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45 feb-mar 2007
di Domenico Lipari***
D. Lipari - E noto a noi tutti come la traiettoria intellettuale di Etienne Wenger, muovendo
dallo studio e dalla descrizione dei fenomeni dellapprendimento situato che hanno dato
luogo al costrutto comunit di pratica (e poi pi in generale ad una teoria sociale
dellapprendimento) lo abbia condotto recentemente ad assumere la prospettiva
dellintervento finalizzato a sviluppare, nelle organizzazioni, delle comunit di pratica. Si
tratta di quella modalit di intervento non direttivo per la quale Wenger utilizza la metafora
della coltivazione. Vorrei chiedere ad Etienne se pu riprendere e spiegare il percorso di
apprendimento che lo ha portato dalla riflessione, alla sperimentazione e infine alla
proposta di una prospettiva di intervento.
E. Wenger E una traiettoria che ha sorpreso anche me, non niente di organizzato,
programmato. Questa traiettoria ha avuto listruzione come obiettivo principale; quando J.
Lave ed io abbiamo iniziato a lavorare al primo libro, lavoravamo in un istituto che si
chiamava Istituto per la ricerca sullApprendimento, e lo scopo che si prefiggeva questo
istituto era fare ricerca sullapprendimento per aiutare e assistere i processi di istruzione,
scindere lo studio dellapprendimento dallo studio dellinsegnamento per vedere se questo
ci avrebbe dato nuovi spunti, nuovo materiale su cui riflettere riguardo allistruzione .
successo che quando stavamo formulando e definendo le teorie, sono state le comunit
manageriali, le aziende, che di queste teorie si appropriata e ha deciso di tradurle in
pratica. Adesso le cose stanno cambiando nuovamente, nel settore dellistruzione e
delleducazione si manifesta oggi un interesse verso questo nuovo approccio oggi, ma un
tempo non erano pronti per questo. Il che comprensibile, perch se vi occupate di
istruzione, educazione e cambiate la teoria dellapprendimento voi cambiate il vostro core-
business, la parte centrale del vostro lavoro.
Mentre se voi producete macchine e cambiate la teoria sullapprendimento questo non
modifica il fatto che produciate macchine. E penso che ci fosse questo bisogno
abbastanza impellente da parte delle organizzazioni di trovare nuovi modi di organizzare
le conoscenze, i saperi, con la disponibilit ad investire risorse in questo. Ci avvenuto
*
Etienne Wenger un libero ricercatore e consulente. E stato un pioniere della ricerca sulle comunit di
pratica e sul tema ora un autore di riferimento a livello mondiale. E coautore, insieme a Jean Lave, del
libro Lapprendimento situato (tr. it. Erickson, Milano, 2006) in cui stato usato per la prima volta il termine di
comunit di pratica. Successivamente ha scritto Comunit di pratica. Apprendimento, significato e identit
(tr. it. Cortina, Milano, 2006), un testo fondamentale per la teoria della comunit di pratica. Il suo lavoro pi
recente (al quale hanno collaborato R. McDermott e W. Snyder) Coltivare comunit di pratica (tr. it. Guerini
e Associati, Milano 2007), un contributo essenzialmente metodologico. Il suo lavoro infatti non di natura
esclusivamente teorica: come consulente, E. Wenger aiuta le organizzazioni a coltivare comunit di pratica e
sviluppare sistemi di conoscenza in modo da potenziare la sinergia tra apprendimento e comunit.
*
* La conversazione tra Etienne Wenger e Domenico Lipari si svolta nellambito di un seminario presso il
Formez di Roma il 3 ottobre 2005
**
* Domenico Lipari docente e ricercatore senior presso il Formez di Roma; docente della Facolt di
Sociologia dellUniversit di Roma La Sapienza e Direttore scientifico di Formazione e Cambiamento .
tra la met e la fine degli anni Novanta, lidea era passare da un approccio incentrato sulla
tecnologia ad uno che era incentrato sullaspetto umano.
Ma la gente mi fa questa domanda:- La comunit di pratica un qualcosa di concreto, che
esiste o semplicemente una prospettiva analitica? In realt penso che risponda a
entrambe le definizioni perch per certi versi una prospettiva analitica, un modo di
guardare al mondo, ma al tempo stesso qualcosa con cui la gente si identifica perch gli
appare familiare rispetto alla loro esperienze e che quindi passibile di una qualche forma
di intervento, perch non solo una prospettiva analitica.
Visto che una commistione tra una prospettiva analitica e un modo di affrontare la realt
esterna, in unottica pratica la cosa principale da chiedersi pi se questa prospettiva si
debba applicare o meno ad un gruppo, piuttosto che il discutere allinfinito se quel gruppo
effettivamente o non una comunit di pratica. Con questo concetto di comunit di
pratica c associato uno strumento evolutivo. Il punto centrale stabilire se si voglia
applicare o meno questa prospettiva che ha un potenziale evolutivo ad un gruppo, che poi
questo gruppo si chiami team, task force, business unit non importante. Il che non
significa dire che un team, una task force siano una comunit di pratica, spesso non lo
sono, ma vi dovete chiedere: volete che lo diventino? Mettiamo che c un team, unequipe
che si concentra su un compito, cosa ben diversa una comunit di pratica che si
concentra su un campo tematico ovvero su un settore di conoscenze. In una squadra il
rapporto tra i singoli componenti si pu tradurre nei termini seguenti: ciascuno dice allaltro
tu farai la parte che ti stata assegnata nellambito di questo team. Nella comunit di
pratica ci che ognuno si chiede : posso imparare qualcosa dallinterazione con gli altri?
Sono strutture, assetti sociali completamente diverse ma alcuni team col passare del
tempo possono diventare comunit di pratiche e quindi occuparsi della possibilit di
apprendimento gli uni dagli altri, non semplicemente limitarsi ad assolvere un compito.
Mentre altre si esauriscono con lespletamento di un compito.
C stato sicuramente unevoluzione da una prospettiva prettamente analitica ad una pi
interventista, pi orientata allaspetto pratico. Penso che questa evoluzione sia preziosa,
che non che si debba inventare un intervento. Quindi dovete fronteggiare dei processi
che gi esistono a monte, quindi io non so mai se agisco da consulente o da ricercatore,
perch in un certo senso bisogna fare entrambe le cose. difficile capire le cose a meno
che non ci sia una partecipazione diretta. difficile intervenire in un modo che sia
significativo, utile a meno che non abbiamo una visione pi ampia del contesto su cui
volete effettuare i vostri interventi.
Ma a livello personale c se vogliamo una qualche conflittualit in una posizione del
genere, perch se sei consulente devi stare al programma degli altri, mentre come
ricercatore dovreste avere un vostro programma. Per concludere penso che nei prossimi
anni della mia esistenza vorrei forse avere modo di fare un po pi di ricerca.
D. Lipari - Nel tuo ultimo libro Coltivare comunit di pratica (Guerini e Associati, Milano,
2007) descrivi il ruolo del consulente che interviene sulle comunit come il ruolo di
qualcuno che coltiva unentit dotata di vita autonoma. Ora questentit, tradotta nel
nostro linguaggio la comunit di pratica, la quale dovrebbe sviluppare apprendimento
individuale e organizzativo attraverso dinamiche proprie in cui ha un peso decisivo la
vitalit. Vorrei chiederti quando e a quali condizioni una comunit pu dirsi vitale,
rigogliosa (per rimanere nella metafora della coltivazione) e viceversa quando e in quali
condizioni inizia a dare segni di inaridimento?
E. Wenger- E unottima domanda; quindi chieder a tutti voi di contribuire sulla base
della vostra esperienza. Abbiamo tutti avuto esperienza di comunit che erano rigogliose
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e piene di vita, cos come abbiamo avuto esperienza di altre che erano in fase di declino
oppure non avevano niente di vitale. Erano praticamente morte. Nelle comunit che sono
vitali c una tensione che si crea, c una costante irrequietezza ,c unapertura a quelle
che sono le linee di confine e c sempre un tentativo di fare i conti con quelle che sono la
competenza e la pratica della comunit.
Venerd scorso stavo descrivendo nellambito della teoria dellapprendimento la definizione
di apprendimento in unottica sociale e lho data in questi termini: una tensione tra la
competenza cos come definita dalla comunit e lesperienza di quelle persone che si
rapportano a quella comunit.
Quindi se voi siete un membro a pieno titolo di una comunit, la vostra esperienza
rispecchia la competenza della comunit. Vi porto lesempio di un mio amico che
descriveva un bicchiere di vino e lo descriveva in termini eccezionali, descriveva qualcosa
di cui io non ho percezione diretta, che non esiste per me, diceva che questo bicchiere di
vino era viola allolfatto. Quindi la sua esperienza di questo bicchiere di vino rispecchiava
la competenza della comunit, che non era la mia, quindi per avere quella competenza
dovevo consumare molto vino con i partecipanti della comunit e discutere delle
caratteristiche del vino fin tanto da poter dire che il vino era viola allolfatto. Quindi
lapprendimento quella tensione che si crea tra la competenza di cui portatrice la
comunit e la mia esperienza. Quindi in questa tensione a volte lesperienza che
cambia, a volte la competenza che cambia. Anche per voi, voi partecipate a riunioni di
questo tipo e vi fate delle idee nuove dellapprendimento,nuove esperienze, nuove
possibilit, poi tornate presso la vostra comunit e cercherete di influenzarla per
immettere nella comunit lesperienza che avete fatto voi.
E questo non sar semplice, ci saranno dubbi, alcuni saranno scettici,altri non saranno
disponibili, ma col tempo se ce la fate finirete col cambiare la pratica della comunit e
anche quello che definisce la competenza della comunit. Fino a che la competenza della
comunit non inglobi la vostra esperienza. Una comunit morta una comunit in cui non
ci sono pi queste tensioni, le cui linee di confine sono chiuse, tanto i confini nei confronti
degli altri quanto i confini verso nuove esperienze. Quindi una situazione in cui si
riproduce allinfinito la stessa esperienza. Quindi c un blocco tanto dellesperienza
quanto della competenza. E ci sono molti casi e molte modalit in cui questo si pu
verificare:pu succedere quando la comunit pecca di arroganza e pensa che nessuno in
nessuna parte del mondo possa contribuire in niente alla comunit; anche quando c
atteggiamento di chiusura della comunit che non interagisce con persone nuove che
possono immettere una visione nuova delle cose. Quindi importante che uno si renda
conto che alla fine pu diventare anche controproducente. Non c niente che di per s
buono nella comunit in quanto tale, cio la comunit valida quando da luogo a questo
tipo di tensioni tra le varie esperienze, quindi una delle cosche pu dare il colpo di grazia
alla comunit un eccesso di comunit, non una malattia che viene dallesterno e la
modifica, ma una chiusura eccessiva della comunit che ripiegata su se stessa. E
questa una cosa che si percepisce quando fate parte di una comunit, vi rendete conto
quando diventa un modo di non imparare, una qualcosa che vi porta a ripiegarvi, a
chiudervi, rispetto invece ad essere uno stimolo ad esplorare e a creare queste tensioni di
cui parlavo prima tra quello che sappiamo e quello che c di nuovo, di diverso.
bene non equiparare la comunit allomogeneit, lessere omogeneo non la
precondizione per creare una comunit n il frutto di aver fatto parte di una comunit
sana, vitale, perch la comunit vitale comporta una costante ricontrattazione delle
diversit che la compongono. Qual la vostra esperienza di comunit che sono vive
rispetto a quelle che non lo sono, che sono morte? Quante delle vostre sono vive e quante
sono morte? un interrogativo importante perch da un punto di vista analitico cercare di
capire cosa rende vitale una comunit anche dal punto di vista dellintervento pratico,
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cercare di enucleare delle azioni che si possono intraprendere per sostenere la vitalit
della comunit, entrambi sono importanti. Quindi avete a che fare con delle comunit che
sono morte?
Poi le comunit non detto che debbano essere eterne, non che a tutti i costi dobbiamo
evitare che muoia una comunit di pratica c un ciclo di vita naturale(Lipari)- per
lossificazione, la paralisi peggio ancora che non la morte.
Coi sono degli esempi che volete condividere?
Ve lo do io un esempio di comunit in stato pre-agonico, che si ricollega a quello che
abbiamo detto stamane. Si trattava di una comunit dove la maggior parte delle attivit
erano mirate a organizzare dei colloqui, quindi chiedevano a qualcuno di venire a parlare e
facevano queste riunioni con i panini ascoltando questa persona che parlava, quindi
chiaro che da questa comunit defluiva tutta lenergia che cera prima, perch non cera
una costante rinegoziazione reciproca della propria esperienza tra i membri. Ma ci sono
altri motivi che possono spiegare come mai si assiste alla morte della comunit. Per
esempio cera unorganizzazione in cui le comunit erano diventate la sede deputata per
far avviare delle iniziative quando mancavano i fondi: ogni volta che mancavano i fondi le
cose venivano scaricate sulla comunit. Anche questo significa privare di qualsiasi energia
la comunit. Perch ogni volta che le persone si rivolgevano alla comunit significava per i
componenti ritrovarsi con due o tre ore di lavoro extra che non avevano preventivato.
Questo semplicemente per illustrarvi altri motivi che portano la comunit a morire. In
questo caso era un morbo che proveniva dallesterno. un tema complesso comunque
perch nella realt non vivono mai isolate dal resto del mondo, sono sempre da collocarsi
allinterno di un contesto e il modo in cui vive la comunit rispecchia ilo contesto che la
circonda. Ma non in modo deterministico, parlavamo prima del cambiamento no? Uno dei
motivi per cui molte delle nostre speranze di cambiamento risiedono proprio nelle
comunit che le comunit che sono vive riescono generare una loro cultura, possono
veramente generare una loro pratica e questo in senso non solo deterministico come
riflesso della realt circostante.
E. Wenger - Si, si sono molti elementi che possono creare queste tensioni, ma per
esempio la fiducia pu essere un contesto nel quale tu puoi rinegoziare le differenze, per
anche un eccesso di fiducia pu creare la situazione in cui io non ti disturbo tu non
disturbare me, io non ti pongo un problema tu non ne porre una a me. E vedete che si
tratta di sfumature qui, anche la fiducia non un bene in assoluto anche la fiducia
comporta i suoi limiti. Quello che sto cercando di dirvi che una comunit che viva
quasi essere costretti a vivere in un paradosso costantemente, una misura sufficiente di
fiducia va bene per condividere in modo aperto ma non in modo eccessivo.ci vogliamo
bene
D. Lipari - A questo punto credo che valga la pena approfondire uno dei due termini del
costrutto comunit di pratica. Vorrei fermarmi un po sul concetto di comunit, perch a me
pare che, tra laltro, uno dei motivi di successo, della nozione di comunit di pratica sia
legato al bisogno di comunit (di cui parla per esempio Baumann), in unepoca di
frammentazione, di chiusura individualistica, di isolamento Una prospettiva del genere
enfatizzerebbe una interpretazione idealizzata, romantica della comunit; una prospettiva
molto attraente perch evoca consonanza, armonia, protezione, sicurezza, ma che porta
con s una visione illusoria in base alla quale la comunit sarebbe una sosta di riparo
dalla realt ruvida della vita organizzativa (che nellesperienza di tutti, come noto,
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intrisa di contrasti, di tensioni, di conflitti). Ora vorrei chiederti: possiamo tematizzare
anche attraverso il ricorso a dei casi empirici una visione meno edulcorata, pi realistica
della comunit, essendo le dinamiche relazioni caratterizzate da negoziazioni, da scambi,
pi o meno impliciti, il pi delle volte clandestini, di fatto configurano microsistemi fondati
anche sul gioco del potere? Poi, la stessa dimensione del potere, inteso come capacit di
azione degli attori, quale influenza ha nellimpedire o nel favorire lo sviluppo di comunit?
Inoltre, dal punto di vista del coltivatore di comunit di pratica, quando una comunit
giunge ad un livello di conflitto al punto che si prefigura una scissione del gruppo, bisogna
spostare una di queste comunit in un altro contesto o bisogna cercare di mantenere
tutto dentro una sola comunit cercando di moderare i conflitti?
E. Wenger Prima questione. Se penso ai casi che ho visto io questa visione molto
edulcorata una visione che poi alla fine trovo raramente nei casi empirici. Non conosco
comunit di pratica dove questa visione edulcorata trovi una pratica attuazione, dove tutto
dolce, tutto bello.
Ci sono sempre delle tensioni, c sempre una differenza di opinioni tra i partecipanti,
alcuni contribuiscono di pi altri meno. Allora quelli che non contribuiscono ci si domanda
dovrebbero continuare a far parte della comunit, ci si interroga se la comunit dovrebbe
essere aperta o chiusa, i manager dovrebbero poter avere accesso ai colloqui allinterno
della comunit? Dovremmo invitare i manager a partecipare alle discussioni in seno alle
comunit? Dovremmo chiudere loro le porte? So di comunit che hanno completamente
precluso laccesso ai manager, non li volgiamo, porte chiuse! Perch questo finiva col
deformare la discussione. E mi ricordo ne ho perlato con un dirigente donna che era molto
dispiaciuta di essere stata esclusa, capiva che non poteva far parte della comunit,
sapeva che il suo ruolo era semmai di essere uno sponsor della comunit. Quindi non si
trattava di essere distinta e separata dalla comunit, per per il solo fatto che ricopriva un
incarico dirigenziale lei si resa conto che sarebbe stata solo uno sponsor e quindi
avrebbe avuto una partecipazione solo marginale alla comunit. E per questa persona
essere al servizio della comunit significava prendere le distanze . Lei aveva questo ideale
di unorganizzazione appiattita, dove siamo tutti uguali e invece si dovuta rendere conto
che anche allinterno di unorganizzazione cosiddetta appiattita il fatto che lei ricoprisse un
ruolo di management cambiava completamente il rapporto. Ma anche tra gli operatori non
che ci sono sempre convivenze pacifiche,le opinioni possono divergere e di parecchio, e
anche l, una comunit valida una comunit in cui le opinioni divergono in tensione tra di
loro, in cui abbiamo la negoziazione tra queste diverse prospettive che il motore che
spinge in avanti la comunit.
Ricordo un ingegnere alla Crhysler che mi ha raccontato di liti furibonde allinterno delle
riunioni perch tra le altre cose la comunit si occupava di redigere dei brevi capitoli di una
parte di conoscenze su diversi argomenti e cerano dei disaccordi, non che tutti erano
daccordo su cosa scrivere; il fatto che poi in realt queste opinioni sarebbero state
consacrate proprio per iscritto allinterno della una base di conoscenza rendeva tanto pi
esacerbati questi contrasti. La posta in gioco era ovviamente molto pi alta per coloro che
partecipavano a questo lavoro. Per questingegnere mi diceva che era importante che
tutto ci ricadesse allinterno di una comunit in corso, perch una comunit che vive, va
avanti, non un gruppo di lavoro con un inizio e una fine.
Alcune le perdi altre le vinci, quindi anche se tu perdi e devi cedere te per quella volta c
un futuro in cui le cose possono essere poi rinegoziate. Perch appunto non so devi
affrontare un altro argomento e a questo punto puoi farti valere. Comunque la parola
comunit ha ragione pericolosa come termine, tuttavia direi che la maggior parte delle
comunit che ho visto che riescono a funzionare davvero bene mi hanno dato
limpressione di non seguire delle modalit di funzionamento classico, tradizionale. Quindi
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era un po una sede protetta, cera un po questo senso di essere appartati rispetto alla
follia che caratterizza la vita lavorativa quotidiana, era un luogo dove era consentito lo
spazio di riflessione per esempio, non che ci significhi pace per inteso per un certo
realismo, non tanti giochi politici per esempio. Le comunit che vanno per la tangente
dietro ai giochi politici tendono a perdere energie, a scaricarsi. Quindi il termine comunit
ha un suo valore e si ricollega al concetto di fiducia, perch c un po il senso della qualit
del recipiente che noi dobbiamo costruire. Sempre che non si dia per scontato, che la
comunit non significa assenza di potere, che non significa assenza di conflitto,che non
significa omogeneit. Quindi io forse intendo dire per comunit un ricettacolo, un
contenitore per lapprendimento e non come una forma ideale di rapporti umani.
Seconda questione. pensiamo a pratica, campo tematico e comunit come tre elementi
distinti. Quando c un conflitto sul campo tematico allora si la soluzione pu essere la
divisione, la scissione, perch manca lidentit per sostenere questo conflitto. Se c un
conflitto a livello di comunit, tipo due persone non vanno proprio daccordo e sono
entrambi degli operatori importanti allinterno della comunit, (non prendete per oro colato
quello che dico quello che ho sempre creduto stato sempre almeno una volta smentito)
io in quanto coltivatore della comunit cercherei di togliere questo conflitto dallarea
pubblica della comunit. E cerco di affrontarlo separatamente, perch c una cosa che
manca alle comunit : il tempo. C una scarsezza di tempo sempre che affligge le
comunit e se noi il tempo lo consumiamo per risolvere i conflitti tra delle persone questo
significa poter anche uccidere la comunit. Se il conflitto a livello di comunit cerchiamo
di allontanarlo dallo spazio della comunit, di tirarlo fuori e farlo passare in uno spazio
diverso, quello interpersonale. Quindi c una distinzione tra quello che lo spazio della
comunit e quello che lo spazio interpersonale, entrambi coesistono nella comunit ma
importante tener presente la distinzione, perch il coltivatore di comunit lavorer
soprattutto a livello dello spazio interpersonale.
Se il conflitto a livello di pratica e le persone sono in disaccordo sui progetti, questo
conflitto va risolto nello spazio pubblico della comunit per lopportunit di una discussione
proficua in merito alla pratica ed unesperienza di apprendimento. Quindi vedete che ci
sono fonti diverse di conflitto allinterno di una comunit e a seconda della fonte del
conflitto si proporr una soluzione diversa. Sarebbe triste vedere la frattura di una
comunit perch c un punto di disaccordo sulla pratica o perch due persone non vanno
daccordo, ma molto spesso ho visto dei casi di frattura, di separazione perch un gruppo
voleva addentrarsi magari in unarea pi specifica e va bene.
Allora si pu pensare a una comunit con una struttura a pi livelli. Tanta gente mi chiede
qual la dimensione massima di una comunit. Non c una risposta numerica, quando si
ha una grande comunit bisogna interrogarsi su come strutturarle in sottoaree, dove le
persone possano mettersi a lavorare nella pratica nonostante che la loro identit si collochi
a livello di una comunit pi ampia.
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trovato la voce e hanno riflettuto sul valore della loro attivit in maniera che ha avuto molto
effetto. Vi ho presentato quel modello no e in unaltra occasione mi hanno chiesto: perch
non hai messo lidentit in quel modello, perch manca se cos importante? Non saprei
dove metterla, stata la mia risposta, un po dappertutto, nel campo tematico ma anche
nella comunit, nei rapporti, nelle relazioni, nella pratica; costruisci lidentit anche perch
ti fai un nome perch sei particolarmente versato in uno degli aspetti della pratica , o
aiutando gli altri che possono aver incontrato un problema e questo comincia ad essere
parte di quello che sei. Ed per questo che cos importante il concetto stesso di
comunit di pratiche, perch le persone vogliono condividere le conoscenze, trasferire le
conoscenze ma non riescono a capire quanto implicito in questi processi il concetto di
identit. dove ti vedi te? La conoscenza che per te significativa dove la vedi? Tutti questi
aspetti della tua identit hanno peso e alla fine determinano il modo in cui tu agisci
allinterno di unorganizzazione. Cos quando parlo di identit, parlo di qualche cosa che
costantemente in costruzione, non un nucleo fisso di quello che tu sei, sto parlando della
relazione col mondo che ti rende quella persona che sei. Quindi qualcosa che voi state
creandovi associandovi e identificandovi con diverse comunit e non identificandovi,
prendendo le distanze da certe comunit . Parlavamo delladolescenza, per ladolescente
parte della sua identit sar prendere le distanze dalla sua famiglia credo, anche questa
una costruzione di identit, quindi di segno positivo di segno negativo, non in senso
morale ovviamente. Lidentit un po come la fiducia, unarma a doppio taglio, se c un
eccesso di identit allora c una chiusura. Si parlato del sistema sanitario prima, questo
un settore molto specifico e tipico di questo. Alcune delle comunit attuali sono troppo
forti se vogliamo, perch medici non pensano di dover ascoltare gli infermieri perch non
appartengono alla stessa comunit, sono unaltra comunit, quindi cosa volete che
sappiano mi sono recato ad Alberta in Canada dove presso un gruppo di questo tipo
hanno fatto una cosa interessante. una piccola clinica in una zone rurale, quindi hanno
le varie comunit dei medici, poi e varie specializzazioni, ulteriori unit, poi il personale
paramedico e infermieristico. Per hanno molte comunit di collegamento transizionali se
volgiamo, che sono trasversali per affrontare problemi specifici. Come nel caso in cui
bisogna affrontare dei problemi dei giovani dove c uninterazione tra assistente sociale
medico, psicologo, varie figure professionali. E questo si ricollega alla domanda che mi ha
fatto sulle comunit vitali. Quello che mantiene la vitalit di queste comunit il fatto che ci
siano questi confini mobili, che si spostano. Ci sono nuove formazioni che in qualche
modo vanno a incidere sui confini esterni della comunit. In una organizzazione presso la
quale io lavoro questo si chiama la cittadinanza doppia, lappartenenza a luno e allaltro.
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organizzazioni diverse. Vorrei chiedere ad Etienne in quali casi ed eventualmente a quali
condizioni un insieme di soggetti spazialmente ed organizzativamente distanti possa
comunque interagire, scambiare conoscenze con modalit assimilabili a quelle tipiche
della comunit di pratica classica?
D. Lipari - C un ultimo tema sul quale vorrei sollecitare Etienne, che legato un po a
questa storia della prossimit e della distanza dei membri di una comunit. Riguarda la
diffusione delle tecnologie digitali, che favoriscono in maniera sempre pi intensa e in
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forme sempre pi sofisticate le forme di interattivit che sono ormai sempre pi utilizzate
per lo scambio e la circolazione di conoscenza tra gli attori di unorganizzazione e tra
organizzazioni. Per rimanere al nostro tema, vorrei chiederti se, al di l delle visioni
ingenue, secondo cui questi strumenti sarebbero di per s portatori di apprendimento,
possibile descrivere casi esemplari in cui luso della tecnologie si inscrive in pratiche
virtuose della comunit di pratica?
D. Lipari - Mi sono reso conto del fatto che nella nostra conversazione rimasto un po in
ombra un concetto cruciale: quello di pratica. Puoi svolgere qualche considerazione sul
concetto di pratica e sul suo significato per le dinamiche relazionali e dell apprendimento?
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molto spesso a riempire moduli per fare i calcoli delle prestazioni, su cose di cui non
capiva niente, metteva i numeri giusti, il computer faceva i calcoli. Una persona aveva fatto
una richiesta di $200, il computer diceva di dargliene 5 di dollari e loro non capivano
perch il computer dicesse 5 $ e loro ne avevano chiesto 200. Quindi erano emarginati
non solo sotto il profilo economico, ma anche sul piano cognitivo.
Parte della loro pratica era di dire come possiamo vivere con questo grado di ignoranza
con delle modalit soddisfacenti al nostro livello locale. Quindi la pratica in quel caso era
tutta una serie di elementi che entravano in gioco per poter sopravvivere in quel mondo se
vuoi. Perch sostanzialmente nella pratica era molto difficile stabilire se fossero persone
ignoranti o se invece avevano determinate conoscenze. Perch da intellettuale io sarei
potuto andare da loro, guardare come facevano i loro calcoli, vedere che rimanevano
sorpresi dai risultati e dire: ma questi non capiscono un accidente del loro lavoro! Non
capiscono cosa stanno facendo. Vivono nellignoranza. Tuttavia, in unaltra ottica si poteva
dire : no, lo capiscono benissimo! Capiscono che lazienda li tratta come vuoti a perdere ,
che si possono sostituire, elementi non fondamentali diciamo e quindici dicono: tu come
organizzazione non sei interessata alla mia persona? Io non sono interessato
allorganizzazione! E se qualcuno veniva in quella comunit con un testo sulle societ
dassicurazioni avrebbero in qualche modo violato qualcosa di fondamentale in quella
pratica; quindi nella pratica la conoscenza ha sempre una connotazione politica perch
significa un modo di essere nel mondo, quindi non si pu scindere la pratica dalla
conoscenza,dallidentit dal potere e dalla comunit. Sono parti integranti uno stesso
progetto, di una conoscenza vissuta nel mondo.
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