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di Mario Esposito
27 agosto 2010
Pubblico di seguito la prima parte di una discussione ancora in corso sul mio profilo Facebook innescata dall'articolo di Chris Anderson "The Web
is dead. Long live the Internet". L'ottica è di creare una osmosi positiva tra FB ed il blog. Buona lettura.
Franco Folini : Per correttezza storica, la visione di un uso di internet mediato dalle applicazioni venne promossa per per la prima volta nel
2001-2003 da Microsoft con la tecnologia .NET con l'idea dei web-services e dei clients desktop. La MS visione era in anticipo sui tempi e
infatti venne dismessa. All'epoca molti pensavano che abbandonare il browser per un'application fosse sbagliato e fosse di fattoun ritorno ai
sistemi proprietari monopiattaforma (e infatti cosi' e'). Jeff Jarvis (se ricordo bene) sostieneche le applications sono come suburbia: aree
protette, anestetizzate, con accesso controllato. Il mondo fuori da suburbia e' molto piu' vivo e interessante! Non posso che essere d'accordo.
Lunga vita al browser!
Mario Esposito: ciao Franco! Ogni tanto ci incrociamo :-) Sai quale è la "storia"secondo me? Le applicazioni, come ad es. Facebook e Twitter,
sono facili da usare e "cazzeggio-oriented" per cui sopperiscono in maniera immediata ai vuoti della vita sociale "reale". Lo strumento in sé può
essere usato anche in maniera "intelligente", ma prevale a mio parere un successo del primo tipo e pertanto a chi li usa nemmeno importa "chi
c'è dietro", la privacy, ecc. E' un "gioco collettivo" a cui si partecipa giocoforza perchè ESISTE. Se vai sulla traduzione del Sole 24Ore dei due
articoli non c'è al momento un solo tweet o un fb share... Strano no? Anzi forse no :-)
Gianluca Garrapa: pensa che quel "tutto-o-niente" è la logica dicotomica del potere e per un ethos paritario dovremmo superarci davvero come
umani... come al solito la patologia del denaro rende arcaica ogni possibile idea di reale futuro e miglioramento globale.
Bianca Decio: non dimentichiamo la facilità d'uso delle applicazioni: conosco persone che sono in grado di girare su facebook ma non sul web!
Mario Esposito: ciao Gianluca, bentornato! :-) Si, le statistiche sulla concentrazione del traffico parlano chiaro... Anche se poi siti come
techcrunch.com hanno enfatizzato che considerando i dati Cisco anche sui video il Web recupera. Mi sembra una "consolazione" un pò magra :-)
Franco Folini: @Mario: lasciami riportare per un attimo il discorso sul piano tecnico. A mio parere i fattori che spaventano/allontanano i neofiti
(e cazzeggiatori) dal web: (1) primitivita' e poverta' dell'HTML (HTML+CSS+JS e' un sistema vecchio, inutilmente complesso, inaffidabile, difficile
da usare e capire), (2) pericolosita' del web: virus, furto d'identita', (3) difficolta' e pericolosita' nel navigare il web (siti di spam, siti fittizzi, ecc.)
(4) il pessimo lavoro fatto da Google nel separare il grano dal loglio ritornando alle nostre search links spazzatura in gran quantita'. Detto questo
continuo a preferire il web e la liberta' che mi offre alle applicazioni chiuse del mio iPhone!
Mario Esposito: Certo, ma purtroppo gran parte dei "nativi digitali", che non sono solo i nostri adolescenti e giovani ma anche molti
30-40-50-60 ecc. "enni" che sono NATI digitalmente con Facebook, vivono nei confini delle applicazioni. La pesca è stata grossa :-)
Gianluigi Colaiacomo: penso che la battaglia per l'accesso libero sia ancora tutta da giocare. E la differenza tra applicazioni e web e' fittizia. Il
web stesso e' un'applicazione anzi, un'applicazione di grande successo. Certo e' datata, ma molte delle sue carateristiche migrano e si evolvono
nelle altre applicazioni (accesso a server remoti con indirizzamento opportuno, interfaccia utente che gira su qualunque piattaforma, facilita' d
iintegrazione per dati e applicazioni, etc.). La battaglia si giochera' sui modelli di business che i grandi capitali riusciranno a realizzare per
garantire alti rendimenti contrapposti a quelli delle associazioni "open" che utilizzeranno web, applicazioni e quant'altro la tecnologia ci portera'.
Gino Tocchetti: tutta questa differenza tra web e apps mi lascia perplesso: se dovessi esprimermi in termini di dicotomia (ma preferirei piuttosto
una lettuta piu' sfumata) e' tra applicazioni aperte e applicazioni chiuse. Anche il web e' un'app (concordocon gianluigi), solo che e' aperta al
massimo; il successo dei primi social network ha sdoganato le app piu' chiuse (tutti ricordiamo il cambio di paradigma nel passaggio dalla
blogosfera galattica, ai pianeti ryze ecademy linkedin...). Piu' recenemente abbiamo attraversato la stagione dei web services "aperti", pensati
cioe' per potenziare e semplificare il web, senza ridurre il livello di apertura e senza introdurre grumi di controllo (penso a wordpress, delicious,
technorati, disquis e moltissimi altri piu' specializzati). E' stata la stagione dell'opensource, dei microformati e dei protocolli aperti, non
dimentichiamo. E' stata anche la stagione del free, e della ricerca di modelli di business ispirati a concetti di economia del dono. Tutta una serie
di fattori interni (esigenze degli utenti di nuova genrazione, sempre meno tecnologici, mancanza di profitto e rischio di nuove bolle
speculative...) ed esterni (crisi finanziaria innanzitutto), spinge adesso verso app piu' chiuse, controllate, protette ed economiche vantaggiose.
Sinceramente tutta questa pretesa di Wired di aver predetto 15 anni fa l'attuale evoluzione di internet, mi sembra, per usare un gergo tecnico,
una pisciata fuori dal vaso. Cosi' come per i personal computer, che erano inizialmente scatole nere con software proprietario e programmato
per essere lockin-in (dos, vbasic, activex... access), e poi e' arrivato linux, apache, php... mysql, in modo analogo (pur con differenze), avremo
probabilmente "prima" una diffusione della tecnologia hardware basata su standard proprietari, e grazie a modelli di business orientati al profitto
(anche per ripagare gli investimenti iniziali infrastrutturali), e poi l'esplosione di servizi e componenti che sposteranno, anche sui nuovi device,
via via l'attenzione ai benefici intangibili e non prezzabili.
Mario Esposito: secondo me il Web è stata una idea più che una applicazione e quella idea è ampiamente alle nostre spalle. La sostanza del
discorso di Anderson non è tanto nella previsione del trend quanto nel fatto che quella idea di sviluppo è "fallita" per lasciare il posto alla
internet fatta da applicazioni prevalentemente chiuse dove c'è l' "illusione" di essere tutti più "vicini", ma dove invece il fenomeno è che siamo
tutti sulla stessa apps proprietaria (monitorati e merce di scambio inconsapevole). Questa è la CONSTATAZIONE, che dal mio punto di vista è
quanto mai realistica. Il giudizio critico di questo fenomeno non è stato ancora discusso, a mio parere, a sufficienza.
Elisa Buratti: il web, le app, l'ipermercato, il reiki, la dieta mediterranea, lo shopping...ogni cosa/idea/ app o non, ha a che fare con l'umano.
Nell'umano vige la regola che vige per il resto e cioè che il pesante va in basso e trascina con sè parte di tutto. Restare sospesi, non farsi portare
giù, essere vino e non feccia, essere nella potenza e non nel potere non è nè sociale, nè esportabile, nè imparabile. O lo sei o non lo sei. Non il
mezzo ma l'essenza vince sul tutto. Qualunque tutto esso sia. Tante analisi non servono perchè è sempre la stessa identica zuppa...:-))
Paolo Manzelli: Sappiamo dalla storia come l' interazione spontanea delle masse senza una guida concettuale innovativa comporta un
adeguamento delle idee al mercato e di conseguenza alla decadenza di ideali a cui consegue la decadenza dei costumi, la corruzione morale, il
degrado ambientale, ecc. Putroppo mentre il mercato ha saputo sfruttare la occasione di internet come nuova fonte di profitto, la elite
intellettuale non ha saputo veicolare idee innovative nel quadro delle nuove opportunita di comunicazione di internet, cosi che il degrado
intellettuale utile e con esso quello politico al all' economia di mercato ha preso nuovamente il sopravvento anche in questa fase della storia.
Cosa fare ora ????? Quali soluzioni trovare ????
Paolo Lapponi: Appartengo a una generazione che iniziò ad utilizzare la rete più di 20 anni fa nella PA italiana in istituti di ricerca di medicina e
biologia. Da subito l'impatto fu conflittuale sulla metodologia realizzativa di un cablaggio strutturale, ove gli “ingegneri informatici”, gli alti
dirigenti dei nostri Enti Pubblici, si trovarono di fronte giovani piskelli (ai quali fornivo camicie e cravatte prima delle riunioni) che li inchiodavano
al muro dell'inefficacia e dei costi delle gerarchie verticali proposte dai Server Microsoft NT. Pochi serverini Unix di bassissimo costo realizzavano
quell'architettura distribuita che garantiva sicurezza, performance ed alta connettività (by Terminal Adapter) a decine di laboratori
semplicemente connesso a un 486 unix presso il CASPUR di Roma che girava ininterrottamente per anni con minima manutenzione. E garantiva
al contempo H24 il controllo delle tecnologie delle curve del freddo, lo storage biologico (crioconservazione in N2 liquido, cellule staminali,
preziosi cloni cellulari), il controllo e gestione dell'Automazione della “macchina dura” in genetica molecolare, in HPLC, in nefelometria, in PRC,
nei controlli di qualità, condivisione dati in tempo reale, realizzazione di Intranet ed Extranet, comunicazione globale tra ricercatori,
realizzazione dei prototipi in grafica 3D dinamica dei recettori molecolari … era il sogno proposto da Negroponte, il Palazzo Intelligente, era
anche il sogno dei network biologici come prototipi delle “reti neurali” (da Mc Farlane Burnett a Domenico Parisi). Sul piano delle architetture di
rete il conflitto fu vinto alla grande dai piskelli (i 40enni di oggi), la rete era appannaggio degli APACHE, gli applicativi li sceglievano noi (come
Eudora versus Explorer etc). Tuttavia, sul piano culturale generale le cose come al solito andarono diversamente, specie nel nostro paese, ove tra
l'altro gli Istituti di Ricerca della PA sono stati affossati. Ammetto che oggi mi trovo disorientato. Selezionare nell'iperidondanza del Web 2.0 e
successive modificazioni è per me di estrema fatica. Così, paradossalmente, FB mi viene in aiuto, mi semplifica la scelta, mi rende più chiaro lo
stato dell'arte e le possibilità di contatti e approfondimenti, mi conforta nel giudizio su H/W chiusi come iPhone. Ma appartengo a un'altra
generazione, formatasi nel marxiano “sviluppo delle forze produttive” e un po' invecchiata. Perciò, dall'altro lato della spirale, sento la necessità
di rimanere sempre in contatto stretto con i piskelli di allora. La loro opinione e il loro agire comunicativo non sono cambiati, radicali erano e
radicali restano, su FB non ci vanno, l'iPhone non lo usano, ma la loro comunicazione è potente, globale e locale, il loro orizzonte etico
comportamentale è connesso con i sistemi viventi, con l'ambiente, col sistema pianeta: gran rispetto! Ho la sensazione infine che il conflitto
continui, su piani paralleli e antagonisti, e che la sfera dell'immateriale sia il campo di battaglia decisivo.
Concordo con Elisa, “Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto” . Tank you for this tag
Paolo Manzelli: Cito per una sintesi della situazione tra il dis-proroporzionamento attraverso il WEB.2 tra valori del mercato materiale e il valore
dello sviluppo immateriale , il sequente sito:
http://www.slideshare.net/
michelevianello/web-20-e-g
overnment-regole-del-mondo-immat
eriale-maggio-2010
Da parte mia ho compreso fin dagli anni in cui ho iniziato ad interessarmi del rapporto tra beni materiali ed immateriali (1997) che era
necessaria una profonda revisione scientifica e culturale capace di adeguare lo sviluppo alle nuove esigenze di comprensione della vita.
Vedi ad es: Dal mondo dei Bit al mondo degli atomi http://www.edscuola.it/arc
hivio/lre/atomi.html
Anche oggi resto convinto che il nodo intellettuale da sciogliere sconsista essenzialmente nel superamento delle idee meccaniche che hanno
dato dato origine alla societa industriale, al fine di procedere verso la realizzazione della nuova societa della conoscenza. Questa e la essenza del
problema concettuale da condividere , che, per quanto di non immediata comprensione e' a mio avviso un processo di cambiamento ineluttabile
per un reale rinnovo della societa e dello sviluppo. Paolo
vedi alcune idee e iniziative vedi in : www.edscuola.it/lre.html
Elisa Buratti: @paolo..come fare?..è semplice..uscire dall'antropocentrismo e dall'arroganza..cosa gl'intellettuali di ogni genere e specie non
faranno mai, perchè si ritroverebbero in un nulla da cui neanche jung potrebbe tirarli fuori..ehehe E' buffo vedere come sia impossibile accettare
l'inosorabilità del limite di essere umani..
@mario...se il vino si confronta diventa aceto..se lo fa il mosto diventa vino. Processi..solo processi..ciao..:-)
Paolo Manzelli: Caro Mario ed amici , purtroppo con il pensiero debole si arriva a chiamare semplicemente "decrescita economica" la effettiva
autodistruzione della vita del pianeta in cui viviamo.
Piu decisa e piu forte e' la necessita di cambiamento concettuale per modificare la struttura cognitiva di indole "meccanica" , che ha condotto a
questo disastro della natura. Il meccanicismo ha essenzialmente contribuito alla separazione tra cultura e natura ; pertanto solo superando i
limiti ed il riduzionismo delle concezioni meccaniche, potremo iniziare una inversione di tendenza che non e attuabile con il pensiero debole che
rimane condizionato ed ancorato alle concezioni storicamente accettate . Paolo vedi ad es: cose che accadono tra il buio e la luce : http://
www.edscuola.it/arc
hivio/lre/sole.pdf
Paolo Lapponi: Ringrazio tutti gli amici per questa discussione così ricca di spunti e stimoli.
Attualmente tento, con personale pochezza, di seguire una linea di ricerca che non considera la “decrescita” (almeno nell'accezione di Latouche)
una risposta efficace alla distruzione del pianeta (semmai apprezzo di più l'idea di limite creativo in Illich o Ruskin). Cerco quindi di percorrere
un sottile filo rouge che, partendo dalla “freccia del tempo” e dalle strutture dissipative di Prigoginiana (seppur recente) memoria, rivaluta e tiene
assieme Renè Thom, Simondon, Cavalli Sforza, Frijot Capra, Cimatti et altri, e tenta un approccio positivo - nientaffatto da pensiero debole -
della Katastrofè storica nella quale il sistema postindustriale “occidentale” ha fatto oramai il suo ingresso. Per seguire questa traccia occorre, io
penso, un approccio fortemente interdisciplinare, in cui inserire anche una rilettura (per me) attualissima di quella critica al modello di cultura
occidentale prodotta da Edward Said in “Orientalismo”. Un contributo seppur sintetico ma utile penso sia in: www.facebook.com/no
te.php?note_id=31079363636
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In un approccio più vasto, il concetto di organizzazione a “rete distribuita” assume ad ogni livello un'importanza sostanziale per la “potenza” che
essa racchiude. Come pure l'idea che i Sistemi viventi (organizzati appunto a rete) possiedano una forza autopoietica tale da consentir loro di
superare anche l'impatto con un enorme asteroide, e di più. Ringrazio molto Paolo Manzelli. Leggerò con calma il corposo saggio suggerito che
mi sembra veramente assai interessante. Dal poco che intuisco rientra in pieno in ciò che vado cercando. Buona domenica a tutti.
Cristian Contini: wow che bella discussione alta, come sempre per altro quelle stimolate da Mario, che approfittiamo per ringraziare per
includerci sempre in questi bei confronti.....
Torniamo ora ora da un ottimo ritiro di meditazione vipassana dove per una decina di giorni ci si sottrae all'esterno da sè per entrare nel proprio
spazio interno..e dove le tecnologie ed il contatto con il mondo sono volutamente sospesi..molto rinfrancante e davvero consigliabile per tutti
noi addicted dalla Rete e dall'always-on, web o app che sia...:-) e quindi freschi freschi, da un altro pianeta, diamo il nostro umilissimo
contributo...
Per quello che ci riguarda, al di la del pezzo di Anderson che come ben sappiamo sta facendo discutere tutto il bel mondo pensante della rete, ci
sembra che nei new/next media, almeno a giudicare degli ultimi 100/50 anni, non è mai successo che un medium evoluto abbia soppiantato un
altro ( la radio NON ha ucciso i giornali ne i libri, la tv NON ha ucciso la Radio, e la rete non ha -ancora-ucciso radio-tv-e giornali..).
La rete non è mai stata solo WEB ,(USENET,e le emails, un esempio per tutti) e la dirompente fantastica rivoluzione dei Social media e dei Social
networks ha aggiunto possibilità , non ha levato... ed a meno che nei prossimi anni non ci sia una "next big thing" che sia a più "alta risoluzione"
da soppiantare tutto..e naturalmente pensiamo a mondi immersivi, interfacce sensoriali-neuronali e via via ipotizzando, per ora avremo un
mondo in rete fatto di web e di app, di conversazioni sociali e di mobilità...di Skype e di Second Life ....e di Attention Disease Disorder e di
Internet Addiction Disorder:-)
Il web, va detto, usa ancora la metafora decisamente limitata e superata della pagina cartacea stampata, per quanto interattiva e multimediale
( le "pagine web") cosa che il sistema delle app ( grazie grazie grazie Apple per il lavoro di cambio di paradigma) scardina e rifrulla come nuovi
modi di fruire gli stessi dati. Si pensi solo alle app meteo: i dati sono gli stessi magari ripresi dallo stesso sito ( accuweather) ma ripresentati in N
modi per accontentare N segmenti, N nicchie, in N- INTERFACCIE come da "long tail theory"... Detto questo...oggi abbiamo reso un settantenne
non connesso, non computerizzato,l'uomo più felice del mondo.
Il sorriso da bimbo del babbo ( negli anni ci aveva sempre accusato di non "avergli mai insegnato i computer" nonostante i mac e le ore di
training :-) che se ne andava via con il suo nuovissimo iPad Wifi+3g ( iDad?) sotto il braccio era impagabile.
Un computer semplice, usabile , e connesso che un "primitivo digitale" ha capito al primo touch...e da questo punto di vista, il paradigma delle
app+interfaccia touch vince su tutta la linea.
Mario Esposito: eh si proprio così, ma resta il grande dubbio : chi vince ha sempre "ragione"? :-)
La faccia felice del "nonno" può essere una risposta, ma... resta la domanda in tutta la sua problematicità.
Tutto evolve e ben venga, anzi DEVE, ma l'uso della tecnologia deve sempre farci riflettere sia su COSA ci facciamo sia COME lo facciamo.
Ma mi rendo perfettamente conto che nel momento stesso che ne parliamo la "faccenda" diventa in sé per i più "irrilevante" poiché l'uso e la sua
"facilità" sopravanza ogni pensiero sull'uso stesso.
Questo è il senso del post di Anderson e il senso dell'uso delle Apps che hanno soppiantato il Web.
Nessuna nostalgia, dunque, ma consapevolezza di una evoluzione meno aperta di quello che alcuni o tanti di noi avrebbero auspicato. Grazie
dell'intervento Cristian, forte l'iDad :-)
Graziano Terenzi: Grazie Mario come sempre per le tue interessanti discussioni.
Pensare a Internet, e in particolare alla sua Apertura/Chiusura in termini di metafore socio/politiche (collettivistico/privatist
ico), se da un lato è utile perchè mette in evidenza alcune tendenze in atto nel mondo delle nuove tecnologie, dall'altro però non rende giustizia
della complessità della Rete.
Da una parte infatti, l'apertura permette in sè la chiusura, mentre non è vero il contrario. Anche se sarebbe opportuno chiarirsi su cosa si intenda
con il termine "chiuso" o "privato", non mi sorprende che una mentalità accentratrice, orientata al "chiuso" e al "privato" possa trovare spazio e in
alcuni casi persino prevalere nel web. Non mi sorprende nemmeno che questo approccio possa essere di grande successo allorchè si trovino
formule, come nel caso di Facebook, che in realtà vincono proprio in virtù del fatto che legano assieme in un contesto aperto milioni di persone
che hanno l'impressione di poter interagire e di non essere isolate. Questo, come giustamente rileva Cristian, non è un male e non l'unica delle
possibili evoluzioni di internet. Facebook, Google e Apple non nascono come il frutto di un investimento mirato a controllare milioni di persone,
anche se la loro futura evoluzione potrebbe eventualmente degenerare in questo. Se qualcuno è in grado di fornire un servizio utile ed efficiente
a milioni di persone ben venga. Con buone idee, competenze e capitali si può arrivare in alto, anche se non ci sono solo "rose e fiori" le
conseguenze di ciascuna scelta. Dall'altra parte, bisogna sempre tenere sott'occhio l'evoluzione della rete in funzione di eventuali interventi
istituzionali mirati a "regolarne" l'uso e l'accesso. Questo, si, è un problema di altro ordine e di grande rilevanza pubblica e sociale.
Gianluigi Colaiacomo: L'idea principale del web e' la navigazione interattiva tramite i link, e questa si e' conservata nelle applicazioni presenti e
future. Dal punto di vista tecnologico l'infrastruttura di base e' stata fornita dalle comunicazioni http dai browser ai server, e anche questo mi
sembra che si stia conservando ed evolvendo molto bene. Quindi, alla fine, voler decretare la fine del web sembra piu' che altro un trucco
giornalistico. Ma tant'e' ...
Per me il vero problema resta la contrapposiizione tra contenuti liberi o meno. Tra l'accesso gratuito o no. Insomma una battaglia politica ed
economica tra le diverse fazioni. (a proposiito, mi sembra di aver letto che lo stesso Google si appresta a separare l'utilizzo di serie-B, gratuito,
da quello di serie-A, a pagamento). In seconda battuta, viene anche il problema ricordato da Mario. Cioe' il COSA facciamo con la tecnologia, e
anche il COME lo facciamo. Ed e' giusto continuare a rifletterci perche' sono problemi dai forti risvolti etici e naturalmente si sovrappongono in
parte anche col problema della liberta' di cui sopra.
"Ti svegli e controlli l'e-mail nel tuo Ipad accanto al letto – ecco un'applicazione. Mentre fai colazione, apri Facebook, Twitter, e il New York
Times – altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast nel tuo smartphone. Un'altra applicazione. Al lavoro, dai un'occhiata ai
feed RSS nel loro lettore e comunichi con Skype e IM. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, torni a casa, ceni ascoltando Pandora, giochi con
la Xbox Live e guardi un film sul servizio di streaming di Netflix. Hai trascorso tutto il giorno su Internet - ma non sul Web. E non sei l'unico. Non
è una differenza di poco conto.
Negli ultimissimi anni, uno dei cambi più importanti nel mondo digitale è l'evoluzione dal Web aperto a piattaforme quasi chiuse che usano
internet per veicolare l'informazione, ma non usano il browser per la visualizzazione. Ciò è in primo luogo dovuto al successo del modello di
mobile computing iPhone, ed è un mondo in cui Google non può insinuarsi, e dove non regna l'HTML. Ed è il mondo che i consumatori scelgono
sempre di più, non perché rifiutino l'idea del Web, ma perché queste piattaforme specializzate spesso funzionano semplicemente meglio oppure
si adattano meglio alle loro vite (lo schermo va a loro, non devono andare loro allo schermo). Il fatto che sia più semplice per le imprese
guadagnare con queste piattaforme non fa altro che rafforzare il trend. Produttori e consumatori si trovano d'accordo: il Web non è il culmine
della rivoluzione digitale.
Dieci anni fa, l'ascesa del Web browser come centro del mondo informaticoappariva come qualcosa di inevitabile. Sembrava solo questione di
tempo perché il Web sostituisse i software applicativi dei PC e riducesse i sistemi operativi a "set di driver di basso perfezionamento" , come
notoriamente ha detto il cofondatore di Netscape Marc Andreessen. Prima Java, poi Flash, quindi Ajax, e dopo ancora HTML5 – un codice online
sempre più interattivo – promettevano di oscurare tutte le applicazioni e trasformare il desktop in un web top. Pubblico, libero, e fuori controllo.
Ma c'è sempre stato un percorso alternativo, che vedeva il Web come uno strumento valido, ma non come l'intera gamma di strumenti possibili.
Nel 1997, Wired pubblicò l'ormai famigerato articolo di copertina "Push!", nel quale si sosteneva che fosse l'ora di "dare il bacio d'addio al
browser". La teoria era che le tecnologie "push" come PointCast e l'Active Desktop di Microsoft avrebbero creato "un futuro radicalmente diverso
di media al di là del Web". «Di certo avremo sempre delle pagine Web. Abbiamo ancora le cartoline e i telegrammi, o no? Ma il centro dei media
interattivi – sempre di più, il centro di gravità di tutti i media – si sta spostando verso un ambiente post-HTML», assicurammo quasi 15 anni fa.
Gli esempi dell'epoca erano un po' sciocchi - uno spazio in 3D da realtà virtuale alla Furry-MUCK, e «i titoli delle notizie inviati a dei
cercapersone» - ma il punto fondamentale era nel complesso rivelatore: uno sguardo verso il futuro macchina a macchina in cui più che navigare
si tratta di prendere qualcosa".
(Chris Anderson, Wired.com, traduzione Il Sole 24 Ore)
Paolo Lapponi: "Il sogno di Dziga Vertov si realizzerà ogni giorno di più, man mano che la creatività dei pirati informatici sarà capace di
galoppare sull'ultima novità messa sul mercato dai padroni elettronici del pianeta."(Alberto Grifi, 2006) Alberto ci ha lasciati il 23 aprile 2007.
Paolo Lapponi: grazie Claudio, però anche i commenti (almeno il mio) arriveranno tardi, qui c'è da leggere e riflettere a lungo ... ma non credo ci
sia fretta ... semmai, au contraire, prima di dire sciocchezze ... a bientot :-))
Mario Esposito: Allora, prendo spunto da due autori - ossia Lawrence Lessig (2001, 2005) e Yochai Benkler (2007)- dei quali riprendo la
suddivisione di un QUALSIASI sistema di comunicazione in TRE STRATI o livelli e la possibile scelta tra APERTURA e CHIUSURA dello strato.
1° Livello: FISICO, riguarda il a) il trasporto ----> reti wireless e banda larga e b) le apparecchiature ----> standardizzazione, mercato dei
componenti.
2° Livello: LOGICO (Lessig lo chiama livello del codice), riguarda a) protocolli di trasmissione e b) il software.
3° Livello: CONTENUTO (è aperto ciò che non usa il "copyright", chiuso ciò che fa ricorso a brevetti e monopolio sui database, molto in sintesi).
Occorre poi inserire il concetto di COMMONS, ossia beni comuni, e COSA vogliamo che sia tale.
Se analizziamo la RETE (o se preferite il WEB che è lo stesso) attualmente qual'è il livello di apertura e di chiusura dei tre strati dell'Internet delle
applicazioni come Facebook, Twitter, e di quelle proprietarie di Google ecc.?
Occorre discutere su questo e se VOGLIAMO che ci sia un livello irrinunciabile di COMMONS oppure se "non ci frega una mazza" (scusate il
lessico, hehe) e basta che comunichiamo comodamente e "cazzeggiamo" nel tempo libero.
Spero di essere stato sintetico e chiaro :-)
Marco Faq ヅ : Questo passaggio dalla sintassi "canonica" a quella di "passeggio" sempre "vestita addosso", credo che era un passaggio
naturale..con l'App.store (Apple), non tanto il device.. i develompers hanno capito di cucire sul consumatore un ecosistema tout court da poter
accompagnare in tutta la giornata le sue scelte, la sua organizzazione sociale e i consumi.
Ma per farlo hanno dovuto le major inventarsi un nuovo codice, uno leggero, veloce senza "kernel".
Dimostrazione fu, che per la prima volta a Las Vegas S.Balmer presentò il primo tablet con windows 7 prima del Keynote di Apple che lanciò
iPad..cosa incredibile per un'azienda come Microsoft che non azzarda...infatti quel Tablet presentato non uscì mai..perchè aveva la sintassi usata
nelle piattaforme desktop o laptop..che non solo è elefantica e agganciata a delle API statiche..ma era sbagliato poter portare un Os pensato
dall'inizio per un consumatore "casalingo"..
L'Os Apple o Android è stato concepito per un consumatore attuale, che veicola i contenuti in modo LITE e senza miliardi di codice intersecanti
da dover stutturarsi in passaggi O/I noiosi e "perditempo"..
Mario Esposito: Vorrei invitarvi ad un'analisi dei tre livelli e dire per ognuno se sono aperti o chiusi, in modo che tutti possano capire.
Claudio Cannella: il quinto strato , che come ti dissi si chiama session e si preoccupa dei dettagli amministrativi, statistici e autorizzativi è per il
web essenzialmente aperto in quanto basato su HTTP e FTP e ODBC dove serve , e tutti questi sono standard interpiattaforma , e approvati dal
w3c che rigetta le tecnologie brevettate ritengo che le app più popolari come twitter , FB , myspace e linkedin a questo livello sino aperte ma non
esiste modo di saperlo , a meno di non andare a vvisezionare le loro API
nel caso del sistema applicativo descritto nelle mie note sarebbero invece chiusi , perchè l'accesso alle applicazioni che entrano nei DB è bloccato
dai protocoli proprietari qui però siamo ancora a quello che i tuoi autori chiamerebbero SW protocolli.
Per quanto attiene ai dati inerenti probabilmente ai database sia accede con ODBC e più faciklmente con mYSQL che con ADO [che ha qlc paio di
problemi] ma i dati possono essere proprietari e quindi i contenuti come dicono loro possono essere tanto chiusi quanto aperti chiusi
Graziano Terenzi: discussione di sicuro molto interessante... @Claudio Cannella: caro Claudio, stavo iniziando a pensare di aver perso la
memoria, in quanto mi hai attribuito un punto di vista che non ricordavo di aver espresso in questa sede. Poi mi sono accorto che le parole
attribuitemi sono di Gianluigi Colaiacomo in un post poco più sotto del mio. Ti prego di riguardare il mio post che in realtà ha posto solo il
problema dell'apertura/chiusura e ha sottolineato l'importanza di chiarire meglio i concetti sui vari livelli.
Claudio Cannella: nell sesto nel settimo strato - quello che loro chiamano SW e che ISO-OSI chiama incvese Presentation e APplication il SW è
per il web aperto basato su HTML e le tecnologie succedanee indicate sopra e tassativamente non proprietario {lo stesso w3c e ICANN [che è a
cosa più vicina ad un sisttema di censura ideologica che ci possa essere sulla rete con la sua facoltà di non assegnare gli spazi di indirizzi] hanno
provveduto a far annullare i brevetti su MP3 e sulla tecnologia hyperlink } mentre per le application è certamente più chiuso. allo strati che loro
pongono come successivo invece cioè i ,contenuti , che a mio avviso sono comunque inestricabilmente connessi con almeno gli ultimi 2 può
essere aperto come wiki e i trilioni di pagine pubbliche o chiuso a scelta dell'utente : chi condivide gratutiamente senza aspettrarsi vantaggi
economici li lascia aperti [anche quando il pizzicarolo è invece inesorabilmente chiuso] chi invece ha investimenti infrastrutturali e pubblicitari o
segreti di varia natura da proteggere da proteggere li chiude
le app tendono a far uso di contenuti aperti prooposti da altri ma essenzialmente a chiuderli ai loro utenti e ale loro metodologie e piattafornme
di accesso. almeno a me parrebbe così
Ossia, partendo dalla classificazione in TRE strati (al momento atteniamoci a quella), proviamo a scrivere motivando :
1° Livello: Facebook è aperto o chiuso ? e PERCHE'?
2° Livello: Facebook è aperto o chiuso? e PERCHE'?
3° Livello: Facebook è aperto o chiuso? e PERCHE'?
Poi andiamo avanti con tutti gli strati che vuoi, ma sarebbe utile partire da questa suddivisione per poi affrontare il discorso dei COMMONS.
Claudio Cannella : livello 3 - i contenuti sembrano implicitamente aperti , nel senso che devi garatire di non esigere e di non violare il copyright
e chiunque
livello 2 - il sw non è dato di saperlo a me pare sw è aperto nel senso di gratuito ma chiuso nel senso sttrettamente collegato alla piattaforma
flash e ai suoi propri schemi applicativi -
i protocolli sono aperti , standard e non proprietari escluso probabilmente la messaggistica interna fra FB e le app sue , ma bisognerebbe leggere
le API che danno per scrivere le applicazioni
livello 1 - fisico - aperto std e non prprietario
il web è aperto completamente sui duee livelli alti e opzionale sul terzo
Mario Esposito: Dopo un pò di riflessione, direi che il 1° Livello se andiamo sul wireless è su reti proprietarie (Vodafone, Telecom ecc.) e se
siamo su quelle fisse mi pare ancora peggio visto che se non sbaglio il grosso è ancora di Telecom. Quindi non è aperto (per aperto intendo ad
esempio le reti wireless municipali gratuite).
Il 2° Livello credo di non sbagliare dicendo che a livello di protocolli dovrebbe essere in gran parte "aperto", mentre offre spazi aperti e chiusi a
macchia di leopardo per quanto concerne il software (nel caso di Facebook tale livello mi sembra chiuso essendo un'applicazione proprietaria).
Il 3° Livello, quello del contenuto, direi che è anche qui a macchia di leopardo (un "arcipelago" di chiusure ed aperture) e che il copyright è
ancora molto diffuso nelle sue logiche classiche.
Per Facebook questo livello è sostanzialmente chiuso, in quanto da quel che mi risulta non siamo padroni dei contenuti che postiamo, tant'è che
ogni tanto spariscono o si viene bannati (da FB intendo).
Una mia prima conclusione provvisoria è che l'evoluzione del Web stia consistendo in un "trade off" tra utilità, semplicità e velocità delle
applicazioni da un lato (lato utente) e chiusura dei livelli di cui sopra ad opera dei proprietari (lato offerta) delle applicazioni (fermo restando che
l'infrastruttura, in Italia, è privata).
Considerata la predetta "usabilità", anche in mobilità, il comportamento medio delle persone è di impronta utilitaristica e non sembra essere
molto interessato alla NUOVA ECOLOGIA del Web, che non nasconde l'aspetto che dicevamo prima nel quale siamo tutti "mappabili" e quindi
"merce di scambio inconsapevole".
La cyber-relazione prevale sul COME si svolge e sul COSA implica a livello "politico".
Resterebbe quello che si chiama open-source ma che sinceramente mi sembra sia sempre più un'offerta di nicchia, almeno da quel che si
osserva.