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Rosa Corrado

Antonio Gramsci: teorico della traduzione


e scrittore per l’infanzia

Un contributo allo sviluppo della fantasia dei bambini


e alla formazione dei giovani
Copyright © MMVIII
ARACNE editrice S.r.l.

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info@aracneeditrice.it

via Raffaele Garofalo, 133 A/B


00173 Roma
(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2207–8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2008


Ad Elisa,
mia dolce e meravigliosa nipotina
Desidero ringraziare la Direzione ed il personale della Fondazione An-
tonio Gramsci di Roma, nonché della Casa Museo di Antonio Gramsci di
Ghilarza (Oristano), per la disponibilità mostrata nell’accesso alla docu-
mentazione qui utilizzata.
Il mio riconoscimento va, inoltre, al Magnifico Rettore Alessandro Fi-
nazzi Agrò, ai Direttori del Dipartimento di Ricerche Filosofiche Prof.ssa
Marta Cristiani e Prof. Ignazio Volpicelli, agli amici e colleghi della Fa-
coltà di Lettere e Filosofia dell’Università Tor Vergata di Roma, per i pre-
ziosi suggerimenti nel corso della stesura del libro.
Voglio ricordare anche il compianto Prof. Luigi Borelli che mi ha so-
stenuta con vigore nella fase progettuale e di ricerca di questo lavoro.
Ringrazio inoltre, per la preziosa collaborazione, il Dott. Daniele Mo-
nacò, la Dott.ssa Luisa Carbone e la Dott.ssa Giulia Scavone.
Un particolare ringraziamento a mio genero Manuele Granato, per
l’abilità prestata nella realizzazione della copertina del libro, ed a mio
marito Francesco D’Alema, per l’affettuosa sollecitudine con cui mi ha
accompagnata in questo viaggio culturale, realizzando — tra l’altro — le
immagini fotografiche riprodotte nel libro. Il mio affettuoso pensiero va
ai miei figli Piero e Licia per avermi costantemente incoraggiata durante
la realizzazione di questo lavoro.

La mia gratitudine ed il mio affetto alla Dott.ssa Anna Serafini, Sena-


trice della Repubblica, per aver arricchito con la sua preziosa ed erudita
prefazione questo mio modesto lavoro.

7
Carissima Teresina,
[…] Ho tradotto dal tedesco, per esercizio, una
serie di novelline popolari proprio come quelle
che piacevano tanto quando eravamo bambini e
che anzi in parte rassomigliano loro, perché
l’origine è la stessa. Sono un po’ all’antica, alla
paesana, ma la vita moderna, con la radio,
l’aeroplano, il cine parlato, Carnera, ecc. non è
ancora penetrata abbastanza a Ghilarza perché il
gusto dei bambini d’ora sia molto diverso dal
nostro d’allora. Vedrò di ricopiarle in un qua-
derno e di spedirtele, se mi sarà permesso, come
mio contributo allo sviluppo della fantasia dei
piccoli.

Gramsci, Lettere dal carcere, 18 gennaio 1932


Indice

Prefazione a cura di Anna Serafini.............................................. 13

PARTE PRIMA
Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee ......................... 19
Famiglia, formazione, impegno politico .................................. 21
Dal bambino alla matricola “7047” .......................................... 37
“Esprimere” l’“inesprimibile” oltre lo spazio e il tempo ......... 41
Dalla sua infanzia all’infanzia:
per una pedagogia della comunicazione ................................ 45
Gramsci: padre ed educatore ................................................. 51

PARTE SECONDA
Educazione ed istruzione:
momenti di crescita e di elevazione culturale .................... 57
Antonio Gramsci:
epistemologo e maestro attraverso le Lettere ........................ 59
Pari opportunità e diritto allo studio
in una società del cambiamento .............................................. 69
Leggi, riforme e organizzazione scolastica:
il punto di vista del nostro pensatore ...................................... 75
Spontaneità, creatività, disciplina:
fattori essenziali del processo educativo ................................ 79

PARTE TERZA
Antonio Gramsci: teorico della traduzione ......................... 85
Gramsci traduttore .................................................................. 87
Uno sguardo a Jacob e Wilhelm Grimm ................................. 95

11
12 Indice

C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm:


dinamiche emozionali e riferimenti storico–ideologici
alla base della scelta delle fiabe tradotte ................................ 101

PARTE QUARTA
Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde .......................... 131
Gramsci scrittore per l’infanzia .............................................. 133
Quando scrivere diventa racconto ......................................... 135
“Avventura natalizia”: un racconto nel racconto ................... 141
“Che farò da grande?” ............................................................. 145
“Il topo e la montagna” ............................................................ 149
“Caccia alle rane” ..................................................................... 155
“L’albero del riccio” ................................................................. 159
“La volpe e il pulledrino” ......................................................... 165
“Lo scurzone” ........................................................................... 169
“Barbabucco: uno strano animale” ......................................... 173
“Un evento drammatico” ......................................................... 175

PARTE QUINTA
Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni .......... 179
Antonio Gramsci, maestro di pensiero e di vita,
al di sopra di ogni schema ideologico ..................................... 181
Dalla casa–museo di Ghilarza:
documenti, materiale iconografico, oggetti…
attraverso le immagini ............................................................. 185

BIBLIOGRAFIA ........................................................................ 217


Testi e pubblicazioni................................................................. 217
Convegni, atti e relazioni.......................................................... 219
Antonio Gramsci: annotazioni bibliografiche .......................... 220
Prefazione

a cura di ANNA SERAFINI ∗

È il 1954 e a Roma, nel Cimitero Acattolico, davanti alla


tomba che custodisce le ceneri di un Gramsci “ancora confina-
to”, Pier Paolo Pasolini sente “tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita” che pure aveva animato i
primi anni della ricostruzione. Il silenzio di questo “buio
giardino straniero” è rotto solo da “qualche colpo di incudine
dalle officine di Testaccio”. Questo rumore è come un segno
di deferente saluto che il mondo del lavoro, ripiegato sulla di-
fensiva, fa giungere al più prestigioso e lungimirante tra i suoi
storici dirigenti politici.
Nei decenni successivi la sinistra italiana, che pure ha con-
dotto e, a volte, vinto impegnative battaglie politiche, ha cer-
cato la strada per tornare a pensare davvero in grande. Il mon-
do è molto cambiato e sta obbligando tutti a ricercare affan-
nosamente nuovi punti di riferimento culturali e politici.


Vicepresidente Commissione parlamentare per l’infanzia, Responsabile
PD infanzia e adolescenza.

13
14 Prefazione

Qualche mese fa, esattamente il 2/6/2008, sul quotidiano La


Stampa, sotto il titolo Gramsci rispunta da destra, Lucia An-
nunziata ha scritto:

Nel 2007 il settantennio della sua morte ha mostrato quanto com-


plessa è la penetrazione del gramscismo. E qualcuno ha persino
detto, in quell’occasione, che oggi è proprio la destra l’erede vera
del gramscismo. Frase che in Italia sa di provocazione. Ma non ne-
gli Stati Uniti, se guardiamo ai neocon americani, ad esempio al
Project for the New American Century, che da Gramsci prende la
convinzione che l’agire politico è nella diffusione di idee nella so-
cietà civile, e che solo dopo viene il successo nella politica istitu-
zionale. O se guardiamo alla Francia di Nicolas Sarkozy, che in
un’intervista a Le Figaro, ripresa in Italia da il Giornale, ha detto:
«La mia lotta non è politica, ma ideologica. In fondo mi sono appro-
priato dell’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee».

Una provocazione, appunto. Soprattutto considerando il


fatto che, secondo humanheventsonline.com, la rivista on line
che raccoglie le istanze culturali di fondo della destra statuni-
tense, i Quaderni di Gramsci sono nella classifica dei trenta li-
bri più dannosi al mondo.
Si può quindi comprendere il piacere con cui ho accolto e
ho letto il nuovo libro di Rosa Corrado Antonio Gramsci: teo-
rico della traduzione e scrittore per l’infanzia. Molto è stato
scritto a proposito del ruolo strategico assegnato da Gramsci
alla formazione dell’uomo, alla sua educazione e al modo in
cui si deve attuare per liberarlo dall’ignoranza e dalla subal-
ternità, mettendolo in grado di esercitare, a sua volta, un ruolo
Prefazione 15

attivo nel processo educativo di altri individui, chiamati come


lui a incidere nella storia, in quanto portatori di interessi uni-
versali, culturalmente egemoni.
Il pregio del libro di Rosa Corrado sta nel consentire al let-
tore un efficace approccio ad alcuni elementi di base del pen-
siero gramsciano, partendo prima dal Gramsci bambino e a-
dolescente, per arrivare all’adulto dalla forte carica umana,
venata di insicurezze e fragilità, quale fu il Gramsci padre di
famiglia, che non rinunciò mai a stabilire, anche dal carcere,
un rapporto educativo con i due figli attraverso la corrispon-
denza con la moglie, malgrado i numerosi ostacoli frapposti
dal regime. L’esercizio di quella “paternità vivente” dove, in
un intenso e ricco scambio reciproco, il bambino, guidato con
naturalezza, acquisisce «la forza di volontà, l’amore per la di-
sciplina e il lavoro, la costanza nei propositi… senza mortifi-
care la sua spontaneità».
Un educatore, Gramsci, saldo nei principi, ma umile
nell’ammettere i dubbi che lo accompagnano nelle scelte. In-
dicativi, a questo proposito, due esempi felicemente riportati
nel libro: la ferma difesa di “ogni fantasticheria arbitraria”
come maggior piacere dei bambini nella lettura di libri che li
stimolino a immaginare i personaggi descritti e non illustrati;
il dubbio se “un giocattolo moderno” sia da consigliare e se il
processo che attiva a livello intellettivo nel bambino sia utile
alla sua formazione. A difesa della fantasia infantile, Gramsci
arriva a sostenere «che sia stato bene che a Firenze non abbia-
no lasciato fare il monumento a Pinocchio; per i ragazzi fio-
16 Prefazione

rentini avrebbe significato imposizione dall’esterno di


un’immagine standard»; a proposito, invece, della scatola di
costruzioni “Meccano”, ha il dubbio che «renda l’uomo un po’
secco, macchinale, burocratico».
Quale ricchezza pedagogica Gramsci consegna al mondo.
Che abisso culturale lo separa dai nostalgici educatori da “Li-
bro e Moschetto”.
Noi, che ci poniamo ancora oggi l’obiettivo di pensare
all’infanzia come a un mondo nel quale collocare i bambini
con le loro piccole ma formative responsabilità, con i diritti e
i doveri che derivano loro dall’essere bambini e figli, nel rileg-
gere queste pagine ci rendiamo ancora più conto delle enormi
difficoltà che dobbiamo fronteggiare. Come salvaguardare la
fantasia nella “civiltà dell’immagine” dove qualsiasi storia è il-
lustrata in formato audiovideo e la lettura è ridotta alle istru-
zioni per l’uso? Quali giocattoli proporre a bambini “ipertec-
nologici” ma impegnati prevalentemente a cliccare?
Oggi che le bambole con i loro vestitini, l’aquilone, il mo-
nopattino, la spada, l’arco e le frecce, lo strumento per le bolle
di sapone, si comprano già fatti, al prezzo di una perdita ine-
stimabile di manualità, progettualità e impegno nei bambini,
Gramsci consiglierebbe il “Meccano” senza esitazione.
L’esigenza di ripensare l’enorme contributo pedagogico
gramsciano si manifesta in ogni pagina di questo libro e Rosa
Corrado ha il merito di proporlo all’attenzione del pubblico in
un momento in cui si tenta di considerare la formazione delle
nuove generazioni una semplice spesa e non un prezioso inve-
Prefazione 17

stimento. L’investimento sul capitale umano deve invece esse-


re l’investimento di una comunità. Esso va curato fin dalla
primissima infanzia. A questa premessa segue questa riflessio-
ne: la lettura è parte integrante dell’investimento sul capitale
umano.
La lettura è approfondimento, è mettersi dentro relazioni
più complesse. Leggere un libro, rispetto ad altri mezzi di
comunicazione, rende più attrezzati a decodificare sentimenti,
sensazioni, sfumature. E ciò è tanto più vero e importante per
le nuove generazioni.
Il libro, la lettura, sono valori. E tali devono essere per tutta
la comunità educativa che circonda un bambino o un adole-
scente. La diffusione della lettura del libro deve perciò diven-
tare un elemento fondamentale della nostra civiltà.
E i libri di Gramsci sono lì a ricordarcelo.
PARTE PRIMA

Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

19
Famiglia, formazione, impegno politico

Nacque […] in un paese della Sardegna, che è terra aspra e feconda


di apostoli e di pastori, di poeti e di guerrieri, di contadini e di ar-
tigiani. Nacque in una povera casa a due piani, di tufo grigio, aper-
ta agli aspri venti che dal Monte Arci calano verso la piana del
Campidano 1.

Antonio Gramsci nasce il 23 gennaio 1891 ad Ales, un pae-


sino dedito all’agricoltura in provincia di Cagliari, da France-
sco Gramsci e Giuseppina Marcias.
Una caduta, non aveva che due anni, lo segna nel fisico e gli
impedisce in seguito di godere a pieno la spensieratezza e le
gioie dell’infanzia. La sua giovane vita risente anche delle gra-
vi difficoltà economiche in cui la famiglia viene a trovarsi. Il
padre Francesco, vincitore di concorso, viene destinato a Ghi-
larza, zona centrale della Sardegna, per dirigere l’Ufficio del
Registro; nel corso della sua attività è soggetto a continui spo-
stamenti: ad Ales, a Sorgono, ed infine di nuovo Ghilarza.

1
A. Gramsci, L’albero del riccio, a cura di G. Ravegnani, Editori Riuniti.

21
22 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

Scoperto un piccolo ammanco nell’Ufficio del Registro,


Francesco Gramsci, prima sospeso dal servizio e poi accusato
di peculato, concussione e falsità in atti d’ufficio, viene arre-
stato e condannato a più di cinque anni di reclusione da scon-
tare nel carcere di Gaeta. Questo episodio, oltre a riempire di
sgomento la famiglia Gramsci, provoca su di essa notevoli ri-
percussioni: viene a mancare quella agiatezza che lo stipendio
del padre aveva consentito e, al tempo stesso, tutte le respon-
sabilità e le preoccupazioni di un consistente nucleo familiare
(sette figli) vanno a gravare sulla madre. Ella affronta e risolve
con grande dignità i tanti problemi esistenziali che quotidia-
namente la sua famiglia si trova a vivere: vende il piccolo ap-
pezzamento di terra che possiede, tiene a pensione il veterina-
rio Vittore Nessi ed inoltre, esperta nel cucito, confeziona capi
d’abbigliamento dalla cui vendita ricava qualche soldo; è co-
stretta a lavorare di notte, rinunciando al sonno, pur di poter
accudire i sette figli durante il giorno.
È questa “madre coraggio”, riservata e schiva, la donna che
Gramsci pone al centro del suo universo affettivo:

Saremmo capaci di fare ciò che ha fatto la mamma? Di porsi Lei so-
la, povera donna, contro una terribile bufera e di salvare sette figli?
La sua vita è stata esemplare per noi e ci ha mostrato quanto valga la
pertinacia per superare le difficoltà che sembrano insuperabili anche
a uomini di grande fibra2 (Lettera del 31 ottobre 1932).

2
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1973.
Famiglia, formazione, impegno politico 23

Ha lavorato per noi tutta la vita, sacrificandosi in modo inaudito;


se fosse stata un’altra donna chissà che fine disastrosa avremmo
fatto tutti fin da bambini; forse nessuno di noi oggi sarebbe vivo3
(Lettera del 29 dicembre 1930).

Fin dalla scuola elementare Gramsci dimostra grande inte-


resse per la lettura e amore per la natura; quella natura fatta di
piante, di fiori, di animali, per lui rappresenta un bel libro tut-
to da leggere e da scoprire. Cerca sotto i massi le lucertole, os-
serva i ricci disporsi in fila indiana, radunarsi sotto un melo e
sdraiarsi sui frutti perché si infilzino ai loro aculei… e spesso
s’attarda a lungo, seduto su una roccia, ad ammirare la Valle
del Tirso: a vedere le gallinelle che s’aggirano tra i canneti, ad
osservare i salti dei pesci che cacciano le zanzare…
Ma nel suo cuore di bambino prima e di adolescente poi,
oltre all’amore per la natura, occupa tanto spazio il mondo dei
sentimenti, il legame con i compagni, con i familiari, con la
gente, semplice e comune, della sua terra.
Un amore profondo lo lega ai suoi fratelli, che a loro volta
nutrono per lui ammirazione, rispetto, ma anche una sorta di
timore per quel suo sguardo intenso che riesce a leggere fin
dentro l’anima, per quel suo carattere deciso e volitivo, per
quel senso della bontà e della giustizia, del bene e del male
che sin da bambino mostra di possedere e continueranno ad
essere valori essenziali di tutta la sua esistenza.

3
Ibidem.
24 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

All’età di undici anni il fratello maggiore Gennaro lo prende


con sé al catasto, procurandogli un guadagno di nove lire:
un’adolescenza negata e violata, diremmo oggi, ma l’unica
possibile per la situazione in cui la famiglia Gramsci versava.
«Me la passavo a muovere registri che pesavano più di me e
molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il
corpo»4.
Più tardi, nel 1903, solo grazie all’aiuto economico offerto-
gli dalle sorelle, potrà riprende a studiare a Santulussurgiu, un
paese a diciotto chilometri da Ghilarza; frequenta «Un piccolo
ginnasio in verità molto scalcinato, in cui tre sedicenti profes-
sori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l’insegnamento
delle cinque classi»5.
Nel 1908 si iscrive al Liceo “Giovanni Maria Dettori” di
Cagliari e, sin d’allora, il giovane Gramsci rivolge la sua atten-
zione prima alle letture storico–politiche e, più tardi, a pro-
blemi essenzialmente politici.
Bisogna però dire che, se inizialmente il suo interesse per
quegli aspetti socio–politici che investono la realtà in cui è
immerso è caratterizzato da una nota, talvolta polemica, di ri-
sentimento personale verso i “continentali”, più tardi riesce a
superare quel “percepirsi sardo, povero ed inquieto”, fino ad
appropriarsi di un “modo di sentire e di vivere nazionale ed
europeo”, sia pur attraverso quel travaglio interiore determi-
nato dal suo modo di essere sempre attento nell’osservare e

4
Ibidem.
5
Ibidem.
Famiglia, formazione, impegno politico 25

nel cogliere le luci e le ombre di quel mondo, “complicato e


difficile”, di cui si sente parte, ma di cui non condivide taluni
tratti dominanti.
Comincia, così, per Antonio Gramsci quell’impegno intel-
lettuale e morale, quella tensione rigida della volontà che ob-
bedisce implacabilmente al compito prefisso e che avrà solo
parziali e temporanee aperture affettive…
Non sfuggono a Piero Gobetti l’aspetto intellettuale e la fer-
rea volontà del compito, indubbiamente arduo, che Gramsci si
era posto nel volere uscire dalla Sardegna che, come egli stes-
so precisava, era quello di «sostituire (in se stesso) l’eredità
malata dell’anacronismo sardo con uno sforzo chiuso ed ine-
sorabile verso la modernità del cittadino»6; uno sforzo che la-
sciava intravedere la recente rottura e la rinuncia, ravvivate
dalla forza della disperazione di chi “ha respinto e rinnegato
l’innocenza nativa” per le “ricerche ascetiche” della cultura e
del pensiero e per “l’imperativo categorico” della modernità.
Verso i vent’anni (non perché stanco della terra d’origine),
spinto dal desiderio di approfondire gli studi intrapresi e spe-
rando di poter allargare le sue conoscenze a gente nuova e di-
versa, lascia la sua Sardegna, i suoi monti carichi di foreste, i
verdi pascoli delle valli, gli aspri massi della Gallura, le pitto-
resche monodie dei “cantadori” e sbarca in Italia.

6
S.F. Romano, A. Gramsci, UTET, Torino 1965.
26 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

«La navigazione da Porto Torres a Genova fu, per i suoi


giovani occhi, pari a quella degli antichi argonauti»7: immagi-
ne, questa, carica di stupore e di poesia.
Genova lo vede tra gente comune, tra i cantieri del porto ad
ascoltare i racconti dei giovani e dei vecchi lupi di mare…

Cominciò a sentire il battito della vita nei polsi degli uomini: di


fronte al mare, lungo le calate, ove più fervida batteva l’onda dei
traffici e più dure erano le pratiche di chi lavorava; di fronte a quel
mare che aveva visto Garibaldi partire coi Mille e Mazzini prendere
la via dell’esilio8.

Inizia, così, per Gramsci quella vita densa di emozioni, di


scoperte e di impegno sociale e politico che lo accompagne-
ranno nel corso degli anni.
Da Genova si trasferisce a Torino e quando, nel 1911, il
Collegio “Carlo Alberto” riserva agli studenti poveri delle Pro-
vince dell’ex Regno di Sardegna trentanove borse di studio da
settanta lire al mese, Gramsci possiede i requisiti per poter
superare la selezione iniziale ed essere ammesso alla facoltà
di Lettere e Filosofia. Nella graduatoria dei vincitori occupa il
nono posto, il secondo tocca a Togliatti, entrambi provengono
dalla Sardegna: da quel momento nasce fra i due una profonda
amicizia che sfocerà, dopo qualche tempo, in una comune
ricerca sulla struttura sociale della Sardegna.

7
A. Gramsci, L’albero del riccio, a cura di G. Ravegnani, Editori Riuniti,
Roma.
8
Ibidem.
Famiglia, formazione, impegno politico 27

L’impatto con la Torino industriale è duro: lo si evince dal-


la lettera indirizzata al padre del 20 dicembre 1911:

Carissimo papà,
ho ricevuto, l’altro giorno, il fagotto che mi avete mandato e rin-
grazio mamma della felice idea […]. Mi vedo costretto a pregarti
di mandarmi, prima della fine del mese, le venti lire che mi avevi
promesso: questo mese ho preso al collegio solo sessantadue lire,
delle quali ho dato quaranta lire alla padrona di casa per anticipo
ed ora, prima delle ferie, dovrò dare altre quaranta per saldare e
non saprei come fare se tu non mi mandi le venti lire che mi man-
cano […]. Passerò già un Natale molto magro e non vorrei renderlo
ancora più squallido con la prospettiva di un vagabondaggio attra-
verso Torino alla ricerca di uno stambugio, con questo po’ di fred-
do. Credevo, in questo mese, di potermi far fare il paltò perché
Nannaro [Gennaro, fratello maggiore di Antonio] mi ha mandato
nove lire, invece, perché mi hanno ritenuto nove lire non posso far
nulla e dovrò aspettare chissà quando: e credi pure che è un
bell’affare uscire di casa ed attraversare la città con i brividi e, poi,
al ritorno trovare una stanza fredda, e non potersi riscaldare […].
La preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché
o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi o devo stare imba-
cuccato, immobile perché non riesco a sostenere la penna gelata.
Auguro a tutti voi buone feste, non tremate almeno dal pericolo di
essere cacciati di casa o di dover galoppare per le stanze per riscal-
dare i piedi gelati9.

Molte lettere del periodo universitario, soprattutto quelle


indirizzate ai familiari, oltre ad essere percorse da una sottile

9
G. Fiori, Vita attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1994.
28 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

nota di ironia (come la maggior parte degli scritti gramsciani),


evidenziano la provata condizione fisica e psichica di Gramsci
e mettono in luce il rapporto teso e conflittuale con il padre;
un rapporto che nasce dalla rabbia e dalla disperazione, dovu-
te all’aggravarsi del suo stato di salute che “gli devasta il cer-
vello”, e a quella “trascurataggine” paterna che pur egli perce-
pisce con grande amarezza se ancora, rivolgendosi al padre,
scrive, in una Lettera del novembre 1913:

Vorrei infondere in te l’ansia che sento io, un po’ della disperazio-


ne che mi tortura […]. Lottare e non vedere che si presenti una
speranza di migliori tempi, contemporaneamente contro tutte le
difficoltà finanziarie, di salute, di vita […] credi, non è cosa che si
possa sopportare a lungo 10.

A Torino, durante i suoi studi universitari, avverte con mag-


giore impeto il bisogno di conoscere ed approfondire lo ster-
minato e complesso “mondo delle idee”, sente che aver inter-
rogato la natura non gli basta più: fervono in lui nuove intui-
zioni, nuove necessità spirituali e sociali. Decide, così, di se-
guire, come studente, i corsi di Scienza delle Finanze che, a
quell’epoca, avevano come docente Luigi Einaudi (più tardi
Presidente della Repubblica Italiana).
Allora come oggi, Torino si configura come città del lavoro
e delle lotte per l’occupazione, e Gramsci non è più il bambi-
no che amava “scoprire i ricci sotto il melo dell’orto”: è un

10
Ibidem.
Famiglia, formazione, impegno politico 29

uomo! Un uomo che avverte, in maniera sempre più impetuo-


sa ed intensa, la necessità di tradurre le sue idee in azione, in
“realtà”.
Ed è la consapevolezza dell’inutilità di qualunque teoria
non traducibile in pratica, come anche di qualsiasi azione non
supportata dalla teoria, a spingerlo fra gli operai, nel tentativo
di conoscerli meglio, fin quasi a voler scrutare nelle zone più
recondite della loro mente, del loro animo.
Ma quella di Gramsci non è solo curiosità, bensì desiderio
di conoscere per aiutare, per camminare e lottare insieme per
un mondo diverso, migliore.
“Originalità” e “concretezza” sono un binomio costante del
suo modo di essere e di proporsi agli altri, evidenziato ini-
zialmente attraverso l’intensa attività giornalistica che ha la
possibilità di svolgere durante il suo soggiorno a Torino: col-
labora all’edizione piemontese de L’Avanti, ma non firma qua-
si mai gli articoli:

La timidezza spingeva Gramsci a vivere impersonalmente, — anno-


ta Pasolini, — ma era solo ripugnanza per le forme esteriori ed av-
versione per ogni idolatria, compreso il culto del nome11.

Scrive sul settimanale Il Grido del Popolo (di cui per qual-
che tempo è redattore unico) e su La Città Futura, numero u-
nico pubblicato l’11 febbraio 1917; in quest’ultimo appaiono

11
Le annotazioni di Pier Paolo Pasolini sulla personalità di Gramsci sono
contenute nella celebre raccolta di poemetti intitolata Le ceneri di Gramsci, a
cura di G. Fiori, Garzanti, Milano 1957.
30 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

nitidamente alcuni tratti della sua personalità: vi si percepisce


la tensione di un uomo che sente il bisogno di combattere, di
schierarsi, la sua intransigenza verso gli avversari di classe, il
suo tono spesso “sarcastico ed ironico” nonché «la fiducia nel-
la volontà tenace dell’uomo come motore di storia ed il corri-
spondente fastidio innanzi alla superstizione dei Positivisti».
Ed anche l’“intelligenza”, amica e nemica, è per lui fonda-
mentale purché, però, onesta e disinteressata; accetta consensi
e, nello stesso tempo, rispetta chi dissente; ma “l’ingiustizia”,
tutte le ingiustizie, chiunque le compia, hanno in Antonio un
implacabile avversario.
Purtroppo la frenetica attività giornalistica limita la sua at-
tività all’interno del Partito, ed è forse questa la ragione per
cui gli vengono affidati incarichi locali: fa parte dell’esecutivo
della sezione socialista torinese, anche se la stessa maggioran-
za della sezione lo escluderà, poi, dalla lista per le Ammini-
strative del 1920.
Costituito il Partito Comunista d’Italia, non viene eletto
nell’esecutivo, ma entra a far parte del Comitato Centrale.
I comitati torinesi gli negano il loro appoggio anche in oc-
casione della sua candidatura alla Camera, nel maggio del
1921.
In occasione del II Congresso del Partito Comunista d’Ita-
lia, che si celebra a Roma dal 20 al 24 marzo 1922, Gramsci
presenta una relazione sulla “questione sindacale” e viene de-
signato a rappresentare il Partito a Mosca, nel Comitato esecu-
tivo dell’Internazionale Comunista.
Famiglia, formazione, impegno politico 31

Ciò segna una svolta decisiva nella sua esistenza logorata


dalle incomprensioni e dalle amarezze dovute molto spesso
alla sua stessa militanza politica, nonché ai patimenti fisici e
psichici sofferti sin dall’adolescenza.
Le sue condizioni di salute, già precarie, si aggravano e,
benché assistito da “alcune molto gentili persone”, come lui
stesso racconta, Grigorij Zinov’ev, Presidente dell’Internazio-
nale, vuole che si ricoveri nel sanatorio di Serebrjanyj Bor
(Bosco d’argento) alla periferia di Mosca.
Qui conosce Eugenia Schucht, appartenente ad una facolto-
sa famiglia antizarista, affetta da una grave forma di esauri-
mento psico–fisico.
Eugenia si invaghisce di Gramsci che, però, non ricambia il
suo amore: «Avevo molta stima di Genia, l’avevo conosciuta
quando non poteva muoversi dal letto, sapevo quanto aveva
sofferto», scrive Egli stesso.
Durante il ricovero a Serebriayj Bor, Gramsci conosce Giu-
lia (Julca), sorella di Eugenia, e ne rimane profondamente col-
pito. A quel primo incontro frettoloso ne seguono altri più si-
gnificativi: è l’inizio di un amore tormentato e felice insieme.

Carissima Julca,
non sono ancora certo se domenica potrò venire da lei […]. Deside-
ro molto di venire. Vorrei dirle tante cose. Ma ci riuscirò? Me lo
domando spesso, faccio dei disegni di lunghi discorsi. Ma quando le
sono vicino dimentico tutto. Eppure dovrebbe essere così semplice.
Semplice come noi, o come me, almeno. Ella si sbaglia nel trovare
tante complicazioni e tanti significati nelle mie parole. No, no le pa-
32 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

role riflettono stati d’animo molto pacati e sereni. Le voglio bene ed


ho la certezza che lei mi vuol bene12 (Mosca 13 febbraio 1923).

Nel dicembre del 1923 viene destinato a Vienna: vi rimane


per sei mesi, fino al suo ritorno in Italia, per scrivere e redige-
re, così come vuole il Partito italiano, una nuova edizione di
L’Ordine Nuovo, terza serie. Predominante è la sua attività
giornalistica, finalizzata alla formazione di un nuovo gruppo
dirigente sulla scia dell’Internazionale. Sono mesi di solitudi-
ne, durante i quali avverte un grande vuoto intorno a sé, vuoto
la cui immagine, intrisa di solitudine e malinconia, ci viene
data, ancora una volta, dalle Lettere:

Cara,
la mia vita è semplice e trasparente, trasparente (diceva Rimbaud)
come un pidocchio tra due lenti. Sto sempre in casa, o quasi, in
una via molto lontana dal centro, solo a leggere e a scrivere […].
La mia vita che aveva ripreso a rinverdire con te, per te, qualche
volta mi pare che nuovamente si dissecchi e sia amara tanto 13
(Vienna, 13 gennaio 1924).

Nelle elezioni politiche del 6 aprile 1924, Gramsci viene


eletto Deputato nella Circoscrizione del Veneto e rientra in I-
talia da dove era rimasto lontano per due anni.
La situazione italiana gli appare particolarmente difficile: il
regime fascista dilaga sempre più, fino a trasformasi in ditta-

12
G. Fiori, Vita attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1994.
13
Ibidem.
Famiglia, formazione, impegno politico 33

tura, e ciò lo spinge ad intensificare la sua attività come diri-


gente del Partito Comunista. In seguito al delitto Matteotti del
giugno 1924, il regime fascista adotta severi ed eccezionali
provvedimenti contro vari membri del gruppo comunista.
In quello stesso anno — 10 agosto —, nasce Delio, primo-
genito di Gramsci: tale evento riempie di gioia la sua vita, co-
me testimoniano le varie Lettere, inviate alla moglie Julca; la
lontananza dalle persone care, se da un lato lo segna e lo addo-
lora, dall’altro lo spinge a mantenere vivo questo legame attra-
verso lettere cariche di nostalgia, ma anche di tenerezza e di
amore per il piccolo Delio e per Julca:

Mi importa che il bambino sia un bambino vivente, sia nostro fi-


glio, e che noi ci vogliamo più bene di ieri perché vediamo in esso
noi stessi più forti e più felici. Devi scrivermi molto, molto perché
io possa immaginare la tua nuova vita. Gli elementi che sono a mia
disposizione per fantasticare non bastano: strilli, lamenti, sgambet-
tii, dita in bocca, e una serie di avvenimenti oggettivamente poco
gradevoli. Ma l’oggettività non è vita, è una fredda caricatura foto-
grafica della vita e tu, invece, vedi la vita vivente. Pazienza, aspet-
terò di condividere anch’io la tua gioia nell’assistere ai successivi
sviluppi della personalità del bambino. Un momento importante
mi pare sarà quello quando il piccolo si metterà un piedino in boc-
ca per la prima volta: dovrai informarmi subito di questo atto che
segnerà la presa di possesso dei limiti estremi del suo territorio na-
zionale […] 14 (Roma, 8 settembre 1924).

14
Ibidem.
34 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

Il suo secondogenito, Giuliano, nasce il 30 agosto 1926, ma


Egli non avrà mai la possibilità di conoscerlo poiché, con
l’ulteriore peggioramento della situazione politica in Italia,
Gramsci, pur godendo, come parlamentare, dell’immunità, l’8
novembre del 1926 viene arrestato dalla polizia e rinchiuso a
Regina Coeli con altri dirigenti comunisti.
In seguito, confinato nell’isola di Ustica, vi rimane fino al
20 gennaio 1927, data in cui viene trasferito nel carcere di Mi-
lano per ordine del Tribunale Speciale per la Difesa dello Sta-
to, dove rimane fino all’11 maggio 1928, giorno in cui viene
tradotto nel carcere di Roma.
Dal 28 maggio al 4 giugno del 1928 si svolge il cosiddetto
“Processone”, così chiamato perché vi appare come imputato
l’intero gruppo comunista.
Antonio Gramsci viene condannato a vent’anni, quattro me-
si e cinque giorni di reclusione.
Dopo tale processo, visitato da uno specialista, risulta affet-
to da uricemia cronica e viene assegnato alla Casa penale spe-
ciale di Turi, presso Bari, dove rimane fino al 19 novembre
1933. Lo stesso giorno viene trasferito all’infermeria del car-
cere di Civitavecchia e, successivamente, sempre come dete-
nuto, nella clinica del dottor Cusumano a Formia.
Nell’ottobre del 1934 Gramsci inoltra domanda per ottene-
re la libertà condizionata, che gli viene accordata fino all’apri-
le del 1937. Ma la sera del 25 dello stesso mese le sue con-
dizioni di salute peggiorano e, colpito da emorragia cerebrale,
si spegne due giorni dopo.
Famiglia, formazione, impegno politico 35

È il 27 aprile del 1937.


Le sue ceneri, deposte dentro una cassetta di zinco ed in
un’altra esterna di legno, vengono inumate, dopo la Liberazio-
ne, nel Cimitero degli Inglesi a Roma.
Dal bambino alla matricola “7047”

Per conoscere ed apprezzare il pensiero di Gramsci sulla


Educazione ed il contributo che egli, come traduttore di Fiabe
e scrittore per l’infanzia, ha saputo offrire alla formazione ed al-
lo sviluppo della fantasia e del potenziale creativo nei bambini
e negli adolescenti, si rende necessario soffermarsi ulterior-
mente su alcune tappe fondamentali che hanno caratterizzato
la sua vita: in particolare il passaggio dalle prime esperienze in-
fantili alle lotte giovanili, fino al duro periodo detentivo.
Il bambino che si diverte a scoprire i ricci sotto il melo
dell’orto che, per ore, accovacciato su una roccia, osserva
quella specie di lago che si forma lungo le vallate del fiume
Tirso e le gallinelle che escono dai canneti, o i pesci che, sal-
tando, cacciano le zanzare…; il bambino che ama alcune pic-
cole bestiole che costituiscono lo scenario della sua modesta e
tranquilla esistenza, che si diverte a costruire velieri, consen-
tendo così alla fantasia ed al desiderio interiore di potersi af-
fermare… che ama disegnare e leggere, al punto da sentire
profondamente la mancanza di una biblioteca di famiglia…:
questo bambino sofferente, perché cagionevole di salute, dota-

37
38 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

to di una straordinaria sensibilità nei confronti delle reali dif-


ficoltà della famiglia e di una impareggiabile volontà riesce,
sin da piccolo, ad aprirsi un varco tra le barriere che conti-
nuamente ostacolano il percorso della sua difficile esistenza.
E saranno proprio i “limiti” che percepisce in modo netto e
chiaro sin da bambino, ed ai quali soggiace, talvolta malinco-
nicamente, a fornirgli, in età adolescenziale e poi matura, la
consapevolezza di possedere un’incalcolabile forza interiore,
un incrollabile coraggio. Quel coraggio che prima lo guida a
Torino come studente della Facoltà di Lettere, poi, durante la
detenzione, pur nel rispetto del duro regime penitenziario, lo
spinge alla ricerca di soluzioni che lo aiutino da un lato a su-
perare il rigido regolamento carcerario volto ad annientare la
dignità dell’uomo, dall’altro a mantenere vivi i legami con la
famiglia ed il mondo esterno, senza mai abbandonare quell’i-
dea di “unità” che, costante, gli occupa la mente.
Ma “limite” per Gramsci vuol dire anche non avere denaro
sufficiente per condurre un’esistenza modesta: avere un cap-
potto per l’inverno, nutrirsi in modo equilibrato, poter chia-
mare un medico in caso di necessità, potersi curare…
Con il passare degli anni a queste mancanze si aggiunge il
senso di “limite” come impossibilità di esprimere le proprie
idee, sia per la debilitazione psicofisica che una vita di stenti
inevitabilmente provoca, sia per l’impossibilità di lasciar cir-
colare pensieri “diversi” dalla linea ideologica dominante.
Così le sbarre della gabbia in cui non ha mai voluto rin-
chiudere i suoi passerotti, rinchiudono lui; ma, attraverso gli
Dal bambino alla matricola “7047” 39

spazi che separano una sbarra dall’altra, corrono i tanti fili che
lo legano ai figli, alla famiglia, agli amici, ai compagni di par-
tito.
Per tutte queste ragioni, se da un lato il carcere lo limita
nello “spazio”, costringendolo quasi all’immobilità fisica, lo
priva della possibilità di “dare una carezza” alla sua Julca, gli
nega la gioia che procura il veder crescere i propri figli,
dall’altro la sua mente mai cessa di conoscere, attraverso gior-
nali, annuari e libri consentiti dal regolamento carcerario, “il
quotidiano degli uomini liberi”.
E anche quando nella sua vita si addensano le ombre del
calvario detentivo, la cognata Tania gli fa pervenire medicina-
li, capi di vestiario, ma soprattutto, cosa molto importante per
Gramsci, fotografie: che, in quel luogo squallido e solitario,
rivestono una funzione fondamentale perché gli permettono
di leggere sui volti di ciascuno i segni del “tempo”.
Ma ciò non gli basta ancora: vuole cogliere le dinamiche re-
lazionali tra i suoi familiari, leggere la malinconia e la gaiezza
che traspare dai loro sguardi, capire la personalità ed il carat-
tere dei piccoli, penetrare nell’anima di ciascuno di loro, quasi
a voler condividere gioie e dolori della loro esistenza.
Anche la forza e la vitalità che lo caratterizzano diventano
“straordinarie” quando descrive la sua triste condizione di de-
tenuto, cercando di infondere fiducia nei suoi cari affinché
non soffrano e non cedano alla disperazione.
Il desiderio di vivere che riesce a trasmettere, scrivendo di
sé, delle sue quotidiane occupazioni, dei suoi interessi, dei
40 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

suoi stati d’animo, è tanto più evidente nelle lettere indirizzate


ai figli, Delio e Giuliano. Se questi ultimi avessero avuto la
possibilità di vivere con Lui avrebbero detto: «è un padre che
ama saper ascoltare», ma è anche un padre che non disdegna
di narrare della sua infanzia attraverso meravigliosi racconti
di cui si ha un saggio soprattutto nelle Lettere ai familiari. È
un padre che ama scrivere di sé ai figli, affinché possano cono-
scerlo meglio ed avvertire in modo meno doloroso quel senso
di vuoto e di abbandono che la lontananza crea.
Non sono “fiabe” quelle che Gramsci scrive ai suoi bambi-
ni; lui non vuole popolare la loro fantasia di fate e folletti; i
suoi sono racconti di vita vissuta, sono esperienze e ricordi
della sua infanzia, espressione di un lavoro intellettuale carico
di grande affettività.
Non un educatore si rivolge ai bambini, né un maestro che
fa sfoggio di cultura, ma un padre che chiede ai propri figli
quali sono i loro giochi preferiti, quali i libri cui tengono
maggiormente, come sono i loro amici ed i loro insegnanti,
quali le attività scolastiche preferite.
In questo rapporto epistolare non ci sono artifici retorici,
né atteggiamenti compiacenti per attirare l’attenzione: c’è solo
un uomo che mette a nudo la sua vera umanità.
C’è il desiderio di un padre che vuole raccontare la propria
vita ai figli, come a lui era apparsa nell’infanzia e nell’adole-
scenza a Ghilarza.
“Esprimere” l’“inesprimibile”
oltre lo spazio e il tempo

Gli scritti di Antonio Gramsci, dal 1926 al 1935, anche se


assoggettati fortemente alla censura ed al regolamento carce-
rario, rimangono gli unici veicoli che gli consentono di rien-
trare, sia pure parzialmente, nel vasto mondo della comunica-
zione.
Occorre nuovamente rilevare che, nel caso di Gramsci, il
pensiero, la capacità di fare progetti, la scrittura stessa, sono
fortemente segnati dai “limiti” che la detenzione comporta.
Quando si parla di limiti, non ci si riferisce soltanto ad e-
lementi esterni come la censura carceraria, la scarsità di mate-
riale e di testi concessi ai detenuti politici, ma anche a quel
sentire interiore, intimo, che si può definire autocensura e che
Egli stesso meglio definisce con il termine “pudore”
nell’esprimere i propri sentimenti. In tale situazione, scrivere
diventa, dunque, l’unica possibilità di “raccontare”, sia pure in
modo frammentario, ma sempre secondo un ordine cronolo-
gico, “passato” e “presente”. Se pensare al passato significa ri-
vivere con le persone care le esperienze e i ricordi legati alla

41
42 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

sua infanzia e alla sua adolescenza, scrivere il presente, per


lui, significa vivere in modo più consapevole la sua condizio-
ne di prigioniero politico, fatta di angosce, di tormenti, ma
anche di incrollabile speranza!
E questo lento scorrere del tempo fatto di ieri e di oggi si
concretizza nelle numerose Lettere e nelle pagine dei Quader-
ni. Sono pagine–diario che da un lato testimoniano che la “li-
bertà” è un valore fondamentale ed irrinunciabile, dall’altro
esprimono l’amarezza per essere riuscito ad instaurare un dia-
logo solo “frammentario” e incompleto con il mondo esterno,
con i propri cari e in particolare con la moglie.
Si sente tagliato fuori non solo dalla vita sociale, ma anche
dalla vita familiare. E lo smarrimento che prova quando si ac-
corge che durante la sua detenzione, al di là di quella prigione
«dalle quattro mura, dalla grata, dalla bocca di lupo»1 (Lettera
a Tatiana, 19 maggio 1930), la vita ha continuato a scorrere, si
trasforma in angoscia quando vede la propria immagine rifles-
sa nello specchio dopo tanto tempo:

Da dieci anni sono tagliato dal mondo (che impressione terribile


ho provato in treno 2, dopo sei anni che non vedevo che gli stessi
tetti, le stesse muraglie, le stesse facce torve, nel vedere che duran-
te questo tempo il vasto mondo aveva continuato ad esistere coi
suoi prati, i suoi boschi, la gente comune, frotte di ragazzi, certi
alberi, certi orti, ma specialmente che impressione ho avuto nel
vedermi allo specchio dopo tanto tempo: sono ritornato subito vi-

1
G. Fiori, Vita attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1994.
2
Durante il trasferimento da Turi a Civitavecchia, il 19 novembre 1933.
“Esprimere” l’“inesprimibile” oltre lo spazio e il tempo 43

cino ai carabinieri…). Non pensare che voglia commuoverti: voglio


dire che dopo tanto tempo, dopo tanti avvenimenti, che in gran
parte mi sono sfuggiti forse nel loro significato più reale, dopo
tanti anni di vita meschina, compressa, fasciata di buio e di miserie
grette, poter parlare con te da amico, mi sarebbe molto utile.

Ancora una volta sente che soltanto la scrittura può colmare


l’immenso vuoto che lo circonda ed impedire che tutti i lega-
mi con il mondo esterno vadano ad uno ad uno rompendosi,
come si legge nella Lettera del 25 gennaio 1936 indirizzata a
Giulia.
Dalla sua infanzia all’infanzia:
per una pedagogia della comunicazione

Le Lettere rappresentano la fonte ed il documento più im-


portante nel quale cogliere il sentimento di Gramsci per i
bambini.
Un sentimento dal carattere essenzialmente morale che na-
sce e si consolida in quella condizione di isolamento rappre-
sentata dal carcere, e si esplicita nel grande affetto per la fami-
glia che per lui significa responsabilità, dovere, impegno rigo-
roso con “la miglior parte di sé”.
La famiglia d’origine, i figli, la moglie e la cognata Tatiana
rappresentano la sola ed importante direzione verso la quale
far convergere la sua affettività, il solo modo possibile e con-
creto per uscire dal carcere e riannodare quei “fili” interrotti
con il mondo esterno. Questa esigenza, comune a tutti i carce-
rati, in Gramsci si fa più viva, più acuta, nella lettera alla mo-
glie Julca del 24 novembre 1936 1: «Cara, io sono così isolato
che le tue lettere sono come il pane per l’affamato».

1
Lettera datata in calce da altra mano.

45
46 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

Al centro di questo estenuante e continuo bisogno ci sono i


bambini: non a caso li troviamo nelle prime lettere e, sempre
non a caso, le Lettere dell’ultimo periodo si chiudono con la
fitta corrispondenza con i figli.
L’umanità di Gramsci è carica di affettività, di altruismo, ed
anche i suoi “lamenti” sono sempre controllati e pacati per
non pesare su chi legge e su quanti gli vogliono bene.
Ed anche quella tenerezza semplice, ma sempre “essenzia-
le”, che egli potrebbe esprimere più facilmente con una carez-
za, è destinata ad esaurirsi nella scrittura. Allora appaiono si-
gnificative frasi come:

Ti ringrazio di aver abbracciato forte forte la mamma per parte


mia: penso che devi farlo ogni giorno, ogni mattino. Io penso sem-
pre a voi, così immaginerò ogni mattino: ecco, i miei figli e Julca
pensano a me in questo momento. Tu sei il fratello maggiore, ma
devi dirlo anche a Julik: così ogni giorno avrete i cinque minuti del
babbo 2.

Gramsci, spinto da un profondo amore paterno, avverte con


sempre maggiore impulso il bisogno di conoscere i figli.
Pur di riuscire a conquistare la loro “realtà lontana e proi-
bita” sa essere “bambino con i bambini”, e diventare “scrittore
per bambini”.
Il suo scrivere rispecchia il mondo dei bimbi, e, quasi per
magia, diviene linguaggio dell’infanzia.
2
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1973.
Dalla sua infanzia all’infanzia 47

Il suo discorso si fa sempre più articolato, più ricco, come


nella lettera a Delio in cui scrive:

Mi è piaciuto il tuo angoletto vivente con i fringuelli e i pesciolini.


Se i fringuelli scappano non bisogna afferrarli per le ali o per le
gambe, che sono delicate e possono rompersi e slogarsi: occorre
prenderli a pieno per tutto il corpo senza stringerli. Io da ragazzo
ho allevato molti uccellini e anche altri animali: falchi, barbagian-
ni, cardellini …; ho allevato una serpicina, una donnola, dei ricci,
delle tartarughe3.

Lo stesso discorso diventa racconto ne L’albero del riccio,


dove tutti gli elementi tanto cari alla fantasia dei bambini
(…le mele, il vento, i ricci, i rami che dondolano, le foglie, la
luna, la biscia che solleva la testa con la lingua di fuori, lo
squittio del riccio avido della preda…) trovano la giusta collo-
cazione.
Anche in altri racconti sono disseminati motivi fantastici
espressi in un linguaggio semplice e fresco. Ne La volpe e il
pulledrino colpisce la fusione tra la favola e la realtà; quel “pa-
re” che troviamo all’inizio, dove si legge «Pare che la volpe
sappia quando deve nascere un pulledrino e sta all’agguato»,
diventa realtà:

Eppure si vedono qualche volta per le strade della Sardegna dei ca-
valli senza code e senza orecchie. Perché? Perché, appena nati, la

3
Ibidem.
48 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

volpe, in un modo o nell’altro è riuscita ad avvicinarsi ed ha man-


giato la coda o le orecchie molli molli4.

Suggestiva e carica di tenerezza la conclusione autobiogra-


fica a tale racconto: egli ricorda quando, ancora bambino, un
vecchio venditore si serviva proprio di un cavallo per traspor-
tare olio, candele e petrolio da vendere, andando di villaggio
in villaggio.
Non mancano in Gramsci narrazioni che per la loro fre-
schezza richiamano alla mente immagini e situazioni simili a
quelle create da Collodi nella sua Storia di un burattino: «Coi
miei fratelli andai un giorno in un campo di una mia zia dove
erano due grandissime querce e qualche albero da frutta…»5.
Il mondo della favola in Gramsci tanto diverso appare da
quello ritratto dai noti favolisti (Fedro, Esopo, Rousseau): il
suo è un mondo naturale in cui animali, cose e persone si
muovono in modo concreto, reale, senza finzioni, allo scopo
di accrescere le conoscenze e ricreare la verità. E ciò non vuol
dire mortificare la fantasia, perché la realtà è ricca di sugge-
stioni, in tutti i suoi aspetti, nella sua stessa evoluzione:

La fantasia è dell’uomo e dell’individuo.


Ed è evidente che ogni individuo, ed anche l’artista, e ogni sua at-
tività, non può essere pensata fuori dalla società, di una società de-
terminata6.

4
La volpe e il polledrino, ibidem.
5
La prima volpe, ibidem.
6
A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Einaudi, Torino 1950.
Dalla sua infanzia all’infanzia 49

Dunque la fantasia non è esclusivamente “astrattezza”, e lo


stesso Gramsci in una lettera a Giulia si sofferma ad illustrare il
suo punto di vista su quella che egli definisce “fantasia concre-
ta”, intesa come attitudine a rivivere la vita degli altri così com’è
nella realtà: con le sue esigenze, con le sue necessità, con i suoi
bisogni…, per comprenderla meglio ed entrare in contatto in-
timo con essa, e non per rappresentarla da un punto di vista arti-
stico. Le cose e le situazioni sono già di per sé crudeli, non oc-
corre, dunque, che si aggiunga altro a questa loro crudeltà.
E sempre in una lettera a Giulia, del 14 gennaio 1929, si in-
forma sull’interpretazione che Delio attribuisce al gioco del
“Meccano”; perché non ha mai saputo decidere se il meccano,
che mortifica il personale spirito creativo del bambino, sia un
giocattolo moderno da consigliare:

Cosa ne pensi tu e cosa ne pensa tuo padre? In generale io penso


che la cultura moderna filo–americana della quale il meccano è
l’espressione, renda l’uomo un po’ secco, macchinale, burocratico e
crei una mentalità astratta (in un senso diverso da quello che per
“astratto” s’intendeva nel secolo scorso) [… ]
C’è stata l’astrattezza determinata da un’intossicazione metafisica e
c’è l’astrattezza determinata da un’intossicazione matematica.

Da ciò la necessità di essere attenti non solo ai giocattoli


che vengono proposti ai bambini, ma soprattutto diventa inte-
ressante osservare le reazioni e i processi che essi attivano a
livello intellettivo, prescindendo dal sentimento che lega il
bambino all’adulto.
Gramsci: padre ed educatore

“Essere padre” per Gramsci non è riducibile all’affettività


che lega padre e figlio, è qualcosa di molto più grande; e se
vogliamo assume un significato al quale noi non siamo
sempre abituati a pensare e di cui Gramsci ha una visione
chiara e ben definita: “Paternità vivente”, paternità che «di-
venti più concreta e sia sempre attuale, e non solo un fatto
del passato sempre più lontano»; «[…] aiutandomi così a
conoscere meglio la Julca di oggi che è Julca più Delio più
Giuliano, somma in cui il più non indica solo un fatto quan-
titativo, ma soprattutto una nuova persona qualitativa»,
conclude così una lettera indirizzata a Giulia (lettera del 9
febbraio 1931).
Nei figli già vede un mondo in cui ciascuno impara ed inse-
gna, prende e dà, guadagna e perde: ed in questa concezione
del mondo egli colloca anche i bambini con le loro responsa-
bilità, i loro doveri ed i loro diritti di essere bambini e di esse-
re figli.
All’educazione, sostiene Gramsci, è affidata una grande re-
sponsabilità sociale dalla quale l’adulto non può sottrarsi:

51
52 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

Io evito sempre di valutare chiunque, fondandomi su ciò che si


suole chiamare “intelligenza”, “prontezza di spirito” … perché so
che tali valutazioni sono ingannevoli. Più di tutte queste cose mi
pare importante la “forza di volontà”, l’amore per la disciplina e
per il lavoro, la costanza nei propositi, ed in questo giudizio tengo
conto più che del bambino, di quelli che lo guidano e che hanno il
dovere di fargli acquistare tali abitudini, senza mortificare la sua
spontaneità (Lettera riferita alla nipotina Mea).

E parlando di “dovere”, Gramsci non si stanca di ripetere


quanto sia importante che i bambini siano ben guidati e mai
abbandonati a se stessi. Già nella prima parte della lettera a
Giulia, datata 30 dicembre 1929, troviamo valide indicazioni
pedagogiche: è importante, Egli sostiene, conoscere i figli e
seguirli in tutto il processo di maturazione, in particolar mo-
do dopo l’apprendimento del linguaggio, ossia quando ha ini-
zio la fase delle rappresentazioni e dei nessi logici.
È altrettanto necessario non lasciarsi “accecare dai senti-
menti”, al punto da guardare al bambino come ad un’opera
d’arte, ricordando che egli si sviluppa intellettualmente in
modo molto rapido, assorbendo, fin dai primi giorni di vita,
una quantità straordinaria di immagini che sono ancora ricor-
date dopo i primi anni, e che lo supportano nella acquisizione
di giudizi più riflessivi.
Tali suggerimenti erano già riscontrabili in una lettera pre-
cedente, con il toccante esempio delle pianticelle:

A me ogni giorno viene la tentazione di tirarle un po’ per aiutarle a


crescere, ma rimango incerto tra le due concezioni del mondo e
Gramsci: padre ed educatore 53

dell’educazione: se essere roussoniano e lasciar fare la natura che


non sbaglia mai ed è fondamentalmente buona, o se essere volon-
tarista e sforzare la natura, introducendo nell’evoluzione la mano
esperta dell’uomo ed il principio di autorità.

I dubbi che accompagnano Gramsci non appartengono al


passato: oggi più che mai si guarda all’educazione con interes-
se, ma anche con preoccupazione poiché i figli e quindi i
bambini, come scrive Makarenko, «saranno futuri cittadini
del nostro Paese e futuri cittadini del Mondo»; perché «essi
creeranno la Storia, saranno futuri padri e future madri; sa-
ranno anch’essi educatori dei loro figli. Ma non è tutto: i nostri
figli saranno anche la nostra vecchiaia felice, mentre una cat-
tiva educazione significherà dolore e lacrime»1.
In “note sparse” del testo Gli Intellettuali e l’organizzazione
della cultura, dedicate ad “alcuni principi della pedagogia mo-
derna”, Gramsci sostiene che:

L’educazione intesa come “sgomitolamento” di un filo preesistente


poteva andare bene quando si contrapponeva alla scuola dei Gesui-
ti, oggi appare superata. Immaginare che nel bambino il cervello
sia come un gomitolo che il maestro aiuta a “sgomitolare” è
un’involuzione, dal momento che ogni generazione educa e forma
la nuova generazione, e che l’educazione è una lotta contro gli i-
stinti legati alle funzioni biologiche elementari e contro la natura
per dominarla e creare “l’uomo attuale alla sua epoca”2.

1
A.S. Makarenko, Consigli ai genitori, Roma 1952.
2
A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi, To-
rino 1949.
54 P ARTE I – Antonio Gramsci: la vita, gli affetti, le idee

Inoltre la “scuola”, intesa come attività educativa diretta, è


solo una frazione della vita dell’alunno, che entra in contatto
sia con la società umana, sia con la societas rerum e, da queste
fonti “extrascolastiche”, molto più importanti di quanto co-
munemente si creda, si acquisiscono conoscenze e criteri va-
lutativi 3.
Gramsci non taglia col passato, perché il legame con la tra-
dizione è importante, a patto che ci si rifaccia a ciò che in esso
vi è di vivo e vitale. La differenza che intercorre tra il passato e
il presente è da intendersi solo da un punto di vista qualitati-
vo, riassumibile nelle capacità che l’uomo ha di dominare le
condizioni di vita di cui egli è l’espressione e la somma.
La formazione della personalità, precisa ancora Gramsci,
avviene se s’indirizza la propria volontà in modo determinato
e “razionale”, identificando i mezzi che ad essa danno concre-
tezza e contribuiscono a modificare l’insieme delle condizioni
che la rafforzano.
Migliorare i rapporti con gli altri, in un impegno comune
che trasformi il mondo, significa potenziare e sviluppare se
stessi; in quest’ottica è da intendersi la formazione dei bambi-
ni, di quegli stessi bambini che, divenuti uomini, contribui-
ranno alla formazione ed all’evoluzione della loro natura e
quindi della società. Concezione già espressa da J. Dewey in
Democrazia ed educazione:

3
Ibidem.
Gramsci: padre ed educatore 55

Tutta l’educazione che sviluppa la facoltà di partecipare effettiva-


mente alla vita dell’uomo è morale. Essa forma un carattere che
non solo compie quell’azione particolare che è socialmente neces-
saria, ma che si interessa a quel continuo riadattamento che è es-
senziale alla crescenza. L’interesse all’imparare da tutti i contatti
con la vita è l’essenziale interesse morale4.

4
J. Dewey, Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1942.
PARTE SECONDA

Educazione ed istruzione:
momenti di crescita e di elevazione culturale

57
Antonio Gramsci:
epistemologo e maestro attraverso le Lettere

Il mondo è grande, terribile e complicato.


Ogni azione che viene lanciata nella sua
complessità sveglia echi inaspettati.

A. Gramsci

Se da un lato per il detenuto Gramsci le Lettere rappresen-


tano la sola possibilità di comunicare con le persone lontane,
dall’altro esse testimoniano la volontà di un uomo che conti-
nua a lottare per non recidere quei fili invisibili che lo legano
al mondo esterno.
E dal carcere il suo silenzio si fa voce e giunge fino ai figli
Delio e Giuliano, attraverso la corrispondenza con la moglie
Julka:

Carissima Julka, scrivimi a lungo sulla vita tua e dei bambini. Ap-
pena è possibile mandami la fotografia di Giuliano.
Delio ha fatto ancora molti progressi? Gli sono cresciuti nuova-

59
60 P ARTE II – Educazione ed istruzione

mente i capelli? La malattia ha lasciato in lui qualche conseguen-


za? Scrivimi molto di Giuliano 1

Quelle destinate ai figli sono indubbiamente Lettere di note-


vole importanza, non soltanto per la carica affettiva di cui so-
no permeate, ma perché ci permettono di conoscere il suo
pensiero nell’ambito educativo ed i suoi interessi per la Scien-
za, la Letteratura, l’Etica e la Politica, che traspaiono anche
quando scrive di cose semplici che riguardano la quotidianità.
Gramsci chiede a Julca di poter condividere l’interesse per
l’ambito scientifico, al fine di impadronirsi della metodologia
generale e della scienza epistemologica, dal momento che esse
rappresentano il riflesso della vita intellettuale di Delio e Giu-
liano; Egli, in altre parole, esprime il desiderio di essere in-
formato con una certa sistematicità del contesto culturale e
scientifico entro il quale si inserisce la scuola frequentata dai
figli, per meglio comprendere e valutare ciò che la moglie rie-
sce a comunicargli solo in parte.
Da tale esigenza nasce la richiesta che Egli rivolge a Julca
di essere più ordinata e coerente nell’esporre le sue riflessioni,
al fine di padroneggiare meglio la sua volontà scientifica e le
sue capacità critico–analitiche:

Dovresti naturalmente fare un vero lavoro, e non solo scrivere del-


le lettere: cioè fare un’inchiesta e prendere degli appunti, organiz-
zare il materiale raccolto ed esporre i risultati con ordine e coeren-

1
Da «Nuova Rivista Pedagogica», 5–6, dicembre 1953.
Antonio Gramsci: epistemologo e maestro attraverso le Lettere 61

za. […] Mi interessa molto, per esempio, sapere come è stato inse-
rito nella scuola primaria il principio delle brigate d’assalto e degli
angoletti specializzati, e quale scopo pedagogico si propone di rag-
giungere.

Il suo contributo, invece, potrebbe essere quello, ad esem-


pio, di trasmettere a Delio le sue esperienze infantili sugli es-
seri viventi:

O gli sembreranno favole vedere le lepri danzare sotto la luna, o la


famiglia del riccio andare a far provviste di mele al chiaro della lu-
na autunnale?2

Parlando di “inclinazioni”, Gramsci ritiene che si debba at-


tribuire poco peso a quelle dei bambini perché, con la cresci-
ta, esse sono destinate a mutare, proprio come era accaduto a
lui che da piccolo, all’età di sette anni, aveva letto Robinson e
L’isola misteriosa, ma non ricordava di aver avuto particolari
preferenze letterarie.
Gramsci si rende anche conto che una vita infantile come
quella di trent’anni fa oggi sia impossibile perché i bambini,
quando nascono, sembrano già adulti: le innovazioni tecnolo-
giche, il progresso culturale e scientifico… hanno distrutto per
sempre il “robinsonismo”, che ha rappresentato il modo di
fantasticare di tante generazioni.

2
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1965.
62 P ARTE II – Educazione ed istruzione

La stessa invenzione del meccano testimonia il modo pre-


coce del bambino di intellettualizzarsi; pertanto «il suo eroe
non può essere Robinson, né il poliziotto o il ladro scienziato,
almeno nell’Occidente»3.
In tutti i bambini sussistono interessi e tendenze sia verso
l’attività pratica, sia verso la teoria o la fantasia e, quindi, sa-
rebbe opportuno guidarli verso un atteggiamento capace di
armonizzare le facoltà intellettuali e pratiche, che potranno
specializzarsi solo quando loro avranno raggiunto quella for-
mazione integrale della personalità e del carattere, quale fina-
lità essenziale dell’educazione.
Gramsci affronta con grande interesse e intuito pedagogico
il “problema della scrittura”, sostenendo che non ha senso
“scrivere per scrivere”; è importante scrivere soltanto ed uni-
camente quando si ha qualcosa da dire: quando il cuore consi-
glia e detta e, sempre, Egli sostiene, il cuore dovrebbe consi-
gliare e dettare.
Per tale ragione vuole che i bambini gli raccontino tutto ciò
che vedono e sentono: le loro esperienze, i loro vissuti, le loro
emozioni…
Ancora una volta Egli ritorna con il pensiero alla sua infan-
zia e ricorda la delusione che aveva provato, osservando la
“materializzazione” di Pinocchio creata dall’autore Massimi,
perché tanto diversa da quell’immagine che del burattino egli
era riuscito a creare a livello fantastico:

3
Ibidem.
Antonio Gramsci: epistemologo e maestro attraverso le Lettere 63

Perciò mi pare che sia stato bene che a Firenze non abbiano lascia-
to fare il monumento a Pinocchio; per i ragazzi fiorentini avrebbe
significato imposizione dall’esterno di un’immagine standard che
avrebbe impedito ogni fantasticheria arbitraria. Ma non è in que-
sto arbitrio della fantasia il maggior piacere dei bambini nel leggere
i libri come Pinocchio?4 (Lettera a Delio del novembre 1936).

E scrivendo a Delio gli chiede non soltanto se sia stato pia-


cevole leggere Pinocchio, ma, soprattutto, se le figure del libro
corrispondono all’immagine che egli si era fatto del burattino.
Soffermandosi sulla narrativa per ragazzi cita Kipling e si
sofferma sulla Capanna dello zio Tom con dei suggerimenti
che ritiene essenziali, data la giovane età dei lettori; a proposi-
to di questo libro vorrebbe che qualcuno, certamente un adul-
to, lo spiegasse al bambino.
«Storicisticamente, collocando i sentimenti e la religiosità
di cui il libro è impregnato nel tempo e nello spazio»5 (Lettera
a Julka, 8 agosto 1933).
Bisogna aggiungere, sempre a proposito della Capanna dello
zio Tom, che Gramsci, rileggendo il testo, modifica positiva-
mente il giudizio espresso in precedenza:

Ho riletto pochi giorni fa La Capanna dello zio Tom, e mi ha fatto


un’impressione migliore di quanto non fossero i ricordi della lettu-

4
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1965.
5
Ibidem.
64 P ARTE II – Educazione ed istruzione

ra passata. Ho trovato, pur in mezzo a tanta convenzionalità e arti-


ficio propagandistico, dei tratti abbastanza robusti 6.

Da qui emerge come sia importante contestualizzare qual-


siasi scritto o opera d’arte prima ancora di sottoporla a qual-
siasi giudizio.
In riferimento ad autori, come Cecov e Puskin, citati da De-
lio in una lettera, Gramsci gli chiede cosa lo spinga a leggere
questi scrittori e cosa egli abbia scoperto di “buono” e di “bel-
lo” nei loro scritti.
La sua non è solo curiosità, è piuttosto il tentativo di saggia-
re la capacità di pensiero critico e razionale del figlio, per ac-
certarsi che sia in grado di “discernere il vero dal falso, il certo
dal possibile e dal verosimile”.
Egli avverte la comune difficoltà di chi deve giudicare o-
biettivamente le persone che ama e si preoccupa dunque di
rassicurare Delio: «Io conosco la tua età, la tua preparazione e
quindi saprò giudicare obiettivamente»7.
A proposito di letture, Gramsci sostiene che, tanto i ragazzi
quanto gli adulti, non devono mai leggere un’opera con amore:
i classici si devono leggere con un certo distacco, vale a dire
per i loro valori estetici; amarli significherebbe invece sposar-
ne l’ideologia.
Sostiene inoltre che si debba amare il “proprio” poeta,
mentre si potrà esprimere ammirazione per l’artista in genera-

6
Ibidem.
7
Ibidem.
Antonio Gramsci: epistemologo e maestro attraverso le Lettere 65

le. Tuttavia è importante che il ragazzo “ami” opere dal conte-


nuto fantastico e nello stesso tempo abbia la facoltà di fanta-
sticare anche per proprio conto.
Parlando di discipline di studio, affronta anche il tema del
dialetto e il suo rapporto con la Lingua Italiana; in una lettera
destinata alla sorella Teresina8, riferendosi all’educazione dei
suoi nipoti ed in particolare alla nipotina Edmea, sostiene che
è stato un grande errore averle impedito, sin da quando era
bambina, di esprimersi liberamente in dialetto sardo, perché,
Egli argomenta, il sardo, benché non corredato da una lettera-
tura, non è un dialetto, ma una lingua a sé; impedire, dunque,
ai bambini di esprimersi nel proprio dialetto, significa morti-
ficare la loro fantasia e nuocere al loro sviluppo intellettuale.
Auspica che i bambini imparino più Lingue e raccomanda
Teresina di lasciare che i suoi figli “succhino tutto il sardismo
che vogliono” e possano svilupparsi e crescere spontaneamen-
te nell’ambiente in cui sono nati perché da esso deriverebbero
sicuramente esperienze utili e significative per il loro futuro.
E, sempre a sostegno dell’apprendimento delle lingue stra-
niere, appare pertinente e positivo il riferimento al figlio De-
lio: questi aveva iniziato a parlare la lingua della madre sin da
piccolo, come era naturale e necessario, ma rapidamente ave-
va imparato anche la lingua italiana, sapeva cantare delle can-
zoncine in francese, senza confondere le parole dell’una e
dell’altra lingua.

8
Lettera 26 marzo 1927.
66 P ARTE II – Educazione ed istruzione

Rammenta inoltre di non aver potuto insegnare a Delio una


canzonetta in dialetto sardo, “lassa sa figu, puzone”9 traducibi-
le in “lascia il fico, o uccello”, perché i suoi familiari, ed in
particolar modo le zie, si erano opposte in modo energico per
l’ambiguità a cui la frase avrebbe potuto dare adito…
Ma il grande narratore non cessa di raccontare le esperien-
ze legate alla sua infanzia: storielle vere alle quali aggiunge al-
tre inventate, tante altre fino a formare un libro.
E leggerle, o raccontarle, significa guardare con occhi di-
versi il meraviglioso mondo della natura: dal cinguettio degli
uccelli, al mormorio delle acque di un ruscello, ai colori e al
profumo dei fiori, ai suoni, alle risate dei bimbi, allo sparo di
un fucile. Sono racconti che aiutano l’infanzia a capire il me-
raviglioso e fantastico mondo della natura, dove anche i fiori
sembrano esseri umani ed i sassi del fiume avere un’anima.
Tra le altre materie di studio, Gramsci affronta l’insegna-
mento della Storia, sostenendo che bisogna studiare la Storia
reale, quella che si basa su documenti precisi e concreti.
Avendo Delio chiesto delle spiegazioni su una pagina di
Storia e “che cosa sarebbe accaduto se…”, Gramsci gli rispon-
de che non bisogna fantasticare su ipotesi scientifiche, poiché
risulta già estremamente difficile studiare la storia realmente
accaduta in quanto di gran parte di essa si è perduto ogni do-
cumento.

9
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1965.
Antonio Gramsci: epistemologo e maestro attraverso le Lettere 67

Esprime un certo ottimismo quando scrive:

Io penso che la Storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la


tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda
gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del
mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano, e lot-
tano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra
cosa10.

Per l’educatore la Storia deve essere una sociologia indiret-


ta, vale a dire uno studio della società che metta a nudo il pro-
cesso del suo divenire e i modi della sua organizzazione11.
Finalità, dunque, dell’insegnamento della Storia è far sì che
i ragazzi apprezzino i valori della vita sociale per visualizzare
non soltanto le forze che favoriscono e rendono possibile una
reale cooperazione tra gli uomini, ma anche i tratti essenziali
che la ostacolano.
È importante, sostiene ancora Dewey, concepire la Storia
“come dinamica e in movimento”, perché così facendo se ne
accentua l’aspetto economico e produttivo.
La storia della produzione umana non è riconducibile ad
un discorso materialistico ed esclusivamente utilitario, testi-
monia il lungo processo attraverso il quale l’uomo imparò a
pensare, a prevedere le conseguenze e a trasformare il suo
modus vivendi radicalmente.

10
Lettera a Delio XXXVI.
11
J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze.
68 P ARTE II – Educazione ed istruzione

Ma la Storia è anche, dal punto di vista morale, il risultato


delle situazioni “create dagli uomini per raggiungere i propri
fini”.
Senza dubbio il modo migliore per avvicinare il ragazzo al
materiale storico è l’opportunità di conoscere come vivono e
come vissero gli esseri umani, gli strumenti che maneggiaro-
no, le nuove invenzioni di cui l’uomo fu artefice, gli stessi mu-
tamenti di vita che furono il risultato della potenza e del be-
nessere raggiunti.
Tutto questo accende e stimola nei ragazzi il desiderio di
ripetere analoghi processi, ricostruire gli utensili, riprodurre i
procedimenti e maneggiare nuovamente i rudimentali mate-
riali di un tempo.
Attraverso questi percorsi il ragazzo acquista coscienza dei
problemi e dei processi, ma nello stesso tempo si rende conto
degli aiuti e degli ostacoli che la Natura offre all’uomo: i mon-
ti, gli oceani, i campi, le foreste, le piante e gli animali diven-
tano elementi di studio di grande interesse per l’ uomo e viene
a determinarsi, nei processi di apprendimento, quella sinergia
necessaria tra la conoscenza della Natura e lo studio della
Storia.
In ciò, sostiene Dewey, consiste la naturale “correlazione”
tra Storia e Scienza.
Una visione, dunque, dinamica e in movimento della Storia
in grado di accentuarne l’aspetto economico e produttivo, ol-
tre che culturale, sì da essere mezzo e strumento per l’arricchi-
mento della vita umana.
Pari opportunità e diritto allo studio
in una società del cambiamento

La scuola occupa un posto importante nei pensieri di


Gramsci, sia perché la crisi che la travaglia non è riconducibi-
le a difficoltà di ordine tecnico–politico, sia perché essa non
riesce ad uniformarsi a quel processo di trasformazione de-
mocratica che investe la società.
Ciò che Egli ravvisa è la mancanza di una progettualità pe-
dagogica ed istituzionale che dia delle indicazioni concrete e
capaci di soddisfare le esigenze delle classi popolari del Paese.
È necessario prima di tutto combattere l’analfabetismo, che
non significa “obbligatorietà dell’istruzione” bensì “desiderio”
di frequentare la scuola, “bisogno di sapere”, necessità di usci-
re dal proprio ambiente per arricchirsi interiormente e mi-
gliorarsi fino ad approdare a un mondo più vasto che è patri-
monio di tutti gli esseri umani, e di quel mondo condividere
delusioni e speranze.
Questo ideale appare difficilmente raggiungibile dal mo-
mento che la scuola e la cultura sono “privilegio di pochi”, di
quei pochi che godono di una certa agiatezza economica.

69
70 P ARTE II – Educazione ed istruzione

Gramsci giudica anacronistica questa situazione e vorrebbe


che a tutti i giovani fossero date “pari opportunità” per poter
raggiungere quei gradi di istruzione commisurati alle possibi-
lità intellettive, alla perseveranza e alle capacità di ciascuno.
L’ipotesi avanzata da Gramsci è quella di una scuola uguale
per tutti, che tenga conto di particolari situazioni sociali e crei
per tutti una rete di istituzioni parascolastiche capaci di inte-
grare le carenze ambientali e culturali (fa riferimento ai ra-
gazzi che non vivono in famiglie intellettualmente elevate o
che non vivono in città).
Egli auspica una scuola unica di base di cultura umanistica
e formativa, che contemperi allo stesso tempo lo sviluppo e
l’acquisizione di competenze da spendere nel mondo del lavo-
ro. Da questo tipo di scuola unica, attraverso ripetute espe-
rienze di orientamento professionale, si passerà ad una scuola
specializzata o ad un lavoro produttivo.
Nello specifico ipotizza una scuola unitaria, di formazione
umanistica di cultura generale, con la finalità di guidare i gio-
vani, dopo che abbiano raggiunto maturità e competenze, ver-
so attività sociali e lavorative.
Tale scuola dovrebbe corrispondere al periodo rappresenta-
to oggi dalla scuola dell’obbligo — elementare e media —, che
andrebbe tuttavia riorganizzata sia per i contenuti che per le
metodologie di insegnamento.
Una scuola “unitaria obbligatoria” rappresenta per Gramsci
una condizione essenziale e necessaria per realizzare una vera
democrazia politica.
Pari opportunità e diritto allo studio 71

La scuola professionale di una volta non fa che mantenere


le distinzioni di classe e, quindi, per ogni gruppo sociale un
tipo di scuola; al contrario,

se si vuole strappare questa trama, occorre, dunque, non moltipli-


care e graduare tipi di scuola professionale, ma creare un tipo uni-
co di scuola preparatoria/elementare–media, che conduca il ragaz-
zo alla soglia della scelta professionale, formandolo nel contempo
come persona capace di studiare, di dirigere e di controllare chi di-
rige1.

È evidente che la “scuola unica”, nel suo significato più pro-


fondo, secondo il nostro pensatore, è strumento essenziale per
la formazione della nuova generazione; per questa ragione lo
Stato deve organizzarla in modo da superare ogni divisione di
classe sociale e di ceto e, in quanto frequentata da tutti, rende-
re possibile il reclutamento di coloro che, per impegno e ca-
pacità, sono destinati a formare il gruppo degli “intellettuali” e
dei “dirigenti”.
L’aspetto formativo–umanistico che deve caratterizzare
l’inizio di una scuola uguale per tutti, deve rappresentare il
motivo di fondo anche della scuola professionale, la quale non
può e non deve limitarsi all’ambito informativo e pratico–
manuale, considerando che la formazione dell’uomo passa an-
che attraverso la cultura professionale.

1
A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi, To-
rino 1948.
72 P ARTE II – Educazione ed istruzione

Scuola umanistica e scuola professionale distinte ma non


contrapposte: una scuola che consenta al bambino prima, e
all’adolescente poi, di crescere, di farsi uomo, di acquisire
quei criteri generali che concorrono alla formazione integrale
della personalità e del carattere.
È pur vero che il mondo del lavoro richiede specifiche
competenze, ma sarebbe riduttivo per l’individuo limitare
all’ambito professionale la sua preparazione che deve, invece,
collocarsi nel quadro di una ideale formazione umanistica,
nella quale istruzione generale e formazione umana vengono a
sintetizzarsi nell’uomo adatto al proprio tempo.
È innegabile l’importanza che Gramsci attribuisce alla cul-
tura umanistica nella formazione dell’uomo, ma si tratta di un
umanesimo lontano da quello erudito e letterario di stampo
tradizionalista.
Il Suo è un umanesimo storico, innovativo, che affonda le
sue radici nell’uomo, nei suoi limiti, nella sua attività: un uo-
mo che da soggetto passivo diventi via via protagonista e arte-
fice della Storia.
Ciò non significa rifiuto aprioristico delle esperienze acqui-
site, ma ripresa, rivalorizzazione e ritrasposizione di esse nel
mondo di oggi, perché nella tradizione che una millenaria e-
laborazione di pensiero ci ha tramandato, ci sono dei “valori”
che non debbono essere misconosciuti né dimenticati.
Egli vede l’ideale dell’uomo moderno in Leonardo da Vinci,
come si evince dalla lettera alla moglie Julka del 1 agosto
1932:
Pari opportunità e diritto allo studio 73

L’uomo moderno dovrebbe essere una sintesi di quelli che vengono


ipostatizzati come caratteri nazionali: l’ingegnere americano, il filo-
sofo tedesco, il politico francese, ricreando, per dire così, l’uomo
italiano del Rinascimento, il tipo moderno di Leonardo da Vinci,
divenuto uomo–massa, o uomo collettivo pur mantenendo la sua
forte personalità e originalità individuale2.

In sintesi, nel concetto di umanesimo sono contemperati i


valori dell’uomo con le esigenze della moderna industrializ-
zazione, al fine di infrangere quell’aspetto unilaterale della
cultura tradizionale, appannaggio di pochi privilegiati separati
dal popolo–nazione, perché diventi patrimonio di tutti.
Se pure Gramsci avverte la necessità di una trasformazione
della struttura scolastica, da vecchia scuola umanistica a scuo-
la meglio rispondente ai mutamenti socio–culturali, la sua in-
tuizione non può andare oltre perché le sue particolari condi-
zioni di detenuto politico non gli consentono di avere una vi-
sione chiara e sistematica della struttura della Scuola nuova.
La lettera si conclude con un riferimento al Metodo Dalton,
ideato da Elena Parkhurst e diffusosi soprattutto in Inghilter-
ra, che suddivide la scuola in laboratori (ceramica, intaglio, fa-
legnamerie …), dove ogni alunno può lavorare liberamente,
seguendo le proprie inclinazioni.
Gramsci, a differenza di Giulia, non crede nelle inclinazioni
generiche e precoci di Delio e Giuliano perché, a suo avviso,

2
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1965.
74 P ARTE II – Educazione ed istruzione

in ciascun bambino, compresi i figli, coesistono tutte le ten-


denze sia verso la teoria e la fantasia, sia verso l’attività
pratica.
Da tale teorizzazione, la necessità di una formazione armo-
nica di tutte le facoltà intellettuali e pratiche che diventeranno
specialistiche solo quando la personalità del bambino risulte-
rà integrale e totalitaria.
Leggi, riforme e organizzazione scolastica:
il punto di vista del nostro pensatore

Nel momento in cui esponenti della cultura tradizionale


cercano di risolvere in modo positivo la profonda crisi che
travaglia la scuola italiana, attuando la “Riforma Gentile”,
Gramsci tenta una seria analisi della situazione scolastica e ri-
volge la sua critica alla stessa “riforma”, la quale avrebbe ac-
centuato la frattura tra la scuola e la vita, facendo registrare
una certa regressione rispetto alla stessa Legge Casati.
Legge che, a parer suo, ha comunque una sua efficacia for-
mativa da ricercarsi nel suo essere espressione di una tradi-
zione morale ed intellettuale diffusa nella società italiana. I-
noltre, anche se discutibile per alcuni aspetti, tale legge non
manca certo di “democraticità”, dal momento che — in quan-
to scuola di cultura generale — consente l’accesso agli studi
scientifici superiori; e la stessa scuola tecnica risponde a crite-
ri di modernità per i suoi riferimenti all’economia moderna
ed alle esigenze dello sviluppo industriale italiano.
Con la Riforma Gentile la scuola tecnica diventa scuola
specialistica e di secondaria importanza, con il risultato di ac-

75
76 P ARTE II – Educazione ed istruzione

centuare la frattura esistente tra i vari tipi di scuola ed in par-


ticolar modo tra le scuole primarie e secondarie.
La Pedagogia idealista rimarca la distinzione tra educazio-
ne ed istruzione in modo esagerato, distinzione ritenuta da
Gramsci “assurda ed impossibile”, perché considera chi ap-
prende un essere passivo, un “recipiente meccanico” di nozio-
ni astratte.
Riforma che Egli giudica “antistorica ed astratta”, perché
presenta un nuovo schema culturale–scolastico che ignora
quei fenomeni di trasformazione e di produzione presenti nel-
la società e, inoltre, non tiene conto dei legami nuovi e diversi
che intercorrono tra la vita e la Scienza proprio nel momento
in cui si avverte una massiccia partecipazione dei cittadini alla
vita sociale.
Discutibile anche la figura del maestro “filosofo ed esteta”
che talvolta trascura le “conoscenze concrete” e privilegia
formule e parole che per l’alunno sono prive di significato e
destinate a cadere nel vuoto.
«La lotta contro la vecchia scuola», osserva ancora Gramsci,
«era giusta, ma la Riforma non era così semplice come pareva,
non si trattava di schemi programmatici, ma di uomini e no
degli uomini che immediatamente sono maestri, ma di tutto il
complesso sociale di cui gli uomini sono espressione»1.
La Riforma del 1923 appare, dunque, astratta in quanto:
«non affonda le sue radici nell’humus sociale circostante, la

1
A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi, To-
rino 1948.
Leggi, riforme e organizzazione scolastica 77

scuola gira a vuoto e l’allievo sarà portato ad ordinare un ba-


gaglio di nozioni pressoché inesistenti»2.
Sostanzialmente condivide l’idea che la scuola fornisca an-
che un bagaglio di nozioni, dal momento che per cultura si in-
tende anche saper ordinare un certo contenuto, e ciò non può
esser fatto con il “nulla”.
Secondo il suo pensiero, aver voluto eliminare il dogmati-
smo dalla scuola primaria e secondaria di primo grado è stato
un errore, poiché nell’ambito dell’apprendimento e dell’istru-
zione non si può prescindere da esso: ci sono “nozioni” fon-
damentali che vanno acquisite e interiorizzate attraverso lo
studio, l’esercizio, l’approfondimento… giacché non sono né
innate, né già conosciute.
Egli esprime il suo dissenso e lo legittima, sostenendo che
la democraticità di una scuola non si manifesta nel fatto che
un manovale possa diventare operaio specializzato, ma nella
possibilità che la società ponga, sia pure in astratto, ogni citta-
dino nella condizione generale di poter diventare un “gover-
nante”.
Purtroppo ciò non sussiste neppure al livello ipotetico, per-
ché quella scuola che si propone come scuola per il popolo si
organizza sempre più in modo da relegare la base del ceto go-
vernante ad un ambito socio–politico che accentua, nella vita
reale, quella divisione di ordini giuridicamente già fissati e
cristallizzati.

2
Ibidem.
78 P ARTE II – Educazione ed istruzione

Ma non è forse vero che una scuola che si voglia caratteriz-


zare per la sua “democraticità” deve essere rivolta a tutti? De-
ve tendere ad obiettivi principalmente formativi e farsi garan-
te dell’istruzione? E deve altresì contribuire concretamente al-
la crescita dell’individuo e contemporaneamente fornirgli
quella preparazione tecnica e specifica perché possa diventare
anche un buon “governante”?
Sono queste, a parer mio, le riflessioni sulle quali dobbia-
mo dirigere la nostra attenzione.
Spontaneità, creatività, disciplina:
fattori essenziali del processo educativo

Si immagina quasi che nel bambino il cervello sia come un gomito-


lo che il maestro aiuta a sgomitolare. […] Non si tiene conto che il
bambino, da quando incomincia a “vedere” e a “toccare”, forse da
pochi giorni dopo la nascita, accumula sensazioni ed immagini che
si moltiplicano e diventano complesse con l’apprendimento del
linguaggio1.

Gramsci, pur riconoscendo che spontaneità e creatività esi-


stono nel bambino, non ne accetta l’assolutezza, né le conside-
ra naturale evoluzione: sono un punto di arrivo più che un
punto di partenza.
Egli sostiene e vede la spontaneità come fantasia, come ca-
pacità di essere originali, come manifestazione della persona-
lità del bambino. Ma per raggiungere questo traguardo è ne-
cessario guidarlo lungo il delicato percorso formativo che lo
porterà ad “essere uomo”, non attraverso interventi coercitivi,

1
A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi, To-
rino 1948.

79
80 P ARTE II – Educazione ed istruzione

ma perseguendo modalità che gli consentano di acquisire una


più vasta conoscenza di ciò che l’ambiente esterno gli propo-
ne, affinché interagisca con esso fino ad appropriarsene.
In tal modo la partecipazione si carica di significato, in
quanto si fa mezzo e premessa per la creatività: e la scuola da
“attiva” diviene “creativa”, che non vuol dire necessariamente
scuola di inventori o scopritori: essa indica una fase e un me-
todo di ricerca e di conoscenza e non un pregresso predeter-
minato con l’obbligo della originalità e della innovazione a
tutti i costi.
“L’attivismo” per Gramsci non è fine a se stesso, né è un “fa-
re disordinato”: è l’attività dello scolaro diretta e guidata dal
docente, al quale spetta un ruolo insostituibile nella forma-
zione, dal momento che l’autonomia è una capacità che si
conquista attraverso un processo di crescita graduale e perma-
nente. L’educazione equivale all’acquisizione di una disciplina
intellettuale e morale, raggiungibile attraverso lo sforzo, per-
ché solo “la conoscenza” che è stata conquistata con lo “sfor-
zo” è veramente significativa e proficua.
Non si tratta, come taluni hanno voluto intendere, di una
posizione contro l’Attivismo, ma contro le sue storture, contro
l’attivismo del neoidealismo che considerava l’attività del
bambino in modo astratto.
Il “come fare scuola” o “come insegnare” investe tutto il
processo educativo e il rapporto tra la vita e la scuola, e trova
le sue ragioni solo se sa rendere i bambini capaci di guardare
alla vita in modo critico ed autonomo, in modo nuovo!
Spontaneità, creatività, disciplina 81

A questo punto si pone la necessità di definire la metodolo-


gia per raggiungere gli obiettivi formulati in sede di pro-
grammazione.
Gramsci affronta il problema metodologico, sostenendo la
necessità di una disciplina che porti all’apprendimento di abiti
comportamentali interiori e a nuove conoscenze, naturalmen-
te tutto ciò comporta sforzo intellettuale e anche fatica fisica
nel bambino:

Il fanciullo che si arrabatta con barbare e baralipton — egli scrive


— si affatica, certo, e bisogna cercare che egli debba fare la fatica
indispensabile e non più, ma è certo che dovrà sempre faticare per
imparare a costringere se stesso a privazioni e limitazioni di movi-
mento fisico, cioè a sottostare ad un tirocinio psicofisico. Occorre
persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere faticoso,
con uno speciale tirocinio oltre che intellettuale, anche muscolare–
nervoso. […] Molti pensano che le difficoltà siano artificiose, per-
ché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro ma-
nuale2.

È fondamentale, secondo la sua visione pedagogica, che fra


necessari schemi educativi, astrazioni dogmatiche (es. regole
della grammatica, della logica) e il bambino nella sua interez-
za vi sia un rapporto attivo e creativo, come attivo e creativo è
il rapporto tra l’operaio ed i suoi utensili di lavoro:

2
Ibidem.
82 P ARTE II – Educazione ed istruzione

Un calibro è un insieme di astrazioni anche esso, eppure non si


producono oggetti reali senza la calibratura, oggetti reali che sono
rapporti sociali e contengono implicite delle idee 3.

È importante educare il pensiero anche attraverso la vec-


chia logica formale — depurata della tradizione che caratte-
rizza la vecchia classe degli intellettuali — per creare una cul-
tura nuova su nuovi fondamenti sociali.
Se i ragazzi appartenenti a famiglie colte imparano la lingua
colta anche senza particolari esercizi è, sostiene Gramsci, per-
ché questi ragazzi si trovano inseriti in un blocco intellettuale
tradizionale, per cui assimilano l’elemento di tirocinio della
logica quasi naturalmente, insieme ai contenuti culturali.
Dove l’ambiente è carente o privo di stimoli il problema di-
venta più complesso e va risolto attraverso le esercitazioni di
logica formale e gli studi umanistici, come la Storia, la Lette-
ratura, la Filosofia, che rivestono una valenza formativa supe-
riore rispetto agli studi scientifici.
Ogni processo storico è determinato, nella sua evoluzione,
da meccanismi e leggi che vanno attentamente analizzati e
compresi per poter cogliere l’identità oltre quelle diversità
che, talvolta, sono solo delle parvenze o delle apparenze.

3
Ibidem.
Spontaneità, creatività, disciplina 83

Nell’ambito più strettamente educazionale fare ciò equivale


ad aiutare le giovani menti ad acquisire una coscienza cultura-
le che faciliti loro il passaggio da un pensare regionale ad un
pensare nazionale ed europeo.
Formare i giovani significa partire dalle loro “radici”, dal
loro bagaglio esperenziale e culturale, lasciando ampio spazio
alla loro creatività (ciò viene espresso nella Lettera del 26
marzo 1927 alla sorella Teresina, in riferimento all’educa-
zione sarda dei suoi nipoti).
Il “sardo” non è un dialetto, egli afferma, ma una Lingua a
sé, ed è bene dunque che i bambini colgano questa distinzio-
ne; nello stesso tempo consiglia che essi apprendano e parlino
sia il dialetto che l’italiano, in modo da conservare la ricchez-
za culturale dello spirito sardo, senza essere costretti a comu-
nicare solo nel proprio ambiente.
Gramsci, a sostegno della valenza formativa della Logica
formale, fa notare che non può essere sostituita dalla Matema-
tica, giacché essa si basa essenzialmente sulla serie numerica,
cioè su un’infinita serie di uguaglianze (1 = 1) che possono es-
sere combinate in modo infinito.
A suo avviso anche la “mentalità scientifica”, come fenome-
no di cultura popolare, risulta debole e tale debolezza è ri-
scontrabile fra gli stessi scienziati che posseggono, sì, una
“mentalità scientifica”, ma di natura tecnica e riferibile esclu-
sivamente al loro ambito scientifico.
Lo scienziato comprende il suo particolare metodo astratti-
vo ma non quello delle altre Scienze. Invece è necessario sa-
84 P ARTE II – Educazione ed istruzione

pere che esistono vari tipi di astrazione e che è scientifica


quella mentalità che riesce ad abbracciare ed a giustificare di-
versi tipi di astrazione.
Anche il problema del metodo, dunque, non può essere vi-
sto in termini astratti, bensì deve rapportarsi a colui che ap-
prende, ai contenuti educativi, al tipo di scuola e al contesto
entro il quale l’intero processo si articola e si realizza.
PARTE TERZA

Antonio Gramsci: teorico della traduzione

85
Gramsci traduttore

Due culture nazionali espressioni di due


civiltà fondamentalmente simili […] sono
traducibili reciprocamente, riducibili l’una
all’altra. Questa traducibilità non è “per-
fetta” certamente […] ma lo è nel fondo.

A. Gramsci

Antonio Gramsci si colloca nel quadro storico della Lette-


ratura per l’infanzia per aver tradotto, dal 1929 al 1931,
dall’intero Corpus dei fratelli Grimm, ventiquattro fiabe e per
aver scritto dal carcere numerose Lettere ai familiari nelle
quali trovano spazio favole, racconti, apologhi di grande valore
pedagogico e culturale.
L’intento primario era di riprendere a far pratica di tradu-
zione dal tedesco, lingua al cui studio si era dedicato durante
la giovinezza.
Inoltre, Egli desiderava inviare tale manoscritto ai figli del-
la sorella Teresina. In una lettera a lei indirizzata, in data 18
gennaio 1932 così scriveva:

87
88 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

Carissima Teresina. […].


Ringrazio tutti i tuoi bambini e non so proprio immaginare che co-
sa fare per dimostrare il mio affetto per loro. […]. Forse farò così.
Ho tradotto dal tedesco, per esercizio, una serie di novelline popo-
lari proprio come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo
bambini e che anzi in parte rassomigliano loro, perché l’origine è la
stessa. Sono un po’ all’antica, alla paesana, ma la vita moderna, con
la radio, l’aeroplano, il cine parlato, Carnera ecc. non è ancora pe-
netrata abbastanza a Ghilarza benché il gusto dei bambini d’ora sia
molto diverso dal nostro d’allora. Vedrò […] di spedirtele […],
come un mio contributo allo sviluppo della fantasia dei piccoli.
Forse il lettore dovrà metterci un pizzico di ironia e compatimento
nel presentarle agli ascoltatori1

In un passo dei Quaderni, commentando positivamente il


lavoro della pedagogista Formaggini–Santamaria, che insiste-
va ripetutamente sull’importanza pedagogica delle Favole e
novelle tipo Fratelli Grimm, Gramsci sottolinea che una auten-
tica Letteratura nazionale–popolare, intesa anche come stru-
mento di guida e di educazione delle masse, deve necessaria-
mente corrispondere nei contenuti agli “interessi mentali del
popolo”2, ove per “popolo”, in tal caso, si intende naturalmen-
te la figura del fanciullo.
Considerando che Gramsci aveva già acquisito, sia pure
parzialmente, una chiara visione delle dinamiche dello svi-
luppo psichico del bambino3, la corrispondenza diretta alla

1
A. Gramsci, Lettere, ed. cit.
2
A. Gramsci, Quaderni, ed. cit.
3
In una lettera al fratello Carlo, datata 25 agosto 1930, discutendo sugli
Gramsci traduttore 89

sorella mette in evidenza quanto l’intellettuale sardo abbia


colto dello spirito universale delle fiabe.
Pur preoccupandosi dell’avvento della radio, di Carnera,
etc., le caratteristiche meta–temporali e meta–spaziali della
fiaba fanno sì che essa sia in grado di suscitare interesse in o-
gni fanciullo, indipendentemente che si tratti di un giovane
tedesco, del giovane Gramsci (nella lettera dichiara la comune
origine popolare tra le fiabe e le favole sarde) o dei suoi gio-
vani nipoti.
La fiaba può così erigersi da una parte, purché venga pre-
sentata «con un pizzico di ironia e compatimento…», a veico-
lo universale di precetti educativi e morali, dall’altra divenire
quel «contributo allo sviluppo della fantasia dei fanciulli» da
lui auspicato e condiviso da esperti e studiosi dell’infanzia.
Purtroppo, quando Gramsci venne a conoscenza del divieto
di spedire manoscritti al di fuori del carcere, decise di so-
spendere questa opera.
Le fiabe, tradotte in italiano, rimasero così rinchiuse nei
Quaderni, in mezzo ai vari appunti di Sociologia, Storia della
Cultura ed Economia.
Il totale delle fiabe tradotte da Gramsci è di ventiquattro,
più precisamente ventitré complete ed una interrotta a poche
righe dal termine. Certamente aver sospeso anzitempo il lavo-
ro di traduzione e poter disporre solamente di una edizione
economica e non interamente completa della raccolta dei

atteggiamenti educativi da adottare con la nipote Mea, egli pone alcune inte-
ressanti osservazioni sull’iter formativo dei fanciulli.
90 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

Grimm (stampata dall’editore tedesco Reclam4) condizionaro-


no Gramsci nella scelta delle fiabe da tradurre. Non è possibi-
le, inoltre, sapere se Egli avesse deciso di tradurre, o meno,
l’intera raccolta. Alcuni dati fondamentali ci fanno però sup-
porre che egli abbia volutamente preferito una personale sele-
zione delle fiabe da riportare in lingua italiana.
Innanzitutto l’ordine con le quali sono state trascritte le
bozze delle fiabe nei Quaderni non corrisponde a quello
dell’edizione della Reclam; inoltre, l’inizio della trascrizione
in bella copia della fiaba Rumpelstilzchen, presenta numerosi
miglioramenti stilistici, segno che egli aveva deciso di sotto-
porre ad un minimo di revisione gli originali scritti in brutta.
Rumpelstilzchen, infine, è la prima (ed anche unica) fiaba
trascritta in bella copia sul manoscritto che Gramsci avrebbe
voluto inviare ai propri nipoti.
La comparazione tra le traduzioni gramsciane e le versioni
originali in lingua tedesca delle Fiabe dei Grimm apre
un’interessante prospettiva ermeneutica, mostrando come per
Gramsci l’operazione di traduzione non ha significato sempli-
cemente un esercizio di perfezionamento linguistico, ma an-
che la conoscenza e l’interpretazione personale di un impor-
tante patrimonio della cultura germanica, mediato dai dati
della realtà storica sarda ed italiana.
Questa analisi, se da un lato evidenzia quanto grande e fon-
damentale fosse l’interesse di Gramsci per i problemi lingui-

4
La raccolta si intitola Brüder Grimm, Fünfzig Kinder und Hausmärchen,
Verlag von Ph. Reclam Jun., Leipzig s.d.
Gramsci traduttore 91

stici, dall’altro mostra quanto questo “esercizio” di traduzione


sia stato condotto “organicamente” ed in perfetta simbiosi con
i propri ideali politici e pedagogici.
Un traduttore qualificato dovrebbe essere in grado non solo
di tradurre letteralmente, ma di tradurre i termini, anche con-
cettuali, di una determinata cultura nazionale nei termini di
un’altra cultura nazionale, cioè un tale traduttore dovrebbe
conoscere criticamente due civiltà ed essere in grado di far
conoscere l’una all’altra, servendosi del linguaggio storicamen-
te determinato di quella civiltà alla quale fornisce il materiale
d’informazione.

Due culture nazionali, espressioni di due civiltà fondamentalmente


simili […] sono traducibili reciprocamente, riducibili l’una all’altra.
Questa traducibilità non è “perfetta” certamente […] ma lo è nel
fondo 5.

Due strutture fondamentalmente simili hanno superstrutture “e-


quivalenti” e reciprocamente traducibili, qualunque sia il linguag-
gio particolare nazionale.

Queste citazioni tratte dai Quaderni e dalle Lettere esplici-


tano con sufficiente chiarezza i criteri da impiegare e le fina-
lità da perseguire nelle operazioni di traduzione linguistica.
Prendiamo, ad esempio, la fiaba Rumpelstilzchen: rispetto
all’originale tedesco, essa subisce due adattamenti linguistici

5
A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino 1975.
92 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

al fine di creare delle assonanze con la lingua sarda e rendere


il testo più familiare ai nipotini sardi; per tale ragione i nomi
del folletto suggeriti dal messo reale Rippenbiest, Hammel-
swade e Schnürbein, vengono rispettivamente tradotti con
Catarrino, Saltamontone e Trombatore; poco più avanti «um
die Waldecke kam, wo Fuchs und Has sich gute Nacht sa-
gen…» viene tradotto con il fantasioso «nel paese di Pastinac-
ca, dove la Volpe augura la buona notte alle galline»6: Gram-
sci, tramite l’invenzione del nome dal sapore fortemente ru-
rale “Pastinacca” e tramite la sostituzione di Has (in tedesco
Lepre) con le più domestiche galline, rimpiazza l’atmosfera
dei nebbiosi boschi dell’Assia con un’immagine paesana e
familiare mediterranea, facilmente recepibile dai destinatari
delle sue traduzioni.
Un altro esempio di adattamento del testo germanico al
“linguaggio storico italiano” lo troviamo nei Dodici fratelli;
nello scritto originale, si parla di una rot flagg (in italiano
“bandiera rossa”) che la principessina innalzerà in segno di
pericolo; ebbene Gramsci sostituisce il colore rosso con il ne-
ro che, oltre a rendere meglio l’idea di morte, lascia trasparire
una evidente allusione alla situazione politica nazionale.

6
La prof.ssa Lucia Borghese, docente di Filologia germanica presso
l’Università di Firenze, suggerisce di considerare Pastinarca come connubio
di “Arca” e “Pastinare” (dal lat. pastinare = rivoltare, divellere la terra; con
continuatori popolari in quasi tutti i dialetti meridionali, inclusa la lingua
sarda) (L. Borghese, Tia Alene in bicicletta, in «Belfagor», 64, 1981).
Gramsci traduttore 93

Oltre agli adattamenti di natura “ambientale” e “politica”, la


revisione più evidente alla quale Gramsci sottopone i Märchen
grimmiani è sicuramente quella sui contenuti religiosi.
Ogni riferimento o invocazione alla divinità, alla trascen-
denza ed al provvidenzialismo, anche se indiretto, viene gra-
datamente epurato dalla versione italiana e, se non del tutto
eluso, semplicemente sostituito con espressioni che si richia-
mano alla sfera della natura, definibili in termini di ratio.
Il processo di “laicizzazione” delle novelline è graduale, i-
nizia in maniera quasi sperimentale per poi divenire sistema-
tico e minuzioso dalla quindicesima fiaba in poi (Fratellino e
sorellina). Se in Mignolino (sesta fiaba in ordine di traduzione)
troviamo espressioni come Ach Gott! (In italiano O Dio!) rese
con un “pagano” Per Bacco! o con un quasi dissacratorio Per
Dio! ed omissioni di raccomandazioni alla provvidenza (un
befahl sich Gott non tradotto in italiano), accanto ad una gran
parte di espressioni religiose ancora assolutamente inviolate,
nelle ultime otto fiabe tutte le invocazioni a Dio ed alla Cele-
ste Pietà vengono integralmente soppresse o semplicemente
tradotte con Ahimé o Per carità!
Persino alcuni passi, nei quali l’atteggiamento dei Grimm
sembra avvallare la presenza di una volontà metastorica che
determina i destini dei personaggi, vengono epurati dal testo
in modo da restituire la giusta dignità all’azione ed alla volon-
tà umana7.

7
Sempre nel saggio Tia Alene in bicicletta, pp. 655 ss., ed. cit., troviamo
94 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

La rivisitazione delle fiabe operata nel processo di tradu-


zione appare perfettamente in linea con la pedagogia gram-
sciana. Epurando la fiaba dai suoi riferimenti religiosi, senza
tuttavia tradirne lo spirito ludico ed i propositi educativi,
Gramsci offre ai suoi bambini la possibilità di conoscere a-
spetti della cultura popolare e del “folklore” adatti alle loro
giovani menti ma, al tempo stesso, in grado di orientarli verso
una concezione del mondo priva di elementi superstiziosi o
metafisici, fondata principalmente su una solida visione della
realtà intesa come prodotto della volontà umana.

un elenco esauriente delle omissioni e delle sostituzioni dei concetti religiosi


effettuate da Gramsci traduttore dei Grimm.
Uno sguardo a Jacob e Wilhelm Grimm ∗

Il nome dei fratelli Jacob (1785–1863) e Wilhelm (1786–


1859), dal 1812, anno di edizione del primo volume di Kinder
und Hausmarchen, è apparso legato non tanto alla storia della
cultura tedesca, quanto e soprattutto alla nascita ed allo svi-
luppo della fiaba.
I Grimm, filologi e linguisti autorevoli, nonché studiosi di
folklore, oltre a rappresentare per la Germania dei punti di ri-
ferimento importanti nell’ambito culturale e politico, a livello
europeo hanno fortemente caratterizzato il modo di intendere
la fiaba.
Era il periodo in cui, da una parte alcuni studiosi dell’edu-
cazione «sconsigliavano di raccontare Marchen ai bambini
[…] perché avrebbero potuto far nascere nel loro cuore desi-
deri e bramosie che la vita reale non poteva soddisfare»1,
dall’altra il poeta Novalis sosteneva che


Questo breve capitolo è propedeutico al successivo.
1
D. Richter, Contenuti sociali delle fantasie fiabesche nel corso del muta-
mento storico, in Aa.Vv., Tutto è fiaba. Atti del Convegno Internazionale di stu-
dio sulle fiabe, Emma edizioni, Milano 1980.

95
96 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

la fiaba è quasi il canone della poesia. Ogni cosa poetica deve esse-
re fiabesca. Il poeta adora il caso.
In una buona fiaba tutto deve essere meraviglioso, misterioso o in-
coerente; tutto animato. Sempre in modo diverso […]. Il mondo
delle fiabe è il mondo esattamente opposto al mondo della verità e
appunto perciò le somiglia tanto, quanto il caso somiglia alla crea-
zione perfetta. […]. Il genuino poeta di fiabe è un veggente
dell’avvenire2.

Le Marchen dei fratelli Grimm emergono inizialmente come


sintesi di una ricerca filologica oltre che come voce di un mo-
vimento culturale, il cui primordiale impulso si può ricercare
in quell’analogo fenomeno inglese, la cui massima espressione
— la raccolta di antiche ballate scozzesi ed inglesi, Reliques of
ancient english poetry (1765) di Percy — richiamò l’interesse di
molti filosofi europei sulla poesia popolare.
Prima dei Grimm, riscuotono grande interesse Heder
(1744–1803), con l’importante raccolta di canti popolari di
tutti i Paesi, Stimmen Der Volker in Liedern, ed autori come
Schegel, Schiller, Schwab, che rifiutano la mitologia classica
e la poesia aulica del Settecento per far ritorno alle antiche
rozze fonti medievali ed alla mitologia germanica.
Tra i precursori degli autori di Fiabe meritano, pure, un po-
sto d’onore, come ricercatori di antiche saghe e leggende ger-
maniche, Clemens Brentano (1778–1842) e Ludwig Von Ar-
nim (1781–1831).

2
Novalis, Frammenti, Rizzoli, Milano 1987.
Uno sguardo a Jacob e Wilhelm Grimm 97

Le fiabe dei fratelli Grimm hanno da sempre esercitato un


grande fascino su adulti e bambini, non perché la loro raccolta
fosse condotta con maggiore rigore pedagogico, non per una
più accurata scelta dei contenuti (anzi, non va dimenticato che
tale raccolta, nella mente dei due autori, non era destinata ai
fanciulli), bensì perché Jacob e Wilhelm, desiderando che la
loro opera nell’ambito letterario rappresentasse quel patrimo-
nio popolare del Medioevo germanico, fino allora conservato
attraverso la tradizione orale, procedettero con un metodo che
riuscì particolarmente valido ed efficace nel far ritenere la
raccolta un testo per l’infanzia.
I Grimm, infatti, non utilizzarono altre fonti che non fosse-
ro i ricordi della propria infanzia o di quella degli amici: at-
tinsero alle narrazioni dalla viva voce della gente comune che
loro stessi andavano interrogando, astenendosi dall’introdurvi
motivi moralistici o politici e cercando di conservare il più
possibile inalterata la tradizione popolare nei temi e nei modi.
Proprio alla “gente comune” apparteneva quella Katherina
Wiehmannin, contadina di un villaggio vicino a Kassel, che
rappresentò per i due fratelli, la fonte più importante e prezio-
sa3.

3
Di lei Wilhelm scrisse: «Questa donna, che è ancora vigorosa e che ha
da poco passato la cinquantina, ha un viso energico e piacente, uno sguardo
chiaro e penetrante, ed è probabile che sia stata bella nella sua giovinezza.
Conserva scolpite nella memoria queste vecchie leggende e questo, essa dice,
è un dono che non è concesso a tutti […]. Racconta con sicurezza riflessiva
e con molta vivacità, provando lei stessa piacere alla narrazione, dapprima
svelta e poi, se lo si desidera, ripetendo lentamente, così chiaramente che
con un pò di allenamento si può scrivere sotto la sua dettatura. Più di un pas-
saggio è stato riportato testualmente, in modo tale che non si può fare a meno
98 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

Tuttavia, l’organizzazione del materiale evidenziò sempre


quella sensibilità artistica e letteraria che permise loro di
giungere ad una schematizzazione elementare della fiaba, fino
a conferirle quei caratteri specifici che sono propri della nar-
rativa per l’infanzia.
Il linguaggio, ad esempio, da un’edizione all’altra della rac-
colta, fu via via depurato dalle “espressioni forti” che si teme-
va potessero turbare la sensibilità dei piccoli lettori (della fia-
ba di Biancaneve, ad esempio, si conoscono tre diverse reda-
zioni successive).
E la “schematicità” si tradusse essenzialmente in una perce-
zione adialettica e mitologica del reale, che è tipica della co-
scienza popolare e fanciullesca; in una idealizzazione quasi
eroica del bene e del male, in una semplificazione estrema
della connessione dei fatti legati fra loro attraverso un sempli-
ce procedimento causa–effetto.
Ovviamente si vuole intendere un accostamento tra popolo
e fanciullo e non una loro identificazione.
A tal proposito Olga Visentini, nella introduzione al suo vo-
lume Libri e ragazzi scrive:

la leggenda è del popolo, la fiaba è per il fanciullo: ma l’uno e


l’altro si somigliano fin quasi ad identificarsi; infatti i popoli nelle
loro origini storiche e le creature nella loro infanzia vedono il
mondo con lo stesso sguardo.

meno di rivelarne il tono di verità» (K. Schriften, Saggi minori, vol. I, Guter-
slok, 1881).
Uno sguardo a Jacob e Wilhelm Grimm 99

Forse ripetitivo, ma ugualmente affascinante e misterioso, è


il paesaggio che fa da sfondo a quasi tutte le fiabe: sterminate
foreste, alberi maestosi i cui rami frondosi si intrecciano fino
a sembrare mani tese che si cercano e si allacciano per lascia-
re, a volte, all’improvviso, intravedere «una casina fatta di pa-
ne e coperta di focaccia, dalle finestre di zucchero trasparen-
te…»: si tratta della casina della strega in Hansel e Gretel, o del-
la casetta dei “sette nani” o, ancora, della casa della nonna in
Cappuccetto Rosso.
Accanto a questi caratteri tipicamente nordici del paesag-
gio, che pure conferiscono tanto fascino alla produzione fia-
besca, trova spazio quanto di più genuino e spontaneo si ri-
scontra nel genere popolaresco: il profumo della terra appena
smossa, il calore delle pietre del forno, il sapore di pane casa-
lingo, l’aspro odore della birra in fermento…
La varietà di situazioni, la molteplicità dei personaggi che
popolano il mondo delle fiabe dei Grimm, sono descritte in
modo avvincente dall’etnologo siciliano Giuseppe Cocchiara4:

I protagonisti dei Marchen sembrano vivere in un tempo lontano


che li idealizza. Il loro confine è l’infinito. E su tale sfondo: il cie-
lo, la luna, il mare, le montagne, la foresta insomma. Ma in quella
natura, diremmo, così naturale, ecco la natura stessa dell’uomo. E
ciascun Marchen è un quadro di vita dove gli uni e gli altri sembra-
no vivere in un regno di poesia e di incanto. Gli uomini sono re,

4
G. Cocchiara, Il linguaggio della poesia popolare, Palombo, Palermo 1961.
100 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

orchi, nani, piccola gente adibita a piccoli mestieri, ma chiamata


ad imprese che sbalordiscono.
Lo stesso è delle principesse, delle streghe, di tutte quelle povere
ed amabili creature che si chiamano Cenerentola e Biancaneve.

Gli animali, a loro volta, appartengono a tutte le specie e


parlano e vivono come gli uomini. Con gli stessi pregi e gli
stessi difetti.
Fra gli uomini e gli animali: le piante, il sole, la luna, le
stelle. Ciascuno con la sua voce.
La religione e la magia accompagnano le azioni di tutti quei
protagonisti. E l’una e l’altra, la religione e la magia, nel mo-
mento in cui rendono la natura piena di vita e di animazione,
non solo ci fanno accettare il carattere sovrumano e mi-
racoloso delle azioni cui sono chiamati gli uomini, gli animali
o le piante, ma pare quasi che sciolgano i nodi stessi della re-
altà in un gioco di atmosfere, dove la gioia ed il fervore della
vita si intrecciano con la miseria e col dolore del mondo.
La maggior parte delle fiabe che ancora oggi alcuni adulti
leggono o raccontano ai bambini e che continuano ad eserci-
tare un certo fascino, trae origine dalla raccolta Kinder und
Hausmarcher (Fiabe per bambini e famiglie), che i fratelli
Grimm pubblicarono in tre volumi, tra il 1812 ed il 1822, di
cui il terzo dedicato all’esposizione critica del materiale, delle
fonti, dell’indagine comparata svolta relativamente ai temi
comuni alla tradizione di popoli diversi. Sono esattamente
duecento fiabe e dieci leggende religiose.
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm:
dinamiche emozionali e riferimenti storico–ideologici
alla base della scelta delle fiabe tradotte

Questo capitolo, oltre a spiegare le motivazioni che spingo-


no Gramsci a tradurre le Fiabe dei Fratelli Grimm, cerca, at-
traverso il continuo riferimento alle Lettere, di scoprire le si-
tuazioni e le dinamiche emozionali che hanno determinato la
scelta di alcune di esse1.
Il desiderio di tradurre in scrittura emozioni, sentimenti ed
idee legate a quel mondo che Antonio Gramsci conosce solo
in parte, non lo abbandona neppure nei difficili anni trascorsi
in carcere.
Si può immaginare in quale ardua condizione: condannato
dal regime fascista per le sue idee di comunista, gli viene nega-
ta non solo la libertà, ma anche il necessario per scrivere: die-
tro quelle sbarre anche la carta e la penna, anche un libro…
rappresentano concessioni che non si ottengono facilmente!

1
Nel rivisitare le fiabe tradotte e nel pur modesto tentativo di volerle
interpretare, non si è tenuto conto dell’ordine seguito da Gramsci.

101
102 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

La censura carceraria mette a disposizione del “detenuto”


solo pochi libri e per parenti ed amici diventa talvolta impos-
sibile fargli pervenire qualunque tipo di materiale, fonte di let-
tura, quali riviste, quotidiani, testi importanti…
Le Fiabe dei Grimm, fortunatamente, non sono fra i libri
vietati e Gramsci può averle nel carcere di Milano, dove è de-
tenuto prima di essere processato.
Sono in tedesco, e comincia a tradurle con l’intento di per-
fezionare la conoscenza delle lingue europee, a cominciare
dal tedesco e dal russo, per “farsi la mano”2, cimentandosi con
autori ritenuti esemplari per semplicità e chiarezza.
Le Fiabe lo seguiranno anche nel carcere di Turi, dove co-
mincia a tradurle ed a trascriverle su di un album da disegno,
catalogato come Quad. D (XXXI) del 1932.
Le traduzioni delle ventiquattro Fiabe dei Grimm vengono
presentate secondo l’ordine che Egli stesso aveva scelto, non
seguono né l’ordine dell’antologia originale, né quello di tra-
duzione.
Gramsci, infatti, comincia a trascrivere la fiaba di Rumpel-
stilzchen, che doveva servire da apertura, mentre nell’edizione
Reclam è alle pagine 185–188.
Per comprendere meglio perché abbia scelto proprio que-
ste ventiquattro fiabe e non altre, appare significativo ripensa-
re alla sua lunga storia di solitudine e di libertà, che trova am-
pio respiro in una sua citazione indirizzata al figlio:

2
A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Ei-
naudi, Torino 1965.
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 103

Ogni testo, si sa, nasce da un rapporto e insieme lo produce e lo


riproduce. Solo il contesto può farci capire la totalità: tutto è col-
legato e intessuto strettamente e se un elemento del tutto viene a
mancare o fa difetto, l’intiero si spappola3.

Le “Novelline” dei Grimm, così le chiama, Gramsci le aveva


acquistate da tempo come elementare testo di lingua, ma le
riprende a leggere solo nel maggio del 1927, anno in cui, spin-
to dai ricordi della sua infanzia, compone un poemetto burle-
sco per i nipotini, con protagonisti paesani come la mendican-
te di Mogoro4 che prometteva di arrivare «con due cavalli
bianchi e due cavalli neri» in cerca del tesoro difeso dalla
“mosca maghedda”.
Appare evidente, attraverso la rivisitazione di molti suoi
scritti, quale importanza emotiva ed affettiva rivesta per lui la
scrittura, allorquando si serve di essa per strappare un sorriso
alla madre lontana o, come talvolta accade, per consolare, sia
pure con tono umoristico, la cognata Tania, alla quale pure si
rivolge con tenerezza mista a spirito paternalistico.
Infatti in molte Lettere si coglie, sia pure in modo velato,
quel rapporto dolce e tormentato nello stesso tempo che lega
Gramsci a Tania; sentimento represso per diverse ragioni: da
un lato a causa dei dettami della censura, che impongono che
ogni lettera venga letta dal direttore del carcere, dall’altro per

3
Lettere dal carcere, ed. cit.
4
Lettere dal carcere, ed. cit.
104 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

quella sorta di “autocensura” che egli esercita su se stesso e


sulla sua vita privata gelosamente custodita.
Ma ciò che Egli stesso definisce “Romanticismo carcerario”
non sempre riesce a rimanere nel buio, se nella lettera a Tania
del 12 settembre 1927 si legge:

Carissima, aspetto il nuovo colloquio, anche se non possiamo ne-


anche stringerci la mano.
A proposito, sai che per lungo tempo avevo pensato di darti qual-
che fiore cresciuto nella mia cella? Ma le piante sono ormai essic-
cate e così non ho potuto mantenere nessuno dei 5 o 6 fiorellini
che erano sbocciati, bruttini alquanto, a dire il vero.

Sempre attraverso le Lettere, in quella del 30 novembre


1931 indirizzata alla moglie Julca, Egli lamenta quanto sia
diventato difficile e penoso non solo scriverle, ma anche con-
tinuare a credere in una certa comunanza nella loro vita e in
quella dei figli.
Se da un lato questa lettera testimonia l’amaro distacco dal-
la moglie, dall’altro vuole essere un nuovo tentativo per rian-
nodare le loro vite, sì da poter dare vita a Julka nel momento
stesso in cui la riconosce morta nell’amore.
Non si esclude l’ipotesi che Gramsci voglia risolvere il suo
rapporto con Giulia, concedendole la possibilità di divorziare
e rifarsi una vita:

Mi pare che noi siamo diventati dei fantasmi l’uno per l’altro, degli
esseri irreali fuori del tempo e dello spazio, dei convenzionali e
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 105

pallidi ricordi (cristallizzati) di un breve spazio di tempo vissuto in


comune.

Questa minuta è nel Quaderno B (XV) ed è scritta dopo la


Fiaba dei Grimm Millepelli, ove un re vedovo ritrova la sua fe-
licità nella sola donna che, come ultima volontà di sua moglie,
avrebbe dovuto sposare; una donna alla quale ella rassomi-
gliasse. Questa è individuabile in sua figlia che, alla fine, è
l’unica a renderlo felice.
Millepelli richiama, nell’epilogo, alcuni aspetti di fiabe ricon-
ducibili a tematiche folkloristiche. Ma il motivo della scelta
potrebbe risiedere nella possibilità di Gramsci di vivere questa
fiaba come un sogno o come un desiderio inconscio.
Non stupisce la scelta di alcune fiabe come Rumpelstilzchen
o la leggenda La figlia di Maria, se in esse si colgono aspetti
umani e rassicuranti nello stesso tempo.
Rumpelstilzchen narra di un folletto ciarlatano, smascherato
nella sua malignità e ridotto alla disperazione: e ciò non per
l’intervento di un essere diabolico più potente di lui, ma perché
il messaggero reale ne ha appreso l’inaudito nome dalla sua stes-
sa bocca e lo riferirà alla regina che vincerà l’atroce scommessa e
riuscirà a strappare il principino dai sanguinari appetiti del fol-
letto, falso protettore del focolare domestico. Il lieto fine non è
dovuto ad interventi soprannaturali, dunque, ma al suggerimen-
to del nome del folletto da parte del messo reale.
Una duplice motivazione potrebbe averlo spinto a tradurre
La figlia di Maria: smascherare il bigottismo cattolico di per-
106 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

sone a lui familiari e sottolinearne la morale che Egli, comu-


nista, aveva adottato per il suo giornale, sintetizzata nel motto
“la verità è rivoluzionaria”.
Utile il riferimento al Vangelo secondo Giovanni, quando
sostiene che la Verità, intesa come rivelazione divina per i
credenti, rende liberi.
Tale fiaba, pur permeata da motivi religiosi, giustificati dal
fatto che la maggior parte di essi nascono in periodi in cui la
Religione è una componente importante della vita (del resto
anche le novelle delle Mille e una notte sono ricche di riferi-
menti alla Religione Islamica), viene tuttavia dimenticata.
Le motivazioni, pur discutibili, potrebbero risiedere nei
mutamenti socioculturali che percorrono il nostro tempo, ma
anche nella consapevolezza che alcune tematiche religiose
non suscitano riflessioni significative né a livello personale, né
in senso universale. Eppure questa fiaba inizia esattamente
come Hansel e Gretel: «Al limitare di una grande foresta viveva
un taglialegna e sua moglie».
Anche in questa fiaba, i genitori sono tanto poveri da non
riuscire a sfamare neppure la loro figlioletta di tre anni. Ma,
commossa da tali ristrettezze, la Vergine Maria appare loro e
si offre di prendersi cura della bambina, che porta con sé in
cielo. Lassù la piccola vive una vita meravigliosa.
All’età di quattordici anni la Vergine le affida le chiavi di
tredici porte: ella potrà aprirle tutte, fuorché la tredicesima.
La fanciulla non sa resistere alla tentazione e mente. Per puni-
zione viene rimandata sulla Terra, priva della parola. Deve su-
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 107

perare terribili prove e soltanto quando sta per essere messa al


rogo e desidera confessare la sua bugia recupera la parola.
Confessa di aver mentito e la Vergine le restituisce la felicità.
Il messaggio è molto chiaro: la voce usata per mentire con-
duce alla perdizione e sarebbe, dunque, preferibile esserne
privati, come succede alla protagonista della fiaba.
Ma la “voce” usata per pentirsi, per ammettere i propri er-
rori e per affermare la verità, non può che redimere e condur-
re alla salvezza.
Tra le fiabe dei Grimm, Gramsci decide di tradurre anche
novelle di stile comico, sia per il gratificante lieto fine, sia per
la piacevolezza delle stesse vicende.
Con tale scelta appaga un’esigenza che aveva già manifestato
da bambino e che ora riconferma, convinto che il «comico
possa educare efficacemente attraverso gli exempla di eroi ne-
gativi»5.
Potrebbe essere questa la ragione per cui egli abbia scelto
tre storielline di “furbi”, detti così in senso ironico: Elsa, da
Elsa la furba; Gianni da Gianni e la felicità; e Caterina, da Gente
furba.
In Gente furba emerge la figura di Caterina, alla quale il
marito affida la vendita del bestiame con la minaccia di ba-
stonarla se lei si fosse lasciata imbrogliare. Ma Caterina cade
vittima di un furbo mercante al quale cede due delle tre muc-
che, senza averne nulla in cambio; malgrado ciò, ella non su-

5
Lettere dal carcere, ed. cit.
108 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

birà alcuna violenza da parte del marito che, mosso da pietà,


si consolerà della perdita economica con il denaro offertogli
da una “vedovella babbea”, nella quale si imbatte casualmente,
che, credendolo disceso dal cielo, gli offrirà del denaro da
portare al marito defunto.
Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, è quest’ul-
timo il personaggio che si colloca al vertice di questa serie di
protagonisti “furbi”.
Al contrario, le vicissitudini di Elsa sono attraversate da
una nota di crudele comicità: ritenuta dal marito una moglie
giudiziosa, una burla mette in luce la sua vera natura di donna
inetta. Involontariamente, il consorte provoca una crisi di i-
dentità nella povera moglie deficiente, che fugge di casa e non
dà più sue notizie.
Ci troviamo di fronte ad un racconto triste nel suo epilogo,
ma significativo perché vuole essere un invito a riflettere sul
delicato problema di taluni soggetti “diversamente abili”.
Si potrebbe ipotizzare che nella scelta di Gianni e la felicità
siano adombrati elementi ideologici, ma anche riferimenti di
speculazioni fallimentari vissute dalla famiglia Gramsci (cfr
Lettere dal carcere, ed. cit.). Tuttavia colpisce la positività del
protagonista: Gianni, uomo semplice e laborioso, che riesce a
cogliere la felicità nel lavoro, pur passando attraverso espe-
rienze di vita che gli offrono l’opportunità di diventare ricco. I
ripetuti baratti ritenuti dal protagonista sempre vantaggiosi,
tali non sono, perché dal pezzo d’oro ottenuto come buonusci-
ta, alle pesanti pietre che rotolano e affondano nella sorgente
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 109

dove voleva riposarsi e ristorarsi, egli ritorna alla felice pover-


tà di sempre.
Siamo, dunque, di fronte al capovolgimento di quella vi-
sione del pensiero dominante che guarda alla ricchezza come
alla massima realizzazione dell’essere umano.
Nel racconto La contadinella furba la contadina è furba dav-
vero, come testimoniano le sue vicissitudini: salva il padre dal
carcere e diventa regina; salva da una ingiusta condanna un con-
tadino e riconquista l’amore del suo sposo, dopo averne rischia-
to il ripudio. La positività di questo personaggio è facilmente ri-
scontrabile nella sua intelligenza attiva e liberatrice, oltre che
nella capacità di intervenire con tempestività continua.
Anche la vicenda de Le tre filatrici ha un epilogo molto posi-
tivo: il figlio della regina sposerà la pigra fanciulla grazie alla
operosa bontà di tre donne sconosciute e dall’aspetto ripu-
gnante, le tre filatrici, che le offrono il loro aiuto, filando tutto
quel lino che farà di lei una donna dal destino felice.
Di questa fiaba colpiscono alcuni elementi: la richiesta delle
tre filatrici di offrire il loro aiuto per filare il lino in cambio
dell’invito alle nozze «Se tu ci inviterai alle tue nozze, non avrai
vergogna di noi, e ci chiamerai tue zie, facendoci sedere alla tua
mensa»; dell’accettazione, sia pure per infingardaggine, da parte
della fanciulla della “diversità” che caratterizzava le tre parche
benigne nonché dell’onestà della stessa nel mantenere fede alla
promessa fatta alle sconosciute.
Ciò che caratterizza la fiaba I tre omini della foresta e che
colpisce il lettore, sono i tanti elementi disseminati nelle altre
110 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

fiabe dei Grimm: la cattiveria della matrigna di Cenerentola,


l’insolenza delle sorellastre, la generosità dei nani di Bianca-
neve, per non parlare di altre figure quali il re ed ancora
dell’apparizione dell’anitra, che esercita la sua arte magica tra-
sformandosi nella vera regina per allattare il principino.
Come ne Le tre filatrici la fanciulla accetta l’aiuto che le vie-
ne offerto da tre donne dall’aspetto sgradevole, così ne I tre
omini solo la più gentile d’animo delle due sorellastre, incu-
rante dell’aspetto dei tre “nani” (così definiti dai Grimm), di-
vide con loro il suo pezzetto di pane.
Le sue doti di gentilezza e generosità vengono ripagate:

— Che diventi più bella ogni giorno — disse il primo omino.


[…]
— Che le cadano di bocca monete d’oro ad ogni parola che dice
— aggiunse il secondo […].
E il terzo: — Che venga un re e la sposi.

Ed ancora possiamo cogliere in questa fiaba, come ne Le tre


filatrici, elementi di grande valore pedagogico, il trionfo del
bene sul male, l’accettazione della diversità come superamen-
to di ogni pregiudizio, ma anche l’impegno nel mantener fede
a quanto promesso.
Nell’epilogo de I tre omini della foresta, se da un lato c’è la
punizione per chi si adopera nel danneggiare gli altri, dal-
l’altro si assiste al trionfo del bene su qualsivoglia cattiveria.
A questo punto ci viene da ipotizzare che, per l’infanzia par-
ticolarmente difficile e tormentata vissuta da Gramsci (per mo-
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 111

tivazioni legate alla difficile situazione economica in cui la fa-


miglia era venuta a trovarsi a causa della condanna del padre,
alla salute cagionevole, alle privazioni, al lavoro precoce…),
non sia da escludere che la scelta di alcune fiabe possa essere
stata determinata dalla sua identificazione con taluni protago-
nisti: ne sono un esempio Mignolino e Mignoletto.
Mignolino, benché menomato dalla sua minuscola statura,
trionfa in ogni sua impresa per la sua acuta e vivace intelligen-
za: si serve della sua diversità, che diventa il suo punto di for-
za, per dare gioia ai genitori, migliorare la loro condizione
economica, affrancandosi da due forestieri che lo avevano
comprato per sfruttarlo come attrazione nelle grandi città e, in
ultimo, per riuscire a liberare l’intero paese da una banda di
ladri che voleva servirsi di lui come complice.
Particolarmente suggestivo e tenero l’incipit:

— Come è triste non avere bambini!


Nelle altre case c’è tanta allegria […]. Avessimo un solo bambi-
no e fosse anche piccolo come il dito mignolo, lo ameremmo di
tutto cuore. […] Dopo sette mesi nacque un bambino non più alto
del dito mignolo […] — è proprio come lo abbiamo desiderato e
sarà il nostro caro bambino — e per la sua statura i genitori gli det-
tero il nome di Mignolino.

Accanto a questa fiaba, per affinità di contenuto e come ri-


vincita dei deboli e dei “piccoli”, degli umiliati e degli offesi
dalla natura e talvolta dalla stessa società, si colloca Il pellegri-
naggio di Mignoletto, una micro–epopea burlesca, in cui il
112 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

protagonista, Mignoletto, se ne va in giro per il mondo in cer-


ca di avventure, armato di un grosso ago da cucito che funge
da spada per difendersi.
Il fiero Mignoletto, dopo strane e burrascose avventure,
torna a casa dal padre che è ben felice di riabbracciarlo.
Particolarmente significative la tenacia e la forza del prota-
gonista nel non rassegnarsi alla situazione di reietto cui la
malvagia natura lo aveva relegato.
Nella scelta di Gramsci non mancano racconti nei quali la
“solidarietà” diventa il vero protagonista e i deboli si uniscono
tra loro per lottare insieme ed aiutarsi a vicenda.
Tutto ciò è facilmente desumibile ne I quattro musicanti di
Brema, Il lupo e i sette caprettini e Il cane ed il passero, fiabe
che, oltre a presentare motivi di fondo molto simili, risultano
significative per il messaggio morale che in esse risulta abba-
stanza esplicito.
Appare evidente la tendenza gramsciana nel voler identifi-
care il mondo animale con gli individui socialmente più debo-
li; infatti i soggetti che cooperano per punire il padrone sfrut-
tatore, il ladro, o comunque la malvagia fiera predatrice, sono
quasi sempre animali domestici o da “cortile”, che normal-
mente vengono utilizzati nelle fattorie per i lavori pesanti.
Gli animali da cortile, si sa, differiscono in maniera netta da
quelli selvatici grazie al millenario processo di addomestica-
mento che, in sintesi, coincide con l’assunzione di una man-
sione specifica, con l’incorporamento di una vera e propria
quantità di sapere tecnico, sia pure sedimentato a livello istin-
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 113

tivo e meccanico. Anche se in forma primitiva, questa diversa


organizzazione mentale dell’animale domestico lo “eleva” al
di sopra della fiera selvatica, che è votata unicamente alla lo-
gica del predatore o del branco di predatori.
L’animale da “soma” è partecipe di una vera e propria for-
ma di lavoro organizzato ed è proprio questo grado superiore
di organizzazione “sociale” che renderà possibile una coope-
razione intelligente tra i quattro aspiranti Musicanti di Brema,
un asino, un cane, un gatto ed un gallo che, scampati al destino
di “vecchi da liquidare”, si insediano in una capanna di brigan-
ti e, orchestrando le proprie voci, spaventano chi, per profes-
sione, saccheggia e terrorizza il prossimo.
Analoga riflessione scaturisce da Il lupo ed i sette caprettini, in
cui mamma capra (animale domestico), grazie alla testimonian-
za del figlio più piccolo, riuscirà a punire con un’operazione
“intelligente” (uso delle forbici), l’ingordo nemico: il lupo.
In Gramsci appare evidente una certa predilezione per gli
epiloghi allegri e divertenti offerti talvolta da immagini simbo-
liche che vogliono rappresentare il trionfo del bene sul male,
come nella “danza” dei caprettini intorno al lupo morto.
La simpatia del nostro pensatore per il genere zoo–epico ri-
sulta anche nella scelta de Il cane e il passero, fiaba in cui un
piccolo ma fiero passero, simbolo di libertà e di spirito
d’iniziativa, solidarizza con un buon mastino costretto ad ab-
bandonare, per fame, un padrone poco generoso: dapprima
aiuta il povero vecchio cane a sfamarsi, poi lo vendica della
misera fine causatagli da un arrogante vetturale che lo investe
114 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

con il suo carro, nonostante il piccolo volatile lo abbia ripetu-


tamente scongiurato di non farlo: «Vetturale non farlo, o ti ri-
durrò in miseria» il povero cane finisce stritolato dalle ruote.
La massima espressione della solidarietà, unitamente ad un
forte senso di fratellanza, sono racchiusi in quel «caro fratello
vieni con me in città e ti farò saziare» e nell’urlo finale del
passero «hai ammazzato il mio fratello cane e ciò ti costerà
carro e cavalli».
Ancora una volta, attraverso la lettura della fiaba Il Forasie-
pe e l’orso, assistiamo a quel “mutuo soccorso” che caratteriz-
za i deboli che devono difendersi dagli oltraggi dei più forti. I
piccoli scriccioli si uniscono per vendicare il loro onore di
uccelli offesi e muovono guerra all’orso e al lupo, suo fraterno
amico, mobilitando zanzare, calabroni e mosche. Il lupo e
l’orso, nonostante l’aiuto di altri quadrupedi, sono sconfitti e
quest’ultimo, umiliato, deve chiedere scusa ai piccoli volatili.
Il fatto che Gramsci abbia aggiunto nella traduzione, a “re
di macchia”, il nome di “forasiepe” è quasi a voler esaltare la
fierezza di questo minuscolo uccello che, per le sue piccole
dimensioni, è detto anche “scricciolo”.
Tra le fiabe classiche a lieto fine, sei si collocano fra le più
conosciute. Esse si succedono intervallate a quelle meno note;
ma la scelta — non tanto di ordine psicoanalitico, pur ricono-
scendo il valore liberatorio che esse assumono oggi, alla luce
della psicologia del profondo — è determinata dall’interesse
di Gramsci verso problematiche pedagogiche, nonché dai ri-
cordi della sua fanciullezza.
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 115

La fiaba, Fratellino e Sorellina, se da un lato riassume


l’esperienza personale ed il non comune rapporto con la sorel-
la Teresina, dall’altro sottolinea i legami affettivi verso il fra-
tello maggiore, Gennaro.
Questi due fratelli non conoscono rivalità e gelosia, il loro
rapporto si basa sulla solidarietà e sulla collaborazione, e tut-
to ciò che accade nella fiaba dei Grimm si ritrova nella vita
reale dei fratelli Gramsci.
Potrebbe a questo punto risultare interessante riportare il
pensiero di Bettelheim, allorquando sostiene che il valore edu-
cativo del racconto sta nel fatto che l’integrazione della persona-
lità non si può raggiungere se non eliminando tutto ciò che in
noi può essere asociale, ingiusto, distruttivo. Ed è appunto la no-
stra sollecitudine per chi ci ama — sostiene ancora Bettelheim
— a liberarci di quegli elementi che turbano il sereno equilibrio,
sino a far prevalere l’io ed i valori del super–io sugli altri.
Nella fiaba de I dodici fratelli si racconta di Beniamino, il
più piccolo della famiglia che, sorretto dall’amore materno,
non soltanto riesce a salvare sé ed i suoi fratelli dal proposito
omicida del padre, il quale vorrebbe lasciare tutta l’eredità al-
la sua unica figlia, ma riesce, nello stesso tempo, ad impedire
ai fratelli di uccidere la sorellina.
Sarà proprio la sorellina, nella seconda parte del racconto,
a liberare i fratelli dalla condizione di corvi, nella quale lei
stessa aveva inconsciamente contribuito a trasformarli: la pic-
cola consegue la liberazione, con uno straordinario trionfo del
suo io e del suo super–io perfettamente consolidati.
116 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

Fiaba di fame e di miseria può essere definita Giannino e


Ghitina: i protagonisti, due bambini abbandonati nella foresta
per volere di una matrigna cattiva e di un padre debole, con-
sapevoli del loro destino, riescono tuttavia a sfuggire alla stre-
ga malefica, che li avrebbe divorati.
I due piccoli personaggi si sostengono e si rincuorano vi-
cendevolmente, anche se a prendere le iniziative necessarie af-
finché la loro triste avventura abbia un lieto fine è sempre
Ghitina. Alla fine, l’intervento magico di una piccola anitra
generosa consentirà loro di attraversare il guado e di raggiun-
gere la casa paterna, dove troveranno ad attenderli solamente
il triste padre (la matrigna, intanto, era morta).
L’epilogo positivo evidenzia il valore educativo che rivesto-
no le fiabe a lieto fine: «Tutte le preoccupazioni ebbero fine
da allora; ed essi vissero insieme in grande gioia», per aver ri-
trovato il vecchio padre e per le perle e le gemme che avevano
sottratto dalla casetta della strega malvagia e che permetteva-
no loro di superare quello stato di miseria iniziale che aveva
spinto i genitori ad abbandonarli nel bosco.
La fiaba di Nevina, meglio conosciuta con il titolo di Bian-
caneve e i sette nani, mette in evidenza la graduale maturazione
della protagonista, Nevina, che attraverso situazioni e perso-
naggi diversi, visualizza e supera quei conflitti interiori che
sono propri di quel processo evolutivo di crescita che caratte-
rizza ciascun individuo, e si concludono con una appropria-
zione delle emozioni fino ad una maggiore coscienza di sé e
ad una integrale formazione del carattere e della personalità.
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 117

Né la cattiveria della regina, intrisa di un’implacabile gelosia


per il fiorire della fanciulla, né l’incapacità del cacciatore di riu-
scire a garantirle protezione e salvezza, impediranno alla pro-
tagonista, se pur attraverso un iter laborioso e difficile, di vince-
re sulla morte e di rinascere alla vita grazie ad un amore felice.
In questa fiaba il principe azzurro rappresenta il premio alla
forza di volontà e al senso di responsabilità espressi da Nevina
in un mondo popolato da “nani”, creature nobili e laboriose ma
private di ogni possibilità di sviluppo “staturale”.
Il lieto fine della fiaba non ci impedisce di ritenere che, per
taluni aspetti, ci si trova di fronte ad una fiaba “degli uomini e
non già dei bambini”: degli uomini che si rendono conto che
la giovinezza, come la felicità, non sono eterne, perché la mor-
te non solo annienta speranze e delusioni, sogni e dolori, gio-
ventù e bellezza, ma anche ogni sorta di cattiveria umana:

E la malvagia regina appena entrò riconobbe Nevina, e per il dolo-


re e la paura non poteva più muoversi. […] Ella dovette infilare
quelle scarpe roventi ai piedi e ballare, ballare finché cadde a terra
morta.

Diverso appare il percorso attraverso il quale matura Rosa-


spina, ossia La bella addormentata nel bosco. La protagonista,
vittima di un malefico incanto ad opera di una donna vendica-
tiva (che non era stata invitata al banchetto organizzato per fe-
steggiare la sua nascita), a quindici anni, come predetto, si
punge ad un fuso e giace in un profondo sonno per cento anni.
118 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

La maledizione si diffonde in tutto il castello e avvolge uo-


mini e cose: tutto diventa immobile, persino la natura sembra
arrestare il suo ritmo…, si placano i venti…, tace lo stormire
delle fronde e il cinguettio degli uccelli…, tutto è avvolto da
una coltre di silenzio! All’occhio umano appare solo una fitta
siepe di spini che cresce a vista d’occhio e si erge fino a copri-
re la più alta torre del castello.
Occorreranno cento anni prima che il figlio di un re, pur
avendo saputo che altri avevano pagato con la morte il tentati-
vo di andare oltre gli spini, vinca ogni paura pur di sciogliere
l’incantesimo di cui era stata vittima la bella Rosaspina.
Come per incanto, quella siepe spinosa, trasformata in bel-
lissimi fiori, si inchina al passaggio del principe e gli consente
di raggiungere Rosaspina e di risvegliarla con un bacio.
Ancora una volta, sia pure per magia, assistiamo al trionfo
dell’amore: la vita vince sulla morte e ogni cosa riprende il suo
ritmo. L’epilogo della fiaba è positivo e consolatorio:

Con grande magnificenza furono festeggiate le nozze del figlio del


re con Rosaspina ed essi vissero contenti fino alla morte.

La narrazione coinvolge emotivamente bambini ed adulti


per la carica suggestiva che scaturisce dagli eventi, dalle de-
scrizioni e da quella magia che la pervade.
Tutti gli elementi e i significati che si possono cogliere nel-
la fiaba, risultano cari a Gramsci: dalle descrizioni particola-
reggiate e realistiche tracciate dai Grimm, al suo interesse per
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 119

l’infanzia e l’adolescenza, quella adolescenza che viene vissuta


dalla protagonista come incertezza, ma anche come un sentire
fatto di fiducia e di profonde riflessioni interiori.
Anche Rosaspina, come tutti gli adolescenti, si abbandona
al torpore adolescenziale, protetta dal mondo degli adulti,
come la rosa appena sbocciata viene protetta “dalle spine della
siepe”.
L’adolescenza va vissuta, anche secondo Gramsci, senza
forzature né anticipazioni, affinché risulti positiva per lo svi-
luppo e la strutturazione della personalità dell’individuo pri-
ma ancora che si affacci alla vita e all’amore.
Non poteva mancare nella scelta di Gramsci la più popolare
e certamente la più amata delle fiabe, Cenerentola, forse per il
modo semplice di trasmettere dei messaggi morali altamente
significativi che non sfuggono all’attento lettore: il trionfo del-
la bontà di una fanciulla alla quale la vita non risparmia alcu-
na sorta di sofferenza: dalla morte della madre all’abbandono
del padre, sino all’odio e alla gelosia della matrigna e delle
malvagie sorellastre.
A questa fiaba va anche l’interesse dell’illustre studioso,
Bettelheim, che, avvalendosi del contributo di psicanalisti
come Klein ed Erikson, tenta di analizzarla negli aspetti più
profondi e nei conflitti psicologici più comuni — il lutto, la
tristezza, l’angoscia, il complesso edipico, l’angoscia sessua-
le — che incarnano i vari stadi della vita, dall’infanzia
all’adolescenza, fino alla maturazione ed oltre ancora. Gli
“stadi delle specifiche crisi psicosociali” di cui parla Eri-
120 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

kson6 inducono Bettelheim ad analizzare le vicissitudini di


Cenerentola attraverso un’analisi approfondita che inizia
con la fiducia di fondo, che nasce dal rapporto positivo con
la madre, per passare a quella autonomia che non è altro
che accettazione del proprio ruolo nella fase in cui deve rie-
laborare il lutto riparatore in memoria della madre buona,
amata ed insieme odiata a livello inconscio, come rivale nei
confronti del padre; per snodarsi, in seguito, attraverso l’ini-
ziativa, rappresentata dalla forte richiesta d’amore rivolta al
padre, e simboleggiata dal virgulto di nocciolo.
In questo percorso, vissuto in chiave evolutiva, anche il la-
voro, sia pure frutto di ripetute e umilianti richieste da parte
della matrigna e delle sorellastre, contribuirà a ritemprare il
carattere di Cenerentola; e, non ultima, quella crisi di identità
personale che vive negativamente negli abiti cenciosi che è co-
stretta ad indossare, la porterà a riappropriarsi di quell’iden-
tità personale positiva, attraverso il bellissimo abito da sposa e
le scarpette d’oro.
La positività del messaggio che le vicissitudini di Ceneren-
tola ci trasmettono è nella consapevolezza che anche il dolore,
come il lutto, fanno parte della vita stessa dell’uomo; è bene,

6
Erik Erikson (1950) sostiene che la vita dell’uomo può essere concepita
come una serie di stadi, ciascuno contrassegnato da un dilemma cruciale che
deve essere risolto per passare allo stadio successivo: il dilemma che caratte-
rizza l’adolescenza è quello espresso dalla tensione tra identità e diffusione
della identità. La nozione di identità assunta da Erikson è situata nel quadro
di una teoria evolutiva della personalità che si differenzia da quegli orienta-
menti psicologici che definiscono la personalità umana in termini statici.
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 121

dunque, che talune situazioni emozionali, sia pure traumati-


che e dolorose, siano vissute come esperienze significative per
la crescita e il rafforzamento della personalità.
Infatti, sarà Cenerentola la donna che alla fine saprà con-
quistare il Principe. E le bianche colombe che le avevano of-
ferto il loro aiuto “gratuito” in tutta la fiaba, per ripagarla del-
la sofferenza e delle umiliazioni subite, puniranno, invece,
con la cecità le malvagie sorellastre per la loro cattiveria e sle-
altà, beccando loro gli occhi proprio durante la celebrazione
del matrimonio di Cenerentola col figlio del Re.
Prima ancora di parlare di Cappuccetto Rosso, occorre ri-
badire che tale fiaba esiste in molte e diverse versioni: la più
popolare è sicuramente quella dei fratelli Grimm, ma la sua
storia letteraria inizia con C. Perrault (1628–1703), autore di
Histoire et contes du temps passé.
Ma mentre la storia di Perrault risulta priva di salvezza e
consolazione, perché termina con la vittoria del lupo, e per ta-
le ragione non poteva considerarsi adatta all’infanzia, i fratelli
Grimm ci forniscono due versioni della stessa fiaba, ponendo-
ne in luce il valore educativo, attraverso un epilogo ottimisti-
co e rassicurante, motivazione che deve avere spinto Gramsci
a collocarla tra le fiabe classiche da lui tradotte.
Il tema centrale della fiaba resta, tuttavia, la minaccia di es-
sere divorati. Essa evidenzia, in modo simbolico, alcuni pro-
blemi che sono propri dell’età scolare. La protagonista appare,
fin dall’inizio, incerta tra il principio del piacere e quello della
realtà, ossia tra il voler obbedire alle istanze dell’Io–realtà e ai
122 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

doveri del Super–Io, e il desiderio di potersi abbandonare alle


richieste inconsce delle sue pulsioni.
In questo dualismo, in questa scelta tra una realtà di cui la
protagonista non ha paura, anzi ne riconosce la bellezza, e il
piacere:

Come sono belli i fiori intorno a te… non senti neppure come can-
tano bene gli uccellini… tu cammini composta, … mentre ogni
creatura nel bosco è gioconda,

appaiono evidenti i messaggi del lupo seduttore che, secondo


un processo naturale, “divora per nutrirsi”.
«Camminare come si deve e non deviare dalla strada…», so-
no gli avvertimenti di sua madre, ma Cappuccetto, come tutti i
bambini, è curiosa e, talvolta, disobbediente, combattuta tra il
desiderio di voler fare ciò che piace, e ciò che si deve fare.
Sarà la spaventosa avventura nel bosco a condurla alla so-
glia della morte o, come evidenzia l’epilogo aggiunto, alla ri-
nascita.
La fiaba precisa, inoltre, che nonna e nipotina non sono
morte; ciò risulta evidente dal comportamento di Cappuccetto
Rosso al momento in cui viene liberata: «la bambina saltò
fuori dicendo fra le lacrime: ah, che paura! Che buio c’era den-
tro il corpo del lupo», ma solo se si è vivi si può avere paura, e
ciò significa una condizione che si oppone alla morte. E la
paura che Cappuccetto Rosso prova del buio nella pancia del
lupo, è quella del bambino che sa di essersi comportato male,
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 123

o che non si sente abbastanza protetto dai suoi genitori; è una


paura che presuppone una richiesta di aiuto, ma anche la pos-
sibilità di fare ulteriori esperienze, anche sconvolgenti, per
continuare a crescere, per non avere più paura.
Nella versione dei fratelli Grimm, la fiaba si conclude con
la morte del lupo, dalla cui pancia un cacciatore, operando al-
cuni tagli, mette in salvo nonna e nipotina, trangugiate semivi-
ve. Nell’azione del cacciatore, la violenza ha una valenza posi-
tiva, giustificata dalla necessità di salvare la nonna e la nipoti-
na. Oltre alla funzione liberatrice, ciò che appare pure impor-
tante, nella parte aggiuntiva dei Grimm, è che Cappuccetto
riesce a salvarsi anche successivamente, con il valido aiuto
della nonna e senza bisogno dell’intervento del cacciatore, che
aveva esercitato un evidente ruolo paterno.
Significativa la conclusione della fiaba, sotto forma di dia-
logo interiore:

Mai più devi lasciare la tua strada, per correre nella foresta, quan-
do la mamma te l’ha proibito.

Essa testimonia il bisogno di lasciarsi guidare da “figure


adulte” che rappresentano e incarnano valori universali, e po-
co importa che siano il padre e la madre, per poter crescere ed
affrontare le diverse problematiche esistenziali.
La decisione di tradurre la terza fiaba dei Grimm, Storia di
uno, che se ne andò in cerca della paura, titolata da Gramsci
Storia di uno, Giovannin Senzapaura, che partì di casa per im-
124 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

parare cos’è la pelle d’oca si pone in relazione con alcune espe-


rienze esistenziali ed intellettuali da cui Egli stesso non riuscì a
sottrarsi. Altra ragione potrebbe risiedere nelle vicende biogra-
fiche del lontano 1917, quando il giovane giornalista sardo, an-
cora in forza alla redazione torinese dell’Avanti!, utilizzò l’im-
magine di quel contadinello “sempliciotto”, per un ironico ed
assai pungente articolo contro l’allora sindaco di Torino Teofi-
lo Rossi7, il quale veniva accusato di comportamento sciocco
ed ipocrita a causa della propria decisione di imporre alla po-
polazione le tessere annonarie quando, già, da giorni, le risorse
alimentari erano assai scarse.
Viene da chiedersi a quale Giovannin Senzapaura voglia al-
ludere Gramsci: forse a quel Giovannin che è se stesso durante
l’infanzia, che si era costruito un “abito di freddezza”, facendo
ricorso a quelle difese che gli permisero di sembrare molto
più forte di quello che fosse, costruendosi una personalità te-
nace, ma arida come una “selce” (così si autodefinisce in una
lettera datata 26 marzo 1928, indirizzata alla madre)?
O forse a se stesso, adulto, consapevole di non aver del tut-
to rimosso le sue angosce sessuali, se pensiamo a quella let-
tera nella quale si legge «sono abituato a pensare che esista
una impossibilità assoluta, quasi fatale, a che io possa essere
amato»8?

7
A. Gramsci, Le tessere e la favola del furbo, in “Avanti!”, 28 febbraio 1917.
L’articolo è incluso in A. Gramsci, La città futura, Einudi, Torino 1982.
8
Lettera del 13 febbraio 1923 da Mosca.
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 125

Il protagonista della fiaba dei Grimm è temerario più per


condanna che per virtù, si induce a conoscer la pelle d’oca ma,
nonostante l’incontro con gatti e cani neri, cadaveri penzolanti
e teschi rotolanti, il suo animo non conosce paura.
Ed alla fine della fiaba, attraverso il superamento di prove e
pericoli, Giovannin Senzapaura vince ogni sorta di insicurez-
za e si riappropria della sua vera identità; epilogo ironico e
ambiguo, che consente al protagonista di conoscere la “pelle
d’oca” come reazione al contatto con un secchio d’acqua gelata
e non come paura effettiva.
L’ultima parte della raccolta di fiabe dei Grimm tradotte da
Gramsci, presenta il ciclo tematico dello “sposo animale”, una
serie di racconti caratterizzati da un elemento comune: uno
dei due protagonisti si presenta in un primo momento sotto le
spoglie di animale, per poi assumere, nell’epilogo, le sembian-
ze di essere umano.
Tra questi racconti si colloca Il principe ranocchio o Enrico
di ferro che Gramsci trasforma in Il principe dei ranocchi, e-
liminando “o Enrico di ferro”, che fra l’altro riguarda un per-
sonaggio marginale della vicenda, il fedele servo del re.
Un’altra variante è la soppressione dell’incidentale «quando
desiderare serviva ancora a qualche cosa», decisione significa-
tiva dal momento che l’incanto delle fiabe risiede proprio nel-
la capacità che esse hanno di trasformare i desideri in realtà.
La fiaba racconta della più giovane figlia di un Re che, per
obbedire al padre, accetta di mantenere la promessa di trattare
come essere umano e di tenere con sé, il ranocchio che le ave-
126 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

va riportato la pallina d’oro che le era sfuggita dalle mani ed


era caduta nello stagno.
Gli elementi significativi che emergono dall’ analisi di que-
sta fiaba sono tanti. Le parole del Re alla figlia:

Quel che hai promesso, devi mantenerlo; và dunque e apri […]


Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno.
Nella fiaba non mancano gesti e momenti di tenerezza:

Ella prese la bestia, la portò di sopra e la mise in un angolo.

né momenti di estrema crudeltà:

La principessa andò in collera, lo prese e lo gettò con tutte le sue


forze contro la parete: — Adesso starai zitto, brutto ranocchio!

Ed ecco che il ranocchio si trasforma in un bellissimo


Principe dagli occhi ridenti: la fiaba si carica di magia.
E non è l’epilogo delle nozze, afferma Bettelheim, che ca-
ratterizza una fiaba come questa, bensì il superamento del-
l’aspetto ripugnante ed animalesco che può assumere il sesso,
che in questo racconto è simboleggiato dal ranocchio.
Bettelheim evidenzia alcune caratteristiche tipiche del ci-
clo dello “sposo–animale”: si ignora come e perché lo sposo
sia stato trasformato in animale; la responsabile della meta-
morfosi è solitamente una strega che, tuttavia, non viene puni-
ta per i suoi misfatti; altro elemento caratterizzante è il padre,
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 127

che obbliga o spinge la protagonista ad unirsi alla “bestia”, ed


ella accetta per obbedienza o per amore verso il genitore.
Nelle fiabe di questo ciclo, inoltre, le madri, apparentemen-
te assenti, sono presenti sotto le sembianze della strega, che
spinge la bambina a guardare al sesso come a qualcosa di be-
stiale. E se torniamo con il pensiero al nostro, non lontano,
passato, non ci può sfuggire che per molti genitori il sesso era
considerato un tabù, reso lecito unicamente dal vincolo ma-
trimoniale.
Le riflessioni di Bettelheim trovano riscontro anche nella
fiaba La Bella e la Bestia, attraverso le parole della Bestia:

Una fata cattiva mi aveva condannato a rimanere sotto quelle


sembianze, finché una vergine bellissima non avesse acconsentito a
sposarmi.

E se alla fine della storia la strega che trasforma lo sposo in


animale non viene punita, ciò è dovuto a quello scenario del-
l’educazione, ove, in un modo o nell’altro, entrambi i genitori
— non solo la madre — inducono il bambino a guardare al
sesso come qualcosa di animalesco: dal momento che tale
“scelta educativa” viene ritenuta naturale, è inevitabile che es-
sa non vada punita.
Una teoria che potrebbe risultare interessante riguarda
l’evoluzione della specie: essa ci riporta al millenario lonta-
nissimo mondo animale, del quale l’uomo — “antico animale”
— fa parte, per condurci attraverso una lunga e differenziata
evoluzione storica, ad un passato non troppo lontano in cui
128 P ARTE III – Antonio Gramsci: teorico della traduzione

l’“antico animale” è diventato un “animale sociale”, consape-


vole di quanto sia importante il rapporto con tutti gli altri es-
seri viventi. Si può ipotizzare che tale teoria abbia, in qualche
modo, indotto Gramsci ad ulteriori riflessioni, dal momento
che, consapevole dei conflitti che Egli stesso aveva vissuto nel-
la sfera dei rapporti sessuali di coppia e nell’ambito della fa-
miglia, non si ferma a ricercare una soluzione a tali problemi,
ma va ben oltre: deve lottare per uscire dal contesto culturale
chiuso e provinciale della sua Sardegna, fino a scontrarsi con
la realtà industriale di Torino, durante gli anni degli studi uni-
versitari e della sua attività giornalistica.
Per Gramsci è naturale ricorrere ad apologhi e metafore le-
gate al mondo della natura. Non è soltanto una polemica nei
confronti della stampa borghese, reazionaria e clericale, ma è
anche un modo per colorare ed arricchire il suo immaginario
di scrittore e di “giornalista libero”:

Io sono nato in villa per grazia del destino. Sono un inurbato, e ne


sono lietissimo, perché ho accumulato nella mia infanzia di monel-
lo tante esperienze e tante sensazioni che un ragazzo nato in città
non può neppure immaginare…
Per esempio, non può immaginare il piacere che si prova quando
dopo una serata di scalmana sotto il solleone semitropicale, si ri-
torna a casa tirandosi dietro una mezza dozzina di cornacchie stra-
mazzanti e rabbiose; non può immaginare il piacere che si prova a
stare in agguato dietro un fosso, dietro un mucchio di paglia,
quando l’orizzonte si picchietta di nero per una volata di neri uc-
cellacci, e questi piombano nell’aia abbandonata e saltellano nella
pula con le loro mosse sgraziate, e dopo aver abboccato all’esca
C’era una volta… le fiabe dei Fratelli Grimm 129

preparata (una fava legata ad un sasso con un cordino) cercano di


divincolarsi, gracchiando, stridendo, con quella loro vociaccia di
malaugurio.
Chi non immagina il piacere che si prova a queste monellesche av-
venture, non può immaginare neppure il piacere che io provo agli
starnazzamenti, ai dimenamenti sgraziati di quel buacciolo che nel
Momento, da un paio di giorni, suona la campana a gloria per la
nostra fuga, per la nostra sconfitta. Poverino! Abbiamo voluto di-
vertirci un po’, e ci siamo riusciti.9

9
Le cornacchie e il buacciolo, in “Cronache torinesi 1913–1917”, Torino
1980.
PARTE QUARTA

Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

131
Gramsci scrittore per l’infanzia

Oltre alle traduzioni delle fiabe dei Grimm, il contributo


più noto che Gramsci ha lasciato nell’ambito della Letteratura
per l’infanzia è rappresentato da brevi racconti e novelline dis-
seminati in tutta la sua produzione epistolare indirizzata ai fi-
gli Delio e Giuliano.
Non sono “fiabe” quelle che Gramsci scrive ai suoi bambi-
ni; lui non vuole popolare la loro fantasia di fate e folletti; i
suoi sono racconti di vita vissuta, sono esperienze e ricordi
della sua infanzia, espressione di un lavoro intellettuale carico
di affettività. Si tratta principalmente di storie popolari legate
alla sua amata Sardegna e di stralci biografici riguardanti la
sua infanzia di “monello”. L’esposizione è condotta con uno
stile semplice, efficace e diretto, grazie anche ad un “ritmo”
narrativo sempre costante ed alla capacità di catturare facil-
mente l’attenzione del lettore.
È innegabile che la sua attività giornalistica, con tutte le e-
sigenze mediatiche e le sue peculiari modalità linguistiche,
abbia influenzato in maniera significativa lo stile narrativo di
Gramsci.

133
134 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Egli, infatti, nella maggior parte dei casi tralascia la descri-


zione degli ambienti come semplice preambolo introduttivo
delle storie e dedica ampio spazio alle azioni, alle dinamiche
e ai processi che determinano talune situazioni e agli aspetti
emozionali dei protagonisti.
Fanno eccezione alcuni racconti di natura biografica riferiti
in gran parte alla sua infanzia: al bambino che si diverte a sco-
prire i ricci sotto il melo dell’orto, che, per ore, accovacciato
su una roccia, osserva quella specie di lago che si forma lungo
le vallate del fiume Tirso e le gallinelle che escono dai canne-
ti, o i pesci che, saltando, cacciano le zanzare…; al bambino
che ama alcune piccole bestiole che costituiscono lo scenario
della sua modesta e tranquilla esistenza, che si diverte a co-
struire velieri, consentendo così alla fantasia ed al desiderio
interiore di potersi affermare. Si tratta di racconti in grado di
offrire al giovane lettore un bellissimo ed assai coinvolgente
scorcio della Sardegna di inizio secolo; sono lo specchio di
uno dei luoghi più suggestivi del nostro Mediterraneo, una
terra che, ancora oggi come cent’anni fa, rimane sospesa tra la
modernità incalzante e la tradizione rurale, tra la globalizza-
zione e l’amore incondizionato per la propria lingua, le pro-
prie radici e le proprie tradizioni.
Ma riflettono anche l’immagine dell’animo di Gramsci, un
intellettuale progressista della Torino postbellica e neo–indu-
strializzata con lo sguardo verso la neonata Unione Sovietica
ancora non corrotta dagli orrori staliniani, e con il cuore
tenacemente saldato alla sua Ghilarza.
Quando scrivere diventa racconto

I racconti di Sardegna, disseminati nelle Lettere ai figli De-


lio e Giuliano, alla moglie Giulia, alla cognata Tania… oltre a
voler trasmettere le esperienze della sua infanzia con una na-
turalezza comunicativa e secondo forme che erano appartenu-
te alla tradizione orale del passato, rappresentano una sfida
all’usura del tempo, al “velo della memoria”.
Gramsci scrive e racconta con partecipazione emotiva e con
estrema consapevolezza la sua infanzia, esercitando nel con-
tempo una funzione pedagogica che da un lato sottolinea quel-
la “paternità vivente” tante volte ricorrente nei suoi scritti,
dall’altro testimonia la sua attenta sensibilità e il suo impegno
etico verso il delicato mondo dell’infanzia e dell’adolescenza.
Dai Quaderni e dalle Lettere dal carcere emerge l’uomo co-
noscitore della Letteratura, della Storiografia sulla Sardegna,
della Storia… l’esperto “affabulatore” che, quale “custode del
tempo”, affida ai figli, agli adolescenti, ai giovani il difficile
compito di custodire e trasmettere le antiche memorie. Egli
crea, attraverso semplici narrazioni, un clima di compar-
tecipazione, di appartenenza e, nel contempo, di attualizza-

135
136 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

zione del passato. Appare dunque che il ruolo dello scrittore si


intrecci con quello del narratore, che da un lato commenta i
significati e il valore degli eventi e delle esperienze vissute,
dall’altro riflette sulle implicazioni soggettive di un “percorso
compiuto” che prende corpo e sopravvive attraverso il “rac-
contare e raccontarsi”… Allora accade qualcosa di suggestivo,
di magico: le leggende, i miti, i racconti, radicati nell’imma-
ginario popolare, si mescolano alle esperienze ghilarzesi e si
rivestono di iridescenze fiabesche.
È altresì importante evidenziare che la rivisitazione delle
brevi narrazioni gramsciane permette di tracciare un profilo
di ricerca alternativo a quello tradizionale, formalmente più
legato all’analisi dei Quaderni. Ciò che emerge è sì l’immagine
di un grande intellettuale, ma anche più semplicemente di un
uomo di grande sensibilità, testimoniata dal suo profondo
amore per la natura, per gli animali; questi ultimi sono, infatti,
spesso protagonisti delle narrazioni, come si evince dalla sto-
ria de I due passerotti:

Ti racconterò la storia dei miei passerotti1. Devi dunque sapere che


ho un passerotto e che ne ho avuto un altro che è morto, credo

1
«Gramsci amava profondamente le bestie» ricorda Leonida Rèpaci che lo
conobbe negli anni torinesi. «Tra le bestie egli prediligeva gli uccelli, e infat-
ti una delle sue soste preferite, se passava sotto i portici, era la vetrina di uc-
celli che sorgeva in una botteghina di legno davanti all’albergo Europa; là,
più straordinari esemplari di bestie imbalsamate si alternavano con quelli vivi
nelle voliere che pigliavano la luce del sole dalla parte di Piazza Castello.
Non posso dimenticare gli occhi umanissimi, pieni di dolce fantasticheria, di
Gramsci, mentre guardava le bestioline vive e morte» (L. Rèpaci, Ricordo di
Gramsci, Macchia, Roma 1942).
Quando scrivere diventa racconto 137

avvelenato da qualche insetto (blatta o un millepiedi). Il primo


passerotto era molto più simpatico dell’attuale.

Dal racconto2 emerge il sommesso colloquio con le “cose”


quotidiane che assume nella realtà carceraria un valore meta-
fisico. La vera sofferenza di Gramsci è la consapevolezza di
poter definire con nettezza oggettiva il suo presente e di essere
invece costretto a vivere l’“assenza” sia degli affetti che della
vita sociale. Quindi una condizione esistenziale drammatica
di fronte alla quale l’uomo–Gramsci può trasformare il pro-
prio dolore in scrittura e i due particolari “compagni” di cella
possono essere gli strumenti della rappresentazione conflit-
tuale dell’anima divisa eternamente tra bene e male.
La narrazione della vita dei due passeri avviene su due livel-
li differenti sia per l’uso del tempo narrativo, che alterna pas-
sato/presente, sia per gli elementi antitetici usati nella descri-
zione. Da una parte il primo passerotto:

Era molto fiero e di grande vivacità.

Dall’altra:

L’attuale è modestissimo, di animo servile e senza iniziativa.

Le parole di Gramsci riportano alla memoria i versi leo-


pardiani del Passero Solitario:

2
Lettera n. 40, 8 agosto 1927, a Tania.
138 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

D’in su la vetta della torre antica


passero solitario alla campagna
cantando vai finché non more il giorno
ed erra l’armonia per questa valle.

Ma, mentre nella poesia di Leopardi il passero si distacca


dai suoi simili e “dalla vetta della torre antica” osserva quel
che accade…, nel suo racconto, Gramsci, attraverso i due pas-
seri, diviene osservatore di se stesso, intimamente sdoppiato
in spettatore e attore:

Il primo divenne subito padrone della cella. Credo che avesse uno
spirito eminentemente goethiano, come ho letto in una biografia a
proposito dell’uomo biografato. Ueber all Gipfeln. Conquistava tut-
te le cime esistenti nella cella e quindi si assideva per qualche mi-
nuto ad assaporarne la sublime pace.
Salire sul tappo di una bottiglietta di tamarindo era il suo perpe-
tuo assillo; e perciò una volta cadde in un recipiente pieno dei ri-
fiuti della caffetteria e fu lì lì per affogare.
Ciò che mi piaceva in questo passero è che non voleva essere toc-
cato. Si rivoltava ferocemente, con le ali spiegate e beccava la ma-
no con grande energia. Si era addomesticato, ma senza permettere
troppe confidenze. Il curioso è che la sua relativa familiarità non
fu graduale, ma improvvisa. Si muoveva per la cella, ma sempre
all’opposto a me. Per attirarlo gli offrivo una mosca in una scato-
letta di fiammiferi; non la prendeva se non quando io ero lontano.
Una volta, invece di una nella scatoletta erano cinque o sei mo-
sche; prima di mangiarle danzò freneticamente intorno per qual-
che secondo; la danza fu ripetuta sempre per le mosche numerose.
Un mattino, rientrando dal passeggio, mi trovai il passero vicinis-
simo; non si staccò più, nel senso che da allora mi stava sempre vi-
Quando scrivere diventa racconto 139

cino, guardandomi attentamente e venendo ogni tanto a beccarmi


le scarpe per farsi dare qualcosa. Ma non si lasciò mai prendere in
mano senza rivoltarsi e cercare subito di scappare.
È morto lentamente, cioè ha avuto un colpo improvviso, di sera,
mentre era accovacciato sotto il tavolino, ha strillato proprio come
un bambino, ma è morto solo il giorno dopo: era paralizzato dal
lato destro e si trascinava penosamente per mangiare e bere, poi di
colpo morì.

Il primo compagno di cella, se pure si presta ad essere in-


terpretato attraverso i versi goethiani:

Su tutte le vette / regna la calma / tra le cime


degli alberi / non avverti spirare un alito / nel bosco
gli uccellini stanno silenziosi. / Aspetta un poco!
Presto / anche tu avrai riposo,

presenta molte affinità con il carattere “sardesco” di Gramsci:


il suo “beccare” e il “rivoltarsi” rispecchiano la volontà di ri-
bellarsi all’abbrutimento del carcere. Allegoricamente questo
passero diviene la rappresentazione dell’ego del carcerato: per
una tragica coincidenza Gramsci morirà paralizzato al «lato
sinistro, braccia e gamba» dopo «un ultimo respiro rumoroso
e sopravvenne il silenzio senza rimedio».
“L’attuale passero” viene invece definito da Gramsci “di una
domesticità nauseante”:

vuole essere imboccato, quantunque mangi da sé benissimo; viene


sulla scarpa e si mette nella piega dei calzoni: se avesse le ali intiere
volerebbe sul ginocchio; si vede che vuol farlo perché si allunga,
140 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

freme, poi va sulla scarpa. Penso che morirà anch’esso, perché ha


l’abitudine di mangiare le capocchie bruciate dei fiammiferi oltre
al fatto che il mangiare sempre pane mollo deve procurare a questi
uccellini dei disturbi mortali. Per adesso è abbastanza sano, ma
non è vivace; non corre, sta sempre vicino e si è già involontaria-
mente preso alcune pedate.

Lo stato d’animo di questo particolare detenuto inquieta


Gramsci che, come spettatore ne percepisce l’indolenza, la
mancanza di interesse e il rifiuto all’impegno.
Sempre in chiave allegorica, le definizioni attribuite al pas-
sero riflettono il particolare stato dell’alter ego di Gramsci, la-
cerato dall’accidia del carcere che logora lentamente la mente
e il corpo. L’alter ego è logorato fino al “servilismo”, caduto in
uno stato d’animo di passività che sovrasta l’ego e i suoi estre-
mi tentativi di combattere il distacco dalla vita:

Ed ecco la storia dei miei passerini.

Entrambi rappresentano il dramma di essere travolto e


schiacciato dal sistema carcerario: Gramsci avverte il fuoco
della vita troppo lontano, ne può ricevere la luce, ma non il
calore, i fiammiferi sono quindi inservibili contro l’oblìo car-
cerario che si insinua attraverso lo sdoppiamento per arrivare
alla disgregazione dell’essere. Tuttavia Egli unisce in sé le due
anime contraddittorie, “fiera e modestissima”, e nonostante le
sue ali siano state tarpate, il suo pensiero, attraverso la lettura
e la scrittura, vive nella memoria storica degli uomini.
“Avventura natalizia”: un racconto nel racconto
(Lettera a Tania – 26 dicembre 1927)

Si tratta di una lettera particolare: un racconto nel raccon-


to, scritta nel periodo natalizio durante la detenzione di
Gramsci nel carcere milanese.
Egli racconta a Tania due episodi: il primo legato al suo
presente e, quindi, alla sua difficile condizione di detenuto; il
secondo, invece, riguarda il passato, un divertente episodio
della sua adolescenza1.
Nella prima parte della Lettera, Gramsci descrive il giorno
di Natale all’interno del carcere: esso viene vissuto come un
“evento straordinario”, colmo di attese, di speranze, di slan-
ci…; un susseguirsi di attimi e di gesti che rendono tutto più
umano e vitale.
Ma, per molti, l’eccezionalità consiste soltanto in una ra-
zione di cibo diversa dal solito:

1
Nell’edizione L’albero del riccio di G. Ravegnani la lettera viene errone-
amente indirizzata a Delio e a Giuliano.

141
142 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Una porzione di pasta asciutta e un quarto di vino che l’ammini-


strazione passa tre volte all’anno invece della solita minestra: ma
che avvenimento importante è questo, tuttavia.
Non credere che io me ne diverta o ne rida. L’avrei fatto, forse,
prima di aver fatto l’esperienza del carcere. Ma ho visto troppe
scene commoventi di detenuti che si mangiavano la loro scodella
di minestra con religiosa compunzione, raccogliendo con la molli-
ca di pane anche l’ultima traccia di unto che poteva rimanere at-
taccata alla terraglia! Un detenuto ha pianto perché in una caserma
di Carabinieri, dove eravamo di transito, invece della minestra re-
golamentare, fu distribuita solo una doppia razione di pane; era da
due anni in carcere e la minestra calda era per lui il suo sangue, la
sua vita.
Si capisce perché nel Pater Noster è stato messo l’accenno al “pane
quotidiano”2.

Le parole di Gramsci esprimono una duplice tensione emo-


tiva: l’amarezza e lo sdegno per la reale durezza a cui sono sot-
toposti i detenuti; la profonda sofferenza che Egli prova per
quelle immagini che desidera cancellare dalla sua mente.
Tuttavia, quasi a voler dimenticare le sue angosce, decide di
raccontare un episodio “quasi natalizio della sua fanciullez-
za”…

Avevo quattordici anni e facevo la 3a ginnasiale a Santulussurgiu,


un paese distante dal mio circa 18 chilometri e dove credo esista
ancora un ginnasio comunale, in verità molto scalcinato.

2
LC.
“Avventura natalizia”: un racconto nel racconto 143

Con un altro ragazzo, per guadagnare 24 ore in famiglia, ci met-


temmo in istrada a piedi il dopo pranzo del 23 dicembre invece di
aspettare la diligenza del mattino seguente.
Cammina, cammina, eravamo circa a metà viaggio, in un posto
completamente deserto e solitario; a sinistra, un centinaio di metri
dalla strada, si allungava una fila di pioppi con delle boscaglie di
lentischi3.

Non mancano, nel racconto, elementi che sono propri della


fiaba:

Cammina cammina, la fila di pioppi con della boscaglia di lenti-


schi, gli spari ripetuti di un fucile, il silenzio della notte, la casa…

Lo scenario entro il quale si snodano le azioni creano una


sorta di suspense nel lettore, che si sente immerso in questo
viaggio avventuroso e fantastico, ma … colpo di scena:

Ci spararono un primo colpo di fucile in alto sulla testa; la pallot-


tola fischiò a una decina di metri in alto.
Credemmo a un colpo casuale e continuammo tranquilli. Un se-
condo ed un terzo colpo più bassi ci avvertirono subito che erava-
mo proprio presi di mira e allora di buttammo nella cunetta, rima-
nendo appiattiti per un pezzo.
Quando provammo a sollevarci, altro colpo e così per circa due o-
re… con una dozzina di colpi che ci inseguivano, mentre ci allon-
tanavamo strisciando, ogni volta che tentavamo di ritornare sulla

3
Ibidem.
144 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

strada. Certamente era una comitiva di buontemponi che voleva


divertirsi a spaventarci; ma che bello scherzo, eh?4

L’atteggiamento di Gramsci appare indubbiamente ironico


nei confronti del racconto («ma che bello scherzo, eh?»), ma
nel contempo dalle sue parole traspare una sorta di orgoglio
fanciullesco per aver condiviso “eroicamente” con il suo com-
pagno di viaggio il segreto di quella avventura natalizia:

Arrivammo a casa a notte buia, discretamente stanchi e infangati e


non raccontammo la storia a nessuno per non spaventare la fami-
glia, ma ci spaventammo granché, perché alle prossime vacanze di
Carnevale il viaggio a piedi fu ripetuto senza incidenti di sorta5.

E sottolineano fermamente la veridicità dell’evento.

Ma la storia è proprio vera; non è affatto una storia di briganti!6

4
Ibidem.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
“Che farò da grande?”
(Lettera a Tania – 2 gennaio 1928)

Questa Lettera, indirizzata alla cognata Tania, è un mirabile


intreccio tra presente e passato, fra la sofferenza dell’adulto
che vede i suoi sogni “ingabbiati” (vorrebbe, ma non riesce a
fare progetti per il futuro):

Bisognerebbe fare dei programmi di vita nuova, secondo l’usanza;


ma per quanto abbia pensato un tale programma non sono riuscito
a combinarlo

e le aspirazioni che accompagnano il bambino fin dai primi


anni di attività “raziocinante”.
Anche Gramsci da bambino sarà stato «grande architetto
dalle mani piccine che ha saputo mescolare l’acqua del desi-
derio con la terra della possibilità… senza mai rinunciare alla
fantasia»1 se, da adulto, attinge al suo passato e alla sua espe-
rienza scolastica per raccontare di “una questione ardua” che

1
M.R. Parsi, Pensiero Bambino, Mondadori, Milano 1991.

145
146 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

egli dovette affrontare all’età di otto anni e che pensò di risol-


vere scegliendo la professione del “carrettiere”.
«Nelle scuole elementari ogni anno, di questi tempi asse-
gnavano come tema di componimento la questione: “Che cosa
farete nella vita”».
Egli riteneva che la professione del carrettiere racchiudesse
in sé tutte le caratteristiche dell’utile e del piacevole:

Schioccava la frusta e guidava i cavalli, ma nello stesso tempo


compiva un lavoro che nobilitava l’uomo e gli procurava il pane
quotidiano.

Sono immagini che ritraggono luoghi, cose e persone che


appartengono a quel mondo semplice che ha fatto da cornice
all’infanzia di Gramsci.
Più tardi saranno aspirazioni e desideri mutevoli: vulnera-
bili e capricciosi come i pensieri dei bambini, come i loro
giochi e le loro fantasie…; e non ci sorprenderà se nella stessa
Lettera si legge che la più viva aspirazione di Gramsci–bam-
bino era quella di diventare un usciere di Pretura:

Perché in quell’anno era venuto nel mio paese, come usciere della
pretura, un vecchio signore che possedeva un simpaticissimo cagnet-
to nero sempre in ghingheri: fiocchetto rosso alla coda, gualdrappina
sulla schiena, collana verniciata, finimenti da cavallo in testa.

Ma dovrà rinunciare, non senza rammarico, ad essa perché


durante la Scuola Elementare il suo studio si era limitato alle
“Che farò da grande?” 147

nozioni di “diritti e doveri del cittadino” contenute nel libro


di testo, tralasciando la conoscenza degli “ottantaquattro arti-
coli dello Statuto”; tutto questo per lui era imperdonabile e
rendeva irrealizzabile anche il desiderio di possedere quel
meraviglioso cagnolino che rappresentava un tutt’uno con il
suo padrone, l’usciere di Pretura.

Io proprio non riuscivo a dividere l’immagine del cagnetto da quel-


la del suo proprietario e dalla professione sua. Eppure rinunziai,
con molto rammarico, a cullarmi in questa prospettiva che tanto
mi seduceva. Ero di una logica formidabile e di una integrità mora-
le da fare arrossire i più grandi eroi del dovere.
Sì, mi ritenevo degno di diventare usciere di pretura e, quindi, di
possedere cagnetti così meravigliosi: non conoscevo a memoria gli
84 articoli dello Statuto del regno!

Anche l’episodio riferito al corteo commemorativo al quale


Egli pure aveva partecipato, con in mano un lampioncino ve-
neziano, gridando insieme agli altri: «Viva il leone di Caprera!
Viva il morto di Staglieno!»2, lo aveva segnato profondamente
fino a renderlo consapevole dei propri limiti nell’ambito legi-
slativo.
Queste riflessioni lo spingeranno ad esaltare ancora una
volta le caratteristiche del semplice carrettiere che «può avere

2
Per tutti gli Italiani il “leone di Caprera” è Giuseppe Garibaldi e il “mor-
to di Staglieno” è Giuseppe Mazzini. Staglieno è il cimitero di Genova che
accoglie la tomba e il monumento a Mazzini.
148 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

un cane anch’egli, sia pure senza fiocchetto e senza gualdrap-


pa».
Nella parte conclusiva Gramsci affronta in modo serio e ri-
goroso la “formazione dell’uomo e del cittadino” intesa come
presa di coscienza delle problematiche che investono la socie-
tà: dalle Leggi costituzionali a quelle socio–economiche.
Avverte i limiti di una scuola rigida e precostituita nei Pro-
grammi, scarsamente ancorata alla realtà che crea inevitabili
ripercussioni negative in chi “ha una vigile coscienza del do-
vere” ed auspica che le “idee” possano tradursi in “azione” e la
“ricchezza inventiva” dell’uomo possa agire sulla realtà già e-
sistente, nel tentativo di modificarla.
«Cara Tania, ti pare che abbia un po’ menato il can per l’aia?
Ridi e perdonami».
È una citazione che traduce la profonda amarezza dello
scrittore, che può descrivere il rapporto che si instaura tra la
vita individuale e le “leggi storiche” che regolano e modifica-
no la realtà, ma avverte e sa di non poter realizzare progetti fu-
turi.
Invita Tania a sorridere ed intanto si rifugia nei ricordi del
passato, quasi a voler ripercorrere le attese e le speranze che
hanno caratterizzato la sua infanzia.
“Il topo e la montagna”
(Lettera a Giulia – 1° giugno 1931)

Il tema centrale di questa lettera è l’interesse di Delio per i


racconti di Puskin (1799–1837), uno dei massimi rappresen-
tanti della Letteratura russa, noto per il suo spirito libero ed
anticonformista, per il suo temperamento romantico, ma so-
prattutto per quella sua forza innovatrice nell’ambito lettera-
rio, capace di ritrarre con grande realismo il volto del mondo
russo, al punto da imporlo come modello classico a tutta la
cultura successiva:

Tania mi ha trasmesso l’“epistola” di Delio (adopero la parola più


letteraria) con la dichiarazione del suo amore per i racconti di Pu-
skin e per quelli che si riferiscono alla sua vita giovanile.
Mi è piaciuta molto e vorrei sapere se questa espressione l’ha pen-
sata Delio spontaneamente o se si tratta di una reminescenza lette-
raria. Vedo anche con una certa sorpresa che adesso tu non ti spa-
venti delle tendenze letterarie di Delio; mi pare che una volta eri
persuasa che le sue tendenze fossero piuttosto da… ingegnere che
da poeta, mentre ora prevedi che leggerà Dante addirittura con
amore.

149
150 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Io spero che non avverrà mai, pur essendo molto contento che a
Delio piaccia Puskin e tutto ciò che si riferisce alla vita creativa
che sbozzola le prime forme.

Gramsci affronta in modo ricorrente tematiche legate alla


creatività dei bambini e alla formazione dei giovani, preoccu-
pandosi di sottolineare la necessità che l’uomo, qualunque età
abbia, non sprofondi nella passività intellettuale.
Ribadisce l’importanza della lettura dei classici, pur soste-
nendo che occorre un certo distacco da parte del lettore se si
vogliono acquisire gradualmente quei valori estetici di cui essi
sono rappresentativi.
Dal suo punto di vista si ama il “proprio” poeta, si ammira
l’artista in generale; ma l’amore per la lettura, se pure è ade-
sione al contenuto ideologico della poesia, è anche, a mio av-
viso, quella sorta di “magia” che nasce tra l’autore ed il lettore
ed, ancora, è l’incanto che nasce dal susseguirsi delle parole
che scorrono sotto il nostro sguardo, stimolano i nostri sensi,
alimentano la nostra fantasia… e tutto prende corpo fino ad
apparire reale.
Anche il piccolo Delio predilige i racconti fantastici ed ama,
come tutti i bambini, correre sulle ali della fantasia, ma ciò, ag-
giunge Gramsci, non esclude che da grande egli possa diventare
un grande ingegnere o un costruttore di grattacieli…

Dunque, sono contento che Delio ami le opere di fantasia e fanta-


stichi anche per conto proprio; non credo che, perciò, egli non
possa diventare lo stesso un grande “ingegnere” costruttore di grat-
“Il topo e la montagna” 151

tacieli o di centrali elettriche, anzi. Puoi domandare a Delio, da


parte mia, quali racconti di Puskin ama di più; io veramente ne
conosco solo due: Il galletto d’oro e Il pescatore. Conosco, poi, la
storia della “catinella” con cuscino che salta come un ranocchio, il
lenzuolo che vola via, la candela che va balzelloni a nascondersi
sotto la stufa, ecc.; ma non è di Puskin.
Te ne ricordi?

È palese in Gramsci il continuo tentativo di costruire un


“ponte” tra la tradizione favolistica russa e quella sarda, e vi
riesce raccontando ai figli le “storie” ascoltate durante
l’infanzia:

Vorrei raccontare a Delio una novella del mio paese che mi pare
interessante. Te la riassumo e tu gliela svolgerai, a lui e a Giuliano.

Obbligato a tradurre l’oralità in scrittura, riesce a conserva-


re e a tradurre la struttura dinamica della narrazione e a “sin-
tetizzarla”nel racconto Il topo e la montagna:

Un bambino dorme. C’è un bricco di latte pronto per il suo risve-


glio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo il latte, strilla
e la mamma strilla. Il topo disperato si batte la testa contro il mu-
ro1, ma si accorge che non serve a nulla e corre dalla capra per a-
vere il latte.

1
Nell’edizione L’albero del riccio di G. Ravegnani c’è un errore di trascri-
zione: «e la mamma che non serve a nulla corre dalla capra per avere il lat-
te».
152 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Il protagonista della storia è dunque un topo, che inizial-


mente si appropria per istinto del latte del bambino, poi le ur-
la lo portano a pentirsi e a rimediare al danno causato.
L’azione del topo innesca una vera e propria catena di soli-
darietà:

La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla


campagna per l’erba e la campagna arida vuole acqua.
Il topo va alla fontana. La fontana è stata rovinata dalla guerra e
l’acqua si disperde: vuole il mastro muratore che la riattivi.
Il topo va dal mastro muratore: vuole le pietre. Il topo va dalla
montagna.

A questo punto la storia sta per trovare il suo epilogo e


Gramsci interviene a commentare l’incontro:

Avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata


disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza
terra. Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino
cresciuto ripianterà pini, quercie, [sic]castagni, ecc.

Il lettore si trova immerso in un racconto delicato e poeti-


co, in cui l’amore per la natura si intreccia e si armonizza con
la solidarietà fino a diventare poesia nel meraviglioso dialogo
tra il topo e la montagna che è stata disboscata da uomini sen-
za scrupoli e mostra ormai solo il suo scheletro.
Il topo, dunque, ipotizza un processo capace di ristabilire
l’equilibrio della natura attraverso una vera e propria catena di
solidarietà.
“Il topo e la montagna” 153

Così la montagna dà le pietre ecc.2 e il bimbo ha tanto latte che si


lava anche col latte.
Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della mon-
tagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa
regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai
torrenti di devastare la pianura ecc.

Insomma, il topo concepisce una vera e propria pjatiletka3.


È una novella propria di un paese rovinato dal disboscamento.
Il messaggio è facilmente comprensibile: tutto ruota attor-
no alla capacità di educare i bambini alla solidarietà, al rispet-
to e all’amore per la natura.
La forza del singolo, ma soprattutto la capacità di comuni-
care (si pensi al dialogo significativo tra il topo e la montagna)
possono attivare quei processi capaci di ricostruire il futuro
sulle macerie del passato.
Analizzando più a fondo questa “novellina” (come lo stesso
Gramsci la definisce) è facile cogliere in essa delle affinità con
altri generi letterari: con l’apologo, perché animali e cose ina-
nimate sono rappresentate come personaggi reali capaci di
trasmettere con vivacità ed immediatezza particolari messaggi
etici; con la parabola, perché di essa ha la semplicità e la capa-
cità di adombrare valori inseriti in un ordine universale e so-
prannaturale.

2
Metaforicamente si potrebbe considerare anche la “Teoria degli alimen-
ti” di Feuerbach.
3
Pjatiletka, in russo, “piano quinquennale”. In questo periodo (giugno
1931) Gramsci riceve l’estratto dell’“Economist” sul piano quinquennale so-
vietico.
“Caccia alle rane”
(Lettera a Giulia – 31 agosto 1931)

Una delle cose che più mi hanno interessato nella tua lettera
dell’8–13 agosto è la notizia che Delio e Giuliano si occupano di
acchiappare le rane.

Prima di analizzare il racconto, che potremmo definire un


divertente ed esaustivo trattato sulle “rane”, mi pare interes-
sante trascrivere la parte che lo precede, per il modo spiritoso
ed epigrammatico con cui Lady Nancy Astor1 affronta e giudi-
ca il comportamento degli adulti nei confronti dei bambini
russi.
Sembrerebbe che l’eccessiva ansia di vedere puliti i bambi-
ni negherebbe loro persino il tempo, e quindi la possibilità, di
insudiciarsi.
Ancora più divertente appare lo scrittore dell’articolo citato
da Gramsci quando esprime la sua preoccupazione nei con-
1
Nancy Astor (1879) fu la prima donna eletta alla Camera dei Comuni
(1919). Appartenente al partito conservatore, si occupò dei problemi sociali
della donna e dell’infanzia. Il viaggio nell’Unione Sovietica di Shaw, lord Lo-
thian e la Astor era avvenuto nella seconda quindicina di luglio di quello
stesso anno.

155
156 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

fronti di quei bambini che, sottoposti all’autoritarismo e alla


coercizione degli adulti, da adolescenti potrebbero tuffarsi nel
fango come reazione individuale liberatoria.
Gramsci, pur temendo che Giulia possa condividere le idee
di Lady Astor, guarda in modo positivo alla possibilità che i
figli, Delio e Giuliano, possano insudiciarsi per acchiappare
rane.

Qualche giorno fa ho visto in un articolo di rivista un giudizio di


lady Astor sul modo come in Russia sono trattati i bambini (lady
Astor accompagnò G.B. Shaw e lord Lothian nella loro recente e-
scursione): a quanto pare, dall’articolo, la sola critica che lady A-
stor muove al trattamento fatto ai bambini è questa: che i russi
sono talmente ansiosi di tener puliti i bambini, che non lasciano
loro neanche il tempo di insudiciarsi. […].
In ogni modo mi piace che Delio e Giuliano abbiano qualche op-
portunità di insudiciarsi acchiappando le rane. Vorrei sapere se si
tratta o no di rane commestibili, ciò che darebbe alla loro attività
di cacciatori un carattere pratico e utilitario da non disprezzarsi.

Le osservazioni di Gramsci hanno molte affinità con gli


studi sul “modo di vivere e di pensare” del pedagogista ameri-
cano John Dewey in merito a due concetti fondamentali: la di-
sciplina e la libertà.
Dewey considera la disciplina «qualcosa di positivo e di
costruttivo», allorquando si trasforma in «un potere di con-
trollo dei mezzi necessari per raggiungere un fine» e la defi-
nisce, senza dubbio, un «potere di valutazione e di controllo
dei fini».
“Caccia alle rane” 157

Inoltre sostiene che «l’acquisto di capacità implica pratica


ed esercizio che, tuttavia, non prendano forma di addestra-
mento privo di significato, bensì di una pratica dell’arte».
Le stesse considerazioni vengono fatte per la “libertà”, che
«non consiste nell’esplicare una non ostacolata ed ininterrotta
attività esterna, ma nel raggiungere qualcosa attraverso il su-
peramento, tramite la riflessione personale delle difficoltà che
ostacolano l’immediato sfogo nell’azione ed il successo spon-
taneo»2.
In entrambi gli autori è presente il rispetto per l’infanzia,
ma anche l’attenzione verso la funzione degli educatori.
L’educazione viene intesa da entrambi come “Filosofia del
vivere”, che persegue l’integrazione della teoria e della prassi.
Per Gramsci diventa fondamentale istituire «un tipo unico
di scuola preparatoria (elementare–media) che conduca il gio-
vane fino alla soglia della scelta professionale, formandolo 
nel frattempo  come uomo capace di pensare, di studiare, di
dirigere o di controllare chi dirige»3.
Gramsci, oltre ad essere un attento osservatore del mondo
dell’infanzia, in questo testo si dimostra anche un “virtuoso”
conoscitore di rane:

Non so se tu vorrai prestarti, perché probabilmente avrai contro le


rane le stesse aristocratiche prevenzioni di lady Astor (gli inglesi
chiamano sprezzatamene i francesi “mangiatori di rane”), ma do-

2
J. Dewey, Come pensiamo?
3
Q 4, § 55.
158 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

vresti insegnare ai bambini a distinguere le rane commestibili dalle


altre: quelle commestibili hanno il ventre completamente bianco,
mentre le altre hanno il ventre rossastro. Si possono prendere met-
tendo nella lenza, invece dell’amo, un pezzo di cencio rosso che es-
se addentano: bisogna avere un brocchetto e metterle dentro dopo
aver tagliato loro, con le forbici, la testa e le zampe.

e dell’arte culinaria, poiché fornisce autentiche indicazioni sul


modo di prepararle:

Dopo averle scuoiate, si possono preparare in due modi: per fare


del brodo squisito e in questo caso dopo averle bollite a lungo coi
soliti condimenti, si passano allo staccio in modo che tutto passi
nel brodo eccetto le ossa; oppure si friggono e si mangiano dorate
e croccanti.
In un caso o nell’altro sono un cibo molto saporito, ma special-
mente molto nutriente e di facile digestione.

Le argomentazioni di Gramsci terminano con una nota di-


vertente sul futuro dei suoi figli.
Egli sostiene che Delio e Giuliano potrebbero, fin dall’at-
tuale loro tenera età, entrare nella storia della cultura russa,
introducendo questo nuovo “alimento”, le rane, nel costume
popolare, facendo così realizzare parecchi milioni di rubli di
nuova ricchezza umana, togliendola al monopolio dei corvi,
delle cornacchie e delle serpi.
“L’albero del riccio”
(Lettera a Delio – 22 febbraio 1932)

Il suggestivo racconto de L’albero del riccio, contenuto in


una lettera indirizzata a Delio, è in realtà un episodio legato
all’infanzia di Gramsci, divenuto molto popolare nel secondo
dopo guerra1:

Io da ragazzo ho allevato molti uccelli e anche altri animali: falchi,


barbagianni, cuculi, gazze, cornacchie, cardellini, canarini, frin-
guelli, allodole, ecc.; ho allevato una serpicina, una donnola, dei
ricci, delle tartarughe.

Ancora una volta è evidente il tentativo, da parte dell’autore,


di accrescere l’amore e l’interesse di Delio per gli animali e
per la natura, come si evince sia dagli elementi paesaggistici
che fanno da cornice, sia dai protagonisti–animali che si avvi-
cendano in tutta la narrazione:

1
Di questo racconto l’emittente nazionale televisiva svedese SVT1 ha per-
sino realizzato una versione in cartone animato (L’albero del riccio, colore,
SVT Sverige Television prd. Stoccolma 1987. Regia e disegni animati marì
Marten–Bias).

159
160 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Ecco come ho visto i ricci fare la raccolta delle mele.


Una sera d’autunno quando era già buio, ma splendeva luminosa la
luna, sono andato con un altro ragazzo, mio amico, in un campo
pieno di alberi da frutto, specialmente di meli.
Ci siamo nascosti in un cespuglio, controvento.

Le parole gramsciane sussurrano a Delio l’avventura affa-


scinante di una notte senza tempo. Il racconto crea un rappor-
to di complicità tra padre e figlio e aumenta la tensione del-
l’attesa di sapere cosa accade nel campo:

Ecco, a un tratto, sbucano i ricci, cinque, due più grossi e tre pic-
colini. In fila indiana si sono avviati verso i meli, hanno girellato
tra l’erba e poi si sono messi al lavoro.

La descrizione di Gramsci è minuziosa, si sofferma anche


sui più piccoli particolari per soddisfare l’immaginazione del
figlio:

Aiutandosi coi musetti e con le gambette, facevano ruzzolare le


mele, che il vento aveva staccato dagli alberi, e le raccoglievano in-
sieme in uno spiazzetto, ben bene vicine una all’altra. Ma le mele
giacenti per terra si vede che non bastavano; il riccio più grande,
col muso per aria, si guardò attorno, scelse un albero molto curvo
e si arrampicò, seguito da sua moglie.

Le parole di Gramsci “disegnano” perfettamente tutte le se-


quenze delle azioni dei ricci sotto l’albero del melo. L’estrema
precisione nel descrivere la scena (i movimenti dei ricci,
“L’albero del riccio” 161

l’atmosfera notturna, ecc.) accentua il mistero della scoperta


della natura:

Si posarono su un ramo carico e incominciarono a dondolarsi rit-


micamente; i loro movimenti si comunicarono al ramo, che oscillò
sempre più spesso, con scosse brusche e molte altre mele caddero
per terra. Radunate anche queste vicino alle altre, tutti i ricci,
grandi e piccoli, si arrotolarono, con gli aculei irti, e si sdraiarono
sui frutti, che rimanevano infilzati: chi aveva poche mele infilzate
(i riccetti), ma il padre e la madre erano riusciti a infilzare sette o
otto mele per ciascuno. Mentre stavano ritornando alla loro tana,
noi uscimmo dal nascondiglio, prendemmo i ricci in un sacchetto e
ce li portammo a casa.

Ancora una volta Gramsci ricorre a momenti divertenti e al-


legri del passato per presentare ai suoi figli uno scorcio natu-
ralistico della Sardegna:

Io ebbi il padre e due riccetti e li tenni molti mesi, liberi nel cortile;
essi davano la caccia a tutti gli animaletti, blatte, maggiolini, ecc. e
mangiavano frutta e foglie d’insalata. Le foglie fresche piacevano lo-
ro molto e così li potei addomesticare un poco; non si appallottola-
vano più quando vedevano la gente. Avevano molta paura dei cani.
Io mi divertivo a portare nel cortile delle bisce vive per vedere co-
me i ricci le cacciavano. Appena il riccio si accorgeva della biscia,
saltava lesto lesto sulle quattro gambette e caricava con molto co-
raggio. La biscia sollevava la testa, con la lingua fuori e fischiava; il
riccio dava un leggero squittio, teneva la biscia con le gambette
davanti, le mordeva la nuca e poi se la mangiava pezzo a pezzo.
Questi ricci un giorno sparirono: certo qualcuno se li era presi per
mangiarli.
162 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Il racconto in questione rappresenta un mirabile esempio


di cooperazione intelligente e solidale tra esseri della stessa
specie: i ricci più grandi, guardandosi intorno, scelgono un al-
bero sul quale salire per scrollarlo e far cadere le mele.
Nei tre ricci si possono adombrare le sembianze di Antonio
e dei suoi figli. Ancora una volta Egli si serve della narrativa
non solo perché il ricordo di sé come padre rimanga vivo nei
figli, ma anche per continuare con loro quel dialogo che gli
consenta di “ristrutturare” il suo immaginario, ripercorrendo
le sensazioni, o per meglio dire, i vissuti della sua infanzia:

Ti scriverò un’altra volta sul ballo delle lepri e su altri animali, ti


voglio raccontare altre cose che ho visto e sentito da ragazzo: la
storia del polledrino, della volpe e del cavallo che aveva la coda so-
lo nei giorni di festa, la storia del passero e del kulak2, del kulak e
dell’asinello, dell’uccello tessitore e dell’orso, ecc.
Mi pare che tu conosci la storia di Kim; conosci anche le Novelle
della Giungla e, specialmente, quella della foca bianca e di Rikki–
Tikki–Tawi3?
E Giuliano è anche lui un udarnik4? Per quale attività?
Ti bacio Papà.

Un’ultima considerazione: i termini russi che spesso si ri-


scontrano nelle narrazioni di Gramsci hanno una duplice mo-
tivazione: la difficoltà di Delio e Giuliano, che vivono a Mo-
sca, nel comprendere la lingua italiana; e l’esigenza di coin-

2
In russo: contadino ricco.
3
Sono tutti titoli di fiabe e di libri scritti da Kipling.
4
In russo: lavoratore scelto, d’avanguardia.
“L’albero del riccio” 163

volgere Julca nel processo di crescita e di maturazione dei fi-


gli: «Perché puoi parlare loro secondo l’immagine che essi si
sono fatti di me»5.

5
LC.
“La volpe e il pulledrino”
(Lettera a Delio – 10 ottobre 1932)

Siamo all’interno di una lettera di Gramsci indirizzata di-


rettamente a Delio:

Ho saputo che sei stato al mare e che hai visto delle cose bellissime.
Vorrei che tu mi scrivessi una lettera per descrivermi queste bellezze. E
poi, hai conosciuto qualche nuovo essere vivente? Vicino al mare c’è
tutto un brulichio di esseri: granchiolini, meduse, stelle marine, ecc.

Gramsci trae spunto dalle immagini che Delio gli descrive


per via epistolare, per approfondire con lui tematiche legate
alla natura in generale e, nello specifico, al mare e alle mera-
vigliose creature che lo popolano.
Ed è proprio l’interesse che Delio mostra per il mondo
scientifico–naturalistico che lo spinge non solo a rivolgergli
ulteriori domande, ma anche a narrargli due nuovi racconti, al
fine di arricchire ulteriormente le sue conoscenze:

Molto tempo fa avevo promesso di scriverti alcune storie sugli a-


nimali che ho conosciuto io da bambino, ma poi non ho potuto.

165
166 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Adesso proverò a raccontartene qualcuna: per esempio, La storia


della volpe e del pulledrino. Pare che la volpe sappia quando deve
nascere un polledrino e sta in agguato. E la cavallina sa che la vol-
pe è in agguato. Perciò, appena il polledrino nasce, la madre si
mette a correre in circolo intorno al piccolo che non può muoversi
e scappare se qualche animale selvatico lo assale. Eppure si vedono
qualche volta, per le strade della Sardegna, dei cavalli senza coda e
senza orecchie. Perché? Perché appena nati, la volpe, in un modo o
nell’altro, è riuscita ad avvicinarsi ed ha mangiato loro lo coda e le
orecchie ancora molli molli.
Quando io ero bambino uno di questi cavalli serviva a un vecchio
venditore di olio, di candele e di petrolio, che andava di villaggio
in villaggio a vendere la sua merce (non c’erano, allora, cooperative
né altri modi di distribuire la merce), ma di domenica, perché i
monelli non gli dessero la biada, il venditore metteva al suo cavallo
coda finta e orecchie finte.

In questa prima narrazione Gramsci presenta gli aspetti ca-


ratteristici del mondo favolistico legato all’archetipo della
volpe: da una parte il coraggio della madre cavalla che difende
il suo “pulledrino”, e dall’altra l’astuzia della volpe che alle
volte ha il sopravvento: ancora una volta, di fronte agli occhi
di Delio, e ai nostri, si svolge l’eterna battaglia per la sopravvi-
venza. Il racconto è reso ancora più interessante, per il riferi-
mento autobiografico alla vita del villaggio: la domenica,
giorno di festa, viene ricordata attraverso le urla gioiose e
scherzose dei bambini che scorazzano liberamente, incuranti
del mondo adulto intriso, secondo il loro punto di vista, di
strane chiacchiere e di commercio.
“La volpe e il pulledrino” 167

Ora ti racconterò come ho visto la volpe per la prima volta.


Coi miei fratellini andai un giorno in un campo di una zia dove e-
rano due grandissime querce e qualche albero da frutta; dovevamo
fare la raccolta delle ghiande per dare da mangiare a un maialino.
Il campo non era lontano dal paese, ma tutto era deserto intorno
e si doveva scendere in una valle. Appena entrai nel campo, ecco
che sotto un albero era tranquillamente seduta una grossa volpe
con una bella coda eretta come una bandiera. Non si spaventò
per nulla; ci mostrò i denti, ma sembrava che ridesse, non che
minacciasse.
Noi bambini eravamo in collera che la volpe non avesse paura di
noi; proprio non aveva paura! Le tirammo dei sassi, ma essa si sco-
stava appena e poi ricominciava a guardarci beffarda e sorniona.
Ci mettevamo dei bastoni alla spalla e facevamo tutti insieme:
bum! Come fosse una fucilata, ma la volpe ci mostrava i denti sen-
za scomodarsi troppo.
D’un tratto si sentì una fucilata sul serio, sparata da qualcuno nei
dintorni. Solo allora la volpe dette un balzo e scappò rapidamente.
Mi pare di vederla ancora, tutta gialla, correre come un lampo su
un muretto, sempre con la coda eretta e sparire in un macchione.

Questo racconto, per i suoi aspetti descrittivi minuziosi e


realistici, riesce a trasmettere al lettore trepidazione ed e-
mozione: la prima creata dall’attesa di poter osservare la
volpe e la sua spettacolare coda; la seconda è quella sorta di
emozione che lo stesso Antonio, ancora bambino, aveva
provato nel trovarsi di fronte al fiero e beffardo animale:
«Appena entrati nel campo, ecco che sotto un albero era
tranquillamente seduta una grossa volpe, con la bella coda
eretta come una bandiera».
168 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

La narrazione raggiunge il suo apice con il “bum”: Gramsci


descrive la beffa ai danni dei bambini che vogliono imitare i
loro padri nella caccia alla volpe. Ma la magia di questo biz-
zarro mondo, che ruota attorno al gioco della volpe con i
bambini, scompare del tutto con la vera fucilata.
L’ultima immagine del fotogramma gramsciano è la coda
eretta della volpe che sparisce “in un macchione”, quasi ad e-
videnziare la sua vittoria sull’uomo.
Ancora una volta, il racconto si conclude con l’invito pater-
no ed affettuoso che Gramsci rivolge a Delio: «Carissimo De-
lio, raccontami ora dei tuoi viaggi e delle novità che hai visto».
“Lo scurzone”
(Lettera a Tania – 2 giugno 1930)

Ancora una volta, Gramsci scava nella sua memoria per ri-
portare alla luce immagini e vissuti della sua infanzia e lo fa
attraverso la narrativa. Le sue descrizioni, sempre molto atten-
te e ricche di particolari, tentano di offrire al lettore l’imma-
gine di un simpatico “animaletto”, lo scurzone, le cui origini
sono sconosciute e avvolte da mistero. Egli analizza questo
strano rettile con lo stesso rigore e medesimo procedimento
del quale si serve per discutere di Economia e Sociologia nei
Quaderni:

Sfogliando il piccolo Larousse1 mi è ritornato alla memoria un


problema abbastanza curioso.
Da bambino io ero un infaticabile cacciatore di lucertole e di serpi,
che davo da mangiare ad un bellissimo falco che avevo addomesti-
cato. Durante queste cacce [sic] nelle campagne del mio paese
(Ghilarza), mi capitò tre o quattro volte di trovare un animale

1
Larousse è il nome di un grande editore parigino. Ma qui si vuole indi-
care l’enciclopedia che, concepita e pubblicata appunto dal Larousse, ne pre-
se il nome. Tra le varie enciclopedie è una delle più antiche e celebri.

169
170 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

molto simile al serpe comune (biscia), solo che aveva quattro zam-
pette, due vicino alla testa e due molto lontane dalle prime, vicino
alla coda (se si può chiamare così): l’animale era lungo 60–70 cen-
timetri, molto grosso in confronto della lunghezza, la sua grossez-
za corrisponde a quella di una biscia di 1 metro e 20 o 1 metro e
50. Le gambette non gli sono molto utili, perché scappava stri-
sciando molto lentamente.
Al mio paese questo rettile si chiama scurzone, che vorrebbe dire scor-
ciato (curzu vuol dire corto) e il nome si riferisce certamente al fatto
che sembra una biscia scorciata (bada che c’è anche l’orbettino, che al-
la poca lunghezza unisce la proporzionata sottigliezza del corpo).

Questo racconto lo riporta all’epoca della scuola, a Santu-


lussurgiu, dove aveva frequentato le tre ultime classi del gin-
nasio, e gli pare di ricordare, come fosse un episodio recente,
la domanda che rivolse al professore di Storia Naturale (era
un vecchio ingegnere del luogo), sul nome dello scurzone in
lingua italiana. Il professore rise e gli rispose che si trattava di
un animale immaginario, l’aspide o il basilisco, e che non co-
nosceva nessun animale simile a quello.
Ricorda pure che alcuni compagni di Santulussurgiu spiega-
rono che nel loro paese scurzone era appunto il basilisco, e che
l’animale da lui descritto si chiamava coloru (col uber latino),
mentre la biscia si chiamava colora al femminile, ma il profes-
sore aggiunse che si trattava di superstizioni legate al mondo ru-
rale e contadino e che non esistevano bisce con le zampe. Non a
caso Gramsci nel suo racconto fa riferimento alla scuola, vista
come luogo in cui si incontrano la cultura “nozionistica” del-
l’insegnante e la cultura popolare degli studenti.
“Lo scurzone” 171

Un esempio di intreccio tra due “civiltà” diverse, quella cit-


tadina e quella rurale, e tra due mondi, quello dello studente,
dalla fervida immaginazione, e quello dell’insegnante, che
troppo spesso dimentica di essere stato egli stesso bambino:

Tu sai come faccia rabbia a un ragazzo sentirsi dar torto quando


invece sa di aver ragione o addirittura essere preso in giro come
superstizioso in una questione di cose reali; penso che a questa re-
azione contro l’autorità messa a servizio dell’ignoranza sicura di se
stessa è dovuto, se ancora mi ricordo, l’episodio.

Le riflessioni di Gramsci evidenziano la capacità dello stu-


dente di ribellarsi alle spiegazioni superficiali e, talvolta, erra-
te degli adulti–educatori, che con queste “strategie” tentano di
mascherare i loro vuoti culturali, incuranti di mortificare la
sete di conoscenza che anima tanti ragazzi.
Infatti, nella seconda parte del racconto, Gramsci da una
parte ribadisce che le sue conoscenze non nascono da super-
stizioni popolari, dall’altra ricorre a testi di specifico contenu-
to scientifico — Larousse — per fornire reali informazioni sul-
lo scurzone. Si può anticipare che ciò che ne viene fuori è una
minuziosa ed interessante lezione di scienze.

Al mio paese, poi, non avevo mai sentito parlare delle qualità ma-
lefiche del basilisco–scurzone, che però in altri paesi era temuto e
circondato di leggende. Ora, appunto, nel Larousse ho visto nella
tavole dei rettili uno sfuriano, il seps, che è appunto una biscia con
quattro zampette (il Larousse dice che abita la Spagna e la Francia
meridionale, è della famiglia degli scincidés il cui rappresentante
172 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

tipico è lo scinque (forse il ramarro?). La figura del seps non corri-


sponde molto allo scurzone del mio paese: il seps è una biscia rego-
lare, sottile, lunga, proporzionata, e le zampette sono attaccate al
corpo armonicamente; lo scurzone, invece, è un animale repellente:
la sua testa è molto grossa, non piccola come quella delle bisce
[sic]; la “coda” è molto conica; le due zampette d’avanti sono trop-
po vicine alla testa e sono, poi, troppo lontane dalle zampe di
dietro; le zampe sono bianchicce [sic], malsane, come quelle del
proteo e danno l’impressione della mostruosità, dell’anormalità.
Tutto l’animale, che abita in luoghi umidi (io l’ho sempre visto do-
po aver rotolato grossi sassi), fa un’impressione sgraziata, non co-
me la lucertola e la biscia, che a parte la repulsione generica
dell’uomo per i rettili sono in fondo eleganti e graziose.
Vorrei ora sapere della tua sapienza di storia naturale, se questo a-
nimale ha un nome italiano o se è noto che in Sardegna esiste questa
specie che deve essere della stessa famiglia del seps francese. È pos-
sibile che la leggenda del basilisco abbia impedito di ricercare l’ani-
male in Sardegna; il professore di Santulussurgiu non era uno stupi-
do, tutt’altro, ed era anche molto studioso; faceva collezioni minera-
logiche ecc., eppure non credeva che esistesse lo scurzone come real-
tà molto pedestre, senza alito avvelenato e occhi incendiari.
Certo questo animale non è molto comune: io l’ho visto non più di
una dozzina di volte e sempre sotto dei massi, mentre bisce [sic]
ne ho viste a migliaia senza bisogno di muovere sassi.

Questi riferimenti di Gramsci possono considerarsi dei veri


e propri “trattati” di storia naturale. Le descrizioni finemente
curate e particolareggiate, dimostrano l’attenzione e la curiosi-
tà dell’uomo verso il misterioso e fantastico mondo della na-
tura.
“Barbabucco: uno strano animale”
(Lettera a Delio – novembre 1936)

Gramsci spiega a Giuliano che per disegnare bene non basta


applicarsi, è altresì importante osservare attentamente ciò che
si vuole riprodurre perché esso risulti fedele all’originale:

Io da ragazzo disegnavo molto, ma i disegni erano piuttosto lavoro


di pazienza; nessuno mi aveva insegnato.
Riproducevo, ingrandendoli, le figure e i quadretti di un giornali-
no. Cercavo anche i colori fondamentali con un mio sistema non
difficile, ma che domandava molta pazienza.

Anche in questo caso Gramsci fa ricorso ad un’esperienza


della sua infanzia per avvalorare la sua tesi, ma anche per pre-
sentare un nuovo racconto: Il caprone Barbabucco.
Si tratta di una descrizione briosa e divertente di un qua-
dretto, che gli era costato tre mesi di lavoro, che ritrae un con-
tadinello che, vestito di tutto punto, era caduto in un tino pie-
no d’uva, pronta per la pigiatura, e una simpatica contadinella
grassottella, che lo osservava impaurita e divertita nello stesso
tempo.

173
174 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Il quadretto apparteneva a una serie di avventure in cui il


protagonista era il terribile caprone Barbabucco che, improv-
visamente, rincorreva e metteva in fuga gli altri animali e i ra-
gazzi che lo schernivano.
Nella lettera spiega le modalità con cui si divertiva a in-
grandire qualsiasi piccolo disegno: «misure col doppio deci-
metro e col compasso, prove riprove con la matita, ecc.».
L’abilità di Antonio stupiva anche la sua famiglia, egli infat-
ti ricorda con nostalgia, ma anche con amarezza che i fratelli e
le sorelle lo osservavano e ridevano, per poi lasciarlo ai suoi
disegni mentre loro riprendevano i loro giochi, correndo e
gridando.
In queste ultime riflessioni si coglie quel senso di solitudi-
ne e di abbandono che caratterizzano alcuni momenti dell’in-
fanzia in cui, spesso, ci si sente soli e inadeguati rispetto al
mondo dei “grandi” e, talvolta, sgomenti davanti all’immensità
dell’universo.
“Un evento drammatico”∗
(Lettera a Tania – 30 gennaio 1933)

Non mancano fra i suoi scritti, dedicati ai bambini in gene-


rale e, in particolare, ai figli e ai nipoti, burleschi raccontini
infantili che evidenziano in modo singolare quel gusto figura-
tivo che Egli stesso afferma di preferire sin da bambino, allor-
quando si divertiva a scrivere e ad illustrare le vicende del ter-
ribile Caprone Barbabucco.
Si tratta di produzioni semplici e ricche dal punto di vista
dell’immaginazione che, oltre a rievocare la sua infanzia lon-
tana e ad assumere una funzione liberatoria e consolatoria
verso se stesso, riescono a divertire i suoi piccoli interlocuto-
ri.
I primi racconti di contenuto ghilarzese sono quelli che
narra alla cognata Tania.
Da essi traspare la triste condizione della realtà carceraria e
nello stesso tempo le sofferenze fisiche e psicologiche del car-
cerato.


Edizione parziale in Lettere, pp. 220–221.

175
176 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

Come un passero al quale viene tolta la libertà di spiccare


voli, e che inizialmente si dibatte con forza contro le sbarre di
quella gabbia nella quale è rinchiuso e lotta per non farsi ad-
domesticare, così Gramsci appare nella lettera n. 40 dell’8 a-
gosto 1927, indirizzata a Tania.
Quel passerotto all’inizio «molto fiero e di grande vivacità»
(racconto già analizzato), è consapevole che ci sarà un mo-
mento in cui non avrà più la forza di ricordare e raccontare di
sé, della sua infanzia vissuta a Ghilarza, ed allora pensa di rac-
contare ciò che ha avuto modo di vedere e che neppure il
tempo è riuscito a mitigare per la drammaticità dell’evento di
cui è stato spettatore:

Quando avevo 8 o 9 anni ho avuto una esperienza che mi è ritor-


nata chiaramente alla memoria leggendo il tuo consiglio.
Conoscevo una famiglia di un villaggio vicino al mio, padre, madre
e figlioli: erano piccoli proprietari ed esercivano un’osteria. Gente
energica, specialmente la donna. Sapevo (avevo sentito dire) che
oltre ai figli noti e conosciuti, questa donna aveva un altro figlio
che non si vedeva mai, del quale si parlava con sospiri come di una
gran disgrazia per la madre, un idiota, un mostro, o giù di lì. Ri-
cordo che mia madre accennava spesso a questa donna come ad
una martire, che tanti sacrifizi faceva per questo suo figlio e tanti
dolori sopportava.
Una domenica, verso le 10, io fui inviato da questa donna; dovevo
consegnarle certi lavori di uncinetto e riscuotere dei denari. La tro-
vai che chiudeva l’uscio di casa, vestita di festa per recarsi alla messa
solenne: aveva una sporta sotto il braccio. Al vedermi esitò un poco,
poi si decise. Mi disse di accompagnarla a un certo luogo […].
“Un evento drammatico” 177

Mi condusse fuori paese in un orticello ingombro di rottami e cal-


cinacci; in un angolo c’era una costruzione ad uso porcile, alta un
metro e venti, senza finestre o sportelli, con solo una robusta por-
ta di ingresso. Aprì la porta e subito si sentì un mugolio bestiale:
c’era dentro il suo figlio, un giovane di diciotto anni, di comples-
sione molto robusta, che non poteva stare in piedi e perciò stava
sempre seduto e saltellava sul sedere verso la porta, per quanto
glielo consentiva una catena che lo stringeva alla cintola ed era as-
sicurata a un anello infisso al muro.
Era pieno di sozzura, solo gli occhi rosseggiavano come quelli di
un animale notturno.
La madre gli rovesciò in un truogolo di pietra il contenuto della
sporta, del mangime misto di tutti gli avanzi di casa e riempì
d’acqua un altro truogolo, poi chiuse e andammo via.
Non dissi niente a mia madre di ciò che avevo visto, tanto ero ri-
masto impressionato e tanto ero persuaso che nessuno mi avrebbe
creduto. Neanche quando sentii parlare ancora dei dolori di quella
povera madre intervenni per correggere l’impressione e parlare del-
la disgrazia di quel povero relitto umano capitato con una madre
simile. D’altronde, cosa poteva fare quella donna?
Come vedi, è possibile fare dei paragoni concreti e consolarsi alla
maniera di Candido.

Ritengo che nessun lettore, giovane o adulto, riesca a rima-


nere indifferente di fronte alla tragedia umana e morale nella
quale, inconsapevolmente, si è imbattuto il piccolo Antonio.
Lo si evince dalla descrizione minuziosa con cui Egli rac-
conta quella realtà agghiacciante che ha dell’incredibile e di
cui rimase talmente sconvolto e addolorato da non avere né il
coraggio, né la forza di parlarne con sua madre.
178 P ARTE IV – Racconti d’infanzia, ricordi e storie sarde

È pietas o rifiuto di giudicare uomini e situazioni?


A mio modesto giudizio entrambe le motivazioni coesisto-
no nel nostro pensatore; anche se, nel caso citato, con quel
«povero relitto umano capitato con una madre simile». Egli
non riesce a nascondere quella sorta di indignazione mista a
dolore, che prova qualsiasi lettore verso i comportamenti di-
sumani di questa madre, che agli occhi dei “paesani”, che i-
gnorano la verità, appare una madre martire e addolorata, che
si sacrifica e soffre per il figlio sventurato.
PARTE QUINTA

Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

179
Antonio Gramsci, maestro di pensiero e di vita,
al di sopra di ogni schema ideologico

Oggi, a distanza di tempo, mi accorgo che il mio interesse


per quel maestro di pensiero e di vita, capace di andare al di là
di ogni schema ideologico, non si esaurisce soltanto nella ri-
cerca teorica, né nello studio più o meno approfondito dei
Quaderni, delle Lettere e di altri suoi scritti ma va oltre, fino a
spingermi ad intraprendere un viaggio verso quei luoghi che
l’hanno visto bambino prima, e adolescente e giovane poi: da
Ales a Ghilarza, paesino sperduto a pochi chilometri da Ori-
stano, a Santulussurgiu, a Cagliari…
È innegabile il fascino che la Sardegna, da sempre, esercita
sul visitatore, ma io sono lì non per la bellezza paesaggistica,
non per quel mare dalle acque limpide e cristalline, né per gli
antichi Nuraghi sparsi qua e là; sono lì perché voglio scoprire
qualcosa di più della sua terra, della sua vita, della sua gente,
fino a risalire alle sue radici.
Per un momento mi sento un piccolo esploratore alla ricer-
ca delle pepite d’oro… mentre mille pensieri affiorano nella
mia mente, un po’ come le onde del mare che, nelle giornate

181
182 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

di brezza, vanno, vengono, si rincorrono, si infrangono fino a


svanire per cedere il posto a sentimenti che trovano le loro ra-
gioni nel passato: tristezza e malinconia per quella “infanzia
negata” al piccolo Antonio dalle sofferenze fisiche e dalle pri-
vazioni economiche; orgoglio e ammirazione per il “giovane
Antonio” che, attraverso un linguaggio semplice, ma pur sem-
pre incisivo e diretto, aveva saputo conciliare, perfettamente e
con eguale intensità, affetti e ragioni politiche, al di là dei li-
miti posti dalla censura degli uomini, dall’angusta prigione,
dall’inesorabile scorrere del tempo.
Il sobbalzare della piccola automobile mi riporta alla realtà
e sposta la mia attenzione su quei luoghi tanto simili a quelli
della mia infanzia: Ghilarza, con le sue stradine strette e tor-
tuose, dai vicoli e balconi abbelliti da piante e fiori multicolo-
ri, nessun vocìo di bimbi, né quel frastuono assordante che ca-
ratterizza le grandi metropoli (forse perché è settembre e la
gente si è riversata nei luoghi di villeggiatura); pochi vecchi
seduti sui muretti o accanto all’uscio della propria abitazione
intenti a conversare…; alcuni passanti rallentano il passo e per
qualche momento si fermano per osservarmi, ne intuisco la
ragione: si chiedono chi possa essere “quella curiosa scono-
sciuta” che si aggira per quelle strade ed osa scrutare negli an-
goli più nascosti della loro terra, quasi a voler leggere tra le
pieghe della loro anima per saperne di più.
Ed ancora volti rugosi segnati dal tempo, dallo sguardo dif-
fidente che s’illumina d’improvviso quando, sorridendo, li av-
vicino e dico loro che sono lì per Antonio Gramsci, per scrive-
Antonio Gramsci, maestro di pensiero e di vita 183

re di Lui e della sua gente, ma soprattutto per conoscerlo me-


glio attraverso le loro testimonianze.
Allora tutto si vivacizza e ciascuno desidera raccontare ciò
che sa, ciò che ricorda: si esprimono in dialetto sardo ma rie-
sco ugualmente a seguire i loro discorsi e ad avere delle indi-
cazioni utili.
Gramsci per loro non era piccolo, era un gigante che aveva
tentato di uscire dal guscio sardo per superare il modo di vive-
re e di pensare arretrato, tipico della Sardegna del primo No-
vecento, per approdare ad un pensiero nazionale ed europeo.
Il merito maggiore che gli riconoscono risiede non solo nelle
sue idee e nella sua intelligenza, ma nella capacità di andare
oltre ogni ideologia, per parlare a tutti, pur mantenendo la sua
identità politica.
Alcuni mi parlano delle difficoltà economiche in cui la fa-
miglia Gramsci era venuta a trovarsi in seguito alle disavven-
ture giudiziarie del padre Francesco, altri sottolineano, con
una sorta di riverente ammirazione, il coraggio della madre
che, con grande dignità, aveva affrontato e risolto i numerosi
problemi esistenziali che quotidianamente la famiglia si tro-
vava a vivere.
Non mancano riferimenti al legame affettivo di Antonio
con il resto della famiglia e, in particolare, con la sorella Tere-
sina ed il fratello Gennaro.
Vorrei poterne sapere di più, ma si è fatta sera e devo con-
gedarmi da loro per continuare il mio viaggio. In segno di a-
micizia stringo loro le mani: la diffidenza, ormai scomparsa
184 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

dai loro volti, cede il posto a timidi sorrisi e nei loro sguardi si
può scorgere una sorta di celata commozione.
Mi allontano, ma posso ancora scorgere le loro figure e le
loro mani che salutano in segno di gratitudine per l’attenzione
e l’interesse con cui avevo ascoltato i loro racconti.
Dalla casa–museo di Ghilarza: documenti, materiale
iconografico, oggetti… attraverso le immagini ∗

Nella via principale di Ghilarza, a pochi chilometri da Ori-


stano, sorge la casa dove Antonio Gramsci, a partire dal 1898,
trascorse gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.
Sono passati settanta anni dalla sua morte (27 aprile 1937)
e benché la casa abbia subito, al suo interno, modifiche strut-
turali che ne hanno mutato l’uso e la destinazione, non sfugge
all’attento visitatore che si sofferma ad osservare “quanto è
racchiuso fra quelle mura” l’immagine ancora viva e palpitan-
te di un’antica famiglia che, nonostante le difficoltà economi-
che e le avversità della vita, continuò a credere e a trasmettere
quei valori fondamentali di cui sono permeati gli scritti gram-
sciani.


Le testimonianze sono state raccolte, trascritte e incise su un nastro,
oggi custodito nella Biblioteca della Casa Gramsci, da Mimma Paulesu Quer-
cioli, figlia di Teresina Gramsci. I documenti, il materiale iconografico e gli
oggetti riportati nel testo sono stati fotografati durante la mia visita alla Casa–
Museo Gramsci e la mia permanenza in Sardegna, alla ricerca dei luoghi
che hanno visto Gramsci bambino prima, e giovane studente poi (Ales, Ghi-
larza, Santulussurgiu, ecc.).

185
186 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Casa–Gramsci conserva ancora quella semplicità e quella


dignità che caratterizzano la gente sarda. Dal punto di vista
strutturale l’abitazione si sviluppa su due piani e si affaccia ol-
tre che sulla via principale anche su una strada secondaria.
Dall’ingresso al piano terra, si entra nella sala, un tempo “la
camera buona” della famiglia Gramsci; in essa, su una parete,
è riprodotta una copia anastatica della Lettera che Gramsci
scrisse alla madre nel maggio del 1928, ricordando di essere
un detenuto politico per non aver voluto mutare le sue opi-
nioni (espressione che evidenzia la forza delle idee e la coe-
renza che accompagneranno Gramsci per tutta la vita).
Egli non ha nulla di cui vergognarsi; scrive ancora: «Vorrei
tanto abbracciarti stretta, stretta perché sentissi quanto ti vo-
glio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti
ho dato, ma non potevo fare diversamente. La vita è così, mol-
to dura e i figli qualche volta devono dare grandi dispiaceri al-
le loro mamme, se vogliono conservare il loro onore, e la loro
dignità di uomini». Sono parole di alta poesia che esprimono
la sofferenza di Gramsci nell’aver cagionato alla madre tanto
dolore e nello stesso tempo testimoniano il suo profondo
rammarico per l’impossibilità di poterla consolare con un ab-
braccio.
Ancora una volta l’onore e la dignità umana hanno il so-
pravvento sull’amore.
Dall’ingresso si accede anche alla cucina di un tempo, dal
soffitto “a cannitzada” tipico delle antiche case sarde e con il
pozzo nascosto dietro uno sportello; oggi quella cucina è di-
Dalla casa–museo di Ghilarza 187

ventata luogo di incontro e di studio dotata di un grande tavo-


lo e di sedie.
L’antica cucina conduce alla biblioteca (ove sono custoditi
migliaia di volumi riguardanti la storia del movimento ope-
raio in Sardegna e nel mondo, nonché le opere di Gramsci
tradotte in varie lingue) e consente anche l’accesso al cortile
con le sue aiuole delimitate da sassi e tegole, dove ancora oggi
si possono ammirare rose e ortensie e sentire il profumo della
mentuccia e dell’alloro, un tempo luogo di giochi di Gramsci e
dei suoi fratelli. Non sfugge il piccolo spazio adibito a ufficio
che un tempo era “sa domo e su forru” (la casa del forno).
Attraverso una scala si accede al piano superiore dove è
possibile ammirare nelle varie stanze fotografie, effetti perso-
nali, articoli di giornali, certificati di studio… Si tratta di un
vero itinerario didattico che ripropone le tappe più significa-
tive della vita di Gramsci, elaborato da Elsa Fubini, curatrice
con Caprioglio de “le Lettere dal carcere”, Edizione Einaudi.
L’acquisizione di preziosi documenti e testimonianze, la lo-
ro sistemazione e la gestione della Casa, sono opera di Diddi e
Mimma Paulesu, figlie della sorella Teresina: grazie a loro og-
gi possiamo godere di questo prezioso patrimonio storico–
culturale.
Fra le stanze situate al piano superiore vi è la camera da let-
to dalla piccola finestra che dà sul cortile; essa conserva un ar-
redamento estremamente semplice ed essenziale: un antico
letto ricoperto da una linda coperta bianca, un comodino, un
cassettone, un lavabo dal supporto in ferro battuto.
188 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Sempre sullo stesso piano, vi è una sala nella quale sono di-
sposte delle teche che custodiscono effetti personali, fotogra-
fie, libri e vari oggetti usati da Gramsci durante la sua deten-
zione; non mancano oggetti che ricordano la sua adolescenza
come pure documenti, articoli di giornali e lettere che testi-
moniano il suo impegno giornalistico e politico.
La stessa stanza custodisce una nastroteca, preziosa per le
testimonianze orali di illustri antifascisti che condivisero con
Gramsci l’esperienza politica e la carcerazione: le voci di Per-
tini, Silone, Terracini ed altri.
Casa–Gramsci venne acquistata dal PCI nel 1965 e trasfor-
mata in Centro di Documentazione e Ricerca sull’opera gram-
sciana e sul movimento operaio, con il concorso di intellettua-
li e uomini di cultura sarda. All’inizio degli anni Ottanta venne
restaurata grazie al contributo di numerosi studiosi e artisti
nonché ex partigiani che avevano instaurato un valido rappor-
to di collaborazione con la già esistente Associazione “Amici
della Casa–Gramsci”. Oggi la Casa Museo rappresenta un im-
portante centro di documentazione, di ricerca e di attività
culturali di cui possono fruire visitatori e studiosi di tutto il
mondo per conoscere e approfondire l’opera e il pensiero di
Antonio Gramsci.
Dalla casa–museo di Ghilarza 189

Ales, la casa ove è nato A. Gramsci.

«In una modesta casa a due piani, di tufo grigio, battuta dai venti che dal
Monte Arci calano verso la Piana del Campidano, nacque Antonio Gram-
sci il 22 gennaio del 1891».
190 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Il liceo–ginnasio nel quale Gramsci frequentò le ultime classi ginnasiali


(dal 1908 al 1911 Gramsci frequenterà il Liceo “Dettori” di Cagliari).
Dalla casa–museo di Ghilarza 191

Ghilarza, Casa Gramsci, dal 1965 “Casa Museo di Antonio Gramsci”.


192 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Casa Museo Gramsci, ingresso e mappa.


N.B.: Le foto e le immagini che seguono state riprese nella Casa Museo.
Dalla casa–museo di Ghilarza 193

Camera da letto di A. Gramsci.


194 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Riproduzione del tipico carro sardo, ancora usato a quei tempi, costruito
per Giulia durante il soggiorno nel sanatorio Sieriebrianibor (Mosca) nel
1922. Donato al museo dal figlio Giulio e collocato in una teca posta
nell’ingresso della casa.
Dalla casa–museo di Ghilarza 195

La Sala “buona” con copia anastatica della lettera scritta da Gramsci per
la madre (maggio 1928).

La biblioteca.
196 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Una delle teche e, sotto, la nastroteca.


Dalla casa–museo di Ghilarza 197

Teche con immagini e oggetti vari.


198 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Teca con scatole di sigarette, fiammiferi, medicinali.


Dalla casa–museo di Ghilarza 199

Teca con vari oggetti e foto.


200 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Altre teche con foto e oggetti vari.


Dalla casa–museo di Ghilarza 201

Teca con una lettera al padre Francesco.


202 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Antonio Gramsci bambino


in braccio alla madre Giuseppina Marcias.
Dalla casa–museo di Ghilarza 203

Giulia Schucht.
Sposò Gramsci a Mosca nel 1924.
204 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Tatiana Schucht, cognata di Gramsci.


Dalla casa–museo di Ghilarza 205

Giulia con i figli Delio e Giuliano.


206 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

La sorella Teresina.
Dalla casa–museo di Ghilarza 207

Teca con il “Certificato degli Esami di Proscioglimento


dall’obbligo dell’Istruzione Elementare inferiore” (24 luglio 1901).
208 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Il primo numero dell’“Ordine Nuovo”: 1° maggio 1919.

«Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza


Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo
Organizzatevi perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».
Dalla casa–museo di Ghilarza 209

Lettera alla madre del 6 giugno 1927.


210 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Antonio Gramsci (ultimo a destra vicino a un insegnante)


al ginnasio di Santulussurgiu.
Dalla casa–museo di Ghilarza 211

Gramsci a Mosca fra i delegati


del IV Congresso dell’Internazionale Comunista.
212 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

Gramsci a Vienna nel 1923.


Dalla casa–museo di Ghilarza 213

Ustica, 1927, Gramsci con un gruppo di confinati.


214 P ARTE V – Da “un’inviata speciale”: idee, immagini, emozioni

La casa di pena di Turi.


Dalla casa–museo di Ghilarza 215

Cella della casa di pena di Turi.


Bibliografia

Testi e pubblicazioni

Aa.Vv., Antonio Gramsci, l’Unità, Roma 1987.


Aa.Vv., Gramsci e la cultura contemporanea, Editori Riuniti, Roma 1969.
Aa.Vv., Letture di Gramsci, a cura di A. Santucci, Editori Riuniti, Roma.
Bettelheim B., Il Mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1984 (titolo origi-
nale The use of enchantment, the meaning and the importance of fairy
tales, Alfred a. Knopf, New York 1976).
Bettica R., Pensieri di pedagogia nelle Lettere dal carcere, in «Nuova Rivista
pedagogica», n. 5–6, 1953.
Boero P., De Luca C., La letteratura per l’infanzia, Laterza, Bari 1995.
Borghese L., Tia Alene in bicicletta, in «Belfagor», 64, 1953.
Cambi F., Cives G., Il bambino e la lettura, ETS, Firenze 1996.
Croce B., La letteratura della nuova Italia, Bari 1938 (I edizione economi-
ca 1974).
Dewey J., Democrazia ed Educazione, La Nuova Italia.
—, Scuola e società, Nuova Italia Editrice, Firenze 1942 (titolo originale
The school and society, University of Chicago Press, Chicago 1915).
Faeti A., Letteratura per l’infanzia, Nuova Italia Editrice, Firenze 1977.
Fiori G., Vita attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1994.
—, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari 1981.
Gobetti P., Scritti politici, Einaudi, Torino 1960.

217
218 Bibliografia

Gramsci A., C’era una volta… Le più belle favole dei fratelli Grimm, Editori
Riuniti, Roma 1987.
—, L’albero del riccio, fiabe presentate da G. Ravegnani, Editori Riuniti,
Roma 1966.
—, Favole di libertà, a cura di E. Fubini e M. Paulesu, Vallecchi, Firenze
1980.
—, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Einaudi, Torino
1973.
—, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
—, Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Einaudi, Torino.
Lombardi F.V., Idee pedagogiche di A. Gramsci, La Scuola, Brescia 1969.
—, Problemi di pedagogia nel pensiero di A. Gramsci, in «Pedagogia e vi-
ta», 6, 1965.
Makarenko A.S., Consigli ai genitori, Roma 1952.
Manacorda M.A., Il principio educativo in Gramsci, Armando, Roma
1970.
Manacorda G., Muscetta C., Gramsci e l’unità della cultura, in «Società»,
1, 1954.
Marx K., Engels F., Scritti sull’arte, Laterza, Bari 1976.
Mastellone S., Gramsci: i Quaderni del carcere. Una riflessione politica in-
compiuta, UTET, Torino 1997.
Meocci A., Gramsci e i bambini, in «Rinascita», 8–9, 1951.
Natta A., Problemi della scuola negli scritti di A. Gramsci, in «Società», 4,
1957.
Panfili O., Gramsci e il suo pensiero in rapporto alla scuola e alla pedago-
gia, in «Problemi della pedagogia», 5–6, 1964.
Pasolini P.P., Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 1957.
Paulesu Quercioli M., Gramsci vivo, Feltrinelli, Milano 1977.
Paulesu Quercioli M., Forse rimarrai lontana…, Albatros–Editori Riuniti,
Roma 1987.
Propp V., Morfologia della fiaba, Newton & Compton, Roma 1976.
Bibliografia 219

—, Le radici storiche dei racconti di magia, Newton & Compton, Roma


1977.
Salinari C., Spinella M., Il pensiero di Gramsci, Editori Riuniti, Roma.
Santucci A., Le opere, Editori Riuniti, Roma 1997.
Spriano P., Gramsci e Gobetti, Einaudi, Torino 1967.
Zappa F., Raicich M., Lombardo Radice L., Bertoni Jovine D., Gramsci e
i problemi dell’educazione, in «Riforma della scuola», 5, 1961.

Convegni, atti e relazioni

Studi gramsciani. Atti del convegno (Roma, 11–13 gennaio 1958), Editori
Riuniti, Roma 1958.
Gramsci e la cultura contemporanea. Atti del convegno internazionale (Ca-
gliari, 23–27 aprile 1967), Editori Riuniti, Roma 1970.
Politica e storia in Gramsci. Atti del convegno internazionale (Firenze, 9–11
dicembre 1977), Editori Riuniti, Roma 1977.
Gramsci nel mondo. Atti del convegno internazionale (Formia, 25–28 otto-
bre 1989), Fondazione Istituto Gramsci, 1995.
Convegno su Gramsci dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (Roma, 21
novembre 2002).
Gramsci, le dimensioni della politica (Ghilarza, 2 maggio 2004).
Gramsci: cultura, educazione, scuola (Torino, 23 aprile 2007).
Le lingue di Gramsci e delle sue opere. Scrittura, riscritture, letture in Italia e
nel mondo (Sassari, 24–26 ottobre 2007).
Antonio Gramsci, un sardo nel “mondo grande e terribile”. III Convegno
della IGS – International Gramsci Society (Cagliari–Ghilarza–Ales, 3–6
maggio 2007).
Gramsci nel suo tempo (Bari, 13–15 dicembre 2007).
220 Bibliografia

Antonio Gramsci: annotazioni bibliografiche

A conclusione di questo mio modesto scritto, ritengo utile aggiungere


una nota bibliografica su Antonio Gramsci quale strumento fondamenta-
le e indispensabile per la conoscenza e lo studio del suo pensiero.

SCRITTI 1914–1926

Scritti giovanili (1914–1918), Einaudi, Torino.


Sotto la Mole (1916–1920), Einaudi, Torino.
L’Ordine Nuovo (1919–1920), Einaudi, Torino.
Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo (1921–1922), Einaudi, Torino.

La casa editrice Einaudi, in collaborazione con l’Istituto Gramsci, ha


pubblicato l’edizione critica degli scritti precedenti i “Quaderni”:

Cronache torinesi (1913–1917), a cura di S. Caprioglio.


La città futura (1917–1918), a cura di S. Caprioglio.
Il nostro Marx (1918–1919), a cura di S. Caprioglio.
L’Ordine Nuovo (1919–1920), a cura di V. Gerratana e A.A. Santucci.

QUADERNI DEL CARCERE

Quaderni (6 volumi), pubblicati da Einaudi e da Editori Riuniti: Il mate-


rialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e
l’organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sul-
la politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale (compren-
de anche le Cronache teatrali pubblicate sull’Avanti! dal 1916 al
1920); Passato e presente.
Bibliografia 221

I quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V.


Gerratana, Einaudi, Torino, 4 volumi: I – Quaderni 1–5 (1929–1933);
II – Quaderni 6–11 (1930–1933); III – Quaderni 12–29 (1932–1935);
IV – Apparato critico, Note al testo, Indici, Tavola delle concordanze.
Quaderno 13. Noterelle sulla politica del Machiavelli, a cura di C. Donzelli,
Einaudi, Torino.
Quaderno 19. Risorgimento italiano, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino.
Quaderno 22. Americanismo e fordismo, a cura di F. De Felice, Einaudi,
Torino.

LETTERE

Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Einaudi, Torino.


2000 pagine di Gramsci, a cura di G. Ferrata e N. Gallo, Il Saggiatore,
vol. II: Lettere edite e inedite (1912–1937).
Nuove lettere di Antonio Gramsci, a cura di A.A. Santucci, Editori Riuniti,
Roma.

ANTOLOGIE E RACCOLTE DI SCRITTI

Scritti 1915–1921, a cura di S. Caprioglio, Moizzi editore.


Per la verità. Scritti 1913–1926, con testi inediti, a cura di R. Martinelli,
Editori Riuniti, Roma.
Scritti politici, a cura di P. Spriano, Editori Riuniti, Roma, 3 volumi.
La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma.
Elementi di politica, a cura di M. Spinella, Editori Riuniti, Roma.
2000 pagine di Gramsci, a cura di G. Ferrata e N. Gallo, Il Saggiatore,
vol. I: Nel tempo della lotta (1914–1926).
L’albero del riccio, a cura di G. Ravegnani, Editori Riuniti, Roma.
222 Bibliografia

Marxismo e letteratura, a cura di G. Manacorda, Editori Riuniti, Roma.


Sul Risorgimento, a cura di G. Candeloro, Editori Riuniti, Roma.
Sul fascismo, a cura di E. Santarelli, Editori Riuniti, Roma.
Il Vaticano e l’Italia, a cura di E. Fubini, Editori Riuniti, Roma.
Dibattito sui Consigli di fabbrica, scritti di Gramsci e Bordiga, Samonà e
Savelli.
La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste: l’«Ordine Nuovo» (1919–
1920), a cura di P. Spriano, Einaudi, Torino.
La formazione dell’uomo, a cura di G. Urbani, Editori Riuniti, Roma.
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di luglio del 2011
dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

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