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(8) 2, 2014
http://www.appuntileopardiani.cce.ufsc.br
NUMERO TEMATICO
ISSN: 2179-6106
Appunti leopardiani
DIREZIONE
Andréia Guerini - Universidade Federal de Santa Catarina
Cosetta Veronese - Universität Basel
CONDIREZIONE
Fabiana Cacciapuoti - Biblioteca Nazionale di Napoli
COMITATO SCIENTIFICO
Guido Baldassarri; Novella Bellucci; Roberto Bertoni; Alfredo Bosi; Anna Dolfi;
Marco Lucchesi; Laura Melosi; Franco Musarra; Sebastian Neumeister; Luciano
Parisi; Lucia Strappini; Emanuela Tandello; Maria Antonietta Terzoli; Jean-
Charles Vegliante; Pamela Williams
CONSIGLIO EDITORIALE
Alessandra Aloisi; Francesca Andreotti; Sandra Bagno; Stefano Biancu; Fabio
Camilletti; Emanuela Cervato; Walter Carlos Costa; Paola Cori; Floriana Di
Ruzza; Luca La Pietra; Loretta Marcon; Rita Marnoto; Wander Melo Miranda;
Tânia Mara Moysés; Fabio Pierangeli; Karine Simoni; Lucia Wataghin
REDAZIONE
Roberto Lauro (direttore)
Cristina Coriasso; Uta Degner; Bert de Waart; Anna Palma; Gerry Slowey
WEBDESIGNER
Avelar Fortunato
Appunti leopardiani
(8) 2, 2014
NUMERO TEMATICO
INDICE
EDITORIALE
Etica animalista ed ecologica in Giacomo Leopardi - COSETTA VERONESE p. 5
SAGGI
Frammenti di un discorso animale - ANTONIO PRETE p. 7
RECENSIONI
Andrea Campana (a cura di), Catalogo della Biblioteca Leopardi in Recanati
(1847-1899), Firenze, Olschki, 2011, pp. 315. - NOVELLA PRIMO p. 119
INTERVISTE
Vera Horn - ANDRÉIA GUERINI, ANDRÉIA RICONI e DANIELA CAMPOS p. 137
POESIE
O infindo - TERESA BRETAL MARTÍNEZ p. 142
TRADUZIONI
Das Unendliche - Übersetzt von SILVIO BIANCHI p. 147
PUBBLICAZIONI
Libri afferenti a Leopardi usciti e/o riediti nel 2014 p. 149
Recensioni
RECENSIONI
Francesco De Martino
demart81@libero.it
Questo volumetto è, citando letteralmente quanto scritto nella bandella, “un felice
coronamento” de Il pensiero di Leopardi, di cui si è già parlato nel precedente numero
di questa rivista. E infatti, il cuore del volumetto sono i primi cinque saggi, che
affrontano e approfondiscono due dei tre temi assiali di quell’opera: il materialismo
antirazionalistico di matrice romantica (che dà il titolo al volume) ed il problema
estetico.
La tesi di fondo è quella che già si è osservata parlando del precedente libro:
che cioè il pensiero di Leopardi sia lontanissimo dal razionalismo tutto progressivo
dell’interpretazione, diventata canonica, di Cesare Luporini, e che invece, ferma
restando la caratterizzazione materialistica della Weltanschauung del Recanatese, il
“pessimismo materialistico” (come lo chiama Luporini stesso) sia a pieno titolo
identificabile con la sensibilità romantica, al punto di fare della Ragione un mito
negativo. Il suo nichilismo antirazionalistico si nutre inoltre dell’ammirazione per gli
antichi, considerati come superiori in quanto più vicini cronologicamente allo stato di
natura e antecedenti alla spiritualizzazione del mondo, resa universale dal
Cristianesimo, e in quanto capaci di produrre opere meravigliose con la nonchalance di
chi lo fa per hobby, per diletto, essendo normalmente impegnato in attività di altro
genere, dalla politica alla guerra. Questa caratteristica degli antichi è esposta proprio nel
primo saggio, Poetica e poesia di Leopardi (pp. 9-21), che in pratica riassume e
sviluppa soprattutto quanto contenuto nel saggio L’estetizzazione dell’antico, del 1976,
presente in apertura dell’altro volume. Partendo infatti dall’affermazione della costante
materialistica nel pensiero leopardiano, ne deriva che se tutto è materia, la
spiritualizzazione del mondo (iniziata con il peccato originale ma appunto
universalizzata dal Cristianesimo) è un processo distruttivo, in quanto ha sostituito la
materialità del tutto con falsi miti. Ma non basta: una conseguenza della
ritiene che il modo migliore per uccidere la poesia sia l’anatomizzarla, il razionalizzarla,
l’analizzarla.
Il terzo saggio, Classicismo e nichilismo (pp. 33-39), già dal titolo lega due dei
capisaldi dell’interpretazione di Rigoni, precisando che si tratta di due costanti nel
pensiero del Recanatese, definito “idolatra dell’antichità” (p. 34). Ancora una volta
quindi si insiste sull’ammirazione per gli antichi, questa volta dal punto di vista della
vitalità, che, a differenza di quanto accade per l’uomo moderno, non era annullata
dall’angoscia esistenziale e nichilistica che egualmente attanagliava l’uomo antico. La
causa è ancora una volta il razionalismo, la spiritualizzazione, che ha reso la vita uguale
alla morte (ed è il primo significato del nichilismo leopardiano, p. 36; il secondo invece
consiste nel negare le verità positive affermate proprio dalla spiritualizzazione),
dimodoché il mondo moderno e il mondo antico sono separati da un incolmabile iato.
La coscienza della frattura fra i due mondi risalta tanto più quanto la temperie romantica
aveva portato la convinzione di poter recuperare in qualche modo l’Ellade perduta,
almeno sul piano dialettico e della riflessione. Ma Leopardi, afferma Rigoni, non era un
dialettico.
Il quarto saggio, Sul nulla e sulla negazione (pp. 41-56), sviluppa il tema del
nichilismo, ponendo l’accento su tre aspetti: la smentita della teoria delle Idee; l’infinita
possibilità in cui consiste l’universo da un lato e il nulla dall’altro; il metodo negativo,
mutuato dagli scritti di Pierre Bayle, su cui si era già soffermato nel saggio Nel solco di
Bayle contenuto nel volume Il pensiero di Leopardi. La teoria delle Idee, con la sua
grandezza, è responsabile, con la sua scomparsa, del dispiegamento dell’abisso cosmico
davanti ai lucidi occhi dello scrittore e al suo materialismo. In una nota zibaldoniana,
infatti, Leopardi, dimostra come l’esistenza di un Dio onnipotente sia dipendente
dall’esistenza delle Idee, a loro volta indipendenti dal Dio. Eliminate quelle, anche Dio
come lo si conosce dalle tradizioni religiose, è eliminato. Resta la Possibilità, l’infinita
Possibilità: l’uomo non ha più un tetto né un terreno stabile sotto i piedi, e quindi “tutto
è nulla”, come si ripete più volte nello Zibaldone: l’infinito, come abbiamo già visto,
non esiste in senso ontologico (e così nemmeno il suo contrario, il nulla), ma coincide
con l’indeterminato. Conseguenza è che tutto è caduco perché tutto è insostanziale, e
anche il male che ammanta l’universo (e qui viene opportunamente riportata la celebre
pagina zibaldoniana che tratta di quello che chiamerei il giardino degli orrori)
1833 alla principessa Charlotte Bonaparte, figlia di Giuseppe, lettera in cui Leopardi
sembra egli stesso, come per un curioso cortocircuito spaziotemporale, liquidare quella
che è la corrente interpretazione del suo pensiero. Scrive infatti Leopardi: «l’état
progressif de la société ne me regarde pas du tout»,2 frase in cui è notevole (e infatti è
stato notato) l’uso, neanche a farlo apposta, del termine progressif. L’indagine poi si
sofferma sul ritratto del Leopardi più privato che emerge dalle lettere più confidenziali:
le tematiche toccate da Rigoni sono le malattie, il rapporto ambivalente con il padre, la
resistenza al destino, e anche l’uso del turpiloquio (fin dalla prima lettera, scritta a 11
anni). Quello che all’autore preme sottolineare è “la varietà dei toni leopardiani in
rapporto sia ai diversi argomenti, sia (…) ai diversi interlocutori” (p. 85), in un
epistolario vero, che tocca tutte le dimensioni del vivere dell’uomo.
Il saggio successivo, Stendhal, Leopardi e noi (pp. 87-91), apparso nel 2012
proprio su questa rivista, si propone di dimostrare ancora una volta la piena
partecipazione del Recanatese al clima romantico, stavolta con il confronto, invero
canonico nella critica (come Rigoni del resto riconosce), fra le Memorie del primo
amore di Leopardi (1817) e il trattato De l’amour di Stendhal, scritto pochi anni dopo,
fra il 1818 e il 1820. Ma il confronto investe anche le liriche del ciclo di Aspasia, in
particolare Il pensiero dominante (vv. 100-108) e Aspasia (vv. 33-48), in cui è
rintracciata la stessa dinamica del meccanismo psicologico che Stendhal chiama
“cristallizzazione”, cioè «l’opera della mente, che da qualunque occasione trae la
scoperta di nuove perfezioni dell’oggetto amato».3 Ma le analogie non riguardano solo
il tema amoroso: in particolare, l’assenza di società in Italia, denunciata da Leopardi nel
1824 nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli Italiani, è una tematica
presente anche nel trattato stendhaliano, considerata come la causa dell’essere il Bel
Paese patria della bellezza e dell’eros.4 Sono segnalate anche delle importanti differenze
fra i due scrittori in entrambe le tematiche viste, e in entrambi i casi sono imputabili alla
differenza di temperamento: per quanto riguarda l’amore, infatti, se Stendhal costella le
sue riflessioni di venature ironiche, Leopardi è terribilmente serio, tutt’al più indulge al
«sarcasmo amaro» (p. 90); anche sulle osservazioni di carattere sociale, se il Recanatese
è amaramente disilluso dall’Italia a lui contemporanea ma anche dall’Italia in sé, quelle
che in Il pensiero di Leopardi Rigoni stesso definiva felicemente l’Italia storica e l’Italia
1
E naturalmente non solo Leopardi: si pensi al Manzoni del Cinque maggio, e al fortissimo enjambement
fra le prime due stanze, «la terra al nunzio sta // muta», in cui proprio la posizione a fine strofa del verbo
sottolinea la reazione attonita del mondo all’annuncio della morte di Napoleone, e quindi è un abuso
leggere il verbo e il complemento predicativo senza stacchi.
2
Di questa lettera aveva già accennato Raoul Bruni nella postfazione a Il pensiero di Leopardi, cit., pp.
285-6, citandola più estesamente. In particolare, sembra interessante la frase immediatamente successiva:
«Le mien, s’il n’est pas retrograde, est eminemment stationnaire».
3
Stendhal, L’amore, con uno scritto di Stefan Zweig, traduzione di Massimo Bontempelli, introduzione di
Pietro Paolo Trompeo, Mondadori, Milano 2000 [1ª ed. 1952], p. 24.
4
Queste osservazioni sono già presenti nel saggio I costumi degli italiani, in Il pensiero di Leopardi, pp.
177-193: il confronto con Stendhal è alle pp. 191-93.