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COSTRUIAMO UNA MENTE POTENTE COME IL DRAGO

PER VINCERE LA SOFFERENZA E LO SMARRIMENTO

Nel suo nuovo libro, Haruhiko Shiratori traccia una vibrante riflessione sul
potere della mente, una forma di energia rinnovabile che può consentirci di
rimettere in gioco la nostra vita, sviluppare potenzialità sopite e creare infine
il mondo che desideriamo.
La forza del discorso di Shiratori si fonda su una lettura della realtà
tipicamente giapponese – la consapevolezza di una natura effimera ma
potente, come un ciliegio in fiore – filtrata attraverso uno sguardo
illuministico di stampo occidentale.
Nel suo pensiero non trovano spazio né il languore del mono no aware
(«sentimento delle cose») né la rassegnazione dello shikata ga nai («non c’è
nulla da fare»), caratteristici della mentalità nipponica, rispettosa di un ordine
rigoroso e gerarchico: c’è invece lo sprone all’azione, al superamento dei
limiti imposti dalla società, alla costruzione di un’esistenza prospera e
gratificante.

«Il mio desiderio è che questo libro venga letto in un luogo calmo e
silenzioso.
Una volta terminata la lettura, vi sembrerà che i vostri sensi siano stati
purificati da un’acqua fresca e limpida.»

Shiratori, autore bestseller di Per una mente libera, ci mostra la via per
superare i nostri limiti e diventare ciò che vogliamo, applicando il
pensiero e il simbolismo orientali.

HARUHIKO SHIRATORI Scrittore, traduttore e interprete giapponese, ha


studiato filosofia, teologia e letteratura alla Freie Universität di Berlino.
Ha pubblicato numerosi testi di religione e filosofia, tra cui un libro sul
pensiero di Nietzsche che in Giappone ha venduto più di un milione di copie.
La sua prima opera pubblicata in Italia, Per una mente libera, è uno dei
grandi successi della collana Sakura di Vallardi.
www.vallardi.it

www.facebook.com/vallardi

@VallardiEditore

www.illibraio.it

Antonio Vallardi Editore s.u.r.l.


Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Copyright © 2016 Antonio Vallardi Editore, Milano

Titolo originale: ATAMA GA YOKUNARU GYAKUSETSU NO SHIKOUZYUTSU by


Haruhiko Shiratori
Copyright © 2013 by Shiratori Haruhiko
Original Japanese edition published by Discover 21, Inc., Tokyo, Japan
Italian edition is published by arrangement with Discover 21, Inc.

Progetto grafico di Francesca Jacchia


Traduzione dal giapponese di Roberta Giulianella Vergagni
Illustrazioni di copertina: TopVectors/iStockphoto.com, Araspopova/Shutterstock.com
Grafica di copertina: MoskitoDesign

ISBN 978-88-6987-108-5

Prima edizione digitale: 2016


Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche
parziale, non autorizzata.
Introduzione

Il mio desiderio è che questo libro venga letto in un luogo calmo e silenzioso.
Una volta terminata la lettura, vi sembrerà che i vostri sensi siano stati
purificati da un’acqua fresca e limpida.

A questo punto, il vostro modo di pensare e la scala di valori su cui avete


sempre fatto affidamento vi parranno sempre più estranei e vi accorgerete
all’improvviso di vedere le cose con rinnovata chiarezza, come se indossaste
un nuovo paio di occhiali.

Io stesso, un tempo schiavo delle preoccupazioni giovanili, avrei voluto avere


tra le mani un testo di questo genere. Dedicandomi a simili letture, non avrei
ripetuto quegli stessi errori in cui sono caduto procedendo per tentativi, sbagli
che ancora oggi rimpiango. Perciò dedico questo libro al me stesso di allora.

Lo dedico anche ai giovani. A coloro che vogliono rinnovarsi. A chi ha


pensato almeno una volta di azzerare la propria vita per farla ripartire da
capo.

Oltre a queste persone, il mio ringraziamento va, infine, a tutti gli altri.

Haruhiko Shiratori
CAPITOLO 1
IL RISCHIO DI SPRECARE LA VOSTRA VITA
–1–
Come rischiate di sprecare la vostra vita

Esistono vari modi per rovinarsi la vita, anche senza diventare dei
delinquenti. Ecco di seguito alcuni atteggiamenti tipo.

Per prima cosa, mettere i propri interessi davanti a tutto. Desiderare per sé più
di quello che riescono a ottenere gli altri. Escludere, poi, tutti coloro che
appaiono come nemici. Oppure etichettarli e classificarli.
Ricercare piaceri e stimoli forti, senza alcun limite. Avere una visione
confusa della libertà, come qualcosa che dà beneficio solo a se stessi.
Non affrontare le situazioni in autonomia, prendendole di petto, ma
sbolognare agli altri le seccature per poi attribuirsene i meriti, la gloria e le
ricompense. Per di più, pensando di essere furbi.
Andare alla continua ricerca di mezzucci per farla franca.
Confermare la versione della realtà fornita da altri e credervi, senza cercare di
informarsi e leggere qualcosa a riguardo.
Provare invidia, diffamare gli altri, prenderli in giro ed essere sempre pronti a
criticare.
Non affrontare mai le difficoltà.
Non offrire mai pagando di tasca propria.
Essere indulgenti solo quando si tratta delle proprie negligenze e
trascuratezze.
Commettere piccoli furti.
Arrabbiarsi e rimproverare gli altri. E arrogarsi anche il diritto di farlo.
Desiderare di stare in mezzo al chiasso e avere sempre voglia di fare baldoria.
Illudersi di vivere all’infinito. Oppure disprezzare se stessi.

Persistendo in tali atteggiamenti, si finisce per sprecare la propria vita e, così,


senza lasciare praticamente nulla, si va incontro a una morte vuota.
–2–
Cosa significa spingere all’eccesso la
ricerca del piacere

Sin dall’antichità, sono stati in molti ad arrivare a pensare che l’astensione


dai piaceri carnali fosse una virtù. Questo è di sicuro il punto di vista di chi si
è votato all’ascetismo. Probabilmente è un pensiero nato dalla speranza di
riuscire a liberarsi dalle sofferenze proprio grazie all’astensione dalle
passioni.

Liberarsi dai piaceri terreni è un concetto semplice. Si tratta di tenersi lontani


ora e subito da qualsiasi voluttà e desiderio carnale. Solo questo. Non serve
altro.
Ad esempio, riuscire a smettere di bere. Abbandonare ogni vizio. Porre fine
ai piaceri sessuali. Se quei piaceri danneggiano noi o gli altri, allora astenersi
dal metterli in pratica donerà serenità d’animo a tutti quanti.

Eppure, alcuni concepiscono l’astensione come una pena. Questo avviene


perché, nonostante abbiano deciso di precludersi i piaceri carnali, la loro
mente non riesce a smettere di pensarvi.
In altre parole, la sofferenza nasce dal divario tra pensieri e azioni. Per di più,
dato che si finisce per vagheggiare ancora più spesso tali piaceri negati,
ingigantendone l’importanza, la sofferenza non fa che aumentare.

Se quella pena si fa insopportabile, allora è il caso di fermare subito


l’astensione. A quel punto, allora, sarebbe meglio lasciarsi andare a quei
piaceri che desideriamo così tanto da non sapervi resistere.
Allora sì che, quasi subito, ci accorgeremmo della stranezza di tutta la
situazione. Ovvero che quei piaceri che nella nostra mente sono
irresistibili, poi nella realtà si dimostrano del tutto insignificanti.
La delusione che ne deriva ci consentirà, la volta successiva, di smettere
spontaneamente di desiderarli, senza più bisogno di mettere in campo una
volontà di ferro. Oppure, al contrario, saremmo portati alla ricerca di
situazioni e stati d’animo ancora più intensi e stimolanti.
Se si scegliesse questa seconda via, la delusione e il senso di vuoto che alla
fine ne deriverebbero sarebbero ancora più profondi.
Quella delusione ci condurrebbe alla ricerca infinita di piaceri sempre più
intensi, che ci porterebbe a sprofondare in un abisso senza fine, dal quale
sarebbe davvero molto difficile tornare indietro. E questa consapevolezza si
aggiungerebbe a tutto il resto come ulteriore motivo di sofferenza. Questo
atteggiamento mi ricorda quello di un piccolo insetto, il formicaleone.
Tale inferno, che chissà in quale frangente ci è diventato familiare, si
insinuerà in noi avanzando all’infinito e ci condurrà all’epilogo della
nostra vita, in cui non avremo combinato un bel niente.
–3–
Cercate di vivere in modo creativo

Tutti noi, spesso, veniamo definiti consumatori. Questa etichetta, che ha


sempre e comunque un’accezione spregiativa, suggerisce che ogniqualvolta
ci troviamo di fronte a un acquisto veniamo spinti nel grande calderone della
«scelta forzata». Quando vogliamo acquistare qualcosa ci rechiamo nel luogo
o nel negozio che lo vende e lo compriamo selezionandolo tra i vari prodotti
in vendita.
Potete anche credere di essere liberi di acquistare in piena autonomia, ma in
realtà non è così. I prodotti in vendita, infatti, vengono selezionati
esclusivamente tra quelli disponibili in catalogo.
Perciò sostengo che tutti i consumatori siano in qualche modo pilotati e
inseriti nel calderone della scelta forzata.

Comunque sia, non siamo impigliati nostro malgrado in questo sistema solo
per quanto riguarda la compravendita di beni. Perfino nella procreazione e
nella satira le nostre scelte vengono manovrate e indirizzate tramite questo
meccanismo. La vita è piena di scelte, che riguardano tutte le opportunità
e le possibilità che ci vengono offerte.
Da piccoli scegliamo la scuola che vorremmo frequentare. Per arrivare a
scegliere la scuola dobbiamo però prima scegliere la città o il quartiere in cui
vivere. Una volta terminato il ciclo di studi scegliamo la professione o
l’azienda in cui lavorare, poi il nostro o la nostra consorte e, raggiunta una
certa età, il momento adatto per andare in pensione, a cui seguirà la scelta
delle cure mediche alle quali sottoporci in caso di malattia, e, infine, dovremo
decidere se e come prolungare i nostri ultimi istanti di vita.
Insomma, si tratta sempre di scelte preconfezionate. È un’esistenza che
somiglia a un immenso buffet.
Eppure noi non ce ne rendiamo conto. Anzi, pensiamo di trascorrere la vita
proprio come se fare quelle scelte e scegliere tra quelle opzioni
predeterminate fosse del tutto normale.

Affrontare tutte queste scelte ci porta a pensare erroneamente che la libertà


consista in questo. Eppure, per quante siano le opzioni possibili, esse non
rappresentano in fin dei conti nient’altro che un sentiero recintato da entrambi
i lati. Le limitazioni di questa strada già delineata e cintata si manifestano
silenziosamente, eppure costituiscono un’espressione di tutto ciò che è in
grado di manipolare la nostra vita: il sistema di governo, le tendenze
dell’epoca, la mentalità e la visione delle cose, peculiari in un dato periodo
(epistème).
Se scavalchiamo quella recinzione e ci portiamo al di là di quel sentiero
tracciato, veniamo accusati di illogicità. Oppure veniamo considerati fuori
dalla norma o etichettati come falliti. E se, invece, salissimo in piedi su quel
recinto e procedessimo camminandoci sopra e facendolo oscillare
bruscamente?

Volendo usare una metafora, potremmo dire che questo è uno modo di vivere
«creativo». Esso non consiste nello scegliere qualcosa che ci viene proposto
sugli scaffali di un negozio, né nel limitarci a godere passivamente del
piacere che ci donano quelle cose, bensì nel creare da soli ciò che finora sul
sentiero recintato mancava.
Può trattarsi di oggetti, di mentalità o di modi di vivere. Se funziona, diventa
un’arte. Se funziona ancora più a fondo, saremo in grado di spingere un po’
più in là le recinzioni che finora hanno limitato la nostra via, allargandola
fino a trasformarla in un nuovo percorso che anche molte altre persone,
prendendone parte, potranno seguire.

Anche senza arrivare a tanto, il vivere creativo determina comunque


un’azione originale. Il bello della creatività è che in un buffet possiamo
scegliere per noi il cibo che gli altri snobbano perché non lo apprezzano o se
lo lasciano scappare. In fondo, valorizzare al meglio la propria vita sta
proprio in questo.
–4–
Vivendo in maniera passiva, avrete una
vita misera

Quando si viene arrestati e reclusi in carcere, si perde la libertà. In effetti, il


significato originario della reclusione e della detenzione è quello di
«privazione della libertà».
Ovviamente non possiamo vivere in modo del tutto autonomo. Anche se ci
venisse assegnato un appartamento gratuito con tre pasti al giorno e
assistenza sanitaria garantita, sarebbe comunque difficile essere totalmente
liberi.

Anche senza essere recluse, esistono persone che vivono passivamente in


cattività. Anche per loro ogni giorno è difficile. Chi sono? Sono coloro che
vivono reagendo quotidianamente agli stimoli esterni solo con la
sottomissione e la passiva accettazione.

Accade a tutti, in ufficio, che il capo ordini questo o quell’altro. «È lavoro.»


Eppure, chi la pensa in questi termini non si rende conto di essere sottomesso
al proprio superiore. E così, il lavoro diventa pesante. Digerisce la faccenda
che gli è stata imposta pensando che sia solo lavoro.
Inoltre, chi ha questo atteggiamento si prefigura già la ramanzina che dovrà
sorbirsi nel caso in cui quell’incombenza venisse trascurata, oppure
immagina che la sua valutazione in vista di eventuali bonus sarà pessima:
insomma, si mette a esaminare attentamente tutti i pro e i contro. Così, alla
fine dei conti, si fa andare bene la cosa. Non la sbriga certo perché abbia
voglia di farlo. Per questo motivo il lavoro gli sembrerà insopportabile, come
una reclusione imposta sempre dall’alto.

Questo tipo di persone è passivo anche al di fuori del mondo del lavoro. Ad
esempio, modifica il proprio comportamento o il proprio pensiero a seconda
delle parole o delle azioni altrui. Così facendo, pensa di riuscire ad andare
d’accordo con gli altri. Qualunque questione gli si presenti davanti, ha
sempre lo stesso atteggiamento. Per risolvere i problemi, poi, prova a copiare
ciò che fanno le altre persone.
Anche nei giorni di riposo, si limita a reagire agli stimoli esterni. Guarda la
televisione e ride a comando, in base alle reazioni degli altri spettatori, e
corre a comprare i prodotti maggiormente pubblicizzati. Se poi il prezzo è
basso, prova un piccolo brivido di piacere per avere risparmiato e, con ancora
più godimento, legge gli annunci di lavoro sognando di trovare un posto
meglio retribuito.

Queste persone trascorrono le giornate vivacchiando nei ritagli di tempo


senza uno scopo preciso. Si limitano a rispondere ai vari tipi di sottomissione
con le stesse risposte passive.
Non si rendono conto di essere uguali ai veri carcerati. Dato che sono passivi
e non hanno alcuna voglia di farsi valere, qualsiasi situazione diventa uno
strumento o un mezzo per sbrigare in fretta le faccende e togliersele di torno
il prima possibile.
Che non sia un buon modo per vivere, è testimoniato dalla sofferenza che
queste persone avvertono nel profondo del loro cuore. Non è la vita a essere
dura. È la trascuratezza con cui loro la affrontano a fare in modo che
venga avvertita come tale. In essa ciò che prolifera è solo la muffa chiamata
miseria.
–5–
Costruitevi una vita basata
sull’imperturbabilità

Incavolarsi. Reagire in maniera eccessiva. Agitarsi. -Irritarsi. Questi


turbamenti psicologici non dipendono solo dal proprio carattere.

Il turbamento scaturito dall’aver visto o saputo qualcosa può generarsi nei


seguenti casi:

abbiamo un obbligo verso quel qualcosa;


non ce ne stiamo occupando, nonostante in cuor nostro sappiamo di
doverlo fare;
non affrontiamo il fenomeno e cerchiamo di allontanarlo da noi,
nonostante la responsabilità sia tutta nostra;
l’abbiamo idealizzato eccessivamente;
lo desideriamo di nascosto.

Se non ci lasciamo intimidire da nulla e viviamo con dignità, se cerchiamo di


valorizzare al massimo noi stessi e impieghiamo nel migliore dei modi la
nostra vita, affronteremo ogni turbamento e ogni momento negativo
afferrandoli a mani nude e combattendoli a modo nostro: possiamo solo
ridurre ciò che ci turba ai minimi termini, alla stregua di ciò che
abbiamo già superato in passato.

Così facendo, ci toglieremo un peso dalle spalle. Ogni giorno diventerà più
limpido. Giungeranno alle nostre orecchie i più svariati suoni della natura.
Accoglieremo i giorni sereni con la stessa disposizione d’animo che avevamo
prima di venire a contatto con le esperienze dolorose.
–6–
Imparate dalle biografie

Consiglio sempre di leggere le biografie. Non si tratta semplicemente di


racconti di grandi carriere o storie di successi, o di omaggi eccessivamente
encomiastici a personaggi celebri, e nemmeno di passatempi di poca
importanza; le biografie a cui mi riferisco hanno un tocco acuto e mordace
nel descrivere vizi, contraddizioni e caratteristiche personali.
Ne sono un esempio le biografie scritte da Stefan Zweig. O, ancora, le
biografie di autori contemporanei, sia in versione economica sia rilegata, il
cui realismo della descrizione le trasforma in opere letterarie di prim’ordine.
Le opere biografiche, ovviamente, sono costituite dalla narrazione che un
autore estraneo ai fatti è in grado di fornire delle parole e delle azioni di
qualcun altro. Eppure, presentano diversi aspetti significativi.
Significativi per chi? Ovviamente per chi le legge. È proprio quando il
lettore prende coscienza di ciò che ha reso grande il protagonista, che prova il
desiderio di rendere la propria vita in qualche modo utile; sentirà l’esigenza
di volgere lo sguardo su di sé, ed è allora che la lettura di una biografia si
trasformerà in una concreta possibilità di cambiamento.
–7–
I limiti della vita umana

Per quanto un cibo possa essere bello alla vista e squisito al gusto, non
possiamo comunque eccedere mangiandone a oltranza una volta che siamo
sazi. Per quanto degli abiti possano essere di primissima qualità, non
possiamo indossarne che uno alla volta, così come di scarpe realizzate con
grande cura dalle mani di abili artigiani non possiamo portarne che un paio
per volta.
Allo stesso modo, anche acquistando i libri di una biblioteca intera, non
basterà una vita per leggerli tutti. Per quante persone esistano al mondo, non
potremo conoscerne che alcune e, tra queste, saranno ancora meno quelle con
cui intratterremo relazioni più strette.
Ognuno di noi non può che vivere la vita di una sola persona. Questo,
però, non ci fa sentire soli? Non ci fa sentire insoddisfatti?
O piuttosto, al contrario, non è qualcosa che ci arricchisce? Questa nostra
unica vita non è qualcosa di immenso? Per chi decide di vivere la sua vita
pienamente, lo è.
–8–
Prendetevi una pausa per ritrovare nuovo
vigore

Sullo spartito musicale vengono trascritte le note. Non solo le note, ma anche
le pause.
Durante quelle pause non si suona. Silenzio, insomma. Eppure, anche quel
silenzio è musica.

Se paragoniamo i nostri giorni alle improvvisazioni musicali, su quella


partitura non possono mancare le pause, che sono poi i momenti di riposo.
Questi momenti non sono le pause pranzo o le pennichelle. Sono gli attimi in
cui svuotiamo completamente la nostra mente e il nostro cuore dai rumori
esterni, dalle apprensioni, dai cattivi pensieri, dalle preoccupazioni, dalle
ansie e così via.
Pur allontanandoci dal lavoro e dalle faccende varie, non riusciremo a
riposarci se la nostra mente e il nostro cuore ne restano turbati. Se non ci
riposiamo ci logoriamo. E in noi non scaturiranno forze rigeneranti.
Possiamo riconoscere queste persone logorate che camminano tra la folla
della città o sono sedute nel vagone di un treno, con i loro volti esauriti ed
emaciati. Non sono affatto affascinanti, poiché hanno perso
completamente l’energia vitale. Gli altri non sono per nulla attratti da
queste persone cupe, che emanano un’aura stagnante. Non attrarre
spontaneamente gli altri determina l’impossibilità di attirare a sé occasioni
favorevoli.
Perciò, prendersi due o tre momenti di pausa in una giornata, senza pensare
solo agli affari, è molto importante per vivere pienamente.
Per far riposare la mente e il cuore bastano 15-20 minuti. In questo lasso di
tempo non bisogna far lavorare né il corpo, né la mente. E, ovviamente,
neppure i sentimenti.
Occorre non pensare a niente. Allontanatevi completamente da voi stessi,
lasciando perdere ogni cosa; immaginate di essere evanescenti e limitatevi a
respirare profondamente.
Basterà poco e vi sentirete limpidi e trasparenti.
Dopo esservi ritagliati questi momenti di pausa, sarete in grado di affrontare
con maggiore lucidità i problemi e le questioni irrisolti. Quelle faccende non
vi irriteranno più come prima e non susciteranno più avversione in voi: così
facendo, arriverete a capire il modo migliore per risolverle senza sforzarvi
troppo.
–9–
Ritagliatevi degli intervalli di tempo più
armonici

Quando aspettiamo impazientemente l’arrivo di una persona alla quale


abbiamo dato appuntamento, il tempo sembra non passare mai.
Tuttavia, quando entriamo in una libreria con l’idea di trascorrervi poco
tempo e iniziamo a sfogliare qualche libro che solletica la nostra curiosità,
ecco che il tempo vola. A un certo punto ci siamo completamente dimenticati
di che ora sia.

Se proviamo a riflettere su questa esperienza, che tutti noi prima o poi


abbiamo provato, capiamo lo stretto legame che esiste tra il nostro animo e la
percezione del tempo.
Quando ci armonizziamo perfettamente con qualcosa, quasi non
percepiamo più lo scorrere del tempo. Al contrario, nei casi in cui non
entriamo in empatia con la situazione, il tempo porta sempre con sé una
pesantezza opprimente e non può che muoversi lentamente.

Quando il tempo ci sembra non passare mai, di solito ci troviamo in uno dei
seguenti stati: distrazione, contraddizione, repulsione, irritazione, disaccordo,
incomprensione, asincronia, disarmonia, ostilità, ansia e via dicendo.
Al contrario, quando il tempo ci sembra trascorrere più velocemente del
solito o quando, addirittura, non lo avvertiamo, ci troviamo solitamente in
condizioni di: assimilazione, accordo, armonia, comprensione, attenzione,
dedizione, trasporto, concentrazione, conciliazione, reazione, fluidità e così
via.

Quando le cose vanno bene, compresi il lavoro e le relazioni umane, ci si


rasserena subito, in qualunque stato ci si trovi. Quando l’animo e i
comportamenti si adattano perfettamente alla propria persona, oppure quando
questi vanno naturalmente di pari passo, le cose funzionano bene e l’obiettivo
viene raggiunto.
Ciò che se ne ottiene è il frutto. È il risultato. È la ricchezza. È la
soddisfazione. È un traboccamento di serenità. È un fuoco che brucia con una
fiamma incantevole. È un silenzio appagante.
Succede lo stesso quando due spiriti si amalgamano fondendosi tra loro,
quindi anche quando ci si ama il tempo non si fa sentire. La gioia data dalla
pienezza dei momenti in cui si realizza appieno qualcosa coincide sotto molti
aspetti con il piacere che si prova quando si è immersi nell’atemporalità.

Forse questa felicità armoniosa è connaturata all’essere umano. È ciò che


nelle opere classiche è stato spesso chiamato «attimo eterno». Quando
l’essere umano vive questa esperienza è anche più produttivo.
Allora il lavoro procederà secondo le intenzioni originarie, e si avranno ben
chiare le mosse da affrontare, senza rifletterci troppo: come una palla che,
lanciata verso di noi ad altissima velocità, a un tratto si ferma e ci rende
visibili anche le sue più piccole cuciture; i pensieri si muoveranno come una
ruota che gira con estrema precisione e il proprio animo diventerà un tutt’uno
con quello dell’altro.

La sensazione è quella di un completo assorbimento, di una concentrazione


assoluta che coinvolge la sfera non cosciente. In altre parole, è proprio
quando entra in uno stato di concentrazione inconscia, al punto da
dimenticarsi di sé, che l’essere umano diventa più produttivo.
In particolare, le persone che svolgono lavori creativi sono quelle che
sperimentano più frequentemente questo stato. Più accumulano esperienze di
questo tipo, più acquisiscono in modo spontaneo i trucchi che permettono
loro di mantenere la concentrazione e, grazie a quelli, realizzare lavori
ineccepibili impiegando molto meno tempo rispetto agli altri.

Esistono molti modi per cercare di ottenere questo stato. Un metodo usato sin
dall’antichità consiste nella meditazione. Un altro, oggigiorno più semplice, è
la musica. La musica, infatti, con il suo solo riecheggiare, possiede in sé la
forza di riunire in un unico flusso tutti gli animi.
Nonostante ciò, ascoltare la musica nelle cuffiette mentre si cammina per
strada non ha alcun effetto. Dato che i sensi dell’udito e della vista vanno
ognuno per conto proprio, cuore e mente non diventano una cosa unica, non
si armonizzano e, al contrario, si genera distrazione.
Se voleste provare a sperimentare su di voi un’esperienza di totale
concentrazione raggiunta grazie alla musica, vi consiglio di ascoltare Clair de
lune di Claude Debussy: vi trasmetterà immediatamente quell’effetto. Questo
brano, riempiendo lo spazio, permette alla percezione del tempo di
affievolirsi e perdersi in un attimo eterno, finché non riuscirete realmente a
cogliere l’impressione di un vero e proprio chiaro di luna.
– 10 –
Consigli di lettura

Se mi chiedessero di fornire qualche consiglio di lettura a un target di persone


sulla trentina, basandomi sulla mia esperienza personale, risponderei quanto
segue.

Tra i libri da leggere, fate sempre rientrare uno o più testi classici. Anche
se molte delle opere classiche sono volumi poderosi e dall’aspetto
impegnativo, consiglio vivamente di affiancarli alle altre letture. Se li
leggerete tutti d’un fiato, dall’inizio alla fine, potrete assaporare una
sensazione unica di conquista, ma sarà altrettanto soddisfacente leggerli un
po’ alla volta.
Non si tratta in questa sede di definire quale opera classica sia migliore. Che
si tratti di testi letterari o scientifici, se ancora oggi sopravvivono al
trascorrere del tempo un motivo ci sarà. Se non sapete quali scegliere, provate
a iniziare da quei titoli di opere classiche, occidentali e orientali, che finora vi
hanno incuriosito.

Quando sarete ormai allenati nella lettura dei classici, vi consiglio di


aggiungere alla vostra lista la Bibbia. Così facendo, si succederanno tutta
una serie di cose sorprendenti. Proseguendo nella lettura delle opere
classiche, scatta un meccanismo grazie al quale quel sinonimo, quel nome,
quell’episodio, quel toponimo o quel significato che prima si fermavano sulla
punta della vostra lingua vi verranno subito in mente. Questo accade perché
molte opere classiche della cultura occidentale hanno nella Bibbia una base
culturale comune.
Se continuaste a leggere i classici senza aver letto la Bibbia, quei classici vi
apparirebbero ostici. Non conoscendo il contenuto della Bibbia, sarebbe
molto difficile comprendere appieno non solo la filosofia, ma anche la musica
e la pittura. In realtà, nonostante ciò, non sono pochi gli studiosi che
svolgono le loro ricerche senza conoscere a fondo tale testo sacro.

Va molto bene leggere testi che abbiano a che fare con il proprio lavoro o i
propri interessi, ma consiglio di intervallarli con libri che si allontanano
dai vostri campi di interesse immediati, così come suggerisco di
avvicinarsi alla lettura di generi o ambiti che normalmente non
approccereste.
Andranno bene anche i testi relativi a quelle materie in cui eravate negati a
scuola, come la matematica o la fisica, ma anche le scienze astronomiche o
l’anatomia.
Probabilmente penserete di non ricavare alcun vantaggio da queste letture.
Eppure, come per qualsiasi tipo di esperienza, arriverà il giorno in cui vi
torneranno utili. Oppure vi permetteranno di approfondire ancora di più la
conoscenza di un dato fenomeno, o vi influenzeranno inaspettatamente nella
formulazione di nuove idee.

Se aveste tempo, anche leggere manuali di lingue straniere per principianti vi


apporterebbe molti benefici. Non solo i testi di inglese, ma anche quelli di
greco antico e latino sortiranno effetti benefici già pochi giorni dopo averli
letti. Tra l’altro, molti nomi che si vedono nelle insegne delle città giapponesi
derivano da quelle lingue.
– 11 –
La moda è una questione di buone
maniere

Non è agghindando il nostro corpo che l’esistenza diventa più bella.


È però vero che se ci presentiamo in modo trasandato molte persone si
allontaneranno da noi. E ogni allontanamento sarà una perdita per la nostra
vita.
La moda è una questione di buone maniere, nel senso di attenzione e rispetto
nei confronti degli altri. Poiché questi sentimenti sono nobili, la bellezza
risiede anche in un modo appropriato di vestirsi.
Al contrario, quell’idea di moda legata all’agghindare se stessi o al distorcere
la propria natura, alla fine apparirà agli occhi degli altri come una recita o
un’eccessiva affermazione del proprio ego.
E nessuno vi considererà belli.
– 12 –
Non denigrate sempre ciò che fanno gli
altri

Un’espressione spesso utilizzata nella lingua tedesca è Miesmacher.


Sul mio dizionario tedesco-giapponese questo termine viene reso come «colui
che denigra sempre gli altri; guastafeste; disfattista», o ancora «colui che
enfatizza sempre il lato negativo; colui che rovina sempre tutto; che mette
zizzania».
Se ammettiamo l’esistenza della sfortuna, allora il Mies-macher è proprio
colui che porta sfortuna agli altri. Egli nuoce ai sentimenti di chi gli sta
intorno poiché rovina i momenti felici, non si rallegra per i successi o le gioie
altrui e incupisce le giornate serene come fosse una mannaia affilata che si
abbatte sulla positività che lo circonda.
Tuttavia, il Miesmacher esiste per una ragione ben precisa, ovvero dare un
volto a concetti quali: «Poiché al mondo esistono sia cose buone sia cose
cattive, è un ammonimento a non dimenticarselo, ricordandoci di non
esaltarci troppo per gli eventi positivi ma di rimanere con i piedi per terra», o
ancora: «Sperimentare su di sé molte preoccupazioni serve a farsi guidare
sempre più dal sangue freddo ogni volta che è necessario».
Esiste però una lettura più pertinente del suo ruolo: «Ciò che domina il
Miesmacher non è altro che invidia e gelosia, inquinate da pigrizia e
miseria».

Esiste una chiara ragione per cui gli esseri umani provano invidia. Il
Miesmacher ricerca ciò che desidera senza però farne esperienza diretta, non
cerca di ottenere le cose con le proprie forze bensì se ne sta con le mani in
mano ad aspettare che la buona sorte gli piova dal cielo; per di più è convinto
della sua eccellenza rispetto agli altri, che però la gente, stolta, non ha ancora
scoperto.
Tutto ciò basta a chiamare a sé la cattiva sorte e assicura che il Miesmacher,
anche in futuro, non otterrà mai il successo desiderato. Coloro che portano a
termine i propri compiti, che sono applauditi dagli altri, che raggiungono il
cosiddetto successo, generalmente sono persone che trascorrono la
maggior parte del tempo in luoghi sereni e proficui, lontano dalla
cupidigia: l’esatto opposto del Miesmacher.
CAPITOLO 2
NESSUNA METODOLOGIA
– 13 –
Soltanto ciò che porterete avanti fino alla
fine costituirà l’esperienza

Ciò che è fondamentale è portare a compimento ciò che si è iniziato, condurlo


a termine senza rinunciarvi a metà strada, anche se temiamo di non ottenere il
risultato prefissato. È molto importante portare avanti tutto fino alla fine e
concluderlo con le proprie forze.
In tal modo, solo ciò a cui ci siamo dedicati con tutte le nostre forze
contribuisce a formare la nostra esperienza personale. Quell’accumulo
diventa un gradino in più nel nostro percorso, raggiunto il quale sarà più
facile vedere gli step successivi.
Persino un fallimento si trasformerà in un passo tangibile, e visibile soltanto
da noi. Per di più, proprio in quanto fallimento, ci porrà di fronte al gradino
successivo. Il peso di un fallimento ottenuto con le nostre mani non ci farà
mai retrocedere.

Al contrario, se lungo il percorso rinunciassimo, alla lunga ce ne pentiremmo.


Nel momento in cui abbandoniamo la sfida, possiamo forse anche provare un
senso di sollievo immediato dato dalla fuga, ma poi inizieremmo
inconsciamente a disprezzarci. E questo rimpianto sarebbe la cosa peggiore.
Cosa guadagneremmo ritirandoci a metà strada, giustificandoci tramite la
previsione di un insuccesso o la prospettiva di uno svantaggio?
Non esiste da nessuna parte la certezza che queste paure siano giustificate.
Inoltre, ritirandoci a metà strada, non riusciremo nemmeno a distinguere bene
i nostri sentimenti, oltre al fatto che finiremo per deludere chi ci sta intorno.

Perciò, dal momento che esiste anche la possibilità di non riuscire a


portare a compimento le cose in maniera perfetta, portiamole a termine
comunque, con le forze che abbiamo ora. Anche senza una stima precisa
del risultato, con il solo entusiasmo e investendo tutte le nostre energie,
possiamo fare del nostro meglio fino alla fine.
In qualsiasi cosa. Anche nelle faccende che ci sembrano del tutto
insignificanti.
– 14 –
Il vostro talento consiste nel «fare»
qualcosa

A questo mondo esistono molte superstizioni bizzarre. Per di più, ne esistono


alcune che vengono considerate fortemente veritiere. Ad esempio che «il
talento è innato in alcune persone».
O ancora, la credenza radicata secondo cui «il talento viene ereditato
geneticamente».

Al contrario, il talento non è qualcosa che possediamo in modo latente o che


si conserva nascosto come una potenza inespressa.
Il talento non è qualcosa di invisibile e nemmeno di vago. È invece assai
chiaro e visibile nella realtà.
In altre parole, il talento consiste nel «fare» qualcosa.

Possedere il talento del disegno non significa automaticamente diventare


pittori, ma è dipingendo che lo si può diventare. È solo perché abbiamo
composto un romanzo che possediamo il talento della scrittura, così come
solo perché abbiamo concluso un affare commerciale possiamo dire di
possedere il talento per gli affari.
Se non agiamo, non possiamo affermare in assoluto di avere un certo talento.

Perciò, non possiamo nemmeno escludere a priori di non avere talento. Se


non lo abbiamo, coltiviamolo.
È facile. Bisogna agire. Bisogna portare a pieno compimento ciò che si fa.
In questo modo, quello diventerà il nostro talento.
Dove potremmo scovare ciò che definiamo talento, se non in una solida
realizzazione?
– 15 –
Siate professionali

Chi può essere definito professionale?


Una persona che intuisce da sola ciò di cui c’è bisogno, che sfrutta la propria
personalità e le proprie competenze per quel lavoro, che riesce a portarlo a
termine e, attraverso quel risultato proficuo, riesce perfino ad arricchire gli
altri.

Essere professionali non dipende da titoli o cariche. La professionalità nasce


dalla simbiosi tra l’esistenza di una persona e la parte della sua vita dedicata
al lavoro.
Anche se una persona è professionale, non è detto che riesca sempre a
completare il proprio lavoro con facilità. Suda sopra ogni lavoro che fa,
pensa al modo migliore per realizzarlo, ci ragiona in completa solitudine,
procede per tentativi, quando sta per cedere alla disperazione la respinge,
sogna di rinunciare alle proprie responsabilità e fuggire, ricerca aiuto in
silenzio, lotta, resiste, ma poi torna in sé e, perché no, anche con l’aiuto del
caso, alla fine porta a termine il compito.

Inoltre, chi si può definire professionale si rivolge a tutti al termine del lavoro
per ringraziarli. E non si tratta di buone maniere. Si tratta della vera essenza
della professionalità.
– 16 –
Non limitate le vostre possibilità

Se ci convinciamo di non essere portati per qualcosa, è facile che, nel farlo,
risulteremo negati. Anzi, finiremo per perdere persino la voglia di provarci.
Perché? Perché i nostri pensieri anticipano le nostre azioni, influenzandole.

Anche le persone che capiscono la logica dietro alle cose non riescono
comunque a evitare di vincolare in qualche modo idee e azioni e, in alcuni
casi, finiscono per limitare le loro possibilità. Colpevolizzandosi per il
proprio carattere, ad esempio.
Si impegnano a realizzare il proprio obiettivo, ma, dall’altra parte, restano
fissate sulla loro testardaggine, mancando sempre e comunque di flessibilità.
Inoltre, nascondendosi dietro a ciò che ritengono essere le peculiarità del
proprio carattere, diventeranno consapevoli soltanto di queste.

Ammettere che ognuno di noi possiede un carattere e delle inclinazioni


innate equivale a credere a favole e fantasticherie. Sarebbe molto meglio
guardare in faccia la realtà. L’essere umano è in grado di cambiare a seconda
delle circostanze in cui si trova.
In effetti, noi ci comportiamo e reagiamo in modo del tutto diverso a seconda
delle varie situazioni. Come se avessimo decine, anzi, centinaia di volti e
caratteri. Facendo un esempio estremo, è come se qualcuno che ora viene
considerato da tutti gentile, intelligente e pacifico non ricordasse nemmeno
che, ai tempi della guerra, si era macchiato di atroci crimini e delitti.

Poiché gli esseri umani non possiedono caratteri prestabiliti e fissi, è meglio
non darsi pena o non tormentarsi più di tanto per il proprio carattere o per
quello degli altri.

Dobbiamo anche cercare di non farci influenzare ciecamente da tutte quelle


superstizioni legate alle stelle, al gruppo sanguigno, ai dodici segni
dell’oroscopo cinese, al numero di tratti degli ideogrammi o
all’interpretazione del futuro, che finiscono per condizionarci e ridurre la
nostra capacità di pensare e agire in autonomia.
Se non lo facciamo, riduciamo drasticamente le nostre possibilità. E questo
significa rimpicciolire noi stessi. Se non si limita da solo, l’essere umano
può diventare ciò che vuole. Può riuscire liberamente in qualunque cosa.
Può godere di promettenti possibilità.
È proprio senza quelle limitazioni che l’essere umano diventa la migliore
argilla da modellare.
– 17 –
Le esperienze plasmano gli esseri umani

Perché l’essere umano prova rimorso? Il filosofo Arthur Schopenhauer ha


fornito la seguente risposta:
«Dipende dal fatto che cambiano le sue consapevolezze. Quelle che aveva
quando ha compiuto una certa azione, la sua visione delle cose, il suo modo
di pensare e la sua scala di valori sono mutati in seguito alle sue azioni. Se le
consapevolezze rimanessero tali e quali a prima, non nascerebbe il rimorso.»

In altre parole, le consapevolezze che precedono un’azione differiscono da


quelle che la seguono. Questo perché l’essere umano muta le sue
consapevolezze e valutazioni in base alle sue azioni e alle esperienze
personali.
A prescindere dalla correttezza o meno del pensiero di Schopenhauer, la cosa
certa è che ognuno di noi muta la propria mentalità, la propria visione delle
cose e la propria valutazione in seguito alle esperienze maturate.

Possiamo anche avere delle convinzioni opinabili, ma possiamo supporre che


chi ha accumulato dell’esperienza risulti più attendibile perché è più saggio e
ha acquisito una capacità maggiore rispetto a chi invece non ne ha
accumulata affatto. Questo principio può in parte essere vero. I personaggi
dei videogame, in effetti, più guadagnano esperienza più diventano forti.

Eppure gli esseri in carne e ossa non sono così semplici. Anche nel caso in
cui due persone si occupino contemporaneamente della stessa faccenda e la
portino a termine nello stesso momento, ognuna di loro l’avrà percepita in
modo diverso dall’altra. L’essenza stessa di quelle esperienze differisce.
Si potrà difatti trattare di un’esperienza superficiale oppure profonda. Inoltre,
anche un’esperienza maturata una sola volta può rivelarsi fondamentale per
impadronirsi di una qualche tecnica. Ma può anche accadere il contrario.

Se provassimo a riflettere con calma su questo argomento, ci dovremmo


rendere conto che qualsiasi faccenda della quale ci stiamo occupando in
questo momento, dalle relazioni sociali ai lavori di tutti i giorni, rappresenta
un’esperienza che ci cambia. Anche questo stesso istante e questa giornata
ci stanno senza dubbio plasmando.

Di conseguenza, vivere bene non è una questione di consapevole buona


condotta, ma di piccole azioni che riguardano ogni piccola incombenza
quotidiana, portate avanti con tutte le nostre energie e la buona volontà;
mettendo questo tipo di atteggiamento alla base della costruzione di noi
stessi, ci accorgeremo della necessità di affrontare con il dovuto impegno
anche le minime esperienze, non dimenticando mai di attribuire loro un
valore e un significato.
– 18 –
Impegnandovi con zelo in qualcosa, ne
scoprirete per la prima volta il vero
significato

Dove risiede il significato delle cose? Tutto ha un significato prestabilito?


No.
Il significato delle cose è immanente e si manifesta solo nel momento in cui
ne facciamo esperienza. Perciò, non è visibile dall’esterno e non si può
nemmeno intravedere in anticipo, qualunque esso sia.

Ad esempio, quale significato ha allevare un figlio? Quale significato ha il


matrimonio? E la vita? Quando riflettiamo su queste domande non emergono
risposte vere in maniera assoluta, che ci portino a pensare «sì, è proprio
così».
Ciò che spesso ci spinge in situazioni infelici è cercare tutte le informazioni
possibili su questa o quella azienda prima di iniziare un lavoro e poi, dopo
averlo ottenuto, riflettere nuovamente da zero sul significato di quel lavoro.
Così facendo, nella maggior parte dei casi, si finisce per dimettersi
dall’azienda senza avere prima trovato alcun senso nel proprio ruolo al suo
interno.

Avere l’abitudine di pensare che riflettendoci molto, prima o poi, la risposta


giusta la si trovi dipende probabilmente dal fatto che ci portiamo dietro un
riflesso del sistema scolastico, il quale prevedeva un cammino prestabilito
formato da esami e risposte corrette che erano già state decise. Ma lasciando
perdere esami e vita scolastica, nella vita reale non esistono in alcun modo
risposte prestabilite.
Non c’è alcuna ragione per la quale le cose debbano essere dotate di
significati particolari. Le cose sono semplicemente cose. È solo quando noi
abbiamo a che fare con esse che si manifesta per la prima volta il loro
significato.

Tuttavia, in base a come ci si relaziona a una situazione, il significato cambia


di conseguenza. Se la approcciamo in modo frammentario o la abbandoniamo
a metà, non ne trarremo alcun significato. E, di conseguenza, la giudicheremo
inutile.
Solo se ci approcceremo con profondo zelo, allora sì che riusciremo a
trarne il vero significato. E dai singoli significati trarremo poi il nostro
senso della vita e di ciò per cui vale la pena vivere.
I significati non saranno uguali per tutti, anche in relazione a una stessa
faccenda o lavoro. A seconda del modo in cui quella determinata cosa viene
vissuta da parte di ciascuno, le sfumature di significato cambieranno. Per
questo, se più persone si succedono nello stesso lavoro, il risultato finale
cambierà.

I know how, le abilità e qualunque altra spiegazione non fanno emergere il


significato e l’interesse che quel qualcosa possiede.
Solo una volta andati oltre e approdati a un punto da cui guardare il
tutto con distacco, trapelerà il suo vero significato. Come quando si scala
una montagna e finalmente, dallo spazio vuoto tra un albero e l’altro, si gode
della vista del paesaggio in lontananza.
– 19 –
L’essere umano non smette mai di ambire
a diventare qualcuno

I bambini raccontano i loro sogni e le loro speranze. Vorrei diventare il


capitano di una nave che solca i mari stranieri. Questo è un sogno, si potrebbe
realizzare. Vorrei diventare un pittore. Anche questo è un sogno. Potrebbe
diventare realtà.
Vorrei gestire un negozietto. Questo, invece, non è un sogno. Anche il voler
diventare ricco non è un sogno, in quanto molto difficile da realizzare.

Perché non è un sogno il voler gestire un negozio? Con un po’ di denaro da


investire chiunque potrebbe diventare gestore di un’attività, anche il prossimo
mese. Dopo poco tempo, però, potrebbe anche fallire. Perché non è prima
diventato un imprenditore. Possiamo diventarlo realmente soltanto
accumulando studio ed esperienze necessarie a trasformarci in abili
imprenditori.
Se afferriamo questo concetto, capiremo anche la grande differenza tra
«possedere» e «diventare». Eppure spesso le due cose vengono confuse.

Possedere qualcosa è un obiettivo per il quale vi possono essere delle


possibilità, ma non è certo che queste possibilità poi si realizzino. Ad
esempio, da una grande disponibilità economica consegue la possibilità di
avviare un’impresa, ma non è detto che questa poi abbia davvero successo.
Perciò, il figlio del proprietario di un’azienda, ad esempio, può diventare un
giovane proprietario di seconda generazione, ma se non ha le abilità
gestionali adatte non riuscirà a far funzionare l’impresa né a mandarla avanti.

Invece il difficile del diventare ricchi è che non ci si può arricchire se prima
non si diventa qualcuno.
Di conseguenza, l’espressione «diventare ricchi» è ambigua, perché fa cadere
completamente la distanza esistente tra il sostantivo «ricco» e il verbo
«diventare». Oppure ci si dimentica addirittura la parte che precede «ricco».
Questo discorso vale anche l’espressione «voler diventare una persona di
successo».

Nel testo di Mark Rowlands intitolato Tetsugakusha to ookami (Il lupo e il


filosofo) si legge il seguente passo:
«Per le scimmie il possesso è molto importante. Giudicano se stesse in base a
ciò che posseggono. D’altra parte, però, l’importante per i lupi non è ciò che
possiedono, ma la loro esistenza. Per un lupo la cosa più importante della sua
vita non è possedere qualcosa e in una certa quantità, bensì essere un lupo di
un determinato tipo».

Quando possediamo qualcosa, ci convinciamo che sia nostro. Pensiamo che


quella cosa dipenda da noi, che aderisca perfettamente a noi senza lasciare
alcuna intercapedine. Perciò, cadiamo nell’errore di considerarci speciali
perché la possediamo.
Ovviamente non è così. Esiste la possibilità che ciò che possediamo, qualsiasi
cosa sia, ci venga sottratto. Perciò, opponiamo resistenza agli altri e
proteggiamo noi stessi da loro. Il termine «tirchio» esprime realisticamente
quest’attitudine.
Preoccupandosi solo di possedere cose, non si riesce a diventare qualcuno.
Invece, cercando continuamente di diventarlo, una persona realizza
davvero ciò che è. Se questo viene meno, si perde l’essenza stessa
dell’umanità.
Il punto è che l’essere umano può «diventare», ma non può «possedere».
Tutti possono diventare pompieri, persone cortesi o soldati. No: ogni persona
continua a diventare ciò che le si confà, nella piena rea-lizzazione della sua
natura. I lupi diventano quel determinato tipo di lupo, è così che preservano
la specie, ma per gli esseri umani non sempre vale la stessa cosa.

Se io non scrivessi qualcosa non sarei uno scrittore; sarei solo uno strano
essere vivente che non fa altro che spostarsi salendo su un aereo dopo l’altro.
Se i politici non contribuissero alla vita dei cittadini attraverso i disegni di
legge, non sarebbero nient’altro che esseri viventi che rubano con destrezza i
soldi delle tasse.

Friedrich Nietzsche ha riflettuto su ciò che «l’essere umano genera», ed è


proprio quel generare che contraddistingue l’uomo.
Non è la realizzazione di se stessi. Non è che ci sia un sé prefissato in
anticipo. L’essere che continua senza sosta a muoversi per diventare
qualcuno è l’essere umano. Ognuno viene trasformato dal caso, e una
persona è il risultato di tutto questo sistema di trasformazioni.
I bambini, che inconsciamente già lo sanno, raccontano cosa vorrebbero
diventare da grandi con gli occhi che brillano.
– 20 –
Dalle vostre fissazioni non nascerà mai
nulla di nuovo

Ci sono persone che, pur dipingendo da una decina d’anni, riescono a creare
soltanto opere mediocri. D’altra parte, esistono anche quelli che sono in
grado di dipingere piccoli capolavori pur avendo appena preso in mano un
pennello. La differenza tra i due è data dalla concezione e dall’idea della
pittura che essi hanno in mente prima di iniziare.

Coloro che hanno un’idea preconcetta della pittura produrranno fino alla fine
opere già viste, o comunque non supereranno mai se stessi.
Certo, questo discorso non vale soltanto per la pittura, ma anche per la
musica, la poesia, la narrativa, la saggistica e, ovviamente, per moltissimi
altri lavori.
Mi piacerebbe che molte persone si staccassero dalla consuetudine attuale per
mettere in pratica una vita più libera e ricca.
Eppure, purtroppo, la loro testa è già piena di idee preconcette.

Quelle persone farebbero bene ad armarsi di coraggio e decidere di


impegnarsi attivamente in un’attività completamente diversa dal loro settore
attuale: ad esempio qualcuno tra loro potrebbe cercare di diventare architetto-
designer freelance.
Risoluto in tale direzione, si potrebbe iscrivere a una scuola di architettura e,
una volta terminata, scegliere di lavorare nello studio di un famoso architetto-
designer.
E invece, cosa fanno questi individui? Mostrano agli altri di essersi messi in
moto per cercare di realizzare quel sogno, ma il loro tentativo si limita a
ricalcare l’idea astratta che di esso hanno in testa. Come se quell’idea
fosse l’unica modalità esistente.

Nella testa di queste persone, innanzitutto, si persiste nell’idea che un


architetto debba studiare per forza le basi in una scuola professionale, e che
gli anni successivi siano destinati al periodo di tirocinio e poi alla carriera.
Tuttavia, raccontando quel «sogno» agli altri, entreranno in gioco molte altre
suggestioni. Inoltre, i famigliari e i conoscenti (che condividono e alimentano
quelle stesse idee preconcette) loderanno quel progetto come qualcosa di
sicuro e dall’alta probabilità di riuscita e, così, tiferanno per la sua
realizzazione.
Eppure, se mai quella persona dovesse riuscire a entrare a lavorare in uno
studio di design, come programmato, dovrà accontentarsi di rimanere un
semplice dipendente chissà fino a quando. Questo accadrà perché,
guardando tutto con gli occhi delle idee preconcette che sono già lì, fisse
nella sua testa, il suo design non sarà mai originale e innovativo.
– 21 –
Le persone anticonvenzionali agiscono con
i fatti

La nostra visione delle cose si fissa nella nostra testa in base alle conoscenze
che abbiamo. Tra di esse, sono assai utili le conoscenze acquisite tramite le
esperienze di vita.
Allo stesso tempo, queste si trasformano ben presto in punti di vista
preconcetti e finiscono spesso per attaccarsi alla nostra testa spingendoci a
essere prevenuti.

Molte persone vivono guardando il mondo attraverso quei pregiudizi e quelle


idee preconcette. A ciò si aggiunge il gran tocco finale, ovvero le credenze
tipiche di una certa epoca, che sono innumerevoli e contribui-scono in larga
parte a una sorta di buonsenso comune. La maggior parte della gente,
quando parla del più e del meno, si tranquillizza nel ritrovare
reciprocamente quel buonsenso comune. E così aumentano le persone
mediocri.
Tuttavia, oltre a essere mediocri, questi individui covano di nascosto
ambizione e passione per l’azzardo. Se posseggono qualcosa, anche di
minima entità, pensano seriamente di poter diventare qualcuno.
Fondi, titoli accademici, curriculum, opportunità, conoscenze, ambiente,
tempo, salute: se posseggono più di una tra queste cose, pensano di cambiare
completamente la loro situazione attuale, di diventare ricchi e famosi e di
potersi trasformare nelle persone che pensano di meritare di essere.

Tuttavia, chi è davvero diventato qualcuno, non l’ha mai pensata in


questo modo. E non ha nemmeno mai pensato che gli mancasse qualcosa.
Innanzitutto non aveva idee preconcette nei confronti di alcun argomento.
Anzi, possedeva piuttosto una mentalità non consueta. Considerate dal punto
di vista del buonsenso comune, queste persone appaiono alquanto singolari.
Gli individui di questo tipo sono considerati dai mediocri come fuori dalla
norma, eccentrici e anticonvenzionali; non solo sono riusciti a realizzare
qualcosa ma l’hanno fatto perché mossi da un pensiero libero. Si può
affermare che abbiano raggiunto un traguardo attraverso un nuovo
metodo, un’innovazione rispetto a ciò che costituisce la convenzione.

Si direbbe che hanno intrapreso una strada diversa fin dall’inizio.

Eppure, anche le persone mediocri vorrebbero imparare a pensare così


liberamente per poter riuscire nella vita. Non si accorgono nemmeno che già
quel pensiero costituisce un sintomo dell’essere mediocri. Vorrebbero a
tutti i costi conoscerne il know how.
Pensano che, apprendendone la metodologia, giungeranno da qualche parte
attraverso la strada sicura tracciata dalla convenzione. È lo stesso pensiero
secondo il quale frequentando una scuola si impara necessariamente qualcosa
di utile.
Questa mentalità è sempre legata a idee fisse ed è tipica della mediocrità,
opposta rispetto al pensiero libero.
– 22 –
Nessuna metodologia

Il prete gesuita Anthony De Mello, nel testo intitolato One minute nonsense
(Shock di un minuto) ha inserito il seguente episodio inedito:
«‘Io la sto frequentando, maestro, ma non sono ancora stato iniziato a nessun
metodo o tecnica.’
‘Metodo?’ ribatté il maestro. ‘E perché diamine vorresti apprendere un
metodo?’
‘Per la realizzazione della mia libertà interiore.’
Il maestro rise fragorosamente e rispose: ‘Ti sbagli di grosso. La trappola
chiamata “metodo” e usata come mezzo per liberare se stessi necessita di una
grandissima abilità!’»

Come si può evincere leggendo questo passo, il discepolo, mostrando un po’


di impazienza, aveva fretta di impadronirsi di qualche mistero iniziatico. Le
molte persone che desiderano prendere le distanze dalla loro situazione
attuale sono proprio come questo discepolo. Sono come coloro che, sin dai
tempi antichi, vanno alla ricerca dell’erba medicinale per preparare il
miracoloso elisir in grado di donare loro l’immortalità.

Sono convinti che chi ha ottenuto ciò che desiderava nasconda agli altri
la conoscenza di una particolare tecnica, di un mistero, di un arcano
segreto, di fantomatici trucchi o know how.
In realtà, a pensarla così, ci si vincola a forti preconcetti; i limiti autoimposti
che non ci permettono di liberarcene ci impediscono di capire, persino nei
casi positivi, che tutto non è che come appare, senza segreti.

Per inciso, i ricercatori dell’elisir dell’immortalità non sono mai riusciti a


trovarlo. Tuttavia, sono esistiti degli eremiti considerati immortali. Perché
questi individui hanno raggiunto l’immortalità? Perché hanno vissuto con
calma imperturbabile, senza preoccuparsi affatto di invecchiare o di
morire.
Immaginare che da qualche parte esista un rimedio miracoloso, pensare che
esista una qualche tecnica mistica, coltivare l’aspettativa che sia possibile
trovare una nuova vita e un nuovo sé andando da qualche parte all’estero
significa vincolare indissolubilmente se stessi alla rigida catena delle idee
preconcette.
Così facendo, finché non si smette definitivamente di cercare qualcosa di
speciale all’infuori di sé, nulla potrà avere inizio.
– 23 –
Gli esseri umani che danno vita alle
innovazioni

Pur volendo inventare qualcosa di nuovo, qualcosa di epocale, qualcosa che


superi il livello tecnico finora raggiunto, è proprio difficile riuscirvi, perché
puntare il dito su una cartina e muoverlo verso la destinazione è
completamente diverso dal cercare di raggiungerla con i propri piedi.

Per rendere il concetto più semplice, farò un esempio che rientra nel campo
artistico: per dare vita a uno stile pittorico innovativo come quello di Renoir e
Cézanne o a uno stile letterario fino ad allora inesistente come quello di
Ellroy, o ancora a uno stile musicale che ai suoi tempi si propose in modo del
tutto innovativo come la bossa nova, bisogna che prima ci sia un
rinnovamento interiore.
Le cose nuove non nascono da sole. Ovvero, è sempre e comunque l’essere
umano a percepire qualcosa come nuovo e, in questo senso, le cose nuove
devono essere create dall’uomo e posseggono una forza che solo l’uomo è
in grado di percepire.
Perciò, soltanto coloro che provano emozioni nuove, che vivono e pensano in
modo nuovo, sono in grado di dare vita a qualcosa di innovativo.

Ciò non significa che abbiano la possibilità di farlo soltanto i giovani. Anzi,
sono molti i giovani che, con uno stile di vita e una mentalità abitudinari,
riescono a generare soltanto mediocrità. Al contrario, a qualsiasi età, anche
le persone più mature, se hanno uno spirito fresco e pieno di vita,
possono dare vita a molte cose nuove.
Perciò, il requisito indispensabile è che la persona stessa sia originale, oltre
che produttiva.
Coloro che posseggono questo spirito innovativo e questa forza produttiva,
nella maggior parte dei casi, non sono del tutto compresi e fanno spiacevoli
esperienze causate da sentimenti di antipatia e repulsione nei loro confronti.
Tutti gli altri invece desiderano cose nuove, ma continuano a reiterare la
stessa immutabilità nei loro modi di vivere e di pensare, poiché credono che
quella sia la via giusta.
Seppure non comprese, le persone che hanno in sé la sensibilità per il nuovo
non possono fare a meno di esprimere la loro vera natura. Perché è proprio
questo che permette loro di «vivere».
– 24 –
Siate pronti ad accogliere come degli ampi
recipienti

Se pensiamo di non riuscire a prendere parte attiva nella società, oppure se la


maggior parte della gente non sa apprezzarci e non riconosce le nostre reali
capacità, sarebbe il caso di provare a domandarci almeno una o due volte
se non sia proprio la nostra ostinazione a respingere gli altri.

A chi vorreste donare qualcosa per il solo piacere di donare? Alle persone
aperte, che non controllano le proprie mosse solo per ottenere qualcosa
dagli altri. A chi parlereste di cose che non volete far sapere a tutti? Alle
persone che sanno ascoltare.
Chi penserebbe mai di confidarsi con le persone che ti stringono la mano
come se dovessero sferrare un pugno? Chi chiederebbe qualcosa a coloro che
hanno sempre le braccia incrociate?

L’ostinazione probabilmente è supportata da argomentazioni logiche proprio


perché esistono varie opinioni, ma in realtà non ha niente a che fare né con la
logica, né con l’aderenza al reale. Inoltre, l’ostinazione non è
necessariamente frutto di un pensiero consolidato. Qualsiasi opinione si
abbia, per quanto forte essa sia, può essere affermata con un
atteggiamento flessibile senza per questo dare luogo a una
contraddizione.
Quali che siano la vostra ragione e le vostre esigenze, respingere le opinioni
altrui equivale a bloccare con le proprie mani le molte opportunità che
traboccano nelle vostre vite.

Questa condizione non permette di recepire informazioni, idee, dritte,


scoperte, tracce, desideri, preghiere, consigli, richieste. E ciò, di certo, finisce
per falciare le radici dell’albero della nostra vita. E, a sua volta, condurrà
rapidamente alla povertà di spirito.
Certo, quando parliamo con qualcuno non siamo sempre mossi solo da un
obiettivo o da un secondo fine. Esistono anche casi in cui pronunciamo
qualche parola semplicemente per provare a intavolare un discorso o per
inserirci in un discorso già avviato.
Ma questo parlare del più e del meno non è sempre inutile. Attraverso parole
e significati impliciti, si può arrivare a comprendere a fondo l’interlocutore,
noi stessi e, in generale, gli esseri umani.
Questo atteggiamento, per quanto basato su un minimo sforzo, non conduce
soltanto a una conversazione pacifica e conciliante. Da quel momento in poi,
avrà influenze più o meno tangibili sul nostro modo di vivere e di lavorare.
Persino – e soprattutto – quando non ce ne rendiamo affatto conto.
CAPITOLO 3
DISTINGUETE LE INEZIE DALLE COSE
IMPORTANTI
– 25 –
Non fatevi stregare dai concetti teorici

Molte persone soffrono di una malattia chiamata «iperconcettualismo». Nella


testa hanno talmente tanti concetti teorici accumulati che gli stessi
pensieri soccombono sotto tutto quel peso.

Un concetto teorico per antonomasia è l’idea di fortuna. Continuando a


pensare di voler essere baciati dalla fortuna, ci si convincerà di essere
sfortunati. Anche ricchezza e povertà si abbattono su di noi come concetti
teorici di grande peso.
E ancora, gioventù e vecchiaia. Bellezza e bruttezza. Successo e fallimento.
Mascolinità e femminilità. Immaturità e saggezza. Prima o seconda classe.
Ognuno di questi e di molti altri concetti teorici che implicano l’attribuzione
di un valore fanno soffrire l’essere umano.
I termini che definiscono quei concetti sono privi di contenuto. Perciò, non
possono essere definiti per sempre e in maniera assoluta. Sono solo parole
vuote che continueranno a brillare in modo vago.

Spesso le parole usate per esprimere quei concetti ci appaiono come


magnifiche porte. Eppure, dirigersi verso quegli usci significa percorrere un
deserto senza fine. Ciò che sembrava bello non è che un miraggio.

Chi fa brillare a tal punto quelle parole vacue? Le persone convinte che il
contenuto di quelle parole sia ricco.
Credono ostinatamente che il valore delle cose non sia qualcosa di stabilito
da noi, ma che si basi su valori assoluti, prefissati solennemente in luoghi
remoti.
– 26 –
Non nutrite «sospetti», ma solo «dubbi»

Nutrire esclusivamente sospetti non aiuta certo a porvi un freno. Nutrendo


dubbi, invece, e riuscendo a tradurli in parole chiare, si riescono a trovare
tutte le risposte. Perché tradurre i dubbi in parole permette di mettere a
fuoco in modo chiaro la loro forma oggettiva.
Perciò, quanto più il numero di parole che comprendiamo e che possiamo
usare liberamente è alto, tanto più le cose diventano facilmente comprensibili
e le possibilità di dissipare i dubbi aumentano.
Ma come si fa? Basta leggere libri. Perfino nelle scuole di prestigio gli alunni
studiano questo o quel testo, senza però spingersi oltre a quelli indicati dagli
insegnanti.
Se non leggiamo e non riflettiamo con la nostra testa non acquisiremo le
capacità che ci sono utili. Questo è il metodo più semplice per imparare a
pensare liberamente, ma allora perché tanta gente non lo segue o non ci prova
neanche?
– 27 –
Approcciatevi con leggerezza alla realtà

Personalmente, non ho mai scritto un libro con l’intenzione di produrre


qualcosa di perfetto. Scrivo semplicemente mettendoci tutto me stesso.
Non vado nemmeno alle presentazioni dei miei libri immaginando di fare
discorsi da abile oratore. Tanto meno mi approccio alle conferenze con
l’animo di chi vuole incantare la platea.
Insomma, non mi prefiguro nulla prima che accada. Né faccio previsioni.
Affronto semplicemente la realtà dei fatti, perché se non facessi così finirei
per esaurirmi a causa di tutti i pensieri che pullulano a casaccio nella mia
testa.
I pensieri hanno lo stesso peso dei fatti reali. È per questo che ci
emozioniamo e piangiamo quando leggiamo un racconto. Io non voglio
formulare prima del tempo dei pensieri che recano in sé tutto quel peso.
Desidero soltanto affrontare i fatti reali, volta per volta, con leggerezza.
– 28 –
Adottate un punto di vista umile

Finché si penserà soltanto a espedienti per tirare avanti nel lavoro, o a


modi per guadagnare denaro senza troppo sforzo, non si scoprirà mai il
piacere presente in quello stesso lavoro, né si faranno mai passi in avanti.
Finché gli altri saranno considerati soltanto come strumenti, senza alcun
rispetto nei confronti dell’umanità, alla lunga i giorni finiranno per diventare
degli sporchi campi di battaglia.
Finché considereremo la vita alla stregua di un gioco, inganneremo noi stessi,
faremo troppi sacrifici, sgobberemo inutilmente e saremo sempre di corsa.
Finché penseremo che la cosa migliore sia risolvere qualsiasi faccenda in
modo efficace, i giorni finiranno per trasformarsi in un’ininterrotta sequenza
di impegni, e la nostra vita finirà per perdersi da qualche altra parte.
– 29 –
Mettete da parte l’orgoglio

Nella psicologia e nella filosofia occidentali si ricorre spesso ai termini


«ragione» e «sentimento». A partire dal periodo Meiji (1868-1912) in poi,
vale lo stesso anche per il Giappone. Si pensa e si dice «sarò più razionale»
oppure «non devo essere così sentimentale».
Tendiamo a usare il termine «razionale» un po’ alla leggera, ma qual è il suo
vero significato? Che cosa indica davvero?

In realtà, nessuno lo sa. Sebbene esistano fior fiori di studi sull’argomento,


non si è ancora giunti a una spiegazione efficace di questi due concetti.
Eppure, non siamo in grado di definirli almeno in parte, partendo dalla nostra
esperienza personale? Razionale è la condizione che ci permette di calcolare
a mente fredda i pro e i contro, i profitti e le perdite di una situazione.
Sentimentale è la condizione per la quale ci si ritrova scossi ogni volta che il
nostro orgoglio viene ferito.
A partire da queste spiegazioni, affermiamo che cadere in preda al
sentimentalismo è terribile, e che ogni volta che abbiamo a che fare con
faccende che riguardano il nostro orgoglio ci comportiamo in modo strano.

Perciò, la vera seccatura non sono i nostri sentimenti, ma l’orgoglio.


Dunque, l’autentica natura dell’orgoglio non è il rispetto nei confronti di noi
stessi, quanto piuttosto una mera vanità che ci induce a metterci in bella
mostra e a desiderare che gli altri sopravvalutino le nostre capacità.
Se le cose stanno così, non preoccupiamoci allora di vedere ferito il nostro
umile orgoglio. Ciò che dobbiamo preservare al suo posto, piuttosto, è la
dignità.
– 30 –
Non applicate le categorie «bene-male» o
«virtù-vizio»

Quando si espongono le proprie opinioni a qualcuno e si vuole risultare


convincenti, è sempre meglio evitare termini come «buono» o «cattivo». Se
usiamo le categorie «bene-male» o «virtù-vizio» rischiamo di urtare
l’interlocutore.

Ciò avviene perché quelle parole contengono in sé un grado di valutazione.


Nessuno fra noi vorrebbe essere giudicato da qualcun altro che non sia un
parente stretto o un amico. Inoltre non è così facile che gli estranei
comprendano il nostro reale valore.
Ammettendo che quello sia veramente il «nostro reale valore», esso viene
dipinto con un colore violento dato dalle espressioni «bene-male» e «virtù-
vizio». Quel colore, come una vernice, è poi difficile da lavare via.
Per di più, finisce per nascondere lo stato reale delle cose. Ossia, qualunque
sia il termine appartenente a queste due categorie che viene usato, una volta
che è stato affibbiato un giudizio questo determinerà una certa percezione,
spesso diversa da quella reale. Dal punto di vista del risultato finale, il punto
focale della questione finirà per rimanere ambiguo. Ma più si fa ambiguo, più
sarà naturale che la risoluzione si allontani.

Alla luce di ciò, dobbiamo evitare di avere come riferimento queste


categorie di giudizio in primo luogo quando abbiamo a che fare con il
nostro interlocutore più importante, ovvero noi stessi.
Se lo terremo a mente, diminuiranno i dubbi inutili e il disorientamento.
Eviteremo anche stupidi fallimenti. E ci apparirà chiaro come affrontare al
meglio i problemi.
– 31 –
Come potete trovare una via di uscita

Quando ci troviamo con le spalle al muro, anche smettere definitivamente di


riflettere può essere una soluzione. A quel punto, infatti, non serve più
pensare, basta usare gli occhi. Guardare le cose da lontano. Osservare
distrattamente. Far scorrere lo sguardo come se si stesse contemplando un
paesaggio.
Per alleviare le sofferenze legate a una situazione senza via d’uscita si può
mangiare qualcosa di buono, assaporandolo lentamente. Si può provare a
ridere guardando qualcun altro che ride. Si può anche andare al parco ad
ammirare l’ingenuità dei bambini e degli animali. Oppure, si può provare a
fare un’escursione in elicottero. O ancora, spogliarsi completamente e
nuotare nel mare.

Infatti, pur provando a leggere testi che indichino una qualche metodologia
per uscire dal momento di crisi che si sta vivendo, non ci si può aspettare da
essi un’efficacia immediata. Se si leggono manuali basati su metodi o know
how, certo, lì per lì sono convincenti, ma per quanto siano persuasivi, non
sono in grado di cambiarci.
Siamo noi che dobbiamo cambiare. Se non mutiamo radicalmente la nostra
testa piena di fissazioni, non possiamo uscire da questa situazione di
impantanamento. Per cambiare la testa, il metodo più rapido è usare il corpo.
L’interno pulsante dell’essere umano è concentrato nel cervello, mentre il
muscolo femorale rappresenta fisicamente la sorgente di energia.

Eppure, se si cerca una via di uscita, si deve riflettere fino in fondo.


Continuare a riflettere a lungo, da soli, al punto di temere di impazzire.
Molte ore, molti giorni, molte settimane.
In quel lasso di tempo, inaspettatamente, qualcosa cambia. Ce ne rendiamo
conto all’improvviso: una luce flebile comincia a farsi strada. A volte
perdiamo il sorriso.

E tutt’a un tratto, ecco l’opportunità. Il suono di una goccia, il cinguettio di


un uccello, il brusco cambiamento di temperatura, il tremolio del fuoco, un
motivo decorativo, il rumore del mare, qualcosa che accade per caso nella
quotidianità risveglia qualcosa dentro di noi. È una svolta che mi piace
definire buona sorte.

Non sono esperienze che provano soltanto i geni e i talenti come Archimede
o Kant.
Se si desidera sinceramente trovare una via di uscita ed ergersi a testa alta in
una nuova dimensione bisogna affrontare davvero, con serietà, le cose, e
quell’istante che abbiamo sempre cercato verrà di sicuro a farci visita.
– 32 –
Il tempo è dentro ognuno di voi

Senza arrivare al punto di comprendere interi scritti di filosofia, anche una


conoscenza parziale della materia può rivelarsi molto utile nelle nostre vite di
tutti i giorni.

Un testo che reputo fondamentale, ad esempio, è la Critica della ragion pura


di Immanuel Kant. La prima edizione del 1781 fu giudicata troppo ostica. Ma
per chi? Per coloro che applicano il senso comune? Per coloro che
ritengono assolutamente esatto il pensiero della società?
Eppure, le persone che mettono in discussione i preconcetti e la dilagante
standardizzazione del pensiero non ritengono che questo testo sia così
difficile; anzi, lo approvano e sono persuasi dai concetti che esso esprime.

Uno di questi è la concezione del tempo. Kant sostiene che il tempo non è
qualcosa che scorre indisturbato all’esterno, ma è dentro di noi, è uno
strumento che usiamo quando percepiamo e comprendiamo qualcosa.
Non ha importanza se questa teoria di Kant abbia o meno un fondamento
scientifico. Ciò che importa è che questa idea riesce a trasmetterci una grande
tranquillità e ci dona una sorta di consolazione.
Adottando questo punto di vista, infatti, possiamo affrancarci dal pensiero
comune di chi ritiene di essere «oppresso dal tempo» e che «non c’è mai
tempo». Inoltre possiamo sottrarci dall’ossessione del rendimento e della
concentrazione.

Il tempo è dentro di noi. Da questo atteggiamento, che mette in discussione il


pensiero comune, nasce una nuova autonomia. Nel senso che il tempo muta
a seconda di come noi ci rapportiamo alle cose. Grazie a questo approccio
mentale ognuno potrà aprire un pochino le porte alla ricchezza di un sé prima
sconosciuto.
– 33 –
Fate fruttare il tempo

Se volete avere più tempo a vostra disposizione, cercate di collocarvi in un


luogo che sia il più lontano possibile da quei suoni che fanno sussultare il
vostro cuore. Questi, che ovviamente variano da persona a persona, possono
essere, ad esempio, un pianto, un gemito di sofferenza, un rimprovero, un
diverbio e così via. Oltre ai vari generi musicali, esistono poi i rumori dei
mezzi di comunicazione che ostacolano la concentrazione necessaria.

Quando ci troviamo in luoghi silenziosi, oppure immersi soltanto nei


suoni della natura, siamo in grado di far fruttare al meglio il nostro
tempo. In altre parole, il livello di concentrazione si innalza e riusciamo a
esibire al meglio le nostre capacità.
I luoghi adatti potrebbero essere, ad esempio, il proprio studio, un atelier, un
hotel dotato di camere con tutti i comfort, ma l’essenziale non è tanto lo
spazio e il suo interno, quanto un ambiente in cui si possa avere il pieno
controllo sui rumori.

Quando ci troviamo in un luogo privo di suoni che ci distraggono, il tempo


cessa di essere qualcosa che continua a scorrere in modo automatico fuori da
noi. Perdendo il senso del tempo, diventa possibile fare le cose in totale
libertà, spassionatamente.
Si tratta di uno stato mentale adatto a mettere in pratica la propria volontà,
che lo zen descrive sin dai tempi antichi. Gli artisti, che conoscono molto
bene questa sensazione, lavorano immergendosi completamente in tale stato
d’animo.
Gli uomini d’affari, in generale, fanno esperienza di questa condizione
soltanto in modo frammentario o casuale. Per questo continuano a lamentarsi
che non hanno tempo, mentre in realtà non è il tempo che manca loro,
bensì le occasioni per trovarsi in un ambiente che favorisca la
concentrazione totale nelle cose, dimenticandosi completamente del
tempo che scorre fuori da sé.
Anche queste persone possono far fruttare al meglio il loro tempo. Lo
possono fare allontanandosi dal chiasso del mondo, rimanendo nei limiti del
possibile soli con se stessi, abbandonando completamente le manie, le
aspettative, le preoccupazioni, i desideri, le mille cose a cui tutti pensiamo.
Così facendo, il livello di concentrazione farà un balzo notevole e, rispetto al
solito, saremo in grado di rendere nostro e veramente proficuo il tempo che
abbiamo a disposizione.
– 34 –
Siate consapevoli dei vostri pregiudizi

Noi non guardiamo le cose così come sono. Le guardiamo attraverso idee
preconcette, in base alle quali attribuiamo valori e giudizi. Leggendo le
righe che seguono, dovremmo essere in grado di capire subito dove risiede il
preconcetto:
«Friedrich Nietzsche ottenne la cattedra di Lettere antiche all’Università di
Basilea ad appena ventiquattro anni, a trentacinque abbandonò
l’insegnamento cominciando a vagabondare e spostandosi da un luogo
all’altro da apolide; a quarantacinque anni, a Torino, impazzì e, assistito dalla
madre e dalla sorella minore, morì un decennio dopo. Fu la triste morte di un
uomo di quarantacinque anni, un tempo chiamato genio. Che fine misera.»

Questo breve testo è intriso di preconcetti fin dalla prima frase.

L’attribuzione del giudizio «ad appena ventiquattro anni» è tipica di noi


contemporanei, che viviamo in un’epoca in cui le calamità dovute a guerre ed
epidemie in grado di abbassare l’aspettativa media di vita sono poche, e che
siamo facilitati nel raggiungimento della longevità grazie a cure mediche
all’avanguardia.
Qualche secolo fa a ventiquattro anni non si era poi così giovani. Nel
Medioevo, era normale per i bambini attorno ai sette anni andare a lavorare
con gli adulti.
Parlare di «pazzia» come di qualcosa che non è normale implica l’influenza
di un sistema statale e di una medicina moderni, che dividono nettamente in
due la normalità e l’anormalità. Prima dell’epoca moderna, non era affatto
strano circondarsi di persone che oggi verrebbero definite per certi versi
anormali.
L’espressione «che fine misera» deriva da un metro di giudizio rigido che
caratterizza facilmente gli abitanti delle città contemporanee, in cui è diffuso
un curioso senso comune relativo al modo più appropriato di morire, assistiti
in condizioni di sicurezza e igiene fino all’ultimo istante.
Quando si vuole raccontare un certo fatto ricorrendo a queste modalità
descrittive, non c’è alcun motivo di esprimere le cose così come stanno, in
totale franchezza, con grande precisione ed equità, senza valutarle applicando
preconcetti, pregiudizi o per partito preso, e neppure senza farsi influenzare
dalle correnti di pensiero proprie del periodo storico in cui viviamo.
Se prendessimo coscienza di questo, riusciremmo a guardare le cose da una
prospettiva diversa rispetto a quella comunemente adottata e, prendendo le
distanze da preconcetti e pregiudizi, potremmo dare vita spontaneamente a
scoperte e interpretazioni del tutto innovative.
– 35 –
Cosa significa avere una logica coraggiosa

Il filosofo Ludwig Wittgenstein, che, nell’Austria del XIX secolo, rinunciò


completamente a una cospicua eredità, nel suo Tractatus logico-
philosophicus scrisse quanto segue:
«Il mondo è determinato dai fatti e dall’essere essi tutti i fatti.» (I.11)
«Ché la totalità dei fatti determina ciò che accade e anche tutto ciò che non
accade.» (I.12)

Di solito, vengono trattati come fatti reali solo quelli accaduti o che stanno
accadendo, ma questo filosofo considera reale anche ciò che è celato
nell’ombra di ciò che è accaduto, ciò di cui molte persone non si
accorgono nemmeno, ovvero considera reale anche ciò che non è
accaduto.
Mettiamo il caso che a colazione abbiamo cucinato un uovo strapazzato: non
è reale solo quell’uovo strapazzato, ma dovremmo considerare nel mondo
della realtà anche l’uovo al tegamino, l’uovo in camicia e tutti gli altri modi
di cucinare quelle uova che non abbiamo però adottato.

Questo pensiero non ci insegna forse ad avere una logica coraggiosa?


Quando falliamo in qualcosa che volevamo fare, pensiamo a denti stretti:
«Ecco, avrei dovuto scegliere un’altra strada». Immaginiamo in modo del
tutto arbitrario che, se avessimo scelto l’altra opzione, automaticamente
sarebbe filato tutto per il meglio. E subito dopo pensiamo che l’errore nella
scelta sia stato la causa del fallimento.
Questo modo di pensare sembra del tutto logico ma, in realtà, non è un po’
sconclusionato? Abbiamo infatti stabilito a priori che, se avessimo scelto fin
dall’inizio l’altra opzione, lo stato attuale delle cose sarebbe stato
completamente differente.
Questo pensiero fin troppo ottimistico assomiglia molto a ciò che la volpe
fece con l’uva nella celebre favola di Esopo che ci arriva dall’antica Grecia.

Lo scopo principale di questo pensiero consiste nel consolare noi stessi da un


fallimento, ma oggigiorno non è forse, piuttosto, un modo che coloro che
non vogliono assumersi le proprie responsabilità adoperano con grande
astuzia per cambiare le carte in tavola?
Il lato oscuro di questa mentalità è completamente intriso di sofferenza e
rimpianto. Se indica chiaramente qualcosa, questo qualcosa è solo avarizia.

La realtà è che le nostre possibilità di scelta non sono limitate a una sola. Allo
stesso tempo, però, rinunciamo a tutto ciò che non fa parte della nostra scelta.
Quando ce ne rendiamo conto, la logica dell’essere umano fa di tutto per
preservare quella scelta e per non soffrirne, qualunque cosa accada.
– 36 –
Dalla «parola» prende vita il potere di
un’idea

È molto facile far arrabbiare l’uomo. Un buon metodo consiste nel lanciare
pesanti invettive. Inoltre, alcune parole bastano a far piangere gli altri o a
rallegrarli, o ancora a innervosirli.
Usando le parole non ci si limita a smuovere gli altri. Attraverso le parole
possiamo anche smuovere noi stessi. Tutti i metodi in grado di incoraggiarci
e darci forza tramite le parole non sono affatto puerili.

Il primo passo per smuovere qualcosa in noi stessi è conoscere parole che
per noi sono nuove.
Quelle parole possono essere sostantivi, aggettivi, modi di dire, termini
tecnici, termini scientifici, forestierismi, termini dialettali e così via. Se per
noi sono parole nuove, cambieranno sicuramente il nostro modo di pensare e,
per il suo tramite, le nostre azioni.

Ad esempio, la comprensione e il semplice utilizzo nella vita di tutti i giorni


dei molti significati di parole ricercate come indulgenza, intimità,
riconoscenza, congettura e via dicendo, permettono ai nostri sentimenti e alla
nostra vita di arricchirsi.
Se si comprendono e si utilizzano correttamente i significati di termini quali
induzione e deduzione, costanza, probabilità, differenza, tautologia, pensiero
empirico, paradosso, dilemma, trascendenza, logica fuzzy, successione di
Fibonacci, si può fare ordine nei pensieri confusi e si arriva più in fretta alla
comprensione di questioni complicate. Se si capisce poi che le categorie che
definiscono tutte le infinite sfumature di colore possedute da parole simili
cambiano di Paese in Paese, la sfera di comprensione delle culture si
allargherà sorprendentemente.

Nella storia giapponese, il grande cambiamento avvenuto nel periodo Meiji


non è dovuto esclusivamente al mutamento della struttura statale. Attraverso
la traduzione delle letterature occidentali sono stati coniati neologismi per
esprimere nuovi concetti. Ed è proprio l’utilizzo di quelle parole nuove ad
aver rinnovato il modo di pensare dei giapponesi di quell’epoca.
Quando una nuova parola ci entra in testa è come se tanti ponti collegassero
gli spazi tra le parole e i significati che prima se ne stavano isolati come stelle
solitarie in cielo. Lì nascono i significati; grazie a essi capiamo
perfettamente le connessioni esistenti tra tutto ciò che prima ci appariva
ambiguo e, così, prendono forma spontaneamente idee originali e
soluzioni innovative.
Così facendo, le parole illuminano nuove interconnessioni nella nostra mente.
– 37 –
State alla larga dalle «parole della società»

Cerchiamo il più possibile di tenerci alla larga dalle «parole della società».
Con questo termine intendo riferirmi a tutte quelle parole che la gente dice o
pensa senza esserne davvero consapevole, le parole utilizzate dai mass media
e tutti quei modi di dire che usiamo abitualmente.
Queste parole sono di facile utilizzo, ma, dato che vengono usate alla leggera,
abusate e semplificate, quando si vogliono approfondire si finisce sempre
nella nebbia dell’ambiguità.
Tali termini implicano spesso un senso dei valori impietoso. Nell’epoca in
cui viviamo, così attenta alla bellezza apparente, il termine
«invecchiamento», ad esempio, assume una connotazione negativa. Per
questo si è affermata l’espressione «anti-aging».
Eppure, che cosa significa esattamente «invecchiamento»? Certo, quando un
tubo di gomma o di metallo invecchia si deteriora. Si può parlare di
deterioramento nel caso dell’invecchiamento di un essere umano?
Ebbene, il termine «invecchiamento» viene usato anche con questa sfumatura
di significato. Il fatto che le donne spesso non dichiarino la propria età è
perché avanzare con gli anni viene comunemente percepito attraverso una
valutazione di giudizio molto simile alla vergogna.

Quando introiettiamo dentro di noi questo genere di parole in modo acritico,


senza comprenderle appieno, finiamo per guardare noi stessi e il mondo
attraverso il metro di giudizio di quelle stesse parole. Quelle, poi, di
nascosto, porteranno nelle nostre vite molte sofferenze. Perché le parole della
società esprimono una visione dei valori secondo la quale la bellezza, la
ricchezza, la forza e la giovinezza sono il meglio a cui aspirare, e perché
hanno un’aggressività volta a escludere qualsiasi tentativo di opporsi a tali
valori.

Inoltre, questi termini sono legati a una visione positiva di concetti come
continuità e persistenza. Ad esempio, tengono in grandissima considerazione
i legami di sangue e la tradizione.
Così, però, non ci si sofferma mai ad analizzare il vero contenuto di ciò che si
è tramandato di generazione in generazione o, peggio, non si ha nemmeno
interesse a farlo. Ne deriva uno stato di cieca sottomissione all’ideologia al
potere.

Il difficile nella lettura dei testi filosofici e ideologici sta nel fatto che essi
non adottano le suddette «parole della società». Perciò, gli scrittori di
questi testi possono esprimere valori e pensieri che non esistevano prima che
venissero da loro definiti.
Questo vale anche per noi. Se ci affidiamo esclusivamente a tali parole non
riusciremo mai a distaccarci dalla nostra situazione attuale e a dirigerci verso
una nuova era.
– 38 –
Una saggezza in grado di cambiare il
mondo

Che cosa accadrebbe se diventassi più furbo? Capirei che noi e gli altri
siamo uguali.
Pensare che gli altri siano completamente diversi da noi deriva dal fatto che
non abbiamo né abbastanza saggezza, né abbastanza esperienza.
Non dobbiamo dimenticare che possiamo comprendere gli altri proprio
perché siamo tutti esseri umani.
Se pensiamo ai sentimenti che animano i protagonisti di romanzi o telefilm,
ci rendiamo conto che in essi sono tratteggiati i sentimenti e le azioni che
accomunano tutti gli esseri umani. Anche quando litighiamo, se non
riusciamo a comprendere nemmeno un pochino l’altro, nonostante il suo
carattere sia completamente opposto al nostro, allora non dovremmo litigare
già in partenza.

La più grande saggezza che i testi religiosi millenari chiamati Veda e


Upaniṣad ci insegnano è che il mondo e il sé sono una cosa sola. Esistono
pratiche per giungere a questa consapevolezza ma, anche senza metterle in
atto, possiamo arrivare noi stessi alla stessa saggezza anche solo facendo
esperienza di una vita autentica.

Noi che lavoriamo nelle grandi sedi del capitalismo moderno siamo convinti
che la competizione sia una cosa naturale. Eppure la competizione si basa sul
presupposto che io e l’altro siamo due esseri distinti e diversi.
Perciò, essa è sempre spietata, si ruba e si è derubati a vicenda e alla fine si
tocca il fondo della sconfitta e dell’esaurimento.
Se viviamo ricercando queste conquiste, la nostra vita finisce per diventare un
gioco spietato. E non si tratta di qualcosa di divertente. Perché il gioco, se da
una parte ha come base la vita seria, dall’altra è piacevole solo quando si
inserisce, scherzando, nei ritagli di un tempo vissuto appieno.
Se vogliamo cambiare le cose, volenti o nolenti, dobbiamo renderci conto una
volta per tutte che noi siamo uguali agli altri.
Così facendo, in poco tempo, le regole del gioco perderanno efficacia e quella
competizione, e la relativa esclusione, finiranno gradualmente per
scomparire. Si raggiungerà, così, uno stato in cui non si distinguerà più
chiaramente il vincitore dal vinto.

Allora, si manifesterà un’effettiva società del benessere, che non sia solo tale
a livello di sistema statale e di infrastrutture; germoglieranno dei sistemi
politici e legislativi universali, dotati di flessibilità e senza i limiti
dell’«ideologia», e alla fine l’idea di Stato che nel tempo ha generato
competizioni e sofferenze perderà via via di forza.
– 39 –
Distinguete le inezie dalle cose importanti

Tra poco dovrò uscire per incontrare una persona importante all’hotel di
Shiodome. Ho solo venticinque minuti, giusto il tempo di arrivare in auto, ma
non mi avanza altro tempo. Tuttavia, guardandomi i piedi, mi accorgo che ho
le scarpe un po’ sporche. Dato che sarebbe scortese nei confronti del mio
interlocutore presentarmi così, decido di farmele lucidare. Per farlo devo
spostarmi momentaneamente a Yūrakuchō...

Chiunque considererebbe strani pensieri e atteggiamenti di questo tipo.


Perché, nonostante vi siano cose più importanti, le inezie vengono prima.
Non credete che nelle nostre vite quotidiane siano molte le situazioni
simili a questa?
Anteponiamo appositamente alle cose importanti ciò che finora abbiamo fatto
dominati dall’abitudine, ciò che non è necessario fare immediatamente, le
cose di poco conto che riguardano la sfera personale o i passatempi, il
mantenimento dei contatti che riguardano faccende meno prioritarie, oppure
ciò che riteniamo possa portare a un esiguo vantaggio futuro.

Il risultato è che si finisce per smorzare il tempo e la passione che dovremmo


dedicare alle cose fondamentali. Per questo, continuando a rimandarle,
andremo avanti all’infinito senza portarle a termine. Toglietevi dalla testa
che le cose importanti opprimono la vostra vita.
Così facendo, verrete sopraffatti dalle inezie, solo perché fin dall’inizio
considerate l’occuparvi delle cose essenziali seccante o spaventoso.
Esistono anche persone che mettono in primo piano le cose meno importanti
perché non hanno fiducia in loro stesse. La mancanza di fiducia in se stessi
qualche volta nasce dall’accumulo di una generale pigrizia.
Sta di fatto che, qualunque sia la ragione, le cose importanti, proprio in
quanto tali, sono rilevanti. Di solito si tratta di faccende legate al lavoro.
Oppure urgenze che condizionano la nostra vita.
D’altra parte, non sarà un dramma sostituire e, a seconda dei casi, modificare,
fermare o rinunciare a quelle cose che invece sono meno essenziali.
Certo, la vita non è fatta di sole priorità, ma anche di cose più o meno futili.
Per questo motivo, anteporre le piccole cose a quelle importanti rovescia del
tutto il modo di distribuire i pesi.
Anche se lo si capisce, essendo così pignoli per le inezie ci si lascia sfuggire
le occasioni e il tempo per le cose fondamentali, perché si finisce per
guardare da un unico lato le cose basandosi solamente sul piacere
personale e sul calcolo dei pro e dei contro.
Se applichiamo in maniera poco previdente questo calcolo dei pro e dei
contro, va a finire però che le cose meno importanti appaiano sul momento
molto più rilevanti di ciò che sono in realtà. Ad esempio, ci dedichiamo a
cose di poco conto giustificandoci con noi stessi e dicendo che, se non si
fanno, non si può poi proseguire a pieno ritmo con le altre. A seconda dei
casi, può anche capitare che le inezie ci appaiano più grandi delle cose
davvero rilevanti.
Inoltre, quando non riusciamo a ragionare a mente fredda, non siamo più in
grado di distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, prendendo degli
abbagli. Esempi tipici di questo atteggiamento per il quale, sedotti dalla
potenza di stati d’animo passeggeri o da intuiti poco attendibili come
convenzioni, oroscopi o superstizioni religiose, trascuriamo le cose
essenziali, sono: darsi al gioco d’azzardo in modo abituale, abbandonarsi
all’influsso delle dopamine o dedicarsi a ciò che riteniamo doveri e che
comprendono anche le relazioni di amicizia.
Seppure senza cattiveria e amoralità, quando ci approcciamo con
passione alle cose meno importanti, come per inerzia, prima o poi non
saremo in grado di fare altro che quelle.
Intanto, dedicando molto tempo a quelle cose di poco conto, alla fine ci
parranno anch’esse delle scocciature e di lì a poco non riusciremo più a
ottenere alcuna soddisfazione. E questa è una cosa davvero triste.
Per concludere, sono convinto che ognuno di noi debba stabilire con
fermezza una gerarchia delle cose fondamentali nella propria vita, per poi
dedicarsi a esse con tutto se stesso.
– 40 –
Il lusso come espressione di stima

La precarietà economica della società capitalista si è intrufolata in modo


sfacciato e senza che ce ne accorgessimo nella nostra mentalità e nel nostro
senso dei valori, determinando ad esempio l’attribuzione di una accezione
negativa al termine «lusso».

Eppure, «lusso» non ha un significato peggiorativo. Significa «oltre il


necessario» ma, originariamente, non aveva un’accezione negativa. Piuttosto,
in esso, si trova il senso di preziosità, abbondanza, agiatezza, pomposità.
In questo senso, il lusso è ciò che dona grazia allo spirito umano, come
possiamo notare nella nostra vita di tutti i giorni.
Un mazzo di fiori scelti e donati a ognuno di noi. Un piatto ben curato.
Un’accoglienza esclusiva e calorosa. Acqua fresca quando abbiamo sete.
Un bell’abito pulito. Un mobile elegante che, con distacco, sospinge la
confusione e il chiasso della società in un mondo lontano. Un paio di scarpe
talmente lucide da riflettere il nostro viso. Tende che creano un’invitante luce
soffusa.
Fiori e piante selvatiche raccolte e disposte per un giorno speciale. Una
stanza con vista. Una risata spontanea. Un profumo adatto per ogni
circostanza. Una carezza che ti accoglie e ti sorprende. Una conversazione
confidenziale.

Votarsi esclusivamente al lusso è qualcosa che si avvicina all’ostentazione


del potere e alla volgare licenziosità, ma se il lusso si limita a due o tre tocchi
preziosi nella nostra vita di tutti i giorni, allora questo farà sbocciare un fiore
nel nostro cuore.
Tale genere di lusso non è un’espressione di vanità che sgorga dal nostro ego.
È una manifestazione di attenzione e di rispetto nei confronti degli altri.
Proprio perché riteniamo l’altro insostituibile, nel contatto tra noi e lui
applichiamo una forma di lusso.

Mettiamo il caso che i vostri genitori o i vostri fratelli vivano in un paesino e


abbiano la possibilità di venire a trovare voi, che vivete in una grande città,
soltanto per pochi giorni: li fareste pernottare in un angusto ed economico
hotel che usano solo gli impiegati in trasferta?
Con tutta probabilità optereste per una camera in un albergo dotato di tutti i
comfort. Oltre a essere un gesto di riguardo e di attenzione nei loro confronti,
non è anche carico di una forma di rispetto per i vostri famigliari?
CAPITOLO 4
NON RIUSCIRETE
A STARE TRANQUILLI, FINCHÉ SARETE VIVI
– 41 –
La sofferenza fa inevitabilmente parte della
vostra vita

Non sono poche le persone che soffrono per qualcosa. Chiunque ha provato
sulla propria pelle qualche pena o dolore. Per questo, sono molti coloro che
desiderano a tutti i costi fuggire da qualsiasi sofferenza.
E se quelle sofferenze fossero invece la strada che l’umanità deve per
forza di cose perseguire? Se ammettessimo che quella è la strada che
ognuno di noi deve intraprendere, non dovremmo più deviare il percorso
verso «l’affrancamento dalla sofferenza» e rischiare di cadere in un baratro
buio.

Proviamo a riflettere. Questa sofferenza non è forse data solo dal dolore
provato da quei piedi che stanno percorrendo la strada? Non potrebbe
essere un modo per infonderci ulteriore forza?
Di solito, infatti, quando portiamo a termine qualcosa è normale che il nostro
agire implichi una qualche sofferenza. Se non riuscissimo a superarla, non
potremmo ottenere nemmeno un pizzico di felicità.

Tuttavia, esistono anche persone convinte che per portare a termine un


compito, si debba per forza soffrire almeno un po’, e che questa sia la
parte sgradevole del tentativo di raggiungere un traguardo attraverso lo
sforzo e l’ingegno.
Queste sono persone che poltriscono troppo oppure, dopo ogni minimo passo
in avanti, si fermano sempre a testa bassa, con la tendenza a pensare soltanto
a se stesse.
La ricetta da prescrivere loro è quell’entusiasmo per le cose in grado di
far dimenticare il tempo e la propria esistenza. Affrontare le cose assorti
completamente in esse ed entusiasmandosi al punto tale da dimenticare
perfino di mangiare o di aver preso degli impegni.

Se ci limitiamo a salire a casaccio su una barca che galleggia in mare,


sballottati da ogni onda, finiremo per cozzare contro gli scogli. Se non
continuiamo a remare con tutte le nostre forze, non approderemo mai ad
alcuna riva. Soprattutto se siamo noi a dover gestire la barchetta.
– 42 –
Guardate con grande attenzione alle
sofferenze

Per esprimere un dolore legato a una malattia, non abbiamo a disposizione


solo l’espressione verbale «fa male». Le diverse forme in cui un dolore si
presenta possono essere espresse in molti modi: il dolore può essere
lancinante, acuto, può essere un dolore che si insinua piano, oppure
presentarsi come piccolo ma fastidioso, o ancora essere un dolore martellante.
Una percezione del dolore in grado di descriversi in modo dettagliato
attraverso questa gamma di espressioni è molto utile ai dottori in sede di
analisi e cure mediche.

Tuttavia, noi non esprimiamo effettivamente il nostro dolore in modo così


preciso. Non ci vergogniamo di esso, eppure spesso non vogliamo far sapere
agli altri che stiamo soffrendo.
Oppure pensiamo che sia una questione personale, perciò lo nascondiamo
agli occhi altrui e lo sopportiamo in segreto. Ne consegue che il contenuto
del dolore diventa ambiguo anche per noi stessi e, così, rimandiamo
all’infinito la ricerca di un qualche rimedio.
Se dovessimo definire in poche parole la sofferenza, non potremmo limitarci
a dire che è la somma di pene e tormenti. Il fondamento del tormento risiede
nel non sapere come valutare e affrontare i problemi, oppure nel fatto che
esso va a toccare il nostro orgoglio e la nostra vanità.
In poche parole, il tormento nasce quando il problema diventa l’ego. Ma
allora, se eliminassimo l’ego, il tormento dovrebbe scomparire.
Eliminare l’ego significa abbandonare orgoglio e vanità, e affidarsi agli altri
per valutazioni e risoluzioni, oppure abbandonarsi passivamente a ciò che
detta il buonsenso.

Anche la sofferenza può essere suddivisa in due tipologie.


La prima forma di sofferenza è generata da noi stessi; la seconda, di ben altro
genere, è universale, ineluttabile per tutti.
La sofferenza generata da noi stessi è quella che si assume le responsabilità
delle risoluzioni oppure quella che, al contrario, fugge all’infinito senza
affrontarle. La sofferenza che si genera inevitabilmente nelle nostre vite,
invece, non può che essere accettata e vissuta. In fondo, fa parte della vita.

Oltre a queste tipologie, esiste la sofferenza causata dalla malattia, per la


quale non possiamo fare altro che affidarci alle cure mediche. Se quella
sofferenza persiste, la cura diventa lo sforzo per cambiare la nostra mentalità.
In questo caso, non si tratta di cambiare solo il modo di pensare. È normale
che si arrivi a cambiare radicalmente anche lo stile di vita.
– 43 –
Quando state soffrendo, potete affidarvi a
un ospedale chiamato libreria

Se continuate a sentirvi persi, se non sapete che pesci pigliare, se non trovate
una via di uscita e vi sentite prosciugati da ogni energia, se desiderate qualche
nuovo suggerimento, se vi tormentate senza vedere la fine, allora una grande
libreria in un quartiere vivo sarà il vostro ospedale.

Ovviamente nelle librerie si vendono soprattutto libri, ma sugli scaffali sono


esposti anche DVD e riviste di vario genere. Sono tutti articoli in vendita.
Non c’è dubbio che siano solo merci, ma sono molto diverse dagli articoli
appartenenti ad altri settori commerciali perché mostrano vari aspetti della
nostra epoca. Senza esagerare, potremmo dire che essi concentrano il mondo,
dal passato fino a oggi.
Quando mettete piede in un luogo tanto particolare, provate a fare un giro
accurato di ogni piano. Troverete sicuramente qualcosa che fa al caso vostro.
Di sicuro, vi verrà spontaneo guardarvi attorno con attenzione. Sentirete
aprirsi inaspettatamente nel vostro petto porte di cui prima non vi eravate
nemmeno accorti.

Senza lasciarvi guidare da piccole avide intenzioni quali «la risposta a queste
sofferenze sarà sicuramente da qualche parte, quindi troviamola», o «dato che
sono venuto fin qui apposta, non tornerò a casa a mani vuote», è
fondamentale camminare tra i reparti osservando i vari volumi e titoli in
modo disinteressato.
Anche nei casi in cui il raccolto sembra essere stato infruttuoso, sulla strada
del ritorno, mentre siamo in un bar o dopo essere tornati a casa, si
manifesterà inaspettatamente qualche idea e avremo qualche ispirazione
improvvisa. Quell’ispirazione sarà il frutto della nostra ispezione tra i piani
del negozio.

Come si può comprendere andando in libreria, quel mondo trabocca di


infiniti pensieri e visioni del mondo. Anche solo attraverso la percezione di
tutta questa sovrabbondanza ci convinceremo con assoluta naturalezza che
una via di uscita esiste; la scorgeremo in un fatto che magari prima ci
appariva insignificante, ci accorgeremo di qualcosa che ha fatto felice un
angolino della nostra mente, oppure capiremo quanto una mentalità possa
basarsi sui preconcetti.
Se qualcuno ci fa notare un certo aspetto della realtà, noi lo respingiamo.
Invece, se si tratta di consigli o argomentazioni che nascono da una nostra
esperienza diretta, siamo più propensi a recepirla. A quel punto, per quanto si
sia cercato di soffocarla, ormai ci sarà già servita in qualche modo per trarci
d’impaccio.

Moltissimi testi, è vero, si possono trovare anche in biblioteca, un luogo


simile alla libreria, ma là regna il silenzio assoluto, siamo controllati da una
sorta di tensione emotiva e, in mezzo a tutti quei testi, ce ne viene assegnato
solo uno alla volta: per tutte queste ragioni la forza che la biblioteca ha di
soddisfarci è debole.
Alla fine dei conti, allora, le grandi librerie poste sulle più trafficate strade
cittadine, con la loro atmosfera rilassata data dall’andirivieni dei clienti,
sono i medici più validi per guarirci dalla malattia del «senza via di
uscita».
– 44 –
«Affrontare i problemi» significa in parole
povere affrontare le persone

Di solito definiamo le cose da fare come «dei problemi». Spesso e volentieri


come «delle scocciature». Come se tutte le faccende che ci capitano fossero
solo problemi fastidiosi.
Sono davvero le cose in sé a generare simili conseguenze?

Ad esempio, la radioattività in sé è un problema? Forse sì. O non lo sono


forse le persone che la vogliono utilizzare senza avere ben chiaro come?
Per dirla in modo più comprensibile, sono l’attitudine, il pensiero e le
azioni delle persone che hanno a che fare con un dato fenomeno a
generare il problema.
Le cose accadono. Accadono secondo le leggi della fisica. Il fatto che
vengano recepite come problemi fastidiosi è dovuto allo scompiglio creato da
chi si approccia a quelle cose, nella sua mente, nel suo cuore e nelle sue
azioni.

Pertanto, affrontare un problema significa affrontare la mente, il cuore e le


azioni delle persone. Se si affrontano solo le faccende accadute, isolandole
dal resto, non è possibile che queste si risolvano o cambino.
Per farlo, è necessario conoscere bene i movimenti della nostra mente e
del nostro cuore. Conoscendoli certo non avremo tutte le risposte, ma
potremo giungere prima a un modo per risolvere i nostri problemi.

I testi che descrivono i moti del cuore sono innumerevoli. Non si tratta solo di
testi a carattere psicologico scritti nell’arco dell’ultimo secolo. Mi riferisco
alla letteratura.
Romanzi, racconti, drammi, tragedie, melodrammi. Anche se sono stati
concepiti come materiale di svago, sono poi diventati documenti utili per
studiare le dinamiche dell’animo umano, le sue incertezze e sregolatezze.
Poiché tramite le nostre relazioni interpersonali non possiamo sperimentarle
tutte, è necessario fare esperienza della letteratura come se fosse la realtà più
autentica.

Se dovessi consigliare personalmente a qualcuno un testo letterario utile per


conoscere la mente e il cuore umani, sceglierei i Libri di Samuele tratti
dall’Antico Testamento. In essi vengono descritti i mutamenti dell’animo
umano, come il coraggio che si tramuta in avidità e follia, e viene inoltre
tratteggiata con tremenda drammaticità l’intera vita del re d’Israele Davide.
– 45 –
Come potete averla vinta sui problemi

I problemi che ognuno di noi affronta sono molto simili a quelli affrontati
dagli altri.
Con «ognuno di noi» intendo la stragrande maggioranza della gente, mentre
solo una piccola parte delle persone resta esclusa da tali problemi. Perché
le questioni che la maggior parte della gente non è in grado di affrontare non
vengono nemmeno più ritenute come complicazioni dalle restanti poche
persone.

Chissà perché molti individui hanno un approccio superficiale, non tanto ai


problemi politici o sociali, ma a quelli personali che per forza di cose vanno
affrontati, oppure alle questioni contro le quali si deve necessariamente
sbattere per poter andare avanti.
Anche nei casi in cui si riesce in qualche modo a risolvere uno di questi
problemi, lo si fa per il rotto della cuffia. E lo si reitera poi all’infinito.
Perciò, non appena la mole di essi aumenta, finiscono per diventare degli
enormi rompicapi.

L’atteggiamento è lo stesso di coloro che pensano di riuscire a superare esami


di ammissione o di qualifica professionale con il minimo sforzo. Essi
pensano di aggirare la questione studiando in maniera sommaria.
Molte persone non hanno alcun metodo per acquisire e trattenere conoscenze,
che permetta loro di passare facilmente gli esami anche senza prepararsi più
di tanto.
Forse può anche andare bene mentre frequentiamo le scuole dell’obbligo, ma
se quest’attitudine diventa la nostra mentalità abituale, cercheremo di
risolvere grazie al caso tutti i nostri guai personali e lavorativi. Allora,
qualsiasi problema ci perseguiterà come una palla al piede che siamo sempre
costretti a trascinarci appresso.

Eppure, non sono affatto poche le persone che risolvono le cose in questo
modo. Quando accade qualcosa, affrontano sempre i problemi e cercano di
superarli facendosi dominare da questo tipo di atteggiamento.
Comportandosi così, tuttavia, le problematiche non vengono considerate tali e
finiscono, invece, per essere concepite alla stregua di fattori di minima
importanza. È come se rispondessimo imbracciando un semplice fucile di
fronte a una schiera di soldati che avanzano verso di noi con carri armati,
incursioni aeree e alcuni bombardieri.

Sarebbe sempre meglio presentarsi agli esami preparati sugli argomenti che ci
verranno presumibilmente richiesti. Negli affari bisognerebbe fare in modo di
migliorare la situazione e gli interlocutori, affrontandoli in modo costruttivo,
piuttosto che evitare qualsiasi richiesta.
Per quanto riguarda i grattacapi legati alla vita privata, alla famiglia o ai
rapporti interpersonali, sarebbe meglio prenderli di petto, piuttosto che
escogitare modi per riuscire a evitarli. In molti casi, infatti, trovarsi faccia a
faccia con il problema porta naturalmente alla soluzione.

Qualunque esso sia, abbandoniamo la cattiva abitudine di ricorrere a


espedienti per procrastinarlo temporaneamente, e attingiamo a piene mani
da talento, tecnica, servizi, amore, tempo ed energie per riuscire ad
affrontarlo. Così facendo, il problema non è già più un problema.
Come mai molte persone se ne stanno con le mani in mano? Perché finiscono
per giudicare arbitrariamente come giusto un simile atteggiamento? Su che
cosa pensano di risparmiare? Saranno forse convinte che si tratti di una
faccenda non degna dei loro sforzi?

Probabilmente ritengono di essere più importanti rispetto alla risoluzione di


un disagio, eppure qualsiasi problema ha a che fare con noi e, dal
momento stesso in cui si presenta, ci è strettamente correlato. Oppure si
collega a noi attraverso gli altri, in maniera indiretta.
Probabilmente tutte quelle persone credono erroneamente di poter tracciare
una netta linea di confine tra se stessi e gli altri. Tuttavia, separare così
violentemente la propria persona da tutte le altre è possibile soltanto a livello
ideale. In pratica, infatti, siamo strettamente collegati gli uni agli altri. Se
nonostante questo ci si ostina a voler tracciare tale confine, come risultato
avremo solo competizione e classismo.

La competizione e il classismo generano immediatamente gerarchie, a tutti i


livelli. E qualsiasi sia la nostra posizione in quella gerarchia, essa si tramuterà
in sofferenza.
Chi odia la competizione e se ne allontana sarà considerato come un fallito o
uno sconfitto. E allora ecco che andrà incontro a un’ulteriore sofferenza. Se
questa situazione non ci piace e riusciamo a tenercene al di fuori in maniera
distaccata, la prossima volta non saremo più in balia degli altri.

È proprio il superamento dei problemi a far cessare ogni pena. Poiché il


passo successivo sarà il passaggio dalla calca creata da competizione e
classismo a un luogo silenzioso e invisibile. Un po’ come quando i proprietari
di aziende non si lasciano coinvolgere nelle competizioni che i loro
dipendenti inscenano al fine di fare carriera.
Potrebbe risultare difficoltoso riuscire a capire come superare un problema,
ma il mio consiglio è di iniziare provando ad affrontare qualsiasi piccola
questione ci capiti di fronte. Ci darà la reale impressione di provare
freschezza e pienezza.

Così facendo, la prossima volta che ci si presenterà un problema, non lo


concepiremo più come una questione da collocare su questo o quel livello di
complessità, ma nascerà in noi la voglia di affrontarlo in modo propositivo, e
saremo addirittura intrigati dalla sua difficoltà.
Questa è l’attitudine peculiare delle persone che svolgono il proprio lavoro,
anche quello più scocciante, in modo indipendente e rapido.
– 46 –
L’antidoto è prendere coscienza della
precarietà della vita

Un acuto insegnamento presente ne Il mondo come volontà e


rappresentazione di Arthur Schopenhauer è che bisogna comprendere le cose
fino in fondo.
Quell’acume risiede soprattutto nelle parole: «È normale che l’esistenza sia
precaria».

Sebbene chiunque lo provi quotidianamente sulla propria pelle, molte


persone negano la precarietà e non smettono di ricercare la stabilità a ogni
costo.
Noi tutti desideriamo entrate fisse, una vita serena senza preoccupazioni, un
umore equilibrato, una buona e durevole salute, la certezza di riuscire in tutte
le cose, la stabilità degli affetti e una costante protezione nei nostri confronti.
Perciò acquistiamo al volo tutti quei prodotti che generano in noi l’illusione
di poter ottenere tutto questo.
Non si contano le assicurazioni che riguardano qual-siasi aspetto della vita, i
trucchi e cosmetici che promettono la bellezza eterna, i prodotti finanziari che
fingono di essere investimenti sicuri, le regole superstiziose per l’igiene
personale e via dicendo.
Nel ricercare stabilità e sicurezza, aspiriamo anche alla fortuna giocando a
qualche lotteria, e ci fissiamo con la carriera e i titoli. Tralasciando il destino
altrui, mettiamo al centro del mondo noi stessi: solo noi siamo degni di essere
circondati da occasioni favorevoli o toccati dalla buona sorte, e siamo
impazienti di venire giudicati positivamente dagli altri.
Ben lungi dal garantire stabilità e sicurezza, questo atteggiamento conduce al
contrario alla precarietà; nonostante ciò, quelle persone non demordono e non
smettono mai di credere di poter raggiungere la tanto decantata stabilità. Le
esistenze immerse in queste strambe convinzioni, però, non sono affatto
libere dagli affanni. Dato che ci convinciamo del fatto che solo noi siamo
speciali, avvertiamo i nostri incidenti e malattie, che pure accadono anche
agli altri, come grandissime sventure. In questo contesto, la carriera, il
successo e la bellezza degli altri diventano per noi fonte di turbamento e
invidia.
In questo modo l’animo umano vacilla e si agita per l’instabilità che avverte
giorno dopo giorno nella propria vita. Per di più, dovesse anche capitare
qualche occasione favorevole o qualche colpo di fortuna, la gioia che ne
deriverà sarà notevolmente ridotta.
Se pensiamo di essere speciali soltanto noi, infatti, riterremo che la fortuna
debba essere una nostra esclusiva ma, allora, qualsiasi dono della sorte
risulterà scontato e non ci soddisferà appieno. È per questo che più
ricerchiamo la stabilità, più avvertiamo il senso di precarietà.

D’altra parte, solo prendendo coscienza del fatto che la precarietà è solo una
delle tante forme che la vita assume, riusciremo a persuaderci che anche i
cambiamenti e gli incidenti abbiano una qualche ragione d’essere.
È come avere un antidoto a disposizione. Si tratta di un modo di vivere di
gran lunga più coraggioso rispetto a quello vile di chi si ostina a ricercare la
stabilità e la tranquillità a tutti i costi.
– 47 –
Non riuscirete a stare tranquilli, finché
sarete vivi

La società della tranquillità. La società che lavora con animo sereno. Queste
affermazioni non sono altro che uno slogan sciocco pensato da buoni a nulla,
che si ritengono soddisfatti solo per il fatto di percepire uno stipendio fisso a
fine mese. In realtà, nessuno, finché non sta per morire, riesce ad
approdare a una completa serenità d’animo.
Vivendo nella società di oggi non si può raggiungere la tranquillità. Forse a
volte riusciamo a percepire un’illusione di calma che dura un istante, ma non
c’è alcuna ragione per pensare che questa possa persistere.

In ogni caso, nello zen si spiega chiaramente cosa sia la tranquillità d’animo.
Proverò di seguito a riassumere il contenuto del testo intitolato Mumonkan
(La porta senza porta).

Mentre Daruma (Bodhidharma, maestro fondatore e Primo Patriarca del


buddhismo Chán cinese [lo zen giapponese], vissuto tra il V e il VI secolo)
era seduto in meditazione di fronte al muro di roccia, gli si avvicinò il suo
successore, il Secondo Patriarca, e gli rivolse queste parole:
«Il mio animo è ancora inquieto. La prego di tranquillizzarlo.»
Daruma gli rispose:
«Portami il tuo animo e lo tranquillizzerò.»
«Maestro, mi sono messo alla ricerca del mio animo, ma non l’ho proprio
trovato.»
«Davvero? Ecco, ti sei già tranquillizzato.»

Ritengo che questo sia un episodio eloquente per spiegare in cosa consista la
tranquillità d’animo per la filosofia zen. In altre parole, si tratta del concetto
di vuoto, ovvero lo stato mentale libero dalle inquietudini e dai pensieri, che
l’essere umano è in grado di abbracciare.
Solo attraverso la consapevolezza del vuoto espressa dallo zen, si annullano i
tormenti. Di certo è un aiuto. Ovviamente questo tipo di pensiero non è così
abituale per l’uomo contemporaneo. Lo conosciamo più che altro per sentito
dire.
L’aiuto che il buddhismo originario è in grado di offrire, oltre alla
meditazione, è tangibile solo dalle persone che sopravvivono nelle grandi
città sostentandosi con gli alimenti avanzati dagli altri, oppure da chi vive in
particolari situazioni di autosufficienza. Ovvero, è limitato alle persone che
riescono a stare lontane dalle attività economiche proprie della società
contemporanea e, dall’altra parte, a coloro che conducono una vita da
parassiti dipendendo in qualche modo dalla società.

La tranquillità d’animo ricercata da noi, che viviamo immersi nella


società moderna, non è qualcosa di spirituale. È una tranquillità che ha a
che fare con la vita, con vitto, pasti e alloggio, con il lavoro e con la classe
sociale. In altre parole, non è che ci manchi qualcosa, è che ricerchiamo
sempre oggetti e benefici che superano la quantità che sarebbe sufficiente
avere.
Di conseguenza, aumentano le persone che vogliono diventare funzionari o
dipendenti pubblici nel settore della sicurezza. Eppure, una volta diventati
tali, raggiungeranno davvero la tranquillità d’animo?
Anche se in qualche modo la trovassero, secondo la legge di Parkinson (una
legge secondo cui un’organizzazione priva di rendimento degrada fino a
rimetterci: «Il lavoro si espande fino a occupare tutto il tempo disponibile» e
«l’ammontare delle spese continua a espandersi fino a raggiungere l’entità
delle entrate»), queste persone finirebbero per amministrare i soldi altrui
come se fossero entrate proprie e si verrebbero a creare dei veri e propri
parassiti della società.
Così facendo tutte quelle tutele, autodifese e garanzie, diventano davvero
elementi alla base della tranquillità? Se le otteniamo, abbiamo davvero mosso
il primo passo verso il raggiungimento della pace personale? Direi piuttosto
che, come è facile immaginare, l’ansia non si esaurirà mai.
È improbabile pensare che anche originariamente tutto fosse come un
mare calmo. Tutto si muove. Proprio come le onde del mare. Perciò la
tranquillità è qualcosa che non esiste. Poiché sulla superficie del mare non c’è
nulla di immobile, non resta che avanzare oltre. Se spegnete il motore della
vostra imbarcazione e vi mettete a prendere il sole piacevolmente, sarete
presto o tardi in balia delle onde e del maltempo e finirete per affondare.
Potrei citare infiniti esempi, altrettanto crudeli.
Come onde la cui esistenza è data dal moto continuo, dall’arricciarsi e
dall’incresparsi, anche noi esistiamo in questo mondo soltanto grazie al
movimento. Dondoliamo, riceviamo forze dall’esterno, progettiamo e
sfidiamo, strappiamo e aggiustiamo, cadiamo e ci rialziamo, siamo baciati per
caso da qualche grande colpo di fortuna, diamo forma ai nostri desideri.
Tutte queste azioni sono circondate inevitabilmente da ansia. Perciò, non va
bene inseguire la strada di quella tranquillità che riusciamo solamente a
intravedere tra le fessure dell’inquietudine. Quella strada non è per niente
visibile e, dato che non sappiamo nemmeno se esista o meno, ci porterà solo
ulteriore ansia.

Ma allora, quali sono le cose che possiamo realizzare in tranquillità?


Da bambini aspettare immobili i nostri genitori ci generava una certa ansia.
Anche quando facciamo un semplice viaggio e ci lasciamo condurre, non è
mai possibile eliminare del tutto la preoccupazione.
Nel lavoro che facciamo, così come nella nostra vita privata, è normale
provare insicurezza.
Tutto ciò che vive è per forza di cose inquieto. È proprio per questo che,
quando le cose vanno bene, riusciamo a sorridere e ci commuoviamo
profondamente. Non è forse ciò che ci rende umani?
Indice

Introduzione
CAPITOLO 1 IL RISCHIO DI SPRECARE LA VOSTRA VITA
– 1 – Come rischiate di sprecare la vostra vita
– 2 – Cosa significa spingere all’eccesso la ricerca del piacere
– 3 – Cercate di vivere in modo creativo
– 4 – Vivendo in maniera passiva, avrete una vita misera
– 5 – Costruitevi una vita basata sull’imperturbabilità
– 6 – Imparate dalle biografie
– 7 – I limiti della vita umana
– 8 – Prendetevi una pausa per ritrovare nuovo vigore
– 9 – Ritagliatevi degli intervalli di tempo più armonici
– 10 – Consigli di lettura
– 11 – La moda è una questione di buone maniere
– 12 – Non denigrate sempre ciò che fanno gli altri
CAPITOLO 2 NESSUNA METODOLOGIA
– 13 – Soltanto ciò che porterete avanti fino alla fine costituirà
l’esperienza
– 14 – Il vostro talento consiste nel «fare» qualcosa
– 15 – Siate professionali
– 16 – Non limitate le vostre possibilità
– 17 – Le esperienze plasmano gli esseri umani
– 18 – Impegnandovi con zelo in qualcosa, ne scoprirete per la prima
volta il vero significato
– 19 – L’essere umano non smette mai di ambire a diventare qualcuno
– 20 – Dalle vostre fissazioni non nascerà mai nulla di nuovo
– 21 – Le persone anticonvenzionali agiscono con i fatti
– 22 – Nessuna metodologia
– 23 – Gli esseri umani che danno vita alle innovazioni
– 24 – Siate pronti ad accogliere come degli ampi recipienti
CAPITOLO 3 DISTINGUETE LE INEZIE DALLE COSE IMPORTANTI
– 25 – Non fatevi stregare dai concetti teorici
– 26 – Non nutrite «sospetti», ma solo «dubbi»
– 27 – Approcciatevi con leggerezza alla realtà
– 28 – Adottate un punto di vista umile
– 29 – Mettete da parte l’orgoglio
– 30 – Non applicate le categorie «bene-male» o «virtù-vizio»
– 31 – Come potete trovare una via di uscita
– 32 – Il tempo è dentro ognuno di voi
– 33 – Fate fruttare il tempo
– 34 – Siate consapevoli dei vostri pregiudizi
– 35 – Cosa significa avere una logica coraggiosa
– 36 – Dalla «parola» prende vita il potere di un’idea
– 37 – State alla larga dalle «parole della società»
– 38 – Una saggezza in grado di cambiare il mondo
– 39 – Distinguete le inezie dalle cose importanti
– 40 – Il lusso come espressione di stima
CAPITOLO 4 NON RIUSCIRETE A STARE TRANQUILLI, FINCHÉ
SARETE VIVI
– 41 – La sofferenza fa inevitabilmente parte della vostra vita
– 42 – Guardate con grande attenzione alle sofferenze
– 43 – Quando state soffrendo, potete affidarvi a un ospedale chiamato
libreria
– 44 – «Affrontare i problemi» significa in parole povere affrontare le
persone
– 45 – Come potete averla vinta sui problemi
– 46 – L’antidoto è prendere coscienza della precarietà della vita
– 47 – Non riuscirete a stare tranquilli, finché sarete vivi
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