e dalla coscienza e di unanima immortale che
il bambino, lAngelo. Il cuore degli uomini, inteso come mecca-
nismo spirituale di volont, lunica cosa delluniverso che Dio
non pu e non potr mai muovere e su cui non ha e non avr mai
alcun potere. La premessa necessaria per vincere la propria par-
tita con la vita la decisione libera di aprire il cuore, amare, a di-
spetto di tutto e di tutti; ogni cosa, giusta o sbagliata, vera o fal-
sa, una conseguenza di questa prima, indispensabile scelta.
A quel tempo, sul nostro pianeta regnava ancora un equilibrio
perfetto fra tutte le creature e la morfologia dellambiente aveva
raggiunto progressivamente una conformazione sempre pi adat-
ta alla convivenza pacifica delle varie specie: il magma incande-
scente che scorreva appena sotto la crosta terrestre si era lenta-
mente raffreddato, scendendo nelle zone pi interne della super-
ficie; i vulcani avevano placato la loro attivit eruttiva; i mari si
erano ritirati lasciando il posto alle terre emerse; le zolle terrestri
avevano completato la formazione delle placche continentali e i
terremoti e le inondazioni provocati dai continui movimenti tel-
lurici erano drasticamente diminuiti. La vegetazione era rigoglio-

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sa e piena di colori e profumi; gli animali avevano raggiunto uno


stadio dellevoluzione quasi definitivo e tutti insieme creavano un
gruppo omogeneo e compatto di esseri viventi in armonia con il
resto dellambiente; come se fossero le forme molteplici e vario-
pinte di ununica creatura. Il Paradiso terrestre descritto nella
Genesi della Bibbia non era insomma soltanto unallegoria di un
mondo in cui Uomo e Dio vivevano ancora in stretta alleanza, ma
una rappresentazione fedele del luogo in cui si trov a vivere il
primo angelo caduto dal cielo sulla terra: per rispetto alla tradi-
zione, chiameremo questa prima creatura straordinaria, dotata di
un corpo umano e di unanima divina, Adamo.
Adamo era un bambino speciale nato in mezzo ad una trib di
ominidi che avevano ancora le regole e i comportamenti tipici de-
gli animali selvatici. Gli ominidi infatti come gli animali non pos-
sedevano unanima e neppure una coscienza e non avevano alcu-
na consapevolezza di s e del mondo che li circondava; nelle loro
azioni erano guidati direttamente da Dio, quando possibile, e tra-
scinati dagli istinti, nella maggior parte delle altre circostanze. Il
bambino si dimostr subito pi vispo e intelligente di tutti gli al-
tri coetanei e siccome nellinfanzia il cuore sempre aperto alla
vita, Adamo ebbe la possibilit di sviluppare un nuovo linguag-
gio per comunicare con Dio e con se stesso; naturalmente quel
bimbo cos prodigioso crescendo ottenne subito un ruolo di ri-
lievo allinterno della trib e la vanit e la superbia di quella po-
sizione privilegiata lo condussero a fare le prime scelte sbagliate
e a rompere larmonia che vigeva allinterno della sua coscienza:
il cuore del bambino progressivamente si chiuse impedendo alla
voce guida di Dio di indirizzarlo verso le decisioni pi corrette e
lanima mortale delluomo cominci pure a soffocare la voce del-
langelo bambino che incitava continuamente la coscienza di
Adamo a seguire i suoi sogni, ad immaginare un mondo migliore.
Quel ragazzo speciale prefer insomma accontentarsi delle sue
istintive esigenze mortali rinunciando agli slanci di immortalit
che si agitavano nella parte pi profonda della sua anima. E cos
per la prima volta dallinizio dei tempi Dio si trov ad affrontare
le insidie di un nuovo problema: limprevedibilit del futuro. Fi-
no a quel momento infatti lintero universo, bene o male, si muo-

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veva in accordo con la volont di Dio e nulla sfuggiva al suo con-


trollo; nonostante lassillo a volte asfissiante degli istinti, la ten-
sione al Bene delle creature era costante e imperitura. Adesso in-
vece un essere vivente, un Uomo, stava deliberatamente devian-
do da quella traiettoria scegliendo il Male, come strada pi breve
e semplice per raggiungere un nuovo obiettivo, del tutto fuor-
viante: il rispetto degli altri e una posizione di dominio sullinte-
ra comunit. Lalleanza con Dio si era spezzata e la simbologia
del serpente e della mela era un modo come un altro per descri-
vere in quale maniera Adamo trasportato dalla sua ambizione e
ingordigia si era lasciato sedurre dalle molteplici tentazioni della
terra, dimenticando del tutto quale fosse il compito e il senso del-
la sua vita.
Nella mente di Dio si cre il primo grande strappo, un disalli-
neamento di rotta. Cercate di seguirmi bene, perch da adesso in
poi i ragionamenti saranno sempre pi complicati e astrusi. Trac-
ciamo sul nostro foglio un punto che chiameremo Big Bang,
lorigine, e un altro punto che in realt un punto allinfinito,
una direzione, e chiameremo questo punto fittizio Sommo Bene;
unendo questi due punti si ottiene la situazione in cui tutte le co-
se delluniverso, da quelle microscopiche a quelle macroscopi-
che, si muovono contemporaneamente e costantemente in accor-
do con la volont di Dio. Quando il primo uomo angelo sceso
sulla terra, Adamo, comincia a fare delle scelte sbagliate, qualco-
sa allinterno del Tutto inizia progressivamente ad allontanarsi
dalla linea del Sommo Bene. In ogni attimo della sua vita, Adamo
ha davanti a s un ventaglio infinito di scelte che formano attor-
no al punto una sorta di semicirconferenza con un centro che
rappresenta lindividuo e infiniti raggi che simboleggiano le sue
illimitate possibilit di scelta. Finch Adamo bambino compie
scelte pressappoco corrette, muovendosi sempre sulla linea del
Sommo Bene; in particolare, la scelta migliore da intraprendere
quella che coincide con il raggio sovrapposto alla linea del Som-
mo Bene, mentre man mano che si allontanava da questa scelta,
Adamo prendeva decisioni sempre pi sbagliate, fino a quelle
potenzialmente peggiori, che si trovano sulla linea sovrapposta al
diametro della semicirconferenza.

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La successione continua di scelte sbagliate da parte di Ada-


mo fa scendere il punto molto al di sotto della retta di riferi-
mento e si viene formare uno sdoppiamento di direzioni: la li-
nea del Sommo Bene rappresenta il Sogno a cui Dio e lUomo
devono sempre tendere, mentre la Realt la retta passante per
il punto in cui si trova lindividuo in questione e parallela alla li-
nea del Sommo Bene. In questo caso la situazione cambia pa-
recchio nel ventaglio di scelte di Adamo, perch la tipologia di
decisioni viene adesso suddivisa in tre categorie principali: le
scelte giuste sono tutte quelle che avvicinano Adamo alla linea
del Sommo Bene e quindi ai suoi stessi sogni, le scelte normali
sono quelle che coincidono con la direzione della sua realt at-
tuale, mentre le scelte sbagliate sono tutte quelle che si trovano
sulla parte bassa della semicirconferenza e tendono ad allonta-
nare ancora di pi Adamo dalla linea del Sommo Bene e dalla
realizzazione dei suoi sogni. In questo caso la scelta migliore in
assoluto non pi quella che si trova sovrapposta alla retta del-
la realt, che diventata la scelta pi normale e prevedibile, e
neppure quella che coincide con la parte alta del diametro in
direzione della linea del Sommo Bene, che la scelta pi folle e
scriteriata: ma quella che si trova in mezzo fra queste due scel-
te, perch a parit di incremento marginale sullasse del tempo
consente un maggiore avvicinamento alla retta del Sommo Be-
ne, sullasse dello spazio. Nellequilibrio fra normalit e pazzia,
si trova la perfezione di condotta da tenere durante tutti gli at-
timi della nostra vita.

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Fin qui, il nuovo rompicapo che si trova ad affrontare Dio


abbastanza semplice. Ma con larrivo di Eva e degli altri angeli, la
situazione si complica parecchio; nel giro di una generazione tut-
ti gli ominidi scomparvero e sulla terra rimasero soltanto gli ap-
partenenti alla nuova stirpe degli uomini. La quantit di scelte
sbagliate a cui porre rimedio era aumentata a dismisura, in modo
quasi incontrollato. Tuttavia Dio non si confonde, mantiene la
calma e nei limiti del possibile, continua a istigare le creature pi
virtuose a compiere le scelte migliori, affinch lintera umanit
raggiunga nel tempo pi breve, lobiettivo per cui stata creata:
larmonia dinamica con il resto delluniverso. Dio realizza il suo
sogno, ovvero il ritorno sulla linea del Sommo Bene, soltanto se
ogni singolo individuo riesce a realizzare i suoi sogni, senza di-
struggere, anzi rafforzando, i sogni degli altri uomini.
In queste condizioni di caos apparente, per, la predestina-
zione statica di ogni singolo individuo non pu esistere, perch
la realt muta in ogni momento e Dio deve affannarsi per inca-
nalare attimo dopo attimo gli uomini verso il migliore destino
attuale, che oltre a dipendere dalla volont individuale di ognu-
no influenzato anche dalle decisioni degli altri uomini che gra-
vitano attorno a lui. In pratica, se io faccio una scelta giusta, ma
accanto o anche lontano da me, qualcuno fa una scelta sbaglia-

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ta, leffetto deleterio di questultima azione potrebbe compro-


mettere il beneficio apportato dalla mia decisione. Con lau-
mento progressivo del numero di anime sulla terra, il gioco di-
venta insomma sempre pi complicato, ma nel contempo le ca-
pacit di calcolo delle probabilit e di previsione degli eventi di
Dio diventano incredibili. Dio conosce tutte le infinite scelte di
ogni singolo uomo e istante dopo istante, compie un conteggio
rapidissimo delle possibili combinazioni di tutte le scelte, facendosi
immediatamente unidea di quello che potrebbero essere tutti i
futuri possibili: il futuro pi probabile quello in cui tutti gli
uomini fanno scelte normali, quello migliore in assoluto si com-
pie nel momento in cui tutti gli uomini si indirizzano contem-
poraneamente verso la scelta migliore, mentre al contrario quel-
lo peggiore include un incanalamento collettivo verso la scelta
peggiore. In mezzo a queste tre direzioni principali si trovano
tutte le altre infinite possibilit di futuro e con una certa ap-
prossimazione Dio riesce persino ad anticipare tutto ci che po-
trebbe accadere sulla terra con larrivo dei nuovi angeli, non an-
cora nati. Decidendo addirittura con largo anticipo, quale tipo-
logia di angeli sia pi opportuno inviare nel mondo per raddriz-
zare le sorti dellintera umanit. Nei momenti di calma apparente,
meglio aumentare il numero di anime ribelli, nei frangenti pi
caotici, bisogna invece rasserenare lo spirito con linvio di ange-
li pi pacati, prudenti, pazienti. La certezza precisa del risultato
non esiste, ma dove non arrivano la matematica e la statistica,
Dio si affida a metodi euristici, procedendo a tentoni, a tentati-
vi. Limprovvisazione diviene cos lunico mezzo capace di sop-
perire alla mancanza di ragione di alcune, se non della maggior
parte, delle scelte umane. Ad ogni modo, una volta avviato il
motore della storia, non si pu pi tornare indietro e la linea
della Realt, che cambia posizione attimo dopo attimo, viene in-
tercettata da Dio facendo la somma in valore assoluto delle di-
stanze dei singoli punti, che rappresentano gli uomini, dalla ret-
ta del Sommo Bene.

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In questo modo ogni uomo costretto a vivere in una realt


che trova gi distorta fin dal momento della sua nascita a causa
della distanza dalla linea del Sommo Bene accumulata dai suoi
predecessori e questo margine da recuperare quello che i cri-
stiani indicano con il concetto di peccato originale: uno svan-
taggio iniziale che grava su ogni nuovo bambino a prescindere da
quelle che saranno le sue scelte future. Il problema principale per
Dio dunque la causalit delle scelte umane, perch come ab-
biamo visto gli uomini che non hanno aperto il cuore alla vita e
non seguono le indicazioni della propria coscienza, sono in balia
dei propri istinti, incastrati dalle proprie paure, soggiogati dalla
brutalit degli altri uomini, potendo avvalersi al massimo della
voce guida della parte umana e mortale della propria anima;
quella parte cio che maggiormente legata alle esperienze terre-
stri, alle abitudini, alle tradizioni e difficilmente riesce cogliere gli
aspetti divini e spirituali della vita. A causa di questa caratteristi-
ca aleatoria dei percorsi umani, bench il destino di chiunque sia
gi scritto prima della nascita nel suo DNA, la predestinazione
perfetta sulla terra diventa impossibile sia per gli individui scelle-
rati che per quelli virtuosi, giacch gli intrecci di vita di questi ul-
timi saranno purtroppo sempre influenzati dalle scelte malsane

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dei primi. Oltre alla perizia statistica, Dio deve usare una buona
dose di pazienza, tolleranza, prudenza, per sopportare le male-
fatte perpetrate dai malvagi e le sofferenze patite dai pi merite-
voli. Qualsiasi mossa avventata, compiuta da Dio per venire in
soccorso degli uomini giusti, potrebbe infatti arrecare un danno
maggiore per il benessere futuro dellintera comunit.
La questione del giudizio divino invece molto pi semplice di
quanto esegeti e teologi di ogni tempo avevano immaginato. In
questo campo, non esiste spazio per la parzialit o larbitrariet
del verdetto, perch tutto dipende da una pura questione mate-
matica, geometrica. Attorno alla retta del Sogno e della Realt,
nella mente di Dio sono presenti in ogni istante altre due rette
ideali, parallele alle prime ed equidistanti dalla linea reale, che
delimitano lampia zona della normalit; la retta superiore si tro-
va sempre a met fra la retta della Realt e quella del Sommo Be-
ne e nello spazio compreso fra la retta superiore e quella inferio-
re galleggiano sospese nella loro nullit tutte le anime spente, tri-
sti, rassegnate, ignoranti, inette, pigre, incapaci, indecise; ovvero
la maggior parte degli uomini. Al di sotto della linea inferiore che
demarca la normalit ci sono i malvagi, i corrotti, i violenti, i su-
perbi, quelle anime cio che se continueranno a perseverare nei
loro errori avranno un destino molto pi atroce di tutti gli sbagli
che hanno commesso in dispregio alla vita. Mentre nella zona che
si trova al di sopra della linea superiore e al di sotto della linea del
Sommo Bene ci sono tutte le anime che potenzialmente potreb-
bero diventare angeli ed entrare dopo la morte nel Giardino del-
lEternit; naturalmente la sorte di ogni uomo in questa e nellal-
tra vita dipende dalla capacit di raggiungere la linea del Sommo
Bene realizzando il proprio sogno e una volta raggiunta questa
meta, continuare a vivere in maniera virtuosa, non andando mai
al di sotto della retta superiore che delimita la normalit, perch
in quel caso svanirebbe leffetto prodotto dalla realizzazione del
proprio sogno e lanima rientrerebbe in quellaffollato calderone
di noia e monotonia chiamato Purgatorio. Quando un uomo si
avvicina o si trova a procedere nella stessa direzione della retta
del Sommo Bene riceve un forte impulso, una sensazione scate-
nante che viene indicata dalle pi svariate dottrine religiose e fi-

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losofiche con il nome di Illuminazione, Beatitudine, Grazia, Nir-


vana; lindividuo comincia a percepire e ad avvertire con la sua
anima di essere immerso in un Grande Sogno, di cui assapora in
ogni istante i risvolti incantati, pur non riuscendo magari a com-
prendere ancora i dettagli pi reconditi. Nessuno, nemmeno les-
sere umano pi virtuoso, potr mai sapere quale sar il suo desti-
no, perch il calcolo di tutte le variabili messe in gioco un com-
pito che soltanto Dio pu assolvere. Come ho gi detto, poi, una
volta raggiunta questa condizione, un uomo non deve mai scen-
dere al di sotto della linea superiore della normalit, pena luscita
dalla zona del Paradiso e il ritorno nellampia vastit del Purgato-
rio. E non di rado, mantenere la propria rettitudine, dopo avere
ottenuto successi e riconoscimenti dal mondo, un impegno mol-
to pi arduo che raggiungere e realizzare i propri obiettivi.
Nessun angelo pu entrare dopo la morte nel Giardino del-
lEternit, se prima non ha toccato o anche solo sfiorato durante
la sua vita la retta del Sommo Bene. Impegnandosi poco dopo a
mantenere inalterata la propria purezza, innocenza e generosit
fino alla fine dei suoi giorni.

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Le anime che al momento della morte del corpo si troveranno


nellampia zona del Purgatorio transiteranno in uno spazio di pe-
renne attesa e per il resto delleternit vedranno un lungo tunnel
buio dove in fondo c un punto di luce che rappresenta il Giar-
dino dellEternit. Durante la loro vita queste anime hanno vis-
suto senza impeti, senza passioni, normalmente e hanno nutrito il
dubbio che ci fosse qualcosa di fantastico e favoloso dietro il tea-
trino dellesistenza, e cos anche per tutto il resto delleternit
continueranno a chiedersi se quel punto di luce sia o meno il
Paradiso. Nessuna punizione quindi; Dio concede agli uomini
quello che loro stessi hanno scelto nella vita. Chi ha condotto una
vita monotona, ripetitiva, tranquilla, non pu aspettarsi nellal di
l grandi stravolgimenti. Chi invece muore rimanendo nella zona
dellInferno, rivedr per tutta leternit tutte le azioni malvagie e
le brutalit che ha commesso nella vita, sentendo allinterno del-
la propria anima il dolore e la sofferenza che ha causato alle altre
creature della terra; ivi comprese piante ed animali. Anche qui,
Dio non infligge nessun castigo, ma lascia agli uomini il compito
di decidere quale debba essere la loro sorte, non solo durante la
vita, ma anche dopo la morte. Quel numero ristretto e risicato di
anime invece che ha vissuto per qualche istante lestasi di sostare
sulla linea del Sommo Bene, evitando poi con coraggio e tenacia
di scendere al di sotto della linea superiore della normalit, en-
trer di diritto nel Giardino dellEternit, guardando in faccia il
sorriso di Amore e provando la gioia imperitura che regna in
quel luogo fantastico.
Non difficile capire quando un uomo si avvicina o si trova
nei pressi della linea Sommo Bene, perch il suo aspetto e il suo
umore cambiano radicalmente; come se davanti a lui si aprisse
un varco di luce e di verit che non ha mai fine e non ammette
dubbio o timore alcuno: per questuomo, la vita diventa una ve-
ra e propria caccia al tesoro, piena di segnali e di strane coinci-
denze. Luomo che ha compreso e provato nella sua anima il si-
gnificato della Grazia e della Beatitudine, riesce a trovare un sen-
so in qualsiasi cosa ha fatto nel passato, sta continuando a fare
nel presente e far ancora nel futuro: la vita non avr pi segreti
o trappole nascoste e la sua stessa anima si sentir costantemente

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in perfetta armonia con il resto delluniverso. Lespressione del


viso sar radiosa e placida, laudacia e la determinazione non co-
nosceranno limiti, la felicit e la follia si mischieranno insieme in
un unico anelito e non sar facile distinguere dove finisce una e
comincia laltra: pur non ammettendo a se stesso lesistenza di
Dio o non riuscendo a trovare nella natura intorno a s le prove
della sua presenza, luomo illuminato sa che ogni cosa del creato
viene governata e guidata da un Intelligenza Superiore, che la
forza scatenante di ogni energia, passione, cambiamento. Al con-
trario delle anime che galleggiano spente e avvilite nelle acque
torbide del Purgatorio o fra i fanghi paludosi dellInferno, luo-
mo illuminato non ha e non avr mai paura della morte, perch
percepisce in quellevento il solo e unico significato di passaggio
da questo allaltro mondo; le nullit e gli uomini malvagi invece
tremeranno impaurite di fronte ad ogni sentore di morte: queste
anime in genere non hanno memoria, dimenticano facilmente il
passato, vivono proiettati nel presente e cercano con tutti i mez-
zi di rimanere aggrappati alla realt, alle cose materiali, in modo
da assicurarsi un futuro sicuro e tranquillo, che impedisca loro di
confrontarsi a viso aperto con la sublime precariet della vita.
Gettandosi nella ricerca affannosa di certezze e sicurezze di ogni
tipo, economiche, morali, religiose, non si accorgono di diventa-
re molto pi vulnerabili di coloro che vivono sospesi nel limbo
dei loro grandi sogni.
Mentre gli uomini illuminati corrono spediti, volano fino al
compimento assoluto di tutti i loro propositi, ragionando e medi-
tando a fondo su ogni cosa, gli altri indugiano, tentennano, pre-
feriscono non pensare, si ostinano a trincerarsi dietro vili barrie-
re di apatia e indifferenza, si concentrano e sprecano il loro tem-
po per trovare tutti gli espedienti possibili per arrecare dolore e
sofferenza ai propri simili. Queste anime sono accecate dal ran-
core e dal risentimento. Perch perseguire la strada del bene
molto pi difficile e complicato che non fare nulla o fare volon-
tariamente del male: per compiere un atto virtuoso servono intel-
ligenza, sfrontatezza, intraprendenza, mentre per commettere
azioni indegne o rimanere inermi di fronte ai richiami della vita
sufficiente avere una discreta capacit di calcolo, una buona pre-

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stanza fisica, un istintivo impulso di sopravvivenza, rivolto preva-


lentemente alla difesa dei propri interessi. Ma la cosa pi diffici-
le in assoluto non tanto il raggiungimento della linea del Som-
mo Bene o la realizzazione dei propri sogni, quanto continuare a
perseverare su quella strada dopo avere ottenuto notevoli succes-
si personali: la caduta degli angeli verso il Purgatorio o addirittu-
ra allInferno uno dei fenomeni pi ricorrenti della storia, per-
ch sono e saranno sempre pochi gli individui disposti a rinun-
ciare alla propria vanit, al proprio egoismo, al proprio orgoglio,
sopprimendo tutti gli impulsi di rivalsa e ignorando i vantaggi
della loro presunta posizione di privilegio. Ancora meno saranno
quelli inclini a sacrificare la loro stessa vita per gli altri, in nome
di un progetto e di un Sogno molto pi grande di loro.
La vita non cos semplice come appare: non basta aprire il
cuore allamore, essere vispi e intelligenti, avere temperamento,
seguire le indicazioni della propria coscienza; ma necessario
avere fiducia in se stessi e nel proprio talento, credere nella divi-
na benevolenza della sorte, superare indenni le tempeste di dub-
bi, incertezze e ripensamenti che travolgono lanima e sconquas-
sano lequilibrio emotivo. Fra il concepimento di unidea e la sua
realizzazione, esiste un intero oceano di tribolazioni. Come ho
gi detto, in virt della causalit di scelta delle anime bieche e
dannate che non sono guidate da Dio, questultimo non sempre
potr sopperire alle loro mancanze per alleviare e favorire il cam-
mino delle anime virtuose. Lunico strumento che Dio ha per at-
tuare la sua provvidenza nel mondo sono gli uomini e se questi
non ascoltano o non possono pi sentire la voce di Dio dentro la
propria coscienza, chiaro che non tutti gli eventi della vita di un
individuo illuminato potranno girare nel giusto verso e se lui stes-
so non avr la forza di reagire e superare le difficolt, la sua ca-
duta dallempireo del Sogno diventer un fatto imminente e ine-
vitabile. Inoltre non sempre lanima illuminata avr la pacatezza
di giudizio per capire quale delle scelte e delle voci che si susse-
guono allinterno della sua coscienza, sia quella migliore, quella
divina e spesso verr trascinato senza presagirne le conseguenze
a compiere azioni inopportune, impulsive, folli. Riprendere quo-
ta dopo avere compiuto dei tonfi e dei capitomboli non sempre

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facile e immediato. La tendenza a sentirsi soli e abbandonati


dietro langolo e la ribellione contro gli uomini e persino contro
Dio potrebbe diventare lunica valvola di sfogo per unanima vir-
tuosa in preda alla disperazione. Quella che tutti chiamano la Fe-
de e io chiamo fiducia in se stessi e nel Grande Sogno di Dio, non
un dono o una conquista a cui tutti possono avere accesso. So-
lo i migliori restano e continuano imperterriti verso la salvezza;
mentre gli altri, la maggior parte, si perdono invece per strada co-
me foglie secche e fragili cadute dallimmenso albero di Amore.
Innanzitutto, il primo passo da compiere per essere unanima
illuminata, un angelo, quello di riconoscere quale sia il proprio
talento e capire con quali mezzi noi possiamo metterci al servizio
della comunit: per esperienza, vi dico che non sempre sar faci-
le guardare dentro noi stessi e confrontarsi con le nostre poten-
zialit. Bisogna avere il coraggio di sondare a fondo la propria
anima, in cerca dei punti di forza e debolezza; necessario esse-
re consapevoli dei propri limiti e avere la capacit di escludere
dal conteggio tutte le nostre pretese effimere e inconcludenti. Bi-
sogna avere la voglia incessante di sperimentarsi, provarsi, ci-
mentarsi; la curiosit di conoscere le nostre virt e la pazienza di
tollerare i nostri difetti. Inutile che vi ripeta che molti uomini si
arrendono ancora prima di mettersi davanti allo specchio della
propria anima e si accontentano di ci che viene concesso o or-
dinato dagli altri. Inoltre, con il passare del tempo, il desiderio di
trovare un comodo rifugio dove ripararsi dagli affanni e dalle in-
temperie della vita diventa sempre pi forte; luomo infatti con
tutto il suo carico di convinzioni, consuetudini ed esperienze ter-
rene tende quasi spontaneamente ad adagiarsi sulla sua normali-
t e ad accettare le certezze, le ritualit di una vita tutto somma-
to gradevole e tranquilla, piuttosto che gettarsi in mare aperto.
Molti uomini illuminati durante il loro tragitto si fermano sugli
allori delle loro conquiste e scoperte, percorrendo una linea pres-
soch parallela a quella del Sommo Bene e compresa nella zona
delimitata da questultima e dalla linea superiore del Purgatorio:
per paura di perdere il privilegio e il prestigio dei successi otte-
nuti, questi individui non fanno mai il grande passo e riescono
soltanto a percepire lontanamente cosa sia la Beatitudine e la sen-

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sazione di armonia universale che si avverte percorrendo con co-


raggio e con generosit la via segnata dal Grande Sogno. Fanno
parte di questa categoria di illuminati la stragrande maggioranza
dei letterati, artisti, scienziati, filosofi che la storia abbia cono-
sciuto.
I tormenti e le angosce che talvolta hanno accompagnato la vi-
ta di questi uomini illuminati sono dovute soprattutto alle solle-
citazioni dellAngelo Bambino, che essendo sempre pi irrequie-
to e impaziente nella ricerca della felicit e intuendo la vicinanza
della magia del Grande Sogno, sobiller continuamente la co-
scienza a seguire le strade pi impervie e spericolate per un rapi-
do raggiungimento della beatitudine; perch il Bambino sa o in-
tuisce che per ritrovare la strada che porta al Giardino dellEter-
nit, al Paradiso, bisogna fare qualcosa di straordinario qui, sulla
terra e spesso non capisce che la cosa pi difficile da fare la pi
semplice: rinunciare alla propria vanit e al proprio compiaci-
mento per il bene degli altri. Scendere in mezzo alla gente, ri-
mettersi in gioco, spiegare agli altri che chiunque pu raggiunge-
re le vette di spiritualit e intelletto cui sembra impossibile aspi-
rare; dare agli altri ci che inutile e deleterio tenere per se stes-
si. Quando lUomo purtroppo prevale sul Bambino, diventa
troppo forte la tentazione di costruire delle barriere fra s e gli al-
tri per difendere la propria individuale esistenza; mentre al con-
trario, non appena il Bambino prende il sopravvento sullUomo,
limpulso di conoscere almeno per una volta nella vita quale sia il
significato di quellemozione sublime che tutti chiamano felicit
pu giocare brutti scherzi; precipitando lanima in un vortice di
sensazioni forti e imprese improbabili, che non di rado sfociano
nella trasgressione fine a se stessa, nel degrado dellinnocenza,
nel delirio. Soltanto, quando la voce di Dio entrando dal cuore
armonizza nella coscienza queste due opposte tendenze, lUomo
potr raggiungere per gradi, senza strappi, quasi dolcemente, la
linea del Sommo Bene e capire in un solo brevissimo attimo qua-
le sia la vera missione da compiere dellAngelo racchiuso nella
parte pi interna e nascosta dellanima.
La fretta e limprudenza saranno spesso cattive consigliere e
inoltre la smania di onnipotenza dellUomo potr favorire la peg-

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giore delle mutazioni che pu accadere durante la vita: lAngelo


si allontana sempre di pi dalla luce guida di Dio e incoraggiato
dai suoi facili successi si lascia trascinare in quel labirinto di mal-
vagit, invidia e risentimento che caratterizza lessenza pi pro-
fonda dellanima di un Demone. LAngelo comincia apertamente
a sfidare Dio e convince lUomo a chiudere sempre di pi il cuo-
re alla vita, fino quasi ad impedire del tutto lingresso dellener-
gia divina allinterno del suo corpo e della sua coscienza. Quella
piccola frazione di energia divina contenuta nella parte immorta-
le dellanima e lenergia umana prodotta dalle trasformazioni ma-
teriali delle sostanze sembrano al demone sufficienti per soddi-
sfare qualsiasi desiderio o appetito carnale: il suo aspetto appare
tonico e robusto, i suoi muscoli sono tenaci, la sua forza e deter-
minazione sembra non conoscere confini, ma quella vaga appa-
renza di immortalit non ha nulla di soprannaturale e scompari-
r con il tempo: non di rado la storia, unico vero giudice delle
malefatte umane, stata capace di svelare tutti gli orrori compiu-
ti dai demoni, pochi anni dopo dalla loro scomparsa. Perch la
verit come un fiume in piena, che prima o dopo trova sempre
il modo di abbattere tutti gli argini e le dighe costruite dai fauto-
ri della menzogna.
In queste condizioni, la dannazione delle anime corrotte non
avverr soltanto nelleterna visione dei propri errori, ma comin-
cia gi sulla terra, perch la voglia di dominio dei demoni non sa-
r mai appagata e in un modo o nellaltro le anime dannate per-
deranno sempre la loro partita con la vita. Langelo trasformato
in demone tender sempre a prevaricare ogni regola e a sopraffa-
re ogni individuo perch questa lunica maniera che conosce
per sentirsi vivo; pur di incrementare sempre di pi la sua sensa-
zione di potenza, il demone cercher di conquistare onori e glo-
ria sulla terra tramite la corruzione, la violenza, la guerra e sicco-
me niente riuscir ad appagare la sua ingordigia famelica, queste
creature cercheranno di divorare e distruggere tutto ci che di
bello e vitale incontreranno lungo il passaggio: la bellezza della
vita crea sempre disagio e imbarazzo alla vista di un demone e ac-
cecato dalla sua stessa cecit, non di rado il malvagio creder che
gli onori effimeri ottenuti siano un sintomo della benevolenza di

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Dio nei suoi confronti; un modo per sentirsi pi vicino al Crea-


tore; anzi, molto spesso il demone finisce per credere di essere lui
stesso un dio capace di sottomettere e ricevere obbedienza dai
propri devoti sudditi. Ma il rispetto generato dalla paura ben
altra cosa se confrontato con lammirazione fondata sul carisma e
lamore di un vero Angelo o di un Illuminato. Mentre la prima
forma di devozione svanisce con la morte stessa del despota, la
seconda si alimenta negli anni e dura in eterno. Un vero angelo
non cerca mai di imporre la propria volont agli altri o di acqui-
sire potere e prestigio sociale tramite il suo talento, ma tenta di-
speratamente, con tutti i mezzi a disposizione, di condividere con
gli altri quella piccola porzione di beatitudine che solo lui ha co-
nosciuto.
Ecco per quale motivo, il compito di un angelo non termina
con la realizzazione dei suoi sogni, ma continua con il supporto
agli altri, affinch anche questi ultimi riescano ad affinare le po-
tenzialit represse e a raggiungere i loro obiettivi terreni. In que-
sto modo si crea un circolo virtuoso di energia e amore che non
ha mai fine e condurr il mondo a rasentare la perfezione del
Giardino dellEternit. Finch sulla terra esister un uomo infeli-
ce o un individuo che non sar libero e in grado di scrivere la
propria favola sulle strade del mondo, Dio non potr ritenersi
soddisfatto e non potr iniziare il suo Grande Gioco su un altro
pianeta delluniverso. Ovviamente anche quando questo lungimi-
rante obiettivo di felicit collettiva sar raggiunto, la vita sulla
terra continuer in eterno perch il Sommo Bene non una si-
tuazione statica e immanente, ma prevede sempre delle piccole
oscillazioni dinamiche attorno alla sua direttrice, alla sua infinita
retta di equilibrio.
In definitiva, sintetizzando, potremmo dire che esistono tre ca-
tegorie di uomini: gli uomini della volont, quelli del dovere e
quelli del potere. I primi sono i potenziali angeli e gli illuminati,
che credono fortemente nellimportanza delle virt umane e nel
miglioramento dei metodi di convivenza civile fra i popoli; la lo-
ro coscienza sospinta da una determinazione e da una forza im-
placabile, perch molto spesso ispirata dalla stessa voce di Dio,
che mischiata alle altre voci della coscienza suggerisce a questi

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uomini audaci e generosi le migliori scelte da intraprendere per


arrivare alla completa realizzazione dei loro sogni. Non tutti pe-
r questi uomini, dopo la morte, accederanno al Giardino del-
lEternit, perch soltanto pochi di essi riusciranno a raggiunge-
re quello stato di pace ed armonia con il resto del creato rappre-
sentato dalla linea del Sommo Bene: un luogo ideale in cui tutte
le contraddizioni svaniscono e le voci della coscienza si uniscono
allunisono in unica voce guida. La seconda categoria di uomini
rappresentata invece dalle nullit, dai mediocri e costituisce la
frazione in assoluto pi numerosa dellumanit. In questo grup-
po convergono tutti quegli uomini che fiaccati e abbrutiti dalla
pigrizia e dalla rassegnazione, si ostinano a seguire pedissequa-
mente le abitudini e le tradizioni del passato, chiudendo qualsia-
si sbocco alla fantasia e alla creativit della parte divina della lo-
ro anima. Questi uomini credono che lasservimento ai doveri e
labnegazione nei confronti delle autorit sia la maniera pi co-
moda e vantaggiosa per vivere una vita tranquilla e serena, ma
dopo la morte finiranno tutti in una zona delleternit in cui la
noia e la mancanza di qualsiasi impulso e passione sar lunica ri-
compensa concessa alla loro apatica lascivia. Infine, lultima cate-
goria di uomini, quella pi malvagia e insidiosa, costituita dai
demoni, che sono individui trascinati nelle tenebre pi cupe e de-
solanti dalla loro stessa vanit e superbia. Lunico scopo della lo-
ro esistenza quello di dominare e incrementare il loro potere
nei confronti degli altri uomini, perch soltanto tramite la suddi-
tanza, lammirazione e il rispetto degli altri queste anime ormai
dannate riescono ad essere certe di essere ancora vive e presenti
in questo pianeta. I loro sogni sono in verit veri e propri incubi,
perversioni, perch ammorbati dal risentimento e dallinvidia,
questi uomini cercano con tutti i mezzi di impedire agli illumina-
ti e alle altre anime virtuose di essere felici in questo mondo.
Usando una metafora, potremmo dire che gli illuminati e gli
angeli sono le aquile, i leoni, gli agnelli perch vivono con corag-
gio al di sopra di qualsiasi norma e consuetudine sbagliata, non
hanno paura della solitudine, diffidano dalle fedi posticce e dalle
superstizioni oscure del passato. Pur non avendo spesso una di-
chiarata devozione in un particolare Dio e nel fondamento divi-

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no del mondo, queste anime elette, grazie alla loro immensa in-
telligenza e al loro meraviglioso amore, sanno e percepiscono in
ogni attimo della loro vita che dietro lo spettacolo straordinario
dellesistenza ci sia qualcosa di portentoso e incredibile; una ve-
rit talmente grande e imponente da superare qualsiasi immagi-
nazione umana. Abbagliati da questo fulgore purissimo, gli illu-
minati non perdono mai la speranza di portare la pace, la cono-
scenza e la felicit fra gli uomini e sono come dei fiumi rigogliosi
di acqua e freschezza che cercano di rendere fertili e fiorite tutte
le terre aride del mondo. Allinterno della loro coscienza, convi-
vono sempre le tre essenze dellanima, quella divina, quella ange-
lica e quella umana e dal conseguente accordo o scontro fra que-
ste energie dipende gran parte del successo delle loro azioni di
rinnovamento. Questi individui hanno una chiara consapevolez-
za del concetto di Nulla e proprio per questo motivo riescono a
vivere gli impeti dellAmore al massimo grado o livello di tra-
sporto. Diciamo pure che nelleterno dilemma fra Amore e Nul-
la, gli illuminati, pur considerando il Nulla il presupposto neces-
sario di ogni intuizione, hanno puntato decisamente sullAmore,
perch Amore lunica meta che pu concedere unit e ugua-
glianza a tutte le diversit, molteplicit, sperequazioni.
Le nullit invece sono come i mattoni, tutti omologati e squa-
drati, dellimmensa diga eretta dai demoni per ostacolare la mis-
sione di verit e cambiamento degli angeli. Per lenorme mole di
questa categoria di uomini, che rappresentano da soli pi del no-
vanta per cento della popolazione umana, potremmo dividerli in
tre grandi sottogruppi: le pecore, le iene e i muli. Le pecore sono
uomini che pur nella loro atavica passivit, possiedono un po di
cuore e scarsa intelligenza: larchetipo di questa categoria il cre-
dente bigotto e fanatico di una qualsiasi religione o dottrina mo-
rale, filosofica; in genere, questi individui non sono cattivi, ma
come diceva bene qualcuno, non hanno curiosit, non sono in
grado di mettere in dubbio le certezze acquisite e spesso sacrifi-
cano tutte le enormi capacit del cervello in nome di una melli-
flua e infruttuosa bont. Le iene al contrario non avvertono nes-
suno anelito alla virt e per hanno imparato per esperienza a
sfruttare una piccola parte delle facolt mentali, che un misto di

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furbizia, scaltrezza, prontezza; possiedono unintelligenza pratica


e calcolatrice che gli consente soltanto di perseguire i loro perso-
nali interessi e di ottenere piccoli vantaggi di comodo e conve-
nienza: il rappresentante di questa categoria il politicante cor-
rotto o il commerciante avido ed ingordo. Lultimo sottogruppo
quello dei muli, che gi dallingiusto accostamento allanimale
in questione, evidenziano una scarsissima intelligenza unita ad
una debole inclinazione alla virt; in genere sono uomini che non
agiscono mai in piena libert e delegano le responsabilit delle
loro scelte a presunti superiori gerarchici; non avendo una chiara
immagine di se stessi e confidando molto poco nelle loro capaci-
t individuali, i muli necessitano quasi sempre di qualcuno che li
comandi e li bacchetti: il meschino portabandiera di questa cate-
goria il soldato di qualsiasi epoca ed esercito, che pur non es-
sendo spesso una persona intimamente cattiva o malvagia, viene
istigato dai demoni a compiere delle atrocit inimmaginabili.
Nellanima di tutte le nullit prevale lenergia umana, mentre so-
lo di tanto in tanto emerge la vitalit fanciullesca dellangelo e
lequilibrio critico della guida divina: queste persone quindi sono
molto fragili e cagionevoli, tendono ad ammalarsi e ad invecchia-
re precocemente, comunicano poco con la loro coscienza, si la-
sciano trasportare dallistinto e dallabitudine e occasionalmente,
senza averne una chiara cognizione e consapevolezza, compiono
scelte giuste. Sono uomini eternamente in bilico fra Amore e
Nulla e la causalit complessiva degli eventi del mondo dovuta
principalmente allindecisione, alla distrazione e alla lascivia di
queste anime annoiate e stanche.
Infine lultima infausta categoria quella dei demoni, che sono
gli individui apparentemente pi pericolosi perch i pi dotati
dal punto di vista intellettivo. I demoni infatti hanno un cervello
molto raffinato ed allenato ma il loro cuore stato ormai chiuso
da tempo a doppia mandata. Lenergia che agisce sul loro corpo
e allinterno della loro coscienza proviene sia dalla fonte umana
che da quella soprannaturale dellangelo, che essendo ormai im-
pazzito ed esaltato dai suoi successi ha completamente perso la
bussola ed obnubilato dalla brama di potere. I demoni hanno
in dispregio la bellezza della vita e il loro scopo principale quel-

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lo di rendere il mondo quanto pi simile a loro stessi: un deserto


di tristezza e aridit, dove lamore non ha pi spazio di esistere. I
demoni hanno deciso volontariamente di precipitare nel Nulla e
senza esserne spesso consapevoli, cercano di trascinare il mondo
intero nel Nulla in cui si sono imprigionati. Come gi detto, le
anime dannate utilizzano la mollezza e linsipida rassegnazione
delle masse per attuare gran parte dei loro piani di annichilimen-
to, declino e distruzione; a tal fine, erigono muri e pareti diviso-
rie dappertutto in modo da impedire qualsiasi comunicazione
costruttiva fra gli uomini che possa portare ad un cambiamento
dello status quo istituzionale ed economico; il loro timore pi
grande che i fiumi vitalizzanti degli angeli possano unirsi insie-
me e tracimare sulle terre secche della normalit, della quotidia-
nit, dellassenza di prospettive e di speranze. Le anime mediocri
e infingarde, essendo in maggioranza, costituiscono senza mezzi
termini il perno sul quale ruota tutta la strategia di dominio e ma-
nipolazione dei demoni. Senza lapprovazione e il consenso delle
masse, i demoni non potrebbero spostare una sola, striminzita fo-
glia di un albero della terra. Tuttavia al contrario di quello che si
pensa, i demoni non rappresentano una minaccia cos grave per
Dio, perch avendo deciso da tempo la direzione da seguire nel-
la vita, queste anime sono molto prevedibili ed un gioco da ra-
gazzi anticipare le loro mosse. Inoltre, malgrado la maggiore di-
stanza da colmare, molto pi facile per Dio riportare un demo-
ne sulla retta via che convincere una nullit ad avvicinarsi gra-
dualmente alla linea del Sommo Bene; perch mentre i primi
conservano nel fondo della loro malvagit e corruzione una buo-
na dosa di vitalit ed intraprendenza, i secondi sono talmente
condizionati dalla paura di perdere il loro piccolo cantuccio di
apparente serenit, da non rischiare mai pi del necessario.
Il vero grande nemico di Dio sono quindi le nullit e non i de-
moni e queste cose un angelo o un illuminato le sa.

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CAPITOLO 17

La Prima Era

Ritorniamo adesso allinizio della nostra storia sulla terra. Nel


giro di una generazione scomparvero gli ominidi e tutti gli uomi-
ni presenti sul pianeta avendo un angelo nella loro anima posse-
devano le stesse facolt e le medesime straordinarie possibilit.
La situazione per non miglior affatto, anzi, peggior. Gli uo-
mini erano interessati soltanto al potere e alla sopravvivenza, le
donne confuse dai loro istinti materni non cercavano un compa-
gno da amare, lanima gemella, ma un uomo forte e muscoloso
che potesse proteggere il focolare domestico e la prole; la lotta, lo
scontro fisico divenne lunico modo per prevalere sugli altri e sol-
tanto lopera di uomini illuminati e coraggiosi convinse questa
mandria di bestie inferocite a stipulare patti di convivenza sem-
pre pi civili, giusti ed equilibrati. Le prime comunit organizza-
te o agglomerati urbani sorsero nella Mesopotamia, nel Medio
Oriente e nellAlto Egitto; la prima citt della storia fu Gerico,
nella valle del Giordano. Per evitare che listintiva aggressivit de-
gli uomini sfociasse in aperta violenza vennero redatti rudimenta-
li ordinamenti legislativi, si stabilirono delle regole per favorire i
commerci, il talento delle persone venne sfruttato per realizzare
pregevoli opere di artigianato e di edilizia. In un mondo domina-
to dallesperienza pratica e poco incline alla spiritualit, gli anzia-
ni dei villaggi si imposero subito come le guide sagge della comu-
nit, proclamandosi anche intermediari della volont divina sulla
terra: in virt di questo prestigio del tutto arbitrario, i primi sa-
cerdoti e gli sciamani cominciarono ad affiancare i regnanti nel-
lazione di governo dei popoli, inaugurando quella deleteria com-
mistione fra potere politico e religioso che continuer indisturba-
ta fino ai nostri giorni. I brutali tiranni e i ciarlatani dellocculto
facevano leva su due delle pi grandi paure che attanagliavano

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lanima umana: la paura della sofferenza fisica terrena e lansia di


dare una risposta a tutti i misteri della vita, perch nessuno vole-
va morire senza sapere cosa ci sarebbe stato nellaldil.
In ogni caso la realt della terra si stava minacciosamente al-
lontanando dal sogno iniziale di Dio, che era sempre lo stesso:
mantenere il mondo in pace e armonia, nonostante il libero arbi-
trio degli uomini. Come detto, in queste prime trib la fantasia e
lamore per le cose impossibili non avevano molto spazio; la gioia
dei bambini veniva subito soffocata dalla livida repressione degli
anziani e i giovani pargoli erano costretti a subire un addestra-
mento rigido e severo, che chiudeva le porte a qualsiasi possibili-
t di intervento divino. Quei pochi che riuscivano a mantenersi
puri e innocenti in mezzo a tutta questa bolgia di violenza e ag-
gressivit, venivano presto emarginati o avviati alle mansioni pi
umili e insignificanti: eppure era proprio su questi uomini che
Dio faceva leva per risollevare le sorti dellumanit intera, perch
questi esclusi, reietti, emarginati rappresentavano le uniche luci
di speranza. Nellisolamento e nella solitudine in cui versavano,
questi individui eccezionali erano quasi obbligati a riflettere e ra-
gionare, ricevendo non solo incoraggiamento da parte Dio ma
anche intuizioni importanti che potessero riscattare in qualche
modo la loro esistenza: la noia e lozio meditativo si configuraro-
no subito come le premesse di qualsiasi atto creativo, come se il
dolore e la frustrazione fossero un viatico necessario per arrivare
alla beatitudine. Ovviamente, non cos; ma in un mondo dove
regnavano incontrastati lodio e la barbarie, il languore e la sensi-
bilit di un uomo virtuoso dovevano per forza essere causa di
grandi tormenti interiori. Quel lavorio incessante che avveniva
dentro la coscienza era per il primo sintomo di un prossimo ri-
sveglio. Dio non aveva altro strumento per cambiare la situazione
del mondo che bersagliare e bombardare di informazioni lanima
di coloro che avevano ancora il cuore aperto alla vita, perch su
tutti gli altri non poteva agire. Le vere grandi rivoluzioni epocali
quindi avvenivano dentro le coscienze di alcuni illuminati, men-
tre ci che accadeva fuori era solo una diretta conseguenza dei fe-
roci scontri per il potere: le regole del gioco imponevano a Dio di
rispettare le leggi della natura, accettando le scelte sventurate de-

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gli uomini corrotti e confidando soltanto nella volont di eleva-


zione degli uomini giusti. Tuttavia, mentre nella coscienza di
qualcuno avvenivano veri e propri terremoti emozionali, lenta-
mente, anche fuori, qualcosa di nuovo accadeva sotto il sole.
Gli individui eccezionali cominciarono ad eccellere nelle arti
figurative, nelle discipline matematiche, nellarchitettura, nello
sviluppo della scrittura, nella codificazione delle leggi; alcuni di
loro riuscirono a ritagliarsi posti di prestigio allinterno delle na-
scenti societ e una volta giunti al potere, diventarono purtroppo
pi spietati dei loro protettori: il desiderio di vendicare i torti e le
umiliazioni subite in passato era pi forte della loro antica pas-
sione per la vita e la giustizia. I fallimenti di Dio in questo senso
si susseguivano ad un ritmo vertiginoso e in taluni momenti il
gioco pareva essergli sfuggito di mano. Ad ogni modo, finch
nella mente di Dio permaneva anche una sola piccola possibilit
di successo fra le infinite altre potenziali alternative del futuro,
non bisognava lasciare nulla di intentato: se un giorno un uomo
fosse giunto a capire per intero tutta la verit, poco dopo tutti gli
altri si sarebbero indirizzati verso la meta del Sommo Bene. E co-
s, in ogni attimo Dio cambiava sia il presente che il futuro non
solo di un singolo individuo ma anche dellintera umanit e in
ogni istante si apriva nella mente prodigiosa del Creatore un nuo-
vo ventaglio di possibili direzioni del suo gioco chiamato Terra.
Ogni bambino che veniva al mondo era una vera e propria spe-
ranza di cambiamento e solo dalla tenacia, dalla determinazione,
dalla forza del bambino di resistere allopera di annichilamento e
repressione degli adulti, dipendeva lesito finale della favola che
Dio aveva gi scritto per lui nel momento stesso della nascita.
Mentre gli uomini cosiddetti maturi continuavano a trascinare la
linea della Realt verso il basso, i bambini, soprattutto durante la
prima fase dellinfanzia, risollevavano quella stessa linea verso
lalto, nel tentativo di avvicinarla al Sogno immaginato da Dio. Il
segreto quindi di ogni vero illuminato era quello di conservare la
propria fanciullezza ed esuberanza pi a lungo nel tempo, in mo-
do da tenere sempre viva la voglia di sognare.
Le donne purtroppo in questa prima fase della storia umana
avevano un ruolo marginale e subalterno, perch a causa della lo-

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ro corporatura fragile e vulnerabile risultavano spesso soggiogate


dalla forza brutale degli uomini. Molte di loro erano costrette ad
unirsi con uomini che non amavano affatto e altre invece, acceca-
te dalla sete di potere e lusso, si univano volontariamente con uo-
mini forti fisicamente ma ottusi dal punto visto intellettivo e mo-
rale, relegando le anime degli uomini giusti a marcire nella solitu-
dine e nella rabbia. La selezione della specie avveniva soltanto se-
guendo regole istintive e animalesche e non prevedeva quasi mai
qualcosa di spirituale nellunione delle anime. Lo stesso Ezechie-
le, un antico profeta ebraico, parlando delle donne scrisse che era-
no false profetesse dellamore, perch molte di loro si divertivano
a rafforzare i muscoli dei malvagi e ad avvilire il cuore dei giusti.
Inoltre la maternit rappresentava un altro limite quasi invalicabi-
le per molte donne, che impediva loro di concentrasi sulle facolt
straordinarie del loro spirito e le obbligava ad impegnarsi nella cu-
ra e nella difesa dei figli. A torto, le donne sottovalutavano tutte le
loro infinite potenzialit, riducendosi a serve, concubine, schiave,
nutrici. La loro scarsa propensione ad approfondire la conoscen-
za di se stesse, le faceva in qualche maniera rimanere sempre gio-
vani, fresche, leggere, frivole come se ancora non fossero mai ve-
ramente nate: la voglia di vivere e di sognare delle donne era
unarma molto importante da sfruttare per il risveglio dellintera
umanit, ma spesso questa inclinazione intima alla spregiudicatez-
za veniva intorpidita dalla becera influenza dei sensi: le donne so-
no in genere molto attratte da tutto ci che luccica, dalle qualit
esteriori di un individuo, perch pensano che anche allinterno
possa divampare pi intensa la luce dellamore. Questa smania, le
porta spesso ad inseguire uomini aitanti, ricchi, realizzati nella so-
ciet, senza andare mai oltre. Senza capire che lamore significa
togliere il superfluo per andare dritti allessenza di unanima. Sma-
scherarsi a vicenda, mettersi a nudo, per vedere se il vuoto, la
mancanza che sentiamo dentro di noi, possa essere colmata dalla
pienezza nascosta nel temperamento e nellindole dellaltro. Spes-
so, quando le donne si accorgono che luomo che hanno scelto
non soddisfa nessuno dei bisogni pi intimi, la loro ricerca termi-
na con la sterile accumulazione di ori, gioielli, ricchezze. Leffime-
ro fal delle vanit diventa lunica luce che abbaglia i loro occhi.

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Oltretutto le donne si sentivano gi appagate dalla mansione


sociale che riservava loro il compito di accudire ed allevare i figli,
riversando su questi ultimi tutte le aspettative che nutrivano fin
da bambine per loro stesse; le giovani fanciulle abbandonavano
senza troppi rimpianti il ruolo di amanti per rivestire quello di
mamme a tempo pieno. Ma cos facendo non andavano mai a
fondo dentro la loro anima, rimanevano sempre in superficie, e
non capivano che questo era solo il primo gradino, puramente fi-
sico e sensibile, per scalare poi tutti gli altri, prettamente spiri-
tuali: i loro sogni damore rimanevano quasi sempre delusi o si
infrangevano contro i muri della monotonia domestica, perch
intimorite dalla precariet del futuro, le donne si rinchiudevano
dentro casa e smettevano di cercare la loro anima gemella. Cau-
sando un danno insanabile sia a questultima che a loro stesse.
Questa tendenza a ricercare la stabilit e la certezza del futuro sa-
crificando tutta leccitante imprevedibilit della vita sar una del-
la maggiori cause della fondazione di regni forti e potenti, basati
sulla possanza fisica degli eserciti, sulla difesa feroce dei propri
confini, sulla scellerata voglia di espansione dei governanti. In-
consapevolmente infatti, nella voglia di conquista e di eroismo
degli uomini, cera anche la volont di accaparrarsi lammirazio-
ne delle donne pi belle e desiderate della comunit, che come
detto si lasciavano molto di pi attrarre dai muscoli e dalla arma-
ture luccicanti dei soldati che dallintelletto e dalla sensibilit dei
poeti. La storia stava prendendo decisamente una brutta piega e
per riequilibrare le sorti del mondo, Dio in accordo con i suoi Fi-
gli Prediletti decise di cominciare a giocarsi la sua carta segreta:
inviare a turno sulla terra una coppia di figli prediletti, affinch
questi ultimi riuscissero a capire la verit e a svelare agli uomini
le vere regole del gioco.
I primi tentativi furono fallimentari. I figli prediletti, nono-
stante sentissero forte la pulsione di fare qualcosa di grande e im-
portante per il mondo, non avevano la forza di tenere aperto il
cuore alla vita e si perdevano anche loro fra le trappole di unesi-
stenza selvaggia e dissennata. La situazione di arretratezza cultu-
rale era disarmante e avendo poche basi per costruire qualcosa di
nuovo, i figli prediletti si limitarono ad ingigantire i difetti e gli

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errori dei loro simili. Alcuni diventarono regnanti, altri si ritira-


rono della comunit per condurre unesistenza ascetica da eremi-
ti, altri ancora si suicidarono perch avviliti dalla loro inconclu-
denza; le figlie predilette invece, morse dalla loro stessa isteria e
fame damore finivano quasi sempre per diventare prostitute o
pazze. Muovendosi a caso nel mondo, senza la guida di Dio nel-
la coscienza, i figli prediletti pur cercandosi affannosamente non
si incontravano quasi mai nella vita, rimanendo soli o acconten-
tandosi di compagni affini al temperamento della loro anima ge-
mella. Il primo figlio prediletto che ebbe una certa risonanza nel-
la storia fu il faraone egizio Ramses II, che era talmente ossessio-
nato dalla sua smania di onnipotenza da dichiararsi lui stesso
unemanazione terrena della divinit: blaterava di essere il figlio
di Amon, dio del sole. In effetti, non era andato tanto lontano
dalla verit, ma aveva dimenticato del tutto quale fossero le vere
responsabilit e i compiti di un figlio di Dio sceso sulla terra. Ac-
cecato dalla ricerca vana del potere, Ramses condusse diverse
campagne militari di conquista nel vicino Medio Oriente e infa-
stidito dalla ferrea disciplina religiosa del popolo ebreo, fu il
principale responsabile del loro lungo periodo di schiavit in
Egitto. Ramses, come tutti gli angeli che si trasformano in demo-
ni, non ammetteva che potesse esistere sulla terra un dio pi po-
tente e gagliardo del suo e la devozione cos assoluta e capillare
del popolo ebreo verso un altro dio era per lui un affronto intol-
lerabile. A quel tempo lanelito verso la divinit era solo un pre-
testo per avere una legittimazione ulteriore del proprio potere
terreno e nessuno poteva intuire che per capire davvero lessenza
di Dio bisognava guardare attentamente gli occhi di un bambino.
Le visioni del mondo ultraterreno erano piuttosto confuse, la
realt della terra sembrava a tutti lunica possibile e praticabile; le
manifestazioni della natura erano considerate messaggi o puni-
zioni di un dio violento e vendicativo, che tramite la natura stes-
sa partecipava agli eventi umani. La vera realt invece era unal-
tra: Dio usava la natura in modo scientifico e matematico. Nono-
stante alcuni accadimenti potessero apparire ingiusti e ingiustifi-
cati, Dio era spesso costretto ad utilizzare le calamit naturali per
eliminare la parte ormai eccedente ed inutile dellumanit e con-

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sentire ai nuovi arrivati di migliorare le condizioni di vita di ogni


singola comunit sparpagliata per il globo.
Intanto, mentre le armi dei demoni riecheggiavano nei campi
di guerra, i pochi illuminati che vivevano raminghi e dispersi per
il mondo si caricavano da soli lenorme fardello di portare avanti
il cammino della civilt. Sulle coste dellAntiochia e nel Pelopon-
neso si formarono le prime comunit agricole di quello che poi
diventer uno dei poli culturali pi importanti di tutta lantichi-
t: il rinascimento greco era ormai alle porte. Dappertutto co-
minciarono a costituirsi scuole di matematici, poeti, filosofi,
astronomi, perch si era diffusa la convinzione che lo splendore
di un popolo o di una nazione dipendesse dal grado di istruzione
dei suoi cittadini pi illustri. A tal fine i regnanti cominciarono a
riempire le loro corti di dotti provenienti da tutto il mondo e si
crearono le premesse per la prima grande ricerca della verit. Il
cantore viandante Omero, sebbene fiaccato dalla cecit, compo-
nendo a memoria i suoi due straordinari poemi epici, lIliade e
lOdissea, dimostr alla gente pi ignobile e rassegnata quali vet-
te di perfezione si potevano raggiungere utilizzando appieno il
proprio intelletto e la propria sensibilit poetica. La grande lette-
ratura inizia e finisce con Omero, perch tutto ci che verr scrit-
to in seguito sar uno sviluppo dei temi gi trattati dal sommo
poeta. Narrando le leggendarie vicende della guerra di Troia e le
mitiche peregrinazioni di Ulisse, Omero aveva fissato alcune del-
le tendenze pi becere e sublimi dellanima umana: labitudine
degli uomini feroci di dimostrare in guerra il proprio valore per-
ch intimoriti dalle pi complicate sfide della vita quotidiana, il
ruolo della donna allinterno delle contese belliche, lamore e la-
micizia come uniche forme di riscatto della propria esistenza, lir-
refrenabile voglia di ricerca degli uomini pi brillanti e curiosi.
Se uno dei figli prediletti avesse avuto la stessa capacit di di-
scernimento del grande Omero, le cose sulle terra sarebbero an-
date ben diversamente. Ma invece, i figli prediletti continuarono
a fallire miseramente le loro missioni: sia quelli che venivano fat-
ti nascere negli ambienti pi ricchi ed istruiti, sia quelli che do-
vevano fin da subito adattarsi alle difficolt e alle ristrettezze del-
la povert, non andavano mai oltre la farneticazione confusa di

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progetti ambiziosi e la sterile inclinazione alla bellezza e alla ma-


gnificenza. Il re babilonese Nabucodonosor, sebbene abbia avu-
to il merito di rendere la citt di Babilonia una vera meraviglia
con i suoi lussuosi palazzi e giardini pensili, scelse pure lui la
guerra come strumento pi rapido ed efficace per la sottomissio-
ne di tutti gli uomini della terra: il sovrano era un fanatico devo-
to del suo dio della guerra e irritato anche lui dalla compattezza
di culto del popolo ebraico, decise di imporre a quella gente co-
s fortemente assoggettata alla volont del suo dio una coatta pri-
gionia nella citt di Babilonia. La situazione generale era ancora
troppo turbolenta per favorire un accordo pacifico fra i vari po-
poli e in attesa di tempi migliori Dio dovette accettare la guerra
fra i demoni, sui quali non aveva alcuna influenza, come un male
necessario da subire per giungere alla realizzazione del suo sogno
di pace universale. Lopera di mistificazione dei sacerdoti e delle
caste religiose era troppo estesa e oppressiva per consentire a
chiunque una pi logica ricerca delle verit ultime della vita e pur
di ingraziarsi il favore dei regnanti, i sacerdoti non si fecero scru-
poli ad inventare di volta in volta divinit che fossero quanto pi
possibili simili, nella brutalit e nel temperamento, allindole dei
sovrani. Divinit vecchie, decadenti con una spiccata inclinazio-
ne al Nulla, al declino, alle regole del potere e dellasservimento.
Lo scopo delle classi dominanti era sempre lo stesso: tenere sot-
to controllo il popolo affinch nessuno ardisse sovvertire lordine
sociale costituito.
La prima grande ondata di pensiero libero si svilupp nelle re-
gioni dedite al commercio che meno subivano la pervicace e asfis-
siante opera di imbavagliamento di governanti e sacerdoti. Talete
da Mileto fu il primo dei sette grandi saggi della storia antica.
Studiando alcune regole di proporzionalit fra le rette e le figure
geometriche, Talete intu che la matematica era una disciplina
piena di leggi universali che potevano essere applicate a qualun-
que caso o problema dellesperienza. Ispirato da questa scoperta,
Talete si convinse che il mondo nella sua interezza fosse regolato
da un unico principio unificante, che dopo ripetute osservazioni
individu nellacqua. Liscrizione riportata sul tempio delloraco-
lo di Delfi che viene fatta risalire a Talete, un magnifico esem-

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pio di sintesi educativa: Ti avverto, chiunque tu sia. Oh tu che


desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trova-
re dentro te stesso ci che cerchi non potrai trovarlo nemmeno
fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di tro-
vare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.
Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai lUniverso e gli Dei.
I successori di Talete, Anassimene, Anassimandro e Anassago-
ra continuarono lopera del maestro, fissando il principio ultimo
delle cose prima nellaria, nel fuoco, nello spirito. Le loro con-
clusioni per erano basate quasi sempre su valutazioni sensibili
della realt circostante e si limitavano ad analizzare per induzio-
ne una molteplicit di casi particolari per giungere al principio
generale che governa tutta la Natura. Con Parmenide di Elea si
ebbe il primo importante strappo nella storia del pensiero. Diffi-
dando dalla conoscenza fallace che proviene dai sensi, Parmeni-
de sosteneva che soltanto lintelletto poteva ambire a compren-
dere la reale essenza della verit. La cosiddetta realt e la natura
erano per Parmenide una mera illusione, una finzione, una par-
venza mentre attraverso la riflessione interiore e il ragionamento
chiunque avrebbe potuto capire la sostanza dellunico Essere che
permea tutto ci che esiste e non passibile di corruzione: lEs-
sere e non pu non essere, il non Essere non e non pu esse-
re. In pratica, per la prima volta nella storia, Parmenide cre una
frattura fra il mondo sensibile esteriore e quello interiore, che vi-
ve nella coscienza, concedendo molto pi credito al secondo ri-
spetto al primo. Le caratteristiche dellEssere erano inequivoca-
bili e molto simili alle qualit in genere associate alla divinit:
unico, immutabile, ingenerato, omogeneo, immobile, eterno.
Parmenide aveva intuito che la realt circostante, sperimentata
dai sensi fisici, nascondesse un fondo di impalpabilit ed evane-
scenza, come se fosse un sogno, ma non aveva capito quanto
complicato e raffinato fosse questo sogno. In contrapposizione
con Parmenide, Eraclito da Efeso individu il principio origina-
rio di ogni cosa nel cambiamento e nel divenire: panta rei, tut-
to scorre. Lunica cosa certa che possiamo affermare del mondo
infatti che esso non sar mai uguale a se stesso e nellimpossibili-
t di fermare il corso degli eventi stava il senso ultimo della vita.

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Eraclito con linguaggio molto oscuro e criptico, esprimeva come


Parmenide la convinzione che il mondo fosse permeato da un
unico Essere, che presente in tutte le cose, ma al contrario del
filosofo di Elea, sosteneva che la caratteristica principale di que-
sta entit primigenia non fosse limperturbabile staticit, ma
linarrestabile dinamismo. Per capire meglio la sostanza di questo
Essere, bisognava conoscere e sviscerare a fondo la dottrina degli
opposti contrari: niente potrebbe esistere se nello stesso tempo
non esistesse anche il suo opposto. Il cambiamento scaturisce
dallo scontro e dalla successiva sintesi di due concetti opposti e
contrari che in quanto tali lottano fra loro, ma non possono fare
a meno luno nellaltro, dato che vivono solo uno in virt dellal-
tro. Eraclito aveva quindi intuito mirabilmente quale fosse la leg-
ge universale della natura e in quale maniera Dio agisse non solo
sulla materia, per consentire un qualsiasi cambiamento fisico, ma
anche nelleterno connubio e scontro delle anime gemelle, che
con le loro alterne vicende rappresentavano la leva maggiore su
cui si basava levoluzione dellintera civilt. Eraclito sosteneva
che non tutti gli uomini della terra potevano comprendere la bel-
lezza e la perfezione di questi principi, perch gli individui si di-
vidono in due grandi categorie: gli uomini comuni, i dormienti,
che vivono in uno stato vegetativo, in preda agli istinti e incapaci
di riflettere e indagare la coscienza e gli illuminati, gli svegli, os-
sia quelle persone che andando oltre le apparenze, sanno coglie-
re il senso intrinseco delle cose.
A grandi falcate, erano stati compiuti passi da gigante nel cam-
mino di ricerca della verit. Limmagine del Dio semplice e su-
perficiale che era stata fornita dalle suggestioni mistiche e dalle
superstiziose macchinazioni dei sacerdoti per coprire le magagne
delle classi dominanti, veniva ampliata e arricchita con concetti
molto pi complessi e articolati: se Dio cera, questo non aveva
pi lespressione severa di un guerriero o di un legislatore, ma
quella pi pacata e serena di un matematico, di un fisico, di un fi-
losofo, di un poeta. Nella creazione del mondo si nascondeva
qualcosa di geniale e misterioso che doveva essere scoperto gra-
zie al costante utilizzo dellintelletto e allinebriante impulso del-
la passione. Fra i grandi pensatori greci si era messo in moto un

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circuito virtuoso che non aveva precedenti nella storia, in cui


ognuno aveva limpressione di correre per conto suo, ma non si
accorgeva invece di procedere in unico verso insieme a tutti gli
altri, elevando le facolt e la capacit dellintelletto umano fino a
vette che prima di allora erano considerate inarrivabili. Quando
arriv Socrate, il pensiero umano fece una grande sterzata nel
cielo: il filosofo di Atene devi lattenzione dallo studio della na-
tura e dei suoi principi per concentrarsi sulluomo, sulla sua co-
scienza, sulla sua anima.
Socrate dimostr subito una notevole capacit di utilizzo del
linguaggio e della logica per dare maggiore forza alle sue tesi e
diede prova con la sua maestria di quali meraviglie fossero con-
tenute, non solo nel mondo della natura, ma anche allinterno
della coscienza umana; con una buona padronanza delle parole e
dei concetti e tenendo sempre alta limmaginazione, Socrate riu-
sc a dimostrare supposizioni, quali limmortalit dellanima e la
creazione finalistica del mondo, alle quali gli uomini erano abi-
tuati ad aggrapparsi soltanto per fede e cieca devozione. Con il
suo stesso esempio di vita, Socrate rese palese ai bifolchi e ai tro-
gloditi che ancora vivevano in uno stato di semibestialit quali
successi si potevano raggiungere con lo sviluppo della ragione e
della virt, per affrancarsi sempre di pi dal deleterio assillo dei
sensi e degli istinti animaleschi. Il maestro insegn al suo popolo
con quali mezzi bisognava scavare dentro se stessi alla ricerca
della propria verit, cio tramite lintelletto e la sapienza e per
ironia della sorte, fu accusato di mancato rispetto ad una delle
tante stupide tradizioni delle divinit popolari. Malgrado avesse
avuto diverse possibilit di salvarsi dalla condanna, Socrate volle
affrontare con coraggio e coerenza le pastoie di un processo ini-
quo e ingiusto, perch per lui era molto pi importante spiegare
pubblicamente le sue ragioni, accettando dignitosamente le leggi
allora vigenti, che scappare come un disertore per salvare la pel-
le. Socrate fu il primo grande illuminato della storia a subire la ri-
torsione cruenta dei demoni e delle nullit che proliferano in
ogni epoca e quei trecento smidollati e ignoranti membri della
corte che emisero il verdetto di condanna, sebbene non avessero
capito neppure una parola dellappassionata apologia del grande

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maestro, ricorderanno bene per tutta leternit, sia nel loro dub-
bio che nelle loro continue visioni, la figura incorruttibile di quel
genio imperituro di moralit e intelligenza.
Dopo la morte di Socrate, il testimone della conoscenza pass
idealmente ad uno dei suoi pi fedeli discepoli: Platone. Ripren-
dendo la lezione del maestro sullimportanza della dialettica, Pla-
tone ricuc quella frattura che si era creata fra il mondo sensibile
e quello intelligibile, con uno stratagemma che denota una fanta-
sia non tanto lontana dalla realt dei fatti: il mondo che vediamo
fuori di noi, con i nostri occhi, unimitazione imperfetta di un
mondo ideale, chiamato Iperuranio, dove ogni cosa perfetta e
non passibile di corruzione. Siccome la nostra anima immorta-
le e proviene da quel mondo, tutto ci che si agita in noi, nella
nostra coscienza un ricordo di quelle idee e visioni perfette: an-
che la nostra tensione verso il bene, la giustizia, lamore, la liber-
t dipende da questa diretta discendenza. Lo scopo degli uomini
quindi quello di avvicinare quanto pi possibile questo mondo
alla perfezione dellaltro mondo, che esiste sempre dentro di noi,
nella nostra immaginazione e lo stesso Platone si adoper attiva-
mente in politica affinch la situazione di convivenza sociale mi-
gliorasse: anche lui per, che rappresentava uneccezione, una
fiammella di luce in mezzo alle tenebre, dovette scontrarsi con la
scadente tempra morale della maggioranza dei suoi contempora-
nei. Nel Convivio poi, Platone teorizz per primo il concetto di
anime gemelle, utilizzando brillanti metafore e includendo nella
lista delle coppie naturali anche quelle omosessuali, sia maschili
che femminili. Un passo avanti niente male per un pensatore che
vissuto quattro secoli prima di Ges e per sua fortuna non
avrebbe mai conosciuto le aberranti privazioni e censure imposte
dalla dottrina religiosa al Nazareno indebitamente ispirata.
Dopo i voli pindarici condotti dai grandi filosofi greci per
giungere allessenza delle cose, era arrivato il momento di rimet-
tere i piedi per terra: il mondo conobbe Aristotele da Stagira,
uno degli uomini pi colti e dotti di tutti i tempi. Alla faccia del-
la becera tendenza dei miei contemporanei di rifugiarsi nella spe-
cializzazione per paura di confrontarsi con gli orizzonti sconfina-
ti della conoscenza, Aristotele voleva sapere tutto: nella sua vasta

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opera enciclopedica si occup di fisica, matematica, logica, bio-


logia, metrica, poesia, commedia, tragedia; con la luce chiara e
cristallina della sua mente ordinatrice Aristotele tocc quasi tutti
i campi dello scibile umano, cercando di catalogare e riassumere
quellammasso di nozioni e conoscenze che fino ad allora erano
rimaste confuse e sparpagliate nel caos pi assoluto. Aristotele
il modello perfetto dello scienziato e del filosofo che non pone li-
miti al suo sapere e sar un esempio e un punto di riferimento
per tutti gli studiosi successivi. Avendo meno immaginazione dei
predecessori, Aristotele si limitava ai dati di fatto, fornendo una
spiegazione logica e scientifica ad ogni evento naturale: ogni
cambiamento che avviene sulla terra causato ed a sua volta
causa di un effetto secondario, e risalendo a ritroso questa lunga
sequenza di cause ed effetti, necessario postulare la presenza di
un Ente Primigenio che pur non essendo causato o generato da
alcunch, causa ultima di qualunque effetto. Dio quindi non
solo, come sosteneva Platone, un Demiurgo che plasma il mondo
sensibile secondo la sua personale volont e seguendo un suo
ipotetico disegno di perfezione, ma anche una presenza costante
e immanente nel mondo, senza il quale nessuna cosa potrebbe
agire e muoversi. Quella spaccatura che prima veniva effettuata
fra mondo sensibile ed ideale, come se queste due sfere dellesi-
stenza fossero la tesi e lantitesi di un inconciliabile scontro dia-
lettico, viene adesso ricomposta da Aristotele nellunica sintesi e
unione possibile.
Limmagine di Dio come Primo Motore Immobile delluniver-
so infatti quella che meglio sintetizza il ruolo di un Dio, che ol-
tre a creare dal nulla un inizio, rimane nelluniverso a guidare e
veicolare ogni mutazione della sua creazione. Essendo Dio luni-
ca entit a possedere una lungimirante consapevolezza dei possi-
bili risvolti di una qualsiasi azione, ovvio che solo a Lui pu es-
sere demandata la scelta di decidere quale cambiamento possa
passare dallo stato potenziale a quello attuale. In un mondo per
cos perfettamente finalizzato, rimane aperto il problema del li-
bero arbitrio delluomo; ad Aristotele non poteva di certo sfuggi-
re che luomo sia lunica creatura delluniverso a deviare volonta-
riamente dalla direzione del Bene per fare volutamente il Male e

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questo aspetto spregevole e malvagio dellumanit lunica sfu-


matura che mancava al filosofo di Stagira per chiudere la sua mi-
rabile scatola magica. Per evitare di mettersi in discussione, an-
che Aristotele come la maggior parte degli intellettuali dellepoca
e seguendo la lezione di Socrate, sosteneva che luomo fa il male
per ignoranza del bene e la liberazione dagli istinti malsani pu
avvenire soltanto tramite la conoscenza e lamore per la sapienza.
Di conseguenza luomo saggio anche il pi virtuoso. Ma in ef-
fetti non sempre cos. Questo latteggiamento tipico di chi ha
scelto di tirarsi fuori dalla mischia, isolandosi nel proprio recinto
di belle nozioni e mirabolanti acrobazie dialettiche, per evitare
qualsiasi accusa di complicit. Tuttavia una cosa predicare e co-
noscere il Bene, unaltra cosa praticarlo, diffonderlo, speri-
mentarlo giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. Paradossal-
mente sar il pi illustre discepolo di Aristotele, Alessandro Ma-
gno, a confutare con tutti i suoi errori in vita gli insegnamenti
eruditi del grande maestro.
Dio aveva scelto di far nascere Alessandro, il suo ultimo figlio
prediletto inviato sulla terra, alla corte del monarca Filippo, in
Macedonia, in una regione che stava vivendo un forte periodo di
espansione e rinnovamento. Aristotele fu per molti anni il precet-
tore del giovane principe, ma Alessandro, pur avendo i mezzi e
gli strumenti giusti per sciogliere gran parte dei misteri e dei di-
lemmi della vita, decise di sottrarsi ai suoi doveri e di gettarsi nel-
la guerra per dimenticare tutte le sue responsabilit. La sete di
conquista del giovane condottiero non aveva limiti e dopo avere
invaso con i suoi eserciti le floride terre della Persia, Alessandro
affascinato dalle ricchezze e dal progresso culturale di quei popo-
li guid i cavalli e i soldati ancora oltre, fino ai confini dellIndia,
per sottomettere alla sua tirannia quella sconosciuta civilt. Per-
siani, arabi e indiani, cos come i cinesi avevano contribuito con
le loro scoperte e innovazioni a migliorare la tecnica, ad affinare
le conoscenze matematiche e filosofiche, ad aprire nuovi scenari
nella visione astronomica delluniverso e Alessandro, che era na-
to per conoscere tutto, non poteva rimanere indifferente ai ri-
chiami di quelle sinuose sirene. Per fortuna la malattia stronc sul
nascere i suoi distruttivi propositi bellici e Alessandro mor a soli

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trentatre anni a Babilonia. Si dice che spesso il giovane principe


sognasse di essere il figlio di Zeus o di Amon il dio degli egizi, ma
Alessandro che aveva preso poco sul serio le teorie secondo le
quali il mondo era un coacervo di illusioni, di fenomeni e appa-
renze, non cap mai quale fosse il limite fra il sogno e la realt.
Con Alessandro si chiuse nel sangue il periodo doro della ci-
vilt greca, che rappresent per molti secoli la vetta pi alta del
pensiero e della consapevolezza umana. I grandi filosofi avevano
tracciato il sentiero sul quale insistere per arrivare alla verit ulti-
ma delle cose e sarebbe impossibile fare un elenco di tutti i poe-
ti, i letterati, i matematici, gli artisti che diedero con le loro ope-
re un impulso decisivo allelevazione della spiritualit umana:
Saffo, Aristofane, Sofocle, Euripide, Eschilo, Fidia, Pitagora, Eu-
clide, Epicuro e tanti altri. Persino la religione, che risulta spesso
lespressione pi infantile e istintiva di un popolo, aveva fornito
unimmagine delle divinit molto simile a quella reale: Zeus, che
rappresentava il dio principale, aveva il doppio volto di un vec-
chio e di un bambino ed era circondato da una serie di divinit
minori, sia maschili che femminili, che rispecchiavano per certi
versi gran parte degli atteggiamenti e delle caratteristiche pi co-
muni degli uomini. Apollo era il dio bello, giudizioso, equilibra-
to, Minerva era la dea curiosa e intraprendente, Afrodite era la
dea capricciosa e civettuola, Dioniso era il dio ribelle, geniale ed
ingestibile, Cupido che era il dio dellamore veniva immaginato e
raffigurato con laspetto di un bambino. Dio non aveva solo gui-
dato lintelletto degli illuminati, ma ad intermittenza era riuscito
anche ad incunearsi nelle coscienze delle nullit, per costringerli
ad immaginare e diffondere visioni sempre pi vicine alla vera
realt della vita. Ovviamente esistevano ancora grossi passi avan-
ti da fare: se si pensa che a Sparta i bambini neonati ritenuti trop-
po fragili e malaticci per diventare dei futuri guerrieri venivano
gettati fra le acque del fiume Eurota, si pu intuire benissimo in
quale situazione di barbarie e arretratezza culturale vivessero cer-
te frange dellumanit.
La civilt dominante che segu quella greca, limpero romano,
non apport nessun miglioramento significativo al cammino di
conoscenza degli uomini. Se si escludono i progressi effettuati

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nella scienza delle costruzioni e nella gestione delle leggi dellam-


ministrazione pubblica, i romani rappresentarono per molti se-
coli una scommessa persa da parte di Dio. I romani erano un po-
polo fondato su valori pratici e spiccioli, basati sulla forza e sullo
scontro fisico e non riuscirono mai ad uscire dalla fobia dei sensi
e delle passioni corporali per scoprire davvero qualcosa di nuo-
vo. Tutta la loro cultura appare nel complesso una copia un po
triviale e dozzinale di quella greca e nonostante la presenza di al-
cune eccellenze nellarte e nella letteratura, come Seneca e Lu-
crezio, il pensiero romano non crebbe mai fino ai livelli di quello
greco, rimanendo quasi incubato come un germe nelle prime fa-
si di sviluppo. Daltra parte la politica di espansione bellica e la
modalit con cui venivano organizzati i territori conquistati non
prevedeva una rielaborazione critica e nuova delle nozioni acqui-
site, ma soltanto un mantenimento ad oltranza di ci che era gi
esistente: il motto dividi et impera rimarr fino ai nostri giorni
il principale codice di condotta dei demoni, per mantenere un
perenne stato di bellicosit fra i popoli e per impedire lunifica-
zione di quel marasma sempre crescente di riflessioni, conoscen-
ze, intuizioni che veniva rinfocolato dagli elementi pi vivaci e fe-
condi delle varie culture.
Assillato dalla pressione autoritaria delle classi dominati e da
necessit di pura sopravvivenza, il popolo veniva ridotto alla pi
bieca ignoranza, diviso in caste, in gruppi di potere, in trib che
rimanevano ostili fra di loro e nel contempo succubi di fronte al-
la spada dei conquistatori di turno. Le forme persuasive di pro-
paganda utilizzate poi da demoni per esaltare la figura del guer-
riero violento a discapito del pensatore pacifista catturarono tal-
mente a fondo limmaginario collettivo da lasciare strascichi an-
cora oggi, nella cosiddetta civilt moderna: noi associamo molto
spesso la parola eroe allimmagine del soldato forte che sbaraglia
i suoi nemici a colpi di spada e quasi mai a quella delluomo che
sopporta atroci sofferenze, la solitudine, lemarginazione pur di
difendere la propria purezza, la propria libert, la propria inno-
cenza. difficile per gli uomini cambiare certe cattive abitudini.
Secondo le previsioni di Dio, Annibale, il figlio prediletto ve-
nuto dallAfrica, avrebbe dovuto ridare una scossa decisiva al

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cammino di ricerca della verit: ma come tutti i suoi predecesso-


ri anche lui impazz e arm un esercito grandioso per conquista-
re il mondo con la violenza e con il terrore. Per fortuna Anniba-
le mor presto, ancora giovane, prima di combinare altri disastri.
Nonostante Dio non riesca ad influenzare in alcun modo le deci-
sioni dei demoni e agisca in maniera blanda sulle coscienze delle
nullit, spesso capace di deviare gli eventi secondo la sua vo-
lont. In questo senso limpresa di Scipione lAfricano, che di-
strusse Cartagine e annient le velleit belliche di Annibale, fu
benedetta dal cielo, perch in caso contrario sarebbero seguiti
molti e pi gravi spargimenti di sangue. Annibale, infuocato dai
suoi scoppiettanti ardimenti divini, non si sarebbe infatti fermato
se prima non avesse avuto la certezza di avere sottomesso tutti i
popoli del mondo conosciuto. E visto che gli uomini non aveva-
no alcuna intenzione di smettere di giocare alla guerra, Dio fu co-
stretto per tanti secoli a scegliere il minore fra i due mali, che in
questo caso era rappresentato dallegemonia per nulla gradita del
popolo romano.
La coppia di figli prediletti che dopo Annibale, usc dallano-
nimato e assurse per qualche tempo agli onori della cronaca, non
fece di certo meglio dello spietato guerriero cartaginese. Marco
Antonio e Cleopatra non andarono mai oltre la loro sfrenata pas-
sione sentimentale per capire il senso pi ampio e profondo del-
la loro unione. Marco Antonio aveva tutte le caratteristiche per
diventare un grande uomo politico e un trascinatore di folle, ma
intimorito dalla fatica che comporta qualsiasi azione di rinnova-
mento pacifico della societ, scelse anche lui la guerra e lo scon-
tro fisico quale strumento pi rapido per giungere al potere.
Daltra parte, lambiziosa regina egiziana appoggi e incoraggi
tutte le azioni militari del suo compagno, perch sentendo anche
lei qualcosa di grande che si agitava nella sua coscienza, doveva
in qualche modo sfamare la sua brama di dominio. Quando Mar-
co Antonio perse la battaglia contro la flotta di Ottaviano ad
Azio, non esit a conficcare una lancia sul terreno e a gettarsi in
corsa sulla punta acuminata. E questa, insieme al celebre discor-
so commemorativo in onore dellamico defunto Giulio Cesare,
rimane lunica azione degna di rispetto compiuta dal giovane se-

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natore romano. Non appena Cleopatra apprese la notizia del sui-


cidio del suo amato, anche lei si lasci andare alla disperazione e
siccome non avrebbe mai sopportato di vivere senza di lui e sen-
za la speranza di successo, si abbandon al morso letale delle
aspidi. Forse, soltanto qualche istante prima di morire, i due
amanti si resero conto di tutti gli errori commessi durante la loro
breve vita, in quanto, sebbene avessero avuto diverse opportuni-
t per cambiare rotta, non ebbero mai la forza e il coraggio di
porre rimedio agli spregevoli vizi alimentati dal lusso, dalla vani-
t, dalla superbia.
Dopo il fallimento di Antonio e Cleopatra, Dio tent di gioca-
re una carta a sorpresa e invi il suo primo figlio prediletto, il
bambino buono e giudizioso, in una terra martoriata dalle pre-
potenze dei demoni e in una famiglia molto povera; fu cos che
una piccola minoranza di uomini ebbe la possibilit e lonore di
conoscere il pi grande uomo che mai abbia messo piede su que-
sto pianeta: Ges di Nazaret. Ges fu e sar per sempre il vero
spartiacque fra la notte e il giorno della civilt. Il raggio di luce
che con la semplicit fanciullesca e innocente di un bambino
squarci la coltre impenetrabile delle tenebre, per ridare speran-
za a tutti i sogni degli uomini.

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CAPITOLO 18

Ges

Ges nacque in un periodo storico in cui il cammino di cono-


scenza degli uomini pareva essersi arrestato bruscamente. La ter-
ra era devastata da continue guerre e Dio stava quasi per perde-
re ogni speranza di salvezza per gli uomini. Bisognava correre ai
ripari. La strategia di far nascere i figli prediletti in ambienti ric-
chi e culturalmente evoluti aveva creato soprattutto spietati con-
dottieri e avidi regnanti, mentre i figli prediletti che provenivano
dalla miseria e della povert non erano riusciti ad emergere dal-
lanonimato. Se nessuno dei figli prediletti inviati sulla terra era
stato capace di andare oltre le proprie debolezze umane, per sco-
prire qualcosa di nuovo sul proprio legame originario e primige-
nio con Dio, era molto difficile pretendere qualcosa di meglio da-
gli altri uomini, che possedevano unanima pi giovane e meno
consapevole della propria discendenza divina. In virt di questo
differente grado di attaccamento a Dio, solo i figli prediletti po-
tevano infatti avere la forza e la fiducia necessaria per capire fino
in fondo il Grande Sogno di Dio, superando i vertiginosi abissi
dellincredulit e convincendo anche gli altri sulla complessit il-
lusoria del gioco della vita. E chi meglio del primo figlio predi-
letto, lanima pi antica e primordiale del creato dopo quella di
Dio stesso, il bambino buono e giudizioso, poteva riuscire in
questa impresa?
Ges fu concepito da una giovane ragazza giudea, Maria, che
essendo molto ingenua e acerba era stata trascinata in una travol-
gente passione amorosa da un aitante nomade dei deserti. Ovvia-
mente la storia dello Spirito Santo che ingravid la ragazza anco-
ra vergine era una balla colossale, perch Dio non poteva usare
questi stratagemmi per venire meno alle regole del suo gioco: tut-
to ci che avveniva sulla terra doveva seguire lordine naturale

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delle cose e i cosiddetti miracoli potevano scaturire soltanto dai


comportamenti virtuosi degli uomini. Rimasta incinta, Maria de-
cise di sposare un anziano falegname e carpentiere di nome Giu-
seppe, che per tutta la vita am la fanciulla e il suo piccolo bam-
bino di un amore puro e sincero. Ges crebbe quindi in una fa-
miglia dove convivevano insieme le due anime opposte dellesi-
stenza umana: linnocente giovinezza di Maria e la saggia pacatezza
di Giuseppe. E il bambino impar subito da entrambi i genitori
larte di rimanere in equilibrio fra queste due atteggiamenti ap-
parentemente contrastanti di intendere e affrontare la vita. Ges
dimostr ben presto una totale avversit per tutti i lavori manua-
li, perch come tutti gli altri figli prediletti scesi sulla terra prima
di lui, le caratteristiche della sua anima mortale erano orientate e
sbilanciate in favore della discipline teoriche. Poesia e matemati-
ca innanzitutto.
Fin da piccolo, Ges mostr uninclinazione portentosa verso
lo studio, ma siccome in quelle remote regioni del mondo lunica
fonte di apprendimento filosofico erano i testi sacri della religio-
ne ebraica, per saziare la sua incredibile fame di conoscenza, il
bambino dovette accontentarsi di quelle stramberie un po con-
fuse e visionarie messe a punto dai presunti profeti biblici. In
mezzo ad una massa di stupidaggini riguardanti la creazione e il
temperamento spesso scontroso e vendicativo di un dio troppo
simile agli uomini corrotti, nel Vecchio Testamento della Bibbia
cerano tuttavia spunti di riflessione molto interessanti da dove
attingere, presenti soprattutto nei libri della Sapienza, nei Pro-
verbi, nel Cantico dei Cantici, nellEcclesiaste, nel Libro di Giob-
be. La visione di Dio che cominciava a nascere nellanima del
giovane Ges era per distante anni luce da quellentit per mol-
ti versi astratta e incomprensibile che tutti si limitavano a venera-
re in maniera vuota, asfittica, rituale. Il Dio di Ges era una pre-
senza viva e costante in ogni attimo della giornata e si rifletteva
continuamente nelle bellezze del mondo, che affioravano dal fan-
go delle devastazioni umane come fiori in mezzo ad unalluvione.
Ges aveva la capacit straordinaria di vedere le piccole cose che
nascono con forza in mezzo alle cose grandi e di dare alle prime
unimportanza superiore che alle seconde: la rosa che nasce fra le

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crepe di un muro molto pi significativa dellimmenso edificio


fatiscente che presto andr in frantumi. Ges stesso si sentiva co-
me uneccezione in mezzo ad una massa di uomini barbari, in-
colti, analfabeti, piegati da unatavica stanchezza esistenziale e
rassegnati a condurre una vita misera e opprimente. Ges con-
visse tutto sommato serenamente con questa sua diversit fino al-
let matura, finch non conobbe Maddalena, la donna che in
breve tempo avrebbe cambiato per sempre le sorti della sua vita
e della storia intera. Con perfetto sincronismo di tempi e di luo-
ghi, lAmore diede limpulso giusto al momento giusto.
Questo incontro, in apparenza casuale, mut radicalmente e in
modo decisivo ogni certezza o conoscenza che Ges aveva in
precedenza acquisito. Lamore divenne il suo unico punto fermo
e lo snodo di partenza da cui sarebbero saettate senza fine tutte
le sue successive intuizioni. Dio stesso era Amore. Laspetto in-
grugnito di quella divinit dispotica ed esigente che veniva con
furbizia inculcata nelle masse dai vecchi sacerdoti ebrei non po-
teva pi competere con questa radiosa energia che si scatenava
dal cuore di questo nuovo Dio di Ges. Per il giovane nazareno
innamorato, Dio non era pi un Signore o un Padrone scorbuti-
co a cui bisogna mostrare rispetto e devozione, ma un Padre
amorevole che si prende cura di tutte le sue creature e a fatica
cerca di condurle sulla strada migliore, che a grandi linee era sta-
ta gi tracciata per ognuna di esse. Il sentiero per che Ges co-
mincia a percorrere fuori e dentro se stesso lo porta in breve tem-
po davanti ad un bivio pieno di domande e contraddizioni: chi
sono io? Perch io sento cos diversamente da tutti gli altri uomi-
ni? Qual la missione che io devo compiere qui, sulla terra?
Inizia un periodo molto tormentato della vita di Ges. Il gio-
vane nazareno si isola a meditare da solo per lunghi giorni, cer-
cando continuamente conferme alle sue prime intuizioni. Ges
indaga dappertutto la natura in cerca di segnali e prove definiti-
ve, che per non verranno mai perch la natura come un libro
che cambia aspetto e significato in dipendenza dello stato dani-
mo dellosservatore che guarda e legge le pagine di questo splen-
dido romanzo. Un uomo che prova odio e risentimento nei con-
fronti della vita, vedr nella natura un groviglio ingarbugliato di

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rapporti violenti ed aggressivi dove prevale esclusivamente la leg-


ge del pi forte, mentre soltanto gli individui che per spontanea
inclinazione sono sospinti a volare al di sopra delle apparenze,
potranno capire che limmenso mosaico del mondo viene mante-
nuto insieme da un unico collante, che ha svariate forme e diffe-
renti modalit di impatto: lAmore. Nella coscienza di Ges co-
minci a risuonare forte una voce che ripeteva insistentemente:
Tu sei diverso perch hai una missione molto importante e deli-
cata da compiere qui, sulla terra devi diffondere la legge del-
lamore nel mondo. Ges passo dopo passo si convinse che
lorigine di tutti questi suoi patimenti, fosse qualcosa che aveva a
che fare con i suoi compiti e le sue responsabilit nei confronti
degli altri, di quelli che vivevano ignari della verit, ma non sape-
va come e quale fosse il modo migliore per portare a termine
questa missione.
Per trovare risposte ai mille dilemmi, Ges continu a ritirarsi
in luoghi sempre pi silenziosi ed appartati. Neppure Maddalena
poteva aiutarlo a dipanare quel groviglio di dubbi e tribolazioni,
perch lei stessa non sapeva di essere stata la causa e il fine ulti-
mo di tutte le sue riflessioni; in fondo Ges voleva costringere
tutti i suoi simili ad amare come lui amava, perch soltanto in
questo modo il suo rapporto con Maddalena sarebbe stato pro-
tetto in eterno da tutte le insidie e le brutture del mondo. Fin
quando gli uomini fossero rimasti un branco di bestie selvagge,
in preda agli istinti pi riprovevoli, nessuno avrebbe potuto rite-
nersi al sicuro. Il destino di ognuno era legato ad un filo sottile,
fragile e fugace, come un fuscello di canna in balia del vento. Sol-
tanto in un mondo in pace, dove ognuno si prende cura dellal-
tro, la vita degli uomini sarebbe stata pi certa, sicura, solida.
Nessuno avrebbe pi dovuto temere per la sua incolumit. Nes-
suno sarebbe stato pi vittima di orrori, paure e assurde fatalit.
Nessuno avrebbe dovuto soffrire come lui stava soffrendo. Ges
cominci a riflettere su tutte le circostanze fortuite e le coinci-
denze che avevano costellato ogni istante della sua vita di una lu-
ce quasi invisibile ma intensissima; in mezzo al buio fitto del tem-
po e del passato, inizi ad emergere un sentiero luminoso che do-
po tante deviazioni, cambiamenti di rotta, repentine inversioni,

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lo aveva condotto fino alla rupe isolata dove adesso si trovava


confinato. Sembrava che ogni cosa fosse stata gi scritta da tem-
po. E le domande si accavallavano in modo furibondo allinterno
della sua coscienza: Perch solo io vedo questo preciso disegno?
Da dove proviene tutta questa luce? E dove mi condurr questa
mia smania di capire e comprendere tutto ci che mi accade?.
Dalle zone pi anguste e remote dellanima cominci a risuona-
re, con roboante frastuono, una voce. Netta, precisa, inequivoca-
bile. Questa voce ripeteva con grande ardore: Tu sei il Figlio
Prediletto di Dio e devi dire la verit agli uomini
Il giovane nazareno trasal. Si inginocchi sulla sabbia. Si ran-
nicchi su se stesso. Invoc laiuto del cielo. Questa rivelazione
aveva sconvolto e scompaginato tutti i suoi piani. Dopo ci che
aveva ascoltato da se stesso e circa se stesso, niente poteva essere
pi uguale a prima. Ges si guard intorno, cercando un segnale
definitivo che non arriv mai, perch la natura riesce a parlare
soltanto con il suo linguaggio: il fruscio del vento, il cinguettio
degli uccelli, lo squittio dei topi, lo sciabordio dellacqua. Ogni
cosa, ogni suono, ogni immagine poteva essere un segno della
presenza di Dio, oppure nulla poteva essere ricondotto al suo
Creatore Celeste. Era questo il dilemma pi grande che avvolge-
va con grande fascino e mistero lo spettacolo meraviglioso della
vita. Tutto era normale e straordinario al tempo stesso e veniva
lasciata agli uomini la scelta di decidere quale strada seguire: la
normalit o la fantasia, il sogno. La Grande Scommessa lanciata
al genere umano migliaia di anni prima, prevedeva che nessuno
fosse avvantaggiato nella lunga corsa verso la ricerca della verit:
chi voleva avvicinarsi a Dio non doveva attendere miracoli o altri
eventi straordinari, ma doveva soltanto credere a ci che sentiva
dentro la sua anima e vedere in ogni cosa del mondo un fatto mi-
racoloso. Era questa la sfida pi esaltante a cui erano sottoposti
tutti coloro che cercavano risposte alle loro incessanti domande.
Diffidare da ci che si vede e credere in qualcosa che non si ve-
de, ma si percepisce, si intuisce, si ascolta.
E Ges sentiva vibrare in ognuna delle cellule del suo corpo,
ad un ritmo forsennato, leccitante magia di questa prodigiosa ar-
chitettura. Perfetta in ogni sua parte, dalla pi piccola alla pi

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grande e tuttavia caotica e disordinata, qualora ogni cosa fosse


stata priva di senso. Perdersi in questo pantano di incredibili sin-
cronismi e laceranti contraddizioni significava arrendersi di fron-
te alla follia pi cupa e indecifrabile. Bisognava trovare un nesso
unificante al brulichio di voci, suoni ed eventi in apparenza in-
spiegabili per sottrarsi ai tormenti che attanagliano lanima di
ogni creatura dotata di coscienza e pensiero. E Ges trov presto
ununica risposta che racchiude in germe tutte le altre: lAmore.
LAmore guida il volo degli uccelli. Muove le folate di vento. Si
insinua fra i getti e gli schizzi dellacqua. LAmore lunica espe-
rienza terrena in cui gli uomini possono proiettare i loro inces-
santi aneliti di eternit, immortalit. LAmore parla alla coscienza
degli uomini per indurli a seguire quella strada che nessuno pu
vedere o rintracciare con lausilio degli occhi, ma che tutti posso-
no percepire, avvertire, sentire fra la dolce malia dei loro sogni
pi belli. LAmore quel sentimento dirompente, capace da solo
di tirarti fuori dal baratro della disperazione e dellangoscia di
una realt priva di senso, per rimetterti in piedi dentro lassurda
follia di una favola. E proprio Ges, senza saperlo, stava comin-
ciando a scrivere le prime parole di una fiaba che non avrebbe
mai avuto fine. Era stremato. Ma felice. Da quel momento in poi,
la vita di Ges sar stravolta dalla grandezza di una rivelazione
che non aveva precedenti nella storia. Prima di lui, molti altri uo-
mini avevano creduto, a torto o a ragione, di essere i figli degli dei
mandati sulla terra, ma nessuno di loro aveva avuto la forza di
confidare nellamore e nella solidariet reciproca per raggiungere
i propri scopi, preferendo di gran lunga affidare le proprie ambi-
zioni alla violenza, alla sopraffazione, alla brutalit bieca e ottusa.
Quando Ges scese dalleremo in cui si era volontariamente
esiliato and subito da Maddalena, per rivelare a lei le incredibi-
li verit scoperte. Al contrario di ci che si attendeva, la donna
non sembr per nulla sorpresa o turbata da quelle confessioni.
Maddalena era una ragazza molto fragile e delicata in apparenza,
ma nel suo intimo possedeva la forza e la caparbiet di una crea-
tura eccezionale: lanima della prima Figlia Prediletta di Dio, la
bambina prudente e paziente. Maddalena reag in modo tutto
sommato composto di fronte alleuforia delle parole di Ges,

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perch in fondo sapeva e aveva sempre saputo che quel ragazzo


incontrato quasi per caso sulle strade della Palestina era un uomo
speciale e diverso da tutti gli altri. E Maddalena non era certo da
meno di Ges in quanto a trasporto ed ebbrezza spirituale. En-
trambi avevano infatti la capacit di vedere fin dove gli altri non
avevano nemmeno il coraggio di guardare; entrambi meditavano
e ragionavano su concetti e argomenti che ai pi suscitavano im-
barazzo e timore. Entrambi sfruttavano ogni balzo o sussulto del
loro cuore per volare dritto fino a Dio, sentendo dentro di s
quellinspiegabile vicinanza che gli altri non riuscivano neppure
lontanamente a percepire. Quel legame che teneva avvinte quelle
due splendide creature a Dio era troppo forte e indissolubile ri-
spetto alle confuse farneticazioni di anime infinitamente pi gio-
vani e sprovvedute. E Dio, contrariato dalla lascivia e dalla gret-
tezza degli uomini, sapeva ormai da tempo immemore che sol-
tanto la folle immaginazione di un suo figlio prediletto incarnato
nel corpo di un uomo poteva oltrepassare i confini della cono-
scenza per giungere fino alla consapevolezza ultima della verit.
Malgrado Ges fosse soltanto allinizio della sua lunga vicenda, il
nazareno era gi a quel tempo il primo uomo a varcare con un
piede la soglia del pi grande sogno della storia.
I progressi compiuti da Ges in quella direzione erano entu-
siasmanti. Lass nel cielo e quaggi sulla terra, Amore esultava:
nel suo perenne e frenetico conteggio di probabilit e incrocio di
previsioni, Dio stava rapidamente calcolando che il momento
della verit si stava avvicinando a grandi passi. La sua gioia era
incontenibile: dappertutto era un fiorire di boccioli, petali, fo-
glie, ricami di forme e colori variopinti. Ovunque Ges e Mad-
dalena volgessero il loro sguardo accadeva qualcosa di straordi-
nario: piume bianche di colomba volteggiavano nellaria, fiori si
aprivano alla luce del sole lungo il cammino, uccelli volavano ra-
denti e giocosi davanti al viso allibito dei due amanti. Nulla era
cambiato rispetto a prima, ma lo stato danimo eccitato dei due
ragazzi veniva spontaneamente condotto a notare particolari e
dettagli del mondo su cui in precedenza non si erano mai soffer-
mati. Nellindifferenza generale dei passanti, due anime felici sta-
vano abbandonando la normale quotidianit della vita reale per

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attraversare le porte di ingresso di quel sogno a cui tutti tacita-


mente tendono. Adesso che il cuore di Ges e Maddalena si era
spalancato a dismisura di fronte allamore, il miracolo della vita
poteva avere inizio.
Lenergia portentosa che si sprigionava a fiotti dalle anime di
quei due ragazzi innamorati veniva infatti incanalata da Dio per
deviare il corso naturale degli eventi e per mutare la successione
fisica di certi fenomeni, altrimenti impossibili e irrealizzabili. In
pratica, lanima umana, in talune particolari condizioni di aper-
tura, fiducia e abbandono, funziona come uno specchio invisibi-
le che assorbe, riflette e amplifica lenorme quantit di energia
spirituale presente nelluniverso, creando dappertutto unim-
provvisa eccedenza di energia prima assente nello spazio: secon-
do i patti iniziali del gioco, Dio pu utilizzare questa energia pro-
dotta dagli uomini per alterare e spezzare a suo piacimento la
struttura canonica della realt. In questo modo, pi gli uomini
aprono il cuore alla vita e raggiungono uno stato di armonia ed
equilibrio con il resto del mondo, pi la vita attorno a loro perde
i suoi connotati reali per assumere quelle sfumature fantastiche
ed oniriche che Dio ha sempre immaginato per la vita su questa
terra. I cosiddetti miracoli, o eventi straordinari, non sono altro
che linizio e lavvisaglia di questo repentino cambiamento di re-
gistro e se vero che qualsiasi mutamento, ordinario o straordi-
nario, della natura viene manovrato in modo certosino da Dio,
altrettanto vero che solo questi ultimi, ovvero i prodigi della na-
tura, dipendono da un atto di volont individuale di ogni singo-
lo uomo: lapertura di quella valvola magica chiamata Cuore.
Dio si avvicina agli uomini, soltanto quando gli uomini si avvi-
cinano a Dio.
E per fare ci gli uomini devono innanzitutto credere in un so-
gno, avere fiducia, amare, ma subito dopo capire come funziona
la realt, non fermarsi mai di fronte alle asperit della logica, se-
guire con coraggio i richiami e le indicazioni della propria co-
scienza. Ecco perch lazione di Dio nel mondo sempre subor-
dinata alle scelte intime e pratiche degli uomini e senza lappog-
gio e la collaborazione degli uomini virtuosi e dotati di intelletto,
Dio costretto suo malgrado a mantenere inalterata la rigida im-

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postazione naturale della realt. In questo senso, gli uomini sono


il pi grande miracolo mai compiuto da Dio sulla terra, perch
qualsiasi evento non spiegabile scientificamente pu essere origi-
nato soltanto da un eccesso di energia prodotto dal cuore di un
singolo o di una collettivit di individui. Tutto ci che accadr in
seguito con questa abbondanza di energia sar Dio a deciderlo.
Perch Dio lunico Essere a conoscere tutti i futuri possibili del
mondo. E attimo dopo attimo, pu scegliere quale sia il migliore.
La nascita del Nuovo Mondo quindi una decisione che sta-
ta gi da secoli e millenni preventivata da Dio, ma in ultima istan-
za spetta sempre agli uomini la scelta di aprire la via che stata
gi tracciata. La visione lontana e nebulosa di questo eldorado di
felicit riservata solamente a quelle creature che credono e han-
no sempre creduto che un Nuovo Mondo possa esistere. E in
quel particolare periodo storico, Ges e Maddalena erano gli
unici esseri umani in grado di presagire con chiara e nitida lungi-
miranza linizio di una nuova epoca di pace fra gli uomini e al-
leanza con Dio. Questo loro dono di preveggenza fu insieme la
causa di tanta felicit e il motivo di una prematura condanna.
In quel breve lasso di tempo, in cui i due amanti ebbero la pos-
sibilit di vivere serenamente il loro incantevole connubio, ac-
caddero stranezze di ogni tipo: la levitazione spontanea degli og-
getti, la crescita rapida delle piante, il comportamento insolita-
mente docile di certi animali selvatici, la guarigione repentina dei
malati. Dio attingeva dal serbatoio senza fondo di quelle due ani-
me innamorate per favorire, accelerare e sincronizzare certi feno-
meni naturali che in condizioni normali non sarebbero mai avve-
nuti. Lunica regola o legge fisica che non poteva essere sovverti-
ta era ovviamente la prima, quella iniziale: nulla pu essere crea-
to o dissipato nel nulla e tutto si trasforma. Ma se fuori accadevano
cose strane e prima impensabili, le meravigliose acrobazie menta-
li che si susseguivano dentro la coscienza del nazareno erano an-
cora pi incredibili. Lanima di Ges era in continuo fermento e
veniva incessantemente inondata da una giocosa gragnuola di
pensieri, teorie, frasi spezzate, immagini, ipotesi, congetture, illu-
minanti intuizioni. Dio spingeva sullacceleratore della coscienza
di Ges per costringere il nazareno a capire tutto ci che cera

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ancora da capire. Ma se il giovane messia aveva con relativa faci-


lit compreso limportanza dellamore quale unica chiave di volta
del mistero delluniverso, diverso fu il suo atteggiamento nei con-
fronti dello studio dei principi, dei meccanismi e delle finalit che
regolano la vita nel mondo. Purtroppo il nazareno non aveva gli
strumenti adatti per capire ogni cosa e travolto da quella maesto-
sa mareggiata di eccitazione, commise il suo primo, fatale e forse
pi grande errore: Ges fu tradito dalla fretta di rivelare al mon-
do la sua verit e caus unimprevista precipitazione degli eventi.
Paradossalmente, il primo figlio prediletto di Dio non sfrutt a
dovere le maggiori qualit e virt del suo temperamento: la cal-
ma, la prudenza, la pazienza, la pacatezza di giudizio.
Secondo i piani iniziali di Dio, Ges avrebbe dovuto a questo
punto viaggiare di citt in citt come un filosofo ramingo fino ad
arrivare in Grecia; in quei luoghi il nazareno avrebbe avuto lop-
portunit di studiare e apprendere alcune dottrine di pensiero,
che sarebbero state utili a mettere ordine nel marasma delle sue
estemporanee e disarticolate intuizioni. Ges avrebbe dovuto
leggere ed imparare le teorie di Parmenide, Eraclito, Platone, per
capire a fondo quanto illusoria sia la realt dellesistenza. Ci che
noi chiamiamo fenomeni reali, per i grandi pensatori greci non
era altro che apparenza: la vita un sogno, sentenziavano giusta-
mente. Ges avrebbe dovuto soffermarsi a lungo sugli insegna-
menti morali e logici del grande Socrate, per migliorare le sue
stesse capacit dialettiche, deduttive e dare forza al suo naturale
impulso al Bene. Ges avrebbe dovuto impostare come Aristote-
le un apparato metafisico e descrittivo del mondo che spiegasse
con semplicit agli uomini quali fossero le origini, i principi e gli
scopi ultimi della presenza di Dio nellintero universo. Ges
avrebbe dovuto conoscere e approfondire la visione atomistica
del mondo di Democrito, per comprendere quanto fosse porten-
tosa e capillare la capacit di Dio di gestire e manipolare linfini-
to gioco di aggregazione, separazione, espansione, trasformazio-
ne delle particelle microscopiche, che costituivano e formavano il
tessuto invisibile della materia. Quella stessa materia che fatta
pi di spazi vuoti, di Nulla che di effettiva pienezza. E poi Tale-
te, Euclide, Pitagora, Zenone, Epicuro e tutti gli altri grandi sag-

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gi. Era arrivato insomma il momento di riflettere e meditare in


profondit sul senso della vita, ma preso purtroppo dallansia di
invertire presto quel tragico declino della civilt, Ges non fece
nulla di tutto questo. E rimase in superficie.
Nellattimo stesso in cui Ges rivel ad amici e parenti riuniti
la verit delle sue scoperte, mutarono radicalmente tutte le previ-
sioni di Dio sul cammino terrestre del suo primo figlio predilet-
to. Quella decisione repentina e affrettata, dettata dallamore
sconfinato che Ges avvertiva nei confronti del mondo e della vi-
ta, sconvolse tutti i piani iniziali di Dio e adesso bisognava cam-
biare le carte in tavola. Ges conosceva a memoria molti passag-
gi cruciali delle Sacre Scritture, ma sapeva ben poco di fisica, ma-
tematica, filosofia. Con quel risicato bagaglio di conoscenze fil-
trato dalla sua enorme sensibilit, il nazareno avrebbe di certo
spiegato alla perfezione come bisognava vivere virtuosamente nel
mondo, ma non perch. Privilegiando la pratica, la condotta di
vita rispetto alle cause, alle finalit, la sua opera sarebbe stata per
forza di cose, monca, incompleta. Senza rendersene conto, con-
centrandosi sullaspetto poetico della sua missione a scapito di
quello scientifico, Ges aveva di fatto compiuto diversi passi in-
dietro nel lungo cammino di ricerca della verit. La poesia senza
la matematica come una splendida fenice che non vola e vice-
versa, la matematica senza la poesia simile ad un goffo rospo
che ballonzola dentro uno stagno. Il volo eterno si compie solo
osservando il mondo come uno scienziato e vivendo ogni emo-
zione, dalla pi piccola alla pi grande, come un poeta. Senza
queste due sublimi ali dentro lanima, luomo, lumanit intera
non vola, ma rimane ancorata a terra. A met, fra questo mondo
e il mondo di Dio che vive dentro di noi.
Tuttavia la luce e la passione che sprizzava a fiotti dagli occhi
di Ges trascin molte persone dentro il suo sogno. Le parole del
nazareno parevano davvero provenire da un altro mondo, da
unaltra dimensione. Il suo carisma era in grado di risvegliare le
coscienze degli uomini pi intorpiditi e stanchi. Erano uomini
semplici, dediti ai lavori pi umili, che intravidero nelle parole di
quel ragazzo un appiglio, una speranza di salvezza, un lenitivo
per tutte le loro sofferenze e vessazioni. Nessuno di questi uomi-

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ni fu per in grado di stimolare e aiutare Ges a capire meglio il


senso della sua missione. Sebbene fosse continuamente attornia-
to da gente curiosa ed ammirata, Ges era un uomo solo e cerca-
va spesso la solitudine per ritrovare il bandolo della matassa.
Quando il nazareno ritrovava il silenzio, nella notte, non pregava,
perch come tutti gli uomini saggi riteneva la preghiera un ritua-
le vuoto e insignificante, ma ragionava con la sua stessa coscien-
za, si concentrava sui nodi ancora da sciogliere, rimaneva in
ascolto per mettere ordine a quel turbinio impazzito di ipotesi e
congetture che proveniva dal profondo. Qualcosa riusciva a ca-
pire, ma qualcosa altro veniva perduto per sempre, dimenticato.
Al primo bagliore del mattino.
Ben presto gli echi delle sue imprese miracolose fecero il giro
della Giudea, della Galilea, della Palestina, arrivando anche alle
orecchie di potenti regnanti e di subdoli sacerdoti che temevano
come il peggiore dei mali qualsiasi impulso di cambiamento e ri-
sveglio delle masse. Qualcuno era gi sulle sue tracce. Ges cap
di non avere pi tanto tempo, si sentiva un uomo braccato, do-
veva parlare e comunicare agli uomini tutto ci che aveva ancora
da dire, prima che il silenzio scendesse sulla sua vita. Non appe-
na il nazareno toglieva ogni freno inibitore alla lingua, la sua im-
maginazione disegnava mirabili digressioni di poesia ed etica in
cui ognuno poteva divagare, sognare. In quelle parole, in quelle
metafore era gi contenuta in germe tutta la verit.
Ges consigli ai suoi accoliti di imparare dallinnocenza e dal-
la spontaneit dei bambini, perch appartiene a questi ultimi il
Regno dei Cieli. Ges stimol gli uomini a non sotterrare mai i
propri talenti dietro le false palandrane del dovere e del servili-
smo, perch la rinuncia ai propri sogni equivaleva ad una danna-
zione certa. Ges pronunci una ferma condanna di tutte le for-
me di violenza perpetrate dagli uomini contro altri uomini, perch
dalla violenza non potr mai nascere nulla di buono. Ges sugge-
r di non cercare mai la felicit inseguendo la ricchezza e la vani-
t, ma di scavare bene dentro se stessi in cerca dellunico tesoro
che Dio ha donato agli uomini: la coscienza, lanima, Dio stesso.
Ges non si proponeva mai come il re o il despota di una tor-
ma di sudditi riverenti, ma come un fratello, un amico, la guida

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di un popolo disperato e angariato dalla prepotenza dei pi forti


e corrotti. Il suo scopo non era quello di sovvertire lordine isti-
tuzionale costituito, per arrivare lui stesso al potere. Anzi, lui ri-
spettava il ruolo di ognuno allinterno della comunit, ma pre-
tendeva che ognuno svolgesse il suo compito secondo lealt e
giustizia: Date a Cesare quel che di Cesare e a Dio ci che di
Dio. La suddivisione equa delle ricchezze non doveva avvenire
tramite forzature o norme legislative, perch queste imposizioni
erano contrarie alla libert di scelta di ogni cittadino: doveva es-
sere invece la coscienza di ognuno a guidare e maturare la deci-
sione di donare spontaneamente ai pi poveri e ai pi sofferenti
una parte dei propri guadagni. In questo modo Ges inseriva un
elemento nuovo e mai considerato prima allinterno dellassetto
politico e sociale dellepoca: la solidariet. Solo chi donava vo-
lontariamente e senza costrizione, poteva capire il significato e
limportanza del suo gesto. Il denaro, loro, qualunque ricchezza,
fuori da essere uno scopo fine a se stesso, diventava a questo
punto un semplice mezzo di trasmissione del proprio amore ver-
so il prossimo. Ges aveva ribaltato lantica consuetudine che da-
va ai ricchi la licenza di incrementare le proprie fortune, sfrut-
tando le privazioni dei pi indigenti: chi aveva di pi doveva do-
nare di pi, chi aveva di meno doveva donare ci che era nelle
sue possibilit, ma nessuno poteva rimanere indifferente al grido
di aiuto e di dolore dei propri fratelli pi sfortunati.
Il Dio di Ges non ammetteva deroghe o tentennamenti.
Per entrare nelle grazie di questo Dio non era sufficiente osten-
tare una gratitudine soltanto di facciata. La preghiera era un ri-
tuale privo di concreta utilit sociale. Ges stesso non aveva mai
perso tempo a pregare il Dio da cui discendeva, ma sfruttava i
propri momenti di solitudine per ascoltare la propria coscienza,
per capire meglio cosa quel Dio aveva da comunicargli. Nella
maggior parte dei casi, Ges veniva spronato a continuare. Era
necessario abbattere il Tempio di ignoranza e paura che incom-
beva sugli uomini, per costruire una nuova umanit. Bisognava ri-
schiare di perdere molto per avere tutto. Persino quei vincoli di
unione familiare che costringevano uomini e donne a rimanere in-
sieme in virt di logore usanze del passato, dovevano essere spez-

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zati senza troppe remore: Lasciate le vostre mogli, i vostri figli e


seguitemi diceva Ges. Perch un legame che non fosse fon-
dato unicamente sullamore sarebbe stato una sciagura per tutti.
Senza nemmeno rendersene conto, Ges stava scotendo dalle
fondamenta il contorto meccanismo irrazionale sul quale si basa-
va lintera strategia di dominio dei demoni. La loro voglia di con-
trollo e sopraffazione aveva creato regole sociali assurde, quali il
matrimonio e limpossibilit di sciogliere il proprio legame nu-
ziale: gli uomini pi vincolati sono anche quelli pi malleabili,
pi mansueti, pi incapaci di agire a largo raggio. Lammasso di
tradizioni, consuetudini, menzogne, abusi del passato veniva mi-
nato dallinterno. Sia i tiranni romani che i sacerdoti ebrei aveva-
no interesse a sbarazzarsi al pi presto del nuovo messia. E non
persero tempo a pianificare la ritorsione, la vendetta.
Ges cominci a capire di essere un uomo spacciato, senza
scampo, un martire. Il nazareno non voleva morire perch senti-
va di avere tante altre cose da fare, ma affront con coraggio il
momento del sacrificio. Ges aveva esortato gli uomini ad allon-
tanarsi dal dio della venerazione e dei vuoti rituali, incoraggian-
do gli indecisi a seguire le intime spinte del Dio dellazione, del
cambiamento reale, della sfida aperta a tutte le ingiustizie. Quel
Dio che ognuno poteva ascoltare dentro se stesso, senza lausilio
di altri intermediari. Adesso era giunto il suo momento. Quel ra-
gazzo di poco pi di trenta anni si present nudo, a mani aperte,
con il sorriso eternamente stampato sul volto di fronte alla mal-
vagit dei suoi carnefici. Ges sopport le torture dei soldati.
Ges non si pieg di fronte alle infamanti accuse dei sacerdoti.
Ges guard dritto negli occhi lanima ammorbata del governa-
tore romano Ponzio Pilato, provando pena per tutti i suoi errori
e le sue mancanze. Il contegno con il quale Ges affront quel
terribile accanimento nei suoi confronti, era spaventoso. Terro-
rizzava persino i suoi stessi malfattori. Perch Ges aveva la ca-
pacit straordinaria di perdonare, di non provare alcun tipo di ri-
sentimento, non solo per i giudici che gli avevano inflitto unin-
giusta condanna, ma anche per gli stessi soldati che lo percuote-
vano in modo indegno, vile, meschino. Soltanto uno spirito
superiore poteva mantenere una simile rettitudine e compostezza

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in un momento cos delicato. Chiunque altro avrebbe protestato,


si sarebbe ribellato. E invece, sebbene sapesse intimamente di es-
sere innocente, il nazareno non oppose alcuna resistenza alla vio-
lenza, perch aveva capito che lunica maniera per disarmare i
malvagi, era seguire ostinatamente la via della compassione, del-
lamore incondizionato. Fino alla fine. Fino alla croce. Questo fu
invero il suo pi grande miracolo, al confronto del quale tutti gli
altri prodigi appaiano soltanto delle inezie.
Nel momento in cui venne pronunciata la condanna, Ges si
ritrov da solo contro un intero popolo inferocito; quelle stesse
persone che prima lo avevano osannato come un salvatore, ora lo
insultavano come se fosse il peggiore dei ciarlatani venuti sulla
terra. Persino i suoi pi fidati discepoli rinnegarono il loro mae-
stro, per sfuggire alle feroci sferzate dei soldati. Le uniche perso-
ne che lo seguirono anche nella cattiva sorte, furono due donne:
Maria e Maddalena. Quelle due donne non avrebbero mai smes-
so di amarlo; perch forse, nel bene e nel male, erano anche le so-
le in grado di capirlo, di comprenderlo.
Ges si mise una trave di legno sulle spalle e si diresse cara-
collante verso la collina del Golgota, sulla quale poco dopo sa-
rebbe stato issato sulla croce. Le ferite lancinanti delle frustate
sanguinavano sulla schiena, sulle braccia, sul torace. Le lacrime
di dolore e di fatica tergevano le sue guance. Lungo quellinter-
minabile cammino di sofferenza, pochi provarono pena per lui.
Pochi ebbero la lucidit e la freddezza per ragionare sullabomi-
nevole misfatto che si stava compiendo sotto i loro occhi. Un al-
tro innocente veniva sacrificato sullaltare della follia umana. Co-
me Socrate tre secoli prima, come Seneca qualche anno dopo,
come tanti altri illuminati nati prima e dopo di lui, anche Ges
avrebbe conosciuto lo stesso fatale destino. Questi uomini im-
mensi sarebbero stati uccisi perch incapaci di mentire a se stes-
si, incapaci di tacere le mille infamie perpetrate nel mondo, inca-
paci di frenare quellimpulso di verit che rimbombava maesto-
samente dentro la loro coscienza.
Quando i soldati romani trafissero con i chiodi i polsi e le ca-
viglie di Ges, luomo sent il dolore della carne fin dentro la sua
anima; il grande sogno che aveva condotto il nazareno fino al

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martirio si stava sgretolando davanti i suoi occhi. Luomo si sent


piccolo di fronte allo strazio della carne. La croce venne issata.
Ges ebbe ancora la forza di alzare lo sguardo per fissare quel
drappello sparuto di uomini indemoniati e invasati che inveiva
contro di lui. Quelle carogne, quei relitti umani, che pochi giorni
prima avevano accolto il nazareno come un liberatore, un mae-
stro o un messia, adesso lo accusavano di essere un bestemmiato-
re e un infedele. In verit, il loro odio era principalmente dovuto
al fatto che al momento opportuno Ges non avesse trascinato il
popolo a prendere le armi per ribellarsi contro lopprimente re-
gime romano. Il messia aveva parlato di distruggere il Tempio e
di riedificarlo dopo tre giorni, ma non era la forza o la violenza
larma da utilizzare per compiere questa impresa. Lunico antido-
to contro la brutalit dei tiranni era lAmore. Nessuno dei suoi
seguaci, assetati di vendetta come e forse anche pi dei loro stes-
si usurpatori, aveva capito la sostanza esplosiva di questo mes-
saggio. Molti si erano allontanati da Ges, considerandolo un vi-
gliacco. Limmagine del nazareno sofferente sulla croce, confer-
mava adesso la loro frettolosa convinzione. Guardandolo con gli
occhi iniettati di odio, il nazareno appariva come un codardo, un
debole e meritava di morire cos miseramente. Chi invece aveva
intuito che nelle parole giuste e sacrosante di Ges si nascondes-
se il primo germe della verit, prefer volgere lo sguardo altrove.
Fare finta di non avere capito. Dimenticare.
Ges intravide fra la folla un gruppo di donne inginocchiate e
affrante. Quelle donne vestite a lutto piangevano la prematura
scomparsa delluomo che Ges non avrebbe mai potuto essere.
Maria piangeva il figlio cresciuto con tanto amore, Maddalena
versava lacrime sul marito che non avrebbe mai pi potuto ave-
re. Ges alz lo sguardo in cielo in cerca di un segno, ma sopra
di lui volavano soltanto i corvi gracchianti ed affamati; rapide
nuvole passeggere ostruivano il passaggio dei raggi di sole. Il na-
zareno ebbe un ultimo sussulto. Una ridda di voci confuse co-
minci ad agitarsi nella sua coscienza: erano dubbi, rimpianti, ri-
pensamenti. La collera della calca sparuta intorno a lui non fa-
ceva che aumentare il suo sgomento. Forse ho sbagliato?,
Forse non sono il Figlio di Dio?, Forse questa gente non me-

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ritava il mio sacrificio?, Forse Dio non ha mai protetto dallal-


to la mia missione?, Forse sono sempre stato solo in questa
battaglia?, Forse Dio, il mio Dio, non esiste?. Incalzato da
questi e da mille altri tumulti dellanima, Ges si raddrizz sulla
croce e con tutta la forza che aveva in corpo emise un urlo libe-
ratorio. Quelle parole riecheggiarono con veemenza nellaria co-
me i boati di un maestoso terremoto. Padre perch mi hai ab-
bandonato???!!!!.
Il cielo si ammutol. Il silenzio scese sulle teste della gente at-
tonita. Il tempo parve fermarsi e lo spazio si rimpicciol in un
punto, mischiandosi al sangue coagulato delle ferite di Ges. In
quella terribile invocazione del nazareno era racchiusa tutta la
sua rabbia contro un destino avverso, tutta la sua incredulit di
fronte a tanta ingratitudine, tutta la sua speranza e fiducia in un
Padre che sebbene assente, era ancora assiso lass ad osservare
inerme lagonia del suo Figlio Prediletto. Ges chiuse gli occhi e
chin mestamente il capo sulla spalla. Una calma surreale avvol-
se tutti gli attimi che seguirono. Nessuno dei presenti seppe pi
ricordare quanto dur quel momento di stasi assoluta. Unora?
Un giorno? Uneternit. Nessuno ebbe il coraggio di dire che
quelluomo crocifisso era morto, perch in verit quel ragazzo
cos orrendamente trucidato era ancora la creatura pi viva in
mezzo ad un mucchio inselvatichito di soldati, cialtroni, ciarpa-
me umano della peggiore specie. Ges non era soltanto il pi vi-
vo fra tutti i morti viventi, ma era anche pi vivo dellaria che
gonfiava i polmoni. Ges era pi vivo e gioioso degli uccelli che
volavano in lontananza. Ges era pi vivo degli alberi che rico-
privano i pendii delle montagne. Ges era pi vivo del mare che
fluttuava sullo sfondo. Ges era la vita stessa. Ges era il Primo
Figlio Prediletto di Dio, il bambino buono e giudizioso, che si
era fatto carne per capire quale significato si celasse dietro il
grande mistero della vita. E se dalla sua bocca non era mai uscita
la verit e la spiegazione ultima di tale dilemma, da quellimma-
gine cos atroce e sublime insieme fu chiaro a tutti quale fosse la
chiave per comprendere il senso dellarcano. Ges divenne il gri-
maldello pi tenace per aprire lo scrigno. Ges divent la prima
e lultima cifra di un conteggio che bisognava soltanto chiudere.

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Ges divent la metafora di una poesia a cui mancava un solo,


ultimo verso per arrivare alla fine.
Un sibilo di vento scost i capelli dalla fronte del nazareno. Un
fascio di luce, facendosi spazio fra le nuvole, si adagi dolcemen-
te sul suo volto. Ges socchiuse gli occhi e riscaldato da quel
candido tepore, sorrise. Poco dopo, muovendo a stento le labbra,
il nazareno sussurr le sue ultime parole, il messaggio di addio
per questo mondo e di benvenuto per il Nuovo Mondo. Pochi
riuscirono veramente a sentire cosa disse Ges prima di spirare,
ma nessuno dubit mai per il resto della vita che nellantro pi
recondito della coscienza rimbombasse netto e preciso questo
epitaffio: Tutto compiuto
Mor cos il pi grande uomo che avesse mai messo piede su
questo pianeta.

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CAPITOLO 19

La Seconda Era

Dopo la morte di Ges, i miti e le leggende sulla sua vita e i


suoi miracoli cominciarono a proliferare in tutti i paesi dellAsia
mediorientale. Persino le persone a lui pi vicine, i cosiddetti
apostoli, amplificarono enormemente le gesta del loro maestro,
con lunico intento di colpire ed attrarre lattenzione della gente
pi distratta e facilmente suggestionabile. Molti dei prodigi nar-
rati non erano affatto accaduti, ma leffetto prodotto sulle perso-
ne era talmente persuasivo da incoraggiare ancora di pi lopera
di mistificazione gi in atto. La figura di Ges venne abilmente
accostata ad altri miti e divinit presenti nellimmaginario delle
persone, come Mitra e Gilgamesh in Persia, Horus in Egitto,
creando una specie di continuit religiosa che riducesse al mini-
mo le fratture con il passato. Per rimediare alla mancanza di testi
scritti, molti adepti del nuovo culto cominciarono a raccogliere
in un racconto organico le testimonianze dirette e indirette dei
discepoli erranti del Messia, ponendo soprattutto laccento sugli
aspetti eversivi e rivoluzionari del Salvatore e su quelli salvifici e
miracolosi del Redentore delle anime. In breve tempo, Ges di-
venne la personificazione stessa della voglia di libert di un inte-
ro popolo, quello ebreo, costretto da secoli a subire loppressio-
ne dei potenti di turno.
Lattivit ostinata e pervicace di conversione al nuovo culto di
alcuni di questi discepoli, come Paolo di Tarso, accrebbe a di-
smisura la fama del mito di Ges. Paolo non aveva mai conosciu-
to direttamente Ges, ma fu sinceramente ammaliato dalla fulgi-
da magia della sua buona novella. Le parole del nazareno erano
disarmanti perch penetravano dritte nei cuori della gente, in
quegli stessi anfratti della coscienza che per diversi motivi rima-
nevano sempre pi chiusi e ammutoliti di fronte a qualsiasi ipo-

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tesi di speranza e di riscatto. La buona novella era devastante dal


punto di vista sociale, perch si rivolgeva soprattutto agli umili,
agli emarginati, agli oppressi, a tutta quella massa di persone in-
somma che in qualsiasi epoca storica rappresentava la maggio-
ranza assoluta, ridotta e costretta al silenzio dal tirannico accani-
mento delle sparute minoranze di despoti. Ges divenne ben
presto la voce di chi non aveva mai avuto voce. Ma non solo; Ge-
s non era soltanto un difensore dei pi deboli e poveri, ma era
stato lui stesso una persona umile, reietta, aveva vissuto nella pi
completa indigenza, era morto come un qualsiasi delinquente di
strada. Ges era uno di loro. Per la prima volta, veniva sovverti-
ta limmagine del Dio forte e severo che per tanto tempo aveva
legittimato legemonia dispotica dei malvagi, per ridare al popo-
lo una nuova idea di Dio. Un Dio che viene in terra non per di-
ventare un re, un faraone o un imperatore, ma per sacrificare la
sua vita sulla croce e dare a tutti un esempio di forza e incorrut-
tibilit di fronte alla prepotenza dei governanti. Il messaggio di
Ges era proprio questo: solo chi sapr sopportare con coraggio
la sofferenza e lumiliazione che questa vita comporta, perse-
guendo con determinazione tutti i propri propositi pi intimi,
potr avere accesso al Regno dei Cieli.
Tuttavia molti di questi nuovi discepoli non erano animati dal-
la stessa benevolenza disinteressata e sincera nei confronti del
prossimo. Alcuni di loro, quelli pi viscidi e scaltri, approfittaro-
no del potere quasi taumaturgico degli insegnamenti del nazare-
no, per accaparrarsi nuove posizioni di prestigio e di rilievo al-
linterno delle varie comunit. Con una rapidit imprevedibile, si
crearono dal nulla nuove caste religiose, nuove liturgie, nuove
correnti di pensiero riguardo alla misteriosa identit del Messia.
Vere e proprie sette, come i montanisti, gli ariani, gli gnostici co-
minciarono a dividersi e contrapporsi su dettagli insignificanti
della figura di Ges, trascurando quello che era il succo del suo
messaggio: si dibatteva aspramente sul tema della transustanzia-
zione del pane e del vino, della resurrezione, della contempora-
nea presenza dellelemento divino e umano in Ges, ma pochi ri-
flettevano sulle conseguenze pratiche che avrebbe comportato
unosservanza ligia degli ammonimenti del nazareno. La ragione

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di questa convergenza degli argomenti di contesa era abbastanza


ovvia. Se tutti avessero recepito con onest e correttezza la lezio-
ne di Ges, ognuno avrebbe dovuto intraprendere un cambia-
mento radicale del proprio modo di vivere e pensare, che pochi,
soprattutto quelli che godevano di certi privilegi, erano disposti
ad attuare sul serio. Bisognava innanzitutto mettere in crisi tutte
le abitudini e le tradizioni del passato, azzerando quel groviglio
di gerarchie politiche, economiche, sociali che si erano lentamen-
te sedimentate nel tempo. Una scelta questa che imponeva ai ver-
tici delle caste di rinunciare al potere acquisito e di rimettere in
discussione le basi stesse del loro primato; ecco spiegato il moti-
vo per cui queste nuove congregazioni di presunti teologi, come
tutte quelle precedenti e quelle successive, preferirono di gran
lunga discutere sul faceto che agire nella prassi.
Per seguire alla lettera i consigli di Ges bisognava possedere
una certa dose di follia, spregiudicatezza, incoscienza, qualit
queste che difettavano negli uomini abituati da secoli al calcolo e
al rendiconto dei propri interessi. Senza pretendere nulla in cam-
bio, Ges aveva donato tutto se stesso per il bene del prossimo,
Ges non sopportava lidolatria e la liturgia fine a se stessa, Ge-
s aveva sacrificato la sua stessa vita in nome della realizzazione
di un disegno pi ampio, che avrebbe coinvolto lintera umanit.
Ges aveva guardato in faccia la morte senza paura. Chi era di-
sposto ad incamminarsi su un simile sentiero?
Il tempio di stupidit e ruffianeria che il nazareno aveva ab-
battuto con la risolutezza di un leone inferocito, pochi anni dopo
la sua morte era stato riedificato pi saldo e potente di prima. Al-
linterno di questo nuovo tempio gravitava una gerarchia di ve-
scovi, sacerdoti, prelati che era ancora pi famelica e agguerrita
della precedente nella ricerca della ricchezza e degli onori perso-
nali. Il loro unico scopo era quello di travisare e filtrare le parole
di Ges, in modo che arrivasse alle masse solo ci che faceva co-
modo diffondere. Ges aveva detto ad uno dei suoi discepoli che
tutte le pietre del mondo dovevano essere per lui una chiesa, per-
ch la terra stessa nel suo insieme era un luogo sacro e non era
necessario ricercare un posto preciso dove ritirarsi in contempla-
zione. I sacerdoti cambiarono il significato di queste parole, fa-

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cendo passare per buono il messaggio del nazareno, secondo il


quale lapostolo Pietro sarebbe stato il fondatore della nuova
Chiesa e il primo papa di questa nuova dottrina teologica. Legit-
timando in un certo senso la fondazione di una vera e propria
istituzione politica e religiosa, che non era meno esoterica e fana-
tica delle altre.
Il fanatismo ottuso appunto e il fondamentalismo bigotto fu-
rono due delle principali caratteristiche delle sette che si ispira-
vano al nazareno, al Cristo, allunto del Signore. I nuovi adepti
erano costretti a ripetere durante la giornata una serie di pratiche
liturgiche e formule mnemoniche, che ben presto divennero
lunico mezzo di contatto con la divinit. La loro condotta dove-
va essere irreprensibile dal punto di vista morale e chiusa a qual-
siasi tipo di tentazione che provenisse dallesterno. In buona so-
stanza, ignorando gli infiniti tribolamenti interiori del nazareno
causati da un tormentato rapporto con la divinit, per i suoi pre-
sunti seguaci era sufficiente ripetere meccanicamente alcuni gesti
rituali, recitare a memoria le preghiere, rispettare alcune sempli-
ci regole di vita per sentirsi pi vicini al loro dio. In questo modo
tutti, anche gli individui pi biechi e ignoranti, avevano limpres-
sione di essere parte di una comunit vincente, benedetta dal cie-
lo e potevano ricevere una rapida consolazione a tutti i loro af-
fanni. Seguendo questa pratica liturgica asfittica e avvilente, gli
uomini venivano indotti a rinunciare allunica cosa certa che ave-
vano, la vita, la coscienza, la voglia di conoscenza, pur di assicu-
rarsi qualcosa che in qualsiasi epoca storica sarebbe sempre stata
incerta e nebulosa: la vita dopo la morte. Bisognava accettare
questo scambio oltremodo iniquo senza battere ciglio, fare do-
mande, avanzare obiezioni. Anzi, un eccesso di curiosit e di im-
pertinenza veniva considerato un elemento che turbava e inqui-
nava la purezza iniziatica di questa nuova fede nella divinit. In
poche parole, pi si era ignoranti sulle cose del mondo e incon-
sapevoli delle proprie potenzialit e maggiori erano le possibilit
di raggiungere la salvezza dellanima dopo la morte. Ovvero, tut-
to il contrario di ci che Ges aveva fatto, predicato e insegnato
durante la sua breve esperienza su questa terra.
A causa di questa eccessiva rigidezza e severit nei costumi, i

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primi cristiani furono costretti a vivere nella pi segreta clande-


stinit. Furono perseguitati e massacrati dai romani, che vedeva-
no in queste comunit cos compatte e incorruttibili, una minac-
cia per il loro progetto di sottomissione forzata dei popoli. I pri-
mi martiri morirono in modo atroce, ma il loro sacrificio non ave-
va alcun senso. Questi uomini infervorati dal loro ardore religioso,
si facevano ammazzare per difendere una liturgia, una prassi ecu-
menica, si lasciavano martoriare per legittimare il loro diritto di
esistere e di rimanere separati dal resto dellumanit. In fondo, i
cristiani credevano a torto di essere incontaminati e non volevano
mischiare la loro presunta purezza con limpudicizia circostante.
Se avessero letto con maggiore attenzione le parole di Ges,
avrebbero invece capito che il compito che spetta agli uomini, a
tutti gli uomini, ben diverso. Ges non riteneva e non preten-
deva di essere diverso dagli altri, lui si buttava nelle folle per sen-
tirsi pi unito a loro nella stessa sorte. Ges non intendeva co-
struire nessuna casta separata dalle altre, ma voleva abbattere tut-
te le caste, le corporazioni, le congregazioni, le confraternite, per
portare unit e pace laddove fermentavano ignobili dissidi di par-
tito o conflitti di interesse. Ges consigliava a tutti di buttarsi nel
mondo, di contaminarsi lun laltro, di eliminare qualsiasi barrie-
ra di divisione, per arrivare allunica verit percorribile in questa
vita: tutti gli uomini sono uguali e hanno lo stesso diritto di esi-
stere e di realizzare i propri sogni. Ognuno ha un proprio ruolo,
che non superiore per importanza o per prestigio a quello degli
altri. E grazie alla solidariet reciproca, tutti devono avere una
propria collocazione certa e sicura in un mosaico, in un reticolo
che cambia continuamente forma, colore, disposizione, senza ve-
nire mai meno alla sua imperitura saldezza. Un miracolo, insom-
ma. Un miracolo divino e umano, insieme. Perch, oltre alla fi-
ducia in questo disegno divino, la possibilit di creare lordine al-
linterno del caos dei rapporti umani, dipende soltanto dalla vo-
lont di ognuno di rendere viva, pulsante, feconda la natura di
questi rapporti. Modulando le proprie ambizioni e i propri inte-
ressi personali in base ai bisogni, al benessere e alle esigenze del-
lintera collettivit. La lungimiranza politica di Ges avrebbe in-
somma condotto gli uomini a praticare una forma spontanea di

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egualitarismo, mentre la cecit fanatica dei primi cristiani stava


invece portando il mondo in tuttaltra direzione.
Il declino e la crisi dellimpero romano favor lespansione a
macchia dolio delle comunit cristiane, accelerando la caduta di
quellinsieme di valori fondati sulla forza e sullintransigenza giu-
ridica, che per tanto tempo avevano tenuto uniti i popoli. Lideo-
logia cristiana spingeva la gente alla rassegnazione, allumiliazio-
ne, alla debolezza, alla mortificazione degli istinti, soffocando
tutti quegli impulsi di riscatto e accrescimento delle potenzialit
umane, che rappresentavano il pi importante tramite di unione
con Dio. La sofferenza fisica, prima che spirituale, divenne luni-
ca maniera di sperimentare il proprio legame con la divinit. Pi
si soffriva e pi si era oggetto di devozione, come se Dio sce-
gliesse i suoi figli prediletti inferendo loro sanguinose piaghe,
miracolose stigmate, insensate lacerazioni. Una catena di stupi-
dit senza fine cominci ad obnubilare lintelligenza umana.
Paradossalmente i cristiani erano felici di soffrire e limperatore
Costantino, che era un politico molto accorto e sagace, cap che
la strategia delle persecuzioni non avrebbe portato mai a nulla,
producendo anzi leffetto opposto: i cristiani erano talmente
rimbecilliti da cercare volontariamente il dolore, perch questa
infatuazione mistica per il martirio era il vero elemento distinti-
vo della loro fede. Costantino intu allora che bisognava iniziare
a corrodere e corrompere questa irreprensibile e morigerata im-
postazione dei costumi, illanguidendo la fede dei primi cristiani
con due delle maggiori tentazioni mondane del genere umano: il
potere e la ricchezza.
Nel 313 d.C. Costantino promulg lEditto di Milano, con il
quale veniva stabilita per legge la libert di culto per tutti i cri-
stiani. Questa data oltre a sancire la fine delle persecuzioni, de-
cret la brusca frenata della spinta propulsiva della venuta di Ge-
s su questa terra. Da quel momento leffetto dirompente e rivo-
luzionario del messaggio di Ges cominci progressivamente a
perdere mordente e inizi qualcosa che con il nazareno aveva po-
co o nulla a che fare: il Cristianesimo.
Le gerarchie cristiane, formate dal papa e da schiere intermi-
nabili di vescovi provenienti da ogni dove, trovarono subito

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unintesa con limperatore, per governare e sottomettere tutti i


popoli del mondo conosciuto. La gestione del potere venne divi-
so in due principali sfere di influenza, che non rimasero mai net-
tamente distinte: quella temporale era appannaggio dellimpera-
tore e quella spirituale, riguardava soprattutto lopera di annichi-
limento e intorpidimento intellettuale portata avanti dai sacerdo-
ti. Con questa nuova alleanza, veniva nuovamente stipulato il
patto di ferro che fin dagli albori della storia aveva caratterizzato
il dominio incontrastato dei demoni sul resto dellumanit; la for-
za granitica del connubio fra impero e papato era basata sulla
continua pressione, repressione e sul controllo delle paure degli
uomini: quelle derivanti dal dolore fisico del corpo e quelle che
fondavano le loro radici nelle angosce dellanima e nellinquietu-
dine verso tutto ci che ignoto.
Un esempio esplicito di questa ritrovata unit di intenti fu il
Concilio di Nicea del 325 d.C., che venne organizzato in fretta e
furia su iniziativa dellimperatore Costantino, per chiudere alcu-
ne dispute che rischiavano di compromettere la saldezza del na-
scente impero teocratico. In quella sede si riunirono i pi impor-
tanti vescovi della cristianit e sotto legida attenta dellimperato-
re e del papa, vennero stabiliti di comune accordo alcuni dogmi
di fede, che nei secoli a venire non sarebbero pi stati passibili di
cambiamento. Fu fissata a tavolino la data in cui doveva essere
festeggiata la Pasqua, ovvero il periodo secondo il quale sarebbe
avvenuta la resurrezione di Ges, evento questo mai accaduto in
realt; vennero scelti i quattro vangeli canonici sui quasi duecen-
to esistenti e tutti gli altri furono messi al bando dalla censura;
venne stabilita la natura trinitaria di dio e la consustanzialit, ov-
vero la contemporanea presenza nellEssere divino della sostanza
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; in base a questo dog-
ma, fu accusato di eresia il movimento teologico del vescovo afri-
cano Ario, che in disaccordo con i catecumeni romani sosteneva
che Dio era unico, eterno e indivisibile e quindi Ges, che era
suo Figlio, poteva al massimo essere stato creato in un momento
successivo delleternit, ma non generato, perch la natura divina
indivisibile.
Ario era un uomo molto illuminato e con le sue argute specu-

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lazioni filosofiche si stava avvicinando a qualcosa che rivelava pi


chiaramente il profondo legame di discendenza fra il Dio Padre
e il Figlio: se Ario avesse anche capito e sostenuto che Ges non
era Figlio unico, ma poteva avere anche dei fratelli, come lui
creati da Dio ma non generati, la verit sarebbe stata a portata di
mano. Ma il grande teologo non fu cos temerario. Ario non ne-
gava la Trinit, ma subordinava la figura del Figlio a quella del
Padre, confutando in pratica la stantia e cavillosa teoria della
consustanzialit. Condannato allesilio, Ario fu pi volte spinto
da alcuni discepoli a dichiarare guerra con le armi contro i cri-
stiani ortodossi. Ma il filosofo africano rispose sempre cos: Non
fatevi uccidere per le mie opinioni. Potrei avere torto! A nessun
uomo dato il privilegio di non sbagliare.
Questo atteggiamento saggio e pacato dimostra la grandezza
delluomo e contrasta apertamente con la dogmatica intransigen-
za e la grettezza dei suoi stessi seguaci, che non avrebbe mai avu-
to successo contro la maggiore forza dei presunti usurpatori. Co-
stantino, il papa e la nuova casta ecclesiastica romana avevano
cominciato lopera di impalcatura e costruzione del monolitico
impero della Chiesa: unistituzione umana edificata su norme ri-
gide, ordini, regole, verit inconfutabili, dove ogni mattone rap-
presentava un punto di arrivo, un dogma che non doveva pi
concedere ad altri il diritto di discussione. Come nelle organizza-
zioni militari, la fondatezza di queste teorie, le finalit e la ten-
denza razionale a superare i limiti imposti perdevano via via con-
sistenza di fronte al colossale impianto gerarchico dellintero si-
stema. Una volta fissato un mattone dai membri che gravitavano
nella parte alta delledificio, nessuno di quelli che stavano nella
parte bassa doveva pi permettersi di modificarne laspetto o la
posizione, perch cos facendo avrebbe rischiato di innescare un
disastroso effetto domino che in breve tempo avrebbe potuto fa-
re crollare quella gigantesca piramide di stupidaggini chiamata
Chiesa. Perch come tutte le costruzioni rigide e poco flessibili,
anche la Chiesa nel suo insieme era un edificio fragile. Un monu-
mentale colosso di argilla poggiato sul nulla. Sul niente. Sul vuo-
to assoluto prodotto dalle infinite dispute e dagli interminabili
dibattiti dei vari conclavi conciliari.

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Non a caso infatti, la regola principale che erano tenuti a ri-


spettare tutti coloro che entravano nelle congregazioni ecumeni-
che era lobbedienza. Labnegazione. La sottomissione nei con-
fronti dei propri superiori gerarchici. Chiunque avesse disatteso
queste semplici norme di vita e di comportamento sarebbe stato
severamente punito, epurato, scomunicato, accusato di eresia, in
modo che nessuno dopo di lui sarebbe stato invogliato a deviare
dal percorso gi tracciato. Lopera di controllo e sorveglianza
messa in atto dalle varie autorit religiose divenne a tutti i livelli
sempre pi asfissiante, fino a rasentare i limiti della follia e della
tirannia spirituale. Ovviamente, esisteva unampia categoria di
persone che si avvicinava alla fede con sincero trasporto, con so-
briet, con senso critico, ma la loro voce veniva presto soffocata
dallisteria dei pi invasati. Lobiettivo principale dei catecumeni
era quello di allontanare Dio dal popolo, proponendosi alla gen-
te come unici intermediari e depositari di un mistero, che era an-
cora ben lungi dallessere spiegato. Qualora qualcuno degli as-
sunti professati dai prelati, come le cavillose teorie sulla trinit,
sulla creazione, sulla provvidenza, sulla verginit della madonna,
avesse cominciato a mostrare delle crepe, si ricorreva allastuto
stratagemma della fede. Tutto ci che non era chiaro o appariva
umanamente astruso e difficile da capire, doveva essere accettato
per fede. In questo modo veniva abilmente scambiato il normale
effetto di un atteggiamento di vita, ovvero lobbedienza, come
causa fondante di qualunque ragionamento. Si creava in pratica
un tipico caso di corto circuito dellintelletto, in cui chiunque si
trovava in mezzo aveva lillusione che tutto fosse spiegato, ragio-
nevole, corretto. Ma bastava allontanarsi un po o guardare ogni
cosa dallalto per capire che tutti quei cerchi del pensiero veniva-
no chiusi grazie ad una perniciosa forzatura dialettica. La Chiesa,
intesa come comunit religiosa di sacerdoti, devoti, praticanti, fe-
deli, non era altro che un enorme cane che si mordeva la coda.
Ragion per cui, gli unici focolai ancora accesi di pensiero libe-
ro e costruttivo potevano divampare soprattutto nelle zone peri-
feriche dellImpero. Agostino, uno degli uomini pi illuminati di
tutti i tempi nacque a Tagaste nellAfrica del nord, nei pressi del-
lattuale Algeria. Provenendo da una regione dove i tentacoli

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oscurantisti della Chiesa non erano ancora giunti, Agostino pot


sviluppare il suo intelletto fino a profondit mai raggiunte in pre-
cedenza. Ovunque il suo sguardo si posasse, la luce finiva sempre
per rischiarare il buio e le tenebre dei discorsi illogici e senza sen-
so. Agostino riusciva a percepire la presenza di Dio in ogni cosa
del mondo e fin dentro la sua coscienza; sfior pi volte la pazzia
per essere ancora pi vicino alla visuale del Padreterno e si gett
con slancio quasi infantile verso la soluzione di alcuni fra i pi in-
triganti misteri della creazione; lo stupore e il candore, misti ad
angoscia, con i quali il grande uomo si mise davanti alle assurde
contraddizioni dellesistenza, ragionando sui meccanismi della
memoria, interrogandosi sulle teorie cosmologiche della nascita
di qualcosa dal Nulla, chiedendosi ad oltranza quale fosse il vero
ruolo dellamore e della conoscenza nella vita di un uomo, crea
ancora meraviglia e Dio stesso esultava di gioia di fronte alle sco-
perte di quel giovane apprendista. Agostino postul che Dio par-
lasse alla coscienza degli uomini, ma soltanto in maniera incon-
scia, perch lunico modo per fare emergere chiaramente la voce
guida di Dio era lutilizzo della ragione. Agostino individu nel-
lanima umana la tripartizione dellEssere Divino: intelletto, vo-
lont, amore. Agostino non credeva ciecamente a tutto ci che
veniva ratificato dai burocrati di Roma, ma aveva fede per com-
prendere ancora meglio la vita e comprendeva meglio le cose del
mondo perch aveva fede. La fede non era per lui un limite alla
conoscenza, ma uno stimolo e un impulso impareggiabili per
continuare la sua straordinaria ricerca. Fuori e dentro se stesso.
Purtroppo il cammino di conoscenza di Agostino fu lastricato
da tanti intoppi e deviazioni di percorso. Per eccesso di zelo e ar-
dore, il giovane erudito si un a sette teologiche di dubbio valore,
si fece influenzare da discutibili filosofi che anteponevano alla
passione e allinteresse scientifico il controllo delle menti dei loro
discepoli, era pressato ai fianchi dalle istigazioni alla conversione
della madre, che era una bigotta cristiana dalla stupidit talmen-
te paradossale e imbarazzante da mettere quasi in dubbio il suo
legame di parentela con il figlio. Quando Agostino si trasfer a
Milano e conobbe la pedanteria ecumenica del pi compassato
vescovo Ambrogio, gran parte del suo impeto intellettuale co-

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minci ad annacquarsi dentro le prospettive di una tranquilla e


monotona vita da prelato. Non senza qualche rimpianto e ripen-
samento, Agostino rinunci ai piaceri della carne, sigillando nel-
la coatta clausura del sacerdozio tutta la restante parte di infinita
emotivit che proveniva dagli slanci del cuore. Ad Agostino non
rimaneva altra distrazione alla noia che la scrittura e nel silenzio
pi assoluto del suo studio, il futuro vescovo scrisse uno dei pi
grandi capolavori dellumanit: le Confessioni. La storia sincera
di unanima che a cuore aperto si mette di fronte a tutte le in-
quietudini e le gioie che caratterizzano lesistenza terrena, in un
incessante anelito di avvicinamento a Dio e a tutti i suoi segreti.
Alla fine, stremato e fiaccato dalle sue faticose peregrinazioni spi-
rituali, Agostino sentenzi la frase che racchiude il succo di tutta
la sua incommensurabile saggezza: I bambini e i pazzi sono le
creature pi vicine alla verit!. Niente di pi vero.
Quando la voglia di conoscenza e la curiosit spinge luomo fi-
no ai limiti dellignoto, ogni tragedia interiore o esteriore perde
consistenza, diventando quasi una buffa commedia. Una favola.
Un sogno, di cui i bambini e i pazzi, ovvero le creature che pi di
tutte sono sorde ai melliflui richiami della normalit, divengono
presto i maggiori interpreti. Solo lirrequietezza di un bimbo o la
stravaganza di un folle pu intuire quanta fantasiosa creativit si
nasconda dentro il grande Sogno di Dio. Un adulto o un uomo
eccessivamente razionale non potr mai, nemmeno lontanamen-
te, immaginare quale sia la vera struttura originaria della realt.
Tuttavia la grande lezione del pensatore africano non fu effica-
cemente utilizzata dai suoi contemporanei. Come gi accaduto
con tutti i suoi illuminati predecessori, anche le teorie di Agosti-
no dovettero sottoporsi allopera di revisione e filtraggio dei regi-
mi culturali dellepoca. La Chiesa ormai controllava da anni qual-
siasi cosa venisse detta o pensata entro i confini del suo impero;
il periodo storico poi, caratterizzato da tanta violenza e dalle con-
tinue invasioni barbariche, non consentiva di ragionare con la
dovuta lucidit sulle nuove frontiere della ricerca filosofica. Il pe-
renne stato di emergenza, causato dai signori della guerra e fo-
mentato dalle tensioni religiose, imponeva altre priorit. E la
Chiesa preferiva di gran lunga affidarsi alla propaganda che apri-

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re dibattiti seri e coerenti con i propri fedeli, puntando su con-


cetti semplici che potessero avere una forte presa e un impatto
immediato sulle coscienze della gente: la novella che veniva rac-
contata a quel tempo prevedeva che Ges avesse deciso di mori-
re in croce per redimere i peccati degli uomini e che alla fine dei
tempi, il Figlio di Dio sarebbe tornato per giudicare i vivi e i mor-
ti. Tutto ci provocava un lassismo generale nella collettivit, che
ormai si era rassegnata a condurre una vita misera e insignifican-
te, in attesa della venuta del Redentore. A cosa sarebbe servito
ogni sforzo o impulso al miglioramento delle proprie condizioni
di vita, se tutto questo sarebbe presto finito? La conoscenza stes-
sa del mondo circostante diventava un impegno inutile e veniva
spesso delegata a quegli uomini, ai prelati, ai vescovi, ai monaci,
che avevano il tempo e le risorse per continuare i loro studi. Que-
sti ultimi poi scelsero un linguaggio sempre pi criptico per tra-
sferire le loro informazioni, in modo da escludere dalla cricca dei
privilegiati chiunque non avesse accesso agli ambienti ecclesiasti-
ci. La lingua utilizzata per trasmettere la cultura era il latino clas-
sico; una lingua che in bocca al popolo aveva gi subito una serie
talmente rapida di trasformazioni e successive volgarizzazioni, da
risultare spesso incomprensibile alla maggior parte delle persone.
Iniziava cos uno dei periodi pi cupi e tormentati dellintera
civilt umana: il Medioevo.
Progressivamente limmagine del dio vincente che scende dai
cieli sulla terra per portare la pace e la salvezza agli uomini, ven-
ne sostituita da quella del martire sacrificato che accetta la soffe-
renza quale unica via di accesso e ritorno al paradiso. Il mondo si
svuot della luce vivificante e radiosa dello sguardo di Ges, per
riempirsi di croci; sangue; profondi squarci nel costato. Il dolore
fisico e la mortificazione del corpo divenne il preludio di unim-
minente beatitudine. I sensi e i piaceri della carne erano delle
ignominiose tentazioni di Satana, il dio del male, che invitava
continuamente gli uomini a scegliere la via del peccato per de-
fraudarli della loro anima. In questo clima di estrema arretratez-
za culturale, i sacerdoti avevano vita facile a spargere terrore e
paura fra le masse ignoranti e bieche dei devoti. La strategia del-
la Chiesa in quel periodo era abbastanza chiara: avere il control-

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lo totale delle anime per potere ricattare i governanti di turno e


scendere continuamente a patti con loro. Lobiettivo invece era lo
stesso di sempre: accumulare ricchezza e potere. La capacit di
tiranneggiare le opinioni e manipolare le menti da parte dei pre-
lati aumentava di pari passo con la tragica flessione discendente
dellintelligenza umana. A questo scopo, per impedire la diffu-
sione della cultura, i reggenti laici ed ecclesiastici applicarono
delle misure sempre pi restrittive, quali la censura dei libri anti-
chi, lobbligo coatto a rispettare la liturgia e i dogmi stabiliti, lap-
plicazione di severe punizioni per tutti coloro che trasgredivano
tali norme. La costruzione stessa del libro sacro della Bibbia,
consentiva ai sacerdoti di variare a proprio piacimento il modo di
approcciarsi con i fedeli: quando dovevano spronarli a combatte-
re, facevano ricorso alle istigazioni del Dio violento del Vecchio
Testamento, quando invece dovevano ammansirli, utilizzavano le
parole di compassione, umanit e pace racchiuse nei testi evan-
gelici del Nuovo Testamento. Le contraddizioni di una simile
doppiezza di atteggiamento erano evidenti a chiunque avesse un
minimo di raziocinio, ma nessuno poteva gridare allo scandalo,
pena la morte e la persecuzione. Approfittando delle infinite
guerre di successione dinastica fra i popoli barbari e della man-
canza di regnanti illuminati, la Chiesa, alleandosi ora con luno
ora con laltro condottiero sanguinario, pot espandere a dismi-
sura la sua influenza politica fino a livelli prima impensabili.
Tutto ci che rimaneva del pensiero umano erano le sterili di-
spute linguistiche fra i dotti e i monaci del tempo: la ricerca degli
universali, le prove dellesistenza di Dio, la struttura piuttosto
complessa del mondo che derivava da questa presunta divinit
trinitaria. Le menti pi illuminate e colte dellepoca furono in-
consapevolmente indotte a perdersi dietro cavilli dialettici di nes-
sun senso e le loro futili scoperte apportarono pochi benefici du-
rante il lungo cammino di avvicinamento alla verit. Laridit in-
tellettuale veniva poi amplificata dalla mancanza di fonti e di sor-
genti attendibili da cui attingere. I testi antichi latini e greci
furono selezionati in base alla possibilit o meno di essere ricon-
dotti ad una fase precedente alla Rivelazione di Ges. Quelli che
non superavano questa prova di vaglio e interpretazione, veniva-

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no banditi quali opere peccaminose e pagane, ispirate da Satana


in persona. Gli amanuensi, ovvero i monaci che copiavano a ma-
no i libri, furono per lungo tempo gli unici e i pi importanti cu-
stodi dellimmenso patrimonio culturale del passato. Leresia, ov-
vero lallontanamento dal canone dogmatico imposto dai ponte-
fici e dai vescovi romani, divent la pi grave colpa e condanna
di cui poteva macchiarsi un uomo. La successiva scomunica ema-
nata dal papa, comportava il totale isolamento e lemarginazione
dalla vita pubblica del regno.
In questo clima di estrema decadenza, i Figli Prediletti che
vennero inviati da Dio sulla terra fecero pi danni che reali pro-
gressi. Molti di loro nacquero in regioni periferiche e lontane ri-
spetto al centro focale della nuova religione cristiana, che era Ro-
ma, al fine di subire il meno possibile linflusso negativo della
pervicace opera di distorsione e annichilimento del pensiero pro-
dotta dai sacerdoti. Tuttavia quelli che vissero in civilt pi evo-
lute ma ignare della venuta di Ges, come la Cina, il Giappone,
lIndia, non riuscirono ad andare oltre la contemplazione intima
dei propri richiami allazione, finendo la loro esperienza terrena
nel pi assoluto anonimato. Attila, che apparteneva al popolo
barbaro degli Unni, divenne ben presto un feroce condottiero e
spinse il suo esercito fino ai confini di Roma. Quando si trov da-
vanti al papa, proprio alle porte della citt santa, un ultimo ri-
morso di coscienza spense la sete di sangue e vendetta di quel
terribile demone. Maometto riusc ad andare oltre, ricevendo lil-
luminazione decisiva che sanciva la sua diretta discendenza da
Dio: Maometto per non ebbe il coraggio di rivelarsi al mondo
come uno dei figli prediletti e prefer definirsi lultimo profeta in-
viato da Dio sulla terra. Maometto aveva tutte le carte in regola
per affrontare il salto finale, ma tutte le sue straordinarie intuizio-
ni non apportarono nulla di veramente nuovo rispetto a ci che
gli uomini sapevano gi. Prima di diventare il padre fondatore
dellIslam, Maometto aveva lavorato come commerciante e aveva
conosciuto bene tutte le difficolt che impediscono laggregazione
dei popoli, relegandoli alle varie trib, caste, dinastie. Lunico ele-
mento che poteva unificare la gente era sempre e solo Dio.
Dopo un primo periodo di feconda estasi creativa, Maometto

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cominci lentamente a chiudersi dentro il guscio delle sue uma-


ne ambizioni, diventando purtroppo anche lui un guerriero e un
despota. Quando le parole non bastavano pi, la guerra rappre-
sentava sempre la via pi comoda e rapida per raggiungere i pro-
pri scopi e nemmeno lincontro con la figlia prediletta Aisha riu-
sc a scuotere lanima tormentata di Maometto. Tuttavia la nasci-
ta dellIslam fu un elemento necessario in quel periodo storico
per rallentare lespansione e attenuare lo strapotere della religio-
ne cristiana, che con la sua cattiva dottrina e la deleteria influen-
za politica stava facendo precipitare lintero Occidente nel bara-
tro della follia e della disperazione mistica. Non un caso che
due dei pi prolifici pensatori dellepoca nacquero proprio da
quel grande alveo culturale del mondo arabo: Avicenna e Aver-
ro. La loro memorabile disputa sullimmortalit e la mortalit
dellanima riaccese la curiosit e linteresse sullo studio di argo-
menti tanto delicati e decisivi, per capire se stessi e il mondo. In
particolare, Averro postul con perfetto acume la tripartizione
dellintelletto: una parte dellanima era immortale e legata alla
contemplazione delleternit, unaltra era mortale e serviva alla
gestione dei sensi e alla conoscenza del mondo materiale e infi-
ne, unultima parte aveva il compito di fare da collante a queste
due sfere dello spirito. La sua intuizione era giusta, ma poco do-
po, la rigida impostazione scolastica delle teorie di Tommaso
DAquino scredit in parte le scoperte dei due grandi arabi, ri-
portando tutte le loro tesi sotto il pi bieco asservimento dei
dogmi della Chiesa.
Larrivo di Carlo Magno, il figlio prediletto nato in Francia,
non fece altro che rafforzare il ruolo dominante della Chiesa.
Carlo sentiva di avere una missione importante da compiere sul-
la terra, ma confuso dalle sue umane debolezze, si convinse ben
presto che la cruenta guerra contro i musulmani e la consacra-
zione del vessillo cristiano quale unico simbolo da venerare, fos-
se il compito a lui assegnato da Dio. A differenza di Maometto,
che era un uomo colto e avvezzo alla scrittura, Carlo si dimostr
subito poco incline ad ogni forma di istruzione culturale, rima-
nendo nel complesso un uomo rozzo, limitato ed estremamente
pragmatico. La sete di potere e di ricchezza era in lui infinita-

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mente superiore alla fame di conoscenza e per gli scaltri emissari


del papa non fu difficile manipolarlo a loro vantaggio. La bene-
dizione della corona di Carlo Magno da parte del papa avvenuta
il 1 Gennaio dellanno 800, fu il culmine di quella spregevole al-
leanza fra Stato e Chiesa, che con la sua continua pressione dal-
lalto soffocava ogni impulso di rinascita dal basso.
Gli anni successivi furono caratterizzati ancora da estrema vio-
lenza, da abbrutimento indiscriminato, dalle crociate religiose,
dallimpoverimento generale delle condizioni di vita, dalla diffu-
sione di epidemie devastanti di peste e di morte, dal divampare
di superstizioni di ogni tipo, dal massacro di intere comunit di
eretici, dalla persecuzione indiscriminata nei confronti delle don-
ne, considerate come veri e propri oggetti di tentazione. La si-
tuazione ormai era prossima al collasso. La crisi era talmente pro-
fonda che da ogni parte, profeti e ciarlatani terrorizzavano le
genti minacciando la fine del mondo, che secondo le loro apoca-
littiche previsioni sarebbe avvenuta nellanno Mille. Puntualmen-
te per lanno Mille arriv e niente di ci che era stato paventato
accadde. Lumanit era costretta a ritrovare nuove speranze per
continuare ad esistere su questo pianeta, ma il suo grado di im-
barbarimento era cos avvilente da scoraggiare qualsiasi illusione.
Tuttavia, a piccoli passi, un fenomeno scarsamente controlla-
bile dalle alte sfere del potere stava cambiando le sorti del mon-
do: la nascita delle lingue nazionali.
In Francia, in Inghilterra e in Italia, la lingua volgare utilizzata
dal popolo raggiunse un livello adeguato di perfezionamento e
alcuni membri della comunit cominciarono a utilizzare questo
nuovo linguaggio per scrivere documenti importanti, poesie, in-
tere opere di letteratura. Nelle corti francesi, i poeti erranti chia-
mati trovatori lusingarono le dame di corte con le loro favelle
piene di cavalieri e appassionate storie damore. In Inghilterra
vennero messe per iscritto alcune leggende popolari riguardanti
il mitico regno di Re Art e Geoffrey Chaucer fece scuola con il
suo modo innovativo di scrivere commedie. In Italia, una nuova
generazione di giovani poeti capeggiata da Dante, Boccaccio e
Petrarca port una ventata di aria fresca nellasfittico panorama
artistico dellepoca. Limperatore Federico II, uno dei figli predi-

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letti pi colti e illuminati di tutti i tempi, contribu al rilancio di


tutte le attivit culturali e riun nella sua corte siciliana alcuni fra
i maggiori letterati e intellettuali del mondo occidentale e arabo:
il suo costante impegno alla contaminazione dei popoli e delle
culture fu un esempio di costruttiva convivenza per tutti i sovra-
ni del mondo. In breve tempo, con lavvento della lingua volgare
come principale strumento di comunicazione, la Chiesa perse il
monopolio della cultura e si avvi verso il suo lento ma inarresta-
bile declino.
Le opere dei maggiori autori latini e greci vennero tradotte in
lingua volgare e una quantit sempre maggiore di studiosi ebbe
lopportunit di accostarsi a quella fonte imperitura di saggezza e
conoscenza. Dopo la rinascita della poesia, arriv il tempo della
riscoperta della matematica. Alcuni geniali pionieri come Pico
della Mirandola, Fibonacci, Tartaglia, Cardano rilanciarono in
grande stile la passione per lo studio di quella disciplina cruciale,
dai segreti della quale dipendevano tutti i misteri custoditi gelo-
samente dalla natura. Dal felice connubio fra lamore per la poe-
sia e per la matematica, rinacque dalle ceneri del medioevo la re-
gina e la madre di tutte le materie scientifiche: la filosofia. I pri-
mi pensatori furono dei veri e propri maghi e alchimisti, ma il lo-
ro impegno nella ricerca di un senso pi profondo dellesistenza
umana fu il preludio per larrivo di una nuova e feconda genera-
zione di filosofi, che diede la sferzata decisiva per cambiare la
brutta china in cui si era incamminata lumanit. Pomponazzi,
Telesio, Ermete Trismegisto proposero un modo nuovo di rap-
portarsi con la natura, fuori da ogni pregiudiziale disprezzo o ti-
more, avendo cura soprattutto di osservare minuziosamente la
variet e gli effetti dei suoi infiniti cambiamenti. Finch non arri-
v Leonardo Da Vinci a trovare il linguaggio corretto per studia-
re gli eventi della realt: la natura un libro scritto con parole e
con numeri, per capire bene il significato di questo libro bisogna
essere edotti in tutte le discipline, da quelle umanistiche a quelle
pi tradizionalmente scientifiche e matematiche. Per lungo tem-
po, Leonardo rappresent il pi felice modello di intellettuale
eclettico, geniale, rivoluzionario. I suoi interessi spaziarono dalla
poesia, alla pittura, allingegneria, senza mai alcun limite di sorta.

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La rinascita delluomo non poteva che ripartire dalluomo, per-


ch nelluomo cera anche Dio.
Quando Leonardo disse che la natura non fa salti, aveva gi ca-
pito il principio che governa tutti i cambiamenti naturali: nulla si
crea e si distrugge dal nulla, ma tutto si trasforma. Mantenendo
sempre salda questa premessa fondamentale, qualunque segreto
della fisica, della meccanica, della chimica poteva essere pazien-
temente svelato. Non passarono molti anni e fece la sua compar-
sa nel mondo, Galileo Galilei, luomo che cambi per sempre il
corso della scienza moderna. Riprendendo le intuizioni di Co-
pernico e puntando il suo cannocchiale verso il cielo, Galileo fe-
ce una delle pi grandi scoperte di tutti i tempi: la terra non un
pianeta fermo che si trova al centro delluniverso, ma si muove
anchesso attorno al sole, seguendo una ben precisa traiettoria. In
questo modo veniva scardinata la teoria tolemaica che considera-
va la terra il punto focale e centrale della creazione divina e a ca-
scata molti dei dogmi religiosi della Chiesa perdevano consisten-
za. Dio era unentit molto pi complessa di ci che i catecume-
ni predicavano e veneravano. Giordano Bruno sulla scia di que-
ste nuove scoperte propose infatti un nuovo tipo di spiritualit,
basata sulla razionalit umana e sulle sue infinite possibilit, che
non rifiutava Dio, ma lo studiava, lo osservava, lo respirava nelle
sue molteplici manifestazioni naturali. Giordano scompigliava
pure limmagine di un universo composto da sfere concentriche
e fisse, proponendo invece quella di un cosmo infinito, pieno di
galassie, intersezioni, movimenti irregolari e caotici. A conferma
di ci, pochi anni dopo, il fisico Keplero con un elaborato meto-
do matematico scopriva che le traiettorie dei pianeti intorno al
sole fossero ellittiche e non circolari.
A strattoni, e con sforzi titanici, i giganti della storia umana
stavano cambiando il mondo e la reazione dei nani della Chiesa
fu durissima. Galileo fu costretto ad abiurare la sua teoria, dopo
una lunga prigionia. Giordano Bruno fu arso vivo a Campo dei
Fiori. In tutta Europa furono organizzate persecuzioni contro gli
eretici; le scomuniche del papa verso i pensatori liberi si molti-
plicavano; lInquisizione sottopose a tortura migliaia di uomini e
di donne, sulla base di congetture e supposizioni che sfioravano

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il delirio. La violenza scriteriata era lunico deterrente per impe-


dire la diffusione di queste nuove idee rivoluzionarie, ma lim-
mensa macchina dellintelligenza umana si era messa in moto, e
nemmeno tutti i marchingegni diabolici inventati dagli ignobili
inquisitori per procurare dolore alle loro vittime, potevano fre-
nare londata di progresso che invest il mondo. Grazie alle illu-
minazioni che transitavano a fiotti da Dio stesso verso le menti
degli uomini pi desti, brillanti, capaci, il sogno della conoscen-
za riprese corpo e sostanza e nessuno dei dormienti poteva pi
vivere tranquillo dentro il suo incubo. Da ogni parte, uomini do-
tati di ingegno superiore e armati di straordinario coraggio si la-
sciarono guidare dalle loro intuizioni, spostando i limiti e gli oriz-
zonti troppi ristretti del passato. Si trattava di una risicata nicchia
di pionieri, esploratori, scienziati, pensatori, artisti, una minusco-
la minoranza se confrontata con le moltitudini di nullit con cui
si scontravano, ma la forza delle loro idee era talmente possente
da annichilire qualsiasi ostacolo.
Colombo con le sue caravelle super loceano e arriv fino al-
le sponde del nuovo continente americano, dimostrando come la
terra fosse sferica e non piatta, come ancora qualcuno sosteneva.
Magellano si spinse ancora oltre, toccando la Terra del Fuoco, ai
confini con lAntartide. Lutero si scagli con violenza contro il
malcostume e la corruzione imperante fra i burocrati della Chie-
sa, che in cambio di soldi vendevano indulgenze ultraterrene agli
stolti, e propose il ritorno agli insegnamenti originari del Vange-
lo. Erasmo da Rotterdam scrisse LElogio alla Follia, criticando
aspramente tutti coloro che cercavano di normalizzare un di-
scorso che tutto poteva essere tranne che normale: per credere
ad un Dio che viene sulla terra per essere crocifisso bisognava es-
sere pazzi e come diceva Agostino, soltanto i folli e coloro i qua-
li non si fermavano di fronte alle stranezze della vita potevano
percepire la verit di un tale Dio. Newton, dando seguito a tutte
le sue geniali intuizioni, postul la legge di gravitazione universa-
le, facendo luce su uno dei principi cardine che regola il movi-
mento dei corpi. Parlando delle sue scoperte e dei suoi studi,
Newton amava descriversi come un fanciullo che gioca e cerca
conchiglie su una spiaggia senza fine e in verit, tutti questi gran-

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di uomini erano animati dalla stessa spinta propulsiva: la sfronta-


tezza irriverente e capricciosa dellinfanzia. Erano diventati gran-
di e maturi, mantenendo intatta la curiosit, la fantasia e la voglia
di scoperta del bimbo che ancora viveva dentro di loro, nella lo-
ro anima. Ma Newton disse anche di pi. Descrivendo la sua in-
credibile parabola esistenziale, sentenzi: Se sono riuscito a ve-
dere cos lontano, solo perch ho sempre vissuto sulle spalle
dei giganti.
Senza laiuto dei grandi maestri del passato, nulla di veramen-
te nuovo poteva essere scoperto nel futuro. La conoscenza era un
grande sacrificio che presupponeva la lettura, lo studio, lappro-
fondimento di tutto ci che era avvenuto sulla terra prima del no-
stro arrivo; perch soltanto cos, gli uomini potevano riaccendere
limmaginazione e prevedere cosa sarebbe successo dopo la loro
partenza. Passato, presente e futuro sono forme della realt im-
prescindibili fra di loro, perch cos come nella natura, anche
nella storia non esistono strappi, salti, omissioni. Quello che ac-
cade oggi solo una conseguenza di tutto ci che avvenuto ie-
ri, e una premessa di quello che succeder domani.

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CAPITOLO 20

LUltima Era: LEra dei Tre Fiori

Quella meravigliosa corsa ad ostacoli fra i giganti della storia,


in cui ognuno faceva il suo percorso passando il testimone al
compagno successivo, stava minando dallinterno e dallesterno la
fitta ragnatela di ignoranza, barbarie, oppressione del vecchio
mondo. La Chiesa arrancava e arretrava vistosamente. Le monar-
chie reggenti dei vari stati facevano fatica a contenere la fame di
verit e di giustizia dei loro popoli. Pur essendo una ristretta mi-
noranza, questi uomini eccezionali stavano raggiungendo tra-
guardi e livelli di perfezione prima impensabili. In tutte le disci-
pline umane. Nelle arti figurative, artisti come Michelangelo, Raf-
faello, Caravaggio, riprendendo i canoni dellarte classica e la le-
zione del loro maestro comune Giotto, che aveva rivoluzionato la
pittura medievale dando volume, prospettiva ed espressivit al-
lambiente e ai personaggi, avevano rasentato il sublime in tutte le
loro opere. Nemmeno loro stessi riuscivano a capacitarsi di tutta
questa maestria e vivevano nel dubbio che la stupefacente abilit
tecnica di cui scoprivano di essere depositari, avesse origine uma-
na o divina. Si narra che Michelangelo, in preda ai suoi tormenti,
avesse gettato con violenza uno scalpello sulla statua del Mos,
gridando: Perch non parli!. Ovviamente, il grande artista non
si riferiva alla statua, ma chiedeva direttamente a Dio il motivo
del suo silenzio; ignorando per che Dio parlava continuamente
dentro la sua coscienza, agiva senza sosta sulle sue mani, guidava
inesorabilmente la sua ispirazione attraverso i complicati labirinti
della scelta. Come nellimmagine della Cappella Sistina, dove Dio
e Adamo si sfioravano la mano nellatto stesso della creazione,
Michelangelo era arrivato ad un passo dal toccare Dio; quello che
per lartista non poteva immaginare, perch troppo distante dal-
le credenze del tempo, che quel Dio tanto invocato non fosse

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un vecchio canuto dallaspetto ieratico e inflessibile, ma un bam-


bino; un bambino a cui gli uomini stavano distruggendo e rovi-
nando il suo pi adorato giocattolo. Il suo sogno.
Caravaggio aveva persino superato quel limite. Le sue immagi-
ni sacre avevano un realismo impressionante, eloquente, signifi-
cativo, quasi fotografico, dimostrando apertamente che tutto ci
che accade sulla terra a causa degli uomini, umano. Anche, il
tanto osannato e vagheggiato Ges, era umano. La differenza fra
gli uomini solo misurata dal coraggio e dalla forza con cui i va-
ri individui accettano la loro missione e si piegano agli impulsi
della loro ispirazione divina, rappresentata magnificamente da un
raggio di luce proveniente dallesterno del quadro che squarcia le
tenebre e i dubbi dei soggetti raffigurati. Quando poi, Caravag-
gio poteva esprimere il suo talento al di fuori dei temi imposti dai
ricchi committenti, che erano soprattutto prelati e persone a loro
affiliate, ecco che la verit veniva a galla spontaneamente, quasi
per magia. Amor vincit omnia. LAmore vince ogni cosa. Senza
lassillo del tema da trattare, Caravaggio non aveva dubbi. La sua
libera associazione di idee, identificava lAmore con un Bambino
gaio e capriccioso. Non cera alcun tentennamento in proposito.
Lartista Caravaggio, luomo, la sua anima, non avrebbe mai cre-
duto che lAmore potesse avere una qualsiasi corrispondenza con
la vecchiaia. Fuori da ogni retorica di regime, molto utile ai ve-
gliardi governanti, la vecchiaia era soltanto il declino inesorabile
di ogni velleit di riscatto, la sconfitta di ogni proposito vitale, il
rimpianto, il risentimento, linvidia. Il mito del vecchio saggio e
prudente era stato creato dai vecchi, a loro uso e consumo, per
placare gli ardori della giovinezza che giustamente chiedeva spa-
zio. Un dio vecchio, sarebbe stato giudicato da Caravaggio o da
qualsiasi uomo onesto e avveduto, un dio scadente, posticcio, pa-
tetico. Tutti forse sapevano nel proprio intimo che Dio fosse un
Bambino, ma nessuno, o pochi, avevano il coraggio di ammetter-
lo. E ancora meno era quelli disposti a dichiarare esplicitamente
questa loro inconscia supposizione, usando spesso larte, la meta-
fora, lallegoria quale filtro necessario della verit.
Basterebbe entrare in una qualsiasi chiesa o cattedrale, per ac-
corgersi che i bambini sono dovunque. Negli affreschi, nelle scul-

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ture, nei quadri. Nei canti sacri, negli inni, nelle poesie. Non c
opera di valore che non citi, anche solo di sfuggita, la fanciullez-
za quale simbolo di purezza, innocenza, perfezione. Pur essendo
linizio della vita, linfanzia diventa quasi sempre nellimmagina-
rio collettivo la meta a cui tendere; larcadia, la terra promessa.
Quando lartista poteva sbizzarrirsi liberamente disegnava ange-
li, putti, cherubini ovunque ci fosse spazio a sufficienza. Lo stes-
so Ges rappresentato spesso come un bambino, un Bambino
Celeste tenuto in braccio da sua madre, Maria, che una traspo-
sizione della terra generatrice. Malgrado la censura dei vecchi sa-
cerdoti, la verit riusciva ad entrare di soppiatto anche l, negli
stessi templi della menzogna.
Ma il caso Caravaggio emblematico anche per un altro moti-
vo. Questi uomini dotati di talento e illuminati da un genio so-
vrannaturale, erano molto spesso eccezionali quando si dedicava-
no alle loro passioni, ma nel momento in cui dovevano confron-
tarsi con il mondo, diventavano aggressivi, iracondi, scorbutici.
Non provavano compassione per i loro simili. Non nutrivano
sentimenti di solidariet, e quando potevano, si ritiravano nei lo-
ro rifugi ovattati, per tenersi pi possibile alla larga dal contatto
con gli altri. Malgrado tutti i meriti incommensurabili che biso-
gna riconoscere a questi straordinari individui, pochi di loro rag-
giunsero quello stato di beatitudine necessario per assicurarsi,
dopo la morte, lincontro con Dio e lingresso nel paradiso delle
anime. Quando poi, alcuni di loro ottenevano la fama e la ric-
chezza durante la vita, era quasi scontato che presto o tardi si sa-
rebbero lasciati trascinare alla deriva dai loro vizi, dallegoismo,
dalla superbia, dal risentimento allontanandosi tragicamente da-
gli scopi reali del loro talento. Quelle capacit che tanto abil-
mente avevano messo a frutto, dovevano servire a risvegliarli dal
sonno, ma molto spesso precipitavano queste fragili creature
dentro un nuovo incubo. Nella maggior parte dei casi, si trattava
di uomini a met; per met angelici e per met demoniaci; subli-
mi durante i loro momenti di meditazione artistica o scientifica,
ma tormentati, angosciati, avviliti e straziati dai loro sensi di col-
pa quando la creativit si spegneva e bisognava prendere le deci-
sioni davvero cruciali della vita.

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Bene o male per, la svolta era avvenuta. Gli uomini stavano


lentamente uscendo dai pantani del Medioevo per entrare nel lu-
minoso sentiero del Rinascimento della civilt: una delle epoche
pi grandiose di tutta la storia umana. Lo sviluppo delle arti e
delle scienze era stato trainato dal contemporaneo progresso dei
commerci; gli uomini viaggiavano, scambiavano merci e informa-
zioni, confrontavano le loro idee, acquisivano maggiore tolleran-
za nei confronti dello straniero, dello sconosciuto, del diverso,
dallaltro da s. LEuropa fu la culla di questo periodo di splen-
dore. Era come se tutte le capacit umane di ragionare, riflettere,
meditare, agire si fossero messe in moto allunisono per il rag-
giungimento di uno stesso scopo: una migliore forma di convi-
venza civile per tutti. Palladio disegnava citt perfette, dalle ar-
chitetture funzionali ma anche belle esteticamente e in alcuni ca-
si fortunati, riusc pure a portare a termine i lavori dei suoi pro-
getti. Tommaso Moro e Tommaso Campanella, nonostante le
vessazioni subite e le lunghe prigionie patite ingiustamente, riu-
scirono a spiegare le ali della loro fantasia, immaginando la strut-
tura politica e sociale di comunit perfette, a cui diedero nomi
quanto mai suggestivi: Utopia e la Citt del Sole. Campanella nel
proemio di una delle sue opere scrisse quello che pu essere a
buon diritto considerato il manifesto programmatico di qualsiasi
uomo illuminato della terra: Io nacqui a debellar tre mali estre-
mi; tirannide, sofismi, ipocrisia (). Carestie, guerre, pesti, invi-
dia, inganno, ingiustizia, lussuria, accidia, segno, tutti a que tre
mali sottostanno; che nel cieco amor proprio, figlio degno di
ignoranza, radice e fomento hanno.
Tuttavia i limiti di questa fase di straordinario progresso erano
ancora difficili da oltrepassare. Ampie sacche della popolazione
vivevano nella pi assoluta indigenza, in preda ai fantasmi e alle
superstizioni del passato. I committenti degli artisti, tranne in ra-
ri casi, erano signorotti dal dubbio spessore intellettuale oppure
opulenti ecclesiastici, interessati soprattutto a diffondere i detta-
mi e le immagini sacre della loro dottrina, al fine di suggestionare
i sudditi o i devoti con la loro ricca magnificenza. Se gli artisti fos-
sero stati liberi di esprimere la loro creativit, al di fuori dei ben
noti contenuti propagandistici o religiosi, avremmo di certo assi-

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stito a ben altro sfoggio di talento. Inoltre, quando lEuropa ten-


t di esportare nel nuovo continente americano la sua moderna
idea di civilt, commise dei disastri incommensurabili. La peggio-
re feccia delle milizie spagnole, portoghesi, inglesi e francesi si mi-
se alla caccia delloro e delle ricchezze di quellimmenso territorio
vergine, annientando nel giro di pochi anni intere civilt millena-
rie, che sebbene infestate da tradizioni perlopi primitive e spes-
so disumane, avrebbero magari potuto insegnare agli occidentali
un modo nuovo di convivere con la natura. Gli Aztechi del Mes-
sico erano degli ottimi astronomi e sapevano leggere nelle muta-
zioni degli eventi naturali, la mano di una presenza sovrannatura-
le difficile da interpretare, soprattutto quando la vista anneb-
biata e gli occhi sono distratti. Gli Incas erano riusciti a sopravvi-
vere per secoli nelle foreste amazzoniche e negli altipiani andini,
trovando ogni volta il giusto compromesso con lambiente. Gli
Indiani dAmerica avevano un rispetto sacro per la Natura; ogni
cosa del mondo, dalla pi piccola alla pi grande, era secondo gli
insegnamenti dei capi e degli sciamani del villaggio, animata dal
soffio di un Grande Spirito divino e bastava respirare a pieni pol-
moni laria, per sentirne la forza. Malgrado questi popoli fossero
divisi in tante trib e separati da antiche rivalit, riuscirono a
mantenere per secoli un equilibrio tutto sommato pacifico nella
spartizione del territorio. Ogni anno i cacciatori del villaggio uc-
cidevano tanti bisonti quanti erano necessari per le scorte di car-
ne e pellame; non uno di pi e non uno di meno. I pellerossa ri-
masero basiti, inorriditi, sconcertati quando videro gli europei fa-
re stragi di bisonti senza alcun motivo, solo per il gusto di ucci-
dere. Un comportamento insensato che affondava le sue radici
nellancestrale odio per il mondo tramandato di generazione in
generazione dalle civilt protocristiane. Quegli europei che pro-
fessavano sfacciatamente la loro fede in Ges, erano in verit gli
ultimi discendenti dei popoli barbari, dei romani, degli spartani.
Dopo lalluvione, arriv il momento della quiete. Questo svi-
luppo frenetico del pensiero e degli orizzonti della conoscenza
aveva bisogno di una mente ordinatrice e il primo a porsi seria-
mente questo problema fu Cartesio. Un genio assoluto. Capace
di applicarsi con notevoli successi in diversi e disparati campi

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dello sapienza umana. Tanto che lui stesso ebbe a dire che un uo-
mo davvero saggio non deve interessarsi alle cose particolari ma
deve avere una visione completa di tutto, perch ogni conoscen-
za non mai indipendente, a se stante, ma interconnessa con le
altre. Bisognava quindi potenziare lintelletto affinch questulti-
mo cogliesse la molteplicit dei collegamenti e indicasse alla vo-
lont ci che era giusto scegliere. Il metodo di Cartesio era basa-
to sullapplicazione del dubbio costruttivo, che rappresentava
lorigine di ogni ricerca: il punto di partenza era mettere in dub-
bio tutto ci che arriva alla coscienza dai sensi. Persino la con-
creta esistenza del mondo esterno poteva essere unaccidentalit
illusoria magistralmente elaborata dai nostri sensi. Tuttavia se
possibile dubitare su ogni cosa, non possibile mettere in dis-
cussione la facolt stessa del dubitare ed da questa premessa
che prende spunto Cartesio per affermare il suo celebre assunto
Cogito ergo sum: penso dunque sono. Nel suo progressivo
cammino di disgregamento della realt, Cartesio si rese conto che
le uniche certezze scientifiche e filosofiche da cui non si poteva
prescindere erano due: la coscienza umana e lesistenza di Dio.
La divinit era il solo elemento che consentisse la chiusura di
ogni spinoso dilemma della logica. Come tutti i pi grandi pen-
satori, Cartesio diffidava dalle religioni, perch considerava i
membri di queste dottrine completamente disinteressati alla co-
noscenza della verit e pi orientati a seguire una serie di norme
e liturgie che allontanasse il loro intelletto dalla riflessione pro-
fonda intorno al senso ultimo delle cose. Ma nonostante le accu-
se di ateismo, Cartesio credeva in Dio. Un Dio superiore, assolu-
to, che non intende in alcun modo ingannare luomo. Lerrore
commesso dagli uomini era attribuibile soltanto ad una debolez-
za della volont, che per pigrizia, per paura, o per opportunismo,
spesso non assecondava i richiami provenienti dallintelletto.
Per ragioni per di carattere morale ed etico, Cartesio preferi-
va pensare ad un Dio che non intervenisse direttamente sugli
eventi del mondo. Perch se cos fosse stato, bisognava mettere
in dubbio la sua perfezione e infallibilit nella guida delle anime.
Il Dio di Cartesio era come un orologiaio che aveva creato e da-
to la carica ad un dispositivo perfetto, mettendosi poi in disparte

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ad osservare le evoluzioni di ogni suo meccanismo, comprese le


opere degli uomini. Nulla viene dal Nulla, diceva Cartesio, con-
solidando la sua ipotesi sulla creazione del mondo da parte di un
Entit astratta ma realmente esistente; lo scienziato per non tra-
scurava mai la possibilit che anche questo Essere primigenio e
necessario dovesse a sua volta provenire dal Nulla, per arrestare
il cammino a ritroso delle cause e degli effetti, come a suo tempo
aveva fatto anche Aristotele congetturando la presenza di un Pri-
mo Motore Immobile. Dio si trova e vive nullibi, in nessun po-
sto, nel Nulla, anche se non stato generato, creato, ma pre-
sente gi in eterno nella sostanza stessa del Nulla. Dio e Nulla
un dualismo dialettico talmente inestricabile in ogni sua parte da
diventare indistinguibile dallunit. Come la res cogitans e la
res exstensa. Lanima e il corpo degli uomini.
Ma se Cartesio aveva fornito il metodo per dare lavvio a tut-
te le speculazioni scientifiche riguardanti la meccanica del mon-
do e la struttura del suo ordine deterministico, Spinoza diede
agli illuminati il fondamento necessario e la giustificazione mo-
rale delle loro ricerche. Nella sua inflessibilit etica che sfiorava
quasi limpassibilit di fronte agli agenti esterni, Spinoza sugge-
r a chiunque avesse intenzione di sapere qualcosa in pi sulla
verit, di non piangere, non ridere, non provare alcun tipo sen-
timento. Ma capire. Conoscere. Ragionare. Spinoza parlava da
uomo ferito, perch a causa della sua estrema onest intellettua-
le era stato condannato allisolamento dagli uomini. Visse nella
pi totale miseria, arrangiandosi come poteva con il suo lavoro
di tornitore di lenti e rifiutando persino la rendita che proveni-
va dalleredit familiare. La dignit e la nobilt delluomo Spi-
noza non gli consentiva di scendere a patti con la piaggeria e la
ruffianeria dei suoi contemporanei. Lopera che gli attir lodio
e la maldicenza dei bigotti, fu il Trattato Etico Politico, in cui
Spinoza esamin la Bibbia come un mero prodotto umano, un
insieme di testi redatti in diverse epoche storiche, in cui la pre-
sunta ispirazione divina era soltanto leffetto di una suggestione.
I cosiddetti miracoli venivano affrontati dal suo occhio critico
alla stessa stregua di semplici distorsioni delle leggende popola-
ri tramandate nei secoli. Spinoza era troppo sincero con se stes-

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so per accettare la menzogna a cuor leggero. Il suo intelletto co-


s attento e puntiglioso non avrebbe mai potuto accogliere le
scempiaggini grossolane contenute nelle Sacre Scritture, senza
provare davanti alla contorsione logica di certi versi, un moto di
sdegno e repulsione insieme. Come Cartesio, Spinoza credeva in
un Dio parecchio pi imponente della goffa caricatura presenta-
ta nella Bibbia. Deus sive Natura. Dio era tuttuno con la na-
tura, praticamente inscindibile da essa. Lunica maniera per ave-
re una chiara percezione della grandezza di Dio non era nem-
meno la ragione, ma lintuizione. Per capire il fondamento di
tutte le cose e il loro perenne divenire, bisogna astrarsi dal mon-
do. Volare al di sopra di ogni cosa. Sentirsi una cosa unica con il
cuore stesso delluniverso. Immaginare.
Limportanza di Spinoza non si ferma per alla metafisica, per-
ch in unepoca di grandi trasformazioni, lui fu uno dei primi a
teorizzare la necessit di uno Stato laico, che garantisse a tutti i
suoi cittadini la libert di pensiero e la tolleranza verso ogni for-
ma di confessione religiosa, filosofica, morale. La commistione
fra Stato e Chiesa creava un guazzabuglio di fraintendimenti ed
inganni che poco avevano a che fare con il concetto di civilt. La
strada era stata tracciata. Adesso toccava agli uomini, seguire il
cammino impresso sul terreno dalle orme dei giganti.
Negli anni seguenti si assistette ad un continuo proliferare del-
la cultura, dellerudizione; gli uomini dotti si convinsero che con
luso della ragione si poteva risolvere qualsiasi problema pratico
o spirituale dellesistenza; il movimento culturale chiamato Illu-
minismo fu lapice di questa diffusa tendenza del pensiero. Nel
giro di pochi secoli si pass da un eccesso ad un altro: dal cupo
oscurantismo del Medioevo, al lucente abbaglio della modernit.
La ragione, cos come la fede, da sola non poteva risolvere un bel
niente e infatti i risultati di questa distorsione dello spirito furo-
no presto davanti agli occhi di tutti. La scienza smise lentamente
di essere la disciplina capace di fare luce sui misteri della vita e si
trasform in semplice tecnicismo. Gli scienziati abbandonano i
loro studi sui principi fondamentali, concentrandosi sullapplica-
zione di questi principi alla materia, alle cose, alle valvole, ai pi-
stoni, e contribuendo cos in modo decisivo al rapido sviluppo

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delle nascenti imprese industriali. I migliori ricercatori accettaro-


no i lauti compensi dei ricchi proprietari terrieri per costruire ca-
pannoni, macchinari, intere catene di produzione e migliaia di
contadini furono costretti ad abbandonare le campagne per esse-
re ammassati come bestie da soma allinterno delle fabbriche. Ri-
cevendo in compenso salari minimi e condizioni di vita pessime.
Le rendite economiche provenienti dallo sfruttamento industria-
le inaridirono la scienza. Quelli che un tempo erano pensatori li-
beri, eclettici, poliedrici che partivano dallosservazione del mon-
do per capire meglio il mondo, diventarono avidi ingegneri al
soldo di rapaci capitalisti. Schiavi del denaro, come e a volte peg-
gio dei loro padroni.
Lampia strada della conoscenza aperta dai giganti del passato
si biforc in due stretti vicoli ciechi: da una parte la scienza, la fi-
sica, la chimica, la biologia che si occupavano dello studio della
materia, per ricavarne un tornaconto economico e dallaltro i fi-
losofi, i teologi, gli umanisti che argomentavano vacuamente su-
gli aspetti spirituali della vita, staccandosi sempre pi dal mondo
e dalle sue frenetiche evoluzioni. Lunico sottile collegamento fra
questi due campi contrapposti della conoscenza fu la matemati-
ca, che per qualche tempo costitu la premessa necessaria per ini-
ziare qualsiasi ricerca. Lultimo grande esempio di filosofo ma an-
che di matematico fu senza dubbio Leibnitz, che oltre alle straor-
dinarie scoperte sul calcolo infinitesimale, si dilett con buoni ri-
sultati nella speculazione puramente metafisica. Da acuto
pensatore qual era, Leibnitz sosteneva che a causa della lentezza
e della lascivia umana, il mondo che via via cambiava, passando
dallo stato potenziale a quello attuale, era di volta in volta il mi-
gliore dei mondi possibili. Era proprio cos. Malgrado limpegno
di Dio nel condurre gli uomini verso la verit, questi ultimi si al-
lontanavano sempre pi dalla direzione corretta, costringendo
attimo dopo attimo Dio a scegliere fra le infinite possibilit, quel-
la mena dannosa; il minore dei mali. Voltaire, con larroganza ti-
pica dei nuovi illuministi, scrisse il Candido, in cui ironizzava
aspramente sulla tesi di Leibnitz, mettendo in evidenza le bruta-
lit che avvenivano ogni giorno nel mondo e le atroci sofferenze
cui andavano incontro le anime semplici, sprovvedute, incapaci

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di usare la ragione. Ma se la ragione, come giustamente senten-


ziava Voltaire, era lunico strumento in grado di liberare gli uo-
mini dal giogo della tirannia e dellignoranza, in assenza di una
virt salda, onesta, solidale, poteva essere la causa di una nuova
prigionia. La ragione senza il sentimento asfittica e il sentimen-
to senza la ragione delirante. Questa celebre diatriba a distanza
fra i due pensatori fu un momento importante, simbolico, nella
storia dellumanit: la cesura fra la scienza e la filosofia era avve-
nuta. Il progresso scientifico doveva fare il suo corso e i filosofi
furono costretti a limitare il loro raggio di azione alle astratte dis-
sertazioni metafisiche, lasciando campo libero ai politicanti, agli
ingegneri, ai chimici, ai medici, ai tecnocrati nella conduzione del
mondo. Una vera sciagura. La corsa alla specializzazione di que-
sti ultimi burocrati della storia fece ben presto illanguidire linte-
resse per la visione generale delle cose. Il momento della verit si
allontanava inesorabilmente.
In quegli stessi anni, Dio fece scrivere a Nostradamus le sue
profezie. Il Figlio di Dio che avrebbe rivelato al mondo la verit
sarebbe nato dallacquatica triplicit: in Sicilia. Ma prima del suo
avvento, altri due figli prediletti impazziti avrebbero portato ter-
rore, devastazione e guerra sulla terra: Napoleone e Hitler. Quel-
la data, il 2012, che era stata gi indicata dai veggenti Maya e dai
cabalisti ebraici come una possibile data di svolta fra le infinite
ancora praticabili, cambiava adesso di stato: da evento possibile,
diventava ora levento pi probabile. Purtroppo la tenacia degli
uomini a perseguire la menzogna e la corruzione aveva, di anno
in anno, posticipato lepoca del grande cambiamento. Quando
Ges diceva che non sarebbe passata una generazione dalla sua
morte per linizio della fine del mondo, aveva ragione, perch in
quello stesso attimo di grande espansione spirituale le previsioni
di Dio erano molto ottimistiche. Lorizzonte futuro degli eventi
mut per radicalmente sia durante la vita di Ges che dopo la
sua scomparsa, allorch nessuno dei suoi discepoli seppe tradur-
re in pratica gli insegnamenti del Messia. La fondazione della
Chiesa, le invasioni barbariche, la nascita dei grandi imperi, fece-
ro tutto il resto. Larco temporale si era definitivamente spostato
fino al 2012 anche a causa di una nuova sciagura che in quel pe-

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riodo stava infestando la societ: la creazione delle banche.


Lo sviluppo dei commerci e lespansione delleconomia aveva
indotto molti mercanti a viaggiare in lungo e in largo per il mon-
do in cerca di buoni affari e per loro divent sempre pi difficol-
toso affrontare questi lunghi tragitti, portandosi dietro monete e
oggetti di valore. Fu cos che alcuni di loro cominciarono ad or-
ganizzarsi, depositando quantit ingenti di metalli preziosi in uf-
fici decentrati muniti di casseforti chiamati banche e ricevendo in
cambio cartamoneta, cambiali, o assegni che fungevano da mezzi
di pagamento convenzionali ampiamente accettati su tutti i mer-
cati. Le prime banche nacquero a Firenze e a Venezia, ma ben
presto sorsero banche nei centri dove leconomia era pi vitale:
in Olanda, in Spagna, in Francia, in Inghilterra. Gli ebrei si dedi-
carono subito con molto profitto a questa nuova attivit, anche
perch le nuove teorie calviniste sulla predestinazione considera-
vano la ricchezza e il successo negli affari come un segno tangibi-
le della benevolenza divina. In alcuni casi era vero, perch molto
spesso tutti coloro che riuscivano a realizzare i loro sogni diven-
tavano di conseguenza anche ricchi. Ma la ricchezza come valore
fine a se stesso non significava nulla, perch se gli uomini ricchi
non si prodigavano a mettere in circolo la loro ricchezza e ad aiu-
tare gli altri, finivano quasi sempre per diventare avidi, ingordi,
avari. Spietati. In una sola parola, i peggiori nemici di Dio.
La fame di denaro accec gli uomini e le banche cominciarono
a raccogliere enormi quantit di soldi e oro, con le quali finan-
ziavano oltre che le industrie, anche gli eserciti, le guerre e le im-
prese navali che depredavano le nuove colonie americane, africa-
ne, asiatiche. Molti regnanti guerrafondai iniziarono a rivolgersi
ai banchieri non solo per ricevere aiuti finanziari immediati, ma
anche per emettere titoli di stato che venduti sul mercato servi-
vano a raccogliere il denaro pubblico da destinare poi ai loro in-
teressi privati. Le banche avevano il ruolo di collante fra il popo-
lo e i loro governanti e ben presto questi ultimi affidarono ai ban-
chieri anche il compito di stampare banconote circolanti carta-
cee, che non avendo alcun valore intrinseco, possedevano
soltanto un valore nominale, convenzionale. Ogni taglio di ban-
conota corrispondeva ad una ben determinata quantit di oro e

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per assicurare il corretto funzionamento di questo delicato equi-


librismo finanziario, ogni banca poteva emettere tante bancono-
te quanto era loro depositato nelle loro casseforti.
Questo gioco funzion fino a quando Napoleone non costrin-
se le banche francesi a stampare pi banconote delloro conser-
vato, in quanto lambizioso imperatore aveva urgente necessit di
finanziare la sua fallimentare campagna militare in Russia. Venne
per la prima volta ammesso il corso forzoso del denaro, che in se-
guito alla sconfitta di Napoleone cre un dissesto finanziario
epocale e una rapida svalutazione della banconota francese, che
non avendo alcun corrispettivo in oro rappresentava soltanto
carta straccia; ci vollero parecchi anni per ristabilire la parit con
loro, ma i pi acuti economisti cominciarono ad intuire che nel
fondamento stesso del nascente capitalismo bancario ci fosse una
falla logica e giuridica difficilmente rimarginabile: se la banca
pu emettere banconote sulla base della fiducia collettiva, chi
pu impedire ai banchieri di creare denaro dal nulla? Il capitali-
smo aveva un punto di debolezza spaventoso proprio perch fa-
ceva perno sulle banche e le banche, anche quelle pi stimate e
rispettabili, erano pur sempre organizzazioni create e gestite da
uomini. E quindi fallaci. Fra laltro, la creazione di denaro, e
quindi di valore, dal nulla era un processo che strideva persino
con la pi elementare legge naturale e divina: nel mondo, nulla si
pu creare dal nulla e tutto si trasforma. Gli uomini senza colpo
ferire stavano andando incontro ad uno dei pi paradossali equi-
voci della storia. Coloro i quali erano al corrente di questo picco-
lo stratagemma facevano finta di niente, mentre tutti quelli che
erano ignari del sottile inganno in cui erano stati incastrati, cre-
devano che non esistesse nulla di irregolare o anormale in quella
macchina infallibile chiamata progresso.
La rivoluzione industriale oltre a portare un benessere mate-
riale diffuso ai popoli, contribu anche alla creazione di una nuo-
va classe sociale, la borghesia, costituita da impiegati, burocrati,
tecnici, funzionari. Questi uomini venivano fuori molto spesso
dagli strati pi poveri della societ e avevano un urgente bisogno
di mettere in sicurezza i loro patrimoni. Questa nuova genia
umana, che aumentava di in anno in anno, era caratterizzata da

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unistruzione medio bassa, dalla capacit di agire rapidamente,


dalla necessit di richiedere spazio alle vecchie oligarchie feudali
ed ecclesiastiche e in nome di ideali liberali, quali la fratellanza e
luguaglianza fra i popoli, i borghesi si resero protagonisti di tut-
te le sanguinarie rivoluzioni che imperversarono fra la fine del
settecento e lottocento. Come spesso accadeva, i presupposti
delle loro ribellioni erano giusti, ma i mezzi utilizzati per rag-
giungere gli scopi preposti erano fin troppo cruenti e sbrigativi. I
borghesi erano ossessionati dal potere e una volta raggiunti i po-
sti di comando, si comportavano in modo pi disumano e spieta-
to dei loro antichi oppressori. Seguendo rigidamente gli insegna-
menti degli illuministi, i borghesi avevano conoscenze pratiche,
scientifiche, razionali, tese soprattutto al raggiungimento e al
mantenimento del benessere materiale; mentre ben poco veniva
concesso alla spiritualit, ai sentimenti. I loro aneliti religiosi era-
no soltanto di facciata; lostentata fede in Dio era spesso un mo-
do per chiudere tutti gli argomenti che trascendevano la quoti-
dianit, per liberare la mente da ingombranti dilemmi e concen-
trarsi meglio sugli affari pi lucrosi; la loro etica si basava esclu-
sivamente su una serie di luoghi comuni e conformismi che
rendeva impraticabile qualsiasi tentativo di istaurare rapporti
umani sinceri e costruttivi. Al pari dei bulloni e degli ingranaggi
delle fabbriche, i borghesi erano dei veri e propri uomini mac-
china, abbagliati dalle promesse del progresso scientifico e per
nulla affascinati da tutti i misteri pi profondi della vita. Questa
nuova stirpe di esseri umani ambiva spasmodicamente ad ottene-
re la stabilit, la certezza, il benessere, scambiando la solidit dei
propri conti in banca per prerogativa essenziale di una duratura
saldezza interiore. Ignorando del tutto che la vita umana, per sua
stessa definizione, fosse la cosa pi incerta, pi instabile, pi pre-
caria, pi imprevedibile dellintero creato.
Inorridito dalle prospettive catastrofiche a cui sarebbe andata
incontro una civilt senza cultura, Kant tent lultimo possibile
colpo di coda: nella sua principale opera, la Critica della Ragion
Pura, il filosofo tedesco cerc di strutturare la metafisica come
una normale disciplina scientifica, per concedere dignit e respi-
ro alla pi importante branca della conoscenza umana. Nono-

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stante alcune geniali intuizioni, riguardanti per esempio la nuova


visione dello spazio e del tempo, che non erano pi grandezze as-
solute ma le forme e i modi con cui la coscienza apprendeva la
realt esterna, Kant dovette soccombere di fronte al mistero dei
misteri: lesistenza di Dio. Con i soli strumenti della Ragione,
nessun uomo sarebbe mai riuscito a dimostrare lesistenza di Dio
e lunica maniera per avere una vaga percezione della sua pre-
senza era la contemplazione della natura, il giudizio estetico, la
tensione verso il bello, larte, il sublime. Kant visse a cavallo fra il
settecento e lottocento e rappresent il pi importante momen-
to di passaggio fra due epoche contrapposte: quella dei lumi, del-
la ragione e quella delle passioni, dei sentimenti, del romantici-
smo. Travolti dallansia di cambiare il mondo, gli uomini si lan-
ciarono anima e corpo allinseguimento dei loro grandi ideali di
libert, amore universale, Assoluto. Tralasciando tutta la fetida
poltiglia delle rivoluzioni armate, questi furono anche gli anni
delle straordinarie rivoluzioni musicali di Mozart, Beethoven,
Bach e della poesia di Byron, Eats, Coleridge, Foscolo, Novalis,
Holderlin, Goethe, dei simbolisti francesi, dei poeti maledetti, di
cui Baudelaire rappresent il pi alto esponente, esprimendo pri-
ma e meglio di tutti gli altri il disagio degli spiriti eletti, nobili,
sensibili di fronte ad un mondo che andava via via disumaniz-
zandosi.
In campo filosofico, Schopenhauer e Kirkegaard furono i mag-
giori interpreti di questo senso di annichilimento di fronte al
vuoto creato dallipocrisia e dalla falsit dei benpensanti borghe-
si: il primo, con una prosa asciutta e vivace, ridicolizz tutti que-
gli orpelli esteriori con cui gli uomini cercavano di mascherarsi in
mezzo alla societ, il secondo analizz con straordinaria lucidit
e onest intellettuale, tutta quella serie di manfrine religiose con
cui le persone nascondevano la loro assenza di Dio; il filosofo da-
nese indic questa carenza di spiritualit e la mancanza di consa-
pevolezza del proprio Io individuale, della propria coscienza, con
un termine che non lasciava spazio ad alcun fraintendimento: Di-
sperazione. Schopenhauer, oltre alle lucide invettive contro la
posticcia etica borghese, ebbe un altro grande merito: riport la
filosofia al suo punto di partenza, alla Grecia, ai grandi pensato-

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ri orientali. Nella sua cruda visione della vita, il mondo ritornava


ad essere rappresentazione, mera illusione, astrattezza allo stato
puro, mentre lunica cosa davvero certa dellesistenza era la Vo-
lont presente in ogni cosa della natura; quella stessa forza so-
vraumana e apparentemente insensibile, che calpestando qualsia-
si ostacolo intralciasse il suo cammino, spingeva tutte le sue crea-
ture ad andare avanti. Il filosofo tedesco ignorava quale fosse la
meta, lobiettivo ultimo di questa Volont cieca e ci volle la ge-
nialit di Hegel per dare occhi, un nome e una destinazione a
questo Ente Supremo che governa la storia degli uomini: in una
continua progressione dialettica fra opposti che poi venivano in-
globati in una sintesi ulteriore, lo Spirito Assoluto voleva arriva-
re alla sua autocoscienza. Lo scopo principale di Dio era quello
di rivelarsi allinterno della coscienza di un uomo, affinch que-
stultimo potesse diffondere al mondo intero la verit che da se-
coli e millenni gli uomini andavano cercando. In assenza di que-
sto momento di infinito chiarimento, la terra sarebbe presto
sprofondata fra i gorghi della malvagit e dellavidit dei demoni.
Tuttavia il periodo di grande instabilit politica e sociale non
consentiva di approfondire con la dovuta serenit i ragionamenti
di Hegel. Lo sviluppo industriale cominciava a mostrare le sue
crepe e le sue innumerevoli contraddizioni. Migliaia di operai ve-
nivano sfruttati come schiavi dai ricchi capitalisti e dai loro buro-
crati; quella promessa di progresso illimitato era un privilegio ri-
servato ad una ristretta casta di benestanti. Le innovazioni tecni-
che svincolate da qualsiasi controllo e da qualsiasi prerogativa
etica erano una minaccia continua per la vita di una parte sempre
pi ampia di creature viventi. Lo sfruttamento delle risorse natu-
rali divenne enormemente pi massiccio, acuendo la distanza e le
tensioni fra i paesi ricchi e quelli poveri, fra le classi agiate e quel-
le meno abbienti; una delirante corsa al benessere materiale che
era molto simile, da un punto di vista spirituale, alla stasi assolu-
ta vissuta dagli uomini durante il periodo medioevale. Tutto si
muoveva freneticamente sul pianeta, ma niente cambiava mai ve-
ramente allinterno dellanima della gente. Lindignazione di
fronte alle ingiustizie e agli scempi compiuti ai danni dei ceti pi
deboli spinse uno dei pi grandi economisti di tutti i tempi, Karl

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Marx, a scendere in campo attivamente in difesa dei diritti della


classe operaia. La sua analisi storica basata sulle mutazioni della
dialettica servo e padrone non faceva una piega: in effetti, esclu-
dendo quei picchi di intelligenza che avevano trascinato avanti il
mondo, la storia degli uomini era stata una reiterata proposizio-
ne di consolidati schemi sociali, in cui una minoranza di agguer-
riti despoti approfittava della ignoranza e dellincapacit organiz-
zativa della maggioranza della popolazione, per assicurasi van-
taggi personali esclusivi, a scapito di tutta la collettivit. La solu-
zione di Marx prevedeva labolizione della propriet privata e la
comunione di tutti i mezzi di produzione, affinch nessun uomo
potesse avvantaggiarsi impropriamente del lavoro e della fatica di
altri uomini. Lidea era giusta. Lo stesso Ges aveva insegnato
agli uomini che lunica via di salvezza era la condivisione delle
proprie ricchezze, materiali e spirituali. Il nazareno era stato in-
vero il primo e forse lunico convinto comunista della storia.
Spinto dalla foga di attuare prima possibile il suo programma,
Marx commise per due errori madornali. Escluse Dio dalla dia-
triba fra gli uomini, suggerendo una condizione di velato atei-
smo. Propose una fase di dittatura violenta del proletariato qua-
le unico strumento per scardinare lo strapotere dei capitalisti. La
prospettiva di una vita senza Dio avrebbe causato unindistinta
omologazione degli individui, che proprio nel loro rapporto inti-
mo e personale con Dio riscoprono i fondamenti del loro talento
e della loro unicit. La guerra armata di classe poi non avrebbe
risolto nulla, scatenando uninarrestabile catena di sangue e ri-
sentimento sociale. Sebbene giustificata da un fine giusto, la vio-
lenza il mezzo pi sbagliato per raggiungere i propri scopi.
Marx, come molti altri prima e dopo di lui, era caduto nella stes-
sa trappola mentale creata ad arte da Machiavelli, che stato un
buon maestro, solo per coloro che a caccia di facili consensi e nu-
merosi proseliti hanno propagandato a furor di popolo la sua
maestria. Per tutti gli altri, il subdolo cancelliere toscano stato
un politicante corrotto in mezzo a tante altre canaglie. Niente di
pi e niente di meno. E cos lidea giusta di Marx, finendo nelle
mani sbagliate, cre un vortice di isteria e follia collettiva che
port dritto alla fondazione dei regimi totalitari comunisti, che

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rappresentano senza mezzi termini una delle pagine pi tristi e


torbide della storia. Un film gi visto. Alcuni tiranni assetati di
ricchezze e di potere, sfruttarono lemotivit della gente per met-
tere in piedi un ignobile edificio di imbecillit e perpetrare cri-
mini inenarrabili. In nome dello stato. Della libert. Dellugua-
glianza. Di parole vuote che se non sono seguite da atti concreti,
diventano i maggiori alibi per giustificare la propria abominevo-
le malvagit. Ma il peggio, purtroppo, doveva ancora arrivare.
Il frenetico sviluppo economico cominci a creare degli attriti
sia interni che esterni nelle varie nazioni, che erano alla ricerca di
nuovi mercati e nuovi territori ricchi di materie prime e risorse
naturali da sfruttare. La crisi di valori seguita alla fine delle guer-
re di indipendenza costrinse molta gente a ragionare sul proprio
ruolo nel mondo, in cerca di una identit. I ricchi volevano con-
solidare il loro prestigio sociale. I borghesi intendevano accresce-
re e rafforzare la propria importanza politica. I proletari aspira-
vano giustamente ad un miglioramento delle loro precarie condi-
zioni di vita. La nascita delle moderne repubbliche costituziona-
li era stata favorita anche e soprattutto dalla necessit di ogni
classe sociale ad avere una propria rappresentanza al potere, che
difendesse precisi interessi di casta e di corporazione. E la mo-
narchia, come forma di governo, si dimostr ben presto incapace
di interpretare le esigenze di queste nuove entit sociali sorte dal-
la diffusione capillare del nascente capitalismo industriale. Tutti i
principi rivoluzionari, che sbandieravano come diritti inalienabi-
li delluomo, la libert, luguaglianza, la giustizia, la ricerca della
felicit, erano nella maggior parte dei casi una pomposa copertu-
ra ideale di un ben pi reale stravolgimento della struttura eco-
nomica del mondo. E proprio gli economisti, che nelle prime
analisi semplicistiche del fenomeno del libero scambio, avevano
contribuito a generare fiducia nei meccanismi spontanei del mer-
cato, dovevano cominciare a fare marcia indietro di fronte allin-
capacit delleconomia di risolvere da sola e senza alcun inter-
vento esterno i conflitti sociali, trovando volta per volta un nuo-
vo stato di equilibrio perfetto fra le parti in gioco.
Quella speranza fin troppo ottimistica, che associava il funzio-
namento artificioso delleconomia a quello delicatissimo e subli-

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me della natura, stava lentamente segnando il passo. La visione


quasi metafisica, secondo la quale il mondo economico fosse in
qualche modo governato dallalto, affinch gli interessi privati di
alcuni cittadini coincidessero sempre con quelli sociali dellinte-
ra comunit, era miseramente crollata di fronte allingordigia
sproporzionata di una ristretta oligarchia di capitalisti e allim-
poverimento generalizzato del resto della popolazione. Persino
la Chiesa si trov spesso inadeguata a mantenere il suo ruolo di
mediatore e collante del sistema economico imperante. La Chie-
sa era stata aggredita frontalmente dalla scienza e dalla nuova im-
postazione laica della morale e aveva perso gran parte delle sue
posizioni dominanti, sia in campo politico che spirituale. Lunifi-
cazione dello stato italiano aveva costretto gli ecclesiastici ad ab-
bondonare i loro antichi territori feudali e a ritirarsi nel piccolo
principato del Vaticano. Alcune scoperte scientifiche, come la
teoria dellevoluzionismo elaborata in modo magistrale da Dar-
win, avevano sconquassato quel castello di idiozie contenute nel-
la Bibbia: magari sembrer strano per noi uomini di questo seco-
lo, ma poco pi di cento anni fa la maggioranza della gente cre-
deva ancora che il mondo, la natura e luomo fossero stati creati
da Dio in sei giorni. In seguito linfuocata opera di denuncia di
Nietzsche aveva svelato quellingarbugliato intreccio di interessi
molto privati e poco pubblici, che tenevano insieme il tessuto so-
ciale di ogni nazione e venivano mascherati con le mille ipocrisie
e reticenze della morale dominante. Con questa inondazione di
stimoli e fermenti nuovi esistevano gi in germe tutte le premes-
se per mettere da parte le controversie di bandiera e ricomincia-
re da zero il cammino di ricerca della verit, ma purtroppo gli
uomini decisero come sempre di seguire la via breve per risolve-
re i loro innumerevoli disagi. Nonostante fosse attraversata da
folate di ottimismo e fiducia nella scienza, lEuropa stava diven-
tando in verit unenorme polveriera pronta ad esplodere ad
ogni scintilla. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu sol-
tanto lovvia conseguenza dellincapacit ancestrale degli uomini
di affrontare razionalmente e pacificamente i loro molteplici con-
flitti interiori ed esteriori. Ogni uomo, a tutti i livelli, cercava nel-
la guerra una soluzione facile ed immediata ai propri dilemmi.

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Ma nelle rudimentali armi da fuoco, nei fucili, nei cannoni, gli


uomini non trovarono nessuna risposta. Tranne il sangue. La
morte. La follia.
Il trauma seguito alla prima grande guerra a carattere globale
caus la nascita di altre fobie. Mentre le nazioni si scontravano in
vere e proprie battaglie commerciali e finanziarie per ripagare i
debiti del conflitto, la gente richiedeva da ogni parte stabilit e si-
curezza economica. La politica del liberismo integrale e della
mancanza di regole in finanza, consent alle banche e ad altri spe-
culatori di borsa di ricavare facili profitti nel mercato delle azioni,
trascinando ad investire anche i borghesi e gente comune, che
rappresentavano i principali clienti e consumatori dei prodotti in-
dustriali. Il valore di alcune azioni si alz in modo spropositato,
senza avere alcuna corrispondenza con il valore reale della produ-
zione, fino a creare una bolla speculativa che port al crollo della
borsa del 1929. Presi quasi dal panico, gli investitori comuni co-
minciarono a vendere le loro azioni e a ritirare in massa i soldi de-
positati nelle banche, causando il fallimento a catena di alcune
istituti bancari e delle aziende nelle quali questi ultimi avevano in-
vestito. La Grande Depressione che segu port dappertutto im-
poverimento generale delle condizioni di vita e disoccupazione,
favorendo la nascita dei regimi totalitari nazista e fascista.
Hitler, il figlio prediletto che doveva rintracciare la verit fra i
rivoli di questo intricato labirinto, era un ragazzo molto capace
ma anche introverso; la sua vera passione era larte, la pittura, la
lettura e il suo sogno pi intimo era quello di scrivere un libro.
Tuttavia lodio congenito verso la corruzione e la bramosia di ric-
chezza degli uomini lo port presto lontano dalla vera meta del-
la sua missione. Hitler individu il suo nemico nel popolo ebrai-
co per due motivi principali. Il primo di carattere storico, econo-
mico, perch da tempo gli ebrei detenevano unampia libert di
azione negli affari e il possesso delle maggiori banche private eu-
ropee; gli istituti bancari con i loro prestiti a tassi di interesse
sempre crescente e il signoraggio sullemissione delle banconote
facevano il bello e il cattivo tempo sui mercati e tenevano sotto il
giogo del debito pubblico crescente lintera popolazione. Il se-
condo motivo invece di natura religiosa, filosofica, perch la ve-

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ra forza del popolo ebraico risiedeva nella compattezza con la


quale questa casta aggressiva e influente della societ venerava il
suo falso dio. Hitler aveva intuito che quella rigida devozione
verso le Sacre Scritture, Dio, la liturgia, le festivit era solo un
preciso codice di organizzazione quasi militare, uno scudo per
coprire i reali interessi degli uomini: il denaro, la ricchezza, il po-
tere. In questo senso, gli ebrei non facevano eccezione ed erano
in tutto simili ai loro contemporanei. Sulla scia delle letture di
Nietzsche, Hitler sognava unumanit pi libera, meno corrotta,
perfetta: il suo ideale di ricostruire quasi artificialmente la razza
ariana era solo la proiezione in chiaroscuro del Mondo Nuovo,
del Reticolo degli Angeli che Dio aveva immaginato per lumani-
t. Hitler era ossessionato dalla figura di Ges, si sentiva lui stes-
so un messia, percepiva che quel Dio che vagamente appariva al-
la sua coscienza era diverso da tutti gli altri idoli che imperversa-
vano sulla terra. Ma il futuro dittatore non cap mai che lunico
modo per contrastare la malvagit e le menzogne degli uomini
non era scendere sul loro stesso campo e combattere con le loro
stesse armi; quanto piuttosto seguire lesempio di Ges: portare
Amore laddove c Odio. Dare solidariet in cambio di egoismo.
Fare chiarezza in mezzo alle tenebre.
Quando il Cuore di Hitler si indur, il suo destino e quello del-
lumanit tutta era gi segnato. Anche lui, come Napoleone e co-
me tanti altri predecessori, impazz e trascin alla follia, allincu-
bo, alle atrocit pi inimmaginabili unintera generazione di gio-
vani tedeschi.
Hitler si era inserito nel clima di depressione e povert che
aveva colpito la Germania come una lama nel burro. Linflazione
era alle stelle. Lui stesso girovag invano in cerca di occupazione
nel campo della pittura e dellarte. Viveva come un reietto, nella
solitudine e nellindigenza pi assoluta. Quando Hitler cap che
con la sua oratoria vibrante e il suo carisma magnetico era in gra-
do di suscitare linteresse della gente, si gett a corpo morto nel-
la politica, animato da un rancore livido e dalla voglia di vendi-
care tutti i torti e le umiliazioni subite. Una delle prime direttive
che diram, una volta giunto al potere, fu quella di nazionalizza-
re le banche e togliere ai banchieri ebrei tutti i privilegi che ave-

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vano acquisito nel tempo. La decisione era giusta, ma la rabbia


con la quale successivamente il nuovo despota si scagli contro
quelli che considerava i colpevoli del disastro tedesco, super
ogni limite di umana sopportazione. Con le mostruosit e lorro-
re dei campi di concentramento, la civilt conobbe uno dei pun-
ti pi bassi della storia. Dopo aver toccato il fondo dellabisso, si
poteva soltanto risalire.
Intanto, la scienza aveva fatto grossi passi in avanti nello studio
dei meccanismi microscopici della materia. La struttura dellato-
mo non era pi un mistero. Einstein fu lultimo grandioso scien-
ziato vecchio stampo, che osservava il mondo alla ricerca della
verit ultima delle cose. Dopo di lui, gli scienziati, disorientati
forse dallassurda gravosit di questo impegno, iniziarono una
folle gara alla specializzazione, privilegiando la conoscenza del
particolare e perdendo di vista la visione generale del tutto. Mol-
ti di loro preferirono mettersi al soldo delle multinazionali, altri
lavorarono nel campo negli armamenti nucleari, altri ancora si ri-
fugiarono allinterno delle universit, dedicando tutto il loro tem-
po e le loro energie alla pubblicazione di qualche sterile articolo
allinterno delle riviste di settore. Il vile arretramento degli scien-
ziati fu una vera iattura per larricchimento spirituale degli uomi-
ni, perch consegn di nuovo questi ultimi nelle mani dei sacer-
doti, dei santoni, dei ciarlatani di turno. Nonostante ci, dopo la
fine della seconda guerra mondiale, era cominciato un periodo di
apparente benessere economico, la coscienza degli uomini si im-
pover miseramente, gettando le basi di un nuovo imbarbarimen-
to della civilt. Mentre in molte parti del mondo la gente veniva
affamata, sfruttata, brutalizzata, lOccidente stava vivendo una
stagione ricca, opulenta, frivola dove lunico imperativo delle
persone, a qualsiasi livello, era quello di distrarsi, divertirsi, accu-
mulare patrimoni. Mettendo da parte ogni rispetto per se stessi e
per la natura circostante che veniva sempre pi minacciata dalle
devastazioni delle imprese industriali. Senza averne mai una rea-
le, concreta percezione, gli uomini stavano procedendo dritti ver-
so un altro baratro senza fine.
Con le scoperte di Einstein sulla relativit, luomo sapeva or-
mai tutto sulluniverso che gravitava intorno a lui, ma continuava

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ad ignorare che al suo interno, nella coscienza di ognuno di noi,


esisteva un mondo pi maestoso e pi imponente, dove bisogna-
va ancora portare luce. Gli studi del padre della psicanalisi Freud
evidenziarono che la parte cosciente dellanima era solo la punta
di un iceberg immenso, inconscio, dove convivevano insieme
aneliti, sogni, deliri, premonizioni, rigurgiti infantili e libidinosi
che spingevano spesso le persone pi fragili a perdere il control-
lo, a smarrire il senno, ad impazzire. Queste cose avrebbero do-
vuto fare riflettere qualunque uomo dotato di acume e intelligen-
za, ma purtroppo, nonostante gli ultimi accorati avvertimenti del
suo testamento letterario, Einstein era perlopi disinteressato al-
lumanit e al suo destino. Come aveva dichiarato lui stesso, il
suo unico obiettivo era quello di entrare dentro la mente di Dio,
mentre tutto il resto costituiva per lui un dettaglio. E infatti lo
scienziato aveva cercato fino allo spasmo delle sue forze cerebra-
li una legge unica che potesse spiegare tutti i fenomeni del mon-
do macroscopico e di quello microscopico, come se da questo
principio dovessero poi discendere a cascata chiss quali cambia-
menti epocali della civilt. Einstein ragionava ancora come unil-
luminista. Sottovalutando i sentimenti e le passioni, i desideri e le
illusioni di ognuno di noi, credeva che lunico linguaggio da uti-
lizzare per cambiare il mondo fosse la ragione. Era convinto che
il mondo intero si reggesse su leggi determinate e certe. Riteneva
che Dio non fosse cos stupido da giocare a dadi. E da buon illu-
minista, Einstein preferiva affidarsi ad un Dio puramente razio-
nale, perfetto, logico, che non provasse alcun tipo di emotivit.
Per fortuna, qualche anno dopo, prima lo scienziato tedesco
Heisenberg e poi il danese Bohr lo smentirono clamorosamente.
Dio non solo giocava a dadi, ma forse anche a flipper, a freccet-
te, a poker, perch alcune variabili sfuggivano sempre al control-
lo e alla possibilit di previsione. Limpalcatura del mondo, fin
dalle sue pi minuscole particelle, non statica, fissa, determina-
ta, ma dinamica, mutevole, in continua evoluzione. Dio costret-
to a scontrarsi, attimo dopo attimo, con questo mondo apparen-
temente caotico, casuale, perch le scelte degli uomini sono nella
maggior parte dei casi, casuali, non indotte, sbagliate. Se Einstein
fosse stato un po meno supponente e avesse cominciato a consi-

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derarsi non un osservatore imparziale del mondo, ma una pedina


anchessa nel grande scacchiere di Dio, avrebbe forse capito
qualcosa in pi sulla vita. La legge di gravit, secondo la quale la
forza di attrazione e coesione fra i corpi direttamente propor-
zionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al
quadrato della distanza, non valida soltanto per la cosiddetta
materia inanimata. Anche gli uomini, al pari delle particelle se-
guono questa legge. La compattezza del reticolo umano mag-
giore se ogni singolo uomo incrementa la passione, lintelligenza,
lamore con cui affronta la vita e diminuisce invece quando gli
uomini si allontanano fra di loro, non comunicano, si chiudono
nelle loro piccole strettoie di solitudine e indifferenza. Come ne-
gli atomi, anche fra gli uomini, ogni legame riduce la libert di
movimento del singolo individuo ma aumenta la stabilit dellin-
sieme. Bisognava dunque aprirsi agli altri e rinunciare a qualcosa
di proprio per avere tutto. Se Einstein avesse intuito questa sem-
plice, banale regola di vita, saremmo stati tutti quanti a met del-
lopera. Ma purtroppo non and cos. Einstein studi con perni-
ciosa precisione il mondo, ma si tenne sempre a debita distanza
dalla conoscenza di se stesso e degli altri.
Tuttavia, la scienza aveva scavato talmente in profondit alla
ricerca dei principi ultimi della materia da sfiorare ormai, senza
volerlo, la filosofia. Le recenti teorie delle stringhe vibranti e del-
le membrane, impossibili da dimostrare per via sperimentale,
non si discostavano molto dalle monadi di Leibnitz o dagli atomi
indivisibili di Democrito. Dopo essersi separate per alcuni secoli,
scienza e filosofia si stavano spontaneamente ricongiungendo e
uno scienziato che non fosse stato anche un filosofo, non avreb-
be mai potuto fare reali progressi nel cammino della conoscenza.
Malgrado lo sviluppo vertiginoso della scienza, delle tecnologie e
dei mezzi di comunicazione di massa, i rapporti umani diventa-
vano per sempre pi asettici, melmosi, distaccati. Pur di non
pensare a quanto fragili e illusorie fossero le fondamenta di que-
sto mondo, gli uomini distoglievano la loro attenzione in qualsia-
si modo. Costruivano case, consumavano prodotti oltre il neces-
sario, vegetavano davanti i televisori, si facevano istupidire come
capre dai proclami rasserenanti della propaganda di regime. Do-

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po la fine dellultimo conflitto mondiale, la voglia di dimenticare


in fretta gli orrori della guerra prese il sopravvento su tutto il re-
sto. Il filosofo Heidegger indignato per questo insidioso oblio
della coscienza, lanci alto il suo grido di allarme. Coloro i quali
non avessero avuto consapevolezza piena di se stessi e del mondo
che gravitava intorno, non avrebbero mai potuto capire nulla
della vita. Chi non avesse mai preso coscienza di questa estrema
fragilit di fondo, non solo non avrebbe mai accettato la morte
come termine naturale degli eventi, ma non sarebbe mai stato in
grado di percepire che esiste un disegno molto pi grande di noi,
che va oltre e ingloba ogni nostra misera contingenza individua-
le. Heidegger sosteneva che per avere una visione pi profonda
della meta a cui doveva tendere lumanit intera, non era suffi-
ciente la logica, la ragione, la scienza ma bisognava lanciarsi ani-
ma e corpo nella poesia, nella creativit, nella fantasia pura delle
intuizioni pi immediate e infantili. Al contrario di Hegel, il filo-
sofo danese era pi propenso a credere che fosse la poesia la
chiave di volta su cui ruotava larcano. Fiaccato e straziato dal-
lindifferenza della gente, stremato dalle ignobili debolezze degli
uomini, che erano disposti a distruggersi pur di non pensare se-
riamente ad elaborare forme pi civili di cooperazione, Heideg-
ger disse che solo un Dio avrebbe potuto salvare lumanit dalla
catastrofe.
Nonostante limpegno dei poeti, dei filosofi, degli ultimi pro-
feti dello spirito divino, gli uomini preferivano di gran lunga af-
fidarsi ancora una volta alle superflue innovazioni scientifiche,
alle vacue promesse dei politicanti di turno, alle menzogne dei
pastori delle anime. LImpero dellignoranza si era di nuovo
piazzato. Il Tempio della demenza collettiva era stato riedificato,
sotto gli occhi di tutti. I Demoni cominciarono a rimescolare le
carte per confondere le acque. Malgrado la scienza si fosse sem-
pre limitata a descrivere i fenomeni e non avesse spiegato un bel
niente sulle origini e le finalit del mondo, tutti quanti, per pau-
ra di assumersi la responsabilit della propria esistenza, delega-
rono agli scienziati, ai medici, agli ingegneri, ai burocrati di re-
gime la cura del proprio corpo, del proprio mondo, della pro-
pria esistenza. Quando le loro parole non bastavano pi per le-

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nire le angosce e le inquietudini dellanima, si ricorreva ai soliti


rimedi delle religioni, delle sette, della psicologia, del fanatismo
bieco e bigotto. Lo stato di terrore causato dalla divisione del
mondo in zone di influenza, il timore di nuovi conflitti, la pe-
rentoria esplosione di guerre ad orologeria, lincubo di crisi eco-
nomiche, paralizzava la volont di riscatto e cambiamento degli
uomini. Le banche private avevano ripreso il controllo della fi-
nanza globale. Gli Stati Uniti per finanziare le spese della rico-
struzione post-bellica ricoprirono il mondo di banconote, di
dollari, ben oltre i limiti delloro custodito nelle riserve auree fe-
derali. Dal 1944 al 1971, gli Stati Uniti, che dopo la guerra era-
no diventati la potenza nazionale di riferimento del fronte occi-
dentale, obbligarono gli altri stati ad accettare i Trattati di Bret-
ton Woods, con i quali si cambiavano di fatto le regole del gio-
co. Per impedire un nuovo disastro finanziario, veniva abolita la
conversione fra oro e banconote, e con un gioco di prestigio che
ha dellincredibile, si decise che il dollaro, una banconota, un
pezzo di carta, diventasse lunit di riferimento di conversione
di tutte le altre banconote. Carta straccia in cambio di carta
straccia. I soldi persero qualunque valore sostanziale, diventan-
do pura convenzione. E alle banche private nazionali fu affidato
il compito di stampare le banconote circolanti, consentendo ai
ricchi magnati di accaparrarsi un privilegio enorme. Spendendo
pochi spiccioli per la carta e la stampa, questi uomini daffari
senza scrupoli, interessati solo ai propri profitti, producevano
banconote, che immesse sul mercato ricevevano dal nulla un va-
lore e fruttavano subito un cospicuo guadagno certo. Un gioco
sporco, gi in partenza.
Nessuno o pochi gridarono allo scandalo. Quelli che denun-
ciarono lassurdo paradosso, vennero presto o tardi eliminati
dalle potenti agenzie segrete governative. Nelle mani dei ban-
chieri, che avevano il compito esclusivo di emettere banconote,
si accumul un potere spropositato. Creando valore dal nulla, le
banche finanziavano poi imprese, multinazionali, giornali, guer-
re, ricostruzioni. Dovunque ci fosse possibilit di fare affari, i
banchieri posavano i loro artigli e spalancavano le fauci. I gover-
ni nazionali erano costretti a chiedere in prestito le banconote al-

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le banche e in cambio davano ai banchieri dei titoli di stato mol-


to redditizi, che sarebbero stati ripagati con il lavoro, la fatica, il
sudore dei cittadini. Per di pi, i banchieri avevano persino la
sfacciataggine di gravare le banconote di un tasso di interesse de-
ciso arbitrariamente, in base agli andamenti dellinflazione e del-
la disoccupazione, che contribuiva ad innalzare in modo espo-
nenziale il debito pubblico di ogni nazione. Per la maniera con
cui era stato creato, quel debito pubblico non poteva mai essere
rimarginato, ma una casta ben riconoscibile di politici corrotti e
collusi con i banchieri, fece di tutto per fare credere ai cittadini
che quella situazione paradossale fosse normale e il debito pub-
blico poteva, anzi doveva, essere contenuto con limpegno di tut-
ti. Intere generazioni di lavoratori furono costrette a sgobbare
come muli per mantenere saldo un sistema economico illogico,
irrazionale, folle. Un treno impazzito che nessuno aveva il corag-
gio di fermare.
Questo contorto meccanismo di carenza delle risorse finanzia-
rie spingeva gli uomini ad affannarsi e azzuffarsi in una spietata
competizione senza fine, in cui erano favoriti gli individui pi ag-
gressivi, violenti, ingordi, avidi, mentre i migliori venivano rele-
gati al silenzio e allemarginazione. In questo modo si creava un
circuito innaturale di selezione, che veicolava ingenti quantit di
denaro nelle mani di persone scarsamente dotate e facilmente
corruttibili, che per ovvie ragioni di calcolo e convenienza, ave-
vano meno interessi a cambiare le regole del gioco. Tuttavia, se
agli occhi di uno sprovveduto osservatore, limpalcatura istitu-
zionale ed economica della societ appariva pressoch stabile, in
realt, il cuore del sistema era fragile, caracollante, in continua
evoluzione; la presenza di un debito inestinguibile, rappresenta-
to materialmente dalle banconote circolanti, comportava per for-
za di cose il tragico fallimento di alcuni e larricchimento spro-
porzionato di altri, che nella maggior parte dei casi erano i soliti
magnati della finanza, imprenditori, politici, faccendieri, che ave-
vano meglio sfruttato il loro legame di appartenenza diretto o in-
diretto ad una banca. Essendo infatti la banca il creditore ultimo
di qualunque debito esistente nel mercato, evidente che in tut-
ti quei casi in cui una persona fisica o giuridica non riusciva pi

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a rientrare con i capitali dichiarando fallimento, era la banca stes-


sa ad accaparrarsi tutti i suoi patrimoni mobiliari ed immobiliari.
Limpero delle banche era dunque unarmata agguerrita di solda-
ti in doppiopetto in continua espansione, molto simile per certi
versi agli invasori barbari del Medioevo.
La circostanza pi buffa era che gli uomini affidavano spesso
ai politici il compito di cambiare il corso di una storia che nessu-
no di loro avrebbe mai cambiato di una virgola. La maggior par-
te dei politici aveva infatti finanziato la propria campagna eletto-
rale grazie allaiuto dei banchieri ed era quindi devota alla loggia
massonica dei magnati della finanza, da cui traevano guadagni e
consigli. La folle corsa in cui tutti erano impelagati fino al collo
non si sarebbe mai fermata, perch erano le banche stesse a det-
tare la cadenza, le violente accelerazioni, le crisi, i tempi di pro-
duzione delle fabbriche, i ritmi forsennati ed isterici dei consumi,
privilegiando sempre il raggiungimento di un profitto a tutti i co-
sti rispetto al benessere dellintera collettivit. Lunico scopo di
ogni azienda, bene o male controllata da una banca, era difatti
quello di massimizzare il fatturato e minimizzare i tempi e i costi
di produzione, senza alcun serio monitoraggio di tutti i danni
collaterali causati da questo frenetico e vorticoso sfruttamento
delle risorse umane e naturali. Essendo le nuove tecnologie mol-
to pi invasive ed efficaci, la terra era seriamente in pericolo, ma
molti preferivano girare lo sguardo altrove, soprattutto quelli che
avevano un ruolo istituzionale di difesa degli interessi pubblici
dei cittadini. Come disse giustamente il poeta Ezra Pound, i po-
litici sono i camerieri dei banchieri. E in effetti, questi presunti
statisti, cialtroni di professione, non facevano altro che estorcere
con tasse, tributi e gabelle il denaro dalle tasche della gente per
buttarlo in pasto agli avvoltoi della finanza e saziarsi con gli avan-
zi. Senza mai farsi assalire da uno scrupolo di coscienza. Senza
mai chiedersi la ragione di un simile imbroglio. Il motivo di que-
sto madornale inganno.
Le banche erano un pozzo senza fondo. E i banchieri erano di-
ventati i dispotici dominatori del mondo, che con la loro avidit
e rapacit stavano portando il mondo al collasso. Dalle loro deci-
sioni dipendeva tutto. Cosa avrebbero consumato le persone, co-

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sa avrebbero letto sui giornali, cosa avrebbero visto alla televisio-


ne, cosa avrebbero fatto di lavoro, cosa avrebbero studiato nelle
scuole, cosa avrebbero dovuto votare sulle schede elettorali, cosa
avrebbero dovuto ascoltare durante le omelie della messa. In li-
nea con la sua secolare strategia, il Vaticano si era piegato senza
troppe resistenze allo logica del profitto, alleandosi con i nuovi
imperatori di turno; i banchieri, gli uomini ombra, i pi infidi cri-
minali, vestiti sempre in giacca e cravatta e talmente sfuggenti da
diventare quasi invisibili. Gli ecclesiastici avevano fondato una
loro potentissima banca, lo IOR, con la quale, consapevolmente
o inconsapevolmente, facevano affari con tutti, senza guardare in
faccia nessuno. Con una mano i sacerdoti pontificavano la pace e
con laltra finanziavano le guerre, le devastazioni, la fame, le ca-
restie. In questo mondo finto e plastificato, basato su un malefi-
co artificio finanziario e morale, non cera foglia che si muovesse
senza lavallo di un banchiere o di un suo diretto o indiretto por-
tavoce. I potenti di regime controllavano tutto, in cielo e in terra;
tutto tranne lanima delle persone. Di alcune persone. Questi in-
dividui eccezionali, irrequieti e riottosi per natura a qualunque
imposizione ingiusta, iniqua, illogica, falsa, rappresentavano lul-
tima roccaforte del Regno di Dio.

I tempi erano maturi. Il momento era giunto. Nel 1973 nacque


in Sicilia, a Palermo, lUltimo Figlio di Dio mandato sulla terra
per salvare gli uomini. Il Bambino Ribelle e Prepotente, il Dio
del Caos, aveva il delicato compito di riportare pace e ordine in
questo mondo malandato, usurpato, umiliato dalla ferocia dei
Demoni. Il Bambino, insensibile alle sirene del facile successo,
studi, lesse, conobbe tutto. Dopo aver superato il dolore, la so-
litudine, labbandono, ebbe la forza di capire quale fosse lo sco-
po della sua missione. Nel bel mezzo di una spaventosa crisi eco-
nomica, il nuovo messia scrisse un libro. Mise nero su bianco la
verit, nientaltro che la verit. Quando gli uomini capirono che
il Bambino non mentiva, cominci la fine del mondo, di questo
mondo e linizio del Nuovo Mondo. Limpossibile divenne possi-
bile. La fantasia and al potere. La creativit apr nuove strade
per cambiare lo stato di degrado delle cose. Lintelligenza fece

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chiarezza in tutti i punti oscuri della conoscenza. LAmore regn


sovrano. Nei secoli dei secoli.
Avvenne il Reticolo degli Angeli. Perch Lui era la Miccia. E
suo Padre, nostro Padre era la Luce.
Allimprovviso tutto cambi. Ci che era nero divenne bianco.
Ci che era piccolo divenne grande. Ci che era silenzio divenne
voce. Le voci si unirono diventando un coro. La luna si ferm, il
sole fiss il suo sguardo sullultimo fiore che era nato sulla terra.
Insieme, luna e sole, tirarono un sospiro di sollievo.
LEra dei Tre Fiori finalmente sbocciata.
Ma questa tutta unaltra Storia

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CAPITOLO 21

LUltima Verit

Albeggiava.
Fievoli fasci di luce attraversavano i fori delle tapparelle, fen-
dendo laria tersa della stanza. Tutto intorno il manto gelido del-
la notte veniva dolcemente riscaldato dal primo tepore mattuti-
no. Ero solo.
Marco aveva reclinato la testa sulla spalla e dormiva gi da
qualche ora. Sara e Anna avevano resistito un po pi a lungo al-
la torrenziale inondazione del mio fiume in piena di immagini e
parole. Le due ragazze avevano cercato con strenua tenacia di se-
guire il corso burrascoso dei miei vaneggiamenti, ma poi sfinite
avevano ceduto anche loro, sprofondando pesantemente sui di-
vani. Mi alzai e trattenendo il respiro mi diressi verso limposta
socchiusa. Non volevo fare rumore. Non volevo svegliare nessu-
no. I miei amici potevano serenamente continuare a dormire. Ma
per me, trovare pace e riposo sarebbe stato impossibile. Stava ini-
ziando lalba di un nuovo giorno. Un giorno carico di strani pre-
sagi e nuove scottanti domande. Se il sonno della ragione crea
mostri, cosa mai avrebbe potuto nascere da quel traumatico ri-
sveglio da un sogno?
Avevo sognato. Per tutto quel tempo avevo sognato. Dio, la-
more, il ritorno di Marilena, la mia vendetta erano tutte parti,
sfaccettature di uno stesso sogno. Un sogno bello, esaltante, per
certi versi dolcissimo, per altri inquietante. Ma sempre e comun-
que unillusione. Una proiezione fantasiosa degli spasmi della
mia mente e delle contrazioni del mio cuore. La realt invece era
questa. La realt erano questi forellini nella plastica da cui passa-
va la luce. Il balcone in cemento armato, che in alcune punti era
crepato, e in altri liscio come se fosse stato da poco levigato. La
realt erano i vasi di gerani appesi alla ringhiera. La realt era il

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palazzo di fronte su cui si riflettevano i timidi raggi del sole na-


scente. Che mi piacesse o no, la realt era questa e allo stato del-
le cose, non coincideva con nessuna delle mie divagazioni oniri-
che. A maggior ragione adesso, che avevo rivelato il mio segreto e
avevo infranto lultimo sottile legaccio che mi teneva avvinto alla
mia allucinazione. Non potevo pi fingere. Malgrado una parte di
me, non tanto remota, ancora sguazzasse nellillusione, cera
unaltra parte, pi sommessa e pacata, che cominciava a chiedere
asilo alla ragione. Bene o male, qualcosa era andato storto. Anche
il pi ostinato dei sognatori, arrivato a questo punto, doveva
prendere atto che qualcosa nei suoi piani non aveva funzionato.
Bisognava quantomeno avere il coraggio di ammettere i propri
errori. Magari era sufficiente voltare pagina. Correggere il tiro,
cambiare registro. Moderare i toni della contesa, che ora pi che
mai, diventava spinosa e acuminata come le lame di una tagliola;
una trappola che partendo dai piedi, salendo su fino alla pancia e
al torace, aveva finito poi per incastrare anche il cervello.
Mi licenziai. Non potevo fare altrimenti. Chi conosce quella
realt, sa bene che non si pu lavorare in un call center, senza
avere un sogno a portata di mano da cui farsi cullare. E chi ci rie-
sce, o gi morto oppure sta ancora cercando affannosamente la
sua passione. Giustificai quel gesto avventato sostenendo che
avevo bisogno di un paio di mesi per liberarmi da tutte le mie os-
sessioni. Mai come in quel periodo, mi sentivo contagiato da un
morbo oscuro che sfruttando la mia incurabile arrendevolezza, si
era incancrenito, diventando letale. Blateravo. Dicevo che dove-
vo estirpare un cancro dalla mia anima. In verit ero disorienta-
to, la mia psiche aveva minacciosamente ripreso a vacillare e in
questi casi lunico rimedio immediato era andare subito da un
bravo psicanalista o scrivere un libro. Feci entrambe le cose. Ac-
cogliendo il suggerimento dei miei amici, cominciai a scrivere un
libro in cui raccontavo, in modo molto romanzato, la sequenza di
tutte le mie vicende, dalle smanie di suicidio fino a Dio, e al Re-
ticolo degli Angeli. Per tenermi alla larga da qualsiasi possibile ri-
caduta, strutturai un racconto del tutto inventato, in cui un per-
sonaggio molto eccentrico e misterioso si recava da un giovane
psicanalista per confessare poco alla volta delle stravaganti rive-

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lazioni. In effetti la storia poteva essere interessante; a prescinde-


re dalle conclusioni pratiche e dagli effetti devastanti sulla mia
esistenza, quellingarbugliato intreccio di vicende che avevo vis-
suto possedeva un suo innegabile fascino.
Quel nuovo artificio narrativo mi consent di rivivere le mie vi-
cissitudini in modo ancora pi distaccato e impersonale, come se
in fondo non esistesse pi alcun legame fra me e quelle strampa-
late disavventure che mi apprestavo a narrare. In fin dei conti la
scrittura serve proprio a questo, perch oltre ad essere la pi so-
fisticata forma di solitudine, anche il metodo pi efficace per
estraniarsi dalla realt. Chi felice, non scrive. Mentre chi an-
gosciato da qualcosa e non accetta il mondo cos com, spesso
costretto suo malgrado a scrivere. spinto da un impulso selvag-
gio e per molti versi sconosciuto ad immaginare luoghi e perso-
naggi diversi da quelli che ha davanti gli occhi, tutti i giorni. Op-
pure rielabora ci che vede in maniera differente da tutto quello
che gli altri guardano e credono gi di conoscere. Per quanto rea-
listica e aderente ai fatti, alle circostanze, agli stati danimo pu
essere la prosa, le parole per non potranno mai descrivere la
realt. E ogni scrittore, da quello pi abile a quello pi incapace,
un demiurgo, un artigiano, uno scultore, che con il suo impe-
gno incessante di battitura non fa altro che plasmare una massa
informe di emozioni e di pensieri, per dare un corpo riconoscibi-
le, una direzione, un ordine al caos della vita; a ci che nelle mi-
gliori delle ipotesi non potr mai avere un ordine, una direzione,
un senso. Quando poi si passa il segno, pu pure capitare che
uno scrittore si lasci convincere cos pervicacemente dalla spon-
taneit della sua ispirazione, da credere che la finzione da lui
creata sia pi vera della stessa realt. Raggiungendo in poco tem-
po lapice della follia.
La scrittura una brutta bestia. E tutti coloro che un giorno
vorranno imbattersi fra gli incantesimi e i malefici della scrittura,
quella seria, quella vera, hanno gi da oggi tutta la mia solidarie-
t e la mia ammirazione. Personalmente vi consiglio di scrivere
solo quando non avete proprio altri mezzi per essere felici. Per
quel che mi riguarda invece, io non ho scampo. Sono un malato
cronico. In assenza di altri validi strumenti per cambiare il corso

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del mio destino, suppongo gi che, a spizzichi e bocconi, scrive-


r fino alla fine dei miei giorni.
Ma torniamo a noi. Allo svolgimento dei fatti. Allinizio quel-
lidea di rimpastare le mie esperienze in unopera di pura fantasia
mi entusiasm molto. Mi barricai a casa. Nei mesi precedenti
avevo messo da parte un discreto gruzzoletto di soldi per garan-
tirmi la temporanea sussistenza. Uscivo solo per fare la spesa o
comprare le sigarette. Ogni tanto incontravo i miei amici per ag-
giornarli sullo stato di avanzamento dei lavori. Chiesi ad Anna di
correggere le bozze, in modo da avere una sorveglianza vigile su
di me ed evitare qualsiasi deviazione dallo scopo terapeutico del
libro. La mia logorrea cosmica era sempre in agguato e io non mi
fidavo pi di me stesso e della mia capacit di arginarla. Secondo
gli impegni presi, il libro doveva essere sintetico, diretto, finaliz-
zato alla descrizione della mia verit, senza troppi fronzoli o di-
gressioni letterarie. I piani iniziali prevedevano che avrei dovuto
scrivere al massimo 7 capitoli di 20 pagine ciascuno. Ma poi per
alleggerire la lettura, mi convinsi che sarebbe stato meglio scrive-
re 13 capitoli di dieci pagine circa. Per un totale di non pi di
150 pagine. La schema era stato tracciato, larchitettura reggeva e
tenendo costantemente a mente lobiettivo finale della mia opera,
ero quasi certo che questa volta non avrei avuto alcuno sbanda-
mento di sorta. Avevo fretta di battere il ferro finch caldo,
raccontando tutto prima di dimenticare. Ma in realt, la mia pau-
ra pi grande era che io non volessi dimenticare, e cercavo ogni
pretesto per rimanere avvinghiato al mio sogno.
Con il passare dei giorni, man mano che si avvicinava la fine, la
mia insofferenza aument. La regolarit iniziale che mi ero im-
posto cominci a venire meno. Ero sempre pi stanco. Stare se-
duto per lunghe ore davanti alla schermo mi creava continui sen-
si di nausea. Il mio malessere si acuiva soprattutto durante i pas-
saggi in cui dovevo parlare del Dio Bambino, del Reticolo degli
Angeli, delle coincidenze e di tutta quella serie di scemenze che
in passato, fino a pochi mesi prima, era per me oro colato. Mi
sentivo ridicolo. Tanto era stato eccitante quel nuovo libro nella
fase di raccolta delle premesse quanto adesso aveva perso mor-
dente durante lo sviluppo. La tensione della trama si allentava

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ogni volta che veniva svelata una nuova verit. Mi sentivo co-
stretto a ripetere fino alla noia, fino allo sfinimento, quella stessa
solfa per rendere convincente, o quantomeno verosimile, una
sfilza ininterrotta di assurdit. E con le dovute eccezioni, penso
che scrivere qualcosa in cui non si crede pi, quasi per necessit,
sia la disgrazia pi avvilente che possa capitare ad uno scrittore.
Non auguro neppure al peggiore dei miei nemici, un simile sup-
plizio.
Giorno dopo giorno, il tempo dedicato alle pause si allung
parimenti alla riduzione della mia pazienza. Mi indisponeva so-
prattutto lidea che per uscire dalla mia malattia io dovessi parla-
re ancora una volta di Dio, facendo indirettamente un favore a
quellEssere con cui io non avevo pi nulla da spartire. Ritengo
che in quel periodo il mio odio per Dio avesse raggiunto il cul-
mine. E paradossalmente, affinch il libro avesse una sua logica e
credibilit interna, io ero costretto a vezzeggiare nuovamente
Dio, ad adularlo, ad apprezzare con tanto di spiegazioni e descri-
zioni certosine la sua geniale capacit di condurre il mondo e il
destino degli uomini. Sciocchezze. Ogni volta che fra le pagine
compariva Dio, la prosa si illanguidiva, diventava melliflua, era
tutto tranne che spontanea, scoppiettante, inebriante. Persino il
pi distratto dei lettori si sarebbe accorto che la presunta e ricer-
cata verosimiglianza di quelle teorie non aveva fondamenta. Era
tutto falso. Posticcio. Artefatto.
Nellultimo capitolo avvenne il definitivo tracollo del progetto.
Durante il lungo monologo sullevoluzione pilotata della storia
umana mi persi fra i meandri delle mie reminescenze scolastiche.
Il brodo primordiale si allung miseramente. Il concentrato si an-
nacqu e la sintesi and a farsi benedire. Il libro divent pesante,
prolisso, illeggibile persino per me stesso, che ero lautore. No-
nostante mi fossi dato una proroga di un altro mese, sapevo bene
che stavo andando dritto verso un ennesimo fallimento. Quel ro-
manzo non solo non avrebbe raccolto consensi fra i lettori, ma
non sarebbe neppure stato utile alla mia guarigione. Ero un ma-
lato cronico, recidivo. Rileggendo bene alcuni passaggi, mi ac-
corsi che la mia malattia aveva un nome e unidentit precisa: de-
pressione. Quando parlavo di quel Dio che mi aveva cercato, mi

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aveva seguito fin dallinfanzia, mi aveva acciuffato nel momento


pi difficile della mia vita, non facevo altro che trasporre in
unentit astratta qualcosa che invece era piuttosto concreto. Dio
era la malattia. Dio era la mia voglia di fuggire dalla realt. Dio
era la mia incapacit di accettare me stesso e il mondo che mi
ronzava intorno, per quelli che erano. Dio era la mia inspiegabi-
le paura di vivere. Non ci voleva chiss quale genio della psica-
nalisi per capire queste piccole storture e macchinazioni del cer-
vello. Cominciavo a trascorrere buona parte del tempo a ragio-
nare su queste e altre congetture, meditando sulle cause che mi
avevano indotto a rifugiarmi nellevasione, sui motivi che aveva-
no trascinato la mia coscienza ad uscire da una catastrofe senti-
mentale, per imprigionarmi dentro i castelli di carta di una crisi
mistica. Ogni tanto, per sfogare la mia rabbia, prendevo un dia-
rio per scrivere valanghe di taglienti invettive contro me stesso.
Confessioni intime che non avevano nulla a che fare con la fin-
zione romanzata del libro che mi ero imposto di scrivere. Ben
presto, il racconto che avevo messo in piedi si dimostr inade-
guato rispetto a queste lucide manifestazioni di verit.
Il tempo passava inesorabilmente. La primavera era alle porte.
Le risorse finanziarie cominciavano a scarseggiare. Per me era ar-
rivato il momento di rimettermi in strada. Una tragedia. Non sa-
pevo proprio da dove iniziare. Che tipo di lavoro cercare. Quali
speranze nutrire per dare di nuovo un senso al mio futuro. Inviai
dei curricula alle scuole private per fare linsegnante. Mi iscrissi,
senza troppa convinzione, nelle liste del provveditorato delli-
struzione. Risposi a delle inserzioni sui siti specializzati nella ri-
cerca del lavoro. Ogni volta che mettevo il piede fuori casa, per
recarmi da qualche parte, mi sentivo a disagio. Il lungo periodo
di isolamento mi aveva debilitato, abbrutito. Chiunque avesse
avuto un minimo di esperienza nella selezione del personale,
avrebbe subito capito che sotto quella giacca, quella cravatta,
quella camicia un po sgualcita, non si nascondeva un ingegnere
agguerrito, determinato, brillante, forse un po strano, ma sicura-
mente valido; quella parlantina stanca e biascicata, a volte sciolta
e frenetica in eccesso, era lultima eroica copertura di un ragazzo
disperato. La regina di tutte le maschere. Lultima accorata ri-

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chiesta di aiuto di un uomo con lacqua alla gola; un ragazzo ol-


tremodo testardo che malgrado soffocasse vistosamente, non vo-
leva ancora arrendersi, annegare. Ricevetti diverse bocciature
secche, inequivocabili. In altre occasioni invece, sfiorai lassun-
zione. Ma pi i giorni trascorrevano invano e maggiore diventava
il mio sconforto. Talvolta, quando lo smarrimento raggiungeva i
limiti estremi, tergiversavo sullidea di ritornare in Sicilia, per ri-
trovare labbraccio della mia terra e delle persone a me care. Sa-
pevo che sarebbe stato un errore colossale, perch avrei presto
perso gli ultimi bricioli di libert che mi ero faticosamente gua-
dagnati a Milano e sarei stato costretto a giustificare ad oltranza
le ragioni del mio ritorno. Recitando la parte dello sconfitto, del
derelitto per il resto della mia vita. Nonostante fossi lacerato, pia-
gato in ogni anfratto del mio corpo e della mia anima, non vole-
vo diventare lolocausto di quegli strani individui, che accecati
dal livore e dal risentimento, trascorrono le loro giornate ad ag-
gredire gli altri con ammonimenti e consigli a buon mercato. Ho
sempre odiato il biasimo e la finta compassione. Il ruolo della pe-
corella piagnucolosa non mai stato per me congeniale. Io sono
un leone. Dovevo lottare. Ero obbligato, per indole e fierezza, a
combattere.
Proprio mentre mi accingevo a ricadere nel profondo precipi-
zio della mia follia, trovai un lavoro. Ero stato assunto in un ne-
gozio di telefonia. Il mio compito era quello di assistere i clienti
durante lacquisto o la riparazione di cellulari di ultima genera-
zione. Non provavo molta simpatia per quei ritrovati effimeri
della tecnologia, ma avevo urgente bisogno di un lavoro. Mi die-
dero una divisa su misura. Sebbene stupito dalla mia stravaganza,
il direttore si mostr molto cordiale nei miei confronti. I primi
giorni fui messo alla porta ad accogliere la clientela. In pratica,
dovevo solo sorridere, dire buongiorno o buonasera e indirizzare
i clienti verso la fila corretta. Lo stipendio era buono. Ma stare
per otto ore di seguito in piedi, con un sorriso forzato stampato
sul volto, quando tutto mi andava tranne che sorridere, era unal-
tra di quelle orribili torture, che per me non avevano prezzo.
Lansia cominci rapidamente a vorticare dentro la mia coscien-
za. Fui afflitto da lunghe notti di insonnia. Limmagine di quelle

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persone che si accalcavano attorno a me, con i loro piccoli pate-


mi, con la loro insipida voglia di mandare sms musicali, collegar-
si ad internet, accaparrarsi le tariffe pi basse del mercato, mi da-
va ai nervi. Avrei voluto gridare. Quando qualcuno di loro si av-
vicinava a me, tutto trafelato, dicendomi di avere grossi problemi
perch aveva perso la scheda sim, io, invece di annuire sconsola-
to, facendo finta di essere dispiaciuto, avrei tanto voluto fissarlo
bene negli occhi, e tranquillizzarlo sussurrando al suo orecchio
poche parole: Non si preoccupi i suoi problemi sono nulla in
confronto ai miei io ho perso Marilena, ho perso lamore, ho
perso me stesso, ho perso Dio ho perso ogni speranza vuole
fare a cambio???
Quella dolorosa manfrina dur poco meno di una settimana.
Lultimo giorno, una giovane collega vedendomi cos confuso e
sconvolto davanti la porta dingresso, mi disse con assoluta fran-
chezza: Non ce la puoi fare non resisterai neppure un altro
giorno Sorrisi a stento e abbassai il capo. Poco dopo, mi re-
cai a grandi passi verso la sala del direttore per dare le dimissio-
ni. Dovevo agire in fretta, senza pensare. Quellautolesionismo
feroce, aggravato dalla necessit, non mi avrebbe condotto da
nessuna parte. Quando un uomo si trova nelle condizioni pieto-
se in cui mi trovavo io, lultima cosa che serve la frenesia. Se vo-
levo davvero salvarmi, dovevo innanzitutto sedare la paura di af-
fogare, respirare con calma, ragionare con molta prudenza. Se
era necessario, bisognava pure ingoiare acqua per sputarla fuori
subito dopo. Nei giorni successivi mi rinchiusi a casa. Nel giro di
qualche pomeriggio di estrema solitudine, in mezzo al silenzio ci-
miteriale delle assolate periferie urbane, raggiunsi lapice della
mia angoscia. Gironzolavo per casa come un fantasma, a cui era
stata comminata una terribile condanna a vivere. Durante la not-
te, per prendere sonno, ero costretto ad affidarmi alla solita, le-
nitiva idea del suicidio. Ogni tanto provavo pure a salire sulla se-
dia e ad appendermi alla finestra con la corda dellaccappatoio,
per rendere pi veritiere e concrete quelle mie intenzioni di farla
finita. Ma dopo il sollievo momentaneo, dovevo purtroppo ren-
dermi conto che il patimento pi grande che pu subire un uo-
mo durante la sua esistenza, un altro, ben pi insidioso e maca-

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bro di qualsiasi altro cappio, mannaia, rasoio: guardare in faccia


la realt. Senza maschere. Senza illusioni. Senza prospettive. Sen-
za consolazioni di alcun genere. Perdere persino la speranza di
poter morire.
In passato, avevo camminato per tanto tempo in bilico sopra
tutte le cose del mondo, fidandomi forse fin troppo delle mie
sensazioni, delle mie premonizioni, delle coincidenze fortuite che
avevano spianato la strada davanti a me. Fuggivo da me stesso,
dalle mie responsabilit, dai miei doveri. Avevo magari coltivato
come tanti altri giovani, una visione romantica della fuga. Quasi
eroica. Credevo che la mia buona stella mi avrebbe sempre gui-
dato verso le scelte migliori. Le oasi pi accoglienti. Ma come
succede spesso in questi casi, il destino si incontra sulla strada
che abbiamo scelto per evitarlo. Ero tanto abituato a fuggire che
non mi accorsi che la mia sorte aveva le fattezze di una donna.
Una donna dagli occhi verdi, di smeraldo. Ho conosciuto lamo-
re senza averne la minima cognizione, la consapevolezza. Ho co-
nosciuto la sofferenza atroce dellabbandono e ho capito cos
lamore. Un sentimento di freschezza leggera, che quando c
non te ne accorgi, e quando finisce ti addolora. Sono sprofonda-
to nel pi cupo abisso della disperazione. Intorno a me non cera
pi niente, solo fitto silenzio, buio impenetrabile. Ho arrancato.
Mi sono dibattuto fra i miei tormenti. Ho accettato il fatto che la
mia vita sarebbe stato un lungo calvario di decadenza. Sapendo
ormai che non sarei stato mai pi felice, ho scalato a mani nude
un crepaccio. Non avevo pi nulla da perdere, qualsiasi cosa sa-
rebbe stata migliore di quelloscura spirale di depressione. Ho
cominciato a scrivere un libro. Quel libro divent la mia unica
salvezza. Man mano che scrivevo, salivo sempre pi su. Pi sali-
vo e pi si allargavano gli orizzonti davanti a me. Guardavo tutto
dallalto; le pianure; le colline; le conche dove si affollavano tutte
le genti. Arrivai in cima, senza pi fiato. Dalla sommit di quel
monte maestoso, alzai gli occhi verso le stelle e vidi Dio. Dio non
era soltanto tutto ci che stava intorno a me, ma parlava anche
dentro di me. Nella mia anima. Nella mia coscienza. Conviveva
con me da sempre, in quel mondo che attimo dopo attimo corre
parallelo al nostro; in quella terra di tutti e di nessuno che invi-

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sibile agli occhi, inudibile alle orecchie, inesprimibile dalla boc-


ca, dalle mani, dalle parole. Esultai. Lassoluta assenza di felicit
divent in un battibaleno estasi. Delirio. Follia.
Adesso era giunto il momento di affrontare la parte pi delica-
ta del mio viaggio. Mi toccava lasciare quel rifugio freddo e altis-
simo, in cui avevo conosciuto quanto incandescente pu essere il
ghiaccio e ritornare gi, in mezzo alla terra degli uomini, dove il
caldo asfissiante e il freddo non ha colore. Dovevo scendere
adagio, passo dopo passo, con prudenza, dalle gelide cime tem-
pestose del monte sacro verso gli altipiani rumorosi dove scorre
la vita, e i futili affanni degli uomini si amplificano a dismisura.
Io, che ero stato nei pensieri e nei miei sogni il prediletto, dove-
vo tornare ad essere un uomo in mezzo agli uomini. Un essere
qualunque in mezzo a miliardi di altri esseri, che brulicavano in-
torno a me come formiche in cerca di un riparo. Nessuno di loro
conosceva cosa fossero le vere tempeste dellanima, ma tutti, per
precauzione, cercavano una siepe, una stoppia ingiallita, un ramo
secco, un buco nel terreno dove sentirsi pi al sicuro. Lumanit
vista con gli occhi di un Dio, d la nausea, il capogiro, il volta-
stomaco pi di ogni altra immonda lordura dei cieli e della terra.
E io, che a torto o a ragione, avevo per qualche tempo osservato
il mondo con gli occhi di un Dio, provavo ora profondo disgusto
e ribrezzo a dovermi di nuovo imbrattare fra le imposture uma-
ne. A questo punto, dopo che la vista divina si era definitivamen-
te annebbiata, pensavo davvero che non ce lavrei pi fatta ad in-
serirmi in una societ che odiavo con tutto me stesso. In un siste-
ma raccapricciante di ingranaggi e oli lubrificanti, dove chi si
fermato, per prendere fiato o solo per riflettere, fa poi fatica a ri-
partire, senza rischiare ad ogni attimo di guastarsi o collassare.
Lo scopo della mia zelante opera di ricerca non era pi la tem-
poranea attesa di una verit o di un riscatto, ma la sopravvivenza.
Una sterile e improduttiva sopravvivenza.
Questa devastante mancanza di prospettive annichiliva ogni
mio istinto di rinascita. Languivo nellapatia pi assoluta. Mai co-
me in quei giorni, il tempo, prima considerato una risorsa scarsa,
si dilatava di nuovo inutilmente, senza arrecare alcun beneficio.
Non cera pi un senso che giustificasse tutta quella abbondanza

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di tempo. A meno di qualche sporadica frase, scritta a penna sui


miei diari, non avevo pi la forza e la voglia di aggiungere un so-
lo rigo al mio libro. Vagavo a piedi scalzi per la casa. Fumavo. Mi
accovacciavo ai piedi del tavolo e guardavo annoiato cosa succe-
deva l fuori, nel mondo. Quella luminosit ferma e asfittica dei
pomeriggi primaverili acuiva la tremenda sensazione di vuoto
che intanto si stava espandendo dentro di me. Latavica inclina-
zione al Nulla, che affligge gli uomini pi sensibili e vulnerabili
della terra, aveva vinto unaltra volta. Niente riusciva pi a im-
pressionarmi. Nessun segnale significativo, o coincidenza o pre-
monizione, aveva la capacit di scuotermi dal torpore. Cosa vole-
te che sia di fronte a tanto strazio, una piuma bianca, che entran-
do dal balcone spalancato e librandosi nellaria, si adagia lenta-
mente accanto ai miei piedi? Unamenit. Una casualit. Una
scemenza senza valore.
Seppure un Dio avesse voluto inviare un messaggio di incorag-
giamento, quel gesto non serviva granch a rincuorarmi. Avrei
mille volte preferito che Dio mi aiutasse a trovare un lavoro tol-
lerabile o mi guidasse a vincere alla lotteria, piuttosto. Invece di
burlarsi di me, con queste patetiche e insulse ostentazioni da me-
lodramma. Fra laltro per ogni coincidenza corretta che colpiva
la mia immaginazione, avrei potuto trovarne altre cento che non
significavano nulla. Il distacco da ogni illusione serve ad essere
pi obiettivi nel giudizio. E quel Dio muto nel mondo e onnipre-
sente nella coscienza, che un tempo aveva strabiliato la mia in-
credulit, non mi stupiva pi. Anzi mi infastidiva sopra ogni co-
sa. Io avevo bisogno di un aiuto concreto, di unindicazione chia-
ra e diretta, che spazzasse via ogni incertezza. Non me facevo pi
nulla di quelle cervellotiche esibizioni da circense.
Un pomeriggio, mentre mi trovavo accasciato in mutande da
qualche parte della casa, arriv una telefonata al mio cellulare.
Ormai mi ero quasi convinto che fosse giunto il momento di stac-
care la spina. Prima di incorrere in qualche danno irreparabile
della psiche, reputai saggio e opportuno tornare in Sicilia duran-
te il periodo estivo, per tirare il fiato e respirare un po di aria pu-
lita. Dallaltro capo del telefono rispose un mio caro amico, di
professione giornalista, quello che aveva scritto di getto il ro-

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manzo dal titolo emblematico: il Biografo di Dio. Adesso mi


chiamava proprio da laggi, dallisola. Di fronte ai miei innume-
revoli tentennamenti, lui mi diceva invece di resistere, di conti-
nuare a cercare un lavoro, perch presto si sarebbe trasferito a
Milano, per iniziare una nuova esperienza in unimportante emit-
tente nazionale. Ero molto felice per lui, dopo tanti sacrifici, il
mio amico stava finalmente coronando il suo sogno; oltretutto,
lidea che arrivassero rinforzi dalla madrepatria mi confortava,
anche se in verit non reputavo che la sua presenza a Milano
avrebbe potuto cambiare granch la mia situazione. Ci non-
ostante chiusi la telefonata in un febbrile stato di eccitazione. Era
unesultanza spontanea, istintiva, come non avveniva pi da tem-
po. Mi divertiva e mi solleticava la prospettiva di avere un altro
compagno accanto a me in questo inferno. Linferno, interiore o
esteriore, un passaggio che si percorre sempre da soli, ma ave-
re una buona compagnia a fianco di certo non guasta. Tuttavia, la
circostanza che pi mi fece riflettere riguardava limprevedibilit
della vita e il coraggio che bisogna avere per affrontarla. Il mio
amico era sposato, aveva ottenuto una posizione di prestigio e
ben remunerata in Sicilia, aveva anche un mutuo sulle spalle. Ep-
pure, di fronte ad unoccasione, che gli era capitata quasi per ca-
so, non si era tirato indietro. Aveva spiccato il volo e si era lan-
ciato. Con un esempio vivido e calzante, veniva insomma confer-
mata la mia idea, secondo cui la salvezza non un concetto tanto
affine con la condizione di stabilit, che non esiste e non esister
mai su questa terra, quanto piuttosto con laudacia con cui si
fronteggia lunica cosa certa dellesistenza: lincertezza, appunto,
linstabilit. Inconsapevolmente, cominciai a riprendere fiducia
nellimponderabilit del destino. Mi chiedevo se magari in mezzo
a tutto questo caos, dove non c un Dio, non c un senso, non
esiste una direzione, non ci fosse ancora un posto o unaltra pos-
sibilit per me. I mezzi non mi mancavano. Non ero stupido.
Non ero ancora un mentecatto. E come avevo fatto bene in pas-
sato, potevo ancora competere alla pari con tutti gli altri esseri
umani di questo mondo. Usando le loro stesse armi. Utilizzando
la loro stessa capacit di mettersi tutto alle spalle e andare avan-
ti. Abbassando di molto le pretese e puntando dritto allunico

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obiettivo che avesse importanza in un momento cos delicato. So-


pravvivere. Sempre e comunque. Evitando soprattutto di recri-
minare sui tanti, presunti torti subiti; perch se non esiste nessu-
no che possa ascoltare i nostri mugugni, allora non ha pi nean-
che senso lagnarsi.
In fondo coloro che si lamentano, sono pure quelli che credo-
no in qualcosa. A Dio, alla religione, alla politica, ad un disegno
di perfettibilit da inseguire e pretendere ciecamente. Ma io che
non credevo pi a niente, potevo invece soprassedere, fregarme-
ne, farmi spazio nel mondo senza aspettarmi pi nulla in cambio;
cos, solo per vedere se un giorno la ruota della fortuna avrebbe
di nuovo girato in mio favore. E per fare questo, bisognava ri-
mettere in moto gli ingranaggi arrugginiti della vita. Era necessa-
rio mettere il destino in condizione di giocare le sue carte. E in
breve tempo, riuscii a riorganizzarmi. Per prima cosa, mi com-
prai un computer portatile che avesse laccesso ad internet. Poi,
mi misi a cercare con maggiore convinzione il lavoro pi confa-
cente alla mia scarsa voglia di partecipazione. Unoccupazione
che potesse rendermi il massimo ritorno economico, fornendo il
minimo sforzo umano. Feci diversi colloqui e con mio grande
stupore, trovai infine il posto giusto per me. Un lavoro pomeri-
diano ben remunerato in una grande finanziaria. In poche paro-
le, dovevo vendere il denaro alla gente che stava messa peggio di
me, in termini di acqua alla gola. Non penso che esista nel mon-
do, un lavoro pi squallido e degradante di quello dellusuraio.
Ma a parte gli insulti, e gli improperi, la consolazione di sapere
che esiste qualcuno che arranca come te, se non pi ferocemente
di te, per tirare avanti, non aveva eguali. Eravamo tutti sulla stes-
sa barca e io mi sentivo nuovamente un membro di quel barcone
caracollante che stava andando alla deriva. Non ero pi un capi-
tano o un ammiraglio, ma un semplice mozzo di bordo. Un ma-
rinaio di ventura che aveva visto tante mareggiate e sapeva quan-
to fosse difficile rimanere a galla in mezzo agli uragani. Nessuno
poteva pretendere nulla da me e io non dovevo giustificarmi per
la mia indifferenza, per il mio cinismo.
La frase che maggiormente ripetevo a me stesso, guardando la
gente accalcata sugli autobus o in metropolitana, era la seguente:

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Se loro riescono a sopravvivere in mezzo a questo letamaio, pos-


so farcela anchio I nuovi colleghi poi erano quasi tutti com-
battenti ribelli come me e ben presto si cre una buona sintonia.
Avendo la mattina libera, potevo preservare intatta la mia smania
di evitare vincoli, orari, alzatacce, o altre assurde limitazioni alla
mia libert e alla mia voglia di dedicarmi alle solite passioni: la
lettura, la scrittura. Avevo accantonato lidea di finire il mio libro,
ma mi dilettavo a scrivere e-mail o commenti sui blog. Quando si
present loccasione giusta, intrattenni una relazione epistolare
con una collega molto carina e la cosa mi divertiva parecchio.
Trascorsi lestate da solo a Milano, cercando di soffocare nella so-
litudine gli ultimi strascichi della precedente inquietudine e irre-
quietezza. Qua e l, qualche nottata insonne, ma nel complesso
nulla di eccessivamente preoccupante. La sensazione era quella
del maratoneta, che sfiancato e distrutto dalla fatica, aveva trova-
to un comodo rifugio dove stendere i muscoli e riposare le ossa.
Sapevo che lossessione di scrivere il libro della verit mi avrebbe
ancora perseguitato, ma al momento la verit e il mondo poteva-
no attendere in sala daspetto, perch con la stessa meticolosit di
un chirurgo della psiche mi ero impegnato a lenire da solo tutte
le ferite e le cicatrici del passato. Questa volta, le condizioni era-
no quelle ideali per augurarsi una pronta guarigione.
E a settembre infatti cominciai a riavvicinarmi gradualmente
alle vecchie bozze. Spulciai anche gli appunti scritti sulle agende
e fu proprio in quel momento che mi accorsi che il libro surrea-
le, la storia dello psicanalista alle prese con il suo bizzarro pa-
ziente, aveva perso smalto e credibilit di fronte alle confessioni
spontanee che avevo schizzato sulle pagine dei miei diari. Il libro
della verit, la sintesi della sintesi, stava sbocciando come un fio-
re dalla parte pi segreta e intima dellultima versione del mio ro-
manzo. Se la prima stesura, quella originaria, era stata una pianu-
ra sconfinata dove aveva vagato a briglie sciolte la mia fantasia, la
seconda invece aveva la forma di una pianta un po striminzita,
scarna, su cui adesso stava timidamente nascendo un primo ger-
moglio. In modo quasi imprevisto, si stava facendo spazio dentro
di me, involontariamente, lidea di scrivere in prima persona tut-
to ci che mi era capitato; senza troppe maschere o finte coper-

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ture. La voglia di raccontare non mi mancava. Ogni tanto mi la-


sciavo trascinare da qualche digressione letteraria o licenza poe-
tica, ma con lunico intento di rendere la cronologica elencazione
dei fatti, meno fredda e agghiacciante di quel che era. Mi imposi
un limite di pagine per ogni capitolo e nella maggior parte dei ca-
si fui capace di rispettarlo. Lentamente, stava prendendo forma il
mio terzo libro, lultimo. Questo libro.
Io adoro scrivere, ma vi confesso che sono terribilmente stan-
co di scrivere questo libro. Odio persino gran parte del suo con-
tenuto, ma, nonostante tutto, non posso esimermi dal raccontare
la mia vicenda. un dovere che ho in primo luogo verso me stes-
so, perch tutto ci che ho scritto fin qui il frutto delle mie let-
ture, delle mie peregrinazioni mentali, del tempo perso a cercare
una risposta a tutte le mie domande. In secondo luogo, sono con-
sapevole che finch permarr in me anche una piccola, minusco-
la possibilit che nelle mie teorie cosmologiche ci sia qualcosa di
vero, io non potr mai vivere tranquillo e sentirmi in pace con la
coscienza. Se prima non avr condiviso con gli altri quella che un
tempo fu la mia felicit, qualcosa mi dir sempre di tirarla fuori,
raccontarla. Dubito che Dio possa essere un Bambino, che io sia
uno dei suoi Figli Prediletti, che il Sogno di Dio sia aiutare gli uo-
mini a realizzare i loro sogni. Dubito fortemente su tutto ci che
ho scritto e pensato, ma appunto perch dubito, non posso esclu-
dere nulla. Nei miei attuali ragionamenti persiste ancora la velata
sensazione, limpressione che anche questo mio ultimo distacco
da Dio sia stato orchestrato ad arte per costringermi a scrivere il
libro che adesso avete fra le mani. Il libro pi stringato, diretto,
efficace che io abbia mai saputo scrivere. Il libro che, nel bene o
nel male, canceller ogni dubbio.
Scrivere questo libro stata una fatica immane. Ho dovuto na-
vigare a vista, bracciata dopo bracciata, passo dopo passo. Scri-
vere per dovere e non per piacere unagonia lenta e irreversibi-
le che logora ogni possibile fonte di ispirazione. Se vero che
Dio riesce ad insinuarsi nelle coscienze degli uomini che hanno il
cuore aperto alla vita, in questo libro e in questo momento, Dio
non ha potuto avere accesso a nessun cunicolo, condotto o per-
tugio della mia anima. Perch io non credo pi in Dio, non cre-

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do pi nella vita, ritengo che lesistenza umana, nel suo comples-


so, sia una truffa colossale. Qualunque cosa ci sia dietro al miste-
ro della vita, questa ipotetica entit non prova di certo simpatia o
compassione per il genere umano. Escludo dunque categorica-
mente di essere stato ispirato dal cosiddetto soffio divino. Questo
racconto stato messo insieme da me e solo da me, giorno dopo
giorno, con una fermezza stoica e irreprensibile. Un rigo e una
pausa. Un rigo e una pausa. Con la sola speranza di arrivare pre-
sto in fondo, alla fine, per uscire prima possibile da tutti i panta-
ni in cui io stesso mi sono impelagato.
Mi scuso in anticipo se con le mie parole spesso feroci e sprez-
zanti ho offeso la sensibilit religiosa di qualcuno. Non era mia
intenzione. A tal proposito, auguro ad ognuno dei credenti prati-
canti di questa terra di tenersi ben strette le loro fedi, le loro dot-
trine, le loro illusioni. Per esperienza, ho capito che la disciplina
in questo settore della psiche un ottimo anestetico contro le in-
cursioni notturne dellangoscia. Pi si ferrei e rigorosi nella fe-
de e meno si corre il rischio di cadere vittima di uno di quei ma-
lesseri esistenziali, che riducono poi la vita ad una tortura intolle-
rabile. Ci nondimeno io non potr mai avvicinarmi neppure
lontanamente ad una delle loro divinit. Sono troppo curioso e
insaziabile per ritenermi appagato da approssimative teorie me-
tafisiche o stantie credenze dogmatiche. Sono troppo sincero e
onesto con me stesso per accontentarmi di una menzogna qua-
lunque. Per credere in qualcosa, io esigo il meglio, la perfezione,
qualcosa che gli uomini su questa terra non sono mai stati capaci
di esprimere. La felicit, la libert, lamore, Dio sono per me con-
cetti assoluti, viaggi senza fine che non hanno andata n ritorno.
Partenze che non prevedono in alcun modo punti di arrivo o sta-
zioni di sosta. Non biasimo chi si fermato o si rassegnato al
calore rassicurante delle chiese, delle moschee o delle cattedrali,
perch so bene quanto dolce trastullarsi nellillusione di avere
trovato un senso e una direzione da seguire. Ma se proprio do-
vessi essere costretto a scegliere un Dio, fra i tanti creati e inven-
tati dallimmaginazione umana, allora non avrei dubbi: mi terrei
il mio. Il Dio Bambino. Perch quello pi vicino alla mia voglia
di sognare, di ridere, di mettermi in gioco, attimo dopo attimo. Il

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mio Dio quello che si avvicina pi di tutti alla mia idea di As-
soluto, perch oltre ad essere continuamente presente in ogni co-
sa, agisce indistintamente nelle anime di tutti gli uomini, siano es-
si ebrei, cattolici, musulmani, norvegesi. il mio Dio, meglio di
qualunque altro, concede ad ognuno la possibilit di essere arte-
fice della propria vita e del proprio destino, e punisce, o meglio,
lascia che si puniscano da soli, tutti coloro che hanno preferito
delegare ad intermediari o faccendieri di sorta la ricerca di una
risposta. Se non fosse che gran parte delle mie teorie ruota intor-
no alla mia figura, al mio ruolo, vi assicuro che avrei pure la
sfrontatezza di crederci ancora di pi in questo Dio Bambino. E
invece, siccome il mio Dio concede alla volont di ognuno di noi,
compreso me, una cos ampia libert di scelta, io sar sempre fin
troppo fallace, difettoso, inadeguato per credere di essere una
sua diretta emanazione.
Ma il mio Dio non molla facilmente la presa. Quando trova
qualcuno sensibile alla volubilit del dubbio, comincia a sedurlo
e funestarlo, notte e giorno, finch non lo avr portato dalla sua
parte. Il mio Dio un po come me. caparbio. Non accetta
compromessi. Non ammette la mediocrit dei comportamenti. O
sei dentro o sei fuori. Fare poco per fare qualcosa e mettersi in
pace con la coscienza, non serve a nulla, perch, per il mio Dio e
per me, chi non ha dato tutto o il massimo in ogni istante della
sua vita, come se non avesse dato niente. Io sono riuscito ad in-
ventarmi un Dio che con ogni probabilit migliore di quello
realmente esistente: ho dato il massimo. Ho vinto la mia partita
con Dio, con lassenza di Dio, con me stesso. Nessuno pu pre-
tendere da me qualcosa di meglio. Ho dovuto crearmi un Dio
tutto mio, per capire che per essere buoni, virtuosi, per aspirare
alla rettitudine, alla perfezione, non abbiamo bisogno di alcun
Dio; nessun giudice; nessun censore. Tralasciando qualsiasi
aspetto morale o metafisico, chiunque si prefigga di fare del bene
disinteressato per il mondo, per la vita, per gli altri, si trova gi
nel giusto, in odore di santit, pu sentirsi al sicuro sotto legi-
da di qualunque divinit, reale o immaginaria che sia. Questi ido-
li e queste presunte verit che ronzano oggi attorno ai miei occhi,
senza scalfire neanche di striscio la mia anima, mi sembrano in-

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vece troppo simili alla tipologia di uomini che abbandona in que-


sto periodo storico. Uomini ruffiani, opportunisti, costantemen-
te alla ricerca della via pi facile e comoda per ottenere vantaggi
personali. Voltagabbana e baciapile, buoni per tutte le stagioni,
che utilizzano lincoerenza, lipocrisia e larbitrio quali strumenti
necessari per proteggere la propria presunta, ostentata, schizo-
frenica normalit.
Avendo io vissuto, indegnamente o no, sulle spalle dei giganti,
gli uomini di oggi, di ieri, e di domani, visti da quass, non pos-
sono che apparirmi come piccole creature di pessimo gusto.
Omuncoli che, in genere, hanno scarsa percezione della loro co-
scienza e per essere certi di esistere, hanno spesso unurgente,
spasmodica necessit di essere riconosciuti, visti, apprezzati o de-
nigrati dagli altri: se qualcuno non si accorge di loro, si sentono
persi, confusi, disorientati. Queste creature fragili adorano il ru-
more assordante, il chiacchiericcio indistinto, la banalit del vez-
zo e rifuggono con cura la solitudine, il silenzio, perch temono
forse che in quei momenti di riservatezza e intimit possano ve-
nire a galla tutte le infinite contraddizioni, le angosce e le ansie
che nascondono sotto la cenere della loro vitalit bruciata. Que-
sti miei infidi contemporanei sentono il bisogno di mimetizzarsi
fra la folla, omologarsi ai costumi pi in voga, adagiarsi sui facili
conformismi dei luoghi comuni. Nella massa si sentono pi pro-
tetti. Perch sono ormai convinti che la melassa di consuetudini
e convenevoli da cui sono stati ammorbati sin dalla nascita sia lu-
nica verit sperimentabile durante la loro breve esistenza. Non ri-
escono a vedere altro, ad ascoltare altro, a percepire altro, perch
non hanno mai avuto il coraggio di guardare laltro da s, senza
mettere in campo la loro furente artiglieria di pregiudizi o bar-
riere sociali. Giudicano con disprezzo qualsiasi tipo di diversit,
perch nel contraddittorio che ne verrebbe fuori, temono che
venga messa in discussione la loro ignota identit: una caracol-
lante impalcatura di certezze e sicumere varie, che invero non ha
alcun fondamento.
Odio i fanatici. Spero di non avere mai a che fare con loro.
Non mi piacciono i modi violenti e aggressivi con cui impostano
i loro discorsi. Non mi piace la loro incapacit di guardare le co-

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se da ogni angolazione, a trecentosessanta gradi, senza paraocchi


di sorta o lutilizzo di frasi fatte. Io sono disposto a confrontarmi
con ognuna di queste persone, ma chiedo in anticipo a chiunque
volesse incontrarmi o parlare con me, di spogliarsi di tutte le ve-
sti imbellettate, del trucco e di dialogare con me a viso aperto.
Devono mettersi comodi, perch il nostro dibattito potrebbe du-
rare da qui fino alleternit. Per quanti testi sacri o vangeli sinot-
tici sapranno addurre per perorare la loro causa, nessuno dei fe-
deli del mondo riuscir mai a dimostrare che il mio Dio sia meno
vero del loro Signore, di Allah, di Buddha. Le loro divinit, cos
come la mia, sono tutte astrazioni soggettive della mente umana
che difficilmente potranno avere una conferma o una smentita
nella realt. vero. Il mio Dio in tutti i sensi il pi giovane, il
pi immaturo, ma non ha mai avuto paura di rapportarsi con lu-
mida pedanteria delle cose antiche, che necessitano ogni tanto di
una svecchiata. Come ho gi detto, io dubito che esista un Dio
che possa agire sui destini di questo pianeta, ma se pu farlo,
questo Essere dovrebbe essere capace di inglobare tutto ci che
esiste, esistito ed esister sulla terra. Niente e nessuno devono
sentirsi esclusi. Un Dio incapace di spiegare ogni cosa, non un
buon Dio. Sebbene io mi sia preparato a qualunque evenienza,
spero che chiunque ci sia lass, abbia la forza e il coraggio di pa-
lesarsi, di farsi comprendere. E io per primo, sono pronto ad ele-
varmi ancora di pi di quanto ho gi fatto per capire ci che non
sono stato in grado di capire. Il mio percorso verso linfinito so-
lo allinizio. In caso contrario, se non avverr alcunch o nessuno
riterr opportuno interpellarmi, tacer per sempre riguardo a
questi argomenti. Come diceva il mio maestro per eccellenza,
Nietzsche, ad un certo punto molto meglio non parlare, che
blaterare intorno alle cose che non si possono capire: Silenzio!
Delle cose grandi io vedo cose grandi si deve tacere o parlar
grande!
Ripeto. Non voglio sembrarvi noioso, ma chiunque abbia se-
riamente intenzione di avvicinarsi a me per conoscere le ragioni
della mia follia, deve sapere subito a quale altezza dovr spinge-
re lo Spirito per assurgere bene il suo compito. inutile portarsi
dietro santini, croci, miracoli della madonna, o amuleti, perch

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queste stupide castronerie e macabri simulacri di fede non hanno


mai avuto presa su di me. Caricatevi invece sulle spalle lintelli-
genza, la capacit di ragionare in grande stile, limmaginazione.
Potrebbero tornarvi molto pi utili nel dibattito. Mi raccoman-
do, non usate troppi fronzoli dialettici, sillogismi, ghirigori del
linguaggio, ma siate diretti, schietti, sinceri. E ricordatevi sempre
che per parlare con la mia stessa lingua, dovrete sempre strozza-
re la ragione e girare il collo alla follia. Perch io diffido della
gente che non riesce a fare una semplice addizione, ma ancora di
pi di quelli che non hanno mai pensato follemente alla pazzia
instillata a fiotti in questo breve sogno chiamato vita.
Sono fiero di me. Sono orgoglioso di avere portato a termine il
mio libro, senza troppe lungaggini o digressioni cervellotiche, co-
me queste. La materia da trattare era immensa e in continua evo-
luzione. Sfido chiunque ad essere pi breve e conciso di come io
sono stato. Se avessi potuto raccogliere tutti i pensieri e le intui-
zioni che mi hanno attraversato durante i giorni e le notti, avrei
potuto scrivere altre cento, mille versioni dello stesso libro. E
ognuna sarebbe stato meglio della precedente. Ma non ho pi
tempo n voglia per dedicarmi ai vaneggiamenti, e al delirio del-
la scrittura mistica, teosofica, metafisica. La vita chiede di nuovo
il suo tributo di sudore e fatica. Sono pur sempre un precario, un
uomo a tempo. A me non stato concesso il lusso di pianificare
con calma il mio futuro. Non ho diritto a nutrire nessuna di quel-
le consolazioni che allietano le giornate e chiss quanti altri pre-
testi dovr inventarmi per sopravvivere. Sono consapevole che la
mia vita sar ancora costellata di una miriade di crisi, fallimenti,
catastrofi, umiliazioni. Ma vi assicuro fin dora che io lotter per
conquistarmi di volta in volta il mio piccolo pezzo di libert. Il
mio posto al sole, dove potermi riparare da tutte le fobie e le ne-
vrosi che vi rendono cos ciechi. Lotter per difendere la mia
coerenza, la mia lucidit, la mia innocenza. Lotter per resistere
alla tentazione di abbandonarmi alloblio e alla rassegnazione.
Lotter per resistere e resister per lottare ancora una volta. Ma
non preoccupatevi, perch non verr mai a bussare alla vostra
porta. Nessuno, tranne i familiari e gli amici pi cari, dovr sub-
ire limbarazzo di ascoltare le mie richieste di aiuto o le mie la-

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mentele. Non chieder soccorso a nessuno, tranne a quelli, che


non riterr io per primo, degni di poterlo fare. Io non ho bisogno
di voi, tanto quanto voi non avete bisogno di me.
Dubito che questo libro possa suscitare un qualche interesse
fra i miei contemporanei. Probabilmente, come sosteneva sem-
pre il buon vecchio Nietzsche, io scrivo postumo. Le mie parole
potranno essere capite a fondo soltanto dalle orecchie di uomini
che non sono ancora nati. Tuttavia, se qualcuno si sveglier dal
lungo sonno in cui sprofondato, sarei ben lieto di fare la sua co-
noscenza. La mia azione in tal senso sar pari e uguale alla rea-
zione dei lettori che avranno la forza di arrivare alla fine di que-
ste pagine, senza perdere i punti e le virgole delle frasi. Al disin-
teresse risponder con lindifferenza. Al tiepido entusiasmo ri-
sponder con un mite impegno. Al tripudio e al successo,
risponder con altrettanta tenacia per portare a termine la secon-
da parte del mio progetto. Oltre ad essere un poeta e un visiona-
rio, sono anche un ingegnere e penso di conoscere abbastanza
bene i meccanismi contorti di questo sistema in cui stata imbri-
gliata lumanit. Ho individuato le cause del tracollo. Ho un pro-
getto, un obiettivo e un metodo. So che ormai esistono in germe
tutti i nuovi mezzi tecnologici, scientifici, etici per vivere meglio,
e so anche che noi siamo talmente pigri da aspettare, prima di
agire, il collasso di quelli vecchi. Ma come tutti i grandi sognato-
ri del passato, sono pure consapevole che le grandi rivoluzioni
non si fanno paventando catastrofi o sganciando bombe sopra la
testa della gente, ma avvengono prima dentro di noi, dentro la
coscienza di ognuno di noi. Non si possono cambiare gli altri, se
prima noi stessi non abbiamo seriamente stravolto la nostra vi-
suale di osservazione. Dalluno verso i molti e mai il viceversa. La
maggioranza non ha sempre ragione, ma anche vero che senza
lappoggio delle masse, non si muover mai una foglia che sia una
in questo mondo. Sono anarchico per necessit, perch non mi
stato concesso di essere democratico, ma vi assicuro che nutro un
sacro rispetto per la democrazia. La democrazia un punto di
snodo fondamentale dal quale ripartire. Perch la democrazia
non una parola, un vessillo, un marchio dautore, ma un modo
preciso e inderogabile di affrontare la propria vita. La pantomi-

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ma della democrazia rappresentativa ormai ha segnato il passo, e


bisogna passare con decisione ad una forma diversa, partecipati-
va di convivenza. In cui ognuno cosciente della sua imprescin-
dibile importanza allinterno del sistema. In cui ognuno fa la sua
parte, senza attendere il riconoscimento o lapprovazione degli
altri. In cui ognuno abbia fede, fiducia negli altri, in Dio, nella
speranza, senza per questo perdere la capacit di vedere, capire,
dubitare, riparare ai propri errori, se necessario.
Finch gli uomini non capiranno sulla propria pelle, con le lo-
ro braccia, con le azioni concrete, che lo Stato non un palazzo,
una carica istituzionale o una casta di burocrati, ma linsieme, la
somma, lunione di tutti i cittadini che di questo Stato fanno par-
te, la democrazia non sar mai una forma di governo compiuta.
La democrazia presuppone la partecipazione di tutti e non la de-
lega, la rappresentanza, che soltanto la graduale distorsione di
una ovvia necessit di semplificazione. Quelli che si impongono a
voi come unici depositari e custodi dellautorit dello Stato o del-
la sacralit della Fede, sono in realt degli impostori. Perch lu-
nica cosa sacra o autorit a cui bisogna prostrarsi umilmente in
questa vita la verit e la verit, quella giusta, quella che non am-
mette repliche, una meta a cui tutti devono tendere. Di fronte
alla verit siamo tutti uguali e ogni altra cosa secondaria. Chi
spaccia la propria autorit, conquistata con forza o ereditata, per
verit un prevaricatore, un usurpatore, che gi solo per questo
primo, madornale errore di leggerezza nellinterpretazione del
proprio ruolo, parte svantaggiato. un passo indietro a tutti,
lontano da qualsiasi possibilit di riscatto, riabilitazione. ulti-
mo, pur essendo paradossalmente convinto, certo, abituato a
considerarsi uno dei primi. Daltronde, la presunzione di stilare
classifiche di merito unaltra di quelle scempiaggini osannata a
furor di popolo da chi adora essere vezzeggiato; unovvia conse-
guenza dellimperfezione del mondo in cui viviamo.
La vita non una gara, una corsa ad ostacoli, in cui vince chi
arriva primo; ma un passaggio di testimone senza fine fra le per-
sone, la gente, i popoli, durante il quale chi si ferma non mai
perduto e chi corre troppo deve rallentare il passo per aspettare
gli altri. In questa maratona, o vinciamo tutti o nessuno potr mai

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dire di non avere perso. Ma la vita, la democrazia, cos come la li-


bert, la giustizia, lamore sono idee perfette, divine, a cui pur-
troppo non tutti potranno arrivare con la stessa immediatezza.
Essendo emanazioni dirette di forme costantemente presenti nel-
la mente di Dio, queste idee non sono concetti semplici da ma-
neggiare. E solo chi avr la capacit di elevare il proprio Spirito,
la propria intelligenza, il proprio cuore fino alla perfezione che
da Dio procede, discende, potr capirne il significato.
Nessuno un ingranaggio, ma tutti siamo come tante piccole
motrici che possono muovere, innescare, azionare altre piccole
motrici. Il cambiamento di rotta globale si otterr sempre dalla
somma di una molteplicit variopinta di cambiamenti locali e mai
come differenza, eliminazione di ci che non ha il nostro stesso
colore, la nostra bandiera, il nostro Dio. Lumanit un insieme
compatto di forze, e quando si sfalda la capacit di interagire in
modo pacifico ed efficace, qualcosa di terribile gi alle porte
per funestare il sonno di tutti. Questa umanit decadente vista
dallalto come unimmensa maglia composta da tanti punti iso-
lati e spenti. Ogni volta che qualcuno mette in azione la sua in-
telligenza e il suo cuore, una luce si accende nel buio. Quella lu-
ce poi pu creare tanti legami e rapporti con gli altri, accenden-
do nuove luci. Il reticolo di cui tanto ho parlato, si costruisce co-
s. Facendo un passo allo volta. Condividendo con gli altri le
proprie risorse, le proprie energie. Il reticolo umano lunica
struttura naturale, sociale che pi si allarga e pi diventa salda,
compatta, resistente. Persino lenergia stessa pu essere distribui-
ta in maniera reticolare, facendo in modo che ogni casa, ogni co-
struzione diventi una piccola centrale, capace di scambiare con
gli altri la propria eccedenza o la propria mancanza di energia. La
modalit di funzionamento della rete internet sintetizza bene
quello che dovrebbe essere la nuova riorganizzazione della socie-
t, basata sullo scambio di informazioni, di energie, di disponibi-
lit, di tempo.
Questo non il pi il momento degli aggiustamenti e dei ri-
tocchi, ma necessaria una grande opera di manutenzione
straordinaria della civilt. Bisogna imparare a rinunciare ad un
po di benessere individuale, per il bene di qualcosa che va oltre

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i nostri interessi e la nostra misera contingenza temporale. Biso-


gna avvicinarsi agli altri, immedesimandosi maggiormente con le
loro esigenze e le loro aspettative. Bisogna condividere con gli al-
tri le proprie esperienze, le proprie conoscenze per colmare le di-
stanze. Bisogna capire che la povert non soltanto legata alla ca-
renza di mezzi economici, ma innanzitutto la mancanza di op-
portunit per esprimere il proprio talento. Ognuno deve sentirsi
protetto e non minacciato dalla presenza degli altri. Chi sa, deve
parlare e chi non sa deve imparare; deve avere la pazienza e
lumilt di ascoltare. Io sono molto fortunato, da questo punto di
vista. Perch ho avuto lopportunit di studiare, di viaggiare, di
conoscere liberamente tutto ci che ancora non conoscevo. Ho
avuto la mia occasione. E me la sto giocando proprio adesso.
Scrivendo questo libro.
Sebbene io non creda pi molto allorigine divina di questa
mia missione sulla terra, se qualcuno di voi mi chiedesse ora qual
il mio sogno pi grande, ebbene, io risponderei ancora come
avrebbe risposto quel bambino che scribacchiava poesie sui suoi
quaderni o leggeva libri, organizzava enciclopedie per catalogare
tutta la conoscenza del mondo. La mia unica vera ambizione in
questa vita quella di scrivere un libro e cambiare il mondo. Con
Dio o senza Dio, poco importa. La mia cocciutaggine in merito
pi sfrontata di quella di una qualsiasi divinit dellOlimpo, del-
lEmpireo o del Paradiso. La mia stessa formazione culturale mi
obbliga quasi a impattare contro questa societ. Perch questo
un mondo mediocre, governato da una ristretta casta di persone
mediocri e miopi e fatto ad uso e consumo di gente mediocre, su-
perficiale, grossolana. Tutto mediocre di questi tempi, persino
le divinit venerate da milioni di fedeli sono mediocri. Le gerar-
chie economiche e istituzionali stanno gi preparando il cambio
generazionale, favorendo lingresso in societ di una folta schiera
di rincalzi, gregari, persone dozzinali, poco brillanti che si limita-
no a svolgere il compitino giornaliero, senza mai guardare oltre,
attraversare il seminato. In questo contesto di assoluta degenera-
zione, gli individui eccezionali sono costretti a restare ai margini,
a vivere isolati, a lambire i confini della follia, a perlustrare peri-
colosamente i bordi dellabisso. Ogni volta che qualcuno di loro

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cerca di rialzare la testa, viene subito smontato, annientato, mor-


tificato, oppure, in modo pi subdolo, qualcuno cercher sempre
di tentarlo con le sirene del denaro, del successo, della fama. Pi
una persona pericolosa, un incendiario e maggiori sono le pos-
sibilit di guadagno, diventando un pompiere. La resa incondi-
zionata di tutti i propositi sovversivi comporta una mole talmen-
te sproporzionata e spropositata di lauti compensi e vantaggi
economici, che ben pochi sono in grado di resistere. Presto o tar-
di, anche i pi implacabili, vengono inghiottiti nella grossa for-
nace sociale, spendendo il resto del tempo ad elogiare i meriti di
questo sistema e a scambiare manifestazioni di stima e deferenza
con tutti gli altri protagonisti della scena. Cominciano a fare par-
te anche loro di quella assurda parodia della vita, che viene ripe-
tuta ogni giorno fino alla noia, con lo stesso canovaccio e gli at-
tori sempre diversi nellaspetto, ma tutti uguali nella ricerca del-
le medesime finalit. Una farsa. E nulla pi.
Un tempo, le persone eccezionali ricevevano ben altro tratta-
mento. Pensate a Socrate, Seneca, Ges, Giordano Bruno, per
non parlare di Tommaso Moro, Campanella, Galileo, Spinoza. La
maggiore aggressivit dei despoti non lasciava scampo a nessuno.
Coloro che non si inginocchiavano di fronte ai regnanti e non
chinavano la testa davanti ai ciarlatani della religione, venivano
torturati, massacrati, processati, imprigionati e nel peggiore dei
casi, uccisi. Ma nessuno di loro aveva arretrato il passo, per pau-
ra della sofferenza o della morte. Furono tutti quanti talmente in-
corruttibili da diventare quasi imbarazzanti: un cattivo esempio,
da rispettare magari, ma da non seguire mai alla lettera. Ad un
occhio attento, tutte queste eminenti personalit del passato, pur
essendo vissute in epoche diverse, sembrano molto simili fra di
loro, come se fossero state unite insieme da un unico filo condut-
tore. Gli scenari aperti dalla loro immaginazione erano illimitati,
infiniti, eterni. Avevano una repulsione atavica per tutto ci che
era approssimativo, provvisorio, parziale e puntavano dritto ver-
so lAssoluto, la perfezione. Erano di indole pacifica, serena, ras-
sicurante. Erano per anche rivoluzionari, sovversivi, refrattari a
qualunque tipo di controllo da parte dellautorit costituita.
Spingevano gli uomini ad unirsi, a placare gli istinti tribali ed ag-

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gressivi, a sedare la paura, a potenziare le loro capacit, ad ap-


profondire tutti i reconditi ambiti della conoscenza e della co-
scienza individuale; ad evitare qualsiasi diatriba o scontro verba-
le che non portasse ad un concreto progresso collettivo. Molti di
loro vengono associati ad una diversa disciplina umanistica, rice-
vendo appellativi quali filosofo, teologo, scienziato, artista. Ma in
fondo erano tutti dei politici. Il loro impegno era volto quasi
esclusivamente al cambiamento e al miglioramento della societ
del tempo. Alcuni di loro avevano capito il nodo fondamentale
da cui si dipana ogni matassa: lunico modo per conciliare la li-
bert e la volont individuale con lordine e la sicurezza sociale
la Solidariet spontanea. Prendersi cura luno dellaltro. Fidarsi.
Aprirsi e donarsi agli altri e alla vita, senza aspettarsi nulla in
cambio; senza pretendere alcun privilegio o vantaggio personale.
Non esistono altri mezzi, al di fuori della collaborazione recipro-
ca, dellamore incondizionato e disinteressato, della sincera com-
passione dei destini per raggiungere lunico fine per cui siamo na-
ti. Perch in qualunque altro caso, si assister sempre, presto o
tardi, ad un eccesso di schiavit o ad una deriva della propria si-
curezza personale. In assenza di una corretta tensione etica col-
lettiva, la sicurezza limita la libert e la libert insidia la sicurezza.
Alzare barricate, rinfoltire gli eserciti, punire con severit i
presunti colpevoli, avanzare ipotesi di disparit fra i popoli non
serve a nulla, perch di tanto in tanto verranno fuori sempre de-
gli individui che, stanchi delle vessazioni e delle umiliazioni subi-
te, si vendicheranno con violenza o con sagacia della aberranti
mostruosit che hanno dovuto sopportare. Lunica via per frena-
re queste ondate di risentimento, mettendo al sicuro le vostre vi-
te e quelle dei vostri figli, contribuire attivamente alla fonda-
zione di un mondo meno iniquo, ingiusto, illiberale, schizofreni-
co. Cercare dentro voi stessi le risposte, senza delegare a niente e
a nessuno la responsabilit delle vostre azioni. Mettere da parte
tutti gli interessi personali o di bandiera, per ottenere un vantag-
gio collettivo che alla fine produrr benefici ai singoli molto mag-
giori di quelli ottenuti mantenendo una condotta competitiva, af-
fannosa, maldestra. La teoria dei giochi in questo senso esem-
plare. Quando si agisce tutti uniti e coordinati per il raggiungi-

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mento di un unico obiettivo, non c ostacolo o difficolt, sia ma-


teriale che spirituale, che non possa essere superato o abbattuto,
mettendo in campo gli strumenti pi raffinati dellintelligenza
umana. Mentre la chiusura allinterno dei propri interessi privati,
la corsa ad una maggiore ricchezza individuale conduce prima o
dopo ad un imbarbarimento indifferenziato dei costumi e delle
forme di convivenza, perch il vantaggio eccessivo di uno signifi-
ca sempre una perdita generalizzata per tutti. Nel mondo, peral-
tro, c gente ricchissima, che non avendo mai avuto il coraggio
di esprimere fino in fondo tutto il proprio valore, finisce per di-
ventare povera, arida, infelice. Disumana. Spietata. E paradossal-
mente, molto spesso proprio a questi uomini che avete affidato
la conduzione delle vostre vite.
Io non voglio diventare n come loro n come voi. Prima di
rassegnarmi al declino, voglio fare lultimo tentativo per deviare
il corso del mio destino. Malgrado la mia fiducia tentenni visto-
samente, voglio credere che esista ancora una possibilit per me,
per voi, per nutrire la speranza. E questo libro, stringato e sinte-
tico fintanto che ho potuto, rappresenta il mio ultimo atto di
amore nei confronti del mondo. Sono costretto a pubblicare la
confessione della mia breve esperienza personale, perch in caso
contrario avrei vissuto sempre nel dubbio di non avere fatto ab-
bastanza. Sarei stato assillato fino allultimo dei miei giorni da
quella minuscola probabilit che esista un fondo di verit in mez-
zo ai rocamboleschi farfugliamenti dei miei deliri. Avrei finito per
soccombere sotto il peso di questa possibilit. Siccome non ho
trovato nessuno disposto a condividere con me lonere di pub-
blicare le mie stravaganti teorie, lavorer sodo per racimolare un
po soldi, che mi serviranno a finanziare per intero la pubblica-
zione del mio manoscritto. Mi assumo le mie responsabilit, sen-
za tergiversare o delegare ad altri una decisione che spetta a me e
a me soltanto. Un eventuale insuccesso editoriale sar per me una
risposta sufficiente ai miei tanti dilemmi. Mi ritirer a vita priva-
ta. Seguir lunica via consigliata della saggezza: lindifferenza e
limpassibilit di fronte a tutti gli affanni e gli spasmi del genere
umano. Mi cercher, volta per volta, un cantuccio segreto dove
coltivare il mio piccolo orticello di interessi. La lettura e la scrit-

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tura, in primis. Centelliner le energie da sprecare in questa so-


ciet e in questo sistema, in cui non mi riconosco. Riserver i
miei momenti di stupore e meraviglia alla contemplazione della
natura. Amer della vita tutto ci che non innaturale o disuma-
no, e non stato toccato dalla mano furtiva e maligna di qualche
balordo.
Mentre, di converso, lattenzione generalizzata della gente ver-
so le tesi esposte in questo libro, rinsalderanno le mie residue
speranze. Di certo, non sono disposto di nuovo a gettarmi anima
e corpo nella fede in un Dio che a pi riprese mi ha bistratto e av-
vilito. Andr avanti con i piedi di piombo. Valutando passo do-
po passo cosa pu esserci di giusto o di sbagliato, di vero o di fal-
so in tutto ci che mi resta ancora da vivere. Verificher ogni ipo-
tesi con scrupolosa obiettivit, frenando gli impulsi del poeta con
la prudente vigilanza dellingegnere. Ragioner con voi su quali
potrebbero essere i possibili risvolti delleventuale cambiamento
di prospettive, prima di tutto spirituale e in secondo luogo mate-
riale, che le mie scoperte impongono. Continuer ad indagare,
finch nel mio intimo non rimarr un unico immancabile dubbio.
La solita domanda che assilla qualunque essere umano dotato di
senso critico e di giudizio. Chi sono io? Sono un pazzo? Sono un
visionario? Sono uno scienziato? Sono uno scrittore dotato di ta-
lento? Sono un poeta invasato dalla pi sublime delle ispirazioni?
Sono il tredicesimo figlio prediletto di Dio? Sono il messia che
molti attendono?
Non lo so. E con ogni probabilit, non sapr mai con certezza
la risposta a questi scottanti quesiti. Tuttavia, ora che i bollori del
delirio e le intemperanze dellestasi mistica si sono dolcemente
acquietate fra i morbidi flutti della mia nuova et, mi preme dare
un nome preciso allesperienza che ho vissuto. Voglio sapere se in
tutti questi lunghi anni passati sono stato la vittima incolpevole
di un incubo, oppure laudace protagonista di un sogno. E se
cera davvero una favola da scrivere in questo mondo, io non ho
pi il tempo e la pazienza di aspettare un segnale dallalto o un
indizio inequivocabile, che cancelli ogni ragionevole dubbio.
Quello che ho capito, in tutta questa vertiginosa altalena di crisi
ed esaltazioni, che il modo pi sbagliato per vivere una favola

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attendere con passiva e anonima indolenza che la trama si dipani


spontaneamente e diventi allimprovviso reale, dimostrabile, pre-
vedibile. La vita a volte pu essere cos, ma le favole sono unal-
tra cosa. Per vivere la vita come se fosse davvero una favola, bi-
sogna buttarsi dentro al gorgo degli eventi dalla testa ai piedi, ri-
schiando pure di fare capitomboli, ruzzoloni, figuracce. Perch la
favola va oltre. La favola tutto ci che fa da contorno alle iridi
dei nostri occhi. presente, proprio nel momento in cui credia-
mo di non vederne pi i confini. Ci siamo dentro, quando ormai
pensiamo di esserne usciti. La favola supera persino la stessa ca-
pacit di invenzione delle nostre mani. E per quanto sia depri-
mente per uno scrittore ammettere che non esiste un finale al suo
libro, io devo cedere di fronte allimpossibilit di pronosticare
una degna conclusione della mia storia. Apro le ali e mi getto a
peso morto nel vuoto. Ebbene s, il condor si svela al mondo e d
in pasto le sue stesse carni ai falchi, ai lupi, alle iene, alle galline,
ai muli, alle pecore. Sperando che dietro di lui, unaquila si ride-
sti dal sonno e cominci a volare insieme a lui. Venga in suo soc-
corso. Perch il condor solo e per quanto abbattuto, percosso,
trafitto, umiliato, non pu e non potr mai smettere di volare.
Lui fatto cos. Piangete o ridete insieme a lui. Ma non teme-
te mai la sua ferocia, perch il condor non brutto e cattivo co-
me sembra. Dietro quelle inquietanti fattezze di avvoltoio, si cela
la superba fierezza di un leone. Linnocenza di un agnello. Lin-
genuit di unanima fragile. Ostinata. Prepotente. Ribelle.
Questa la sua natura.

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EPILOGO

Ho fatto un sogno.
Mentre passeggiavo da solo lungo gli scogli in riva al mare,
sentii un silenzio che non avevo mai sentito prima nella mia vita.
Un silenzio senza forma e senza colore che indistinguibile dal
frastuono di mille tamburi e cento cornamuse. Suoni di guerra si
stagliavano sul fondo del cielo, musiche e schiamazzi di antiche
battaglie si intrecciavano con le nuvole, agitandosi nellazzurro
come i bassorilievi animati di un mondo ormai scomparso; rico-
perto da spessi strati di muffa e di polvere; sepolto per secoli e
millenni sotto pesanti tumuli di silenzio tombale.
Il cielo si oscur. Quel fracasso era talmente intenso e profon-
do da spaccare i timpani e io mi fermai per guardare meglio il si-
lenzio; il mare sotto di me era diventato un foglio di alluminio
leggero, e riluceva di bagliori argentei e smeraldini, mentre la
roccia della costa si piegava e si contorceva in tante onde gibbo-
se, come se fosse di cartapesta. Laggi allorizzonte, in quello
spazio senza luogo, i colori del tramonto non smettevano di saet-
tare vorticosamente dal blu al viola, dallindaco al rosso, dal gial-
lo allarancione. Il vento non soffiava neppure un sibilo o un fi-
schio sulle orecchie. Il sole non scendeva pi oltre la linea che se-
para lacqua dal cielo e si ferm a met, scintillando al tramonto
come la gemma vermiglia di un gioiello prezioso. Una voce arri-
v alle mie spalle.
Ragazzo. Sei curioso?
Mi girai. In mezzo a quella bolgia infernale di urla strozzate e
muti lamenti, lanciai unocchiata furtiva dietro di me; ma non vi-
di nulla. Tranne il baluginio accecante di due occhi riversi nella
penombra come i fari di un porto senza approdi. Non capisco. E
lui ride. Comincio a sbuffare per non ammettere di essermi per-

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so. E lui ride. Emerge dallabisso un relitto disarcionato dagli


uragani e dagli alisei. Unancora di ferro galleggia sul mare. La
voce ripete:
Ragazzo. Dico a te. Sei curioso?
S risposi.
E mi avvicino per vedere chi sia a parlare. Quelluomo era se-
duto sullorlo di una scogliera puntata; le gambe penzolavano pe-
ricolosamente sul baratro. Con la mano mi fa cenno di avvicinar-
mi ancora di pi. Sorrideva luomo, sogghignando beffardo per il
mio imbarazzo. Il suo viso si riemp in pochi istanti di tante pic-
cole rughe, attorno agli occhi, sulle guance; infiniti solchi e ghiri-
gori si attorcigliavano fino alle tempie; la pelle imberbe e mala-
ticcia aveva lo stesso pallore del sole; il naso stretto e affilato fen-
deva laria come la punta di una spada; i capelli radi e arruffati,
erano simili a tanti fili di ferro uniti insieme, avvinghiati nella
malta. Gli occhi di quelluomo di mezza et sembravano arrossa-
ti da una lunga insonnia; le pupille dilatate fino alliride, schizza-
vano come le biglie di vetro di un gioco da scoprire. Quelle-
spressione di sardonico entusiasmo rimase per molto tempo im-
pressa nella mia memoria. Se la follia scriteriata del satiro imper-
tinente stava cercando un interprete allaltezza per recitare la
parte, quello strano personaggio con la sua grottesca maschera
scolpita sul volto sarebbe stato sicuramente fra i primi a meritar-
si il ruolo.
Siediti accanto a me mi sussurr sottovoce. Devo raccon-
tarti una storia.
Ma cosa sta succedendo? chiesi basito.
Avevo la testa confusa da mille pensieri sguscianti. Ero stordi-
to come una campana senza battaglio che saffanna inutilmente a
battere i rintocchi di unimminente cerimonia. Mentre mi acco-
vacciavo accanto a lui, i miei piedi, le mani, il bacino affondava-
no nella roccia, che era diventata soffice come una spugna; una
schiuma di morbida panna imbrunita. Pensai che presto sarei sta-
to inghiottito dalla terra, soffocando da ogni parte. Ma strana-
mente rimasi a galla. Una piuma era il mio corpo, ingollato da
piacevoli spasmi.
Oggi il giorno della verit.

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Quale verit?
Lunica verit. Non esistono verit allinfuori dellunica veri-
t. Luomo strizz locchio, ammiccando in attesa di una mia
reazione; che non arriv. Ero interdetto. Lui cap e approfitt del
mio stupore per continuare a declamare. Tu hai mai sentito
parlare di un delitto che stato commesso in due modi diversi
contemporaneamente?
No risposi senza neanche riflettere sul significato di quella
domanda.
Ecco. Appunto. La verit lunico crimine che uccide sol-
tanto chi non la capisce. Accidenti a me!
Le parole delluomo penetravano in quel silenzio spettrale co-
me lame nel burro, e ritornavano asciutte. Foglie secche di lavan-
da e gelsomino, bruciate al sole, inebriavano laria di anelanti
profumi. Fragranze sconosciute eccitavano le narici, un deliquio
di balsami e unguenti dal sapore antico. Attorno a noi echi di
ecatombi lontane si staccavano dal costone e rotolavano gi per
la rupe. Non riuscii a trattenere un sorriso di tenerezza. Ridevo
per le smorfie di stizza e raccapriccio ricamate ad arte sul volto
ansimante di quelluomo.
Non ridere di me! mi ammon lui.
Non rido di te ribattei io, mentendo con candore.
Ma tu chi sei?
Non hai ancora capito chi sono io?
No.
Io sono. Io sono. Io sono. La voce delluomo prima di-
sciolta e zuccherina si impost in un tono solenne. Un timbro
rauco e sordo come quello di un corvo gracchiante. Io sono il
vecchio marinaio disperso fra i cimbali di antiche ballate. Io sono
il pirata che chiama allarrembaggio la ciurma. Io sono il corsaro
che ha attraversato indenne le tempeste e le mareggiate del Sud.
Io sono lIperboreo che ha affrontato da solo le gelide tormente
di neve e il ghiaccio polare del Nord. Io sono il bucaniere che da
Oriente ha riportato spezie e aromi fino in Occidente. Io sono
lAngelo Vendicatore e tu sarai il mio messaggero. Io sono il sale
e tu sei la vita.
Scoppiettii, arsure, ustioni, scottature strisciavano a fil di pelle;

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un brivido mi percorse lungo la schiena. Ero attonito e al tempo


stesso divertito.
Ma cosa posso fare io per te?
Tu devi ascoltare la mia storia e poi scrivere tutto ci che ri-
cordi.
Tu non sai scrivere? domandai io con un impeto e una fo-
ga, traboccanti in cima, di sorniona insolenza. Luomo, il lupo di
mare, si irrigid, sentendosi quasi irretito dallo sberleffo.
Non pi tempo di scherzare. Anzi, non pi tempo e ba-
sta. Io so scrivere, ma ogni volta che tento di imbastire una trama
mi perdo in infinite digressioni e molteplici postille. Divago; ter-
giverso; non sono dotato del dono della sintesi e tu mi aiuterai. Il
momento giunto, la verit ha deciso di scendere sulla terra sen-
za troppi preamboli e prima che si scateni il panico fra la gente,
dobbiamo correre ai ripari; se non mettiamo presto pezze, rat-
toppi e bitume, la nave affonder.
Luomo indic qualcosa sotto di noi. Dal mare si alz unonda
che risucchi nel suo gorgo ci che rimaneva del relitto galleg-
giante. Mi portai una mano sul volto per coprirmi dagli schizzi.
Intanto dallalto della scogliera una luce abbagliante invest i miei
occhi. Guardando in tralice, con il gomito alto, non riuscivo a ca-
pire quale fosse lorigine di quel bagliore. Una forma usc dal
centro di quella fulgida iridescenza. Era una colomba. Leggera.
Elegante. Il suo impercettibile battito dali creava un manto di
scintille. La colomba bianca si avvicinava a me, diventando sem-
pre pi grande. Enorme. Mi rannicchiai per ripararmi dal suo
prossimo schianto. Ma proprio a un passo da me, la colomba pla-
n dolcemente, evitandomi a stento e sfiorando le ciocche flut-
tuanti dei miei capelli. Scomparve allorizzonte portandosi dietro
tutta la sua scia luminosa. Il cielo si oscur, diventando pi nero
di prima.
In un batter docchio, tutto intorno fu notte pesta. Mi girai in-
tontito per capire cosa stesse accadendo. Non fui capace di scor-
gere neanche lombra dello sconosciuto, che sghignazzava accan-
to a me. Alzando lo sguardo verso il cielo, vidi delle stelle lucci-
canti, che cominciavano a rincorrersi e schizzare alla rinfusa sul
fondo della spianata nera. Si composero ad una ad una, fino a

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creare con i loro piccoli punti rilucenti il profilo di un leone dal-


la folta criniera. Il leone era maestoso. Fermo, immobile, dal to-
race ampio, pietrificato nella superba sagoma di quella postura.
Un piede in avanti e laltro indietro. Dalle sue mascelle si intuiva
lincipiente fragore di un roboante ruggito. Mi tappai le orecchie.
Ma non arriv nulla ai mie timpani. Quando il silenzio scese fino
al mare, si sent un rimbombo di vuoto a pelo dacqua e le stelle
scapparono una ad una dai contorni di quel disegno, sfuggendo
ora a destra ora a sinistra, sui crinali della volta buia.
Avvolto ancora dalle tenebre, avvertii una scossa da qualche
parte. Il mio corpo si irrigid. La vibrazione non era avvenuta
fuori di me, ma dentro, nello stomaco, nei polmoni. Di colpo le
mie membra si misero tutte insieme a fremere come le corde di
un violino impazzito. Mi alzai in piedi per evitare di cadere gi
dal dirupo. Mi drizzai con le braccia adiacenti al fianco. Chiusi
gli occhi. Tremavo come una palla di cannone pronta ad essere
proiettata lass, nel cielo, da unimmensa bocca di fuoco. Ero sul
punto di decollare da un momento allaltro. Ma pi aspettavo di
essere balzato in aria e pi rimanevo attaccato al suolo. Socchiu-
si gli occhi per vedere cosa stava accadendo l fuori, intorno a me.
Dalle oscure lontananze dellorizzonte si mosse qualcosa. Si dis-
chiuse una curva, che divent dritta, e avanz veloce verso di me.
Due ali portentose fendevano laria con la stessa precisa cesura di
sottili fili di acciaio. Tutto ci che era al di sotto di quella linea
perfetta riprese man mano ad illuminarsi, mentre quello che sta-
va al di sopra veniva oscurato dalla sconfinata apertura alare del-
luccello. Quella strana creatura nera di grandezza spropositata si
mise a volteggiare sopra di me. Sembrava un grosso rapace, una-
quila, un avvoltoio o che so io. Pensai che presto sarei stato pre-
da dei suoi possenti artigli. Non appena il rapace inizi a virare
gi in picchiata, chiusi di nuovo gli occhi, preparandomi al peg-
gio. Ero pietrificato dalla paura. Presto sarei stato uncinato dai
fendenti letali e acuminati di quella bestia.
Il tempo passava, ma non accadde nulla di tutto ci. Malgrado
fossi ancora vittima di ferali presagi, la luce che si espandeva cal-
da intorno a me, mi costrinse a riaprire gli occhi. Mi rigirai su me
stesso pi volte. Attorno a me tutto era ritornato normale. Il ma-

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re. Le scogliere. Sopra di me non cera pi niente. Oltre al cielo,


turchese e cristallino come sempre. Girandomi alla mia sinistra,
vidi che il vecchio stava ancora seduto sul ciglio della scogliera.
Rideva e con una mano mi indicava qualcosa che stava dietro di
me. Abbassai lo sguardo in quella direzione e mi accorsi che fra
le mie gambe, zampettava goffamente un paffuto pulcino. Era
grosso poco pi di un pollo e il suo piumaggio, un po spelac-
chiato, aveva riflessi gialli e ambrati. Era buffo, non meno di
quanto mi sentissi io in quellistante. Una bolla daria, in mezzo a
tutte le miriadi di bolle daria che avevano forma, suono, spazio
in questa vita. Sogni dentro un Sogno.
Ma che cos stato tutto questo? Linizio di un miraggio?
domandai al vecchio bambino che mi fissava sghignazzando.
No, ragazzo mio. la fine di un mondo.
Quale mondo? Io non vedo pi nessun mondo, oltre al mon-
do che conoscevo gi.
Non fingere con me, non ti conviene disse il vecchio, agi-
tando un dito Il tuo mondo finito. Adesso la storia prender
unaltra piega. Perch nulla pu tornare ad essere come prima e
tu lo sai. Ma non devi avere paura; niente irrimediabile finch
il nulla non avr riposo. A proposito, tu sai che cos il nulla?
No. Non so niente del nulla.
Bene; allora cominceremo proprio da l; dal Nulla.
Quando il vecchio bambino, dallespressione buffa e lo sguar-
do malinconico, fin di raccontare la sua storia, si alz e senza
nemmeno salutare, se ne and via; sparendo fra i cespugli e le
sterpaglie, che ricoprivano di verde macchia tutta la costa. Nella
mia testa risuonavano ancora forti gli strascichi delle sue ultime
parole.
Tu sei lenigma di un enigma incurvato fra due Nulla. Ma ri-
cordati sempre che nel tuo sorriso troverai sempre la risposta. La
soluzione di ogni cosa. Compreso il Nulla.
Stetti immobile ad aspettare. Ero combattuto, conteso fra
lidea di restare ancora l a riflettere e il proposito di svegliarmi
da quel lungo sogno. Mi gingillavo alla ricerca di una spiegazio-
ne logica a questo rompicapo. E mentre ripetevo ad alta voce le
frasi dellultimo indovinello, sentii da lontano arrivare una musi-

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ca. Una melodia di arpe, tamburi, viole e trombe. Sembrava


laria di una famosa opera lirica. Feci un ghigno di soddisfazione,
simile ad un sorriso, perch ricordavo a memoria le parole che
accompagnavano le onde musicali di quella melodia. Canticchiai
a bassa voce, mimando le movenze di un vero tenore. E sorrisi di
gusto. Per me stesso. Per laria. Per il cielo. Per il mare. Per il cin-
guettio degli uccelli. Per le parole del Principe.

Nessun dorma! Nessun dorma! Nessun dorma! Nessun dor-


ma! Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza guardi le stel-
le che tremano damore e di speranza! Ma il mio mistero chiu-
so in me, il nome mio nessun sapr! No, no, sulla tua bocca lo di-
r, quando la luce splender! Ed il mio bacio scioglier il silenzio
che ti fa mia! Il nome suo nessun sapr! E noi dovrem, ahim!
Morir! Morir! Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! Tramontate,
stelle! Allalba vincer! Vincer! Vincer!

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INDICE

Preambolo 7
Prologo. Dio uno e ventuno 9
Antefatto. La Confessione 14
Capitolo 1. Terra 22
Capitolo 2. LAmore un uccello rapace 32
Capitolo 3. Il morso della Musa 42
Capitolo 4. Fuoco 54
Capitolo 5. Lincontro con Dio 65
Capitolo 6. Il Libro della Verit 75
Capitolo 7. Acqua 84
Capitolo 8. I Segni nel Tempo 95
Capitolo 9. Aria 108
Capitolo 10. Mosca Cieca 123
Capitolo 11. La Fine dellAlleanza 138
Capitolo 12. Amore e Nulla 153
Capitolo 13. Ventuno 162
Capitolo 14. Universo 171
Capitolo 15. Anima 180
Capitolo 16. Angeli e Demoni 191
Capitolo 17. La Prima Era 211
Capitolo 18. Ges 229
Capitolo 19. La Seconda Era 247
Capitolo 20. LUltima Era: LEra dei Tre Fiori 267
Capitolo 21. LUltima Verit 296
Epilogo 325
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Finito di stampare
nel mese di gennaio 2010
dalle Arti Grafiche Colombo
Muggi (MI)

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