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Collana NARRATIVA
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ISBN 978-88-7568-478-5
2010 Editrice Nuovi Autori s.r.l.
Via Gaudenzio Ferrari, 14 - 20123 Milano
Tel. 02-89409338 - Fax 02-58107048
Internet: http://www.editricenuoviautori.it
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Piero Valerio
DIO UNO
E VENTUNO
Dedica
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PREAMBOLO
E tanto brucia
nel cervello il suo fuoco
che vogliamo tuffarci
nellabisso
Inferno o Cielo cosa importa?
Discendere lIgnoto per trovarci
nel fondo, alfine, il Nuovo
(CHARLES BAUDELAIRE)
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PROLOGO
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ANTEFATTO
La Confessione
Le storie degli uomini sono come tanti semi di una pianta sco-
nosciuta che vengono gettati sulla terra per prendere forma da
soli; con il tempo. Allinizio, le sementi sembrano tutte uguali,
ma poi ti rendi conto che soltanto alcune attecchiscono, mentre
altre no; rimangono sotto terra, a marcire nel buio. Dopo aver vi-
sto la luce, i semi pi fortunati germogliano, crescono, fioriscono,
si arrampicano sui muri, circondano le finestre delle nostre case
come i folti cespugli delledera; non di rado per capita pure che
quelle fronde rigogliose non entrino mai nella stanza giusta e re-
stino fuori, al freddo, in attesa che qualcuno si accorga di loro.
Altre piante invece, pur essendo molto belle a vedersi, hanno bi-
sogno di tanta acqua per crescere e molto spesso, per un eccesso
di timidezza, avvizziscono subito al primo sole di primavera. Tan-
te storie sono state scritte senza generare neppure un bocciolo
che sia uno; al contrario di altre, che pur non avendo mai visto
linchiostro di una penna, cominciano molto presto ad essere tra-
mandate di bocca in bocca, di generazione in generazione e in
qualche caso fortunato diventano leggenda. Alcuni di questi miti
grondano di verit da ogni parte, in altri non c nulla di vero. Ci
sono infine certe storie, quelle storie, che non andrebbero mai
raccontate. Questa una di quelle storie.
Ho mantenuto segreta la mia vicenda per quasi quattro anni,
ma oggi mi sento pronto a raccontare tutto ci che mi accaduto;
per due ragioni fondamentali. Una di carattere scientifico e laltra,
diciamo pure, morale, escatologica. Il cervello un marchingegno
strano e mi piacerebbe mettere a disposizione la mia esperienza
per capire meglio i suoi meccanismi, le sue distorsioni. Chiunque
si prefigga di compiere un viaggio allucinante come il mio, dentro
e fuori se stesso, ai confini della realt, deve essere consapevole
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CAPITOLO 1
Terra
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vole degli altri e siamo tutti innocenti allo stesso modo. Quellar-
tificio dialettico significava tutto e niente. Bisognava invece fare i
nomi, individuare i nemici, incastrare i veri malfattori del reato,
andare a fondo nella conoscenza di tutti i delitti commessi in no-
me della stabilit sociale. Chi era cos audace da lanciarsi in una
simile impresa? Qualcuno, pochi, nessuno. La conoscenza infatti
provoca sofferenza e il dolore ottenebra la vista e indebolisce il
cuore. Chi tentava di risalire a ritroso il fiume della conoscenza
fino alle cascate dellignoto, tornava subito indietro; smarrito,
disorientato, confuso. Quel groviglio inestricabile di fili e con-
traddizioni infinite era pazzesco. Quando qualcuno trovava la
forza di fare un passo in avanti, retrocedeva poco dopo di due
passi; come un gambero aggrappato agli scogli, per paura delle
onde e della spuma del mare. Loceano troppo grande. Il biso-
gno di conforto e protezione era molto superiore a quella indo-
mabile voglia di buttarsi con coraggio nel vuoto. Il timore di ri-
manere sospesi nel nulla e lassillo della precariet creava vertigi-
ne; funestava il sonno. Chi aveva sfiorato anche solo di striscio
quellassurda pazzia finiva per apprezzare meglio gli agi della co-
siddetta normalit.
Io ero pazzo; perch volevo conoscere tutto. La mia insaziabi-
le curiosit mi aveva trascinato fin da bambino a divorare interi
volumi di storia, geografia, scienze naturali. Mostrai molto presto
un notevole intuito matematico e una memoria fuori dal comune.
Quando avevo poco pi di dieci anni incontrai la poesia e fu lini-
zio della fine; la mia fame divenne cronica; la malattia era morta-
le. La poesia si present subito come lapogeo del mio precoce
amore per la conoscenza. Dopo avere scandagliato la superficie
della terra che mi girava intorno, la poesia apparve allorizzonte
della mia infanzia come una sirena sinuosa e ammaliatrice che mi
invitava ad entrare in un mondo sommerso; tutto ancora da
esplorare. Mi innamorai di quella splendida musa. Insieme a lei
mi tuffavo e mi immergevo negli sconosciuti abissi dellanima e
trattenendo il fiato ammiravo paesaggi incontaminati di rara bel-
lezza; coralli cremisi dalla pregiata fattura; gemme rilucenti di
purezza adamantina; antri bui e profondi scavati nella roccia, da
cui provenivano spesso rumori sinistri, voci strane, creature in-
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CAPITOLO 2
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CAPITOLO 3
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pore. Quella era la mia anima. Unombra fetida che strisciava sul-
lintonaco, scivolava sul mobilio, serpeggiava fra le ante aperte
degli armadi e poi risalendo su dai piedi del letto, si adagiava di
nuovo sul mio corpo; avvinghiandosi cos forte al collo fino a sof-
focarmi. Quel grumo rancido di rancore rappreso seccava ogni
goccia di saliva rimasta in gola e nemmeno tutta lacqua del ma-
re sarebbe riuscita a ridarmi un minimo di ristoro. Abbrutivo,
inesorabilmente. Inaridivo; marcivo nellinedia di ogni istinto e
ogni reazione, senza opporre alcuna resistenza.
Tutto mi era molto chiaro adesso. In passato avevo sempre ri-
cercato la solitudine per ritrovare me stesso e per allontanare da
me i frastuoni impazziti del mondo; ma invece fuggivo, mi na-
scondevo, mi trinceravo dietro le mie illusioni per non vedere e
capire chi fossi veramente. Per non guardare il mondo che mi
aspettava fuori dalla porta. Quella solitudine che prima era un
comodo riparo e un pretesto di altero distacco, ora era diventata
la mia maggiore condanna. Non riuscivo pi a stare solo con me
stesso. Non mi sopportavo. Mi odiavo. Ripensando al passato,
vedevo sfilare uno ad uno il corteo funebre di tutti i miei errori.
Ma il passato ormai suonava alle mie orecchie con lo stessa ma-
linconica melodia di una lontana arcadia della memoria; a quel
tempo credevo di potere bastare a me stesso, di potere sopperire
a qualunque mancanza, di non subire il peso dei pesanti fardelli
da cui gli altri sembravano gravati; ridevo facilmente di ogni co-
sa, non mi sentivo affannato da nulla, avevo bisogno di tutto e di
niente in particolare. Al massimo consideravo questa assenza to-
tale di una vera mancanza il mio limite pi grande; avrei voluto
fare di pi, avrei voluto essere pi utile agli altri, avrei voluto par-
tecipare e incidere di pi sulla vita di qualcuno; avrei voluto che
qualcuno sentisse di pi la mia mancanza. Avevo forse troppe
aspettative per la vita. Fremevo nellattesa di qualcosa di impor-
tante; come un viandante ramingo che aspetta il suo treno per
balzarci su e cominciare a viaggiare in cerca del suo piccolo an-
golo di felicit. In verit vivevo soltanto nella vaga illusione di lei,
e dellamore. Quello vero. Quello eterno.
In virt di questa tacita convinzione mai veramente ammessa a
me stesso, ritenevo di essere un uomo forte, determinato, sicuro
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cure per il mio male. Io invece alzai le spalle, scossi il capo, rima-
si in silenzio; perch gi prevedevo che quellammasso di senti-
menti contrastanti, da cui affiorava in superficie soltanto un mi-
sto di gelosia, rabbia, frustrazione, mi avrebbe perseguitato fino
alla fine dei miei giorni; e forse anche oltre. Se malauguratamen-
te ci fosse stato anche un dopo.
Inizi cos un periodo di calma e quiete apparente. Nella clau-
sura pi totale della casa di campagna in Sicilia. I miei genitori mi
accudivano e mi tenevano sotto stretta osservazione per impedi-
re che io potessi compiere qualche scemenza; ogni tanto prova-
vano pure ad interrogarmi, a capirmi, ma io stavo zitto, sospira-
vo. Mi ostinavo a ristagnare nella pi tetra delle solitudini. Dopo
la fine della prima maestosa tempesta, la mia nave, martoriata e
massacrata dallinclemenza delloceano, non era ancora arrivata a
nessun porto sicuro; stava ferma, impassibile, imperscrutabile, a
migliaia di chilometri di distanza da qualunque costa. La bonac-
cia lenta dellestate non permetteva neppure ad uno spiffero o ad
un alito di vento di tirarmi fuori da quel tremendo beccheggio.
Tutto ci che in me era sopravvissuto allarrivo delluragano ave-
va lodore acre e pungente della devastazione pi desolante. Fuo-
ri di me invece ogni cosa era morta. Il cielo maledettamente az-
zurro sembrava di cartone. Gli uccelli che cinguettavano avevano
lo stesso aspetto di carcasse mummificate e in avanzato stato di
decomposizione, dal cui interno riecheggiava un suono meccani-
co e artificiale. Il sole emanava una luce finta, che non bruciava.
Il gigantesco albero di pino, che era cresciuto insieme a me nel
cortile della casa, aveva scavato troppo in profondit con le radi-
ci ed era morto pure lui allinizio di quella terribile estate. Io e
quellimmenso scheletro di rami secchi e germogli appassiti era-
vamo stati accomunati nellidentico tragico destino. Con una
concomitanza di tempi che aveva dellincredibile.
Ormai mi sentivo braccato, come un coniglio stanato da un
branco di lupi feroci. Se Dio o il destino o il caso stavano cer-
cando da tempo di acciuffarmi, adesso potevano rallegrarsi; ero
uscito allo scoperto e trovare un altro nascondiglio sarebbe sta-
to per me impossibile. Anzi, i miei sconosciuti aguzzini non do-
vevano fare pi alcuno sforzo per inseguirmi perch mi conse-
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CAPITOLO 4
Fuoco
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CAPITOLO 5
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Dunque non ero solo. La conclusione a cui giunsi, dopo tanti far-
fugliamenti mentali, era che anche il mio amico fosse stato in-
consapevolmente coinvolto e trascinato da Dio allinterno del
mio progetto. Scrivendo anche lui un libro; guarda caso. Ma non
mi erano ancora per nulla chiare le finalit e le modalit con cui
Dio interveniva. Come faceva? In quale modo sceglieva le perso-
ne da inserire nel suo grande disegno? Perch aveva creato quel-
lintricato intreccio di incontri e coincidenze? Per la prima volta
cominci a trotterellare nella mia mente la parola Angelo. Dio
non agiva indistintamente su tutti gli uomini, ma solo su alcuni;
quelli pi illuminati e intraprendenti: gli Angeli.
Arriv il momento di lasciare Palermo alla volta di Milano. Po-
co prima di uscire con le valigie dalla mia stanza mi avvidi che
sullo scaffale della libreria cera un piccolo anellino di plastica
con tre fiori colorati: senza nemmeno riflettere lo infilai sul polli-
ce della mano sinistra come simbolo della mia nuova Alleanza
con Dio. Quel viaggio che era iniziato come una normale vacan-
za natalizia, aveva avuto un epilogo sconvolgente. La mia vita era
stata stravolta, sconquassata; la lucidit barcollava; guardavo il
mondo con gli occhi di un marziano venuto da unaltra galassia:
tutta quella messa in scena del mondo e della societ nascondeva
una verit sconcertante e meravigliosa al tempo stesso. Dio era
ovunque, muoveva contemporaneamente e costantemente ogni
cosa, con alcune limitazioni ancora ignote riusciva pure a comu-
nicare alle coscienze degli uomini per indurli a fare certe scelte.
La vita era un miracolo. Un miscuglio inestricabile di realt e fin-
zione; volont umane e rappresentazione, per usare le parole di
Schopenhauer. E io mi sentivo come un indagatore di un grande
sogno, immerso fino al collo dentro unimmensa caccia al tesoro;
piena di indizi, segnali, allusioni da capire e sviscerare fino in
fondo per arrivare allunica verit possibile di quel mistero. Una
verit che per suonava a sua volta come un nuovo enigma, che
faceva pressappoco cos: qual la vera verit? La verit quello
che vediamo con i nostri occhi, quando mangiamo, camminiamo,
parliamo? Oppure ci che sentiamo nella coscienza, non appe-
na cominciamo a guardare il mondo da unaltra prospettiva?
Ad ogni modo, alla luce di questa nuova consapevolezza, mi ri-
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CAPITOLO 6
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mondo per portare avanti una missione che altri avevano iniziato
prima di me. Dovevo scrivere un libro.
Ripresi posto fra i banchi dellaula, con la certezza che con tut-
ta quellenergia addosso avrei terminato il romanzo nel giro di
uno, al massimo due pomeriggi. Tuttavia con il trascorrere dei
minuti qualcosa cambi di nuovo. Lentamente la mia euforia mi-
sta ad onnipotenza svan, ritornai ad essere quello che ero sem-
pre stato: un ragazzo impelagato in tanti problemi, sommerso da
uninfinit di dubbi, fiaccato dalla debolezza e fragilit umana.
Quella sera stessa, sulla strada di ritorno per casa, giunsi ad una
mia personale spiegazione di tutta quella strana, strabiliante
esperienza. Per abbattere ogni mia resistenza Dio aveva voluto
farmi conoscere la parte immortale della mia anima, quella infan-
tile, ma il libro della verit doveva essere scritto da un uomo. Da
un mortale. Mentre camminavo spedito fra i viali del parco, strin-
si i pugni, digrignai i denti, trattenni le lacrime. Sapevo gi che
quellimpresa titanica avrebbe comportato ancora tanta fatica,
dolore, solitudine. Ma alla fine luomo avrebbe vinto quella du-
rissima partita a distanza con Dio e contro gli uomini. E proprio
in quellistante mi venne in mente un famoso verso del primo
canto dellEneide: Tantae molis erat romanam condere gen-
tem. Era di cos tanto impegno fondare il popolo romano. Il Re-
gno di Dio, cos come Roma, non poteva essere costruito in un
giorno ed io come Enea, Ulisse, Ercole e tanti altri, eravamo ac-
comunati dal medesimo gravoso destino che spetta a tutti gli
eroi. La gloria eterna sarebbe stata la nostra ricompensa, il pre-
mio imperituro che riscatta da ogni sofferenza.
Da quel giorno le mie ultime riserve razionali crollarono mise-
ramente e mi gettai a capofitto nel sogno pi grande di tutti i
tempi. Il libro divenne la mia unica ragione di vita. Scrivevo sem-
pre e dovunque: mentre assistevo alle lezioni, durante i tragitti in
metropolitana, a casa, disteso sul letto prima di addormentarmi.
Qualunque idea o intuizione mi saltasse in mente veniva subito
espressa in parole e concetti inconfutabili. Dappertutto racco-
glievo appunti, frasi, metafore, singoli termini che poi sapevo
perfettamente dove e quando inserire allinterno del racconto. La
mia memoria era diventata infallibile. Ormai ero talmente con-
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nale del mio romanzo. Una conclusione del tutto inventata, sur-
reale. Il mio personale contributo al misterioso epilogo di una
storia, che come risaputo, era rimasta incompiuta a causa della
prematura morte dellautore.
Dopo la pubblicazione del libro, io mi ero ritirato a vivere in
campagna e mi occupavo di rispondere a tutte le lettere dei bam-
bini e degli amanti del mondo. Ero invecchiato, avevo i capelli
brizzolati e i baffi, e stavo insieme ad una compagna gentile e pre-
murosa, che nelle mie intenzioni doveva essere unallegoria della
morte. Un giorno mi arrivava una busta che non conteneva nes-
suna lettera, ma soltanto un invito a teatro per assistere alla Tu-
randot di Puccini. Io capivo immediatamente di cosa si trattava e
senza alcuna esitazione mi vestivo di tutto punto e partivo in di-
rezione di questo imprecisato luogo della fantasia. Nella sala din-
gresso del teatro, sotto le volte affrescate con immagini di angeli e
cherubini innamorati, io incontravo Marilena, anche lei invec-
chiata, ma sempre bellissima. Dopo una serie di intensi sguardi, io
e lei ci prendevamo per mano e senza dirci nemmeno una parola,
prendevamo posto nel palchetto donore. Mentre il principe scio-
glieva tutti gli indovinelli della perfida Turandot e si apprestava
ad invocare nella notte la sua prossima vittoria, gli occhi miei e di
Marilena si riempivano di tante lacrime silenziose. Finch il prin-
cipe, in unapoteosi di emozioni, fremiti e sussulti, non urlava al
cielo il suo grido di vendetta ed amore insieme: Allalba vincer!
Vincer! Vincer!. Il mio romanzo si concludeva cos.
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CAPITOLO 7
Acqua
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mero 21. Come per dire che la fine del vecchio mondo e linizio
del nuovo non poteva che avvenire sotto il segno del numero di
Dio: il 21.
Come se non bastasse, da tempo pressoch remoto girava sot-
tobanco unantica diceria secondo la quale lultimo papa della
Chiesa cattolica avrebbe dovuto chiamarsi Pietro, come il primo.
Quasi per scrupolo superstizioso, nessuno dei papi del passato
aveva voluto adottare questo nome pontificale. Il salto con la mia
stessa vita era inevitabile. Entrambi i miei nonni, sia quello ma-
terno che paterno, si chiamavano Pietro ed io ero stato battezza-
to con il nome Piero per un banale errore allanagrafe. Pietro, ol-
tre ad essere stato il primo papa della storia, era anche stato il di-
scepolo pi burrascoso e irrequieto di Ges, avendo avuto con il
nazareno un rapporto quanto mai controverso e profondo. Se al-
lapostolo Pietro era toccato il compito di fondare la dottrina che
si ispirava a Ges, a me spettava la delicata missione di scardina-
re le fondamenta marcite della gerontocrazia ecclesiastica, per
ridare alla figura di Ges nuovo slancio e linfa per il resto del-
leternit.
Il mio legame con Ges diventava ogni giorno pi saldo e in-
dissolubile. Lui era il primo dei figli prediletti e io ero lultimo; il
tredicesimo. Lui era lalfa e io ero lomega. Lui era lordine e io
ero il caos. Lui era lagnellino con il cuore di leone mentre io ero
il leone con il cuore di agnellino. Noi due eravamo tanto diversi
nel carattere e nel temperamento quanto simili nellamore verso
Dio e nella totale abnegazione alla sua volont. Nonostante tutte
la mie riottose e recalcitranti fughe del passato, adesso che avevo
capito quale fosse lo scopo e il senso della mia venuta sulla terra,
nessuno avrebbe potuto distogliermi dal mio proposito. La mia
ostinazione e la mia caparbiet non avevano limiti ed erano pro-
prio queste le caratteristiche che servivano per superare tutte le
difficolt che ancora mi separavano dalla meta. Non avevo pau-
ra. Sapevo bene ci a cui stavo andando incontro. Sarei stato ag-
gredito dai malvagi e deriso dai bifolchi, dileggiato dagli stupidi
e vilipeso dagli infami; ma io sarei arrivato alla fine. Fino alla fine
del mondo.
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CAPITOLO 8
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CAPITOLO 9
Aria
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mio amato nemico. Marilena era proprio alle corde. Non solo
aveva letto tutti i miei precedenti messaggi, ma mi invitava pure
apertamente a continuare a scrivere; perch lei aveva ancora bi-
sogno di me; era curiosa di sapere cosa avessi scoperto su Dio e
sul senso ultimo della nostra unione. La ragazza fra laltro non si
era nemmeno curata tanto di difendere lonore e la dignit del
suo nuovo fidanzato; accettando senza battere ciglio e senza al-
cun senso di colpa le attenzioni dellamante deluso e bistrattato.
Non stavo pi nella pelle. Quella piccola parola di saluto che ri-
luceva timidamente sul mio cellulare era una bomba ad orologe-
ria e stava creando dentro di me una deflagrazione e unesplosio-
ne di sentimenti di portata inaudita. Sebbene fossimo lontani e
separati da migliaia di chilometri di incomprensione, adesso ave-
vo la certezza matematica che Marilena non si fosse scordata di
me; pensava ancora a me; forse nel silenzio dei suoi cupi rimorsi,
mi amava ancora. Sapevo che non dovevo farmi troppe illusioni.
Ma devo ammettere che di tutte le prove che avevo fin qui rac-
colto, questo breve messaggio di quattro lettere era il sigillo pi
prezioso del mio scrigno di scoperte. Dio dunque esisteva veramen-
te. LAmore non era soltanto una chimera irraggiungibile. Ed io e
Marilena eravamo davvero due anime gemelle.
Nei giorni successivi continuai ad inviare messaggi con mag-
giore cautela e attenzione di prima; finch non commisi un pic-
colo errore di leggerezza, dovuto forse alla stanchezza e alla di-
strazione. Ormai ero talmente sicuro di me e delle mie verit che
a volte mi capitava di non valutare bene leffetto e il peso delle
mie parole. Per descrivere il nostro primo incontro a Pesaro usai
delle espressioni piuttosto forti, scrivendo: e cos dopo qual-
che mese arriv il momento del nostro primo incontro per un
caso fortuito (?) eravamo finiti nella stessa casa e per una pura
coincidenza (?) dovevamo pure condividere la medesima stan-
za tu eri davvero molto bella, ma senza offese, anche tanto in-
genua e ignorante come una capra tuttavia, date le circostanze,
non era proprio il caso di essere troppo pignoli!. Dopo avere in-
viato il messaggio, poggiai il cellulare sulla scrivania e andai in
cucina per preparare la cena. Ero convinto di non avere scritto
nulla di eccessivamente offensivo. Avevo soltanto detto con fran-
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ro state vere, ben presto anche lei avrebbe capito chi ero io. Chi
eravamo noi.
Dopo avere trascorso allincirca un mese di assalti e scaramuc-
ce verbali a distanza, quella fu lultima volta che ebbi un contatto
diretto con Marilena; dopo quel giorno ricominci come prima il
silenzio, la lontananza, la solitudine. Era il 4 ottobre del 2005.
Mentre io e la mia rivale battagliavamo sulla terra, nel cielo era ac-
caduto qualcosa di veramente insolito e singolare. Uneclissi di so-
le. Con una stranezza che rendeva quellevento ancora pi straor-
dinario. Non si trattava di uneclissi totale ma anulare, in quanto
il disco lunare non riusciva a coprire per intero quello solare, la-
sciando scoperta una corona circolare luminosa. Lanalogia con
ci che avevo vissuto durante la burrascosa giornata appena ter-
minata era strabiliante: la luna aveva tentato ancora una volta di
oscurare il sole, ma lirruenza e la maestosit di questultimo era
ormai troppo estesa e potente per subire un simile oltraggio. La
mia conclusione riguardo a quellincredibile concomitanza di
tempi era ovvia: Dio quel giorno era in vena di similitudini in
grande stile e con un superbo segnale dallalto aveva voluto inco-
raggiarmi, facendomi sentire la sua presenza e inducendomi a re-
sistere ad ogni incursione dallesterno. Se il cocciuto toro marchi-
giano aveva rialzato la testa, abbozzando un ultimo colpo di coda,
il prepotente leone siciliano non doveva stare di certo a guardare:
ormai sapevo benissimo che quel toro non poteva essere preso per
le corna. E bisognava continuare ad agire di rappresaglia.
La settimana successiva venni per a conoscenza tramite un
amico di una notizia che sconvolse di nuovo tutti i miei piani:
Marilena si era gi sposata con lufficiale durante la fine delle-
state precedente. Per la prima volta dallinizio di quel viaggio
sentii che dentro di me si stava rompendo qualcosa. Imprecai. Il
mio ritrovato rapporto di alleanza con Dio sub un tracollo, una
frattura; chiedevo a gran voce spiegazioni per una simile decisio-
ne. Perch? Perch consentire che Marilena si sposasse? Perch
allontanare per sempre da me la donna che mi apparteneva? Ave-
vo fino a quel momento creduto che Dio fosse dalla mia parte,
dalla parte dellamore, ma forse era giunto il tempo di ricredersi.
Quello sgambetto mise in subbuglio ogni mia certezza. Trascorsi
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CAPITOLO 10
Mosca Cieca
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CAPITOLO 11
La Fine dellAlleanza
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dubbio, ero obbligato per forza a credere che di fronte a certe ca-
sualit e inefficienze umane, persino Dio si trovasse costretto a
soccombere. Laltra possibile spiegazione era invece che qualcu-
no dallalto, in vena di scherzi, avesse deciso di ributtarmi nella
mischia per farmi fare un altro giro di giostra; forse dovevo cam-
biare aria, conoscere nuova gente, svagarmi un po, temporeggia-
re, in una fase della mia vita in cui tutto mi serviva tranne che la
distrazione. Una vera disdetta. Tuttavia la frittata era fatta e con-
tinuare a pretendere un po di riconoscenza e comprensione non
mi aiutava granch; non avevo scelte. E cos, mettendo per qual-
che tempo da parte il libro, mi misi a cercare un altro lavoro,
sempre come operatore telefonico e ad orario ridotto. Mio mal-
grado mi toccava avere fiducia. Incrociare le dita. E sperare che
Dio me la mandasse buona unaltra volta, come aveva gi fatto
molte volte in passato. Tanto, per quanto mi fossi impegnato nei
ragionamenti, sarebbe stato per me impossibile capire dove fini-
va lopera di Dio e iniziava quella degli uomini.
Comunque, nonostante avessi tutte le migliori intenzioni di
non mollare, durante il periodo che trascorsi in giro per aziende
e uffici di selezione, non mi sentivo per nulla tranquillo; ero in-
quieto, agitato, ansioso. Nelle notti che precedevano i colloqui,
puntuale ritorn pure linsonnia. I pensieri e i dubbi si affollava-
no sopra la mia testa come le nubi nere di un imminente tempe-
sta. Qualcosa mi diceva come il tempo della pacchia fosse giunto
al capolinea, e il prossimo treno sul quale dovevo salire si chia-
mava di nuovo fatica, schiavit, depressione. Anche in questo ca-
so, la previsione non si allontan molto dalla realt. Fra tutte le
opportunit che mi si erano prospettate, trovai impiego nel posto
per me pi svantaggioso. Si trattava di una compagnia di assicu-
razioni, assorbita di recente da una grande multinazionale tede-
sca, dal nome quasi beffardo, che in italiano significava allean-
za. La sede della societ era molto lontana da casa mia; lam-
biente di lavoro era asfissiante; lorganizzazione era rigida e di-
spotica. Gli operatori telefonici venivano controllati a vista come
fossero galline in batterie o prigionieri rinchiusi in un lager. Per
parlare con un collega e smorzare un po la tensione, potevamo
soltanto usare di nascosto e a rischio di essere severamente rim-
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gli altri, nel migliore dei casi, sarei stato sempre un incompreso.
Bisognava mettere un punto sulla questione.
Non sono pi capace di scrivere nemmeno due parole in cro-
ce. bofonchiai a testa bassa. Ho la nausea. Non ne posso pi
di Dio, della scrittura, dei sogni. Sono tutte ossessioni senza sen-
so, che non portano a nulla.
Un altro piccolo sforzo ammicc Sara, strizzandomi loc-
chio. Io ti conosco. Tu puoi farcela.
Scossi il capo, osservandola di traverso, con unespressione
sempre pi imbronciata; quella scocciatura era durata gi abba-
stanza. Sollevando di poco lo sguardo mi accorsi che lorologio
appeso sulla parete di fronte segnava mezzanotte in punto. Al-
limprovviso, il riverbero di un lampo illumin linterno della
stanza, come se fosse pieno giorno. Poco dopo, arriv pure il ton-
fo sordo del tuono, che scosse con fragore i vetri delle imposte.
Qualcosa si accese da qualche parte dentro di me. Non saprei pe-
r definire quale impulso mi spinse a fare un ulteriore scatto di
volont; forse volevo soltanto approfittare della situazione di im-
barazzo che si era creata, per togliermi di mezzo per una buona
volta e per tutte quel fardello che ancora mi doleva. Sulle spalle.
Nella testa. Dentro il cuore.
E va bene! dissi battendo le mani sulle ginocchia se pro-
prio insisti, ti racconter anche il resto. Marco, scusa, potresti
prendermi un foglio e una penna?
Marco annu; sembrava ancora piuttosto interdetto e stranito,
ma recep al volo, quasi meccanicamente, la mia richiesta. Si alz
senza dire una parola e ritorn con gli arnesi del mestiere. Di
qualunque mestiere.
Voi avete mai sentito parlare del nulla? chiesi roteando la
testa per guardare uno per uno, dritto negli occhi, i miei interlo-
cutori.
In che senso? farfugli Anna.
Nel senso letterale del termine. Sapete cosa sia il nulla?
No. Non sappiamo niente del nulla ribatt Sara, mentre
Anna scuoteva il capo e Marco mi fissava impassibile.
Bene. Allora cominceremo proprio da l. Dal Nulla
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CAPITOLO 12
Amore e Nulla
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CAPITOLO 13
Ventuno
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CAPITOLO 14
Universo
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CAPITOLO 15
Anima
I primi uomini hanno una durata di vita molto breve; circa die-
ci, undici anni. Rimangono piccoli, bassi di statura, sono ancora
un po bruttini a vedersi, invecchiano precocemente, ma con il la-
voro di selezione Dio convinto che riuscir a migliorare il loro
aspetto; la specie deve essere per quanto possibile simile a Lui
stesso e ai suoi Figli Prediletti, che osservano estasiati lo spetta-
colo della natura. Tuttavia in quei pochi anni di vita, gli uomini
non riescono ad imparare molto, progrediscono poco, vivono in
uno stato selvaggio, sono troppo vulnerabili e in balia dellag-
gressione dei predatori pi affamati. Lavorando sul perfeziona-
mento delle cellule, Dio decide di sovvertire lo schema iniziale e
consente agli uomini di vivere pi a lungo. Gli esseri umani cre-
scono in altezza e modificano la conformazione del corpo. Le co-
se cominciano a migliorare. Gli uomini si organizzano, si riuni-
scono in gruppi, si riproducono con maggiore successo, costrui-
scono le prime armi rudimentali, scoprono il fuoco; il pollice op-
ponibile delle mani permette una presa sicura degli oggetti e una
continua affinazione delle tecniche artigianali. Si formano le pri-
me comunit primitive e societ tribali.
Come tutti gli altri animali, gli uomini hanno una memoria do-
ve immagazzinano numerose informazioni e unintelligenza che
elabora in tempo reale le indicazioni provenienti da Dio stesso;
non possiedono per una coscienza, unanima e non sono in gra-
do di acquisire una consapevolezza precisa delle conseguenze
delle loro azioni e del mondo in cui vivono. Tutto ci che impa-
rano e fanno frutto della necessit; ogni impulso, ogni pensiero
avviene tramite un rapido spostamento di segnali neuronici al-
linterno del cervello. In assenza di spirito, Dio pu agire soltan-
to sulla parte fisica delle creature e levoluzione procede a rilen-
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to; lobiettivo di edificare sulla terra una civilt per grandi tratti
simile a quella che esiste dallaltra parte del cielo, nel Giardino
dellEternit, diventa sempre pi lontano. Gli uomini sono trop-
po avvinti dai loro istinti e dalle loro ancestrali paure per alzare
lo sguardo fino a Dio; per capire il meraviglioso prodigio della
natura; per amare.
Bisognava fare qualcosa. Ma cosa? Dio si trov di nuovo di
fronte ad uno dei suoi soliti spinosi grattacapi. Finch guardando
i Figli Prediletti e ascoltando le loro incessanti punzecchiature,
Amore giunse ad una conclusione abbastanza prevedibile e gi
sperimentata con successo: bisognava dotare gli uomini di una
volont indipendente. Di unanima. Soltanto cos, il gioco poteva
evolversi in meglio, rendendo le creature umane sempre meno
piegate sulla quotidianit e sempre pi proiettate nel futuro.
Daltra parte da parecchio tempo, i bambini prediletti richie-
devano larrivo di nuova compagnia e con questa nuova trovata
Dio poteva esaudire nello stesso tempo due diverse esigenze: mi-
gliorare il gioco dellUniverso e accontentare le richieste dei suoi
amati figli. Tuttavia i problemi da risolvere erano ancora tanti:
Dio aveva gi sviscerato a fondo la sua anima per creare i Figli
Prediletti e non sapeva pi cosaltro inventarsi per costruire uno
spirito diverso da tutti quelli gi esistenti. Inoltre sulla terra, le
anime degli uomini non avrebbero avuto la possibilit di incon-
trare e vedere chiaramente Dio durante la loro vita e la possibili-
t che deviassero dalla via del Bene diventava molto alta. Rispet-
to alle difficolt affrontate dai Figli Prediletti, gli uomini si sa-
rebbe trovati di fronte ad un doppio tranello: non solo non
avrebbero mai visto la Luce del volto di Dio, ma non sarebbero
mai stati in grado di percepire quanta assenza di Luce ci sia nel
Nulla. In pratica, sarebbero stati sempre in bilico fra la Luce e il
Buio. Fra lAmore e il Nulla. Senza mai capire quale delle due en-
tit sia pi vera, pi potente, pi divina. Soltanto quei pochi, che
superando enormi fatiche, fossero stati capaci di comprendere
che entrambi quegli enti primordiali, rappresentano le due facce
della stessa medaglia, avrebbero potuto incamminarsi verso la
salvezza. Il gioco, insomma, poteva non valere la candela. E an-
cora una volta Amore e Nulla furono costretti a ragionare; per
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CAPITOLO 16
Angeli e Demoni
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dei primi. Oltre alla perizia statistica, Dio deve usare una buona
dose di pazienza, tolleranza, prudenza, per sopportare le male-
fatte perpetrate dai malvagi e le sofferenze patite dai pi merite-
voli. Qualsiasi mossa avventata, compiuta da Dio per venire in
soccorso degli uomini giusti, potrebbe infatti arrecare un danno
maggiore per il benessere futuro dellintera comunit.
La questione del giudizio divino invece molto pi semplice di
quanto esegeti e teologi di ogni tempo avevano immaginato. In
questo campo, non esiste spazio per la parzialit o larbitrariet
del verdetto, perch tutto dipende da una pura questione mate-
matica, geometrica. Attorno alla retta del Sogno e della Realt,
nella mente di Dio sono presenti in ogni istante altre due rette
ideali, parallele alle prime ed equidistanti dalla linea reale, che
delimitano lampia zona della normalit; la retta superiore si tro-
va sempre a met fra la retta della Realt e quella del Sommo Be-
ne e nello spazio compreso fra la retta superiore e quella inferio-
re galleggiano sospese nella loro nullit tutte le anime spente, tri-
sti, rassegnate, ignoranti, inette, pigre, incapaci, indecise; ovvero
la maggior parte degli uomini. Al di sotto della linea inferiore che
demarca la normalit ci sono i malvagi, i corrotti, i violenti, i su-
perbi, quelle anime cio che se continueranno a perseverare nei
loro errori avranno un destino molto pi atroce di tutti gli sbagli
che hanno commesso in dispregio alla vita. Mentre nella zona che
si trova al di sopra della linea superiore e al di sotto della linea del
Sommo Bene ci sono tutte le anime che potenzialmente potreb-
bero diventare angeli ed entrare dopo la morte nel Giardino del-
lEternit; naturalmente la sorte di ogni uomo in questa e nellal-
tra vita dipende dalla capacit di raggiungere la linea del Sommo
Bene realizzando il proprio sogno e una volta raggiunta questa
meta, continuare a vivere in maniera virtuosa, non andando mai
al di sotto della retta superiore che delimita la normalit, perch
in quel caso svanirebbe leffetto prodotto dalla realizzazione del
proprio sogno e lanima rientrerebbe in quellaffollato calderone
di noia e monotonia chiamato Purgatorio. Quando un uomo si
avvicina o si trova a procedere nella stessa direzione della retta
del Sommo Bene riceve un forte impulso, una sensazione scate-
nante che viene indicata dalle pi svariate dottrine religiose e fi-
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no del mondo, queste anime elette, grazie alla loro immensa in-
telligenza e al loro meraviglioso amore, sanno e percepiscono in
ogni attimo della loro vita che dietro lo spettacolo straordinario
dellesistenza ci sia qualcosa di portentoso e incredibile; una ve-
rit talmente grande e imponente da superare qualsiasi immagi-
nazione umana. Abbagliati da questo fulgore purissimo, gli illu-
minati non perdono mai la speranza di portare la pace, la cono-
scenza e la felicit fra gli uomini e sono come dei fiumi rigogliosi
di acqua e freschezza che cercano di rendere fertili e fiorite tutte
le terre aride del mondo. Allinterno della loro coscienza, convi-
vono sempre le tre essenze dellanima, quella divina, quella ange-
lica e quella umana e dal conseguente accordo o scontro fra que-
ste energie dipende gran parte del successo delle loro azioni di
rinnovamento. Questi individui hanno una chiara consapevolez-
za del concetto di Nulla e proprio per questo motivo riescono a
vivere gli impeti dellAmore al massimo grado o livello di tra-
sporto. Diciamo pure che nelleterno dilemma fra Amore e Nul-
la, gli illuminati, pur considerando il Nulla il presupposto neces-
sario di ogni intuizione, hanno puntato decisamente sullAmore,
perch Amore lunica meta che pu concedere unit e ugua-
glianza a tutte le diversit, molteplicit, sperequazioni.
Le nullit invece sono come i mattoni, tutti omologati e squa-
drati, dellimmensa diga eretta dai demoni per ostacolare la mis-
sione di verit e cambiamento degli angeli. Per lenorme mole di
questa categoria di uomini, che rappresentano da soli pi del no-
vanta per cento della popolazione umana, potremmo dividerli in
tre grandi sottogruppi: le pecore, le iene e i muli. Le pecore sono
uomini che pur nella loro atavica passivit, possiedono un po di
cuore e scarsa intelligenza: larchetipo di questa categoria il cre-
dente bigotto e fanatico di una qualsiasi religione o dottrina mo-
rale, filosofica; in genere, questi individui non sono cattivi, ma
come diceva bene qualcuno, non hanno curiosit, non sono in
grado di mettere in dubbio le certezze acquisite e spesso sacrifi-
cano tutte le enormi capacit del cervello in nome di una melli-
flua e infruttuosa bont. Le iene al contrario non avvertono nes-
suno anelito alla virt e per hanno imparato per esperienza a
sfruttare una piccola parte delle facolt mentali, che un misto di
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CAPITOLO 17
La Prima Era
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maestro, ricorderanno bene per tutta leternit, sia nel loro dub-
bio che nelle loro continue visioni, la figura incorruttibile di quel
genio imperituro di moralit e intelligenza.
Dopo la morte di Socrate, il testimone della conoscenza pass
idealmente ad uno dei suoi pi fedeli discepoli: Platone. Ripren-
dendo la lezione del maestro sullimportanza della dialettica, Pla-
tone ricuc quella frattura che si era creata fra il mondo sensibile
e quello intelligibile, con uno stratagemma che denota una fanta-
sia non tanto lontana dalla realt dei fatti: il mondo che vediamo
fuori di noi, con i nostri occhi, unimitazione imperfetta di un
mondo ideale, chiamato Iperuranio, dove ogni cosa perfetta e
non passibile di corruzione. Siccome la nostra anima immorta-
le e proviene da quel mondo, tutto ci che si agita in noi, nella
nostra coscienza un ricordo di quelle idee e visioni perfette: an-
che la nostra tensione verso il bene, la giustizia, lamore, la liber-
t dipende da questa diretta discendenza. Lo scopo degli uomini
quindi quello di avvicinare quanto pi possibile questo mondo
alla perfezione dellaltro mondo, che esiste sempre dentro di noi,
nella nostra immaginazione e lo stesso Platone si adoper attiva-
mente in politica affinch la situazione di convivenza sociale mi-
gliorasse: anche lui per, che rappresentava uneccezione, una
fiammella di luce in mezzo alle tenebre, dovette scontrarsi con la
scadente tempra morale della maggioranza dei suoi contempora-
nei. Nel Convivio poi, Platone teorizz per primo il concetto di
anime gemelle, utilizzando brillanti metafore e includendo nella
lista delle coppie naturali anche quelle omosessuali, sia maschili
che femminili. Un passo avanti niente male per un pensatore che
vissuto quattro secoli prima di Ges e per sua fortuna non
avrebbe mai conosciuto le aberranti privazioni e censure imposte
dalla dottrina religiosa al Nazareno indebitamente ispirata.
Dopo i voli pindarici condotti dai grandi filosofi greci per
giungere allessenza delle cose, era arrivato il momento di rimet-
tere i piedi per terra: il mondo conobbe Aristotele da Stagira,
uno degli uomini pi colti e dotti di tutti i tempi. Alla faccia del-
la becera tendenza dei miei contemporanei di rifugiarsi nella spe-
cializzazione per paura di confrontarsi con gli orizzonti sconfina-
ti della conoscenza, Aristotele voleva sapere tutto: nella sua vasta
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CAPITOLO 18
Ges
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CAPITOLO 19
La Seconda Era
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CAPITOLO 20
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ture, nei quadri. Nei canti sacri, negli inni, nelle poesie. Non c
opera di valore che non citi, anche solo di sfuggita, la fanciullez-
za quale simbolo di purezza, innocenza, perfezione. Pur essendo
linizio della vita, linfanzia diventa quasi sempre nellimmagina-
rio collettivo la meta a cui tendere; larcadia, la terra promessa.
Quando lartista poteva sbizzarrirsi liberamente disegnava ange-
li, putti, cherubini ovunque ci fosse spazio a sufficienza. Lo stes-
so Ges rappresentato spesso come un bambino, un Bambino
Celeste tenuto in braccio da sua madre, Maria, che una traspo-
sizione della terra generatrice. Malgrado la censura dei vecchi sa-
cerdoti, la verit riusciva ad entrare di soppiatto anche l, negli
stessi templi della menzogna.
Ma il caso Caravaggio emblematico anche per un altro moti-
vo. Questi uomini dotati di talento e illuminati da un genio so-
vrannaturale, erano molto spesso eccezionali quando si dedicava-
no alle loro passioni, ma nel momento in cui dovevano confron-
tarsi con il mondo, diventavano aggressivi, iracondi, scorbutici.
Non provavano compassione per i loro simili. Non nutrivano
sentimenti di solidariet, e quando potevano, si ritiravano nei lo-
ro rifugi ovattati, per tenersi pi possibile alla larga dal contatto
con gli altri. Malgrado tutti i meriti incommensurabili che biso-
gna riconoscere a questi straordinari individui, pochi di loro rag-
giunsero quello stato di beatitudine necessario per assicurarsi,
dopo la morte, lincontro con Dio e lingresso nel paradiso delle
anime. Quando poi, alcuni di loro ottenevano la fama e la ric-
chezza durante la vita, era quasi scontato che presto o tardi si sa-
rebbero lasciati trascinare alla deriva dai loro vizi, dallegoismo,
dalla superbia, dal risentimento allontanandosi tragicamente da-
gli scopi reali del loro talento. Quelle capacit che tanto abil-
mente avevano messo a frutto, dovevano servire a risvegliarli dal
sonno, ma molto spesso precipitavano queste fragili creature
dentro un nuovo incubo. Nella maggior parte dei casi, si trattava
di uomini a met; per met angelici e per met demoniaci; subli-
mi durante i loro momenti di meditazione artistica o scientifica,
ma tormentati, angosciati, avviliti e straziati dai loro sensi di col-
pa quando la creativit si spegneva e bisognava prendere le deci-
sioni davvero cruciali della vita.
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dello sapienza umana. Tanto che lui stesso ebbe a dire che un uo-
mo davvero saggio non deve interessarsi alle cose particolari ma
deve avere una visione completa di tutto, perch ogni conoscen-
za non mai indipendente, a se stante, ma interconnessa con le
altre. Bisognava quindi potenziare lintelletto affinch questulti-
mo cogliesse la molteplicit dei collegamenti e indicasse alla vo-
lont ci che era giusto scegliere. Il metodo di Cartesio era basa-
to sullapplicazione del dubbio costruttivo, che rappresentava
lorigine di ogni ricerca: il punto di partenza era mettere in dub-
bio tutto ci che arriva alla coscienza dai sensi. Persino la con-
creta esistenza del mondo esterno poteva essere unaccidentalit
illusoria magistralmente elaborata dai nostri sensi. Tuttavia se
possibile dubitare su ogni cosa, non possibile mettere in dis-
cussione la facolt stessa del dubitare ed da questa premessa
che prende spunto Cartesio per affermare il suo celebre assunto
Cogito ergo sum: penso dunque sono. Nel suo progressivo
cammino di disgregamento della realt, Cartesio si rese conto che
le uniche certezze scientifiche e filosofiche da cui non si poteva
prescindere erano due: la coscienza umana e lesistenza di Dio.
La divinit era il solo elemento che consentisse la chiusura di
ogni spinoso dilemma della logica. Come tutti i pi grandi pen-
satori, Cartesio diffidava dalle religioni, perch considerava i
membri di queste dottrine completamente disinteressati alla co-
noscenza della verit e pi orientati a seguire una serie di norme
e liturgie che allontanasse il loro intelletto dalla riflessione pro-
fonda intorno al senso ultimo delle cose. Ma nonostante le accu-
se di ateismo, Cartesio credeva in Dio. Un Dio superiore, assolu-
to, che non intende in alcun modo ingannare luomo. Lerrore
commesso dagli uomini era attribuibile soltanto ad una debolez-
za della volont, che per pigrizia, per paura, o per opportunismo,
spesso non assecondava i richiami provenienti dallintelletto.
Per ragioni per di carattere morale ed etico, Cartesio preferi-
va pensare ad un Dio che non intervenisse direttamente sugli
eventi del mondo. Perch se cos fosse stato, bisognava mettere
in dubbio la sua perfezione e infallibilit nella guida delle anime.
Il Dio di Cartesio era come un orologiaio che aveva creato e da-
to la carica ad un dispositivo perfetto, mettendosi poi in disparte
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CAPITOLO 21
LUltima Verit
Albeggiava.
Fievoli fasci di luce attraversavano i fori delle tapparelle, fen-
dendo laria tersa della stanza. Tutto intorno il manto gelido del-
la notte veniva dolcemente riscaldato dal primo tepore mattuti-
no. Ero solo.
Marco aveva reclinato la testa sulla spalla e dormiva gi da
qualche ora. Sara e Anna avevano resistito un po pi a lungo al-
la torrenziale inondazione del mio fiume in piena di immagini e
parole. Le due ragazze avevano cercato con strenua tenacia di se-
guire il corso burrascoso dei miei vaneggiamenti, ma poi sfinite
avevano ceduto anche loro, sprofondando pesantemente sui di-
vani. Mi alzai e trattenendo il respiro mi diressi verso limposta
socchiusa. Non volevo fare rumore. Non volevo svegliare nessu-
no. I miei amici potevano serenamente continuare a dormire. Ma
per me, trovare pace e riposo sarebbe stato impossibile. Stava ini-
ziando lalba di un nuovo giorno. Un giorno carico di strani pre-
sagi e nuove scottanti domande. Se il sonno della ragione crea
mostri, cosa mai avrebbe potuto nascere da quel traumatico ri-
sveglio da un sogno?
Avevo sognato. Per tutto quel tempo avevo sognato. Dio, la-
more, il ritorno di Marilena, la mia vendetta erano tutte parti,
sfaccettature di uno stesso sogno. Un sogno bello, esaltante, per
certi versi dolcissimo, per altri inquietante. Ma sempre e comun-
que unillusione. Una proiezione fantasiosa degli spasmi della
mia mente e delle contrazioni del mio cuore. La realt invece era
questa. La realt erano questi forellini nella plastica da cui passa-
va la luce. Il balcone in cemento armato, che in alcune punti era
crepato, e in altri liscio come se fosse stato da poco levigato. La
realt erano i vasi di gerani appesi alla ringhiera. La realt era il
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ogni volta che veniva svelata una nuova verit. Mi sentivo co-
stretto a ripetere fino alla noia, fino allo sfinimento, quella stessa
solfa per rendere convincente, o quantomeno verosimile, una
sfilza ininterrotta di assurdit. E con le dovute eccezioni, penso
che scrivere qualcosa in cui non si crede pi, quasi per necessit,
sia la disgrazia pi avvilente che possa capitare ad uno scrittore.
Non auguro neppure al peggiore dei miei nemici, un simile sup-
plizio.
Giorno dopo giorno, il tempo dedicato alle pause si allung
parimenti alla riduzione della mia pazienza. Mi indisponeva so-
prattutto lidea che per uscire dalla mia malattia io dovessi parla-
re ancora una volta di Dio, facendo indirettamente un favore a
quellEssere con cui io non avevo pi nulla da spartire. Ritengo
che in quel periodo il mio odio per Dio avesse raggiunto il cul-
mine. E paradossalmente, affinch il libro avesse una sua logica e
credibilit interna, io ero costretto a vezzeggiare nuovamente
Dio, ad adularlo, ad apprezzare con tanto di spiegazioni e descri-
zioni certosine la sua geniale capacit di condurre il mondo e il
destino degli uomini. Sciocchezze. Ogni volta che fra le pagine
compariva Dio, la prosa si illanguidiva, diventava melliflua, era
tutto tranne che spontanea, scoppiettante, inebriante. Persino il
pi distratto dei lettori si sarebbe accorto che la presunta e ricer-
cata verosimiglianza di quelle teorie non aveva fondamenta. Era
tutto falso. Posticcio. Artefatto.
Nellultimo capitolo avvenne il definitivo tracollo del progetto.
Durante il lungo monologo sullevoluzione pilotata della storia
umana mi persi fra i meandri delle mie reminescenze scolastiche.
Il brodo primordiale si allung miseramente. Il concentrato si an-
nacqu e la sintesi and a farsi benedire. Il libro divent pesante,
prolisso, illeggibile persino per me stesso, che ero lautore. No-
nostante mi fossi dato una proroga di un altro mese, sapevo bene
che stavo andando dritto verso un ennesimo fallimento. Quel ro-
manzo non solo non avrebbe raccolto consensi fra i lettori, ma
non sarebbe neppure stato utile alla mia guarigione. Ero un ma-
lato cronico, recidivo. Rileggendo bene alcuni passaggi, mi ac-
corsi che la mia malattia aveva un nome e unidentit precisa: de-
pressione. Quando parlavo di quel Dio che mi aveva cercato, mi
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mio Dio quello che si avvicina pi di tutti alla mia idea di As-
soluto, perch oltre ad essere continuamente presente in ogni co-
sa, agisce indistintamente nelle anime di tutti gli uomini, siano es-
si ebrei, cattolici, musulmani, norvegesi. il mio Dio, meglio di
qualunque altro, concede ad ognuno la possibilit di essere arte-
fice della propria vita e del proprio destino, e punisce, o meglio,
lascia che si puniscano da soli, tutti coloro che hanno preferito
delegare ad intermediari o faccendieri di sorta la ricerca di una
risposta. Se non fosse che gran parte delle mie teorie ruota intor-
no alla mia figura, al mio ruolo, vi assicuro che avrei pure la
sfrontatezza di crederci ancora di pi in questo Dio Bambino. E
invece, siccome il mio Dio concede alla volont di ognuno di noi,
compreso me, una cos ampia libert di scelta, io sar sempre fin
troppo fallace, difettoso, inadeguato per credere di essere una
sua diretta emanazione.
Ma il mio Dio non molla facilmente la presa. Quando trova
qualcuno sensibile alla volubilit del dubbio, comincia a sedurlo
e funestarlo, notte e giorno, finch non lo avr portato dalla sua
parte. Il mio Dio un po come me. caparbio. Non accetta
compromessi. Non ammette la mediocrit dei comportamenti. O
sei dentro o sei fuori. Fare poco per fare qualcosa e mettersi in
pace con la coscienza, non serve a nulla, perch, per il mio Dio e
per me, chi non ha dato tutto o il massimo in ogni istante della
sua vita, come se non avesse dato niente. Io sono riuscito ad in-
ventarmi un Dio che con ogni probabilit migliore di quello
realmente esistente: ho dato il massimo. Ho vinto la mia partita
con Dio, con lassenza di Dio, con me stesso. Nessuno pu pre-
tendere da me qualcosa di meglio. Ho dovuto crearmi un Dio
tutto mio, per capire che per essere buoni, virtuosi, per aspirare
alla rettitudine, alla perfezione, non abbiamo bisogno di alcun
Dio; nessun giudice; nessun censore. Tralasciando qualsiasi
aspetto morale o metafisico, chiunque si prefigga di fare del bene
disinteressato per il mondo, per la vita, per gli altri, si trova gi
nel giusto, in odore di santit, pu sentirsi al sicuro sotto legi-
da di qualunque divinit, reale o immaginaria che sia. Questi ido-
li e queste presunte verit che ronzano oggi attorno ai miei occhi,
senza scalfire neanche di striscio la mia anima, mi sembrano in-
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EPILOGO
Ho fatto un sogno.
Mentre passeggiavo da solo lungo gli scogli in riva al mare,
sentii un silenzio che non avevo mai sentito prima nella mia vita.
Un silenzio senza forma e senza colore che indistinguibile dal
frastuono di mille tamburi e cento cornamuse. Suoni di guerra si
stagliavano sul fondo del cielo, musiche e schiamazzi di antiche
battaglie si intrecciavano con le nuvole, agitandosi nellazzurro
come i bassorilievi animati di un mondo ormai scomparso; rico-
perto da spessi strati di muffa e di polvere; sepolto per secoli e
millenni sotto pesanti tumuli di silenzio tombale.
Il cielo si oscur. Quel fracasso era talmente intenso e profon-
do da spaccare i timpani e io mi fermai per guardare meglio il si-
lenzio; il mare sotto di me era diventato un foglio di alluminio
leggero, e riluceva di bagliori argentei e smeraldini, mentre la
roccia della costa si piegava e si contorceva in tante onde gibbo-
se, come se fosse di cartapesta. Laggi allorizzonte, in quello
spazio senza luogo, i colori del tramonto non smettevano di saet-
tare vorticosamente dal blu al viola, dallindaco al rosso, dal gial-
lo allarancione. Il vento non soffiava neppure un sibilo o un fi-
schio sulle orecchie. Il sole non scendeva pi oltre la linea che se-
para lacqua dal cielo e si ferm a met, scintillando al tramonto
come la gemma vermiglia di un gioiello prezioso. Una voce arri-
v alle mie spalle.
Ragazzo. Sei curioso?
Mi girai. In mezzo a quella bolgia infernale di urla strozzate e
muti lamenti, lanciai unocchiata furtiva dietro di me; ma non vi-
di nulla. Tranne il baluginio accecante di due occhi riversi nella
penombra come i fari di un porto senza approdi. Non capisco. E
lui ride. Comincio a sbuffare per non ammettere di essermi per-
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Quale verit?
Lunica verit. Non esistono verit allinfuori dellunica veri-
t. Luomo strizz locchio, ammiccando in attesa di una mia
reazione; che non arriv. Ero interdetto. Lui cap e approfitt del
mio stupore per continuare a declamare. Tu hai mai sentito
parlare di un delitto che stato commesso in due modi diversi
contemporaneamente?
No risposi senza neanche riflettere sul significato di quella
domanda.
Ecco. Appunto. La verit lunico crimine che uccide sol-
tanto chi non la capisce. Accidenti a me!
Le parole delluomo penetravano in quel silenzio spettrale co-
me lame nel burro, e ritornavano asciutte. Foglie secche di lavan-
da e gelsomino, bruciate al sole, inebriavano laria di anelanti
profumi. Fragranze sconosciute eccitavano le narici, un deliquio
di balsami e unguenti dal sapore antico. Attorno a noi echi di
ecatombi lontane si staccavano dal costone e rotolavano gi per
la rupe. Non riuscii a trattenere un sorriso di tenerezza. Ridevo
per le smorfie di stizza e raccapriccio ricamate ad arte sul volto
ansimante di quelluomo.
Non ridere di me! mi ammon lui.
Non rido di te ribattei io, mentendo con candore.
Ma tu chi sei?
Non hai ancora capito chi sono io?
No.
Io sono. Io sono. Io sono. La voce delluomo prima di-
sciolta e zuccherina si impost in un tono solenne. Un timbro
rauco e sordo come quello di un corvo gracchiante. Io sono il
vecchio marinaio disperso fra i cimbali di antiche ballate. Io sono
il pirata che chiama allarrembaggio la ciurma. Io sono il corsaro
che ha attraversato indenne le tempeste e le mareggiate del Sud.
Io sono lIperboreo che ha affrontato da solo le gelide tormente
di neve e il ghiaccio polare del Nord. Io sono il bucaniere che da
Oriente ha riportato spezie e aromi fino in Occidente. Io sono
lAngelo Vendicatore e tu sarai il mio messaggero. Io sono il sale
e tu sei la vita.
Scoppiettii, arsure, ustioni, scottature strisciavano a fil di pelle;
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INDICE
Preambolo 7
Prologo. Dio uno e ventuno 9
Antefatto. La Confessione 14
Capitolo 1. Terra 22
Capitolo 2. LAmore un uccello rapace 32
Capitolo 3. Il morso della Musa 42
Capitolo 4. Fuoco 54
Capitolo 5. Lincontro con Dio 65
Capitolo 6. Il Libro della Verit 75
Capitolo 7. Acqua 84
Capitolo 8. I Segni nel Tempo 95
Capitolo 9. Aria 108
Capitolo 10. Mosca Cieca 123
Capitolo 11. La Fine dellAlleanza 138
Capitolo 12. Amore e Nulla 153
Capitolo 13. Ventuno 162
Capitolo 14. Universo 171
Capitolo 15. Anima 180
Capitolo 16. Angeli e Demoni 191
Capitolo 17. La Prima Era 211
Capitolo 18. Ges 229
Capitolo 19. La Seconda Era 247
Capitolo 20. LUltima Era: LEra dei Tre Fiori 267
Capitolo 21. LUltima Verit 296
Epilogo 325
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Finito di stampare
nel mese di gennaio 2010
dalle Arti Grafiche Colombo
Muggi (MI)