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Saggi e studi
Alma Poloni
Lucca nel Duecento : uno studio sul cambiamento sociale / Alma Poloni. - Pisa :
Plus-Pisa university press, c2009
(Didattica e ricerca. Saggi e studi)
945.531044 (21.)
1. Lucca – Condizioni economiche e sociali – Sec. 13.-14.
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INDICE
PrefaZIONE 5
INTRODUZIONE 7
ABBREVIAZIONI 20
CONCLUSIONI 183
Quando, alcuni anni fa, Alma Poloni fece leggere a Giuseppe Petralia e a
me la sua tesi di dottorato sulle trasformazioni sociali e politiche a Pisa fra il
1220 e il 1330 circa, che sarebbe presto diventata un volume fondamentale per
capire il significato dell’avvento del “Popolo” in una grande città comunale ita-
liana, entrambi pensammo che avevamo finalmente trovato la ricercatrice che
sarebbe stata in grado di colmare una delle lacune più vistose degli studi sul
Medioevo toscano: la storia di Lucca nel Duecento e nel primo Trecento, fino
alle soglie della signoria di Castruccio. La squillante conferma della giustezza
di quella nostra intuizione è il presente volume (preceduto in verità da alcuni
saggi pubblicati in rivista), alla cui lettura spero d’invitare il maggior numero
di persone amanti dei buoni libri di storia.
Sono particolarmente lieto, innanzitutto, che il libro sia pubblicato dalla casa
editrice dell’Università di Pisa, perché è il frutto dell’impegno di una studiosa
che in quest’Ateneo ha conseguito sia la laurea sia il dottorato, e da qualche
tempo svolge la propria intensa attività di ricerca. Lungo questo percorso, Alma
Poloni è diventata insofferente delle tradizionali – e spesso artificiose – partizio-
ni fra la storia della politica e delle istituzioni e la storia dell’attività economica,
fra la ‘prosopografia’ delle singole famiglie e lo studio dei gruppi sociali e del
loro rapporto con la città. Al riguardo, la miglior presentazione di questo libro
è la “introduzione” scritta dall’autrice stessa: “i diversi cambiamenti sono ana-
lizzati nel loro complesso intrecciarsi e nel loro imperfetto sovrapporsi, come
elementi di un unico processo di trasformazione del tessuto sociale cittadino”.
Un processo – aggiungo io –, i cui protagonisti sono persone in carne ed ossa,
chiamate per nome e seguite nell’esercizio della loro attività economica e nel-
l’esplicarsi del loro impegno politico, con particolare attenzione, laddove possi-
bile, ai passaggi da una generazione all’altra, per mostrare che i figli non sono
mai uguali ai padri, perché diverso è il tempo in cui vivono.
D’altronde, il compito essenziale dello studioso di storia non è quello di
cogliere i mutamenti lungo il filo del tempo? Sono convinto che non vi sia stata
espressione più fuorviante per la nostra disciplina di quella, in voga qualche
decennio fa, di “storia immobile”. Nel corso del Duecento, Lucca vive uno svi-
Mauro Ronzani
luppo tanto originale quanto incessante, le cui fasi sono efficacemente scandite
dai capitoli del libro, fino alla penetrante ricostruzione della “crisi politica a
cavallo tra Due e Trecento”, che è il suggello della ricerca di Alma Poloni.
Leggendo che l’affermazione della nuova magistratura dei Priori si compì
nell’anno 1300, allorché essi si affiancarono agli Anziani in un unico organi-
smo, nel quale portarono l’impronta del proprio guelfismo intransigente e dei
propri valori politici, mi è venuto in mente che in quello stesso anno è collocata
la famosa scena del canto XXI dell’Inferno, in cui l’“Anziano di santa Zita” è
portato a spalla dal “diavol nero” e quindi gettato violentemente nella pece bol-
lente della bolgia dei barattieri. Dante sapeva bene che il regime politico detto
poi dei Guelfi Neri era stato instaurato proprio in tale anno; e in poche terzine
ne condanna i comportamenti politici (“del no, per li denar, vi si fa ita”), e con-
temporaneamente irride alle devozioni religiose di cui esso amava presentarsi
come promotore.
Anche se nel libro di Alma Poloni questi ultimi aspetti non hanno molto
spazio, la sua ricostruzione della Lucca dell’anno 1300 e dintorni è così nitida e
convincente, da costituire una lettura obbligata per chiunque ami la città in cui,
allora come oggi, “ha loco il Santo Volto”.
Mauro Ronzani
Introduzione
La bibliografia su questa tematica è vastissima. Mi limito perciò qui a citare alcune recenti ras-
segne storiografiche nelle quali è possibile trovare ulteriori indicazioni di lettura: E. Artifoni, I governi di
«popolo» e le istituzioni comunali nella seconda metà del secolo XIII, in «Reti Medievali-Rivista», IV (2003/2),
disponibile in formato digitale all’indirizzo: http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/saggi/Artifoni.htm; Le
aristocrazie dai signori rurali al patriziato, a cura di R. Bordone, Roma-Bari, Laterza, 2004; G. Chittolini,
«Crisi» e «lunga durata» delle istituzioni comunali in alcuni dibattiti recenti, in Penale, giustizia, potere. Metodi,
ricerche, storiografie: per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. Lacchè - C. Latini - P. Marchetta - M.
Meccarelli, Macerata, Eum, 2007, pp. 125-154; A. Poloni, Fisionomia sociale e identità politica dei gruppi
dirigenti popolari nella seconda metà del Duecento. Spunti di riflessione su un tema classico della storiografia comu-
nalistica italiana, in «Società e storia», CX (2005), pp. 799-821.
Sembra che ci sia ormai un sostanziale accordo tra gli studiosi a limitare la definizione di «rivo-
luzione commerciale» alla riconfigurazione dei circuiti di scambio e alle radicali trasformazioni delle tec-
niche commerciali e finanziarie che caratterizzarono il «lungo Duecento»: P. Spufford, Money and its Use
in Medieval Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 240 e sgg.; G. Petralia, Moneta,
commercio e credito, in Storia d’Europa e del Mediterraneo. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, sez. IV, Il
Medioevo (secc. V-XV), vol. IX, Strutture, preminenze, lessici comuni, a cura di S. Carocci, Roma, Salerno,
2007, pp. 407-468. Questa accezione pare oggi riscuotere maggiore successo rispetto alla proposta di
estendere la definizione alla lunga fase espansiva che caratterizzò il basso Medioevo europeo dopo il
Mille, legata soprattutto a R.S. Lopez, La rivoluzione commerciale del Medioevo, Torino, Einaudi, 1975. Sul
ruolo degli italiani nella rivoluzione commerciale ducentesca si vedano le ancora valide sintesi di R. De
Roover, The Organization of Trade, in Cambridge Economic History of Europe, vol. III, Economic Organizations
and Policies in the Middle Ages, edited by M.M. Postan et al., Cambridge, Cambridge University Press,
1965, pp. 42-118; A Sapori, Le marchand italien au Moyen Age: conferences et bibliographie, Paris, Colin, 1952;
Y. Renouard, Gli uomini d’affari italiani del Medioevo, Milano, Rizzoli, 1973 (ed. orig. 1968), e gli inqua-
dramenti più recenti di M. Tangheroni, Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1996,
e P. Spufford, Power and Profit. The Merchant in Medieval Europe, London, Thames and Hudson, 2002.
Alma Poloni
In effetti esistono lavori, comunque non molto numerosi, che affrontano tutti gli aspetti della
vita di una città: il commercio, l’agricoltura, l’artigianato, la politica, il fisco. In molti casi, tuttavia,
questi aspetti sono soltanto giustapposti, considerati separatamente, senza un interesse specifico per le
interrelazioni, per i rapporti tra i diversi ordini di fenomeni. Questa prospettiva si riflette nella struttura
dei libri, organizzata per capitoli separati, ognuno dei quali prende in considerazione un singolo aspet-
to. Per la Toscana, esempi di questo modo di procedere sono D. Herlihy, Pisa in the Early Renaissance.
A Study of Urban Growth, New Haven, Yale University Press, 1958 e Id., Medieval and Renaissance Pistoia.
The Social History of an Italian Town 1200-1420, New Haven, Yale University Press, 1967.
P. Pirillo, Famiglia e mobilità sociale nella Toscana: i Franzesi Della Foresta da Figline Val d’Arno (secoli
XII-XV), Firenze, Opus Libri, 1992; A. Carniani, I Salimbeni, quasi una signoria. Tentativi di affermazione
politica nella Siena del ’300, Siena, Protagon Ed. Toscani, 1995; R. Mucciarelli, I Tolomei banchieri di Siena.
La parabola di un casato nel XIII e XIV secolo, Siena, Protagon Ed. Toscani, 1995.
G. De Vergottini, Arti e «popolo» nella prima metà del secolo XIII, in Id., Studi di storia del diritto
italiano, a cura di G. Rossi, 3 voll., Milano, Giuffrè, 1977, vol. I, pp. 397-467 (ed. orig. 1943);
V. Tirelli, Lucca nella seconda metà del secolo XII: società e istituzioni, in I ceti dirigenti dell’età comunale nei
secoli XII e XIII, Pisa, Pacini Editore, 1982, pp. 157-231; Id., Sulla crisi istituzionale del comune a Lucca
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale
anche recenti, sulle maggiori compagnie e sui mercanti lucchesi attivi nelle
principali piazze europee, e non mancano le prosopografie familiari. I tre filoni
storiografici sono tuttavia rimasti praticamente estranei l’uno all’altro.
Questo libro è il tentativo di integrare le tre prospettive. Esso è cioè uno
studio sul cambiamento sociale che caratterizzò il Duecento lucchese, del
quale furono parte tanto il cambiamento economico quanto il cambiamento
politico, tanto la rivoluzione commerciale della seta quanto la rivoluzione
politica del Popolo, e anche il mutamento delle strategie di affermazione indi-
viduale e familiare e dei canali di mobilità sociale. I diversi cambiamenti sono
analizzati nel loro complesso intrecciarsi e nel loro imperfetto sovrapporsi,
come elementi di un unico processo di trasformazione del tessuto sociale
cittadino. L’attenzione specifica per le relazioni tra fenomeni di ordine diver-
so non conduce semplicemente a una sintesi tra le conoscenze sui mercanti
lucchesi e quelle sul locale movimento di Popolo. Ricollocate nel contesto
delle loro interazioni, sia l’espansione economica duecentesca che l’evoluzione
politico-istituzionale sono apparse in una luce in parte nuova. Il diverso punto
di vista, cioè, ha consentito di giungere ad alcuni risultati inediti tanto sulla
storia dell’industria e del commercio di Lucca quanto sulle vicende del Popolo
nella città toscana.
Come si è detto, numerosi studi hanno ormai chiarito l’importanza dell’in-
dustria serica di Lucca e il ruolo svolto dai mercanti lucchesi nel sistema degli
scambi internazionali. Ciò nonostante, alcune domande rimangono ad oggi
senza risposta. Quando (e perché) avvenne il decollo industriale e commer-
ciale di Lucca? Quale fu l’andamento dell’espansione economica lucchese nel
Duecento, si trattò di una crescita regolare e progressiva, come si tende a dare
(1308-1312), in Studi per Enrico Fiumi, Pisa, Pacini Editore, 1979, pp. 317-360; A. Poloni, Strutturazione
del mondo corporativo e affermazione del Popolo a Lucca nel Duecento, in «Archivio storico italiano», CLXV
(2007), pp. 449-486.
R.W. Kaeuper, Bankers to the Crown. The Ricciardi of Lucca and Edward I, Princeton, Princeton
University Press, 1973; I. Del Punta, Mercanti e banchieri lucchesi nel Duecento, Pisa, Plus, 2004; si
vedano inoltre i tanti studi di T.W. Blomquist, in particolare Commercial Association in Thirteenth-
Century Lucca, in «Business History Review», XLV (1971), pp. 157-178; Id., The Dawn of Banking in an
Italian Comune: Thirteenth-Century Lucca, in The Dawn of Modern Banking, Los Angeles, Yale University
Press, 1979, pp. 53-75; Id., The Early History of European Banking: Merchants, Bankers and Lombards of
Thirteenth-Century Lucca in the County of Champagne, in «Journal of European Economic History»,
XIV (1985), pp. 521-536.
T.W. Blomquist, The Castracani Family of Thirteenth-Century Lucca, in «Speculum», XLVI
(1971), pp. 459-476; Id., Lineage, Land and Business in the Thirteenth Century: the Guidiccioni Family of
Lucca, in «Actum Luce, IX (1980), pp. 7-29; G. Concioni, Lucani campsores: I Malagallia, in «Rivista di
Archeologia, Storia, Costume», Istituto Storico Lucchese, XXIII, 3-4 (1996), pp. 3-96.
per scontato, o piuttosto dell’alternarsi di fasi di forte accelerazione e di fasi
di minore dinamicità, secondo un modello più vicino a quello elaborato dagli
studiosi dello sviluppo delle economie capitalistiche? Come cambiò nel tempo
la struttura organizzativa delle attività industriali e commerciali? Quando (e
perché) si manifestarono i primi segnali di contrazione economica? Si trattò di
una crisi definitiva o soltanto di un ciclo negativo destinato a risolversi in un
tempo più o meno breve?
Almeno alcuni di questi interrogativi possono forse trovare una risposta se,
invece di considerare i mercanti lucchesi del Duecento soltanto come membri
di una più ampia comunità mercantile toscana, italiana o addirittura interna-
zionale, si tenta di ricostruire lo specifico tessuto sociale nel quale essi erano
pienamente inseriti – la società cittadina lucchese –, e soprattutto le sue trasfor-
mazioni nel tempo. Rispondere ai quesiti sopra formulati, a mio parere, non
contribuirebbe soltanto a un più preciso inquadramento della storia di Lucca,
ma anche a una migliore conoscenza del funzionamento dei fenomeni econo-
mici. Quelle domande riguardano infatti i meccanismi concreti e le dinamiche
profonde del cambiamento economico, collocati in una prospettiva storica.
Sulla rivoluzione commerciale disponiamo di importanti saggi interpretativi,
che hanno ormai chiarito i mutamenti strutturali che interessarono il complesso
dell’economia europea nel Duecento10. Si tratta di analisi di ampio respiro, che
tuttavia, proprio per la loro perfetta coerenza logica, possono a volte suggerire
l’idea che il cambiamento economico si imponga alle singole realtà sociali per
la sua stessa evidenza, che in qualche modo si autoalimenti, come una specie
di reazione a catena che una volta innescata risulta inarrestabile. Se le cose
stessero così, però, non si spiegherebbe perché alcune società furono radical-
mente trasformate dalla crescita del commercio internazionale, altre ne furono
toccate solo marginalmente. Per correggere questa distorsione prospettica può
quindi essere utile ripartire, invece che dal quadro strutturale generale, da una
specifico e delimitato contesto sociale, nel nostro caso quella di Lucca. Si può
cioè provare a calare il cambiamento economico nel più ampio cambiamento
sociale, ricostruire con pazienza le complicate relazioni che lo legano ai feno-
meni di mobilità sociale ascendente e discendente, ai mutamenti dei canali di
circolazione sociale, alle variazioni dei modelli culturali e politici. Questo meto-
Cfr. in particolare cap. I.2, cap. II.1, capp. III-IV.
D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1994
(ed. orig. 1990); Id., Capire il processo di cambiamento economico, Bologna, Il Mulino, 2006 (ed. orig. 2005).
10
De Roover, The Organization, cit.; Spufford, Money and its Use, cit.; Tangheroni, Commercio e
navigazione, cit.; Petralia, Moneta, commercio, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 11
11
De Vergottini insiste infatti sulla lunga permanenza delle società del Popolo lucchesi: De
Vergottini, Arti e «popolo», cit. Si veda Poloni, Strutturazione, cit.
12
Cfr. cap. I.1.
13
Cfr. cap. V.2.
12 Alma Poloni
Le istituzioni politiche, però, erano a loro volta parte attiva nel cambiamen-
to sociale, ne condizionavano cioè in qualche modo la direzione14. Tornando
al nostro esempio, alla fine del Duecento la forte valorizzazione politica delle
società del Popolo da parte di una fazione interna all’élite popolare costrinse le
famiglie che aderirono a questa fazione non soltanto a una radicalizzazione in
senso popolare del linguaggio politico, ma anche a un repentino abbandono
dei modelli di distinzione sociale considerati tipici dell’aristocrazia cittadina.
Per contrasto, la fazione avversaria, composta da famiglie che avevano avuto
un ruolo di primo piano nell’affermazione e nel consolidamento del dominio
del Popolo, fu indotta a un rifiuto della cultura politica popolare che essa
stessa aveva contribuito a elaborare, e a una brusca accelerazione del processo
di fusione sociale e culturale con la nobiltà. La promozione delle società del
Popolo innescò dunque una serie di importanti trasformazioni non soltanto
delle identità politiche, ma anche della configurazione dello strato superiore
della società cittadina.
Tali vicende politiche, la disgregazione dell’unità dell’élite popolare, la
rifondazione delle società, erano a loro volta legate in modo complesso alle
conseguenze di lungo periodo di una fase di forte crescita economica che carat-
terizzò gli anni ’60 e ’70 del Duecento, ma anche ai primi effetti della crisi del
commercio internazionale degli anni ’90 dello stesso secolo e del primo decennio
del Trecento.
Tutto ciò apparirà più chiaro, spero, dopo la lettura del libro. Questa intro-
duzione intendeva soltanto dare una prima idea di quanto siano intrecciati i
tanti fili del cambiamento sociale, e di come ognuno di essi acquisti un nuovo
senso proprio all’interno di questi intrecci, che formano il disegno unico della
storia di Lucca nel Duecento.
Desidero ringraziare in primo luogo Mauro Ronzani, il quale ha seguito anche que-
sto lavoro con l’interesse e la partecipazione che ormai da più di dieci anni riserva alle
mie ricerche. Ringrazio anche Giuseppe Petralia, Jean-Claude Maire Vigueur, Andrea
Zorzi e Giovanni Ciccaglioni, con i quali in più occasioni ho avuto modo di confrontar-
mi sui contenuti di questo studio. Ho cercato di fare tesoro dei consigli e delle osserva-
zioni dei medievisti del Dipartimento di Storia dell’Università di Pisa, ai quali ho potuto
esporre le diverse fasi di questo lavoro in due «Seminari del mercoledì».
14
G. Ciccaglioni, Poteri e spazi politici a Pisa nella prima metà del XIV secolo, Pisa, ETS, in corso di
stampa e Id., Il mare a Firenze. Interazioni tra mutamenti geografici, cambiamenti istituzionali e trasformazioni eco-
nomiche del dominio fiorentino nel Quattrocento, in «Archivio storico italiano», CLXVII (2009), pp. 91-125.
Nota sulle fonti
Per la prima metà del Duecento ogni indagine sulla società lucchese non può
che prendere le mosse dalle pergamene dei fondi diplomatici dell’Archivio di
Stato, dell’Archivio Arcivescovile e dell’Archivio Capitolare di Lucca. Questo
ricco materiale – si calcola che per il XIII secolo siano conservate negli archivi
lucchesi qualcosa come 10.000 pergamene – è quasi totalmente inedito. La sua
consultazione è facilitata dalla disponibilità, per quasi tutti i fondi, di regesti
abbastanza attendibili, che nel caso dell’Archivio di Stato sono fruibili anche
in formato digitale.
Su questa fonte poggia interamente la nostra conoscenza della vita politica
lucchese per quella fase. La documentazione pubblica emanata dal Comune
di Lucca fino a tutto il secondo decennio del Trecento è andata infatti quasi
interamente perduta. Una paziente ricerca all’interno dei fondi dell’Archivio
di Stato, dell’Archivio Arcivescovile e di quello Capitolare consente tuttavia
di rinvenire un certo numero di copie pergamenacee di verbali di assemblee
consiliari e provvedimenti delle diverse autorità politiche, estratte dai registri
della cancelleria del Comune su commissione di enti religiosi o privati cittadini
interessati a comprovare determinati diritti. Si tratta di un dossier documenta-
rio non ricchissimo, ma che permette comunque di ricostruire i mutamenti delle
istituzioni comunali e di identificare alcuni nomi di cittadini che si segnalano
per una particolare assiduità di presenza in posizioni di potere.
Le cronache non sono di grande aiuto per l’approfondimento delle dinami-
che sociali e politiche della prima metà del Duecento. Il panorama cronachistico
lucchese è povero: esso si riduce in pratica agli Annales di Tolomeo da Lucca
S. Bongi, Inventario del regio Archivio di Stato in Lucca, 4 voll., Lucca 1872.
Si tratta di circa novanta documenti, dei quali una decina soltanto per il periodo 1200-1250 e i
restanti per il periodo 1251-1310.
14 Alma Poloni
Tholomei Lucensis Annales, a cura di B. Schmeidler, MGH, SS, n.s., t. VIII, Berlin, 1930; Le croni-
che di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bongi, 3 voll., Lucca, Tipografia Giusti, 1892. Si veda O.
Banti, Di alcuni caratteri delle cronache medioevali e in particolare di quelle toscane dei secoli XII-XIV, in «Actum
Luce», XX (1991), pp. 7-27.
O. Banti, Giovanni Sercambi cittadino e politico, in «Actum Luce», XVIII (1989). Da questo arti-
colo sono tratte le citazioni virgolettate.
A. Meyer, Der Luccheser Notar Ser Ciabatto und sein Imbreviaturbuch von 1226/1227, in «Quellen und
Forschungen aus Italienische Archiven und Bibliotheken», LXXIV (1994), pp. 172-293; Id., Felix et
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 15
vivace della vita economica e sociale della città toscana nei primi decenni del
Duecento.
Fin dal XII secolo i mercanti di Lucca avevano un rapporto privilegiato con
Genova. I ricchi cartulari notarili genovesi sono le principali fonti sulle attività
commerciali dei lucchesi prima della metà del Duecento. In questo lavoro è
stata utilizzata soltanto la documentazione genovese edita. Per la seconda metà
del XII secolo e il primo decennio del XIII le imbreviature dei notai genovesi
sono in gran parte edite nella serie Notai liguri del sec. XII. Per i decenni successi-
vi numerosi documenti riguardanti lucchesi attivi a Genova sono segnalati negli
spogli documentari effettuati da A. Ferretto e R. Doehaerd.
Anche per la seconda metà del Duecento, come si è detto, non disponiamo
di documentazione pubblica. Le pergamene dell’Archivio di Stato, dell’Ar-
chivio Arcivescovile e di quello Capitolare rimangono fonti preziose per la
ricostruzione dei cambiamenti istituzionali e delle dinamiche politiche. Per
quanto riguarda le cronache, gli Annales di Tolomeo si arricchiscono per que-
sta fase di notizie di prima mano; per gli ultimi due decenni del secolo, inoltre,
la lettura di questa opera si fa più interessante. Frate Tolomeo era un Fiadoni,
apparteneva cioè a una delle famiglie a capo di una delle due fazioni politiche
che si scontrarono a Lucca negli anni ’90 del Duecento. La pars dei Fiadoni
era quella che nelle cronache – ma mai nella documentazione lucchese – viene
definita dei «guelfi neri», che nei primi anni del Trecento sconfisse e costrin-
se all’esilio i guelfi bianchi, rimanendo padrona della città e instaurando un
regime di parte10. Lo stile degli Annali rimane anche per questa fase molto
asciutto ed essenziale, ma la scelta delle notizie e la loro esposizione tradisce
in alcuni casi l’intenzione di costruire una memoria politicamente orientata
dei fatti dei quali l’autore stesso e la sua famiglia furono protagonisti di primo
piano.
inclitus notarius. Studien zum italienischen Notariat vom 7. bis zum 13. Jahrhundert, Tübingen, N. Niemeyer,
2000.
Cfr. cap. I.2.
Per le grandi potenzialità di questa fonte cfr. D. Abulafia, The Two Italies. Economic Relations
Between the Norman Kingdom of Sicily and the Northern Communes, Cambridge, Cambridge University
Press, 1977, pp. 3-30.
A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante
(1265-1321), 2 voll., Tip. Artigianelli di San Giuseppe, 1901-1903; R. Doehaerd, Les relations commer-
ciales entre Gênes, la Belgique et l’Outremont, 3 voll., Bruxelles, Palais des Academies, Roma, Academia
Belgica, 1941.
Per notizie biografiche su Tolomeo cfr. Schmeidler, Einleitung, in Tholomei Lucensis Annales, cit.
10
Cfr. cap. V.
16 Alma Poloni
11
Si veda il forte scetticismo espresso da Federigo Melis sulle fonti notarili: Sulle fonti della storia
economica. Appunti raccolti alle lezioni del Prof. Federigo Melis, a cura di B. Dini, aa. 1963-64, pp. 100-112.
12
Ibidem.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 17
13
Statuto del Comune di Lucca dell’anno MCCCVIII, a cura di S. Bongi e L. Del Prete, Lucca,
Tipografia Giusti, 1867, pp. 250-252.
14
Cfr. cap IV.2.
15
«Et si aliquis lucanus Civis, burgensis aut subburgensis vel habitator vel lucani districtus et
fortie vel quasi, vel aliunde undecumque sit, ab hinc in antea contraxerit vel fecerit aliquod debitum
de aliqua pecunia, cambio vel mercadantia, unde sit publicum instrumentum cum aliquo lucano Cive vel
burgense aut subburgense vel habitatore vel alio undecumque sit, teneatur lucanus Potestas et luca-
num Regimen talem debitorem capere vel capi facere ad requisitionem creditoris elapso termino [….];
dummodo primo constet lucano regimini de debito per publicum instrumentum» (Statuto del Comune cit., p. 250; il
corsivo è mio).
18 Alma Poloni
16
Cfr. cap. III.1.1.
17
Ecco un esempio: «Et illa persona, que receperit ab aliquo mercatore setam, lanam, sendada seu
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 19
aurum ad laborandum vel filandum, si ipsam vel ipsum sub pignore dederit vel alienaverit, condenpne-
tur qualibet vice in soldis centum, credendo mercatori, si fuerit homo bone fame» (Statuto del Comune, cit.,
p. 208; il corsivo è mio).
20 Alma Poloni
ABBREVIAZIONI
Nel 1216 Arrigo Martini era console dei treguani. Arrigo non era un giudi-
ce, e del resto per prestare servizio nei tribunali lucchesi non era richiesta alcu-
na particolare qualifica professionale. Dei tre consules che componevano le com-
missioni giudicanti, uno soltanto doveva essere un esperto di diritto. Dagli altri
ASLu, Dipl. San Ponziano, 1216 agosto 19.
Sul sistema giudiziario lucchese in questa fase cfr. C.J. Wickham, Legge, pratiche e conflitti. Tribunali
e risoluzione delle dispute nella Toscana del XII secolo, Roma, Viella, 2000, in particolare pp. 80-105.
22 Alma Poloni
due membri ci si aspettava che fossero dotati di una discreta cultura generale e
di una buona conoscenza delle leggi e delle consuetudini locali. Buona parte di
tali competenze potevano essere maturate nella quotidiana esperienza persona-
le di un qualsiasi agiato proprietario fondiario impegnato nella gestione e nella
valorizzazione del proprio patrimonio. Le varie curie cittadine erano state infatti
create una dopo l’altra in pochi decenni, alla fine XII secolo, anche per fare
fronte a un’impennata delle controversie riguardanti il possesso terriero, legata
alla rapida espansione del mercato della terra e delle rendite. Altri momenti che
consentivano al cittadino in vista di acquisire familiarità con le norme che rego-
lavano i contratti di compravendita e di affitto erano le frequenti convocazioni
tra i testimoni delle transazioni concluse da enti ecclesiastici e proprietari laici,
e l’impegno diretto come arbitro delle contese che non arrivavano nei tribunali
o per le quali i tribunali non erano giunti a una soluzione definitiva.
Per un cittadino lucchese e per la sua famiglia il servizio nelle corti cittadine
rappresentava la conferma di una solida posizione sociale, ma era in genere
anche il segno di un’ambizione politica. I consoli delle curie erano infatti a tutti
gli effetti ufficiali comunali, e l’analisi delle biografie dei lucchesi più in vista
mostra che questo incarico era spesso considerato una sorta di primo gradino
del cursus honorum. Nei primi decenni del Duecento in effetti i Martini sembra-
vano ben decisi a ritagliarsi uno spazio ai più alti livelli della politica cittadina.
Bonaccorso, probabilmente fratello di Arrigo, fu tra i protagonisti del movi-
mento popolare, che nel primo ventennio del Duecento, grazie all’appoggio
interessato della potente famiglia dei da Porcari, pareva destinato a sicuro suc-
cesso. Quella stagione si chiuse nel 1219 con l’arbitrato del legato apostolico
Ugolino da Ostia, che tentava di ripristinare lo status quo antecedente allo scop-
pio delle ostilità tra milites e populus. Tuttavia gli equilibri di potere erano ormai
Sulla grande vivacità del mercato della terra a Lucca alla fine del XII secolo cfr. C.J. Wickham,
Comunità e clientele nella Toscana del XII secolo. Le origini del Comune rurale nella Piana di Lucca, Roma, Viella,
1995, in particolare pp. 21-37.
Come mostrano bene anche le schede prosopografiche in R. Savigni, Episcopato e società cittadina
a Lucca da Anselmo II († 1086) a Roberto († 1225), Lucca, S. Marco Litotipo, 1996.
Nel 1211 Bonaccorso era uno dei Priori delle societates peditum (G. Tommasi, Sommario di storia
lucchese, in «Archivio storico italiano», serie I, X (1847), Appendice documentaria a cura di C. Minutoli,
pp. 10-12). Su queste vicende mi permetto di rimandare a A. Poloni, Strutturazione, cit; vedi anche De
Vergottini, Arti e «Popolo», cit.
R. Davidsohn data l’intervento del legato al 1217 (Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV,
Berlin, Mittler und Sohn, 1908, p. 11), ma senza addurre alcuna prova documentaria. Sappiamo però
per certo che Ugolino fu a Lucca nel 1219, ed è assai probabile che in quella occasione abbia emanato
il suo provvedimento: Les registres de Grégoire IX, ed. L. Auvray, 2 voll, Paris 1896-1907, n. 391, 1229
novembre 22, con trascrizione dell’atto del 28 luglio 1219 che attesta la presenza di Ugolino in città.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 23
AALu, Dipl. * O 36, 1224 ottobre 20.
ASLu, Dipl. S. Maria Corteorlandini, 1236 novembre 10; ASLu, Dipl. Miscellanee, 1237 febbraio 5.
Poloni, Strutturazione, cit.
10
Nel 1258 Aldibrandino di Arrigo fu vicario del podestà di Compito (ASLu, Dipl. Recuperate, 1258
luglio 31). Nel 1273 Orlando Martini fu Anziano (ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1273 agosto 17); la
stessa carica fu ricoperta nel 1284 da Ugolino (ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1284 maggio 30).
11
ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1184 marzo 25.
24 Alma Poloni
(per i quali era stato sostituito dal tenimentum). Esso veniva utilizzato invece
dai grandi proprietari soprattutto ecclesiastici per beneficiare famiglie di rilievo
del mondo cittadino e rurale che non lavoravano la terra con le proprie mani, e
che potevano in genere godere di un controllo pressoché indisturbato sul fondo
in concessione12. È del resto evidente che l’atto del 1184 si poneva al di fuori
di una logica strettamente economica. Il canone che Guido e il fratello erano
tenuti a versare annualmente non solo era molto basso (4 soldi), ma oltretutto
era in denaro, circostanza eccezionale nella lucchesia della fine del XII secolo,
quando la forte inflazione aveva ulteriormente accelerato la tendenza, rilevabile
fin dall’inizio del secolo, a convertire i canoni in denaro in rendite in natura13.
La concessione del 1184 era probabilmente uno strumento per attirare due
medi proprietari terrieri all’interno del sistema di relazioni che faceva capo
all’importante ente ecclesiastico cittadino. In molti casi del genere ciò che que-
sti parvenu avevano da offrire ai grandi proprietari ecclesiastici era il credito,
il denaro contante loro necessario per portare avanti la politica di recupero
dei beni trasferiti nel X e XI secolo nelle mani della piccola e grande nobiltà
locale14.
Nella Lucca dell’inizio del Duecento altre storie familiari sembrano fedel-
mente ricalcate su quella dei Martini. Di Onesto, vissuto anch’egli nella secon-
da metà del XII secolo, sappiamo ancora meno che di Guido del fu Martino,
ma i suoi discendenti, gli Onesti, furono una delle famiglie più potenti del XIII
e del XIV secolo. Uno dei figli di Onesto, Tancredo, fu causarum consul nel
1193, e nel corso della sua vita prestò servizio più volte nei tribunali cittadini15.
Per Tancredo, a differenza che per Arrigo Martini, gli incarichi nelle curie non
rappresentavano semplicemente una sorta di iniziazione al mondo della poli-
tica, ma una vera e propria specializzazione professionale. Egli era infatti un
esperto di diritto, e nelle fonti compare come causidicus. Tale qualifica indicava
una formazione bolognese, al contrario del titolo di iudex, che era conseguibile
attraverso una preparazione interamente locale16. Questa circostanza è indica-
tiva dell’ambizione di Onesto e delle sue notevoli possibilità economiche.
Anche gli Onesti, a quanto pare, scommisero per tempo sul Popolo. Nel
1224 Noradino, fratello di Tancredo, sedeva in consiglio generale accanto
12
P. Jones, Le terre del capitolo della cattedrale di Lucca (900-1200), in Id., Economia e società nell’Italia
medievale, Torino, Einaudi, 1980 (ed. orig. 1954), pp. 275-294.
13
È stato calcolato che nel periodo compreso tra il 1160 e il 1200 i prezzi sarebbero aumentati del
150% (Wickham, Legge, cit., p. 87).
14
Jones, Le terre, cit.
15
AALu, Dipl. * K 46, 1193 febbraio 18.
16
Wickham, Legge, cit., pp. 94-104.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 25
17
AALu, Dipl. * O n. 36, 1224 ottobre 20.
18
La prima attestazione della presenza della famiglia nell’Anzianato è del 1265: Il Caleffo Vecchio
del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini et al., Siena, Accademia senese degli Intronati, 1931-1991,
n. 864, 1265 luglio 7.
19
ASLu, Dipl. Serviti, 1215 marzo 20.
20
ASLu, Dipl. Serviti, 1232.
21
Nel 1265 tre figli di Pero – il giudice Guglielmo, Ranuccio e Baldinotto – sedettero contempo-
raneamente in consiglio generale (Il Caleffo Vecchio, cit., n. 864, 1265 luglio 7). Pero Peri fu consigliere
del consiglio del Popolo nel 1276 (AALu, Dipl. * V n. 62, 1276 agosto 23). Nel 1284 Bendino Peri fu
Anziano mentre Moncello Peri sedette in consiglio generale (ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1284 maggio
30). I notai della famiglia ricoprirono vari incarichi per il Comune.
22
ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1184 dicembre 29.
26 Alma Poloni
societates peditum, mentre il fratello Terizendo, che prestava servizio nelle corti
cittadine fin dal 1208, nel 1224 sedette in consiglio generale insieme a tanti
esponenti di famiglie appartenenti al suo stesso gruppo sociale23. Il convinto
impegno a favore del Popolo conquistò anche ai Carincioni un posto di diritto
all’interno del nuovo ceto dirigente che si delineò a partire dagli anni ’5024.
Mattafellone, capostipite dei Fornari25, era un contemporaneo di Guido del
fu Martino, di Onesto, di Sasso e di Carincione. Nel 1188 lo vediamo agire in
qualità di console del borgo di San Frediano accanto al Priore della chiesa di San
Frediano nell’atto di fondazione di una chiesa dipendente dall’importante ente
ecclesiastico lucchese26. Non abbiamo altre informazioni dirette su Mattafellone;
sappiamo tuttavia da notizie più tarde che egli possedeva diversi appezzamenti
sparsi sull’intero territorio delle Sei Miglia, affittati a coltivatori locali attraverso
la tipica forma di concessione perpetua in uso in area lucchese, il tenimentum27.
Nel 1235 inoltre Bonagiunta del fu Fornario, nipote ex filio di Mattafellone,
subaffittò a un contadino due fondi, uno dei quali dotato di un edificio abitabile,
posti «iuxta pratum quod dicitur Sancti Donati»28. La terra era di proprietà del
monastero di San Ponziano, del quale Bonagiunta era probabilmente livellario.
Il nuovo locatario era tenuto a corrispondere al monastero il canone annuale di 8
staia di grano, e in più doveva versare altre 12 staia direttamente a Bonagiunta.
Come abbiamo già visto nel caso di Guido del fu Martino, i Fornari dove-
vano al monastero una rendita decisamente inferiore a quelle correnti nella
prima metà del Duecento, e potevano perciò ricavare dalla terra in concessione
un discreto guadagno. È possibile che il rapporto con San Ponziano risalisse
proprio a Mattafellone.
Anche nel caso dei Fornari fu la generazione dei figli del fondatore delle for-
tune della famiglia, vissuti nei primi decenni del Duecento, a tentare la strada di
un’integrazione ai più alti livelli della società cittadina. Ugolino di Mattafellone
fu console dei treguani nel 1208 e ancora nel 123229. Probabilmente anche i
23
Tommasi, Sommario, cit., pp. 8-9; AALu, Dipl. +R 78, 1208 dicembre 24; AALu, Dipl. * O 36, 1224
ottobre 20.
24
Nel 1258 il notaio Reale Carincioni fu cancelliere del Comune (ASLu, Dipl. Archivio di Stato
Tarpea, 1258 febbraio 26). Nel 1265 Opizzo Carincioni sedette in consiglio generale (Il Caleffo Vecchio,
cit., n. 864, 1265 luglio 7). Nel 1277 Ranieri fu operarius del Ponte di San Pietro per il Comune (ACLu,
Dipl. B 13, 1277 marzo 23) e nel 1284 Coluccio fu consigliere del consiglio generale. Il giudice Giovanni
Carincioni fu Anziano nel 1292 (ASLu, Dipl. Santa Croce, 1292 marzo 5).
25
Il cognome si fissò a partire dal nome di un figlio di Mattafellone, Fornario.
26
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1188 febbraio 10.
27
ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1244 gennaio 14; ASLu, Dipl. Serviti, 1255 agosto 4.
28
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1235 gennaio 12.
29
ASLu, Dipl. S. Frediano, 1208 ottobre 13; ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1232 dicembre 30.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 27
Fornari furono impegnati nel fronte popolare: dagli anni ’50 infatti fecero parte
a tutti gli effetti del gruppo dirigente anzianale30.
Bonagiunta di Fornario sposò Tedora, figlia di Guido Martini e sorella di
Arrigo31. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo le famiglie di cui ci stiamo
occupando tendevano a ricercare alleanze matrimoniali quasi esclusivamente
nel proprio ambiente sociale. Per fare soltanto un altro esempio, Benetto di
Onesto sposò Benvenuta figlia di Rapondo, il capostipite eponimo dei Rapondi,
i quali presentano nei primi decenni del Duecento una storia familiare per molti
versi coincidente con quella degli Onesti, dei Martini, dei Peri e dei Fornari32.
Questa endogamia di gruppo potrebbe indicare che questi personaggi incon-
travano difficoltà nel compiere il passo decisivo verso l’accettazione all’interno
della ristretta cerchia delle famiglie che davvero contavano. Essa potrebbe cioè
essere il sintomo di una progressiva chiusura della militia cittadina agli apporti
dall’esterno, una reazione difensiva, riscontrabile anche in altre realtà comunali,
alla forte mobilità sociale dei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo33.
È interessante notare che l’unica eccezione alla regola endogamica, il matri-
monio di Bonifazio Peri con una nobile, legava i figli di Pero del fu Sasso a una
stirpe rurale da poco attiva in città, non a una famiglia dell’aristocrazia urbana.
In ogni caso l’endogamia, sommata ai meccanismi di esclusione messi in atto
dall’élite cittadina, tendeva a consolidare l’identità di gruppo, ulteriormente
rafforzata dalla coresidenza. Molti dei protagonisti di queste pagine vivevano
infatti nel borgo di San Frediano, cresciuto all’esterno della città murata e in
essa definitivamente inglobato soltanto con il completamento della nuova cer-
chia nel 1265. Mi pare insomma che si possa sostenere che nei primi decenni
del Duecento fosse diffusa tra le famiglie prese in considerazione nelle pagine
precedenti una vera e propria coscienza di gruppo, un dato essenziale per com-
prendere la formazione e l’evoluzione dell’esperienza popolare.
30
Ranuccio Fornari, figlio di Ugolino di Mattafellone, fu Anziano nel 1265 (Il Caleffo Vecchio, cit.,
n. 864, 1265 luglio 7). Nel 1275 dominus Enrico Fornari fu podestà del Comune di Buti (ASLu, Dipl. S.
Ponziano, 1275…01).
31
ASLu, Dipl. S. Croce, 1237 agosto 1.
32
ASLu, S. Giustina, 1209 gennaio 8. A quella data Rapondo era già defunto. Tommaso, fratello
di Benvenuta Rapondi, fu capitano dei Levati nel 1238 (ACLu, Not. LL 11, ser Ciabatto, c. 158r, 1238
gennaio 26). I Levati erano l’organizzazione popolare che negli anni ’30 aveva preso il posto della fede-
razione delle società dei pedites (Poloni, Strutturazione, cit). Anche i familiari di Rapondo quindi, come i
discendenti di Onesto, nei primi decenni del Duecento furono fortemente impegnati nella promozione
del movimento popolare.
33
Per la descrizione di un fenomeno simile in un’altra città cfr. A. Poloni, Trasformazioni della società
e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa, ETS, 2004.
28 Alma Poloni
34
ASLu, S. Giovanni, 1150 febbraio 3; ASLu, S. Ponziano, 1153 dicembre 31.
35
ASLu, Dipl. Certosa, 1233 settembre 20, 1234 agosto 2, 1234 agosto 19.
36
ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1150 febbraio 3.
37
Per altri casi cfr. Wickham, Comunità, cit.
38
Rapporti con San Ponziano sono attestati fin dall’epoca di Scalocchiato: ASLu, Dipl. S. Ponziano,
1153 dicembre 31.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 29
39
ACLu, Not. LL 12, ser Ciabatto, c. 133 v, 1240 gennaio 29.
40
ASLu, Dipl. Rocchi Burlamacchi (deposito), 1195 giugno 13.
41
AALu, Dipl. ++ T 93, 1261 luglio 15.
42
ASLu, Dipl. Spedale di San Luca, 1302 luglio 9.
43
ASLu, Dipl. San Ponziano, 1271 ottobre 29, 1274 febbraio 9, 1277 ottobre 19.
30 Alma Poloni
44
ASLu, Dipl. San Ponziano, 1234 marzo 11, 1236 agosto 1, 1239 aprile 28 (Albertino Volpelli
avvocato del monastero).
45
Les registres de Grégoire IX, cit., n. 391, 1229 novembre 22, con trascrizione dell’atto del 28 luglio
1219. Per l’intervento di Ugolino nel conflitto tra i milites e il popolo lucchese cfr. Poloni, Strutturazione,
cit., pp. 477-478.
46
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1256 novembre 9.
47
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1239 febbraio 12.
48
Un Volpelli, nato probabilmente negli ultimi anni del XII secolo o nei primi del XIII, si chiama-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 31
va Graziano, nome appartenuto al padre del tintore Ricciardo, poi ricorrente nella famiglia Ricciardi
(ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1239 aprile 29).
49
R.W. Kaeuper, Bankers to the Crown, cit.; I. Del Punta, Mercanti e banchieri, cit.
50
Cfr. cap. V.
32 Alma Poloni
51
Questi episodi sono descritti con abbondanza di particolari dal cronista Giovanni Sercambi: Le
croniche di Giovanni Sercambi, cit., I, pp. 12-17. De Vergottini, Arti e «Popolo», cit., pp. 429-440; Poloni,
Strutturazione, cit., pp. 475-481. Il fenomeno del fuoriuscitismo dei milites in questa fase delle lotte
cittadine è analizzato da G. Milani, L’esclusione dal Comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città
italiane tra XII e XIV secolo, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 2003, pp. 74-81.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 33
52
M. Ronzani, L’organizzazione della cura d’anime nella città di Pisa (secoli XII-XIII), in Istituzioni eccle-
siastiche nella Toscana medievale, a cura di C. Wickham - M. Ronzani - Y. Milo - A. Spicciani, Galatina,
Congedo, 1980, pp. 35-85. Per Lucca V. Tirelli, Lucca nella seconda metà del secolo XII, cit., in particolare
pp. 175-181.
53
Per una riflessione sullo sviluppo delle società del Popolo nel Duecento cfr. A. Poloni,
Disciplinare la società. Un esperimento di potere nei maggiori Comuni di Popolo tra Due e Trecento, in «Scienza e
politica», 37 (2007), pp. 33-62, a cui rimando per le indicazioni bibliografiche.
34 Alma Poloni
54
J.C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna, Il
Mulino, 2004, in particolare pp. 427-508; la citazione da p. 473.
55
Ibidem., p. 472.
56
Come si è visto, molte delle famiglie protagoniste delle vicende duecentesche e trecentesche
sono riconducibili a un antenato che fece fortuna nei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo. Oltre
a quelle citate nelle pagine precedenti, altre famiglie compaiono sulla scena cittadina in questa fase:
è il caso, per fare soltanto gli esempi più noti, dei Ricciardi, dei Battosi (Del Punta, Mercanti, cit.,
pp. 141-151 e pp. 218-222), dei Guidiccioni (Blomquist, Lineage, Land, cit., pp. 7-29), dei celeberrimi
Castracani, famiglia a cui appartenne il futuro signore di Lucca Castruccio (Id., The Castracani Family
of Thirteenth-Century Lucca, in «Speculum», XLVI (1971), pp. 459-476). I Battosi seguirono un percorso
per molti versi simile a quello degli Onesti, dei Martini, dei Carincioni, puntando sulle organizzazioni
popolari fin dall’inizio del Duecento, mentre i Ricciardi, i Guidiccioni e i Castracani scelsero percorsi
meno lineari, e sembrano più vicini a famiglie come gli Incalocchiati o i Volpelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 35
razione del ritmo della mobilità sociale, dovuta alla crescita economica. Ma il
fattore decisivo fu probabilmente l’ostruzione dei normali canali di circolazione
sociale, che impedì che la pressione si allentasse incanalandosi in correnti rego-
lari e controllate, benchè intense, di mobilità sociale. Il blocco fu determinato,
come si è detto, dall’irrigidimento sociale, politico e culturale della militia. In
ogni caso, è evidente che la rilevanza numerica del gruppo coinvolto non è una
considerazione secondaria per chi cerchi di valutare gli elementi che a un certo
punto resero credibile l’idea di puntare sullo sviluppo delle relazioni orizzontali
come strumento di affermazione sociale e politica.
Quanto detto sinora ha molti punti di contatto con le osservazioni di Chris
Wickham sull’origine dei comuni rurali nel territorio lucchese57. Secondo lo
storico inglese, una delle possibili spiegazioni della nascita e del consolidamento
delle istituzioni comunali nelle campagne è una variazione del comportamento
delle élites di villaggio, le quali, a partire più o meno dalla seconda metà del XII
secolo, e con cronologie differenti da luogo a luogo, cominciarono a valorizzare
le relazioni sociali orizzontali a scapito di quelle verticali come strumenti di
potere e di controllo sulla società locale. I primi comuni rurali erano guidati
da uomini appartenenti a «quello strato di proprietari locali o di affittuari che
aveva appena rinunciato al tentativo di ascendere al gradino più basso dell’aris-
tocrazia». La fisionomia sociale di questi notabili non era in fondo radicalmente
diversa da quella degli Onesti, dei Fornari, dei Martini, anche se l’ambiente
cittadino offriva a questi ultimi una gamma più ampia di opportunità.
La nascita dei comuni rurali, e tanto più la creazione in città delle organiz-
zazioni popolari, riflettono mutamenti nel modo di concepire la partecipazione
politica e il rapporto con il potere che non possono certo essere ridotti alle
strategie di affermazione di una ristretta élite. Questi aspetti però, almeno per
quanto riguarda il Popolo, sono stati ampiamente indagati dalla storiografia58.
È forse opportuno cominciare a riflettere anche sul fatto che la formazione dei
movimenti popolari si inquadra in un più ampio e generale processo di trasfor-
mazione dei modelli di azione sociale, che seguì dinamiche molto simili nelle
città e nelle campagne. Tale processo fu probabilmente connesso agli sviluppi
macroeconomici del XII secolo, ma soprattutto alla progressiva definizione giu-
ridica e culturale delle aristocrazie cittadine e rurali. L’argomento richiederebbe
tuttavia uno studio approfondito che esula dai più limitati interessi di questo
lavoro.
57
Wickham, Comunità, cit., soprattutto pp. 246-247.
58
Per una rapida analisi della produzione storiografia su questi temi rimando a A. Poloni,
Fisionomia sociale e identità politica, cit.
36 Alma Poloni
59
Cfr. cap. V.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 37
60
Abulafia, The Two Italies, cit., pp. 3-30.
61
Ibidem, pp. 255 e sgg.
62
Sulle forme societarie del commercio marittimo la trattazione più chiara si trova in M.
Tangheroni, Commercio e navigazione, cit., pp. 341-350.
63
Il Cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano e M. Moresco, 2 voll., Torino, Lattes, 1935
(d’ora in poi Giovanni Scriba), n. 559, 1159 ottobre 7; n. 740, 1160 agosto 26; n. 1038, 1162 aprile 13;
n. 976, 1162 settembre 22; n. 1261, 1164 agosto 2.
64
Ibidem, nn. 559, 740, 1261. Accadeva spesso che i soci finanziatori chiedessero bilanci prov-
visori quando le imprese commerciali si protraevano per molto tempo: Abulafia, The Two Italies, cit.,
pp. 298-301.
65
Il capitale iniziale della società è ricordato nel documento del 1159 (Giovanni Scriba, n. 559).
38 Alma Poloni
66
Nell’ottobre del 1159 il capitale societario ammontava a 700 lire. Oberto aveva ritirato fino a
quel momento 44 lire, mentre Baldezone non aveva ancora fatto valere il suo diritto di incassare la
stessa somma. Nell’agosto del 1160 il capitale era di 720 lire; Oberto aveva fino a quel momento ritirato
72 lire, mentre Baldezone non aveva ritirato nulla. Nel 1164 il fondo societario era pari a 950 lire, 710
lire in denaro liquido e 240 in merci. Nella società aveva investito 25 lire anche la moglie di Oberto.
Quest’ultimo aveva fino ad allora ritirato 267 lire, la moglie stava per incassarne altre 50. Delle 317
lire che gli spettavano, Baldezone ne aveva fino ad allora ritirate soltanto 190. È probabile comunque
che tra l’agosto del 1160 e l’agosto del 1164 fossero stati redatti altri bilanci, forse annualmente, che
tuttavia non si sono conservati.
67
Giovanni Scriba, n. 740, 1160 agosto 26.
68
Ibidem, n. 559, 1159 ottobre 7; n. 1261, 1164 agosto 2.
69
Ibidem, n. 976, 1162 settembre 22.
70
Nel 1176 Oberto Lucensis fu tra i testimoni che nel palazzo arcivescovile assistettero a un impe-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 39
gno solenne del marchese Guglielmo di Monferrato nei confronti dei genovesi (Codice diplomatico della
repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Roma, Tip. del Senato, 1936, II, n. 105, 1176
agosto 23). Questo personaggio è quasi certamente da identificare con il nostro mercante, che anche
nel registro di Giovanni Scriba viene indicato semplicemente come Obertus Lucensis. Nel 1179 con la
carica di claviger presenziò a una conventio tra i consoli di Genova e il vescovo di Bugnato (Ibidem, n. 121,
1179 agosto 7). Nel 1182 fu console pro iustitiis (Ibidem, n. 138, 1182), carica che ricoprì anche nel 1184
(Ibidem, n. 146, 1184) e nel 1189 (Ibidem n. 180, 1189). Nel 1190 Oberto fece parte del gruppo di consi-
liatores che giurarono insieme ai consoli e ai consoli dei placiti i patti conclusi con il duca di Borgogna
per il trasporto del re di Francia e dei suoi cavalieri in Terrasanta (Ibidem, n. 192, 1190 febbraio).
71
Abulafia, The Two Italies, cit., p. 256.
72
Oberto Scriba de Mercato (1190), a cura di M. Chiaudano e R. Morozzo della Rocca, Torino,
Editrice libraria italiana, 1938 (d’ora in poi Oberto Scriba 1190), n. 530.
73
Ibidem, n. 532.
40 Alma Poloni
valore totale di 426 lire, sul mercato siciliano74. La partita era per metà di pro-
prietà del nostro Paxio. Quest’ultimo, in più, concludeva con il mercante geno-
vese un cambio marittimo con pegno in merci75: Paxio riceveva da Ogerio 42
lire genovesi e gli consegnava tre virides, cioè pezze di panno verde, da vendere
in Sicilia per 22 once e mezzo di tarì d’oro76. Se questa somma non fosse stata
raggiunta, Ogerio poteva rivalersi sulle altre merci di proprietà del lucchese; se
invece il ricavo fosse stato superiore, quest’ultimo avrebbe dovuto incassare la
differenza.
Nel 1191 Paxio entrò in società con il tintore Pinello77. Il lucchese si impe-
gnava a fornire tutta l’attrezzatura più costosa e a pagare l’affitto del locale che
doveva ospitare la bottega. Il tintore metteva a disposizione il proprio lavoro e
partecipava all’acquisto degli strumenti più a buon mercato. I guadagni dell’at-
tività sarebbero stati divisi a metà tra i due soci. Si trattava dunque per Paxio di
un’altra forma di investimento. È probabile tuttavia che egli si riservasse anche
la commercializzazione, in particolare sul mercato siciliano, di almeno una parte
dei tessuti tinti nella bottega. Può darsi che i panni verdi citati nel documento
del 1192 fossero passati per le mani di Pinello; in questo caso i margini di pro-
fitto sarebbero stati per Paxio più alti di quelli di solito realizzati in quel tipo
di contratti.
Negli anni ’80 e ’90 era molto attivo sulla piazza genovese un altro lucche-
se, di nome Cenna, il quale non aveva la stessa propensione di Paxio per le
speculazioni complicate e rischiose. Il suo dossier documentario è composto
interamente da società e commende nelle forme più classiche78. In questi
rapporti societari Cenna rappresentava sempre il socius stans, cioè il finan-
ziatore. Le somme impegnate non erano molto alte, andavano da un minimo
di 6 lire genovesi a un massimo di 36. Cenna aveva un particolare interesse
per il mercato romano, e in generale i suoi affari non si estendevano al di là
dell’area tirrenica: altre destinazioni citate sono Montpellier, la Maremma e
la Corsica.
74
Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M.W. Hall - H.C. Krueger - R.L. Reynolds, 2 voll.,
Torino, Lattes, 1938 (d’ora in poi Guglielmo Cassinese), n. 1723, 1192 marzo 10.
75
Si tratta di una forma contrattuale piuttosto diffusa a Genova alla fine del XII secolo: Abulafia,
The Two Italies, cit., pp. 256-257.
76
Guglielmo Cassinese, n. 1724, 1192 marzo 10.
77
Ibidem, n. 1193, 1191 ottobre 8.
78
Oberto Scriba de Mercato (1186), a cura di M. Chiaudano, Torino, Editrice libraria italiana, 1940
(d’ora in poi Oberto Scriba 1186), n. 93, 1186 ottobre 6; n. 109, 1186 ottobre 9. Guglielmo Cassinese,
n. 247, 1191 febbraio 26, n. 697, 1191 giugno 10, n. 1463, 1192 gennaio 3, n. 1638, 1192 febbraio 28,
n. 1706, 1192 marzo 7, n. 1773, 1192 marzo 21.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 41
79
Guglielmo Cassinese, n. 1773, 1192 marzo 21.
80
Ibidem, n. 1706, 1192 marzo 7.
81
«Item [Guido] Ianuam reducere promittit in potestate eius [di Cenna] vel sui certi missi profi-
cuum quod Deus dederit cum capitali».
42 Alma Poloni
a Lucca come altrove, infatti, la maggior parte dei documenti giunti fino a
noi riguardano la terra e il suo trasferimento. Il possesso fondiario, inoltre,
era il presupposto del radicamento nella società locale. Nei secoli medievali le
transazioni che avevano per oggetto la terra raramente avevano un significato
meramente economico, più spesso creavano o rafforzavano legami di fedeltà,
sottomissione, amicizia o sostegno reciproco82. La terra, insomma, era il perno
delle relazioni sociali sia orizzontali che verticali. La difficoltà di inseririsi in
questo sistema di rapporti, dovuta forse a un’insufficiente base patrimoniale,
potrebbe essere una delle motivazioni che spinsero Oberto, Paxio e Cenna a
giocare la carta genovese. A Genova il commercio internazionale si fondava su
strumenti societari che, come abbiamo visto, avevano già raggiunto alla metà
del XII secolo un alto grado di raffinatezza. Essi consentivano anche a uomini
privi di mezzi di avere accesso al denaro di investitori piccoli e grandi, e con il
tempo di accumulare un capitale personale da far fruttare in speculazioni anche
complesse.
Per chi disponeva almeno di un piccolo patrimonio di partenza il commercio
internazionale con base a Genova non era probabilmente, nella seconda metà
del XII secolo, l’unica opportunità di arricchimento, e forse nemmeno la più
attraente. Sembra infatti che in quei decenni il territorio lucchese vivesse una
fase di forte crescita economica, il cui motore principale non erano ancora gli
scambi a lunga distanza, ma piuttosto la commercializzazione dei prodotti agri-
coli83. La crescita demografica, l’espansione del mercato cittadino, la tendenza
alla specializzazione della produzione provocarono un rapido aumento del valo-
re economico della terra e della rendita fondiaria, soprattutto nelle Sei Miglia,
l’area circostante il centro urbano. È stato calcolato che a Lucca nel periodo
compreso tra il 1160 e il 1200 i prezzi aumentarono all’incirca del 150%, con
un picco negli anni ’90.
Questo contesto consentiva investimenti redditizi e speculazioni complicate
quasi quanto quelle attestate a Genova. Chris Wickham ha analizzato alcuni
casi di intraprendenti proprietari fondiari di piccolo e medio calibro i quali,
combinando un’intensa attività di compravendita di terre e rendite, il subaffitto
dei fondi ricevuti in concessione da enti religiosi, i prestiti con o senza pegno
82
Wickham, Comunità, cit. Cfr. anche Id., Land and Power, London, The British School at Rome,
1994; Id., La montagna e la città. L’appennino toscano nell’alto medioevo, Torino, Paravia Scriptorium, 1997;
Property and Power in the Early Middle Ages, a cura di W. Davies e P. Fouracre, Cambridge, Cambridge
University Press, 1995.
83
Questi aspetti sono stati analizzati in uno studio di Arnold Esch tuttora inedito. Le osservazioni
che riporto nel testo sono tratte da Wickham, Comunità, cit., pp. 21-37, che riferisce alcune delle con-
clusioni di Esch.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 43
84
Per Gerardino di Moretto di Marlia vedi Wickham, Comunità, cit., pp. 48-55. Per Malafronte di
Gerardo di Lucca Ibidem, pp. 135-137, e per Cortefugga di Panfollia di Paganico Ibidem, pp. 166-172.
85
Abulafia, The Two Italies, cit., p. 257; per le attività di Stefano de Clavica Ibidem, pp. 256-258.
44 Alma Poloni
lucchese avrebbe dovuto rimborsare a Stefano 3 lire genovesi per ogni oncia
mancante, mentre se il ricavato fosse stato più alto del previsto quest’ultimo
avrebbe reso a Vediano 3 lire per ogni oncia in più. I panni lucchesi dovevano
costituire una voce non secondaria del giro d’affari di Stefano, come mostra
un altro documento dello stesso anno86. Da un atto del 1186 sappiamo inoltre
che Vediano frequentava anche Parigi e Roma, dove probabilmente, tra le altre
cose, smerciava i panni scarlatti87.
Nel marzo del 1192 il lucchese Corso Raimondino affidò tramite un contrat-
to di commenda al concittadino Bodono «scarlatam unam de Lisna [Malines?]
et vermilionem unum de Luca» da vendere in Sicilia88. È probabile che i panni
scarlatti degli anni ’80 e il vermiglione del 1192 fossero stati non solo tinti, ma
interamente prodotti a Lucca. L’origine della specializzazione lucchese negli
scarlatti è tuttavia certamente da ricercare nell’attività di rifinitura dei tessuti
del nord Europa89. I lucchesi frequentavano le fiere della Champagne almeno
dalla metà del XII secolo. Nel luglio del 1153 essi conclusero un trattato com-
merciale con i genovesi, i quali garantivano protezione ai mercanti della città
toscana che attraversavano il loro territorio per recarsi, lungo un itinerario
interamente terrestre o percorrendo alcuni tratti via mare, «ad ferias ultramon-
tanas»90. Ai lucchesi veniva esplicitamente concesso il permesso di importare
dalle fiere «pannos albos et blavos et apersatos».
L’aggettivo «blavus» è una latinizzazione per blu. «Apersati» ricorda da
vicino l’aggettivo «perso», che indica una tonalità più scura di blu, tendente al
grigio o al bruno. Nel Trecento, bianco, blu e perso erano le diverse sfumature
di colore dei panni franceschi acquistati dalle aziende fiorentine per essere
tinti, in particolare con la grana, la sostanza ottenuta dal corpo disseccato della
cocciniglia91. La tintura con la grana, come è noto, avveniva sulla pezza già
tessuta. Se la pezza era stata prodotta con lana non tinta («bianca») si otteneva
un colore rosso vivo. Le pezze venivano però tessute anche con lane già tinte di
86
Ibidem, p. 338.
87
Oberto Scriba 1186, n. 319, 1186 dicembre 13.
88
Guglielmo Cassinese, n. 1753, 1192 marzo 16.
89
P. Chorley, The Cloth Exports of Flanders and Northern France during the Thirteenth Century: A Luxury
Trade?, in «Economic History Review», XL (1987), pp. 349-379.
90
I Libri Iurium della repubblica di Genova, a cura di A. Rovere - D. Puncuh - E. Madia - M.
Bibolini - E. Pallavicino, 8 voll., Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per
i beni archivistici, 1992-2002, I, n. 162, 1153 luglio 10.
91
H. Hoshino, La tintura di grana nel basso Medioevo, ora in Id., Industria tessile e commercio inter-
nazionale nella Firenze del tardo Medioevo, a cura di F. Franceschi e S. Tognetti, Firenze, Olschki, 2001,
pp. 23-40.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 45
varie sfumature di blu, per ottenere, con l’applicazione della grana, una gamma
molto ampia di colori92. A mio parere, dunque, i «panni albi et blavi et apersati»
che venivano importati dai lucchesi alla metà del XII secolo erano tutti destinati
a essere tinti nelle botteghe cittadine.
In un documento genovese del 1203 sono citate alcune «brunete de Ipre de
tinta de Luca»93. Nel tariffario veneziano detto Racio Lombardi seu Francisci, del-
l’inizio del XIII secolo, sono nominati due tipi di pannilana lucchesi, il vermi-
glione e l’«Ipre de latente de Luca», a conferma della stretta relazione esistente
nella città toscana tra l’attività di tintura dei tessuti fiamminghi e la produzione
locale su imitazione di quegli stessi tessuti94.
Erano in gran parte lucchesi anche i mercanti che rifornivano le botteghe
della loro città delle materie tintorie reperite sulla piazza genovese. Nel 1186
Vediano, che abbiamo già visto commerciare in panni scarlatti lucchesi, acqui-
stò una partita di grana, probabilmente da rivendere a Lucca95. Nel marzo del
1192 Bartolomeo da Lucca si impegnò a vendere nella sua città 8 cantari e
mezzo di grana di Spagna di proprietà del concittadino Rolando, del valore di
114 lire genovesi96. Tra le merci che, come abbiamo visto, Cenna affidò al luc-
chese Guido Gaba c’erano anche due cantari e mezzo di allume, utilizzato come
mordente nell’attività tintoria97.
A Genova operavano dunque numerosi mercanti lucchesi che, a differenza
di Oberto, Paxio e Cenna, avevano rapporti molto stretti con l’economia della
città di provenienza. Con la sola eccezione di Vediano, questi mercanti sono
per lo più attestati una sola volta nelle fonti genovesi. Nessuno di loro appar-
teneva a famiglie della militia della seconda metà del XII secolo, e nessuno è
collegabile ai gruppi familiari che dall’inizio del secolo successivo costituiranno
l’élite politica ed economica del Popolo. L’inserimento nel ciclo di produzione e
commercializzazione degli scarlatti non sembra esercitare una forte attrazione
sui lucchesi più dotati di mezzi, ai quali, come abbiamo visto, le speculazioni
92
J.H. Munro, The Medieval Scarlet and the Economics of Sartorial Splendor, in Cloth and Clothing in
Medieval Europe. Essays in Memory of Professor E. M. Carus-Wilson, ed. By N. B. Harte and K. G. Ponting,
London, Heinemann Educational Books, 1983, pp. 13-70.
93
Giovanni di Guiberto (1200-1211), a cura di M.W. Hall-Cole - H. G. Krueger - R.L. Reynolds, 2
voll., Torino (Notai liguri del sec. XII, V) 1940 (d’ora in poi Giovanni di Guiberto), n. 852.
94
Citato in P. Mainoni, La seta in Italia fra XII e XIII secolo: migrazioni artigiane e tipologie seriche, in
La seta in Italia dal medioevo al Seicento, a cura di L. Molà - R.C. Mueller - C. Zanier, Venezia, Marsilio,
2000, pp. 365-399, in particolare p. 377.
95
Oberto Scriba 1186, n. 317, 1186 dicembre 2.
96
Guglielmo Cassinese, n. 1700, 1192 marzo 7.
97
Guglielmo Cassinese, n. 1706, 1192 marzo 7.
46 Alma Poloni
98
Per le ipotesi sulle origini della manifattura serica a Lucca cfr. F. Edler de Roover, The Silk
Trade of Lucca during the Thirteenth and Fourteenth Centuries, PhD Dissertation, University of Chicago
1930; B. Dini, L’industria serica in Italia. Secc. XIII-XV, in La seta in Europa, secc. XIII-XX. Atti della
XXIV Settimana di Studi dell’Istituto Internazionale di storia economica F. Datini di Prato 4-9 mag-
gio 1992, Firenze, Le Monnier, 1993, pp. 91-123; Mainoni, La seta, cit.; D. Jacoby, Silk Crosses the
Mediterranean, in Le vie del Mediterraneo. Idee, uomini, oggetti (secoli XI-XVI), a cura di G. Airaldi, Genova,
ECIG, 1997, pp. 55-79; Id., Genoa, Silk Trade and Silk Production in the Mediterranean Region (ca. 1100-
1300), in Tessuti, oreficerie, miniature in Liguria, XIII-XV secolo, Atti del Convegno internazionale di studi
(Genova-Bordighera, 22-25 maggio 1997), a cura di A.R. Calderoni Masetti et al., Bordighera, Istituto
Internazionale di Studi liguri, 1999, pp. 11-40.
99
Guglielmo Cassinese, n. 256, 1191 marzo 4.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 47
100
Jacoby, Genoa, cit.
101
Per questi aspetti vedi D. Jacoby, Italian Privileges and Trade in Byzantium before the Fourth Crusade:
A Reconsideration, in «Anuario de estudios medievales», XXIV (1994), pp. 359-368, ora anche in Id.,
Trade, Commodities and Shipping in the Medieval Mediterranean, London, Variorum, 1997, n. II.
102
Jacoby, Italian Privileges, cit., e Id., Genoa, cit.
48 Alma Poloni
103
Per la sericoltura e la manifattura serica nelle province occidentali dell’impero cfr. D. Jacoby,
Silk in Western Byzantium before the Fourt Crusade, in «Byzantinische Zeitschrift», LXXXIV-LXXXV
(1991-1992), ora anche in Id., Trade, cit.
104
M. Balard, Les Génois en Romanie entre 1204 et 1261. Recherches sur le minutiers notaraux génois, in
«Mélanges d’archéologie et d’histoire publiés par l’Ecole Française de Rome», LXXVIII (1966).
105
Jacoby, Genoa, cit., in particolare p. 22.
106
Nel 1192 i genovesi ricevettero da Enrico di Troyes, conte palatino, alcuni privilegi commerciali
come ricompensa per il loro contributo militare alla liberazione di Acri e Tiro. Il trattato stabiliva che
i mercanti di Genova erano tenuti a pagare i tributi sulle merci importare via mare o via terra dai ter-
ritori musulmani e vendute sul mercato di Tiro. Se però tali merci non venivano vendute sul mercato
locale essi erano esentati da qualsiasi imposizione. Queste concessioni promuovevano il ruolo di Tiro
come scalo e luogo di transito delle merci dell’entroterra musulmano (I Libri iurium cit., I, n. 335, 1192;
cfr anche n. 331, 1190 aprile 11, n. 332, 1190 maggio 4, n. 333, 1191 ottobre 26, n. 334, 1192, aprile,
n. 336, 1195 settembre).
107
D. Jacoby, Mercanti genovesi e veneziani e le loro merci nel Levante crociato, in Genova, Venezia, il Levante
nei secoli XII-XIV, Atti del Convegno Internazionale di studi (Genova-Venezia, 10-14 marzo 2000), a
cura di G. Ortalli e D. Puncuh, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2001. Anche Ashtor
nota un significativo aumento del volume del commercio genovese e, in misura minore, veneziano con
l’area siriana nei primi anni del Duecento. Secondo lo studioso questo mutamento sarebbe collegato
a un calo degli investimenti genovesi e veneziani in Egitto, legato alla situazione politica sfavorevole
instauratasi con la conquista del Saladino. Un eccessivo aumento dei costi del commercio in area egi-
ziana avrebbe provocato uno spostamento di capitali sull’«Oltremare» crociato: E. Ashtor, Investments
in Levant Trade in the Period of the Crusades, in «The Journal of European Economic History», XIV
(1985), pp. 427-432.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 49
108
Questo dato non è verificabile perché i notai si limitavano nella grande maggioranza dei casi ad
annotare la vendita di «tanta merce», senza specificare né la quantità esatta né tantomeno la provenien-
za. Tuttavia le vendite di seta greggia a Genova si fanno decisamente più numerose a partire dall’inizio
del Duecento.
109
J.A. Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico, Firenze, Sansoni, 1977 (ed. orig. 1912).
110
Sugli Onesti cfr. cap. I.1.1. L’appartenenza di Ughetto, Gualterio e Benetto allo stesso nucleo
50 Alma Poloni
dei tre fratelli impegnati nel commercio era soprattutto Gualterio a recarsi a
Genova. La maggior parte delle operazioni che lo videro protagonista prevedeva
la chiusura a Lucca, probabilmente per mezzo di Ughetto e Benetto.
Gli atti riguardanti gli Onesti sono per lo più generici contratti di prestito
o di cambio, mentre mancano testimonianze dirette di un’attività di compra-
vendita di seta greggia o lavorata. Alcuni indizi suggeriscono tuttavia che
potrebbe essere questo il perno dei loro affari a Genova. Tra i testimoni di un
cambio su Lucca concluso da Gualterio nel luglio del 1201 compare il lucchese
Bonamico111. Quest’ultimo era probabilmente specializzato nella commercia-
lizzazione della seta greggia: nel 1191 aveva venduto a due concittadini una
consistente partita di seta del Turkestan. Nel maggio del 1205 Gualterio e il
fratello Benetto vendettero a un altro lucchese 71 miliaria di oro filato per 25
lire lucchesi da saldare nella città toscana; il filo d’oro veniva utilizzato per la
realizzazione dei preziosi drappi auroserici112.
Dal secondo decennio del Duecento le informazioni fornite dalle fonti geno-
vesi trovano sempre più spesso riscontro anche nella documentazione prodotta
a Lucca, una circostanza di per sè assai significativa. Un caso interessante è
rappresentato da Bonagiunta e Pagano, figli di Fornario di Mattafellone113.
Nel 1214 a Genova Bonagiunta Fornari ricevette da un mercante astigiano
una somma non specificata in moneta genovese, per la quale promise di pagare
18 lire e 12 denari di provesini alla fiera di Bar sur Aube114. Nel 1219, come
attesta un documento lucchese, un mercante di Siena acquistò dal fratello di
Bonagiunta, Pagano, e dai «socii sui …de sua apotheca» uno zendado giallo
e un cammellotto, per i quali si impegnò a saldare entro un mese e mezzo un
marco d’argento «ad pesum de Cologna»115. L’atto fu concluso nel borgo di San
Frediano, la contrada di Lucca dove i Fornari risiedevano, «in apotheca dicti
Pagani et fratrum».
familiare del giudice Tancredo e di Noradino mi sembra confermata dal fatto che nella linea dei discen-
denti diretti di Ughetto ritorna per più generazioni il nome Noradino, mentre nel ramo discendente
da Tancredo sono molto presenti sia il nome Benetto che il nome Noradino. Tra i diversi rami della
famiglia Onesti esistevano ancora nei primi decenni del Trecento stretti legami di solidarietà e collabo-
razione economica.
111
Giovanni di Guiberto, n. 304, 1201 luglio 17.
112
Ibidem, n. 1146, 1205 maggio 11; D. Devoti, Un’arte decorativa e industriale: «… centum XII pannos
lucanos…de serico cum auro», in La seta. Tesori di un’antica arte lucchese. Produzione tessile a Lucca dal XIII al
XVII secolo, Museo nazionale di Palazzo Mansi (Lucca, 16 giugno-30 settembre 1989), catalogo della
mostra a cura di D. Devoti, Lucca, Pacini Fazzi, 1989, pp. 13-30.
113
Cfr. cap. I.1.1.
114
Doehaerd, n. 318, 1214 febbraio 28
115
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1219 gennaio 4.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 51
La società era dunque a base familiare, ed era composta, oltre che da Pagano
e Bonagiunta, da almeno un altro fratello del quale non sono rimaste attestazio-
ni. Bonagiunta si spostava tra Genova, dove probabilmente comprava materie
prime per la manifattura serica, e le fiere della Champagne, dove forse era
impegnato, tra le altre attività, a piazzare i tessuti di seta e le altre merci prove-
nienti dalla bottega lucchese. L’atto del 1214 prova infatti che egli si aspettava
di avere a disposizione alle fiere il denaro contante necessario per chiudere il
cambio contratto a Genova, dove al contrario aveva bisogno di liquidità per gli
acquisti di seta e coloranti. La sede lucchese della società, gestita da Pagano, si
occupava di lavorare – o più probabilmente di far lavorare – la seta, ma a quan-
to pare commerciava anche altre stoffe di alta qualità come il cammellotto. La
società dei Fornari è una specie di prototipo delle compagnie lucchesi duecen-
tesche, caratterizzate per la maggior parte da questa stessa distribuzione degli
interessi commerciali lungo l’asse Lucca-Genova-Champagne.
Alla fine degli anni ’20 compaiono tra i soci anche due mercanti estranei alla
famiglia, Gerardo, figlio del defunto notaio Ghiandone, e Montacollo. Nel 1228
Bonagiunta Fornari ricevette da Gerardo un sommario rendiconto delle attività
che quest’ultimo aveva svolto per conto della società116. Bonagiunta e Gerardo
specificavano che informazioni più dettagliate si potevano trovare nei libri di
conto dei soci: «de facto mercadantie et sete et grane et aluminis et balistarum
et aliarum rerum mercadantie de quibus simul vel cum Montacollo habuerunt
vel quas ipse Gerardus habuit ab ipsis … ita est sic continetur in libris ipsius
Gerardi et Bonagiuncte». Gli interessi di Bonagiunta si concentravano ancora
principalmente nella compravendita di materie prime e prodotti della manifat-
tura serica.
È probabile che anche altre famiglie che abbiamo visto muoversi sulla scena
lucchese a cavallo tra XII e XIII secolo fossero in vario modo coinvolte nel
sistema di rapporti economici che si andava definendo all’inizio del Duecento.
Nel 1213 a Genova tre lucchesi conclusero con un concittadino un contratto
di cambio sulle fiere della Champagne117. Tra i testimoni compare un Ricardus
tinctor quasi certamente da identificare con l’eponimo dei Ricciardi, fondatore
di una delle più potenti compagnie duecentesche. La storia della grande società
ebbe inizio nella bottega gestita da Ricciardo, dal fratello e da altri soci – at-
testata nelle fonti lucchesi dall’inizio degli anni ’30 – che operava in particolare
nella vendita di zendadi e altri tessuti di seta118. La presenza a Genova di
116
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1228 luglio 6.
117
Doehaerd, n. 299, 1213 settembre 12.
118
Del Punta, Mercanti, cit., pp. 143-145.
52 Alma Poloni
Ricciardo nel 1213 suggerisce che probabilmente già a questa data il tintore e
suo fratello avevano un’attività che doveva funzionare in modo simile a quella
dei fratelli Fornari.
In un altro documento del 1215 il lucchese Moratinus de Lostrego e un suo
socio ricevettero da un concittadino poco più di 320 lire di moneta genovese, in
cambio delle quali promisero 248 lire di provesini alla fiera di Bar sur Aube119.
Gli Streghi furono nel Duecento e nel Trecento un’importante famiglia mercan-
tile. Nel 1207 Overardo Streghi era stato console dei treguani120. Egli compare
come testimone nell’atto del 1219 riguardante la società dei Fornari.
Nel maggio del 1205 Bonatino in Spadoio scriveva da Genova a Cecio del fu
Aldebrandino Faitinelli, che presumibilmente si trovava a Lucca; quest’ultimo
era pregato di consegnare al cognato dello scrivente le merci, soprattutto pelli di
coniglio e di volpe, che a Palermo un mercante lucchese aveva affidato in com-
menda a Bonatino, inviandogliele per mezzo di Cecio121. I Faitinelli erano una
famiglia attivamente impegnata nella lotta politica dei primi anni del Duecento.
Nel 1214 Gherardo era uno dei consoli dei mercanti che, per la loro conniven-
za con la pars populi, subirono un attentato da parte di alcuni milites122. Anche
i Faitinelli, come gli Streghi, erano vicini ai Fornari: nel 1235 Cecio presenziò
a un atto nel quale Bonagiunta Fornari concedeva in tenimentum a un conta-
dino un appezzamento che i Fornari tenevano a livello dal monastero di San
Ponziano123. Due anni dopo lo stesso Bonagiunta vendette al fratello di Cecio,
Faitinello, due terreni posti nella piana di Lucca, uno dei quali, un podere col-
tivato a vigna dotato delle attrezzature necessarie alla produzione del vino, era
di grande valore124. In effetti il prezzo pagato da Faitinello, 360 lire lucchesi,
era molto alto. È possibile che i Fornari accettassero di privarsi di una proprietà
tanto redditizia perché vivevano un momento di difficoltà economica. Dopo il
1228 infatti non abbiamo altre attestazioni della loro società, e in seguito essi
abbandonarono il commercio internazionale.
Con l’acquisto del 1237 i Faitinelli portavano forse soccorso finanziario a
una famiglia alla quale erano legati da un intreccio di rapporti sociali, economici
e politici. Gli Streghi e i Faitinelli avevano una fisionomia sociale molto simile a
quella degli Onesti, dei Fornari, dei Martini, dei Peri, ed erano probabilmente
119
Doehaerd, n. 339, 1215 marzo 22.
120
AALu, Dipl. + K 59, 1207 dicembre 20.
121
Giovanni di Guiberto, n. 1027, 1205 maggio 6.
122
Le croniche di Giovanni Sercambi, cit., pp. 15-16.
123
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1235 gennaio 12.
124
ASLu, Dipl. S. Croce, 1237 agosto 1: «campus cum arboribus et cum vitibus et casa et tino et
palmento et bucte et puteo».
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 53
parte attiva di quel sistema di relazioni orizzontali che abbiamo descritto nelle
pagine precedenti125. Anche queste due famiglie ebbero un ruolo di primo piano
nelle vicende lucchesi dei secoli successivi.
Un altro mercante rintracciabile nelle fonti genovesi dell’inizio del secolo
è Gerardo da Chiatri, primo membro noto di una famiglia di un certo rilievo
del gruppo dirigente popolare della seconda metà del Duecento126. È molto
probabile che tra i numerosi lucchesi presenti sulla piazza genovese in quegli
anni, la maggior parte dei quali non sono identificabili perché indicati con il solo
patronimico, o a causa delle storpiature dei cognomi da parte dei notai locali,
si nascondano altri personaggi collegabili a importanti famiglie duecentesche e
trecentesche. I Martini per esempio potrebbero essere coinvolti in attività com-
merciali: essi erano legati ai Fornari perché una figlia di Guido Martini, sorella
di Arrigo, aveva sposato Bonagiunta. Inoltre nel 1243 Aldebrandino, figlio di
Arrigo, acquistò una partita di grana di Spagna127.
In questa prima fase, a quanto sembra, nessuna famiglia della militia cit-
tadina si dimostrò invece disponibile a cogliere le occasioni offerte dal nuovo
contesto economico128. L’espansione commerciale dell’inizio del Duecento sem-
brerebbe opera soltanto di gruppi familiari di origine piuttosto recente proprio
allora impegnati in un faticoso percorso di affermazione sociale.
125
Cfr. cap. I.1.3.
126
Lanfranco (1202-1226), a cura di H.G. Krueger e R.L. Reynolds (d’ora in poi Lanfranco), Genova,
Società ligure di storia patria, 1951, n. 583, 1210 maggio 26; Doehaerd, n. 469, 1236 giugno 22.
127
ACLu, Not. LL 17, not ser Ciabatto, c. 30v, 1243 aprile 23.
128
Un Gerardo Antelminelli è attestato a Genova nel 1201 (Giovanni di Guiberto, n. 292, 1201 luglio
17), mentre un Enrico Antelminelli operava a Palermo nel 1205 (Ibidem, n. 1027, 1205 maggio 6). Non
abbiamo tuttavia nessun elemento che ci consenta di identificare questi due mercanti come membri
della potente famiglia consolare degli Antelminelli. Antelminello era infatti un nome piuttosto diffuso
a Lucca tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Tanto più che gli Antelminelli, a differenza di
numerose altre famiglie della militia cittadina (cfr. cap. II.1.3), non si impegnarono direttamente nelle
attività commerciali neppure nella seconda metà del Duecento.
129
Edler de Roover, The Silk Trade, cit.
54 Alma Poloni
zione, legata come si è detto alla maggiore reperibilità delle materie prime, e
dall’espansione della domanda proveniente dalle aristocrazie europee, in parti-
colare francesi. Essi ne riportarono a quanto sembra profitti talmente elevati da
destare l’interesse di coloro che disponevano di risorse da impiegare.
Mattafellone e Guido di Martino ebbero almeno tre figli che vissero fino
all’età adulta e si riprodussero. Almeno quattro figli di Carincione soppravis-
sero al padre, e la stessa fortuna toccò a Rapondo e Scalocchiato. All’inizio del
Duecento tra Lucca e Genova erano attivi cinque figli di Onesto. Il figlio di
Sasso, Pero, vide crescere fino all’età adulta sette figli. È stato dimostrato che
nell’Europa preindustriale il «successo riproduttivo» era strettamente legato
alla condizione economica: il saldo demografico decisamente positivo che
caratterizzò i nostri gruppi familiari a cavallo tra XII e XIII secolo è un’altra
conferma della loro floridezza. Questa caratteristica della crescita demografica
tuttavia tendeva a produrre fenomeni di mobilità sociale discendente, e il rischio
doveva essere particolarmente elevato per famiglie di ricchezza recente le cui
proprietà, anche se molto produttive, sembrerebbero di estensione piuttosto
limitata e concentrate nelle aree intorno alla città130. La disponibilità di questo
gruppo sociale a sfruttare le opportunità create dal commercio internazionale
era forse determinata anche dalla volontà di controbilanciare gli effetti poten-
zialmente negativi della frammentazione dei patrimoni.
L’impegno diretto di famiglie come gli Onesti e i Fornari consentì comunque
di convogliare verso il commercio internazionale parte delle risorse accumulate
attraverso le speculazioni sulle terre e sulle rendite e le operazioni di credito
agli enti ecclesiastici, saldando, in un certo senso, il «boom» agricolo del XII
secolo con la rivoluzione commerciale duecentesca. In questa fase, a quanto
sembra, soltanto alcuni dei popolari in ascesa scelsero di impegnarsi nei traffici
a lunga distanza. Nei primi decenni del Duecento alcune delle famiglie di cui
ci stiamo occupando, per esempio i Peri, i Carincioni e gli Incalocchiati, non
erano in apparenza interessate a tentare la fortuna in questo campo, e neppure
per i Martini e i Rapondi esistono attestazioni dirette131. In ogni caso l’immis-
sione nel settore manifatturiero e commerciale di almeno una parte dei capitali
provenienti dal settore agricolo, che viveva un momento di dinamismo, può
130
Per gli effetti sociali del maggior successo riproduttivo delle famiglie più benestanti cfr. da ulti-
mo G. Clark and G. Hamilton, Survival of the Richest: the Malthusian Mechanism in Pre-Industrial England,
in «The Journal of Economic History», 66 (2006).
131
È interessante notare che nei primi decenni del Duecento diversi membri delle famiglie che
non si impegnarono nel commercio internazionale, in particolare i Peri, i Carincioni, i Rapondi e gli
Incalocchiati, intrapresero la professione notarile, a conferma della necessità per questi gruppi familiari
di fare fronte al ritmo sostenuto della crescita demografica con l’accesso a nuove risorse economiche.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 55
132
Cfr in particolare Doheaerd, n. 294, 1213 settembre 6, n. 299, 1213 settembre 12, n. 339, 1215
marzo 22.
56 Alma Poloni
133
Cfr. Cap. I.2.1.
134
Wickham, Legge, cit., pp.80-105.
135
Guglielmo Cassinese, n. 69, 1191 gennaio 15, Giovanni di Guiberto, n. 65, 1200 dicembre 3 e n. 1146,
1205 maggio 11.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 57
decenni successivi la sua competenza si sia estesa alle cause per debito in gene-
rale, anche tra laici. Questa evoluzione potrebbe essere stata stimolata anche
dalle nuove esigenze legate all’aumento degli scambi. Negli stessi anni veniva
potenziata la giurisdizione dei consoli dei cambiatori e soprattutto dei consoli
dei mercanti136. Questi sviluppi istituzionali, che solo in parte furono una
conseguenza diretta dell’incremento dei traffici a lunga distanza, rafforzarono
i meccanismi relativi alla garanzia di applicazione dei contratti (contract enfor-
cement), e furono dunque importanti per sostenere e incoraggiare l’espansione
delle attività commerciali137.
Gli studiosi di economia hanno inoltre dimostrato che nel medioevo le
istituzioni giudiziarie producevano una riduzione dei costi di informazione e
potenziavano il sistema sanzionatorio fondato sulla reputazione138. La causa
per mancato rispetto di un contratto rendeva di dominio pubblico il compor-
tamento poco virtuoso del mercante insolvente, fornendo agli altri operatori
un’informazione che poteva essere utile per evitare danni economici, e allo
stesso tempo incentivando l’adozione di una condotta onesta. Ciò era tanto più
vero per Lucca dove, come abbiamo visto, non era necessaria alcuna prepara-
zione giuridica per prestare servizio nei tribunali cittadini, e i consules delle curie
erano reclutati tra le famiglie del Popolo, alcune delle quali erano direttamente
impegnate nella mercatura. In un contesto del genere è facile immaginare come
le voci corressero rapidamente all’interno delle complesse reti di relazioni nelle
quali si articolava il mondo mercantile.
Tutto ciò spiega perché le società commerciali, a differenza delle società di
mare e delle commende, fossero concluse esclusivamente tra concittadini. L’
intrico di legami parentali, economici e d’amicizia nel quale ogni cittadino era
avviluppato, sommato alla minaccia del sequestro dei beni, che era la misura
messa in atto dai tribunali urbani in caso di insolvenza, erano abbastanza effi-
caci nello scoraggiare i soci dall’arricchirsi ai danni della società.
136
Nel 1191 tra le formule di un contratto di cambio su Lucca si trova un riferimento alla «pena
consulum Luce et gambiatorum (sic) et treguanorum de Luca» (Guglielmo Cassinese, n. 69, 1191 gen-
naio 15). Lo stesso anno due lucchesi comprarono seta da un concittadino; il pagamento doveva avve-
nire a Lucca, e si specificava che i debitori «debent recipere terminum istius pagamenti a consulibus
mercatorum de Luca» (Guglielmo Cassinese, n. 256, 1191 marzo 4). Sui consoli dei mercanti cfr. Poloni,
Strutturazione, cit.
137
A. Greif, Commitment, Coercion and Markets: the Nature and Dynamics of Institutions Supporting
Exchange, in Handbook of New Institutional Economics, edited by C. Ménard and M. Shirley, Berlin,
Springer, 2005, pp. 727-786.
138
P.R. Milgrom - D.C. North - B.W. Weingast, The Role of Institutions in the Revival of Trade: the Law
Merchant, Private Judges, and the Champagne Fairs, in «Economics and Politics», II (1990), pp. 1-23.
58 Alma Poloni
139
La New Institutional Economics, incentrata sul concetto di costi di transazione, è un filone
di studi molto fecondo, e caratterizzato da una particolare attenzione per la dimensione storica dello
sviluppo economico. Tuttavia le analisi specificatamente indirizzate alla comprensione dei processi di
crescita precedenti all’età moderna sono ancora poco numerosi. Tra gli esempi più significativi vedi
D.C. North e R.P. Thomas, L’evoluzione economica del mondo occidentale, Milano, A. Mondadori 1976 (ed.
orig. Cambridge 1973). Milgrom, North, Weingast, The Role of Institutions, cit. A. Greif, Reputation
and Coalition in Medieval Trade: Evidence on the Maghribi Traders, in «Journal of Economic History», IL
(1989), pp. 857-882. Id., On the Political Foundation of the Late Medieval Commercial Revolution: Genoa dur-
ing the Twelth and Thirteenth Centuries, in «Journal of Economic History», LIV (1994), pp. 271-287;
Id., Cultural Beliefs and the Organization of Society: A Historical and Theoretical Reflection on Collectivist and
Individualist Societies, in «The Journal of Political Economy», CII (1994), pp. 912-950. Id., Impersonal
Exchange without Impartial Law: The Community Responsibility System, in «Chicago Journal of International
Law», V (2004), pp. 109-138. Id., Institutions and the Path to the Modern Economy: Lessons from Medieval
Trade, Cambridge, Cambridge University Press, 2006. Per una discussione di questa corrente teorica
si vedano anche R.S. Epstein, An Island for Itself. Economic Development and Social Change in Late Medieval
Sicily, Cambridge, Cambridge University Press, 1992 e Id., Freedom and Growth. The Rise of States and
Markets in Europe, 1300-1750, London, Routledge, 2000.
140
Il primo contratto di cambio sulle fiere dei lucchesi attivi a Genova suscita problemi di datazio-
ne: Doehard, n. 224, 1207 o 1213 maggio 17. A mio parere un documento del 1191 prova che a quella
data la saldatura tra il commercio lucchese a Genova e quello alle fiere non si era ancora compiuta. Nel
marzo di quell’anno, come si è visto, due lucchesi comprarono da un concittadino una grossa partita di
seta e si impegnarono a pagare circa 36 lire genovesi a Lucca entro un mese dal loro rientro dalla fiera di
Bar-sur-Aube (Guglielmo Cassinese, n. 256, 1191 marzo 4). Venticinque anni dopo essi avrebbero proba-
bilmente concordato con il venditore di pagarlo direttamente alle fiere, saltando i passaggi intermedi.
141
I lucchesi stipularono due cambi con il fiammingo Raoul de St. Venant (Doehaerd, n. 294,
1213 settembre 6, n. 358, 1216 settembre 17), due con astigiani (Ibidem, n. 224 1207 o 1213 maggio 17,
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 59
dalla metà del XII secolo frequentavano con continuità le fiere, dove erano
impegnati nella commercializzazione dei panni delle Fiandre e della Francia
del nord, mentre gli astigiani, primi tra gli italiani, almeno dall’inizio degli anni
’90 regolavano la propria attività sulla base del ciclo fieristico142. È possibile che
il primo incentivo alla costituzione di un circuito finanziario Lucca-Genova-
Champagne sia venuto proprio dalla combinazione tra la crescente domanda
di credito dei lucchesi attivi a Genova e l’esigenza dei mercanti francesi ed
astigiani di spostare capitali sulle fiere. Inoltre nel 1209 Filippo Augusto
assicurò la protezione reale a tutti i mercanti che si recavano alle fiere, i quali
fino a quel momento si erano mossi sotto la tutela del conte della Champagne,
che aveva un’efficacia ridotta al di fuori del territorio sottoposto al suo diretto
controllo143.
L’istituzione di un collegamento finanziario stabile tra Genova e la
Champagne era in ogni caso legata a caratteristiche strutturali del commercio
lucchese. I mercanti della città toscana avevano bisogno di credito sulla piazza
genovese per l’acquisto delle costose materie prime necessarie alla manifattura
serica, ma evidentemente avevano disponibilità di denaro liquido sulle fiere:
la loro bilancia dei pagamenti era cioè in passivo a Genova e in attivo nella
Champagne, ed era dunque facile vedere la complementarità dei due flussi
commerciali. Dal momento che i documenti rogati alle fiere per questa fase
cronologica non si sono conservati, non possiamo sapere che tipo di affari vi
concludessero i lucchesi; è probabile che, come gli altri mercanti, tendessero
a diversificare gli investimenti. Il centro vitale dei loro interessi era tuttavia
presumibilmente costituito dalla vendita di tessuti di seta, una merce costosa
destinata a consumi d’élite. Esisteva una domanda crescente di articoli di lusso
da parte delle aristocrazie francesi e dei gruppi dirigenti urbani144. Parte delle
sete vendute alle fiere prendeva probabilmente la strada di Parigi, che proprio
in quegli anni, per volontà di Filippo Augusto, stava acquisendo il ruolo di
n. 318, 1214 febbraio 28), due con altri lucchesi (n. 299, 1213 settembre 12, n. 339, 1215 marzo 22).
142
R.H. Bautier, Les foires de Champagne, in La foire, Bruxelles, Librairie Encyclopedique, 1953,
pp. 97-147, in particolare pp. 110-115.
143
Ibidem, p. 117.
144
La diffusione tra le aristocrazie francesi di stili di vita sempre più dispendiosi – si pensi all’affer-
mazione di cerimonie eccezionalmente sfarzose per l’«addobbamento» dei cavalieri – è all’origine anche
dell’esplosione della domanda di credito a partire dall’inizio del Duecento: cfr. R. H. Bautier, I Lombardi
e i problemi del credito nel regno di Francia nei secoli XIII e XIV, in L’uomo del banco dei pegni. «Lombardi» e mer-
cato del denaro nell’Europa medievale, a cura di R. Bordone, Torino, Scriptorium, 1994, pp. 23-56. I tessuti
di seta erano utilizzati nelle cerimonie di vestizione, nei tornei, e anche per i doni che il re faceva al suo
entourage e a potenti stranieri nelle principali ricorrenze: si veda in generale La seta in Europa, cit.
60 Alma Poloni
capitale del regno145. I notabili laici ed ecclesiastici che ruotavano intorno alla
corte cominciavano a spostarvi la propria residenza, creando col tempo una
concentrazione eccezionale della domanda di beni di prestigio146.
Il collegamento di Genova con le fiere attraverso lo strumento del contratto
di cambio fu fondamentale per gli sviluppi successivi dell’economia lucchese.
Esso facilitò il reperimento di capitali sulla piazza genovese, ma contribuì anche
a risolvere, almeno in parte, il problema del rientro a Lucca dei proventi della
vendita di tessuti di seta sui mercati del Nord. Si trattò cioè di un’innovazione
capace di aumentare in maniera considerevole la mobilità dei capitali, favoren-
do così un’ulteriore espansione del commercio lucchese.
145
Histoire de la France urbaine, sous la direction de G. Duby, vol. II, La ville medievale des Carolingiens
à la Renaissance, volume dirigé par J. Le Goff, Paris, Seuil, 1980.
146
Tra i beni di lusso più ambiti c’erano senz’altro i tessuti di seta: sappiamo per esempio che nel
1234 la corte inglese ordinò ben 300 pezze di zendadi di Lucca (D. King, Types of Silk Cloth Used in
England 1200-1500, in La seta in Europa, cit., 457-464, in particolare p. 458).
147
Su questi meccanismi D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, cit.; Id., Capire il proces-
so, cit..
Capitolo secondo
CRESCITA ECONOMICA
E MOBILITÀ SOCIALE NEGLI ANNI ’60
E ’70 DEL DUECENTO
Questo capitolo tenta di dimostrare che nel ventennio compreso più o meno
tra il 1255 e il 1275 il commercio lucchese conobbe una fase di grande espan-
sione, tanto da poter parlare di una «seconda rivoluzione commerciale», dopo la
prima dell’inizio del secolo. Nel primo paragrafo si prendono in considerazione
una serie di cambiamenti rilevabili nella società cittadina: la rapida ascesa di
un gran numero di individui e nuclei familiari grazie a una fortunata attività
commerciale, ma anche la «conversione» all’impegno commerciale di famiglie e
gruppi sociali – in particolare la militia – fino a quel momento sostanzialmente
disinteressati al mondo degli affari. Questi movimenti sono interpretati come
indicatori attendibili di un lungo ciclo di crescita economica, legato ancora una
volta all’espansione dell’industria serica. Nel secondo paragrafo la spiegazione
di questa fase di crescita è individuata in una complessa combinazione di fattori
economici e politici che contribuirono in questi anni a trasformare progressiva-
mente il sistema degli scambi internazionali.
Di Iacobo Melanesi e della sua famiglia non abbiamo notizie fino alla fine
degli anni ’40 del Duecento. Il padre Benetto era forse un piccolo mercante
originario di Milano, attratto a Lucca dal vivace clima economico della prima
metà del secolo. La svolta della vita di Iacobo avvenne quando, alla fine degli
anni ’50, entrò in affari con Bonaventura, Falcone ed Enrico, figli di Tedesco
Porcelli. La società si specializzò in un’attività di intermediazione commerciale:
essa riforniva il mercato lucchese di seta greggia comprata all’ingrosso sulla
piazza genovese. Gli acquisti venivano conclusi in associazione con altre com-
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1247 marzo 25.
62 Alma Poloni
pagnie lucchesi, una scelta che consentiva di comprare partite di merce molto
consistenti risparmiando sia sul prezzo di acquisto che sui costi di transazione.
Il pagamento, se il venditore accettava, avveniva alle fiere della Champagne.
La società tuttavia si procurava il denaro contante necessario alla sua attività
principale anche attraverso i cambi sulle fiere.
All’inizio degli anni ’70 entrò nella compagnia anche un figlio di Iacobo,
Salliente. La società dei Porcelli si sciolse probabilmente nella seconda metà del
decennio. In vent’anni di attività Iacobo si era costruito una fitta rete di contatti
sulla piazza genovese, e anche a Lucca doveva ormai avere una sua clientela.
Su queste basi, insieme al figlio Salliente e a un concittadino, Bonaventura
Guercio, egli fondò un’altra società, continuando probabilmente a dedicarsi
all’acquisto di seta all’ingrosso.
Intorno al 1270 i Melanesi erano benestanti, forse ricchi, ma godevano di
una visibilità sociale singolarmente bassa. Nella famiglia non c’erano giudici
e neppure notai, e nessun membro aveva mai prestato servizio nei tribunali
Nel novembre del 1259 Iacobo Melanesi, a nome anche dei soci, e Orlando del fu Battoso per
la compagnia Battosi acquistarono una certa quantità di seta, per la quale si impegnarono a pagare 285
lire di provesini alla fiera di Provins di maggio (Doehaerd, n. 1112, 1259 novembre 28). A dicembre
dello stesso anno le due società acquistarono seta cinese per il prezzo di 256 lire di provesini, da pagare
alla fiera di Lagny sur Marne (R.S. Lopez, Nuove luci sugli italiani in estremo oriente prima di Colombo, in
Id., Su e giù per la storia di Genova, Genova, Università di Genova, Istituto di paleografia e storia medie-
vale, Genova 1975 (ed. orig. 1952), pp. 83-135, pp. 129-130). Nel marzo del 1274 Salliente Melanesi e
soci, Ubaldetto Linguaforbita e soci e Betto Buiamonti a nome della società dei Cardellini acquistarono
da un genovese una certa quantità di seta, per la quale si impegnarono a pagare poco più di 232 lire di
provesini alla fiera di Provins St. Ayoul (Doehaerd, n. 1296, 1274 marzo 22).
Sempre nel 1274 Salliente, a nome della società, ricevette da Luchetto Spinola una quantità
non specificata di moneta genovese, per la quale prometteva 305 lire e 13 soldi di provesini alla fiera
di Provins Saint Ayoul (Doehaerd, n. 1297).
Non abbiamo attestazioni dirette dell’acquisto di partite di seta da parte della nuova società.
Tuttavia essa fu impegnata in numerose operazioni di cambio sulle fiere, tutte per somme notevoli: nel
giugno del 1278 ricevette da un banchiere piacentino una somma in lire genovesi in cambio di 300 lire
di provesini alla fiera di Troyes San Giovanni (Doehaerd, n. 1358, 1278 giugno 22). Nel gennaio del
1282 Bonaventura Guercio si impegnò a pagare a un mercante di Alba alla fiera di Bar-sur-Aube 400
lire di provesini, e appena quattro giorni dopo promise a un genovese 200 lire di provesini alla stessa
fiera (Ibidem, n. 1397, 1282 gennaio 24, n. 1408, 1282 gennaio 28). A Genova dunque la compagnia
accumulava capitali, senza dubbio da investire nella seta. A Lucca invece Iacobo Melanesi e soci opera-
vano anche come datori di cambio, probabilmente per trasferire sulle fiere i ricavi ottenuti dalla vendita
di seta greggia sul mercato cittadino: nel 1279 Bonagiunta Tignosini ricevette dalla società poco più di
697 lire lucchesi, per le quali promise di pagare 200 lire di provesini alla fiera di Bar-sur-Aube (ASLu,
Not. 13, reg. 2, Armanno Armanni, c. 28, 1279 gennaio 31). Alle fiere i Melanesi acquistavano panni
delle Fiandre e della Francia del Nord, che poi rivendevano ai draperii di Genova in piccole partite
(Ferretto, II, CDLV, 1278 gennaio 20; Doehaerd, n. 1354, 1278 gennaio 24).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 63
cittadini. Iacobo e i suoi figli, inoltre, non sembrano compiere alcuno sforzo
per integrarsi nel gruppo dirigente del Comune di Popolo. Fino alla fine del
secolo l’unica dimensione della vita familiare ampiamente attestata è l’attività
commerciale.
All’inizio degli anni ’80 Omodeo Fiadoni entrò nella società fondata dai
Melanesi e da Bonaventura Guercio. Non era la prima volta che il Fiadoni
lavorava con Iacobo e Salliente: nel 1274 infatti egli compare tra i soci dei
Porcelli, poco prima che la compagnia si sciogliesse. Omodeo proveniva da
una famiglia che probabilmente non disponeva di grandi mezzi. Egli fece
fortuna nella seconda metà degli anni ’60, a quanto sembra sfruttando le nuove
opportunità economiche che si erano aperte nell’Italia meridionale dopo la con-
quista angioina. Nel 1269 infatti il Fiadoni chiese agli ufficiali regi la licenza
di inviare ad Accon una nave carica di mercanzie, ferma nel porto di Baia, in
Campania, e nel 1272 compare tra i creditori lucchesi di Carlo I d’Angiò.
Nel 1274 Omodeo ricoprì la carica di Anziano del Popolo, ma di per sé
questa circostanza non è sufficiente a indicare un impegno politico ai più alti
livelli10. Questo onore infatti ogni anno gratificava anche un certo numero di
cittadini di condizione media o medio-bassa, per i quali esso non segnava l’in-
gresso nel gruppo dirigente cittadino. Nulla suggerisce che Omodeo dedicasse
energie a tessere la trama di relazioni necessaria per accedere all’élite politica
del Comune di Popolo.
All’inizio del Trecento la società dei Moriconi era una delle più vivaci del
panorama lucchese. Di questa famiglia non ho trovato attestazioni antecedenti
alla fine degli anni ’50 del Duecento. Negli anni ’70 erano attivi quattro fratelli,
figli di un già defunto Arrigo Moriconi. Uberto era notaio, mentre gli altri,
Datone, Nicolao e Orlando, erano mercanti, anche se le informazioni a nostra
disposizione sono troppo vaghe per ricostruire un quadro attendibile dei loro
Doehaerd, n. 1397, 1282 gennaio 24, n. 1402, 1282 gennaio 28.
Ibidem, n. 1296, 1274 marzo 22.
Nella ricostruzione dell’albero genealogico di Omodeo non sono riuscita a risalire più indietro
del padre Rainone e dello zio Iacobino, figli di Iacobo Fiadoni. Di essi tuttavia sappiamo poco: nel 1225
i due acquistarono da un tabernarius un piccolo appezzamento in Fibbialla, del valore di 4 lire lucchesi
(ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1225 settembre 19). Nel 1238 Iacobino compare tra i testimoni di un atto di
vendita (ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1238 marzo 8).
G. Petralia, I toscani nel Mezzogiorno medievale: genesi ed evoluzione trecentesca di una struttura di lungo
periodo, in La Toscana nel secolo XIV. Caratteri di una civiltà regionale, Pisa, Pacini Editore 1988, pp. 287-336.
I registri della cancelleria angioina ricostruiti da R. Filangeri con la collaborazione degli archivisti napoleta-
ni, 10 voll., Napoli 1950-1957, IV, n. 853, p. 129, 1269; Ibidem, V, n. 199, pp. 251-252, 1272 luglio 8.
10
ACLu, Not. LL 34, c. 57v-58r 1274 agosto 11.
64 Alma Poloni
affari11. Arrigo doveva aver dotato i figli di una buona base economica, tale
da consentire ad ognuno di loro di scegliere la propria strada. Possiamo ipo-
tizzare, in mancanza di qualsiasi attestazione sul suo conto, che egli non fosse
un proprietario terriero inserito in una solida rete di relazioni sociali, ma più
probabilmente un mercante che riuscì ad accumulare una discreta fortuna nella
Lucca degli anni ’40-’50 del Duecento. Nella seconda metà del secolo anche i
Moriconi, come i Melanesi e i Fiadoni, sembrano investire tutte le loro risorse,
umane ed economiche, nell’attività mercantile. Nel 1276 Datone sedette nel
consiglio del Popolo, ma a parte ciò non ci sono altri segnali di un interesse della
famiglia per la politica comunale12.
I Margatti avevano radici più profonde rispetto ai gruppi familiari fin qui
analizzati. Il capostipite della famiglia, Sandonese del fu Margatto, visse alla
fine del XII secolo. Si trattava, a quanto sembra, di un proprietario terriero di
una certa importanza, legato al monastero di San Ponziano13; egli appartene-
neva dunque allo stesso gruppo sociale di Onesto, Mattafellone, Scalocchiato,
Carincione14. La sua discendenza, tuttavia, non ebbe la stessa fortuna. Dopo
gli anni ’90 del XII secolo, infatti, si perdono le tracce della famiglia nella
documentazione lucchese. Sessant’anni più tardi Margatto di Sandonese, forse
il figlio, certamente un discendente di Sandonese di Margatto, era un mercan-
te attivo alle fiere della Champagne. Nel 1256, durante la fiera di Provins di
maggio, Margatto e i fratelli Gentile presero in prestito da alcuni fiorentini 102
lire e 10 soldi di provesini, promettendo di restituire il denaro alla successiva
fiera di San Giovanni di Troyes15. Margatto, grazie al suo impegno nel com-
mercio internazionale, può essere considerato un vero e proprio «rifondatore»
delle fortune familiari: i suoi figli Dino e Freduccio a partire dagli anni ’90 del
Duecento faranno parte a pieno titolo dell’élite mercantile lucchese.
All’inizio degli anni ’70 i fratelli Sandone, Perfetto, Orlando e Bonifazio del
fu Arrigo Sandoni erano tra i maggiori rivenditori all’ingrosso di seta greggia a
Lucca16. Alcuni indizi fanno pensare che essi si procurassero la merce oltre che
a Genova – dove tuttavia, a quanto sembra, non avevano un agente stabile – a
Venezia, un mercato meno frequentato dai lucchesi rispetto alla piazza geno-
vese, sul quale perciò si potevano forse ottenere condizioni d’acquisto un po’
11
ASLu, Dipl. Serviti, 1277; Ferretto, II, CCCLXXXIV, 1277 settembre 23.
12
AALu, Dipl. * O n. 37, 1276 ottobre-novembre.
13
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1191 marzo 10; Ibidem, 1191 agosto 30.
14
Cfr. cap. I.1.1 e I.1.2.
15
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1256 giugno 23.
16
ASLu, Not. 12, reg. 1, Paganello di Fiandrada, cc. 9r, 13 r e v, 42r, 44v, 45v.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 65
più favorevoli17. I Sandoni tuttavia non avevano interessi soltanto nel campo
della seta. Essi compravano dalle maggiori compagnie lucchesi e dai mercanti
fiorentini presenti a Lucca grosse partite di grana e di tessuti bianchi fiammin-
ghi18. È probabile che i quattro fratelli si dedicassero, in un loro laboratorio o
più verosimilmente rivolgendosi a botteghe artigiane indipendenti, alla tintura
con la grana dei panni «ultramontani». Come abbiamo già visto, si trattava di
un’attività nella quale i lucchesi erano specializzati fin dalla seconda metà del
XII secolo19. I Sandoni vendevano probabilmente i loro scarlatti, oltre che sulla
piazza lucchese, anche a Firenze e a Venezia, procurandosi così la liquidità
necessaria agli acquisti di panni fiamminghi e di seta greggia20.
Arrigo di Sandone, il padre dei quattro mercanti attivi negli anni ’70, e
suo fratello Bonaccorso sono attestati a partire dagli anni ’20 del Duecento. Il
figlio di Sandone era legato a Perfetto e Ricciardo tintore, figli del fu Graziano
tintore, tanto da imporre a uno dei suoi figli il nome Perfetto21. È possibile che
anche Arrigo e Bonaccorso, come i figli del tintore Graziano, si dedicassero alla
rifinutura, alla tintura e alla vendita di pannilana e tessuti di seta. Dagli anni ’30
tuttavia le storie delle due famiglie cominciano a divergere: mentre i Ricciardi
riuscirono ad ampliare progressivamente e a diversificare il proprio giro d’affari
17
Nel luglio del 1273 Perfetto Sandoni ricevette in prestito da Martinosso del fu Bonanno 157 lire
lucchesi, in cambio delle quali si impegnò a restituirgli a Venezia entro la fine di agosto 8 lire bonorum
venesianorum grossorum (ASLu, Not. 12, reg 1, Paganello de Fiandrada, c. 62r, 1273 luglio 29). I Sandoni
agirono spesso insieme a un altro mercante lucchese, Gardo Aimerigi. All’inizio del Trecento Michele
Aimerigi, probabilmente il figlio di Gardo, era tra i mercanti lucchesi che frequentavano con continuità
la piazza veneziana (cfr. per esempio ASLu, Not. 60, Rabbito Torringhelli, cc. 14v-15v, 1310 gennaio
12). Anche a Lucca inoltre i Sandoni concludevano affari con mercanti veneziani (ASLu, Not. 12, reg
1, c. 74v, 1273 settembre 17).
18
Nel maggio del 1273 i Sandoni acquistarono dalla società dei de Podio una partita di panni
bianchi di Ypres al prezzo di 325 lire e 12 soldi di denari lucchesi (ASLu, Not. 12, reg 1, c. 44r). Nel
giugno dello stesso anno acquistarono dai Moccidenti 100 libbre di grana di Corinto, che pagarono a
rate (Ibidem, c. 52r). Sempre a giugno comprarono da un mercante fiorentino panni bianchi di Ypres
per il prezzo di 1052 lire lucchesi, da saldare entro il 10 agosto a Firenze (Ibidem, cc. 52v-53r). La
somma era talmente alta che i Sandoni furono costretti a chiedere la fideiussione di Ubaldo Cardellini,
membro di una delle più importanti famiglie mercantili lucchesi. Pochi giorni dopo comprarono ancora
dai Moccidenti più di 166 libbre di grana di Corinto (Ibidem, c. 54r).
19
Cfr. cap I.2.2.
20
Come si è visto, infatti, i Sandoni si impegnavano a pagare a Firenze il prezzo dei panni
acquistati a Lucca da un mercante fiorentino (cfr supra, nota 18), segno che si aspettavano di avere a
disposizione sulla piazza fiorentina la grossa somma necessaria a saldare in debito.
21
Nel 1225 Arrigo assistette come testimone all’acquisto da parte di Perfetto del fu Graziano di
alcune terre nel Comune di Tassignano (ASLu, Dipl. Altopascio Dep. Orsetti Cittadella, 1225 ottobre 13). I
Sandoni erano legati ai Ricciardi ancora alla fine degli anni ’60 (ASLu, Not. 6, reg. 1, 1267 agosto 29).
Sui Ricciardi cfr. Del Punta, Mercanti, cit.
66 Alma Poloni
e fondarono una compagnia che in pochi decenni giunse ai vertici della finanza
internazionale, i figli di Sandone continuarono probabilmente a gestire la loro
bottega con discreta fortuna. Arrigo dotò comunque i suoi quattro figli di un
patrimonio di competenze e di un capitale di partenza che diedero loro la pos-
sibilità di cogliere al meglio le opportunità che si aprirono con la nuova ondata
espansiva degli anni ’60-’70. Anche i Sandoni fino alla fine del Duecento rima-
sero estranei agli ambienti nei quali si decideva la politica comunale.
A quanto mi risulta gli Asquini compaiono nelle fonti lucchesi nella seconda
metà degli anni ’30 del Duecento22. Negli anni ’40 un membro della famiglia,
Arrigo, esercitava la professione di notaio23. Anche per gli Asquini alla fine
degli anni ’50, con l’impegno diretto nel commercio internazionale, ebbe inizio
una fase nuova della storia familiare. Tra il 1259 e il 1268 Burnetto Asquini
operò a Genova come agente di una compagnia, ma non conosciamo il nome
degli altri soci24. Nel 1272, probabilmente sempre in rappresentanza di questa
società, Burnetto è elencato tra i finanziatori lucchesi di Carlo I d’Angiò25.
La storia dei Mordecastelli è del tutto diversa da quelle sin qui analizzate.
Comparsi quasi dal nulla alla fine degli anni ’50 del Duecento, in breve tempo
essi divennero una delle famiglie più potenti del gruppo dirigente popolare26.
L’ascesa della famiglia sembra legata sopprattutto all’intraprendenza di uno
dei suoi membri, Faitinello. Nel 1258 Faitinello Mordecastelli fu camerarius
del Comune, un incarico di responsabilità concesso soltanto a chi già godeva
della fiducia degli Anziani27. Sempre nel 1258 Ghisello Mordecastelli fu console
dei treguani28. Nel 1265 Faitinello fu Anziano; quello stesso anno Albonetto
Mordecastelli sedette in consiglio generale, mentre il notaio Federico fu nomi-
nato ufficiale del Comune super facto murorum29. Nel 1276 il fratello di Faitinello,
22
AALu, Dipl. A 25, 1236 giugno 3.
23
ASLu, Not. 1, I, Filippo Notti, 1246 maggio 12.
24
Nel 1259 a Genova Burnetto, a nome anche dei suoi soci, fece da garante all’acquisto di una gros-
sa partita di seta greggia da parte delle compagnie dei Battosi e dei Porcelli (Doehaerd, n. 1112, 1259
novembre 28). Nel 1268 egli ricevette una certa quantità di moneta genovese, per la quale di impegnò a
pagare 200 lire di provesini alla fiera di Lagny sur Marne (Doehaerd, n. 1269, 1268 gennaio 7).
25
I registri della cancelleria angioina, cit., V, n. 199, pp. 251-252, 1272 luglio 8.
26
Le uniche attestazioni antecedenti al 1258 che ho potuto rinvenire sono: ACLu, Not. LL1, ser
Ciabatto, c. 217r, 1238 giugno 23; ASLu, Dipl. Certosa, 1255 ottobre 10.
27
ASLu, Archivio di stato Tarpea, 1258 febbraio 26.
28
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1258 maggio 14.
29
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1265 agosto 27. Il Comune intendeva abbattere la vecchia cinta muraria,
divenuta inutile dopo il completamento della nuova cinta. Con il tempo tuttavia diverse parti delle vec-
chie mura erano state inglobate nelle proprietà di privati cittadini. Federico Mordecastelli e il giudice
Bonagiunta Perfecte erano stati incaricati di affrontare il problema.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 67
30
AALu, Dipl. * V n. 62, 1276 agosto 23; AALu, Not. + S 35, 1277 dicembre 16.
31
I registri della cancelleria angioina, VII, n. 11, p. 12 1270 novembre 12; Ibidem, V, n. 199, pp. 251-
252, 1272 luglio 8.
32
Uno dei figli di Faitinello, che fu avviato alla carriera ecclesiastica ed entrò nell’Ordine dei frati
predicatori, si chiamava Nicolao, probabilmente in onore dello zio (ASLu, Not. 29, reg. 2, Orlando
Ciapparoni, c. 42, 1300 aprile 26).
33
Nell’ottobre del 1276 a Genova Fredo Frangelasta acquistò una certa quantità di allume al
prezzo di 200 lire genovesi (Ferretto, II, n. CCX, 1276 ottobre 19); pochi giorni dopo lo stesso, agente
dei Mordecastelli a Genova, ricevette una certa quantità di moneta genovese, in cambio della quale
promise 150 lire di provesini sulla fiera di Troyes (Doehaerd, n. 1325, 1276 ottobre 29).
34
Nel 1271 Faitinello, insieme a Malpiglio del fu Marcovaldo Malpigli, fu nominato tutore di
due membri minorenni della famiglia aristocratica (ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1271 gennaio
10). Nel 1292 il figlio di Faitinello, Pannocchia, era uno dei tutori di Moncello del fu dominus Betto di
Salamone Malpigli; gli altri tutori erano Ubaldo Malpigli e il giudice Opizzo Malaspina (ASLu, Dipl.
Fregionaia, 1292 novembre 26). Faitinello impose a uno dei suoi figli il nome Marcovaldo, che faceva
parte del patrimonio onomastico dei Malpigli. Sui Malpigli cfr. Savigni, Episcopato e società cittadina, cit.,
pp. 553-554 e p. 600.
68 Alma Poloni
35
In un documento del 1304 si legge: «Nicolaus vocatus Coluccius filius quondam Nerii qd domini
Ubaldi del Chostore, Tore filius quondam domini Ubaldi et dominus Bartholomeus quondam Federigi
Posarelli, qui omnes sunt de domus Opithorum» (ASLu, Not. 26, reg 2, Giovanni Spiafame, c. 5r, 1304
gennaio 1). Bartolomeo era fratello di Gerardo (ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, c. 217v, 1284 giugno
2, «Giraldus Posarelli quondam Federigi»). Come si è visto, nel 1292 Pannocchia Mordecastelli fu
nominato tutore di un Malpigli insieme al giudice Opizzo Malaspina, anch’egli appartenente a un ramo
degli Opizi (cfr nota precedente). Per gli Opizi cfr. cap. II.1.3.
36
Su questo concetto Schumpeter, Teoria, cit., pp. 268-269.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 69
seconda metà del Duecento, in particolare nella fase espansiva del ventennio
1255-1275. A quanto sembra, tuttavia, la loro influenza politica non aumentò
in proporzione. Fino agli ultimi anni del Duecento, infatti, nessuna di esse, con
la sola eccezione dei Mordecastelli, entrò a far parte del gruppo dirigente del
Comune di Popolo, ancora dominato da alcune delle famiglie che all’inizio del
secolo avevano dato vita al primo esperimento popolare.
Nella prima metà del Duecento il movimento popolare conobbe tre fasi
ben distinte37. Nella prima, che coincise più o meno con il primo ventennio del
Duecento, esso era strutturato come una federazione di società armate rionali.
La conclusione di questa esperienza fu seguita da un’eclisse dell’iniziativa popo-
lare durata circa un decennio. Negli anni 1229-1230 il Popolo si riorganizzò su
basi totalmente nuove, cercando questa volta l’appoggio delle Arti. Nel 1237
i capitani dei Levati, l’organo collegiale alla guida dell’associazione popolare,
compaiono nei documenti ufficiali al fianco dei consoli maggiori, la massima
magistratura del Comune. Ma anche questa conquista non fu definitiva, e dalla
fine degli anni ’30 il populus tornò nell’ombra. Alla metà degli anni ’50 una nuova
ristrutturazione dell’organizzazione popolare, che ebbe come suo momento
principale la creazione dell’Anzianato, fu seguita da una recrudescenza dello
scontro politico che finalmente, all’inizio degli anni ’60, portò il Popolo al ver-
tice delle istituzioni comunali.
Le famiglie che negli ultimi decenni del Duecento dominavano il Comune di
Popolo – gli Onesti, i Martini, i Peri, i Fornari e gli altri gruppi familiari ogget-
to del capitolo precedente – avevano partecipato in prima linea a tutte e tre le
fasi della lotta politica. Esse avevano investito nel movimento popolare risorse
umane ed economiche notevoli, conquistandosi il diritto di cogliere i frutti di
questo sforzo plurigenerazionale. All’inizio degli anni ’60, quando il Popolo
giunse al potere, la leadership di queste famiglie non era un fenomeno nuovo, ma
si era imposta in decenni di impegno politico, organizzativo e militare, ed esse
costituivano un’élite coesa e relativamente omogenea, dotata, come si è visto, di
una solida identità di gruppo38.
Negli anni ’60 e ’70 questa élite cercò nuovi strumenti, giuridici ma soprat-
tutto culturali, per legittimare la propria superiorità sociale e politica e raffor-
zare i meccanismi di esclusione che le consentivano di mantenere una posizione
egemone in una società estremamente fluida. In particolare, dalla fine degli anni
’60 alcuni membri delle più importanti famiglie di Popolo compaiono nei docu-
37
Per una ricostruzione delle diverse fasi dell’esperienza popolare rimando a Poloni,
Strutturazione, cit.
38
Cfr cap. I.1.1.
70 Alma Poloni
menti con il titolo di dominus, che nella seconda metà del Duecento indicava
quasi certamente il conseguimento della dignità cavalleresca39. Proprio in quegli
anni anche a Firenze alcune famiglie di ricchi popolari in tutto simili ai Martini,
ai Fornari, ai Carincioni, ai Peri, ai Sartori – Mozzi, Spini, Bardi, Cerchi, Scali,
Frescobaldi – furono gratificate con l’addobbamento di diversi loro esponenti40.
È probabile che sia a Lucca che a Firenze alcuni di questi potenti populares
ricevessero l’investitura da Carlo I d’Angiò nel corso dei suoi soggiorni nelle
due città toscane41.
Queste famiglie fiorentine e lucchesi riuscirono cioè, anche grazie a un abile
sfruttamento delle contingenze politiche legate alla discesa in Italia dell’An-
gioino, a ottenere, nella forma più teatrale, il definitivo riconoscimento della
loro egemonia sociale e politica, e a rendere ancora più visibile il solco che le
separava dai tanti gruppi familiari che si arricchivano grazie al dinamismo due-
centesco. Di lì a qualche decennio tuttavia, in seguito a un rovesciamento degli
equilibri politici, questo successo si sarebbe ritorto loro contro: tanto a Firenze
quanto a Lucca infatti la dignità cavalleresca rappresentò il pretesto giuridico
che consentì l’esclusione di questi gruppi familiari dalla vita politica attraverso
il loro inserimento nelle liste dei magnates42.
39
A quanto mi risulta la più antica attestazione del titolo all’interno di famiglie popolari riguar-
da dominus Sartorio del fu Salamoncello Sartori e Guiduccio del fu dominus Arrigo Martini, che com-
paiono entrambi in un documento dell’ottobre 1270 (ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1270 ottobre
31). Insieme ad Arrigo, già defunto nel 1270, aveva probabilmente ricevuto la dignità cavalleresca
almeno un altro membro della famiglia, anch’egli già avanti con gli anni, Guido, figlio di quell’Ar-
rigo tanto attivo all’inizio del secolo (ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1276 aprile 2, Guido, Orlando,
Federigo, Gualando e Martino figli di Martino del fu dominus Guido Martini). Bonifazio Peri, figlio
di Pero del fu Sasso, che si era imparentato con i da Pescia, una famiglia dell’aristocrazia rurale,
viene indicato come dominus già all’inizio degli anni ’60 (ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1262 aprile 16).
Nel 1275 dominus Enrico Fornari era podestà di Buti (ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1275…01). Negli
anni ’80 compaiono anche dominus Aldebrandino Terizendi, appartenente a un ramo dei Carincioni,
già morto nel 1284 (ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, c. 408v) e dominus Bonagiunta Carincioni
(ASLu, Not. 5, Gherardetto da Chiatri, cc. 117-118). La prima attestazione del titolo dominus per
i Mordecastelli è del 1281: ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1281 ottobre 10, Albonetto del fu dominus
Ranieri Mordecastelli.
40
Poloni, Fisionomia, cit.
41
Carlo era a Lucca alla fine di marzo del 1268 ACLu, Not. LL 33, ser Ciabatto, c. 105 v, 1268
marzo 27. Giovanni Villani scrive che nell’agosto del 1267 l’Angioino «in Firenze dimorò otto giorni et
fece più gentili uomini cavalieri».
42
Per Firenze S. Raveggi - M. Tarassi - D. Medici - P. Parenti, Ghibellini, guelfi e Popolo grasso. I
detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze, La Nuova Italia, 1978, e ancora
molto valido G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Torino, Einaudi, 1960 [ed. orig.
1896].
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 71
Il contrasto tra l’elevata mobilità legata alla crescita economica e il ritmo assai
più lento del ricambio politico si spiega dunque probabilmente con il monopolio
delle posizioni di potere da parte di un nucleo ristretto di famiglie la cui storia
era strettamente intrecciata alla storia del Popolo lucchese. L’impressione tutta-
via è che negli anni ’60, ’70 e ’80 non esistesse un’opposizione né si preparasse
una possibile alternativa a questa distribuzione del potere. Le famiglie che in
quegli anni, sempre più numerose, entravano a far parte dell’élite economica
erano a quanto pare poco interessate a tradurre il loro successo economico sul
piano politico; esse sembrano anzi tenersi ai margini della vita politica. Il caso
dei Mordecastelli testimonia in effetti che una gestione strategica delle risorse
relazionali poteva anche in questa fase favorire l’integrazione nel gruppo diri-
gente comunale. L’esperienza popolare mostra poi che una reazione possibile
alla chiusura del ceto di governo era la creazione di un gruppo organizzato di
pressione in grado di forzare gli equilibri politici. Ma non c’è nessun indizio
che nella Lucca della seconda metà del Duecento stesse accadendo qualcosa di
simile a ciò che era avvenuto all’inizio del secolo.
Alla fine del XII secolo l’egemonia sociale e politica della militia si traduceva
anche nel controllo di un cospicuo flusso di risorse economiche43. Queste risor-
se, e le norme formali e informali che regolavano la loro distribuzione, furono
una delle principali poste in gioco nella lotta tra milites e pedites, come dimostra
la ricorrenza e la centralità nelle rivendicazioni popolari delle tematiche legate
al fisco e alla gestione dei beni comunali. Per gli Onesti, i Martini, i Fornari, i
Peri e le altre famiglie lucchesi che si posero alla guida del Popolo l’impegno
politico, al pari dell’impegno nel commercio internazionale, nella professione
giuridica e in quella notarile, si spiega in parte anche con la ricerca di risorse
supplementari necessarie a sostenere gli alti tassi di crescita demografica riscon-
trabili in questo gruppo sociale44. Il contesto della seconda metà del Duecento
era però profondamente diverso da quello degli anni a cavallo tra XII e XIII
secolo. Il dinamismo dell’economia lucchese sembrava mettere a disposizione
di buona parte della popolazione cittadina un’ampia gamma di opportunità per
migliorare la propria condizione. In questo quadro è probabile che l’attrattiva
della politica risultasse ridimensionata rispetto al passato. Forse non fu un caso
che famiglie come i Melanesi, i Fiadoni, i Sandoni, i Moriconi cambiarono
radicalmente il loro atteggiamento nei confronti della politica soltanto a partire
dagli anni ’90 del Duecento, in una fase di minor dinamismo economico45.
43
Su questo cfr. Maire Vigueur, Cavalieri, cit.
44
Cfr. cap. I.2.3.
45
Cfr cap. IV e V.
72 Alma Poloni
46
Cfr. cap. I.1.3.
47
ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1275 marzo 16; Ferretto, II, n. CCCLV, 1277 luglio 17; n. CCCLVII
1277 luglio 24; CCCXCII, 1277 ottobre 23; CDLX, 1278 gennaio 26. Tuttavia la società operava pro-
babilmente dall’inizio del decennio: Guiduccio Martini era legato ai Sartori già nel 1270 (ASLu, Dipl.
Compagnia della Croce, 1270 ottobre 31).
48
ASLu, Dipl. S. Croce, 1273 settembre 9.
49
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1273 aprile 27.
50
ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, anno 1284, cc. 244 r e v, 258v, 259v, 260r, c. 468r ecc.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 73
51
Savigni, Episcopato, cit., p. 569.
52
Doehaerd, n. 1154, 1262 ottobre 4.
53
Ibidem, n. 1288 e n. 1289, 1274 marzo 2; Ferretto, II, n. CCCLIX, 1277 luglio 28.
54
I registri della cancelleria angioina, cit., VII, n. 11, p. 12, 1270 novembre 12.
55
Ibidem, V, n. 199, pp. 251-252, 1272 luglio 8.
56
ASLu, Not. 12, I, Paganello de Fiandrada, c. 44r, 1273 maggio 17.
57
Del Punta, Mercanti, cit., p. 294.
58
Ibidem, pp. 175 e sgg.
59
Wickham, Comunità, cit., pp. 150-152.
74 Alma Poloni
della compagnia dei Cardellini, probabilmente una delle aziende al vertice del
sistema commerciale lucchese. I Cardellini acquistavano sulla piazza genovese
grosse quantità di seta greggia per il mercato lucchese60. Oltre che attraverso
il solito strumento dei cambi sulle fiere, essi si procuravano liquidità anche
smerciando a Genova consistenti partite di panni franceschi acquistati alle
fiere61. Negli anni ’80 entrò nella compagnia un altro da Tassignano, Iano del
fu dominus Burnetto62. Sempre all’inizio degli anni ’80 Bendino del fu Albertino
da Tassignano era in società con Arrigo Arnolfini, Tedicio de Porta, Bonagiunta
Urbicciani e Peruccio Scatisse63.
Particolarmente significativo è il caso dei Guinigi, discendenti da un ramo
di un gruppo familiare di grandi livellari vescovili dell’XI secolo. Da questo
stesso gruppo familiare ebbero origine anche i Fralminghi, protagonisti della
vita politica cittadina fin dall’inizio del XII secolo, e la stirpe dei signori di
Montemagno64. La compagnia dei Guinigi è attestata nelle fonti genovesi a par-
tire dall’inizio degli anni ’60 del Duecento65. Per tutti gli anni ’60, ’70 e ancora
all’inizio degli anni ’80, l’agente dei Guinigi a Genova era Conte del fu Albertino
Guinigi. La compagnia sembra optare per una maggiore diversificazione degli
investimenti rispetto alla maggior parte delle altre società lucchesi. Un buon
numero di documenti riguardano infatti l’acquisto di seta greggia e i cambi
sulle fiere66, ma sulla piazza genovese Conte era impegnato anche nell’acquisto
60
Nel 1274 i Cardellini acquistarono insieme alla compagnia dei Porcelli-Melanesi e a un’altra
società lucchese una certa quantità di seta, per la quale si impegnarono a pagare poco più di 232 lire di
provesini (più o meno 644 lire lucchesi) alla fiera di Provins St. Ayoul (Doehaerd, n. 1296, 1274 marzo
22). Nel 1276 la società acquistò seta per 233 lire genovesi (Ferretto, II, n. CCXIX, 1276 ottobre 29).
61
Ancora più delle poche testimonianze dirette di acquisti di seta greggia, l’entità dei fondi che i
Cardellini in vario modo accumulavano a Genova dà un’idea del giro d’affari che doveva essere legato
all’approvvigionamento della seta. All’inizio di ottobre del 1276 essi ricevettero una quantità non defi-
nita di moneta genovese da rimborsare con 500 lire di provesini (più o meno 1387 lire lucchesi) alla
fiera di Troyes (Doehaerd, nn. 1312 e 1313, 1276 ottobre 5 e 8). Il 19 aprile del 1277 i Cardellini si
procurarono più o meno 810 lire genovesi vendendo a tre draperii altrettante partite di panni franceschi
(Ferretto, II, n. CCLXXXIV). Nell’ottobre del 1278 essi promisero 500 lire di provesini sulla fiera di
Troyes in cambio di moneta genovese (Doehaerd, n. 1367, 1278 ottobre 2).
62
Doehaerd, n. 1429, 1287 gennaio 16.
63
ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, c. 112v-113r, 1284 marzo 21.
64
C.J. Wickham, Economia e società rurale nel territorio lucchese durante la seconda metà del secolo XI, in
Sant’Anselmo vescovo di Lucca (1073-1086), a cura di C. Violante, Roma, Istituto Storico Italiano per il
Medioevo, 1992, pp. 391-422, pp. 402-405.
65
Doehaerd, n. 1174, 1262 novembre 27.
66
Ferretto, II n. CXCV, 1276 ottobre 1; n. CCVII, 1276 ottobre 16; Doehaerd, n. 1323, 1276
ottobre 21; Ferretto, II, n. CCCXCVII, 1277 ottobre 27; n. CDV, 1277 novembre 5; n. CDXIII, 1277
novembre 15.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 75
67
Ferretto, II, n. CCXIII, 1276 ottobre 21; n. CCXIV, 1276 ottobre 23; n. CCXVIII, 1276 ottobre
27; n. CCXXIV, 1276 ottobre 31; n. DXXXII, 1278 agosto 11; n. DCCXXXIV, 1281 marzo 24.
68
Ibidem, n. CCXXXVI, 1276 novembre 18.
69
Doehaerd, n. 1174, 1262 novembre 27; Ferretto, II, n. CLIII, 1276 maggio 26; n. CDXXI, 1277
novembre 22; n. CDLXVIII, 1278 febbraio 11. Nel caso dei Guinigi abbiamo anche una delle rare
attestazioni di un cambio da lire provesine a lire genovesi: Doehaerd, n. 1298, 1274 marzo 23.
70
Del Punta, Mercanti, cit., p. 163.
71
ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1288 maggio 13.
72
ASLu, Not. 26, reg 2, Giovanni Spiafame, c. 31v, 1304 marzo 21.
76 Alma Poloni
73
ASLu, Not. 12, reg. 1, Paganello de Fiandrada, cc. 37v-38r, 1273 marzo 25; Ferretto, II,
n. CCXXIV, 1276 ottobre 31; n. CXCVI, 1276 ottobre 2; n. CCLXXXIX, 1277 aprile 24.
74
Ibidem, n. CCLXXII, 1277 aprile 6; n. CCCXCII, 1277 ottobre 23; n. CDLXXIV, 1278 febbraio
17.
75
Doehaerd, n. 1367, 1278 ottobre 2.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 77
l’essenza stessa dello sviluppo economico76. Questa tendenza trova una confer-
ma empirica nella situazione lucchese, in particolare per i due periodi compresi
grosso modo tra il 1195 e il 1215 e tra il 1255 e il 1275.
Nonostante la mancanza di dati quantitativi, a mio parere, la comparsa
di imprenditori «a frotte», ben visibile nelle nostre fonti, qualifica questi due
momenti come picchi di crescita dell’economia lucchese. Assai più difficile
è invece valutare gli anni che vanno più o meno dal 1215 al 1255, che non
presentano evidenti fattori di discontinuità. Possiamo forse leggere il periodo
compreso tra il 1195-1200 e il 1250-1255 come un ciclo lungo dominato dagli
effetti di quella che abbiamo definito la rivoluzione commerciale di inizio seco-
lo77. Questa lunga fase fu certamente turbata da varie fluttuazioni, che tuttavia
la documentazione non ci permette di individuare. I Fornari, per esempio,
potrebbero essere rimasti vittima di una breve fase di contrazione collocabile
tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, ma si tratta di un’ipotesi allo
stato attuale non verificabile.
Intorno al 1255 possiamo collocare l’inizio di un secondo ciclo lungo che,
sempre con andamento oscillatorio, durò più o meno fino alla fine del primo
decennio del Trecento, e fu caratterizzato dalle conseguenze della fase di forte
crescita collocabile, con alti e bassi, nel ventennio 1255-1275. Tale crescita – co-
me del resto quella dell’inizio del Duecento78 – fu innescata da impulsi esterni
al sistema economico lucchese, legati in primo luogo a cruciali trasformazioni
della struttura delle relazioni commerciali dei genovesi con l’Oriente. Come si è
visto, infatti, l’economia lucchese aveva da tempo sviluppato un vero e proprio
rapporto simbiotico con il commercio genovese.
76
Schumpeter, Teoria, cit.
77
Sui cicli Schumpeter, Teoria, cit.; Id., Business Cycles. A Theoretical, Historical and Statistical Analysis
of the Capitalist Process, New York, McGraw-Hill, 1939; P. Sylos Labini, Problemi dello sviluppo economico,
Bari 1972; Id., Torniamo ai classici. Produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico, Roma-Bari,
Laterza, 2004.
78
Cfr. cap. I.2.3.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 79
ai mongoli del re della Piccola Armenia. Dagli anni ’40 i tatari controllavano le
vie carovaniere che attraversavano la penisola anatolica dirette verso le regioni
caspiche e l’Asia centrale, transitando per l’importante emporio di Sivas. Con
l’inserimento della Piccola Armenia nello spazio mongolico queste vie commer-
ciali trovarono uno sbocco sul Mediterraneo a Laiazzo (oggi Yumurtalik, nel
golfo di Iskenderun, in Turchia), che divenne in breve tempo un porto di pri-
maria importanza, luogo di imbarco delle merci orientali dirette verso l’Europa
occidentale79. Verso la fine degli anni ’50 Tabriz, oggi nell’Iran settentrionale,
fu scelta come capitale dell’impero degli Ilkhan. La città si trovava in un punto
strategico, al crocevia di rotte terrestri provenienti dal Mar Nero, dal Mar
Caspio, dal Mediterraneo, dal Golfo Persico e, attraverso le steppe dell’Asia
centrale pacificate dai mongoli, dalla Cina. Il Khan si impegnò a promuovere
la rilevanza commerciale di Tabriz, attrezzandola con caravanserragli e altre
strutture ricettive e garantendo ai mercanti occidentali, persiani, musulmani
e mongoli un’efficace protezione negli spostamenti all’interno del suo vasto
dominio80.
Questi sviluppi politico-militari portarono nel giro di pochi anni, a cavallo
tra sesto e settimo decennio del Duecento, alla formazione di un nuovo spa-
zio commerciale. Esso si presentava come una rete di piazze commerciali la
principale delle quali, come si è visto, era Tabriz, seguita per importanza da
Laiazzo – che proiettava lo spazio mongolico nel Mediterraneo, e dunque verso
l’Occidente – e poi da Sivas; a questi nodi fondamentali si aggiungevano centri
secondari come Kayseri (Cesarea) ed Erzurum, in Anatolia81. In questi mercati
si incontravano venditori e compratori provenienti tanto dalle aree immediata-
mente circostanti quanto da paesi lontani. I crocevia commerciali erano poi col-
legati tra loro da vie carovaniere attrezzate e sorvegliate attraverso una regolare
successione di posti di guardia. Le autorità mongole introdussero anche pesi e
misure standardizzati, controllati ogni mese82.
È facile immaginare l’importanza, per la struttura dei traffici internazionali,
di queste trasformazioni che interessarono un’area geografica da sempre cruciale
79
Su questi sviluppi è ancora molto utile G.I. Bratianu, Recherches sur le commerce génois dans la Mar
Noire au XIIIe siècle, Paris, Librairie orientaliste Paul Geuthner, 1929, in particolare pp. 155-196. Cfr
anche R.H. Bautier, Les relations économiques des Occidentaux avec les pays d’Orient au Moyen Age. Points de vue
et documents, in Sociétés et compagnies de commerce en Orient et dans l’Océan Indien, Paris 1970 (Actes du VIIIe
Colloque International d’Histoire maritime, Beyrouth 1966), pp. 263-331, in particolare pp. 280-292; M.
Balard, La Romanie génoise (XIIe-début du Xve siècle), 2 voll., Genova, Società ligure di storia patria, 1978.
80
Bratianu, Recherches, cit., p. 184.
81
Bautier, Les relations, cit., pp. 280-281.
82
Bratianu, Recherches, cit., p. 184.
80 Alma Poloni
per gli scambi tra Oriente e Occidente. È ipotizzabile che l’alto livello di integra-
zione di questo spazio politico e commerciale abbia portato a una diminuzione dei
vari costi connessi alle attività commerciali, da quelli di trasporto a quelli di misu-
razione, da quelli di informazione – che tendono a diminuire con la concentrazio-
ne della domanda e dell’offerta in luoghi di scambio organizzati – a quelli legati
alla tutela dei diritti e alla garanzia di applicazione dei contratti83. La significativa
diminuzione dei costi di transazione portò senza dubbio a un notevole aumento
del volume degli scambi, che del resto risulta evidente dalle fonti genovesi della
seconda metà del Duecento, attentamente analizzate dagli storici del secolo
scorso84. I genovesi in effetti furono, tra gli occidentali, coloro che meglio e più
rapidamente seppero cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti in atto.
Il primato dei genovesi in questa regione si consolidò definitivamente con
il trattato del Ninfeo del 1261. In cambio dell’appoggio della loro flotta al suo
progetto politico, Michele Paleologo, signore di Nicea, promise ai genovesi
condizioni di assoluto favore in tutto il territorio dell’impero bizantino, o meglio
nelle aree che egli sarebbe riuscito a ricondurre sotto il proprio controllo85. Il
successo di Michele riportò i genovesi a Costantinopoli, ma soprattutto segnò
l’inizio della loro penetrazione commerciale nel Mar Nero. La fondazione
dell’insediamento genovese di Pera, nei pressi di Costantinopoli, risale pro-
babilmente al 1267. Nel 1266 nacque forse il primo nucleo di Caffa, il grande
emporio genovese in Crimea; nella seconda metà degli anni ’60 i genovesi si
insediarono in varie altre località delle coste del Mar Nero86. Dal Mar Nero, e
in particolare da Trebisonda, si apriva una via rapida e diretta per Tabriz. Non
stupisce dunque constatare che le attestazioni della presenza genovese nella
capitale degli Ilkhan si fanno sempre più numerose a partire soprattutto dagli
anni ’80 del Duecento87. I porti genovesi sul Mar Nero sostituirono gradual-
mente Laiazzo come centri commerciali, punti di incontro delle molteplici diret-
trici di traffico provenienti da est e da ovest, stazioni di transito e di imbarco
delle merci dirette verso l’Occidente88.
83
Gli effetti sui costi di transazione e dunque sulla crescita dell’economia dei processi di unifi-
cazione politica e di integrazione istituzionale sono al centro di vari lavori di R. S. Epstein: si veda in
particolare Id., An Island, cit. e soprattutto Id., Freedom and Growth, cit.
84
Si vedano gli studi citati nelle note precedenti, e inoltre Jacoby, Genoa, cit., e P. Malanima, Pisa
and the Trade Routes to the Near East in the Late Middle Ages, in «Journal of European Economic History»,
XVI (1987), pp. 335-357.
85
Balard, La Romanie, cit., pp.42-55.
86
Balard, La Romanie, cit.
87
Ibidem, pp. 138-140.
88
Malanima, Pisa, cit., pp. 347-348.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 81
89
Jacoby, Genoa, cit., pp. 26-27.
90
Bautier, Les relations, cit., p. 291. Secondo Del Punta le sete provenienti dal mondo bizantino e
dal Mar Caspio soddisfacevano da sole la quasi totalità della domanda lucchese (Del Punta, Mercanti,
cit., pp. 57-77).
91
Malanima, Pisa, cit., pp. 347-353, Bautier, Les relations, cit., p. 290.
82 Alma Poloni
92
Tangheroni, Commercio e navigazione, cit., p. 436.
93
P. Racine, I banchieri piacentini ed i cambi sulle fiere di Champagne alla fine del Duecento, in Studi
storici in onore di Emilio Nasalli Rocca, Piacenza, Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi.
Sezione di Piacenza, 1971, pp. 475-505.
94
D. Gioffrè ha calcolato che tra il 1267 e il 1278 l’ammontare dei cambi fu di 38242 lire di
provesini, pari a 53500 lire genovesi. I datori di cambio furono per circa l’80% genovesi. Nel solo
anno 1277 i crediti dei genovesi «in nundinis Campanie» verso i lucchesi ammontarono a 17740 lire di
provesini (D. Gioffrè, L’attività economica dei lucchesi a Genova fra il 1190 e il 1280, in Lucca archivistica, sto-
rica, economica. Relazioni e comunicazioni al XV congresso nazionale archivistico, Lucca ottobre 1969,
Roma, Il Centro di Ricerca, 1973, pp. 94-111, pp. 106-107). Secondo P. Racine ancora negli anni ’80 e
’90 i genovesi erano di gran lunga i maggiori datori di cambio sulla piazza ligure. Nel 1288 i fiorentini
rappresentarono il 33,15% dei prenditori di cambio, i genovesi il 17% e i lucchesi il 21,5%, ma si tratta
probabilmente di una distorsione dovuta alla documentazione, poiché negli anni successivi i lucchesi
furono sempre i principali prenditori di cambio. Nel 1291 essi rappresentarono il 36,30% dei prenditori
contro il 30,35% dei fiorentini e il 16,70% dei genovesi, nel 1293 i lucchesi totalizzarono il 34% contro
il 21% dei rivali toscani (Racine, I banchieri, cit.).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 83
95
Spufford, Money and its Use, cit., pp. 240 e sgg. Per una ricerca recente che pare confermare
questo quadro D. Pichot, Le prélèvement seigneurial dans l’ouest de la France (Xie-XIIIe siècle), in Pour une
anthropologie du prélèvement seigneurial dans les campagnes médiévales (Xie-XIVe siècles). Réalités et représenta-
tions paysannes, Paris, Publications de la Sorbonne, 2004, pp. 607-629. Si vedano anche gli altri saggi
della raccolta.
96
Bautier, I Lombardi, cit.
97
Ibidem, p. 30.
84 Alma Poloni
98
Per tutti questi aspetti cfr. Bautier, Les foires, cit., pp. 122-126.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 85
che aveva commesso un’infrazione o non aveva rispettato gli accordi, era di per
sé un potente deterrente. Con la concentrazione di tutti i contenziosi presso
un unico ufficio divenne poi più facile ed economico per i mercanti raccogliere
informazioni sulle loro controparti commerciali ed evitare di concludere affari
con chi si era dimostrato poco affidabile99.
L’accentramento del potere giudiziario nelle mani delle guardie delle fiere
consentì soprattutto di potenziare il sistema sanzionatorio fondato sulla reputa-
zione che, in un contesto di scarso sviluppo delle istituzioni statali, rimaneva la
garanzia più efficace contro i comportamenti utilitaristici. L’abbassamento dei
costi di transazione favorì probabilmente un’ulteriore espansione delle attività
commerciali e finanziarie incentrate sulle fiere. Questi cambiamenti non pos-
sono che aver portato vantaggi ai lucchesi, dal momento che a questa data le
fiere rappresentavano ancora il principale sbocco per i loro tessuti serici tanto
apprezzati dalle corti e dalle aristocrazie d’oltralpe.
A questa congiuntura internazionale estremamente favorevole per i nostri
mercanti va infine aggiunta l’avventura italiana di Carlo I d’Angiò, che aprì ai
lucchesi, grazie alla loro adesione al fronte guelfo, nuove opportunità economi-
che nell’Italia meridionale.
99
Milgrom, North, Weingast, The Role of Institutions, cit.
Capitolo terzo
LUCCA COME DISTRETTO INDUSTRIALE
L’idea centrale di questo capitolo è che a Lucca negli anni ’70 e ’80 del
Duecento ebbe luogo un processo di specializzazione e di differenziazione delle
imprese che portò alla definizione di una struttura economica per alcuni versi
simile a un distretto industriale marshalliano.
Nel primo paragrafo si prendono in considerazione alcune delle principali
aziende lucchesi attive tra Due e Trecento. Per ognuna di esse di tenta di rico-
struire il quadro generale delle attività produttive, commerciali e finanziarie.
Da questa analisi sembra emergere in maniera abbastanza chiara che a Lucca,
accanto alla classica figura del «setaiolo», cioè del mercante-imprenditore che
seguiva tutte le fasi di trasformazione della materia prima servendosi delle pre-
stazioni di artigiani e lavoratori a domicilio, esistevano società specializzate in
una sola fase della lavorazione della seta. Nel secondo paragrafo si propone di
interpretare il processo di specializzazione e differenziazione delle aziende luc-
chesi come un’innovazione organizzativa innescata dalla «seconda rivoluzione
commerciale» degli anni 1255-1275.
Appendice I, 1.
App. I, 1a. Sulle potenzialità e sui limiti delle fonti notarili per questo tipo di ricostruzioni cfr.
Nota sulle fonti.
A Lucca infatti, come è noto, la tintura avveniva nella grande maggioranza dei casi dopo la
tessitura, erano cioè pezze intere ad essere tinte, e non il filato (Del Punta, Mercanti, cit., p. 82).
App. I, 1a.
App. I, 1b.
I. Del Punta scrive che i tintori «acquistavano tessuti di seta dai mercanti e provvedevano alla
tintura nelle loro botteghe, quindi rivendevano il prodotto ad altri mercanti. […] A Lucca non vi sono
attestazioni, almeno per il Duecento, di casi in cui il tintore lavorasse per conto di un mercante-impren-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 89
ditore» (Del Punta, Mercanti, cit., p. 83). Tuttavia lo statuto dei tintori di zendadi del 1255 si apriva
proprio con l’impegno da parte dell’artigiano ad attenersi scrupolosamente alle richieste del mercante,
lucchese o forestiero, che a lui si rivolgeva, a non frodarlo in alcun modo e a non sostituire la pezza
consegnatagli con stoffa di minore qualità (cfr. Poloni, Strutturazione, cit.). Sembrerebbe dunque che
il lavoro su ordinazione di un mercante-imprenditore fosse la norma per la maggior parte dei tintori
lucchesi fin dalla metà del Duecento. Questi aspetti dell’organizzazione produttiva del resto difficil-
mente trovano spazio nei registri notarili (cfr. Nota sulle fonti). Essi erano senz’altro registrati nei libri
contabili delle varie compagnie, che tuttavia per il Duecento sono andati completamente perduti.
App. I, 1d.
App. I, 1c.
90 Alma Poloni
Appendice I, 2.
10
App. I, 2a.
11
App. I, 2b.
12
App. I, 2d.
13
App. I, 2c.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 91
prezzo della grana immettendo sul mercato cittadino parte delle proprie scor-
te14. Non ho invece trovato alcun riferimento nè ad acquisti nè a vendite di seta
greggia, una circostanza che parrebbe confermare l’estraneità della compagnia
alla compravendita della seta non lavorata. Il fatto che i Mordecastelli fossero
prenditori di cambio suggerisce poi che essi non facessero parte del ristretto
gruppo delle compagnie importatrici di seta. Come infatti vedremo tra poco,
queste ultime, potendo contare a Lucca su una notevole disponibilità di denaro
liquido, erano tutte datrici di cambio15.
Si può pensare dunque che i Mordecastelli svolgessero un’attività simile a
quella della compagnia Omodeo Fiadoni e soci, che intervenissero cioè soltanto
nella fase finale della lavorazione dei tessuti, come pare confermare l’acqui-
sto di zendadi bianchi. A differenza dell’altra società, però, i Mordecastelli si
rifornivano di grana non soltanto sul mercato lucchese, ma anche direttamente
a Venezia, dove il colorante giungeva in particolare dalle aree bizantine. Essi
sembrerebbero specializzati nella commercializzazione di un tipo particolare di
drappi serici: tessuti lisci – in particolare zendadi e samiti – non solo colorati,
ma anche decorati con fregi e ricami in filo d’oro e di seta16. Ciò spiegherebbe i
consistenti acquisti di oro filato e anche un’attestazione, risalente al marzo del
1304, relativa all’acquisto di 61 libbre e 2 once di «seta de fregio lombarda», cioè,
probabilmente, seta che per le sue particolari caratteristiche veniva utilizzata
soprattutto per la rifinitura e la guarnizione di stoffe, fasce e cinture17.
Possiamo immaginare che dopo aver ritirato gli zendadi dai tintori i
Mordecastelli li consegnassero nelle mani delle ricamatrici, fornendo loro i fili
d’oro e di seta necessari al loro lavoro. La specializzazione nelle fasi finali della
produzione giustificherebbe il fatto che i Mordecastelli non partecipavano al
commercio di seta greggia, e che sul mercato monetario lucchese erano prendi-
14
App. I, 2b.
15
Cfr. cap. III.1.3.
16
In Inghilterra si sono conservati numerosi zendadi e samiti ricamati, soprattutto con filo d’oro:
King, Types, cit., pp. 458-459.
17
L’interpretazione dell’espressione «seta de fregio lombarda» è per la verità piuttosto controversa
(Del Punta, Mercanti, cit., p. 60. Un primo elemento a sostegno della mia ipotesi mi sembra essere il
fatto che la seta de fregio, a differenza delle altre sete, veniva spesso tinta in filato (da qui i riferimenti
a compravendite di seta de fregio lombarda de coloribus). Questa circostanza suggerisce che essa non
venisse usata per la tessitura delle stoffe (gli zendadi lucchesi, come si è detto, venivano tinti dopo la
tessitura), ma più plausibilmente per la decoraizone e il ricamo. Le leggi suntuarie emanate negli anni
’30 del Trecento mostrano inoltre che a Lucca il termine «fregio» era comunemente utilizzato per indi-
care guarnizioni, ricami e decorazioni, ottenuti con filo d’oro e d’argento o fili colorati, che ornavano
le stoffe degli abiti delle donne (Bandi lucchesi del secolo decimoquarto tratti dai registri del R. Archivio di Stato
in Lucca, a cura di S. Bongi, Bologna, Tipografia del progresso, 1863, pp. 47-54).
92 Alma Poloni
tori di cambio. Questa ipotesi mi sembra perciò più plausibile rispetto a quella
che essi seguissero l’intero processo di lavorazione dei tessuti.
Gli anni ’90 del Duecento segnarono dunque un riorientamento degli inte-
ressi dei Mordecastelli e una totale riorganizzazione delle loro attività commer-
ciali e finanziarie, in analogia a quanto si è già osservato per Salliente Melanesi
e Omodeo Fiadoni. Negli anni ’70 e ’80 gli affari della compagnia composta
dai tre figli di Faitinello Mordecastelli, da Gerardo Posarelli e da Fredo
Frangelasta erano ancora incentrati sui poli Genova-Champagne. A quel tempo
la società, al pari delle altre imprese lucchesi, importava seta greggia a Lucca
ed esportava drappi serici soprattutto Oltralpe. Dagli anni ’90 i Mordecastelli
abbandonarono il commercio della seta greggia e probabilmente scelsero la
via della specializzazione produttiva. Da quel momento essi, proprio come era
accaduto a Salliente Melnesi e Omodeo Fiadoni, non ebbero più bisogno di
mantenere un agente sulla piazza genovese. L’ultima attestazione della presenza
della compagnia dei Mordecastelli a Genova risale infatti al 128718.
Le due società fondate dai membri della famiglia Martini sembrano presen-
tare un quadro molto simile a quello della compagnia Mordecastelli. Entrambe
le società sono attestate dall’inizio degli anni ’90 del Duecento; una di esse era
composta da Riccomo Martini, Giovanni e Balduccio Fralmi e Done Anguilla19,
l’altra dai tre fratelli Guido, Federico detto Bigoro e Rustichello detto Tello del
fu Martino Martini20. Tello morì probabilmente nel corso dle 1304. Gli altri
due fratelli portarono avanti l’azienda, ma dal gennaio del 1305 Guido scelse di
entrare nella società creata da Done Anguilla e Riccomo Martini, il quale era
anch’egli defunto tra il 1302 e il 1303. È probabile che la decisione fosse dettata
dall’insorgere di dissensi con il fratello Bigoro; quest’ultimo operò da solo per
poco più di un anno, fino alla probabile cessazione dell’attività dopo il maggio
del 1306.
Le due aziende acquistavano sul mercato lucchese soprattutto filo d’oro e
filati di seta da ricamo bianchi e colorati21. In tre occasioni Riccomo Martini e
18
Doehaerd, n. 1427, 1287 gennaio 14.
19
Appendice I, 3.
20
App. I, 4.
21
App. I, 3a e I, 4a. Tra gli acquisti delle società dei Martini troviamo seta de fregio, sulla quale ci
siamo già soffermati, capitone colorato, filugello, seta «mezzana» colorata. Il capitone era un filato di
seta piuttosto grossolano, spesso e lavorato con meno accuratezza, che poteva presentare anche nodi e
imperfezioni (F.B. Pegolotti, La pratica della mercatura, ed. by A. Evans, 2 voll., Cambridge (Mass.), The
Medieval Academy of America, 1936, p. 382). Il filugello era un filo di seta di qualità bassa, ricavato
spesso da bozzoli rotti e danneggiati, che veniva solo filato e non torto. Anche l’espressione seta «mez-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 93
zana» rimanda probabilmente a un filato non di prima scelta. Tutti questi termini fanno riferimento a
filati di qualità inferiore utilizzati per la decorazione, il ricamo, la rifinitura dei tessuti e per la realizza-
zione di cinture e passamaneria.
22
App. I, 3b.
23
App. I, 3c e I, 4c.
24
App. I, 3d e I, 4d. «Gen e Galeran Martin et leurs compaignons», due membri della famiglia
Martini difficilmente identificabili, compaiono tra i lucchesi presenti a Parigi nella Taglia imposta da
Filippo il Bello nel 1296 (K. Michaëlsson, Le livre de la taille de Paris l’an 1296, Göteborg, Almqvist, 1958,
p. 271).
25
Cfr. cap. IV.1.2.
26
Nel dicembre del 1294 il padre di Nello e Bindo è detto «dominus frater Bectus qd domini
Aldibrandini Terizendi» (ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli, c. 57v).
94 Alma Poloni
I Terizendi compravano seta greggia sul mercato lucchese27. Fin dagli anni
’90 essi si rifornivano principalmente presso le compagnie fiorentine attive a
Lucca. Gli acquisti avvenivano in genere per importi medi o medio-alti, spesso
superiori alle 400 lire, e in più occasioni i Terizendi agirono in associazione con
i Pagani. L’unica altra attività attestata per la nostra società è la vendita – per
importi bassi o medio-bassi, che solo in tre casi superarono le 100 lire – di filato
di seta pronto per l’orditura (chiamato orsorium) e per la tessitura (testorium)28.
L’unico cliente che intratteneva con i Terizendi un rapporto d’affari abba-
stanza continuo era la società composta da Peruccio Squete e Coscio Ventura29.
I due acquistavano il filato di seta sul mercato lucchese e vendevano zendadi
bianchi ai tintori, ai setaioli o a imprese, come quella di Omodeo Fiadoni e soci,
specializzate nella tintura30. Peruccio Squete e il suo socio erano dunque spe-
cializzati nella tessitura della seta. Essi però non erano tessitori, ma mercatores
a tutti gli effetti, che sovrintendevano soltanto a una fase specifica della pro-
duzione di drappi serici, servendosi della manodopera di tessitori e tessitrici ai
quali fornivano il filato ritirando poi il prodotto finito. A Lucca esistevano altri
mercanti specializzati nella tessitura, uno dei quali, Puccio Cari, era anch’egli
cliente dei Terizendi31.
Non abbiamo purtroppo informazioni su come i Terizendi organizzassero la
filatura e la torcitura, le operazioni necessarie per ottenere l’orsorium e il testo-
rium32. Le più antiche attestazioni dell’esistenza di filatoi idraulici a Lucca non
sono anteriori agli anni ’30 del Trecento, ma è altamente probabile che questi
impianti fossero in uso almeno dagli ultimi decenni del secolo precedente33. La
27
Appendice II, 1a.
28
App. II, 1b.
29
App. II, 3.
30
App. II, 3a e 3b.
31
Nel gennaio del 1305 Puccio acquistò dai Terizendi 7 libbre e 7 once di filato per la tessitura
(ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli, c. 342). Nel marzo del 1308 egli acquistò dai Rapondi 15 libbre
e sei once di testorium per 86 lire e 16 soldi (ASLu, Not. 58, Rabbito Toringhelli, c. 143). Un altro
acquisto di testorium è attestato per il maggio del 1312 (ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 99r). A
questa stessa categoria, quella dei mercanti specializzati nella tessitura, sembra appartenere la società
di Arrighino Benenati e soci, attiva negli anni ’80 del Duecento (Del Punta, Mercanti, cit., p. 81).
32
I fili per la trama erano sottoposti a torcitura in una sola direzione, quelli per l’ordito in due
direzioni, prima in un senso e poi in quello opposto (F. Edler De Roover, Andrea Banchi setaiolo fiorentino
del Quattrocento, in «Archivio storico italiano», CL (1992), pp. 877-973, in particolare p. 903).
33
I filatoi citati nei documenti degli anni ’30 del Trecento sono infatti molto complessi, senza
dubbio il risultato di un lungo processo di adattamento e perfezionamento (T. Bini, Sui Lucchesi a
Venezia. Memorie dei secoli XIII e XIV, 2 voll., Lucca 1854-1857, p. 54). Uno di questi mulini si trovava
nella «contrata vie nove porte burgi». In questa stessa area fin dagli anni ’70 del XII secolo esistevano
mulini per la macinatura del grano, circostanza che suggerisce l’esistenza di fossi e canali (cfr Poloni,
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 95
torcitura era l’unica fase della produzione di drappi serici che potesse essere
meccanizzata. Le macchine più complesse ed evolute avevano un costo molto
elevato, non accessibile agli artigiani più modesti. È possibile, a mio parere, che
i Terizendi possedessero uno di questi impianti, azionato da operai salariati o,
più probabilmente, da uno o più artigiani che collaboravano con i nostri mer-
canti attraverso un rapporto societario.
I Terizendi non avevano contatti con i mercati internazionali. Essi si
rifornivano di seta greggia a Lucca, e gli artigiani e i mercanti locali erano i
loro unici clienti. Dal momento che la società non si occupava dello smercio
dei tessuti serici Oltralpe, essa non poteva servirsi dello strumento dei cambi
per finanziare l’acquisto della materia prima necessaria alla propria attività.
Essa comprava la seta a credito e saldava i debiti con i ricavi della vendita
del filato.
Un’altra società specializzata nella torcitura della seta era quella composta
da Federigo Arnaldi e Betto Saggine, attiva dall’inizio del Trecento34. Il loro
giro d’affari doveva essere più ampio rispetto a quello dei Terizendi, anche se le
loro attività sono meno documentate. Gli acquisti di seta greggia superano quasi
tutti le 600 lire lucchesi; i fornitori erano principalmente gli Appiccalcani e la
compagnia di Cino Margatti e soci, ai quali si aggiungevano le solite compagnie
fiorentine35. Verso la fine del periodo che stiamo prendendo in considerazione
la società Arnaldi-Saggine stava esplorando con cautela nuove strade, tentando
forse un salto di qualità. In particolare, essa stava sviluppando contatti diretti
con i mercati internazionali. Nel settembre del 1311 infatti l’azienda spedì una
balla di merci alle fiere della Champagne, e nel luglio dell’anno successivo è
attestato anche il primo cambio sulle fiere36. Questa espansione fu tuttavia
bruscamente interrotta dagli eventi politico-militari: Federigo Arnaldi fu uno
dei lucchesi che abbandonarono la città dopo la conquista del potere da parte
di Uguccione della Faggiola37.
38
De Roover, Andrea Banchi, cit; Ead, L’arte della seta a Firenze nei secoli XIV e XV, a cura di S.
Tognetti, introduzione di B. Dini, Firenze, Olschki, 1999; S. Tognetti, Un’industria di lusso al servizio
del grande commercio. Il mercato dei drappi serici e della seta nella Firenze del Quattrocento, Firenze, Olschki,
2002.
39
App. II, 4.
40
App. II, 4a.
41
App. II, 4b.
42
King, Types, cit., p. 461; cfr per esempio ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli, c. 515, 1305 set-
tembre 16.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 97
problema in più è forse posto dai numerosi acquisti di zendadi bianchi. I setaioli
infatti in genere controllavano anche la fase della tessitura, servendosi del
lavoro a domicilio di tessitori e tessitrici. È plausibile tuttavia che i Rapondi,
per ampliare il proprio giro d’affari e soprattutto per diversificare l’offerta,
trovassero conveniente fare tingere, insieme ai propri tessuti, pezze comprate
già pronte. A Lucca, come si è visto, esistevano società specializzate nella tessi-
tura, che acquistavano i filati da altre società specializzate nella filatura e nella
torcitura. È probabile che questo alto livello di specializzazione permettesse ai
Rapondi e agli altri setaioli di comprare zendadi bianchi all’ingrosso a prezzi
contenuti, che garantivano comunque un buon margine di guadagno.
La perdita dei libri contabili non ci consente di capire come l’azienda
organizzasse la produzione. È verosimile che essa, come i setaioli fiorentini
del Quattrocento, si servisse di un sistema di lavoro a domicilio, distribuendo
i materiali ad artigiani e maestranze e ritirandoli alla conclusione di ogni sin-
gola fase di lavorazione. Ma è probabile che i Rapondi fossero anche clienti
dei mercanti specializzati nelle diverse fasi di trasformazione della seta. Per
gli zendadi bianchi essi si servirono anche della società di Peruccio Squete e
Coscio Ventura. È possibile, anche se non sono rimaste attestazioni in tal senso,
che per il filato necessario all’orditura e alla tessitura i Rapondi si rivolgessero,
almeno in alcuni momenti, ad aziende come quelle dei Terizendi e di Federico
Arnaldi e Betto Saggine.
A quanto sembra i Rapondi non si occupavano dello smercio dei tessuti sul
mercato internazionale. Non è rimasta infatti alcuna attestazione né di spedi-
zioni di merci Oltralpe né di cambi sulle fiere. Possiamo ipotizzare dunque che
la loro produzione fosse interamente destinata al mercato lucchese, dove forse
veniva acquistata dalle compagnie impegnate nel commercio internazionale. È
probabile che non tutte le vendite riguardassero tessuti finiti: come si è visto,
infatti, diverse società lucchesi presenti sui mercati del nord Europa si occupa-
vano anche delle fasi finali della lavorazione, in particolare della tinura (azienda
omodeo Fiadoni e soci) e della decorazione (Mordecastelli, Martini). Queste
compagnie compravano le stoffe da rifinire sia da società specializzate nella
tessitura sia da setaioli come i Rapondi.
Un’altra impresa di setaioli piuttosto importante era quella dei figli del
giudice Deodato Cristofani, Tagliapane e Guido. Anch’essi acquistavano seta
greggia, in particolare da Cino Margatti e soci e da Bonturo Dati e soci43. I
Cristofani compaiono tra i fornitori della compagnia Omodeo Fiadoni e soci,
alla quale in più occasioni vendettero zendadi bianchi. Questo rapporto d’affari
43
App. II, 5.
98 Alma Poloni
44
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1304 settembre 15.
45
App. II, 4a.
46
ASLu, Not. 56, c. 122, 1306 marzo 16.
47
ASLu, Not. 57, Rabbito Torringhelli, c. 410, novembre 1307: Filippo Guassi e socio vendettero
a Omodeo Fiadoni e soci 108 pezze tra mezzanelli, terzanelli, drappi di Venezia e purpurea di diversi
colori. Nel settembre del 1305 l’azienda aveva venduto sempre alla compagnia Fiadoni-Melanesi 34
pezze di mezzanelli,12 pezze di terzanelli e 4 pezzi di drappi in accia per 479 lire. I drappi in accia
erano prodotti probabilmente a imitazione di quelli veneziani che, appunto, erano in genere tessuti su
un ordito di lino o canapa. Un capitolo dello statuto del 1308 regolamentava specificatamente la produ-
zione di tessuti serici a imitazione non solo delle produzioni genovese e veneziana, ma anche dei tessuti
aretini: «Idem intelligatur de illis qui in civitate lucana, burgis et suburgis artem exercent de drappis
aureis et sete, qui secundum artem Ianuensium facere debeant, et in ipsa longitudine que Ianue con-
suetum fuerit fieri. Item intelligatur de illis qui faciunt et exercent artem drapporum ad similitudinem
drapporum de Venetiis, qui illos ad dictam similitudinem facere teneantur. Item intelligatur et fiat de
drappis que fiunt secundum morem Aretii, qui illos secundum morem Aretii facere teneantur» (Statuto
del Comune, cit., p. 220). Sui drappi veneziani cfr. Mainoni, La seta, cit., pp. 385-386 e King, Types, cit.,
p. 461. Sui purpurea genovesi Mainoni, La seta, cit., pp. 386-390 e note corrispondenti.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 99
48
App. I, 1a.
49
Pagano e Michele sono inclusi nell’elenco dei «lucani cives et mercatores qui consueverunt uti
Venetiis» coinvolti nel fallimento della compagnia dei Mordecastelli nel 1305 (ASLu, Not. 60, cc. 14v-
15v, gennaio 1310).
50
Nel luglio del 1309 Pagano e Michele vendettero a Omodeo Fiadoni e soci 383 libbre di grana
«de Romania» per più di 823 lire (ASLu, Not. 59, Rabbito Torringhelli, c. 213v).
51
App. III, 1.
52
Sui Margatti cfr. cap. II.1.1. Sul ruolo di Freduccio Margatti nelle vicende politiche degli anni
a cavallo tre Due e Trecento cfr. oltre, cap. V.1.3.
53
App. III, 1b.
54
App. III, 1c.
100 Alma Poloni
55
App. III, 1d. L’agente della compagnia a Parigi era Ugo Clavari. È infatti certamente da iden-
tificare con il socio di Cino Margatti l’«Huguenin Clava de Luques» citato tra i «lombardi» residenti
nella capitale del Regno nelle Taglie del 1299 e del 1300 (C. Piton, Les Lombardes en France et à Paris,
Paris, Chempion, 1892-1893, pp. 143 e 149).
56
ASLu, Not. 56, Rabbito Torringhelli, c. 146, marzo 1306: vendita di 19 sarge irlandesi. ASLu,
Not. 58, c. 123, marzo 1308: vendita a Bonamico merciadrus e Arrigo Bocci mercator di 11 pezze di sarge
iralndesi per 198 lire. ASLu, Not. 60, c.103, marzo 1310: vendita sempre a Bonamico merciadrus di 5
pezze di sarge irlandesi per circa 107 lire. ASLu, Not. 63, c. 394, settembre 1313: vendita a Bacciomeo
pannarius lini di 5 pezze di panni di Parigi per più di 255 lire. App. III, 1b.
57
Per la la compagnia di Cino Margatti e soci ho trovato un indizio in tal senso: nel marzo del
1303 essi consegnarono a Betto Buiamonti il ricavo che essi avevano realizzato dalla vendita sulla
piazza genovese di «agnellini» di sua proprietà (ASLu, Not. 54, Rabbito Torringhelli, c. 83r).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 101
Nessun indizio porta a pensare che essa si occupasse direttamente della produ-
zione seguendo le varie fasi di trasformazione della materia prima. L’ipotesi più
plausibile è forse che la compagnia acquistasse i tessuti dalle aziende di setaioli,
la maggior parte delle quali, come si è visto, non commercializzavano autono-
mamente i propri prodotti sui mercati internazionali.
A partire dal 1312 la società si cimentò anche in un nuovo affare. In asso-
ciazione con una compagnia genovese essa cominciò a prendere in carico balle
di merci appartenenti ad altre aziende lucchesi, organizzando un vero e proprio
servizio di trasporto58. La destinazione di questi viaggi era tornata ad essere
Parigi.
58
App. III, 1e.
59
App. III, 2.
60
App. III, 2b.
61
È noto infatti che Bonturo Dati fu il principale fautore della linea politica di impronta radi-
calmente popolare che si impose a Lucca proprio nel 1310-1311, e certamente il più influente uomo
politico di quegli anni (Le croniche di Giovanni Sercambi, cit., p. 57).
62
App. III, 2d.
102 Alma Poloni
63
ASLu, Not. 56, Rabbito Toringhelli, c. 487, 1306 settembre 2.
64
Ibidem, c. 489.
65
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 2r, 1302 gennaio 4; ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli,
c. 16, 1304 gennaio 15.
66
App. III, 3.
67
App. III, 3c.
68
App. III, 3b.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 103
69
Sull’industria serica fiorentina quattrocentesca cfr. soprattutto Tognetti, Un’industria, cit., e De
Roover, Andrea Banchi, cit.
104 Alma Poloni
70
Come notato anche da Del Punta, Mercanti, cit., p. 79.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 105
71
Per i Ricciardi Del Punta, Mercanti, cit., in particolare pp. 144-145; per i Fornari cfr. sopra,
cap. I.2.3.
72
La letteratura sul distretto industriale è molto ampia. Il concetto fu sviluppato per la prima
volta negli anni tra Otto e Novecento dall’economista inglese Alfred Marshall. Tuttavia gli spunti di
Marshall non furono sviluppati nei decenni successivi. Il suo pensiero fu recuperato soltanto negli anni
’70 del Novecento. In Italia un ruolo fondamentale nel chiarire le dinamiche di formazione e sviluppo
dei distretti industriali è da attribuire ai lavori di G. Becattini. Si vedano in particolare G. Becattini, Dal
«settore industriale» al «distretto industriale». Alcune considerazioni sull’unità d’indagine dell’economia industriale,
in «L’industria», I (1979); Id. (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Bologna, Il Mulino,
1987; Id., The Marshallian Industrial District as a Socio-Economic Concept, in Industrial Districts and Inter-
106 Alma Poloni
74
Edler De Roover, Andrea Banchi, cit., p. 920.
75
Secondo i calcoli della Edler De Roover, l’azienda di Andrea Banchi avrebbe dato lavoro a un
centinaio di persone (Ibidem, p. 927).
108 Alma Poloni
76
Come dimostrano chiaramente le difficoltà incontrate dal setaiolo fiorentino Andrea Banchi:
Ibidem, pp. 917-918.
77
«Nec faciam aut consentiam inde furtum aut subtractam aliquam nec fraudem aliquo modo vel
ingenio nec fieri permittam vel consentiam aut permittam. [….] Nec aliquid sentatum ei cambiabo vel
camblari faciam aut permittam per me vel per alium aliquo modo vel ingenio» (ASLu, Dipl. Archivio
Notari, 1255 agosto 4).
78
Sulla storia di questo statuto cfr. Poloni, Strutturazione, cit., pp. 465-472.
79
Sulla rilevanza dei costi di informazione e di sorveglianza nell’ambito della categoria più gene-
rale dei costi di transazione cfr. North, Istituzioni, cit., pp. 53-64.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 109
80
Cfr. cap. IV.1.1.
110 Alma Poloni
devano a tutte le fasi di produzione della seta. A cavallo tra Due e Trecento
convivevano in effetti all’interno del mondo mercantile lucchese varie forme
organizzative e diversi livelli di specializzazione. I setaioli erano del resto ben
integrati in questo sistema. Per potenziare la propria capacità produttiva essi
acquistavano spesso semilavorati dalle società specializzate nella torcitura o
nella tessitura, le quali, grazie alla riduzione dei costi legata come abbiamo visto
proprio alla specializzazione, erano probabilmente in grado di proporre prezzi
relativamente contenuti. In qualsiasi momento poi i setaioli potevano far fronte
ai bisogni di liquidità senza attendere la vendita del prodotto finito, smerciando
gli zendadi non ancora tinti alle compagnie, come quella di Omodeo Fiadoni e
soci, che intervenivano nella fase finale della lavorazione.
La riorganizzazione dell’industria serica lucchese degli anni ’70-’80 del
Duecento può dunque essere interpretata come un’innovazione innescata dalla
«seconda rivoluzione commerciale», proprio come alla rivoluzione commer-
ciale dell’inizio del Duecento si erano legate altre innovazioni organizzative
fondamentali quali la sperimentazione di legami associativi di lunga durata e i
cambi sulle fiere della Champagne81. A differenza di quelle, tuttavia, il processo
di differenziazione e di specializzazione non diede luogo a una trasformazione
definitiva del sistema produttivo lucchese. Mi sembra di capire infatti che gli
studi condotti sulla documentazione della seconda metà del XIV secolo non
abbiano trovato traccia delle società specializzate che danno un’impronta tanto
caratteristica al panorama lucchese degli anni a cavallo tra Due e Trecento82.
L’unica figura chiaramente distinguibile torna ad essere quella del setaiolo, del
mercante-imprenditore che unisce tra loro le varie fasi del ciclo produttivo.
Allo stato attuale non sono in grado di proporre alcuna ipotesi sulla crono-
logia di questa inversione di tendenza. L’economia lucchese andò incontro nel
corso del Trecento a numerosi momenti di difficoltà e di vera e propria crisi. È
intuibile che la scomparsa delle società specializzate sia legata, in modo ancora
tutto da chiarire, alla contrazione del commercio lucchese, determinata tra
l’altro anche dalla concorrenza sempre più minacciosa delle seterie genovesi,
veneziane e fiorentine. Così come l’inizio del processo di differenziazione fu
stimolato dall’espansione commerciale e dall’aumento della produzione, la sua
interruzione è probabilmente da imputare al ridimensionamento della mani-
fattura serica lucchese. Ma questo punto, come ho detto, necessita di ben altri
approfondimenti.
81
Cfr. cap. I.2.4.
82
P. Pelù, Aspetti della fabbrica della seta in Lucca, Lucca, Accademia lucchese di scienze, lettere ed
arti, 1997.
Capitolo quarto
DALL’ESPANSIONE ALLA CONTRAZIONE:
LE DUE CRISI DELL’ECONOMIA
LUCCHESE
Negli anni ’90 del Duecento l’economia lucchese entrò in una fase di con-
trazione. Nel primo paragrafo di questo capitolo si tenta di dimostrare che non
si trattò di un’unica prolungata recessione, ma piuttosto del succedersi a breve
distanza di due momenti di difficoltà, il primo collocabile alla metà degli anni
’90 del Duecento, l’altro tra il 1305 e il 1308. La seconda crisi, ben più grave
della prima, viene qui collegata alla politica monetaria del re di Francia Filippo
il Bello. Dall’inizio del secondo decennio del Trecento l’economia lucchese
mostra tuttavia chiari segnali di ripresa. Nel secondo paragrafo si prendono
in considerazione le reazioni del mondo politico lucchese alla crisi economica.
Si propone l’idea che i problemi giuridici e politici sollevati dai fallimenti degli
anni 1305-1308 abbiano portato alla formazione all’interno del gruppo dirigente
cittadino di una nuova consapevolezza della necessità di un impegno diretto
delle istituzioni comunali per rafforzare i meccanismi formali e informali che
consentivano lo svolgimento degli scambi commerciali.
È plausibile però che la forte crescita della domanda di seta greggia finisse
negli anni successivi per erodere il vantaggio competitivo del quale avevano
goduto i primi operatori. Bisogna poi considerare che il mercato di un bene
di lusso come i tessuti di seta non aveva possibilità illimitate di espansione,
poiché si rivolgeva esclusivamente a gruppi sociali medio-alti. Inoltre, anche se
i lucchesi rimanevano di gran lunga i principali produttori di drappi serici in
Occidente, dalla fine del XIII secolo le seterie genovesi, veneziane e, in misura
minore, fiorentine cominciavano a conquistare quote di mercato, come provano
i tentativi di imitazione messi in atto dagli stessi setaioli lucchesi. È probabile
dunque che verso la fine del Duecento i margini di profitto assicurati dall’affare
della seta stessero diminuendo, e che ciò portasse a un generale ridimensiona-
mento della propensione dei lucchesi a investire in questo settore.
L’indebolimento della spinta propulsiva dell’economia lucchese coincise
tuttavia con l’inizio di una fase di forte instabilità politica internazionale, che
ne amplificò gli effetti trasformando una fisiologica decelerazione della crescita
in una vera e propria recessione. L’ultimo decennio del Duecento e il primo
del Trecento furono segnati da gravi tensioni tra le maggiori potenze europee:
soltanto per ricordare le principali, la guerra del Vespro nell’Italia meridio-
nale, i ripetuti conflitti tra la monarchia francese e quella inglese, i disordini
nelle Fiandre. Come è noto, inoltre, gli storici datano proprio agli anni ’90 del
Duecento una vera e propria svolta nel modo di condurre la guerra da parte
soprattutto delle grandi monarchie, con il ricorso a truppe mercenarie e campa-
gne militari sempre più lunghe, distruttive e dispendiose.
La congiuntura negativa dei primi anni ’90 colpì a Lucca soprattutto le
maggiori compagnie internazionali. Nell’agosto del 1294 le autorità comunali
diedero inizio alle procedure fallimentari per il pagamento dei debitori della
società dei Bettori. In quello stesso 1294 anche il colosso della finanza lucche-
se, l’azienda dei Ricciardi, era già in gravissima crisi, anche se la sua difficile
liquidazione richiese diversi anni. Anche la compagnia dei Battosi alla fine del
decennio versava in cattive condizioni. Le attività dei Castracani non sono più
attestate dopo il 1296. Il fallimento delle grandi società ebbe ovviamente un
forte impatto sull’economia lucchese. Numerosi cittadini, mercanti e semplici
investitori, rimasero a vario titolo coinvolti e subirono danni anche importanti.
J.H. Munro, Industrial Transformations in the North-West European Textile Trades, c. 1290-c. 1340:
Economic progress or Economic Crisis?, in Before the Black Death. Studies in the ‘Crisis’ of the Early Fourteenth
Century, a cura di B.M.S. Campbell, Manchester-New York, Manchester University Press, 1991.
R. Kaeuper, War, Justice and Public Order. England and France in the Later Middle Ages, Oxford,
Clarendon Press, 1988, in particolare pp. 88-89, con una rassegna bibliografica sul tema.
Su queste crisi cfr. Del Punta, Mercanti, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 113
Cfr. cap. III.1.3.
114 Alma Poloni
Del Punta, Mercanti, cit.; Kaeuper, Bankers, cit.; Id., War, cit.
ASLu, Not. 29, I, Gregorio Paganelli, cc. 50v (1294 settembre 6), 51v (settembre 13), 66r
(dicembre 9), 97-98 (1295 febbraio 26), 102r (marzo 19), 124r (luglio 28).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 115
Ibidem, cc. 33v (1294 maggio 6), 34 (maggio 18), 89r (1295 gennaio 15).
Ibidem, cc. 70v (1294 dicembre 21), 99v (1295 marzo 4)
ASLu, Not. 52, Rabbito Toringhelli, cc. 7 r (1300 luglio 19), 64-65 (1301 febbraio 3); ASLu,
Not. 82, Bartolomeo Tacchi, c. 215 (1301 maggio 12); ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 25v (1302
febbraio 7); ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c. 155v (1303 settembre 2).
10
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, cc. 11r (1302 gennaio 16), 62r (marzo 24), 64v (marzo28),
101r (maggio 15), 128r (settembre 21); ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c. 126v (1303 luglio 11).
ASLu, Not. 58, Rabbito Toringhelli, cc. 55 (1308 gennaio 30), c. 444 (settembre 7); ASLu, Not. 59,
Rabbito Toringhelli, cc. 83r (1309 marzo 6), 180r (maggio 31); ASLu, Not. 60, Rabbito Toringhelli,
c. 218r (1310 luglio 29).
11
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 133 (1302 ottobre 2); ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli,
cc. 472 (1305 luglio 2), 534 (ottobre 29); ASLu, Not. 56, Rabbito Toringhelli, c. 261 (1306 maggio
11); ASLu, Not. 58, Rabbito Toringhelli, cc. 268 (1308 maggio 31), 572 (novembre 20); ASLu, Not. 59,
Rabbito Toringhelli, cc. 32r (1309 gennaio 25), 111v (marzo 26), 166r (maggio 13), 209r (luglio 14);
ASLu, Not. 60, Rabbito Toringhelli, cc. 112v (1310 marzo 31), 157v (marzo 27).
12
App. I, 1c.
13
Racine, I banchieri, cit.
116 Alma Poloni
14
Cfr. cap. III.1.1.
15
ASLu, Not. 22, Bartolomeo Lupardi, c. 49r (1304 giugno 2); ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli,
cc. 498 (1305 agosto 25), 534 (ottobre 20); ASLu, Not. 56, Rabbito Toringhelli, c. 57 (1306 gennaio 27);
ASLu, Not. 59, c. 18 (1309 gennaio 14).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 117
16
ASLu, Not. 60, Rabbito Toringhelli, cc. 14v-15v, 1310 gennaio12: riferimento a uno stantiamen-
tum, emanato dai collegi degli Anziani e dei Priori il 22 marzo 1305, che dava inizio alle complesse
procedure per la liquidazione dei creditori dei Mordecastelli.
17
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1305 giugno 16: atti prodotti dai quattro mercanti incaricati dai
collegi degli Anziani e dei Priori «super inveniendis bonis et rebus et iuribus Manfredi Dardagnini
et Colucci et Vermilliecti filiorum suorum et assignandis creditoribus eorum». ASLu, Dipl. Sped. di S.
Luca, 1306 giugno 10: i due mercanti che con uno stanziamento dell’aprile 1305 erano stati incaricati
dai collegi dei Priori e degli Anziani «ad distribuendum et dandum et assignandum de bonis et rebus
Carduccii qd Ubaldi Bandecti de Luca creditoribus ipsius Carduccii» assegnavano una rendita a uno
dei creditori.
118 Alma Poloni
fu la volta della compagnia dei Corbolani18; in quegli stessi anni fallirono anche
il mercante Betto Mangialmacchi e l’azienda degli Schiatta, un’organizzazione
importante che aveva alle spalle almeno trent’anni di storia19. Anche se non
ho trovato attestazioni relative all’apertura di formali procedure fallimentari,
anche le due società dei Martini entrarono probabilmente in crisi in questi anni:
quella di Bigoro Martini scompare dalle fonti dopo il maggio del 1306, mentre
l’azienda Martini-Fralmi-Anguilla non è più attestata dopo l’inizio del 1308.
Tutte le principali società che entrarono in crisi tra il 1305 e il 1308 – i
Mordecastelli, i Martini, i Corbolani e gli Schiatta – avevano la stessa collo-
cazione all’interno del sistema produttivo e commerciale lucchese: si trattava
di compagnie che, in seguito al processo di differenziazione del quale abbiamo
parlato nelle pagine precedenti, si erano specializzate nelle fasi finali della
lavorazione dei tessuti serici e nella loro commercializzazione sui mercati
internazionali20. Nel caso degli Schiatta questa scelta aveva comportato una
radicale trasformazione dell’organizzazione e degli obiettivi della compagnia
di famiglia, con l’abbandono della piazza genovese e dell’affare della seta
greggia, che fino a tutti gli anni ’70 aveva rappresentato il loro interesse prin-
cipale. La vicenda degli Schiatta è dunque per molti versi simile a quella dei
Mordecastelli.
Tra le più importanti compagnie specializzate nella rifinitura e nell’esporta-
zione di drappi serici l’unica che riuscì a sopravvivere agli anni neri fu quella di
Omodeo Fiadoni, Salliente Melanesi e soci, che del resto all’inizio del Trecento
era, almeno in apparenza, quella con il giro d’affari più ampio. Tuttavia l’ondata
di fallimenti la toccò da vicino. Carduccio Bandetti, il mercante fallito all’inizio
del 1305, era il fratello di Ubaldo Bandetti, uno dei soci principali dell’azienda.
Le attività di Carduccio sono poco attestate. Nel maggio del 1303 egli acqui-
stò una piccola quantità di orsorium dai Terizendi21. Possiamo ipotizzare che si
trattasse di un imprenditore specializzato nella tessitura della seta, o forse di un
18
ASLu, Dipl. S. Romano, 1312 luglio 20: atti della commissione istituita dai consigli del Popolo e
del Comune nel mese di ottobre del 1307 per l’assegnazione ai creditori dei beni dei Corbolani.
19
Sulla compagnia degli Schiatta cfr. cap. II.1.3. Non sappiamo esattamente a quando risalga il
fallimento della società. Si è conservato un atto del dicembre 1309 emanato dalla commissione di 8
mercanti incaricati dagli Anziani e dai Priori di distribuire i beni degli Schiatta tra i creditori (ASLu,
Dipl. Sped. di S. Luca, 1309 dicembre 2); tuttavia tale commissione potrebbe essere stata istituita molto
prima, dal momento che le procedure fallimentari potevano protrarsi per anni. Per il fallimento di Betto
Mangialmacchi: ASLu, Not. 62, Rabbito Torringhelli, c. 230v, 1312 novembre 23.
20
I Corbolani, gli Schiatta e i Martini compaiono come prenditori di cambio tra i clienti della
compagnia di Cino Margatti e soci: App. III, 1c.
21
ASLu, Not. 54, Rabbito Torringhelli, c. 113r, 1303 maggio 14.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 119
semplice setaiolo. In ogni caso, è probabile che il fratello Ubaldo sia rimasto
in qualche modo coinvolto nel fallimento, poiché dopo il 1304 egli non è più
attestato tra i soci della compagnia di Omodeo Fiadoni e soci.
L’analisi della natura degli interessi delle società scomparse tra il 1305 e il
1308 è già di per sé essere sufficiente a dare un’idea della gravità della crisi di
quegli anni. Ciò che infatti distingueva queste imprese dalle grandi compagnie
fallite negli anni ’90 del Duecento è che esse investivano quasi esclusivamente
nell’attività che per più di un secolo aveva sostenuto l’espansione commerciale
lucchese, cioè nella produzione e nell’esportazione di tessuti di seta, in par-
ticolare dei celebri zendadi. Il loro fallimento denuncia dunque l’esistenza di
forti difficoltà proprio in questo settore, con tutte le gravi conseguenze che tali
difficoltà potevano avere sull’intero tessuto economico lucchese.
A mio parere la congiuntura negativa degli anni 1305-1308 fu determinata
principalmente da una forte crisi del mercato francese. Come si è visto, infatti,
la maggior parte della produzione lucchese di drappi di seta veniva spedita
Oltralpe, alle fiere della Champagne, a Parigi o a Nîmes. Lo smercio dei tessuti
su questi mercati non solo rappresentava la principale fonte di profitto per tutte
le società lucchesi, ma era fondamentale per il corretto funzionamento dell’in-
tero delicato meccanismo creditizio dei cambi. Aziende come quelle di Omodeo
Fiadoni, dei Mordecastelli, dei Martini, dei Corbolani utilizzavano parte dei
proventi della vendita degli zendadi per restituire alle fiere della Champagne i
prestiti che avevano ricevuto a Lucca dalle compagnie datrici di cambio. Con
questo sistema, come abbiamo visto, esse si procuravano i capitali necessari
all’acquisto di semilavorati e coloranti sul mercato lucchese.
A partire dal 1303 i mercanti lucchesi e italiani in genere incontrarono in
Francia crescenti difficoltà. Fino a quel momento Filippo il Bello si era limitato
a riscuotere dagli italiani prestiti – probabilmente forzosi – nei momenti di dif-
ficoltà (per esempio nel 1295 e nel 1297) e ad aumentare le imposte sulle ven-
dite e sulle esportazioni. Dopo il 1303 il re, spinto dall’emergenza finanziaria,
cercò metodi più rapidi ed efficaci per spremere denaro ai mercanti stranieri.
Negli anni successivi gli italiani furono sottoposti a sequestri, taglie, estorsioni
e multe di vario genere, in alcuni casi adducendo come pretesto la violazione
delle ordinanze contro l’usura22. È probabile che in queste condizioni anche le
società lucchesi subissero perdite rilevanti.
22
J.B. Henneman Jr, Taxation of Italians by the French Crown (1311-1363), in «Medieval Studies»,
XXXI (1969), pp. 15-42; J.R. Strayer, Italian Bankers and Philip the Fair, in Economy, Society and
Government in Medieval Italy. Essays in memory of R.L. Reynolds, edited by D. Herlihy - R.S. Lopez, V.
Slessarev, Kent (Ohio), Kant State University Press, 1969, pp. 113-121.
120 Alma Poloni
23
Kaeuper, War, cit., pp. 75-77.
24
Le due monete erano tuttavia equivalenti: cfr. Blomquist, Some Observations, cit.
25
Cfr. per esempio App. I, 1c, 2c, 3c, 4c; App. III, 1c, 2c, 3c.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 121
26
Cfr. le considerazioni di A. Grunzweig, Les incidences internationales des mutations monétaires de
Philippe le Bel, in «Le Moyen Age. Revue d’histoire et de philologie», LIX (1953), pp. 117-172, in par-
ticolare pp. 145-146.
27
Lettere dei Ricciardi di Lucca ai loro compagni in Inghilterra (1295-1303), edizione e glossario a c. di A.
Castellani, Introduzione, commenti, indici a c. di I. Del Punta, Roma, Salerno, 2005, lettera X, pp. 92-
97, in particolare p. 95.
28
Per le variazioni del rapporto tra grosso tornese e denaro tornese cfr. P. Spufford, Handbook of
Medieval Exchange, London, Royal Historical Society, 1986, p. 185. Nel 1290 il grosso valeva 13 denari
tornesi, nel 1299 aveva superato i 16 denari, nel 1301 valeva 20 denari e nel 1302 era quotato addirit-
tura 25 denari.
122 Alma Poloni
29
App. I, 1c, 3c, 4c; App. III, 1c, 2c, 3c.
30
La fiera di maggio di Provins e quella di S. Giovanni erano mobili. La prima cominciava il
martedì prima dell’Ascensione (nel 1305, appunto, il 25 maggio), la seconda il primo martedì dopo che
erano trascorse due settimane dalla festa di S. Giovani Battista (che nel 1305 dovrebbe essere caduto
il 13 luglio): Pegolotti, La pratica, pp. 233-237.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 123
si conclusero, poiché non c’è accordo tra gli storici sulla durata complessiva
delle singole fiere. In genere si ipotizza una durata di 45-50 giorni. Nel 1305
dunque la fiera di maggio si sarebbe chiusa intorno alla metà di luglio, quella
di S. Giovanni ai primi di settembre, St. Ayoul ai primi di novembre e St. Remi
intorno al 25 dicembre.
Ne dovremmo concludere che quell’anno tutti i cambi furono registrati a
Lucca non più di una decina di giorni prima della fine di ogni fiera. È possibile
tuttavia che i tempi per la chiusura delle operazioni finanziarie fossero più ela-
stici. Secondo Francesco Pegolotti, almeno negli anni ’40 del Trecento, dopo la
rimozione dei banchi erano concesse ancora due settimane per saldare i debiti ed
effettuare i pagamenti31. In ogni caso, è evidente che nel 1305 le società lucchesi
procrastinarono la registrazione dei contratti di cambio fino ai limiti consentiti
dai servizi postali del primo Trecento, forse anche un po’ oltre. In condizioni
normali, il tempo necessario perché l’ordine di pagamento giungesse agli agenti
alle fiere era probabilmente una ventina di giorni, forse un po’ meno32.
È plausibile che la scelta di ritardare i cambi fosse dettata dalla volontà di
comprimere il più possibile il lasso di tempo intercorrente tra la stipula del con-
tratto a Lucca, con la fissazione del tasso di cambio, e il pagamento alle fiere.
In questo modo si tentava di evitare che, a causa del veloce deprezzamento
della moneta tornese, al momento della chiusura dell’operazione alle fiere il
tasso fosse ulteriormente calato rispetto a quello stabilito a Lucca, danneggian-
do, come ho già cercato di spiegare, le società che in città avevano agito come
prenditrici di cambio. Per trasmettere gli ordini ai loro agenti in Champagne le
compagnie lucchesi ricorsero certamente in questi casi a corrieri speciali (quelli
che nelle fonti tardo trecentesche saranno definiti «fanti propri»), lautamente
ricompensati per la loro rapidità33.
31
Ibidem. Pegolotti scrive infatti che la fiera per 17 giorni «mette drapperia», la sera del diciotte-
simo giorno «grida ara e non mostra più drapperia», il ventesimo giorno «segono i banchi, e stanno 4
settimane; e poi che le 4 settimane sono compiute, 15 dì appresso si è il termine del pagamento della
detta fiera». Pegolotti descrive dunque una durata di circa 7 settimane più altre due per chiudere i
pagamenti.
32
Non ho dati che mi consentano di calcolare quali fossero i normali tempi di percorrenza del
tragitto Lucca-Champagne. In quello stesso 1305 una lettera di mercanti senesi impiegò 20 giorni
da Parigi a Siena (Lettere volgari del secolo XIII scritte da senesi. Pubblicate e illustrate con documenti e
annotazioni da C. Paoli e da E. Piccolomini, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968, p. 83).
Possiamo ipotizzare che le comunicazioni Lucca-Champagne richiedessero più o meno lo stesso tempo,
o poco meno.
33
Sui tempi e i costi dei servizi postali nel tardomedioevo cfr. F. Melis, Intensità e regolarità nella
diffusione dell’informazione economica generale nel Mediterraneo e in occidente alla fine del medioevo, in Id., I tra-
sporti e le comunicazioni nel medioevo, a cura di L. Frangioni, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 179-223; a
124 Alma Poloni
pp. 191-192 riferimento ai «fanti propri». L. Frangioni, Organizzazione e costi del servizio postale alla fine del
Trecento. Un contributo dell’Archivio Datini di Prato, Prato, Istituto di Studi Storici postali, 1983. C. Fedele,
Le antiche poste. Nascita e crescita di un servizio (secoli XIV-XVIII), in C. Fedele - M. Gallenga, «Per servizio
di Nostro Signore». Strade, corrieri e poste dei papi dal medioevo al 1870, Modena, Mucchi, 1988, pp. 3-230,
con un’ampia bibliografia sul tema.
34
F. Melis, Firenze e le sue comunicazioni con il mare nei secoli XIV-XV, in Id., I trasporti cit., pp. 121-161
(ed. orig. in «Arti e mercature» XIX (1964)).
35
Spufford, Money and its Use, cit., pp. 289 e sgg.
36
Spufford, Money, cit; Grunzweig, Les incideces, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 125
È possibile che il mercato di Parigi, dove risiedevano nobili laici e alti esponenti
ecclesiastici legati alla corte, risentisse in maniera particolarmente grave della crisi
economica delle aristocrazie. Alle fiere i mercanti lucchesi potevano probabilmen-
te incontrare una clientela più ampia e più varia, proveniente non solo da diverse
aree della Francia ma anche dall’Inghilterra e dalle ricche città delle Fiandre.
37
Per la prima fase di vita della compagnia cfr. cap. II.1.3.
38
ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 17 r e v, 1312 gennaio 20; Doehaerd, n. 1766, 1312
luglio 5.
126 Alma Poloni
39
ASLu, Not. 57, Rabbito Toringhelli, cc. 18 (1307 gennaio 14), 176 (maggio 22); ASLu, Not. 58,
Rabbito Toringhelli, c. 171 (1308 marzo 28).
40
La vendita di panni franceschi a Genova da parte degli agenti della compagnia è attestata alme-
no dal 1310: nell’ottobre di quell’anno il draperius Pietro de Funtananigra confessò a Giovanni Guinigi di
dovergli ancora 195 lire genovesi per l’acquisto di una partita di panni franceschi (Doehaerd, n. 1715,
1310 ottobre 1). Nel gennaio del 1312 Giovanni Guinigi incaricò Nicolozo Guinigi di incassare dallo
stesso Pietro e da Nicoloso de Fossatello, «draperii seu pannarii pannorum lane», tutto ciò che essi dove-
vano alla compagnia (ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 17 r e v, 1312 gennaio 20).
41
ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, cc. 59r (1312 marzo 21), 112r (maggio 24); ASLu, Not. 63,
Rabbito Toringhelli, c. 170 (1313 marzo 21); ASLu, Not. 64, Rabbito Toringhelli, c. 224 (1314 maggio
13). Il 5 luglio del 1312 Nicolozo Guinigi strinse un accordo con tre mercanti genovesi. I tre avrebbero
trasportato via mare fino al porto di Motrone 7 balle e 7 torselli di panni franceschi del valore di poco
più di 2455 lire genovesi (Doehaerd, n. 1766, 1312 luglio 5). A Motrone Nicolozo avrebbe ritirato la
merce consegnando in cambio ai genovesi 6 balle di prodotti lucchesi (senza dubbio tessuti di seta)
del valore di circa 2122 lire genovesi; la differenza sarebbe stata saldata da Nicolozo entro due mesi.
42
In via del tutto indicativa, possiamo dire che negli stessi anni a Lucca le sarge irlandesi, panni-
lana di qualità medio-bassa, venivano vendute intorno alle 20 lire alla pezza.
43
Lo studioso canadese ha sviluppato e dimostrato questa ipotesi in numerosi interventi: cfr.
Munro, Industrial Transformations, cit.; E. Aerts - J.H. Munro (eds.), Textiles of the Low Countries in
European Economic History, Leuven 1990; J.H. Munro, Textiles, Towns and Trade: Essays in the Economic
History of Late-Medieval England and the Low Countries, Aldershot-Brookfield, Variorum, 1994; Id., The
Low Countries’ Export Trade in Textiles with the Mediterranean Basin, 1200-1600: A Cost-Benefit Analysis of
Comparative Advantages in Overland and Maritime Trade Routes, in «The International Journal of Maritime
History», XI (1999), pp. 1-30; Id., The “New Institutional Economics” and the Changing Fortunes of Fairs in
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 127
Medieval and Early Modern Europe: the Textile Trades, Warfare and Transaction Costs, in «Vierteljahrschrift
für Sozial-und Wirtschaftgeschichte», LXXXVIII (2001), pp. 1-47.
44
Petralia, I toscani nel Mezzogiorno, cit.
128 Alma Poloni
Anche la compagnia dei filii Moriconis si affermò all’inizio del secondo decen-
nio del Trecento, ma seguendo strategie più tradizionali rispetto ai Guinigi. La
società, composta da Nicolao e Orlando figli di Arrigo Moriconi e dai loro figli e
nipoti, è attestata fin dagli anni ’70 del Duecento45. Come i Guinigi tuttavia anche
i Moriconi, forse incapaci di adattarsi pienamente alle trasformazioni che avevano
interessato il sistema produttivo lucchese, all’inizio del Trecento non sembrano
occupare una posizione di rilievo nella gerarchia delle compagnie cittadine. Come
negli anni ’70 e ’80 del Duecento, il fulcro dei loro affari era costituito dall’impor-
tazione di seta greggia da Genova e dalla commercializzazione dei tessuti serici
Oltralpe46. Al pari degli altri importatori di materie prime, nelle fonti lucchesi essi
compaiono soprattutto come datori di cambio47. In queste attività i Moriconi si
appoggiavano spesso a società fiorentine e senesi nella qualità di loro hospites.
A partire dal 1312 il quadro generale degli affari della compagnia muta
significativamente. Fin da gennaio essa cominciò ad acquistare grosse partite
di zendadi bianchi48. Numerosi indizi suggeriscono che già negli anni ’80 del
Duecento essa si occupasse direttamente della tintura di una parte dei tessuti
che esportava in Francia: nel 1287 un membro della famiglia risulta iscritto
all’Arte dei tintori49. Dal 1312 pare tuttavia che i Moriconi tendessero a inve-
stire sempre meno nell’acquisto di seta greggia a Genova per concentrarsi sulla
fase finale della lavorazione dei tessuti, come avevano fatto molti anni prima
altre importanti società lucchesi presenti sui mercati internazionali, come la
compagnia Omodeo Fiadoni e soci, i Mordecastelli e i Martini. Un’ulteriore
prova a favore di questa riorganizzazione dell’azienda è data dal suo passaggio,
sempre nei primi anni del secondo decennio del Trecento, dalle fila dei datori
di cambio a quelle dei prenditori di cambio50. I Moriconi, a quanto pare, con-
45
Sui figli di Arrigo Moriconi cfr. cap. II.1.1.
46
ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c 118r (1303 maggio 23); ASLu, Not. 57, c. 28 (1307 gen-
naio 24). Nel 1309 a Genova un rappresentante dei Moriconi acquistò moneta genovese in cambio di
moneta tornese (Doehaerd, n. 1671, 1309 maggio 10).
47
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 168r (1302 novembre 28); ASLu, Not. 57, c. 94 (1307
marzo 20).
48
ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 19 (1312 gennaio 20): i Moriconi acquistavano 150
libbre di zendadi bianchi forti da Giuntino Bernardini per 1200 lire lucchesi. ASLu, Not. 63, Rabbito
Toringhelli, c. 133 (1313 marzo 8): la compagnia acquistava, sempre da Giuntino Bernardini, 125
libbre di zendadi bianchi forti per 1000 lire lucchesi. ASLu, Not. 64, Rabbito Toringhelli, c. 36 (1314
gennaio 23): i Moriconi compravano da una società genovese 736 libbre e 10 once di zendadi bianchi
forti per quasi 7000 lire lucchesi.
49
Del Punta, Mercanti, cit., pp. 86-90.
50
ASLu, Not. 63, Rabbito Toringhelli, cc. 34 (1313 gennaio 19), 328 (luglio 21); ASLu, Not. 64,
Rabbito Toringhelli, c. 36 (1314 gennaio 23).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 129
51
Negli archivi lucchesi si è conservato un contratto di cambio concluso dai Moriconi a Genova
nel 1317: ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1317 aprile 9.
52
ASLu, Not. 57, R. T., c. 94, 1307 marzo 94.
53
Nell’agosto del 1317, in un atto rogato a Londra, Berio ed Enrico Moriconi, «socii et mercatores
de societate Moriconorum de Luca», confessarono un debito di 293 lire sterline che avevano con Lando
di Orlando Moriconi, fattore della società (ASLu, Dipl. Certosa, 1317 agosto 21).
54
App. III, 1d. Cfr.cap. III.1.3.
130 Alma Poloni
pivano il viaggio interamente via terra, è probabile che in questo caso alcuni
tratti del tragitto – per esempio da Motrone a Genova o Savona e da Genova a
Aigues Mortes – avvenissero via mare.
Ancora più significativo è il fatto che diverse società che fino a quel
momento avevano operato esclusivamente sul mercato cittadino decisero di
tentare il salto di qualità e di instaurare contatti diretti con le piazze inter-
nazionali. L’azienda dei Terizendi, come si è visto, era specializzata nella
torcitura della seta, che acquistava sul mercato lucchese dalle principali
compagnie importatrici55. Nel gennaio del 1312 alcuni mercanti – Cambino
Chiari di Firenze, Nicoluccio Arecchi di Siena e Rustichello di Betto
Terizendi –, a nome delle proprie società, nominarono procuratori Lazario
Moriconi, della compagnia dei filii Moriconis, Gialdello Sesmondi, ora a capo
della compagnia fondata da Bonturo Dati, e il notaio Fralmo da Chiatri
per procedere per vie legali contro gli uomini del Comune di Vezzano, che
si erano impadroniti di merci e denaro di loro proprietà. Vezzano è una
località situata poco a est del Golfo di La Spezia. Le società interessate alla
questione erano tutte importatrici di seta greggia: è dunque probabile che la
merce sequestrata fosse soprattutto seta, intercettata dai vezzanesi mentre,
dopo essere forse sbarcata a Portovenere, prendeva la via terrestre verso
Lucca. I fratelli Terizendi provavano dunque ad affacciarsi sul mercato
genovese per rifornirsi autonomamente della materia prima necessaria alla
loro attività.
Anche la società di Federigo Arnaldi e Betto Saggine era specializzata
nella torcitura della seta, e aveva una dimensione strettamente locale. Il
progetto che i due mercanti concepirono all’inizio del secondo decennio
del Trecento era forse ancora più ambizioso di quello dei Terizendi. Essi
ritennero infatti di essere pronti per confrontarsi direttamente con i mercati
francesi. Nel settembre del 1311 l’azienda spedì una balla di merci alle fiere
della Champagne, e nel luglio dell’anno successivo è attestato anche il primo
cambio sulle fiere56. Anche i setaioli Pagano Guassi e Michele Aimerigi negli
stessi anni provarono a organizzare autonomamente la commercializzazione
dei propri tessuti Oltralpe: tra il gennaio e il marzo del 1313 essi spedirono a
Nîmes ben 13 balle di merci57.
55
Cfr. cap. III.1.2.
56
ASLu, Not. 61, Rabbito Torringhelli, c. 255r; ASLu, Not. 62, c. 160v: Federigo Arnaldi e Betto
Saggine ricevevano da Matteo Brancali e soci 1237 lire lucchesi e si impegnavano a pagare 404 lire di
tornesi alla fiera di San Giovanni (Troyes).
57
ASLu, Not. 63, R. T., cc. 20v (1312 gennaio 10), 154 (marzo 11).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 131
58
Statuto del Comune, cit., pp. 271-275.
59
«Et hoc capitulum locum habeat et servetur civibus illarum civitatum et terrarum, qui et que
simile statutum habent, et simile ius reddunt et observant lucanis civibus et eorum distrectualibus»
(Statuto del Comune, cit., p. 273). Come vedremo tra breve, disposizioni analoghe a quelle lucchesi
furono introdotte in quegli stessi anni anche a Siena e a Firenze; le norme del 1308 erano dunque cer-
132 Alma Poloni
tamente valide almeno nei confronti dei mercanti fiorentini e senesi, che del resto erano tra gli operatori
con cui più spesso i lucchesi avevano a che fare: cfr. oltre, note 73-82 e testo corrispondente.
60
«Et hec Statuta habeatur pro Statutis Comunis lucani derogatoria omnibus Statutis lucani
Comunis et curiarum in contrarium loquentibus vel concedentibus. Et non possint cassari, infringi
vel annullari in totum vel in partem per Consilium vel arengum vel alio modo, qui dici vel excogitari
possit» (Ibidem, p. 274).
61
All’inizio del Trecento il collegio dei consoli dei mercanti era composto, oltre che dal Maggior
console, che era un ufficiale forestiero, da due consoli «pro maiori mercatanti», da due consoli «pro arte
sendadorum», due consoli «pro minori mercatanti», uno «pro merciaria sete tinte» e uno «pro arte bac-
titorum auri» (ASLu, Not. 89, II, Benassai Luparelli, foglietto sparso (segnatura c. 58/2), luglio 1312).
È bene sottolineare che dell’Arte degli zendadi facevano parte i mercatores impegnati nella produzione
e commercializzazione dei tessuti di seta, e non gli artigiani, che avevano le loro corporazioni a seconda
della specializzazione: l’Arte dei tintori, l’Arte dei tessitori ecc.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 133
A mio parere tuttavia esse furono introdotte nello statuto in occasione della
revisione del 130862. Mi sembra infatti che esse acquistino un senso se inserite
nel contesto della grave crisi degli anni 1305-1308, che aveva posto le autorità
lucchesi di fronte a problemi mai affrontati in precedenza. Quando nel capitolo
45 si fa riferimento ai creditori stranieri, in particolare, non si può non pensare
all’ondata di fallimenti delle società lucchesi che aveva danneggiato anche i
molti operatori stranieri che nelle piazze internazionali erano entrati in contatto
con le compagnie fallite. Inoltre, come vedremo tra breve, queste norme anda-
vano a sostituire alcune disposizioni emanate nel 1284, ritenute evidentemente
superate alla luce degli sconvolgimenti che avevano segnato gli anni a cavallo
tra Due e Trecento.
Le norme del 1308 stabilivano un principio che, anche se non era del tutto
nuovo, non era mai stato espresso fino ad allora con tanta chiarezza, determi-
nazione e consapevolezza: il dovere delle autorità politiche comunali di farsi
garanti del rispetto dei contratti stipulati dai cittadini. I legislatori erano proba-
bilmente consapevoli della rottura rappresentata da queste disposizioni, come
dimostra il fatto che cercarono in ogni modo di celarne la novità. La rubrica più
importante, la numero 45, si intitola «capitula mercatorum curie mercatorum
lucane civitatis», nonostante nel testo non venga riservato alcun ruolo alla curia
dei mercanti nella persecuzione giudiziaria dei debitori insolventi. Le nuove
rubriche sono inserite dopo un capitolo probabilmente preesistente, il numero
44, «De observando capitula mercatorum per Potestatem», che imponeva al
podestà il dovere di rispettare e far rispettare lo statuto della curia mercatorum. Il
riferimento comune ai capitula mercatorum suggerisce un collegamento, in realtà
inesistente, tra la rubrica 44 e la 45.
L’equivoco viene consapevolmente portato avanti all’interno di tutto il
nucleo costituito dalle nuove disposizioni. L’ultima rubrica, la numero 48, si
intitola «De eo quod non potest appellari ab hiis que fiunt occasione suprascrip-
torum capitulorum mercatorum»: ritorna dunque coerentemente il riferimento
ai capitula mercatorum che, come abbiamo detto, non ha alcuna attinenza con il
reale contenuto delle norme. Inoltre il titolo istituisce una correlazione, anche
in questo caso apparentemente ingiustificata, con la rubrica successiva, la 49,
quasi certamente preesistente, che si intitola «De non appellando a sententiis
et processibus qui fiunt in curia mercatorum» e che, come si è detto, riguarda i
poteri giudiziari della curia dei mercanti.
Il gioco è dunque abbastanza chiaro. Per nascondere la rottura rispetto alla
tradizione politica e giudiziaria lucchese, le nuove norme venivano proposte
62
Su questa operazione di riscrittura degli statuti e sul suo significato politico cfr. cap. V.2.3.
134 Alma Poloni
63
Statuto del Comune, cit., pp. 250-252.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 135
64
Cfr. cap. I.2.4.
65
Wickham, Legge, pratiche e conflitti, cit.
66
North, Istituzioni, cit., in particolare pp. 87-95. Greif, Impersonal Exchange, cit; Id., Commitment,
cit., a cui si rimanda per un’ampia bibliografia su queste tematiche.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 137
67
Nel novembre del 1298 i soci della sede di Lucca della compagnia scrivevano ai soci della
filiale inglese: «Ora este vero, sì chome per altre let. v’avemo mandato a dire, quando lo Labro [Labro
Volpelli, uno dei soci della compagnia, Priore nel 1298] fue Priore in delli altri ii mesi passati ordinoe e
fece tanto per la balia ch’aveano [cioè per la balia che i Priori avevano ricevuto dai consigli in relazione
alla questione della crisi dei Ricciardi] che iii merchadanti sono chiamati a rivedere tutti li chointi delli
chonpagni e fattori e ciò che ciaschuno de fare alla chonpagnia e rimettere» (Lettere dei Ricciardi, cit.,
lettera VII, p. 71).
138 Alma Poloni
Dopo 28 giorni di quella che i tre mercanti definivano una vera e propria prigio-
nia, continuava a mancare loro un tassello fondamentale, perché non avevano
ricevuto i conti della filiale inglese della compagnia68.
La crisi dei Ricciardi è particolarmente documentata grazie alla conserva-
zione di parte della corrispondenza commerciale della compagnia per gli anni
compresi tra il 1295 e il 130369. Sui fallimenti degli anni 1305-1308 siamo meno
informati. Sembra tuttavia che la soluzione adottata per i Ricciardi, incentrata
sull’assunzione diretta da parte delle autorità comunali della direzione delle
procedure di liquidazione, sia diventata un vero e proprio modello di intervento
scrupolosamente rispettato negli anni successivi. Di fronte al fallimento di una
società i collegi dei Priori e degli Anziani, che in questa fase rappresentavano
il vertice delle istituzioni cittadine, ricevevano dai consigli comunali la bailia,
cioè il potere illimitato di muoversi come meglio credevano e di prendere tutti i
provvedimenti che reputavano necessari70. Essi allora, seguendo la trafila defi-
nita nel 1298, nominavano una commissione composta da un numero variabile
di mercanti. Tale commissione era incaricata di rivedere i conti dell’azienda,
verificare le rivendicazioni dei creditori, inventariare e stimare i beni dei soci e
distribuirli tra i creditori che ne avessero effettivamente diritto71.
68
Il primo novembre del 1300 i tre mercanti scrivevano infuriati ai soci dei Ricciardi della filiale
inglese: «Noi per più lettore v’avemo mandato a dire che voi ci debiate mandare per iscritto tutte
vosse tratte e cioe che dare devete alla conpagnia, e simile vo mandamo a dire che se neuno altro della
conpagnia inn Inghilterra devesse dare, che ciel deveste mandare a dire. Non d’avete fatto neiente né
di voi né delli altri. Non faite bene; e noi non potemo dire chiaramente sopra voi se noi no abbiamo li
vossi conti, e isspeciale le tratte vosse e delli altri [….]
Or sappiate che llo primo die d’ottobre noi tre fumo arestati in sulla chasa dei Priori delle conpagne
e funo fatto chomandamento per loro che noi tre non ci devessemo partire della bottecha del Ricciardi
né die né notte di quie a un mese, e dentro a questo terme debbiamo avere sentensiato tutto ciò che
ciasschuno conpagno e fattore de rimettere alla conpagnia, e pena lib. Vc a ciasschuno, di quello che
semo cierti; sì che noi semo istati in questa pregione die XXVIII ed avemo fatto quello che noi troviamo
chiaro; quello ch’è dubbio farasi un’altra volta» (Ibidem, lettera IX, pp. 90-91).
69
Lettere dei Ricciardi, cit.
70
Per gli sviluppi che portarono nel 1300 alla creazione di un direttivo composto dai collegi degli
Anziani e dei Priori cfr. cap. V.2.1.
71
Riporto come esempio un documento del giugno del 1305 relativo al fallimento dei Dardagnini.
Gli atti redatti in quegli anni dalle commissioni incaricate dai Priori di gestire i fallimenti delle varie
società in crisi si presentano tutti in forma molto simile a questo: «Continetur in libro actorum scripto
manus Francischi Buzolini notarii facto et conposito occasione inquisitionis que fit ex officio Dini
Provanze, Iohannes Buzolini et Mercati qd Boni et Villanuccii domini Tegrimi iudicis deputatorum per
collegia anxianorum et Priorum lucani populi pro auctoritate et baylia que habent a lucano comune
et populo super inveniendis bonis et rebus et iuribus Manfredi Dardagnini et Colucci et Vermillecti
filiorum suorum et assignandis creditoribus eorum. Nos Dinus Provanze, Villanuccius domini Tegrimi
iudicis, Iohannes Buzolini et Merchatus Boni, quattuor viri electi et deputati super investigando et
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 139
Come si può vedere, il principio alla base di questo procedimento non era
tanto diverso da quello che animava le norme del 1308. Esso contemplava infatti
l’intervento diretto della politica e la sottrazione delle operazioni di liquidazione
al normale iter processuale presso i tribunali cittadini con le sue lungaggini
e le sue logiche compromissorie. Bisogna dire comunque che questa sorta di
procedura straordinaria, che avrebbe dovuto contenere i costi dell’accesso alla
giustizia per i mercanti e gli investitori coinvolti nel fallimento, finiva spesso in
realtà per protrarsi per anni a causa della difficoltà di ricostruire il quadro delle
proprietà dei soci dell’azienda fallita e di accertare i diritti dei creditori.
Negli atti prodotti dalle commissioni incaricate della gestione dei fallimenti
non si fa riferimento a un intervento del podestà, che è invece l’elemento centra-
le delle disposizioni statutarie del 1308. È probabile tuttavia che, nel caso in cui
i soci della compagnia in crisi si rifiutassero di collaborare, l’ufficiale forestiero
fosse tenuto a mettere a disposizione dei Priori e della commissione gli eccezio-
nali poteri coattivi che la legislazione comunale tradizionalmente gli attribuiva.
Le norme del 1308 inoltre erano probabilmente finalizzate a rassicurare gli
operatori stranieri; è dunque comprensibile che in quella sede si tendesse a
enfatizzare la capacità di coercizione delle autorità comunali, senza la quale
qualsiasi legge, anche la più severa, era destinata a rimanere inefficace.
La maturazione di un nuovo atteggiamento dell’élite politica lucchese nei
confronti dell’economia fu dunque principalmente il prodotto della necessità
di affrontare problemi di grande delicatezza che non si erano mai presentati in
precedenza in un secolo di crescita pressoché ininterrotta. Questi sviluppi si
inserivano tuttavia in un contesto di grandi trasformazioni politiche, che saran-
no l’oggetto del prossimo capitolo. Come si è visto, fin dalla seconda metà degli
anni ’90 la gestione dei fallimenti fu presa in carico dai Priori, un nuovo orga-
nismo istituzionale creato nell’ultimo decennio del Duecento. I Priori furono lo
strumento utilizzato per ricavarsi uno spazio di intervento politico da un nuovo
gruppo di pressione comparso sulla scena cittadina negli anni ’80 del Duecento.
Questo schieramento era composto dalle famiglie che erano emerse con la
«seconda rivoluzione commerciale» di metà Duecento, le quali sfidavano ora la
preminenza politica dell’élite che si esprimeva nell’Anzianato. I Priori entrarono
infatti da subito in competizione diretta con gli Anziani, proponendosi come
il «vero» Popolo in opposizione alle famiglie del ceto dirigente accusate, più o
perquirendo bona et bonis que sunt vel fuerunt Manfredi Dardagnini et Colucci et Vermilliecti filiorum
suorum et super distribuendo talia bona et iura inter veros creditores eorum…» seguono le disposizioni
di pagamento dei creditori (ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1305 giugno 16). Per gli altri documenti rela-
tivi ai fallimenti cfr. cap. IV.1.2.
140 Alma Poloni
72
Cfr cap. V.1.3.
73
Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel 1309-1310, a cura di M.S. Elsheikh, Siena
Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002, I, pp. 211-225.
74
Tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento si erano sciolte le compagnie dei Piccolomini
e dei Salimbeni e, soprattutto era andata in crisi la compagnia dei Bonsignori, la più importante società
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 141
senese, che coinvolse nel suo fallimento numerosi operatori non solo senesi. È certo che molti altri
mercanti di minore rilievo dovettero risentire pesantemente delle difficoltà di quegli anni. Cfr. Banchieri
e mercanti di Siena, prefazione di C.M. Cipolla, Roma, De Luca, 1987.
75
Così venivano esposti i termini del problema nel 1304: «Acciocchè li mercatanti et li altri de la
città et contado di Siena, possano andare, stare et tornare liberamente per le città, terre et provence
in qualunque parte, per le loro utilità et fatti adoperare sença alcuno impedimento; conciosiacosachè
molte volte infino a qui sieno essuti, impediti et apparecchiata et data sia materia et cagione ad impedire
loro per le ripresallie concedute contra li senesi et anco le quali si concederanno per cagione d’alcuna
compagnia overo speciale persona, et acciochè cessi et tollasi via la materia del detto scandalo et impe-
dimento; statuimo et ordiniamo ecc.» (Il Costituto, cit., p. 163).
76
Ibidem, p. 211.
77
Ibidem, p. 214.
142 Alma Poloni
78
Ibidem, p. 215.
79
Statuti della repubblica fiorentina. II. Statuto del Podestà dell’anno 1325, a cura di R. Caggese, Firenze,
Stab. tipogr. E. Ariani, 1921, pp. 433-435.
80
Ibidem, pp. 416-417.
81
Quasi in conclusione al capitolo 107 i redattori dello statuto avvertirono il bisogno di specificare
quali fossero le conseguenze nefaste per l’intero commercio cittadino della condotta irresponsabile di
pochi operatori. Essi commentarono che la colpa degli operatori che si allontanavano dalla Francia
senza pagare i propri debiti era in fondo più grave di quella dei «cessantes et fugitivi», cioè dei mercanti
in fallimento che scappavano da Firenze per non affrontare le proprie responsabilità: «cum hec sit quod
satis sit cessans et fugitivus ille quidem [qui in] dictis nundinis vel alia terra vel loco cessat et fugit
cum rebus et pecunia aliena, et quod propter talem fugam et cessationem de dictis nundinis, terris et
locis multo maius dampnum et dedecus sit et rubor toti civitati Florentie et mercatoribus Florentinis
quam si cessaret de Florentia cum suorum pecunia creditorum, nam propter tales cessantes et fugien-
tes de nundinis et aliis terris et locis coguntur, gravantur et detinentur plerumque cives florentini et
mercatores ad satisfaciendum pecuniam et res cum quibus tales fugiunt atque cessant, et tot expensas
et emendationes subire regiminibus et dominis quod tediose ducitur ad effectum» (Ibidem, p. 435).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 143
pagassero i loro debiti, le guardie delle fiere o le autorità del luogo nel quale il
debito era stato contratto potevano rivalersi su tutti i mercanti fiorentini pre-
senti su quella piazza. Si stabiliva dunque che il podestà e il capitano del Popolo
di Firenze fossero tenuti, su istanza dei consoli dei mercanti di Calimala, a ricer-
care e catturare gli insolventi e a costringerli, anche con la forza, a impegnarsi
formalmente, versando adeguate cauzioni, a rispondere delle loro mancanze, a
sottoporsi a giudizio e a tutelare il Comune di Firenze e i mercanti fiorentini da
qualsiasi danno causato dalla loro condotta82. Se i responsabili si rifiutavano di
versare la cauzione, i loro beni mobili e immobili potevano essere sequestrati
e venduti, e il ricavato veniva messo a disposizione dei consoli dei mercanti di
Calimala, che provvedevano a saldare i debiti alle guardie delle fiere e proba-
bilmente anche a rimborsare eventuali altre parti lese.
A Siena e a Firenze dunque, come a Lucca, la crisi dei primi anni del
Trecento segnò l’affermazione di una consapevolezza in gran parte nuova, o
almeno mai avvertita prima con tanta acutezza, della necessità di un intervento
forte e diretto delle autorità politiche e delle magistrature comunali a garanzia
del corretto svolgimento delle attività commerciali e del rispetto dell’articolato
insieme di norme, formali e informali, locali e internazionali, che davano forma
a un sistema di scambi ormai molto complesso e altamente integrato.
82
Il podestà e il capitano erano tenuti «ad instantiam et petitionem consulum mercatorum
Kallismale […], invenire et detinere seu invenire et detinere facere personam seu personas contra
quam vel quas fierent seu mitterentur tales lictere et mandata, si eas habere poterint in civitate
Florentie vel districtu, et ipsas tales personam vel personas […] cogere efficaciter tam de iure quam de
facto securare bene et sufficienter seu ydonee cavere, per bonam et ydoneam cautionem per dictorum
mercatorum consules vel maiorem partem ex eis approbatam, de defendenda questione seu de iudicio
sisti et de conservando Commune Florentie et quamlibet personam, societatem et socios et mercatores
florentinos, cives vel comitatinos et districtuales, et eorum mercantias et res a tali et de tali mandato
seu mandamento et lictera penitus sine dampno» (Ibidem, p. 433).
Capitolo quinto
LA CRISI POLITICA A CAVALLO
TRA DUE E TRECENTO
A Lucca i due decenni a cavallo tra Due e Trecento furono segnati, oltre che
dalla crisi economica, da una crisi politica. Tale crisi fu innescata dall’ingresso
sulla scena politica, dopo quasi un trentennio di relativa stabilità, di un nuovo
gruppo di pressione. Il primo paragrafo analizza come la comparsa, negli anni
’80 del Duecento, del nuovo attore politico provocò la progressiva delimitazio-
ne di due schieramenti contrapposti. Lo sguardo è concentrato soprattutto sui
meccanismi di costruzione e di continua trasformazione delle identità politiche
delle due fazioni, e sulla diversa capacità dei due gruppi di competere sul piano
comunicativo attraverso la produzione di discorsi politici. Il secondo paragrafo
prende in considerazione la radicalizzazione del conflitto nei primi anni del
Trecento e le strategie messe in atto dalla parte vincente per emarginare gli
avversari e per estendere il proprio controllo sui gangli della società comunale.
Come apparirà più chiaro nel corso dell’esposizione, per definire l’appartenenza politica delle
singole famiglie ho usato i seguenti criteri: 1) Presenza nell’Anzianato. 2) Presenza nel Priorato, la
nuova istituzione che compare nelle fonti lucchesi intorno alla metà degli anni ’90 del Duecento. 3)
Schieramento nella parte bianca o nella parte nera. 4) Presenza all’interno della lista magnatizia inse-
rita nello Statuto del 1308. Nonostante le gravi carenze documentarie determinate dalla perdita della
documentazione pubblica, la singolare coerenza delle scelte di queste famiglie rende la loro assegnazio-
146 Alma Poloni
ne all’uno o all’altro schieramento ragionevolmente sicura. Martini, Onesti, Peri, Carincioni, Rapondi,
Fornari, Sartori e Mordecastelli compaiono tutti nell’Anzianato a partire dagli anni ’60, non compaiono
mai nel Priorato, aderirono tutti alla parte bianca e finirono tutti nella lista di «casastici et potentes»
del 1308. Rosciompelli, Volpelli, Fiadoni, Melanesi, Guerci, Moriconi, Margatti, Sandoni, Arnaldi,
Asquini, Dati e Incalocchiati non compaiono nell’Anzianato (ad eccezione di un’unica attestazione per
i Fiadoni), militarono tutti nel Priorato, aderirono tutti alla parte nera e nessuno di loro venne inserito
nelle liste del 1308.
Cfr. capp. I.1.2 e I.1.3.
Cfr. capp. I.1.1, I.1.3 e I.2.3. I Mordecastelli, come si è visto, costituiscono un’eccezione, perché
si affermarono solo a partire dagli anni ’50, ma riuscirono in breve tempo ad inserirsi nell’élite politica
popolare (cfr. capp. II.1.1 e II.1.2).
Per tutti questi aspetti si vedano le importanti riflessioni di F. Cerutti, Identità e politica, in
Identità e politica, a cura di F. Cerutti, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 5-41. Si tratta della distinzione
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 147
utilizzata da R. Dahrendorf e da altri sociologi tra quasi-gruppi di interessi latenti e gruppi di interesse
(R. Dahrendorf, Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari, Laterza, 1971 (ed. orig 1957), in
particolare pp. 253-324).
Per l’analisi di un processo di costruzione di un’identità di gruppo in un contesto più tardo
cfr. G. Ciccaglioni, Microanalisi di un’istituzione. L’universitas septem artium e il suo linguaggio a Pisa al
tempo della dominazione viscontea (1399-1405), in Linguaggi politici nell’Italia del Rinascimento, a cura di A.
Gamberini e G. Petralia, Roma, Viella, 2007, pp. 187-214.
Queste vicende sono analizzate per Firenze da Raveggi, Tarassi, Medici, Parenti, Ghibellini,
guelfi, cit., in particolare pp. 158-160 e 176-178.
148 Alma Poloni
I Libri Iurium, cit., n. 1194, 1284 ottobre 13.
Ibidem, nn. 1195-1199.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 149
del mondo politico lucchese. Gli stretti rapporti economico-finanziari della loro
società commerciale con gli Angiò e soprattutto con il papato – rapporti che si
erano rafforzati proprio dopo l’ascesa al soglio pontificio di Martino IV – ne
facevano candidati particolarmente qualificati. La compagnia Ricciardi aveva
tuttavia altri soci di primo piano oltre a Labro e Adiuto, e in più non era certo
l’unica realtà lucchese a vantare questo tipo di contatti: un’altra azienda, quella
dei Battosi, che contava anch’essa tra i propri soci diversi mercanti cittadini,
aveva anzi relazioni ben più strette con la corte angioina.
Gli interessi economici di Labro e Adiuto, a mio parere, non bastano da soli
a spiegare la loro nomina. Essa potrebbe invece essere il risultato e il ricono-
scimento dell’azione politica dei due mercanti, che nei mesi precedenti si erano
probabilmente impegnati in una difficile attività di persuasione volta a creare
nelle assemblee consiliari una maggioranza favorevole a un’aggressiva politica
antighibellina, ma anche a ritagliarsi un posto da leaders del nuovo schieramen-
to che si stava definendo intorno alle parole d’ordine del guelfismo radicale. È
plausibile cioè che Adiuto Rosciompelli e Labro Volpelli abbiano giocato un
ruolo diretto nella formazione di tale schieramento, candidandosi contestual-
mente a guidarne l’attività politica. Ciò mi sembra particolarmente evidente
per il Rosciompelli: in quello stesso 1284 sedevano contemporaneamente in
consiglio generale due figli di Adiuto, Nello e Vanni, e due altri membri della
famiglia, Ghino e Porcoricciardo, forse figli del fratello di Adiuto, Ricciardo10.
Può forse essere utile a questo punto qualche accenno sulle procedure di
elezione dei consiglieri del consiglio generale11. I cittadini si riunivano contra-
da per contrada nel palazzo di San Michele in Foro sotto la supervisione del
podestà e dei suoi milites. Tra gli abitanti della contrada dotati di una minima
base economica – con un patrimonio, in base alla più recente rilevazione
estimale, valutato almeno 25 lire lucchesi – veniva sorteggiato un numero di
elettori pari al numero di consiglieri che spettavano alla contrada. Ogni elet-
tore nominava direttamente un consigliere, il quale doveva anch’egli avere un
patrimonio stimato non inferiore alle 25 lire. Il fatto che ben quattro membri
della famiglia Rosciompelli fossero scelti come consiglieri significa dunque
che essa godeva di visibilità nella contrada di appartenenza; è uno degli indizi,
a mio parere, che la proposta politica di Adiuto Rosciompelli e del gruppo
che si raccoglieva intorno a lui otteneva crescenti consensi presso i cittadini
politicamente attivi.
Del Punta, Mercanti, cit.
10
ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1284 maggio 30.
11
Statuto del Comune cit., pp. 62-63
150 Alma Poloni
Questa conclusione sembra confermata dal fatto che altri membri di famiglie
che verosimilmente in questi primi anni ’80 aderirono al «partito» dei guelfi
radicali riuscirono a farsi eleggere in consiglio generale dai loro vicini di con-
trada: Panello e Gerarduccio Gracci, Coluccio Asquini, Puccio Fiadoni, Betto
e Guido Bonaventure, Baccione Corsi12. Sulla base delle poche informazioni
disponibili per questi anni non è possibile misurare il peso effettivo del nuovo
schieramento all’interno del consiglio. Tale peso doveva tuttavia essere tanto
consistente da far sì che il nuovo gruppo fosse rappresentato in quello che era
il principale organo politico del Comune di Popolo, l’Anzianato. Nel collegio del
maggio-giugno 1284, infatti, accanto a due esponenti di punta del gruppo diri-
gente popolare degli anni ’60 e ’80, interpreti del guelfismo moderato – Ugolino
Martini e Bandino Peri –, troviamo anche Marraghino Bonaventure e Martino
Pinochi, esponenti del partito radicale13.
Prima di proseguire, vorrei tornare brevemente sulla questione del rapporto
tra interessi economici e schieramento politico. Mercanti che intrattenevano o
avevano intrattenuto nel recente passato relazioni finanziarie con il papato e la
casa d’Angiò se ne trovano tanto nel partito moderato quanto in quello radicale,
senza particolari differenze. D’altra parte tali relazioni non avevano mai rivesti-
to per il mondo mercantile lucchese nel suo complesso la stessa importanza che
avevano per gli uomini d’affari fiorentini, e questa differenza divenne ancora
più evidente a partire proprio dagli anni ’80, e soprattutto negli anni ’90. In
quei due decenni i fiorentini rafforzarono la propria presenza nel regno angioi-
no, fino a raggiungere una posizione di quasi monopolio dei servizi finanziari
alla corona, che non lasciava grande spazio ai lucchesi e agli altri toscani14.
D’altra parte, anche in seguito ai processi di trasformazione dell’economia cit-
tadina che abbiamo analizzato nel capitolo precedente, in questa fase aumentò
ulteriormente la centralità per i lucchesi dell’asse tradizionale Lucca-Genova-
12
Mentre per Adiuto Rosciompelli e Labro Volpelli l’impegno personale nella conclusione del
trattato del 1284 è un indicatore attendibile della loro posizione ideologica, non esiste alcuna atte-
stazione esplicita dell’adesione delle altre famiglie al guelfismo radicale all’inizio degli anni ‘80. Negli
anni ’90, però, esse ebbero tutte un ruolo di primo piano all’interno del Priorato, che come vedremo
fu l’espressione istituzionale dello schieramento che si opponeva al vecchio gruppo dirigente popolare,
l’espressione, cioè, della fazione che alla fine del secolo si identificò con la parte nera. Esiste del resto
un’evidente coerenza di contenuti tra il guelfismo radicale degli anni ’80 e il guelfismo nero del primo
Trecento, che ne era un’evoluzione. Anch’esso era fondato su un’interpretazione intransigente della
tradizione guelfa della città e sul rifiuto di una reintegrazione dei ghibellini nella vita politica cittadina
(cfr. cap. V.2.3).
13
Anche in questo caso l’attribuzione dei due personaggi al partito guelfo radicale è legata al ruolo
da essi ricoperto nel Priorato negli anni ’90.
14
Petralia, I toscani nel Mezzogiorno, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 151
15
ASLu, Dipl. San Romano, 1292 gennaio 29. Ottobono e i suoi parenti erano a Lucca almeno dal
1284: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, cc. 19v-21v, 1284 gennaio 13.
152 Alma Poloni
16
ASLu, Dipl. San Romano, 1292 gennaio 31.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 153
17
Nella famiglia Peri compare infatti nella seconda metà del Duecento il nome Moncello, che fa
parte dello stock onomastico dei Mordecastelli, mentre all’interno di quest’ultima famiglia troviamo
Pero/Peruccio, il nome più ricorrente tra i Peri.
18
ASLu, Not. 87, I, c. 9.
19
ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c. 123r.
20
ASLu, Dipl. Serviti, 1285 febbraio 15.
21
Cfr. cap. II.1.1.
154 Alma Poloni
22
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1292 novembre 26.
23
ASLu, Dipl. Serviti, 1292 maggio 29.
24
ASLu, Not. 26, Giovanni Spiafame, c. 95r.
25
ASLu, Not. 52, Rabbito Toringhelli, cc. 738-740.
26
Cfr. sopra, cap. II.1.1.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 155
27
Cfr. cap. II.1.2.
28
Tholomei Lucensis Annales, cit., p. 223.
156 Alma Poloni
29
Per indicare le fazioni in lotta farò d’ora in poi riferimento a due famiglie popolari che, a quanto
sembra, svolsero fin dalle origini un ruolo trainante per la formazione degli schieramenti e l’elaborazio-
ne della loro identità politica, rispettivamente i Mordecastelli e i Rosciompelli. In nessun documento
coevo si trova riferimento a una «fazione dei Mordecastelli» o a una «fazione dei Rosciompelli». Fino
all’identificazione delle due fazioni con la parte bianca e la parte nera, all’inizio del Trecento – e per la
verità anche in seguito – , esse non godettero di alcun riconocimento ufficiale, nonostante dall’analisi
della documentazione degli anni ’90 emerga in modo abbastanza evidente che già allora esse agivano
come coordinamenti informali e «gruppi di interesse» contrapposti. Il riferimento alle due famiglie è
dettato essenzialmente da una ragione di comodità espositiva. Tuttavia la scelta di famiglie di origine
popolare per indicare schieramenti nei quali militavano anche importanti casate aristocratiche riflette
la mia convinzione che il processo di definizione, anche ideologica, delle due fazioni sia stato guidato
dalle famiglie popolari che in esse si riconoscevano.
30
Poloni, Strutturazione, cit.
31
La comparsa dei Priori non comportò la scomparsa dei capitani: ASLu, Dipl. San Romano, 1298
ottobre 25; ASLu, Not. 26, III, Giovanni Spiafame, cc. 85r-93v, 1308 luglio 15: Bonturo Dati Priore
della società della Testa e Vanni Dati, Cambio Iacopelli, Pietro Clavari capitani della società.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 157
con la finalità di presentarsi come incarnazione unitaria del mondo delle società
popolari, e per esercitare una pressione volta a ottenere per questo mondo un
più ampio spazio di espressione politica. In quanto organo collegiale di stampo
popolare, i Priori non potevano che essere percepiti dai cittadini come contral-
tare degli Anziani, dei quali per contrasto mettevano ulteriormente in luce il
carattere oligarchico.
I Priori erano diciassette, quante erano le società armate, e rimanevano
in carica per tre mesi32. La scarsa documentazione superstite non consente
di formulare alcuna ipotesi generale sulla composizione dei collegi priorali.
Certamente valeva per i Priori il limite censitario al di sotto del quale un
cittadino lucchese non poteva godere dei diritti politici attivi e passivi, cor-
rispondente, come si è detto, a un patrimonio imponibile di 25 lire lucchesi.
Non siamo tuttavia in grado di stabilire quale fosse all’interno di ogni singolo
collegio il peso delle diverse componenti sociali che probabilmente vi trova-
vano spazio, cioè grandi mercanti, bottegai e piccoli commercianti, artigiani. I
pochi documenti che ho potuto rintracciare suggeriscono comunque un ruolo
di primo piano all’interno del Priorato delle famiglie schierate sul fronte oppo-
sto ai Mordecastelli, in particolare Volpelli, Rosciompelli, Arnaldi, Asquini,
Dati, Fiadoni, Gracci, Guerci, Incalocchiati, Margatti, Sandoni, Tegrimi,
Moriconi.
La mia ipotesi è che il nuovo organismo sia stato da subito utilizzato come
strumento di organizzazione e di penetrazione politica dalle famiglie apparte-
nenti alla fazione che, per comodità, chiameremo dei Rosciompelli, dalle fami-
glie, cioè, che negli anni ’80 si erano identificate nel partito guelfo radicale, e
che all’inizio del Trecento si riconosceranno nella parte nera.
Come abbiamo visto, Labro Volpelli aveva condotto insieme ad Adiuto Rosciompelli
le trattative per la conclusione dell’alleanza guelfa del 1284. Ciano (Graziano) Volpelli
fu Priore nel 1296 e lo stesso Labro fu Priore nel 129833.
Adiuto Rosciompelli, l’altro rappresentante di Lucca nel 1284, fu certamente uno
dei principali leaders della fazione. Suo figlio Vanni fu Priore all’inizio del 1295, mentre
Adiuto ricoprì la carica nel 1298. Matteo Rosciompelli fu Anziano nel 1300 e di nuovo
nel 1302; in quella fase, come vedremo, gli esponenti della parte «nera» controllavano
ormai anche l’Anzianato. Nel 1304 Adiuto fu inviato come ambasciatore a Firenze
32
Per l’elenco delle società Tommasi, Sommario, cit., p. 143. Per la durata in carica dei Priori
ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, c. 36, 1302 novembre 27: Ugolino Vecchi notaio «olim prior societa-
tum armorum lucani populi pro societate Teste pro mensibus aprilis, madii et iunii 1302».
33
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; Lettere dei Ricciardi, cit., lettera VII,
pp. 70-83.
158 Alma Poloni
nell’ambito dei contatti diplomatici con i quali il gruppo dirigente fiorentino, anch’esso
di parte nera, chiedeva ai lucchesi di dirimere le discordie interne alla città. Nel 1301
Enrico, un altro figlio di Adiuto, ottenne una prebenda canonicale in seguito all’espul-
sione dal capitolo dei canonici di parte bianca34.
Federigo Arnaldi fu Priore nel 1298 e Anziano nel 1299. Gli Arnaldi furono tra
le famiglie esponenti della parte nera costrette ad abbandonare la città in seguito alla
conquista di Uguccione della Faggiola nel 131435.
Lando Asquini fu Priore nel 1295 e Coluccio Asquini fu Anziano nel 1301. Gli
Asquini avevano relazioni molto strette con diversi membri della famiglia aristocratica
degli Opizi, il punto di riferimento della parte nera36.
Bonturo Dati fu uno dei protagonisti della vita politica di questi anni. Egli era pre-
sente nel dicembre del 1294 al primo atto ufficiale emanato dal collegio dei Priori. Il
fratello Vanni fu Priore nel 1300, e Bonturo ricoprì la stessa carica, per la società della
Testa, nel 1308; contemporaneamente il fratello era capitano della stessa società. Nel
1304 Bonturo fu scelto come rappresentante della sua società nella commissione di 16
uomini nominata da capitano, podestà, Priori e Anziani per trovare una soluzione alle
discordie interne ai guelfi neri fiorentini37.
Anche i Fiadoni furono una delle famiglie di primissimo piano del regime prio-
rale e poi della parte nera. Omodeo, come si è visto, sedette in consiglio generale
nel 1284, quando per la prima volta il partito guelfo radicale riuscì a ottenere un
riconoscimento politico. Puccio Fiadoni, forse fratello di Omodeo, fu Priore nel
1298. Lo stesso anno Omodeo fu uno dei tre arbitri nominati direttamente dai
Priori per gestire il fallimento della compagnia dei Ricciardi. Nel 1304 Omodeo,
come Bonturo Dati, fece parte della commissione nominata da podestà, capitano,
Priori e Anziani per la questione delle discordie interne ai guelfi neri fiorentini. Alla
famiglia Fiadoni apparteneva il frate Tolomeo da Lucca, autore degli Annales lucen-
ses, ma soprattutto uno degli uomini moralmente e politicamente più influenti della
città negli anni di dominio dei neri. Almeno dal 1297 Tolomeo fu consigliere intimo
della contessa Capuana, vedova del conte Ugolino della Gherardesca, rifugiatasi
a Lucca dopo le tristi vicende che avevano coinvolto il marito, e divenuta quasi
un simbolo dei guelfi perseguitati dai feroci ghibellini. Alla sua morte, Tolomeo
34
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. San Romano, 1298 ottobre 25; ASLu, Not. 41,
Lamberto Sornachi, cc. 104r-105r, 1300 luglio 26; ASLu, Dipl. Pergamene disperse, 1302 dicembre 30;
A.N. Cianelli, Dissertazioni sopra la storia lucchese, in Memorie e documenti per servire all’istoria del principato
lucchese, Tomo I, 1813, pp. 224-227; ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v, 1301 novembre 5; sulla vicenda del
capitolo della cattedrale cfr. cap. V.2.3.
35
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20; ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1299 febbraio 9;
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1316 ottobre 11.
36
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, 1302 febbraio 1. Per le
relazioni con gli Opizi cfr. cap. V.2.1 e note corrispondenti.
37
BSL, MS 919.25; ASLu, Not. 41, Lamberto Sornachi, cc. 6r-8r, 1300 novembre 20; ASLu, Not.
26, Giovanni Spiafame, 1308 luglio 15; Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 159
38
ASLu, Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20; Lettere dei Ricciardi cit., lettera VII, p. 71: su
questo aspetto cfr. cap. IV.2.2; Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227; ASLu, Dipl. S. Romano, 1297
ottobre 19; Ibidem 1298 settembre 3; Ibidem, 1299 novembre 19; Ibidem, 1309 ottobre 29; ASLu, Not. 61,
Rabbito Torringhelli, c. 73r.
39
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v.
40
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; ASLu,
Dipl. Altopascio dep. Orsetti cittadella, XIII sec.; sulla politica della parte nera nei confronti delle istituzioni
eccelesiastiche cfr. cap. V.2.3.
41
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. Serviti, 1308 agosto 29; ASLu, Dipl. S. Croce, 1309
gennaio 21; ASLu, Dipl. Sped. di S. Luca, 1311 agosto 31.
42
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1303 agosto 7; Cianelli,
Dissertazioni cit., pp. 224-227.
43
ASLu, Dipl. Certosa, 1299 marzo 7; ASLu, Dipl. Pergamene disperse, 1302 dicembre 30; Cianelli,
Dissertazioni cit., pp. 224-227; ASLu, Not. 87, Iacopino Gualandi, c. 91, 1302 gennaio 1.
160 Alma Poloni
presenziò insieme a Bonturo Dati alla prima sentenza ufficiale emanata dai Priori. Nel
1296 fu egli stesso Priore. Nel 1301 cercò, senza riuscirci, di ottenere una prebenda
canonicale per il figlio Tegrimo, in seguito all’allontanamento dal capitolo dei canonici
di parte bianca. Il figlio Guido nel 1304 fece parte della commissione incaricata di
affrontare la questione delle discordie interne ai neri fiorentini. Nel 1305 Villanuccio,
un altro figlio di Nicolao, fu inserito nella commissione di quattro mercanti incaricati
dagli Anziani e dai Priori di curare la procedura fallimentare dei Dardagnini44.
Lando Moriconi fu Anziano nel 1300. Nel 1304 Nicolao Moriconi fu scelto, insie-
me a due importanti esponenti della fazione, dominus Orlando Salamoncelli e Adiuto
Rosciompelli, come ambasciatore per la questione dei conflitti interni alla parte nera
fiorentina45.
Si può forse anzi ipotizzare che siano state proprio queste famiglie e pro-
muovere e incoraggiare la creazione della nuova rappresentanza unitaria delle
società, convogliando e amplificando un sentimento di malessere che doveva
essere piuttosto diffuso presso la popolazione cittadina. A partire dal 1289-
1290 gli eserciti lucchesi e fiorentini, che erano riusciti a sottrarre a Pisa una
parte consistente del suo territorio, avevano cominciato a ripiegare. Le forze
pisane si erano infatti riorganizzate sotto il comando del condottiero Guido da
Montefeltro46. Le notizie delle sconfitte, delle perdite materiali e umane e della
progressiva ritirata dell’esercito cittadino dovevano produrre un certo effetto a
Lucca.
Tolomeo da Lucca, testimone oculare degli avvenimenti di quegli anni,
così commentava nella sua cronaca la firma della pace che, nel 1294, poneva
fine a dieci anni di guerra aperta tra i pisani e la lega guelfa: «Anno Domini
MCCLXXXXIIII Lucani fatigati laboribus et expensis et propter inequa-
litatem circa onera suportanda comunitatis et [forte] propter animositatem
aliquorum, tractata est pax et facta inter Tuscos et Pisanos». Se diamo credito
a frate Tolomeo, dunque, le proteste dei lucchesi si sarebbero concentrate sulla
questione della distribuzione dei carichi fiscali. Si trattava di un vero e proprio
leitmotiv delle lotte politiche duecentesche, capace di far presa su ampi settori
della società cittadina e di coinvolgerli in azioni di contestazione anche violente.
La riattivazione di parole d’ordine fortemente radicate nella tradizione culturale
44
BSL, MS 919.25; ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; ACLu, Not. LL 34,
cc. 98v-99v, 1301 novembre 5: cfr. cap. V.2.3. Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227; ASLu, Dipl.
Archivio di Stato, 1305 giugno 16.
45
ASLu, Not. 41, Lamberto Sornachi, cc. 104r-105r, 1300 luglio 26; Cianelli, Dissertazioni, cit.,
pp. 224-227.
46
Poloni, Trasformazioni della società, cit., pp. 163-167.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 161
e politica del Popolo andava a tutto vantaggio della fazione dei Rosciompelli.
A ben vedere, infatti, era al partito guelfo radicale, cioè a questa fazione, che
si sarebbe dovuta imputare la responsabilità di avere coinvolto la città in una
guerra di lunga durata e dagli esiti incerti. L’enfatizzazione di una tematica di
sicuro effetto, quale era quella della iniqua distribuzione degli oneri fiscali, otte-
neva il risultato di indirizzare il malcontento popolare verso coloro che veniva-
no presentati come i detentori del potere, cioè le famiglie che per lungo tempo
avevano incarnato il gruppo dirigente popolare, e che ora si riconoscevano nella
fazione dei Mordecastelli. Queste ultime, per di più, potevano adesso essere
accusate di vicinanza e connivenza con le più potenti casate dell’aristocrazia
cittadina, da sempre incolpate dalla propaganda popolare di godere di ingiusti
privilegi fiscali.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che frate Tolomeo era un Fiadoni, appar-
teneva cioè a una delle famiglie più impegnate nella fazione dei Rosciompelli,
e lui stesso ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politiche degli anni ’90
e del primo decennio del Trecento47. La notazione che troviamo negli Annali in
corrispondenza del 1294, dunque, non è semplicemente la registrazione delle
voci di protesta che Tolomeo raccoglieva dai suoi concittadini, ma probabilmen-
te è essa stessa parte e strumento del processo di reinterpretazione delle vicende
contemporanee portato avanti dai nuovi protagonisti politici.
47
Per la vita di Tolomeo cfr. Einleitung, in Tholomei Lucensis Annales, cit., pp. VII-XXI.
48
ASLu, Dipl. S. Croce, 1294 febbraio 26.
162 Alma Poloni
49
La segnatura del documento è ASLu, Dipl. S.M. Fiorentini, 1294 dicembre 10. La trascrizione è
in BSLu, MS 919.25.
50
ASLu, Dipl. Bigazzi, 1286 marzo 14.
51
ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1299 aprile 22.
52
ASLu, Dipl. Compagna della Croce, 1303 agosto 7; Ibidem, 1333 agosto 28.
53
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 163
senso ancora più radicalmente popolare54. Lo stesso Bonturo Dati era presente
al pronunciamento della sentenza arbitrale del 1294, insieme al giudice Nicolao
Tegrimi, l’esperto di diritto della fazione dei Rosciompelli.
Non sappiamo come Perfetto Manenti, così compromesso con lo schiera-
mento dei Mordecastelli, fosse riuscito a farsi nominare all’interno del Priorato,
ma è certo che egli rappresentò nel 1294 l’elemento di collegamento tra le due
fazioni. I Priori comunque stabilirono che i Berrettani da Barga e i loro sodali
lucchesi avrebbero dovuto vendere al Comune di Sommacolonia il borgo forti-
ficato di Sommacolonia con tutti i diritti signorili che essi esercitavano sui suoi
abitanti, per il prezzo di 3800 lire lucchesi. I Priori osservavano infatti «quod
non expedit honori vel utilitati lucensis comunis quod aliqua singulari et priva-
ta persona habeat iurisdictionem vel castrum aut fortezzam in lucana fortia et
maxime extra districtus sex miliarum». Inserendo questa motivazione i Priori
sconfinarono dal loro ruolo di arbitri scelti nell’ambito di una composizione pri-
vata, un ruolo che non aveva alcuna connotazione istituzionale, e trasformarono
la sentenza in un’occasione pubblica per promuoversi come veri difensori del
Comune di Lucca e dell’integrità dei suoi diritti giurisdizionali sul territorio.
Neppure la fazione dei Mordecastelli usciva però tanto male dalla vicenda
del 1294. Le 3800 lire lucchesi che gli abitanti di Sommacolonia venivano invi-
tati a pagare per la loro libertà erano una somma molto alta; l’autorità morale
dei Priori e la loro fama di imparzialità favorì probabilmente l’accettazione di
una composizione che si rivelava molto onerosa per il piccolo Comune rurale.
Le famiglie che erano andate in soccorso dei Berrettani da Barga potevano ora,
grazie anche alla collaborazione dei Priori ottenuta attraverso l’intermediazione
di Perfetto Manenti, rientrare in possesso almeno di una parte del denaro che
certamente avevano perso con l’operazione del 129255.
È possibile che i Priori abbiano ottenuto altri vantaggi dalla disponibilità
dimostrata verso la fazione dei Mordecastelli, oltre all’opportunità di mostrare
pubblicamente la loro sollecitudine nei confronti dei diritti del Comune. Il 1295
segna infatti un anno di svolta per il nuovo organismo popolare. A gennaio i
Priori mandarono a Vivinaia – l’attuale Montecarlo – una delegazione composta
da due membri del collegio priorale, da un notaio incaricato della registrazione
54
Le croniche di Giovanni Sercambi, cit., p. 57.
55
Infatti, dal momento che i Berrettani da Barga non erano in grado di pagare i loro debiti, i
fideiussori furono costretti a rispondere al loro posto. Molti dei garanti tuttavia non poterono o non
vollero saldare la loro parte del debito. Due documenti, uno del 1299 e uno del 1302, mostrano come
a distanza di anni gli eredi di Marcovaldo Mordecastelli non fossero ancora riusciti a rientrare in
possesso di quanto avevano anticipato nel 1292 (ASLu, Dipl. S. Romano, 1299 luglio 7; ASLu, Not. 37,
Giovanni Beraldi, cc. 12v-14v, 1302 ottobre 19).
164 Alma Poloni
56
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19-29; ed. M. Seghieri, Le pergamene di Vivinaia, Montechiari, San
Piero in Campo (secc. XI-XIV), a cura di S. Nelli, presentazione di A. Romiti, Lucca, Istituto storico
lucchese, 1995, pp. 251-254.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 165
della parte nera, e che dunque probabilmente già negli anni ’90 appoggiava in
qualche modo la fazione dei Rosciompelli57. Si creava in questo modo un altro
significativo cortocircuito storico dal forte impatto propagandistico, poiché pro-
prio un da Porcari, Ingherame, aveva guidato il Popolo delle società dei pedites
all’inizio del Duecento.
In ogni caso, forse con la collaborazione della casata aristocratica, i Priori
ebbero l’opportunità di presentarsi ancora una volta come i veri difensori del-
l’autorità e del potere politico e giurisdizionale del Comune di Lucca, sia che
esso fosse minacciato dalle ambizioni signorili di privati cittadini, come nel caso
di Sommacolonia, sia che esso fosse sfidato dalla passiva resistenza degli abi-
tanti di un Comune rurale, come nel caso di Vivinaia. Il tono del documento del
1295 è infatti molto severo nei confronti degli uomini del villaggio, che avevano
rifiutato di dare esecuzione a una sentenza emanata da un organo giudiziario
della città di Lucca58.
Nei due anni successivi alla loro fondazione i Priori non erano inseriti nel
sistema politico-istituzionale del Comune. Fin da subito, tuttavia, essi furono
impegnati a costruire e promuovere l’immagine di un organismo finalizzato
non tanto o non soltanto alla protezione degli iscritti alle società del Popolo,
ma più in generale alla difesa e al rafforzamento dell’autorità del Comune di
Lucca e delle sue istituzioni dentro le mura cittadine e nel contado. Anche in
questo caso non si trattava certo di un tema propagandistico nuovo, era anzi
57
Nel 1301 Parentuccio figlio del dominus Bonifazio da Porcari ricevette una delle prebende
canonicali che si erano liberate dopo l’allontanamento dal capitolo dei canonici di parte bianca (ACLu,
Not. LL 34, cc. 98v-99v). Nel 1303 dominus Parente da Porcari fu ambasciatore del Comune di Lucca
alla curia pontificia (ASLu, Dipl. Serviti, 1304 giugno 7); nella delegazione compaiono anche dominus
Filippo da Tassignano e dominus Luto degli Opizi, esponenti di due delle principali famiglie aristocrati-
che della parte nera. Nel 1314 i da Porcari abbandonarono la città dopo l’ingresso di Uguccione della
Faggiola (L. Green, Castruccio Castracani. A Study on the Origins and Character of a Fourteenth-Century
Italian Despotism, Oxford, Clarendon Press, 1986, pp. 53-54).
58
Fin dalle prime righe del testo infatti i Priori sottolineavano che intendevano procedere alla divi-
sione del terreno «secundum formam sententie late inter comune Vivinarie ex una parte et abbatiam
predictam ex alia, alias si [gli abitanti di Vivinaia] venerint sive non, procedetur ad predicta facienda,
prout iuris fuerit et debebit». Poche righe più sotto, dopo aver riportato l’invito pubblicamente rivol-
to ai consoli del Comune rurale perché presenziassero alla terminazione, si ribadiva: «cum predicti
Priores omnino intendant predicta facere et dividere et partem dicti terreni dare et assignare sindico
abbatie predicte et ipsi abbatie, alias si venerint sive non, procedent ad predicta facienda et exequenda
eorum absentia et negligentia non obstante». Dopo che il podestà Albertino da Tassignano ebbe spie-
gato le ragioni del rifiuto degli uomini del villaggio di presenziare all’operazione, i Priori consigliarono
loro di ripensarci, e ripeterono che essi «intendunt pro firmo ad executionem predictorum procedere,
alias si steterint sive non, predicta executioni mandarentur, eorum absentia et contumacia non obstante
prout de iure debent».
166 Alma Poloni
59
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1295 settembre 30.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 167
60
Nel dicembre del 1297 Baruffaldo di Compito si rivolse ai Priori per ottenere l’invalidazione di
una sentenza emanata in relazione a una lite per questioni patrimoniali che lo opponeva a Tronfio del
fu Mercadante, anch’egli di Compito (ASLu, Dipl. San Ponziano, 1297 dicembre 4). Un atto notarile
provava che Baruffaldo aveva accettato la sentenza; egli sosteneva tuttavia di non avere mai acconsen-
tito, e che l’instrumentum era falso. Nel settembre di quello stesso anno dominus Dino Mordecastelli si
rivolse al Maggior sindaco perché intervenisse contro la decisione dei Priori di invalidare alcuni publica
instrumenta che Dino aveva ottenuto contro i Comuni di Buggiano e di Massa pisana (ASLu, Not. 29,
Orlando Ciapparoni, c. 10. 1297 settembre 2). È probabile che i rappresentanti dei due Comuni si
fossero appellati ai Priori contro i presunti soprusi dei Mordecastelli. I Priori riuscirono inoltre a far
approvare dal consiglio del Popolo una norma che prevedeva che chiunque intendesse vendere una
sua proprietà doveva denunciare la sua intenzione ai notai, uno per Porta, appositamente nominati a
questo scopo (ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1299 febbraio 9). A questo punto la vendita veniva pubblicamente
annunciata in consiglio generale e chiunque ritenesse di avere dei diritti sul bene in questione poteva
farli valere entro due mesi. Il significato di questa disposizione era ancora una volta la tutela dei diritti
di tutti i cittadini contro ogni tipo di sopruso o di azione contro giustizia.
61
Poloni, Trasformazioni della società, cit., pp.48-55.
62
Nel novembre del 1297 i Priori si riunirono per prendere provvedimenti contro lo sfruttamento
da parte di privati delle miniere metallifere dei monti della Versilia, che essi consideravano lesivo dei
diritti esclusivi del Comune di Lucca (ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20). A questa
deliberazione si oppose Gerio Castracani, che fu in grado di dimostrare che i diritti che la sua famiglia
rivendicava sulle miniere erano del tutto legittimi. Nell’ottobre del 1298 i Priori diedero inizio a una
168 Alma Poloni
controversia con il convento dei frati predicatori in relazione, a quanto pare, a una strada che questi
ultimi avevano sbarrato precludendone l’accesso; il documento tuttavia è molto danneggiato e di diffi-
cile lettura (ASLu, Dipl. S. Romano, 1298 ottobre 25).
63
La prima attestazione dei «collegia anthianorum et priorum» risale al luglio del 1300: ASLu,
Not. 41, Lamberto Sornachi, cc. 104r-105r, 1300 luglio 26.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 169
ramo dei Malaspina. Essi ebbero in un certo senso la stessa funzione che nella
fazione dei Mordecastelli fu svolta principalmente dei de Podio: rappresentarono
cioè una sorta di anello di congiunzione tra l’area popolare e l’area aristocratica
del gruppo, garantendo, attraverso una fitta rete di rapporti personali e familia-
ri, il collante tra componenti sociali diverse e a volte reciprocamente diffidenti.
Nel 1288, infatti, Ardiccione figlio di Orlando di Ariccione Malaspina degli
Opizi sposò Adalagia figlia di Adiuto Rosciompelli64. Gli Opizi erano inoltre in
rapporti molto stretti con gli Asquini, un’altra famiglia popolare in prima linea
nella fazione dei Rosciompelli65. Tolomeo da Lucca data al 1280 l’inizio della
«guerra» tra i Mordecastelli e gli Opizi. Giovanni Sercambi accenna invece
all’esistenza di forti tensioni tra quest’ultima casata da una parte e i Ciapparoni
e gli Antelminelli dall’altra a causa di una questione legale. In effetti è possibile
che ai contrasti politici che dividevano le due fazioni si sovrapponessero e in
qualche modo si sommassero le inimicizie alimentate spesso di generazione in
generazione dai lignaggi aristocratici.
È probabile tuttavia che le famiglie della nobiltà cittadina percepissero che
lo scenario politico stava rapidamente cambiando, e che il sistema di potere
che si era consolidato dagli anni ’60, fondato sulla centralità dell’Anzianato e
sulla forte influenza esercitata da un nucleo ristretto di famiglie popolari, si
stava sgretolando. Le tensioni determinate dalla comparsa del nuovo gruppo
di pressione stavano portando alla definizione di un nuovo spazio politico, nel
quale i nobili speravano forse di tornare a svolgere un ruolo di primo piano
dopo anni di sostanziale emarginazione. La scelta delle singole casate di punta-
re sull’una o sull’altra fazione non fu però dettata soltanto da una valutazione
complessiva delle forze in campo e delle reali possibilità di vittoria delle due
parti, ma entrarono probabilmente in gioco fattori più complessi. La fazione
dei Rosciompelli aveva assunto da subito una forte connotazione popolare. I
lignaggi che optavano per questo schieramento sapevano che esso avrebbe in
ogni caso mantenuto una struttura istituzionale di impronta popolare, e che
essi sarebbero sempre rimasti esclusi tanto dall’Anzianato quanto dal Priorato.
La loro influenza politica, dunque, avrebbe sempre dovuto esprimersi in modo
mediato e informale, al di fuori degli spazi istituzionali, attraverso un’attenta
gestione dei rapporti con i maggiori leaders popolari. In più, anche i compor-
tamenti e lo stile di vita di questi nobili dovevano in qualche modo adattarsi a
64
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1288 giugno 12.
65
Diversi membri in particolare del ramo dei Malaspina compaiono come testimoni negli atti che
riguardano gli Asquini: cfr. per esempio ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, c. 7, 1302 febbraio 2; ASLu,
Not. 26, II, Giovanni Spiafame, c. 69v, 1304 agosto 13; Ibidem, III, c. 7r, 1308 gennaio 17.
170 Alma Poloni
66
La cronica di Giovanni Sercambi, cit., pp. 49-50. Dominus Opizo causidicus del fu dominus Malaspina
è già citato in un atto del 1259 (ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1259 ottobre 29); egli doveva dunque essere
nato almeno negli anni ’30. In numerose occasioni il giudice mise le sue competenze al servizio del
Comune di Lucca: cfr. per esempio AALu, Dipl. * B 88, 1267 ottobre 12; AALu, Dipl. * O 37, 1276
ottobre-novembre.
67
ASLu, Not. 29, Orlando Ciapparoni; ed. C. Cardon, Il protocollo notarile di orlando di Orlando
Ciapparoni, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 1999-2000, relatore M. Tangheroni. Il notaio Orlando
fu tra gli esuli, e rogò gli atti dei lucchesi a Pisa.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 171
68
Statuto del Comune, cit., p. 241.
172 Alma Poloni
69
ASLu, Not. 24, Filippo Risichi, c. 193v, 1298 luglio 21.
70
Cfr. cap. III.1.2.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 173
i mercanti scelti dal consiglio del Popolo per curare le procedure fallimentari
della compagnia dei Corbolani, un incarico che non gli sarebbe stato conferito
se fosse stato inviso al regime dei Priori71.
Dominus Bonagiunta Carincioni e suo figlio Carincione compaiono tra gli
esuli di parte bianca. Pietro di Cristofano Carincioni, tuttavia, sposò Berguccia,
figlia di dominus Guccio figlio del giudice Opizo ucciso nel 130172. L’altra figlia
di Guccio aveva sposato il figlio di Orlando Salamoncelli, uno dei principali
sostenitori aristocratici della fazione dei Rosciompelli. Il fratello di Pietro
Carincioni, il giudice Giovanni, nel 1297 fu tra gli esperti di diritto incaricati
dai Priori e dal Maggior sindaco di appurare la legittimità dei diritti avanzati
da Gerio Castracani su alcune miniere della Versilia, insieme a Rustichello
Boccansocchi e Lando da Porcari, entrambi molto vicini al regime priorale73.
Una frattura del genere sembra avere attraversato anche la domus nobiliare
dei da Tassignano. I Gesta lucanorum e Giovanni Sercambi, che probabilmen-
te ebbe anche i Gesta tra le sue fonti per la storia lucchese, inseriscono i da
Tassignano tra le famiglie che subirono la furia popolare dopo l’uccisione del
giudice Opizo, e che videro le loro case saccheggiate e bruciate74. Il giudice
Filippo da Tassignano fu tuttavia uno dei più stretti collaboratori aristocratici
dei Priori75. Coluccio del fu dominus Burnetto da Tassignano aveva sposato
Coluccia di Gerarduccio Gracci, che apparteneva a una delle famiglie priorali
più in vista76. Gerarduccio e Burnetto, il padre di Coluccio, erano entrambi
soci della compagnia dei Bettori, ed è dunque probabile che il matrimonio fosse
precedente al processo di polarizzazione politica che, come si è detto, divenne
evidente soltanto dall’inizio degli anni ’90. Questo rapporto familiare creava
tuttavia tra i da Tassignano e la fazione dei Rosciompelli un legame che poteva
essere attivato dai membri della casata che fossero in disaccordo con la scelta
di schierarsi dalla parte dei Mordecastelli.
Nella fazione dei Mordecastelli non mancarono inoltre defezioni eccellenti.
71
ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1299 febbraio 9; ASLu, Dipl. S. Romano, 1312 luglio 20.
72
ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, cc. 158-175, 1305 luglio 14.
73
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20; cfr. supra.
74
I Gesta lucanorum sono pubblicati in appendice agli annali di Tolomeo: Tholomei Lucensis Annales,
cit., pp. 278-321; in particolare p. 321. La cronica di Giovanni Sercambi, cit., pp. 49-50.
75
Nel 1304 Filippo fece parte della delegazione diplomatica inviata dal Comune di Lucca alla
curia romana, composta dai più prestigiosi esponenti aristocratici della fazione al potere: oltre a
Filippo, Parente da Porcari, Orlando Salamoncelli, Luti degli Opizi, Todesco Mansi e Lamberto
Sornachi (ASLu, Dipl. Serviti, 1304 giugno 7). Nel 1307 i collegi degli Anziani e dei Priori si rivolsero
a Filippo per avere un parere su una questione legale (ASLu, Dipl. Serviti, 1307 marzo 4).
76
ASLu, Not. 54, Rabbito Torringhelli, c. 5, 1303 gennaio 9.
174 Alma Poloni
77
Nel 1304 Ghiddino Simonetti fu inserito, come rappresentante della categoria socio-politica dei
potentes sive casastici, nella commissione incaricata di trovare una soluzione ai contrasti interni ai guelfi
neri fiorentini (Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227). Opezuccio, figlio di dominus Bindo Simonetti,
fu tra gli esponenti di parte nera che ottennero le prebende canonicali rese vacanti dall’allontanamento
dal capitolo dei canonici di parte bianca (ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v, 1301 novembre 5).
78
Anche Betto compare nella commissione del 1304 per la questione dei guelfi neri fiorentini,
sempre tra i potentes sive casastici.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 175
«guelfi neri» o «parte nera». In realtà nessuno dei due schieramenti utilizzò mai
queste denominazioni in alcun documento ufficiale. I neri non si rappresenta-
vano come una parte, una fazione: essi si riconoscevano nel Comune e nelle sue
istituzioni, che dopo il 1301 sottoposero a uno stretto controllo grazie all’oc-
cupazione sia dell’Anzianato che del Priorato. I bianchi si definivano soltanto
«exiticii de Luca»; a Pisa essi erano organizzati in una universitas guidata da due
capitanei affiancati da alcuni consiliarii.
Nel settembre del 1301 l’esecutore dei collegi degli Anziani e dei Priori
condannò in contumacia i due fratelli Francuccio e Perracca Accettanti al
pagamento di 1000 lire lucchesi ognuno con la motivazione che «ipsi et quilibet
eorum septam et tractatum fecerunt una cum quibusdam aliis facere devenire
lucanam civitatem et eius homines et personas in manus et fortiam aliquorum
extraneorum de extra lucanam civitatem et fortiam contra honorem et bonum
et pacificum statum comunis et populi lucani»79. Le 2000 lire furono versate al
tesoriere del Comune da frate Dato dell’ospedale di Sant’Iacopo di Altopascio,
che aveva ricevuto dai due fratelli il mandato di vendere le loro proprietà per
pagare l’ammenda. Il testo proponeva una rilettura degli avvenimenti del gen-
naio del 1301 nella quale l’allusività e l’enigmaticità dei riferimenti ai «quidem
alii» e agli «aliqui extranei de extra lucanam civitatem» negava alla fazione dei
Mordecastelli il riconoscimento di gruppo organizzato dotato di una precisa
identità politica, e allo stesso tempo alludeva efficacemente alle oscure trame
del pugno di cospiratori. Qualunque lucchese comunque era in grado di iden-
tificare gli extranei con i pisani.
Nell’aprile del 1303 Liscio, esecutore dei collegi degli Anziani e dei Priori,
assegnò a Puccio Cenami e altri due cittadini un terreno di proprietà di domi-
nus Ugolino del fu dominus Rocchigiano Ranieri, «proditor et rebellis lucani
comunis», per un debito insoluto che questi aveva contratto con Granduccio
Faitinelli per poco più di 62 lire lucchesi80. Granduccio aveva poi ceduto i suoi
diritti a Puccio Cenami e agli altri, i quali avevano avanzato una petizione ai
collegi degli Anziani e dei Priori per avere quanto spettava loro. I beni di domi-
nus Ugolino infatti, dopo che era stata accertata la sua colpevolezza, erano stati
confiscati dal Comune.
Non ho trovato altre attestazioni relative al trattamento giudiziario riservato
agli esuli del 1301, ma questi due documenti sono a mio parere sufficienti per farsi
un’idea di come il regime priorale gestì, da un punto di vista legale, l’esclusione
degli avversari. A quanto sembra non fu emanato alcun provvedimento penale
79
AALu, Dipl. ++ P 19, 1301 settembre 16.
80
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1303 aprile 19.
176 Alma Poloni
81
Le forme giudiziarie scelte dai neri lucchesi per l’esclusione dei bianchi sembrano del tutto
analoghe a quelle adottate negli stessi anni dai neri fiorentini: Milani, L’esclusione, cit., pp. 416-423.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 177
Dopo il gennaio del 1301, in realtà, la fazione dei Rosciompelli diede inizio
a un vero e proprio programma di occupazione delle posizioni di potere. Dal
punto di vista istituzionale, il controllo tanto del Priorato quanto dell’Anzianato
garantiva allo schieramento una forte concentrazione di potere decisionale. Ma
forse l’aspetto più interessante è il tentativo di estendere il controllo della fazio-
ne, che si era fatta gruppo dirigente, sul capitolo della cattedrale. Negli ultimi
mesi del 1301, infatti, Bonifacio VIII, che aveva visto con molto favore gli even-
ti di Lucca, ordinò, probabilmente su sollecitazione dei leaders dello schieramen-
to vittorioso, che sei canonici della cattedrale fossero privati dei loro benefici.
I canonici rimossi erano Guglielmo degli Antelminelli, Giovanni Ubaldi degli
Antelminelli, Tommasino de Loppa, Ugolino del fu dominus Rocchigiano Ranieri,
Michele Mangialmacchi e Bongiorno Fralmi, tutti membri di famiglie di primo
piano della fazione dei Mordecastelli. Le loro prebende furono poi assegnate
dal papa a nuovi titolari: Enrico figlio di Adiuto Rosciompelli, Parentuccio di
dominus Bonifacio da Porcari, Opezuccio figlio di dominus Bindo Simonetti,
Rosso di Puccio Faitinelli, Lamberto di Ugolino Gracci, Tegrimo figlio del giu-
dice Nicolao Tegrimi82. Per quanto riguarda quest’ultimo, tuttavia, i canonici
dichiararono di non poterlo accogliere perché con i cinque nuovi insediati si
raggiungeva già il numero stabilito di sedici prebende.
Parentuccio da Porcari e Opezuccio Simonetti appartenevano, come
si è detto, a famiglie aristocratiche che avevano appoggiato la fazione dei
Rosciompelli. Enrico Rosciompelli, Lamberto Gracci e Tegrimo Tegrimi pro-
venivano invece da alcune delle famiglie popolari più impegnate nello schiera-
mento fin dal suo ingresso sulla scena politica lucchese.
Il capitolo della cattedrale era rimasto per tutto il Duecento una roccaforte
aristocratica. A quanto sembra nessuna delle famiglie dell’élite dirigente popo-
lare – neppure gli ambiziosi Mordecastelli, nonostante fossero legati ad alcune
importanti casate della nobiltà cittadina – era riuscita, prima del 1301, a farsi
ammettere in quello che era davvero un circolo esclusivo. Per i Rosciompelli, i
Gracci e i Tegrimi, dunque, questo onore acquistava un significato particolare.
Si trattava di famiglie di origine recente, che emergono nella documentazione
lucchese nei decenni centrali del Duecento, prive quindi di una memoria fami-
liare di un qualche spessore83. L’accesso al capitolo era una straordinaria fonte
82
ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v, 1301 novembre 5; G. Benedetto, I rapporti tra Castruccio Castracani
e la chiesa di Lucca, in «Annuario della Biblioteca civica di Massa», 1980, pp. 73-97.
83
I Rosciompelli derivavano il proprio cognome dal soprannome del padre di Adiuto, Guglielmo,
detto appunto «Roscinpelo», che compare nella documentazione lucchese, come socio della compagnia
Ricciardi, all’inizio degli anni ’40 del Duecento (AALu, Dipl. + F 78, 1241 settembre 30). La prima atte-
stazione che ho trovato per la famiglia Gracci è un atto del 1242 rogato dal notaio Gerarduccio figlio
178 Alma Poloni
del fu Paganello Gracci (ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1242 marzo 1). Ma la fortuna della famiglia è legata
probabilmente alle attività di un altro Gerarduccio, mercante, socio della compagnia dei Bettori attivo
in Francia. I Tegrimi emersero nella società cittadina con il giudice Tegrimo, dal quale derivarono
appunto il cognome, figlio di un medico di nome Guido; Tegrimo è attestato dalla fine degli anni ’50
del Duecento (ASLu, Dipl. S. Frediano, 1257 dicembre 23).
84
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1295 novembre 29.
85
La pergamena si trova nell’ASLu con la segnatura Dipl. Altopascio deposito Orsetti Cittadella, XIII
sec. Nel documento il padre di Alamanno, Nicolao, risulta già defunto. Nicolao era ancora vivente nel
1284 (ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri). Il notaio Enrico invece, ancora vivo nell’atto in questione, fece
testamento nel luglio del 1302, e probabilmente morì poco tempo dopo (ASLu, Dipl. Sped. di S. Luca,
1302 luglio 9).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 179
86
ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, cc. 58-59, 1303 maggio 27.
87
In chiusura allo statuto del Comune del 1308 i compilatores et declaratores del testo statutario
dichiaravano che il podestà e i suoi giudici «teneantur ad observantiam eorum que expresse manda-
rentur vel concederentur eisdem per aliquod capitulum Statutorum lucani Comunis vel Populi compilatorum
per nos de novo» (Statuto del Comune, cit., p. 330; il corsivo è mio). Questo riferimento chiarisce che conte-
stualmente allo statuto del Comune era stato rivisto e corretto anche lo statuto del Popolo, che tuttavia
non è giunto fino a noi. Poco dopo la pubblicazione degli statuti sorse un contrasto tra le istituzioni
lucchesi e il vescovo cittadino «super nonnullis Statutis dicte Civitatis, que dictus dominus Episcopus
et clerus dicebant per predictas [le istituzioni comunali] edita esse contra ecclesiasticam libertatem».
Il vescovo giunse a scomunicare le autorità comunali. Il papa incaricò Stefano, pievano della pieve
di Campoli, di risolvere la questione. Le autorità lucchesi furono invitate e presentare tutti gli statuti
nei quali erano stati introdotti nuovi capitoli ritenuti lesivi dell’autonomia della chiesa cittadina; essi
presentarono lo statuto del Comune, quello del Popolo, lo statuto del Maggior Sindaco e quello delle
curie giudiziarie. Stefano lesse con attenzione i testi e, con la collaborazione del clero cittadino, segna-
lò numerose rubriche che dovevano essere corrette (la sentenza di Stefano è pubblicata da Bongi in
appendice allo statuto del 1308, Statuto del Comune, cit., pp. 337-345). È dunque probabile che anche
gli statuti del Maggior Sindaco e delle curie giudiziarie fossero stati significativamente modificati in
occasione della revisione del 1308.
180 Alma Poloni
88
Statuto del Comune, cit.
89
Capitoli 162-170 del terzo libro dello statuto (Statuto del Comune, cit., pp. 234-244). Il capitolo
166, «De eo quod invitati ad Consilia possint dicere in Consilio suum velle», è estraneo a questo
blocco. Questi sono i preamboli degli otto capitoli: cap. 162, «De pena offendentium et iniurantium
homines de Societatibus»: «Meditantes de labore quem substinent omnes et singuli Societatum armo-
rum lucani Populi, ut lucana Civitas habeat bonum statum, circa eum continue vigilando, nequaquam
inspicientes hodium vel amorem; et si quis aliquem de dictis Societatibus auso temerario superbie et
ipsas Societates volens aut presumens vel attendans offendere vel iniuriari vel offendi vel iniuriari
facere, quod pernimium esset danpnosum lucano Comuni ut debentes portare premium penam portent,
hac lege perpetuo valitura statuimus quod…». Cap. 163, «De eo quod nulla persona possit accusare
aliquem popularem qui non sit de Societate via Societatis, nisi habita licentia accusandi a Prioribus
Societatis»: «Obviantes fraudibus iniquorum decrevimus quod…». Cap. 164, «De eo quod inter con-
sortes eadem portantes sint heedem pene»: «Ut inter consortes servetur equalitas et omnis tollatur
materia scandalorum providemus quod….». Cap. 165, «De hiis qui esse non possunt nec intelliguntur
in Societatibus esse; et qui esse possunt, et eorum privilegiis et immunitatibus»: «Ad hoc ut hii qui vere
in Societatibus armorum lucani Populi esse possunt et privilegium Societatum debent gaudere ab aliis
cognoscantur et lucano Regimini eiusque curie patefiant, nec de eis possit aliquatenus defraudari, sta-
tuimus quod….». Cap. 167, «de pena offendentium aliquem Priorem Societatum»: «Ad hoc ut officium
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 181
Priorum ab omnibus honoretur et quilibet expavescat iniuriari eisdem, statuimus quod…». Cap. 168,
«De eo quod casastici et potentes non possint testimonium perhibere contra populares»: «Cum poten-
tes casastici ut plurimum habeant odio populares, statuimus quod…». Cap. 170, «De cerna potentium»:
«Ad hoc ut potentium et casasticorum possit per Rectores haberi memoria, ne sub velamine popula-
rium defendadntu, statuimus quod….».
90
Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227.
91
G. Villani, Nuova cronica, ed. critica a cura di G. Porta, 3 voll., Parma, Fondazione Pietro Bembo,
1990-1991, vol. II, pp. 115-118.
92
Statuto del Comune, cit., pp. 241-244
182 Alma Poloni
temente non coinvolte nelle lotte di fazione, come i Fornari, i Cari, i Corbolani, i
Liena, i Guidiccioni, i Ricciardi, i Bettori e probabilmente altre ancora che non
sono in grado di identificare.
Il criterio per individuare le famiglie non aristocratiche da inserire nella lista
dei casastici non era dunque – o non era soltanto – la militanza politica, e nep-
pure semplicemente il potere economico. Tra i gruppi familiari che si esprime-
vano nel Priorato ve ne erano alcuni, come i Volpelli, i Rosciompelli, i Fiadoni,
i Melanesi, i Dati, che probabilmente non avevano nulla da invidiare in quanto
a ricchezza alle famiglie «magnatizzate». Queste ultime tuttavia sembrano avere
una precisa riconoscibilità sociale. Si trattava di gruppi familiari che si erano
fatti strada tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, molti dei quali avevano
animato la «prima rivoluzione commerciale» lucchese e avevano combattuto in
prima linea per l’affermazione del Popolo. La grande maggioranza di essi a par-
tire dagli anni ’50 del Duecento aveva fatto parte dell’élite dirigente del Comune
di Popolo. Erano famiglie che avevano ormai alle spalle più di un secolo di
storia e di memoria familiare, e soprattutto dotate di una solida tradizione di
esercizio del potere politico. Molte di esse avevano coronato il proprio successo
sociale ottenendo l’investitura cavalleresca per alcuni dei loro membri.
Finchè queste famiglie mantennero il controllo delle istituzioni popolari non
ci fu a mio parere bisogno di un concetto come quello di casastici et potentes.
La loro controparte politico-sociale erano semplicemente i nobiles o milites, i
lignaggi dell’aristocrazia urbana che avevano guidato il Comune in età conso-
lare e podestarile e quelli della nobiltà rurale che si erano inurbati in momenti
diversi della storia cittadina. L’uso della categoria, ben più ambigua e sfuggente,
di casastici et potentes acquista invece senso se inserita nel contesto degli anni a
cavallo tra Due e Trecento, quando l’iniziativa politica era passata nelle mani
di un gruppo di famiglie la cui fisionomia sociale si distingueva in maniera
abbastanza evidente da quella delle famiglie della vecchia élite popolare. Quella
categoria fu infatti utilizzata dalla fazione dei Rosciompelli per escludere dalla
competizione per le cariche più importanti buona parte della vecchia classe
politica popolare, e contestualmente per giustificare agli occhi della cittadinan-
za questa esclusione. Allo stesso tempo, la lista dei casastici et potentes era in un
certo senso il coronamento e la conclusione del discorso politico che la fazione
dei Rociompelli aveva elaborato a partire dai primi anni ’90, e che aveva accom-
pagnato attraverso successive trasformazioni, adattamenti e deviazioni il suo
percorso di affermazione. Le famiglie del Priorato, come abbiamo visto, si erano
accreditate come il «vero» Popolo in contrapposizione al «falso» Popolo delle
famiglie che avevano dominato l’Anzianato. Attraverso la cerna potentium queste
ultime venivano private di qualsiasi residuo di identità popolare, venivano sem-
plicemente collocate al di fuori dei confini sociali e politici del Popolo.
conclusioni
Per il valore periodizzante dell’occupazione della città da parte di Uguccione della Faggiola cfr.
Green, Castruccio Castracani, cit. e Id., Lucca Under Many Masters. A Fourteenth-Century Italian Commune
in Crisis (1328-1342), Firenze, Olschki, 1995.
P.A. Sorokin, La mobilità sociale, Introduzione di A. Pagani, Milano, Edizioni di Comunità,
1965.
E non solo per Lucca; a questo proposito, si veda per Pisa G. Ciccaglioni, Priores Antianorum,
primi tra gli Anziani. Criteri di preminenza, cicli economici e ricambio dei gruppi dirigenti popolari a Pisa nel XIV
secolo, in 1406: Firenze e Pisa. La creazione di un nuovo spazio regionale, a cura di G. Pinto, in corso di stampa.
184 Alma Poloni
L. Molà, La comunità dei lucchesi a Venezia. Immigrazione e industria della seta nel tardo Medioevo,
Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1994. Un’apertura verso un’interpretazione meno
pessimistica dell’economia trecentesca lucchese si trova anche in L. Green, Lucchese Commerce under
Castruccio Castracani, in «Actum Luce», XIII-XIV (1984), pp. 217-264 e Id., Lucca Under Many Masters,
cit., pp. 243-318.
APPENDICE I
COMPAGNIE INTERNAZIONALI PRENDITRICI DI CAMBIO.
ATTIVITÀ SULLA PIAZZA LUCCHESE*
Abbreviazioni
* Per non appesantire troppo le note, in particolare dei capp. III e IV, si è scelto di presentare in for-
ma tabellare nelle tre Appendici la documentazione relativa alle compagnie commerciali analizzate.
Le informazioni sono state organizzate per tipo di attività – acquisti, vendite, cambi, spedizioni – per
fornire un quadro sintetico dell’articolazione dell’impegno commerciale e finanziario di ogni società.
186 Alma Poloni
1a Acquisti
1303/03/27 lb. 59 onc. 10 zendadi forti bianchi l. 456 s. 4 d. 8 Terio Incapestra, Coscio
Diversi e soci
1303/09/28 lb. 38 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 408 s. 2 d. 5 Dino Tadiccioni, Lazario
de Fondora e soci
1306/03/24 lb. 58 onc. 8 zendadi forti bainchi l. 434 s. 2 d. 8 Dino Squete e soci
1309/01/28 lb. 171 onc. 8 zendadi forti bianchi l. 1545 Petruccio Borgognoni
1309/05/07 lb. 108 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 1016 s. 15 d. 4 Banduccio Bianchi
1309/07/21 lb. 114 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 1096 Vanni da Poggio e soci
1310/05/27 lb. 101 onc. 2 zendadi bianchi forti l. 961 s. 1 d. 8 Bandino Meliori e soci di
Firenze
1310/07/29 pz. 72 drappi veneziani l. 574 s. 10 Società Mozzi di Firenze
1311/01/28 lb. 21 onc. 3 zendadi forti bianchi l. 193 s. 18 d. 5 Lazario de Fondora e soci
1312/01/02 lb. 118 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 926 s. 18 d. 9 Ciomeo Clavari
1312/01/26 lb. 108 onc. 9 zendadi forti bianchi l. 967 s. 18 Pandoro di Quarto
1313/05/16 lb. 107 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 966 s. 15 Banduccio Bianchi
1314/05/11 lb. 31 onc. 8 zendadi forti bianchi l. 527 s. 11 d. 7 Banduccio de Gallo e soci
1b Vendite
1c Cambi
1305/07/02 l. 432 l. 8 grossi tornesi l. 54 per lira Provins Società Cino Margatti
tornese maggio e soci
1d Spedizioni
2. Società Mordecastelli
2a Acquisti
2b Vendite
2c Cambi
2d Spedizioni
3. Società Riccomo Martini, Done Anguilla e soci (dal 1304 società Guido
Martini, Done Anguilla e soci)
3a Acquisti
3b Vendite
1293/12/16 lb. 201 onc. 8 grana di Corinto l. 314 s. 11 Ghirardus cordarius e Lucchese
Bonoditi
1293/12/24 lb. 200 grana di Corinto l. 312 due tintori di zendadi
1301/05/09 lb. 629 onc. 8 grana di Corinto l. 692 s. 12 d. 8 Società Omodeo Fiadoni
e soci
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli; Not. 82, Bartolomeo di Gerardino Tacchi.
196 Alma Poloni
3c Cambi
3d Spedizioni
4a Acquisti
4b Vendite
4c Cambi
4d Spedizioni
1a Acquisti
1302/01/09 frd. 1 seta mista (con l. 261 s. 18 d. 8 Società Nerio Clari e soci di
Società Pagani) genovesi Firenze
1307/11/28 bl. 2 sete miste (con Società l. 2106 s. 8 d. 10 Società dei Mozzi di Firenze e
Pagani) Michele Gentile loro hospes
Fonti: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri; Not. 29, I, Gregorio di orlando Paganelli; Nott. 53, 54, 56, 57, 58, Tegrimo Fulceri.
200 Alma Poloni
1b Vendite
1303/05/24 lb. 6 onc. 6 qr. 1 orsorium crudo l. 41 s. 8 d. 1 Fazio di Mercato Boni e Puccio
Alluminati
1307/01/24 cop. 31 onc. 4 seta l. 319 s. 9 d. 2 Società Puccino del Bene e soci
Fonti: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri; Nott. 53, 54, 55, 57, 59, 60, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 201
2a Acquisti
1304/01/21 frd. 1 seta cattuia (con Società l. 874 s. 8 d. 9 Società Ciardo Iacobi e soci di
fratelli Rapondi) Siena
1309/07/14 cop. 116 onc. 16 seta cattuia l. 1118 s. 6 d. 8 Società Cecio e Metto Biliotti e soci
di Firenze
1310/03/31 cop. 114 onc. 15 seta cattuia l. 951 s. 7 d. 8 Società Cecio e Metto Biliotti e soci
di Firenze
Fonti: ASLu, Nott. 53, 54, 57, 58, 59, 60, Rabbito Toringhelli.
202 Alma Poloni
2b Vendite
2c Cambi
2d Spedizioni
3a Acquisti
3b Vendite
1303/01/08 lb. 153 onc. 2 zendadi forti l. 1133 s. 8 d. 8 Società fratelli Rapondi
bianchi
1306/03/24 lb. 58 onc. 8 zendadi forti bianchi l. 434 s. 2 d. 8 Società Omodeo Fiadoni e soci
Fonti: ASLu, Nott. 54, 56, Rabbito Toringhelli.
4a Acquisti
1294/08/13 ¼ di cop. 125 onc. 9 seta cattuia l. 219 s. 8 d. 1 Società Arrigo Bonanni e soci
di Firenze
1302/02/07 seta turchia l. 734 s. 9 d. 5 Società Minerbetti di Firenze
1302/02/28 cop. 109 onc. 22 seta chella (con l. 670 s. 9 d. 10 Società Cino Margatti e soci
Società Federigo Arnaldi e Betto
Saggine)
1302/03/14 lb. 22 onc. 5 seta sovana cruda l. 98 s. 10 d. 10 Società Coluccio Cenami e soci
1303/01/08 lb. 153 onc. 2 zendadi forti l. 1133 s. 8 d. 8 Società Peruccio Squete
bianchi (con Società Moricone
Moriconi – Admannato Pieri)
1303/01/10 lb. 26 onc. 1 seta de fregio cruda l. 189 s. 6 d. 2 Società Federigo Arnaldi e
Betto Saggine
1303/03/09 pz. 96 e ½ zendadi leggeri (con l. 386 Bonaccorso Clavari
Società Moricone Moriconi -
Admannato Pieri)
1303/05/23 cop. 113 onc. 17 seta (con Società l. 799 s. 3 d. 9 Società Tolomei di Siena
Moricone Moriconi - Admannato
Pieri)
1304/01/21 frd. 1 seta cattuia (con Società l. 874 s. 8 d. 9 Società Tolomei di Siena
Federigo Arnaldi e Betto
Saggine)
1308/03/08 lb. 98 onc. 8 seta de fregio cruda l. 567 s. 6 d. 8 Società Nardino Testa e soci
1308/03/18 lb. 53 onc. 7 zendadi bianchi forti l. 455 s. 9 d. 2 Società Freduccio Massarizie
e soci
1308/11/05 bl. 1 seta cattuia l. 1396 s. 12 Passamonte Passamonti
d. 8
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di orlando Paganelli; Nott. 53, 54, 55, 56, 58, 60, 62, 63, Rabbito Torringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 205
4b Vendite
1303/03/05 lb. 45 onc. 5 seta de fregio lombarda tinta l. 224 s. 16 d. 3 Società Corbolani
in vari colori (con Società Moricone
Moriconi – Admannato Pieri)
5a Acquisti
1304/09/03 cop. 152 onc. 4 seta cattuia l. 1057 s. 11 d. 4 Società fratelli Dati e soci
1305/03/20 cop. 222 onc. 9 seta chella l. 1123 s. 1 d. 3 Società Cino Margatti e soci
5b Vendite
1308/03/05 lb. 74 onc. 5 zendadi bianchi forti l. 628 s. 16 Società Omodeo Fiadoni e soci
1309/05/07 lb. 20 zendadi forti bianchi l. 188 Società Omodeo Fiadoni e soci
APPENDICE III
COMPAGNIE INTERNAZIONALI DATRICI DI CAMBIO.
ATTIVITÀ SULLA PIAZZA LUCCHESE
1b Vendite
1302/02/28 cop. 109 onc. 22 seta chella l. 670 s. 9 d. 10 Società Federico Arnaldi e Betto
Saggine con Società fratelli Rapondi
1304/01/15 cop. 119 onc. 4 seta turchia l. 851 s. 9 d. 11 Società Puccio Martini e soci
1310/09/04 cop. 117 onc. 7 seta chella l. 1401 s. 12 d. 8 Società Ghiandolfo Ghiandolfi e soci
1310/09/04 cop. 53 onc. 5 e mezzo seta l. 574 s. 16 d. 6 Società Dino Tadiccioni e soci
mista
1c Cambi
1d Spedizioni
1e Servizio di trasporto
1313/03/11 bl. 7 fiorini d’oro 3150 Società Michele Aimerigi e soci Nîmes
Fonti: ASLu, Nott. 62, 63, Rabbito Toringhelli.
212 Alma Poloni
2. Società fratelli Dati e soci (dal 1311 società Gialdello Sesmondi e soci)
2b Vendite
2c Cambi
2d Spedizioni
3. Società Appiccalcani
3b Vendite
3c Cambi
1. Fonti edite
Bandi lucchesi del secolo decimoquarto tratti dai registri del R. Archivio di Stato in Lucca, a cura di S. Bongi,
Bologna, Tipografia del progresso, 1863
(Il) Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini et al., Siena, Accademia senese degli
Intronati, 1931-1991
Cardon C., Il protocollo notarile di Orlando di Orlando Ciapparoni, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a.
1999-2000, relatore M. Tangheroni
(Il) cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano e M. Moresco, Torino, Lattes, 1935
Cianelli A.N., Dissertazioni sopra la storia lucchese, in Memorie e documenti per servire all’istoria del prin-
cipato lucchese, Tomo I, 1813
Codice diplomatico della repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Roma, Tip. del
Senato, 1936
(Il) Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel 1309-1310, a cura di M. S. Elsheikh, Siena,
Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002
(Le) croniche di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bongi, 3 voll., Lucca, Tipografia Giusti,
1892
Davidsohn R., Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin, Mittler und Sohn, 1908
Doehaerd R., Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l’Outremont d’apres les archives notaria-
les genoises aux XIIIe et XIVe siécles, 3 voll., Bruxelles, Palais des Academies, Roma, Academia
Belgica, 1941
Ferretto A., Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante
(1265-1321), 2 voll., Roma, Tip. Artigianelli di San Giuseppe, 1901-1903
Giovanni di Guiberto (1200-1211), a cura di M. W. Hall-Cole, H. C. Krueger, R. L. Reynolds, 2 voll.,
Torino, Editrice libraria italiana, 1939
Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M.W. Hall - H. C. Krueger - R.L. Reynolds, 2 voll.,
Torino, Lattes, 1938
Lanfranco (1202-1226), a cura di H.G. Krueger e R. L. Reynolds, Genova, Società ligure di storia
patria, 1951
Lettere dei Ricciardi di Lucca ai loro compagni in Inghilterra (1295-1303), edizione e glossario a cura di A.
Castellani, Introduzione, commenti, indici a cura di I. Del Punta, Roma, Salerno, 2005
Lettere volgari del secolo XIII scritte da senesi. Pubblicate e illustrate con documenti e annotazioni da C.
Paoli e da E. Piccolomini, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968
(I) Libri Iurium della repubblica di Genova, a cura di A. Rovere - D. Puncuh - E. Madia - M.
Bibolini - E. Pallavicino, 8 voll., Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio
centrale per i beni archivistici, 1992-2002
Michaëlsson K., Le livre de la taille de Paris l’an 1296, Göteborg, Almqvist, 1958
Oberto Scriba de Mercato (1186), a cura di M. Chiaudano, Torino, Editrice libraria italiana, 1940
Oberto Scriba de Mercato (1190), a cura di M. Chiaudano e R. Morozzo della Rocca Torino, Editrice
libraria italiana, 1938
218 Alma Poloni
Pegolotti F.B., La pratica della mercatura, edited by A. Evans, 2 voll., Cambridge (Mass.), The
Medieval Academy of America, 1936
Piton C., Les lombards en France et à Paris, Paris, Chempion, 1892-1893
(Les) registres de Grégoire IX, a cura di L. Auvray, Paris 1896-1907
(I) registri della cancelleria angioina ricostruiti da R. Filangeri con la collaborazione degli archivisti napoleta-
ni, 10 voll., Napoli, Accademia Pontoniana, 1950-1957
Seghieri M., Le pergamene di Vivinaia, Montechiari, San Piero in Campo (secc. XI-XIV), a cura di S.
Nelli, presentazione di A. Romiti, Lucca, Istituto storico lucchese, 1995
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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI
I numeri in corsivo rimandano alle pagine delle Appendici
Accettanti Francuccio, 175; Peracca, 175 Avvocati, famiglia, 152, 153, 170; Puccio
Acciaioli, famiglia e compagnia fiorentina, Normannini, 152, 153; Puccino
115, 117 Normannini, 187
Accon, 63 Baldesi Torino, mercante fiorentino, 115
Acri, 48n Bandetti Carduccio, 117, 118, 200; Ubaldo,
Aigues Mortes, 75, 124, 130 87, 118, 186-192
Aimerigi Gardo, 65n Bandino di Giovanni, mercante fiorentino,
Aimerigi Michele, 65n, 88, 98-99, 130, 187, 115
211 Barca Barchetto, 73; Bendinello, 170; Puccino,
Aleppo, 48 170; Rainaldello, 170
Aliotti Folchino, mercante di Firenze, 199 Bardi, famiglia fiorentina, 70
Alluminati Alluminato, 212; Puccio, 200 Bartolomeo, mercante lucchese, 45
Ammannato di Piero, 98 Baruffaldo di Compito, 167
Angiò Carlo I, 63, 66, 67, 70, 73, 85, 147 Battosi, famiglia e compagnia, 34n, 62n,
Anguilla Done, 92-93, 118, 195-196 112, 113, 114, 149, 196; Gherardo, 191;
Antelminelli, famiglia, 73, 169, 170; Bonuccio, Orlando, 62n
170; Davino, 152; Giovanni Ubaldi, 177; Bella (della) Giano, mercante fiorentino, 117
Guglielmo, 177 Belli Belluccio, 72
Antelminelli Gonella, ramo degli Antelminelli, Benenati Coluccio, 99-102, 212-214
Francesco, 178 Beraldi Giovanni notaio, 93; Ghilino, 191, 195,
Antelminelli Parghia, ramo degli Antelminelli, 198, 200
Giovanni, 152; Coluccio, 152 Bernardini Giuntino, 128n, 129
Appiccalcani, famiglia e compagnia, 89, 95, Berrettani da Barga, famiglia, 151, 153, 156,
96, 102, 113, 114, 214-215; Coluccio, 102; 162, 163, 170, 174; Ottobono giudice, 151
Filippo, 102; Pardo, 102 Bettori, famiglia e compagnia, 112, 113, 114,
Arcadipane Bonaventura, 187; Turello, 186 173, 178n, 182
Arecchi Nicoluccio, mercante di Siena, 130 Bianchi Banduccio, 88, 187, 188
Arnaldi, famiglia, 145, 146n, 147, 157, 158; Biliotti, mercanti fiorentini, Cecio, 89, 115,
Federigo, 95, 97, 98, 99, 102, 130, 158, 189, 191, 192, 198, 201; Metto, 89, 115, 189,
201-203 191, 192, 198, 201
Arnolfi Andrea, mercante di San Miniato, Boccadivacca Arriguccio, 197; Ghiandone, 73
191, 204 Boccansocchi Rustichello, 173
Arnolfini Arrigo, 74; Tedicio, 189 Bodono, mercante lucchese, 44
Arrigucci Ghetto, 188 Bologna, 184
Asquini, famiglia, 66, 145, 146n, 157, 169; Bonamico, mercante lucchese, 46, 50
Arrigo notaio, 66; Burnetto, 66; Coluccio, Bonanni Arrigo, mercante fiorentino, 117,
150, 158; Lando, 158 203; Martinosso, 189, 196
226 Alma Poloni
Bonaventure Betto, 150; Guccio, 204; Guido, Castro Lambri (de), mercanti milanesi,
150; Marraghino, 150, 162 Giovannino, 190; Michele, 196, 198
Boncompagni, mercanti senesi, Bartolomeo, Cenami Coluccio, 203; Puccio, 175
116; Lando, 116 Cenna, mercante lucchese, 39, 40-41, 42, 43,
Bondoni Vanni, mercante fiorentino, 199 45, 56
Boni Fazio, 101-102, 200; Mercato, 138n, Cerchi, famiglia fiorentina, 70
195, 208 Cerondi Coluccio, 187
Bonifacio VIII, papa, 171, 177 Cesarea, 79
Bonomi Luporo, 208 Champagne, fiere della, 44, 52, 55, 58-60, 62
Bonsignori, famiglia e compagnia di Siena, 64, 72, 73, 74, 75, 82, 84-85, 89, 92, 95,
114, 140n 99, 100, 101, 115, 119, 120-125, 130, 141,
Borgognoni Orlando, 208, 212; Petruccio, 187 143, 151, 189-192, 193, 194, 196, 197-198,
Bosco (del), famiglia, 170; Posarello, 151 209-210, 211, 213, 214, 215
Brabante, 126 Chiari, mercanti fiorentini, Cambino, 130;
Brancali Coscio, 212; Matteo, 202, 204, 211 Lapo, 114, 197; Nerio, 199
Brancasecchi Ceccoro, 152 Chiatri (da), famiglia, 181; Fralmo, 130;
Bruges, 127, 184 Gerardo, 53; Puccio, 170
Buggiano, 167n Ciabatto, notaio, 14
Buiamonti Betto, 62n; Forese, 152 Ciapparoni, famiglia, 169; Bacciameo, 152,
Buzolini Giovanni, 138n 170; Orlando, 170n
Cacciaguerre Bartolomeo, 87, 186-192; Cina, 79
Cacciaguerra, 87, 186-192 Clavari Bonaccorso, 88, 186, 200, 203; Ciomeo,
Caffa, 80 188; Filippo, 208; Ugolino, 99, 101, 207-
Callianelli Albertino, 73; Angioretto, 186; 211
Bettino, 195; Graziuccio, 87, 137; Matteo, Clavica (de) Stefano, 43, 44
187, 209 Compagni Cecco, mercante fiorentino, 117
Calveto Loterio, 46 Conciati Coluccio, 187
Camaiore, 159 Corbolani, famiglia e compagnia, 117, 119,
Capponi, mercanti fiorentini, 117; Arecco, 173, 182, 205, 209, 213
114; Cione, 114, 194, 199; Mico, 114 Corsi Baccione, 150
Cardellini Ubaldo, 65n Corsica, 40
Cardellini, famiglia e compagnia, 65n, 74, 75 Cortafugga di Panfollia, 43
Cari, famiglia, 182; Betto, 87, 186-192; Nicolao, Costantinopoli, 47, 48, 80
87, 186-192; Puccio, 94, 200, 205 Crimea, 80
Carincioni, famiglia, 25-26, 32, 34n, 54, 68, 70, Cristofani Deodato giudice, 97; Federico,
72, 145, 146n, 147, 172, 181 Benbuono, 152; Guido, 97-98, 205-206; Tagliapane,
25; dominus Bonagiunta, 70n, 170, 173; 97-98, 205-206; Tedora, 98
Carincione (capostipite), 25, 26, 41, 43, Damasco, 48
54, 64; Carincione di Bonagiunta, 170, Dardagnini, famiglia e compagnia, 160;
173; Coluccio, 26n, 186; Giovanni giu- Manfredi, 117, 138n; Coluccio, 138n;
dice, 26n, 173; Opizzo, 26n; Pietro, 173; Vermiglietto, 138n
Ranieri, 26n; Reale, 26n Dati, famiglia, 145, 146n, 157, 182; Bonturo,
Castagnacci Arriguccio, 186; Chello, 205; 97, 99-102, 113, 114, 124, 130, 158, 160,
Ghilino, 208 162, 163, 212-214; Vanni, 101, 102, 158,
Castelnuovo di Garfagnana, 151 212-214
Castracani, famiglia e compagnia, 34n, Diversi Coscio, 186; Dugoro, 194; Freduccio,
112, 113; Gerio, 167n, 173; Pillio, 152; 209; Lippo, 189
Savarigio, 189, 196 Doehaerd R., 15
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 227
Incapestra Arrigo, 207; Stefanello, 208; Terio, 198; Tedora, 27, 53; Ugolino, 23n, 150;
186 Vanni, 170
Laiazzo (Yumurtalik), 79, 80 Martinosso di Bonanno, 65n
Liena, famiglia, 182 Massa pisana, 167n
Lieti, famiglia, 152, 172; Coluccio, 152, 170; Mattafelloni Puccio, 188, 200
Dettoro, 170; Ricciardello, 170 Melanesi, famiglia, 61-63, 64, 68, 71, 72, 104,
Linguadoca, 89 145, 146n, 182; Benetto, 61; Iacobo, 61,
Linguaforbita Ubaldetto, 62n 62, 63; Salliente, 62, 63, 87-90, 92, 98,
Londra, 129 115, 118, 186-192; Vannello, 98
Loppa (de) Tommasino, 177 Messina, 39
Lotteringi, mercanti fiorentini, Cino, 196, 198; Migliori Bandino, 115, 117, 188, 189, 191,
Vanni, 192 192
Luporo di Bonomo, 101-102 Minerbetti, famiglia e compagnia fiorentina,
Maccaiori Bernarduccio, 188 115, 186, 199, 203
Maire Vigueur J. C., 34 Moccidenti, famiglia, 65n
Malafronte di Gerardo, 43 Molà L., 183, 184
Malpigli, famiglia, 67, 68, 153; Ranieri Montacollo, socio dei Fornari, 51
Salamoni, 152, 153; Moncello Salamoni, Montefeltro (da) Guido, 160
153 Montpellier, 40
Manenti Perfetto, 152, 162, 163 Mordecastelli, famiglia e compagnia, 66-68,
Mangialmacchi Aldibrandino, 87, 186-192; 70n, 71, 75, 90-92, 93, 104, 117, 118, 119,
Betto, 118; Francesco, 67; Michele, 177 128, 145, 146n, 151-155, 156, 157, 162,
Mar Caspio, 79, 81 163, 166, 167n, 168, 169, 170, 171, 172,
Mar Nero, 79, 80, 81, 82 173, 174, 177, 181, 194-195; Albonetto, 66,
Marcovaldi Ciato, mercante senese, 116 70n; Baldinetto, 67; Castello, 67; dominus
Maremma, 40 Dino, 152, 154, 167n; Faitinello, 66, 67,
Margatti, famiglia, 64, 145, 146n, 157; Dino, 92; Ghiddino, 153, 172; Ghisello, 66,
64; Freduccio (Cino), 64, 89, 95, 96, 153; dominus Gualfreduccio, 90, 152, 154;
99-101, 113, 114, 124, 129, 159, 207-211; Marcovaldo, 67, 90, 152; Moncello, 153;
Margatto, 64; Sandonese, 64 Nello, 90, 152; Nicolao, 67; Pannocchia,
Marsiglia, 124 67, 153, 154; Puccio 152, 153; dominus
Martini, famiglia, 21-24, 27, 32, 33, 34n, 35, Ranieri, 70n; Ranuccio, 67, 170
52, 53, 54, 68, 69, 70, 71, 72, 101, 102, Moriconi, famiglia e compagnia, 63-64, 71, 72,
104, 118 119, 128, 145, 146n, 147, 152, 128-129, 130, 145, 146n, 157; Arrigo, 63,
154, 155, 172, 181; Aldibrandino, 23n, 63; Datone, 63, 64; Lazario, 130; Nicolao,
53; Arrigo di Guido, 21, 22, 23, 24, 25, 63, 128, 160, 181; Orlando (Lando), 63,
53, 70n; dominus Arrigo, 70n; dominus 128, 160; Uberto, 63; Moricone, 98, 202
Bendinello, 152, 154, 170; Bonaccorso, Motrone, 124, 126n, 130
22, 23; Federigo (Bigoro), 70n, 92-93, Mozzi, famiglia e compagnia fiorentina, 70,
118, 197-198; Gualando, 70n; Guido di 89, 115, 117, 188, 189, 192, 194, 198, 199,
Arrigo, 23, 25, 70n; Guido di Martino, 201, 204
70n, 92-93, 154, 195-196; Guido di Munro J. M., 126, 127
Martino (capostipite), 23, 24, 26, 32, 41, Napoli, 72
43, 53, 54; Guiduccio di dominus Arrigo, Nîmes, 89, 90, 93, 99, 119, 130, 193, 195, 211
70n, 72, 152, 162; Lotto, 170; Martino, Noie Lippo, 99-101
70n; Orlando, 23n, 70n; Riccomo, 92-93, Oberto lucensis, mercante lucchese, 37-38, 41,
195-196; Rustichello (Tello), 92-93, 197- 42, 43, 45, 56
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 229
Onesti, famiglia, 24-25, 27, 32, 34n, 35, 52, Pescia (da) dominus Gerardo Inghifredi, 25
54, 55, 68, 69, 71, 117, 145, 146n, 147, Picchio caciaiolo da Puticciano, 162
153, 155, 172, 181; Benetto di Onesto, 27, Piccolomini, famiglia e compagnia di Siena,
49-50; Benetto di Dino, 197; Bonuccia, 140n
154; Dino, 72, 170; Fazio, 72; Francesco Pieri Admannato, 20, 212
giudice, 197; Gualterio, 49-50; Moccia, Pinello tintore, 40
153; Noradino, 24, 49; Onesto (capo- Pinochi Martino, 150
stipite), 24, 26, 41, 43, 54, 64; Tancredo Pisa, 160
causidicus di Onesto, 24, 49; Tancredo, Pistoia, 116, 171
154; Ughetto, 49-50; Vante, 72 Podio (de), famiglia, 30, 65n, 73, 154, 170;
Opizi, famiglia, 75, 158, 169, 181 Bernardino, 73; Chello Corradi, 151,
Opizi Malaspina, ramo degli Opizi, 75, 168- 154; Enrico di Tegrimo, 73; Enrico, 73;
169; Ardiccione, 169; Berguccia, 173; Marzucco, 73; Nicoloso, 186, 190, 199, 208;
Dino, 75; Guccio, 173; dominus Guglielmo, Orlandino, 73; Rainaldo, 73; Tegrimo, 30;
75; Guglielmo di dominus Opizo, 179; Vanni, 187, 190
Luto, 165n, 173n, 179; Opizuccio, 75; Podio (de) Porco, ramo dei de Podio, Chello,
Opizo giudice, 170, 173, 174; dominus 170; Iacobo, 73; Nerio, 152; Nicolao, 73,
Opizo miles, 75 151, 154; Ugolino, 154
Opizi Posarelli, ramo degli Opizi, Gerardo, Poggibonsi, 148
67, 68, 75, 92 Porcari (da), famiglia, 164-165, 168, 181;
Orbetello, mercante lucchese, 46 dominus Bonifazio, 165n; Ingherame, 165;
Ostia (da) Ugolino, legato apostolico, 30 Lando, 173; dominus Parente, 165n, 173n;
Paganelli, famiglia e società, 199; Gregorio, Parentuccio canonico, 165n, 177
186 Porcelli Bonaventura, 61; Enrico, 61; Falcone,
Paleologo Michele, 79 61
Palermo, 52 Porta (de) Tedicio, 74
Parenti Pieruccio, 191 Portovenere, 130
Parigi, 44, 82, 84, 93, 100, 101, 119, 124, 125, Prato, 148
129, 141, 184, 193, 196, 198, 210, 211, 214 Provanza Dino, 138n
Patasse Ciandoro, 187 Provenza, 89
Paxio, mercante lucchese, 39-40, 41, 42, 43, Puccio di Martino, 102
45 Raimondino Corso, mercante lucchese, 44
Pazzi Chierico, mercante fiorentino, 117 Ranieri dominus Ugolino, 175, 177
Pegolotti Francesco, 123 Rapondi, famiglia e compagnia, 27, 32, 54, 102,
Peloponneso, 48 145, 146n, 152, 155, 172, 181; Bartolomeo
Pera, 80 (Ciucco), 96-97, 172, 173, 203-205;
Peri, famiglia, 25, 27, 32, 52, 54, 69, 70, 71, Benvenuta, 27; Ceccorino, 170; Dino,
145, 146n, 147, 152, 153, 154, 155, 172, 172; Giovanni (Vannetto), 96-97, 172,
181; Baldinotto, 25n; Bandino, 25n, 150; 203-205; Rapondo (capostipite), 27, 41, 54;
dominus Bonifazio, 27, 70n; Guglielmo giu- Spalla notaio, 152, 153, 172; Tedora, 153,
dice, 25; dominus Moncello, 25n, 152, 154; 172; Tommaso di Rapondo, 27n
Pero di Sasso (capostipite), 25, 27, 54, 70n; Ravignani Ranuccio, 87, 186-192
Pero notaio, 25n, 152, 153, 170; Ranuccio Ricciardi, famiglia e compagnia, 31, 34n, 55,
di pero di Sasso, 25n; Ranuccio (Nuccio) 65, 73, 75, 105, 112, 113, 114, 121, 137,
di Pero notaio, 170; Sasso, 26, 43 138, 148, 149, 158, 182; Graziano, 65;
Peroni, mercanti fiorentini, Lapo 115, 117; Perfetto, 65; Ricciardo, 30, 31, 51, 52, 65
Pollastro, 115, 117 Rocca (della) Aliotto, 151
230 Alma Poloni