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per esistere»
Il richiamo del filosofo sul perchè è importante fidarsi
delle persone che abbiamo intorno: in amore come al
lavoro
Mariella Caruso/Nabu
3 marzo 2017
Faccio una premessa: questo saggio mi è stato sollecitato – come capita spesso per i
libri di filosofia – dall’osservazione della società. In questo caso specifico dalla
riduzione della fiducia pubblica e dal disagio che questa comporta. Si alzano barriere
difensive, si guarda l’altro come qualcuno di cui sospettare. Questi sentimenti di
chiusura sono dovuti alla paura di una società che tende a degradarsi e scomporsi. Il
fatto che non riusciamo a dare fiducia porta a riflettere.
Fiducia significa mettersi nelle mani degli altri. Non è una cosa facile.
No, la fedeltà è la dimensione intensiva della fiducia. Mentre nella fiducia permane un
sospetto del possibile abbandono, nella fedeltà c’è un impegno a non abbandonare.
Mentre la fiducia si può concedere per un breve periodo o anche su una sensazione, la
fedeltà è radicale e l’esperienza umana che la incarna di più è l’amicizia.
In questo caso la fiducia assume una dimensione particolare perché non si tratta di un
contesto in cui le persone si conoscono personalmente o di una comunità ristretta.
Quando ci si muove all’interno di una collettività larga è più difficile mettere in
relazione di fiducia persone che non si conoscono. Le relazioni umane sono di reciproca
aspettativa, e nella società sono le istituzioni che devono soddisfare e garantire bisogni.
Per farlo servono regole comuni, se ci sono regole imperfette o che non sono in grado
di garantire la soddisfazione dei bisogni, la fiducia degli uomini si incrina e ognuno
tende a fare per sé con il rischio di agire contro gli altri. È la politica che dovrebbe avere
la funzione di garantire il bene pubblico, quando non succede nasce la sfiducia che
produce nella società il sentimento della ribellione.
Sì, quello che nelle relazioni ristrette provoca una riduzione di fedeltà, in quelle larghe
coincide con una riduzione di fiducia pubblica.
La penetrazione del digitale e dei social come s’inserisce nel contesto della fiducia?
Il digitale non ha prodotto nulla di nuovo, ha soltanto intensificato ciò che esisteva
prima. Non ha generato il male, ma ha potenziato le dinamiche negative amplificandole
con un mezzo di potere universale. La rete allarga l’ambito delle conoscenze, il darsi
amicizia dei social non equivale all’intimità amicale, questo crea equivoci e potenzia
l’odio costante che diventa pubblico manifesto. Semplificando i social sono un
altoparlante dei nostri vizi e delle nostre virtù.
È d’accordo con Eco che ha detto che i social danno voce a una legione di imbecilli?
Figaro nel Barbiere di Siviglia cantava “la calunnia è un venticello”. Con i social è
diventata una tempesta perché i social permettono immediatamente di colpire il
bersaglio. La rete è uno strumento per mettersi in relazione, battersi per le proprie idee e
scambiare conoscenze, ma bisogna avere competenza. Non bisogna usarla per dire cosa
a vanvera.
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Edizioni Il Mulino amore amicizia
Bisogna fidarsi per esistere. Sospettando di tutti ci si ritira progressivamente dal mondo,
si produce appassimento. Noi esistiamo come nodo di relazioni, fidarsi è un rischio da
correre sennò si muore prima ancora di essere traditi. Non si può vivere in un radicale
isolamento. Naturalmente occorre buon senso nel concedere fiducia, l’amicizia nasce
dalla consuetudine.
Oggi però, in una società liquida dove tutto cambia velocemente (insegnanti, colleghi e
persino rapporti familiari) come si impara a fidarsi?
Tutta la prima parte del mio libro è dedicata a questo tema. Noi abbiamo la capacità di
fidarci perché abbiamo sperimentato la sicurezza, questo vale sia per l’ambito
familiare, sia per quello istituzionale. Quando manca questa fiducia originaria tutto
crolla. Se qualcuno si è preso cura di noi ci fideremo, amiamo perché siamo stati amati,
chi ne ha di ricevuto più è capace di darne, chi ne avuto di meno è meno capace.