Você está na página 1de 9

Seminario sull'Agamennone

Breve riassunto degli incontri trascorsi


(per chi vuole ripassare e per chi stato assente)

9 incontro, 29 Gennaio 2008

Il cosiddetto Inno a Zeus (160-183)


Siamo giunti a un punto cruciale della parodos e forse dell'intera tragedia, al
cosiddetto Inno a Zeus. La rievocazione della profezia di Calcante si conclusa
con l'allusione alla richiesta, da parte di Artemide, del sacrificio di Ifigenia; sono
state adombrate anche le tremende conseguenze che esso porter per la casa
degli Atridi. Il racconto riprender al v. 184 con la rievocazione del tragico
dilemma cui si trov di fronte Agamennone. Ma tra i due momenti della
rievocazione il coro inserisce una sua riflessione etico-religiosa che, in base al
suo contenuto pi che alla sua forma, ha preso il nome di Inno a Zeus. un
passo pervaso di autentico sentimento religioso nel quale Eschilo enuncia un
concetto che appare centrale nella sua concezione dei rapporti tra l'uomo e dio:
il , l'apprendimento tramite la sofferenza.

Traduzione e commento
160 Zeus: chiunque mai sia, se con questo nome a lui
caro esser chiamato,
con questo nome io lo invoco;
non posso rassomigliargli <niente>,
soppesando ogni cosa,
165 tranne che Zeus, se il vano peso della preoccupazione
bisogna gettare veramente.

N chi prima fu grande,


di pugnacissima baldanza fiorente,
170 neppur si dir che esistette;
e chi dopo nacque, se ne va
dopo aver incontrato un lottatore imbattibile;
ma chiunque saggiamente dice epinici a Zeus
175 in tutto trover il senno:
Zeus che mise i mortali sulla strada
della saggezza, che la comprensione tramite la sofferenza
ha stabilito che avesse autorit.
Stilla invece del sonno davanti al cuore
180 una pena memore del male; anche da
chi non vuole giunge il saggio pensare.
E dov' la benevolenza degli dei
che con violenza seggono sul nobile banco?

160 : secondo i critici il nominativo resta sospeso (nominativus pendens,


cos infatti si chiama il costrutto) in quanto il soggetto della frase principale
poi un altro. A mio avviso invece il nominativo non fa neppure parte del periodo
e resta isolato all'inizio, come una esclamazione (di qui la punteggiatura che ho
usato): il coro non si rivolge direttamente a Zeus (in tal caso userebbe il
vocativo), ma ne dice il nome; su questo nome ragiona decidendo di usarlo,
anche se non pu essere certo che sia quello giusto, con la fiducia che sia
perlomeno quello gradito al dio.
: in che senso il coro si pone questa domanda? possibile
che non sappia chi Zeus? Frnkel spiega questa apparente stranezza
ricordando l'arcaica credenza secondo la quale il fedele, nel momento in cui
supplicava un dio, cercava in sostanza di esercitare su di questo un potere, quasi
una coercizione, per indurlo a compiere ci che egli chiedeva: in questa
credenza magico-religiosa aveva un ruolo importante l'enunciazione del nome
stesso del dio, in quanto gi possedere il nome di chi si invoca significava in un
certo senso avere di costui un qualche possesso. Da ci, dice Frnkel, sarebbero
nati quegli elenchi, propri degli inni, di tutti i nomi ed epiteti di un dio. Ora,
questa formula usata dal coro in un certo senso riassume tutti i possibili nomi ed
epiteti di Zeus: quindi Eschilo si sarebbe innanzitutto avvalso di un modo
convenzionale di rivolgersi alla divinit, tipico degli inni. Ma dice Frnkel la
peculiarit del passo eschileo che in esso il coro non cerca affatto di indurre
Zeus a fare alcunch: dunque il significato di nuovo, ed
che l'onnipotenza di Zeus cos al di l della comprensione umana che l'uomo
non pu neppure sapere se questo, Zeus, veramente il nome pi corretto col
quale invocarlo.
: un costrutto proprio del greco, possibile anche in latino ed
estraneo all'italiano: lett. "se questo a lui caro quando stato chiamato".
: un pronome di terza persona di esclusivo uso poetico, proprio del
dialetto dorico. A scuola si studia la lingua della prosa attica, nella quale, cos si
dice, un vero e proprio pronome di terza persona non c' ed al suo posto si usa
. In poesia invece ci sono numerose forme di pronome di terza persona, a
volte isolate, a volte con declinazione completa.
: verbo aulico, esclusivamente poetico: la forma non
composta nel celebre incipit dell'Odissea , "dimmi
l'uomo, o Musa...".
: del verbo conosci gi i due significati di "ho" e di "sto" (con
avverbio): questo di "posso" un terzo, riconoscibile dalla presenza di un
infinito. In questo passo, peraltro, si percepisce ancora il valore originario del
costrutto: "non ho <niente> da rassomigliare", da cui "non posso rassomigliare".
: lo la bilancia, la il filo a piombo:
c' comunque l'idea di misurare e valutare qualsiasi altro nome per poi giungere
alla conclusione che no, eccetto Zeus stesso nulla pu essere rassomigliato a
Zeus. Il participio di tempo presente per esprimere la durata dello sforzo.
165 ... : un avverbio, "invano", che tra articolo e
nome assume valore attributivo, come di norma, ed equivale pertanto
all'aggettivo corrispondente , "vano". il peso. Ma che cosa
questo vano peso che grazie a Zeus l'uomo pu gettar via? La risposta
collegata all'interpretazione di . Due ipotesi:
1) in tmesi con (= ); = preoccupazione,
genitivo di specificazione di : "gettare via il vano peso della
preoccupazione".
Secondo Page si tratta del peso della preoccupazione, che detto "vano" in
quanto preoccuparsi non serve a nulla; il coro starebbe dicendo che, se ci si
vuole liberare dal peso della preoccupazione cagionato dalla rievocazione della
profezia di Calcante, non bisogna far altro che affidarsi a Zeus.
l'interpretazione pi facile: ma la tmesi di , in quella posizione, molto
ambigua.
2) regge , come determinazione attributiva di ;
= pensiero, riflessione: "gettare il vano peso della riflessione che viene dalla
mente".
Secondo Frnkel si tratta invece del peso della follia ( significa
anche "stolto, insensato"), poich follia quella riflessione () che pu
indurre l'uomo a credere che Zeus non sia l'onnipotente signore del cosmo: se
l'uomo si vuole veramente liberare da questo errore che gli grava sulle spalle e
gli impedisce di riconoscere la verit, direbbe il coro, non bisogna far altro che
affidarsi allo stesso Zeus. L'interpretazione di Frnkel a dire il vero sembra
cervellotica, perch il discorso si ripiega su se stesso: come a dire: "se non riesci
a credere in X, credi in X!" Linguisticamente per superiore a quella di Page,
perch in quella posizione, tra articolo e nome, sembra davvero
attributivo.
Secondo me ha ragione Page, ma per apprezzare l'immagine bisogna partire dal
fatto che quella del "peso vano" da "gettare" una metafora tratta dalla
marineria: il peso vano il peso inutile, la zavorra che si getta fuori dalla nave
in caso di tempesta nel tentativo di non affondare. Se davvero deve liberarsi del
peso inutile della preoccupazione, sappia l'uomo che l'unica cosa importante la
fede in Zeus: tutto il resto pu essere gettato.
: si tratta di Urano, il padre di Crono, detronizzato dal figlio.
un verbo usato in genere per indicare la crescita rigogliosa di una pianta: si
applica a Urano per sottolineare il carattere per cos dire ferino, selvaggio, di
una divinit primigenia ben diversa dal civile Zeus.
170 : a scuola hai studiato che nel futuro la diatesi media e quella
passiva hanno forme distinte, la prima derivata dal futuro attivo, la seconda
dall'aoristo passivo. In poesia invece... tutto possibile, e il futuro di forma
media sovente usato con valore passivo ( = ). Il participio
sembra predicativo; Frnkel lo intende invece come congiunto: "non sar
neppure nominato, lui che prima esisteva". In ogni caso, il coro non fa altro che
constatare quella che l'oggettiva assenza di Urano dalla religione e dal mito
greco: gli dei sono immortali, dunque Urano esiste ancora, ma da quando stato
detronizzato non riveste pi alcun ruolo.
: Crono, il padre di Zeus, anche lui detronizzato dal figlio, il quale in
questo modo si trova ad aver sancito la propria superiorit anche su Urano.
, aoristo terzo di , ha naturalmente valore intransitivo: ricorda che gli
dei greci sono immortali ma non esistono da sempre, nascono in un certo
momento: la loro eternit dunque diversa da quella del dio delle religioni
monoteiste.
: col genitivo qui ha il valore etimologico di
"imbattersi in" (per caso, ), mentre al v. 175 ha il significato, secondario, di
"cogliere" (per aver cercato). un vocabolo rarissimo che viene
spiegato come "lottatore che atterra l'avversario per tre volte" ( = 3), cio
in modo definitivo (oggi diremmo: che mette ko). Il risultato di questo infausto
incontro, per Crono, quello di , lett. "andarsene": il verbo greco
comunemente usato, come quello italiano, nel senso di "morire": Crono
ovviamente non muore ma anche lui, come Urano, esce di scena in modo
definitivo e non se ne parla pi.
... : col doppio accusativo, come altri verba
dicendi, nel senso di "dico qualcosa a qualcuno": il canto per la
vittoria, spesso per la vittoria sportiva; in Grecia era un vero e proprio genere
letterario molto diffuso (celebri gli epinici di Pindaro per gli atleti vittoriosi a
Olimpia e nelle altre gare panelleniche). Il verbo piace molto a Eschilo:
cfr. v. 49 (gli Atridi), 157 (Calcante).
: qui l'indefinito cos generalizzante da equivalere a , chiunque.
175 : sembra che l'espressione, un po' curiosa, derivi da
quella, pi comune, dell' o , l'uscir di senno:
partendo dal fatto che significa propriamente "sbaglio", nel senso di
"non colpisco il bersaglio", Eschilo ottiene l'immagine contraria col verbo
, che significa "colgo nel segno". Del resto anche noi italiani usiamo
l'espressione "uscir di senno" ma non abbiamo l'espressione contraria: se
dovessimo inventarla dovremmo ingegnarci come ha fatto Eschilo.
... : il verbo vale "instrado, metto sulla strada" ed solo
tragico; nelle altre occorrenze (occorrenza: passo in cui una data parola
compare) costruito pi semplicemente, con , "qualcuno verso
qualcosa"; qui c' il doppio accusativo. Nota come in questi versi i vocaboli
derivati dalla radice ribadiscano continuamente il concetto della
saggezza: , , , (181).
... : il participio aoristo da , "stabilisco" pu costruirsi qui
in due modi, praticamente equivalenti:
1) oggetto di ed infinito consecutivo: "che ha stabilito il
cos che fosse in vigore";
2) soggetto di : "che ha stabilito che il fosse in
vigore".
A noi sembra forse pi ovvia la seconda costruzione ma l'uso del verbo depone
nettamente per la prima, in quanto come verbum iubendi usato solo in
testi tardi.
: intransitivo con avverbio. Ho preferito "avere autorit"
a "essere in vigore" (Frnkel e Page, con buoni esempi dai testi giuridici) per
mantenere una corrispondenza con l'espressione con la quale il coro
aveva aperto la sezione strofica al v. 104.
: la celebre formula: dativo da , complemento
di mezzo; non la "saggezza", ma la "comprensione" che ne sta alla
base.
: la goccia: l'immagine quella di una goccia che cade
senza sosta tormentando la coscienza dell'uomo. Il poeta dice "invece del
sonno", limitando cos l'azione della goccia alla notte, forse perch l'uomo
durante il giorno pu riuscire a distrarsi, cio letteralmente a "tirarsi via"
dall'angoscia della coscienza: di notte invece, solo con se stesso, non ha modo
di sottrarsi.
: perch Eschilo dice che la goccia cade "davanti" al cuore?
Probabilmente l'immagine poetica nasce dalla concezione fisiologica secondo la
quale la sede delle emozioni non era il cuore ma il diaframma, le , detti
praecordia (prae, davanti; cor, cuore) dai romani.
180 : l'angoscia "memore della sofferenza" (), ma
di quale sofferenza? Secondo Page si tratta proprio del inflitto da Zeus
all'uomo: neppure di notte l'uomo pu dimenticarlo, e quindi alla fine costretto
a comprendere; secondo Frnkel si tratta della sofferenza inflitta agli altri
commettendo una colpa.
: , nolens, il contrario di , volens.
: aoristo gnomico, cio usato senza valore di passato in espressioni
proverbiali ( = sentenza, proverbio).
...: qui il testo di West differisce da quello di Frnkel e di Page
per una minuzia, che tuttavia, come spesso avviene, pu modificare totalmente
il senso del passo (ricordi la questione del nell'epodo?): l'accento
circonflesso su . Senza quell'accento la parola un avverbio indefinito di
luogo (, alicubi, "in qualche luogo") che assume, come fa spesso, un senso
modale ("in qualche modo"): "in qualche modo c' da parte degli dei una
benevolenza", nel senso che Zeus, nonostante la sua inflessibilit, offre
comunque agli uomini il raggiungimento del ; e questa in fondo una
, una gratia. Con l'accento, invece, la parola diviene un avverbio
interrogativo di luogo (, ubi, "dove?") e l'intera frase assume un tono
interrogativo (punto interrogativo dopo ). Ho tradotto seguendo il testo
di West, ma per sapere di pi sulla sua interpretazione necessario reperire
l'articolo che egli cita in apparato a sostegno di ; vedremo.
... : il participio di , "sto seduto", congiunto a
e regge l'accusativo , il ponte, il banco di una nave (una
sezione di tavolato del ponte, o un banco dei rematori). Il banco "nobile",
, potrebbe essere quello del timoniere, che stava pi in alto dei rematori
e governava la nave con le lunghe pertiche dei remi (). Dunque gli dei
governano la vita dell'uomo come un timoniere governa la nave, e lo fanno
, con violenza: di qui l'assenza di una .
Interpretazione complessiva dell'Inno
Vi riporto adesso due differenti interpretazioni d'insieme di questo Inno a Zeus.
Frnkel fra coloro che vedono nel passo un significato profondo e lo
considerano un caposaldo del pensiero eschileo:
"Dopo l'epodo della triade c' una decisa frattura. Al posto dei rullanti giambo-
dattili sentiamo dei trochei. Il racconto, con quei suoi lussureggianti dettagli,
esposto in una lingua tanto artificiale quanto criptica, seguito da un inno
conciso, di grande chiarezza e di semplice ma potente struttura. La cosa pi
sorprendente che il resoconto di quanto accadde in Aulide dieci anni prima
interrotto all'improvviso prima che raggiunga il suo culmine.
C' dunque una interruzione: ma non c' alcuna disposizione malaccorta, alcuna
esitazione nello svolgimento del pensiero n qui n altrove, in questo grande
coro. Difatti quando, dopo la conclusione dell'Inno a Zeus, il racconto viene
ripreso, le parole di collegamento ("e allora") chiariscono che quanto
accadde ad Agamennone un esempio, un che illustra il potere
sovrano di Zeus sugli uomini e la maniera in cui il dio guida attraverso la
sofferenza fino alla saggezza. Ma la connessione del pensiero si rivela solo
gradualmente, a mano a mano che il canto procede. Quando le prime note
dell'Inno colpiscono l'orecchio del pubblico, esse sembrano presentarsi come
un'interruzione piuttosto che come una continuazione.
L'effetto di questa apparente asprezza forte. Nell'ultima frase del discorso di
Calcante c'era una chiara allusione alla richiesta da parte di Artemide del
sacrificio di Ifigenia. Quindi il resoconto degli eventi di Aulide era stato portato
fino alla soglia del dilemma insolubile che Agamennone avrebbe dovuto
affrontare. Un punto di totale ("mancanza di soluzioni") era stato
raggiunto. In questo momento il canto lascia la storia, almeno per il momento, e
si rivolge a colui solo che, in un tale frangente di crisi, capace di sollevare la
mente dell'uomo dal peso di una vana speculazione: Zeus. La lode di Zeus
comincia in una maniera che ricorda le solenni formule degli inni e delle
preghiere, ma qui non c' in effetti una preghiera: il coro non si rivolge a Zeus,
ma ne parla in terza persona. In altre tragedie, per esempio nelle Supplici, nei
Sette contro Tebe, nell'Edipo Re, lo sfondo della parodo la presenza di una
calamit di cui il coro soffre; dunque naturale per esso pregare gli dei e
implorare il loro aiuto. La lunga sezione lirica dell'Agamennone, eccettuata
l'ultima strofe, invece tutta incentrata su eventi avvenuti dieci anni prima. Il
vivido ricordo della terribile scelta che il re dovette affrontare provoca nella
mente del coro un acuto sentimento di sgomento e di impotenza; per questo il
suo pensiero si rivolge verso l'onnipotente Signore. Dal momento che l'impulso
di rivolgersi a Zeus non nasce da alcuna emergenza presente, non c' niente per
cui debba pregare. Invece di chiedere aiuto, il coro glorifica Zeus, cerca di
penetrare la sua natura e di descrivere il modo in cui egli opera. Pertanto
l'inconsueta natura di questo inno radicata nelle peculiari condizioni della
parodo.
Allo stesso tempo, il poeta trova l'opportunit di andare al di l del significato
consueto di una preghiera. Le preghiere sono giustificate in molte occasioni, ed
Eschilo l'ultimo che ne possa sminuire il valore. Tuttavia quando, allo stadio
pi maturo raggiunto dalla sua speculazione, egli cerca in uno sforzo sublime di
svelare la ragione pi profonda del destino di sofferenza dell'uomo, qualsiasi
forma di supplica e di implorazione sarebbe inadeguata. Zeus ha stabilito la sua
eterna legge, ci ha mostrato la via per la conoscenza, per la prudenza e per la
saggezza. Solo questo importa: che noi impariamo la dura lezione che egli vuole
impartirci: . Se falliamo in questo, non ci sono sacrifici, non ci
sono preghiere che possano esserci d'aiuto (cfr. 68): dovremo pagare l'intero fio
della nostra trasgressione. Non la felicit, e neppure il perdono, che il potente
dio che comanda con la forza elargisce ai mortali: alla fine del duro cammino
non c' che il .
Nella prima strofe dell'Inno i verbi ed hanno come soggetto il
coro degli Argivi, naturalmente. Ma non c' dubbio che in quell' "io" ci sia
molto di pi: il coro parla anche a nome dei cittadini di Atene, ai quali
appartiene, e soprattutto a nome del poeta. Sarebbe sbagliato ritenere che l'Inno
non formi parte integrante del racconto che lo circonda: ma vero che la lode di
Zeus vuole avere una validit che supera i limiti di qualsiasi situazione
determinata. L'estensione del suo significato confermato dal carattere brusco
dell'inizio (v. 160): dopo di esso, non ci aspettiamo che il canto prosegua sulla
medesima linea che fin l ha seguito.
L'Inno a Zeus una pietra angolare non solo della tragedia, ma dell'intera
trilogia.

Ecco invece l'interpretazione minimalista di Page, che nega al


qualsiasi spessore religioso e tantomeno filosofico:
"Che cosa significa precisamente la dottrina del ? Non
semplicemente quella sapienza mondana che dice experientia docet, l'esperienza
insegna? Questo , infatti, ci che significa in Erodoto l'espressione
, le sofferenze sono insegnamenti: qui in Eschilo, sarebbe diverso?
Eschilo ci dice che le Giustizia non opera dell'uomo: una regola della vita
sulla terra imposta da Zeus. Se infrangiamo la sua legge, egli ci insegner a
correggerci infliggendoci una punizione; impareremo forzatamente a non
ignorare l'origine divina e la santit delle regole di condotta che governano la
societ civilizzata. In effetti, il e il ("chi
compie, deve subire") sono due massime difficilmente distinguibili: entrambe
implicano che il crimine sar seguito dalla punizione, che la dura disciplina di
Zeus ci corregger. Forse, allora, Eschilo non intende nient'altro che questo, una
dottrina familiare al pubblico ateniese fin dai tempi di Solone, se non da prima.
O possibile che egli intenda qualcosa di pi elevato? Per esempio, che le
sofferenze sulla terra sono imposte dagli dei allo scopo di perfezionare e di
purificare l'umanit? Che la vita un cammino attraverso le sofferenze verso la
perfezione? Che il progresso morale e spirituale forgiato in una fornace di
sofferenze? Che la punizione inflitta da Zeus non per esercitare la vendetta di
una giustizia astratta, ma per istruire e migliorare il colpevole? Ma sarebbe
difficile trovare nelle tragedie di Eschilo una prova evidente di qualsiasi dottrina
del genere: ed completamente impossibile, come vedremo, applicarle al caso
di Agamennone.
Le sofferenze di Agamennone sono, in effetti, abbastanza chiare. Zeus gli ha
comandato di andare a Troia, Artemide ha chiesto la morte di sua figlia; l'azione
che egli deve compiere delle pi orribili; ed egli destinato ad essere ucciso
da sua moglie. La sua comprensione, d'altra parte, ci che egli impara da tutto
ci, ben difficile da vedere. Nessuno certamente suppone che egli sia stato in
alcun modo moralmente migliorato dall'assassinio della figlia indotto dagli dei;
oppure che, anche se egli fosse uscito dall'esperienza della guerra come un
uomo pi saggio e migliore, il suo destino ultimo sarebbe stato differente. Ed e
poi del tutto ovvio che la sua sofferenza finale, la sua propria morte, non gli pu
avere insegnato nulla. Si potrebbe dire che, naturalmente, ci sono altri uomini
che possono imparare dall'esempio della sua sorte: questo sarebbe il modo in
cui Zeus pone l'umanit in generale sulla strada della comprensione; solo il
colpevole stesso sarebbe escluso dal novero di chi apprende. Tuttavia questa
spiegazione che secondo Eschilo, cio, il resto dell'umanit osservando il fato
del colpevole si emendi chiaramente insoddisfacente, perch i versi 179 e
seguenti suggeriscono con evidenza che il colpevole stesso che deve
apprendere attraverso la sofferenza. Concludendo dunque, almeno nel caso di
Agamennone non c' alcun dubbio che il non significhi nulla di
pi che il : egli imparer solo questo, che l'uomo non pu
sfuggire alla punizione imposta da Zeus; ci che si fa, si deve pagare.

Você também pode gostar