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Capo Squadra
di Protezione Civile Veneto
Capo Squadra
Principi ed elementi di organizzazione
Versione 04/2010
CapoSquadra di Protezione Civile Veneto
Carissimi,
Ecco, l'intento di questa sorta di manuali e opuscoli proprio quello di agevolare e in-
centivare la formazione, la comunicazioni tra tutti, per questa grande famiglia, per que-
sta bellissima Comunit.
Buon lavoro!
Daniele Stival
Assessore alle Politiche dell'Identit Veneta, Protezione civile, Caccia e Flussi Migratori.
e-mail: assessore.stival@regione.veneto.it
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Capo Squadra di Protezione Civile Veneto - BASE - Ver.04/2010
CapoSquadra di Protezione Civile Veneto
CAPO SQUADRA
di Protezione Civile della Regione del Veneto
Sommario
Premessa 5
La Protezione Civile e il Volontariato 5
Lambito di attivit del Volontariato di Protezione Civile 8
Il CapoSquadra volontario di Protezione Civile 9
LOrganizzazione, il gruppo e il ruolo 9
Caratteristiche del ruolo da Capo Squadra 10
Conoscenze 10
Competenze 10
Leadership 10
Il pericolo, il rischio, la sicurezza 11
Analisi del rischio 12
Analisi delle fasi operative per il rilevamento di fattori di rischio 13
Controllo e gestione del rischio 13
Lavorare e soccorrere in sicurezza 15
Il Capo Squadra in emergenza 20
Strumenti e metodi per la gestione dellemergenza 20
POS Procedure Operative Standard 20
Il processo a 8 passi (P8P) 21
1. Controllo e gestione del sito 21
2. Identificazione dello scenario 22
3. Analisi dei pericoli e dei rischi 22
4. Valutazione delle procedure operative e delle misure protettive 22
5. Coordinamento delle informazioni e delle risorse 22
6. Realizzazione operativa dellintervento 22
7. Ripristino 22
8. Chiusura dellintervento 22
Scenari di intervento e attivit richieste 23
Emergenze idrauliche 23
Emergenze idrogeologiche 23
Fortunali, eventi meteo, nevicate eccezionali 23
Incendi boschivi 24
Manifestazioni con elevata affluenza di persone o problemi alla viabilit 24
Terremoto 24
Incidenti stradali, attivit industriali e trasporto sostanze pericolose 24
Leadership 29
Autovalutazione del ruolo di capo squadra 29
Capacit di comunicare 29
Capacit di lavorare in gruppo 29
Soluzione dei problemi 30
Gestione dei collaboratori 30
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CapoSquadra di Protezione Civile Veneto
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Capo Squadra di Protezione Civile Veneto - BASE - Ver.04/2010
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Premessa
Non sufficiente un corso per diventare CAPO SQUADRA, anzi Capo Squadra o come ci piace scri-
verlo: Capo Squadra; infatti non c' Capo senza Squadra, non c' Squadra senza Capo.
Non sempre i capi e le squadre si possono scegliere reciprocamente, anche se nel Volontariato pi
facile. Un capo e una squadra si vedono dai frutti che offrono e danno al territorio, agli altri e a loro
stessi. Se la squadra non si amplia, se il capo non vuole farsi da parte per far crescere qualcun altro, se
non si sta bene assieme, se non si hanno degli obiettivi chiari, allora potremmo dire che la Squadra e/o
il Capo non sono presenti.
Il Sistema di Protezione Civile un sistema articolato e complesso in cui i ruoli non sono ben definiti,
questo pu essere un vantaggio o un limite, certo una realt! Per crescere e fare sistema necessario
che ogni Organizzazione di Volontariato si dia delle regole e chiarisca a se e agli altri che ruolo vuole
avere nel Sistema di Protezione Civile. Le procedure del Sistema di Protezione Civile non sono codifi-
cate e questo genera una regola non chiara, anche se ogni Sistema, per essere tale, deve darsi delle Re-
gole sempre migliorabili attraverso delle Procedure, che devono diventare nel tempo e dopo attente ve-
rifiche delle Procedure Operative Standard.
Che direste se un impiegato del Comune di Venezia una mattina, di sua sponte, si presentasse a lavora-
re presso il Comune di Palermo? O un autista di un autobus di linea andasse a lavorare non prendendo
il bus della sua Azienda ma il primo che gli capita per strada? Certo una esagerazione!
Un Sistema per funzionare ha bisogno di regole, pi semplici sono, pi facilmente saranno accettate da
tutti; pi le regole sono condivise e pi sar facile che tutti le difendano, le tutelino e le migliorino.
Il Capo Squadra opera allinterno di questo Sistema e nellambito di queste "Linee Guida" cercheremo
di delineare il suo ambito di azione nella Protezione Civile, soffermandoci su cosa significa essere
Capo Squadra Volontario, quali requisiti opportuno avere e quali conoscenze, competenze e capa-
cit necessario sviluppare.
In questa versione di linee guida volutamente non verranno al momento trattate le materie ine-
renti alla sicurezza, in cui ogni Capo Squadra particolarmente coinvolto, in attesa che la Con-
ferenza Stato - Regione attribuisca e definisca puntualmente ruoli e ambiti di azione.
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stema e dall'altra avere chiare e definite "regole di ingaggio" all'interno e da parte delle Istituzioni pre-
poste al coordinamento e supervisione.
La funzione sociale del volontariato associato stata riconosciuta dallo Stato con la Legge Quadro sul
Volontariato (266/1991).
Con la legge istitutiva del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile (225/1992), alle Organizzazio-
ni di Volontariato stato riconosciuto il ruolo di "struttura operativa", in stretta connessione con le al-
tre componenti istituzionali (Vigili del Fuoco, Forze Armate, Forze di Polizia, ecc.).
Due anni dopo il quadro stato completato con la pubblicazione del Decreto del Presidente della Re-
pubblica del 21 settembre 1994, n. 613, che reca norme concernenti la partecipazione della associazio-
ni di volontariato alle attivit di Protezione Civile.
Le attivit di Protezione Civile definite dalla legge 225/1992 sono la previsione, la prevenzione, il soc-
corso e il superamento dellemergenza. A seguito della legge 401/2001 la Protezione Civile si occupa
anche di Grandi Eventi.
E' quindi chiaro individuare che le attivit che possono svolgere le Organizzazione di Volontariato di
Protezione Civile si collocano in un ambito di difficile perimetrazione e, soprattutto, in continua muta-
re, in funzione delle interpretazioni normative, della visione delle Istituzioni e dei responsabili
dellOrganizzazione, del territorio in cui lOrganizzazione opera, della storia dellOrganizzazione, dei
rapporti con Enti Pubblici, Privati, altre Organizzazioni di Volontariato, ecc.
Lambito di azione del Volontariato di Protezione Civile vasto e molto dipende dalla storia dell'Or-
ganizzazione a cui appartiene: dal soccorso socio-sanitario, alla logistica, passando per qualifiche e
professionalit in settori specialistici quali il soccorso alpino, la cinofilia, il soccorso subacqueo e
lantincendio boschivo.
Con la legge 225/1992 lItalia ha organizzato la Protezione Civile come Servizio Nazionale, al quale
concorrono le Amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, gli Enti pubblici nazio-
nali e territoriali, nonch molte altre istituzioni e organizzazioni pubbliche e private presenti sul territo-
rio nazionale. Al coordinamento di tutti questi soggetti provvede il Dipartimento Nazionale della Pro-
tezione Civile.Il modello di organizzazione basato sul principio di sussidiariet (confermato dalla
legge costituzionale 3/2001), definibile come linsieme di relazioni di mutuo aiuto finalizzate al rag-
giungimento del bene comune. In base a tale principio, il Sindaco, che rappresenta listituzione pi vi-
cina al cittadino, autorit comunale di Protezione Civile, ed quindi il primo responsabile del soc-
corso alla popolazione. Al verificarsi di unemergenza nellambito del territorio comunale assume la
direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione colpita, e provvede
agli interventi necessari, dandone comunicazione al Prefetto ed ai Presidenti di Provincia e Regione.
Se i mezzi a disposizione non sono sufficienti, il Sindaco chiede lintervento di altre risorse ai livelli
provinciale, regionale e nei casi pi gravi al livello nazionale.
Si tratta di un modello organizzativo che risulta particolarmente adeguato ad un territorio, come quello
italiano, che presenta una notevole variabilit territoriale, frammentazione ed unampia gamma di ri-
schi, anche se per funzionare richiede unelevata capacit di integrazione tra le diverse componenti.
La legge 225/1992, inserendo tra le attivit di Protezione Civile anche la previsione e la prevenzione,
non si limita a considerare solo le attivit conseguenti allaccadimento di un evento calamitoso, ma ri-
conosce limportanza dello studio e dellidentificazione dei rischi, nonch delle attivit volte ad evitare
o ridurre al minimo i danni conseguenti agli eventi stessi. La citata legge ha delineato un Sistema che
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deve integrare un vasto insieme di istituzioni ed organizzazioni pubbliche e private presenti nel territo-
rio, che operano quotidianamente in svariati ambiti della societ civile.
La Protezione Civile una istituzione poliedrica con una molteplicit di soggetti che agiscono a diver-
so titolo, potremmo dire che ciascun cittadino un volontario di Protezione Civile, in relazione al ruo-
lo che occupa nella societ, e concorre in misura maggiore o minore al raggiungimento degli obiettivo
in un sistema di diritti e dovere che il vivere nella societ civile e organizzata comporta. Potremmo de-
finire che la Protezione Civile incarna ed l'Educazione Civica a cui ogni cittadino deve ispirarsi e
contribuire in funzione del suo ruolo, competenze e capacit.
I cittadini hanno diritto e dovere di partecipare non solo al soccorso ma anche di interessarsi della pre-
venzione, educazione, formazione e informazione; tutto ci sono presupposti fondamentali per una ef-
ficace attivit preventiva e per un maturo sistema di Protezione Civile. Attraverso la partecipazione or-
ganizzata dei cittadini al soccorso, viene data attuazione pratica ai principi di autoprotezione, cono-
scenza e tutela del proprio territorio, ampiamente consolidati in alcune regioni italiane le Misericordie
di Firenze sono la pi antica istituzione privata di volontariato esistente al mondo, 1244, cos come
nelle regioni alpine e nei Paesi a nord delle Alpi lo sono i Vigili del Fuoco Volontari nati prima del
Corpo medesimo.
Dalle Organizzazioni di Volontariato di Protezione Civile i cittadini oggi non si aspettano solo gratui-
t, partecipazione e solidariet, ma anche conoscenze, competenze e capacit. Da qui la necessit di
"professionalizzare" anche i soccorritori volontari, orientando le attivit delle Organizzazioni al conti-
nuo miglioramento del livello di preparazione, partendo dallelemento fondante: il cittadino-volontario
e con particolare attenzione ai responsabili delle organizzazioni e ai capisquadra.
Il Capo Squadra deve aver la consapevolezza di:
- essere parte attiva di un Sistema nel quale lazione di ciascuno vale in relazione a quella degli altri
membri della squadra, dellorganizzazione, dellinsieme delle organizzazioni;
- occupare un ruolo che, nellambito del Sistema, non prevede di sostituirsi agli Enti preposti, bens
di supportarli e stimolarli alla collaborazione, denunciando nel caso, eventuali inadempienze;
- essere solidali: la solidariet un valore da manifestare nella vita di tutti i giorni, innanzitutto nei
confronti di chi conosciamo (coniuge, collega di lavoro, vicino di casa, collega volontario), e come
conseguenza, anche nei confronti delle persone che le circostanze ci portano a conoscere;
- essere competenti: volontario non sinonimo di incompetente, significa scegliere di fare qualcosa
senza ottenerne beneficio economico;
- doversi formare, attraverso lapprendimento delle regole del sistema (normative, procedure, or-
ganizzazione amministrativa) e delle tecniche operative;
- limiti propri, diritti e doveri;
- saper valutare le conseguenze delle proprie azioni, qualsiasi sia il ruolo occupato al lavoro, in fa-
miglia, nellattivit di volontariato, sapendosene assumere la responsabilit.
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Qualsiasi Organizzazione di Volontariato di Protezione Civile, sia essa Gruppo Comunale o Associa-
zione, per operare in armonia con le altre componenti del sistema, deve tener conto di una serie di
VARIABILI che ne determinano lambito di attivit. In relazione al modo con cui queste variabili
vengono considerate, lambito di azione pu ampliarsi o restringersi, richiedendo la conseguente capa-
cit di adattamento. Si segnalano le pi significative:
Quadro normativo: rappresenta linsieme delle regole entro cui qualsiasi soggetto, individualmente o
in forma associata, consentito muoversi.
Rapporti con le Istituzioni: sono una conseguenza del quadro normativo. Costruire e nutrire rapporti
con le Istituzioni consente allOrganizzazione di contribuire a quella rete di relazioni determinante per
il funzionamento di qualsiasi sistema.
Localizzazione geografica: lambiente in cui si vive ed opera condiziona notevolmente il tipo di attivi-
t da svolgere e le modalit con cui devono essere svolte.
Buon senso: caratteristico di ciascun individuo che compone lOrganizzazione. Potremmo definirlo
come sintesi di esperienze, principi, valori e ragione (intesa come facolt di pensiero). Aiuta a trovare
soluzioni a situazioni nuove e/o complesse. Richiede la capacit di fermarsi a pensare a ci che si sta
facendo o a ci che si deve fare. Vi concorrono senso del limite (consapevolezza del ruolo e delle
proprie capacit psico-fisiche), senso di responsabilit e senso civico.
Solidariet: assieme alla gratuit uno dei principi alla base dellimpegno nel volontariato, al fine di
rispondere ai bisogni di chiunque necessiti di un aiuto.
Competenza: ai principi fondanti del volontariato, oggi sempre pi va affiancata la competenza rispetto
allambito di azione. E possibile essere professionali (svolgere unattivit con competenza) senza es-
sere professionisti (svolgere unattivit retribuita economicamente). Il tempo che il volontario sceglie
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Le singole persone possono ricoprire pi ruoli che possono essere compatibili o generare conflitto. E'
la persona con la sua capacit di Leadership, che in stretta relazione con il ruolo, indica il comporta-
mento della persona e del gruppo.
Il ruolo il comportamento verso gli altri, che si esplicita in ogni posizione sociale. Quindi il ruolo esi-
ste solo negli ambiti di relazioni tra persone.
UnOrganizzazione di Protezione Civile e il Sistema stesso Nazionale, Regionale, Provinciale e Co-
munale necessita di ruoli ben definiti. E' importante conoscerli e far si che ciascun volontario venga
impiegato per ci che sa meglio fare, cos potr offrire le maggiori garanzie di riuscita nelle diverse
fasi e nelle diverse zone del contesto in cui sar chiamato ad operare.Caratteristiche del ruolo
da Capo Squadra
In via di principio generale ogni Capo Squadra dovrebbe avere tre caratteristiche: conoscenze, compe-
tenze e leadership.
Conoscenze
Il Capo Squadra deve avere chiari i contenuti delle:
Normative nazionali, regionali, di settore (sicurezza, ambiente, protezione civile, volontariato) per co-
noscere quali sono le responsabilit assunte in relazione al ruolo.
Tecniche relative ai settori di attivit, scenari, mezzi, attrezzature e tecniche di intervento.
Relazionali applicabili ai rapporti interpersonali (es. tra due volontari della stessa squadra), ai rapporti
interni al gruppo di appartenenza (tra volontari della stessa organizzazione), ai rapporti esterni al grup-
po. (es. altri Enti e Organizzazioni).
Competenze
Ci che necessario saper fare. Nel caso del Capo Squadra, il saper fare pratico (es. utilizzare
unattrezzatura, effettuare una manovra) propedeutico e deve essere orientato alla gestione della
squadra. In particolare il Capo Squadra deve saper:
- sostenere, agevolare, organizzare e coordinare la squadra;
- individuare le strategie necessarie per ottenere una squadra sinergica, che sia cio collaborativa e
competente;
- gestire la squadra, attraverso una sequenza di attivit definite ciclo della gestione:
1. Analizzare il problema e le competenze necessarie/disponibili
2. Assegnare un obiettivo
3. Programmare lattivit
4. Verificare (feedback, controllo, monitoraggio)
Leadership
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Riguarda il saper essere intesa come capacit di comprendere il contesto in cui si opera, di gestire le
interazioni con gli altri attori presenti nel contesto, di adottare i comportamenti appropriati. Sono es-
senzialmente capacit comportamentali ed interrelazionali.
Essere assertivi: lassertivit una capacit utile per laffermazione di se stessi e per la considerazione
del pensiero altrui. Si contrappone a stili comportamentali passivi o di aggressivi. Significa porsi da-
vanti ai collaboratori sapendo affermare se stessi, ma rispettando e giudicando adeguatamente, al tem-
po stesso, i punti di vista degli interlocutori.
Avere capacit di ascolto : significa saper ascoltare attivamente le considerazioni dei collaboratori in
merito ad eventuali discordanze o ad eventuali suggerimenti per il miglioramento, per poi stabilire e/o
ristabilire le metodologie di conduzione della squadra stessa.
Avere capacit motivazionale: significa saper valutare le reali capacit, le motivazioni e le attitudini
delle persone componenti la propria squadra, sia come potenziale lavorativo, sia come correlazione tra
i "bisogni" personali e i "bisogni" della squadra/organizzazione/sistema, al fine di collegare la soddi-
sfazione generata dai secondi con la soddisfazione dei primi e viceversa.
Essere comunicativi: significa riuscire a stabile un rapporto interpersonale con i collaboratori basato
sulla chiara trasmissione delle informazioni necessarie al corretto svolgimento dell'attivit richiesta.
Un efficace stile comunicativo comporta, inoltre, la possibilit di avere un adeguato feedback sulla
comprensione dei messaggi trasmessi.
Avere capacit decisionale: significa essere in grado di operare un'attenta analisi degli elementi a
disposizione, per poi effettuare le scelte pi idonee. Il processo decisionale comporta la capacit di
razionalizzare tutti i fattori concorrenti e di scegliere le strategie mirate al raggiungimento degli
obiettivi.
Avere capacit di risoluzione dei problemi: essere in grado di far fronte a situazioni "critiche" implica
una capacit di gestione del conflitto sia in merito alla guida delle risorse umane sia in merito alla ge-
stione dei compiti operativi nel processo di risoluzione del problema.
Da quanto detto ne deriva che il Capo Squadra non necessariamente il volontario pi forte fisi-
camente, il pi coraggioso, o quello che sa utilizzare il maggior numero di attrezzature e mezzi !
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Al termine Rischio sono associati significati diversi, per esempio uno di questi pu avvicinarsi mag-
giormente a considerazioni statistico-matematiche, in questo caso il Rischio un numero che quantifi-
ca il Pericolo, in base alla relazione:
Rischio = Frequenza x Magnitudo
Il Rischio una grandezza che consente di stimare - visto che in funzione della probabilit -
limportanza relativa allo specifico pericolo a cui associato.
Nellambito della Protezione Civile, con il termine Sicurezza si intende di norma la pratica attuazione
di tutte le misure possibili volta a ridurre il rischio come sopra definito.
Vi sono anche altri approcci metodologici, per esempio da un punto di vista sociologico, il termine Ri-
schio sinonimo di Perdita, Pericolo o Minaccia, ed strettamente collegato a situazioni di incertezza.
Nellambito sociologico si fa riferimento al concetto di accettabilit del rischio, che dipende dalla per-
cezione del relativo pericolo, e concorre a definire il cosiddetto rischio percepito.
Nella realt ogni Rischio considerato caratterizzato dai due valori, in molti casi le due valutazioni
sono discordanti: una come rischio statistico-matematico, chiamato anche come rischio oggettivo, e
l'altra come rischio percepito il quale a sua volta un rischio soggettivo.
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Il riferimento normativo il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008 coordina-
to con il D.Lgs 106/2009). Relativamente allambiente, le attivit di Protezione Civile possono svol-
gersi allinterno di edifici o strutture, o allesterno. Le attivit allesterno possono essere assimilabili ai
cantieri temporanei o mobili (art 29).
Un possibile schema di analisi dei rischi prevede lindividuazione dei rischi concreti in relazione ai se-
guenti fattori di rischio:
Se il livello di rischio stimato supera la soglia di accettabilit, si deve agire per ridurlo ad un livello ac-
cettabile, attraverso ladozione di misure di tipo preventivo e di tipo protettivo.
Ogni efficace azione preventiva e protettiva passa attraverso un analisi e controllo del Rischio, che de-
ve considerare attivit per attivit secondo un metodo e un criterio raffrontabili e misurabili. Tra i pi
semplici c' il Ciclo di Demming, che prevede:
P pianificazione (plan)
D esecuzione (do)
C verifica (check)
A realizzare delle azioni correttive, per eseguirlo nuovamente in modo pi corretto (act)
A P
C D
Ognuna delle quattro fasi sopra elencate sono importanti e fondamentali, tutte necessitano di:
preparazione preliminare (briefing);
analisi finale (de briefing).
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Nel grafico sono evidenziati i fattori che concorrono a determinare il rischio (frequenza e magnitudo),
due curve di isorischio, e il principio di azione delle misure di sicurezza.
La ricerca delle condizioni a minor rischio, quindi con maggior grado di sicurezza, si ottiene con inter-
venti mirati a diminuire lentit delle conseguenze (protezione) e la frequenza degli eventi pericolosi
(prevenzione).
Perci intendiamo con:
- Prevenzione: lattuazione di misure che riducono la frequenza (o la probabilit) .
- Protezione: lattuazione di misure che riducono la magnitudo.
Le misure preventive e protettive non sono alternative ma complementari. E complementari a queste
misure di sicurezza sono le misure di corretto esercizio, insieme di misure gestionali finalizzate ad evi-
tare che le misure protettive e preventive vengano vanificate.
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stessi, agli altri volontari, e alle persone eventualmente soccorse, che si aspettano invece aiuto, sicu-
rezza e conforto.
A tal fine fondamentale adottare le misure di sicurezza secondo una precisa gerarchia, individuata e
definita nella normativa in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, e diversificata in relazione
allefficacia e allonere conseguente.
1. Dare sempre la precedenza alla attuazione delle misure di riorganizzazione del lavoro ovvero di
quelle misure gestionali di riorganizzazione della attivit finalizzate ad evitare lesposizione ad un ri-
schio dei lavoratori, eliminando quelle situazioni di pericolo che lo vengono a determinare (ad es. se
dallanalisi di rischio di uno stabilimento emerge che per lo spostamento manuale di alcuni materiali
necessari al ciclo produttivo, il percorso che svolgono gli addetti li espone al rischio di investimento da
parte di carrelli elevatori, si pu cercare di cambiare il percorso con un altro che evita lincrocio tra
operai e macchina). Si tratta di misure che spesso richiedono una pesante revisione riorganizzativa del-
la attivit (a volte non possibile), ma in quanto a efficacia sono al primo posto considerato che, con la
loro adozione i pericoli e quindi i rischi vengono di fatto ad essere eliminati del tutto.
2. Se tuttavia le prime non sono applicabili occorre mettere in pratica tutte le possibili misure tecni-
che di prevenzione collettiva, ovvero quelle misure che agiscono su tutto lambiente di lavoro, ridu-
cendo il fattore probabilit di accadimento dellevento calamitoso. Sono per lo pi dispositivi di sicu-
rezza, attrezzature di lavoro, macchine od impianti intrinsecamente sicuri (ad es. linterruttore diffe-
renziale e limpianto di messa a terra negli impianti elettrici, il battitacco fermapiede sui piani di un
ponteggio). Sono misure considerate efficaci poich si pongono nellottica del vecchio proverbio:
prevenire meglio che curare , anche se lasciano comunque spazio ad un rischio residuo in termi-
ni di probabilit di accadimento dellevento stesso. Sono misure disciplinate dal punto di vista legisla-
tivo vigente
3. Quasi parallelamente si deve dare attuazione anche allinsieme di tutte le possibili misure tecniche
di protezione collettiva, ovvero quelle misure che agiscono su tutto lambiente di lavoro, riducendo il
fattore magnitudo (conseguenze di accadimento) dellevento calamitoso temuto. Possono essere misu-
re di protezione attiva se per realizzarsi necessitano dellattivazione da parte delluomo o di un impian-
to (es. un impianto idranti o un impianto spinkler antincendio automatico), o passiva se sono sempre
presenti e normalmente coincidono con dispositivi (es. la mantovana parasassi in un ponteggio) o me-
todologie costruttive dedicate ( quali la protezione al fuoco delle strutture, costruzioni antisismiche,
materiali a reazione al fuoco predeterminata, ecc.). Sono misure considerate meno efficaci delle prece-
denti poich non evitano il problema a monte, ma lo fronteggiano se si manifesta, ponendosi nellottica
a vaso rotto . Anche queste lasciano spazio ad un rischio residuo, in termini di magnitudo attenua-
ta; in tal senso, pur se subordinate alle misure di prevenzione in termini di efficacia potrebbero consi-
derarsi complementari delle stesse poich concorrono comunque alla riduzione del rischio su tutto
lambiente lavorativo. Sono misure disciplinate dal punto di vista legislativo
4. Solo quando siano state messe in pratica tutte le misure di sicurezza precedenti, allora possono e
devono essere messe in atto tutte le possibili misure tecniche di protezione individuale comune-
mente indicate anche come Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) ovvero linsieme delle mi-
sure di protezione spostate sullindividuo, in grado di proteggerlo dal rischio residuo accettabile rima-
sto dopo ladozione delle misure di riorganizzazione del lavoro, di prevenzione e protezione collettiva.
Utilizzando lesempio del cantiere, lelmetto un dispositivo di protezione individuale che integra, e
non sostituisce, la mantovana del ponteggio. Lelmetto potr salvaguardare loperaio dal rischio resi-
duo di pietrisco che sfugge alla mantovana o di una chiave inglese che possa piombargli in testa du-
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rante la fase di allestimento del ponteggio, ma non dal rischio totale per cui le mantovane vengono al-
lestite. Perci queste misure sono considerate integrative o supplementari delle precedenti e non sosti-
tutive!
5. Allo stesso livello devono essere prese in considerazione le misure tecniche di prevenzione indi-
viduale comunemente indicate anche come Cartellonistica di sicurezza, ovvero l insieme dei se-
gnali visivi di avvertimento, prescrizione e divieto finalizzati a fare evitare allindividuo di correre un
pericolo. Servono a prevenire il rischio residuo accettabile lasciato dalle misure di prevenzione e pro-
tezione collettive o di riorganizzazione del lavoro. Possono considerarsi complementari ai D.P.I., sup-
plementari di quelle collettive e sono disciplinate dal punto di vista legislativo.
6. Ultime ma non ultime, le misure di corretto esercizio (o gestione della sicurezza), sono com-
plementari a tutte le misure di sicurezza viste. Sono linsieme delle misure gestionali finalizzate ad evi-
tare che le misure sopra individuate vengano vanificate; il migliore sistema di sicurezza di una attivit
pu infatti venire vanificato da uno scorretto esercizio della stessa; ad es. quante volte abbiamo visto
delle zeppe di cartone sotto le porte taglia fuoco per lasciarle aperte ? O quante volte negli impianti e-
lettrici mal condotti viene escluso linterruttore differenziale che scatta troppo ? Quindi il corretto e-
sercizio, ai fini della sicurezza, si realizza sempre e comunque mediante la realizzazione di tre condi-
zioni:informazione del personale sui rischi lavorativi, formazione sulla esistenza delle misure di sicu-
rezza e sulle loro caratteristiche, addestramento alluso delle stesse;manutenzione delle misure di
sicurezza;gestione delle emergenze condotta in modo pianificato.
Lapplicazione di questi concetti allambito del volontariato di Protezione Civile deve tener conto delle
sue peculiarit, che riguardano essenzialmente un generico e variegato ambito lavorativo non retribui-
to, assimilabile a quello dei soccorritori professionisti (Vigili del Fuoco, Soccorso Sanitario, etc.), a-
vendo la consapevolezza che tranne alcuni specifici settori di intervento, il fattore tempo non rappre-
senta un condizionamento analogo a quello sopportato dai soccorritori professionisti.
Pertanto, mantenendo valido lapproccio concettuale sopra illustrato, con molta probabilit dovremo
ridurre la tipologia di misure di sicurezza, mantenendo lordine di priorit:
1. misure di riorganizzazione del lavoro, che nelle attivit di soccorso vengono definite procedure di
intervento. Quando sono dettagliate per particolari scenari di intervento parliamo di Procedure
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Operative Standard (P.O.S.), insieme di misure ed accorgimenti procedurali volti ad evitare, pos-
sibilmente del tutto, lesposizione al rischio proprio del particolare intervento di soccorso;
2. misure tecniche di prevenzione collettiva che in genere nellambito di interesse si limitano
alluso di attrezzature e di macchine intrinsecamente sicure: a tal fine fondamentale l individua-
zione e la corretta scelta;
3. misure tecniche di protezione individuale (D.P.I.), da intendersi sempre come misure residuali,
anche se nel caso del soccorritore presentano una importanza maggiore ai fini della conduzione
dellintervento, ed in alcuni casi sono addirittura determinanti ai fini della soluzione positiva dello
stesso al pari delle procedure. Nellambito del soccorso i D.P.I. sono simili a quelli adottati dal la-
voratore comune, ma se ne differenziano per alcuni aspetti peculiari. Tra questi la polivalenza con-
seguente alla molteplicit di scenari di intervento, che porta ad ipotizzare la presenza contempora-
nea di pi rischi, da qui la prevalente natura multirischio delle dotazioni personali (es. confronto
tra requisiti di protezione previsti per un elmetto standard per lindustria EN397 e un elmetto per
soccorritore EN443) e la necessit di conciliare sufficiente protezione con sufficiente operativit
(es. i guanti per soccorritori EN659 devono possedere anche un valore minimo di destrezza)
Vediamo qualche esempio per capire come la gerarchia sopra delineata tra i vari tipi di misure di sicu-
rezza sia sempre valevole anche nel campo del soccorso.
Nelle operazioni di spegnimento degli incendi boschivi procedura assodata quella di attaccare
lincendio con il vento alle spalle e mai sotto vento, e di lasciarsi sempre margini di fuga in caso di
cambiamento del vento, nonostante i D.P.I. in dotazione (tuta, casco, guanti, scarponi, occhiali, ma-
schera, cinturone).
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Nel caso di un fabbricato lesionato, con una parte pericolante, procedura assodata provvedere alla
sua preventiva messa in sicurezza mediante puntellamento provvisorio con cristi, prima di accedervi, e
poco potrebbe fare un escavatore o il casco in caso di cedimento improvviso dei solai.
In caso di interventi di svuotamento di locali allagati, sempre buona procedura togliere la corrente al
locale prima di procedere a qualsiasi operazione.
Durante un soccorso in altezza bisogna sempre attenersi alle procedure di manovra codificate nei ma-
nuali di specializzazione che prevedono luso di corda di lavoro e corda di sicura altrimenti a poco ser-
virebbero i dispositivi anticaduta se pure indossati.
E evidente, da quanto esemplificato, la differente efficacia tra i vari tipi di misure e la preminente im-
portanza comunque delle procedure che non possono mancare e da cui non si pu prescindere durante
un intervento di soccorso anche avendo a disposizione il migliore equipaggiamento possibile in termini
sia di attrezzature e macchine che di D.P.I.
Sintetizzando quanto sino ad ora detto, alla base del soccorrere in sicurezza c la conoscenza, il
possesso e lutilizzo, in tutti gli ambiti di attivit delle seguenti misure di sicurezza, secondo lordine di
priorit sotto riportato:
1) Procedure codificate
2) Attrezzature e mezzi adeguati e sicuri
3) Dispositivi di Protezione Individuale adeguati
Vediamo dunque che le principali misure di sicurezza del soccorritore sono anche i suoi principali
strumenti di lavoro!
Anche per il soccorritore infine valgono le misure di corretto esercizio che si risolvono fondamen-
talmente nelle seguenti condizioni:
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- sono obbligatorie;
- vengono applicate a tutte le situazioni;
- sono integrate nel modello gestionale.
Contenuti:
- funzioni base di comando, incluso un metodo standard per l'assunzione e la continuazione
dell'azione di comando;
- metodo per dividere le responsabilit di comando attraverso la delega di aree e funzioni a re-
sponsabili di settore;
- aspetti delle comunicazioni e dellinvio delle squadre;
- sicurezza sull'intervento;
- linee-guida che stabiliscono e descrivono le priorit tattiche e le relative funzioni di supporto;
- metodo standard per il dispiegamento iniziale delle unit;
- descrizione delle responsabilit e delle funzioni delle varie squadre.
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Nel caso in cui la squadra giungesse per prima sul luogo, allontana le persone non coinvolte
dallevento, delimita il cantiere di soccorso e ne chiude laccesso dallesterno.
2. Identificazione dello scenario
Lobiettivo di questo passo e capire lo scopo dellintervento e descriverne lo scenario. I soccorritori
raccolgono le informazioni necessarie osservando lo scenario con i cinque sensi, ascoltando le testi-
monianze dei presenti, fotografando, prendendo appunti, consultando eventuali documenti, effettuando
misure.
3. Analisi dei pericoli e dei rischi
Lobiettivo di questo passo individuare e classificare i pericoli presenti, attraverso la valutazione dei
rischi, che dovr essere aggiornata ad ogni variazione di scenario, per tener conto dei rischi evolutivi.
4. Valutazione delle procedure operative e delle misure protettive
Nel quarto passo il rischio evidenziato per ciascun evento pericoloso viene confrontato con quella che
si ritiene la soglia di accettabilit del rischio per loperatore. Per ciascun evento rischioso che supera la
soglia di accettabilit, il Capo Squadra valuta la possibilit di prevenire il rischio, per ridurlo ad un li-
vello accettabile, creando o scegliendo la procedura operativa pi opportuna (anche tra quelle gi
standardizzate come le POS). Nella realt non esiste una procedura operativa che consente di ridurre
tutti i rischi ad accettabili, e qualsiasi scenario presenta del rischio residuo contro il quale gli operatori
devono essere protetti.
5. Coordinamento delle informazioni e delle risorse
Questo passo evidenzia limportanza di disporre un sistema di comunicazione efficiente tra i membri
della squadra, tra la squadra e le altre strutture che operano nello scenario, con le strutture esterne.
6. Realizzazione operativa dellintervento
Terminata la pianificazione si passa alla realizzazione dellintervento secondo quanto pianificato nelle
fasi precedenti.
7. Ripristino
E il passo attraverso il quale si riporta il personale, le attrezzature i mezzi e lambiente alle condizioni
di normalit.
8. Chiusura dellintervento
Lintervento si chiude dopo aver completato gli adempimenti formali, che di norma prevedono la co-
municazione allOrganizzazione di appartenenza (o allEnti coordinatore) e la relazione di intervento.
Questo passo comprende anche la riunione degli operatori per la revisione critica dellintervento e del-
le procedure impiegate (de briefing). In questa fase ci si domanda: perch certe scelte? la valutazione
dei rischi stata corretta? vi stata sottovalutazione?, stata tutelata al sicurezza degli operatori? si sa-
rebbe potuto fare meglio?.
Il de briefing la migliore occasione per esprimere soddisfazione per il risultato ed apprezzare
lopera dei volontari.
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Emergenze idrauliche
In occasione di emergenze idrauliche (alluvioni, esondazioni) le attivit richieste al volontariato varia-
no in relazione alla fase di intervento, avvengono sempre in supporto allente preposto (Autorit di Ba-
cino, Genio Civile, Consorzio di Bonifica, Servizio Forestale Regionale, Comune, Vigili del fuoco), e
possono riguardare:
- il monitoraggio di aste idrauliche (fiume, torrente) o specchi dacqua (lago, bacino);
- il rinforzo di tratti arginali mediante saccate, telonate o coronelle;
- linformazione e lassistenza alla popolazione interessata;
- lo svuotamento di locali o aree allagate;
- la rimozione di fango e detriti dai locali interessati e relativa pulizia.
Emergenze idrogeologiche
In occasione di emergenze idrogeologiche, tipicamente frane, le attivit richieste al volontariato varia-
no in relazione alla fase di intervento, avvengono sempre in supporto allente preposto (Servizio Geo-
logico Regionale e/o Provinciale, Servizio Forestale Regionale, Comune, Vigili del fuoco), e possono
riguardare:
- il monitoraggio del corpo franoso;
- la realizzazione di opere di protezione sommaria, su indicazione dei tecnici preposti;
- linformazione e lassistenza alla popolazione interessata;
- la rimozione di fango e detriti dai locali interessati dal movimento franoso.
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Incendi boschivi
In Veneto lattivit di prevenzione e spegnimento degli incendi boschivi effettuata anche da Organiz-
zazioni di volontariato convenzionate con la Regione, che ne coordina lattivit attraverso la Direzione
Regionale Foreste ed Economia Montana ed i periferici Servizi Regionali Forestali. Ai volontari delle
Organizzazioni convenzionate, impartita una formazione specifica e continua che riguarda le attivit
di prevenzione, monitoraggio, spegnimento e bonifica.
Terremoto
In occasione di eventi sismici le attivit richieste al volontariato variano in relazione alla gravit delle
scosse e al momento in cui inizia ad operare lOrganizzazione rispetto al verificarsi di scosse che pro-
vocano danni. Ad eccezione di squadre specializzate (cinofilia, soccorso sanitario, rilevamento danni) i
volontari saranno impiegati prevalentemente in attivit di supporto:
- amministrativo, logistico e tecnico per lallestimento e gestione delle aree di accoglienza e ricovero
della popolazione;
- amministrativo, logistico e tecnico alle strutture temporanee di coordinamento attivate
(Di.Coma.C, C.C.S., C.O.M. C.O.C.);
- tecnico specializzato al personale dei Vigili del fuoco nella realizzazione di opere provvisionali per
la messa in sicurezza degli edifici.
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- Sindaco e struttura comunale di Protezione Civile per informare la popolazione, distribuire generi
di conforto, organizzare ricoveri alternativi
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Esercitazioni pratiche
Le esercitazioni pratiche mirano a verificare le capacit dellaspirante Capo Squadra nel dirigere la
squadra nellambito del tema assegnato. Sono stati predisposti quattro scenari operativi:
Svolgimento
Le quattro esercitazioni vengono ripetute per sei volte in modo che ciascuno possa svolgere il ruolo di
Capo Squadra.
Lesercizio inizia con lassegnazione al Capo Squadra della busta contenente lo scenario operativo
ed i nomi dei componenti la squadra.
Ciascun Capo Squadra pu individuare un vice
Per ogni esercizio c un istruttore e un osservatore.
Sequenza suggerita
1. Organizzazione della squadra (chiamata)
Raccolta informazioni utili (riferimenti per giungere sul posto/altri contatti)
Ceck list dei materiali da utilizzare/caricare nellautomezzo
Compilare modulo accreditamento per S.O .
2. Ricognizione e organizzazione (ciclo di gestione)
Analisi del problema
Assegnazione obiettivi
Programmazione attivit
Verifica (in corso dopera)
3. Gestione rapporti con S.O. e altre organizzazioni presenti (istituzionali e/o volontarie)
4. Gestione dellintervento: spiegare alla squadra
5. Conclusione e recupero materiali
6. Redazione di rapporto finale di intervento ed eventuale relazione
Consigli
In tutte le fasi va posta attenzione alla sicurezza dei componenti la squadra.
Va fatta una rapida analisi dei rischi con verifica delle condizioni di sicurezza e dei fattori che la mi-
nacciano.
Nel caso vanno predisposte ulteriori misure organizzative, protettive e/o preventive.
Particolare attenzione va posta ai cambi di stato e alle nuove situazioni.
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Losservatore
Losservatore incaricato di esaminare criticamente lazione del Capo Squadra (e della squadra) con
attenzione particolare a:
- gestione risorse finalizzata al raggiungimento dellobiettivo
- direzione e sequenza di intervento
- sicurezza
A conclusione dellesercizio effettuer il suo intervento.
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Leadership
Capacit di comunicare
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1. Saper cogliere gli elementi essenziali del problema per proporre la soluzione pi adeguata
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2. Organizzare e pianificare la propria attivit e quella dei collaboratori, fissando le priorit e le risorse
necessarie
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Fattori motivanti
Linee guida per creare un buon clima, nel quale si sviluppi efficacemente la motivazione:
E chiaro che il capo la chiave del processo motivazionale. E lui a identificare gli stimoli motivazio-
nali dei propri dipendenti e a offrire opportunit e mezzi per aumentare certe soddisfazioni. Oltre ai
fattori motivanti gi elencati, il responsabile funzionale deve fare uso di:
Suggerimenti
Riconoscimento
Elogi
Coinvolgimento
Delega
Suggerimenti
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chi riceve i consigli. Una comunicazione franca, onesta, nel processo di assistenza e consulenza co-
struir fiducia e un rapporto di rispetto tra il responsabile e i suoi uomini.
Riconoscimento
Elogi
Gli elogi (che dovrebbero essere specifici e non generici, perch altrimenti possono sembrare falsi)
sono una forma di riconoscimento personale e possono essere daiuto ad aumentare soddisfacimento di
stimoli quali: sicurezza, armonia, riconoscimento, affetto accettazione.
Coinvolgimento partecipazione
Quanto pi ogni persona coinvolta in una gamma di funzioni ampia, particolarmente quelle di note-
vole interesse, tanto pi elevato ne sar limpegno a raggiungere mete e obiettivi.
Le riunioni costituiscono un terreno eccellente per sviluppare la partecipazione.
Delega
La delega per svolgere dei compiti o portare avanti dei progetti pu servire ad accrescere limpegno e
la motivazione, specialmente per le persone che hanno forte esigenza di essere coinvolti e di essere at-
tivi.
Lo stile del capo viene influenzato dal modo in cui egli percepisce la capacit dei suoi collaboratori di
capire gli argomenti sul tappeto e di fare osservazioni costruttive in merito a essi: alcuni responsabili
funzionali credono sempre di essere solo loro i migliori giudici delle azioni eseguite e che i loro subor-
dinati non desiderino essere coinvolti nei processi di pianificazione o presa delle decisioni. Quando
deve decidere chi fare intervenire nel processo decisionale, il capo dovrebbe porsi una serie di doman-
de di questo genere:
Di chi il problema?
Ho lautorit di decidere e agire?
C il tempo per comunicare o consultarsi?
Ci sono dei modi alternativi di comportarsi?
Chi altri ha informazioni, conoscenze o esperienza tali da poter contribuire a una valutazione delle
alternative?
Chi altri si sta impegnando con coinvolgimento, partecipazione, azione o decisione?
Chi potrebbe trarre vantaggio o soffrire da qualsiasi tipo dazione?
Chi si potrebbe avvantaggiare da unesperienza di coinvolgimento in un processo di presa di deci-
sioni gestionali (come esercizio addestrativo)?
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Questo sistema di auto-interrogazione potrebbe aiutare il capo a spostarsi da uno stile di comando au-
toritario e ad aumentare limpegno dei suoi collaboratori nellazione e verso i risultati.
La sigla MICRO potrebbe riassumere il compito di un responsabile funzionale:
Impegno di ogni membro della squadra in attivit e decisioni che portino al raggiungimento di mete e
obiettivi comuni.
Riconoscimento della necessit degli individui e dei loro contributi individuali al raggiungimento di
mete e obiettivi comuni.
Orientamento di ogni partecipante al gruppo in modo che egli conosca e comprenda i propri doveri,
ruolo, lavoro, responsabilit e relazioni.
La valutazione
La chiave di una leadership efficace consiste nellindividuare il livello di maturit della persona, o del
gruppo, che si sta tentando di influenzare, e nel mettere quindi in atto lo stile di leadership pi
adeguato.
Maturit culturale
Strategia
Valori
Simboli
Maturit organizzativa
Flessibilit
Apprendimento
Autogestione
Maturit psicologica
Motivazione
Partecipazione
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Disponibilit
Maturit lavorativa
Istruzione
Esperienza
Competenza
Il secondo motivo insito nella natura umana. Per varie ragioni analizzare la definizione degli obiettivi
un esercizio difficile, soprattutto perch nella formulazione mentale dellobiettivo si ha spesso la
percezione che sia completo e ben strutturato.
Nellaffidare poi gli obiettivi ai collaboratori e nellindividuarne la fattibilit si incontrano difficolt
che rendono necessaria una revisione degli obiettivi stessi.
La definizione chiara di obiettivi precisi un presupposto irrinunciabile, soprattutto quando si re-
sponsabili dei risultati dellattivit di altri.
Questa corretta formulazione deve ovviamente comprendere sia gli obiettivi per i collaboratori che
quelli che riguardano se stessi.
Gli obiettivi per entrambi i destinatari devono essere contenuti in un quadro pi generale, che contenga
il risultato globale e che renda la verifica del lavoro indiscutibile e non soggettiva.
Sia nellabito della sfera privata che nel percorso professionale o di volontariato, lobiettivo deve tro-
vare la giusta armonia tra il desiderio e la valutazione della sua fattibilit.
Il desiderio, per sua natura, tende a non essere completamente raggiungibile o non del tutto soddisfa-
cente nel momento del suo raggiungimento. Tuttavia la molla emotiva tra le pi forti e determinanti
tra quelle che determinano lazione. Spesso nasce da pulsioni forti e inconsce che interferiscono sulla
visione oggettiva della possibilit del suo esaudirsi.
Il leader deve essere colui che rende il desiderio oggettivato e confrontato con la realt, formulando gli
obiettivi nellambito di ci che possibile realizzare.
Gli obiettivi dellorganizzazione sono quelli che questa stessa fissa agli individui che la compongono o
quelli che questi ultimi si fissano per il bene di essa.
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Gli obiettivi personali sono quelli che lindividuo si fissa nel proprio interesse, e che lorganizzazione
di profitto gli lascia perseguire, eventualmente utilizzandoli a suo vantaggio: aumento di stipendio o di
responsabilit, prestigio, ecc.
Nellambito del volontariato gli obiettivi personali possono contribuire allo sviluppo
dellorganizzazione, quando questi sono allineati con i valori e i comportamenti dettati dalla struttura
stessa; possono essere invece fonte di demotivazione quando, se prioritari per il volontario, non venga-
no raggiunti (necessit di legami profondi ed esclusivi, senso di utilit, senso di appartenenza, ecc) o
perfino nocivi allorganizzazione (protagonismo, ambizione di comando, necessit di approvazione in-
condizionata, ecc.)
Nel mondo del volontariato il leader ha il compito non facile di riportare sempre gli obiettivi indivi-
duali e di gruppo agli aspetti generali e ai valori condivisi, affinch i traguardi personali non siano di
ostacolo, e di renderli sempre aderenti alla realt.
Un altro chiarimento doveroso si basa sulla distinzione tra obiettivi parziali e generali.
Estendiamo lesempio precedente alla serie di classici problemi che emergono in ambito organizzativo:
ritardi, assenteismo, mancanza Di partecipazione, ecc. Solitamente si cercano soluzioni separate a cias-
cuno di questi problemi: si metter un orologio preciso per eliminare i ritardi, si stabiliranno esclusioni
e si assumeranno atteggiamenti di rifiuto o di rabbia. Sarebbe molto pi conveniente far rientrare que-
sti problemi particolari in altri pi generali e di passare cos dai sintomi alla sindrome.
Un medico, in effetti, non considera separatamente la febbre, il dolore e linfezione; ciascuno di questi
problemi non per lui che un sintomo che si colloca in un quadro, una sindrome che definisce un pro-
blema pi generale, una malattia. Questa visione allargata dei problemi porta ad una definizione di-
versa dellobiettivo o anche semplicemente ad una formulazione in termini di obiettivi e non soltanto
di problemi. Nel caso precedente, molto probabile che la sindrome da diagnosticare quella della
motivazione. Lobiettivo ne deriva direttamente.
Parleremo qui di obiettivi qualitativi, essendo gli obiettivi quantitativi gi definiti molto bene nella
maggioranza dei casi. Definiremo gli obiettivi qualitativi come tutto quello che d un senso al lavoro
delle persone Dove va lorganizzazione? Che finalit persegue? Qual la sua strategia generale? Qua-
li sono gli obiettivi del servizio e in che quota concorrono alla realizzazione degli obiettivi generali?
Quali sono gli obiettivi del singolo e come concorrono a loro volta alla realizzazione di obiettivi pi
globali?
La definizione degli obiettivi d un senso al lavoro delle persone a pi livelli e in vari modi.
A poche persone piacciono quelle attivit disordinate che danno limpressione seccante che si lavori
per niente, che il lavoro non si collochi in unottica di sviluppo ordinato. Ora, mentre le attivit private,
il bricolage, il giardinaggio per es., hanno una finalit precisa, nelle organizzazioni importanti, tale fi-
nalit tende ad essere indefinita (lavoro a catena). Diventa allora necessario mostrare agli individui che
il loro lavoro si inserisce in un insieme di attivit che hanno precise finalit.
Il secondo vantaggio della definizione chiara di obiettivi generali, da cui si deducono ad ogni livello
obiettivi pi dettagliati e pi personalizzati, consiste nel fatto che si rendono i rapporti tra superiori e
subordinati imparziali, si sdrammatizzano e si riconducono a un gioco le cui regole sono chiare, note e
in pi accettate dalle due parti. In effetti, permettono ai subordinati di conoscere su cosa saranno giudi-
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cati, perch queste definizioni presuppongono anche la prescrizione di un sistema di feedback (positivi
e negativi) relativamente allobiettivo. E fin troppo evidente, in effetti, che, se i compiti di ciascuno
sono mal definiti, perch mal integrati in un quadro complessivo, non assolutamente possibile avere
un sistema di giudizio determinato.
Quanto agli obiettivi propri di ciascuna persona, possono essere imposti, discussi o negoziati. E molto
facile imporre o discutere gli obiettivi quantitativi, perch i criteri di giudizio possono essere anchessi
quantitativi. Risulta molto pi difficile, per, per gli obiettivi qualitativi, non solo perch alla fine non
si pu quantificare tutto, ma perch gli obiettivi sono sovente a lungo termine e il loro grado di realiz-
zazione non misurabile direttamente a breve e a medio termine. Occorre qui passare attraverso indi-
catori, cio altri parametri misurabili, che subiscono le stesse variazioni delle variabili non misurabili.
Tali indicatori sono evidentemente sempre discutibili. Occorre pertanto che siano accettati dalle due
parti.
Una negoziazione di obiettivi non deve daltra parte concludersi in un mercanteggiamento, con ciascu-
no che parte da posizioni troppo estreme per fare concessioni.
Il feedback positivo
Volendo fare un tentativo di raggruppare i modi pi efficaci per trattare con i collaboratori, potremo
ricavare alcune regole:
Queste cinque regole rappresentano la ricetta ideale del feedback positivo, che rappresenta un elemen-
to determinante nel comportamento del supervisore nella gestione delle risorse umane. Gestire le rela-
zioni umane, infatti, non una questione di semplice buon senso, non sufficiente seguire listinto.
Ogni collaboratore affronta le situazioni a modo suo e secondo sue proprie motivazioni, ci significa
che per gestire efficacemente le relazioni umane occorre prima capire perch la gente agisce in un cer-
to modo, e poi cercare di prevedere che cosa far.
Le motivazioni e le esigenze personali sono i fattori che condizionano il comportamento della gente,
conoscere queste esigenze aiuta chi si deve occupare di motivare le persone.
Se i complimenti dei superiori vi mettono a disagio, il caso di riesaminare i messaggi ricevuti in gio-
vent. Molto spesso questi messaggi tendono a convincere i ragazzi ad essere modesti e che non sta
bene vantare i propri meriti.
Messaggi di questo genere non solo sono dannosi alla stima e allimmagine di s, ma inducono anche a
ritenere sconveniente accettare complimenti e lodi. Quando si insegna ai ragazzi a respingere i com-
plimenti dichiarandoli immeritati o mostrandosi imbarazzati, si ottiene come risultato di mettere in im-
barazzo anche lautore del complimento, che si convince di aver detto qualcosa di sconveniente.
Sono questi alcuni dei motivi che stanno alla base della diffusa riluttanza a dare e a ricevere il feed-
back positivo.
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Ecco alcune frasi che si possono usare come risposta a dei complimenti. E evidente che almeno un
sorriso o un cenno di assenso si deve dare. Se necessario, esercitatevi a queste riposte con un amico o
collega.
Ringraziare sempre.
- La ringrazio apprezzo il suo complimento
- Grazie, mi fa piacere sentirglielo dire
- Grazie, sono contento che labbia notato
- Grazie, lo penso anchio oppure piaciuto anche a me
- Grazie - e poi ripetere, a titolo di conferma, quanto ci stato detto
Il rapporto gerarchico
Spesso ci domandiamo: Ma perch il mio capo non si complimenta mai con me per un lavoro ben fat-
to? La ragione principale che i vostro capo troppo occupato a scoprire gli errori per poterli correg-
gere, cos pronto solo a criticare e a rimproverare. In genere chi dirige non si rende conto o dimentica
che per motivare il personale le critiche sono meno efficaci del feedback positivo. Con le critiche si la-
vora sodo perch si deve, con gli incoraggiamenti perch si vuole, e spesso si vuole sempre di pi.
Se non ottieni i riconoscimenti che desideri, importante prendere liniziativa e affermare le proprie
esigenze.
Diventa facile prevedere se il rapporto fra il supervisore e suo superiore efficace: sufficiente osser-
vare il comportamento del primo (passivo o assertivo) nei confronti del secondo. Il supervisore passivo
troppo occupato a compiacere gli altri, e quindi impiega gran parte del tempo a tentare di compor-
tarsi come vorrebbe il suo capo, tentare, perch non ci riesce mai, da qui ansie e stress a non finire.
E non basta: occupato com a compiacere il suo capo, dimentica i suoi propri interessi, cos, quando si
accorge di aver operato a proprio danno, diventa depresso, ansioso, frustrato, irritato. Di questa situa-
zione non incolpa per se stesso, come dovrebbe visto che stato lui a trascurare i suoi interessi per
servire quelli altrui, ma il suo capo.
Il fatto che il supervisore passivo ha cos scarsa stima di s che nemmeno pensa alla possibilit di un
comportamento risoluto teso ad affermare i propri diritti.
Un comportamento del genere , secondo lui, rischiosissimo: si potrebbe anche essere esautorati.
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In questo modo, il suo superiore viene privato del feedback di cui ha bisogno per dirigerlo nel migliore
dei modi.
Al contrario lassertivo conosce limportanza di una franca comunicazione con il superiore, e siccome
ha unalta stima di s, non ha difficolt a comportarsi nel modo pi opportuno.
Il morale
Quando i dipendenti sanno che il superiore sinteressa ai loro problemi, speranze e ambizioni, lavorano
meglio e pi volentieri. Naturalmente non possibile soddisfare tutte le loro aspettative, ma cercare di
capire le loro esigenze, dimostrare interesse e aiutarli nel limite del possibile, questo si pu, si deve fa-
re.
Elogio - giudizio
Siamo tutti convinti che un elogio fa bene. Molti psicologi condividono senza riserve questa opinione,
un elogio aumenta la stima di s e la fiducia in s della agente, la motiva e le rassicura e la rende pi
efficiente. Questa lopinione generale di esperti e comuni mortali. Ma siamo sicuri che le cose stiano
veramente cos? Riflettiamo un poco.
Che cos un elogio? un giudizio favorevole, che di solito include termini come: bravo, bene, perfet-
to. Ma e pur sempre un giudizio, e la gente non ama essere giudicata. Abbiamo gi visto i motivi sba-
gliati per cui possiamo rifiutare un complimento, ma esistono anche buone ragioni: ci sentiamo a disa-
gio quando sentiamo la lode come un giudizio.
In un sondaggio informale, stato chiesto a 80 persone di dire quali pensieri e sentimenti suscitasse in
loro un elogio. La maggior parte ha risposto che gli elogi hanno un effetto negativo, che li sentono co-
me una minaccia, che creano un senso di dipendenza dallaltro, riducendo la fiducia in s, il senso di
autonomia e il self-control. Spesso lelogio viene interpretato come unadulazione volta a secondi fini.
Anche se la gente ha un naturale bisogno di apprezzamento e di stima, lelogio-giudizio non il mi-
glior modo di soddisfare questa esigenza.
Visto che lelogio ha effetti cos negativi, conviene far ricorso al feedback razionale descrittivo, una
tecnica utile per annullare gli effetti negativi dellelogio-giudizio. In sostanza, questa tecnica consiste
nellevitare gli aggettivi superlativi ed ogni giudizio sulla personalit e il carattere della persona con
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Ho provato un gran sollievo quando ti ho visto lavorare al preventivo anche durante la pausa di mez-
zogiorno. Te ne sono grato, perch se tu non lavessi terminato in tempo avremmo perduto laffare.
La quantit di attivit realizzata questo mese dalla tua squadra veramente notevole.
Questo genere di feedback descrittivo soddisfa il bisogno di apprezzamento del personale, senza ricor-
rere a giudizi ed essendo il pi gradito alla gente anche il pi efficace.
Quando riconoscete a qualcuno un suo merito specifico, voi suscitate in lui un orgoglio specifico, e
quindi genuino e reale. In questo modo, egli si sentir gratificato e motivato a lavorare sempre meglio.
La gente ha bisogno di feedback descrittivi positivi, troppi leader non ne danno abbastanza, conside-
rando come scontato il lavoro ben fatto e quindi spesso la gente non si vede apprezzata.
1. Segui un programma di valutazione inteso a fornire un feedback positivo e obiettivo alla performan-
ce individuale.
2. Manifesta il tuo apprezzamento ad ogni collaboratore. Sii tempestivo: un riconoscimento immediato
pi produttivo.
3.Rivedi periodicamente ogni mansione per stabilire se soddisfacente per la persona che la ricopre.
Considera lopportunit di un trasferimento a nuovo e pi interessante incarico specialmente quando il
dipendente conserva quella mansione da lungo tempo.
4 Provvedi alla rotazione delle mansioni, per rendere pi vario il lavoro.
5.Compi periodicamente unindagine per conoscere il gradimento di ogni dipendente in fatto di
stipendio, sicurezza sul lavoro, relazioni di lavoro, politica aziendale e vita personale. Uninsoddis-
fazione in ciascuno di questi campi pu essere demotivante.
6. Dimostra il tuo apprezzamento per il contributo dei dipendenti..
7. Rivedi periodicamente obiettivi e aspettative, col tempo cambiano.
8. Tieni aggiornati i dipendenti sulla situazione aziendale, niente pi demoralizzante di venire a sape-
re i fatti della propria ditta attraverso gente di fuori.
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Il gruppo
Vantaggi del lavoro di gruppo
Il lavoro di gruppo ben organizzato comporta una serie di vantaggi tutti della massima importanza sia
per lazienda che per coloro che partecipano al gruppo. Tali vantaggi sono cos riassumibili:
1. maggiore efficienza delle persone. Tutti coloro che partecipano ai gruppi di lavoro migliorano la
loro efficienza, in quanto imparano ad affrontare i problemi in modo sistematico ed a vedere i di-
versi aspetti che presentano;
3. superamento delle abitudini e degli schemi mentali. Quando la soluzione dei problemi e la rela-
tiva decisione sono compito di una sola persona abbastanza facile che si creino degli schemi
mentali precostituiti e che vengano mantenuti inalterati nel tempo, portando cos ad una sempre
minore efficacia delle decisioni. Il lavoro di gruppo permette il superamento di tali schemi in
quanto pone a confronto esperienze e punti di vista anche notevolmente diversi tra di loro;
4. stimolo ad una maggiore preparazione. I membri del gruppo sono stimolati a prepararsi nel mi-
gliore dei modi possibili sul problema specifico che viene discusso: i dipendenti ci tengono infatti
a fare bella figura nei confronti dei loro capi e viceversa;
5. aumento del senso di responsabilit di ognuno. Partecipare al gruppo di lavoro significa prende-
re pi approfondita conoscenza dei problemi aziendali e dei diversi risultati cui pu portare una
soluzione piuttosto che unaltra. Significa quindi accrescere il senso di responsabilit di tutti colo-
ro che partecipano al gruppo;
6. miglioramento della collaborazione. Quel clima di collaborazione che alla base del lavoro di
gruppo finisce poi con lestendersi anche allesterno, tra le persone che partecipano al gruppo ed
anche tra le altre. Si pu dire che la collaborazione finisca con lallargarsi a macchia dolio, finen-
do col permeare tutta lazienda;
7. miglioramento nella capacit di risolvere i problemi. Il lavoro di gruppo insegna, a tutti coloro
che vi partecipano, un metodo per risolvere i problemi a tappeto. Questo metodo, dopo poche vol-
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te, viene appreso dai membri del gruppo che lo applicano poi, con rilevanti vantaggi, anche al di
fuori.
La comprensione: il grado di comprensione dei partecipanti pu essere definito con le domande se-
guenti:
ci che si dice riformulato correttamente e quindi compreso?
alcuni spiegano ci che gli altri hanno detto?
si tiene conto delle precisazioni fatte da altri?
Il supporto: La capacit di contribuire allobiettivo sostenendo gli orientamenti presi dagli altri parte-
cipanti si pu determinate con le domande seguenti:
ci che viene detto ripreso o citato da altri?
alcuni sostengono il punto di vista di altri?
si ricercano o si propongono alleanze?
si formano sottogruppi?
alcuni di loro si sciolgono?
Livello emotivo
Vicinanza/distanza emotiva: Si sa che, nellintorno di piccole differenze che sono proprie della societ
a cui appartiene, ogni individuo ha un ottimo di distanza fisica rispetto agli altri (per es. minore presso
i meridionali). Allo stesso modo ciascun individuo ha un ottimo di distanza emotiva dagli altri (per es.
maggiore nei nevrotici). Per un dato gruppo, le distanze sono o quasi uguali per tutti, pur variando in
funzione delle circostanze, o sono diverse e la ricerca per alcuni di una vicinanza emotiva maggiore
pu generare conflitti con quelli che non la sopportano.
Tengono conto dei propri sentimenti e di quelli degli altri?
Si propone che se ne tenga conto?
Limportanza del lato emotivo minimizzata?
Alcuni riportano lattenzione costantemente sul compito affidato al gruppo?
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Integrazione /esclusione: Un gruppo che funziona bene in genere un gruppo che sa integrarsi con la
maggioranza se non con tutti i membri.
La partecipazione paritaria?
Esiste una partecipazione paritaria allesposizione e alla discussione delle idee?
Esiste consenso sulle decisioni?
Si verificano auto esclusioni (silenzio, lettura di documenti)?
Fiducia/sfiducia.
Alcuni si rimettono in discussione?
Riconoscono i propri errori?
Accettano di avere torto?
Si adeguano alla regola della maggioranza?
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FORMING -------------->STORMING------------->NORMING----------------->PERFORMING
IMMATURIT<---------------------------------------------------------------->MATURIT
Considerazioni generali
Le persone trascorrono gran parte del loro tempo in contesti di gruppo, fuori e dentro l'ambiente di
lavoro. I gruppi primari di riferimento si rivelano molto importanti nel plasmare i valori, ma anche
altri tipi di gruppi, di lavoro e non, esercitano una forte influenza sui singoli.
Nelle organizzazioni, il tessuto strutturale costituito da gruppi formali, informali e da altri schemi
di interazione. I gruppi sono classificabili in funzione della dimensione: diadi e triadi. piccoli gruppi
(da quattro a quindici membri) e gruppi pi grandi, che tendono peraltro a organizzarsi in sottogruppi
per essere pi efficaci.
I gruppi tendono a formarsi sulla base della condivisione di orientamenti, valori, interessi e obiettivi o
per la necessit di svolgere un compito impossibile per una persona sola, o per il bisogno di unirsi per
ottenere maggior influenza. Infine, anche la semplice opportunit di interazione, prescindendo quin-
di da un processo deliberato, pu portare alla formazione di un gruppo.
I gruppi efficaci sono produttivi e sono capaci di attrarre nuovi membri e di trattenerli, se offrono
loro la possibilit di apprendimento e di crescita. La struttura di un gruppo costituita essenzialmente
dai ruoli e dalle funzioni svolte dai membri, distinguendo i ruoli legati ai compiti da svolgere da quel-
li legati alla sfera socioemotiva (un equilibrio fra questi due aspetti auspicabile).
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Nei gruppi si sviluppano norme che definiscono le aspettative di comportamento dei membri e contri-
buiscono al controllo degli stessi. Nessun gruppo pu essere adeguatamente compreso senza la cono-
scenza delle sue norme, cosi come nessun membro pu operare proficuamente senza conoscerle e sen-
za conformarsi a esse.
Altro elemento importante della vita di un gruppo lo status accordato a ciascun membro; la sua
distribuzione pu contribuire al successo del gruppo, ma pu anche impedire che nel gruppo si sviluppi
la coesione necessaria per operare efficacemente.
Bibliografia
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AUTORI
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Unit operativa
c/o Protezione Civile Regione del Veneto
via Paolucci, 34 - 30175 Marghera (VE)
tel. +39 041 2794782 - fax +39 041 2794714
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