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I.1. Economia, societ e politica nel dopoguerra: problemi generali e specificit italiane
Il primo dopoguerra in Italia fu caratterizzato dagli stessi problemi economici, sociali e politici che
interessarono la maggior parte degli stati europei nello stesso periodo:
la distruzione di mezzi e di risorse umane
la vulnerabilit alle patologie fisiche e psichiche, conseguenza della denutrizione e dell'effetto
devastante delle atrocit viste e commesse in guerra
l'inflazione, conseguenza dell'aumento di carta moneta che i governi avevano stampato per far
fronte ai debiti di guerra (questo riguardava anche i paesi vincitori, che si erano indebitati con gli
USA)
i problemi di riconversione dell'economia, che per anni era stata quasi completamente mobilitata
per le esigenze della guerra
il reducismo: chi aveva rischiato la vita sui campi di battaglia tornava a casa con una nuova
coscienza dei propri diritti, con la convinzione di aver maturato un credito nei confronti della
societ. Coloro che al fronte avevano avuto ruoli di comando trovavano spesso difficolt a
riprendere occupazioni o studi per troppo tempo abbandonati e mal si rassegnavano al ritorno ad un
lavoro subordinato
la crisi della posizione economica e sociale del ceto medio, declassato sia nei confronti dei "nuovi
ricchi", gli speculatori, sia nei confronti di una parte dei ceti operai e contadini. Questi, infatti,
nell'esasperazione delle conflittualit tipica di ogni periodo di crisi, diedero vita ad una forte ondata
di scioperi e di rivendicazioni salariali. In queste iniziative essi portarono tutta l'esasperazione di chi
aveva atteso dalla fine del conflitto il miglioramento delle proprie condizioni e tutto il pragmatismo
di chi aveva appreso proprio dalla disciplina del fronte l'importanza dell'organizzazione per il
perseguimento dei propri obiettivi: il complesso di queste circostanze, unito al disorientamento del
ceto politico italiano, consent ai movimenti operai e contadini di conseguire qualche buon risultato,
che agli occhi della piccola e media borghesia appariva come un'ulteriore prova della propria crisi.
A questo complesso di problemi, che l'Italia condivideva con molti paesi europei, se ne aggiungevano
poi altri che erano connessi con le peculiarit dell'Italia:
il sistema industriale italiano non era mai stato completamente autonomo dallo Stato; esso era
cresciuto sotto la protezione delle tariffe doganali, con il "vantaggio" di un mercato interno arretrato
(il Mezzogiorno) e con la garanzia di commesse cospicue e sovvenzioni vantaggiose. Il carattere
per certi aspetti parassitario del capitalismo italiano si era ancor pi accentuato con la guerra,
durante la quale gli episodi di speculazione e corruzione furono numerosi: questo significa che
l'industria italiana era divenuta ancor meno autonoma che in passato (e che l'arricchimento degli
speculatori era avvenuto a spese dello Stato, cio della collettivit, e in modo particolare dei piccoli
risparmiatori).
L'intensit delle tensioni politiche del dopoguerra, provocando il timore di rivoluzioni, aveva
dappertutto favorito un atteggiamento di tipo conservatore o addirittura reazionario. La svolta
conservatrice ebbe per esiti diversi nei differenti paesi. Alcuni di essi, come la Gran Bretagna,
avevano solide tradizioni liberali e democratiche; i loro parlamenti avevano affrontato e superato
altri momenti di difficolt e la fiducia nelle istituzioni continuava ad essere abbastanza diffusa. In
questi paesi furono sufficienti brevi periodi per riassorbire i contraccolpi del dopoguerra, senza che
mai venissero seriamente posti in discussione i diritti civili e i meccanismi democratici. Ma altri
paesi, e Italia e Germania fra questi, avevano una storia liberale di pochissimi decenni alle
spalle, e ancor pi recenti erano le tradizioni democratiche: esse non ressero all'urto e vennero
sostituite da regimi totalitari. Naturalmente, oltre al minore radicamento delle istituzioni liberali,
per comprendere i casi italiano e tedesco necessario tener conto anche di altri elementi, quali la
debolezza economica che esasper le conflittualit interne e grav sui rapporti internazionali, e
come la presenza di forti partiti di orientamento socialista, divenuti ancor pi "sospetti" dopo la
rivoluzione bolscevica, che spinse molti verso posizioni illiberali, pur di sconfiggere il "pericolo
rosso".
Uno degli aspetti della debolezza del sistema politico italiano consisteva, come era in parte emerso gi
prima della guerra, nel fatto che i capi del governo, espressione dell'orientamento liberaldemocratico,
erano ancora avvezzi alla politica ottocentesca basata sul clientelismo e sui rapporti personali tra
elettori e notabilato e tra governo e singoli parlamentari. Questo limite, gi evidente nella politica
forzatamente oscillante di Giolitti, divenne ancor pi chiaro dopo il conflitto, quando la societ italiana
aveva assunto ancor pi chiaramente i caratteri di una societ di massa. Le vicende dell'immediato
dopoguerra mostrarono che la vecchia classe politica italiana non era in grado di fronteggiare questa
trasformazione.
1Sistema uninominale (o maggioritario secco): il territorio nazionale viene diviso in collegi (tanti quanti sono i
deputati da eleggere) e in ogni collegio viene eletto solo il deputato che ha ricevuto il maggior numero di voti. Sistema
proporzionale: il territorio viene diviso in un numero minore di collegi, in ciascuno dei quali vengono eletti pi
deputati, sulla base di liste di candidati presentate dai partiti, in proporzione ai "voti di lista". Il primo sistema pi
adatto alla "governabilit", il secondo alla "rappresentativit".
2 Alle elezioni si era presentato anche, raccogliendo pochissimi voti, un nuovo movimento politico: i "fasci di
combattimento", di Benito Mussolini.
per questo rifiutavano la collaborazione con i "governi borghesi", ma dall'altro, contrastati all'interno del
partito, non operavano in maniera risoluta per provocare la rivoluzione. Essi si limitavano
all'estremismo verbale, col risultato di accentuare la paura della borghesia.
4Nell'Italiadegli anni Venti si preparava chiaramente il passaggio da una societ aperta ad una societ chiusa. Come
ha rilevato K. Popper, i nemici della societ aperta operano prima di tutto per minare le basi della pacifica convivenza
tra gli uomini, ben sapendo che dall'insicurezza nascer la richiesta di ordine ad ogni costo, perch sotto la pressione
determinante dei bisogni primari (fra i quali la sicurezza rientra) negli uomini prevale la disponibilit a rinunciare
anche a quanto prima costituiva motivo di orgoglio: la libert in primo luogo.
accaniti nel loro filofascismo: ufficiali in servizio partecipavano in prima persona alle spedizioni
punitive e aiutavano le squadre con armi e munizioni.
Per quanto riguarda Giolitti, questi tent di arginare le connivenze fra i vertici amministrativi e
militari e il fascismo, ma nel complesso non guardava con ostilit al movimento: egli ritenne di
poterlo utilizzare come "forza nuova", da incanalare nella legalit come era avvenuto con il
socialismo riformista. E nel frattempo, come altri esponenti liberali, riteneva di potersene servire per
indebolire il massimalismo, tanto da accoglierli nel "listone" dei candidati governativi per le elezioni
del 1921, legittimandone di fatto le iniziative5.
5 Fu un errore prospettico basato su un luogo comune duro a morire: quello che la societ degli "onesti" possa trovare
un vantaggio nel lasciare che i "disonesti" si colpiscano a vicenda. Quando si lascia spazio all'illegalit, sono proprio
gli onesti a farne le spese per primi. Come in passato il Consolato francese aveva lasciato crescere il potere di
Napoleone pensando di potersene servire, e si era poi trovato ad essere esautorato di ogni potere da Napoleone, cos la
classe politica liberale italiana pens di potersi servire del fascismo per neutralizzare il massimalismo socialista e fu
essa stessa liquidata dall'in staurazione della dittatura.
accantonato le pregiudiziali antimonarchiche ed anticlericali ed aveva stabilito buoni rapporti con la
destra nazionalista); i fascisti, inoltre, approfittarono dell'occasione per attuare una nuova serie di
violenze squadristiche ai danni dei loro oppositori.
Il fascismo viveva un momento di forza: Mussolini ritenne giunta l'occasione per tentare la presa del
potere. Rassicur gli industriali con il discorso di Udine, in cui formul un programma di politica
economica di ispirazione liberista (anch'esso in contrasto con gli orientamenti espressi nel programma di
Sansepolcro), si assicur l'appoggio di alcuni esponenti della famiglia reale, rafforz la disciplina della
milizia di partito e infine (congresso di Napoli, ottobre del 1922) decise la "marcia su Roma": le milizie
fasciste si sarebbero impadronite dei principali centri del potere, quindi avrebbero marciato sulla
capitale sotto la guida di un quadrumvirato i cui esponenti (un militare di carriera, Emilio De Bono; un
fascista filomonarchico, Cesare De Vecchi; il ras di Ferrara, Italo Balbo e un ex sindacalista
rivoluzionario, Michele Bianchi) rappresentavano le diverse anime del fascismo. Mussolini sarebbe
rimasto a Milano, pronto a fuggire in Svizzera in caso di fallimento dell'impresa.
Il 28 ottobre 1922 i fascisti entrarono a Roma, mentre il re si rifiutava di firmare lo stato d'assedio,
come aveva invece precedentemente convenuto con Facta. Questi si dimise, e Vittorio Emanuele III
affid l'incarico di formare il nuovo governo a Mussolini, giunto nel frattempo a Roma.
Sulle motivazioni che indussero il re a non firmare lo stato d'assedio il dibattito storiografico ancora
aperto. La spiegazione ufficiale della monarchia fu legata al timore di provocare una guerra civile, ma
molti hanno interpretato la decisione del sovrano come un tentativo di salvare la monarchia di fronte
ad un potere emergente che sembrava ormai troppo forte per poter essere bloccato. Non va
dimenticato che molti fascisti erano ancora fedeli all'orientamento originario del fascismo, quello
repubblicano: Vittorio Emanuele III vide nel compromesso coi fascisti una buona opportunit per
garantire la continuit della monarchia anche dopo la presa del potere da parte dei fascisti.
La legalit era formalmente salva: Mussolini aveva assunto un incarico dietro mandato del re, secondo
la prassi statutaria. Ma era la prima volta nella storia d'Italia che un uomo politico si era fatto assegnare
il mandato governativo con la minaccia delle armi.
Fra il 1922 e il 1925 il fascismo si consolid al potere attraverso i canali istituzionali tipici del vecchio
Stato liberale; solo con la fine del 1925 si potr parlare di "regime fascista", con il venir meno dei diritti
civili e la costruzione dello stato totalitario.
Al primo governo di Mussolini parteciparono, oltre ai fascisti stessi, i popolari, i demosociali (di
orientamento centrista) e uomini della destra storica. Sia la composizione del governo che le iniziative
prese successivamente rispecchiavano il tentativo di operare una "normalizzazione", che facesse
superare il modo anomalo in cui si era giunti alla formazione del governo, giungendo a situazioni
di compromesso con gli esponenti dei poteri tradizionali.
I tentativi di normalizzazione sono visibili in diversi ambiti:
la riforma Gentile e il riavvicinamento al mondo cattolico. Il ministero della pubblica istruzione
venne affidato al filosofo neoidealista Giovanni Gentile, che var nel 1923 una riforma del sistema
scolastico ispirata alla difesa della tradizione classica, alla selettivit degli studi, alla centralit dei
licei per la formazione delle classi dirigenti, a un'impostazione storicistica nell'insegnamento delle
principali discipline. Parte della riforma fu la centralit della religione nell'insegnamento elementare,
accolta con favore dagli ambienti del Vaticano, cos come l'introduzione di un esame di Stato alla
fine di ogni ciclo di studi, che metteva sullo stesso piano scuole pubbliche e private.
la politica militare e l'abbandono del mito della nazione armata. Fra le rivendicazioni originarie
del fascismo vi era la teoria della "nazione armata", in base alla quale il peso degli ufficiali di
carriera avrebbe dovuto essere ridimensionato a vantaggio della partecipazione popolare. Venne
invece conservata la struttura tradizionale dell'esercito di caserma, cosa che rafforz le simpatie
degli ambienti militari nei confronti del fascismo.
la politica economica e la continuit con il liberismo. Il titolare del ministero delle finanze, il
fascista Alberto De Stefani, tradusse in una serie di provvedimenti concreti l'orientamento
filoliberista gi espresso da Mussolini nel discorso di Udine. Venne revocato il blocco dei fitti,
furono concessi incentivi all'edilizia, venne avviata la privatizzazione delle assicurazioni sulla vita e
dei servizi telefonici, furono semplificate e ridotte le imposte sui redditi imprenditoriali. Gli
incrementi di produttivit furono notevoli e il bilancio dello Stato torn in pareggio.
la politica estera e la continuit con gli indirizzi precedenti. Anche in politica estera gli indirizzi
di fondo seguiti dal fascismo nei primi anni furono in linea con quelli dei governi precedenti. In
particolare, venne mantenuto il legame con Francia e Inghilterra, anche se talvolta venne adottato un
tono imperioso, tendente a blandire il nazionalismo italiano.
la politica interna. Anche in questo caso Mussolini punt alla normalizzazione, anche perch essa
gli appariva come l'unico modo per riuscire a riprendere il controllo del partito al di sopra dei vari
ras. Come al tempo del patto di pacificazione, Mussolini riteneva che il fascismo dovesse
abbandonare l'uso sistematico della violenza per riuscire a guadagnarsi stabilmente le simpatie
dell'opinione pubblica moderata, che pure aveva apprezzato l'azione delle squadre in funzione
antisocialista.
Per conseguire questo obiettivo e contemporaneamente per imporsi come unica guida del partito,
Mussolini doveva riuscire a ridurre il potere dei capi locali del fascismo. A questo scopo:
a) riaffid l'autorit locale ai prefetti e ne riafferm il ruolo di "unici e soli rappresentanti"
dell'autorit del governo, ai quali, quindi, anche le gerarchie locali del Pnf dovevano essere
subordinate;
b) cre il Gran Consiglio del Fascismo, supremo organo direttivo del Pnf composto da suoi fedeli,
e la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, per inquadrare sotto la disciplina militare i
turbolenti ex squadristi ponendoli sotto il comando di ufficiali di carriera.
c) adott una politica di stampo trasformistico nei confronti dei principali partiti moderati.
Mussolini guidava un dicastero composto da liberali, popolari, demosociali e indipendenti. I
popolari erano profondamente divisi al loro interno, gli altri erano privi dei solidi apparati
organizzativi dei moderni partiti di massa: Mussolini si rese quindi conto che avrebbe potuto
facilmente cooptarli, mediante una prassi politica pragmatica e spregiudicata. Riusc facilmente in
questo intento soprattutto con i gruppi pi fragili, i liberali e i demosociali, ma ebbe un discreto
successo anche con i popolari. Sebbene il partito popolare si esprimesse a volte in termini
cautamente antifascisti, Mussolini riusc di fatto a guadagnarsi l'appoggio di numerosi esponenti
popolari (i cosiddetti clerico-fascisti), anche grazie a misure come la reintroduzione del crocifisso
nelle aule scolastiche e negli ospedali e alle garanzie per l'insegnamento della religione cattolica,
segno dell'ormai definitivo abbandono dell'originario anticlericalismo.
Oltre alla prassi quotidiana, Mussolini concep anche un progetto trasformista di ampio respiro: una
riforma elettorale che inducesse i vari gruppi a presentarsi riuniti in vaste coalizioni. Egli sperava
che molti deputati, timorosi di perdere il seggio, si candidassero in una lista governativa sotto il suo
diretto controllo. Venne cos varata, nel 1923, la legge Acerbo, in base alla quale alla lista che
otteneva la maggioranza spettavano i due terzi dei seggi, mentre per la ripartizione dei seggi tra i
partiti minoritari continuava a valere il criterio proporzionale.
Venne quindi creato un "listone" fascista aperto a indipendenti e uomini di altri partiti, che nelle
elezioni del 1924 aveva di fronte numerose formazioni avversarie, estremamente frammentate. Oltre
a questo vantaggio, i fascisti potevano godere dell'appoggio di buona parte della borghesia, di una
congiuntura economica favorevole, di un atteggiamento neutrale da parte del Vaticano e dei
maggiori centri finanziari. Non paghi di questi vantaggi, molti esponenti dello squadrismo fascista
ricorsero alla consueta prassi violenta: si moltiplicarono soprusi e intimidazioni nei confronti degli
avversari politici o anche dei fascisti dissidenti che avevano presentato liste proprie. Mussolini non
aveva un atteggiamento globalmente favorevole a tali violenze, contrarie alla sua aspirazione alla
"normalizzazione", ma non vi si oppose con decisione (e non lo fece affatto nei confronti dei
dissidenti del suo partito), per timore di perdere l'appoggio degli ambienti degli squadristi.
I risultati elettorali furono nettamente favorevoli ai fascisti, che ottennero oltre il 66% dei consensi,
ma da pi parti si levarono proteste contro le violenze che avevano preceduto e accompagnato le
operazioni di voto. Il principale portavoce di queste proteste fu il deputato socialriformista Giacomo
Matteotti. Il 31 maggio 1924 egli pronunci alla Camera appena riunita una ferma denunzia delle
illegalit e delle violenze, sollecitando un'invalidazione in blocco dei risultati. Undici giorni dopo,
Matteotti venne rapito e ucciso. Il delitto Matteotti segn il punto di non ritorno della rottura
fra Mussolini e le opposizioni, fra il fascismo e la democrazia. Dopo il delitto inizi la vera e
propria "costruzione del regime".
VI.2. Il plebiscito
Sull'onda del consenso per la conciliazione fra Stato e Chiesa, vennero organizzate nuove consultazioni
politiche, con modalit di tipo plebiscitario: gli elettori non erano chiamati a scegliere fra diverse
opzioni possibili, ma solo ad esprimere il loro assenso o il loro dissenso su una lista unica di nominativi
selezionati dal Pnf.
Si trattava dell'ultimo passo verso la legittimazione del potere, che intendeva presentarsi come
riconosciuto dalla sanzione popolare: la percentuale dei "no" non raggiunse l'uno per cento dei votanti.
Diverse furono le ragioni del successo plebiscitario del fascismo:
i consensi acquisiti con la propaganda di regime e la conciliazione (il voto veniva presentato come
"un s al duce e al papa")
il sostegno delle masse cattoliche cui il presidente dell'Azione cattolica aveva esplicitamente chiesto
di sostenere il regime
le modalit delle votazioni, che non assicuravano la segretezza del voto
le divisioni interne dell'antifascismo. Il fronte antifascista era tutt'altro che compatto. Ne facevano
parte liberali, democratici, socialisti, comunisti e popolari come Don Sturzo e Alcide De Gasperi
(anche il loro partito era stato disciolto). La maggior parte degli esponenti pi prestigiosi era stata
costretta a rifugiarsi all'estero, soprattutto in Francia. Anche dall'estero gli antifascisti tentavano di
influire in vario modo sulle vicende italiane. Liberali, democratici, socialisti e cattolici tendevano a
farlo soprattutto mediante prese di posizione politiche e morali, con interventi sulla stampa francese
e tentando di mantenere i collegamenti con le personalit come Croce, che pur non aderendo al
fascismo continuavano a risiedere in Italia. I comunisti cercarono invece di svolgere, ovviamente in
forma clandestina, un'intensa attivit propagandistica in Italia. Queste divisioni si manifestarono
anche in occasione del plebiscito: mentre i comunisti invitarono a votare "no", gli altri invitarono i
loro simpatizzanti ad esprimere il loro antifascismo con l'astensione, indebolendo ulteriormente le
gi fragili possibilit dell'antifascismo.
I. Il dirigismo economico
Gli effetti della crisi del '29 si fecero sentire anche in Italia, ed accelerarono una tendenza che si
era gi manifestata in operazioni come la "battaglia del grano": venne, cio, accentuato il
dirgismo statale nei processi economici.
In una situazione internazionale caratterizzata da contrazione dei commerci, chiusura
protezionistica delle diverse economie, ritiro dall'Europa del capitale statunitense, il regime
reag riducendo per decreto le retribuzioni e comprimendo i consumi privati, ma anche
intensificando con nuovi strumenti il suo ruolo di direzione dell'economia.
L'operazione pi importante fu la creazione, nel 1933, dell'Iri (Istituto per la ricostruzione
industriale), un ente pubblico che acquis la propriet delle maggiori banche italiane e dei
pacchetti azionari delle imprese che queste controllavano, per impedirne il tracollo. Attraverso
l'Iri, lo Stato italiano divent proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario
nazionale: lo Stato si trov quindi ad essere il maggior imprenditore e il maggior
banchiere italiano. Decine di imprese vennero cos "salvate" a carico del bilancio pubblico;
una parte di queste, poi (in genere quelle pi redditizie) venne rivenduta ai privati. A questo
proposito si detto che, attraverso l'Iri, si vennero realizzando la privatizzazione dei profitti e
la socializzazione delle perdite.
L'intreccio fra il potere politico e i grandi gruppi industriali, fin dall'unit tipico dell'economia
italiana, divenne dunque durante il fascismo ancora pi stretto e si intensific ulteriormente
nella seconda met degli anni Trenta, in seguito alla politica di riarmo e alla guerra coloniale in
Etiopia.
L'enorme dilatazione della presenza dello Stato nell'economia e nella vita sociale non avvenne
attraverso le istituzioni corporative, che ebbero sempre un'influenza modestissima, ma
attraverso la moltiplicazione degli enti pubblici, organismi che caratterizzeranno la vita
dell'Italia ben oltre la fine del fascismo. Accanto agli enti pubblici economici (quali l'Iri e l'Agip
-azienda generale italiana petroli) si svilupparono gli enti pubblici assistenziali e previdenziali,
mutualistici e pensionistici (molti dei quali sopravvissuti nel dopoguerra, come Inps, Enpas,
Inail). Questi enti in parte unificavano istituti gi creati alla fine dell'Ottocento, in parte
vennero istituiti ex novo dal regime.
In questo modo lo stato fascista assunse i caratteri dello stato assistenziale, a somiglianza di
quanto avveniva in altri paesi. La differenza stava per nel fatto che altrove (per es. negli Usa
del welfare state) le decisioni dovevano comunque passare al vaglio degli organi
rappresentativi democratici e venivano prese sulla base della persuasivit e dell'efficacia che
dimostravano, mentre in Italia le libert politiche erano state soppresse, e quindi l'esecutivo era
in condizioni di agire senza misurarsi con le opposizioni e di utilizzare la politica sociale come
ulteriore veicolo per estendere la propaganda ed organizzare il consenso. Pressoch tutti i
settori della vita economica e sociale - previdenza, assistenza, assicurazioni, industria,
agricoltura, turismo, spettacolo, sport, cultura - vennero interessati dalla creazione di enti,
tanto da dare luogo a una sorta di "amministrazione per enti" parallela a quella dello stato, con
una propria estesa burocrazia e, spesso, con una propria rilevante forza economica e politica.
Dal fascismo l'Italia del dopoguerra eredit dunque, tra l'altro, anche un'amministrazione
parastatale pletorica, burocratizzata e scarsamente efficace.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI