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Didattica e Ricerca

Saggi e studi
Alma Poloni

Lucca nel Duecento


Uno studio sul cambiamento sociale
Poloni, Alma

Lucca nel Duecento : uno studio sul cambiamento sociale / Alma Poloni. - Pisa :
Plus-Pisa university press, c2009
(Didattica e ricerca. Saggi e studi)

945.531044 (21.)
1. Lucca – Condizioni economiche e sociali – Sec. 13.-14.

CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa

In copertina: ???,
???

© Copyright 2009 by Edizioni Plus - Pisa University Press


Lungarno Pacinotti, 43
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ISBN 978 88 8492 655 5

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INDICE

PrefaZIONE 5

INTRODUZIONE 7

NOTA SULLE FONTI 13

1. Il panorama documentario lucchese del Duecento 13


2. Potenzialità e limiti delle fonti notarili per lo studio della storia economica lucchese 16

ABBREVIAZIONI 20

I. MOBILITÀ SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA TRA XII E XIII SECOLO 21


1. Percorsi di affermazione sociale 21
1.1 Populares in ascesa 21
1.2 Una scelta diversa 28
1.3 Questione di strategie 31
2. La rivoluzione commerciale di Lucca 36
2.1 Carriere eccezionali 36
2.2 Vermiglioni di Lucca 43
2.3 La rivoluzione della seta 46
2.4 Innovazioni organizzative e costi di transazione 55

II. CRESCITA ECONOMICA E MOBILITÀ SOCIALE NEGLI ANNI ’60 E ’70


DEL DUECENTO 61
1. Nuovi percorsi di affermazione sociale 61
1.1. Storie di mercanti 61
1.2 Ricchezza e influenza politica 68
1.3 Nobili mercanti 72
2. La «seconda rivoluzione commerciale» 77
2.1 Cicli economici 77
2.2 L’espansione del commercio genovese 78
2.3 L’espansione del commercio lucchese 81

III. LUCCA COME DISTRETTO INDUSTRIALE 87


1. Le società lucchesi tra Due e Trecento 87
1.1 Le compagnie internazionali: i prenditori di cambio 87
1.2 Le aziende a dimensione locale 93
1.3 Le compagnie internazionali: i datori di cambio 99
2. La riorganizzazione del sistema produttivo negli anni ’70 e ’80 del Duecento 102
2.1 Lucca e Firenze a confronto 102
2.2 Lucca come distretto industriale 105
IV.  DALL’ESPANSIONE ALLA CONTRAZIONE:
LE DUE CRISI DELL’ECONOMIA LUCCHESE 111
1. Cicli economici a cavallo tra Due e Trecento 111
1.1 La congiuntura negativa del 1294-1295 111
1.2 Gli anni neri 1305-1308 117
1.3 La ripresa del secondo decennio del Trecento 125
2. Il mondo politico e la crisi economica 131
2.1 Le disposizioni del 1308 131
2.2 Una nuova consapevolezza 135
2.3 Qualche confronto 140

V.  LA CRISI POLITICA A CAVALLO TRA DUE E TRECENTO 145


1. La costruzione delle parti 145
1.1 Guelfi moderati e guelfi radicali 145
1.2 La fazione dei Mordecastelli e i nobili 151
1.3 La fazione dei Rosciompelli e il Popolo 155
2. Una parte al potere 167
2.1 L’affermazione politica dei Priori 167
2.2 La radicalizzazione del conflitto 170
2.3 La parte nera al potere 174

CONCLUSIONI 183

APPENDICE I: COMPAGNIE INTERNAZIONALI PRENDITRICI DI CAMBIO.


ATTIVITÀ SULLA PIAZZA LUCCHESE 185
1. Società Omodeo Fiadoni e soci 186
2. Società Mordecastelli 194
3. Società Riccomo Martini, Done Anguilla e soci (dal 1304 società Guido Martini,
Done Anguilla e soci) 195
4. Società fratelli Martini 197

APPENDICE II: AZIENDE A DIMENSIONE LOCALE 199


1. Società fratelli Terizendi 199
2. Società Federigo Arnaldi e Betto Saggine 201
3. Società Peruccio Squete e Coscio Ventura 202
4. Società fratelli Rapondi 203
5. Società fratelli Cristofani 205

APPENDICE III: COMPAGNIE INTERNAZIONALI DATRICI DI CAMBIO.


ATTIVITÀ SULLA PIAZZA LUCCHESE 207
1. Società Cino Margatti e soci 207
2. Società fratelli Dati e soci (dal 1311 società Gialdello Sesmondi e soci) 212
3. Società Appiccalcani 214

OPERE CITATE 217


1. Fonti edite 217
2. Studi 218

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI 225


Prefazione

Quando, alcuni anni fa, Alma Poloni fece leggere a Giuseppe Petralia e a
me la sua tesi di dottorato sulle trasformazioni sociali e politiche a Pisa fra il
1220 e il 1330 circa, che sarebbe presto diventata un volume fondamentale per
capire il significato dell’avvento del “Popolo” in una grande città comunale ita-
liana, entrambi pensammo che avevamo finalmente trovato la ricercatrice che
sarebbe stata in grado di colmare una delle lacune più vistose degli studi sul
Medioevo toscano: la storia di Lucca nel Duecento e nel primo Trecento, fino
alle soglie della signoria di Castruccio. La squillante conferma della giustezza
di quella nostra intuizione è il presente volume (preceduto in verità da alcuni
saggi pubblicati in rivista), alla cui lettura spero d’invitare il maggior numero
di persone amanti dei buoni libri di storia.
Sono particolarmente lieto, innanzitutto, che il libro sia pubblicato dalla casa
editrice dell’Università di Pisa, perché è il frutto dell’impegno di una studiosa
che in quest’Ateneo ha conseguito sia la laurea sia il dottorato, e da qualche
tempo svolge la propria intensa attività di ricerca. Lungo questo percorso, Alma
Poloni è diventata insofferente delle tradizionali – e spesso artificiose – partizio-
ni fra la storia della politica e delle istituzioni e la storia dell’attività economica,
fra la ‘prosopografia’ delle singole famiglie e lo studio dei gruppi sociali e del
loro rapporto con la città. Al riguardo, la miglior presentazione di questo libro
è la “introduzione” scritta dall’autrice stessa: “i diversi cambiamenti sono ana-
lizzati nel loro complesso intrecciarsi e nel loro imperfetto sovrapporsi, come
elementi di un unico processo di trasformazione del tessuto sociale cittadino”.
Un processo – aggiungo io –, i cui protagonisti sono persone in carne ed ossa,
chiamate per nome e seguite nell’esercizio della loro attività economica e nel-
l’esplicarsi del loro impegno politico, con particolare attenzione, laddove possi-
bile, ai passaggi da una generazione all’altra, per mostrare che i figli non sono
mai uguali ai padri, perché diverso è il tempo in cui vivono.
D’altronde, il compito essenziale dello studioso di storia non è quello di
cogliere i mutamenti lungo il filo del tempo? Sono convinto che non vi sia stata
espressione più fuorviante per la nostra disciplina di quella, in voga qualche
decennio fa, di “storia immobile”. Nel corso del Duecento, Lucca vive uno svi-
 Mauro Ronzani

luppo tanto originale quanto incessante, le cui fasi sono efficacemente scandite
dai capitoli del libro, fino alla penetrante ricostruzione della “crisi politica a
cavallo tra Due e Trecento”, che è il suggello della ricerca di Alma Poloni.
Leggendo che l’affermazione della nuova magistratura dei Priori si compì
nell’anno 1300, allorché essi si affiancarono agli Anziani in un unico organi-
smo, nel quale portarono l’impronta del proprio guelfismo intransigente e dei
propri valori politici, mi è venuto in mente che in quello stesso anno è collocata
la famosa scena del canto XXI dell’Inferno, in cui l’“Anziano di santa Zita” è
portato a spalla dal “diavol nero” e quindi gettato violentemente nella pece bol-
lente della bolgia dei barattieri. Dante sapeva bene che il regime politico detto
poi dei Guelfi Neri era stato instaurato proprio in tale anno; e in poche terzine
ne condanna i comportamenti politici (“del no, per li denar, vi si fa ita”), e con-
temporaneamente irride alle devozioni religiose di cui esso amava presentarsi
come promotore.
Anche se nel libro di Alma Poloni questi ultimi aspetti non hanno molto
spazio, la sua ricostruzione della Lucca dell’anno 1300 e dintorni è così nitida e
convincente, da costituire una lettura obbligata per chiunque ami la città in cui,
allora come oggi, “ha loco il Santo Volto”.

Mauro Ronzani
Introduzione

Esiste una solida tradizione di studi sui radicali mutamenti politico-istituzio-


nali che interessarono le città comunali italiane nel corso del Duecento, e che
si manifestarono soprattutto nell’affermazione dei movimenti di Popolo. Esiste
un’altrettanto solida tradizione – che però trova oggi meno continuatori rispetto
alla precedente – di indagini sul ruolo centrale svolto dai mercanti e dalle com-
pagnie provenienti dalle città dell’Italia centro-settentrionale nella rivoluzione
commerciale duecentesca. Le due tradizioni presentano tuttavia pochi punti


La bibliografia su questa tematica è vastissima. Mi limito perciò qui a citare alcune recenti ras-
segne storiografiche nelle quali è possibile trovare ulteriori indicazioni di lettura: E. Artifoni, I governi di
«popolo» e le istituzioni comunali nella seconda metà del secolo XIII, in «Reti Medievali-Rivista», IV (2003/2),
disponibile in formato digitale all’indirizzo: http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/saggi/Artifoni.htm; Le
aristocrazie dai signori rurali al patriziato, a cura di R. Bordone, Roma-Bari, Laterza, 2004; G. Chittolini,
«Crisi» e «lunga durata» delle istituzioni comunali in alcuni dibattiti recenti, in Penale, giustizia, potere. Metodi,
ricerche, storiografie: per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. Lacchè - C. Latini - P. Marchetta - M.
Meccarelli, Macerata, Eum, 2007, pp. 125-154; A. Poloni, Fisionomia sociale e identità politica dei gruppi
dirigenti popolari nella seconda metà del Duecento. Spunti di riflessione su un tema classico della storiografia comu-
nalistica italiana, in «Società e storia», CX (2005), pp. 799-821.

Sembra che ci sia ormai un sostanziale accordo tra gli studiosi a limitare la definizione di «rivo-
luzione commerciale» alla riconfigurazione dei circuiti di scambio e alle radicali trasformazioni delle tec-
niche commerciali e finanziarie che caratterizzarono il «lungo Duecento»: P. Spufford, Money and its Use
in Medieval Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 240 e sgg.; G. Petralia, Moneta,
commercio e credito, in Storia d’Europa e del Mediterraneo. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, sez. IV, Il
Medioevo (secc. V-XV), vol. IX, Strutture, preminenze, lessici comuni, a cura di S. Carocci, Roma, Salerno,
2007, pp. 407-468. Questa accezione pare oggi riscuotere maggiore successo rispetto alla proposta di
estendere la definizione alla lunga fase espansiva che caratterizzò il basso Medioevo europeo dopo il
Mille, legata soprattutto a R.S. Lopez, La rivoluzione commerciale del Medioevo, Torino, Einaudi, 1975. Sul
ruolo degli italiani nella rivoluzione commerciale ducentesca si vedano le ancora valide sintesi di R. De
Roover, The Organization of Trade, in Cambridge Economic History of Europe, vol. III, Economic Organizations
and Policies in the Middle Ages, edited by M.M. Postan et al., Cambridge, Cambridge University Press,
1965, pp. 42-118; A Sapori, Le marchand italien au Moyen Age: conferences et bibliographie, Paris, Colin, 1952;
Y. Renouard, Gli uomini d’affari italiani del Medioevo, Milano, Rizzoli, 1973 (ed. orig. 1968), e gli inqua-
dramenti più recenti di M. Tangheroni, Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1996,
e P. Spufford, Power and Profit. The Merchant in Medieval Europe, London, Thames and Hudson, 2002.
 Alma Poloni

di convergenza. Con poche eccezioni, cioè, le ricerche sulla nascita e sull’evo-


luzione delle organizzazioni di Popolo e quelle sull’acquisizione da parte dei
mercanti italiani del sostanziale controllo dei circuiti commerciali e finanziari
internazionali sono procedute parallelamente senza incontrarsi. Questa diva-
ricazione è per certi versi sorprendente: i protagonisti dei due fenomeni infatti,
la «rivoluzione politica» del Popolo e la rivoluzione commerciale duecentesca,
sono in larga parte gli stessi.
Non è un caso che le due prospettive, quella politica e quella economica, si
riconcilino spesso nelle ricerche prosopografiche su singole famiglie, perché nei
percorsi biografici è impossibile districare lo stretto intreccio tra attività econo-
miche e impegno politico. Quella delle storie di famiglia costituisce tuttavia una
terza tradizione storiografica, che non ha trovato finora una vera integrazione con
le precedenti. Le indagini prosopografiche hanno messo in primo piano le strate-
gie individuali e familiari di promozione e di conservazione della posizione socia-
le, collocate su uno sfondo, quello costituito dal contesto politico ed economico
cittadino, che è spesso considerato come già dato. In genere le storie di famiglia
non hanno costituito un’occasione per ripensare il contesto stesso, anche per una
giustificata esitazione a procedere a generalizzazioni partendo da singoli casi.
Queste considerazioni valgono anche per Lucca, che oltretutto è una realtà
poco studiata per il Duecento, nonostante si tratti di una delle grandi potenze
industriali e commerciali dell’epoca, grazie al monopolio delle forniture di tes-
suti di seta alle corti europee e alle aristocrazie urbane e rurali. Per questa città
disponiamo comunque di buone indagini sui cambiamenti politici e sulla nascita
del movimento popolare. Disponiamo inoltre di interessanti ricerche, alcune


In effetti esistono lavori, comunque non molto numerosi, che affrontano tutti gli aspetti della
vita di una città: il commercio, l’agricoltura, l’artigianato, la politica, il fisco. In molti casi, tuttavia,
questi aspetti sono soltanto giustapposti, considerati separatamente, senza un interesse specifico per le
interrelazioni, per i rapporti tra i diversi ordini di fenomeni. Questa prospettiva si riflette nella struttura
dei libri, organizzata per capitoli separati, ognuno dei quali prende in considerazione un singolo aspet-
to. Per la Toscana, esempi di questo modo di procedere sono D. Herlihy, Pisa in the Early Renaissance.
A Study of Urban Growth, New Haven, Yale University Press, 1958 e Id., Medieval and Renaissance Pistoia.
The Social History of an Italian Town 1200-1420, New Haven, Yale University Press, 1967.

P. Pirillo, Famiglia e mobilità sociale nella Toscana: i Franzesi Della Foresta da Figline Val d’Arno (secoli
XII-XV), Firenze, Opus Libri, 1992; A. Carniani, I Salimbeni, quasi una signoria. Tentativi di affermazione
politica nella Siena del ’300, Siena, Protagon Ed. Toscani, 1995; R. Mucciarelli, I Tolomei banchieri di Siena.
La parabola di un casato nel XIII e XIV secolo, Siena, Protagon Ed. Toscani, 1995.

G. De Vergottini, Arti e «popolo» nella prima metà del secolo XIII, in Id., Studi di storia del diritto
italiano, a cura di G. Rossi, 3 voll., Milano, Giuffrè, 1977, vol. I, pp. 397-467 (ed. orig. 1943);
V. Tirelli, Lucca nella seconda metà del secolo XII: società e istituzioni, in I ceti dirigenti dell’età comunale nei
secoli XII e XIII, Pisa, Pacini Editore, 1982, pp. 157-231; Id., Sulla crisi istituzionale del comune a Lucca
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 

anche recenti, sulle maggiori compagnie e sui mercanti lucchesi attivi nelle
principali piazze europee, e non mancano le prosopografie familiari. I tre filoni
storiografici sono tuttavia rimasti praticamente estranei l’uno all’altro.
Questo libro è il tentativo di integrare le tre prospettive. Esso è cioè uno
studio sul cambiamento sociale che caratterizzò il Duecento lucchese, del
quale furono parte tanto il cambiamento economico quanto il cambiamento
politico, tanto la rivoluzione commerciale della seta quanto la rivoluzione
politica del Popolo, e anche il mutamento delle strategie di affermazione indi-
viduale e familiare e dei canali di mobilità sociale. I diversi cambiamenti sono
analizzati nel loro complesso intrecciarsi e nel loro imperfetto sovrapporsi,
come elementi di un unico processo di trasformazione del tessuto sociale
cittadino. L’attenzione specifica per le relazioni tra fenomeni di ordine diver-
so non conduce semplicemente a una sintesi tra le conoscenze sui mercanti
lucchesi e quelle sul locale movimento di Popolo. Ricollocate nel contesto
delle loro interazioni, sia l’espansione economica duecentesca che l’evoluzione
politico-istituzionale sono apparse in una luce in parte nuova. Il diverso punto
di vista, cioè, ha consentito di giungere ad alcuni risultati inediti tanto sulla
storia dell’industria e del commercio di Lucca quanto sulle vicende del Popolo
nella città toscana.
Come si è detto, numerosi studi hanno ormai chiarito l’importanza dell’in-
dustria serica di Lucca e il ruolo svolto dai mercanti lucchesi nel sistema degli
scambi internazionali. Ciò nonostante, alcune domande rimangono ad oggi
senza risposta. Quando (e perché) avvenne il decollo industriale e commer-
ciale di Lucca? Quale fu l’andamento dell’espansione economica lucchese nel
Duecento, si trattò di una crescita regolare e progressiva, come si tende a dare

(1308-1312), in Studi per Enrico Fiumi, Pisa, Pacini Editore, 1979, pp. 317-360; A. Poloni, Strutturazione
del mondo corporativo e affermazione del Popolo a Lucca nel Duecento, in «Archivio storico italiano», CLXV
(2007), pp. 449-486.

R.W. Kaeuper, Bankers to the Crown. The Ricciardi of Lucca and Edward I, Princeton, Princeton
University Press, 1973; I. Del Punta, Mercanti e banchieri lucchesi nel Duecento, Pisa, Plus, 2004; si
vedano inoltre i tanti studi di T.W. Blomquist, in particolare Commercial Association in Thirteenth-
Century Lucca, in «Business History Review», XLV (1971), pp. 157-178; Id., The Dawn of Banking in an
Italian Comune: Thirteenth-Century Lucca, in The Dawn of Modern Banking, Los Angeles, Yale University
Press, 1979, pp. 53-75; Id., The Early History of European Banking: Merchants, Bankers and Lombards of
Thirteenth-Century Lucca in the County of Champagne, in «Journal of European Economic History»,
XIV (1985), pp. 521-536.

T.W. Blomquist, The Castracani Family of Thirteenth-Century Lucca, in «Speculum», XLVI
(1971), pp. 459-476; Id., Lineage, Land and Business in the Thirteenth Century: the Guidiccioni Family of
Lucca, in «Actum Luce, IX (1980), pp. 7-29; G. Concioni, Lucani campsores: I Malagallia, in «Rivista di
Archeologia, Storia, Costume», Istituto Storico Lucchese, XXIII, 3-4 (1996), pp. 3-96.
per scontato, o piuttosto dell’alternarsi di fasi di forte accelerazione e di fasi
di minore dinamicità, secondo un modello più vicino a quello elaborato dagli
studiosi dello sviluppo delle economie capitalistiche? Come cambiò nel tempo
la struttura organizzativa delle attività industriali e commerciali? Quando (e
perché) si manifestarono i primi segnali di contrazione economica? Si trattò di
una crisi definitiva o soltanto di un ciclo negativo destinato a risolversi in un
tempo più o meno breve?
Almeno alcuni di questi interrogativi possono forse trovare una risposta se,
invece di considerare i mercanti lucchesi del Duecento soltanto come membri
di una più ampia comunità mercantile toscana, italiana o addirittura interna-
zionale, si tenta di ricostruire lo specifico tessuto sociale nel quale essi erano
pienamente inseriti – la società cittadina lucchese –, e soprattutto le sue trasfor-
mazioni nel tempo. Rispondere ai quesiti sopra formulati, a mio parere, non
contribuirebbe soltanto a un più preciso inquadramento della storia di Lucca,
ma anche a una migliore conoscenza del funzionamento dei fenomeni econo-
mici. Quelle domande riguardano infatti i meccanismi concreti e le dinamiche
profonde del cambiamento economico, collocati in una prospettiva storica.
Sulla rivoluzione commerciale disponiamo di importanti saggi interpretativi,
che hanno ormai chiarito i mutamenti strutturali che interessarono il complesso
dell’economia europea nel Duecento10. Si tratta di analisi di ampio respiro, che
tuttavia, proprio per la loro perfetta coerenza logica, possono a volte suggerire
l’idea che il cambiamento economico si imponga alle singole realtà sociali per
la sua stessa evidenza, che in qualche modo si autoalimenti, come una specie
di reazione a catena che una volta innescata risulta inarrestabile. Se le cose
stessero così, però, non si spiegherebbe perché alcune società furono radical-
mente trasformate dalla crescita del commercio internazionale, altre ne furono
toccate solo marginalmente. Per correggere questa distorsione prospettica può
quindi essere utile ripartire, invece che dal quadro strutturale generale, da una
specifico e delimitato contesto sociale, nel nostro caso quella di Lucca. Si può
cioè provare a calare il cambiamento economico nel più ampio cambiamento
sociale, ricostruire con pazienza le complicate relazioni che lo legano ai feno-
meni di mobilità sociale ascendente e discendente, ai mutamenti dei canali di
circolazione sociale, alle variazioni dei modelli culturali e politici. Questo meto-


Cfr. in particolare cap. I.2, cap. II.1, capp. III-IV.

D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1994
(ed. orig. 1990); Id., Capire il processo di cambiamento economico, Bologna, Il Mulino, 2006 (ed. orig. 2005).
10
De Roover, The Organization, cit.; Spufford, Money and its Use, cit.; Tangheroni, Commercio e
navigazione, cit.; Petralia, Moneta, commercio, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 11

do può forse contribuire a capire un po’ meglio il funzionamento complesso del


cambiamento economico in un determinato contesto storico.
Quella che si propone nelle prossime pagine è insomma una sorta di microa-
nalisi della rivoluzione commerciale duecentesca, che può utilmente integrare la
prospettiva macroanalitica finora prevalente. La stessa metodologia di ricerca è
probabilmente applicabile anche ad altre realtà cittadine. Gli interrogativi sopra
esposti rimangono per lo più aperti anche per altre città italiane che furono
in prima fila nell’espansione del commercio internazionale: si pensi alla stessa
Firenze, che pure ha beneficiato di un’attenzione e di un interesse di gran lunga
maggiori rispetto a Lucca.
Ma la scelta di studiare il cambiamento sociale ha portato acquisizioni in
parte nuove anche sui mutamenti politico-istituzionali che segnarono Lucca nel
corso del Duecento. Questa prospettiva ha messo in luce tra l’altro che forme
istituzionali apparentemente stabili e immutate nel tempo possono in realtà
assumere significati completamente diversi in diversi momenti storici, possono
cioè essere reinterpretate e riempite di nuovi contenuti per dare espressione a
profondi mutamenti dei rapporti sociali e dei modelli politico-culturali.
È il caso per esempio delle società del Popolo. A Lucca esse comparvero
nei primi anni del Duecento, e sono ancora attestate negli ultimi anni del
secolo11. Ma il senso di questa esperienza istituzionale era nel frattempo
cambiato completamente. All’inizio del secolo le società erano la principale
manifestazione di un importante mutamento delle strategie di affermazione
sociale, legato probabilmente a un’ostruzione dei normali canali di mobilità.
La loro fondazione fu infatti legata alla scelta, compiuta da un certo numero
di uomini e famiglie in ascesa, di puntare, per il miglioramento della propria
posizione sociale, sul rafforzamento delle reti di solidarietà e di cooperazione
orizzontale invece che sul tradizionale inserimento nelle strutture clientelari
di enti religiosi e casate aristocratiche12. Alla fine del Duecento, tuttavia, le
società del Popolo furono rifondate su basi politiche e ideologiche del tutto
nuove. Esse divennero il principale strumento di affermazione politica e di
creazione del consenso di un gruppo di famiglie dell’élite popolare insoddi-
sfatte dello spazio loro concesso all’interno del gruppo dirigente cittadino, e
in disaccordo con la linea politica adottata dai pochi che detenevano le leve
del potere13.

11
De Vergottini insiste infatti sulla lunga permanenza delle società del Popolo lucchesi: De
Vergottini, Arti e «popolo», cit. Si veda Poloni, Strutturazione, cit.
12
Cfr. cap. I.1.
13
Cfr. cap. V.2.
12 Alma Poloni

Le istituzioni politiche, però, erano a loro volta parte attiva nel cambiamen-
to sociale, ne condizionavano cioè in qualche modo la direzione14. Tornando
al nostro esempio, alla fine del Duecento la forte valorizzazione politica delle
società del Popolo da parte di una fazione interna all’élite popolare costrinse le
famiglie che aderirono a questa fazione non soltanto a una radicalizzazione in
senso popolare del linguaggio politico, ma anche a un repentino abbandono
dei modelli di distinzione sociale considerati tipici dell’aristocrazia cittadina.
Per contrasto, la fazione avversaria, composta da famiglie che avevano avuto
un ruolo di primo piano nell’affermazione e nel consolidamento del dominio
del Popolo, fu indotta a un rifiuto della cultura politica popolare che essa
stessa aveva contribuito a elaborare, e a una brusca accelerazione del processo
di fusione sociale e culturale con la nobiltà. La promozione delle società del
Popolo innescò dunque una serie di importanti trasformazioni non soltanto
delle identità politiche, ma anche della configurazione dello strato superiore
della società cittadina.
Tali vicende politiche, la disgregazione dell’unità dell’élite popolare, la
rifondazione delle società, erano a loro volta legate in modo complesso alle
conseguenze di lungo periodo di una fase di forte crescita economica che carat-
terizzò gli anni ’60 e ’70 del Duecento, ma anche ai primi effetti della crisi del
commercio internazionale degli anni ’90 dello stesso secolo e del primo decennio
del Trecento.
Tutto ciò apparirà più chiaro, spero, dopo la lettura del libro. Questa intro-
duzione intendeva soltanto dare una prima idea di quanto siano intrecciati i
tanti fili del cambiamento sociale, e di come ognuno di essi acquisti un nuovo
senso proprio all’interno di questi intrecci, che formano il disegno unico della
storia di Lucca nel Duecento.

Desidero ringraziare in primo luogo Mauro Ronzani, il quale ha seguito anche que-
sto lavoro con l’interesse e la partecipazione che ormai da più di dieci anni riserva alle
mie ricerche. Ringrazio anche Giuseppe Petralia, Jean-Claude Maire Vigueur, Andrea
Zorzi e Giovanni Ciccaglioni, con i quali in più occasioni ho avuto modo di confrontar-
mi sui contenuti di questo studio. Ho cercato di fare tesoro dei consigli e delle osserva-
zioni dei medievisti del Dipartimento di Storia dell’Università di Pisa, ai quali ho potuto
esporre le diverse fasi di questo lavoro in due «Seminari del mercoledì».

14
G. Ciccaglioni, Poteri e spazi politici a Pisa nella prima metà del XIV secolo, Pisa, ETS, in corso di
stampa e Id., Il mare a Firenze. Interazioni tra mutamenti geografici, cambiamenti istituzionali e trasformazioni eco-
nomiche del dominio fiorentino nel Quattrocento, in «Archivio storico italiano», CLXVII (2009), pp. 91-125.
Nota sulle fonti

1. Il panorama documentario lucchese


del Duecento

Per la prima metà del Duecento ogni indagine sulla società lucchese non può
che prendere le mosse dalle pergamene dei fondi diplomatici dell’Archivio di
Stato, dell’Archivio Arcivescovile e dell’Archivio Capitolare di Lucca. Questo
ricco materiale – si calcola che per il XIII secolo siano conservate negli archivi
lucchesi qualcosa come 10.000 pergamene – è quasi totalmente inedito. La sua
consultazione è facilitata dalla disponibilità, per quasi tutti i fondi, di regesti
abbastanza attendibili, che nel caso dell’Archivio di Stato sono fruibili anche
in formato digitale.
Su questa fonte poggia interamente la nostra conoscenza della vita politica
lucchese per quella fase. La documentazione pubblica emanata dal Comune
di Lucca fino a tutto il secondo decennio del Trecento è andata infatti quasi
interamente perduta. Una paziente ricerca all’interno dei fondi dell’Archivio
di Stato, dell’Archivio Arcivescovile e di quello Capitolare consente tuttavia
di rinvenire un certo numero di copie pergamenacee di verbali di assemblee
consiliari e provvedimenti delle diverse autorità politiche, estratte dai registri
della cancelleria del Comune su commissione di enti religiosi o privati cittadini
interessati a comprovare determinati diritti. Si tratta di un dossier documenta-
rio non ricchissimo, ma che permette comunque di ricostruire i mutamenti delle
istituzioni comunali e di identificare alcuni nomi di cittadini che si segnalano
per una particolare assiduità di presenza in posizioni di potere.
Le cronache non sono di grande aiuto per l’approfondimento delle dinami-
che sociali e politiche della prima metà del Duecento. Il panorama cronachistico
lucchese è povero: esso si riduce in pratica agli Annales di Tolomeo da Lucca


S. Bongi, Inventario del regio Archivio di Stato in Lucca, 4 voll., Lucca 1872.

Si tratta di circa novanta documenti, dei quali una decina soltanto per il periodo 1200-1250 e i
restanti per il periodo 1251-1310.
14 Alma Poloni

e alle Croniche di Giovanni Sercambi. Il frate domenicano Tolomeo Fiadoni fu


attivo nella seconda metà del Duecento, mentre Sercambi visse a cavallo tra
Tre e Quattrocento. Per la prima metà del XIII secolo entrambi si servirono di
cronache cittadine più antiche; una sola di esse si è conservata, ed è stata pub-
blicata da B. Schmeidler, con il titolo Gesta lucanorum, in margine all’edizione
degli Annali di Tolomeo.
L’opera di Tolomeo rispetta rigorosamente la struttura annalistica. Per ogni
anno egli affianca le notizie riguardanti Lucca a quelle – tratte dalle fonti più
disparate, che dimostrano la notevole cultura del frate – relative a personalità e
compagini politiche non solo toscane e italiane, ma anche dell’Europa occidentale
e del mondo orientale. Il lavoro si presenta come una sorta di collage che ambisce
a inserire le vicende lucchesi nella cornice più ampia di una storia universale. Le
notazioni su Lucca sono secche ed essenziali e, per quanto emerge dal confronto
con i Gesta lucanorum, molto fedeli alle fonti consultate dall’autore.
Del tutto diverso è il caso di Giovanni Sercambi. Personalità vivace, mossa da
un «ardente patriottismo» e da un «profondo sentimento civico», oltre che dalla
passione che gli derivava dall’essere egli stesso attivamente impegnato in politica,
Sercambi rilegge anche le vicende lucchesi della prima metà del Duecento nel-
l’ottica della sua personale interpretazione del senso profondo della storia passata
della sua città. La cronaca è scritta con un dichiarato intento pedagogico-dida-
scalico, per ammaestrare i lucchesi sulle conseguenze degli errori commessi dai
politici del passato e sulla necessità di mantenere alto il livello di vigilanza per
impedire che la città perda ancora la sua pace e la sua libertà. Per gli avvenimenti
più antichi Sercambi usa quindi le sue fonti con una certa libertà, spesso arric-
chendo il racconto di particolari e di colori funzionali al suo discorso.
I registri dei notai lucchesi conservati presso l’Archivio di Stato si fanno
abbondanti soltanto a partire dagli anni ’60 del Duecento. Per la prima metà
del secolo disponiamo però di una fonte per molti versi eccezionale. Si tratta
delle imbreviature del notaio ser Ciabatto, che coprono un lungo arco crono-
logico compreso tra gli anni ’20 e gli anni ’60, e occupano più di 30 registri
della serie LL dell’Archivio Capitolare di Lucca. Esse offrono uno spaccato


Tholomei Lucensis Annales, a cura di B. Schmeidler, MGH, SS, n.s., t. VIII, Berlin, 1930; Le croni-
che di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bongi, 3 voll., Lucca, Tipografia Giusti, 1892. Si veda O.
Banti, Di alcuni caratteri delle cronache medioevali e in particolare di quelle toscane dei secoli XII-XIV, in «Actum
Luce», XX (1991), pp. 7-27.

O. Banti, Giovanni Sercambi cittadino e politico, in «Actum Luce», XVIII (1989). Da questo arti-
colo sono tratte le citazioni virgolettate.

A. Meyer, Der Luccheser Notar Ser Ciabatto und sein Imbreviaturbuch von 1226/1227, in «Quellen und
Forschungen aus Italienische Archiven und Bibliotheken», LXXIV (1994), pp. 172-293; Id., Felix et
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 15

vivace della vita economica e sociale della città toscana nei primi decenni del
Duecento.
Fin dal XII secolo i mercanti di Lucca avevano un rapporto privilegiato con
Genova. I ricchi cartulari notarili genovesi sono le principali fonti sulle attività
commerciali dei lucchesi prima della metà del Duecento. In questo lavoro è
stata utilizzata soltanto la documentazione genovese edita. Per la seconda metà
del XII secolo e il primo decennio del XIII le imbreviature dei notai genovesi
sono in gran parte edite nella serie Notai liguri del sec. XII. Per i decenni successi-
vi numerosi documenti riguardanti lucchesi attivi a Genova sono segnalati negli
spogli documentari effettuati da A. Ferretto e R. Doehaerd.

Anche per la seconda metà del Duecento, come si è detto, non disponiamo
di documentazione pubblica. Le pergamene dell’Archivio di Stato, dell’Ar-
chivio Arcivescovile e di quello Capitolare rimangono fonti preziose per la
ricostruzione dei cambiamenti istituzionali e delle dinamiche politiche. Per
quanto riguarda le cronache, gli Annales di Tolomeo si arricchiscono per que-
sta fase di notizie di prima mano; per gli ultimi due decenni del secolo, inoltre,
la lettura di questa opera si fa più interessante. Frate Tolomeo era un Fiadoni,
apparteneva cioè a una delle famiglie a capo di una delle due fazioni politiche
che si scontrarono a Lucca negli anni ’90 del Duecento. La pars dei Fiadoni
era quella che nelle cronache – ma mai nella documentazione lucchese – viene
definita dei «guelfi neri», che nei primi anni del Trecento sconfisse e costrin-
se all’esilio i guelfi bianchi, rimanendo padrona della città e instaurando un
regime di parte10. Lo stile degli Annali rimane anche per questa fase molto
asciutto ed essenziale, ma la scelta delle notizie e la loro esposizione tradisce
in alcuni casi l’intenzione di costruire una memoria politicamente orientata
dei fatti dei quali l’autore stesso e la sua famiglia furono protagonisti di primo
piano.

inclitus notarius. Studien zum italienischen Notariat vom 7. bis zum 13. Jahrhundert, Tübingen, N. Niemeyer,
2000.

Cfr. cap. I.2.

Per le grandi potenzialità di questa fonte cfr. D. Abulafia, The Two Italies. Economic Relations
Between the Norman Kingdom of Sicily and the Northern Communes, Cambridge, Cambridge University
Press, 1977, pp. 3-30.

A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante
(1265-1321), 2 voll., Tip. Artigianelli di San Giuseppe, 1901-1903; R. Doehaerd, Les relations commer-
ciales entre Gênes, la Belgique et l’Outremont, 3 voll., Bruxelles, Palais des Academies, Roma, Academia
Belgica, 1941.

Per notizie biografiche su Tolomeo cfr. Schmeidler, Einleitung, in Tholomei Lucensis Annales, cit.
10
Cfr. cap. V.
16 Alma Poloni

Ma il panorama documentario lucchese degli ultimi decenni del Duecento


è dominato dalle imbreviature notarili conservate presso l’Archivio di Stato.
Alcuni notai lavorarono quasi esclusivamente per una clientela mercantile. È
il caso per esempio dei fratelli Fulcieri, dei quali si sono conservati tutti gli atti
rogati nel corso dell’anno 1284. Ma è il caso soprattuto di Rabbito Toringhelli,
che ha lasciato una trentina di registri che coprono praticamente l’attività
professionale di un’intera vita, dal 1302 fino agli anni ’30 del secolo. Gli atti
registrati da Rabbito sono in grande maggioranza transazioni commerciali: essi
ci offrono uno spaccato unico della vita economica di Lucca nei primi decenni
del Trecento.

2. Potenzialità e limiti delle fonti notarili


per lo studio della storia economica lucchese

Nel capitolo III le imbreviature notarili sono utilizzate per ricostruire il


quadro generale delle attività produttive, commerciali e finanziarie delle prin-
cipali aziende lucchesi attive tra Due e Trecento. Per valutare l’attendibilità
delle conclusioni che ne sono state tratte, è tuttavia necessario interrogarsi sulla
rappresentatività di questo tipo di fonte. Per il pieno Trecento i registri notarili
non sono in genere considerati fonti affidabili per lo studio della storia economi-
ca delle città toscane11. In quella fase i libri contabili delle compagnie avevano
valore legale, potevano cioè essere presentati nei tribunali cittadini per com-
provare diritti e pretendere la riscossione di crediti. Solo in pochi casi le ope-
razioni commerciali venivano anche registrate da un notaio, e in più si trattava
spesso di atti incompleti, imprecisi o volutamente ambigui12. È quindi opinione
corrente che, almeno dalla seconda metà del XIV secolo, lo studio delle attività
di una singola compagnia o di un sistema di aziende non possa fondarsi sulle
imbreviature notarili, e sia dunque impossibile in assenza di scritture contabili
o almeno della corrispondenza commerciale delle società.
La situazione di Lucca tra Due e Trecento è però significativamente diver-
sa, e non solo perché i registri notarili sono l’unica fonte giunta fino a noi, e la
rinuncia a utilizzarli comporta necessariamente la rinuncia a qualsiasi indagine
sulle compagnie lucchesi attive in quella fase. Per un uomo d’affari lucchese
della fine del XIII secolo o dell’inizio del XIV era vivamente consigliabile, se

11
Si veda il forte scetticismo espresso da Federigo Melis sulle fonti notarili: Sulle fonti della storia
economica. Appunti raccolti alle lezioni del Prof. Federigo Melis, a cura di B. Dini, aa. 1963-64, pp. 100-112.
12
Ibidem.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 17

non proprio obbligatorio, registrare le transazioni commerciali presso un notaio.


Negli anni ’80 del Duecento fu introdotta – o più probabilmente soltanto riba-
dita e rafforzata – nello Statuto del Comune di Lucca un’importante norma che
consentiva ai mercanti di ricorrere ai poteri coercitivi del podestà per riscuotere
i crediti che vantavano nei confronti di propri concittadini13. L’ufficiale doveva
provvedere alla cattura e all’incarcerazione del debitore, che poteva essere rila-
sciato soltanto dopo aver presentato fideiussori credibili che garantissero il suo
impegno a saldare il debito entro una data fissata dal podestà stesso. Scaduto
il termine, il debitore e i suoi fideiussori potevano essere di nuovo incarcerati
fino alla definitiva liquidazione della somma dovuta. Se l’insolvente non si pre-
sentava davanti al podestà veniva messo al bando, si procedeva alla stima dei
suoi beni, e il creditore veniva risarcito attraverso l’assegnazione di una parte di
essi valutata più o meno equivalente al debito. Questa rubrica rimase in vigore
anche dopo l’introduzione, nel 1308, di nuove disposizioni, che riguardavano
soltanto gli operatori forestieri14.
Nel capitolo statutario degli anni ’80 si sottolineava però con insistenza che
condizione imprescindibile perché l’operatore lucchese potesse esigere il suo
credito era che disponesse di un publicum instrumentum, di un atto rogato da un
notaio15. I mercanti avevano perciò cura di registrare scrupolosamente presso
un notaio tutte le compravendite a credito di materie prime – seta greggia e
coloranti – e di semilavorati – filato di seta, filo d’oro, zendadi e altri tessuti
bianchi da tingere – e tutti i cambi su piazze internazionali, in particolare sulle
fiere della Champagne, cambi che a Lucca rappresentavano il principale stru-
mento di finanziamento delle attività industriali. O comunque, era nell’interesse
degli uomini d’affari rivolgersi al notaio se non per tutte le operazioni almeno
per quelle più consistenti. Alcuni notai, come Rabbito Toringhelli, svilupparono
una vera e propria specializzazione per questo tipo di clientela, e maturarono
una notevole competenza tecnica e una grande precisione di linguaggio che
rendono le loro imbreviature particolarmente preziose. Per molte compagnie

13
Statuto del Comune di Lucca dell’anno MCCCVIII, a cura di S. Bongi e L. Del Prete, Lucca,
Tipografia Giusti, 1867, pp. 250-252.
14
Cfr. cap IV.2.
15
«Et si aliquis lucanus Civis, burgensis aut subburgensis vel habitator vel lucani districtus et
fortie vel quasi, vel aliunde undecumque sit, ab hinc in antea contraxerit vel fecerit aliquod debitum
de aliqua pecunia, cambio vel mercadantia, unde sit publicum instrumentum cum aliquo lucano Cive vel
burgense aut subburgense vel habitatore vel alio undecumque sit, teneatur lucanus Potestas et luca-
num Regimen talem debitorem capere vel capi facere ad requisitionem creditoris elapso termino [….];
dummodo primo constet lucano regimini de debito per publicum instrumentum» (Statuto del Comune cit., p. 250; il
corsivo è mio).
18 Alma Poloni

è dunque possibile ricostruire in maniera piuttosto accurata il quadro degli


acquisti, delle vendite e dei cambi sulle fiere.
Non credo invece che sia possibile, sulla base delle sole fonti notarili,
tentare una valutazione quantitativa del giro d’affari delle società lucchesi,
o addirittura ricostruire le variazioni nel tempo del volume della produzione
e degli scambi. Le imbreviature ci danno informazioni senz’altro attendibili,
ma anche frammentarie e incomplete. Per prima cosa, è probabile che le
operazioni di minore entità non fossero registrate presso un notaio. Ma il
problema più grave è costituito dal fatto che i cartulari giunti fino a noi non
rappresentano certo la totalità dei registri prodotti dai notai lucchesi attivi tra
Due e Trecento. Per capire questo punto possiamo fare un solo esempio. La
compagnia di Omodeo Fiadoni e soci all’inizio del Trecento comprava grandi
quantità di zendadi bianchi, che poi provvedeva a tingere e a vendere sui mer-
cati internazionali16. Il notaio di fiducia della società era Rabbito Toringhelli,
e nei suoi registri sono descritti numerosi acquisti da essa conclusi. È plausi-
bile però che in molti casi il notaio presso il quale registrare l’operazione fosse
scelto dal creditore, nel nostro caso dal venditore, che aveva senza dubbio
maggiore interesse del debitore a conservare memoria dell’operazione. Altri
acquisti di Omodeo Fiadoni e soci potrebbero quindi essere stati registrati
presso altri notai scelti dai fornitori della compagnia, e le cui imbreviature
non sono giunte fino a noi. Un ipotetico calo degli acquisti di zendadi bianchi
potrebbe quindi non dipendere da un ridimensionamento del giro d’affari
della società, e nemmeno da un riorientamento dei suoi interessi, ma sempli-
cemente dalla scelta di rivolgersi a nuovi fornitori che preferivano servirsi
presso un altro notaio.
C’è poi un intero ambito delle attività delle compagnie lucchesi che non
trova quasi alcuno spazio nelle imbreviature notarili, ed è quello delle loro
relazioni con le maestranze artigiane. I mercanti lucchesi si servivano di lavo-
ratori specializzati per torcere e filare la seta, facevano tessere, tingere, rifinire,
ricamare gli zendadi, ma di tutte queste attività, di come fosse organizzata
precisamente la produzione, di come fossero regolati i rapporti di lavoro tra gli
artigiani e i loro committenti, sappiamo purtroppo molto poco. Questa grave
lacuna è determinata probabilmente dai rapporti di forza del tutto sbilanciati a
favore dei mercanti. Come emerge da alcuni capitoli dello Statuto del Comune
di Lucca, in caso di contenzioso con un lavoratore la parola di un mercante
era spesso sufficiente a provare le sue ragioni17. In altre occasioni gli bastava

16
Cfr. cap. III.1.1.
17
Ecco un esempio: «Et illa persona, que receperit ab aliquo mercatore setam, lanam, sendada seu
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 19

probabilmente presentare testimoni oppure esibire i propri libri o altre scrittu-


re private. Gli accordi di lavoro tra i mercanti e gli artigiani perciò, salvo rare
eccezioni, non venivano registrati presso un notaio; per questo aspetto, pure
fondamentale, della vita economica lucchese la perdita dei libri aziendali costi-
tuisce un ostacolo insormontabile.

aurum ad laborandum vel filandum, si ipsam vel ipsum sub pignore dederit vel alienaverit, condenpne-
tur qualibet vice in soldis centum, credendo mercatori, si fuerit homo bone fame» (Statuto del Comune, cit.,
p. 208; il corsivo è mio).
20 Alma Poloni

ABBREVIAZIONI

ASLu Archivio di Stato di Lucca


AALu Archivio Arcivescovile di Lucca
ACLu Archivio Capitolare di Lucca
Dipl. Diplomatico, seguito dall’indicazione del fondo e dalla data della per-
gamena
Not. Archivio notarile, seguito dal numero della filza, dal nome del notaio,
dal numero della carta e dalla data
Doehaerd R. Doehaerd, Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l’Outre-
mont d’apres les archives notariales genoises aux XIIIe et XIVe siècles, 3 voll.,
Bruxelles, Palais des Academies, Roma, Academia Belgica, 1941; se-
guito dal numero assegnato al documento nell’edizione e dalla data
Ferretto A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la
Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), 2 voll., Roma, Tip. Artigianelli
di San Giuseppe, 1901-1903; seguito dall’indicazione del volume, dal
numero assegnato al documento nell’edizione e dalla data
Capitolo primo
MOBILITÀ SOCIALE E CRESCITA
ECONOMICA TRA XII E XIII SECOLO

Questo capitolo analizza i cambiamenti sociali, politici ed economici che


segnarono a Lucca i primi decenni del Duecento, attraverso le storie di alcune
famiglie che proprio grazie alla capacità di cogliere le opportunità offerte da
tali cambiamenti furono proiettate ai vertici della società cittadina. Nel primo
paragrafo l’affermazione dei movimenti popolari è messa in collegamento con
un’innovazione dei modelli di azione sociale, in particolare con la scelta compiuta
da molte famiglie in ascesa di puntare, per la propria affermazione nella società
cittadina, sul potenziamento delle reti di solidarietà e di cooperazione orizzon-
tali invece che, come accadeva tradizionalmente, sull’inserimento nelle strutture
clientelari dei potenti laici ed ecclesiastici. Nel secondo paragrafo si prendono in
considerazione i processi di sviluppo economico innescati a Lucca all’inizio del
Duecento dal decollo dell’industria serica. Si ritrovano in questa sezione alcuni
dei protagonisti del primo paragrafo. Diversi nuclei familiari che furono in prima
fila nella promozione dell’iniziativa popolare furono anche tra i primi a cogliere le
nuove opportunità offerte da un contesto economico internazionale in trasforma-
zione: furono, insomma, tra gli artefici della rivoluzione commerciale di Lucca.

1. Percorsi di affermazione sociale


1.1. Populares in ascesa

Nel 1216 Arrigo Martini era console dei treguani. Arrigo non era un giudi-
ce, e del resto per prestare servizio nei tribunali lucchesi non era richiesta alcu-
na particolare qualifica professionale. Dei tre consules che componevano le com-
missioni giudicanti, uno soltanto doveva essere un esperto di diritto. Dagli altri


ASLu, Dipl. San Ponziano, 1216 agosto 19.

Sul sistema giudiziario lucchese in questa fase cfr. C.J. Wickham, Legge, pratiche e conflitti. Tribunali
e risoluzione delle dispute nella Toscana del XII secolo, Roma, Viella, 2000, in particolare pp. 80-105.
22 Alma Poloni

due membri ci si aspettava che fossero dotati di una discreta cultura generale e
di una buona conoscenza delle leggi e delle consuetudini locali. Buona parte di
tali competenze potevano essere maturate nella quotidiana esperienza persona-
le di un qualsiasi agiato proprietario fondiario impegnato nella gestione e nella
valorizzazione del proprio patrimonio. Le varie curie cittadine erano state infatti
create una dopo l’altra in pochi decenni, alla fine XII secolo, anche per fare
fronte a un’impennata delle controversie riguardanti il possesso terriero, legata
alla rapida espansione del mercato della terra e delle rendite. Altri momenti che
consentivano al cittadino in vista di acquisire familiarità con le norme che rego-
lavano i contratti di compravendita e di affitto erano le frequenti convocazioni
tra i testimoni delle transazioni concluse da enti ecclesiastici e proprietari laici,
e l’impegno diretto come arbitro delle contese che non arrivavano nei tribunali
o per le quali i tribunali non erano giunti a una soluzione definitiva.
Per un cittadino lucchese e per la sua famiglia il servizio nelle corti cittadine
rappresentava la conferma di una solida posizione sociale, ma era in genere
anche il segno di un’ambizione politica. I consoli delle curie erano infatti a tutti
gli effetti ufficiali comunali, e l’analisi delle biografie dei lucchesi più in vista
mostra che questo incarico era spesso considerato una sorta di primo gradino
del cursus honorum. Nei primi decenni del Duecento in effetti i Martini sembra-
vano ben decisi a ritagliarsi uno spazio ai più alti livelli della politica cittadina.
Bonaccorso, probabilmente fratello di Arrigo, fu tra i protagonisti del movi-
mento popolare, che nel primo ventennio del Duecento, grazie all’appoggio
interessato della potente famiglia dei da Porcari, pareva destinato a sicuro suc-
cesso. Quella stagione si chiuse nel 1219 con l’arbitrato del legato apostolico
Ugolino da Ostia, che tentava di ripristinare lo status quo antecedente allo scop-
pio delle ostilità tra milites e populus. Tuttavia gli equilibri di potere erano ormai


Sulla grande vivacità del mercato della terra a Lucca alla fine del XII secolo cfr. C.J. Wickham,
Comunità e clientele nella Toscana del XII secolo. Le origini del Comune rurale nella Piana di Lucca, Roma, Viella,
1995, in particolare pp. 21-37.

Come mostrano bene anche le schede prosopografiche in R. Savigni, Episcopato e società cittadina
a Lucca da Anselmo II († 1086) a Roberto († 1225), Lucca, S. Marco Litotipo, 1996.

Nel 1211 Bonaccorso era uno dei Priori delle societates peditum (G. Tommasi, Sommario di storia
lucchese, in «Archivio storico italiano», serie I, X (1847), Appendice documentaria a cura di C. Minutoli,
pp. 10-12). Su queste vicende mi permetto di rimandare a A. Poloni, Strutturazione, cit; vedi anche De
Vergottini, Arti e «Popolo», cit.

R. Davidsohn data l’intervento del legato al 1217 (Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV,
Berlin, Mittler und Sohn, 1908, p. 11), ma senza addurre alcuna prova documentaria. Sappiamo però
per certo che Ugolino fu a Lucca nel 1219, ed è assai probabile che in quella occasione abbia emanato
il suo provvedimento: Les registres de Grégoire IX, ed. L. Auvray, 2 voll, Paris 1896-1907, n. 391, 1229
novembre 22, con trascrizione dell’atto del 28 luglio 1219 che attesta la presenza di Ugolino in città.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 23

irreversibilmente mutati, e nel primo consiglio generale attestato dopo il 1219,


quello del 1224, compaiono numerosi esponenti di famiglie in ascesa estranee al
gruppo dirigente consolare, tra i quali il nostro Arrigo e suo figlio Guido.
Quest’ultimo era destinato a una carriera politica folgorante, che coronò
con un successo forse perfino insperato le ambizioni del padre. Guido fu infatti
console maggiore – la più alta carica cittadina – per due anni di seguito, nel
1236 e nel 1237. È probabile tuttavia che questo exploit fosse legato ancora
alla scelta dei Martini di puntare sul Popolo. Dall’inizio degli anni ’30, infatti,
si assistette a una ripresa dell’iniziativa popolare, che sfruttava un momento
di indebolimento del gruppo dirigente cittadino causato da un grave conflitto
con il papato, e che culminò con una decisa affermazione del Popolo proprio
negli anni 1236-1237. Sul lungo periodo la scelta, che i Martini perseguirono
con tenacia e coerenza, di puntare sul Popolo – scelta non priva di rischi e che,
come vedremo, non era l’unica alternativa possibile per una famiglia in ascesa
nei primi decenni del Duecento – si rivelò vincente. I Martini furono infatti una
delle famiglie più in vista dell’Anzianato che governò la città dal 1255 ai primi
anni ’9010.
Le strategie perseguite da Arrigo e Bonaccorso Martini nei primi anni del
Duecento richiedevano una cospicua base economica, poiché la creazione di
una fitta rete di relazioni sociali, l’acquisizione di una buona cultura, l’esibizio-
ne di un certo stile di vita, come ogni altro investimento, assorbivano risorse e
avevano costi importanti. Per capire i meccanismi che portarono i Martini al
successo dovremmo dunque concentrarci su colui che nel corso della propria
vita aveva gettato le fondamenta economiche dell’affermazione sociale della
famiglia, il padre di Arrigo e Bonaccorso, di nome Guido. Di questo perso-
naggio, vissuto nella seconda metà del XII secolo, non sappiamo praticamente
nulla. Egli potrebbe però essere identificato con un Guido del fu Martino che
insieme al fratello nel 1184 ricevette in concessione libellario nomine dalla chie-
sa dei Santi Giovanni e Reparata un appezzamento non lontano dalla città di
Lucca, «ubi dicitur via mediana»11.
Come è noto, in area lucchese fin dall’inizio del XII secolo il libellus era una
forma contrattuale estranea ai rapporti tra proprietari e coltivatori dipendenti


AALu, Dipl. * O 36, 1224 ottobre 20.

ASLu, Dipl. S. Maria Corteorlandini, 1236 novembre 10; ASLu, Dipl. Miscellanee, 1237 febbraio 5.

Poloni, Strutturazione, cit.
10
Nel 1258 Aldibrandino di Arrigo fu vicario del podestà di Compito (ASLu, Dipl. Recuperate, 1258
luglio 31). Nel 1273 Orlando Martini fu Anziano (ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1273 agosto 17); la
stessa carica fu ricoperta nel 1284 da Ugolino (ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1284 maggio 30).
11
ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1184 marzo 25.
24 Alma Poloni

(per i quali era stato sostituito dal tenimentum). Esso veniva utilizzato invece
dai grandi proprietari soprattutto ecclesiastici per beneficiare famiglie di rilievo
del mondo cittadino e rurale che non lavoravano la terra con le proprie mani, e
che potevano in genere godere di un controllo pressoché indisturbato sul fondo
in concessione12. È del resto evidente che l’atto del 1184 si poneva al di fuori
di una logica strettamente economica. Il canone che Guido e il fratello erano
tenuti a versare annualmente non solo era molto basso (4 soldi), ma oltretutto
era in denaro, circostanza eccezionale nella lucchesia della fine del XII secolo,
quando la forte inflazione aveva ulteriormente accelerato la tendenza, rilevabile
fin dall’inizio del secolo, a convertire i canoni in denaro in rendite in natura13.
La concessione del 1184 era probabilmente uno strumento per attirare due
medi proprietari terrieri all’interno del sistema di relazioni che faceva capo
all’importante ente ecclesiastico cittadino. In molti casi del genere ciò che que-
sti parvenu avevano da offrire ai grandi proprietari ecclesiastici era il credito,
il denaro contante loro necessario per portare avanti la politica di recupero
dei beni trasferiti nel X e XI secolo nelle mani della piccola e grande nobiltà
locale14.
Nella Lucca dell’inizio del Duecento altre storie familiari sembrano fedel-
mente ricalcate su quella dei Martini. Di Onesto, vissuto anch’egli nella secon-
da metà del XII secolo, sappiamo ancora meno che di Guido del fu Martino,
ma i suoi discendenti, gli Onesti, furono una delle famiglie più potenti del XIII
e del XIV secolo. Uno dei figli di Onesto, Tancredo, fu causarum consul nel
1193, e nel corso della sua vita prestò servizio più volte nei tribunali cittadini15.
Per Tancredo, a differenza che per Arrigo Martini, gli incarichi nelle curie non
rappresentavano semplicemente una sorta di iniziazione al mondo della poli-
tica, ma una vera e propria specializzazione professionale. Egli era infatti un
esperto di diritto, e nelle fonti compare come causidicus. Tale qualifica indicava
una formazione bolognese, al contrario del titolo di iudex, che era conseguibile
attraverso una preparazione interamente locale16. Questa circostanza è indica-
tiva dell’ambizione di Onesto e delle sue notevoli possibilità economiche.
Anche gli Onesti, a quanto pare, scommisero per tempo sul Popolo. Nel
1224 Noradino, fratello di Tancredo, sedeva in consiglio generale accanto

12
P. Jones, Le terre del capitolo della cattedrale di Lucca (900-1200), in Id., Economia e società nell’Italia
medievale, Torino, Einaudi, 1980 (ed. orig. 1954), pp. 275-294.
13
È stato calcolato che nel periodo compreso tra il 1160 e il 1200 i prezzi sarebbero aumentati del
150% (Wickham, Legge, cit., p. 87).
14
Jones, Le terre, cit.
15
AALu, Dipl. * K 46, 1193 febbraio 18.
16
Wickham, Legge, cit., pp. 94-104.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 25

ad Arrigo e Guido Martini e ad altri personaggi provenienti dal loro stesso


ambiente17; dagli anni ’50 del Duecento gli Onesti fecero parte a tutti gli effetti
dell’élite dirigente popolare che si esprimeva nell’Anzianato18.
Pero del fu Sasso era probabilmente uno degli uomini più in vista della
Lucca dei primi decenni del Duecento. Anche di Sasso, e del modo in cui nel
corso della seconda metà del XII secolo egli aveva accumulato la ricchezza
che consentirà al figlio la sua straordinaria scalata sociale, non abbiamo alcuna
notizia. Pero fu particolarmente prolifico: le fonti hanno conservato memoria di
almeno sette figli giunti all’età adulta, tutti dotati dal padre delle risorse neces-
sarie per poter sfruttare al meglio le tante opportunità offerte dalla città nella
prima metà del Duecento. Uno di loro, Guglielmo, fu avviato alla professione
giuridica; un altro contrasse un matrimonio particolarmente prestigioso con la
figlia di dominus Gerardo Inghifredi da Pescia, esponente di una famiglia del-
l’aristocrazia rurale.
Anche Pero a partire dal 1215 compare più volte tra i consoli delle curie cit-
tadine come membro laico19. All’inizio degli anni ’30 fu console maggiore, come
si è detto la carica più alta alla quale un cittadino lucchese potesse aspirare in
quella fase20. Anche nel suo caso, come per quello di Guido Martini, è probabile
che questo risultato fosse stato possibile grazie alle forti pressioni politiche eser-
citate in quegli anni dal Popolo. Dagli anni ’50 i Peri furono in effetti una delle
famiglie più attive del gruppo dirigente popolare21. A partire dalla generazione
dei nipoti di Pero la famiglia si specializzò nella professione notarile.
Carincione del fu Gerardo è il capostipite di due influenti gruppi familiari
del XIII e XIV secolo, i Terizendi, discendenti da uno dei suoi figli, di nome
appunto Terizendo, e i Carincioni. Negli anni ’80 del XII secolo Carincione
comprava e vendeva terra nei dintorni di Lucca; nel 1184 fu console di uno dei
tribunali cittadini, la curia querimoniarum22. I suoi figli furono in prima fila nella
promozione dell’iniziativa popolare: nel 1206 Benbuono fu Priore di una delle

17
AALu, Dipl. * O n. 36, 1224 ottobre 20.
18
La prima attestazione della presenza della famiglia nell’Anzianato è del 1265: Il Caleffo Vecchio
del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini et al., Siena, Accademia senese degli Intronati, 1931-1991,
n. 864, 1265 luglio 7.
19
ASLu, Dipl. Serviti, 1215 marzo 20.
20
ASLu, Dipl. Serviti, 1232.
21
Nel 1265 tre figli di Pero – il giudice Guglielmo, Ranuccio e Baldinotto – sedettero contempo-
raneamente in consiglio generale (Il Caleffo Vecchio, cit., n. 864, 1265 luglio 7). Pero Peri fu consigliere
del consiglio del Popolo nel 1276 (AALu, Dipl. * V n. 62, 1276 agosto 23). Nel 1284 Bendino Peri fu
Anziano mentre Moncello Peri sedette in consiglio generale (ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1284 maggio
30). I notai della famiglia ricoprirono vari incarichi per il Comune.
22
ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1184 dicembre 29.
26 Alma Poloni

societates peditum, mentre il fratello Terizendo, che prestava servizio nelle corti
cittadine fin dal 1208, nel 1224 sedette in consiglio generale insieme a tanti
esponenti di famiglie appartenenti al suo stesso gruppo sociale23. Il convinto
impegno a favore del Popolo conquistò anche ai Carincioni un posto di diritto
all’interno del nuovo ceto dirigente che si delineò a partire dagli anni ’5024.
Mattafellone, capostipite dei Fornari25, era un contemporaneo di Guido del
fu Martino, di Onesto, di Sasso e di Carincione. Nel 1188 lo vediamo agire in
qualità di console del borgo di San Frediano accanto al Priore della chiesa di San
Frediano nell’atto di fondazione di una chiesa dipendente dall’importante ente
ecclesiastico lucchese26. Non abbiamo altre informazioni dirette su Mattafellone;
sappiamo tuttavia da notizie più tarde che egli possedeva diversi appezzamenti
sparsi sull’intero territorio delle Sei Miglia, affittati a coltivatori locali attraverso
la tipica forma di concessione perpetua in uso in area lucchese, il tenimentum27.
Nel 1235 inoltre Bonagiunta del fu Fornario, nipote ex filio di Mattafellone,
subaffittò a un contadino due fondi, uno dei quali dotato di un edificio abitabile,
posti «iuxta pratum quod dicitur Sancti Donati»28. La terra era di proprietà del
monastero di San Ponziano, del quale Bonagiunta era probabilmente livellario.
Il nuovo locatario era tenuto a corrispondere al monastero il canone annuale di 8
staia di grano, e in più doveva versare altre 12 staia direttamente a Bonagiunta.
Come abbiamo già visto nel caso di Guido del fu Martino, i Fornari dove-
vano al monastero una rendita decisamente inferiore a quelle correnti nella
prima metà del Duecento, e potevano perciò ricavare dalla terra in concessione
un discreto guadagno. È possibile che il rapporto con San Ponziano risalisse
proprio a Mattafellone.
Anche nel caso dei Fornari fu la generazione dei figli del fondatore delle for-
tune della famiglia, vissuti nei primi decenni del Duecento, a tentare la strada di
un’integrazione ai più alti livelli della società cittadina. Ugolino di Mattafellone
fu console dei treguani nel 1208 e ancora nel 123229. Probabilmente anche i

23
Tommasi, Sommario, cit., pp. 8-9; AALu, Dipl. +R 78, 1208 dicembre 24; AALu, Dipl. * O 36, 1224
ottobre 20.
24
Nel 1258 il notaio Reale Carincioni fu cancelliere del Comune (ASLu, Dipl. Archivio di Stato
Tarpea, 1258 febbraio 26). Nel 1265 Opizzo Carincioni sedette in consiglio generale (Il Caleffo Vecchio,
cit., n. 864, 1265 luglio 7). Nel 1277 Ranieri fu operarius del Ponte di San Pietro per il Comune (ACLu,
Dipl. B 13, 1277 marzo 23) e nel 1284 Coluccio fu consigliere del consiglio generale. Il giudice Giovanni
Carincioni fu Anziano nel 1292 (ASLu, Dipl. Santa Croce, 1292 marzo 5).
25
Il cognome si fissò a partire dal nome di un figlio di Mattafellone, Fornario.
26
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1188 febbraio 10.
27
ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1244 gennaio 14; ASLu, Dipl. Serviti, 1255 agosto 4.
28
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1235 gennaio 12.
29
ASLu, Dipl. S. Frediano, 1208 ottobre 13; ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1232 dicembre 30.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 27

Fornari furono impegnati nel fronte popolare: dagli anni ’50 infatti fecero parte
a tutti gli effetti del gruppo dirigente anzianale30.
Bonagiunta di Fornario sposò Tedora, figlia di Guido Martini e sorella di
Arrigo31. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo le famiglie di cui ci stiamo
occupando tendevano a ricercare alleanze matrimoniali quasi esclusivamente
nel proprio ambiente sociale. Per fare soltanto un altro esempio, Benetto di
Onesto sposò Benvenuta figlia di Rapondo, il capostipite eponimo dei Rapondi,
i quali presentano nei primi decenni del Duecento una storia familiare per molti
versi coincidente con quella degli Onesti, dei Martini, dei Peri e dei Fornari32.
Questa endogamia di gruppo potrebbe indicare che questi personaggi incon-
travano difficoltà nel compiere il passo decisivo verso l’accettazione all’interno
della ristretta cerchia delle famiglie che davvero contavano. Essa potrebbe cioè
essere il sintomo di una progressiva chiusura della militia cittadina agli apporti
dall’esterno, una reazione difensiva, riscontrabile anche in altre realtà comunali,
alla forte mobilità sociale dei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo33.
È interessante notare che l’unica eccezione alla regola endogamica, il matri-
monio di Bonifazio Peri con una nobile, legava i figli di Pero del fu Sasso a una
stirpe rurale da poco attiva in città, non a una famiglia dell’aristocrazia urbana.
In ogni caso l’endogamia, sommata ai meccanismi di esclusione messi in atto
dall’élite cittadina, tendeva a consolidare l’identità di gruppo, ulteriormente
rafforzata dalla coresidenza. Molti dei protagonisti di queste pagine vivevano
infatti nel borgo di San Frediano, cresciuto all’esterno della città murata e in
essa definitivamente inglobato soltanto con il completamento della nuova cer-
chia nel 1265. Mi pare insomma che si possa sostenere che nei primi decenni
del Duecento fosse diffusa tra le famiglie prese in considerazione nelle pagine
precedenti una vera e propria coscienza di gruppo, un dato essenziale per com-
prendere la formazione e l’evoluzione dell’esperienza popolare.

30
Ranuccio Fornari, figlio di Ugolino di Mattafellone, fu Anziano nel 1265 (Il Caleffo Vecchio, cit.,
n. 864, 1265 luglio 7). Nel 1275 dominus Enrico Fornari fu podestà del Comune di Buti (ASLu, Dipl. S.
Ponziano, 1275…01).
31
ASLu, Dipl. S. Croce, 1237 agosto 1.
32
ASLu, S. Giustina, 1209 gennaio 8. A quella data Rapondo era già defunto. Tommaso, fratello
di Benvenuta Rapondi, fu capitano dei Levati nel 1238 (ACLu, Not. LL 11, ser Ciabatto, c. 158r, 1238
gennaio 26). I Levati erano l’organizzazione popolare che negli anni ’30 aveva preso il posto della fede-
razione delle società dei pedites (Poloni, Strutturazione, cit). Anche i familiari di Rapondo quindi, come i
discendenti di Onesto, nei primi decenni del Duecento furono fortemente impegnati nella promozione
del movimento popolare.
33
Per la descrizione di un fenomeno simile in un’altra città cfr. A. Poloni, Trasformazioni della società
e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa, ETS, 2004.
28 Alma Poloni

1.2. Una scelta diversa


L’«opzione popolare» si rivelò con il tempo particolarmente remunerativa.
Tuttavia essa non era l’unica praticabile per i numerosi lucchesi che oltrepas-
sarono la soglia della visibilità documentaria a cavallo tra XII e XIII secolo.
Gli Incalocchiati, per esempio, seguirono un modello di affermazione del tutto
diverso da quello fin qui delineato. Essi discendevano da un tale Scalocchiato
del fu Guido, attestato a Lucca fin dagli anni ’50 del XII secolo34. Si tratta-
va a quanto sembra di una famiglia di proprietari terrieri piuttosto agiati,
con un patrimonio concentrato in quella che era quasi certamente la località
d’origine, Spinatico. Qui gli Incalocchiati erano anche livellari della chiesa di
Sant’Alessandro maggiore di Lucca per alcuni appezzamenti, subaffittati in
tenimentum a contadini del posto35.
Fin dai tempi di Scalocchiato la famiglia risiedeva proprio nella parrocchia
di Sant’Alessandro maggiore36. L’eponimo della famiglia era probabilmente un
notabile di Spinatico che decise di sfruttare i legami con l’ente ecclesiastico
lucchese per agevolare il proprio percorso di integrazione nella realtà cittadina.
Per gran parte del Duecento gli Incalocchiati continuarono a vendere, acquista-
re e affittare fondi quasi esclusivamente a Spinatico, un comportamento lontano
dalla diversificazione degli investimenti terrieri praticata dai lucchesi di ogni
ceto sociale. Siamo di fronte a una di quelle famiglie, provenienti dalle élites di
villaggio, che pur risiedendo in città mantenevano per molti decenni il centro
dei propri interessi nella località d’origine37.
A Lucca gli Incalocchiati fino al tardo Duecento non prestarono servizio nei
tribunali, non strinsero alleanze matrimoniali con altri gruppi familiari in asce-
sa, non presero parte in alcun modo alle varie fasi dell’affermazione del Popolo,
non intrapresero la professione notarile – uno strumento prezioso utilizzato da
molte famiglie per allargare il raggio delle proprie relazioni sociali – né la car-
riera giuridica. Essi gravitarono però nelle clientele di alcuni potenti enti eccle-
siastici, soprattutto la chiesa di Sant’Alessandro maggiore, ma anche il capitolo
cittadino e il monastero di San Ponziano38; da quest’ultimo nella seconda metà
del XII secolo avevano ricevuto a livello, per un canone anche in questo caso
puramente ricognitivo e in denaro, una vigna vicino alla chiesa di San Giovanni

34
ASLu, S. Giovanni, 1150 febbraio 3; ASLu, S. Ponziano, 1153 dicembre 31.
35
ASLu, Dipl. Certosa, 1233 settembre 20, 1234 agosto 2, 1234 agosto 19.
36
ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1150 febbraio 3.
37
Per altri casi cfr. Wickham, Comunità, cit.
38
Rapporti con San Ponziano sono attestati fin dall’epoca di Scalocchiato: ASLu, Dipl. S. Ponziano,
1153 dicembre 31.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 29

di Escheto, pochi chilometri a sud della città39.


Nel 1195 i figli di Scalocchiato acquistarono, per un prezzo decisamente
elevato (150 lire), la metà di una torre «una cum inferioribus et superioribus
seu cum accessionibus et ingressis eius et cum via et intratorio et ascensu et
descensu cum hominibus et armis et armatis et sine armis»40. Alla fine del XII
secolo le torri non erano ancora semplici status symbol, ma conservavano la fun-
zione militare tanto palese nel formulario utilizzato negli atti di compravendita.
Il documento potrebbe forse essere interpretato come un’attestazione indiretta
dell’ingresso degli Incalocchiati nella clientela armata di una delle famiglie
dell’aristocrazia cittadina, anche se al momento non sono in grado di portare
altre prove a conferma di questa ipotesi.
Un legame privilegiato con il mondo ecclesiastico sembra essere all’ori-
gine anche della fortuna dei Guerci. Non sappiamo nulla di questa famiglia
prima della comparsa nelle fonti di Bonaventura, attivo più o meno dall’inizio
degli anni ’20 del Duecento. Egli divenne il notaio di fiducia di vari enti reli-
giosi, prima della chiesa di Sant’Andrea in Gattaiola, poi del monastero di San
Quirico in Casale ma soprattutto, negli anni ’30 e ’40, del monastero di Santa
Giustina. Il successo che Bonaventura riscuoteva in questi ambienti era legato
senza dubbio alla sua professionalità ma, probabilmente, anche a una partico-
lare fama di devozione. Nel 1261 infatti il notaio si ritirò a vita monastica nel
monastero di San Michele di Guamo41.
Il figlio Arrigo, anch’egli notaio, ereditò la clientela del padre e probabil-
mente anche il suo sentimento religioso; nel suo testamento, redatto nel 1302,
dispose di essere seppellito «in ordine monacali» presso il monastero di San
Ponziano42. A partire dagli anni ’70-’80 del Duecento Arrigo era infatti passato
al servizio pressochè esclusivo di questo potente ente religioso. La speciale
devozione che era ormai una tradizione di famiglia non impedì al notaio di
realizzare alcune grosse speculazioni a danno di San Ponziano. Negli anni
’70, in un momento di grave difficoltà economica per il monastero, Arrigo e il
fratello Nicolo anticiparono i contributi fiscali che esso doveva al Comune di
Lucca, pagarono i suoi creditori e lo soccorsero con vari prestiti. Si rivalsero poi
incamerando terre, poderi e mulini, che il cenobio riuscì in seguito a recuperare
solo in parte43.

39
ACLu, Not. LL 12, ser Ciabatto, c. 133 v, 1240 gennaio 29.
40
ASLu, Dipl. Rocchi Burlamacchi (deposito), 1195 giugno 13.
41
AALu, Dipl. ++ T 93, 1261 luglio 15.
42
ASLu, Dipl. Spedale di San Luca, 1302 luglio 9.
43
ASLu, Dipl. San Ponziano, 1271 ottobre 29, 1274 febbraio 9, 1277 ottobre 19.
30 Alma Poloni

La storia di Bonaventura e di Arrigo mostra come l’ingresso nella clientela


di chiese e monasteri, sempre bisognosi di denaro liquido, portasse vantaggi
non solo in termini di prestigio sociale. Questi vantaggi potevano essere di tale
entità da rendere per alcuni poco interessante un impegno sul fronte politico:
anche i Guerci, come gli Incalocchiati, non si avvicinarono alle istituzioni popo-
lari fino agli anni ’90 del Duecento.
San Ponziano, grazie al suo vasto patrimonio terriero, alla sua influenza
a livello sovracittadino e alla sua forte domanda di credito, sembra proporsi
come uno dei principali poli di attrazione per i lucchesi che nei primi decenni
del Duecento tentavano di farsi una posizione. Un caso particolarmente signi-
ficativo è quello dei Volpelli, anch’essi strettamente legati al monastero almeno
dagli anni ’30 del Duecento, tanto che uno di loro, Albertino di Graziano, agiva
in veste di advocatus44. La famiglia era ben inserita negli ambienti ecclesiastici fin
dall’inizio del secolo: nel 1219 Rolandino Volpelli, su sollecitazione del vescovo
lucchese, donò al legato apostolico Ugolino da Ostia – che si trovava in città
per intervenire nello scontro armato tra milites e pedites che durava, con poche
interruzioni, ormai da due decenni – un terreno boscoso (silva) nella località di
Gattaiola, sul quale sarebbe dovuto sorgere il monastero femminile di Santa
Maria45. Sempre nella prima metà del secolo Guidone Volpelli si fece frate de
ordine fratrum minorum46.
La famiglia era inoltre vicina ai de Podio, un gruppo familiare aristocratico
con basi signorili in Versilia e una posizione politica di primo piano nel Comune
lucchese fin dagli ultimi decenni del XII secolo. Nel 1239 Gerarduccio Volpelli
dispose che alla sua morte Labro e gli altri suoi figli fossero affidati «in tutela
cura et mundio» al fratello, al suocero Morettino de Fondora e a Tegrimo de
Podio47.
Nei primi decenni del Duecento i Volpelli non si impegnarono attivamente
nello schieramento popolare. Tale disinteresse non si spiega però soltanto con
la posizione raggiunta all’interno delle reti di relazioni che facevano capo ai più
influenti enti religiosi lucchesi e a una potente stirpe nobiliare. Dall’inizio del
secolo i Volpelli erano legati alla famiglia del tintore Ricciardo48; quest’ultimo fu

44
ASLu, Dipl. San Ponziano, 1234 marzo 11, 1236 agosto 1, 1239 aprile 28 (Albertino Volpelli
avvocato del monastero).
45
Les registres de Grégoire IX, cit., n. 391, 1229 novembre 22, con trascrizione dell’atto del 28 luglio
1219. Per l’intervento di Ugolino nel conflitto tra i milites e il popolo lucchese cfr. Poloni, Strutturazione,
cit., pp. 477-478.
46
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1256 novembre 9.
47
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1239 febbraio 12.
48
Un Volpelli, nato probabilmente negli ultimi anni del XII secolo o nei primi del XIII, si chiama-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 31

il fondatore, insieme al fratello, di una delle compagnie commerciali più impor-


tanti d’Europa, che fornì i propri servizi finanziari al papato, agli Angiò e al re
d’Inghilterra49. Fin dalla sua costituzione, forse negli anni ’30, i Volpelli rappre-
sentarono insieme ai Ricciardi, ai Rosciompelli e ai Guidiccioni l’asse portante
della società. La prima attestazione della proiezione internazionale della compa-
gnia riguarda la presenza di un suo agente a Roma nel 1241. Mi sembra proba-
bile che i contatti dei Volpelli con le alte sfere ecclesiastiche abbiano avuto un
ruolo nell’introdurre la societas Ricciardorum nella cerchia dei prelati che ruotava
intorno alla corte pontificia. Nessuna delle famiglie fondatrici della compagnia
diede alcun contributo alla causa popolare, nè manifestò fino agli ultimi decenni
del Duecento alcuna significativa ambizione politica.
Gli affari assorbivano quasi totalmente tutti i maschi dei Ricciardi, dei
Volpelli, dei Rosciompelli e dei Guidiccioni, lontani da Lucca per gran parte
della loro vita. Ma è anche probabile che l’influenza e il prestigio assicurati
dall’appartenenza all’élite politica cittadina non sembrassero gran cosa a chi
frequentava le corti europee e godeva della fiducia degli uomini più potenti
del continente. È significativo che solo intorno alla metà degli anni ’90 del
Duecento, in sospetta coincidenza con l’inizio della grave crisi che di lì a poco
avrebbe portato la compagnia al fallimento, due delle famiglie dei «soci storici»,
i Volpelli e i Rosciompelli, mostrarono un improvviso quanto vivace interesse
per la politica locale. In pochi anni, come vedremo, esse conquistarono anzi un
ruolo di primo piano all’interno di un vertice politico largamente rinnovato50.

1.3. Questione di strategie


Le storie familiari narrate nelle pagine precedenti dovrebbero servire a
ricostruire il quadro delle diverse possibilità che si presentavano a un lucchese,
proveniente da un nucleo familiare estraneo agli strati più alti della società cit-
tadina, che tra gli ultimi anni del XII secolo e i primi anni del XIII si trovasse in
possesso delle risorse economiche necessarie per tentare un avanzamento della
propria posizione sociale. Purtroppo le tracce che la maggior parte di questi
uomini ha lasciato dietro di sè sono talmente labili che le lacune informative
devono necessariamente essere colmate con una buona dose di speculazione.
A mio parere comunque la scelta fondamentale che, soprattutto dall’inizio
del Duecento, essi si trovarono a compiere fu tra una dimensione essenzial-

va Graziano, nome appartenuto al padre del tintore Ricciardo, poi ricorrente nella famiglia Ricciardi
(ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1239 aprile 29).
49
R.W. Kaeuper, Bankers to the Crown, cit.; I. Del Punta, Mercanti e banchieri, cit.
50
Cfr. cap. V.
32 Alma Poloni

mente orizzontale e una proiezione prevalentemente verticale della propria rete


relazionale. Questa osservazione non va intesa in senso radicale; gli Onesti e i
Martini avranno senz’altro considerato un onore avere a che fare con esponenti
della nobiltà cittadina, così come è probabile che gli Incalocchiati e i Volpelli
entrassero quotidianamente in contatto con molte persone appartenenti al loro
stesso ambiente. Tuttavia famiglie come gli Onesti, i Martini, i Carincioni, i
Peri, i Fornari, i Rapondi e molte altre affidarono le proprie speranze di affer-
mazione sociale soprattutto al rafforzamento e all’allargamento delle reti di
solidarietà e di cooperazione orizzontale. Gli Incalocchiati, i Guerci, i Volpelli e
altri puntarono invece sull’inserimento nelle strutture clientelari soprattutto di
chiese e monasteri cittadini ed extracittadini, e forse anche – ma questo aspetto
ci sfugge quasi completamente a causa delle minori chance di conservazione
della documentazione prodotta dai laici – delle famiglie dell’aristocrazia urbana
e rurale.
Le due opzioni strategiche sembrerebbero davvero alternative. Nessuno,
a quanto pare, le praticò contemporaneamente: i lucchesi che scommisero sul
successo del Popolo non coltivarono le relazioni con gli ambienti ecclesiastici,
mentre quelli che preferirono l’integrazione nelle clientele di chiese e monas-
teri non fecero carriera nelle organizzazioni popolari. La ragione è del resto
facilmente intuibile: i primi due decenni del Duecento furono caratterizzati a
Lucca da una forte tensione interna, da una vera e propria guerra aperta tra
milites e Popolo, che conobbe episodi clamorosi come l’abbandono della città
da parte dei nobili per ben due volte, nel 1203 e nel 121451. In questa fase le
più potenti istituzioni religiose, il capitolo della cattedrale, le chiese collegiate, i
grandi monasteri erano ancora prevalentemente nuclei di potere dell’aristocra-
zia cittadina e rurale. In un contesto così conflittuale le scelte personali avevano
conseguenze pesanti che potevano condizionare il futuro di chi le compiva e
della sua famiglia.
L’opzione «verticale» era in un certo senso la più tradizionale, seguiva un
modello di avanzamento sociale largamente praticato in città e in campagna
nel Duecento come nei secoli precedenti. Merita invece qualche parola in più
l’opzione «orizzontale», che all’inizio del Duecento presentava forti elementi
di novità. L’esistenza di vincoli di solidarietà derivanti dalla convivenza in una

51
Questi episodi sono descritti con abbondanza di particolari dal cronista Giovanni Sercambi: Le
croniche di Giovanni Sercambi, cit., I, pp. 12-17. De Vergottini, Arti e «Popolo», cit., pp. 429-440; Poloni,
Strutturazione, cit., pp. 475-481. Il fenomeno del fuoriuscitismo dei milites in questa fase delle lotte
cittadine è analizzato da G. Milani, L’esclusione dal Comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città
italiane tra XII e XIV secolo, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 2003, pp. 74-81.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 33

vicinia, dalla frequentazione di una cappella, dall’abitudine a prestare servizio


militare in una stessa unità operativa di pedites non è un fenomeno ducentesco,
così come non può essere considerata una novità l’esistenza di veri e propri
spazi di azione collettiva. Si pensi per esempio alla partecipazione attiva dei
vicini alla vita della propria chiesa rionale, attestata fin dal XII secolo52, o alla
proliferazione delle confraternite. Queste forme di cooperazione orizzontale
avevano un’importante funzione sociale, rafforzavano la coesione, servivano al
mantenimento dell’ordine, fornivano reti di soccorso e di sostegno ai più deboli.
Tra gli ultissimi anni del XII secolo e i primi del XIII alcuni lucchesi, con una
scelta veramente di rottura rispetto al passato, decisero per la prima volta di
puntare su questa trama ampia ma fragile di relazioni per conquistarsi un posto
di rilievo nella società cittadina.
È difficile esagerare la portata di quella che può essere considerato una vera
e propria reinvenzione di queste reti di cooperazione, una ridefinizione totale
del loro significato e delle loro finalità. Questo processo ebbe il suo momento
principale nell’istituzione delle societates peditum, avvenuta a Lucca, secondo il
cronista Tolomeo, nel 1197. Le società imposero una forma più compiutamente
organizzata e una struttura gerarchica ai fluidi coordinamenti orizzontali di vici-
nia, trasformandoli in quadri di mobilitazione militare e strumenti di pressione
politica53.
Più o meno da quel momento l’opzione verticale e quella orizzontale diven-
nero difficilmente compatibili. Come abbiamo visto, esistono tracce della fre-
quentazione delle clientele ecclesiastiche da parte di personaggi come Guido di
Martino, capostipite dei Martini, e Mattafellone, progenitore dei Fornari, ma
sembra che i loro discendenti diretti non abbiano investito nel consolidamento
di questi rapporti.
Quali circostanze resero l’opzione orizzontale praticabile e anzi partico-
larmente attraente, introducendo in pochi anni una significativa variazione in
schemi di comportamento sociale largamente accettati? Una possibile risposta
va forse cercata nell’accentuata tendenza della militia cittadina a ripiegarsi su
se stessa, a «trasformarsi […] in una casta di privilegiati chiusa a ogni apporto
esterno», fenomeno osservabile in tutte le città comunali a partire più o meno

52
M. Ronzani, L’organizzazione della cura d’anime nella città di Pisa (secoli XII-XIII), in Istituzioni eccle-
siastiche nella Toscana medievale, a cura di C. Wickham - M. Ronzani - Y. Milo - A. Spicciani, Galatina,
Congedo, 1980, pp. 35-85. Per Lucca V. Tirelli, Lucca nella seconda metà del secolo XII, cit., in particolare
pp. 175-181.
53
Per una riflessione sullo sviluppo delle società del Popolo nel Duecento cfr. A. Poloni,
Disciplinare la società. Un esperimento di potere nei maggiori Comuni di Popolo tra Due e Trecento, in «Scienza e
politica», 37 (2007), pp. 33-62, a cui rimando per le indicazioni bibliografiche.
34 Alma Poloni

dal 1170-118054. Come scrive Jean-Claude Maire Vigueur, la chiusura della


militia è «uno dei punti più oscuri della storia comunale»55. Essa aveva probabil-
mente anche carattere difensivo, era determinata cioè dal timore che la mobilità
sociale di questa fase erodesse rapidamente i privilegi e i vantaggi materiali
legati alla status di miles.
L’integrazione nell’aristocrazia militare cittadina era stata l’esito più comune
dei percorsi individuali e familiari di ascesa sociale fino agli ultimi decenni del
XII secolo. Quella che abbiamo definito «opzione verticale» aveva avuto come
naturale punto di arrivo l’ingresso nei ranghi della militia, ma alle soglie del
Duecento la strada doveva apparire più in salita rispetto a cinquant’anni prima,
e la ricompensa finale assai più incerta. In un contesto del genere, l’«opzione
orizzontale» si proponeva come una possibile alternativa. Essa aveva un costo
molto alto in termini di risorse umane ed economiche, poichè richiedeva la
messa a punto di complesse strutture organizzative e l’elaborazione di strumenti
culturali e ideologici in grado di mobilitare ampi strati della popolazione citta-
dina; in un certo senso, essa sarebbe rimasta decisamente «antieconomica» se il
prezzo dell’integrazione nella militia non fosse anch’esso nel frattempo cresciuto
fino a livelli difficilmente accettabili.
D’altra parte, nei primi anni del Duecento l’opzione orizzontale poteva
apparire un buon investimento anche perchè i suoi costi potevano ora essere
ripartiti tra un alto numero di partecipanti all’impresa. L’impressione è infatti
che in quel momento si fosse creato un vero e proprio ingorgo, senza prece-
denti nella storia comunale lucchese, di «uomini nuovi» in possesso delle risorse
necessarie a migliorare la propria posizione sociale56. Tra XII e XIII secolo si
era cioè formata una concentrazione di individui e famiglie in ascesa, che eser-
citava una pressione sempre più forte sulla barriera che la separava dai livelli
più alti della società cittadina. Questo fenomeno era forse legato a un’accele-

54
J.C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna, Il
Mulino, 2004, in particolare pp. 427-508; la citazione da p. 473.
55
Ibidem., p. 472.
56
Come si è visto, molte delle famiglie protagoniste delle vicende duecentesche e trecentesche
sono riconducibili a un antenato che fece fortuna nei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo. Oltre
a quelle citate nelle pagine precedenti, altre famiglie compaiono sulla scena cittadina in questa fase:
è il caso, per fare soltanto gli esempi più noti, dei Ricciardi, dei Battosi (Del Punta, Mercanti, cit.,
pp. 141-151 e pp. 218-222), dei Guidiccioni (Blomquist, Lineage, Land, cit., pp. 7-29), dei celeberrimi
Castracani, famiglia a cui appartenne il futuro signore di Lucca Castruccio (Id., The Castracani Family
of Thirteenth-Century Lucca, in «Speculum», XLVI (1971), pp. 459-476). I Battosi seguirono un percorso
per molti versi simile a quello degli Onesti, dei Martini, dei Carincioni, puntando sulle organizzazioni
popolari fin dall’inizio del Duecento, mentre i Ricciardi, i Guidiccioni e i Castracani scelsero percorsi
meno lineari, e sembrano più vicini a famiglie come gli Incalocchiati o i Volpelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 35

razione del ritmo della mobilità sociale, dovuta alla crescita economica. Ma il
fattore decisivo fu probabilmente l’ostruzione dei normali canali di circolazione
sociale, che impedì che la pressione si allentasse incanalandosi in correnti rego-
lari e controllate, benchè intense, di mobilità sociale. Il blocco fu determinato,
come si è detto, dall’irrigidimento sociale, politico e culturale della militia. In
ogni caso, è evidente che la rilevanza numerica del gruppo coinvolto non è una
considerazione secondaria per chi cerchi di valutare gli elementi che a un certo
punto resero credibile l’idea di puntare sullo sviluppo delle relazioni orizzontali
come strumento di affermazione sociale e politica.
Quanto detto sinora ha molti punti di contatto con le osservazioni di Chris
Wickham sull’origine dei comuni rurali nel territorio lucchese57. Secondo lo
storico inglese, una delle possibili spiegazioni della nascita e del consolidamento
delle istituzioni comunali nelle campagne è una variazione del comportamento
delle élites di villaggio, le quali, a partire più o meno dalla seconda metà del XII
secolo, e con cronologie differenti da luogo a luogo, cominciarono a valorizzare
le relazioni sociali orizzontali a scapito di quelle verticali come strumenti di
potere e di controllo sulla società locale. I primi comuni rurali erano guidati
da uomini appartenenti a «quello strato di proprietari locali o di affittuari che
aveva appena rinunciato al tentativo di ascendere al gradino più basso dell’aris-
tocrazia». La fisionomia sociale di questi notabili non era in fondo radicalmente
diversa da quella degli Onesti, dei Fornari, dei Martini, anche se l’ambiente
cittadino offriva a questi ultimi una gamma più ampia di opportunità.
La nascita dei comuni rurali, e tanto più la creazione in città delle organiz-
zazioni popolari, riflettono mutamenti nel modo di concepire la partecipazione
politica e il rapporto con il potere che non possono certo essere ridotti alle
strategie di affermazione di una ristretta élite. Questi aspetti però, almeno per
quanto riguarda il Popolo, sono stati ampiamente indagati dalla storiografia58.
È forse opportuno cominciare a riflettere anche sul fatto che la formazione dei
movimenti popolari si inquadra in un più ampio e generale processo di trasfor-
mazione dei modelli di azione sociale, che seguì dinamiche molto simili nelle
città e nelle campagne. Tale processo fu probabilmente connesso agli sviluppi
macroeconomici del XII secolo, ma soprattutto alla progressiva definizione giu-
ridica e culturale delle aristocrazie cittadine e rurali. L’argomento richiederebbe
tuttavia uno studio approfondito che esula dai più limitati interessi di questo
lavoro.

57
Wickham, Comunità, cit., soprattutto pp. 246-247.
58
Per una rapida analisi della produzione storiografia su questi temi rimando a A. Poloni,
Fisionomia sociale e identità politica, cit.
36 Alma Poloni

Come abbiamo visto, alcuni lucchesi continuarono anche all’inizio del


Duecento a preferire l’opzione verticale. In effetti il successo delle inizative popo-
lari non era scontato, e per diversi decenni il conflitto tra milites e pedites conobbe
alti e bassi. È possibile che i cittadini dell’epoca, pur rendendosi conto del res-
tringimento degli spazi di ascesa sociale e della difficoltà di farsi accettare in una
cerchia che si faceva sempre più esclusiva, non avessero una chiara coscienza
della portata del fenomeno della chiusura della militia, che appare invece evidente
allo sguardo dall’alto dello storico. In ogni caso, anche se non era più l’anticamera
dell’integrazione nell’élite cittadina, la penetrazione nelle reti clientelari aristocra-
tiche e soprattutto ecclesiastiche portava ancora cospicui vantaggi in termini di
prestigio sociale, ma anche di opportunità economiche, grazie alle concessioni di
terre a canoni «di favore» e alla possibilità di sfruttare la domanda di credito degli
istituti religiosi. Qualunque fosse il motivo che spinse alcune famiglie a rimanere
estranee alle iniziative popolari, questa scelta precluse a molte di esse l’accesso al
nuovo gruppo dirigente che si impose dalla metà del Duecento. Una nuova fines-
tra politica si sarebbe aperta soltanto negli anni ’80-’90 del secolo59.

2. La rivoluzione commerciale di Lucca


2.1. Carriere eccezionali
Nelle pagine precedenti si è fatto riferimento a mutamenti del ritmo della
mobilità sociale nella seconda metà del XII secolo, che costituiscono lo sfondo
di tutte le storie familiari che stiamo prendendo in considerazione. Vorrei ora
tentare di osservare un pò più da vicino questo sfondo, anche se esso ci apparirà
sempre sfocato a causa delle insuperabili carenze documentarie.
Come è noto, Lucca fu una delle città italiane protagoniste della rivoluzione
commerciale. Vorrei però anticipare fin d’ora che, a mio parere, il commer-
cio internazionale ebbe una parte secondaria nel dinamismo economico della
seconda metà del XII secolo. Per i lucchesi dotati di mezzi l’impegno in questo
campo divenne una prospettiva da prendere seriamente in considerazione sol-
tanto a partire dall’inizio del Duecento.
Dal punto di vista documentario Lucca è favorita rispetto ad altre città
comunali grazie ai suoi rapporti particolarmenti stretti con Genova. Anche nel
pieno del «boom» economico duecentesco l’accesso al porto ligure e le relazioni
con gli operatori genovesi erano vitali per i mercanti lucchesi, poichè rappre-

59
Cfr. cap. V.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 37

sentavano l’indispensabile collegamento con le rotte mediterranee. I registri


genovesi, una fonte unica in Europa per lo studio della struttura degli scambi
internazionali nella seconda metà del XII secolo, consentono di avanzare alcune
ipotesi sui caratteri della presenza dei lucchesi sull’importante piazza commer-
ciale, e soprattutto sull’evoluzione nel tempo di tali caratteri60.
Mercanti lucchesi sono attestati a Genova fin dalla metà del XII secolo,
anche se soltanto a partire dagli anni ’80-’90 essi cominciarono a segnalarsi
tra i più vivaci protagonisti del mondo degli affari genovese61. Per gli anni ’50
e ’60 merita di essere ricordata la brillante riuscita del lucchese Oberto. Il suo
successo fu legato alla duratura relazione d’affari con Baldezone Ususmaris,
membro di una delle più potenti e ricche famiglie dell’aristocrazia genovese. Il
rapporto societario tra Baldezone e Oberto, indicato nelle fonti genericamente
come societas, si presenta nella forma di una società di mare, o commenda bila-
terale: il socius stans, Baldezone, forniva i due terzi del capitale, mentre il socius
negocians, Oberto, investiva una somma pari a un terzo del totale, in aggiunta
all’impegno diretto per far fruttare il capitale nei viaggi per mare. Il profitto
finale doveva essere diviso a metà tra i due contraenti62. Il lucchese dunque
non era un mercante alle prime armi privo di mezzi, ma aveva risorse personali
che desiderava impiegare nella società. Le attività di Baldezone e Oberto sono
attestate in cinque documenti redatti tra il 1159 e il 1164, ma è probabile che il
rapporto societario sia proseguito oltre quella data63; le fonti genovesi presen-
tano infatti un’interruzione tra il 1165 e il 1178.
Nel 1159, nel 1160 e nel 1164 furono redatti bilanci provvisori, proba-
bilmente su richiesta di Baldezone che desiderava avere un quadro generale
dell’andamento dei suoi investimenti64. Al momento della sua istituzione, che
non sappiamo collocare nel tempo, nelle casse della società erano confluite 264
lire genovesi65. Questo fondo societario era stato man mano incrementato dai
profitti realizzati da Oberto, che a quanto pare non venivano ritirati dai soci – o

60
Abulafia, The Two Italies, cit., pp. 3-30.
61
Ibidem, pp. 255 e sgg.
62
Sulle forme societarie del commercio marittimo la trattazione più chiara si trova in M.
Tangheroni, Commercio e navigazione, cit., pp. 341-350.
63
Il Cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano e M. Moresco, 2 voll., Torino, Lattes, 1935
(d’ora in poi Giovanni Scriba), n. 559, 1159 ottobre 7; n. 740, 1160 agosto 26; n. 1038, 1162 aprile 13;
n. 976, 1162 settembre 22; n. 1261, 1164 agosto 2.
64
Ibidem, nn. 559, 740, 1261. Accadeva spesso che i soci finanziatori chiedessero bilanci prov-
visori quando le imprese commerciali si protraevano per molto tempo: Abulafia, The Two Italies, cit.,
pp. 298-301.
65
Il capitale iniziale della società è ricordato nel documento del 1159 (Giovanni Scriba, n. 559).
38 Alma Poloni

almeno non interamente – a conclusione di ogni singola impresa commerciale.


Il mercante lucchese gestiva in autonomia il capitale societario, e ogni tanto pre-
levava da esso somme di varia consistenza per le proprie necessità66. Baldezone
aveva allora il diritto di incassare la stessa somma, ma non era particolarmente
sollecito nel riscuotere i propri crediti. D’altra parte, mentre Oberto aveva forse
immobilizzato nella società gran parte del proprio denaro liquido, per il nobile
genovese essa non era che una delle tante e differenziate forme di investimento
di un vasto patrimonio mobiliare e immobiliare.
Il socio accomandatario in questo caso era libero di scegliere le piazze
commerciali sulle quali operare67. Sembra però che il grosso degli affari si
concentrasse sulla rotta che univa la Provenza alle terre «d’oltremare», cioè al
Levante68. Investimenti secondari venivano conclusi anche a Genova: nel 1162
un mercante genovese stipulò con Oberto una commenda ad quartam proficui,
impegnandosi a vendere a Tunisi una certa quantità di indaco di proprietà della
società, del valore stimato di 35 lire 69.
Le attività di Oberto mostrano bene come, al contrario di quanto spesso
si creda, le forme societarie finalizzate al commercio marittimo non legavano
necessariamente la loro durata a una sola impresa commerciale. Fin dalla metà
del XII secolo esse erano invece abbastanza flessibili e adattabili da sostenere
anche relazioni d’affari caratterizzate da maggiore stabilità.
Tuttavia la storia di Oberto non può essere considerata rappresentativa del-
l’impegno dei lucchesi sulla piazza genovese. Tanto più che il socio di Baldezone
non aveva più alcun rapporto economico con la città natale. Egli risiedeva
ormai stabilmente a Genova insieme alla moglie, era un cittadino genovese a
tutti gli effetti, e anzi un cittadino in vista, protagonista di una sorprendente
carriera politica che lo portò a ricoprire più volte la carica prestigiosa di consul
pro iustitiis70.

66
Nell’ottobre del 1159 il capitale societario ammontava a 700 lire. Oberto aveva ritirato fino a
quel momento 44 lire, mentre Baldezone non aveva ancora fatto valere il suo diritto di incassare la
stessa somma. Nell’agosto del 1160 il capitale era di 720 lire; Oberto aveva fino a quel momento ritirato
72 lire, mentre Baldezone non aveva ritirato nulla. Nel 1164 il fondo societario era pari a 950 lire, 710
lire in denaro liquido e 240 in merci. Nella società aveva investito 25 lire anche la moglie di Oberto.
Quest’ultimo aveva fino ad allora ritirato 267 lire, la moglie stava per incassarne altre 50. Delle 317
lire che gli spettavano, Baldezone ne aveva fino ad allora ritirate soltanto 190. È probabile comunque
che tra l’agosto del 1160 e l’agosto del 1164 fossero stati redatti altri bilanci, forse annualmente, che
tuttavia non si sono conservati.
67
Giovanni Scriba, n. 740, 1160 agosto 26.
68
Ibidem, n. 559, 1159 ottobre 7; n. 1261, 1164 agosto 2.
69
Ibidem, n. 976, 1162 settembre 22.
70
Nel 1176 Oberto Lucensis fu tra i testimoni che nel palazzo arcivescovile assistettero a un impe-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 39

Abbiamo altre testimonianze relative alla presenza di mercanti lucchesi


sulla piazza genovese negli anni ’50 e ’60, ma si tratta per lo più di attestazioni
singole, che non consentono di trarre alcuna conclusione sull’estensione e sulla
natura dei loro affari. Le fonti ben più ricche degli anni ’80 e ’90 permettono
invece di ricostruire un quadro abbastanza coerente delle attività di almeno due
operatori provenienti dalla città toscana, Paxio e Cenna.
Paxio è attestato sulla piazza genovese dall’inizio degli anni ’80. I suoi inte-
ressi sembrano concentrati in un’unica area, la Sicilia. Nel 1182 egli anticipò a
Giovanni Faber una somma di denaro contro il rimborso a Messina di 32 once
di tarì d’oro71. Nel luglio del 1190 Paxio ricevette in prestito da Marchesio da
San Lorenzo 39 lire e 15 soldi di moneta genovese, per le quali avrebbe pagato
o fatto pagare in Sicilia 20 once di tarì d’oro72. Lo stesso giorno Ogerio da San
Lorenzo ricevette «in acomendacione» da Paxio 69 lire genovesi; egli si impe-
gnava a saldare per conto del lucchese il debito di 20 once e a far fruttare la
somma residua73. I profitti spettavano per un quarto a Ogerio e per tre quarti al
finanziatore, secondo la consuetudine della «commenda unilaterale». Siamo di
fronte a un’operazione decisamente complessa. L’interpretazione più plausibile
a mio parere è che si tratti di una speculazione sulle fluttuazioni del prezzo del-
l’oro in Sicilia. La consistenza della somma che Ogerio avrebbe avuto a disposi-
zione dopo il pagamento del debito di Paxio dipendeva infatti dalla capacità del
mercante genovese di strappare un prezzo favorevole. Poteva anche accadere
che le 20 once d’oro finissero per costare più di 39 lire e 15 soldi; in questo caso
a guadagnare sarebbe stato Marchesio, mentre Ogerio e Paxio avrebbero visto
diminuire il capitale da mettere a frutto.
Ogerio doveva essere un uomo d’affari particolarmente abile, e godeva della
fiducia di molti «capitalisti» genovesi desiderosi di investire nell’isola. Nel 1192
egli si impegnò insieme a un altro operatore a piazzare una partita di merci, del

gno solenne del marchese Guglielmo di Monferrato nei confronti dei genovesi (Codice diplomatico della
repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Roma, Tip. del Senato, 1936, II, n. 105, 1176
agosto 23). Questo personaggio è quasi certamente da identificare con il nostro mercante, che anche
nel registro di Giovanni Scriba viene indicato semplicemente come Obertus Lucensis. Nel 1179 con la
carica di claviger presenziò a una conventio tra i consoli di Genova e il vescovo di Bugnato (Ibidem, n. 121,
1179 agosto 7). Nel 1182 fu console pro iustitiis (Ibidem, n. 138, 1182), carica che ricoprì anche nel 1184
(Ibidem, n. 146, 1184) e nel 1189 (Ibidem n. 180, 1189). Nel 1190 Oberto fece parte del gruppo di consi-
liatores che giurarono insieme ai consoli e ai consoli dei placiti i patti conclusi con il duca di Borgogna
per il trasporto del re di Francia e dei suoi cavalieri in Terrasanta (Ibidem, n. 192, 1190 febbraio).
71
Abulafia, The Two Italies, cit., p. 256.
72
Oberto Scriba de Mercato (1190), a cura di M. Chiaudano e R. Morozzo della Rocca, Torino,
Editrice libraria italiana, 1938 (d’ora in poi Oberto Scriba 1190), n. 530.
73
Ibidem, n. 532.
40 Alma Poloni

valore totale di 426 lire, sul mercato siciliano74. La partita era per metà di pro-
prietà del nostro Paxio. Quest’ultimo, in più, concludeva con il mercante geno-
vese un cambio marittimo con pegno in merci75: Paxio riceveva da Ogerio 42
lire genovesi e gli consegnava tre virides, cioè pezze di panno verde, da vendere
in Sicilia per 22 once e mezzo di tarì d’oro76. Se questa somma non fosse stata
raggiunta, Ogerio poteva rivalersi sulle altre merci di proprietà del lucchese; se
invece il ricavo fosse stato superiore, quest’ultimo avrebbe dovuto incassare la
differenza.
Nel 1191 Paxio entrò in società con il tintore Pinello77. Il lucchese si impe-
gnava a fornire tutta l’attrezzatura più costosa e a pagare l’affitto del locale che
doveva ospitare la bottega. Il tintore metteva a disposizione il proprio lavoro e
partecipava all’acquisto degli strumenti più a buon mercato. I guadagni dell’at-
tività sarebbero stati divisi a metà tra i due soci. Si trattava dunque per Paxio di
un’altra forma di investimento. È probabile tuttavia che egli si riservasse anche
la commercializzazione, in particolare sul mercato siciliano, di almeno una parte
dei tessuti tinti nella bottega. Può darsi che i panni verdi citati nel documento
del 1192 fossero passati per le mani di Pinello; in questo caso i margini di pro-
fitto sarebbero stati per Paxio più alti di quelli di solito realizzati in quel tipo
di contratti.
Negli anni ’80 e ’90 era molto attivo sulla piazza genovese un altro lucche-
se, di nome Cenna, il quale non aveva la stessa propensione di Paxio per le
speculazioni complicate e rischiose. Il suo dossier documentario è composto
interamente da società e commende nelle forme più classiche78. In questi
rapporti societari Cenna rappresentava sempre il socius stans, cioè il finan-
ziatore. Le somme impegnate non erano molto alte, andavano da un minimo
di 6 lire genovesi a un massimo di 36. Cenna aveva un particolare interesse
per il mercato romano, e in generale i suoi affari non si estendevano al di là
dell’area tirrenica: altre destinazioni citate sono Montpellier, la Maremma e
la Corsica.

74
Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M.W. Hall - H.C. Krueger - R.L. Reynolds, 2 voll.,
Torino, Lattes, 1938 (d’ora in poi Guglielmo Cassinese), n. 1723, 1192 marzo 10.
75
Si tratta di una forma contrattuale piuttosto diffusa a Genova alla fine del XII secolo: Abulafia,
The Two Italies, cit., pp. 256-257.
76
Guglielmo Cassinese, n. 1724, 1192 marzo 10.
77
Ibidem, n. 1193, 1191 ottobre 8.
78
Oberto Scriba de Mercato (1186), a cura di M. Chiaudano, Torino, Editrice libraria italiana, 1940
(d’ora in poi Oberto Scriba 1186), n. 93, 1186 ottobre 6; n. 109, 1186 ottobre 9. Guglielmo Cassinese,
n. 247, 1191 febbraio 26, n. 697, 1191 giugno 10, n. 1463, 1192 gennaio 3, n. 1638, 1192 febbraio 28,
n. 1706, 1192 marzo 7, n. 1773, 1192 marzo 21.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 41

A volte Cenna affidava all’accomandatario merci invece di denaro contan-


te, e in questo caso l’investimento poteva essere più consistente. Nel marzo
del 1192, per esempio, tre mercanti si impegnarono a portare a Roma, causa
negociandi, 2 balle di fustagni tinti e due balle di fustagni bianchi di proprietà
del lucchese, per un valore complessivo di circa 70 lire genovesi79. Sempre
nel marzo del 1192 Cenna concluse una società con un concittadino di nome
Guido Gaba80. Questi prendeva in consegna dal socio accomandante un sacco
di cumino del valore di circa 9 soldi e due cantari e mezzo di allume del valore
di 7 lire e mezzo, e in più aggiungeva una balla di fustagni valutati poco più di
17 lire. Egli tra l’altro aveva preso in prestito il denaro necessario all’acquisto
dei panni proprio da Cenna. Guido doveva vendere le merci a Lucca; il profitto
sarebbe stato diviso a metà tra i due soci. Questo documento è interessante
anche perché è l’unica testimonianza di relazioni commerciali tra Cenna e la
sua città natale; nell’atto era tuttavia chiaramente specificato che la spartizione
degli utili avrebbe dovuto avvenire a Genova81.

Oberto, ma soprattutto Paxio e Cenna, appartenevano più o meno alla stessa


generazione di Onesto, Guido di Martino, Carincione, Scalocchiato, Rapondo e
degli altri a cui abbiamo accennato nelle pagine precedenti. Anch’essi sono dun-
que espressione dell’elevato tasso di mobilità sociale caratteristico della seconda
metà del XII secolo. Le storie di Oberto, Paxio e Cenna ci mostrano come per un
lucchese in cerca di fortuna negli ultimi decenni del XII secolo Genova rappresen-
tasse una terza possibilità che andava ad aggiungersi all’inserimento nelle clientele
dei potenti e al rafforzamento delle relazioni orizzontali. Gli esiti di questi percorsi
biografici sono tuttavia profondamente diversi: mentre Onesto e gli altri furono
i capostipiti di alcune delle più influenti famiglie lucchesi, non ho trovato alcuna
traccia documentaria dei discendenti di Oberto, Paxio e Cenna. Il successo dei tre
poggiava sulla paziente tessitura di una rete di rapporti con investitori, speculato-
ri, uomini d’affari e operatori appartenenti a diversi strati della società genovese e
all’eterogeneo gruppo dei mercanti stranieri che frequentavano il porto ligure. Un
impegno così totalizzante determinava forse, quando si protraeva per decenni, un
progressivo allentamento dei legami con la città d’origine.
L’invisibilità dei tre mercanti e dei loro gruppi familiari nelle fonti lucchesi
potrebbe essere legata alla mancanza di una consistente base terriera. Anche

79
Guglielmo Cassinese, n. 1773, 1192 marzo 21.
80
Ibidem, n. 1706, 1192 marzo 7.
81
«Item [Guido] Ianuam reducere promittit in potestate eius [di Cenna] vel sui certi missi profi-
cuum quod Deus dederit cum capitali».
42 Alma Poloni

a Lucca come altrove, infatti, la maggior parte dei documenti giunti fino a
noi riguardano la terra e il suo trasferimento. Il possesso fondiario, inoltre,
era il presupposto del radicamento nella società locale. Nei secoli medievali le
transazioni che avevano per oggetto la terra raramente avevano un significato
meramente economico, più spesso creavano o rafforzavano legami di fedeltà,
sottomissione, amicizia o sostegno reciproco82. La terra, insomma, era il perno
delle relazioni sociali sia orizzontali che verticali. La difficoltà di inseririsi in
questo sistema di rapporti, dovuta forse a un’insufficiente base patrimoniale,
potrebbe essere una delle motivazioni che spinsero Oberto, Paxio e Cenna a
giocare la carta genovese. A Genova il commercio internazionale si fondava su
strumenti societari che, come abbiamo visto, avevano già raggiunto alla metà
del XII secolo un alto grado di raffinatezza. Essi consentivano anche a uomini
privi di mezzi di avere accesso al denaro di investitori piccoli e grandi, e con il
tempo di accumulare un capitale personale da far fruttare in speculazioni anche
complesse.
Per chi disponeva almeno di un piccolo patrimonio di partenza il commercio
internazionale con base a Genova non era probabilmente, nella seconda metà
del XII secolo, l’unica opportunità di arricchimento, e forse nemmeno la più
attraente. Sembra infatti che in quei decenni il territorio lucchese vivesse una
fase di forte crescita economica, il cui motore principale non erano ancora gli
scambi a lunga distanza, ma piuttosto la commercializzazione dei prodotti agri-
coli83. La crescita demografica, l’espansione del mercato cittadino, la tendenza
alla specializzazione della produzione provocarono un rapido aumento del valo-
re economico della terra e della rendita fondiaria, soprattutto nelle Sei Miglia,
l’area circostante il centro urbano. È stato calcolato che a Lucca nel periodo
compreso tra il 1160 e il 1200 i prezzi aumentarono all’incirca del 150%, con
un picco negli anni ’90.
Questo contesto consentiva investimenti redditizi e speculazioni complicate
quasi quanto quelle attestate a Genova. Chris Wickham ha analizzato alcuni
casi di intraprendenti proprietari fondiari di piccolo e medio calibro i quali,
combinando un’intensa attività di compravendita di terre e rendite, il subaffitto
dei fondi ricevuti in concessione da enti religiosi, i prestiti con o senza pegno

82
Wickham, Comunità, cit. Cfr. anche Id., Land and Power, London, The British School at Rome,
1994; Id., La montagna e la città. L’appennino toscano nell’alto medioevo, Torino, Paravia Scriptorium, 1997;
Property and Power in the Early Middle Ages, a cura di W. Davies e P. Fouracre, Cambridge, Cambridge
University Press, 1995.
83
Questi aspetti sono stati analizzati in uno studio di Arnold Esch tuttora inedito. Le osservazioni
che riporto nel testo sono tratte da Wickham, Comunità, cit., pp. 21-37, che riferisce alcune delle con-
clusioni di Esch.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 43

a questi stessi enti e soprattutto a coltivatori in difficoltà, riuscirono nell’arco


di una sola esistenza ad accumulare una ricchezza sufficiente a conquistare un
ruolo da leaders nelle comunità rurali di appartenenza o a farsi strada nel mondo
cittadino.
Le transazioni di Gerardino di Moretto di Marlia, Malafronte di Gerardo di
Lucca e Cortafugga di Panfollia di Paganico possono essere ricostruite con una
certa ricchezza di particolari perché i loro «archivi personali» sono casualmente
confluiti nei fondi documentari di importanti istituzioni religiose84. Gli atti pro-
dotti da Guido di Martino, Onesto, Sasso, Carincione, Scalocchiato non hanno
avuto la stessa sorte. Ciò nonostante, i pur scarsi indizi che ho riassunto nelle
pagine precedenti mi portano a credere che le loro storie dovessero essere più
simili a quelle di Gerardino, Malafronte a Cortefugga che a quelle di Oberto,
Paxio e Cenna. L’agiatezza che consentì loro di farsi una posizione, e che costituì
la base economica della fortunata ascesa sociale dei loro figli e nipoti, era stata
probabilmente prodotta da spregiudicati investimenti in terre e rendite e da un
abile sfruttamento delle opportunità offerte dal mercato agricolo cittadino.

2.2. Vermiglioni di Lucca


Ciò che rende Oberto, Paxio e Cenna figure molto diverse dai numerosi
mercanti lucchesi che frequenteranno la piazza genovese nei decenni succes-
sivi è la mancanza di ogni collegamento stabile con la struttura produttiva e
commerciale della città d’origine. I tre non si occupavano – o almeno non prin-
cipalmente – di piazzare le merci lavorate a Lucca, né di rifornire le botteghe
lucchesi delle materie prime importate via mare, e non fungevano da agenti di
società con sede nel centro toscano. A ben vedere, le loro carriere non si distin-
guono in nulla da quelle di tanti genovesi estranei all’aristocrazia cittadina e di
tanti operatori forestieri che tentavano la fortuna nell’emporio ligure.
Eppure nella seconda metà del XII secolo una merce di produzione lucchese
sembra riscuotere un certo successo a Genova e nei mercati mediterranei fre-
quentati dai genovesi: panni tinti, in particolare color scarlatto. Erano spesso
mercanti lucchesi che si occupavano di smerciare questa specialità delle botte-
ghe cittadine. Nel 1182, per esempio, Vediano da Lucca contrasse con Stefano
de Clavica un cambio con pegno in merci85. Vediano ricevette da Stefano una
somma in lire genovesi e gli consegnò due pezze di scarlatto di Lucca da ven-
dere in Sicilia per 12 once di tarì. Se tale prezzo non fosse stato raggiunto il

84
Per Gerardino di Moretto di Marlia vedi Wickham, Comunità, cit., pp. 48-55. Per Malafronte di
Gerardo di Lucca Ibidem, pp. 135-137, e per Cortefugga di Panfollia di Paganico Ibidem, pp. 166-172.
85
Abulafia, The Two Italies, cit., p. 257; per le attività di Stefano de Clavica Ibidem, pp. 256-258.
44 Alma Poloni

lucchese avrebbe dovuto rimborsare a Stefano 3 lire genovesi per ogni oncia
mancante, mentre se il ricavato fosse stato più alto del previsto quest’ultimo
avrebbe reso a Vediano 3 lire per ogni oncia in più. I panni lucchesi dovevano
costituire una voce non secondaria del giro d’affari di Stefano, come mostra
un altro documento dello stesso anno86. Da un atto del 1186 sappiamo inoltre
che Vediano frequentava anche Parigi e Roma, dove probabilmente, tra le altre
cose, smerciava i panni scarlatti87.
Nel marzo del 1192 il lucchese Corso Raimondino affidò tramite un contrat-
to di commenda al concittadino Bodono «scarlatam unam de Lisna [Malines?]
et vermilionem unum de Luca» da vendere in Sicilia88. È probabile che i panni
scarlatti degli anni ’80 e il vermiglione del 1192 fossero stati non solo tinti, ma
interamente prodotti a Lucca. L’origine della specializzazione lucchese negli
scarlatti è tuttavia certamente da ricercare nell’attività di rifinitura dei tessuti
del nord Europa89. I lucchesi frequentavano le fiere della Champagne almeno
dalla metà del XII secolo. Nel luglio del 1153 essi conclusero un trattato com-
merciale con i genovesi, i quali garantivano protezione ai mercanti della città
toscana che attraversavano il loro territorio per recarsi, lungo un itinerario
interamente terrestre o percorrendo alcuni tratti via mare, «ad ferias ultramon-
tanas»90. Ai lucchesi veniva esplicitamente concesso il permesso di importare
dalle fiere «pannos albos et blavos et apersatos».
L’aggettivo «blavus» è una latinizzazione per blu. «Apersati» ricorda da
vicino l’aggettivo «perso», che indica una tonalità più scura di blu, tendente al
grigio o al bruno. Nel Trecento, bianco, blu e perso erano le diverse sfumature
di colore dei panni franceschi acquistati dalle aziende fiorentine per essere
tinti, in particolare con la grana, la sostanza ottenuta dal corpo disseccato della
cocciniglia91. La tintura con la grana, come è noto, avveniva sulla pezza già
tessuta. Se la pezza era stata prodotta con lana non tinta («bianca») si otteneva
un colore rosso vivo. Le pezze venivano però tessute anche con lane già tinte di

86
Ibidem, p. 338.
87
Oberto Scriba 1186, n. 319, 1186 dicembre 13.
88
Guglielmo Cassinese, n. 1753, 1192 marzo 16.
89
P. Chorley, The Cloth Exports of Flanders and Northern France during the Thirteenth Century: A Luxury
Trade?, in «Economic History Review», XL (1987), pp. 349-379.
90
I Libri Iurium della repubblica di Genova, a cura di A. Rovere - D. Puncuh - E. Madia - M.
Bibolini - E. Pallavicino, 8 voll., Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per
i beni archivistici, 1992-2002, I, n. 162, 1153 luglio 10.
91
H. Hoshino, La tintura di grana nel basso Medioevo, ora in Id., Industria tessile e commercio inter-
nazionale nella Firenze del tardo Medioevo, a cura di F. Franceschi e S. Tognetti, Firenze, Olschki, 2001,
pp. 23-40.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 45

varie sfumature di blu, per ottenere, con l’applicazione della grana, una gamma
molto ampia di colori92. A mio parere, dunque, i «panni albi et blavi et apersati»
che venivano importati dai lucchesi alla metà del XII secolo erano tutti destinati
a essere tinti nelle botteghe cittadine.
In un documento genovese del 1203 sono citate alcune «brunete de Ipre de
tinta de Luca»93. Nel tariffario veneziano detto Racio Lombardi seu Francisci, del-
l’inizio del XIII secolo, sono nominati due tipi di pannilana lucchesi, il vermi-
glione e l’«Ipre de latente de Luca», a conferma della stretta relazione esistente
nella città toscana tra l’attività di tintura dei tessuti fiamminghi e la produzione
locale su imitazione di quegli stessi tessuti94.
Erano in gran parte lucchesi anche i mercanti che rifornivano le botteghe
della loro città delle materie tintorie reperite sulla piazza genovese. Nel 1186
Vediano, che abbiamo già visto commerciare in panni scarlatti lucchesi, acqui-
stò una partita di grana, probabilmente da rivendere a Lucca95. Nel marzo del
1192 Bartolomeo da Lucca si impegnò a vendere nella sua città 8 cantari e
mezzo di grana di Spagna di proprietà del concittadino Rolando, del valore di
114 lire genovesi96. Tra le merci che, come abbiamo visto, Cenna affidò al luc-
chese Guido Gaba c’erano anche due cantari e mezzo di allume, utilizzato come
mordente nell’attività tintoria97.
A Genova operavano dunque numerosi mercanti lucchesi che, a differenza
di Oberto, Paxio e Cenna, avevano rapporti molto stretti con l’economia della
città di provenienza. Con la sola eccezione di Vediano, questi mercanti sono
per lo più attestati una sola volta nelle fonti genovesi. Nessuno di loro appar-
teneva a famiglie della militia della seconda metà del XII secolo, e nessuno è
collegabile ai gruppi familiari che dall’inizio del secolo successivo costituiranno
l’élite politica ed economica del Popolo. L’inserimento nel ciclo di produzione e
commercializzazione degli scarlatti non sembra esercitare una forte attrazione
sui lucchesi più dotati di mezzi, ai quali, come abbiamo visto, le speculazioni

92
J.H. Munro, The Medieval Scarlet and the Economics of Sartorial Splendor, in Cloth and Clothing in
Medieval Europe. Essays in Memory of Professor E. M. Carus-Wilson, ed. By N. B. Harte and K. G. Ponting,
London, Heinemann Educational Books, 1983, pp. 13-70.
93
Giovanni di Guiberto (1200-1211), a cura di M.W. Hall-Cole - H. G. Krueger - R.L. Reynolds, 2
voll., Torino (Notai liguri del sec. XII, V) 1940 (d’ora in poi Giovanni di Guiberto), n. 852.
94
Citato in P. Mainoni, La seta in Italia fra XII e XIII secolo: migrazioni artigiane e tipologie seriche, in
La seta in Italia dal medioevo al Seicento, a cura di L. Molà - R.C. Mueller - C. Zanier, Venezia, Marsilio,
2000, pp. 365-399, in particolare p. 377.
95
Oberto Scriba 1186, n. 317, 1186 dicembre 2.
96
Guglielmo Cassinese, n. 1700, 1192 marzo 7.
97
Guglielmo Cassinese, n. 1706, 1192 marzo 7.
46 Alma Poloni

sulle terre e sulle rendite offrivano opportunità di guadagno a portata di mano


e poco rischiose. I profitti generati dai panni tinti non erano probabilmente
abbastanza elevati da determinare un significativo spostamento di capitali dal
settore agricolo a quello commerciale. Il volume degli scambi non era inoltre
sufficientemente consistente da stimolare l’introduzione di innovazioni organiz-
zative nel modo di condurre gli affari. I lucchesi che si dedicavano al commercio
delle materie prime e dei tessuti non si distaccavano dalla classica figura del
mercante itinerante, che viaggiava da un emporio all’altro con la sua merce e il
denaro fornitogli dai finanziatori.

2.3. La rivoluzione della seta


D’altra parte alla fine del XII secolo Lucca subiva ormai la concorrenza non
soltanto dei distretti industriali del nord Europa, ma anche di varie città del-
l’Italia centro-settentrionale, i cui prodotti tessili cominciavano proprio allora a
raggiungere i mercati mediterranei. Sembra però che in quegli stessi anni alcuni
imprenditori lucchesi, sfruttando anche la specializzazione degli artigiani cittadini
nella lavorazione e nella tintura di panni di alta qualità, scegliessero di investire
nel potenziamento di un tipo di produzione praticata, a livello locale, fin dai secoli
precedenti: quella di tessuti di seta98. La più antica attestazione di un acquisto di
seta greggia da parte di lucchesi sul mercato genovese risale al 1191: nel marzo
di quell’anno Orbetello da Lucca e Laterio Calveto comprarono da Bonamico da
Lucca una partita consistente (168 libbre) di seta «marchexana», probabilmente
da identificare con quella che nei documenti lucchesi del Duecento è definita seta
«mercadasia», proveniente dal Turkestan99. Il prezzo, che doveva essere corrispo-
sto a Lucca, ammontava a 36 lire e 8 soldi di moneta genovese.
I lucchesi dovettero comprendere abbastanza velocemente il vantaggio
di concentrarsi su un settore produttivo per il quale non esistevano concor-
renti nel mondo occidentale. Negli ultimi decenni del XII secolo l’importa-

98
Per le ipotesi sulle origini della manifattura serica a Lucca cfr. F. Edler de Roover, The Silk
Trade of Lucca during the Thirteenth and Fourteenth Centuries, PhD Dissertation, University of Chicago
1930; B. Dini, L’industria serica in Italia. Secc. XIII-XV, in La seta in Europa, secc. XIII-XX. Atti della
XXIV Settimana di Studi dell’Istituto Internazionale di storia economica F. Datini di Prato 4-9 mag-
gio 1992, Firenze, Le Monnier, 1993, pp. 91-123; Mainoni, La seta, cit.; D. Jacoby, Silk Crosses the
Mediterranean, in Le vie del Mediterraneo. Idee, uomini, oggetti (secoli XI-XVI), a cura di G. Airaldi, Genova,
ECIG, 1997, pp. 55-79; Id., Genoa, Silk Trade and Silk Production in the Mediterranean Region (ca. 1100-
1300), in Tessuti, oreficerie, miniature in Liguria, XIII-XV secolo, Atti del Convegno internazionale di studi
(Genova-Bordighera, 22-25 maggio 1997), a cura di A.R. Calderoni Masetti et al., Bordighera, Istituto
Internazionale di Studi liguri, 1999, pp. 11-40.
99
Guglielmo Cassinese, n. 256, 1191 marzo 4.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 47

zione di tessuti serici da Costantinopoli e dall’impero bizantino da parte dei


genovesi aveva dato un grosso contributo alla creazione di una domanda
presso le ricche corti europee ma anche presso le aristocrazie dell’Italia
comunale100.
L’impressione è che l’espansione della manifattura serica lucchese sia stata
un fenomeno molto rapido. La svolta decisiva, a quanto sembra, avvenne
nell’ultimo decennio del XII secolo. I documenti genovesi dell’inizio del
Duecento mostrano che la seta aveva già rimpiazzato i panni scarlatti come
prodotto di punta del commercio lucchese. Nei primissimi anni del nuovo
secolo, inoltre, aumentò in maniera significativa la presenza dei lucchesi nel
porto ligure. Questo vero e proprio decollo non sarebbe stato comunque pos-
sibile senza l’esistenza di una rete già strutturata di rapporti commerciali tra
Lucca e Genova.
Lo sviluppo dell’industria serica fu forse reso possibile da una maggiore
disponibilità di materie prime sulla piazza genovese. Nell’impero bizantino i
genovesi avevano sempre goduto di condizioni assai meno favorevoli di quelle
dei veneziani101. Grazie ai trattati conclusi nella seconda metà del XII secolo
i liguri erano riusciti a strappare una riduzione del kommerkion, il principale
prelievo sulle transazioni commerciali, pari normalmente al 10% del valore dei
beni scambiati. Essi avevano ottenuto di pagare il 4%, ma soltanto sulle impor-
tazioni di merci nella capitale dell’impero. Per i traffici nelle altre regioni della
Romania i genovesi continuavano ad essere soggetti a una tassa del 10%, alla
quale si aggiungevano vari altri tributi e pedaggi. I veneziani, al contrario, fin
dal 1082 godevano della totale esenzione dal kommerkion e da ogni altra impo-
sizione fiscale nell’intero territorio bizantino. Essi avevano perciò acquisito nel
tempo il monopolio del commercio interno all’impero, e si erano insediati in
varie città provinciali.
Nell’aprile del 1192 un nuovo trattato estese la riduzione del kommerkion alle
transazioni concluse dai genovesi in tutto l’impero. Questo privilegio diminuì
almeno in parte il loro svantaggio competitivo nei confronti dei veneziani, e
in effetti ci sono indizi per gli anni successivi di una loro maggiore partecipa-
zione al commercio interno e di una più profonda penetrazione nelle province
della Romania102. È probabile che le nuove condizioni favorissero l’accesso dei

100
Jacoby, Genoa, cit.
101
Per questi aspetti vedi D. Jacoby, Italian Privileges and Trade in Byzantium before the Fourth Crusade:
A Reconsideration, in «Anuario de estudios medievales», XXIV (1994), pp. 359-368, ora anche in Id.,
Trade, Commodities and Shipping in the Medieval Mediterranean, London, Variorum, 1997, n. II.
102
Jacoby, Italian Privileges, cit., e Id., Genoa, cit.
48 Alma Poloni

genovesi ai centri di approvvigionamento della seta greggia e dei coloranti, in


particolare nel Peloponneso e in Asia minore103.
Queste tendenze generali si rafforzarono dopo il 1204, con la disgregazione
dell’impero in seguito alla quarta crociata. La forte ostilità dei veneziani preclu-
se ai genovesi l’accesso a Costantinopoli104. Tuttavia la frammentazione politica
della Romania, offrendo la possibilità di contrattare condizioni più favorevoli
con i nuovi governanti, aprì ai genovesi nuovi spazi commerciali nei territori
non controllati dai veneziani105. Soprattutto, caddero le limitazioni che per
secoli gli imperatori avevano posto all’esportazione di seta greggia e coloranti
dalle province.
Sempre negli anni ’90 del XII secolo la terza crociata diede inizio a una
nuova fase della presenza genovese nel Levante106. All’inizio del Duecento
si moltiplicano le attestazioni della penetrazione dei genovesi nel retroterra
musulmano, in particolare nei due mercati principali dell’area siriana, Damasco
e Aleppo107. Questa zona forniva ancora nel tardo Duecento seta greggia di
buona qualità.
Tra gli ultimi anni del XII secolo e i primi anni del XIII dunque i genovesi,
in seguito a importanti mutamenti degli equilibri politici nelle aree bizantine e

103
Per la sericoltura e la manifattura serica nelle province occidentali dell’impero cfr. D. Jacoby,
Silk in Western Byzantium before the Fourt Crusade, in «Byzantinische Zeitschrift», LXXXIV-LXXXV
(1991-1992), ora anche in Id., Trade, cit.
104
M. Balard, Les Génois en Romanie entre 1204 et 1261. Recherches sur le minutiers notaraux génois, in
«Mélanges d’archéologie et d’histoire publiés par l’Ecole Française de Rome», LXXVIII (1966).
105
Jacoby, Genoa, cit., in particolare p. 22.
106
Nel 1192 i genovesi ricevettero da Enrico di Troyes, conte palatino, alcuni privilegi commerciali
come ricompensa per il loro contributo militare alla liberazione di Acri e Tiro. Il trattato stabiliva che
i mercanti di Genova erano tenuti a pagare i tributi sulle merci importare via mare o via terra dai ter-
ritori musulmani e vendute sul mercato di Tiro. Se però tali merci non venivano vendute sul mercato
locale essi erano esentati da qualsiasi imposizione. Queste concessioni promuovevano il ruolo di Tiro
come scalo e luogo di transito delle merci dell’entroterra musulmano (I Libri iurium cit., I, n. 335, 1192;
cfr anche n. 331, 1190 aprile 11, n. 332, 1190 maggio 4, n. 333, 1191 ottobre 26, n. 334, 1192, aprile,
n. 336, 1195 settembre).
107
D. Jacoby, Mercanti genovesi e veneziani e le loro merci nel Levante crociato, in Genova, Venezia, il Levante
nei secoli XII-XIV, Atti del Convegno Internazionale di studi (Genova-Venezia, 10-14 marzo 2000), a
cura di G. Ortalli e D. Puncuh, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2001. Anche Ashtor
nota un significativo aumento del volume del commercio genovese e, in misura minore, veneziano con
l’area siriana nei primi anni del Duecento. Secondo lo studioso questo mutamento sarebbe collegato
a un calo degli investimenti genovesi e veneziani in Egitto, legato alla situazione politica sfavorevole
instauratasi con la conquista del Saladino. Un eccessivo aumento dei costi del commercio in area egi-
ziana avrebbe provocato uno spostamento di capitali sull’«Oltremare» crociato: E. Ashtor, Investments
in Levant Trade in the Period of the Crusades, in «The Journal of European Economic History», XIV
(1985), pp. 427-432.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 49

musulmane, ebbero accesso ad alcune delle piazze commerciali nelle quali si


concentrava l’offerta della seta greggia. L’apertura di canali più diretti di approv-
vigionamento mise probabilmente i mercanti lucchesi che operavano a Genova
nella condizione di procurarsi la seta a prezzi più contenuti rispetto al passato108.
Una flessione del costo della materia prima, e dunque dei costi di produzione, può
avere fornito ad alcuni lucchesi un incentivo a investire nella manifattura serica.
L’avvio su larga scala a Lucca di questo tipo di produzione si configura come
un’«innovazione» nel significato elaborato da J.A. Schumpeter, cioè come l’in-
troduzione in un sistema economico di una «nuova combinazione di materiali
e forze produttive»109. In questo quadro teorico, come è noto, le innovazioni
sono il fattore chiave dello sviluppo economico. Lo sviluppo, a differenza
della crescita, non è un processo di cambiamento progressivo e graduale, ma
rappresenta una forte soluzione di continuità, una netta rottura degli equilibri
preesistenti, in grado di innescare una serie di trasformazioni qualitative del
sistema economico.
I mutamenti in corso a Lucca all’inizio del Duecento sono leggibili alla
luce del concetto schumpeteriano di sviluppo economico. Come si è detto, la
«riconversione» alla seta del sistema produttivo lucchese fu molto rapida. In
breve tempo, inoltre, essa produsse una serie di cambiamenti qualitativi nel-
l’organizzazione delle attività commerciali, che saranno presi in esame nelle
pagine seguenti. Ma è sul lungo periodo che si possono misurare gli effetti reali
di questa rivoluzione. L’inserimento di Lucca nelle grandi correnti del traffico
internazionale, legato alla lavorazione e alla commercializzazione della seta,
portò alla strutturazione di un sistema economico orientato interamente allo
scambio, che coinvolgeva in forme diverse tutte le componenti della società
cittadina. L’analisi di questa evoluzione sarà oggetto dei prossimi capitoli.
Tra gli imprenditori – nel significato schumpeteriano di coloro che intro-
ducono le innovazioni e sfruttano per primi il vantaggio competitivo che ne
deriva – dell’inizio del Duecento ci sono anche alcuni membri delle famiglie che
abbiamo incontrato nelle pagine precedenti tra quelle impegnate nella promozio-
ne dell’iniziativa politica del Popolo. È il caso per esempio di Ughetto, Gualterio
e Benetto figli di Onesto, fratelli di Tancredo causidicus e Noradino, attestati in
una serie di atti genovesi dei primi anni del Duecento110. Sembra di capire che

108
Questo dato non è verificabile perché i notai si limitavano nella grande maggioranza dei casi ad
annotare la vendita di «tanta merce», senza specificare né la quantità esatta né tantomeno la provenien-
za. Tuttavia le vendite di seta greggia a Genova si fanno decisamente più numerose a partire dall’inizio
del Duecento.
109
J.A. Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico, Firenze, Sansoni, 1977 (ed. orig. 1912).
110
Sugli Onesti cfr. cap. I.1.1. L’appartenenza di Ughetto, Gualterio e Benetto allo stesso nucleo
50 Alma Poloni

dei tre fratelli impegnati nel commercio era soprattutto Gualterio a recarsi a
Genova. La maggior parte delle operazioni che lo videro protagonista prevedeva
la chiusura a Lucca, probabilmente per mezzo di Ughetto e Benetto.
Gli atti riguardanti gli Onesti sono per lo più generici contratti di prestito
o di cambio, mentre mancano testimonianze dirette di un’attività di compra-
vendita di seta greggia o lavorata. Alcuni indizi suggeriscono tuttavia che
potrebbe essere questo il perno dei loro affari a Genova. Tra i testimoni di un
cambio su Lucca concluso da Gualterio nel luglio del 1201 compare il lucchese
Bonamico111. Quest’ultimo era probabilmente specializzato nella commercia-
lizzazione della seta greggia: nel 1191 aveva venduto a due concittadini una
consistente partita di seta del Turkestan. Nel maggio del 1205 Gualterio e il
fratello Benetto vendettero a un altro lucchese 71 miliaria di oro filato per 25
lire lucchesi da saldare nella città toscana; il filo d’oro veniva utilizzato per la
realizzazione dei preziosi drappi auroserici112.
Dal secondo decennio del Duecento le informazioni fornite dalle fonti geno-
vesi trovano sempre più spesso riscontro anche nella documentazione prodotta
a Lucca, una circostanza di per sè assai significativa. Un caso interessante è
rappresentato da Bonagiunta e Pagano, figli di Fornario di Mattafellone113.
Nel 1214 a Genova Bonagiunta Fornari ricevette da un mercante astigiano
una somma non specificata in moneta genovese, per la quale promise di pagare
18 lire e 12 denari di provesini alla fiera di Bar sur Aube114. Nel 1219, come
attesta un documento lucchese, un mercante di Siena acquistò dal fratello di
Bonagiunta, Pagano, e dai «socii sui …de sua apotheca» uno zendado giallo
e un cammellotto, per i quali si impegnò a saldare entro un mese e mezzo un
marco d’argento «ad pesum de Cologna»115. L’atto fu concluso nel borgo di San
Frediano, la contrada di Lucca dove i Fornari risiedevano, «in apotheca dicti
Pagani et fratrum».

familiare del giudice Tancredo e di Noradino mi sembra confermata dal fatto che nella linea dei discen-
denti diretti di Ughetto ritorna per più generazioni il nome Noradino, mentre nel ramo discendente
da Tancredo sono molto presenti sia il nome Benetto che il nome Noradino. Tra i diversi rami della
famiglia Onesti esistevano ancora nei primi decenni del Trecento stretti legami di solidarietà e collabo-
razione economica.
111
Giovanni di Guiberto, n. 304, 1201 luglio 17.
112
Ibidem, n. 1146, 1205 maggio 11; D. Devoti, Un’arte decorativa e industriale: «… centum XII pannos
lucanos…de serico cum auro», in La seta. Tesori di un’antica arte lucchese. Produzione tessile a Lucca dal XIII al
XVII secolo, Museo nazionale di Palazzo Mansi (Lucca, 16 giugno-30 settembre 1989), catalogo della
mostra a cura di D. Devoti, Lucca, Pacini Fazzi, 1989, pp. 13-30.
113
Cfr. cap. I.1.1.
114
Doehaerd, n. 318, 1214 febbraio 28
115
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1219 gennaio 4.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 51

La società era dunque a base familiare, ed era composta, oltre che da Pagano
e Bonagiunta, da almeno un altro fratello del quale non sono rimaste attestazio-
ni. Bonagiunta si spostava tra Genova, dove probabilmente comprava materie
prime per la manifattura serica, e le fiere della Champagne, dove forse era
impegnato, tra le altre attività, a piazzare i tessuti di seta e le altre merci prove-
nienti dalla bottega lucchese. L’atto del 1214 prova infatti che egli si aspettava
di avere a disposizione alle fiere il denaro contante necessario per chiudere il
cambio contratto a Genova, dove al contrario aveva bisogno di liquidità per gli
acquisti di seta e coloranti. La sede lucchese della società, gestita da Pagano, si
occupava di lavorare – o più probabilmente di far lavorare – la seta, ma a quan-
to pare commerciava anche altre stoffe di alta qualità come il cammellotto. La
società dei Fornari è una specie di prototipo delle compagnie lucchesi duecen-
tesche, caratterizzate per la maggior parte da questa stessa distribuzione degli
interessi commerciali lungo l’asse Lucca-Genova-Champagne.
Alla fine degli anni ’20 compaiono tra i soci anche due mercanti estranei alla
famiglia, Gerardo, figlio del defunto notaio Ghiandone, e Montacollo. Nel 1228
Bonagiunta Fornari ricevette da Gerardo un sommario rendiconto delle attività
che quest’ultimo aveva svolto per conto della società116. Bonagiunta e Gerardo
specificavano che informazioni più dettagliate si potevano trovare nei libri di
conto dei soci: «de facto mercadantie et sete et grane et aluminis et balistarum
et aliarum rerum mercadantie de quibus simul vel cum Montacollo habuerunt
vel quas ipse Gerardus habuit ab ipsis … ita est sic continetur in libris ipsius
Gerardi et Bonagiuncte». Gli interessi di Bonagiunta si concentravano ancora
principalmente nella compravendita di materie prime e prodotti della manifat-
tura serica.
È probabile che anche altre famiglie che abbiamo visto muoversi sulla scena
lucchese a cavallo tra XII e XIII secolo fossero in vario modo coinvolte nel
sistema di rapporti economici che si andava definendo all’inizio del Duecento.
Nel 1213 a Genova tre lucchesi conclusero con un concittadino un contratto
di cambio sulle fiere della Champagne117. Tra i testimoni compare un Ricardus
tinctor quasi certamente da identificare con l’eponimo dei Ricciardi, fondatore
di una delle più potenti compagnie duecentesche. La storia della grande società
ebbe inizio nella bottega gestita da Ricciardo, dal fratello e da altri soci – at-
testata nelle fonti lucchesi dall’inizio degli anni ’30 – che operava in particolare
nella vendita di zendadi e altri tessuti di seta118. La presenza a Genova di

116
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1228 luglio 6.
117
Doehaerd, n. 299, 1213 settembre 12.
118
Del Punta, Mercanti, cit., pp. 143-145.
52 Alma Poloni

Ricciardo nel 1213 suggerisce che probabilmente già a questa data il tintore e
suo fratello avevano un’attività che doveva funzionare in modo simile a quella
dei fratelli Fornari.
In un altro documento del 1215 il lucchese Moratinus de Lostrego e un suo
socio ricevettero da un concittadino poco più di 320 lire di moneta genovese, in
cambio delle quali promisero 248 lire di provesini alla fiera di Bar sur Aube119.
Gli Streghi furono nel Duecento e nel Trecento un’importante famiglia mercan-
tile. Nel 1207 Overardo Streghi era stato console dei treguani120. Egli compare
come testimone nell’atto del 1219 riguardante la società dei Fornari.
Nel maggio del 1205 Bonatino in Spadoio scriveva da Genova a Cecio del fu
Aldebrandino Faitinelli, che presumibilmente si trovava a Lucca; quest’ultimo
era pregato di consegnare al cognato dello scrivente le merci, soprattutto pelli di
coniglio e di volpe, che a Palermo un mercante lucchese aveva affidato in com-
menda a Bonatino, inviandogliele per mezzo di Cecio121. I Faitinelli erano una
famiglia attivamente impegnata nella lotta politica dei primi anni del Duecento.
Nel 1214 Gherardo era uno dei consoli dei mercanti che, per la loro conniven-
za con la pars populi, subirono un attentato da parte di alcuni milites122. Anche
i Faitinelli, come gli Streghi, erano vicini ai Fornari: nel 1235 Cecio presenziò
a un atto nel quale Bonagiunta Fornari concedeva in tenimentum a un conta-
dino un appezzamento che i Fornari tenevano a livello dal monastero di San
Ponziano123. Due anni dopo lo stesso Bonagiunta vendette al fratello di Cecio,
Faitinello, due terreni posti nella piana di Lucca, uno dei quali, un podere col-
tivato a vigna dotato delle attrezzature necessarie alla produzione del vino, era
di grande valore124. In effetti il prezzo pagato da Faitinello, 360 lire lucchesi,
era molto alto. È possibile che i Fornari accettassero di privarsi di una proprietà
tanto redditizia perché vivevano un momento di difficoltà economica. Dopo il
1228 infatti non abbiamo altre attestazioni della loro società, e in seguito essi
abbandonarono il commercio internazionale.
Con l’acquisto del 1237 i Faitinelli portavano forse soccorso finanziario a
una famiglia alla quale erano legati da un intreccio di rapporti sociali, economici
e politici. Gli Streghi e i Faitinelli avevano una fisionomia sociale molto simile a
quella degli Onesti, dei Fornari, dei Martini, dei Peri, ed erano probabilmente

119
Doehaerd, n. 339, 1215 marzo 22.
120
AALu, Dipl. + K 59, 1207 dicembre 20.
121
Giovanni di Guiberto, n. 1027, 1205 maggio 6.
122
Le croniche di Giovanni Sercambi, cit., pp. 15-16.
123
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1235 gennaio 12.
124
ASLu, Dipl. S. Croce, 1237 agosto 1: «campus cum arboribus et cum vitibus et casa et tino et
palmento et bucte et puteo».
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 53

parte attiva di quel sistema di relazioni orizzontali che abbiamo descritto nelle
pagine precedenti125. Anche queste due famiglie ebbero un ruolo di primo piano
nelle vicende lucchesi dei secoli successivi.
Un altro mercante rintracciabile nelle fonti genovesi dell’inizio del secolo
è Gerardo da Chiatri, primo membro noto di una famiglia di un certo rilievo
del gruppo dirigente popolare della seconda metà del Duecento126. È molto
probabile che tra i numerosi lucchesi presenti sulla piazza genovese in quegli
anni, la maggior parte dei quali non sono identificabili perché indicati con il solo
patronimico, o a causa delle storpiature dei cognomi da parte dei notai locali,
si nascondano altri personaggi collegabili a importanti famiglie duecentesche e
trecentesche. I Martini per esempio potrebbero essere coinvolti in attività com-
merciali: essi erano legati ai Fornari perché una figlia di Guido Martini, sorella
di Arrigo, aveva sposato Bonagiunta. Inoltre nel 1243 Aldebrandino, figlio di
Arrigo, acquistò una partita di grana di Spagna127.
In questa prima fase, a quanto sembra, nessuna famiglia della militia cit-
tadina si dimostrò invece disponibile a cogliere le occasioni offerte dal nuovo
contesto economico128. L’espansione commerciale dell’inizio del Duecento sem-
brerebbe opera soltanto di gruppi familiari di origine piuttosto recente proprio
allora impegnati in un faticoso percorso di affermazione sociale.

A differenza dei panni scarlatti, l’affare della seta si rivelò in grado di


richiamare le forze più vitali della società lucchese. Alcuni imprenditori, come
si è visto, verso la fine del XII secolo provarono a investire nella manifattura
serica e nella commercializzazione dei suoi prodotti. I fondamenti tecnici della
lavorazione della seta erano già noti agli artigiani lucchesi129, i quali inoltre da
qualche decennio erano apprezzati negli ambienti mercantili per la loro abilità
nella lavorazione e nella rifinitura di stoffe di alta qualità. I mercanti «pionieri»
della seta furono probabilmente incentivati da una flessione dei costi di produ-

125
Cfr. cap. I.1.3.
126
Lanfranco (1202-1226), a cura di H.G. Krueger e R.L. Reynolds (d’ora in poi Lanfranco), Genova,
Società ligure di storia patria, 1951, n. 583, 1210 maggio 26; Doehaerd, n. 469, 1236 giugno 22.
127
ACLu, Not. LL 17, not ser Ciabatto, c. 30v, 1243 aprile 23.
128
Un Gerardo Antelminelli è attestato a Genova nel 1201 (Giovanni di Guiberto, n. 292, 1201 luglio
17), mentre un Enrico Antelminelli operava a Palermo nel 1205 (Ibidem, n. 1027, 1205 maggio 6). Non
abbiamo tuttavia nessun elemento che ci consenta di identificare questi due mercanti come membri
della potente famiglia consolare degli Antelminelli. Antelminello era infatti un nome piuttosto diffuso
a Lucca tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Tanto più che gli Antelminelli, a differenza di
numerose altre famiglie della militia cittadina (cfr. cap. II.1.3), non si impegnarono direttamente nelle
attività commerciali neppure nella seconda metà del Duecento.
129
Edler de Roover, The Silk Trade, cit.
54 Alma Poloni

zione, legata come si è detto alla maggiore reperibilità delle materie prime, e
dall’espansione della domanda proveniente dalle aristocrazie europee, in parti-
colare francesi. Essi ne riportarono a quanto sembra profitti talmente elevati da
destare l’interesse di coloro che disponevano di risorse da impiegare.
Mattafellone e Guido di Martino ebbero almeno tre figli che vissero fino
all’età adulta e si riprodussero. Almeno quattro figli di Carincione soppravis-
sero al padre, e la stessa fortuna toccò a Rapondo e Scalocchiato. All’inizio del
Duecento tra Lucca e Genova erano attivi cinque figli di Onesto. Il figlio di
Sasso, Pero, vide crescere fino all’età adulta sette figli. È stato dimostrato che
nell’Europa preindustriale il «successo riproduttivo» era strettamente legato
alla condizione economica: il saldo demografico decisamente positivo che
caratterizzò i nostri gruppi familiari a cavallo tra XII e XIII secolo è un’altra
conferma della loro floridezza. Questa caratteristica della crescita demografica
tuttavia tendeva a produrre fenomeni di mobilità sociale discendente, e il rischio
doveva essere particolarmente elevato per famiglie di ricchezza recente le cui
proprietà, anche se molto produttive, sembrerebbero di estensione piuttosto
limitata e concentrate nelle aree intorno alla città130. La disponibilità di questo
gruppo sociale a sfruttare le opportunità create dal commercio internazionale
era forse determinata anche dalla volontà di controbilanciare gli effetti poten-
zialmente negativi della frammentazione dei patrimoni.
L’impegno diretto di famiglie come gli Onesti e i Fornari consentì comunque
di convogliare verso il commercio internazionale parte delle risorse accumulate
attraverso le speculazioni sulle terre e sulle rendite e le operazioni di credito
agli enti ecclesiastici, saldando, in un certo senso, il «boom» agricolo del XII
secolo con la rivoluzione commerciale duecentesca. In questa fase, a quanto
sembra, soltanto alcuni dei popolari in ascesa scelsero di impegnarsi nei traffici
a lunga distanza. Nei primi decenni del Duecento alcune delle famiglie di cui
ci stiamo occupando, per esempio i Peri, i Carincioni e gli Incalocchiati, non
erano in apparenza interessate a tentare la fortuna in questo campo, e neppure
per i Martini e i Rapondi esistono attestazioni dirette131. In ogni caso l’immis-
sione nel settore manifatturiero e commerciale di almeno una parte dei capitali
provenienti dal settore agricolo, che viveva un momento di dinamismo, può

130
Per gli effetti sociali del maggior successo riproduttivo delle famiglie più benestanti cfr. da ulti-
mo G. Clark and G. Hamilton, Survival of the Richest: the Malthusian Mechanism in Pre-Industrial England,
in «The Journal of Economic History», 66 (2006).
131
È interessante notare che nei primi decenni del Duecento diversi membri delle famiglie che
non si impegnarono nel commercio internazionale, in particolare i Peri, i Carincioni, i Rapondi e gli
Incalocchiati, intrapresero la professione notarile, a conferma della necessità per questi gruppi familiari
di fare fronte al ritmo sostenuto della crescita demografica con l’accesso a nuove risorse economiche.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 55

aver avuto un ruolo importante nell’aumentare il volume degli scambi fino a


produrre un vero e proprio salto di qualità nell’organizzazione delle attività
mercantili.

2.4. Innovazioni organizzative e costi di transazione


Una veloce verifica limitata alla documentazione genovese edita mostra che
per gli ultimi vent’anni del XII secolo si contano più o meno una trentina di
contratti che coinvolgono mercanti lucchesi; uno solo di essi è un acquisto di
seta greggia, nessuno comporta la vendita di tessuti di seta, e non sono attestati
cambi sulle fiere della Champagne. Per i primi vent’anni del Duecento ho preso
nota di una cinquantina di atti riguardanti lucchesi, tra i quali cinque acquisti
di seta (ai quali si potrebbero probabilmente aggiungere un certo numero di
documenti che non specificano l’oggetto della transazione), quattro vendite
di zendadi e una vendita di samiti, una vendita di oro filato e sei contratti di
cambio sulle fiere, almeno cinque dei quali concentrati nel secondo decennio del
secolo. Si tratta di un calcolo davvero approssimativo, che tuttavia in qualche
modo conferma le tendenze che abbiamo già rilevato tracciando le biografie dei
mercanti, e cioè l’aumento della presenza dei lucchesi sulla piazza genovese ma
soprattutto la rapida espansione del mercato della seta e la saldatura, nei primi
anni del Duecento, delle due direttrici tradizionali del commercio lucchese,
quella verso Genova, e da qui verso l’Italia meridionale, e quella verso le fiere
della Champagne.
Il primo dato che emerge dai documenti che abbiamo analizzato nelle pagine
precedenti è la tendenza a sostituire le collaborazioni occasionali con partnershi-
ps più stabili, concluse esclusivamente tra concittadini. Si delinea già anche la
struttura organizzativa che sarà tipica della compagnia nella sua forma matura,
con una sede lucchese e uno o più soci attivi a Genova. La forma più elementare
era la società a base familiare, con una rudimentale divisione del lavoro tra i
fratelli, uno dei quali si assumeva il compito di spostarsi tra le piazze mercantili:
è il caso della società degli Onesti ma, all’inizio, anche di quelle dei Fornari e
dei Ricciardi. La sperimentazione di legami associativi tra estranei è tuttavia
quasi contemporanea alla diffusione delle società familiari: la documentazione
genovese mostra numerosi esempi in particolare dopo il 1210132.
Queste strutture associative permettevano di riunire le forze economiche
di più investitori creando un capitale iniziale con il quale operare sul mercato.
Per un mercante lucchese attivo a Genova era certamente un vantaggio avere a

132
Cfr in particolare Doheaerd, n. 294, 1213 settembre 6, n. 299, 1213 settembre 12, n. 339, 1215
marzo 22.
56 Alma Poloni

disposizione un fondo già costituito invece di doverne comporre uno attraver-


so una serie di negoziazioni, nella forma di commende e società di mare, con
finanziatori grandi e piccoli. Questa attività di raccolta di capitali aveva infatti
dei costi, poiché richiedeva l’impiego di risorse nella creazione e nel consolida-
mento delle reti di relazioni necessarie a creare un rapporto di fiducia con gli
investitori locali; a ciò si aggiungevano le spese per la stesura dei contratti che
regolavano i rapporti tra il socio accomandatario e i vari soci accomandanti. Tali
costi rientrano nella più ampia categoria dei costi di transazione. Della conve-
nienza dei legami societari di lunga durata erano già in qualche modo consape-
voli i mercanti del XII secolo, come mostra il particolare rapporto d’affari tra il
lucchese Oberto e il ricco genovese Baldezone Ususmaris133.
Le nuove forme societarie consentivano una riduzione anche dei «costi di
agenzia», legati al controllo degli agenti impiegati nei traffici a lunga distanza,
un’altra importante componente dei costi di transazione. La soluzione più
semplice, come si è visto, era il ricorso ai vincoli di parentela. Anche quando
il rapporto societario si estendeva al di fuori del gruppo familiare, tuttavia, la
fiducia reciproca che si consolidava con la lunga durata della relazione e la
compartecipazione di tutti i soci ai profitti dell’impresa contribuivano a scorag-
giare i comportamenti utilitaristici. Tanto più che la collaborazione tra i soci
veniva rafforzata attraverso unioni matrimoniali e una consuetudine di rapporti
che comportava la disponibilità reciproca a comparire tra i testimoni degli atti
notarili, a fare da esecutori testamentari e tutori di figli minorenni, a prestare
soccorso in caso di difficoltà economiche. Tutto ciò ricreava un legame non
meno vincolante di quello determinato dalla parentela diretta, e faceva sì che la
sanzione sociale che sarebbe seguita a una condotta lesiva degli interessi della
società fungesse da efficace deterrente.
Ove ciò non bastasse, interveniva la sanzione legale. Negli ultimi decenni
del XII secolo Lucca si era dotata di un articolato sistema di tribunali134; al suo
funzionamento, come abbiamo accennato, prendevano parte le famiglie più in
vista tanto dell’aristocrazia quanto del Popolo. Gli atti genovesi mostrano che
almeno dall’inizio degli anni ’90 del XII secolo gli insolventi lucchesi potevano
essere denunciati ai consules treguanorum135. Questa curia era nata negli anni
’60, e inizialmente il suo compito principale era comporre le vertenze nelle
quali una delle due parti era un ente ecclesiastico. Sembra comunque che nei

133
Cfr. Cap. I.2.1.
134
Wickham, Legge, cit., pp.80-105.
135
Guglielmo Cassinese, n. 69, 1191 gennaio 15, Giovanni di Guiberto, n. 65, 1200 dicembre 3 e n. 1146,
1205 maggio 11.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 57

decenni successivi la sua competenza si sia estesa alle cause per debito in gene-
rale, anche tra laici. Questa evoluzione potrebbe essere stata stimolata anche
dalle nuove esigenze legate all’aumento degli scambi. Negli stessi anni veniva
potenziata la giurisdizione dei consoli dei cambiatori e soprattutto dei consoli
dei mercanti136. Questi sviluppi istituzionali, che solo in parte furono una
conseguenza diretta dell’incremento dei traffici a lunga distanza, rafforzarono
i meccanismi relativi alla garanzia di applicazione dei contratti (contract enfor-
cement), e furono dunque importanti per sostenere e incoraggiare l’espansione
delle attività commerciali137.
Gli studiosi di economia hanno inoltre dimostrato che nel medioevo le
istituzioni giudiziarie producevano una riduzione dei costi di informazione e
potenziavano il sistema sanzionatorio fondato sulla reputazione138. La causa
per mancato rispetto di un contratto rendeva di dominio pubblico il compor-
tamento poco virtuoso del mercante insolvente, fornendo agli altri operatori
un’informazione che poteva essere utile per evitare danni economici, e allo
stesso tempo incentivando l’adozione di una condotta onesta. Ciò era tanto più
vero per Lucca dove, come abbiamo visto, non era necessaria alcuna prepara-
zione giuridica per prestare servizio nei tribunali cittadini, e i consules delle curie
erano reclutati tra le famiglie del Popolo, alcune delle quali erano direttamente
impegnate nella mercatura. In un contesto del genere è facile immaginare come
le voci corressero rapidamente all’interno delle complesse reti di relazioni nelle
quali si articolava il mondo mercantile.
Tutto ciò spiega perché le società commerciali, a differenza delle società di
mare e delle commende, fossero concluse esclusivamente tra concittadini. L’
intrico di legami parentali, economici e d’amicizia nel quale ogni cittadino era
avviluppato, sommato alla minaccia del sequestro dei beni, che era la misura
messa in atto dai tribunali urbani in caso di insolvenza, erano abbastanza effi-
caci nello scoraggiare i soci dall’arricchirsi ai danni della società.

136
Nel 1191 tra le formule di un contratto di cambio su Lucca si trova un riferimento alla «pena
consulum Luce et gambiatorum (sic) et treguanorum de Luca» (Guglielmo Cassinese, n. 69, 1191 gen-
naio 15). Lo stesso anno due lucchesi comprarono seta da un concittadino; il pagamento doveva avve-
nire a Lucca, e si specificava che i debitori «debent recipere terminum istius pagamenti a consulibus
mercatorum de Luca» (Guglielmo Cassinese, n. 256, 1191 marzo 4). Sui consoli dei mercanti cfr. Poloni,
Strutturazione, cit.
137
A. Greif, Commitment, Coercion and Markets: the Nature and Dynamics of Institutions Supporting
Exchange, in Handbook of New Institutional Economics, edited by C. Ménard and M. Shirley, Berlin,
Springer, 2005, pp. 727-786.
138
P.R. Milgrom - D.C. North - B.W. Weingast, The Role of Institutions in the Revival of Trade: the Law
Merchant, Private Judges, and the Champagne Fairs, in «Economics and Politics», II (1990), pp. 1-23.
58 Alma Poloni

L’organizzazione societaria che cominciò a delinearsi a cavallo tra XII e


XIII secolo, e che si perfezionò nei primi decenni del Duecento, contribuì ad
abbassare i costi di transazione, e perciò stimolò la crescita economica139. Essa
tuttavia era nata proprio in risposta all’espansione del mercato che, aumentan-
do il numero e la varietà degli scambi, tendeva a produrre un incremento dei
costi di informazione, di misurazione, di agenzia, di applicazione dei contratti.
D’altra parte era il flusso ormai ininterrotto di relazioni commerciali tra Lucca
e Genova a rendere conveniente per le società lucchesi affrontare la spesa di
mantenere uno o più agenti sulla piazza genovese.

I documenti genovesi ci permettono di seguire da vicino l’introduzione di


un’altra innovazione organizzativa di grande importanza per il commercio luc-
chese. Più o meno dal secondo decennio del Duecento divenne prassi consueta
per i mercanti lucchesi saldare alle fiere della Champagne i debiti contratti a
Genova140. Non è probabilmente un caso che i primi contratti di cambio sulle
fiere fossero stipulati con mercanti astigiani o fiamminghi141. Questi ultimi

139
La New Institutional Economics, incentrata sul concetto di costi di transazione, è un filone
di studi molto fecondo, e caratterizzato da una particolare attenzione per la dimensione storica dello
sviluppo economico. Tuttavia le analisi specificatamente indirizzate alla comprensione dei processi di
crescita precedenti all’età moderna sono ancora poco numerosi. Tra gli esempi più significativi vedi
D.C. North e R.P. Thomas, L’evoluzione economica del mondo occidentale, Milano, A. Mondadori 1976 (ed.
orig. Cambridge 1973). Milgrom, North, Weingast, The Role of Institutions, cit. A. Greif, Reputation
and Coalition in Medieval Trade: Evidence on the Maghribi Traders, in «Journal of Economic History», IL
(1989), pp. 857-882. Id., On the Political Foundation of the Late Medieval Commercial Revolution: Genoa dur-
ing the Twelth and Thirteenth Centuries, in «Journal of Economic History», LIV (1994), pp. 271-287;
Id., Cultural Beliefs and the Organization of Society: A Historical and Theoretical Reflection on Collectivist and
Individualist Societies, in «The Journal of Political Economy», CII (1994), pp. 912-950. Id., Impersonal
Exchange without Impartial Law: The Community Responsibility System, in «Chicago Journal of International
Law», V (2004), pp. 109-138. Id., Institutions and the Path to the Modern Economy: Lessons from Medieval
Trade, Cambridge, Cambridge University Press, 2006. Per una discussione di questa corrente teorica
si vedano anche R.S. Epstein, An Island for Itself. Economic Development and Social Change in Late Medieval
Sicily, Cambridge, Cambridge University Press, 1992 e Id., Freedom and Growth. The Rise of States and
Markets in Europe, 1300-1750, London, Routledge, 2000.
140
Il primo contratto di cambio sulle fiere dei lucchesi attivi a Genova suscita problemi di datazio-
ne: Doehard, n. 224, 1207 o 1213 maggio 17. A mio parere un documento del 1191 prova che a quella
data la saldatura tra il commercio lucchese a Genova e quello alle fiere non si era ancora compiuta. Nel
marzo di quell’anno, come si è visto, due lucchesi comprarono da un concittadino una grossa partita di
seta e si impegnarono a pagare circa 36 lire genovesi a Lucca entro un mese dal loro rientro dalla fiera di
Bar-sur-Aube (Guglielmo Cassinese, n. 256, 1191 marzo 4). Venticinque anni dopo essi avrebbero proba-
bilmente concordato con il venditore di pagarlo direttamente alle fiere, saltando i passaggi intermedi.
141
I lucchesi stipularono due cambi con il fiammingo Raoul de St. Venant (Doehaerd, n. 294,
1213 settembre 6, n. 358, 1216 settembre 17), due con astigiani (Ibidem, n. 224 1207 o 1213 maggio 17,
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 59

dalla metà del XII secolo frequentavano con continuità le fiere, dove erano
impegnati nella commercializzazione dei panni delle Fiandre e della Francia
del nord, mentre gli astigiani, primi tra gli italiani, almeno dall’inizio degli anni
’90 regolavano la propria attività sulla base del ciclo fieristico142. È possibile che
il primo incentivo alla costituzione di un circuito finanziario Lucca-Genova-
Champagne sia venuto proprio dalla combinazione tra la crescente domanda
di credito dei lucchesi attivi a Genova e l’esigenza dei mercanti francesi ed
astigiani di spostare capitali sulle fiere. Inoltre nel 1209 Filippo Augusto
assicurò la protezione reale a tutti i mercanti che si recavano alle fiere, i quali
fino a quel momento si erano mossi sotto la tutela del conte della Champagne,
che aveva un’efficacia ridotta al di fuori del territorio sottoposto al suo diretto
controllo143.
L’istituzione di un collegamento finanziario stabile tra Genova e la
Champagne era in ogni caso legata a caratteristiche strutturali del commercio
lucchese. I mercanti della città toscana avevano bisogno di credito sulla piazza
genovese per l’acquisto delle costose materie prime necessarie alla manifattura
serica, ma evidentemente avevano disponibilità di denaro liquido sulle fiere:
la loro bilancia dei pagamenti era cioè in passivo a Genova e in attivo nella
Champagne, ed era dunque facile vedere la complementarità dei due flussi
commerciali. Dal momento che i documenti rogati alle fiere per questa fase
cronologica non si sono conservati, non possiamo sapere che tipo di affari vi
concludessero i lucchesi; è probabile che, come gli altri mercanti, tendessero
a diversificare gli investimenti. Il centro vitale dei loro interessi era tuttavia
presumibilmente costituito dalla vendita di tessuti di seta, una merce costosa
destinata a consumi d’élite. Esisteva una domanda crescente di articoli di lusso
da parte delle aristocrazie francesi e dei gruppi dirigenti urbani144. Parte delle
sete vendute alle fiere prendeva probabilmente la strada di Parigi, che proprio
in quegli anni, per volontà di Filippo Augusto, stava acquisendo il ruolo di

n. 318, 1214 febbraio 28), due con altri lucchesi (n. 299, 1213 settembre 12, n. 339, 1215 marzo 22).
142
R.H. Bautier, Les foires de Champagne, in La foire, Bruxelles, Librairie Encyclopedique, 1953,
pp. 97-147, in particolare pp. 110-115.
143
Ibidem, p. 117.
144
La diffusione tra le aristocrazie francesi di stili di vita sempre più dispendiosi – si pensi all’affer-
mazione di cerimonie eccezionalmente sfarzose per l’«addobbamento» dei cavalieri – è all’origine anche
dell’esplosione della domanda di credito a partire dall’inizio del Duecento: cfr. R. H. Bautier, I Lombardi
e i problemi del credito nel regno di Francia nei secoli XIII e XIV, in L’uomo del banco dei pegni. «Lombardi» e mer-
cato del denaro nell’Europa medievale, a cura di R. Bordone, Torino, Scriptorium, 1994, pp. 23-56. I tessuti
di seta erano utilizzati nelle cerimonie di vestizione, nei tornei, e anche per i doni che il re faceva al suo
entourage e a potenti stranieri nelle principali ricorrenze: si veda in generale La seta in Europa, cit.
60 Alma Poloni

capitale del regno145. I notabili laici ed ecclesiastici che ruotavano intorno alla
corte cominciavano a spostarvi la propria residenza, creando col tempo una
concentrazione eccezionale della domanda di beni di prestigio146.
Il collegamento di Genova con le fiere attraverso lo strumento del contratto
di cambio fu fondamentale per gli sviluppi successivi dell’economia lucchese.
Esso facilitò il reperimento di capitali sulla piazza genovese, ma contribuì anche
a risolvere, almeno in parte, il problema del rientro a Lucca dei proventi della
vendita di tessuti di seta sui mercati del Nord. Si trattò cioè di un’innovazione
capace di aumentare in maniera considerevole la mobilità dei capitali, favoren-
do così un’ulteriore espansione del commercio lucchese.

In conclusione, all’inizio del Duecento i lucchesi introdussero alcune novi-


tà di grande rilievo nell’organizzazione delle proprie attività commerciali in
risposta alle nuove esigenze – e alle nuove opportunità – create dall’incremento
del volume degli scambi, a sua volta legato all’affermazione della manifattura
serica. Queste modifiche consentirono di contenere i costi di transazione, che
tendevano a lievitare con l’aumentare della dimensione dell’attività economica
e costituivano dunque un possibile freno alla crescita147. La capacità di adatta-
mento dimostrata dalla generazione di lucchesi vissuti a cavallo tra XII e XIII
secolo, le cui storie sono state al centro di questo capitolo, avviò un processo di
sviluppo che continuò praticamente ininterrotto per quasi un secolo.

145
Histoire de la France urbaine, sous la direction de G. Duby, vol. II, La ville medievale des Carolingiens
à la Renaissance, volume dirigé par J. Le Goff, Paris, Seuil, 1980.
146
Tra i beni di lusso più ambiti c’erano senz’altro i tessuti di seta: sappiamo per esempio che nel
1234 la corte inglese ordinò ben 300 pezze di zendadi di Lucca (D. King, Types of Silk Cloth Used in
England 1200-1500, in La seta in Europa, cit., 457-464, in particolare p. 458).
147
Su questi meccanismi D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, cit.; Id., Capire il proces-
so, cit..
Capitolo secondo
CRESCITA ECONOMICA
E MOBILITÀ SOCIALE NEGLI ANNI ’60
E ’70 DEL DUECENTO

Questo capitolo tenta di dimostrare che nel ventennio compreso più o meno
tra il 1255 e il 1275 il commercio lucchese conobbe una fase di grande espan-
sione, tanto da poter parlare di una «seconda rivoluzione commerciale», dopo la
prima dell’inizio del secolo. Nel primo paragrafo si prendono in considerazione
una serie di cambiamenti rilevabili nella società cittadina: la rapida ascesa di
un gran numero di individui e nuclei familiari grazie a una fortunata attività
commerciale, ma anche la «conversione» all’impegno commerciale di famiglie e
gruppi sociali – in particolare la militia – fino a quel momento sostanzialmente
disinteressati al mondo degli affari. Questi movimenti sono interpretati come
indicatori attendibili di un lungo ciclo di crescita economica, legato ancora una
volta all’espansione dell’industria serica. Nel secondo paragrafo la spiegazione
di questa fase di crescita è individuata in una complessa combinazione di fattori
economici e politici che contribuirono in questi anni a trasformare progressiva-
mente il sistema degli scambi internazionali.

1. Nuovi percorsi di affermazione sociale


1.1. Storie di mercanti

Di Iacobo Melanesi e della sua famiglia non abbiamo notizie fino alla fine
degli anni ’40 del Duecento. Il padre Benetto era forse un piccolo mercante
originario di Milano, attratto a Lucca dal vivace clima economico della prima
metà del secolo. La svolta della vita di Iacobo avvenne quando, alla fine degli
anni ’50, entrò in affari con Bonaventura, Falcone ed Enrico, figli di Tedesco
Porcelli. La società si specializzò in un’attività di intermediazione commerciale:
essa riforniva il mercato lucchese di seta greggia comprata all’ingrosso sulla
piazza genovese. Gli acquisti venivano conclusi in associazione con altre com-


ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1247 marzo 25.
62 Alma Poloni

pagnie lucchesi, una scelta che consentiva di comprare partite di merce molto
consistenti risparmiando sia sul prezzo di acquisto che sui costi di transazione.
Il pagamento, se il venditore accettava, avveniva alle fiere della Champagne.
La società tuttavia si procurava il denaro contante necessario alla sua attività
principale anche attraverso i cambi sulle fiere.
All’inizio degli anni ’70 entrò nella compagnia anche un figlio di Iacobo,
Salliente. La società dei Porcelli si sciolse probabilmente nella seconda metà del
decennio. In vent’anni di attività Iacobo si era costruito una fitta rete di contatti
sulla piazza genovese, e anche a Lucca doveva ormai avere una sua clientela.
Su queste basi, insieme al figlio Salliente e a un concittadino, Bonaventura
Guercio, egli fondò un’altra società, continuando probabilmente a dedicarsi
all’acquisto di seta all’ingrosso.
Intorno al 1270 i Melanesi erano benestanti, forse ricchi, ma godevano di
una visibilità sociale singolarmente bassa. Nella famiglia non c’erano giudici
e neppure notai, e nessun membro aveva mai prestato servizio nei tribunali


Nel novembre del 1259 Iacobo Melanesi, a nome anche dei soci, e Orlando del fu Battoso per
la compagnia Battosi acquistarono una certa quantità di seta, per la quale si impegnarono a pagare 285
lire di provesini alla fiera di Provins di maggio (Doehaerd, n. 1112, 1259 novembre 28). A dicembre
dello stesso anno le due società acquistarono seta cinese per il prezzo di 256 lire di provesini, da pagare
alla fiera di Lagny sur Marne (R.S. Lopez, Nuove luci sugli italiani in estremo oriente prima di Colombo, in
Id., Su e giù per la storia di Genova, Genova, Università di Genova, Istituto di paleografia e storia medie-
vale, Genova 1975 (ed. orig. 1952), pp. 83-135, pp. 129-130). Nel marzo del 1274 Salliente Melanesi e
soci, Ubaldetto Linguaforbita e soci e Betto Buiamonti a nome della società dei Cardellini acquistarono
da un genovese una certa quantità di seta, per la quale si impegnarono a pagare poco più di 232 lire di
provesini alla fiera di Provins St. Ayoul (Doehaerd, n. 1296, 1274 marzo 22).

Sempre nel 1274 Salliente, a nome della società, ricevette da Luchetto Spinola una quantità
non specificata di moneta genovese, per la quale prometteva 305 lire e 13 soldi di provesini alla fiera
di Provins Saint Ayoul (Doehaerd, n. 1297).

Non abbiamo attestazioni dirette dell’acquisto di partite di seta da parte della nuova società.
Tuttavia essa fu impegnata in numerose operazioni di cambio sulle fiere, tutte per somme notevoli: nel
giugno del 1278 ricevette da un banchiere piacentino una somma in lire genovesi in cambio di 300 lire
di provesini alla fiera di Troyes San Giovanni (Doehaerd, n. 1358, 1278 giugno 22). Nel gennaio del
1282 Bonaventura Guercio si impegnò a pagare a un mercante di Alba alla fiera di Bar-sur-Aube 400
lire di provesini, e appena quattro giorni dopo promise a un genovese 200 lire di provesini alla stessa
fiera (Ibidem, n. 1397, 1282 gennaio 24, n. 1408, 1282 gennaio 28). A Genova dunque la compagnia
accumulava capitali, senza dubbio da investire nella seta. A Lucca invece Iacobo Melanesi e soci opera-
vano anche come datori di cambio, probabilmente per trasferire sulle fiere i ricavi ottenuti dalla vendita
di seta greggia sul mercato cittadino: nel 1279 Bonagiunta Tignosini ricevette dalla società poco più di
697 lire lucchesi, per le quali promise di pagare 200 lire di provesini alla fiera di Bar-sur-Aube (ASLu,
Not. 13, reg. 2, Armanno Armanni, c. 28, 1279 gennaio 31). Alle fiere i Melanesi acquistavano panni
delle Fiandre e della Francia del Nord, che poi rivendevano ai draperii di Genova in piccole partite
(Ferretto, II, CDLV, 1278 gennaio 20; Doehaerd, n. 1354, 1278 gennaio 24).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 63

cittadini. Iacobo e i suoi figli, inoltre, non sembrano compiere alcuno sforzo
per integrarsi nel gruppo dirigente del Comune di Popolo. Fino alla fine del
secolo l’unica dimensione della vita familiare ampiamente attestata è l’attività
commerciale.
All’inizio degli anni ’80 Omodeo Fiadoni entrò nella società fondata dai
Melanesi e da Bonaventura Guercio. Non era la prima volta che il Fiadoni
lavorava con Iacobo e Salliente: nel 1274 infatti egli compare tra i soci dei
Porcelli, poco prima che la compagnia si sciogliesse. Omodeo proveniva da
una famiglia che probabilmente non disponeva di grandi mezzi. Egli fece
fortuna nella seconda metà degli anni ’60, a quanto sembra sfruttando le nuove
opportunità economiche che si erano aperte nell’Italia meridionale dopo la con-
quista angioina. Nel 1269 infatti il Fiadoni chiese agli ufficiali regi la licenza
di inviare ad Accon una nave carica di mercanzie, ferma nel porto di Baia, in
Campania, e nel 1272 compare tra i creditori lucchesi di Carlo I d’Angiò.
Nel 1274 Omodeo ricoprì la carica di Anziano del Popolo, ma di per sé
questa circostanza non è sufficiente a indicare un impegno politico ai più alti
livelli10. Questo onore infatti ogni anno gratificava anche un certo numero di
cittadini di condizione media o medio-bassa, per i quali esso non segnava l’in-
gresso nel gruppo dirigente cittadino. Nulla suggerisce che Omodeo dedicasse
energie a tessere la trama di relazioni necessaria per accedere all’élite politica
del Comune di Popolo.
All’inizio del Trecento la società dei Moriconi era una delle più vivaci del
panorama lucchese. Di questa famiglia non ho trovato attestazioni antecedenti
alla fine degli anni ’50 del Duecento. Negli anni ’70 erano attivi quattro fratelli,
figli di un già defunto Arrigo Moriconi. Uberto era notaio, mentre gli altri,
Datone, Nicolao e Orlando, erano mercanti, anche se le informazioni a nostra
disposizione sono troppo vaghe per ricostruire un quadro attendibile dei loro


Doehaerd, n. 1397, 1282 gennaio 24, n. 1402, 1282 gennaio 28.

Ibidem, n. 1296, 1274 marzo 22.

Nella ricostruzione dell’albero genealogico di Omodeo non sono riuscita a risalire più indietro
del padre Rainone e dello zio Iacobino, figli di Iacobo Fiadoni. Di essi tuttavia sappiamo poco: nel 1225
i due acquistarono da un tabernarius un piccolo appezzamento in Fibbialla, del valore di 4 lire lucchesi
(ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1225 settembre 19). Nel 1238 Iacobino compare tra i testimoni di un atto di
vendita (ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1238 marzo 8).

G. Petralia, I toscani nel Mezzogiorno medievale: genesi ed evoluzione trecentesca di una struttura di lungo
periodo, in La Toscana nel secolo XIV. Caratteri di una civiltà regionale, Pisa, Pacini Editore 1988, pp. 287-336.

I registri della cancelleria angioina ricostruiti da R. Filangeri con la collaborazione degli archivisti napoleta-
ni, 10 voll., Napoli 1950-1957, IV, n. 853, p. 129, 1269; Ibidem, V, n. 199, pp. 251-252, 1272 luglio 8.
10
ACLu, Not. LL 34, c. 57v-58r 1274 agosto 11.
64 Alma Poloni

affari11. Arrigo doveva aver dotato i figli di una buona base economica, tale
da consentire ad ognuno di loro di scegliere la propria strada. Possiamo ipo-
tizzare, in mancanza di qualsiasi attestazione sul suo conto, che egli non fosse
un proprietario terriero inserito in una solida rete di relazioni sociali, ma più
probabilmente un mercante che riuscì ad accumulare una discreta fortuna nella
Lucca degli anni ’40-’50 del Duecento. Nella seconda metà del secolo anche i
Moriconi, come i Melanesi e i Fiadoni, sembrano investire tutte le loro risorse,
umane ed economiche, nell’attività mercantile. Nel 1276 Datone sedette nel
consiglio del Popolo, ma a parte ciò non ci sono altri segnali di un interesse della
famiglia per la politica comunale12.
I Margatti avevano radici più profonde rispetto ai gruppi familiari fin qui
analizzati. Il capostipite della famiglia, Sandonese del fu Margatto, visse alla
fine del XII secolo. Si trattava, a quanto sembra, di un proprietario terriero di
una certa importanza, legato al monastero di San Ponziano13; egli appartene-
neva dunque allo stesso gruppo sociale di Onesto, Mattafellone, Scalocchiato,
Carincione14. La sua discendenza, tuttavia, non ebbe la stessa fortuna. Dopo
gli anni ’90 del XII secolo, infatti, si perdono le tracce della famiglia nella
documentazione lucchese. Sessant’anni più tardi Margatto di Sandonese, forse
il figlio, certamente un discendente di Sandonese di Margatto, era un mercan-
te attivo alle fiere della Champagne. Nel 1256, durante la fiera di Provins di
maggio, Margatto e i fratelli Gentile presero in prestito da alcuni fiorentini 102
lire e 10 soldi di provesini, promettendo di restituire il denaro alla successiva
fiera di San Giovanni di Troyes15. Margatto, grazie al suo impegno nel com-
mercio internazionale, può essere considerato un vero e proprio «rifondatore»
delle fortune familiari: i suoi figli Dino e Freduccio a partire dagli anni ’90 del
Duecento faranno parte a pieno titolo dell’élite mercantile lucchese.
All’inizio degli anni ’70 i fratelli Sandone, Perfetto, Orlando e Bonifazio del
fu Arrigo Sandoni erano tra i maggiori rivenditori all’ingrosso di seta greggia a
Lucca16. Alcuni indizi fanno pensare che essi si procurassero la merce oltre che
a Genova – dove tuttavia, a quanto sembra, non avevano un agente stabile – a
Venezia, un mercato meno frequentato dai lucchesi rispetto alla piazza geno-
vese, sul quale perciò si potevano forse ottenere condizioni d’acquisto un po’

11
ASLu, Dipl. Serviti, 1277; Ferretto, II, CCCLXXXIV, 1277 settembre 23.
12
AALu, Dipl. * O n. 37, 1276 ottobre-novembre.
13
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1191 marzo 10; Ibidem, 1191 agosto 30.
14
Cfr. cap. I.1.1 e I.1.2.
15
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1256 giugno 23.
16
ASLu, Not. 12, reg. 1, Paganello di Fiandrada, cc. 9r, 13 r e v, 42r, 44v, 45v.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 65

più favorevoli17. I Sandoni tuttavia non avevano interessi soltanto nel campo
della seta. Essi compravano dalle maggiori compagnie lucchesi e dai mercanti
fiorentini presenti a Lucca grosse partite di grana e di tessuti bianchi fiammin-
ghi18. È probabile che i quattro fratelli si dedicassero, in un loro laboratorio o
più verosimilmente rivolgendosi a botteghe artigiane indipendenti, alla tintura
con la grana dei panni «ultramontani». Come abbiamo già visto, si trattava di
un’attività nella quale i lucchesi erano specializzati fin dalla seconda metà del
XII secolo19. I Sandoni vendevano probabilmente i loro scarlatti, oltre che sulla
piazza lucchese, anche a Firenze e a Venezia, procurandosi così la liquidità
necessaria agli acquisti di panni fiamminghi e di seta greggia20.
Arrigo di Sandone, il padre dei quattro mercanti attivi negli anni ’70, e
suo fratello Bonaccorso sono attestati a partire dagli anni ’20 del Duecento. Il
figlio di Sandone era legato a Perfetto e Ricciardo tintore, figli del fu Graziano
tintore, tanto da imporre a uno dei suoi figli il nome Perfetto21. È possibile che
anche Arrigo e Bonaccorso, come i figli del tintore Graziano, si dedicassero alla
rifinutura, alla tintura e alla vendita di pannilana e tessuti di seta. Dagli anni ’30
tuttavia le storie delle due famiglie cominciano a divergere: mentre i Ricciardi
riuscirono ad ampliare progressivamente e a diversificare il proprio giro d’affari

17
Nel luglio del 1273 Perfetto Sandoni ricevette in prestito da Martinosso del fu Bonanno 157 lire
lucchesi, in cambio delle quali si impegnò a restituirgli a Venezia entro la fine di agosto 8 lire bonorum
venesianorum grossorum (ASLu, Not. 12, reg 1, Paganello de Fiandrada, c. 62r, 1273 luglio 29). I Sandoni
agirono spesso insieme a un altro mercante lucchese, Gardo Aimerigi. All’inizio del Trecento Michele
Aimerigi, probabilmente il figlio di Gardo, era tra i mercanti lucchesi che frequentavano con continuità
la piazza veneziana (cfr. per esempio ASLu, Not. 60, Rabbito Torringhelli, cc. 14v-15v, 1310 gennaio
12). Anche a Lucca inoltre i Sandoni concludevano affari con mercanti veneziani (ASLu, Not. 12, reg
1, c. 74v, 1273 settembre 17).
18
Nel maggio del 1273 i Sandoni acquistarono dalla società dei de Podio una partita di panni
bianchi di Ypres al prezzo di 325 lire e 12 soldi di denari lucchesi (ASLu, Not. 12, reg 1, c. 44r). Nel
giugno dello stesso anno acquistarono dai Moccidenti 100 libbre di grana di Corinto, che pagarono a
rate (Ibidem, c. 52r). Sempre a giugno comprarono da un mercante fiorentino panni bianchi di Ypres
per il prezzo di 1052 lire lucchesi, da saldare entro il 10 agosto a Firenze (Ibidem, cc. 52v-53r). La
somma era talmente alta che i Sandoni furono costretti a chiedere la fideiussione di Ubaldo Cardellini,
membro di una delle più importanti famiglie mercantili lucchesi. Pochi giorni dopo comprarono ancora
dai Moccidenti più di 166 libbre di grana di Corinto (Ibidem, c. 54r).
19
Cfr. cap I.2.2.
20
Come si è visto, infatti, i Sandoni si impegnavano a pagare a Firenze il prezzo dei panni
acquistati a Lucca da un mercante fiorentino (cfr supra, nota 18), segno che si aspettavano di avere a
disposizione sulla piazza fiorentina la grossa somma necessaria a saldare in debito.
21
Nel 1225 Arrigo assistette come testimone all’acquisto da parte di Perfetto del fu Graziano di
alcune terre nel Comune di Tassignano (ASLu, Dipl. Altopascio Dep. Orsetti Cittadella, 1225 ottobre 13). I
Sandoni erano legati ai Ricciardi ancora alla fine degli anni ’60 (ASLu, Not. 6, reg. 1, 1267 agosto 29).
Sui Ricciardi cfr. Del Punta, Mercanti, cit.
66 Alma Poloni

e fondarono una compagnia che in pochi decenni giunse ai vertici della finanza
internazionale, i figli di Sandone continuarono probabilmente a gestire la loro
bottega con discreta fortuna. Arrigo dotò comunque i suoi quattro figli di un
patrimonio di competenze e di un capitale di partenza che diedero loro la pos-
sibilità di cogliere al meglio le opportunità che si aprirono con la nuova ondata
espansiva degli anni ’60-’70. Anche i Sandoni fino alla fine del Duecento rima-
sero estranei agli ambienti nei quali si decideva la politica comunale.
A quanto mi risulta gli Asquini compaiono nelle fonti lucchesi nella seconda
metà degli anni ’30 del Duecento22. Negli anni ’40 un membro della famiglia,
Arrigo, esercitava la professione di notaio23. Anche per gli Asquini alla fine
degli anni ’50, con l’impegno diretto nel commercio internazionale, ebbe inizio
una fase nuova della storia familiare. Tra il 1259 e il 1268 Burnetto Asquini
operò a Genova come agente di una compagnia, ma non conosciamo il nome
degli altri soci24. Nel 1272, probabilmente sempre in rappresentanza di questa
società, Burnetto è elencato tra i finanziatori lucchesi di Carlo I d’Angiò25.
La storia dei Mordecastelli è del tutto diversa da quelle sin qui analizzate.
Comparsi quasi dal nulla alla fine degli anni ’50 del Duecento, in breve tempo
essi divennero una delle famiglie più potenti del gruppo dirigente popolare26.
L’ascesa della famiglia sembra legata sopprattutto all’intraprendenza di uno
dei suoi membri, Faitinello. Nel 1258 Faitinello Mordecastelli fu camerarius
del Comune, un incarico di responsabilità concesso soltanto a chi già godeva
della fiducia degli Anziani27. Sempre nel 1258 Ghisello Mordecastelli fu console
dei treguani28. Nel 1265 Faitinello fu Anziano; quello stesso anno Albonetto
Mordecastelli sedette in consiglio generale, mentre il notaio Federico fu nomi-
nato ufficiale del Comune super facto murorum29. Nel 1276 il fratello di Faitinello,

22
AALu, Dipl. A 25, 1236 giugno 3.
23
ASLu, Not. 1, I, Filippo Notti, 1246 maggio 12.
24
Nel 1259 a Genova Burnetto, a nome anche dei suoi soci, fece da garante all’acquisto di una gros-
sa partita di seta greggia da parte delle compagnie dei Battosi e dei Porcelli (Doehaerd, n. 1112, 1259
novembre 28). Nel 1268 egli ricevette una certa quantità di moneta genovese, per la quale di impegnò a
pagare 200 lire di provesini alla fiera di Lagny sur Marne (Doehaerd, n. 1269, 1268 gennaio 7).
25
I registri della cancelleria angioina, cit., V, n. 199, pp. 251-252, 1272 luglio 8.
26
Le uniche attestazioni antecedenti al 1258 che ho potuto rinvenire sono: ACLu, Not. LL1, ser
Ciabatto, c. 217r, 1238 giugno 23; ASLu, Dipl. Certosa, 1255 ottobre 10.
27
ASLu, Archivio di stato Tarpea, 1258 febbraio 26.
28
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1258 maggio 14.
29
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1265 agosto 27. Il Comune intendeva abbattere la vecchia cinta muraria,
divenuta inutile dopo il completamento della nuova cinta. Con il tempo tuttavia diverse parti delle vec-
chie mura erano state inglobate nelle proprietà di privati cittadini. Federico Mordecastelli e il giudice
Bonagiunta Perfecte erano stati incaricati di affrontare il problema.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 67

Castello, fu consigliere del consiglio del Popolo, e l’anno successivo Baldinetto


Mordecastelli prestò servizio nella curia dei treguani30.
I Mordecastelli, come le altre famiglie delle quali ci stiamo occupando in
questo capitolo, fecero fortuna grazie alla «seconda rivoluzione commerciale»
che ebbe luogo a Lucca nel ventennio compreso più o meno tra la metà degli
anni ’50 e la metà degli anni ’70 del Duecento. La società dei Mordecastelli è
attestata a partire dai primi anni ’70, ma è probabile che fosse attiva già da qual-
che anno. Essa fu tra le compagnie che fornirono credito a Carlo d’Angiò31. Tra
i soci sono citati Nicolao Mordecastelli, Francesco Mangialmacchi e Gerardo
Posarelli. Nicolao era forse fratello di Faitinello, ed è ipotizzabile che anche que-
st’ultimo avesse investito nella compagnia, anche se non operò personalmente
come agente32. Dalla seconda metà degli anni ’70 in effetti la società passò nelle
mani dei figli di Faitinello – Ranuccio, Pannocchia e Marcovaldo – che la dires-
sero insieme a Gerardo Posarelli e a Fredo Frangelasta33.
Il successo negli affari non è sufficiente a spiegare la rapida ascesa dei
Mordecastelli al vertice della politica cittadina. Come si è visto, altre famiglie
con un percorso simile non vollero o piuttosto non poterono integrarsi nell’élite
dirigente del Comune popolare. Faitinello tuttavia aveva amicizie importanti.
Egli era infatti molto vicino ai Malpigli, un’antica famiglia consolare legata
all’episcopato la quale, dopo l’affermazione del Popolo, continuò ad esercita-
re la propria influenza occupando posizioni di potere all’interno della chiesa
cittadina34. I Malpigli introdussero Faitinello e la sua famiglia negli ambienti
prestigiosi della nobiltà; in cambio, è possibile che i Mordecastelli abbiano

30
AALu, Dipl. * V n. 62, 1276 agosto 23; AALu, Not. + S 35, 1277 dicembre 16.
31
I registri della cancelleria angioina, VII, n. 11, p. 12 1270 novembre 12; Ibidem, V, n. 199, pp. 251-
252, 1272 luglio 8.
32
Uno dei figli di Faitinello, che fu avviato alla carriera ecclesiastica ed entrò nell’Ordine dei frati
predicatori, si chiamava Nicolao, probabilmente in onore dello zio (ASLu, Not. 29, reg. 2, Orlando
Ciapparoni, c. 42, 1300 aprile 26).
33
Nell’ottobre del 1276 a Genova Fredo Frangelasta acquistò una certa quantità di allume al
prezzo di 200 lire genovesi (Ferretto, II, n. CCX, 1276 ottobre 19); pochi giorni dopo lo stesso, agente
dei Mordecastelli a Genova, ricevette una certa quantità di moneta genovese, in cambio della quale
promise 150 lire di provesini sulla fiera di Troyes (Doehaerd, n. 1325, 1276 ottobre 29).
34
Nel 1271 Faitinello, insieme a Malpiglio del fu Marcovaldo Malpigli, fu nominato tutore di
due membri minorenni della famiglia aristocratica (ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1271 gennaio
10). Nel 1292 il figlio di Faitinello, Pannocchia, era uno dei tutori di Moncello del fu dominus Betto di
Salamone Malpigli; gli altri tutori erano Ubaldo Malpigli e il giudice Opizzo Malaspina (ASLu, Dipl.
Fregionaia, 1292 novembre 26). Faitinello impose a uno dei suoi figli il nome Marcovaldo, che faceva
parte del patrimonio onomastico dei Malpigli. Sui Malpigli cfr. Savigni, Episcopato e società cittadina, cit.,
pp. 553-554 e p. 600.
68 Alma Poloni

fornito loro soccorso finanziario nei momenti di difficoltà. La nostra famiglia,


probabilmente attraverso i Malpigli, entrò in relazione anche con gli Opizi:
Gerardo Posarelli, socio dei Mordecastelli, apparteneva a un ramo di questo
esteso e potente gruppo familiare aristocratico35.

1.2. Ricchezza e influenza politica


Come si è visto nel capitolo precedente, negli anni compresi più o meno tra
il 1190/1195 e il 1210/1215 l’economia lucchese conobbe una fase di forte cre-
scita. La documentazione sembrerebbe suggerire che tra il 1255 e il 1260 si aprì
un nuovo periodo espansivo, che si concluse intorno al 1275-1280. Alcuni dei
mercanti che seppero sfruttare al meglio le opportunità offerte da questa nuova
accelerazione provenivano da famiglie «nuove» di origine duecentesca, che non
avevano preso parte direttamente alla rivoluzione commerciale dell’inizio del
secolo, ma che avevano beneficiato dell’«ondata di espansione secondaria» da
essa prodotta36. Questi gruppi familiari parrebbero infatti appartenere all’am-
biente degli artigiani, dei bottegai e dei piccoli mercanti che prosperò grazie alla
vivacità dell’economia cittadina dei primi decenni del Duecento.
Le trasformazioni avvenute a partire dall’inizio del secolo avevano aper-
to nuovi canali di mobilità sociale. I percorsi di affermazione compiuti dagli
Onesti, dai Martini, dai Carincioni, dai Fornari erano partiti dalla terra, allo
stesso tempo fonte di risorse economiche e base per la costruzione di un sistema
di relazioni sociali. In questo senso, anche se quelle famiglie furono poi in prima
linea nella rivoluzione commerciale, la loro ascesa sociale aveva inizialmente
ricalcato – pur con esiti diversi, come si è visto nel capitolo precedente – gli
schemi tradizionali di affermazione seguiti dai gruppi familiari che nel corso del
XII secolo si erano integrati nella militia cittadina. Ai tempi dei Melanesi, dei
Fiadoni, dei Sandoni, invece, in un’economia sempre più orientata allo scambio,
l’attività mercantile poteva ormai rappresentare il motore unico di percorsi di
avanzamento sociale.
Non c’è dubbio che le condizioni economiche delle famiglie delle quali ci
stiamo occupando in queste pagine siano considerevolmente migliorate nella

35
In un documento del 1304 si legge: «Nicolaus vocatus Coluccius filius quondam Nerii qd domini
Ubaldi del Chostore, Tore filius quondam domini Ubaldi et dominus Bartholomeus quondam Federigi
Posarelli, qui omnes sunt de domus Opithorum» (ASLu, Not. 26, reg 2, Giovanni Spiafame, c. 5r, 1304
gennaio 1). Bartolomeo era fratello di Gerardo (ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, c. 217v, 1284 giugno
2, «Giraldus Posarelli quondam Federigi»). Come si è visto, nel 1292 Pannocchia Mordecastelli fu
nominato tutore di un Malpigli insieme al giudice Opizzo Malaspina, anch’egli appartenente a un ramo
degli Opizi (cfr nota precedente). Per gli Opizi cfr. cap. II.1.3.
36
Su questo concetto Schumpeter, Teoria, cit., pp. 268-269.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 69

seconda metà del Duecento, in particolare nella fase espansiva del ventennio
1255-1275. A quanto sembra, tuttavia, la loro influenza politica non aumentò
in proporzione. Fino agli ultimi anni del Duecento, infatti, nessuna di esse, con
la sola eccezione dei Mordecastelli, entrò a far parte del gruppo dirigente del
Comune di Popolo, ancora dominato da alcune delle famiglie che all’inizio del
secolo avevano dato vita al primo esperimento popolare.
Nella prima metà del Duecento il movimento popolare conobbe tre fasi
ben distinte37. Nella prima, che coincise più o meno con il primo ventennio del
Duecento, esso era strutturato come una federazione di società armate rionali.
La conclusione di questa esperienza fu seguita da un’eclisse dell’iniziativa popo-
lare durata circa un decennio. Negli anni 1229-1230 il Popolo si riorganizzò su
basi totalmente nuove, cercando questa volta l’appoggio delle Arti. Nel 1237
i capitani dei Levati, l’organo collegiale alla guida dell’associazione popolare,
compaiono nei documenti ufficiali al fianco dei consoli maggiori, la massima
magistratura del Comune. Ma anche questa conquista non fu definitiva, e dalla
fine degli anni ’30 il populus tornò nell’ombra. Alla metà degli anni ’50 una nuova
ristrutturazione dell’organizzazione popolare, che ebbe come suo momento
principale la creazione dell’Anzianato, fu seguita da una recrudescenza dello
scontro politico che finalmente, all’inizio degli anni ’60, portò il Popolo al ver-
tice delle istituzioni comunali.
Le famiglie che negli ultimi decenni del Duecento dominavano il Comune di
Popolo – gli Onesti, i Martini, i Peri, i Fornari e gli altri gruppi familiari ogget-
to del capitolo precedente – avevano partecipato in prima linea a tutte e tre le
fasi della lotta politica. Esse avevano investito nel movimento popolare risorse
umane ed economiche notevoli, conquistandosi il diritto di cogliere i frutti di
questo sforzo plurigenerazionale. All’inizio degli anni ’60, quando il Popolo
giunse al potere, la leadership di queste famiglie non era un fenomeno nuovo, ma
si era imposta in decenni di impegno politico, organizzativo e militare, ed esse
costituivano un’élite coesa e relativamente omogenea, dotata, come si è visto, di
una solida identità di gruppo38.
Negli anni ’60 e ’70 questa élite cercò nuovi strumenti, giuridici ma soprat-
tutto culturali, per legittimare la propria superiorità sociale e politica e raffor-
zare i meccanismi di esclusione che le consentivano di mantenere una posizione
egemone in una società estremamente fluida. In particolare, dalla fine degli anni
’60 alcuni membri delle più importanti famiglie di Popolo compaiono nei docu-

37
Per una ricostruzione delle diverse fasi dell’esperienza popolare rimando a Poloni,
Strutturazione, cit.
38
Cfr cap. I.1.1.
70 Alma Poloni

menti con il titolo di dominus, che nella seconda metà del Duecento indicava
quasi certamente il conseguimento della dignità cavalleresca39. Proprio in quegli
anni anche a Firenze alcune famiglie di ricchi popolari in tutto simili ai Martini,
ai Fornari, ai Carincioni, ai Peri, ai Sartori – Mozzi, Spini, Bardi, Cerchi, Scali,
Frescobaldi – furono gratificate con l’addobbamento di diversi loro esponenti40.
È probabile che sia a Lucca che a Firenze alcuni di questi potenti populares
ricevessero l’investitura da Carlo I d’Angiò nel corso dei suoi soggiorni nelle
due città toscane41.
Queste famiglie fiorentine e lucchesi riuscirono cioè, anche grazie a un abile
sfruttamento delle contingenze politiche legate alla discesa in Italia dell’An-
gioino, a ottenere, nella forma più teatrale, il definitivo riconoscimento della
loro egemonia sociale e politica, e a rendere ancora più visibile il solco che le
separava dai tanti gruppi familiari che si arricchivano grazie al dinamismo due-
centesco. Di lì a qualche decennio tuttavia, in seguito a un rovesciamento degli
equilibri politici, questo successo si sarebbe ritorto loro contro: tanto a Firenze
quanto a Lucca infatti la dignità cavalleresca rappresentò il pretesto giuridico
che consentì l’esclusione di questi gruppi familiari dalla vita politica attraverso
il loro inserimento nelle liste dei magnates42.

39
A quanto mi risulta la più antica attestazione del titolo all’interno di famiglie popolari riguar-
da dominus Sartorio del fu Salamoncello Sartori e Guiduccio del fu dominus Arrigo Martini, che com-
paiono entrambi in un documento dell’ottobre 1270 (ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1270 ottobre
31). Insieme ad Arrigo, già defunto nel 1270, aveva probabilmente ricevuto la dignità cavalleresca
almeno un altro membro della famiglia, anch’egli già avanti con gli anni, Guido, figlio di quell’Ar-
rigo tanto attivo all’inizio del secolo (ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1276 aprile 2, Guido, Orlando,
Federigo, Gualando e Martino figli di Martino del fu dominus Guido Martini). Bonifazio Peri, figlio
di Pero del fu Sasso, che si era imparentato con i da Pescia, una famiglia dell’aristocrazia rurale,
viene indicato come dominus già all’inizio degli anni ’60 (ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1262 aprile 16).
Nel 1275 dominus Enrico Fornari era podestà di Buti (ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1275…01). Negli
anni ’80 compaiono anche dominus Aldebrandino Terizendi, appartenente a un ramo dei Carincioni,
già morto nel 1284 (ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, c. 408v) e dominus Bonagiunta Carincioni
(ASLu, Not. 5, Gherardetto da Chiatri, cc. 117-118). La prima attestazione del titolo dominus per
i Mordecastelli è del 1281: ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1281 ottobre 10, Albonetto del fu dominus
Ranieri Mordecastelli.
40
Poloni, Fisionomia, cit.
41
Carlo era a Lucca alla fine di marzo del 1268 ACLu, Not. LL 33, ser Ciabatto, c. 105 v, 1268
marzo 27. Giovanni Villani scrive che nell’agosto del 1267 l’Angioino «in Firenze dimorò otto giorni et
fece più gentili uomini cavalieri».
42
Per Firenze S. Raveggi - M. Tarassi - D. Medici - P. Parenti, Ghibellini, guelfi e Popolo grasso. I
detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze, La Nuova Italia, 1978, e ancora
molto valido G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Torino, Einaudi, 1960 [ed. orig.
1896].
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 71

Il contrasto tra l’elevata mobilità legata alla crescita economica e il ritmo assai
più lento del ricambio politico si spiega dunque probabilmente con il monopolio
delle posizioni di potere da parte di un nucleo ristretto di famiglie la cui storia
era strettamente intrecciata alla storia del Popolo lucchese. L’impressione tutta-
via è che negli anni ’60, ’70 e ’80 non esistesse un’opposizione né si preparasse
una possibile alternativa a questa distribuzione del potere. Le famiglie che in
quegli anni, sempre più numerose, entravano a far parte dell’élite economica
erano a quanto pare poco interessate a tradurre il loro successo economico sul
piano politico; esse sembrano anzi tenersi ai margini della vita politica. Il caso
dei Mordecastelli testimonia in effetti che una gestione strategica delle risorse
relazionali poteva anche in questa fase favorire l’integrazione nel gruppo diri-
gente comunale. L’esperienza popolare mostra poi che una reazione possibile
alla chiusura del ceto di governo era la creazione di un gruppo organizzato di
pressione in grado di forzare gli equilibri politici. Ma non c’è nessun indizio
che nella Lucca della seconda metà del Duecento stesse accadendo qualcosa di
simile a ciò che era avvenuto all’inizio del secolo.
Alla fine del XII secolo l’egemonia sociale e politica della militia si traduceva
anche nel controllo di un cospicuo flusso di risorse economiche43. Queste risor-
se, e le norme formali e informali che regolavano la loro distribuzione, furono
una delle principali poste in gioco nella lotta tra milites e pedites, come dimostra
la ricorrenza e la centralità nelle rivendicazioni popolari delle tematiche legate
al fisco e alla gestione dei beni comunali. Per gli Onesti, i Martini, i Fornari, i
Peri e le altre famiglie lucchesi che si posero alla guida del Popolo l’impegno
politico, al pari dell’impegno nel commercio internazionale, nella professione
giuridica e in quella notarile, si spiega in parte anche con la ricerca di risorse
supplementari necessarie a sostenere gli alti tassi di crescita demografica riscon-
trabili in questo gruppo sociale44. Il contesto della seconda metà del Duecento
era però profondamente diverso da quello degli anni a cavallo tra XII e XIII
secolo. Il dinamismo dell’economia lucchese sembrava mettere a disposizione
di buona parte della popolazione cittadina un’ampia gamma di opportunità per
migliorare la propria condizione. In questo quadro è probabile che l’attrattiva
della politica risultasse ridimensionata rispetto al passato. Forse non fu un caso
che famiglie come i Melanesi, i Fiadoni, i Sandoni, i Moriconi cambiarono
radicalmente il loro atteggiamento nei confronti della politica soltanto a partire
dagli anni ’90 del Duecento, in una fase di minor dinamismo economico45.

43
Su questo cfr. Maire Vigueur, Cavalieri, cit.
44
Cfr. cap. I.2.3.
45
Cfr cap. IV e V.
72 Alma Poloni

I Melanesi, i Fiadoni, i Moriconi, i Sandoni non praticarono né quel-


la che abbiamo definito l’«opzione verticale» – con la sola eccezione dei
Mordecastelli – né l’«opzione orizzontale»46. Queste famiglie non sembrano
spendere energie e risorse nella creazione e nel consolidamento di reti di rela-
zioni in grado di rafforzare la loro influenza in ambito cittadino. In generale,
l’impressione è di trovarsi di fronte a un contesto sociale molto più frammentato
e disgregato rispetto a quello che abbiamo descritto nel capitolo precedente. La
crescita economica molto rapida e il moltiplicarsi degli stimoli e delle opportu-
nità parrebbero avere indebolito, almeno momentaneamente, sia i modelli di
azione sociale tradizionali sia quelli che si erano imposti all’inizio del secolo.

1.3. Nobili mercanti


I nuovi gruppi familiari di origine pienamente duecentesca non furono gli unici
a beneficiare della congiuntura positiva degli anni ’60 e ’70. I Martini, come si è
visto, non sembrano aver preso parte direttamente alla rivoluzione commerciale
dell’inizio del secolo. Nei primi anni ’70, però, Guiduccio del fu dominus Arrigo
Martini entrò in società con Lando Sartori, Bonaventura Tignosini, Scorcialupo
Iacobi e Belluccio Belli. La compagnia era attiva a Genova, dove acquistava seta
e grana, e a Firenze, dove si faceva rappresentare proprio da Guiduccio Martini.
Sia a Genova che a Firenze essa concluse diversi contratti di cambio sulle fiere
della Champagne, sempre nel ruolo di prenditrice di cambio47.
Vari esponenti degli Onesti proseguivano invece l’ormai risalente tradizio-
ne familiare di impegno nella mercatura. Vante Onesti era uno dei soci della
compagnia Ricciardi. Nel 1273 Fazio Onesti era a Napoli48; lo stesso anno
suo fratello Dino era in affari con una società pistoiese attiva alle fiere della
Champagne49. Dall’inizio degli anni ’80 del Duecento è ampiamente atte-
stato l’impegno nel campo della compravendita di seta di vari esponenti dei
Carincioni e del ramo collaterale dei Terizendi50. È probabile che i primi passi
di queste attività risalissero al decennio precedente. I Fornari al contrario, una
delle famiglie protagoniste dell’espansione dell’inizio del Duecento, sembrano
avere del tutto abbandonato il commercio.

46
Cfr. cap. I.1.3.
47
ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1275 marzo 16; Ferretto, II, n. CCCLV, 1277 luglio 17; n. CCCLVII
1277 luglio 24; CCCXCII, 1277 ottobre 23; CDLX, 1278 gennaio 26. Tuttavia la società operava pro-
babilmente dall’inizio del decennio: Guiduccio Martini era legato ai Sartori già nel 1270 (ASLu, Dipl.
Compagnia della Croce, 1270 ottobre 31).
48
ASLu, Dipl. S. Croce, 1273 settembre 9.
49
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1273 aprile 27.
50
ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, anno 1284, cc. 244 r e v, 258v, 259v, 260r, c. 468r ecc.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 73

La militia cittadina, come si è visto, era rimasta estranea al «boom» com-


merciale di inizio secolo. La «seconda rivoluzione commerciale» degli anni
1255-1275, al contrario, si caratterizzò anche per la partecipazione di nume-
rosi esponenti di famiglie della nobiltà cittadina e rurale. I de Podio erano un
ampio gruppo consortile legato alla famiglia dei signori di Bozzano51. Nel 1262
Bernardino ed Enrico del fu Aldicio de Podio erano a Genova dove, per conto
anche dei propri soci, acquistavano una certa quantità di seta, a pagamento
della quale promettevano 107 lire di provesini alla fiera di Lagny52. Enrico è
attestato a Genova ancora negli anni ’70, come agente di una compagnia – forse
la stessa attiva fin dall’inizio degli anni ’60 – composta da un altro membro della
famiglia, Rainaldo de Podio, da Ghiandone Boccadivacca e Barchetto Barca. Gli
affari genovesi di questa società si concentravano sull’acquisto di seta finanziato
attraverso l’attività di cambio sulle fiere53. Nel 1270 essa compare tra i creditori
di Carlo I d’Angiò54.
Altri membri della famiglia operavano come soci e agenti di varie compagnie
lucchesi. Nel 1272 Marzucco de Podio viene elencato tra i finanziatori lucchesi
dell’angioino55. Nel 1273 Nicolao Porco de Podio era in affari con Albertino
Callianelli e altri mercanti; la società vendette ai fratelli Sandoni una partita
di panni bianchi di Ypres per il prezzo di 325 lire e 12 soldi lucchesi56. Quello
stesso anno Nicolao e il fratello Iacopo investirono una somma importante nella
compagnia dei Bettori57. Sempre negli anni ’70 Orlandino de Podio era agente
dei Ricciardi in Inghilterra, e un altro membro della famiglia, Enrico del fu
Tegrimo, si unì in seguito alla società58.
I da Tassignano facevano parte di un consortato che deteneva lo ius patro-
natus sulla chiesa di Santo Stefano in Tassignano, nella Piana di Lucca, e che
era composto da almeno tre famiglie, una delle quali, gli Antelminelli, erano
uno dei più potenti gruppi familiari dell’aristocrazia lucchese59. Anche i da
Tassignano, benchè meno influenti degli Antelminelli, erano ben integrati nella
milita cittadina fin dalla seconda metà del XII secolo. Dall’inizio degli anni ’70
del Duecento Guidone del fu Guidotto da Tassignano fu uno dei soci principali

51
Savigni, Episcopato, cit., p. 569.
52
Doehaerd, n. 1154, 1262 ottobre 4.
53
Ibidem, n. 1288 e n. 1289, 1274 marzo 2; Ferretto, II, n. CCCLIX, 1277 luglio 28.
54
I registri della cancelleria angioina, cit., VII, n. 11, p. 12, 1270 novembre 12.
55
Ibidem, V, n. 199, pp. 251-252, 1272 luglio 8.
56
ASLu, Not. 12, I, Paganello de Fiandrada, c. 44r, 1273 maggio 17.
57
Del Punta, Mercanti, cit., p. 294.
58
Ibidem, pp. 175 e sgg.
59
Wickham, Comunità, cit., pp. 150-152.
74 Alma Poloni

della compagnia dei Cardellini, probabilmente una delle aziende al vertice del
sistema commerciale lucchese. I Cardellini acquistavano sulla piazza genovese
grosse quantità di seta greggia per il mercato lucchese60. Oltre che attraverso
il solito strumento dei cambi sulle fiere, essi si procuravano liquidità anche
smerciando a Genova consistenti partite di panni franceschi acquistati alle
fiere61. Negli anni ’80 entrò nella compagnia un altro da Tassignano, Iano del
fu dominus Burnetto62. Sempre all’inizio degli anni ’80 Bendino del fu Albertino
da Tassignano era in società con Arrigo Arnolfini, Tedicio de Porta, Bonagiunta
Urbicciani e Peruccio Scatisse63.
Particolarmente significativo è il caso dei Guinigi, discendenti da un ramo
di un gruppo familiare di grandi livellari vescovili dell’XI secolo. Da questo
stesso gruppo familiare ebbero origine anche i Fralminghi, protagonisti della
vita politica cittadina fin dall’inizio del XII secolo, e la stirpe dei signori di
Montemagno64. La compagnia dei Guinigi è attestata nelle fonti genovesi a par-
tire dall’inizio degli anni ’60 del Duecento65. Per tutti gli anni ’60, ’70 e ancora
all’inizio degli anni ’80, l’agente dei Guinigi a Genova era Conte del fu Albertino
Guinigi. La compagnia sembra optare per una maggiore diversificazione degli
investimenti rispetto alla maggior parte delle altre società lucchesi. Un buon
numero di documenti riguardano infatti l’acquisto di seta greggia e i cambi
sulle fiere66, ma sulla piazza genovese Conte era impegnato anche nell’acquisto

60
Nel 1274 i Cardellini acquistarono insieme alla compagnia dei Porcelli-Melanesi e a un’altra
società lucchese una certa quantità di seta, per la quale si impegnarono a pagare poco più di 232 lire di
provesini (più o meno 644 lire lucchesi) alla fiera di Provins St. Ayoul (Doehaerd, n. 1296, 1274 marzo
22). Nel 1276 la società acquistò seta per 233 lire genovesi (Ferretto, II, n. CCXIX, 1276 ottobre 29).
61
Ancora più delle poche testimonianze dirette di acquisti di seta greggia, l’entità dei fondi che i
Cardellini in vario modo accumulavano a Genova dà un’idea del giro d’affari che doveva essere legato
all’approvvigionamento della seta. All’inizio di ottobre del 1276 essi ricevettero una quantità non defi-
nita di moneta genovese da rimborsare con 500 lire di provesini (più o meno 1387 lire lucchesi) alla
fiera di Troyes (Doehaerd, nn. 1312 e 1313, 1276 ottobre 5 e 8). Il 19 aprile del 1277 i Cardellini si
procurarono più o meno 810 lire genovesi vendendo a tre draperii altrettante partite di panni franceschi
(Ferretto, II, n. CCLXXXIV). Nell’ottobre del 1278 essi promisero 500 lire di provesini sulla fiera di
Troyes in cambio di moneta genovese (Doehaerd, n. 1367, 1278 ottobre 2).
62
Doehaerd, n. 1429, 1287 gennaio 16.
63
ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, c. 112v-113r, 1284 marzo 21.
64
C.J. Wickham, Economia e società rurale nel territorio lucchese durante la seconda metà del secolo XI, in
Sant’Anselmo vescovo di Lucca (1073-1086), a cura di C. Violante, Roma, Istituto Storico Italiano per il
Medioevo, 1992, pp. 391-422, pp. 402-405.
65
Doehaerd, n. 1174, 1262 novembre 27.
66
Ferretto, II n. CXCV, 1276 ottobre 1; n. CCVII, 1276 ottobre 16; Doehaerd, n. 1323, 1276
ottobre 21; Ferretto, II, n. CCCXCVII, 1277 ottobre 27; n. CDV, 1277 novembre 5; n. CDXIII, 1277
novembre 15.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 75

di pepe, cera, pellicce e lana, probabilmente importati dai mercanti genovesi


dall’Italia meridionale e dai porti dell’Africa settentrionale e dell’Oltremare67.
Tali merci erano senza dubbio destinate in parte al mercato lucchese. È pos-
sibile tuttavia che una voce del bilancio della compagnia fosse costituita dalla
riesportazione nell’Europa settentrionale, probabilmente attraverso le fiere
della Champagne, di questi prodotti del commercio mediterraneo. Nel novem-
bre del 1276 infatti Conte insieme a un altro mercante lucchese noleggiò una
«saetta», fornita di un equipaggio di 40 uomini, per recarsi ad Aigues Mortes68.
Da questo porto francese era possibile raggiungere le fiere lungo la via del
Rodano. Anche i Guinigi inoltre, come altre società lucchesi, per risolvere il
problema del rientro dei capitali investivano parte dei profitti realizzati alle
fiere in panni franceschi, che poi vendevano a draperii genovesi aumentando la
riserva di contante disponibile per gli acquisti sul mercato genovese69.
Come si è visto, Gerardo Posarelli, socio dei Mordecastelli, apparteneva a
un ramo degli Opizi. Anche alcuni membri di un altro ramo di questa famiglia
nobile, i Malaspina, furono impegnati nel commercio internazionale fin dal-
l’inizio degli anni ’70. Nel 1272 il miles Opizzo Malaspina operava alle fiere
della Champagne come socio e agente della compagnia Ricciardi70. Ancora nel
1284 è attestata la sua presenza alla fiera di St. Ayoul, anche se non sappiamo
se egli agiva autonomamente o ancora per conto dei Ricciardi. I rapporti tra i
Malaspina e la grande società lucchese non si erano comunque interrotti: nel
1285 i soci della compagnia cedettero a Opezzuccio Malaspina, che agiva anche
a nome del padre dominus Guglielmo, un credito di 9900 fiorni d’oro che la
società vantava nei confronti dei Cardellini71. All’inizio del Trecento il Comune
di Lucca concesse a dominus Dino del fu Veneziano Malaspina il diritto di
rappresaglia nei confronti dei mercanti astigiani, per un credito che egli aveva
presumibilmente maturato in Francia72.
I Ronzini erano una famiglia consolare che nel 1190 diede alla città anche
un podestà, Pagano Ronzini. Negli anni ’70 del Duecento Iacopo detto Puccio
Ronzini era l’agente degli Schiatta a Genova. La società acquistava seta greg-

67
Ferretto, II, n. CCXIII, 1276 ottobre 21; n. CCXIV, 1276 ottobre 23; n. CCXVIII, 1276 ottobre
27; n. CCXXIV, 1276 ottobre 31; n. DXXXII, 1278 agosto 11; n. DCCXXXIV, 1281 marzo 24.
68
Ibidem, n. CCXXXVI, 1276 novembre 18.
69
Doehaerd, n. 1174, 1262 novembre 27; Ferretto, II, n. CLIII, 1276 maggio 26; n. CDXXI, 1277
novembre 22; n. CDLXVIII, 1278 febbraio 11. Nel caso dei Guinigi abbiamo anche una delle rare
attestazioni di un cambio da lire provesine a lire genovesi: Doehaerd, n. 1298, 1274 marzo 23.
70
Del Punta, Mercanti, cit., p. 163.
71
ASLu, Dipl. Spedale S. Luca, 1288 maggio 13.
72
ASLu, Not. 26, reg 2, Giovanni Spiafame, c. 31v, 1304 marzo 21.
76 Alma Poloni

gia e prendeva cambio73, ma molte attestazioni riguardano la vendita di piccole


partite di panni franceschi74. Nel complesso il rapporto tra le attività genovesi
e quelle francesi sembra più equilibrato rispetto alla maggior parte delle altre
compagnie lucchesi. Infatti a Genova i lucchesi erano per lo più prenditori di
cambio, mentre gli Schiatta erano anche datori di cambio, poiché probabil-
mente avevano bisogno di denaro contante anche alle fiere per l’acquisto dei
panni75.
Per tutta la prima metà del Duecento le famiglie della militia lucchese, a
quanto pare, rimasero ai margini delle trasformazioni che stavano cambiando
il volto della società cittadina. Anche senza volere ricadere nei vecchi luoghi
comuni secondo i quali l’aristocrazia rifiutava di sporcarsi le mani traffican-
do con il denaro, sembra proprio che i nobili lucchesi nutrissero una vaga
diffidenza, o comunque una certa circospezione, nei confronti del commercio
internazionale. Nei primi decenni del secolo inoltre, almeno per alcune di que-
ste famiglie, i profitti che derivavano da vasti patrimoni terrieri in un contesto
di continua espansione del mercato alimentare cittadino erano probabilmente
sufficienti ad assicurare un elevato stile di vita; non esisteva dunque un forte
stimolo a vincere le eventuali resistenze culturali all’impegno diretto nelle atti-
vità mercantili.
Perché i nobili decidessero di sfruttare le opportunità offerte dai traffici a
lunga distanza erano perciò necessari, rispetto ad altri gruppi sociali, incentivi
più forti, livelli di rischio più bassi, più facili e immediate prospettive di gua-
dagno. Queste condizioni si realizzarono a partire più o meno dall’inizio degli
anni ’60, come prova la rapida moltiplicazione delle attestazioni del coinvolgi-
mento nella mercatura di esponenti della militia. La caduta delle barriere che
tenevano gli aristocratici lontani dai mercati internazionali fu una conseguenza
non soltanto del graduale abbassamento di tutti i costi connessi alle attività di
scambio, prodotto come si è visto dalle innovazioni organizzative introdotte a
partire dall’inizio del secolo, ma soprattutto di una nuova ondata espansiva che,
a partire più o meno dal 1255, aumentò ulteriormente l’attrattiva di investimenti
che apparivano ormai a basso rischio e ad alto rendimento.

73
ASLu, Not. 12, reg. 1, Paganello de Fiandrada, cc. 37v-38r, 1273 marzo 25; Ferretto, II,
n. CCXXIV, 1276 ottobre 31; n. CXCVI, 1276 ottobre 2; n. CCLXXXIX, 1277 aprile 24.
74
Ibidem, n. CCLXXII, 1277 aprile 6; n. CCCXCII, 1277 ottobre 23; n. CDLXXIV, 1278 febbraio
17.
75
Doehaerd, n. 1367, 1278 ottobre 2.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 77

2. La «seconda rivoluzione commerciale»


2.1. Cicli economici
Il ventennio 1255-1275 sembra dunque rappresentare per Lucca una fase
di notevole espansione economica. Allo stato attuale delle conoscenze è difficile
andare oltre questa osservazione impressionistica, poiché le fonti documen-
tarie non permettono di costruire serie attendibili di dati sulla base dei quali
misurare le variazioni dei parametri economici. Almeno un elemento tuttavia
emerge con una certa evidenza dalla documentazione a nostra disposizione: nel
giro di pochi anni numerosi individui, o più spesso interi nuclei familiari, fece-
ro simultaneamente il loro ingresso nel mondo del commercio internazionale,
fondarono nuove compagnie e si trovarono in breve tempo a gestire operazioni
finanziarie complesse. Nei decenni successivi – almeno fino al 1315, l’anno
che segna il limite cronologico della mia indagine – non si riscontra più nulla
di simile. L’integrazione di nuove famiglie nell’élite mercantile tornò ad avere
un andamento assai più lento e regolare, ben diverso dal picco registrato nel
ventennio in esame.
Nelle pagine precedenti si è tentato di analizzare questo fenomeno adottan-
do una prospettiva per così dire sociologica. Si è cercato cioè di capire, dove era
possibile, chi fossero i protagonisti del decollo degli anni ’60 e ‘70, quali fossero
la loro origine familiare e la loro fisionomia sociale, quali le loro ambizioni e gli
obiettivi di breve e lungo periodo. Si è visto così che il nuovo «boom» coinvolse
molti gruppi familiari di origini recenti e di condizioni modeste, producendo
una redistribuzione del potere economico, anche se non di quello politico. La
fase espansiva suscitò anche l’interesse di un ceto sociale, la nobiltà, che nei
decenni precedenti era rimasta estranea alle attività mercantili non per mancan-
za di mezzi, ma al contrario perché disponeva di risorse alternative, oltre che a
causa di riserve culturali.
Il significato di queste osservazioni tuttavia non si esaurisce nello studio dei
processi di mobilità sociale e di ricambio politico. A mio parere possiamo attri-
buire alla scelta compiuta contemporaneamente da molte persone appartenenti
a diversi gruppi sociali di tentare la fortuna nel commercio internazionale il
valore di un vero e proprio indicatore economico. J.A. Schumpeter ha notato
che, per una serie di motivi che egli prende in esame nelle celebri pagine dedi-
cate ai cicli economici, le fasi espansive sono caratterizzate dalla comparsa di
nuovi imprenditori «a frotte», e questo carattere discontinuo è all’origine della
forte perturbazione dello stato di equilibrio la quale, per lo studioso austriaco, è
78 Alma Poloni

l’essenza stessa dello sviluppo economico76. Questa tendenza trova una confer-
ma empirica nella situazione lucchese, in particolare per i due periodi compresi
grosso modo tra il 1195 e il 1215 e tra il 1255 e il 1275.
Nonostante la mancanza di dati quantitativi, a mio parere, la comparsa
di imprenditori «a frotte», ben visibile nelle nostre fonti, qualifica questi due
momenti come picchi di crescita dell’economia lucchese. Assai più difficile
è invece valutare gli anni che vanno più o meno dal 1215 al 1255, che non
presentano evidenti fattori di discontinuità. Possiamo forse leggere il periodo
compreso tra il 1195-1200 e il 1250-1255 come un ciclo lungo dominato dagli
effetti di quella che abbiamo definito la rivoluzione commerciale di inizio seco-
lo77. Questa lunga fase fu certamente turbata da varie fluttuazioni, che tuttavia
la documentazione non ci permette di individuare. I Fornari, per esempio,
potrebbero essere rimasti vittima di una breve fase di contrazione collocabile
tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, ma si tratta di un’ipotesi allo
stato attuale non verificabile.
Intorno al 1255 possiamo collocare l’inizio di un secondo ciclo lungo che,
sempre con andamento oscillatorio, durò più o meno fino alla fine del primo
decennio del Trecento, e fu caratterizzato dalle conseguenze della fase di forte
crescita collocabile, con alti e bassi, nel ventennio 1255-1275. Tale crescita – co-
me del resto quella dell’inizio del Duecento78 – fu innescata da impulsi esterni
al sistema economico lucchese, legati in primo luogo a cruciali trasformazioni
della struttura delle relazioni commerciali dei genovesi con l’Oriente. Come si è
visto, infatti, l’economia lucchese aveva da tempo sviluppato un vero e proprio
rapporto simbiotico con il commercio genovese.

2.2. L’espansione del commercio genovese


Negli anni ’40 e ’50 del Duecento la conquista mongola frenò il processo
di disgregazione politica dell’Asia occidentale, determinato soprattutto dalla
frammentazione dell’impero bizantino dopo la quarta crociata e dalle divisioni
interne al mondo musulmano. L’unificazione politica fu accompagnata, in par-
ticolare dalla seconda metà degli anni ’50, da un processo di integrazione eco-
nomica. Uno dei momenti decisivi in questo senso fu, nel 1254, la sottomissione

76
Schumpeter, Teoria, cit.
77
Sui cicli Schumpeter, Teoria, cit.; Id., Business Cycles. A Theoretical, Historical and Statistical Analysis
of the Capitalist Process, New York, McGraw-Hill, 1939; P. Sylos Labini, Problemi dello sviluppo economico,
Bari 1972; Id., Torniamo ai classici. Produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico, Roma-Bari,
Laterza, 2004.
78
Cfr. cap. I.2.3.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 79

ai mongoli del re della Piccola Armenia. Dagli anni ’40 i tatari controllavano le
vie carovaniere che attraversavano la penisola anatolica dirette verso le regioni
caspiche e l’Asia centrale, transitando per l’importante emporio di Sivas. Con
l’inserimento della Piccola Armenia nello spazio mongolico queste vie commer-
ciali trovarono uno sbocco sul Mediterraneo a Laiazzo (oggi Yumurtalik, nel
golfo di Iskenderun, in Turchia), che divenne in breve tempo un porto di pri-
maria importanza, luogo di imbarco delle merci orientali dirette verso l’Europa
occidentale79. Verso la fine degli anni ’50 Tabriz, oggi nell’Iran settentrionale,
fu scelta come capitale dell’impero degli Ilkhan. La città si trovava in un punto
strategico, al crocevia di rotte terrestri provenienti dal Mar Nero, dal Mar
Caspio, dal Mediterraneo, dal Golfo Persico e, attraverso le steppe dell’Asia
centrale pacificate dai mongoli, dalla Cina. Il Khan si impegnò a promuovere
la rilevanza commerciale di Tabriz, attrezzandola con caravanserragli e altre
strutture ricettive e garantendo ai mercanti occidentali, persiani, musulmani
e mongoli un’efficace protezione negli spostamenti all’interno del suo vasto
dominio80.
Questi sviluppi politico-militari portarono nel giro di pochi anni, a cavallo
tra sesto e settimo decennio del Duecento, alla formazione di un nuovo spa-
zio commerciale. Esso si presentava come una rete di piazze commerciali la
principale delle quali, come si è visto, era Tabriz, seguita per importanza da
Laiazzo – che proiettava lo spazio mongolico nel Mediterraneo, e dunque verso
l’Occidente – e poi da Sivas; a questi nodi fondamentali si aggiungevano centri
secondari come Kayseri (Cesarea) ed Erzurum, in Anatolia81. In questi mercati
si incontravano venditori e compratori provenienti tanto dalle aree immediata-
mente circostanti quanto da paesi lontani. I crocevia commerciali erano poi col-
legati tra loro da vie carovaniere attrezzate e sorvegliate attraverso una regolare
successione di posti di guardia. Le autorità mongole introdussero anche pesi e
misure standardizzati, controllati ogni mese82.
È facile immaginare l’importanza, per la struttura dei traffici internazionali,
di queste trasformazioni che interessarono un’area geografica da sempre cruciale

79
Su questi sviluppi è ancora molto utile G.I. Bratianu, Recherches sur le commerce génois dans la Mar
Noire au XIIIe siècle, Paris, Librairie orientaliste Paul Geuthner, 1929, in particolare pp. 155-196. Cfr
anche R.H. Bautier, Les relations économiques des Occidentaux avec les pays d’Orient au Moyen Age. Points de vue
et documents, in Sociétés et compagnies de commerce en Orient et dans l’Océan Indien, Paris 1970 (Actes du VIIIe
Colloque International d’Histoire maritime, Beyrouth 1966), pp. 263-331, in particolare pp. 280-292; M.
Balard, La Romanie génoise (XIIe-début du Xve siècle), 2 voll., Genova, Società ligure di storia patria, 1978.
80
Bratianu, Recherches, cit., p. 184.
81
Bautier, Les relations, cit., pp. 280-281.
82
Bratianu, Recherches, cit., p. 184.
80 Alma Poloni

per gli scambi tra Oriente e Occidente. È ipotizzabile che l’alto livello di integra-
zione di questo spazio politico e commerciale abbia portato a una diminuzione dei
vari costi connessi alle attività commerciali, da quelli di trasporto a quelli di misu-
razione, da quelli di informazione – che tendono a diminuire con la concentrazio-
ne della domanda e dell’offerta in luoghi di scambio organizzati – a quelli legati
alla tutela dei diritti e alla garanzia di applicazione dei contratti83. La significativa
diminuzione dei costi di transazione portò senza dubbio a un notevole aumento
del volume degli scambi, che del resto risulta evidente dalle fonti genovesi della
seconda metà del Duecento, attentamente analizzate dagli storici del secolo
scorso84. I genovesi in effetti furono, tra gli occidentali, coloro che meglio e più
rapidamente seppero cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti in atto.
Il primato dei genovesi in questa regione si consolidò definitivamente con
il trattato del Ninfeo del 1261. In cambio dell’appoggio della loro flotta al suo
progetto politico, Michele Paleologo, signore di Nicea, promise ai genovesi
condizioni di assoluto favore in tutto il territorio dell’impero bizantino, o meglio
nelle aree che egli sarebbe riuscito a ricondurre sotto il proprio controllo85. Il
successo di Michele riportò i genovesi a Costantinopoli, ma soprattutto segnò
l’inizio della loro penetrazione commerciale nel Mar Nero. La fondazione
dell’insediamento genovese di Pera, nei pressi di Costantinopoli, risale pro-
babilmente al 1267. Nel 1266 nacque forse il primo nucleo di Caffa, il grande
emporio genovese in Crimea; nella seconda metà degli anni ’60 i genovesi si
insediarono in varie altre località delle coste del Mar Nero86. Dal Mar Nero, e
in particolare da Trebisonda, si apriva una via rapida e diretta per Tabriz. Non
stupisce dunque constatare che le attestazioni della presenza genovese nella
capitale degli Ilkhan si fanno sempre più numerose a partire soprattutto dagli
anni ’80 del Duecento87. I porti genovesi sul Mar Nero sostituirono gradual-
mente Laiazzo come centri commerciali, punti di incontro delle molteplici diret-
trici di traffico provenienti da est e da ovest, stazioni di transito e di imbarco
delle merci dirette verso l’Occidente88.

83
Gli effetti sui costi di transazione e dunque sulla crescita dell’economia dei processi di unifi-
cazione politica e di integrazione istituzionale sono al centro di vari lavori di R. S. Epstein: si veda in
particolare Id., An Island, cit. e soprattutto Id., Freedom and Growth, cit.
84
Si vedano gli studi citati nelle note precedenti, e inoltre Jacoby, Genoa, cit., e P. Malanima, Pisa
and the Trade Routes to the Near East in the Late Middle Ages, in «Journal of European Economic History»,
XVI (1987), pp. 335-357.
85
Balard, La Romanie, cit., pp.42-55.
86
Balard, La Romanie, cit.
87
Ibidem, pp. 138-140.
88
Malanima, Pisa, cit., pp. 347-348.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 81

2.3. L’espansione del commercio lucchese


Se adottiamo il punto di vista dei lucchesi, la conseguenza principale di que-
sta straordinaria espansione commerciale fu, a partire dalla seconda metà degli
anni ’50 e soprattutto dalla seconda metà degli anni ’60, l’afflusso sul mercato
genovese di grandi quantità di seta greggia89. Dopo il trattato del Ninfeo i geno-
vesi conquistarono il monopolio del commercio interno all’impero bizantino, e
proprio le aree bizantine, in particolare la Grecia e l’Asia minore, erano da tempo
zone di produzione di ottima seta greggia, oltre che delle più pregiate sostanze
coloranti. Tabriz era invece un grande emporio delle sete di alta qualità prove-
nienti dalle regioni intorno al Mar Caspio90. La seta greggia non era certo tra le
merci orientali più richieste in occidente. Essa suscitava l’interesse dei genovesi
proprio per il loro peculiare rapporto con i mercanti lucchesi, che dava loro la
sicurezza che a Genova avrebbero smerciato il prodotto senza troppe difficoltà.
Il forte aumento del numero degli operatori lucchesi attivi nella produzione
e nella compravendita di tessuti di seta tra la metà degli anni ’50 e la metà degli
anni ’70 è in evidente rapporto con la nuova disponibilità di materia prima.
È ipotizzabile che in un primo tempo il momentaneo squilibrio tra offerta e
domanda di seta greggia sulla piazza genovese abbia provocato una flessione
del prezzo della seta, attirando nella città ligure una nuova ondata di mercanti
lucchesi finchè – forse piuttosto rapidamente, a giudicare dal ritmo col quale si
moltiplicano le attestazioni di nuove società – la domanda e l’offerta raggiunse-
ro un nuovo punto di equilibrio.

In oriente tuttavia i genovesi non si limitavano ad acquistare materie prime.


Prima Laiazzo e poi, dagli anni ’60, gli insediamenti sulle coste del Mar Nero
divennero luoghi di incontro tra i mercanti europei, mongoli, bizantini, slavi e
musulmani. I genovesi trovarono un vasto mercato per i prodotti delle mani-
fatture dell’Europa occidentale, in particolare per i panni delle Fiandre, della
Francia del nord e dell’Italia centro-settentrionale91. Nella prima metà del
Duecento Genova era stata soprattutto un centro di raccolta e di transito dei
tessuti del nord che, importati da mercanti fiamminghi, francesi, astigiani e più
tardi anche toscani, prendevano poi la via dell’Italia meridionale e dell’oriente.
Nella seconda metà del secolo invece, proprio in seguito all’apertura di nuovi

89
Jacoby, Genoa, cit., pp. 26-27.
90
Bautier, Les relations, cit., p. 291. Secondo Del Punta le sete provenienti dal mondo bizantino e
dal Mar Caspio soddisfacevano da sole la quasi totalità della domanda lucchese (Del Punta, Mercanti,
cit., pp. 57-77).
91
Malanima, Pisa, cit., pp. 347-353, Bautier, Les relations, cit., p. 290.
82 Alma Poloni

spazi commerciali in Asia, i mercanti genovesi cominciarono a frequentare


personalmente le fiere della Champagne e delle Fiandre per procurarsi le merci
da scambiare sul Mar Nero. Questa nuova direttrice commerciale acquistò una
tale importanza per i genovesi che negli ultimi decenni del Duecento – la prima
attestazione risale al 1277 – essi stabilirono un contatto marittimo diretto con
Bruges, via Siviglia e Cadice92.
A Genova questi sviluppi trasformarono profondamente la struttura del
mercato monetario. In particolare aumentò in modo considerevole l’offerta di
moneta genovese. I mercanti genovesi avevano bisogno di moneta di Provins
per gli acquisti alle fiere, e se la procuravano attraverso un’intensa attività di
cambio. Sulla piazza genovese gli investitori locali erano per lo più datori di
cambio, anticipavano cioè moneta genovese in cambio di provesini alle fiere
della Champagne. I principali beneficiari di questo consistente flusso di denaro
erano proprio i lucchesi, di gran lunga i maggiori prenditori di cambio. Gli
operatori lucchesi, infatti, a Genova rastrellavano moneta genovese per far
fronte agli acquisti di seta greggia e coloranti, e saldavano i debiti alle fiere
in moneta di Provins, con gli introiti della vendita dei tessuti di seta alle fiere
stesse, a Parigi e in altre piazze francesi. Dagli anni ’60 inoltre, proprio quando
decollava la domanda genovese di cambio sulle fiere, erano per varie ragioni
tramontate le fortune di piacentini, senesi e astigiani, i principali concorrenti
dei lucchesi93. Lucchesi e fiorentini erano rimasti quasi i soli a rendere possibili
le rimesse genovesi sulle fiere94.
In conseguenza delle trasformazioni strutturali del ventennio 1255-1275,
dunque, non solo aumentarono in misura considerevole le risorse finanziarie

92
Tangheroni, Commercio e navigazione, cit., p. 436.
93
P. Racine, I banchieri piacentini ed i cambi sulle fiere di Champagne alla fine del Duecento, in Studi
storici in onore di Emilio Nasalli Rocca, Piacenza, Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi.
Sezione di Piacenza, 1971, pp. 475-505.
94
D. Gioffrè ha calcolato che tra il 1267 e il 1278 l’ammontare dei cambi fu di 38242 lire di
provesini, pari a 53500 lire genovesi. I datori di cambio furono per circa l’80% genovesi. Nel solo
anno 1277 i crediti dei genovesi «in nundinis Campanie» verso i lucchesi ammontarono a 17740 lire di
provesini (D. Gioffrè, L’attività economica dei lucchesi a Genova fra il 1190 e il 1280, in Lucca archivistica, sto-
rica, economica. Relazioni e comunicazioni al XV congresso nazionale archivistico, Lucca ottobre 1969,
Roma, Il Centro di Ricerca, 1973, pp. 94-111, pp. 106-107). Secondo P. Racine ancora negli anni ’80 e
’90 i genovesi erano di gran lunga i maggiori datori di cambio sulla piazza ligure. Nel 1288 i fiorentini
rappresentarono il 33,15% dei prenditori di cambio, i genovesi il 17% e i lucchesi il 21,5%, ma si tratta
probabilmente di una distorsione dovuta alla documentazione, poiché negli anni successivi i lucchesi
furono sempre i principali prenditori di cambio. Nel 1291 essi rappresentarono il 36,30% dei prenditori
contro il 30,35% dei fiorentini e il 16,70% dei genovesi, nel 1293 i lucchesi totalizzarono il 34% contro
il 21% dei rivali toscani (Racine, I banchieri, cit.).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 83

disponibili sulla piazza genovese, ma nel complesso si ampliò la fetta di tali


risorse riservata ai lucchesi. In analogia con quanto si è osservato per la seta
greggia, è possibile che in un primo tempo l’eccesso di offerta rispetto alla
domanda abbia provocato una diminuzione del costo della moneta genovese,
una situazione non verificabile e che comunque deve essersi rovesciata piut-
tosto rapidamente in seguito all’affluenza nella città ligure di nuovi operatori.
Sulla piazza genovese si sommarono due condizioni eccezionalmente favorevoli
per i lucchesi: abbondanza della materia prima necessaria alla loro produzione
di punta e facile accesso al credito. Queste condizioni, in un contesto già ben
definito di intense relazioni commerciali tra Lucca e Genova, contribuiscono
a mio parere a spiegare la comparsa di mercanti «a frotte» e la forte crescita
dell’economia lucchese nel periodo in esame.
È importante a questo punto sottolineare che l’aumento dell’offerta di tessuti
di seta lucchesi sui mercati internazionali conseguente a queste trasformazioni
era facilmente e rapidamente assorbito da una domanda di prodotti di lusso
in continua espansione. Tale domanda costituiva per i lucchesi un costante
incentivo a investire nella manifattura serica. Si è già detto che i principali
acquirenti degli zendadi lucchesi erano le aristocrazie terriere, la nobiltà di
corte e i patriziati urbani inglesi ma soprattutto francesi. In Francia la capacità
e la volontà di spesa dell’aristocrazia crebbero enormemente nei decenni cen-
trali del Duecento. Tale fenomeno fu determinato innanzitutto dalla maggiore
disponibilità di denaro che derivò ai grandi proprietari terrieri dalla cosiddetta
«rivoluzione delle rendite», cioè dalla trasformazione delle rendite fondiarie e
dei diritti signorili in natura e in lavoro in censi in denaro95. In molte aree questi
ultimi furono resi più pesanti, anche perché la pressione demografica sulla terra
concedeva ai grandi proprietari margini di azione più ampi rispetto al passato.
Un elemento molto importante fu però anche l’esplosione del credito. Proprio
a partire dagli anni ’40-’50 del Duecento i banchi di prestito dei «lombardi» si
insediarono in diverse città della Francia e delle Fiandre96: «nessuno – scrive
R.H. Bautier riferendosi proprio a questa fase – in tutta la società laica ed
ecclesiastica, dai più grandi signori e dai vescovi sino ai contadini, esita a pre-
stare, a comperare allo scoperto, a vivere al di sopra dei propri mezzi»97. La

95
Spufford, Money and its Use, cit., pp. 240 e sgg. Per una ricerca recente che pare confermare
questo quadro D. Pichot, Le prélèvement seigneurial dans l’ouest de la France (Xie-XIIIe siècle), in Pour une
anthropologie du prélèvement seigneurial dans les campagnes médiévales (Xie-XIVe siècles). Réalités et représenta-
tions paysannes, Paris, Publications de la Sorbonne, 2004, pp. 607-629. Si vedano anche gli altri saggi
della raccolta.
96
Bautier, I Lombardi, cit.
97
Ibidem, p. 30.
84 Alma Poloni

forte mobilità sociale che minacciava lo status di molte famiglie aristocratiche,


e le dinamiche di una società di corte che aveva il proprio centro a Parigi e che
ormai attirava nella propria orbita gran parte dei potenti laici ed ecclesiastici del
regno, rendevano necessario il mantenimento di livelli di spesa molto elevati, in
consumi di lusso, elargizioni, doni, esibizioni di ricchezza. I tessuti di seta erano
tra i beni di prestigio più richiesti

Negli stessi anni importanti cambiamenti di tipo organizzativo interessarono


anche l’altro polo del commercio lucchese, le fiere della Champagne. In parti-
colare, fu notevolmente potenziata la giurisdizione delle «guardie delle fiere»,
un’istituzione nata con le fiere stesse, che tuttavia fino a quel momento aveva
avuto competenze limitate. Per tutta la prima metà del Duecento i mercanti
stranieri cercavano di dare maggiore forza ai contratti conclusi alle fiere facen-
dovi apporre il sigillo di varie autorità locali laiche e religiose. In caso di conte-
stazioni e contenziosi, tuttavia, queste autorità non disponevano di alcun reale
potere coercitivo nei confronti dei forestieri. Dal 1260 le guardie delle fiere si
imposero come unica autorità in grado di garantire la validità dei contratti, e si
dotarono gradualmente di più efficaci strumenti coercitivi: in particolare, essi
perfezionarono l’istituto della rappresaglia. Dagli anni ’70 le guardie ottennero
che la loro giurisdizione fosse riconosciuta anche al di fuori delle fiere e del
territorio della contea, cominciarono a comunicare per lettera direttamente con
le autorità delle città di provenienza dei mercanti e ad inviare i propri agenti in
tutta l’Europa98.
Queste innovazioni organizzative furono probabilmente stimolate dal conti-
nuo aumento del volume dei traffici che si concentravano nelle fiere, ma erano
anche in vario modo connesse con la messa a punto, nella seconda metà del
Duecento, di più efficaci strumenti di governo da parte del potere comitale.
Tali tendenze si rafforzarono ulteriormente con l’annessione della contea di
Champagne alla corona francese.
In ogni caso, è verosimile che questi sviluppi abbiano avuto effetti importan-
ti sui costi di transazione, incidendo in particolare sui costi legati alla garanzia
di applicazione dei contratti. La sostituzione di molteplici autorità di garan-
zia con un unico garante rese più semplici e rapide – e, di conseguenza, più
economiche – le procedure di convalida dei contratti. Se tutti i mercanti erano
sottoposti a un’unica giurisdizione, inoltre, diveniva più difficile approfittare
degli interstizi creati dall’imperfetta sovrapposizione di poteri in concorrenza.
Il diritto di rappresaglia, che andava a colpire tutti i concittadini del mercante

98
Per tutti questi aspetti cfr. Bautier, Les foires, cit., pp. 122-126.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 85

che aveva commesso un’infrazione o non aveva rispettato gli accordi, era di per
sé un potente deterrente. Con la concentrazione di tutti i contenziosi presso
un unico ufficio divenne poi più facile ed economico per i mercanti raccogliere
informazioni sulle loro controparti commerciali ed evitare di concludere affari
con chi si era dimostrato poco affidabile99.
L’accentramento del potere giudiziario nelle mani delle guardie delle fiere
consentì soprattutto di potenziare il sistema sanzionatorio fondato sulla reputa-
zione che, in un contesto di scarso sviluppo delle istituzioni statali, rimaneva la
garanzia più efficace contro i comportamenti utilitaristici. L’abbassamento dei
costi di transazione favorì probabilmente un’ulteriore espansione delle attività
commerciali e finanziarie incentrate sulle fiere. Questi cambiamenti non pos-
sono che aver portato vantaggi ai lucchesi, dal momento che a questa data le
fiere rappresentavano ancora il principale sbocco per i loro tessuti serici tanto
apprezzati dalle corti e dalle aristocrazie d’oltralpe.
A questa congiuntura internazionale estremamente favorevole per i nostri
mercanti va infine aggiunta l’avventura italiana di Carlo I d’Angiò, che aprì ai
lucchesi, grazie alla loro adesione al fronte guelfo, nuove opportunità economi-
che nell’Italia meridionale.

L’impatto dell’ondata espansiva degli anni 1255-1275 sull’economia e sulla


società lucchese fu tale che a mio parere è possibile parlare di una «seconda
rivoluzione commerciale». È vero che a livello per così dire «microeconomico»
il quadro nel quale si svolse questa espansione, e che la rese possibile, rimase
quello definito dalle innovazioni organizzative dell’inizio del secolo, incentrato
sulla forma societaria nota come «compagnia» e sui cambi all’interno del circui-
to finanziario Lucca-Genova-Champagne. Trasformazioni qualitative di grande
importanza ebbero luogo tuttavia a livello del sistema economico nel suo com-
plesso. L’allargamento del mercato stimolò infatti un processo di differenziazio-
ne. Ciascuna società lucchese tese cioè a specializzarsi in una delle diverse ope-
razioni legate alla manifattura serica: l’importazione delle materie prime, la loro
trasformazione e preparazione per le varie fasi della lavorazione, la produzione
e la commercializzazione dei tessuti. Il delinearsi di qualcosa di molto simile a
un vero e proprio distretto industriale è evidente nelle fonti lucchesi a partire
almeno dagli anni ’80 del Duecento, e sarà oggetto del prossimo capitolo.

99
Milgrom, North, Weingast, The Role of Institutions, cit.
Capitolo terzo
LUCCA COME DISTRETTO INDUSTRIALE

L’idea centrale di questo capitolo è che a Lucca negli anni ’70 e ’80 del
Duecento ebbe luogo un processo di specializzazione e di differenziazione delle
imprese che portò alla definizione di una struttura economica per alcuni versi
simile a un distretto industriale marshalliano.
Nel primo paragrafo si prendono in considerazione alcune delle principali
aziende lucchesi attive tra Due e Trecento. Per ognuna di esse di tenta di rico-
struire il quadro generale delle attività produttive, commerciali e finanziarie.
Da questa analisi sembra emergere in maniera abbastanza chiara che a Lucca,
accanto alla classica figura del «setaiolo», cioè del mercante-imprenditore che
seguiva tutte le fasi di trasformazione della materia prima servendosi delle pre-
stazioni di artigiani e lavoratori a domicilio, esistevano società specializzate in
una sola fase della lavorazione della seta. Nel secondo paragrafo si propone di
interpretare il processo di specializzazione e differenziazione delle aziende luc-
chesi come un’innovazione organizzativa innescata dalla «seconda rivoluzione
commerciale» degli anni 1255-1275.

1. Le società lucchesi tra Due e Trecento


1.1. Le compagnie internazionali: i prenditori di cambio
Come abbiamo visto, il sodalizio tra Omodeo Fiadoni e Salliente Melanesi era
cominciato nei primi anni ’70 del Duecento. La società che i due gestivano insie-
me a Bonaventura Guercio all’inizio degli anni ’80, con base a Genova, si sciolse
dopo il il 1282. Dal 1284 è attestata una nuova compagnia composta, oltre che
da Omodeo e da Iacopo, da Cacciaguerra Cacciaguerre e Graziuccio Callianelli.
Nel 1300 Graziuccio Callianelli non compare più tra i soci, ma a Omodeo, Iacopo
e Cacciaguerra si erano uniti Ubaldo Bandetti, Aldibrandino Mangialmacchi e i
due fratelli Betto e Nicolao Cari. Dal 1306 entrò nella società anche Bartolomeo,
figlio di Cacciaguerra. L’azienda sopravvisse alla scomparsa, nell’estate del 1307,
di uno dei soci storici, Salliente Melanesi, e anzi dal 1310 acquistò un nuovo
socio, Ranuccio Ravignani; essa era era ancora attiva nel 1314.
La documentazione disponibile per i primi anni del Trecento consente di
farsi un’idea abbastanza precisa della posizione della compagnia all’interno del
88 Alma Poloni

sistema produttivo e commerciale lucchese. Preziosi in questo senso sono in


particolare i registri del notaio Rabbito Torringhelli, dai quali sappiamo che
l’azienda comprava grandi quantità di zendadi bianchi. Essa acquistava da
numerosi mercanti, e non sembra che avesse veri e propri fornitori di fiducia,
anche se con alcuni operatori – per esempio Bonaccorso Clavari, Banduccio
Bianchi e la società composta da Pagano Guassi e Michele Aimerigi – ebbe
contatti più frequenti. Gli importi delle singole operazioni variano all’interno di
un intervallo molto ampio, compreso tra le 86 e le 2240 lire. Possiamo invece
escludere che la compagnia producesse in proprio tessuti serici, poiché non ho
trovato alcuna attestazione dell’acquisto di seta greggia.
La società Omodeo Fiadoni e soci si occupava però quasi certamente della
tintura delle stoffe comprate. Nei registri del notaio Rabbito sono riportati
pochi contratti di acquisto di sostanze coloranti. Tale circostanza si spiega
probabilmente con il fatto che i principali importatori di queste materie prime
non appartenevano alla clientela del Torringhelli. Dall’unico registro superstite
di un altro notaio, Bartolomeo Tacchi, veniamo infatti a sapere che nel 1301 in
soli tre giorni, tra il nove e l’undici maggio, la nostra compagnia spese più di
2550 lire in grana proveniente da Corinto e dall’impero bizantino. In quattro
occasioni inoltre i soci registrarono presso Rabbito, il loro notaio di fiducia, la
vendita di partite di grana bizantina e spagnola, probabilmente acquistata in
eccedenza rispetto alle loro necessità.
La compagnia Omodeo Fiadoni e soci interveniva dunque nella fase finale
della lavorazione dei tessuti serici, la tintura, in particolare nel colore scarlatto,
il più apprezzato sui mercati internazionali. La perdita totale dei libri contabili
ci impedisce di ricostruire quale fosse l’organizzazione di questa attività. È pro-
babile che l’azienda gestisse un proprio laboratorio, magari in società con uno o
più tintori. È anche possibile tuttavia che essa si rivolgesse a botteghe artigiane
indipendenti, fornendo ai tintori i tessuti e i coloranti acquistati sul mercato
cittadino e pagando soltanto la manodopera.


Appendice I, 1.

App. I, 1a. Sulle potenzialità e sui limiti delle fonti notarili per questo tipo di ricostruzioni cfr.
Nota sulle fonti.

A Lucca infatti, come è noto, la tintura avveniva nella grande maggioranza dei casi dopo la
tessitura, erano cioè pezze intere ad essere tinte, e non il filato (Del Punta, Mercanti, cit., p. 82).

App. I, 1a.

App. I, 1b.

I. Del Punta scrive che i tintori «acquistavano tessuti di seta dai mercanti e provvedevano alla
tintura nelle loro botteghe, quindi rivendevano il prodotto ad altri mercanti. […] A Lucca non vi sono
attestazioni, almeno per il Duecento, di casi in cui il tintore lavorasse per conto di un mercante-impren-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 89

Il prodotto finito non era destinato al mercato cittadino. I guadagni della


società derivavano infatti quasi interamente dallo smercio degli zendadi tinti
sul mercato d’Oltralpe. I registri del notaio Rabbito conservano memoria di
periodiche spedizioni di balle di «merces subtiles» tramite trasportatori specia-
lizzati (vectigales), ed è facile immaginare che queste fini mercanzie consistessero
in gran parte in drappi di seta. La destinazione principale rimase per tutto il
periodo qui considerato Nîmes, dove la compagnia manteneva probabilmente
uno o più agenti. Questa località era una base strategica per le attività com-
merciali in area francese, poiché rappresentava un avamposto per la penetra-
zione in Provenza e Linguadoca e allo stesso tempo consentiva di raggiungere
rapidamente le fiere della Champagne e il nord della Francia lungo la via del
Rodano.
La società di Omodeo Fiadoni finanziava l’acquisto dei tessuti e dei coloran-
ti mediante un’intensa attività di cambio sulle fiere della Champagne. A Lucca
essa agiva sempre come prenditrice di cambio, contraeva cioè debiti in moneta
lucchese impegnandosi a restituire alle fiere, in lire tornesi, le somme maggio-
rate degli interessi, sapendo di poter contare sui proventi della vendita degli
zendadi sul mercato francese. A differenza di quanto accadeva per l’acquisto
delle stoffe, in campo finanziario l’azienda si serviva di un numero ristretto di
compagnie specializzate in questa attività di credito: in particolare, dall’inizio
del Trecento, gli Appiccalcani e la compagnia di Cino Margatti, Nerello Fralmi
e soci, ai quali si aggiungevano operatori fiorentini, soprattutto la società com-
posta da Cecio e Metto Biliotti e Baldo Iacobi e la compagnia dei Mozzi.
La fondazione della compagnia, intorno al 1284, rappresentò per Omodeo
Fiadoni e Salliente Melanesi una rottura rispetto al proprio passato professio-
nale. Fino a quel momento infatti i due avevano partecipato a società i cui gua-
dagni derivavano principalmente dalla combinazione, ormai tradizionale per i
mercanti lucchesi, di importazione di materie prime da Genova/esportazione di
prodotti finiti Oltralpe. L’azienda Omodeo Fiadoni e soci invece non sembra

ditore» (Del Punta, Mercanti, cit., p. 83). Tuttavia lo statuto dei tintori di zendadi del 1255 si apriva
proprio con l’impegno da parte dell’artigiano ad attenersi scrupolosamente alle richieste del mercante,
lucchese o forestiero, che a lui si rivolgeva, a non frodarlo in alcun modo e a non sostituire la pezza
consegnatagli con stoffa di minore qualità (cfr. Poloni, Strutturazione, cit.). Sembrerebbe dunque che
il lavoro su ordinazione di un mercante-imprenditore fosse la norma per la maggior parte dei tintori
lucchesi fin dalla metà del Duecento. Questi aspetti dell’organizzazione produttiva del resto difficil-
mente trovano spazio nei registri notarili (cfr. Nota sulle fonti). Essi erano senz’altro registrati nei libri
contabili delle varie compagnie, che tuttavia per il Duecento sono andati completamente perduti.

App. I, 1d.

App. I, 1c.
90 Alma Poloni

frequentare la piazza genovese; essa del resto poteva acquistare le stoffe da


tingere soltanto sul mercato lucchese. L’assenza nel bilancio della compagnia
delle entrate derivanti dalla vendita a Lucca della seta greggia spiega in effetti
la mancanza di liquidità e il continuo bisogno di credito al quale essa faceva
fronte con l’attività di cambio.

I soci principali della compagnia dei Mordecastelli all’inizio del Trecento


erano Lemmo del fu Marcovaldo Mordecastelli, dominus Gualfreduccio del fu
Faitinello Mordecastelli, Nello del fu dominus Ranuccio Mordecastelli, Fredo e
Puccetto Frangelasta. Le attività della società non sono documentate nelle fonti
lucchesi con la stessa ampiezza di quelle dell’azienda Omodeo Fiadoni e soci.
Sul mercato cittadino i Mordecastelli acquistavano soprattutto oro filato e, in
misura minore, zendadi bianchi10. In alcune occasioni essi vendettero grana, che
verosimilmente avevano importato da Venezia, dove avevano un agente11. Un
altro agente risiedeva a Nîmes, dove riceveva le balle di merci che periodica-
mente la compagnia gli spediva servendosi di vectigales12. Nelle poche operazioni
di cambio sulle fiere che ho potuto rintracciare la società era prenditrice di
cambio13.
Sulla base di queste scarne informazioni è possibile formulare ipotesi diverse
sulla natura delle attività dei Mordecastelli. Può anche darsi che la compagnia
controllasse l’intero ciclo di trasformazione della seta, dalla materia greggia al
tessuto finito, curando poi anche la commercializzazione del prodotto attraver-
so gli agenti di Venezia e di Nîmes. L’oro filato comprato presso i numerosi bat-
tiloro lucchesi poteva servire tanto per la tessitura di drappi auroserici quanto
per la decorazione di zendadi e samiti.
A Lucca però i Mordecastelli non acquistarono mai seta greggia. È certo pos-
sibile che essi se ne rifornissero direttamente sul mercato veneziano, così come,
apparentemente, facevano per le sostanze coloranti, in particolare per la grana.
Per i mercanti-imprenditori era tuttavia molto difficile calcolare con esattezza la
quantità di materie prime necessaria per le proprie attività, a causa delle tante
variabili che influenzavano l’andamento della produzione. Questa circostanza
spiega perchè in alcuni momenti la società fu costretta a rivolgersi al mercato
lucchese per procurarsi il colorante o, più spesso, speculò sulle variazioni del


Appendice I, 2.
10
App. I, 2a.
11
App. I, 2b.
12
App. I, 2d.
13
App. I, 2c.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 91

prezzo della grana immettendo sul mercato cittadino parte delle proprie scor-
te14. Non ho invece trovato alcun riferimento nè ad acquisti nè a vendite di seta
greggia, una circostanza che parrebbe confermare l’estraneità della compagnia
alla compravendita della seta non lavorata. Il fatto che i Mordecastelli fossero
prenditori di cambio suggerisce poi che essi non facessero parte del ristretto
gruppo delle compagnie importatrici di seta. Come infatti vedremo tra poco,
queste ultime, potendo contare a Lucca su una notevole disponibilità di denaro
liquido, erano tutte datrici di cambio15.
Si può pensare dunque che i Mordecastelli svolgessero un’attività simile a
quella della compagnia Omodeo Fiadoni e soci, che intervenissero cioè soltanto
nella fase finale della lavorazione dei tessuti, come pare confermare l’acqui-
sto di zendadi bianchi. A differenza dell’altra società, però, i Mordecastelli si
rifornivano di grana non soltanto sul mercato lucchese, ma anche direttamente
a Venezia, dove il colorante giungeva in particolare dalle aree bizantine. Essi
sembrerebbero specializzati nella commercializzazione di un tipo particolare di
drappi serici: tessuti lisci – in particolare zendadi e samiti – non solo colorati,
ma anche decorati con fregi e ricami in filo d’oro e di seta16. Ciò spiegherebbe i
consistenti acquisti di oro filato e anche un’attestazione, risalente al marzo del
1304, relativa all’acquisto di 61 libbre e 2 once di «seta de fregio lombarda», cioè,
probabilmente, seta che per le sue particolari caratteristiche veniva utilizzata
soprattutto per la rifinitura e la guarnizione di stoffe, fasce e cinture17.
Possiamo immaginare che dopo aver ritirato gli zendadi dai tintori i
Mordecastelli li consegnassero nelle mani delle ricamatrici, fornendo loro i fili
d’oro e di seta necessari al loro lavoro. La specializzazione nelle fasi finali della
produzione giustificherebbe il fatto che i Mordecastelli non partecipavano al
commercio di seta greggia, e che sul mercato monetario lucchese erano prendi-

14
App. I, 2b.
15
Cfr. cap. III.1.3.
16
In Inghilterra si sono conservati numerosi zendadi e samiti ricamati, soprattutto con filo d’oro:
King, Types, cit., pp. 458-459.
17
L’interpretazione dell’espressione «seta de fregio lombarda» è per la verità piuttosto controversa
(Del Punta, Mercanti, cit., p. 60. Un primo elemento a sostegno della mia ipotesi mi sembra essere il
fatto che la seta de fregio, a differenza delle altre sete, veniva spesso tinta in filato (da qui i riferimenti
a compravendite di seta de fregio lombarda de coloribus). Questa circostanza suggerisce che essa non
venisse usata per la tessitura delle stoffe (gli zendadi lucchesi, come si è detto, venivano tinti dopo la
tessitura), ma più plausibilmente per la decoraizone e il ricamo. Le leggi suntuarie emanate negli anni
’30 del Trecento mostrano inoltre che a Lucca il termine «fregio» era comunemente utilizzato per indi-
care guarnizioni, ricami e decorazioni, ottenuti con filo d’oro e d’argento o fili colorati, che ornavano
le stoffe degli abiti delle donne (Bandi lucchesi del secolo decimoquarto tratti dai registri del R. Archivio di Stato
in Lucca, a cura di S. Bongi, Bologna, Tipografia del progresso, 1863, pp. 47-54).
92 Alma Poloni

tori di cambio. Questa ipotesi mi sembra perciò più plausibile rispetto a quella
che essi seguissero l’intero processo di lavorazione dei tessuti.
Gli anni ’90 del Duecento segnarono dunque un riorientamento degli inte-
ressi dei Mordecastelli e una totale riorganizzazione delle loro attività commer-
ciali e finanziarie, in analogia a quanto si è già osservato per Salliente Melanesi
e Omodeo Fiadoni. Negli anni ’70 e ’80 gli affari della compagnia composta
dai tre figli di Faitinello Mordecastelli, da Gerardo Posarelli e da Fredo
Frangelasta erano ancora incentrati sui poli Genova-Champagne. A quel tempo
la società, al pari delle altre imprese lucchesi, importava seta greggia a Lucca
ed esportava drappi serici soprattutto Oltralpe. Dagli anni ’90 i Mordecastelli
abbandonarono il commercio della seta greggia e probabilmente scelsero la
via della specializzazione produttiva. Da quel momento essi, proprio come era
accaduto a Salliente Melnesi e Omodeo Fiadoni, non ebbero più bisogno di
mantenere un agente sulla piazza genovese. L’ultima attestazione della presenza
della compagnia dei Mordecastelli a Genova risale infatti al 128718.

Le due società fondate dai membri della famiglia Martini sembrano presen-
tare un quadro molto simile a quello della compagnia Mordecastelli. Entrambe
le società sono attestate dall’inizio degli anni ’90 del Duecento; una di esse era
composta da Riccomo Martini, Giovanni e Balduccio Fralmi e Done Anguilla19,
l’altra dai tre fratelli Guido, Federico detto Bigoro e Rustichello detto Tello del
fu Martino Martini20. Tello morì probabilmente nel corso dle 1304. Gli altri
due fratelli portarono avanti l’azienda, ma dal gennaio del 1305 Guido scelse di
entrare nella società creata da Done Anguilla e Riccomo Martini, il quale era
anch’egli defunto tra il 1302 e il 1303. È probabile che la decisione fosse dettata
dall’insorgere di dissensi con il fratello Bigoro; quest’ultimo operò da solo per
poco più di un anno, fino alla probabile cessazione dell’attività dopo il maggio
del 1306.
Le due aziende acquistavano sul mercato lucchese soprattutto filo d’oro e
filati di seta da ricamo bianchi e colorati21. In tre occasioni Riccomo Martini e

18
Doehaerd, n. 1427, 1287 gennaio 14.
19
Appendice I, 3.
20
App. I, 4.
21
App. I, 3a e I, 4a. Tra gli acquisti delle società dei Martini troviamo seta de fregio, sulla quale ci
siamo già soffermati, capitone colorato, filugello, seta «mezzana» colorata. Il capitone era un filato di
seta piuttosto grossolano, spesso e lavorato con meno accuratezza, che poteva presentare anche nodi e
imperfezioni (F.B. Pegolotti, La pratica della mercatura, ed. by A. Evans, 2 voll., Cambridge (Mass.), The
Medieval Academy of America, 1936, p. 382). Il filugello era un filo di seta di qualità bassa, ricavato
spesso da bozzoli rotti e danneggiati, che veniva solo filato e non torto. Anche l’espressione seta «mez-
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 93

soci vendettero partite piuttosto consistenti di grana di Corinto22. È probabile


che si trattasse della commercializzazione di eccedenze, forse in un momento in
cui il colorante aveva raggiunto prezzi elevati sul mercato cittadino. Possiamo
dunque supporre che i Martini, come i Mordecastelli, sovrintendessero anche
alla tintura delle stoffe che poi davano a ricamare. Le due società Martini, del
resto, non acquistavano tessuti già colorati, ma solo zendadi bianchi.
La documentazione parrebbe suggerire per i Martini un’attività di cambio
sulle fiere, sempre nel ruolo di prenditori di cambio, molto più intensa rispetto
a quella dei Mordecastelli23. È possibile che questi ultimi finanziassero in parte
l’acquisto di tessuti da tingere e di oro filato con i proventi dell’importazione di
grana da Venezia, ma può anche darsi che l’impressione di uno scarso ricorso
al cambio sia dovuta a una contingenza documentaria. Il notaio di fiducia dei
Mordecastelli all’inizio del Trecento non era infatti Rabbito Torringhelli, ma
Giovanni Beraldi, i cui registri hanno avuto una sorte assai meno fortunata.
Sia i tre figli di Martino Martini che Riccomo Martini e soci vendevano
Oltralpe i tessuti tinti e decorati; la loro base in Francia tuttavia non era Nîmes,
bensì Parigi24. Forse per questo motivo le due compagnie risentirono più di
altre della crisi determinata dalle scelte politiche e finanziarie della corona
francese25. La società di Bigoro Martini non è più attestata dopo il 1306, mentre
quella fondata da Riccomo e Done Anguilla si sciolse probabilmente nel corso
del 1308.

1.2. Le aziende a dimensione locale


La società composta da Betto Terizendi – il quale apparteneva, come si è
detto, a un ramo dei Carincioni – e dai figli Nello e Bindo è attestata per la
prima volta nel 1284. All’inizio degli anni ’90 Betto abbandonò l’attività, ritiran-
dosi a quanto pare a vita religiosa, e l’impresa fu portata avanti dai suoi figli26.

zana» rimanda probabilmente a un filato non di prima scelta. Tutti questi termini fanno riferimento a
filati di qualità inferiore utilizzati per la decorazione, il ricamo, la rifinitura dei tessuti e per la realizza-
zione di cinture e passamaneria.
22
App. I, 3b.
23
App. I, 3c e I, 4c.
24
App. I, 3d e I, 4d. «Gen e Galeran Martin et leurs compaignons», due membri della famiglia
Martini difficilmente identificabili, compaiono tra i lucchesi presenti a Parigi nella Taglia imposta da
Filippo il Bello nel 1296 (K. Michaëlsson, Le livre de la taille de Paris l’an 1296, Göteborg, Almqvist, 1958,
p. 271).
25
Cfr. cap. IV.1.2.
26
Nel dicembre del 1294 il padre di Nello e Bindo è detto «dominus frater Bectus qd domini
Aldibrandini Terizendi» (ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli, c. 57v).
94 Alma Poloni

I Terizendi compravano seta greggia sul mercato lucchese27. Fin dagli anni
’90 essi si rifornivano principalmente presso le compagnie fiorentine attive a
Lucca. Gli acquisti avvenivano in genere per importi medi o medio-alti, spesso
superiori alle 400 lire, e in più occasioni i Terizendi agirono in associazione con
i Pagani. L’unica altra attività attestata per la nostra società è la vendita – per
importi bassi o medio-bassi, che solo in tre casi superarono le 100 lire – di filato
di seta pronto per l’orditura (chiamato orsorium) e per la tessitura (testorium)28.
L’unico cliente che intratteneva con i Terizendi un rapporto d’affari abba-
stanza continuo era la società composta da Peruccio Squete e Coscio Ventura29.
I due acquistavano il filato di seta sul mercato lucchese e vendevano zendadi
bianchi ai tintori, ai setaioli o a imprese, come quella di Omodeo Fiadoni e soci,
specializzate nella tintura30. Peruccio Squete e il suo socio erano dunque spe-
cializzati nella tessitura della seta. Essi però non erano tessitori, ma mercatores
a tutti gli effetti, che sovrintendevano soltanto a una fase specifica della pro-
duzione di drappi serici, servendosi della manodopera di tessitori e tessitrici ai
quali fornivano il filato ritirando poi il prodotto finito. A Lucca esistevano altri
mercanti specializzati nella tessitura, uno dei quali, Puccio Cari, era anch’egli
cliente dei Terizendi31.
Non abbiamo purtroppo informazioni su come i Terizendi organizzassero la
filatura e la torcitura, le operazioni necessarie per ottenere l’orsorium e il testo-
rium32. Le più antiche attestazioni dell’esistenza di filatoi idraulici a Lucca non
sono anteriori agli anni ’30 del Trecento, ma è altamente probabile che questi
impianti fossero in uso almeno dagli ultimi decenni del secolo precedente33. La

27
Appendice II, 1a.
28
App. II, 1b.
29
App. II, 3.
30
App. II, 3a e 3b.
31
Nel gennaio del 1305 Puccio acquistò dai Terizendi 7 libbre e 7 once di filato per la tessitura
(ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli, c. 342). Nel marzo del 1308 egli acquistò dai Rapondi 15 libbre
e sei once di testorium per 86 lire e 16 soldi (ASLu, Not. 58, Rabbito Toringhelli, c. 143). Un altro
acquisto di testorium è attestato per il maggio del 1312 (ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 99r). A
questa stessa categoria, quella dei mercanti specializzati nella tessitura, sembra appartenere la società
di Arrighino Benenati e soci, attiva negli anni ’80 del Duecento (Del Punta, Mercanti, cit., p. 81).
32
I fili per la trama erano sottoposti a torcitura in una sola direzione, quelli per l’ordito in due
direzioni, prima in un senso e poi in quello opposto (F. Edler De Roover, Andrea Banchi setaiolo fiorentino
del Quattrocento, in «Archivio storico italiano», CL (1992), pp. 877-973, in particolare p. 903).
33
I filatoi citati nei documenti degli anni ’30 del Trecento sono infatti molto complessi, senza
dubbio il risultato di un lungo processo di adattamento e perfezionamento (T. Bini, Sui Lucchesi a
Venezia. Memorie dei secoli XIII e XIV, 2 voll., Lucca 1854-1857, p. 54). Uno di questi mulini si trovava
nella «contrata vie nove porte burgi». In questa stessa area fin dagli anni ’70 del XII secolo esistevano
mulini per la macinatura del grano, circostanza che suggerisce l’esistenza di fossi e canali (cfr Poloni,
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 95

torcitura era l’unica fase della produzione di drappi serici che potesse essere
meccanizzata. Le macchine più complesse ed evolute avevano un costo molto
elevato, non accessibile agli artigiani più modesti. È possibile, a mio parere, che
i Terizendi possedessero uno di questi impianti, azionato da operai salariati o,
più probabilmente, da uno o più artigiani che collaboravano con i nostri mer-
canti attraverso un rapporto societario.
I Terizendi non avevano contatti con i mercati internazionali. Essi si
rifornivano di seta greggia a Lucca, e gli artigiani e i mercanti locali erano i
loro unici clienti. Dal momento che la società non si occupava dello smercio
dei tessuti serici Oltralpe, essa non poteva servirsi dello strumento dei cambi
per finanziare l’acquisto della materia prima necessaria alla propria attività.
Essa comprava la seta a credito e saldava i debiti con i ricavi della vendita
del filato.
Un’altra società specializzata nella torcitura della seta era quella composta
da Federigo Arnaldi e Betto Saggine, attiva dall’inizio del Trecento34. Il loro
giro d’affari doveva essere più ampio rispetto a quello dei Terizendi, anche se le
loro attività sono meno documentate. Gli acquisti di seta greggia superano quasi
tutti le 600 lire lucchesi; i fornitori erano principalmente gli Appiccalcani e la
compagnia di Cino Margatti e soci, ai quali si aggiungevano le solite compagnie
fiorentine35. Verso la fine del periodo che stiamo prendendo in considerazione
la società Arnaldi-Saggine stava esplorando con cautela nuove strade, tentando
forse un salto di qualità. In particolare, essa stava sviluppando contatti diretti
con i mercati internazionali. Nel settembre del 1311 infatti l’azienda spedì una
balla di merci alle fiere della Champagne, e nel luglio dell’anno successivo è
attestato anche il primo cambio sulle fiere36. Questa espansione fu tuttavia
bruscamente interrotta dagli eventi politico-militari: Federigo Arnaldi fu uno
dei lucchesi che abbandonarono la città dopo la conquista del potere da parte
di Uguccione della Faggiola37.

Non tutti i mercanti e le società attivi a Lucca erano specializzati in una


sola delle diverse fasi di lavorazione della seta. Anche a Lucca esistevano
figure simili a quelli che gli studiosi della manifattura serica fiorentina del
Quattrocento hanno definito «setaioli», cioè mercanti-imprenditori che acqui-

Strutturazione, cit). La disponibilità di queste canalizzazioni può aver stimolato la sperimentazione di


macchine ad energia idraulica gradualmente perfezionate nel tempo.
34
App. II, 2.
35
App. II, 2a.
36
App. II, 2c e 2d.
37
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1316 ottobre 11.
96 Alma Poloni

stavano la materia greggia e sovrintendevano a tutte le operazioni necessarie


alla sua trasformazione, fino al tessuto pronto per la vendita38.
Un caso di questo tipo fu probabilmente l’azienda dei fratelli Ciucco e
Vannetto Rapondi, fondata all’inizio degli anni ’90 del Duecento39. La mag-
gior parte delle attestazioni relative alla società riguardano l’acquisto di seta
greggia sul mercato lucchese40. I Rapondi si rifornivano presso le compagnie
fiorentine attive a Lucca e le compagnie lucchesi specializzate nell’importazione
di seta, sopprattutto gli Appiccalcani e Cino Margatti e soci, ma avevano un
rapporto particolarmente stretto con i Tolomei di Siena. In più occasioni tut-
tavia l’azienda acquistò anche zendadi bianchi, «seta de fregio» e coloranti. Per
quanto riguarda le vendite, i contratti superstiti riguardano per lo più la vendita
di «accia mantovana» (filato di canapa o lino) ai battilori lucchesi, che se ne
servivano per la produzione dell’oro filato41. In due casi i Rapondi vendettero
anche testorium, filato di seta pronto per la tessitura, e in un caso «seta de fregio
lombarda» di vari colori.
A differenza di quanto osservato per le società oggetto delle pagine prece-
denti, l’analisi degli acquisti e delle vendite effettuati da Ciucco e Vannetto sul
mercato lucchese non consente di individuare una chiara linea di tendenza o un
preciso orientamento nell’insieme delle loro attività. Questo quadro piuttosto
confuso a mio parere acquista un senso se presupponiamo che i Rapondi fos-
sero setaioli, che seguissero cioè l’intero ciclo produttivo della seta. Le vendite
di «accia mantovana», «seta de fregio» colorata e filato di seta potrebbero allora
essere interpretate come l’immissione sul mercato cittadino di una parte delle
scorte a fini speculativi o per far fronte a un bisogno di liquidità. Esisteva una
tipologia di tessuti serici, detti «drappi in accia» nelle fonti lucchesi, che veniva-
no tessuti su un ordito di lino o canapa42. Può darsi che i Rapondi producessero,
tra gli altri, anche questo tipo di tessuti, e ciò spiegherebbe perché essi avevano
a disposizione il filato di canapa.
Gli acquisti di seta greggia, filato di seta da ricamo («seta de fregio») e colo-
ranti sono del tutto compatibili con le attività di un’azienda di setaioli. Qualche

38
De Roover, Andrea Banchi, cit; Ead, L’arte della seta a Firenze nei secoli XIV e XV, a cura di S.
Tognetti, introduzione di B. Dini, Firenze, Olschki, 1999; S. Tognetti, Un’industria di lusso al servizio
del grande commercio. Il mercato dei drappi serici e della seta nella Firenze del Quattrocento, Firenze, Olschki,
2002.
39
App. II, 4.
40
App. II, 4a.
41
App. II, 4b.
42
King, Types, cit., p. 461; cfr per esempio ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli, c. 515, 1305 set-
tembre 16.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 97

problema in più è forse posto dai numerosi acquisti di zendadi bianchi. I setaioli
infatti in genere controllavano anche la fase della tessitura, servendosi del
lavoro a domicilio di tessitori e tessitrici. È plausibile tuttavia che i Rapondi,
per ampliare il proprio giro d’affari e soprattutto per diversificare l’offerta,
trovassero conveniente fare tingere, insieme ai propri tessuti, pezze comprate
già pronte. A Lucca, come si è visto, esistevano società specializzate nella tessi-
tura, che acquistavano i filati da altre società specializzate nella filatura e nella
torcitura. È probabile che questo alto livello di specializzazione permettesse ai
Rapondi e agli altri setaioli di comprare zendadi bianchi all’ingrosso a prezzi
contenuti, che garantivano comunque un buon margine di guadagno.
La perdita dei libri contabili non ci consente di capire come l’azienda
organizzasse la produzione. È verosimile che essa, come i setaioli fiorentini
del Quattrocento, si servisse di un sistema di lavoro a domicilio, distribuendo
i materiali ad artigiani e maestranze e ritirandoli alla conclusione di ogni sin-
gola fase di lavorazione. Ma è probabile che i Rapondi fossero anche clienti
dei mercanti specializzati nelle diverse fasi di trasformazione della seta. Per
gli zendadi bianchi essi si servirono anche della società di Peruccio Squete e
Coscio Ventura. È possibile, anche se non sono rimaste attestazioni in tal senso,
che per il filato necessario all’orditura e alla tessitura i Rapondi si rivolgessero,
almeno in alcuni momenti, ad aziende come quelle dei Terizendi e di Federico
Arnaldi e Betto Saggine.
A quanto sembra i Rapondi non si occupavano dello smercio dei tessuti sul
mercato internazionale. Non è rimasta infatti alcuna attestazione né di spedi-
zioni di merci Oltralpe né di cambi sulle fiere. Possiamo ipotizzare dunque che
la loro produzione fosse interamente destinata al mercato lucchese, dove forse
veniva acquistata dalle compagnie impegnate nel commercio internazionale. È
probabile che non tutte le vendite riguardassero tessuti finiti: come si è visto,
infatti, diverse società lucchesi presenti sui mercati del nord Europa si occupa-
vano anche delle fasi finali della lavorazione, in particolare della tinura (azienda
omodeo Fiadoni e soci) e della decorazione (Mordecastelli, Martini). Queste
compagnie compravano le stoffe da rifinire sia da società specializzate nella
tessitura sia da setaioli come i Rapondi.
Un’altra impresa di setaioli piuttosto importante era quella dei figli del
giudice Deodato Cristofani, Tagliapane e Guido. Anch’essi acquistavano seta
greggia, in particolare da Cino Margatti e soci e da Bonturo Dati e soci43. I
Cristofani compaiono tra i fornitori della compagnia Omodeo Fiadoni e soci,
alla quale in più occasioni vendettero zendadi bianchi. Questo rapporto d’affari

43
App. II, 5.
98 Alma Poloni

era rafforzato da un legame familiare: Tedora, la sorella di Tagliapane e Guido,


aveva sposato Vannello, fratello di Salliente Melanesi44.
Spesso i Rapondi conclusero i contratti di acquisto di seta greggia e di zen-
dadi bianchi in associazione con un’altra società di setaioli che sembra avere
un giro d’affari piuttosto ampio, quella composta da Ammannato del fu Piero,
Moricone Moriconi e Aldibrandino Iacobi45. Per quest’ultima è anche attestato
un acquisto di testorium da Federico Arnaldi e Betto Saggine46.
Un altro caso interessante è quello dell’azienda di Pagano Guassi e
Michele Aimerigi. I due vendevano anche zendadi, ma sembrano specializzati
nella lavorazione di tessuti serici di qualità inferiore, in particolare «mezza-
nelli» e «terzanelli», ottenuti da seta proveniente da bozzoli danneggiati o
avariati. Essi inoltre importavano a Lucca i cosiddetti «drappi di Venezia»,
drappi intessuti di fili di seta colorati e fili d’oro, in genere su ordito in lino
o canapa, specialità della città lagunare. È probabile che i nostri setaioli si
dedicassero anche alla produzione di tessuti a imitazione dei drappi veneziani,
così come, a quanto pare, facevano con i purpurea genovesi47. Può sembrare
strano che a Lucca esistesse un mercato per seterie di fabbricazione forestiera
o a imitazione di modelli estranei alla tradizione locale. All’inizio del Trecento
tuttavia i drappi di Venezia e i purpurea genovesi cominciavano ad avere un
certo successo sui mercati dell’Europa settentrionale, e le compagnie lucchesi
desideravano forse diversificare il più possibile la propria offerta per adattar-
si al variare delle mode e incontrare i gusti in continua evoluzione dei loro
clienti.

44
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1304 settembre 15.
45
App. II, 4a.
46
ASLu, Not. 56, c. 122, 1306 marzo 16.
47
ASLu, Not. 57, Rabbito Torringhelli, c. 410, novembre 1307: Filippo Guassi e socio vendettero
a Omodeo Fiadoni e soci 108 pezze tra mezzanelli, terzanelli, drappi di Venezia e purpurea di diversi
colori. Nel settembre del 1305 l’azienda aveva venduto sempre alla compagnia Fiadoni-Melanesi 34
pezze di mezzanelli,12 pezze di terzanelli e 4 pezzi di drappi in accia per 479 lire. I drappi in accia
erano prodotti probabilmente a imitazione di quelli veneziani che, appunto, erano in genere tessuti su
un ordito di lino o canapa. Un capitolo dello statuto del 1308 regolamentava specificatamente la produ-
zione di tessuti serici a imitazione non solo delle produzioni genovese e veneziana, ma anche dei tessuti
aretini: «Idem intelligatur de illis qui in civitate lucana, burgis et suburgis artem exercent de drappis
aureis et sete, qui secundum artem Ianuensium facere debeant, et in ipsa longitudine que Ianue con-
suetum fuerit fieri. Item intelligatur de illis qui faciunt et exercent artem drapporum ad similitudinem
drapporum de Venetiis, qui illos ad dictam similitudinem facere teneantur. Item intelligatur et fiat de
drappis que fiunt secundum morem Aretii, qui illos secundum morem Aretii facere teneantur» (Statuto
del Comune, cit., p. 220). Sui drappi veneziani cfr. Mainoni, La seta, cit., pp. 385-386 e King, Types, cit.,
p. 461. Sui purpurea genovesi Mainoni, La seta, cit., pp. 386-390 e note corrispondenti.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 99

Pagano e Michele, a quanto pare, non esportavano direttamente i loro tes-


suti in Francia, ma li vendevano alle aziende lucchesi impegnate nel commercio
internazionale, in particolare a Omodeo Fiadoni e soci48. Essi tuttavia frequen-
tavano regolarmente Venezia, dove senza dubbio smerciavano una parte della
loro produzione49. Sulla piazza veneziana essi si rifornivano di grana e di drappi
di produzione locale, e probabilmente anche di seta greggia50.
Alla fine del periodo che stiamo prendendo in considerazione l’impresa
tentò il salto di qualità. Nel gennaio e nel marzo del 1313 sono infatti attestate
due spedizioni di merci con destinazione Nîmes, una per 6 e una per 7 balle.
Pagano e Michele intendevano dunque provare a organizzare autonomamente
la commercializzazione dei loro tessuti Oltralpe.

1.3. Le compagnie internazionali: i datori di cambio


La compagnia composta da Nerello Fralmi, Cino Margatti, Lippo Noie,
Bonturo Dati, Benetto Guidi, Coluccio Benenati, Gialdello Sesmondi e Ugolino
Clavari è attestata a partire dal 130251. Il mercante che nei registri di Rabbito
Torringhelli è sempre chiamato Cino Margatti o Margotti è forse identificabile
con Freduccio Margatti, uno degli uomini più in vista della vita politica cittadi-
na tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento52.
L’attività principale della società era l’importazione da Genova di tutte le
qualità di seta greggia. La sua clientela era estremamente ampia ed eterogenea:
aziende di setaioli, piccoli mercanti e società, come quella di Federico Arnaldi
e Betto Saggine, specializzate nella produzione di filato di seta53. Gli importi
delle vendite erano alti o medio-alti, in molti casi superiori alle 1000 lire. La
compagnia era inoltre impegnata in un’intensa attività di cambio sulle fiere della
Champagne, sempre in qualità di datrice di cambio54. In ambito finanziario
la sua clientela era assai meno varia che in ambito commerciale, circostanza
che si spiega col fatto che soltanto le società attive sui mercati internazionali

48
App. I, 1a.
49
Pagano e Michele sono inclusi nell’elenco dei «lucani cives et mercatores qui consueverunt uti
Venetiis» coinvolti nel fallimento della compagnia dei Mordecastelli nel 1305 (ASLu, Not. 60, cc. 14v-
15v, gennaio 1310).
50
Nel luglio del 1309 Pagano e Michele vendettero a Omodeo Fiadoni e soci 383 libbre di grana
«de Romania» per più di 823 lire (ASLu, Not. 59, Rabbito Torringhelli, c. 213v).
51
App. III, 1.
52
Sui Margatti cfr. cap. II.1.1. Sul ruolo di Freduccio Margatti nelle vicende politiche degli anni
a cavallo tre Due e Trecento cfr. oltre, cap. V.1.3.
53
App. III, 1b.
54
App. III, 1c.
100 Alma Poloni

potevano accedere a questa forma di credito. Cino Margatti e soci avevano un


rapporto particolarmente stretto con la compagnia Omodeo Fiadoni e soci. I
registri di Rabbito Torringhelli ci informano inoltre di frequenti spedizioni di
merci Oltralpe. Fino al 1305 la destinazione principale era Parigi, ma dal 1306
le mercanzie furono inviate esclusivamente alle fiere della Champagne55.
Lo smercio della seta greggia acquistata all’ingrosso sulla piazza genovese
metteva a disposizione di Cino Margatti e dei suoi soci il denaro liquido che
essi anticipavano alle società prenditrici di cambio. La restituzione era prevista
in lire tornesi alle fiere della Champagne. Alle fiere tuttavia essi incassavano
anche i ricavi della vendita delle merci lucchesi – certamente drappi serici – che
vi spedivano per mezzo di vectigales. Ma come utilizzava la compagnia i capi-
tali che concentrava alle fiere? Senza dubbio essa acquistava panni del nord
Europa. Sul mercato lucchese però sono attestate soltanto tre vendite di sarge
irlandesi e una di panni di Parigi, tutte per importi modesti56.
Il rientro dei capitali doveva avvenire attraverso la tappa intermedia di
Genova. Cino Margatti e soci probabilmente, secondo lo schema che abbiamo
verificato per le società lucchesi degli anni ’60 e ’70 del Duecento, finanziavano
l’acquisto di seta greggia sulla piazza genovese attraverso l’attività di cambio
sulle fiere. Essi cioè prendevano lire genovesi impegnandosi a restituire la
somma con gli interessi alle fiere in lire tornesi. In alcuni casi, come abbiamo
già visto, il pagamento della seta poteva anzi avvenire direttamente alle fiere.
È chiaro dunque che la disponibilità di capitali alle fiere era vitale per gli affari
delle compagnie lucchesi importatrici di seta greggia. Tali compagnie inoltre
integravano la propria riserva di lire genovesi anche vendendo ai pannarii della
città ligure i panni acquistati Oltralpe57.
I capitali accumulati in Francia dall’azienda di Cino Margatti rientravano
insomma a Lucca principalmente sotto forma di seta greggia. Resta da capire
però come la società si procurasse i drappi serici che spediva a Parigi e alle fiere.

55
App. III, 1d. L’agente della compagnia a Parigi era Ugo Clavari. È infatti certamente da iden-
tificare con il socio di Cino Margatti l’«Huguenin Clava de Luques» citato tra i «lombardi» residenti
nella capitale del Regno nelle Taglie del 1299 e del 1300 (C. Piton, Les Lombardes en France et à Paris,
Paris, Chempion, 1892-1893, pp. 143 e 149).
56
ASLu, Not. 56, Rabbito Torringhelli, c. 146, marzo 1306: vendita di 19 sarge irlandesi. ASLu,
Not. 58, c. 123, marzo 1308: vendita a Bonamico merciadrus e Arrigo Bocci mercator di 11 pezze di sarge
iralndesi per 198 lire. ASLu, Not. 60, c.103, marzo 1310: vendita sempre a Bonamico merciadrus di 5
pezze di sarge irlandesi per circa 107 lire. ASLu, Not. 63, c. 394, settembre 1313: vendita a Bacciomeo
pannarius lini di 5 pezze di panni di Parigi per più di 255 lire. App. III, 1b.
57
Per la la compagnia di Cino Margatti e soci ho trovato un indizio in tal senso: nel marzo del
1303 essi consegnarono a Betto Buiamonti il ricavo che essi avevano realizzato dalla vendita sulla
piazza genovese di «agnellini» di sua proprietà (ASLu, Not. 54, Rabbito Torringhelli, c. 83r).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 101

Nessun indizio porta a pensare che essa si occupasse direttamente della produ-
zione seguendo le varie fasi di trasformazione della materia prima. L’ipotesi più
plausibile è forse che la compagnia acquistasse i tessuti dalle aziende di setaioli,
la maggior parte delle quali, come si è visto, non commercializzavano autono-
mamente i propri prodotti sui mercati internazionali.
A partire dal 1312 la società si cimentò anche in un nuovo affare. In asso-
ciazione con una compagnia genovese essa cominciò a prendere in carico balle
di merci appartenenti ad altre aziende lucchesi, organizzando un vero e proprio
servizio di trasporto58. La destinazione di questi viaggi era tornata ad essere
Parigi.

All’inizio del 1304 l’azienda di Cino Margatti conobbe una scissione.


Bonturo Dati fondò insieme al fratello Vanni una nuova compagnia, portandosi
dietro Gialdello Sesmondi e Coluccio Benenati59. La nuova società si mise in
concorrenza diretta con quella vecchia, dedicandosi esattamente allo stesso
tipo di attività. Tra i mercanti e le imprese che acquistarono seta greggia da
Bonturo e soci figurano molti clienti della compagnia di Cino Margatti60. In
ambito finanziario anche la nuova azienda era naturalmente datrice di cambio,
e tra coloro che più spesso usufruirono di questo servizio compare ancora la
ditta Omodeo Fiadoni e soci. Bonturo Dati e soci seppero tuttavia instaurare un
rapporto di fiducia anche con le due società dei Martini, che non facevano parte
della clientela della compagnia di Cino Margatti. Vanni dati morì probabilmen-
te nel corso del 1308, mentre Bonturo si ritirò dagli affari a partire dal 1311,
probabilmente a causa dell’intensificarsi del suo impegno politico61. L’azienda
continuò comunque a operare negli anni successivi.
Anche la società fondata da Bonturo Dati spediva merci Oltralpe, dappri-
ma, fino al 1306, a Parigi, dal 1306 alle fiere della Champagne62. A partire dal
maggio del 1312 essa si servì per la spedizione principalmente proprio di Cino
Margatti e soci. Nel settembre del 1306 Bonturo Dati e Gialdello Sesmondi
conclusero con Luporo del fu Bonomo e Fazio figlio di Mercato Boni una
«societas in artem et de arte sete et sendadorum et aliorum ad ipsam artem

58
App. III, 1e.
59
App. III, 2.
60
App. III, 2b.
61
È noto infatti che Bonturo Dati fu il principale fautore della linea politica di impronta radi-
calmente popolare che si impose a Lucca proprio nel 1310-1311, e certamente il più influente uomo
politico di quegli anni (Le croniche di Giovanni Sercambi, cit., p. 57).
62
App. III, 2d.
102 Alma Poloni

spectantium» della durata di un anno63. Entrambe le parti investirono 1000 lire;


Luporo e Fazio avevano il compito di fare fruttare il capitale. Quello stesso
giorno i due impiegarono buona parte del fondo societario – per l’esattezza
1733 lire e 4 soldi – per l’acquisto, presso la stessa compagnia di Bonturo Dati,
di due balle di seta del Turkestan64.
Luporo e Fazio erano setaioli, e insieme a Puccio di Martino erano titolari di
un’azienda almeno dal 130265. Per Bonturo Dati e soci si trattava prima di tutto
di una forma di investimento, poiché essi avrebbero partecipato agli utili della
nuova società. Ma è anche probabile che la compagnia intendesse acquisire gran
parte della produzione dell’azienda per smerciarla Oltralpe. La ditta di Bonturo
Dati stabiliva cioè con i due setaioli uno stretto rapporto di collaborazione che
doveva portare vantaggi a entrambe le parti. Luporo e Fazio si assicuravano un
canale privilegiato di approvvigionamento di seta greggia. Bonturo Dati e i suoi
soci, a loro volta, potevano rifornirsi di tessuti a prezzi senza dubbio di favore,
risparmiando inoltre sui costi di informazione e di contrattazione ai quali anda-
vano incontro quando si muovevano sul mercato cittadino.
Un’altra importante compagnia importatrice di seta greggia e datrice di
cambio era quella composta dai fratelli Filippo e Pardo Appiccalcani e dal
figlio di Filippo Coluccio66. Come datori di cambio gli Appiccalcani avevano
un rapporto particolarmente stretto con i Martini, e, ancora una volta, con la
compagnia Omodeo Fiadoni e soci67. Per quanto riguarda la seta, il loro cliente
più importante era la società di Federigo Arnaldi e Betto Saggine, ma furono in
contatto anche con i Rapondi68.

2. La riorganizzazione del sistema produttivo


negli anni ’70 e ’80 del Duecento

2.1. Lucca e Firenze a confronto


Le peculiarità della struttura organizzativa che abbiamo delineato nelle pagi-
ne precedenti emergono bene dal confronto con una realtà economica per molti

63
ASLu, Not. 56, Rabbito Toringhelli, c. 487, 1306 settembre 2.
64
Ibidem, c. 489.
65
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 2r, 1302 gennaio 4; ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli,
c. 16, 1304 gennaio 15.
66
App. III, 3.
67
App. III, 3c.
68
App. III, 3b.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 103

versi affine a quella lucchese: la manifattura serica fiorentina del Quattrocento.


Anche in quel caso siamo di fronte a un sistema produttivo orientato all’esporta-
zione sui mercati internazionali. Nei due contesti il ciclo produttivo prevedeva
più o meno la stessa sequenza di fasi, né sono riscontrabili significative diffe-
renze di tipo tecnologico.
Alla base dell’industria serica fiorentina c’era un variegato mondo di botte-
ghe artigiane e lavoratori specializzati a domicilio69. Le imprese mercantili che
investivano nel settore erano invece soltanto di due tipi. Le grandi compagnie
svolgevano una funzione fondamentale di intermediazione commerciale e finan-
ziaria. Grazie alla loro posizione sui mercati internazionali esse controllavano
tanto l’importazione di materie prime quanto l’esportazione del prodotto finito.
L’altra figura mercantile era quella del setaiolo, un mercante-imprenditore che
seguiva tutte le fasi di trasformazione della seta servendosi delle prestazioni
di artigiani indipendenti e lavoratori a domicilio. I mercanti-imprenditori più
intraprendenti smerciavano direttamente i loro tessuti sui mercati internaziona-
li, ma molti setaioli si limitavano a vendere gran parte della propria produzione
alle grandi compagnie. Generalmente, cioè, il ciclo manifatturiero e quello com-
merciale rimanevano separati.
Nella Lucca del Duecento il mondo del lavoro aveva caratteristiche assai
simili a quelle riscontrabili nella Firenze del Quattrocento. I tessuti serici erano
frutto della perizia di lavoratori altamente qualificati, alcuni dei quali operava-
no in proprio, altri solo su commissione dei mercanti. Le loro specializzazioni
si ritrovano identiche a Firenze due secoli dopo: filatori, torcitori, orditori e
orditrici, tessitori e tessitrici, tintori, battilori. La vera differenza tra le due real-
tà si riscontra invece all’interno della componente mercantile-imprenditoriale,
che a Lucca presentava un livello di differenziazione e di specializzazione deci-
samente più alto rispetto a Firenze. Accanto ai setaioli «alla fiorentina» e alle
compagnie specializzate nelle attività di intermediazione commerciale, a Lucca
esistevano anche imprese che sovrintendevano a una sola fase della lavorazione
della seta.
A mio parere il processo di differenziazione delle aziende lucchesi ebbe
inizio tra la seconda metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Esso è infatti
già evidente nel 1284, quando il notaio Tegrimo Fulceri ci fornisce la prima
immagine chiara del mondo mercantile lucchese, anche se soltanto dall’inizio
del Trecento, grazie ai registri di Rabbito Torringhelli, è possibile avere di
questo mondo una descrizione dettagliata. Bisogna ammettere tuttavia che per

69
Sull’industria serica fiorentina quattrocentesca cfr. soprattutto Tognetti, Un’industria, cit., e De
Roover, Andrea Banchi, cit.
104 Alma Poloni

i decenni precedenti la documentazione è molto meno ricca, e che dunque la


divisione del lavoro tra le imprese lucchesi potrebbe essere un fenomeno più
risalente. Alcuni indizi mi hanno spinto tuttavia a scartare questa ipotesi.
Prima degli anni ’80 sembra che i semilavorati, come il filato di seta e gli zen-
dadi bianchi da rifinire, non fossero comunemente oggetto di compravendita. Il
caso del filato è particolarmente significativo: ancora negli anni ’70 non si trova
alcun riferimento alla vendita di testorium e orsorium, abbondantemente attestata
a partire dall’inizio del decennio successivo70. È palese che in quella fase non
operavano aziende specializzate nella filatura e nella torcitura. Più in generale,
non esisteva un vero e proprio mercato dei semilavorati perché probabilmente,
come a Firenze nel Quattrocento, i mercanti ne mantenevano la proprietà e il
controllo nei diversi stadi della lavorazione, ricorrendo al mercato, a parte casi
eccezionali, soltanto per l’approvvigionamento delle materie prime e lo smercio
del prodotto finito. A mio parere l’esistenza a Lucca, dall’inizio degli anni ’80, di
un fiorente mercato dei semilavorati è una conferma della presenza di imprese
commerciali specializzate in singole fasi della trasformazione della seta.
Un’altra prova indiretta che porta a collocare l’inizio del processo di diffe-
renziazione non prima della fine degli anni ’70-inizio anni ’80 è l’interessante
fenomeno dell’abbandono del mercato genovese da parte di alcuni mercanti
lucchesi impegnati nel commercio internazionale. A partire dagli anni ’80 – e
in particolare dalla seconda metà del decennio – i Melanesi, i Mordecastelli, i
Martini, Omodeo Fiadoni ed altri che negli anni ’60 e ’70 avevano frequentato
con continuità la piazza genovese o vi avevano mantenuto agenti e procuratori
non ritennero più necessario avere una rappresentanza stabile nel grande porto
ligure. Il fatto è che essi non erano più interessati alla seta greggia, poiché la
loro attività, come abbiamo visto, si era interamente spostata sulla fase finale
della produzione. Essi cioè si limitavano a tingere e rifinire tessuti acquistati già
pronti, per poi smerciarli sui mercati internazionali.
La divisione del lavoro tra le aziende lucchesi sembra essersi articolata in
due tempi. Essa parrebbe avere interessato dapprima, probabilmente a partire
dalla seconda metà degli anni ’70, le imprese attive soltanto a livello locale. Già
all’inizio degli anni ’80 sono infatti attestati mercanti specializzati nelle due fasi
della filatura-torcitura (ad esempio i Terizendi) e della tessitura (ad esempio
Perello Squete). La differenziazione delle grandi compagnie internazionali fu
in apparenza un fenomeno più tardivo, iniziato forse soltanto negli anni ’80, ma
ben visibile dalla fine del decennio. Dagli anni ’90 esisteva una chiara distinzione
tra mercanti internazionali che erano anche importatori di seta greggia, a Lucca

70
Come notato anche da Del Punta, Mercanti, cit., p. 79.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 105

datori di cambio, e mercanti internazionali che intervenivano soltanto nella fase


finale della trasformazione del prodotto, a Lucca prenditori di cambio.
Possiamo dunque immaginare che fino agli anni ’70 il mondo mercantile
lucchese non avesse ancora conosciuto il processo di differenziazione e specia-
lizzazione sopra descritto. Allo stato attuale è tuttavia difficile capire come fosse
organizzata in quella fase la manifattura serica lucchese. Le uniche a godere di
una certa visibilità documentaria sono le grandi compagnie internazionali, che
allora controllavano entrambi i poli del circuito commerciale internazionale,
l’importazione delle materie prime e l’esportazione del prodotto finito sui mer-
cati esteri. Sembra che nella prima metà del Duecento almeno alcune società
impegnate nel commercio internazionale controllassero direttamente, attraver-
so un classico sistema di lavoro a domicilio, anche la trasformazione della seta
greggia in preziosi tessuti che poi venivano venduti Oltralpe. Questo è senz’al-
tro vero per i Ricciardi negli anni ’30 e ’40, e a quanto pare anche per i Fornari
nel secondo e terzo decennio del secolo71. È probabile tuttavia che esistessero
anche setaioli attivi soltanto sul mercato locale, che si servivano delle grandi
compagnie per la commercializzazione dei loro drappi.

2.2. Lucca come distretto industriale


Mi pare dunque si possa sostenere che tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del
Duecento ebbe inizio a Lucca un processo di divisione del lavoro tra imprese
che portò alla definizione di una struttura economica per alcuni versi simile a
un distretto industriale marshalliano. Come è noto, per distretto industriale si
intende nella letteratura economica qualcosa di più e di diverso da un gruppo
di aziende che semplicemente operano nello stesso ambito territoriale. Ciò che
viene in genere sottolineato è il carattere sistemico del distretto industriale: esso
è un sistema integrato di imprese di varie dimensioni concentrate in un’area
geografica circoscritta e specializzate nelle diverse fasi di un’unica produzione
industriale, o di un numero ridotto di produzioni industriali72.

71
Per i Ricciardi Del Punta, Mercanti, cit., in particolare pp. 144-145; per i Fornari cfr. sopra,
cap. I.2.3.
72
La letteratura sul distretto industriale è molto ampia. Il concetto fu sviluppato per la prima
volta negli anni tra Otto e Novecento dall’economista inglese Alfred Marshall. Tuttavia gli spunti di
Marshall non furono sviluppati nei decenni successivi. Il suo pensiero fu recuperato soltanto negli anni
’70 del Novecento. In Italia un ruolo fondamentale nel chiarire le dinamiche di formazione e sviluppo
dei distretti industriali è da attribuire ai lavori di G. Becattini. Si vedano in particolare G. Becattini, Dal
«settore industriale» al «distretto industriale». Alcune considerazioni sull’unità d’indagine dell’economia industriale,
in «L’industria», I (1979); Id. (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Bologna, Il Mulino,
1987; Id., The Marshallian Industrial District as a Socio-Economic Concept, in Industrial Districts and Inter-
106 Alma Poloni

La manifattura serica fiorentina del Quattrocento non può a mio parere


essere definita un distretto industriale in senso stretto a causa del carattere
scarsamente differenziato delle aziende di setaioli. È vero che tra le maestranze
attive nel settore esisteva un alto livello di specializzazione. Tuttavia in quel
sistema produttivo neppure le botteghe artigiane – per non parlare dei lavorato-
ri a domicilio – possono essere considerate vere e proprie imprese indipendenti.
Gli artigiani infatti non avevano ormai quasi alcun rapporto autonomo con il
mercato. Essi non controllavano né l’approvvigionamento delle materie prime
necessarie alla loro attività – che per lo più erano fornite dai mercanti – né
tantomeno la commercializzazione del loro prodotto, che non trovava spazio in
quanto tale nel circuito commerciale.
L’industria serica fiorentina in ultima analisi non era dunque un sistema di
imprese interconnesse, ognuna specializzata in una fase della trasformazione
della seta, ma un gruppo indifferenziato di aziende non coordinate che inve-
stivano tutte nell’intero ciclo produttivo e competevano tutte sul mercato dei
prodotti finiti. Pur con importanti differenze, lo stesso si può dire, nella sostan-
za, anche per la manifattura laniera fiorentina trecentesca e quattrocentesca73.
Il confronto con quelle che possono per molti versi essere considerate le realtà
industriali di punta del tardo medioevo italiano mette bene in luce l’ecceziona-
lità di quello che stava accadendo a Lucca sul finire del Duecento. Possiamo
ipotizzare che il monopolio di fatto delle forniture di seterie alle aristocrazie,
ai ceti dirigenti urbani e soprattutto alle corti europee, che Lucca mantenne
almeno fino all’inizio del Trecento, abbia portato a un certo punto la produzio-
ne a livelli tali da innescare l’evoluzione verso forme organizzative a quanto mi
risulta originali nel panorama medievale.
La riorganizzazione del sistema produttivo lucchese può forse essere
considerata una conseguenza dell’allargamento del mercato determinato
da quella che abbiamo definito la «seconda rivoluzione commerciale» degli

Firm Co-operation in Italy, edited by F. Pyke - G. Becattini - W. Sengenberger, Geneva, International


Institute for Labour Studies, 1990; G. Becattini et alii. (a cura di), Il caleidoscopio dello sviluppo locale:
trasformazioni economiche nell’Italia contemporanea, Torino, Rosenberg & Sellier, 2001. cfr. anche F. Barca
(a cura di), Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli, 1997. Ho trovato utile
per un orientamento generale nella bibliografia F. Mc Donald, F. Belussi, Industrial Districts: A State of
the Art Review, documento elaborato nell’ambito del progetto finanziato dalla Comunità Europea Project
West-East «Industrial Districts’ Relocation Processes: Identifying Policies in the Perspective of the European Union
Enlargement», 2002, distribuito in formato digitale all’indirizzo http://www.west-east-id.net/download/
Deliverable.pdf (ultima visita luglio 2009).
73
F. Franceschi, Oltre il «Tumulto»: i lavoratori fiorentini dell’Arte della lana tra Tre e Quattrocento,
Firenze, Olschki, 1993.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 107

anni 1255-1275. La crescita della produzione, legata all’espansione e all’in-


tensificazione degli scambi, rese probabilmente sostenibile e conveniente un
più alto livello di specializzazione. D’altra parte è plausibile che l’aumento
della produzione provocasse un incremento di tutti i costi organizzativi, in
particolare di quelli che ogni singola impresa doveva sostenere per l’articola-
zione e l’integrazione delle varie fasi di lavorazione che essa controllava. Ciò
potrebbe avere spinto i mercanti lucchesi a cercare soluzioni che permettes-
sero di contenere questo tipo di costi. La struttura organizzativa «a distretto
industriale» consentiva in effetti importanti economie di scala interne ma
soprattutto esterne.
Una «classica» azienda di setaioli per prima cosa era costretta a ripartire
il suo capitale in un certo numero di investimenti diversi. Essa doveva infatti
acquistare sul mercato seta, coloranti e oro filato e pagare le prestazioni di
numerosi artigiani e lavoratori a domicilio. In molti casi essa interveniva anche
nella dotazione delle maestranze alle quali si rivolgeva: se un tessitore aveva
bisogno di un nuovo telaio, per esempio, il setaiolo spesso lo acquistava per lui
e se lo faceva pagare a rate74. Le aziende specializzate, al contrario, utilizzavano
il loro capitale in maniera meno dispersiva, e la maggiore concentrazione degli
investimenti consentiva loro di acquistare grandi quantità delle materie prime o
dei semilavorati necessari alla loro specifica produzione, realizzando importanti
risparmi e ottenendo prezzi migliori.
I setaioli si servivano di molti lavoratori (anche varie decine) diversi per
grado di specializzazione, livello di autonomia, condizione economica, natura e
durata del rapporto con l’imprenditore75. Essi si rivolgevano cioè a un mercato
dei servizi estremamente complesso e differenziato. Questo sistema sollevava
importanti problemi di misurazione, poiché la valutazione degli aspetti quan-
titativi e qualitativi di una prestazione lavorativa era e rimane una questione
complicata. Al problema della misurazione si aggiungeva quello, ancora più
rilevante, del controllo e della sorveglianza di un numero tanto alto di lavoratori
che non operavano, come in una fabbrica moderna, sotto lo stesso tetto, ma nelle
loro botteghe o abitazioni sparse per la città o addirittura nelle campagne.
I mercanti-imprenditori del medioevo erano molto sensibili a questo tema
e avevano una chiara percezione delle perdite economiche che derivavano
loro dai comportamenti scorretti di alcuni lavoratori. Non era facile a quanto
pare trovare maestranze che garantissero buoni standard qualitativi e alti livelli

74
Edler De Roover, Andrea Banchi, cit., p. 920.
75
Secondo i calcoli della Edler De Roover, l’azienda di Andrea Banchi avrebbe dato lavoro a un
centinaio di persone (Ibidem, p. 927).
108 Alma Poloni

di produttività76. Esisteva poi anche il problema del furto o della sostituzione


di materiali che, nell’industria serica, avevano sempre costi molto elevati. Lo
statuto dei tintori lucchesi del 1255 si apriva proprio con l’impegno giurato
da parte dell’artigiano a non sottrarre semilavorati e materie prime forniti dal
mercante e a non sostituire le pezze consegnate dal committente con tessuti di
minore qualità77. Questa rubrica era stata chiaramente imposta dalla curia mer-
catorum, e riflette la preoccupazione dei mercanti per il ripetersi difficilmente
controllabile di episodi di frode78.
L’organizzazione del processo produttivo dominata dalla figura del setaiolo
implicava dunque alti costi di informazione, di enforcement e, soprattutto, di sor-
veglianza79. Nel corso del tempo erano stati messi a punto strumenti che ovvia-
vano in parte a questi problemi, in particolare le forme di vigilanza e i controlli
di qualità garantiti dalle corporazioni. Non bisogna poi sottovalutare la forza
di un elemento fondamentale per l’intero funzionamento dell’economia di una
città commerciale, la relazione personale di fiducia, che rafforzava il normale
rapporto datore di lavoro-lavoratore innestandovi un complesso intreccio di
obblighi reciproci e sanzioni sociali.
In ogni caso, è plausibile che l’incidenza di questi costi aumentasse con il
crescere della produzione, e che il processo di differenziazione e di specializ-
zazione che trasformò il mondo mercantile lucchese a partire dagli anni ’70 sia
stato innescato anche dall’esigenza di contenere tali costi di transazione. Le
società specializzate, infatti, entravano in rapporto con un numero e una varietà
di lavoratori decisamente inferiori rispetto a una generica azienda di setaioli.
Le imprese specializzate nella torcitura, per esempio, trattavano quasi soltanto
con gli artigiani che operavano al torcitoio, fosse esso di proprietà dell’impresa
o degli stessi artigiani. I mercanti specializzati nella tessitura avevano a che fare
prevalentemente con tessitori e tessitrici. Le compagnie che facevano tingere
gli zendadi per poi commercializzarli sui mercati internazionali avevano con-
tatti diretti prevalentemente con i tintori. Ciascuna di queste società ricorreva
praticamente a un solo tipo o comunque a pochi tipi di prestazione lavorativa,

76
Come dimostrano chiaramente le difficoltà incontrate dal setaiolo fiorentino Andrea Banchi:
Ibidem, pp. 917-918.
77
«Nec faciam aut consentiam inde furtum aut subtractam aliquam nec fraudem aliquo modo vel
ingenio nec fieri permittam vel consentiam aut permittam. [….] Nec aliquid sentatum ei cambiabo vel
camblari faciam aut permittam per me vel per alium aliquo modo vel ingenio» (ASLu, Dipl. Archivio
Notari, 1255 agosto 4).
78
Sulla storia di questo statuto cfr. Poloni, Strutturazione, cit., pp. 465-472.
79
Sulla rilevanza dei costi di informazione e di sorveglianza nell’ambito della categoria più gene-
rale dei costi di transazione cfr. North, Istituzioni, cit., pp. 53-64.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 109

riducendo notevolmente i problemi e dunque i costi relativi alla valutazione


della prestazione stessa e soprattutto al controllo dei lavoratori.
Un altro stimolo per le innovazioni organizzative degli anni ’70-’80 potrebbe
essere venuto dall’esigenza di un migliore coordinamento tra le imprese e di una
diversa articolazione della concorrenza. La manifattura serica lucchese due-
centesca era specializzata in un particolare prodotto, gli zendadi. Gli artigiani
lucchesi, come si è visto, erano in grado di produrre anche altri tipi di tessuti
serici, ma gli zendadi rimasero per tutto il Duecento e ancora nei primi decenni
del Trecento la specialità per cui Lucca era famosa in Europa. Diversamente da
altre lavorazioni gli zendadi, i più economici tra i drappi di seta, non consentiva-
no di mettere in opera grandi strategie di diversificazione dell’offerta. Si tratta-
va di un tessuto piano che, a differenza dei broccati, non poteva essere intessuto
d’oro ma solo eventualmente ricamato con filo d’oro, ed era necessariamente
monocromo perchè la tintura veniva effettuata sul tessuto, non sul filato.
Con il forte aumento, nella seconda metà del Duecento, delle società mercan-
tili attive nella manifattura serica sorse probabilmente il problema dell’eccessiva
concentrazione di aziende che competevano tutte nella vendita di uno stesso
prodotto; un prodotto già di per sé non proprio «di massa», e per di più piuttosto
omogeneo dal punto di vista qualitativo. Alcuni mercanti potrebbero dunque
avere scelto di sottrarsi a questa forte concorrenza per produrre, invece di tes-
suti finiti, semilavorati da vendere ai setaioli o ad altri operatori del settore.
Ancora più interessante è poi osservare che il processo di differenziazione
riguardò anche le compagnie internazionali. Fino agli anni ’80, come si è visto,
esse si dedicavano tutte sia all’importazione di seta greggia da Genova che
all’esportazione dei tessuti Oltralpe. In seguito diverse società abbandonarono
la piazza ligure e l’affare dell’importazione della seta, pur continuando ad essere
attive nella commercializzazione dei drappi serici sui mercati internazionali.
Anche l’importazione della seta divenne dunque un’attività specializzata pra-
ticata da un numero ridotto di aziende lucchesi. In questo caso però giocò un
ruolo determinante anche la concorrenza delle compagnie fiorentine, che si fece
sempre più forte a partire proprio dagli anni ’80, in particolare dalla fine del
decennio. I registri lucchesi degli anni ’90 del Duecento, e soprattutto dell’inizio
del Trecento, mostrano chiaramente che i fiorentini avevano conquistato quote
importanti del mercato lucchese della seta greggia80.
Le trasformazioni che ebbero luogo a Lucca degli anni ’70-’80 non porta-
rono comunque alla scomparsa della figura del setaiolo. Continuarono infatti
ad esistere, come si è visto, numerose aziende non specializzate che sovrinten-

80
Cfr. cap. IV.1.1.
110 Alma Poloni

devano a tutte le fasi di produzione della seta. A cavallo tra Due e Trecento
convivevano in effetti all’interno del mondo mercantile lucchese varie forme
organizzative e diversi livelli di specializzazione. I setaioli erano del resto ben
integrati in questo sistema. Per potenziare la propria capacità produttiva essi
acquistavano spesso semilavorati dalle società specializzate nella torcitura o
nella tessitura, le quali, grazie alla riduzione dei costi legata come abbiamo visto
proprio alla specializzazione, erano probabilmente in grado di proporre prezzi
relativamente contenuti. In qualsiasi momento poi i setaioli potevano far fronte
ai bisogni di liquidità senza attendere la vendita del prodotto finito, smerciando
gli zendadi non ancora tinti alle compagnie, come quella di Omodeo Fiadoni e
soci, che intervenivano nella fase finale della lavorazione.
La riorganizzazione dell’industria serica lucchese degli anni ’70-’80 del
Duecento può dunque essere interpretata come un’innovazione innescata dalla
«seconda rivoluzione commerciale», proprio come alla rivoluzione commer-
ciale dell’inizio del Duecento si erano legate altre innovazioni organizzative
fondamentali quali la sperimentazione di legami associativi di lunga durata e i
cambi sulle fiere della Champagne81. A differenza di quelle, tuttavia, il processo
di differenziazione e di specializzazione non diede luogo a una trasformazione
definitiva del sistema produttivo lucchese. Mi sembra di capire infatti che gli
studi condotti sulla documentazione della seconda metà del XIV secolo non
abbiano trovato traccia delle società specializzate che danno un’impronta tanto
caratteristica al panorama lucchese degli anni a cavallo tra Due e Trecento82.
L’unica figura chiaramente distinguibile torna ad essere quella del setaiolo, del
mercante-imprenditore che unisce tra loro le varie fasi del ciclo produttivo.
Allo stato attuale non sono in grado di proporre alcuna ipotesi sulla crono-
logia di questa inversione di tendenza. L’economia lucchese andò incontro nel
corso del Trecento a numerosi momenti di difficoltà e di vera e propria crisi. È
intuibile che la scomparsa delle società specializzate sia legata, in modo ancora
tutto da chiarire, alla contrazione del commercio lucchese, determinata tra
l’altro anche dalla concorrenza sempre più minacciosa delle seterie genovesi,
veneziane e fiorentine. Così come l’inizio del processo di differenziazione fu
stimolato dall’espansione commerciale e dall’aumento della produzione, la sua
interruzione è probabilmente da imputare al ridimensionamento della mani-
fattura serica lucchese. Ma questo punto, come ho detto, necessita di ben altri
approfondimenti.

81
Cfr. cap. I.2.4.
82
P. Pelù, Aspetti della fabbrica della seta in Lucca, Lucca, Accademia lucchese di scienze, lettere ed
arti, 1997.
Capitolo quarto
DALL’ESPANSIONE ALLA CONTRAZIONE:
LE DUE CRISI DELL’ECONOMIA
LUCCHESE

Negli anni ’90 del Duecento l’economia lucchese entrò in una fase di con-
trazione. Nel primo paragrafo di questo capitolo si tenta di dimostrare che non
si trattò di un’unica prolungata recessione, ma piuttosto del succedersi a breve
distanza di due momenti di difficoltà, il primo collocabile alla metà degli anni
’90 del Duecento, l’altro tra il 1305 e il 1308. La seconda crisi, ben più grave
della prima, viene qui collegata alla politica monetaria del re di Francia Filippo
il Bello. Dall’inizio del secondo decennio del Trecento l’economia lucchese
mostra tuttavia chiari segnali di ripresa. Nel secondo paragrafo si prendono
in considerazione le reazioni del mondo politico lucchese alla crisi economica.
Si propone l’idea che i problemi giuridici e politici sollevati dai fallimenti degli
anni 1305-1308 abbiano portato alla formazione all’interno del gruppo dirigente
cittadino di una nuova consapevolezza della necessità di un impegno diretto
delle istituzioni comunali per rafforzare i meccanismi formali e informali che
consentivano lo svolgimento degli scambi commerciali.

1. Cicli economici a cavallo tra Due e Trecento


1.1. La congiuntura negativa del 1294-1295
Secondo diverse teorie economiche una fase di rallentamento o di vera e
propria stagnazione è un evento fisiologico dopo un’ondata espansiva come
quella che caratterizzò il commercio lucchese a partire dalla metà del Duecento.
Come abbiamo visto, tale espansione fu innescata verosimilmente dall’apertura
di nuovi canali di approvvigionamento della materia prima indispensabile per
l’industria lucchese. Dalla seconda metà degli anni ’50 affluirono a Genova
grandi quantità di seta greggia. I primi imprenditori lucchesi che seppero sfrut-
tare le nuove opportunità realizzarono probabilmente buoni profitti grazie alla
possibilità di procurarsi quantità illimitate di seta a prezzi contenuti. Le ottime
prospettive, come ho cercato di spiegare nel secondo capitolo, richiamarono
altri mercanti «a frotte».
112 Alma Poloni

È plausibile però che la forte crescita della domanda di seta greggia finisse
negli anni successivi per erodere il vantaggio competitivo del quale avevano
goduto i primi operatori. Bisogna poi considerare che il mercato di un bene
di lusso come i tessuti di seta non aveva possibilità illimitate di espansione,
poiché si rivolgeva esclusivamente a gruppi sociali medio-alti. Inoltre, anche se
i lucchesi rimanevano di gran lunga i principali produttori di drappi serici in
Occidente, dalla fine del XIII secolo le seterie genovesi, veneziane e, in misura
minore, fiorentine cominciavano a conquistare quote di mercato, come provano
i tentativi di imitazione messi in atto dagli stessi setaioli lucchesi. È probabile
dunque che verso la fine del Duecento i margini di profitto assicurati dall’affare
della seta stessero diminuendo, e che ciò portasse a un generale ridimensiona-
mento della propensione dei lucchesi a investire in questo settore.
L’indebolimento della spinta propulsiva dell’economia lucchese coincise
tuttavia con l’inizio di una fase di forte instabilità politica internazionale, che
ne amplificò gli effetti trasformando una fisiologica decelerazione della crescita
in una vera e propria recessione. L’ultimo decennio del Duecento e il primo
del Trecento furono segnati da gravi tensioni tra le maggiori potenze europee:
soltanto per ricordare le principali, la guerra del Vespro nell’Italia meridio-
nale, i ripetuti conflitti tra la monarchia francese e quella inglese, i disordini
nelle Fiandre. Come è noto, inoltre, gli storici datano proprio agli anni ’90 del
Duecento una vera e propria svolta nel modo di condurre la guerra da parte
soprattutto delle grandi monarchie, con il ricorso a truppe mercenarie e campa-
gne militari sempre più lunghe, distruttive e dispendiose.
La congiuntura negativa dei primi anni ’90 colpì a Lucca soprattutto le
maggiori compagnie internazionali. Nell’agosto del 1294 le autorità comunali
diedero inizio alle procedure fallimentari per il pagamento dei debitori della
società dei Bettori. In quello stesso 1294 anche il colosso della finanza lucche-
se, l’azienda dei Ricciardi, era già in gravissima crisi, anche se la sua difficile
liquidazione richiese diversi anni. Anche la compagnia dei Battosi alla fine del
decennio versava in cattive condizioni. Le attività dei Castracani non sono più
attestate dopo il 1296. Il fallimento delle grandi società ebbe ovviamente un
forte impatto sull’economia lucchese. Numerosi cittadini, mercanti e semplici
investitori, rimasero a vario titolo coinvolti e subirono danni anche importanti.


J.H. Munro, Industrial Transformations in the North-West European Textile Trades, c. 1290-c. 1340:
Economic progress or Economic Crisis?, in Before the Black Death. Studies in the ‘Crisis’ of the Early Fourteenth
Century, a cura di B.M.S. Campbell, Manchester-New York, Manchester University Press, 1991.

R. Kaeuper, War, Justice and Public Order. England and France in the Later Middle Ages, Oxford,
Clarendon Press, 1988, in particolare pp. 88-89, con una rassegna bibliografica sul tema.

Su queste crisi cfr. Del Punta, Mercanti, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 113

Non bisogna inoltre sottovalutare le conseguenze della diffusione in città di un


sentimento generale di sfiducia.
Tuttavia il mondo mercantile nel suo complesso seppe reagire a questa prima
crisi. Negli anni ’80 del Duecento i Battosi, i Castracani, i Ricciardi e, in misura
minore, i Bettori erano i principali fornitori di due servizi essenziali per il fun-
zionamento del sistema produttivo e commerciale lucchese: l’importazione di
seta greggia e il credito sotto forma di cambio sulle fiere della Champagne. Ad
eccezione dei Bettori, infatti, le altre grandi compagnie a Lucca erano soprat-
tutto datrici di cambio, acquistavano cioè provesini sulle fiere della Champagne
anticipando grosse somme in denari lucchesi. È plausibile dunque che il brusco
rallentamento delle loro attività intorno alla metà degli anni ’90 abbia provocato
a Lucca un momentaneo aumento dei prezzi della seta e anche del costo del
denaro, colpendo tanto i setaioli e le società che operavano solo a livello locale
quanto i mercanti impegnati negli scambi internazionali. Il vuoto che si venne a
creare fu però rapidamente colmato. La scomparsa dei «giganti» del commercio
e della finanza aprì infatti nuovi spazi per gli imprenditori lucchesi.
Come si è visto, nacquero nuove società impegnate proprio nell’importazio-
ne della seta e nei cambi sulle fiere; le principali furono le compagnie di Cino
Margatti e soci, degli Appiccalcani e, dal 1304, di Bonturo Dati e soci. Si
trattava tuttavia di realtà profondamente diverse dalle aziende che, in qualche
modo, erano andate a sostituire. Per i Bettori, i Battosi e i Ricciardi l’affare della
seta non era che una – e certamente, negli anni ’70 e ’80 del Duecento, nemme-
no la più importante – delle tante attività nelle quali essi articolavano e diversi-
ficavano i propri investimenti. La fortuna di queste compagnie era strettamente
legata al rapporto commerciale e soprattutto finanziario con le grandi potenze
politiche europee. In particolare, per i Bettori e i Ricciardi erano vitali i legami
con la corona inglese e il papato, mentre i Battosi erano al servizio, oltre che
della camera apostolica, della monarchia angioina. Queste relazioni privilegiate
erano alla base dell’eccezionale ampiezza e complessità dei loro interessi e del
grande volume dei loro affari, e ne facevano realtà difficilmente paragonabili
alle altre imprese lucchesi.
Questi stessi punti di forza divennero tuttavia elementi di debolezza quando,
nell’ultimo decennio del Duecento, si aprì una lunga fase di instabilità interna-
zionale. Spinti da gravi emergenze finanziarie, i sovrani cercarono di procurarsi
il denaro dove sapevano di poterne trovare in abbondanza, cioè da quelle stesse
società alle quali, in cambio di prestiti, anticipi di capitale e servizi finanziari,
avevano concesso la gestione o l’appalto di importanti cespiti fiscali e generose


Cfr. cap. III.1.3.
114 Alma Poloni

licenze di esportazione di materie prime. La necessità di disporre in tempi brevi


di somme enormi per le loro campagne militari li portò ad adottare una serie
di misure che andarono dalla pretesa di versamenti immediati, all’imposizione
di taglie e contributi forzosi, al sequestro di merci, fino addirittura all’arresto
dei mercanti che non riuscivano a fare fronte alle richieste. Tutto ciò mentre il
generale stato di guerra rendeva assai difficoltosi i trasferimenti di fondi da un
paese all’altro e la riscossione dei crediti.
Le società che a Lucca sostituirono i Ricciardi, i Battosi e i Bettori non
cercarono di instaurare rapporti privilegiati con i potenti europei. A quanto
sembra le compagnie di Cino Margatti e soci, di Bonturo Dati e soci e degli
Appiccalcani non svolsero servizi finanziari per le monarchie. I loro unici
contatti con le corti passarono probabilmente attraverso il rifornimento di
drappi serici e, forse, l’occasionale concessione di credito agli aristocratici
laici ed ecclesiastici che intorno alle corti gravitavano. I loro affari erano
assai meno articolati e diversificati rispetto a quelli delle tre grandi compa-
gnie, ed erano, come abbiamo visto, interamente incentrati sul commercio
della seta.
Da ciò si potrebbe concludere che in effetti la crisi degli anni ’90 causò un
significativo ridimensionamento del sistema economico lucchese, che non fu più
in grado negli anni successivi di esprimere realtà del respiro delle grandi com-
pagnie internazionali duecentesche. Si tratta tuttavia di una prospettiva piut-
tosto parziale. Il forte impatto emotivo dei fallimenti, insieme alle notizie delle
difficoltà che in quegli stessi anni travolgevano altre aziende come i Bonsignori
di Siena e i Frescobaldi di Firenze, convinsero probabilmente i mercanti luc-
chesi che in quella particolare congiuntura storica ed economica il modello della
ramificata società internazionale coinvolta in legami finanziari con le maggiori
potenze europee non fosse praticabile, e anzi fosse sconsigliabile.

Il vuoto lasciato dalle grandi compagnie non fu tuttavia riempito soltanto da


altre società lucchesi. A partire dall’inizio degli anni ’90 furono sempre più pre-
senti sul mercato lucchese, nel ruolo di importatori di seta greggia ma soprat-
tutto di fornitori di credito attraverso i cambi sulle fiere, i mercanti fiorentini
e, in misura minore, quelli senesi e pistoiesi. Negli anni ’90 la società fiorentina
più attiva a Lucca fu quella composta da Mico Capponi, dai suoi figli Arecco e
Cione, da Neri Vittori e Lapo Chiari. Piuttosto presente fu anche la compagnia


Del Punta, Mercanti, cit.; Kaeuper, Bankers, cit.; Id., War, cit.

ASLu, Not. 29, I, Gregorio Paganelli, cc. 50v (1294 settembre 6), 51v (settembre 13), 66r
(dicembre 9), 97-98 (1295 febbraio 26), 102r (marzo 19), 124r (luglio 28).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 115

di Bandino di Giovanni, Pollastro e Lapo Peroni e soci. Tra gli importatori di


seta greggia troviamo anche gli Acciaioli.
All’inizio del XIV secolo, tuttavia, il panorama delle aziende fiorentine che
operavano a Lucca era totalmente cambiato. La società dei Minerbetti ven-
deva seta e coloranti e intratteneva una stretta relazione d’affari con Salliente
Melanesi e soci. Anche la compagnia dei Mozzi fu impegnata nel primo decen-
nio del Trecento nell’importazione di seta e in una vivace attività di cambio
sulle fiere10. Ma l’organizzazione fiorentina presente con maggiore intensità e
continuità sul mercato lucchese fu la compagnia composta da Torino Baldesi,
Cecio e Metto Biliotti e Baldo e Rustichello Iacobi, attestata in città almeno dal
1302 al 131011. Essa agiva principalmente come datrice di cambio sulle fiere
della Champagne, e aveva tra i maggiori clienti l’azienda di Salliente Melanesi
e soci12; tuttavia non mancano testimonianze anche della vendita di seta greggia
da parte del procuratore della società, il lucchese Bandino Migliori.
Alcune aziende fiorentine reputarono dunque conveniente aggiungere al già
composito quadro dei loro investimenti l’importazione a Lucca di seta greggia
e coloranti, attirate presumibilmente dai buoni margini di profitto garantiti da
questo affare. Le materie prime provenivano con tutta probabilità sempre da
Genova, dove i fiorentini erano molto attivi fin dagli anni ’8013. In più, ciò che i
lucchesi avevano da offrire era anche una grande disponibilità di denaro liqui-
do alle fiere della Champagne, dove i fiorentini accumulavano capitali per gli
investimenti in Francia e nelle Fiandre, e in particolare per l’acquisto dei panni
franceschi destinati alla riesportazione.


Ibidem, cc. 33v (1294 maggio 6), 34 (maggio 18), 89r (1295 gennaio 15).

Ibidem, cc. 70v (1294 dicembre 21), 99v (1295 marzo 4)

ASLu, Not. 52, Rabbito Toringhelli, cc. 7 r (1300 luglio 19), 64-65 (1301 febbraio 3); ASLu,
Not. 82, Bartolomeo Tacchi, c. 215 (1301 maggio 12); ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 25v (1302
febbraio 7); ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c. 155v (1303 settembre 2).
10
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, cc. 11r (1302 gennaio 16), 62r (marzo 24), 64v (marzo28),
101r (maggio 15), 128r (settembre 21); ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c. 126v (1303 luglio 11).
ASLu, Not. 58, Rabbito Toringhelli, cc. 55 (1308 gennaio 30), c. 444 (settembre 7); ASLu, Not. 59,
Rabbito Toringhelli, cc. 83r (1309 marzo 6), 180r (maggio 31); ASLu, Not. 60, Rabbito Toringhelli,
c. 218r (1310 luglio 29).
11
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 133 (1302 ottobre 2); ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli,
cc. 472 (1305 luglio 2), 534 (ottobre 29); ASLu, Not. 56, Rabbito Toringhelli, c. 261 (1306 maggio
11); ASLu, Not. 58, Rabbito Toringhelli, cc. 268 (1308 maggio 31), 572 (novembre 20); ASLu, Not. 59,
Rabbito Toringhelli, cc. 32r (1309 gennaio 25), 111v (marzo 26), 166r (maggio 13), 209r (luglio 14);
ASLu, Not. 60, Rabbito Toringhelli, cc. 112v (1310 marzo 31), 157v (marzo 27).
12
App. I, 1c.
13
Racine, I banchieri, cit.
116 Alma Poloni

Anche l’innesto dei fiorentini nel sistema produttivo lucchese si presta a


diverse letture. Esso può essere interpretato come uno dei sintomi del pro-
gressivo delinearsi, tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, del primato
fiorentino che avrebbe relegato gli altri mercanti toscani in una posizione di
secondo piano. È vero in effetti che l’intervento dei fiorentini sottrasse agli ope-
ratori lucchesi quote non insignificanti del mercato cittadino della seta greggia
e dei capitali. Tuttavia, come abbiamo visto, negli anni ’90 era cominciato da
tempo quel processo di differenziazione e specializzazione che portò alcune
società lucchesi impegnate sui mercati internazionali ad abbandonare Genova
e le materie prime per concentrarsi sulla fase finale della trasformazione dei
tessuti serici destinati all’esportazione14. L’arrivo dei fiorentini per certi versi
non fece che accelerare una trasformazione già in corso, espressione della vita-
lità dell’economia lucchese piuttosto che della sua debolezza. Può darsi anzi
che la coincidenza tra la crisi delle grandi compagnie lucchesi e gli effetti della
complessiva ristrutturazione del sistema produttivo cittadino abbia provocato
un improvviso calo dell’offerta di seta greggia a fronte di una domanda in cre-
scita o almeno stabile, e che i fiorentini abbiano approfittato del momentaneo
squilibrio.
In ogni caso l’interesse manifestato dai fiorentini nei due decenni a cavallo
tra Due e Trecento per il sistema produttivo e commerciale lucchese può essere
considerato una conferma della tenuta di tale sistema, della persistenza di una
richiesta di materie prime e di una domanda di credito abbastanza consistenti
da offrire buone prospettive di guadagno. I fiorentini del resto non erano gli
unici ad essere attratti dalle opportunità offerte dal mercato lucchese. In quegli
stessi anni si registra una significativa presenza a Lucca di operatori provenien-
ti soprattutto dalle città toscane – Siena, Pistoia, San Miniato – ma anche da
Genova. In particolare la compagnia senese composta da Conte e Cione Filippi,
Lando e Bartolomeo Boncompagni, Ciato Marcovaldi e soci fu piuttosto attiva
in città, sempre in relazione alle operazioni di cambio e all’importazione di seta
greggia, almeno dal 1304 al 130915.
È interessante analizzare la strategia seguita dai fiorentini e dagli altri
mercanti forestieri per integrarsi nella realtà commerciale lucchese. In città
essi agivano sempre insieme a uno o più lucchesi, indicati nelle fonti come loro
hospites. Gli operatori forestieri soggiornavano nelle case di mercanti locali, che

14
Cfr. cap. III.1.1.
15
ASLu, Not. 22, Bartolomeo Lupardi, c. 49r (1304 giugno 2); ASLu, Not. 55, Rabbito Toringhelli,
cc. 498 (1305 agosto 25), 534 (ottobre 20); ASLu, Not. 56, Rabbito Toringhelli, c. 57 (1306 gennaio 27);
ASLu, Not. 59, c. 18 (1309 gennaio 14).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 117

mettevano anche a loro disposizione botteghe e fondaci per le merci. Tuttavia


il termine hospes, a mio parere, non allude semplicemente a una relazione di
cortesia, ma ha un significato tecnico, designa cioè una particolare forma di
collaborazione economica, un rapporto d’affari certamente formalizzato, anche
se ben distinto dalla comune societas, la quale in genere veniva stipulata tra
concittadini. Si trattava in pratica di una sorta di joint venture, che consenti-
va alle compagnie fiorentine di realizzare un notevole risparmio sui costi di
informazione, di muoversi più agilmente sul mercato lucchese, di vincere le
eventuali resistenze e diffidenze degli operatori locali e di aprire un canale di
comunicazione con le istituzioni cittadine. Agli hospites lucchesi si offriva invece
l’opportunità di investire i loro capitali in attività garantite dalla solidità delle
società fiorentine.
Negli anni ’90 del Duecento la famiglia degli Onesti fece del rapporto con
i fiorentini una vera e propria specializzazione. Gli Onesti compaiono infatti
come hospites degli agenti di tutte le principali compagnie fiorentine attive a
Lucca, in particolare dei Capponi, degli Acciaioli e di Lapo e Pollastro Peroni
e soci, ma anche di mercanti la cui presenza a Lucca pare meno continuativa,
come Cecco Compagni e Arrigo Bonanni, quest’ultimo agente della compagnia
di Chierico Pazzi, Giano della Bella e soci. Nel primo decennio del Trecento i
casi più interessanti sono invece quelli di Micheluccio e Gentile Gentili, hospites
dei Mozzi, e di Bandino Migliori, referente della compagnia di Cecio e Metto
Biliotti e soci.

1.2. Gli anni neri 1305-1308


Assai più grave di quella della metà degli anni ’90 del Duecento fu, come
abbiamo anticipato, la crisi che colpì l’economia lucchese tra l’inizio del 1305 e
la fine del 1308. La catena dei fallimenti fu aperta dai Mordecastelli nei primi
mesi del 130516. Seguirono, nello stesso anno, il crac della società di Manfredi
Dardagnini e figli e la bancarotta di Carduccio di Ubaldo Bandetti17. Nel 1307

16
ASLu, Not. 60, Rabbito Toringhelli, cc. 14v-15v, 1310 gennaio12: riferimento a uno stantiamen-
tum, emanato dai collegi degli Anziani e dei Priori il 22 marzo 1305, che dava inizio alle complesse
procedure per la liquidazione dei creditori dei Mordecastelli.
17
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1305 giugno 16: atti prodotti dai quattro mercanti incaricati dai
collegi degli Anziani e dei Priori «super inveniendis bonis et rebus et iuribus Manfredi Dardagnini
et Colucci et Vermilliecti filiorum suorum et assignandis creditoribus eorum». ASLu, Dipl. Sped. di S.
Luca, 1306 giugno 10: i due mercanti che con uno stanziamento dell’aprile 1305 erano stati incaricati
dai collegi dei Priori e degli Anziani «ad distribuendum et dandum et assignandum de bonis et rebus
Carduccii qd Ubaldi Bandecti de Luca creditoribus ipsius Carduccii» assegnavano una rendita a uno
dei creditori.
118 Alma Poloni

fu la volta della compagnia dei Corbolani18; in quegli stessi anni fallirono anche
il mercante Betto Mangialmacchi e l’azienda degli Schiatta, un’organizzazione
importante che aveva alle spalle almeno trent’anni di storia19. Anche se non
ho trovato attestazioni relative all’apertura di formali procedure fallimentari,
anche le due società dei Martini entrarono probabilmente in crisi in questi anni:
quella di Bigoro Martini scompare dalle fonti dopo il maggio del 1306, mentre
l’azienda Martini-Fralmi-Anguilla non è più attestata dopo l’inizio del 1308.
Tutte le principali società che entrarono in crisi tra il 1305 e il 1308 – i
Mordecastelli, i Martini, i Corbolani e gli Schiatta – avevano la stessa collo-
cazione all’interno del sistema produttivo e commerciale lucchese: si trattava
di compagnie che, in seguito al processo di differenziazione del quale abbiamo
parlato nelle pagine precedenti, si erano specializzate nelle fasi finali della
lavorazione dei tessuti serici e nella loro commercializzazione sui mercati
internazionali20. Nel caso degli Schiatta questa scelta aveva comportato una
radicale trasformazione dell’organizzazione e degli obiettivi della compagnia
di famiglia, con l’abbandono della piazza genovese e dell’affare della seta
greggia, che fino a tutti gli anni ’70 aveva rappresentato il loro interesse prin-
cipale. La vicenda degli Schiatta è dunque per molti versi simile a quella dei
Mordecastelli.
Tra le più importanti compagnie specializzate nella rifinitura e nell’esporta-
zione di drappi serici l’unica che riuscì a sopravvivere agli anni neri fu quella di
Omodeo Fiadoni, Salliente Melanesi e soci, che del resto all’inizio del Trecento
era, almeno in apparenza, quella con il giro d’affari più ampio. Tuttavia l’ondata
di fallimenti la toccò da vicino. Carduccio Bandetti, il mercante fallito all’inizio
del 1305, era il fratello di Ubaldo Bandetti, uno dei soci principali dell’azienda.
Le attività di Carduccio sono poco attestate. Nel maggio del 1303 egli acqui-
stò una piccola quantità di orsorium dai Terizendi21. Possiamo ipotizzare che si
trattasse di un imprenditore specializzato nella tessitura della seta, o forse di un

18
ASLu, Dipl. S. Romano, 1312 luglio 20: atti della commissione istituita dai consigli del Popolo e
del Comune nel mese di ottobre del 1307 per l’assegnazione ai creditori dei beni dei Corbolani.
19
Sulla compagnia degli Schiatta cfr. cap. II.1.3. Non sappiamo esattamente a quando risalga il
fallimento della società. Si è conservato un atto del dicembre 1309 emanato dalla commissione di 8
mercanti incaricati dagli Anziani e dai Priori di distribuire i beni degli Schiatta tra i creditori (ASLu,
Dipl. Sped. di S. Luca, 1309 dicembre 2); tuttavia tale commissione potrebbe essere stata istituita molto
prima, dal momento che le procedure fallimentari potevano protrarsi per anni. Per il fallimento di Betto
Mangialmacchi: ASLu, Not. 62, Rabbito Torringhelli, c. 230v, 1312 novembre 23.
20
I Corbolani, gli Schiatta e i Martini compaiono come prenditori di cambio tra i clienti della
compagnia di Cino Margatti e soci: App. III, 1c.
21
ASLu, Not. 54, Rabbito Torringhelli, c. 113r, 1303 maggio 14.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 119

semplice setaiolo. In ogni caso, è probabile che il fratello Ubaldo sia rimasto
in qualche modo coinvolto nel fallimento, poiché dopo il 1304 egli non è più
attestato tra i soci della compagnia di Omodeo Fiadoni e soci.
L’analisi della natura degli interessi delle società scomparse tra il 1305 e il
1308 è già di per sé essere sufficiente a dare un’idea della gravità della crisi di
quegli anni. Ciò che infatti distingueva queste imprese dalle grandi compagnie
fallite negli anni ’90 del Duecento è che esse investivano quasi esclusivamente
nell’attività che per più di un secolo aveva sostenuto l’espansione commerciale
lucchese, cioè nella produzione e nell’esportazione di tessuti di seta, in par-
ticolare dei celebri zendadi. Il loro fallimento denuncia dunque l’esistenza di
forti difficoltà proprio in questo settore, con tutte le gravi conseguenze che tali
difficoltà potevano avere sull’intero tessuto economico lucchese.
A mio parere la congiuntura negativa degli anni 1305-1308 fu determinata
principalmente da una forte crisi del mercato francese. Come si è visto, infatti,
la maggior parte della produzione lucchese di drappi di seta veniva spedita
Oltralpe, alle fiere della Champagne, a Parigi o a Nîmes. Lo smercio dei tessuti
su questi mercati non solo rappresentava la principale fonte di profitto per tutte
le società lucchesi, ma era fondamentale per il corretto funzionamento dell’in-
tero delicato meccanismo creditizio dei cambi. Aziende come quelle di Omodeo
Fiadoni, dei Mordecastelli, dei Martini, dei Corbolani utilizzavano parte dei
proventi della vendita degli zendadi per restituire alle fiere della Champagne i
prestiti che avevano ricevuto a Lucca dalle compagnie datrici di cambio. Con
questo sistema, come abbiamo visto, esse si procuravano i capitali necessari
all’acquisto di semilavorati e coloranti sul mercato lucchese.
A partire dal 1303 i mercanti lucchesi e italiani in genere incontrarono in
Francia crescenti difficoltà. Fino a quel momento Filippo il Bello si era limitato
a riscuotere dagli italiani prestiti – probabilmente forzosi – nei momenti di dif-
ficoltà (per esempio nel 1295 e nel 1297) e ad aumentare le imposte sulle ven-
dite e sulle esportazioni. Dopo il 1303 il re, spinto dall’emergenza finanziaria,
cercò metodi più rapidi ed efficaci per spremere denaro ai mercanti stranieri.
Negli anni successivi gli italiani furono sottoposti a sequestri, taglie, estorsioni
e multe di vario genere, in alcuni casi adducendo come pretesto la violazione
delle ordinanze contro l’usura22. È probabile che in queste condizioni anche le
società lucchesi subissero perdite rilevanti.

22
J.B. Henneman Jr, Taxation of Italians by the French Crown (1311-1363), in «Medieval Studies»,
XXXI (1969), pp. 15-42; J.R. Strayer, Italian Bankers and Philip the Fair, in Economy, Society and
Government in Medieval Italy. Essays in memory of R.L. Reynolds, edited by D. Herlihy - R.S. Lopez, V.
Slessarev, Kent (Ohio), Kant State University Press, 1969, pp. 113-121.
120 Alma Poloni

Danni ancora maggiori, tuttavia, derivarono ai mercanti lucchesi dalle


ripetute svalutazioni della moneta volute da Filippo il Bello per incrementare
i profitti che il fisco regio traeva dai diritti di signoraggio. La prima alterazio-
ne della moneta fu disposta dal re nella primavera del 129523. Le manovre di
Filippo ebbero ovviamente forti conseguenze sull’andamento dei tassi di cambio
tra Lucca e le fiere della Champagne. Sulla base della documentazione lucchese
ho potuto verificare che in sette anni, tra l’inizio del 1295 e l’inizio del 1302, la
moneta di Tour – che a partire dagli anni ’90 aveva sostituito nelle transazioni
alle fiere il soldo di Provins24 – si deprezzò del 35% circa rispetto alla moneta
lucchese: se all’inizio del 1295 a Lucca servivano 44-45 denari lucchesi per
acquistare un soldo di Tour, nella primavera del 1302 ne bastavano 28-29. Negli
anni successivi, tuttavia, la svalutazione fu ancora più significativa. Nella prima-
vera del 1306 il soldo tornese veniva valutato 15-16 denari lucchesi: in soli quat-
tro anni la moneta francese aveva perso ancora il 45% circa del suo valore25.
Il deprezzamento della moneta di Tour fu particolarmente rapido tra la metà
del 1303 e la metà del 1306: nel maggio del 1303 il soldo tornese si cambiava in
media a 26 denari lucchesi. Nel gennaio del 1304 il tasso era sceso a 22 denari,
a luglio era pari a 21,75 denari, alla fine dell’anno era ulteriormente calato a 20
denari. Nel luglio del 1305 servivano soltanto 17 denari lucchesi per acquistare un
soldo di Tour, a ottobre più o meno 16,25. Nel gennaio del 1306 il tasso di cambio
era ormai pari a 16 denari lucchesi, che a marzo erano già scesi a 15,50. Il soldo
tornese perse ancora qualcosa nei mesi successivi. Nel gennaio del 1307 compaio-
no per la prima volta nelle fonti lucchesi i tornesi «de liga beati Ludovici», cioè la
«buona moneta» battuta in Francia con un contenuto di metallo prezioso uguale
a quello precedente all’ondata di svalutazioni. Il tasso di cambio della nuova
moneta era leggermente superiore a quello del 1295, e oscillava intorno ai 45-46
denari lucchesi per soldo di Tour. Tuttavia fino al 1309 a Lucca continuarono a
prevalere nettamente i cambi calcolati sulla moneta svalutata (i tornesi «fragilis
decurse monete»), con un prezzo che si aggirava ormai sui 15 denari lucchesi.
Come si può vedere, esiste una sostanziale coincidenza cronologica tra
l’accelerazione del deprezzamento della moneta francese e la crisi lucchese; a
mio parere, è anzi possibile istituire un rapporto causale tra i due fenomeni.
Gli utili delle società lucchesi derivavano in gran parte dallo smercio dei tessuti
di seta sui mercati francesi. Come sugli altri mercati, le vendite più consistenti
venivano certamente effettuate a credito, con scadenze che potevano variare

23
Kaeuper, War, cit., pp. 75-77.
24
Le due monete erano tuttavia equivalenti: cfr. Blomquist, Some Observations, cit.
25
Cfr. per esempio App. I, 1c, 2c, 3c, 4c; App. III, 1c, 2c, 3c.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 121

da qualche settimana a qualche mese, ma che in alcuni casi potevano slittare


fino a qualche anno. Al momento del pagamento la clientela locale aveva tutto
l’interesse a opporsi a qualsiasi adeguamento del prezzo alla svalutazione della
moneta, anche quando nel contratto esistevano clausole in questo senso26.
In effetti i debitori avevano la legge dalla loro parte, poiché potevano fare
riferimento alle disposizioni regie che imponevano il rispetto del corso legale
indipendentemente dal valore intrinseco della moneta. A quel punto il mercan-
te lucchese poteva accettare di riscuotere la somma pattuita, anche se il suo
valore in moneta lucchese era diminuito rispetto al momento in cui il contratto
era stato registrato. Oppure poteva cercare di far valere le proprie ragioni,
mettendo in conto però tutta una serie di spese processuali e, soprattutto, una
procrastinazione indefinita della riscossione del credito. In entrambi i casi gli si
prospettavano perdite anche significative.
Si tratta in effetti soltanto di ipotesi poiché, come si è detto più volte, non
sono rimaste attestazioni dirette degli affari conclusi dai lucchesi alle fiere
della Champagne. Esse trovano tuttavia un’interessante conferma nella cor-
rispondenza commerciale della compagnia dei Ricciardi, più precisamente in
una lettera inviata dai soci dell’ufficio centrale di Lucca ai soci della filiale di
Londra nel novembre del 130027. La società era ormai impegnata soltanto nel
disperato tentativo di riscuotere i crediti che ancora vantava nei confronti di un
gran numero di mercanti e personaggi di vario rango al di qua e al di là della
Manica. Nella lettera si fa riferimento a un monetiere marsigliese, di nome Guy
de Turnemire, che aveva con la compagnia un debito di 641 lire tornesi. Guy
pretendeva di pagare in denari tornesi correnti («ai tornessi che correno») che,
a causa delle svalutazioni successive al 1295, valevano molto meno di quando
era stato contratto il debito, una ventina di anni prima. Ai soci della compagnia
sembrava invece ovvio che il saldo dovesse avvenire in grossi tornesi, moneta
riservata alle maggiori transazioni commerciali, molto più stabile28. Si era così
aperto un contenzioso del quale non si intravedeva la conclusione.

26
Cfr. le considerazioni di A. Grunzweig, Les incidences internationales des mutations monétaires de
Philippe le Bel, in «Le Moyen Age. Revue d’histoire et de philologie», LIX (1953), pp. 117-172, in par-
ticolare pp. 145-146.
27
Lettere dei Ricciardi di Lucca ai loro compagni in Inghilterra (1295-1303), edizione e glossario a c. di A.
Castellani, Introduzione, commenti, indici a c. di I. Del Punta, Roma, Salerno, 2005, lettera X, pp. 92-
97, in particolare p. 95.
28
Per le variazioni del rapporto tra grosso tornese e denaro tornese cfr. P. Spufford, Handbook of
Medieval Exchange, London, Royal Historical Society, 1986, p. 185. Nel 1290 il grosso valeva 13 denari
tornesi, nel 1299 aveva superato i 16 denari, nel 1301 valeva 20 denari e nel 1302 era quotato addirit-
tura 25 denari.
122 Alma Poloni

Il problema poteva essere particolarmente grave per le società che a Lucca


erano prenditrici di cambio. Il tasso di cambio al quale esse dovevano restituire
alle fiere della Champagne i prestiti contratti a Lucca era fissato negli atti rogati
dal notai cittadini. Nei periodi nei quali le variazioni del valore della moneta
francese erano molto rapide, come nel 1304 e soprattutto nel 1305, poteva
accadere che nel lasso di tempo che trascorreva tra la stipula del contratto di
cambio a Lucca e la chiusura dell’operazione alle fiere il valore dei tornesi fosse
ulteriormente diminuito. Gli agenti delle società erano costretti a saldare i loro
debiti al tasso stabilito a Lucca – pena la perdita di credibilità all’interno della
comunità dei mercanti lucchesi e italiani in genere –, ma riuscivano a riscuo-
tere i loro crediti soltanto a un tasso più basso, poiché difficilmente potevano
ottenere dalla clientela francese un adeguamento dei pagamenti al nuovo valore
intrinseco del denaro di Tours. Questa differenza poteva erodere una parte non
irrilevante del loro profitto; ciò a mio parere contribuisce a spiegare perché
furono proprio le compagnie che a Lucca agivano come prenditrici di cambio a
soffrire maggiormente la crisi del 1305-1308.
Le difficoltà che i mercanti lucchesi dovettero affrontare soprattutto nel 1305 a
causa della svalutazione troppo rapida della moneta francese emergono chiaramen-
te dalle contromisure che essi tentarono di adottare. Alcune compagnie preferirono
concludere i cambi in grossi tornesi, che avevano mantenuto il valore antecedente
al 1295. La quotazione era espressa in lire di grossi: 1 lira di grossi valeva 53-54
lire lucchesi. Il grosso non era adatto alle piccole e neppure alle medie transazioni.
In Francia i mercanti lucchesi ricevevano i pagamenti per lo più in denari tornesi,
e perciò poteva essere poco conveniente per loro saldare i debiti in grossi.
Più interessante a mio parere è un altro accorgimento tentato dagli operatori
lucchesi. Nella seconda metà del 1305 i cambi sulle fiere tesero a concentrarsi
soltanto in alcuni giorni particolari. Più precisamente, quasi tutti i cambi sulla
fiera di maggio di Provins furono conclusi il 2 luglio, quelli sulla fiera di S.
Giovanni di Troyes il 25 e il 26 agosto, quelli sulla fiera di St. Ayoul di Provins
il 20 e il 21 ottobre e, infine, quelli sulla fiera di St. Remi di Troyes il 15 dicem-
bre29. Nel 1305 la fiera di maggio di Provins si aprì il 25 maggio, la fiera di
S. Giovanni il 13 luglio, quella di St. Ayoul, come ogni anno, il 14 settembre,
e quella di St. Remi il 2 novembre30. Ben più difficile è stabilire quando esse

29
App. I, 1c, 3c, 4c; App. III, 1c, 2c, 3c.
30
La fiera di maggio di Provins e quella di S. Giovanni erano mobili. La prima cominciava il
martedì prima dell’Ascensione (nel 1305, appunto, il 25 maggio), la seconda il primo martedì dopo che
erano trascorse due settimane dalla festa di S. Giovani Battista (che nel 1305 dovrebbe essere caduto
il 13 luglio): Pegolotti, La pratica, pp. 233-237.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 123

si conclusero, poiché non c’è accordo tra gli storici sulla durata complessiva
delle singole fiere. In genere si ipotizza una durata di 45-50 giorni. Nel 1305
dunque la fiera di maggio si sarebbe chiusa intorno alla metà di luglio, quella
di S. Giovanni ai primi di settembre, St. Ayoul ai primi di novembre e St. Remi
intorno al 25 dicembre.
Ne dovremmo concludere che quell’anno tutti i cambi furono registrati a
Lucca non più di una decina di giorni prima della fine di ogni fiera. È possibile
tuttavia che i tempi per la chiusura delle operazioni finanziarie fossero più ela-
stici. Secondo Francesco Pegolotti, almeno negli anni ’40 del Trecento, dopo la
rimozione dei banchi erano concesse ancora due settimane per saldare i debiti ed
effettuare i pagamenti31. In ogni caso, è evidente che nel 1305 le società lucchesi
procrastinarono la registrazione dei contratti di cambio fino ai limiti consentiti
dai servizi postali del primo Trecento, forse anche un po’ oltre. In condizioni
normali, il tempo necessario perché l’ordine di pagamento giungesse agli agenti
alle fiere era probabilmente una ventina di giorni, forse un po’ meno32.
È plausibile che la scelta di ritardare i cambi fosse dettata dalla volontà di
comprimere il più possibile il lasso di tempo intercorrente tra la stipula del con-
tratto a Lucca, con la fissazione del tasso di cambio, e il pagamento alle fiere.
In questo modo si tentava di evitare che, a causa del veloce deprezzamento
della moneta tornese, al momento della chiusura dell’operazione alle fiere il
tasso fosse ulteriormente calato rispetto a quello stabilito a Lucca, danneggian-
do, come ho già cercato di spiegare, le società che in città avevano agito come
prenditrici di cambio. Per trasmettere gli ordini ai loro agenti in Champagne le
compagnie lucchesi ricorsero certamente in questi casi a corrieri speciali (quelli
che nelle fonti tardo trecentesche saranno definiti «fanti propri»), lautamente
ricompensati per la loro rapidità33.

31
Ibidem. Pegolotti scrive infatti che la fiera per 17 giorni «mette drapperia», la sera del diciotte-
simo giorno «grida ara e non mostra più drapperia», il ventesimo giorno «segono i banchi, e stanno 4
settimane; e poi che le 4 settimane sono compiute, 15 dì appresso si è il termine del pagamento della
detta fiera». Pegolotti descrive dunque una durata di circa 7 settimane più altre due per chiudere i
pagamenti.
32
Non ho dati che mi consentano di calcolare quali fossero i normali tempi di percorrenza del
tragitto Lucca-Champagne. In quello stesso 1305 una lettera di mercanti senesi impiegò 20 giorni
da Parigi a Siena (Lettere volgari del secolo XIII scritte da senesi. Pubblicate e illustrate con documenti e
annotazioni da C. Paoli e da E. Piccolomini, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968, p. 83).
Possiamo ipotizzare che le comunicazioni Lucca-Champagne richiedessero più o meno lo stesso tempo,
o poco meno.
33
Sui tempi e i costi dei servizi postali nel tardomedioevo cfr. F. Melis, Intensità e regolarità nella
diffusione dell’informazione economica generale nel Mediterraneo e in occidente alla fine del medioevo, in Id., I tra-
sporti e le comunicazioni nel medioevo, a cura di L. Frangioni, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 179-223; a
124 Alma Poloni

È anche possibile che le società coinvolte abbiano organizzato collegamenti


marittimi speciali, con natanti di piccole dimensioni, tra Motrone e uno dei porti
provenzali, Aigues Mortes o Marsiglia; sappiamo che tali collegamenti, molto
rapidi, esistevano alla fine del Trecento34. In ogni caso questi servizi della mas-
sima urgenza avevano costi molto alti, anche se la spesa veniva distribuita tra
più società. Fin dall’inizio del 1306 la pratica di ritardare ai limiti dei possibile
la registrazione dei contratti di cambio fu abbandonata: è probabile che, nono-
stante le precauzioni adottate, l’incidenza dei costi eccezionali determinati dalla
necessità di comunicazioni tempestive rimanesse troppo alta.
Le svalutazioni di Filippo il Bello non danneggiarono soltanto i mercati
finanziari. È probabile infatti che la politica monetaria del re abbia provoca-
to anche una forte contrazione del mercato francese dei tessuti di seta e, più
in generale, dei beni di lusso. Il deprezzamento della moneta infatti colpiva
in maniera particolarmente grave i gruppi sociali la cui base economica era
composta in gran parte da rendite fisse in denaro a carattere consuetudinario,
che difficilmente potevano essere rinegoziate senza sollevare contestazioni e
resistenze35. La principale vittima delle scelte del sovrano fu cioè l’aristocrazia
terriera laica ed ecclesiastica, la quale in effetti si oppose in ogni modo alle sva-
lutazioni, con azioni che andavano dalla semplice pressione politica all’aperta
ribellione armata36. I mercanti lucchesi reclutavano la propria clientela soprat-
tutto all’interno di questo ceto sociale che, nei primi anni del Trecento, vide
crollare il proprio potere d’acquisto. Non è difficile immaginare che essi incon-
trassero crescenti difficoltà a piazzare i loro drappi di seta, che per di più erano
costretti a vendere a prezzi sempre più elevati a causa della rapida perdita di
valore della moneta francese.
Nei primi anni del Trecento alcune compagnie lucchesi, per esempio quella
di Cino Margatti e soci e quella di Bonturo Dati e soci, inviavano le loro merci
principalmente a Parigi. Dall’inizio del 1306 le spedizioni con destinazione
Parigi cessarono completamente, e ripresero soltanto nel 1312. In quei sei anni
le società mandarono i loro tessuti esclusivamente alle fiere della Champagne.

pp. 191-192 riferimento ai «fanti propri». L. Frangioni, Organizzazione e costi del servizio postale alla fine del
Trecento. Un contributo dell’Archivio Datini di Prato, Prato, Istituto di Studi Storici postali, 1983. C. Fedele,
Le antiche poste. Nascita e crescita di un servizio (secoli XIV-XVIII), in C. Fedele - M. Gallenga, «Per servizio
di Nostro Signore». Strade, corrieri e poste dei papi dal medioevo al 1870, Modena, Mucchi, 1988, pp. 3-230,
con un’ampia bibliografia sul tema.
34
F. Melis, Firenze e le sue comunicazioni con il mare nei secoli XIV-XV, in Id., I trasporti cit., pp. 121-161
(ed. orig. in «Arti e mercature» XIX (1964)).
35
Spufford, Money and its Use, cit., pp. 289 e sgg.
36
Spufford, Money, cit; Grunzweig, Les incideces, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 125

È possibile che il mercato di Parigi, dove risiedevano nobili laici e alti esponenti
ecclesiastici legati alla corte, risentisse in maniera particolarmente grave della crisi
economica delle aristocrazie. Alle fiere i mercanti lucchesi potevano probabilmen-
te incontrare una clientela più ampia e più varia, proveniente non solo da diverse
aree della Francia ma anche dall’Inghilterra e dalle ricche città delle Fiandre.

1.3. La ripresa del secondo decennio del Trecento


Il ritorno delle compagnie lucchesi a Parigi non è l’unico indizio di una
ripresa economica in atto all’inizio del secondo decennio del Trecento.
Numerosi segnali indicano che gli operatori economici ricominciavano ad avere
fiducia, e le aspettative positive spingevano i lucchesi a tornare ad investire nel
commercio internazionale. Dal 1311 al 1314 il panorama delle imprese lucchesi
fu caratterizzato da una grande fluidità. Alcune società, fino ad allora piuttosto
defilate, conquistarono un inedito ruolo di primo piano; altre ritennero che il
momento fosse favorevole per darsi una nuova organizzazione e tentare nuove
strade. Si andò progressivamente definendo una nuova gerarchia delle aziende
lucchesi, in gran parte non coincidente con quella che si era cristallizata a par-
tire dagli ultimi anni del Duecento.
Una delle compagnie che si imposero a partire dal 1310 fu quella dei Guinigi.
Essa aveva alle spalle almeno cinquant’anni di storia37. In quei decenni tuttavia
la società non aveva sempre occupato una posizione di vertice nella gerarchia
delle imprese lucchesi. Nata con la «seconda rivoluzione commerciale» negli
anni ’60 del Duecento, essa era rimasta sulla cresta dell’onda fino all’inizio degli
anni ’80. Sappiamo che in seguito l’«apotheca dicta filiorum Guinigii» continuò
a operare, ma le sue attività sono poco documentate nelle fonti lucchesi. È pro-
babile che il fulcro dei suo affari rimanesse Genova: un socio della compagnia,
infatti, Nicolozo Guinigi, nel 1312 aveva la cittadinanza genovese, un diritto
che poteva aver maturato soltanto con anni di permanenza continuativa nella
città ligure38. All’inizio del Trecento, tuttavia, i Guinigi non figurano tra i prin-
cipali importatori a Lucca di seta greggia. Sembra anzi che per qualche motivo
essi non fossero riusciti a integrarsi nel sistema di imprese specializzate che si
era delineato a partire più o meno dall’ultimo venticinquennio del Duecento.
La nuova fortuna di cui la compagnia godette a partire dal 1310 non fu più
legata alla seta, ma all’importazione dei panni «ultramontani». Già nel 1307-
1308 i Guinigi spostavano capitali sulle fiere acquistando a Lucca moneta tor-

37
Per la prima fase di vita della compagnia cfr. cap. II.1.3.
38
ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 17 r e v, 1312 gennaio 20; Doehaerd, n. 1766, 1312
luglio 5.
126 Alma Poloni

nese dalle maggiori compagnie prenditrici di cambio, in particolare da Omodeo


Fiadoni e soci39. A quanto sembra la società, prima di tentare di creare a Lucca
un mercato per i suoi prodotti, sperimentò il loro successo sul mercato geno-
vese40. Dall’inizio del 1312 comunque i pannilana dei Guinigi compaiono in
notevoli quantità nelle fonti lucchesi41. Essi venivano acquistati all’ingrosso da
mercanti lucchesi a un prezzo in genere compreso tra le 60 e le 70 lire lucchesi
alla pezza. Nonostante le difficoltà di valutazione derivanti dalla mancanza di
informazioni sulle misure della singola pezza, si tratta di un prezzo davvero
considerevole, che fa pensare a tessuti di qualità molto alta42.
L’exploit dei Guinigi all’inizio del secondo decennio del Trecento potrebbe
avere in qualche modo a che fare con la profonda trasformazione industriale
che in quegli anni stava coinvolgendo le Fiandre e il Brabante. Come ha
dimostrato John M. Munro, a partire dall’ultimo decennio del Duecento è
riscontrabile in queste e in altre aree manifatturiere europee un riorienta-
mento dell’industria tessile, caratterizzato dall’abbandono delle produzioni
di qualità bassa e medio-bassa, che per tutto il Duecento avevano alimentato
le esportazioni verso il Mediterraneo, e dal potenziamento delle produzioni
di alta e altissima qualità43. Connesso a questo fenomeno fu lo sviluppo in

39
ASLu, Not. 57, Rabbito Toringhelli, cc. 18 (1307 gennaio 14), 176 (maggio 22); ASLu, Not. 58,
Rabbito Toringhelli, c. 171 (1308 marzo 28).
40
La vendita di panni franceschi a Genova da parte degli agenti della compagnia è attestata alme-
no dal 1310: nell’ottobre di quell’anno il draperius Pietro de Funtananigra confessò a Giovanni Guinigi di
dovergli ancora 195 lire genovesi per l’acquisto di una partita di panni franceschi (Doehaerd, n. 1715,
1310 ottobre 1). Nel gennaio del 1312 Giovanni Guinigi incaricò Nicolozo Guinigi di incassare dallo
stesso Pietro e da Nicoloso de Fossatello, «draperii seu pannarii pannorum lane», tutto ciò che essi dove-
vano alla compagnia (ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 17 r e v, 1312 gennaio 20).
41
ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, cc. 59r (1312 marzo 21), 112r (maggio 24); ASLu, Not. 63,
Rabbito Toringhelli, c. 170 (1313 marzo 21); ASLu, Not. 64, Rabbito Toringhelli, c. 224 (1314 maggio
13). Il 5 luglio del 1312 Nicolozo Guinigi strinse un accordo con tre mercanti genovesi. I tre avrebbero
trasportato via mare fino al porto di Motrone 7 balle e 7 torselli di panni franceschi del valore di poco
più di 2455 lire genovesi (Doehaerd, n. 1766, 1312 luglio 5). A Motrone Nicolozo avrebbe ritirato la
merce consegnando in cambio ai genovesi 6 balle di prodotti lucchesi (senza dubbio tessuti di seta)
del valore di circa 2122 lire genovesi; la differenza sarebbe stata saldata da Nicolozo entro due mesi.
42
In via del tutto indicativa, possiamo dire che negli stessi anni a Lucca le sarge irlandesi, panni-
lana di qualità medio-bassa, venivano vendute intorno alle 20 lire alla pezza.
43
Lo studioso canadese ha sviluppato e dimostrato questa ipotesi in numerosi interventi: cfr.
Munro, Industrial Transformations, cit.; E. Aerts - J.H. Munro (eds.), Textiles of the Low Countries in
European Economic History, Leuven 1990; J.H. Munro, Textiles, Towns and Trade: Essays in the Economic
History of Late-Medieval England and the Low Countries, Aldershot-Brookfield, Variorum, 1994; Id., The
Low Countries’ Export Trade in Textiles with the Mediterranean Basin, 1200-1600: A Cost-Benefit Analysis of
Comparative Advantages in Overland and Maritime Trade Routes, in «The International Journal of Maritime
History», XI (1999), pp. 1-30; Id., The “New Institutional Economics” and the Changing Fortunes of Fairs in
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 127

numerosi villaggi e piccoli centri urbani fiamminghi delle cosiddette «nouvel-


les draperies», anch’esse specializzate nella lavorazione di pannilana di pre-
gio, che tuttavia riuscivano a immettere sul mercato a prezzi più contenuti
rispetto alle città maggiori – in particolare Bruges, Ypres e Ghent – grazie
soprattutto al basso costo della manopera. Questa riconversione industriale
è interpretabile secondo Munro come una reazione all’improvviso mutamen-
to, a partire proprio dagli anni ’90 del Duecento, dello scenario politico ed
economico europeo e mediterraneo. I numerosi e ripetuti conflitti che carat-
terizzarono l’intero XIV secolo determinarono un forte incremento dei costi
di trasporto e di transazione provocando una contrazione del commercio
internazionale. Tale contrazione riguardò tuttavia in misura minore i beni
di lusso, poiché essi, rispetto ai prodotti «di massa», garantivano margini di
profitto più ampi, che non venivano interamente erosi dall’incremento dei
costi di transazione.
I Guinigi furono la prima compagnia lucchese a intuire le opportunità
offerte da questa trasformazione industriale. Fin dagli anni ’70 del Duecento
l’azienda, tra le altre cose, importava panni franceschi a Genova. Si trattava
di un’attività complementare all’affare principale, il commercio della seta; essa
consentiva infatti di trasferire sulla piazza ligure, dove la società aveva bisogno
di liquidità per l’acquisto della seta greggia, parte dei capitali che essa accu-
mulava alle fiere della Champagne grazie soprattutto alla vendita dei drappi
serici. I Guinigi si erano così fatti un nome presso i draperii genovesi. Questo
probabilmente spiega perché essi decisero di misurare il gradimento dei nuovi
tessuti pregiati presso la clientela genovese prima di rivolgersi alla propria città
d’origine, dove in pratica, a causa soprattutto dello sviluppo della manifattura
serica, non esisteva un vero e proprio mercato di pannilana di lusso. Con una
sorprendente azione di marketing i Guinigi riuscirono in breve tempo a con-
vincere i propri concittadini, creando una domanda quasi dal nulla. Negli anni
successivi anche altri mercanti lucchesi cominciarono a investire una parte dei
propri capitali nei panni ultramontani.
Naturalmente è improbabile che queste importazioni fossero interamente
assorbite dal mercato locale. È più plausibile che i panni fossero in gran parte
destinati alla riesportazione, in particolare nell’Italia meridionale, dove fin dal-
l’inizio del Duecento i mercanti toscani commercializzavano i tessuti fiammin-
ghi e del Nord Italia44.

Medieval and Early Modern Europe: the Textile Trades, Warfare and Transaction Costs, in «Vierteljahrschrift
für Sozial-und Wirtschaftgeschichte», LXXXVIII (2001), pp. 1-47.
44
Petralia, I toscani nel Mezzogiorno, cit.
128 Alma Poloni

Anche la compagnia dei filii Moriconis si affermò all’inizio del secondo decen-
nio del Trecento, ma seguendo strategie più tradizionali rispetto ai Guinigi. La
società, composta da Nicolao e Orlando figli di Arrigo Moriconi e dai loro figli e
nipoti, è attestata fin dagli anni ’70 del Duecento45. Come i Guinigi tuttavia anche
i Moriconi, forse incapaci di adattarsi pienamente alle trasformazioni che avevano
interessato il sistema produttivo lucchese, all’inizio del Trecento non sembrano
occupare una posizione di rilievo nella gerarchia delle compagnie cittadine. Come
negli anni ’70 e ’80 del Duecento, il fulcro dei loro affari era costituito dall’impor-
tazione di seta greggia da Genova e dalla commercializzazione dei tessuti serici
Oltralpe46. Al pari degli altri importatori di materie prime, nelle fonti lucchesi essi
compaiono soprattutto come datori di cambio47. In queste attività i Moriconi si
appoggiavano spesso a società fiorentine e senesi nella qualità di loro hospites.
A partire dal 1312 il quadro generale degli affari della compagnia muta
significativamente. Fin da gennaio essa cominciò ad acquistare grosse partite
di zendadi bianchi48. Numerosi indizi suggeriscono che già negli anni ’80 del
Duecento essa si occupasse direttamente della tintura di una parte dei tessuti
che esportava in Francia: nel 1287 un membro della famiglia risulta iscritto
all’Arte dei tintori49. Dal 1312 pare tuttavia che i Moriconi tendessero a inve-
stire sempre meno nell’acquisto di seta greggia a Genova per concentrarsi sulla
fase finale della lavorazione dei tessuti, come avevano fatto molti anni prima
altre importanti società lucchesi presenti sui mercati internazionali, come la
compagnia Omodeo Fiadoni e soci, i Mordecastelli e i Martini. Un’ulteriore
prova a favore di questa riorganizzazione dell’azienda è data dal suo passaggio,
sempre nei primi anni del secondo decennio del Trecento, dalle fila dei datori
di cambio a quelle dei prenditori di cambio50. I Moriconi, a quanto pare, con-

45
Sui figli di Arrigo Moriconi cfr. cap. II.1.1.
46
ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c 118r (1303 maggio 23); ASLu, Not. 57, c. 28 (1307 gen-
naio 24). Nel 1309 a Genova un rappresentante dei Moriconi acquistò moneta genovese in cambio di
moneta tornese (Doehaerd, n. 1671, 1309 maggio 10).
47
ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli, c. 168r (1302 novembre 28); ASLu, Not. 57, c. 94 (1307
marzo 20).
48
ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 19 (1312 gennaio 20): i Moriconi acquistavano 150
libbre di zendadi bianchi forti da Giuntino Bernardini per 1200 lire lucchesi. ASLu, Not. 63, Rabbito
Toringhelli, c. 133 (1313 marzo 8): la compagnia acquistava, sempre da Giuntino Bernardini, 125
libbre di zendadi bianchi forti per 1000 lire lucchesi. ASLu, Not. 64, Rabbito Toringhelli, c. 36 (1314
gennaio 23): i Moriconi compravano da una società genovese 736 libbre e 10 once di zendadi bianchi
forti per quasi 7000 lire lucchesi.
49
Del Punta, Mercanti, cit., pp. 86-90.
50
ASLu, Not. 63, Rabbito Toringhelli, cc. 34 (1313 gennaio 19), 328 (luglio 21); ASLu, Not. 64,
Rabbito Toringhelli, c. 36 (1314 gennaio 23).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 129

tinuarono però a frequentare la piazza genovese51. A differenza, per esempio,


della compagnia di Omodeo Fiadoni, per la società dei filii Moriconis non sono
del resto attestati nelle fonti lucchesi acquisti di materie tintorie: è dunque
probabile che essa si procurasse i coloranti necessari alla rifinitura dei tessuti
direttamente a Genova, dove senz’altro investiva anche in altre attività com-
merciali e finanziarie.
Il principale fornitore dei Moriconi per gli di zendadi bianchi era Giuntino
di Schiatta Bernardini. Questo mercante nel 1307 compariva come socio dei
Moriconi insieme al padre, il quale già negli anni ’80 del Duecento era stato
agente della società a Genova52. Dopo il 1307 i due Bernardini non figurano
più nell’organico della compagnia. Giuntino si era «messo in proprio» e si era
specializzato nella tessitura dei drappi serici. Furono probabilmente anche
lo stretto rapporto personale con l’ex socio e le condizioni di favore che egli
garantiva loro a spingere i Moriconi a concentrarsi sulla rifinitura dei tessuti.
Tuttavia questa scelta indica anche che i filii Moriconis, con la loro solida espe-
rienza dei mercati internazionali, reputavano conclusa la congiuntura negativa
che negli anni precedenti aveva portato al fallimento proprio le società che
avevano intrapreso lo stesso processo di specializzazione da loro ora perseguito.
Essi ritenevano probabilmente che il principale mercato dei drappi lucchesi,
quello francese, fosse tornato ad aprirsi, soprattutto grazie alla conclusione del
periodo delle «svalutazioni selvagge» di Filippo il Bello. Negli anni successivi il
momentaneo allentamento delle tensioni politiche tra la Francia e l’Inghilterra
consentì ai Moriconi di aprire una filiale anche a Londra53.

A partire soprattutto dal 1312 un nuovo clima, decisamente più ottimista,


sembra diffondersi nella comunità mercantile lucchese. Alcune delle impre-
se attive fin dall’inizio del secolo scelsero di investire in nuove attività. Cino
Margatti e soci, per esempio, avviarono una collaborazione stabile, nella con-
sueta forma dell’hospitalitas, con la compagnia genovese di Giorgio Spinola,
Nicolozo della Torre, Adoardo de Gavio e soci. Le due società unirono le proprie
reti organizzative per offrire alle maggiori aziende lucchesi un vero e proprio
servizio di trasporto merci tra Lucca e Parigi54. Mentre i normali vectigales com-

51
Negli archivi lucchesi si è conservato un contratto di cambio concluso dai Moriconi a Genova
nel 1317: ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1317 aprile 9.
52
ASLu, Not. 57, R. T., c. 94, 1307 marzo 94.
53
Nell’agosto del 1317, in un atto rogato a Londra, Berio ed Enrico Moriconi, «socii et mercatores
de societate Moriconorum de Luca», confessarono un debito di 293 lire sterline che avevano con Lando
di Orlando Moriconi, fattore della società (ASLu, Dipl. Certosa, 1317 agosto 21).
54
App. III, 1d. Cfr.cap. III.1.3.
130 Alma Poloni

pivano il viaggio interamente via terra, è probabile che in questo caso alcuni
tratti del tragitto – per esempio da Motrone a Genova o Savona e da Genova a
Aigues Mortes – avvenissero via mare.
Ancora più significativo è il fatto che diverse società che fino a quel
momento avevano operato esclusivamente sul mercato cittadino decisero di
tentare il salto di qualità e di instaurare contatti diretti con le piazze inter-
nazionali. L’azienda dei Terizendi, come si è visto, era specializzata nella
torcitura della seta, che acquistava sul mercato lucchese dalle principali
compagnie importatrici55. Nel gennaio del 1312 alcuni mercanti – Cambino
Chiari di Firenze, Nicoluccio Arecchi di Siena e Rustichello di Betto
Terizendi –, a nome delle proprie società, nominarono procuratori Lazario
Moriconi, della compagnia dei filii Moriconis, Gialdello Sesmondi, ora a capo
della compagnia fondata da Bonturo Dati, e il notaio Fralmo da Chiatri
per procedere per vie legali contro gli uomini del Comune di Vezzano, che
si erano impadroniti di merci e denaro di loro proprietà. Vezzano è una
località situata poco a est del Golfo di La Spezia. Le società interessate alla
questione erano tutte importatrici di seta greggia: è dunque probabile che la
merce sequestrata fosse soprattutto seta, intercettata dai vezzanesi mentre,
dopo essere forse sbarcata a Portovenere, prendeva la via terrestre verso
Lucca. I fratelli Terizendi provavano dunque ad affacciarsi sul mercato
genovese per rifornirsi autonomamente della materia prima necessaria alla
loro attività.
Anche la società di Federigo Arnaldi e Betto Saggine era specializzata
nella torcitura della seta, e aveva una dimensione strettamente locale. Il
progetto che i due mercanti concepirono all’inizio del secondo decennio
del Trecento era forse ancora più ambizioso di quello dei Terizendi. Essi
ritennero infatti di essere pronti per confrontarsi direttamente con i mercati
francesi. Nel settembre del 1311 l’azienda spedì una balla di merci alle fiere
della Champagne, e nel luglio dell’anno successivo è attestato anche il primo
cambio sulle fiere56. Anche i setaioli Pagano Guassi e Michele Aimerigi negli
stessi anni provarono a organizzare autonomamente la commercializzazione
dei propri tessuti Oltralpe: tra il gennaio e il marzo del 1313 essi spedirono a
Nîmes ben 13 balle di merci57.

55
Cfr. cap. III.1.2.
56
ASLu, Not. 61, Rabbito Torringhelli, c. 255r; ASLu, Not. 62, c. 160v: Federigo Arnaldi e Betto
Saggine ricevevano da Matteo Brancali e soci 1237 lire lucchesi e si impegnavano a pagare 404 lire di
tornesi alla fiera di San Giovanni (Troyes).
57
ASLu, Not. 63, R. T., cc. 20v (1312 gennaio 10), 154 (marzo 11).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 131

2. Il mondo politico e la crisi economica


2.1. Le disposizioni del 1308
Nel quarto libro dello statuto del Comune del 1308 si trova un insieme
omogeneo di sette capitoli, dal numero 44 al numero 50, riguardanti materie
economiche58. La rubrica più importante, la numero 45, introduceva nuove forti
garanzie giudiziarie a tutela dei mercanti stranieri che concludevano affari con
i lucchesi. Essa stabiliva infatti che se un mercante forestiero era in grado di
dimostrare che un cittadino lucchese non aveva saldato un debito contratto con
lui «in Francia, Provincia, Campania vel Ianua vel Venetiis» o in qualsiasi altra
località, «occasione mercadantie vel cambii vel accomandigie vel aliqua alia
occasione», il Podestà di Lucca era tenuto a procedere immediatamente senza
bisogno di altre formalità («absque alia sollenpnitate iuris vel facti servanda»).
L’ufficiale doveva incarcerare il mercante lucchese insieme ai suoi soci, fattori
e gestori coinvolti nell’operazione e trattenerli fino a che non avessero ripagato
il debito. Nel caso in cui essi non si fossero presentati in giudizio, il Podestà
doveva metterli al bando e condannarli a una pena compresa tra le 200 e le
1000 lire. I loro beni inoltre sarebbero stati sequestrati, venduti all’incanto fino
all’integrale soluzione del debito e per il resto distrutti.
Per dimostrare i suoi diritti, al creditore bastava esibire un qualsiasi publi-
cum instrumentum o un estratto dei libri contabili del debitore («per scripturam
libri ipsius talis debitoris a creditore obstensam») o, in alternativa, egli poteva
servirsi di «testes ydoneos et bone fame» accompagnando la presentazione dei
testimoni con un solenne giuramento. Se tuttavia i debitori erano contumaci il
giuramento del creditore era considerato una prova sufficiente. Il capitolo 46
specificava inoltre che qualora un debitore contumace fosse stato fermato all’in-
terno del territorio lucchese sarebbe stato incarcerato, messo in ceppi e tortura-
to fino alla totale soddisfazione del debito. La rubrica 45 si chiudeva ribadendo
il concetto di reciprocità, già alla base della precedente legislazione lucchese in
materia di diritto commerciale, e presente anche negli statuti di molte altre città
mercantili: si specificava infatti che le nuove procedure potevano essere attivate
soltanto a vantaggio di mercanti provenienti da città e terre che contemplassero
disposizioni simili nei confronti degli operatori lucchesi59.

58
Statuto del Comune, cit., pp. 271-275.
59
«Et hoc capitulum locum habeat et servetur civibus illarum civitatum et terrarum, qui et que
simile statutum habent, et simile ius reddunt et observant lucanis civibus et eorum distrectualibus»
(Statuto del Comune, cit., p. 273). Come vedremo tra breve, disposizioni analoghe a quelle lucchesi
furono introdotte in quegli stessi anni anche a Siena e a Firenze; le norme del 1308 erano dunque cer-
132 Alma Poloni

Il capitolo 47 imponeva a qualsiasi socio, fattore o gestore che si recasse


fuori città per conto di una compagnia lucchese di presentare agli altri soci un
rendiconto («reddere rationem») di tutte le operazioni concluse durante il suo
soggiorno. Se egli era inadempiente, o se presentava un resoconto incompleto,
doveva essere sottoposto alla stessa procedura giudiziaria prevista per i debitori
insolventi. La rubrica 48 dava alle nuove disposizioni la massima forza legale.
Essa negava infatti il diritto di appello contro le condanne e le pene previste dai
tre capitoli precedenti, e specificava inoltre che la nuova normativa cancellava
automaticamente qualsiasi altra disposizione in materia contenuta in qualsiasi
testo statutario, e non poteva essere cassata o modificata in alcun modo da alcun
consiglio cittadino60.
I quattro capitoli fin qui analizzati, il 45, il 46, il 47 e il 48, sono strettamente
correlati tra loro e costituiscono un nucleo a sé stante. Le ultime due rubriche
di questa sezione «economica» dello statuto del 1308, invece, non sono collegate
alle precedenti. La numero 49 riguardava i poteri giudiziari della curia merca-
torum; essa negava a coloro che rientravano sotto la giurisdizione della curia (i
«tenuti») la possibilità di appellarsi contro le sentenze da questa emanate nelle
materie di sua competenza («occasione sete vel cuiuscumque materie pannorum
lane vel lini, cambii, mutui, depositi seu accomandigie vel emptionis pignorum
vel alterius monete vel cuiuslibet alterius generis mercatantie»). L’ultima rubri-
ca, più interessante, stabiliva che i mercanti impegnati nella lavorazione e nella
commercializzazione degli zendadi («facientes artem sendadorum») fossero
tenuti a sospendere la produzione per uno o due mesi all’anno se così veniva
stabilito dal Maggior console dei mercanti, dai consoli dell’Arte degli zendadi e
da un consiglio composto da almeno 60 membri dell’Arte stessa61.
In questa sede concentrerò l’attenzione soprattutto sulle rubriche dalla 45
alla 48. Queste disposizioni non contengono alcun riferimento cronologico.

tamente valide almeno nei confronti dei mercanti fiorentini e senesi, che del resto erano tra gli operatori
con cui più spesso i lucchesi avevano a che fare: cfr. oltre, note 73-82 e testo corrispondente.
60
«Et hec Statuta habeatur pro Statutis Comunis lucani derogatoria omnibus Statutis lucani
Comunis et curiarum in contrarium loquentibus vel concedentibus. Et non possint cassari, infringi
vel annullari in totum vel in partem per Consilium vel arengum vel alio modo, qui dici vel excogitari
possit» (Ibidem, p. 274).
61
All’inizio del Trecento il collegio dei consoli dei mercanti era composto, oltre che dal Maggior
console, che era un ufficiale forestiero, da due consoli «pro maiori mercatanti», da due consoli «pro arte
sendadorum», due consoli «pro minori mercatanti», uno «pro merciaria sete tinte» e uno «pro arte bac-
titorum auri» (ASLu, Not. 89, II, Benassai Luparelli, foglietto sparso (segnatura c. 58/2), luglio 1312).
È bene sottolineare che dell’Arte degli zendadi facevano parte i mercatores impegnati nella produzione
e commercializzazione dei tessuti di seta, e non gli artigiani, che avevano le loro corporazioni a seconda
della specializzazione: l’Arte dei tintori, l’Arte dei tessitori ecc. 
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 133

A mio parere tuttavia esse furono introdotte nello statuto in occasione della
revisione del 130862. Mi sembra infatti che esse acquistino un senso se inserite
nel contesto della grave crisi degli anni 1305-1308, che aveva posto le autorità
lucchesi di fronte a problemi mai affrontati in precedenza. Quando nel capitolo
45 si fa riferimento ai creditori stranieri, in particolare, non si può non pensare
all’ondata di fallimenti delle società lucchesi che aveva danneggiato anche i
molti operatori stranieri che nelle piazze internazionali erano entrati in contatto
con le compagnie fallite. Inoltre, come vedremo tra breve, queste norme anda-
vano a sostituire alcune disposizioni emanate nel 1284, ritenute evidentemente
superate alla luce degli sconvolgimenti che avevano segnato gli anni a cavallo
tra Due e Trecento.
Le norme del 1308 stabilivano un principio che, anche se non era del tutto
nuovo, non era mai stato espresso fino ad allora con tanta chiarezza, determi-
nazione e consapevolezza: il dovere delle autorità politiche comunali di farsi
garanti del rispetto dei contratti stipulati dai cittadini. I legislatori erano proba-
bilmente consapevoli della rottura rappresentata da queste disposizioni, come
dimostra il fatto che cercarono in ogni modo di celarne la novità. La rubrica più
importante, la numero 45, si intitola «capitula mercatorum curie mercatorum
lucane civitatis», nonostante nel testo non venga riservato alcun ruolo alla curia
dei mercanti nella persecuzione giudiziaria dei debitori insolventi. Le nuove
rubriche sono inserite dopo un capitolo probabilmente preesistente, il numero
44, «De observando capitula mercatorum per Potestatem», che imponeva al
podestà il dovere di rispettare e far rispettare lo statuto della curia mercatorum. Il
riferimento comune ai capitula mercatorum suggerisce un collegamento, in realtà
inesistente, tra la rubrica 44 e la 45.
L’equivoco viene consapevolmente portato avanti all’interno di tutto il
nucleo costituito dalle nuove disposizioni. L’ultima rubrica, la numero 48, si
intitola «De eo quod non potest appellari ab hiis que fiunt occasione suprascrip-
torum capitulorum mercatorum»: ritorna dunque coerentemente il riferimento
ai capitula mercatorum che, come abbiamo detto, non ha alcuna attinenza con il
reale contenuto delle norme. Inoltre il titolo istituisce una correlazione, anche
in questo caso apparentemente ingiustificata, con la rubrica successiva, la 49,
quasi certamente preesistente, che si intitola «De non appellando a sententiis
et processibus qui fiunt in curia mercatorum» e che, come si è detto, riguarda i
poteri giudiziari della curia dei mercanti.
Il gioco è dunque abbastanza chiaro. Per nascondere la rottura rispetto alla
tradizione politica e giudiziaria lucchese, le nuove norme venivano proposte

62
Su questa operazione di riscrittura degli statuti e sul suo significato politico cfr. cap. V.2.3.
134 Alma Poloni

come un semplice ampliamento o completamento delle disposizioni statutarie


già esistenti relative alla curia mercatorum, alle sue prerogative e ai suoi rapporti
con le autorità comunali.
Le leggi del 1308, come si è accennato, non erano una novità assoluta. Già
negli anni ’80 del Duecento erano state emanate alcune disposizioni volte speci-
ficatamente a rafforzare, attraverso l’intervento diretto delle autorità politiche,
le garanzie di applicazione dei contratti (contract enforcement). Il capitolo 2 del
quarto libro dello statuto del Comune, intitolato «De summaria ratione redden-
da contra obligatos per publicum instrumentum» e datato 1284, stabiliva che
il podestà fosse tenuto a intervenire contro i debitori insolventi su richiesta dei
creditori, sia lucchesi che forestieri, che fossero in grado di produrre un publi-
cum instrumentum comprovante il loro diritto63. L’ufficiale doveva provvedere
alla cattura e all’incarcerazione del debitore, che poteva essere rilasciato soltan-
to dopo aver presentato fideiussori credibili che garantissero il suo impegno a
saldare il debito entro una data fissata dal podestà stesso. Scaduto il termine,
il debitore e i suoi fideiussori potevano essere di nuovo incarcerati fino alla
definitiva liquidazione della somma dovuta. Se l’insolvente non si presentava
davanti al podestà veniva messo al bando, si procedeva alla stima dei suoi beni,
e il creditore veniva risarcito attraverso l’assegnazione di una parte di essi valu-
tata più o meno equivalente al debito. Anche nel 1284, infine, si sottolineava
che le norme avevano validità soltanto nei confronti dei «cives illarum civitatum
et terrarum qui et que simile statutum habent et simile ius reddunt et observant
lucanis civibus et districtualibus et habentibus causam ab eis».
Esistono tuttavia differenze significative tra le disposizioni del 1284 e quelle
del 1308. Anche a una lettura superficiale, i capitoli del 1308 appaiono più pun-
tuali, più specifici, quasi minuziosi, attenti a fissare con precisione tutti i passag-
gi delle procedure giudiziarie. La prima differenza di grande rilievo, poi, è che
le norme trecentesche avevano validità soltanto a favore dei creditori forestieri,
mentre non potevano essere richiamate dai cittadini lucchesi. In secondo luogo,
nel 1308, rispetto al 1284, per il creditore era molto più agevole, più rapido e
meno problematico dimostrare le proprie ragioni. Cadeva infatti l’obbligo della
presentazione dell’instrumentum pubblico comprovante l’operazione finanzia-
ria; tale obbligo, è bene sottolinearlo, rimaneva invece valido se a rivolgersi al
podestà erano cittadini lucchesi, che erano esclusi dal provvedimento del 1308
e dunque dovevano continuare a fare riferimento alle disposizioni del 1284. Per
i forestieri l’atto pubblico poteva ora essere sostituito da un estratto dei libri
contabili del debitore o, addirittura, da una semplice presentazione di testimoni

63
Statuto del Comune, cit., pp. 250-252.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 135

accompagnata da un giuramento solenne. Il creditore non doveva più neppure


affrontare il disturbo di procurarsi una scrittura pubblica, necessità che in alcu-
ni casi poteva comportare un notevole dispendio di tempo, energie e denaro, dal
momento che le operazioni erano state concluse in terre lontane e magari senza
eccessive formalità.
Infine, le pene previste per il debitore insolvente, specialmente se contu-
mace, erano molto più severe rispetto al 1284 e, oltre a contemplare ammende
altissime, potevano arrivare a misure, quali la distruzione dei beni o addirittura
la tortura, previste nell’ordinamento lucchese soltanto per i reati più gravi. È
chiaro che provvedimenti così radicali avevano ben altra efficacia rispetto alla
normale procedura per insolutum, nella quale il debitore rischiava al massimo
di perdere una quota dei propri beni più o meno equivalente al suo debito. Le
norme del 1308 istituivano insomma per i mercanti stranieri una corsia giudizia-
ria preferenziale, che consentiva loro di giungere a una soluzione rapida e poco
dispendiosa delle controversie che li opponevano a operatori lucchesi.
La finalità della nuova normativa è abbastanza chiara. I fallimenti avevano
probabilmente creato nelle piazze commerciali frequentate dai lucchesi un
clima di generale sfiducia nei confronti dei mercanti provenienti dalla città
toscana. È probabile che molti operatori stranieri, vedendo le gravi difficoltà
nelle quali si dibattevano i lucchesi, rifiutassero di concludere affari con loro. I
lucchesi insomma non godevano più di «credito», nel doppio significato morale
(reputazione) ed economico del termine. Il gruppo dirigente di Lucca sperava
forse di ristabilire la fiducia dei mercati internazionali impegnando direttamen-
te il Comune, le sue istituzioni e tutto il suo potere coercitivo a garanzia dei
debiti contratti dai suoi cittadini.
La rubrica 47 estendeva il principio stabilito nel capitolo 45 anche ai rap-
porti dei mercanti lucchesi con i loro soci, agenti e fattori attivi sulle piazze
internazionali. Il Comune metteva a disposizione il proprio potere coercitivo
per contribuire a risolvere il cosiddetto «problema di agenzia», una delle dif-
ficoltà maggiori sollevate dallo sviluppo di forme complesse di organizzazione
commerciale. La possibilità di una punizione estremamente dura da parte delle
autorità comunali avrebbe infatti dovuto allontanare dagli agenti la tentazione
di frodare gli altri soci, di condurre affari in proprio con i capitali della compa-
gnia e di appropriarsi illecitamente di una parte degli utili che dovevano essere
redistribuiti tra tutti gli investitori.

2.2. Una nuova consapevolezza


A partire dagli anni ’80 del Duecento dunque, ma con una forte accelerazio-
ne alla fine del primo decennio del Trecento, furono emanate una serie di norme
136 Alma Poloni

specificamente elaborate allo scopo di delimitare i confini di un intervento diret-


to del Comune come terza parte imparziale capace di assicurare il rispetto degli
accordi. Come abbiamo visto nel primo capitolo, il sistema dei tribunali cittadini
aveva avuto fin dall’inizio del Duecento un ruolo importante nella riduzione
dei costi di informazione e di agenzia64. Tuttavia le curie giudiziarie non pos-
sono in alcun modo essere considerate istituzioni consapevolmente create per
rispondere alle esigenze connesse all’espansione commerciale. Esse furono uno
dei prodotti delle complesse trasformazioni politiche, giuridiche e culturali che
interessarono il mondo comunale nella seconda metà del XII secolo65. Inoltre,
a causa della scarsa capacità di coercizione di queste istituzioni giudiziarie
e della loro tendenza a favorire il compromesso e la composizione, piuttosto
che la punizione degli inadempienti, esse ottenevano soprattutto il risultato di
potenziare i meccanismi sanzionatori fondati sulla reputazione. L’effetto deter-
rente legato alla possibilità di ricorrere alle vie legali funzionava cioè soltanto
se entrambe le parti coinvolte erano inserite nella stessa rete di relazioni, ed
era in ultima analisi determinato da questo substrato di rapporti sociali più che
dall’effettivo potere coattivo dei tribunali.
Gli economisti della «New Institutional Economics» attribuiscono grande
importanza al passaggio da un sistema nel quale il contract enforcement è garantito
sostanzialmente dai meccanismi di reputazione, e dunque da sanzioni di carat-
tere morale e sociale, a un sistema nel quale esso è assicurato da una terza parte
imparziale – lo stato – attraverso leggi efficaci e un’effettiva capacità coerciti-
va66. Secondo questa prospettiva, tale passaggio rappresenterebbe una tappa
fondamentale nella definizione di una struttura istituzionale capace di sostenere
e favorire forme di scambio sempre più complesse e una crescita economica
sempre più sostenuta. L’introduzione di un sistema legale imparziale a garanzia
del rispetto dei contratti sarebbe cioè il presupposto di uno sviluppo economico
di tipo «moderno».
Non è facile dire quanto questo quadro teorico sia applicabile alla situazio-
ne di Lucca all’inizio del Trecento. È difficile capire fino a che punto le nuove
severe disposizioni siano state effettivamente messe in pratica. È probabile
che l’atteggiamento intransigente sia stato rapidamente abbandonato quando,
all’inizio del secondo decennio del Trecento, si chiuse la fase di recessione. Non
è neppure possibile, allo stato attuale, stabilire se le nuove norme abbiano in

64
Cfr. cap. I.2.4.
65
Wickham, Legge, pratiche e conflitti, cit.
66
North, Istituzioni, cit., in particolare pp. 87-95. Greif, Impersonal Exchange, cit; Id., Commitment,
cit., a cui si rimanda per un’ampia bibliografia su queste tematiche.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 137

qualche modo contribuito a innescare la ripresa economica. In ogni caso, la


consapevolezza dimostrata dal gruppo dirigente lucchese e la coscienza della
necessità di un impegno diretto delle istituzioni comunali per rafforzare i
meccanismi formali e informali che consentivano lo svolgimento degli scambi
commerciali mi sembrano di per sé dati culturali e politici di grande interesse.
Questa fase segnò per Lucca l’inizio di un diverso rapporto tra politica ed
economia, un mutamento del quale sarebbe utile tenere conto nell’analisi degli
svolgimenti successivi.
Da questo punto di vista, mi pare particolarmente importante capire come
si formò nell’élite politica lucchese questa consapevolezza per molti versi nuova.
Essa maturò in più di un decennio di riflessioni e di sperimentazioni legate alla
necessità, percepita sempre più chiaramente man mano che la recessione face-
va sentire i suoi effetti, di controllare attraverso gli strumenti della politica le
conseguenze negative che la crisi di aziende di primo piano produceva sul com-
plesso dell’economia cittadina. Il problema di assicurare un corretto e ordinato
svolgimento delle procedure fallimentari si fece sentire per la prima volta con
acutezza in relazione alla compagnia Ricciardi. Il colosso finanziario era già in
grave difficoltà a metà degli anni ’90. L’intreccio delle operazioni commerciali e
finanziarie nelle quali la società era coinvolta era tuttavia talmente complicato
che il tentativo di districarlo richiese tempi molto lunghi, e si protrasse almeno
fino ai primi anni del Trecento. Di fronte all’evidente incapacità dei soci di
venire a capo della situazione, anche a causa dei dissidi sorti tra le famiglie
storiche della compagnia, le autorità comunali reputarono necessario assumere
il controllo diretto delle procedure di liquidazione.
Nel 1298 i consigli comunali concessero ai Priori carta libera per giungere a
una soluzione definitiva del caso67. I Priori incaricarono tre mercanti, Omodeo
Fiadoni, Bacciomeo Torringhelli e Graziuccio Callianelli di rivedere i conti di
tutti i soci e i fattori per ricostruire il quadro generale dei debiti e dei crediti
della compagnia. L’impresa si rivelò più difficile del previsto. Alla fine del 1300
la commissione non aveva ancora ottenuto alcun risultato; i Priori ordinarono
a Omodeo, Graziuccio e Bacciomeo di rimanere giorno e notte nella bottega
dei Ricciardi ad analizzare i libri contabili per trovare il bandolo della matassa.

67
Nel novembre del 1298 i soci della sede di Lucca della compagnia scrivevano ai soci della
filiale inglese: «Ora este vero, sì chome per altre let. v’avemo mandato a dire, quando lo Labro [Labro
Volpelli, uno dei soci della compagnia, Priore nel 1298] fue Priore in delli altri ii mesi passati ordinoe e
fece tanto per la balia ch’aveano [cioè per la balia che i Priori avevano ricevuto dai consigli in relazione
alla questione della crisi dei Ricciardi] che iii merchadanti sono chiamati a rivedere tutti li chointi delli
chonpagni e fattori e ciò che ciaschuno de fare alla chonpagnia e rimettere» (Lettere dei Ricciardi, cit.,
lettera VII, p. 71).
138 Alma Poloni

Dopo 28 giorni di quella che i tre mercanti definivano una vera e propria prigio-
nia, continuava a mancare loro un tassello fondamentale, perché non avevano
ricevuto i conti della filiale inglese della compagnia68.
La crisi dei Ricciardi è particolarmente documentata grazie alla conserva-
zione di parte della corrispondenza commerciale della compagnia per gli anni
compresi tra il 1295 e il 130369. Sui fallimenti degli anni 1305-1308 siamo meno
informati. Sembra tuttavia che la soluzione adottata per i Ricciardi, incentrata
sull’assunzione diretta da parte delle autorità comunali della direzione delle
procedure di liquidazione, sia diventata un vero e proprio modello di intervento
scrupolosamente rispettato negli anni successivi. Di fronte al fallimento di una
società i collegi dei Priori e degli Anziani, che in questa fase rappresentavano
il vertice delle istituzioni cittadine, ricevevano dai consigli comunali la bailia,
cioè il potere illimitato di muoversi come meglio credevano e di prendere tutti i
provvedimenti che reputavano necessari70. Essi allora, seguendo la trafila defi-
nita nel 1298, nominavano una commissione composta da un numero variabile
di mercanti. Tale commissione era incaricata di rivedere i conti dell’azienda,
verificare le rivendicazioni dei creditori, inventariare e stimare i beni dei soci e
distribuirli tra i creditori che ne avessero effettivamente diritto71.

68
Il primo novembre del 1300 i tre mercanti scrivevano infuriati ai soci dei Ricciardi della filiale
inglese: «Noi per più lettore v’avemo mandato a dire che voi ci debiate mandare per iscritto tutte
vosse tratte e cioe che dare devete alla conpagnia, e simile vo mandamo a dire che se neuno altro della
conpagnia inn Inghilterra devesse dare, che ciel deveste mandare a dire. Non d’avete fatto neiente né
di voi né delli altri. Non faite bene; e noi non potemo dire chiaramente sopra voi se noi no abbiamo li
vossi conti, e isspeciale le tratte vosse e delli altri [….]
Or sappiate che llo primo die d’ottobre noi tre fumo arestati in sulla chasa dei Priori delle conpagne
e funo fatto chomandamento per loro che noi tre non ci devessemo partire della bottecha del Ricciardi
né die né notte di quie a un mese, e dentro a questo terme debbiamo avere sentensiato tutto ciò che
ciasschuno conpagno e fattore de rimettere alla conpagnia, e pena lib. Vc a ciasschuno, di quello che
semo cierti; sì che noi semo istati in questa pregione die XXVIII ed avemo fatto quello che noi troviamo
chiaro; quello ch’è dubbio farasi un’altra volta» (Ibidem, lettera IX, pp. 90-91).
69
Lettere dei Ricciardi, cit.
70
Per gli sviluppi che portarono nel 1300 alla creazione di un direttivo composto dai collegi degli
Anziani e dei Priori cfr. cap. V.2.1.
71
Riporto come esempio un documento del giugno del 1305 relativo al fallimento dei Dardagnini.
Gli atti redatti in quegli anni dalle commissioni incaricate dai Priori di gestire i fallimenti delle varie
società in crisi si presentano tutti in forma molto simile a questo: «Continetur in libro actorum scripto
manus Francischi Buzolini notarii facto et conposito occasione inquisitionis que fit ex officio Dini
Provanze, Iohannes Buzolini et Mercati qd Boni et Villanuccii domini Tegrimi iudicis deputatorum per
collegia anxianorum et Priorum lucani populi pro auctoritate et baylia que habent a lucano comune
et populo super inveniendis bonis et rebus et iuribus Manfredi Dardagnini et Colucci et Vermillecti
filiorum suorum et assignandis creditoribus eorum. Nos Dinus Provanze, Villanuccius domini Tegrimi
iudicis, Iohannes Buzolini et Merchatus Boni, quattuor viri electi et deputati super investigando et
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 139

Come si può vedere, il principio alla base di questo procedimento non era
tanto diverso da quello che animava le norme del 1308. Esso contemplava infatti
l’intervento diretto della politica e la sottrazione delle operazioni di liquidazione
al normale iter processuale presso i tribunali cittadini con le sue lungaggini
e le sue logiche compromissorie. Bisogna dire comunque che questa sorta di
procedura straordinaria, che avrebbe dovuto contenere i costi dell’accesso alla
giustizia per i mercanti e gli investitori coinvolti nel fallimento, finiva spesso in
realtà per protrarsi per anni a causa della difficoltà di ricostruire il quadro delle
proprietà dei soci dell’azienda fallita e di accertare i diritti dei creditori.
Negli atti prodotti dalle commissioni incaricate della gestione dei fallimenti
non si fa riferimento a un intervento del podestà, che è invece l’elemento centra-
le delle disposizioni statutarie del 1308. È probabile tuttavia che, nel caso in cui
i soci della compagnia in crisi si rifiutassero di collaborare, l’ufficiale forestiero
fosse tenuto a mettere a disposizione dei Priori e della commissione gli eccezio-
nali poteri coattivi che la legislazione comunale tradizionalmente gli attribuiva.
Le norme del 1308 inoltre erano probabilmente finalizzate a rassicurare gli
operatori stranieri; è dunque comprensibile che in quella sede si tendesse a
enfatizzare la capacità di coercizione delle autorità comunali, senza la quale
qualsiasi legge, anche la più severa, era destinata a rimanere inefficace.
La maturazione di un nuovo atteggiamento dell’élite politica lucchese nei
confronti dell’economia fu dunque principalmente il prodotto della necessità
di affrontare problemi di grande delicatezza che non si erano mai presentati in
precedenza in un secolo di crescita pressoché ininterrotta. Questi sviluppi si
inserivano tuttavia in un contesto di grandi trasformazioni politiche, che saran-
no l’oggetto del prossimo capitolo. Come si è visto, fin dalla seconda metà degli
anni ’90 la gestione dei fallimenti fu presa in carico dai Priori, un nuovo orga-
nismo istituzionale creato nell’ultimo decennio del Duecento. I Priori furono lo
strumento utilizzato per ricavarsi uno spazio di intervento politico da un nuovo
gruppo di pressione comparso sulla scena cittadina negli anni ’80 del Duecento.
Questo schieramento era composto dalle famiglie che erano emerse con la
«seconda rivoluzione commerciale» di metà Duecento, le quali sfidavano ora la
preminenza politica dell’élite che si esprimeva nell’Anzianato. I Priori entrarono
infatti da subito in competizione diretta con gli Anziani, proponendosi come
il «vero» Popolo in opposizione alle famiglie del ceto dirigente accusate, più o

perquirendo bona et bonis que sunt vel fuerunt Manfredi Dardagnini et Colucci et Vermilliecti filiorum
suorum et super distribuendo talia bona et iura inter veros creditores eorum…» seguono le disposizioni
di pagamento dei creditori (ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1305 giugno 16). Per gli altri documenti rela-
tivi ai fallimenti cfr. cap. IV.1.2.
140 Alma Poloni

meno apertamente, di essersi allontanate dalla genuina tradizione popolare72.


Dalla seconda metà degli anni ’90 i Priori colsero ogni occasione che la vita
politica era in grado di offrire per dimostrare la loro capacità di governare, di
difendere le istituzioni e promuovere i diritti del Comune dentro e fuori le mura,
di tutelare i ceti più deboli, recuperando tutte le tematiche e le parole d’ordine
più care alla sensibilità popolare.
Mi pare che anche il forte impegno a garanzia del corretto svolgimento
delle procedure fallimentari trovi in qualche modo il suo spazio all’interno
del discorso politico prodotto dalla fazione che si esprimeva nel Priorato. La
crisi economica creava malessere presso ampi settori della società cittadina.
Impegnandosi anche in questo ambito i Priori dimostravano la loro vicinanza
ai problemi reali dei cittadini, e soprattutto la loro volontà di farsi interpreti di
un’ideologia del «buon governo» che prevedeva la capacità di intervenire effica-
cemente ogni volta che il «buono e pacifico stato» e il diritto di tutti i cittadini a
ottenere giustizia fossero minacciati. Una gestione scorretta e imprecisa dei fal-
limenti ledeva i diritti dei mercanti e degli investitori grandi e piccoli coinvolti
nei crolli finanziari, e in più, alimentando il malcontento, metteva in pericolo la
pace cittadina. L’efficienza dei Priori doveva poi servire anche a mettere in luce
per contrasto l’inefficienza e la debolezza dell’Anzianato e la sua lontananza dai
bisogni dei lucchesi.

2.3. Qualche confronto


Negli stessi anni in cui a Lucca maturava un nuovo interesse per le forme
e gli strumenti d’intervento dello stato a sostegno delle attività commerciali,
disposizioni per molti versi simili venivano introdotte nelle raccolte statutarie
di altre città a vocazione mercantile. Il caso più interessante, per le sue analogie
con gli sviluppi lucchesi, è quello di Siena. Proprio nel 1308 fu integrato nel
Costituto senese un insieme di provvedimenti, articolati in 9 capitoli, che pren-
deva il titolo unitario di «Ordinamenti fatti sopra tollere via le rapressalie»73. Gli
Ordinamenti affrontavano un problema che era già stato individuato e proposto
all’attenzione del podestà nel maggio del 1304. Negli anni a cavallo tra Due e
Trecento numerosi operatori senesi si erano trovati in gravi difficoltà a causa
della congiuntura internazionale negativa74. I loro creditori, di fronte all’impos-

72
Cfr cap. V.1.3.
73
Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel 1309-1310, a cura di M.S. Elsheikh, Siena
Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002, I, pp. 211-225.
74
Tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento si erano sciolte le compagnie dei Piccolomini
e dei Salimbeni e, soprattutto era andata in crisi la compagnia dei Bonsignori, la più importante società
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 141

sibilità di rientrare in possesso del proprio denaro, avevano ottenuto da diver-


se autorità politiche la concessione di rappresaglie nei confronti dei mercanti
senesi, che erano dunque rimasti esclusi da molte piazze commerciali, tra le
quali probabilmente anche le fiere della Champagne e Parigi, i centri principali
dei loro affari75. Nel 1304 si dava dunque mandato al podestà di convocare un
consiglio della Campana, cioè un consiglio generale del Comune e del Popolo
con l’aggiunta di 50 uomini per Terzo, appositamente riunito per trovare rimedi
efficaci alla grave questione delle rappresaglie, che stava mettendo in ginocchio
l’intera economia senese.
A quanto pare non se ne fece niente per tre anni, nel corso dei quali tuttavia
la crisi si aggravò ulteriormente. Nel 1307 i consoli della Mercanzia, su manda-
to del consiglio della Campana, nominarono una commissione composta da 12
esperti, quattro per terzo, con il compito di trovare una soluzione al problema
delle rappresaglie («provedere et ordinare et via et modo trovare come et in
qual guisa le ripresallie, le quali date et concedute sono overo per inançi si con-
cedessero contra lo Comune di Siena et huomini et persone de la città, contado
et giurisdictione di Siena, alpostutto si tollano via»)76. Le disposizioni elaborate
dai dodici «savi huomini», organizzate in nove capitoli, riviste e corrette dagli
stessi consoli della Mercanzia e da altri mercanti, furono infine inserite nel
Costituto nell’aprile del 1308.
Gli Ordinamenti impegnavano il podestà a richiedere, entro otto giorni dalla
loro pubblicazione, ai consoli della Mercanzia l’elenco completo dei mercanti
inolventi a causa dei quali erano state concesse rappresaglie contro i senesi77.
L’ufficiale era allora tenuto a convocare presso di sé tali mercanti – o, se non
si presentavano spontaneamente, a farli prelevare («ciascuno di loro fare citare
et constregnere che vengano denançi a llui per ogni remedii, vie et modi per li
quali mellio fare si potrà») – e a trattenerli sotto sorveglianza fino all’integrale
soddisfazione del debito («ed essi […] sotto fidata guardia ditenere overo fare

senese, che coinvolse nel suo fallimento numerosi operatori non solo senesi. È certo che molti altri
mercanti di minore rilievo dovettero risentire pesantemente delle difficoltà di quegli anni. Cfr. Banchieri
e mercanti di Siena, prefazione di C.M. Cipolla, Roma, De Luca, 1987.
75
Così venivano esposti i termini del problema nel 1304: «Acciocchè li mercatanti et li altri de la
città et contado di Siena, possano andare, stare et tornare liberamente per le città, terre et provence
in qualunque parte, per le loro utilità et fatti adoperare sença alcuno impedimento; conciosiacosachè
molte volte infino a qui sieno essuti, impediti et apparecchiata et data sia materia et cagione ad impedire
loro per le ripresallie concedute contra li senesi et anco le quali si concederanno per cagione d’alcuna
compagnia overo speciale persona, et acciochè cessi et tollasi via la materia del detto scandalo et impe-
dimento; statuimo et ordiniamo ecc.» (Il Costituto, cit., p. 163).
76
Ibidem, p. 211.
77
Ibidem, p. 214.
142 Alma Poloni

ditenere, infino a tanto che sodisfaranno interamente de le ripresallie sopra-


dette»). Anche a Siena, come a Lucca, i diritti del creditore potevano essere
attestati sia da un atto pubblico che da una qualsiasi scrittura privata di mano
del debitore, o da un estratto dei suoi libri («per vigore d’alcuna carta di gua-
rentigia overo per vigore d’alcuna scrittura fatta per mano di colui overo di
coloro per cagione del quale overo de’ quali, ripresallie concedute sieno […],
overo per vigore di scrittura di loro libro overo d’alcuno di loro overo de la
compagnia loro»). Per il futuro, si stabiliva che ogni nuovo podestà avviasse la
stessa procedura entro otto giorni dalla sua entrata in carica78.
Disposizioni analoghe si trovano anche nello statuto del podestà di Firenze,
in particolare al capitolo 107 del quinto libro79. La rubrica non è datata. Essa
però sostituisce, in forma più elaborata e approfondita, una norma precedente
sulla stessa materia, emanata nel maggio del 1291, che tuttavia non fu cancellata
dallo statuto e si legge nel capitolo 8980. È quindi probabile che anche a Firenze
la delicata questione delle conseguenze negative, per il commercio e l’economia
cittadina nel suo complesso, del comportamento scorretto di singoli mercanti
sia stata oggetto di un ripensamento generale in seguito alle difficoltà del primo
decennio del Trecento81.
Il capitolo, intitolato «Qualiter procedatur contra illos quorum de causa
in nundinis vel alibi florentini molestarentur», definiva quali provvedimenti
dovessero prendere le magistrature cittadine quando ricevevano, in particolare
dalle guardie delle fiere della Champagne (i custodes nundinarum), ma anche da
qualsiasi altro ufficiale signorile o comunale, mandato di procedere contro ope-
ratori fiorentini insolventi. Se infatti non si riusciva a ottenere che i responsabili

78
Ibidem, p. 215.
79
Statuti della repubblica fiorentina. II. Statuto del Podestà dell’anno 1325, a cura di R. Caggese, Firenze,
Stab. tipogr. E. Ariani, 1921, pp. 433-435.
80
Ibidem, pp. 416-417.
81
Quasi in conclusione al capitolo 107 i redattori dello statuto avvertirono il bisogno di specificare
quali fossero le conseguenze nefaste per l’intero commercio cittadino della condotta irresponsabile di
pochi operatori. Essi commentarono che la colpa degli operatori che si allontanavano dalla Francia
senza pagare i propri debiti era in fondo più grave di quella dei «cessantes et fugitivi», cioè dei mercanti
in fallimento che scappavano da Firenze per non affrontare le proprie responsabilità: «cum hec sit quod
satis sit cessans et fugitivus ille quidem [qui in] dictis nundinis vel alia terra vel loco cessat et fugit
cum rebus et pecunia aliena, et quod propter talem fugam et cessationem de dictis nundinis, terris et
locis multo maius dampnum et dedecus sit et rubor toti civitati Florentie et mercatoribus Florentinis
quam si cessaret de Florentia cum suorum pecunia creditorum, nam propter tales cessantes et fugien-
tes de nundinis et aliis terris et locis coguntur, gravantur et detinentur plerumque cives florentini et
mercatores ad satisfaciendum pecuniam et res cum quibus tales fugiunt atque cessant, et tot expensas
et emendationes subire regiminibus et dominis quod tediose ducitur ad effectum» (Ibidem, p. 435).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 143

pagassero i loro debiti, le guardie delle fiere o le autorità del luogo nel quale il
debito era stato contratto potevano rivalersi su tutti i mercanti fiorentini pre-
senti su quella piazza. Si stabiliva dunque che il podestà e il capitano del Popolo
di Firenze fossero tenuti, su istanza dei consoli dei mercanti di Calimala, a ricer-
care e catturare gli insolventi e a costringerli, anche con la forza, a impegnarsi
formalmente, versando adeguate cauzioni, a rispondere delle loro mancanze, a
sottoporsi a giudizio e a tutelare il Comune di Firenze e i mercanti fiorentini da
qualsiasi danno causato dalla loro condotta82. Se i responsabili si rifiutavano di
versare la cauzione, i loro beni mobili e immobili potevano essere sequestrati
e venduti, e il ricavato veniva messo a disposizione dei consoli dei mercanti di
Calimala, che provvedevano a saldare i debiti alle guardie delle fiere e proba-
bilmente anche a rimborsare eventuali altre parti lese.
A Siena e a Firenze dunque, come a Lucca, la crisi dei primi anni del
Trecento segnò l’affermazione di una consapevolezza in gran parte nuova, o
almeno mai avvertita prima con tanta acutezza, della necessità di un intervento
forte e diretto delle autorità politiche e delle magistrature comunali a garanzia
del corretto svolgimento delle attività commerciali e del rispetto dell’articolato
insieme di norme, formali e informali, locali e internazionali, che davano forma
a un sistema di scambi ormai molto complesso e altamente integrato.

82
Il podestà e il capitano erano tenuti «ad instantiam et petitionem consulum mercatorum
Kallismale […], invenire et detinere seu invenire et detinere facere personam seu personas contra
quam vel quas fierent seu mitterentur tales lictere et mandata, si eas habere poterint in civitate
Florentie vel districtu, et ipsas tales personam vel personas […] cogere efficaciter tam de iure quam de
facto securare bene et sufficienter seu ydonee cavere, per bonam et ydoneam cautionem per dictorum
mercatorum consules vel maiorem partem ex eis approbatam, de defendenda questione seu de iudicio
sisti et de conservando Commune Florentie et quamlibet personam, societatem et socios et mercatores
florentinos, cives vel comitatinos et districtuales, et eorum mercantias et res a tali et de tali mandato
seu mandamento et lictera penitus sine dampno» (Ibidem, p. 433).
Capitolo quinto
LA CRISI POLITICA A CAVALLO
TRA DUE E TRECENTO

A Lucca i due decenni a cavallo tra Due e Trecento furono segnati, oltre che
dalla crisi economica, da una crisi politica. Tale crisi fu innescata dall’ingresso
sulla scena politica, dopo quasi un trentennio di relativa stabilità, di un nuovo
gruppo di pressione. Il primo paragrafo analizza come la comparsa, negli anni
’80 del Duecento, del nuovo attore politico provocò la progressiva delimitazio-
ne di due schieramenti contrapposti. Lo sguardo è concentrato soprattutto sui
meccanismi di costruzione e di continua trasformazione delle identità politiche
delle due fazioni, e sulla diversa capacità dei due gruppi di competere sul piano
comunicativo attraverso la produzione di discorsi politici. Il secondo paragrafo
prende in considerazione la radicalizzazione del conflitto nei primi anni del
Trecento e le strategie messe in atto dalla parte vincente per emarginare gli
avversari e per estendere il proprio controllo sui gangli della società comunale.

1. La costruzione delle parti


1.1. Guelfi moderati e guelfi radicali
Nel gruppo di pressione che si affacciò alla vita politica lucchese alla fine del
Duecento furono attive molte delle famiglie che abbiamo incontrato nei capi-
toli precedenti: Rosciompelli, Volpelli, Fiadoni, Melanesi, Guerci, Moriconi,
Margatti, Sandoni, Arnaldi, Asquini, Dati, Incalocchiati. Schierate sul fronte
opposto, tra gli esponenti del gruppo di potere che veniva messo in discussione,
troviamo altre vecchie conoscenze: Martini, Onesti, Peri, Carincioni (compreso
il ramo dei Terizendi), Rapondi, Fornari, Sartori e Mordecastelli.


Come apparirà più chiaro nel corso dell’esposizione, per definire l’appartenenza politica delle
singole famiglie ho usato i seguenti criteri: 1) Presenza nell’Anzianato. 2) Presenza nel Priorato, la
nuova istituzione che compare nelle fonti lucchesi intorno alla metà degli anni ’90 del Duecento. 3)
Schieramento nella parte bianca o nella parte nera. 4) Presenza all’interno della lista magnatizia inse-
rita nello Statuto del 1308. Nonostante le gravi carenze documentarie determinate dalla perdita della
documentazione pubblica, la singolare coerenza delle scelte di queste famiglie rende la loro assegnazio-
146 Alma Poloni

Entrambi i raggruppamenti erano caratterizzati da una forte coerenza


interna e da una notevole riconoscibilità sociale. Nel nuovo gruppo di pressio-
ne militavano infatti le famiglie che avevano conquistato ricchezza e prestigio
grazie alla «seconda rivoluzione commerciale» degli anni 1255-1275, senza
tuttavia riuscire a farsi spazio nell’élite decisionale del Comune di Popolo. Ad
esse si aggiungevano famiglie di più antica affermazione, come i Volpelli e gli
Incalocchiati, che all’inizio del Duecento avevano preferito l’«opzione verticale»
a quella orizzontale, ed erano perciò rimaste escluse dal gruppo dirigente che si
era formato nelle lotte tra milites e populus. Nell’altro schieramento erano invece
attive le famiglie che di tale gruppo dirigente avevano fatto parte a pieno titolo,
le famiglie «fondatrici» del Popolo lucchese, molte delle quali avevano anche
guidato la rivoluzione commerciale dell’inizio del XIII secolo. Semplificando,
potremmo dire che il conflitto dei due decenni a cavallo tra Due e Trecento
oppose un’élite di potere consolidatasi in cinquant’anni di lotte politiche e
trent’anni di governo a un gruppo di famiglie che ambiva a tradurre in influen-
za politica il potere economico e il prestigio sociale più o meno recentemente
conquistati.
Queste considerazioni, tuttavia, non sono sufficienti per attribuire un senso
a ciò che accadde a Lucca alla fine del Duecento. Non basta infatti che un insie-
me di persone sia caratterizzato, almeno allo sguardo dall’alto dello storico, da
una stessa storia, da tratti sociali comuni e da simili interessi materiali perché
esso costituisca effettivamente un gruppo. Perché un insieme di persone operi
come un attore collettivo è indispensabile che si percepisca e si autorappresenti
come tale, che sia cioè dotato di un’identità di gruppo. È necessario che quelle
persone condividano un’idea di che cosa sono state, cosa sono e cosa vorrebbe-
ro essere, siano cioè legate da una comune interpretazione del proprio passato,
da una rilettura del proprio presente e da comuni progetti per il futuro.

ne all’uno o all’altro schieramento ragionevolmente sicura. Martini, Onesti, Peri, Carincioni, Rapondi,
Fornari, Sartori e Mordecastelli compaiono tutti nell’Anzianato a partire dagli anni ’60, non compaiono
mai nel Priorato, aderirono tutti alla parte bianca e finirono tutti nella lista di «casastici et potentes»
del 1308. Rosciompelli, Volpelli, Fiadoni, Melanesi, Guerci, Moriconi, Margatti, Sandoni, Arnaldi,
Asquini, Dati e Incalocchiati non compaiono nell’Anzianato (ad eccezione di un’unica attestazione per
i Fiadoni), militarono tutti nel Priorato, aderirono tutti alla parte nera e nessuno di loro venne inserito
nelle liste del 1308.

Cfr. capp. I.1.2 e I.1.3.

Cfr. capp. I.1.1, I.1.3 e I.2.3. I Mordecastelli, come si è visto, costituiscono un’eccezione, perché
si affermarono solo a partire dagli anni ’50, ma riuscirono in breve tempo ad inserirsi nell’élite politica
popolare (cfr. capp. II.1.1 e II.1.2).

Per tutti questi aspetti si vedano le importanti riflessioni di F. Cerutti, Identità e politica, in
Identità e politica, a cura di F. Cerutti, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 5-41. Si tratta della distinzione
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 147

Come si è cercato di dimostrare nei capitoli precedenti, gli Onesti, i Martini,


i Peri, i Carincioni costituivano in effetti un’élite coesa, cementata da una lunga
memoria politica, dotata di consapevolezza e di una solida identità di gruppo
che si era definita fin dall’inizio del Duecento e si era arricchita e trasformata
nel corso del secolo. La questione è decisamente più complessa per ciò che
riguarda l’altra parte. Nulla infatti lascia pensare che negli anni ’60 e ’70 del
Duecento famiglie come i Rosciompelli, i Volpelli, i Fiadoni, gli Arnaldi aves-
sero una qualche percezione degli elementi storici, sociali e culturali che le
accomunavano, o comunque che intendessero fondare su tale percezione una
concreta azione politica. La storia politica lucchese degli anni ’80 e soprattutto
degli anni ’90 del Duecento e del primo decennio del Trecento è anche la sto-
ria di come queste famiglie si aggregarono progressivamente intorno a parole
d’ordine condivise e costruirono, attraverso un processo lungo e tormentato
fortemente condizionato dagli eventi esterni e dalle mosse strategiche degli
avversari, un’identità politica complessa.
A mio parere l’inizio di questo processo si colloca nei primi anni ’80 del
Duecento, ed è strettamente connesso a vicende di portata sovracittadina. Fin
dai primi anni ’70 il rapporto tra Carlo d’Angiò e il papato si era incrinato.
Gregorio X e Niccolò III furono intensamente impegnati nel tentativo di indi-
rizzare la politica interna dei Comuni del circuito guelfo in modo da indebolire
l’influenza angioina. In particolare, essi promossero una versione più moderata
del guelfismo, improntata a un atteggiamento meno intransigente nei confronti
dei ghibellini e alla pacificazione tra le fazioni cittadine. La missione del cardi-
nale Latino a Firenze rappresentò il momento culminante di questo programma
politico.
È probabile che anche a Lucca, come a Firenze, negli anni ’70 le famiglie
che dominavano l’Anzianato avessero sposato la linea del guelfismo moderato,
politicamente vincente. Nel febbraio del 1281 tuttavia salì al soglio pontificio,
con il nome di Martino IV, il francese Simone de Brie, grande sostenitore di
Carlo d’Angiò. Da subito egli impresse alla politica papale un indirizzo filo-

utilizzata da R. Dahrendorf e da altri sociologi tra quasi-gruppi di interessi latenti e gruppi di interesse
(R. Dahrendorf, Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari, Laterza, 1971 (ed. orig 1957), in
particolare pp. 253-324).

Per l’analisi di un processo di costruzione di un’identità di gruppo in un contesto più tardo
cfr. G. Ciccaglioni, Microanalisi di un’istituzione. L’universitas septem artium e il suo linguaggio a Pisa al
tempo della dominazione viscontea (1399-1405), in Linguaggi politici nell’Italia del Rinascimento, a cura di A.
Gamberini e G. Petralia, Roma, Viella, 2007, pp. 187-214.

Queste vicende sono analizzate per Firenze da Raveggi, Tarassi, Medici, Parenti, Ghibellini,
guelfi, cit., in particolare pp. 158-160 e 176-178.
148 Alma Poloni

angioino. La propaganda papale favorì il diffondersi nelle città guelfe di senti-


menti anti-ghibellini e la formazione di «partiti» favorevoli a un’interpretazione
più radicale del guelfismo.
La mia ipotesi è che a Lucca il cambiamento del clima politico abbia agito
da catalizzatore dell’insoddisfazione di alcune delle famiglie mercantili non
pienamente integrate nell’élite dirigente popolare. Il riferimento a un guelfi-
smo più autentico, più puro e più impegnato fornì un nucleo ideale intorno al
quale nel corso degli anni si coagularono i sentimenti di frustrazione di queste
famiglie, offrì ad esse le parole con le quali rappresentarsi e rappresentare la
propria opposizione politica. L’antighibellinismo radicale divenne insomma il
primo tassello dell’identità politica del nuovo gruppo di pressione, che prendeva
gradualmente forma intorno a questa identità anch’essa in costruzione. Questo
processo si accompagnava all’elaborazione di un discorso politico in grado di
legittimare le aspirazioni dei nuovi protagonisti e guadagnare il consenso neces-
sario a un’azione efficace in un contesto, qual era quello comunale, fondato
sulla partecipazione politica di ampi settori della società cittadina.
Nell’ottobre del 1284 Lucca concluse un trattato di alleanza con Firenze e
Genova. La finalità esplicita della coalizione era l’annientamento militare di
Pisa, punto di riferimento delle forze ghibelline toscane, attraverso una lotta
senza quartiere condotta congiuntamente per mare e per terra, sfruttando la
fragilità non solo militare ma anche psicologica dei pisani all’indomani della
gravissima sconfitta della Meloria. Questo atto era però volto anche a ricompat-
tare lo schieramento guelfo toscano e a promuovere l’alleanza Firenze-Lucca
come asse portante di tale schieramento. Nei giorni successivi infatti, come
risultato della faticosa opera di propaganda e di contrattazione portata avanti
da fiorentini e lucchesi, aderirono al trattato, l’una dopo l’altra, Prato, San
Miniato, Poggibonsi, San Gimignano e Siena. L’alleanza del 1284 riflette lo
spazio crescente conquistato a Firenze e a Lucca, e probabilmente negli altri
comuni guelfi toscani, dai «partiti» favorevoli a un’interpretazione più radicale
del guelfismo e a un impegno più serrato nella lotta contro le forze ghibelline
all’interno e all’esterno delle mura cittadine.
Alla firma del trattato Lucca fu rappresentata da due soci della compagnia
Ricciardi, Adiuto Rosciompelli e Labro Volpelli. Sia che fossero stati investiti
direttamente dagli Anziani, sia che la loro nomina fosse emersa nell’ambito
dei dibattiti consiliari, la designazione dei due mercanti era necessariamente
il risultato del convergere sui loro nomi del consenso di una parte consistente


I Libri Iurium, cit., n. 1194, 1284 ottobre 13.

Ibidem, nn. 1195-1199.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 149

del mondo politico lucchese. Gli stretti rapporti economico-finanziari della loro
società commerciale con gli Angiò e soprattutto con il papato – rapporti che si
erano rafforzati proprio dopo l’ascesa al soglio pontificio di Martino IV – ne
facevano candidati particolarmente qualificati. La compagnia Ricciardi aveva
tuttavia altri soci di primo piano oltre a Labro e Adiuto, e in più non era certo
l’unica realtà lucchese a vantare questo tipo di contatti: un’altra azienda, quella
dei Battosi, che contava anch’essa tra i propri soci diversi mercanti cittadini,
aveva anzi relazioni ben più strette con la corte angioina.
Gli interessi economici di Labro e Adiuto, a mio parere, non bastano da soli
a spiegare la loro nomina. Essa potrebbe invece essere il risultato e il ricono-
scimento dell’azione politica dei due mercanti, che nei mesi precedenti si erano
probabilmente impegnati in una difficile attività di persuasione volta a creare
nelle assemblee consiliari una maggioranza favorevole a un’aggressiva politica
antighibellina, ma anche a ritagliarsi un posto da leaders del nuovo schieramen-
to che si stava definendo intorno alle parole d’ordine del guelfismo radicale. È
plausibile cioè che Adiuto Rosciompelli e Labro Volpelli abbiano giocato un
ruolo diretto nella formazione di tale schieramento, candidandosi contestual-
mente a guidarne l’attività politica. Ciò mi sembra particolarmente evidente
per il Rosciompelli: in quello stesso 1284 sedevano contemporaneamente in
consiglio generale due figli di Adiuto, Nello e Vanni, e due altri membri della
famiglia, Ghino e Porcoricciardo, forse figli del fratello di Adiuto, Ricciardo10.
Può forse essere utile a questo punto qualche accenno sulle procedure di
elezione dei consiglieri del consiglio generale11. I cittadini si riunivano contra-
da per contrada nel palazzo di San Michele in Foro sotto la supervisione del
podestà e dei suoi milites. Tra gli abitanti della contrada dotati di una minima
base economica – con un patrimonio, in base alla più recente rilevazione
estimale, valutato almeno 25 lire lucchesi – veniva sorteggiato un numero di
elettori pari al numero di consiglieri che spettavano alla contrada. Ogni elet-
tore nominava direttamente un consigliere, il quale doveva anch’egli avere un
patrimonio stimato non inferiore alle 25 lire. Il fatto che ben quattro membri
della famiglia Rosciompelli fossero scelti come consiglieri significa dunque
che essa godeva di visibilità nella contrada di appartenenza; è uno degli indizi,
a mio parere, che la proposta politica di Adiuto Rosciompelli e del gruppo
che si raccoglieva intorno a lui otteneva crescenti consensi presso i cittadini
politicamente attivi.


Del Punta, Mercanti, cit.
10
ASLu, Dipl. F. M. Fiorentini, 1284 maggio 30.
11
Statuto del Comune cit., pp. 62-63
150 Alma Poloni

Questa conclusione sembra confermata dal fatto che altri membri di famiglie
che verosimilmente in questi primi anni ’80 aderirono al «partito» dei guelfi
radicali riuscirono a farsi eleggere in consiglio generale dai loro vicini di con-
trada: Panello e Gerarduccio Gracci, Coluccio Asquini, Puccio Fiadoni, Betto
e Guido Bonaventure, Baccione Corsi12. Sulla base delle poche informazioni
disponibili per questi anni non è possibile misurare il peso effettivo del nuovo
schieramento all’interno del consiglio. Tale peso doveva tuttavia essere tanto
consistente da far sì che il nuovo gruppo fosse rappresentato in quello che era
il principale organo politico del Comune di Popolo, l’Anzianato. Nel collegio del
maggio-giugno 1284, infatti, accanto a due esponenti di punta del gruppo diri-
gente popolare degli anni ’60 e ’80, interpreti del guelfismo moderato – Ugolino
Martini e Bandino Peri –, troviamo anche Marraghino Bonaventure e Martino
Pinochi, esponenti del partito radicale13.
Prima di proseguire, vorrei tornare brevemente sulla questione del rapporto
tra interessi economici e schieramento politico. Mercanti che intrattenevano o
avevano intrattenuto nel recente passato relazioni finanziarie con il papato e la
casa d’Angiò se ne trovano tanto nel partito moderato quanto in quello radicale,
senza particolari differenze. D’altra parte tali relazioni non avevano mai rivesti-
to per il mondo mercantile lucchese nel suo complesso la stessa importanza che
avevano per gli uomini d’affari fiorentini, e questa differenza divenne ancora
più evidente a partire proprio dagli anni ’80, e soprattutto negli anni ’90. In
quei due decenni i fiorentini rafforzarono la propria presenza nel regno angioi-
no, fino a raggiungere una posizione di quasi monopolio dei servizi finanziari
alla corona, che non lasciava grande spazio ai lucchesi e agli altri toscani14.
D’altra parte, anche in seguito ai processi di trasformazione dell’economia cit-
tadina che abbiamo analizzato nel capitolo precedente, in questa fase aumentò
ulteriormente la centralità per i lucchesi dell’asse tradizionale Lucca-Genova-

12
Mentre per Adiuto Rosciompelli e Labro Volpelli l’impegno personale nella conclusione del
trattato del 1284 è un indicatore attendibile della loro posizione ideologica, non esiste alcuna atte-
stazione esplicita dell’adesione delle altre famiglie al guelfismo radicale all’inizio degli anni ‘80. Negli
anni ’90, però, esse ebbero tutte un ruolo di primo piano all’interno del Priorato, che come vedremo
fu l’espressione istituzionale dello schieramento che si opponeva al vecchio gruppo dirigente popolare,
l’espressione, cioè, della fazione che alla fine del secolo si identificò con la parte nera. Esiste del resto
un’evidente coerenza di contenuti tra il guelfismo radicale degli anni ’80 e il guelfismo nero del primo
Trecento, che ne era un’evoluzione. Anch’esso era fondato su un’interpretazione intransigente della
tradizione guelfa della città e sul rifiuto di una reintegrazione dei ghibellini nella vita politica cittadina
(cfr. cap. V.2.3).
13
Anche in questo caso l’attribuzione dei due personaggi al partito guelfo radicale è legata al ruolo
da essi ricoperto nel Priorato negli anni ’90.
14
Petralia, I toscani nel Mezzogiorno, cit.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 151

Champagne/mercati francesi. Queste tendenze divennero ancora più marcate


dopo il fallimento delle grandi compagnie a metà degli anni ’90.
A mio parere, dunque, la definizione di due diversi schieramenti all’interno
della comune tradizione guelfa fu uno sviluppo interamente politico. Esso fu
legato in primo luogo all’esigenza di uomini come Adiuto Rosciompelli e tanti
altri simili a lui per fisionomia sociale e storia familiare di riconoscersi in una
serie di parole d’ordine per costruirsi come gruppo politico e proporsi come
alternativa credibile a un’élite di potere che appariva ben più solida per espe-
rienza di governo, cultura politica e consapevolezza del proprio ruolo.

1.2. La fazione dei Mordecastelli e i nobili


Negli anni successivi entrambi gli schieramenti andarono incontro a una
significativa evoluzione in direzione di una più compiuta organizzazione inter-
na, di un più profondo radicamento presso settori diversi della società cittadina
e di una maggiore complessità e articolazione del discorso politico.
Quello che per comodità abbiamo fin qui definito il «partito guelfo modera-
to» strinse una vera e propria alleanza con alcune delle più potenti e prestigiose
famiglie della nobiltà cittadina. Particolarmente significativi in questo senso
sono alcuni documenti dei primi anni ’90. Il 29 gennaio del 1292, con un atto
rogato a Castelnuovo di Garfagnana, il giudice Ottobono dei Berrettani da
Barga, in rappresentanza di vari membri della sua famiglia – una stirpe signo-
rile della Garfagnana che aveva stabilito la propria residenza a Lucca già da
diversi anni – nominò suoi procuratori vari cittadini lucchesi15. Questi ultimi
erano incaricati di comparire al suo posto di fronte al podestà, al capitano del
Popolo, agli Anziani e a qualsiasi altro ufficiale lucchese, e inoltre di cercare
di procurargli una somma che si avvicinasse il più possibile ai 12000 fiorini
d’oro, prendendo il denaro in prestito da chiunque si dimostrasse disponibile.
Ottobono aveva insomma bisogno di denaro, ed è probabile che fosse stato
messo al bando come insolvente, una circostanza che spiegherebbe l’accenno
alla necessità di difendersi di fronte ai più alti organi giudicanti cittadini, la
redazione del documento fuori da Lucca e l’esigenza del giudice di rivolgersi a
uomini ricchi e stimati che godessero in città di ampio credito.
Ma chi erano questi uomini? Alcuni di essi appartenevano a famiglie del-
l’aristocrazia urbana o a gruppi familiari della nobiltà rurale da tempo integrati
nella società cittadina: Chello Corradi e Nicolao Porco, entrambi della stirpe
dei de Podio, Aliotto della Rocca, Posarello del Bosco e Giovanni Parghia degli

15
ASLu, Dipl. San Romano, 1292 gennaio 29. Ottobono e i suoi parenti erano a Lucca almeno dal
1284: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri, cc. 19v-21v, 1284 gennaio 13.
152 Alma Poloni

Antelminelli. Accanto a loro compaiono però anche alcuni popolari: Dino


Mordecastelli, Guiduccio e Bendinello Martini e Moncello Peri. Un altro
Mordecastelli, Gualfreduccio, era presente come testimone.
Nei giorni immediatamente successivi i procuratori si misero all’opera per
raccogliere il denaro. Essi fecero ricorso allo strumento comunemente utilizza-
to dai mercanti lucchesi per finanziare le proprie attività, il cambio sulle fiere
della Champagne, e ottennero così da un importante uomo d’affari, Lazario de
Fondora, 2000 fiorini d’oro, da rimborsare alla fiera di Bar-sur-Aube con 1054
lire tornesi16. I procuratori si impegnarono inoltre a restituire, sempre alla fiera
di Bar, a Nello di dominus Ranuccio Mordecastelli, che agiva per conto dello zio
Marcovaldo, altre 530 lire tornesi come cambio di 1000 fiorini d’oro. Infine, essi
ricevettero in prestito 500 fiorini da Perfetto Manenti.
Nell’operazione finanziaria furono inoltre coinvolti nella veste di garanti,
accanto agli stessi procuratori, numerosi altri cittadini lucchesi. Per la famiglia
degli Antelminelli, oltre a Giovanni Parghia, figurano anche Davino Antelminelli
e Coluccio Parghia. Per i Mordecastelli, oltre a Dino e Gualfreduccio, parte-
ciparono anche Nello di dominus Ranuccio, che come si e visto compare anche
come finanziatore, e Puccio del fu Ubaldo. Tra gli aristocratici troviamo Puccio
del fu Opizzo Normannini, della potente famiglia degli Avvocati, e Ranieri del
fu Aldibrandino Salamoni dei Malpigli. Sono inoltre citati Lando Sartori, Betto
Tagliamelo, Coluccio Lieti, Forese Buiamonti, Davinuccio Talgardi, Bacciameo
Ciapparoni, Pillio del fu Savarigio Castracani, Giario e Cinello Tadolini,
Ceccoro Brancasecchi, Federico Cristofani e Perfetto Manenti, che troviamo
anche tra i finanziatori. L’atto fu rogato nella chiesa di San Benedetto di Porta
San Gervasio, di fronte ai notai Pero Peri e Spalla Rapondi.
Troviamo implicate in questa vicenda diverse famiglie appartenenti al grup-
po di potere che controllava le istituzioni popolari dall’inizio degli anni ’60:
Mordecastelli, Martini, Peri, Sartori, Lieti, Rapondi. Ma l’aspetto più interes-
sante è che questo documento ci fornisce l’elenco quasi completo delle famiglie
aristocratiche e popolari di parte bianca molti anni prima che quest’ultima
irrompesse nella competizione politica come soggetto politico formalizzato.
All’inizio degli anni ’80 quello che abbiamo definito il «partito moderato»
non era in alcun modo un’organizzazione strutturata. Si trattava soltanto della
tendenza di alcune famiglie del gruppo dirigente popolare a ripensare e rimo-
dulare la propria identità politica intorno a un’interpretazione della tradizionale
appartenenza guelfa di Lucca meno intransigente, più favorevole a cercare
un modus vivendi con i ghibellini fuori e dentro la città. Questa riformulazione

16
ASLu, Dipl. San Romano, 1292 gennaio 31.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 153

identitaria nasceva soprattutto per contrasto, dalla necessità cioè di chiarire a


se stessi e agli altri la propria posizione in relazione al nuovo schieramento che
si andava aggregando intorno a un’idea aggressiva – e forse, per molti lucchesi,
più immediata – di guelfismo. All’inizio degli anni ’90, invece, ci troviamo già di
fronte a una vera e propria fazione, un raggruppamento riconoscibile anche se
non istituzionalizzato, privo di una struttura organizzativa formalmente definita
ma tenuto insieme da una rete di rapporti personali e familiari e da un intreccio
di interessi materiali e ideali.
A quanto sembra nella seconda metà degli anni ’80 la famiglia dei
Mordecastelli giocò un ruolo particolarmente importante nella creazione e nel
consolidamento del tessuto di relazioni che andarono a costituire l’ossatura
della fazione. Anche se non ho trovato attestazioni esplicite in proposito, è
assai probabile che i Mordecastelli fossero già imparentati con i Peri, come
paiono suggerire gli scambi onomastici tra le due famiglie17. Negli anni ’80
o ’90 del Duecento Puccio Mordecastelli, uno dei personaggi coinvolti nella
vicenda del 1292, sposò Moccia di Gaddo Onesti18. Gli Onesti non compaiono
nei documenti che abbiamo analizzato, ma furono all’inizio del Trecento tra le
più impegnate famiglie di parte bianca. Ghiddino Mordecastelli sposò invece
Tedora, sorella del notaio Spalla Rapondi, che presenziò insieme al collega Pero
Peri all’atto del 31 gennaio 129219.
In effetti nel corso degli anni ’80 e ’90 i Mordecastelli intrattennero rapporti
di varia natura con buona parte dei personaggi elencati nel documento del 1292.
Riporto qui soltanto i casi che mi sembrano più significativi. Nel 1285 Ghisello
Mordecastelli compare come tutore testamentario di tre membri minorenni
della grande domus degli Avvocati20. In quell’occasione agiva, in rappresentanza
dell’intero casato, proprio quel Puccio di Opizzo Normannini che troviamo tra
coloro che avallarono i prestiti del 1292. Per quanto riguarda i Malpigli, si è
già detto che i Mordecastelli erano legati a questa famiglia aristocratica alme-
no dagli anni ’7021. Nel novembre del 1292 Pannocchia Mordecastelli, zio di
uno dei protagonisti di primo piano dell’operazione di soccorso finanziario ai
Berrettani da Barga, Moncello Mordecastelli, fu scelto come tutore del minore
Moncello del fu dominus Betto Salamoni Malpigli, cugino del Ranieri coinvol-

17
Nella famiglia Peri compare infatti nella seconda metà del Duecento il nome Moncello, che fa
parte dello stock onomastico dei Mordecastelli, mentre all’interno di quest’ultima famiglia troviamo
Pero/Peruccio, il nome più ricorrente tra i Peri.
18
ASLu, Not. 87, I, c. 9.
19
ASLu, Not. 54, Rabbito Toringhelli, c. 123r.
20
ASLu, Dipl. Serviti, 1285 febbraio 15.
21
Cfr. cap. II.1.1.
154 Alma Poloni

to in quella stessa operazione in veste di garante22. Sempre nel 1292 lo stesso


Pannocchia concesse un cospicuo prestito a Lando, figlio di Chello Corradi de
Podio, un altro dei procuratori dei Berrettani da Barga23. I de Podio, probabilmen-
te sempre in questa fase, si imparentarono inoltre con gli Onesti: Ugolino del
fu dominus Puccio Porco de Podio sposò Bonuccia figlia di Tancredi Onesti24. La
figlia di Nicolao Porco de Podio andò invece sposa a Bendinello Martini, che si
era trovato in prima fila accanto al padre di lei nei fatti del 129225.
I Mordecastelli rappresentavano insomma un nodo fondamentale della fitta
rete di relazioni alla base della fazione. Questa famiglia di parvenu, come abbia-
mo visto, si era fatta largo con sorprendente rapidità negli anni ’60 soprattutto
intrecciando una serie di legami con importanti casate della nobiltà cittadina26.
È forse ad essa in primo luogo che si dovette, negli anni ’80, l’iniziativa di dare
maggior forza e spessore allo schieramento politico attraverso il coinvolgimento
di alcune potenti e ramificate famiglie aristocratiche. I vantaggi che derivavano
da questa alleanza erano legati naturalmente alla possibilità di disporre delle
clientele armate che i nobili mantenevano in città e nel contado, ma anche
all’opportunità di accedere a un patrimonio di riferimenti culturali e ideali.
I Mordecastelli, i Martini, i Peri e le altre famiglie popolari che diedero vita
alla fazione compirono in questa fase una scelta molto forte che non può essere
interamente ridotta a una questione di strategia politica, e che per la verità
non era priva di rischi. La fazione assunse da subito una evidente coloritura
aristocratica, e non soltanto a causa della consistente presenza di famiglie dalla
fisionomia sociale, politica e culturale nettamente connotata in questo senso.
La costruzione della trama di relazioni personali e familiari fu a quanto pare
accompagnata, rafforzata e giustificata dall’adesione dei popolari ai codici
culturali e ai modelli comportamentali del mondo aristocratico-cavalleresco.
Nei due documenti del 1292 Dino e Gualfreduccio Mordecastelli, Guido e
Bendinello Martini, Moncello Peri e Lando Sartori, tutti di origine popolare,
compaiono con il titolo di dominus, che indica che essi avevano ricevuto l’inve-
stitura cavalleresca. Per queste famiglie non si trattava in realtà di una percorso
interamente nuovo. Come si è visto, già all’inizio degli anni ’70 esse, approfit-
tando probabilmente della presenza in città di Carlo I d’Angiò, avevano ottenu-
to di potersi fregiare del titolo cavalleresco, in grado di ribadire e consolidare

22
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1292 novembre 26.
23
ASLu, Dipl. Serviti, 1292 maggio 29.
24
ASLu, Not. 26, Giovanni Spiafame, c. 95r.
25
ASLu, Not. 52, Rabbito Toringhelli, cc. 738-740.
26
Cfr. sopra, cap. II.1.1.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 155

la loro preminenza sociale e politica27. La scelta di ricorrere di nuovo a questo


forte simbolo di appartenenza tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90,
in un clima politico sempre più teso, ebbe tuttavia un significato di rottura, e
finì come vedremo per collocare queste famiglie, agli occhi dei concittadini, al
di fuori della tradizione culturale e politica del Popolo.

1.3. La fazione dei Rosciompelli e il Popolo


Il processo di «aristocratizzazione» della fazione alla quale facevano capo
diverse famiglie del gruppo dirigente popolare può tuttavia essere meglio com-
preso se viene considerato in parallelo all’evoluzione dell’altro schieramento,
quello che nacque dalla definizione all’inizio degli anni ’80 di un partito guelfo
radicale. Quest’ultimo infatti compì una scelta molto netta a favore del Popolo,
della sua articolata organizzazione istituzionale, dei suoi strumenti propagan-
distici e della sua cultura politica. Le famiglie leaders di questo schieramento
potevano vantare, agli occhi dei gruppi sociali che tradizionalmente si ricono-
scevano nelle parole d’ordine del Popolo, un passato immacolato. Nessuno dei
loro membri, in nessun momento storico, era stato addobbato cavaliere. Esse
inoltre si erano compromesse assai meno rispetto agli Onesti, ai Martini, ai
Peri, ai Rapondi, nella quotidiana gestione del potere, e non avevano alle spalle
decenni di indiscusso protagonismo politico. Il loro gruppo poteva perciò pre-
sentarsi come un soggetto politico nuovo, in grado di promuovere un processo
di ricambio dei vertici politici e di riforma del sistema istituzionale in direzione
di una più ampia ed equa distribuzione del potere, un argomento che trovava
sempre un largo consenso presso diversi settori della società cittadina.
Le due fazioni furono dunque spinte l’una verso l’«aristocratizzazione» poli-
tica e culturale e l’altra verso l’accentuazione delle tematiche popolari anche
dalle scelte compiute nel passato dalle famiglie che le guidavano, scelte che
inevitabilmente limitavano la gamma delle opzioni praticabili. In più si innescò
probabilmente un meccanismo di contrapposizione che spinse gli schieramenti
a radicalizzare le differenze che li separavano, non solo per attingere consensi
in bacini sociali diversi, ma anche per alimentare quel processo di elaborazione
di nuove identità politiche che, come si è detto, è uno dei fenomeni di maggior
rilievo del periodo qui considerato.
La cronaca di Tolomeo da Lucca riporta in corrispondenza dell’anno 1292
la notizia della creazione dell’ufficio dei Priori28. È significativo che la compar-
sa del nuovo organismo politico coincida cronologicamente con la venuta allo

27
Cfr. cap. II.1.2.
28
Tholomei Lucensis Annales, cit., p. 223.
156 Alma Poloni

scoperto, attraverso l’operazione di soccorso finanziario ai Berrettani da Barga,


della fazione che, per comodità, chiamerò dei Mordecastelli29. Il nome completo
della nuova magistratura, «Priori delle società delle armi», faceva riferimento
a un passato ormai lontano del movimento popolare. Nella prima fase della
lotta tra milites e populus infatti, all’inizio del Duecento, il Popolo lucchese era
organizzato come una federazione di società armate di pedites guidata appunto
dai Priori: ogni società aveva diritto a eleggere un Priore. Negli anni ’20 del
Duecento tuttavia questa struttura organizzativa fu completamente abbando-
nata, e i leaders del Popolo puntarono invece sulle corporazioni professionali30;
a capo del nuovo movimento popolare fondato sulle Arti furono posti i Capitani
dei Levati, che non erano più espressione diretta delle società di pedites e nep-
pure delle corporazioni, ma venivano nominati per Porta attraverso un sistema
di cooptazione che non ci è noto. Dalla metà degli anni ’50 i Capitani dei Levati
presero il nome di Anziani del Popolo.
È dunque probabile che il nuovo organo istituzionale nato alla fine del
Duecento attingesse alla memoria politica delle società popolari, al mito di
un’«età dell’oro» nella quale le società guidavano la vita politica cittadina e i lea-
ders popolari erano scelti dal basso, ed erano perciò vicini anche ai cittadini più
deboli e alle loro necessità. Per la regolamentazione della vita interna le società
erano già dotate di un’organizzazione istituzionale fondata su un consiglio gui-
dato da capitani. Questi ultimi, tuttavia, a differenza dei capitani delle Arti, non
avevano accesso al consiglio del Popolo. I Priori, che venivano nominati uno
per ogni societas come all’inizio del secolo, non andarono a sostituire i capitani,
ma fin dall’inizio ebbero una spiccata proiezione esterna31. Essi nacquero cioè

29
Per indicare le fazioni in lotta farò d’ora in poi riferimento a due famiglie popolari che, a quanto
sembra, svolsero fin dalle origini un ruolo trainante per la formazione degli schieramenti e l’elaborazio-
ne della loro identità politica, rispettivamente i Mordecastelli e i Rosciompelli. In nessun documento
coevo si trova riferimento a una «fazione dei Mordecastelli» o a una «fazione dei Rosciompelli». Fino
all’identificazione delle due fazioni con la parte bianca e la parte nera, all’inizio del Trecento – e per la
verità anche in seguito – , esse non godettero di alcun riconocimento ufficiale, nonostante dall’analisi
della documentazione degli anni ’90 emerga in modo abbastanza evidente che già allora esse agivano
come coordinamenti informali e «gruppi di interesse» contrapposti. Il riferimento alle due famiglie è
dettato essenzialmente da una ragione di comodità espositiva. Tuttavia la scelta di famiglie di origine
popolare per indicare schieramenti nei quali militavano anche importanti casate aristocratiche riflette
la mia convinzione che il processo di definizione, anche ideologica, delle due fazioni sia stato guidato
dalle famiglie popolari che in esse si riconoscevano.
30
Poloni, Strutturazione, cit.
31
La comparsa dei Priori non comportò la scomparsa dei capitani: ASLu, Dipl. San Romano, 1298
ottobre 25; ASLu, Not. 26, III, Giovanni Spiafame, cc. 85r-93v, 1308 luglio 15: Bonturo Dati Priore
della società della Testa e Vanni Dati, Cambio Iacopelli, Pietro Clavari capitani della società.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 157

con la finalità di presentarsi come incarnazione unitaria del mondo delle società
popolari, e per esercitare una pressione volta a ottenere per questo mondo un
più ampio spazio di espressione politica. In quanto organo collegiale di stampo
popolare, i Priori non potevano che essere percepiti dai cittadini come contral-
tare degli Anziani, dei quali per contrasto mettevano ulteriormente in luce il
carattere oligarchico.
I Priori erano diciassette, quante erano le società armate, e rimanevano
in carica per tre mesi32. La scarsa documentazione superstite non consente
di formulare alcuna ipotesi generale sulla composizione dei collegi priorali.
Certamente valeva per i Priori il limite censitario al di sotto del quale un
cittadino lucchese non poteva godere dei diritti politici attivi e passivi, cor-
rispondente, come si è detto, a un patrimonio imponibile di 25 lire lucchesi.
Non siamo tuttavia in grado di stabilire quale fosse all’interno di ogni singolo
collegio il peso delle diverse componenti sociali che probabilmente vi trova-
vano spazio, cioè grandi mercanti, bottegai e piccoli commercianti, artigiani. I
pochi documenti che ho potuto rintracciare suggeriscono comunque un ruolo
di primo piano all’interno del Priorato delle famiglie schierate sul fronte oppo-
sto ai Mordecastelli, in particolare Volpelli, Rosciompelli, Arnaldi, Asquini,
Dati, Fiadoni, Gracci, Guerci, Incalocchiati, Margatti, Sandoni, Tegrimi,
Moriconi.
La mia ipotesi è che il nuovo organismo sia stato da subito utilizzato come
strumento di organizzazione e di penetrazione politica dalle famiglie apparte-
nenti alla fazione che, per comodità, chiameremo dei Rosciompelli, dalle fami-
glie, cioè, che negli anni ’80 si erano identificate nel partito guelfo radicale, e
che all’inizio del Trecento si riconosceranno nella parte nera.

Come abbiamo visto, Labro Volpelli aveva condotto insieme ad Adiuto Rosciompelli
le trattative per la conclusione dell’alleanza guelfa del 1284. Ciano (Graziano) Volpelli
fu Priore nel 1296 e lo stesso Labro fu Priore nel 129833.
Adiuto Rosciompelli, l’altro rappresentante di Lucca nel 1284, fu certamente uno
dei principali leaders della fazione. Suo figlio Vanni fu Priore all’inizio del 1295, mentre
Adiuto ricoprì la carica nel 1298. Matteo Rosciompelli fu Anziano nel 1300 e di nuovo
nel 1302; in quella fase, come vedremo, gli esponenti della parte «nera» controllavano
ormai anche l’Anzianato. Nel 1304 Adiuto fu inviato come ambasciatore a Firenze

32
Per l’elenco delle società Tommasi, Sommario, cit., p. 143. Per la durata in carica dei Priori
ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, c. 36, 1302 novembre 27: Ugolino Vecchi notaio «olim prior societa-
tum armorum lucani populi pro societate Teste pro mensibus aprilis, madii et iunii 1302».
33
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; Lettere dei Ricciardi, cit., lettera VII,
pp. 70-83.
158 Alma Poloni

nell’ambito dei contatti diplomatici con i quali il gruppo dirigente fiorentino, anch’esso
di parte nera, chiedeva ai lucchesi di dirimere le discordie interne alla città. Nel 1301
Enrico, un altro figlio di Adiuto, ottenne una prebenda canonicale in seguito all’espul-
sione dal capitolo dei canonici di parte bianca34.
Federigo Arnaldi fu Priore nel 1298 e Anziano nel 1299. Gli Arnaldi furono tra
le famiglie esponenti della parte nera costrette ad abbandonare la città in seguito alla
conquista di Uguccione della Faggiola nel 131435.
Lando Asquini fu Priore nel 1295 e Coluccio Asquini fu Anziano nel 1301. Gli
Asquini avevano relazioni molto strette con diversi membri della famiglia aristocratica
degli Opizi, il punto di riferimento della parte nera36.
Bonturo Dati fu uno dei protagonisti della vita politica di questi anni. Egli era pre-
sente nel dicembre del 1294 al primo atto ufficiale emanato dal collegio dei Priori. Il
fratello Vanni fu Priore nel 1300, e Bonturo ricoprì la stessa carica, per la società della
Testa, nel 1308; contemporaneamente il fratello era capitano della stessa società. Nel
1304 Bonturo fu scelto come rappresentante della sua società nella commissione di 16
uomini nominata da capitano, podestà, Priori e Anziani per trovare una soluzione alle
discordie interne ai guelfi neri fiorentini37.
Anche i Fiadoni furono una delle famiglie di primissimo piano del regime prio-
rale e poi della parte nera. Omodeo, come si è visto, sedette in consiglio generale
nel 1284, quando per la prima volta il partito guelfo radicale riuscì a ottenere un
riconoscimento politico. Puccio Fiadoni, forse fratello di Omodeo, fu Priore nel
1298. Lo stesso anno Omodeo fu uno dei tre arbitri nominati direttamente dai
Priori per gestire il fallimento della compagnia dei Ricciardi. Nel 1304 Omodeo,
come Bonturo Dati, fece parte della commissione nominata da podestà, capitano,
Priori e Anziani per la questione delle discordie interne ai guelfi neri fiorentini. Alla
famiglia Fiadoni apparteneva il frate Tolomeo da Lucca, autore degli Annales lucen-
ses, ma soprattutto uno degli uomini moralmente e politicamente più influenti della
città negli anni di dominio dei neri. Almeno dal 1297 Tolomeo fu consigliere intimo
della contessa Capuana, vedova del conte Ugolino della Gherardesca, rifugiatasi
a Lucca dopo le tristi vicende che avevano coinvolto il marito, e divenuta quasi
un simbolo dei guelfi perseguitati dai feroci ghibellini. Alla sua morte, Tolomeo

34
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. San Romano, 1298 ottobre 25; ASLu, Not. 41,
Lamberto Sornachi, cc. 104r-105r, 1300 luglio 26; ASLu, Dipl. Pergamene disperse, 1302 dicembre 30;
A.N. Cianelli, Dissertazioni sopra la storia lucchese, in Memorie e documenti per servire all’istoria del principato
lucchese, Tomo I, 1813, pp. 224-227; ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v, 1301 novembre 5; sulla vicenda del
capitolo della cattedrale cfr. cap. V.2.3.
35
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20; ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1299 febbraio 9;
ASLu, Dipl. Fregionaia, 1316 ottobre 11.
36
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, 1302 febbraio 1. Per le
relazioni con gli Opizi cfr. cap. V.2.1 e note corrispondenti.
37
BSL, MS 919.25; ASLu, Not. 41, Lamberto Sornachi, cc. 6r-8r, 1300 novembre 20; ASLu, Not.
26, Giovanni Spiafame, 1308 luglio 15; Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 159

ne divenne l’esecutore testamentario. Il frate fu anche esecutore testamentario di


Labro Volpelli38.
Anche Paganello e Gerarduccio Gracci furono consiglieri in consiglio generale nel
1284. Lemmo Gracci fu Priore nel 1296. Lamberto, nipote ex fratre di Lemmo, ottenne
nel 1301 una delle prebende canonicali rimaste vacanti dopo l’espulsione dei canonici
di parte bianca39.
Arrigo Guerci fu Priore nel 1295 e suo figlio Guercio ricoprì la stessa carica nel
1296. Tra i figli di Arrigo, uno si chiamava Omodeo e un altro Rainone, come il padre
di Omodeo Fiadoni. È dunque assai probabile che le due famiglie fossero imparentate.
Lo stretto legame con i Fiadoni è probabilmente una delle ragioni dello schieramento
dei Guerci nella parte nera. Alamanno, nipote ex fratre di Arrigo, fu canonico di Santa
Reparata, probabilmente nell’ambito del tentativo della parte nera di inserirsi nelle
istituzioni ecclesiastiche cittadine40.
Il notaio Lazario Incalocchiati nel 1295 fu incaricato dai Priori di eseguire le rilevazio-
ni necessarie per risolvere la lite tra il monastero di Pozzeveri e il Comune di Vivinaia (cfr.
oltre). Nel 1308 fu rogatario del liber inbannitorum del podestà. Nel 1309 fu Anziano. Nel
1311 insieme a un altro notaio, al capitano del Popolo e al podestà fu incaricato dai collegi
dei Priori e degli Anziani di dirimere una controversia sorta tra il Comune di Camaiore e
un ufficiale lucchese. Lazario fu una specie di tecnico al servizio del regime priorale41.
Freduccio Margatti fu molto impegnato nel Priorato e poi nella parte nera. Egli fu
Priore nel 1295 e ancora nel 1303. Nel 1304 anch’egli fece parte, in rappresentanza
della società del Quartiere, della commissione nominata per elaborare una proposta per
risolvere le tensioni che turbavano la vita politica fiorentina42.
Il notaio Tomuccio Sandoni nel 1299 fu testimone in un atto ufficiale del Comune.
Egli ebbe accesso al Priorato nel 1302 e ancora nel 1304. Nel 1302 il notaio Simuccio,
forse suo figlio, fu vicario della vicaria di Camporeggiana in Garfagnana43.
Il giudice Nicolao, figlio del giudice Tegrimo di Guido medico, fu l’esperto di dirit-
to del gruppo di famiglie che ruotavano intorno al Priorato. Nel dicembre del 1294

38
ASLu, Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20; Lettere dei Ricciardi cit., lettera VII, p. 71: su
questo aspetto cfr. cap. IV.2.2; Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227; ASLu, Dipl. S. Romano, 1297
ottobre 19; Ibidem 1298 settembre 3; Ibidem, 1299 novembre 19; Ibidem, 1309 ottobre 29; ASLu, Not. 61,
Rabbito Torringhelli, c. 73r.
39
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v.
40
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; ASLu,
Dipl. Altopascio dep. Orsetti cittadella, XIII sec.; sulla politica della parte nera nei confronti delle istituzioni
eccelesiastiche cfr. cap. V.2.3.
41
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. Serviti, 1308 agosto 29; ASLu, Dipl. S. Croce, 1309
gennaio 21; ASLu, Dipl. Sped. di S. Luca, 1311 agosto 31.
42
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19; ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1303 agosto 7; Cianelli,
Dissertazioni cit., pp. 224-227.
43
ASLu, Dipl. Certosa, 1299 marzo 7; ASLu, Dipl. Pergamene disperse, 1302 dicembre 30; Cianelli,
Dissertazioni cit., pp. 224-227; ASLu, Not. 87, Iacopino Gualandi, c. 91, 1302 gennaio 1.
160 Alma Poloni

presenziò insieme a Bonturo Dati alla prima sentenza ufficiale emanata dai Priori. Nel
1296 fu egli stesso Priore. Nel 1301 cercò, senza riuscirci, di ottenere una prebenda
canonicale per il figlio Tegrimo, in seguito all’allontanamento dal capitolo dei canonici
di parte bianca. Il figlio Guido nel 1304 fece parte della commissione incaricata di
affrontare la questione delle discordie interne ai neri fiorentini. Nel 1305 Villanuccio,
un altro figlio di Nicolao, fu inserito nella commissione di quattro mercanti incaricati
dagli Anziani e dai Priori di curare la procedura fallimentare dei Dardagnini44.
Lando Moriconi fu Anziano nel 1300. Nel 1304 Nicolao Moriconi fu scelto, insie-
me a due importanti esponenti della fazione, dominus Orlando Salamoncelli e Adiuto
Rosciompelli, come ambasciatore per la questione dei conflitti interni alla parte nera
fiorentina45.

Si può forse anzi ipotizzare che siano state proprio queste famiglie e pro-
muovere e incoraggiare la creazione della nuova rappresentanza unitaria delle
società, convogliando e amplificando un sentimento di malessere che doveva
essere piuttosto diffuso presso la popolazione cittadina. A partire dal 1289-
1290 gli eserciti lucchesi e fiorentini, che erano riusciti a sottrarre a Pisa una
parte consistente del suo territorio, avevano cominciato a ripiegare. Le forze
pisane si erano infatti riorganizzate sotto il comando del condottiero Guido da
Montefeltro46. Le notizie delle sconfitte, delle perdite materiali e umane e della
progressiva ritirata dell’esercito cittadino dovevano produrre un certo effetto a
Lucca.
Tolomeo da Lucca, testimone oculare degli avvenimenti di quegli anni,
così commentava nella sua cronaca la firma della pace che, nel 1294, poneva
fine a dieci anni di guerra aperta tra i pisani e la lega guelfa: «Anno Domini
MCCLXXXXIIII Lucani fatigati laboribus et expensis et propter inequa-
litatem circa onera suportanda comunitatis et [forte] propter animositatem
aliquorum, tractata est pax et facta inter Tuscos et Pisanos». Se diamo credito
a frate Tolomeo, dunque, le proteste dei lucchesi si sarebbero concentrate sulla
questione della distribuzione dei carichi fiscali. Si trattava di un vero e proprio
leitmotiv delle lotte politiche duecentesche, capace di far presa su ampi settori
della società cittadina e di coinvolgerli in azioni di contestazione anche violente.
La riattivazione di parole d’ordine fortemente radicate nella tradizione culturale

44
BSL, MS 919.25; ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12; ACLu, Not. LL 34,
cc. 98v-99v, 1301 novembre 5: cfr. cap. V.2.3. Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227; ASLu, Dipl.
Archivio di Stato, 1305 giugno 16.
45
ASLu, Not. 41, Lamberto Sornachi, cc. 104r-105r, 1300 luglio 26; Cianelli, Dissertazioni, cit.,
pp. 224-227.
46
Poloni, Trasformazioni della società, cit., pp. 163-167.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 161

e politica del Popolo andava a tutto vantaggio della fazione dei Rosciompelli.
A ben vedere, infatti, era al partito guelfo radicale, cioè a questa fazione, che
si sarebbe dovuta imputare la responsabilità di avere coinvolto la città in una
guerra di lunga durata e dagli esiti incerti. L’enfatizzazione di una tematica di
sicuro effetto, quale era quella della iniqua distribuzione degli oneri fiscali, otte-
neva il risultato di indirizzare il malcontento popolare verso coloro che veniva-
no presentati come i detentori del potere, cioè le famiglie che per lungo tempo
avevano incarnato il gruppo dirigente popolare, e che ora si riconoscevano nella
fazione dei Mordecastelli. Queste ultime, per di più, potevano adesso essere
accusate di vicinanza e connivenza con le più potenti casate dell’aristocrazia
cittadina, da sempre incolpate dalla propaganda popolare di godere di ingiusti
privilegi fiscali.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che frate Tolomeo era un Fiadoni, appar-
teneva cioè a una delle famiglie più impegnate nella fazione dei Rosciompelli,
e lui stesso ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politiche degli anni ’90
e del primo decennio del Trecento47. La notazione che troviamo negli Annali in
corrispondenza del 1294, dunque, non è semplicemente la registrazione delle
voci di protesta che Tolomeo raccoglieva dai suoi concittadini, ma probabilmen-
te è essa stessa parte e strumento del processo di reinterpretazione delle vicende
contemporanee portato avanti dai nuovi protagonisti politici.

Considerata la collocazione politica del cronista Tolomeo, dobbiamo pro-


babilmente credergli quando data l’istituzione del Priorato al 1292. Nella
documentazione lucchese, tuttavia, i Priori non compaiono prima della fine del
1294. Ancora nel febbraio del 1294 il consiglio del Popolo si riunì senza che il
nuovo organo vi prendesse parte48. A quanto sembra, il Priorato nacque dal
basso, per iniziativa delle società del Popolo e, probabilmente, della fazione
dei Rosciompelli, senza alcun riconoscimento ufficiale da parte delle istituzioni
comunali.
L’analisi dei primi atti riguardanti i Priori delle società può forse aiutarci a
ricostruire il processo che portò il nuovo collegio a imporsi al vertice del sistema
istituzionale lucchese. A quanto mi risulta, il più antico documento nel quale
compaiono i Priori risale al dicembre del 1294. Purtroppo non sono riuscita a
rinvenire la pergamena originale nell’Archivio di Stato di Lucca; le mie osser-
vazioni si basano dunque sul regesto del documento e su una trascrizione, piut-

47
Per la vita di Tolomeo cfr. Einleitung, in Tholomei Lucensis Annales, cit., pp. VII-XXI.
48
ASLu, Dipl. S. Croce, 1294 febbraio 26.
162 Alma Poloni

tosto confusa, realizzata dall’erudito settecentesco G.V. Baroni49 I membri della


famiglia dei Berrettani da Barga insieme ai loro procuratori e garanti del 1292,
da una parte e il rappresentante del Comune di Sommacolonia in Garfagnana
dall’altra richiedevano l’arbitrato di tre Priori delle società per risolvere le
controversie sorte tra di loro «occasione castri, burgi, podii, turris et cassari de
Summacolonia et occasione terrarum, camporum et quarumcumque aliarum
possessionum et occasione placiti districtus, iurisdictionis fidelitatis manentie
homagii et …alterius honoris et servitii qui predicti haberent …in dicta terra et
castro». A quanto sembra i Berrettani da Barga e i loro amici avevano acqui-
stato i diritti signorili su Sommacolonia da alcuni lucchesi, in particolare dai
Gherardinghi, un’altra famiglia signorile della Garfagnana.
Si tratta di una testimonianza per molti versi sorprendente. I lucchesi che
avevano finanziato i Berrettani de Barga appartenevano infatti, come si è detto,
alla fazione dei Mordecastelli, mentre il Priorato era legato alla fazione avversa
dei Rosciompelli. La figura chiave della strana operazione del dicembre 1294
è probabilmente Perfetto del fu Cristofano Manenti, un personaggio piuttosto
ambiguo. Egli infatti aderiva senza alcun dubbio alla fazione dei Mordecastelli,
come prova il suo coinvolgimento nei movimenti finanziari del 1292 nella
doppia veste di garante e di prestatore. Perfetto inoltre era in relazione fin
dalla seconda metà degli anni ’80 con Guiduccio Martini, uno dei procuratori
nominati dai Berrettani da Barga nel 1292, e uno dei più attivi animatori della
fazione dei Mordecastelli e poi della parte bianca50; il Martini fu anche scelto
da Perfetto come suo esecutore testamentario51. Una figlia di Perfetto sposò
proprio il figlio di Guiduccio, l’altra andò in sposa a Nerio, figlio di un altro
personaggio di primo piano della fazione dei Mordecastelli, Nicolao Porco de
Podio52.
Nel dicembre del 1294, tuttavia, Perfetto era uno dei Priori incaricati
della risoluzione della questione di Sommacolonia, insieme a Marraghino
Bonaventure e Picchio caciaiolo da Puticciano. Marraghino e Picchio erano
personaggi fortemente impegnati nella fazione dei Rosciompelli; Marraghino,
già Anziano nel 1284, probabilmente come rappresentante del partito guelfo
radicale, fu ancora Priore nel 129653, mentre Picchio nel 1310 fu, insieme a
Bonturo Dati e Cecco dell’Erro, il promotore di un cambio di rotta politica in

49
La segnatura del documento è ASLu, Dipl. S.M. Fiorentini, 1294 dicembre 10. La trascrizione è
in BSLu, MS 919.25.
50
ASLu, Dipl. Bigazzi, 1286 marzo 14.
51
ASLu, Dipl. Compagnia della Croce, 1299 aprile 22.
52
ASLu, Dipl. Compagna della Croce, 1303 agosto 7; Ibidem, 1333 agosto 28.
53
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1296 ottobre 12.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 163

senso ancora più radicalmente popolare54. Lo stesso Bonturo Dati era presente
al pronunciamento della sentenza arbitrale del 1294, insieme al giudice Nicolao
Tegrimi, l’esperto di diritto della fazione dei Rosciompelli.
Non sappiamo come Perfetto Manenti, così compromesso con lo schiera-
mento dei Mordecastelli, fosse riuscito a farsi nominare all’interno del Priorato,
ma è certo che egli rappresentò nel 1294 l’elemento di collegamento tra le due
fazioni. I Priori comunque stabilirono che i Berrettani da Barga e i loro sodali
lucchesi avrebbero dovuto vendere al Comune di Sommacolonia il borgo forti-
ficato di Sommacolonia con tutti i diritti signorili che essi esercitavano sui suoi
abitanti, per il prezzo di 3800 lire lucchesi. I Priori osservavano infatti «quod
non expedit honori vel utilitati lucensis comunis quod aliqua singulari et priva-
ta persona habeat iurisdictionem vel castrum aut fortezzam in lucana fortia et
maxime extra districtus sex miliarum». Inserendo questa motivazione i Priori
sconfinarono dal loro ruolo di arbitri scelti nell’ambito di una composizione pri-
vata, un ruolo che non aveva alcuna connotazione istituzionale, e trasformarono
la sentenza in un’occasione pubblica per promuoversi come veri difensori del
Comune di Lucca e dell’integrità dei suoi diritti giurisdizionali sul territorio.
Neppure la fazione dei Mordecastelli usciva però tanto male dalla vicenda
del 1294. Le 3800 lire lucchesi che gli abitanti di Sommacolonia venivano invi-
tati a pagare per la loro libertà erano una somma molto alta; l’autorità morale
dei Priori e la loro fama di imparzialità favorì probabilmente l’accettazione di
una composizione che si rivelava molto onerosa per il piccolo Comune rurale.
Le famiglie che erano andate in soccorso dei Berrettani da Barga potevano ora,
grazie anche alla collaborazione dei Priori ottenuta attraverso l’intermediazione
di Perfetto Manenti, rientrare in possesso almeno di una parte del denaro che
certamente avevano perso con l’operazione del 129255.
È possibile che i Priori abbiano ottenuto altri vantaggi dalla disponibilità
dimostrata verso la fazione dei Mordecastelli, oltre all’opportunità di mostrare
pubblicamente la loro sollecitudine nei confronti dei diritti del Comune. Il 1295
segna infatti un anno di svolta per il nuovo organismo popolare. A gennaio i
Priori mandarono a Vivinaia – l’attuale Montecarlo – una delegazione composta
da due membri del collegio priorale, da un notaio incaricato della registrazione

54
Le croniche di Giovanni Sercambi, cit., p. 57.
55
Infatti, dal momento che i Berrettani da Barga non erano in grado di pagare i loro debiti, i
fideiussori furono costretti a rispondere al loro posto. Molti dei garanti tuttavia non poterono o non
vollero saldare la loro parte del debito. Due documenti, uno del 1299 e uno del 1302, mostrano come
a distanza di anni gli eredi di Marcovaldo Mordecastelli non fossero ancora riusciti a rientrare in
possesso di quanto avevano anticipato nel 1292 (ASLu, Dipl. S. Romano, 1299 luglio 7; ASLu, Not. 37,
Giovanni Beraldi, cc. 12v-14v, 1302 ottobre 19).
164 Alma Poloni

degli atti da loro prodotti, e da Lazario Incalocchiati, anch’egli notaio, in qualità


di agrimensore56. Il compito della delegazione era di procedere alla divisione di
un terreno conteso tra l’abbazia di Pozzeveri e il Comune di Vivinaia. I Priori
intendevano così dare esecuzione a una sentenza che aveva stabilito che metà
del detto terreno spettasse all’abbazia. Nel documento non viene mai chiarito
chi avesse pronunciato la sentenza. Se si fosse trattato di una decisione arbitrale
degli stessi Priori, molto probabilmente ne avremmo trovato un riferimento più
esplicito all’interno dell’atto. È più plausibile che la sentenza fosse stata ema-
nata da qualche tribunale cittadino, forse dalla curia dei Treguani, competente
per le questioni patrimoniali che coinvolgevano enti ecclesiastici e religiosi.
L’ambiguità era probabilmente voluta: i Priori in questa fase non avevano alcun
formale potere coercitivo che consentisse loro di imporre il rispetto dei pronun-
ciamenti delle curie cittadine.
In effetti la spedizione sembra essere stata organizzata per iniziativa esclu-
siva dei Priori, che in nessun passo del documento dichiarano di agire per
mandato degli Anziani o di altre autorità comunali. L’intervento dei Priori era
stato probabilmente sollecitato dall’abbazia di fronte alla resistenza opposta
dal Comune di Vivinaia all’applicazione della sentenza. Anche nel gennaio
del 1295 gli abitanti del villaggio si rifiutarono di partecipare alle operazioni
di terminazione e di divisione del terreno conteso. Il podestà del Comune di
Vivinaia, Albertino da Tassignano, giustificò questa decisione affermando
«quod Lucanum Comune et dicti Priores pro Lucano Comuni possunt facere
quicquid volunt tamque domini, verumtamen predicta eis non placebant». Per
Albertino, dunque, i Priori rappresentavano il Comune di Lucca e i poteri che
esso esercitava sul territorio; che essi avessero ricevuto o meno un mandato for-
male dalle istituzioni comunali era una sottigliezza tecnica alla quale Albertino
sembra indifferente.
Le numerose ambiguità di questo testo riflettono probabilmente l’effettiva
ambiguità della posizione, nel quadro politico-istituzionale lucchese, del nuovo
organo popolare nei due anni immediatamente successivi alla sua creazione.
La decisione dell’abbazia di Pozzeveri di rivolgersi proprio ai Priori e non
agli Anziani, come sarebbe stato più corretto dal punto di vista formale, non
fu forse determinata soltanto dall’autorità morale e dalla fama di imparzialità
che la nuova magistratura aveva già conquistato. Patroni dell’abbazia erano
infatti i da Porcari, famiglia aristocratica in seguito molto impegnata all’interno

56
ACLu, Dipl. V 39, 1295 gennaio 19-29; ed. M. Seghieri, Le pergamene di Vivinaia, Montechiari, San
Piero in Campo (secc. XI-XIV), a cura di S. Nelli, presentazione di A. Romiti, Lucca, Istituto storico
lucchese, 1995, pp. 251-254.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 165

della parte nera, e che dunque probabilmente già negli anni ’90 appoggiava in
qualche modo la fazione dei Rosciompelli57. Si creava in questo modo un altro
significativo cortocircuito storico dal forte impatto propagandistico, poiché pro-
prio un da Porcari, Ingherame, aveva guidato il Popolo delle società dei pedites
all’inizio del Duecento.
In ogni caso, forse con la collaborazione della casata aristocratica, i Priori
ebbero l’opportunità di presentarsi ancora una volta come i veri difensori del-
l’autorità e del potere politico e giurisdizionale del Comune di Lucca, sia che
esso fosse minacciato dalle ambizioni signorili di privati cittadini, come nel caso
di Sommacolonia, sia che esso fosse sfidato dalla passiva resistenza degli abi-
tanti di un Comune rurale, come nel caso di Vivinaia. Il tono del documento del
1295 è infatti molto severo nei confronti degli uomini del villaggio, che avevano
rifiutato di dare esecuzione a una sentenza emanata da un organo giudiziario
della città di Lucca58.
Nei due anni successivi alla loro fondazione i Priori non erano inseriti nel
sistema politico-istituzionale del Comune. Fin da subito, tuttavia, essi furono
impegnati a costruire e promuovere l’immagine di un organismo finalizzato
non tanto o non soltanto alla protezione degli iscritti alle società del Popolo,
ma più in generale alla difesa e al rafforzamento dell’autorità del Comune di
Lucca e delle sue istituzioni dentro le mura cittadine e nel contado. Anche in
questo caso non si trattava certo di un tema propagandistico nuovo, era anzi

57
Nel 1301 Parentuccio figlio del dominus Bonifazio da Porcari ricevette una delle prebende
canonicali che si erano liberate dopo l’allontanamento dal capitolo dei canonici di parte bianca (ACLu,
Not. LL 34, cc. 98v-99v). Nel 1303 dominus Parente da Porcari fu ambasciatore del Comune di Lucca
alla curia pontificia (ASLu, Dipl. Serviti, 1304 giugno 7); nella delegazione compaiono anche dominus
Filippo da Tassignano e dominus Luto degli Opizi, esponenti di due delle principali famiglie aristocrati-
che della parte nera. Nel 1314 i da Porcari abbandonarono la città dopo l’ingresso di Uguccione della
Faggiola (L. Green, Castruccio Castracani. A Study on the Origins and Character of a Fourteenth-Century
Italian Despotism, Oxford, Clarendon Press, 1986, pp. 53-54).
58
Fin dalle prime righe del testo infatti i Priori sottolineavano che intendevano procedere alla divi-
sione del terreno «secundum formam sententie late inter comune Vivinarie ex una parte et abbatiam
predictam ex alia, alias si [gli abitanti di Vivinaia] venerint sive non, procedetur ad predicta facienda,
prout iuris fuerit et debebit». Poche righe più sotto, dopo aver riportato l’invito pubblicamente rivol-
to ai consoli del Comune rurale perché presenziassero alla terminazione, si ribadiva: «cum predicti
Priores omnino intendant predicta facere et dividere et partem dicti terreni dare et assignare sindico
abbatie predicte et ipsi abbatie, alias si venerint sive non, procedent ad predicta facienda et exequenda
eorum absentia et negligentia non obstante». Dopo che il podestà Albertino da Tassignano ebbe spie-
gato le ragioni del rifiuto degli uomini del villaggio di presenziare all’operazione, i Priori consigliarono
loro di ripensarci, e ripeterono che essi «intendunt pro firmo ad executionem predictorum procedere,
alias si steterint sive non, predicta executioni mandarentur, eorum absentia et contumacia non obstante
prout de iure debent».
166 Alma Poloni

un cavallo di battaglia del movimento popolare delle origini. In tutti i conte-


sti comunali gli Anziani del Popolo, intorno alla metà del Duecento, non si
presentarono semplicemente come rappresentanti di una parte politica, ma
come espressione di tutta la cittadinanza, come veri interpreti della più nobile
tradizione comunale. Il consolidamento dei diritti giurisdizionali del Comune
nel suo territorio, attraverso l’eliminazione o la riduzione dei poteri signorili e
l’assoggettamento dei Comuni rurali, fu in tutta l’Italia centro-settentrionale un
elemento fondamentale del programma politico dei regimi popolari nei decenni
centrali del Duecento.
Come abbiamo già osservato in più occasioni, lo schieramento che si ricono-
sceva nel Priorato faceva ricorso a una vera e propria accumulazione di tematiche,
rivendicazioni, stilemi che dovevano apparire una sorta di sintesi della «genuina»
tradizione popolare. Proponendosi come i veri difensori dei diritti del Comune, i
Priori creavano un’implicita e polemica contrapposizione con gli Anziani, ai quali
istituzionalmente questo compito sarebbe spettato. Essi insinuavano insomma
l’idea che gli Anziani si fossero ormai talmente allontanati dalla cultura politica
del Popolo che si rendeva necessaria la supplenza di un altro organo in grado di
riportare le istanze popolari al centro del dibattito politico.
Nel gennaio del 1295, peraltro, i Priori avevano già ottenuto un’importante
vittoria. Il 29 gennaio i delegati inviati a Vivinaia presentarono ai rappresen-
tanti delle società armate una relazione sui risultati della loro missione. I Priori
si trovavano in quel momento nel palazzo di San Michele in Foro, il luogo
istituzionale per eccellenza, dove si riuniva il consiglio generale. È probabi-
le che la loro presenza nell’edificio fosse legata proprio alla partecipazione
all’assemblea consiliare. La prima attestazione diretta della presenza dei Priori
in consiglio risale al settembre di quello stesso anno59. Sappiamo però che il
consiglio generale veniva rinnovato nel mese di gennaio di ogni anno; è dunque
probabile che i Priori si fossero visti riconoscere il diritto di prendere parte
alle riunioni proprio in occasione dell’insediamento dell’assemblea all’inizio del
1295. La concessione sarebbe dunque avvenuta pochi giorni dopo l’emanazio-
ne della sentenza arbitrale riguardante Sommacolonia, e forse non fu un caso.
Può darsi che la fazione dei Mordecastelli, che ancora occupava posizioni di
potere nell’Anzianato e nelle altre istituzioni comunali, si fosse impegnata a
favorire – o comunque a non ostacolare – l’ingresso nel consiglio dei rappresen-
tanti delle società in cambio di una loro collaborazione nella spinosa questione
di Sommacolonia.

59
ASLu, Dipl. Archivio dei Notari, 1295 settembre 30.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 167

2. Una parte al potere


2.1. L’affermazione politica dei Priori
Negli anni successivi lo spazio politico che i Priori si erano gradualmente
conquistati attraverso un attento uso degli strumenti propagandistici e dei
contatti informali con diversi settori della società cittadina fu definito formal-
mente e istituzionalizzato. A quanto pare, infatti, i rappresentanti delle società
andarono a costituire una sorta di corte d’appello alla quale si potevano libera-
mente rivolgere tutti i cittadini e i comitatini che ritenevano di essere vittime di
ingiustizie60. In una di queste petizioni un tale Baruffaldo di Compito blandiva
i Priori definendoli «cognoscitores iniquitatum». Anche in questo caso siamo
davvero di fronte a un tema forte del discorso popolare, la tutela dei diritti dei
più deboli, che spesso non avevano le risorse economiche o culturali per difen-
dersi efficacemente nei tribunali61. Anche la natura di organo specificatamente
deputato alla difesa e alla promozione dei diritti del Comune fu riconosciuto
istituzionalmente. I Priori presero infatti a riunirsi regolarmente per provvede-
re «super factis lucani comunis et iuribus spectantibus que spectare debent ad
lucanum comune»; alle loro deliberazioni in questo ambito veniva data imme-
diata esecuzione dal Maggior Sindaco, oppure, nei casi più controversi, esse
passavano nei consigli62.

60
Nel dicembre del 1297 Baruffaldo di Compito si rivolse ai Priori per ottenere l’invalidazione di
una sentenza emanata in relazione a una lite per questioni patrimoniali che lo opponeva a Tronfio del
fu Mercadante, anch’egli di Compito (ASLu, Dipl. San Ponziano, 1297 dicembre 4). Un atto notarile
provava che Baruffaldo aveva accettato la sentenza; egli sosteneva tuttavia di non avere mai acconsen-
tito, e che l’instrumentum era falso. Nel settembre di quello stesso anno dominus Dino Mordecastelli si
rivolse al Maggior sindaco perché intervenisse contro la decisione dei Priori di invalidare alcuni publica
instrumenta che Dino aveva ottenuto contro i Comuni di Buggiano e di Massa pisana (ASLu, Not. 29,
Orlando Ciapparoni, c. 10. 1297 settembre 2). È probabile che i rappresentanti dei due Comuni si
fossero appellati ai Priori contro i presunti soprusi dei Mordecastelli. I Priori riuscirono inoltre a far
approvare dal consiglio del Popolo una norma che prevedeva che chiunque intendesse vendere una
sua proprietà doveva denunciare la sua intenzione ai notai, uno per Porta, appositamente nominati a
questo scopo (ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1299 febbraio 9). A questo punto la vendita veniva pubblicamente
annunciata in consiglio generale e chiunque ritenesse di avere dei diritti sul bene in questione poteva
farli valere entro due mesi. Il significato di questa disposizione era ancora una volta la tutela dei diritti
di tutti i cittadini contro ogni tipo di sopruso o di azione contro giustizia.
61
Poloni, Trasformazioni della società, cit., pp.48-55.
62
Nel novembre del 1297 i Priori si riunirono per prendere provvedimenti contro lo sfruttamento
da parte di privati delle miniere metallifere dei monti della Versilia, che essi consideravano lesivo dei
diritti esclusivi del Comune di Lucca (ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20). A questa
deliberazione si oppose Gerio Castracani, che fu in grado di dimostrare che i diritti che la sua famiglia
rivendicava sulle miniere erano del tutto legittimi. Nell’ottobre del 1298 i Priori diedero inizio a una
168 Alma Poloni

Dal 1300 i documenti registrano un importate mutamento ai vertici della


struttura istituzionale del comune di Lucca63. Tutte le funzioni che fino a quel
momento erano riservate agli Anziani furono da allora svolte dai «collegia
anthianorum et priorum». I Priori avevano cioè ottenuto di affiancare gli
Anziani, sullo stesso piano, in tutti gli affari politici, e di condividerne tutti i
poteri. Da quella data i due organi costituirono una sorta di direttivo unico alla
guida della politica comunale.

Come si è visto, dunque, il gruppo di pressione che si affacciò sulla scena


politica lucchese negli anni ’80 del Duecento – quella che abbiamo definito
la fazione dei Rosciompelli – nel corso degli anni ’90 conquistò uno spazio
gradualmente più ampio agganciandosi alla memoria politica e alla tradizione
culturale del Popolo. Esso anzi, se si accetta la ricostruzione che ho proposto
nelle pagine precedenti, elaborò nel tempo, in parte anche per reazione e in
risposta alla strategia comunicativa del gruppo avversario, un vero e proprio
discorso politico. Tale discorso rivendicava al Priorato, e dunque alla fazione
dei Rosciompelli, l’autentica eredità del movimento popolare delle origini, che
era stata in qualche modo accantonata o addirittura tradita dall’élite di potere
che si esprimeva nell’Anzianato, del quale facevano parte numerose famiglie
della fazione dei Mordecastelli. La produzione di questo discorso non era
soltanto funzionale al conflitto in corso, ma faceva parte essa stessa del lungo
processo di costruzione e di modificazione dell’identità politica del gruppo di
pressione guidato dai Rosciompelli. Verso la fine degli anni ’90 due erano gli
elementi cardine di questa identità: il guelfismo radicale, o meglio la difesa della
genuina tradizione guelfa della città, e la salvaguardia della tradizione politica
e culturale del Popolo.
Naturalmente l’enfatizzazione delle tematiche popolari non implica che la
fazione dei Rosciompelli non potesse contare sull’appoggio di alcune importanti
famiglie aristocratiche. Si è già fatto riferimento alla vicinanza a questo schiera-
mento dei da Porcari, e anche alcuni esponenti dei Salamoncelli, dei Simonetti
e dei Sornachi vi svolsero un ruolo di primo piano. Ma la casata aristocratica
che, a quanto pare, si impegnò più attivamente per favorire il coinvolgimento
di alcuni nobili nella futura parte nera fu quella degli Opizi, e in particolare il

controversia con il convento dei frati predicatori in relazione, a quanto pare, a una strada che questi
ultimi avevano sbarrato precludendone l’accesso; il documento tuttavia è molto danneggiato e di diffi-
cile lettura (ASLu, Dipl. S. Romano, 1298 ottobre 25).
63
La prima attestazione dei «collegia anthianorum et priorum» risale al luglio del 1300: ASLu,
Not. 41, Lamberto Sornachi, cc. 104r-105r, 1300 luglio 26.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 169

ramo dei Malaspina. Essi ebbero in un certo senso la stessa funzione che nella
fazione dei Mordecastelli fu svolta principalmente dei de Podio: rappresentarono
cioè una sorta di anello di congiunzione tra l’area popolare e l’area aristocratica
del gruppo, garantendo, attraverso una fitta rete di rapporti personali e familia-
ri, il collante tra componenti sociali diverse e a volte reciprocamente diffidenti.
Nel 1288, infatti, Ardiccione figlio di Orlando di Ariccione Malaspina degli
Opizi sposò Adalagia figlia di Adiuto Rosciompelli64. Gli Opizi erano inoltre in
rapporti molto stretti con gli Asquini, un’altra famiglia popolare in prima linea
nella fazione dei Rosciompelli65. Tolomeo da Lucca data al 1280 l’inizio della
«guerra» tra i Mordecastelli e gli Opizi. Giovanni Sercambi accenna invece
all’esistenza di forti tensioni tra quest’ultima casata da una parte e i Ciapparoni
e gli Antelminelli dall’altra a causa di una questione legale. In effetti è possibile
che ai contrasti politici che dividevano le due fazioni si sovrapponessero e in
qualche modo si sommassero le inimicizie alimentate spesso di generazione in
generazione dai lignaggi aristocratici.
È probabile tuttavia che le famiglie della nobiltà cittadina percepissero che
lo scenario politico stava rapidamente cambiando, e che il sistema di potere
che si era consolidato dagli anni ’60, fondato sulla centralità dell’Anzianato e
sulla forte influenza esercitata da un nucleo ristretto di famiglie popolari, si
stava sgretolando. Le tensioni determinate dalla comparsa del nuovo gruppo
di pressione stavano portando alla definizione di un nuovo spazio politico, nel
quale i nobili speravano forse di tornare a svolgere un ruolo di primo piano
dopo anni di sostanziale emarginazione. La scelta delle singole casate di punta-
re sull’una o sull’altra fazione non fu però dettata soltanto da una valutazione
complessiva delle forze in campo e delle reali possibilità di vittoria delle due
parti, ma entrarono probabilmente in gioco fattori più complessi. La fazione
dei Rosciompelli aveva assunto da subito una forte connotazione popolare. I
lignaggi che optavano per questo schieramento sapevano che esso avrebbe in
ogni caso mantenuto una struttura istituzionale di impronta popolare, e che
essi sarebbero sempre rimasti esclusi tanto dall’Anzianato quanto dal Priorato.
La loro influenza politica, dunque, avrebbe sempre dovuto esprimersi in modo
mediato e informale, al di fuori degli spazi istituzionali, attraverso un’attenta
gestione dei rapporti con i maggiori leaders popolari. In più, anche i compor-
tamenti e lo stile di vita di questi nobili dovevano in qualche modo adattarsi a

64
ASLu, Dipl. S. Ponziano, 1288 giugno 12.
65
Diversi membri in particolare del ramo dei Malaspina compaiono come testimoni negli atti che
riguardano gli Asquini: cfr. per esempio ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, c. 7, 1302 febbraio 2; ASLu,
Not. 26, II, Giovanni Spiafame, c. 69v, 1304 agosto 13; Ibidem, III, c. 7r, 1308 gennaio 17.
170 Alma Poloni

urtare il meno possibile la sensibilità popolare: essi dovevano cioè rinunciare


all’esibizione quotidiana del loro status e ai tratti più appariscenti del modello
sociale aristocratico-cavalleresco. L’adesione alla fazione comportava dunque
per queste famiglie aristocratiche una parziale ridefinizione o almeno una rica-
libratura della propria identità sociale. Ciò contribuisce forse a spiegare perché
la fazione dei Rosciompelli fu scelta da un numero di nobili decisamente infe-
riore rispetto a quella dei Mordecastelli.

2.2. La radicalizzazione del conflitto


Il primo gennaio del 1301, secondo il racconto delle cronache, accadde
l’episodio che fece precipitare la situazione. Due membri della fazione dei
Mordecastelli, Bacciameo Ciapparoni e Bonuccio Antelminelli, uccisero il giu-
dice Opizo del fu dominus Malaspina. Quest’ultimo era un anziano e rispettato
esponente della casata aristocratica alleata dei Rosciompelli, «molto amato dal
populo», secondo le parole di Giovanni Sercambi, probabilmente anche per la
sua professione e la lunga collaborazione con le istituzioni comunali66. Il fatto
di sangue provocò una forte reazione popolare che si concluse con la decapi-
tazione di Ranuccio Mordecastelli, riconosciuto come mandante dell’omicidio,
e con l’assalto e l’incendio delle case degli Antelminelli, dei Mordecastelli e di
altri esponenti di spicco della fazione. I personaggi più compromessi abbando-
narono la città e si rifugiarono a Pisa. Tra gli esuli di origine popolare troviamo
naturalmente molti membri della famiglia Mordecastelli, ma anche Bendinello
Martini con i figli Lotto e Vanni, Dino Onesti, Nuccio figlio del notaio Pero
Peri, Bonagiunta Carincioni e il figlio Carincione, Ceccorino Rapondi, Iacobo
Streghi e il figlio Perotto, Coluccio Schiatta, Puccino, Rainaldello e Bendinello
Barca, Puccio da Chiatri e i fratelli Coluccio, Dettoro e Ricciardello Lieti. Tra
gli aristocratici, numerosi membri della ramificata domus degli Antelminelli,
alcuni Avvocati, Chello figlio di Nicolao Porco e altri de Podio, vari del Bosco, i
Berrettani da Barga67.
Con l’uccisione del giudice Opizo la fazione dei Mordecastelli scelse la
radicalizzazione del conflitto. È probabile che questa decisione fosse legata a

66
La cronica di Giovanni Sercambi, cit., pp. 49-50. Dominus Opizo causidicus del fu dominus Malaspina
è già citato in un atto del 1259 (ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1259 ottobre 29); egli doveva dunque essere
nato almeno negli anni ’30. In numerose occasioni il giudice mise le sue competenze al servizio del
Comune di Lucca: cfr. per esempio AALu, Dipl. * B 88, 1267 ottobre 12; AALu, Dipl. * O 37, 1276
ottobre-novembre.
67
ASLu, Not. 29, Orlando Ciapparoni; ed. C. Cardon, Il protocollo notarile di orlando di Orlando
Ciapparoni, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 1999-2000, relatore M. Tangheroni. Il notaio Orlando
fu tra gli esuli, e rogò gli atti dei lucchesi a Pisa.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 171

una valutazione di quanto stava accadendo a Firenze e a Pistoia, dove in quegli


stessi mesi i guelfi bianchi, attraverso atti di forza, conquistarono il controllo
della città. Tutte le cronache fanno inoltre riferimento a un ruolo svolto dietro
le quinte dai pisani, che all’inizio del Trecento tentavano di proporsi come
punto di riferimento e di coordinamento dei guelfi bianchi di Toscana, ostili a
Bonifacio VIII. Ma se concentriamo l’attenzione sulla situazione interna luc-
chese, notiamo che in realtà a cavallo tra Due e Trecento le opzioni politiche a
disposizione della fazione dei Mordecastelli si erano drasticamente ridotte. È
probabile che le famiglie popolari dello schieramento avessero continuato ad
avere accesso all’Anzianato. La riforma istituzionale del 1300 tuttavia aveva
fortemente ridimensionato il potere del vecchio organismo popolare. I Priori
infatti erano diciassette, mentre gli Anziani erano nove; quando le due magi-
strature si riunivano in collegio gli Anziani, senza la collaborazione di almeno
una parte del Priorato, non potevano imporre la propria linea, neppure votando
all’unanimità.
Quest’ultima evenienza era del resto improbabile, poiché nell’Anzianato
entravano anche esponenti della fazione dei Rosciompelli, mentre i sodali dei
Mordecastelli sembrano rigidamente esclusi dal Priorato. Quasi certamen-
te questa esclusione non era giustificata con l’appartenenza fazionaria, dal
momento che, come vedremo, neppure dopo il 1301 le parti furono formalmen-
te riconosciute come fondamenti di discriminazione politica e giuridica. Molte
delle famiglie popolari che aderirono alla fazione dei Mordecastelli avevano
fin dagli anni ’70 diversi membri insigniti della dignità cavalleresca. Come in
molti altri Comuni, l’iscrizione alle società del Popolo era interdetta ai «milites
et eorum filii et nepotes carnales de patrimonio», i quali dunque, logicamente,
non potevano neppure essere Priori delle società68.
Come si è detto, negli anni ’90 la fazione dei Rosciompelli fu impegnata
nella produzione di un discorso politico fondato soprattutto sul reimpiego di
tematiche e parole d’ordine che rimandavano in qualche modo all’«età dell’oro»
del movimento popolare delle origini. L’impressione tuttavia è quella di trovarsi
di fronte a un monologo, più che a una dialettica o a un confronto tra discor-
si. La fazione dei Mordecastelli sembra «muta», non sembra cioè in grado di
formulare una proposta alternativa a quella degli avversari. È probabile che
l’appropriazione del linguaggio aristocratico abbia costituito alla lunga più un
ostacolo che un fertile punto di partenza per lo sviluppo di un discorso capace
di coinvolgere e aggregare settori della società cittadina intorno ai leaders dello
schieramento.

68
Statuto del Comune, cit., p. 241.
172 Alma Poloni

Le mosse degli avversari paiono spiazzare i Mordecastelli e i loro sodali.


Famiglie come i Martini, gli Onesti, i Carincioni, i Rapondi, i Peri, i Lieti iden-
tificavano la propria storia familiare con la storia del Popolo. Erano le famiglie
che avevano fatto il Popolo, che l’avevano guidato fin dalle sue origini nei
primissimi anni del Duecento. Il fatto di costituire il cuore dell’élite dirigente
popolare rappresentava un elemento centrale della loro identità di gruppo. Si
può dunque immaginare l’effetto straniante che dovette avere su di loro l’ap-
propriazione della tradizione popolare da parte della fazione dei Rosciompelli
e la relegazione a un ruolo marginale dell’Anzianato, lo strumento istituzionale
della loro influenza politica.
L’incapacità di proporre una visione politica coerente in grado di allargare
il consenso intorno allo schieramento si ripercosse negativamente anche sulla
coesione interna del gruppo. Il deficit di comunicazione produsse cioè – o forse
fu conseguenza di – un’identità politica debole. Il vero collante della coalizione
era rappresentato da un fittissimo intreccio di relazioni personali e familiari
incentrato sui Mordecastelli. È chiaro che anche i membri della fazione dei
Rosciompelli preferivano cercare alleanze matrimoniali all’interno del proprio
raggruppamento. Tuttavia molti tra i principali esponenti di questo schiera-
mento non sembrano avere con gli altri particolari legami che vadano al di là
della vicinanza determinata dall’affinità politica, e comunque non si riscontra
all’interno della fazione dei Rosciompelli nulla di paragonabile all’intricata rete
di rapporti familiari che si intravede dall’altra parte.
Il minor grado di coesione riscontrabile nella fazione dei Mordecastelli,
determinato dal deficit identitario ma probabilmente anche dalla situazione
di inferiorità politica già evidente alla fine degli anni ’90, è confermato dalle
spaccature che si verificarono all’interno di alcune delle famiglie degli aderenti.
Abbiamo già visto che il notaio Spalla Rapondi fu uno dei principali esponenti
del gruppo, e che la sorella Tedora sposò Ghiddino Mordecastelli. Un altro
nucleo familiare dei Rapondi tuttavia, quello dei figli di Guido, probabilmente
cugini di primo grado di Spalla, compì una scelta diversa: nel 1298 Dino di
Guido sposò Volpella figlia di Graziano Volpelli, appartenente dunque a una
famiglia di primo piano della fazione dei Rosciompelli69. Il contratto matrimo-
niale fu concluso da Dino e dai suoi fratelli Ciucco (Bartolomeo) e Vannetto
(Giovanni), che come abbiamo visto erano setaioli di una certa importanza70. La
presa di distanza dalle posizioni di Spalla consentì anzi a Ciucco di conquistare
una certa influenza politica. Egli fu infatti Anziano nel 1300, e nel 1307 fu tra

69
ASLu, Not. 24, Filippo Risichi, c. 193v, 1298 luglio 21.
70
Cfr. cap. III.1.2.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 173

i mercanti scelti dal consiglio del Popolo per curare le procedure fallimentari
della compagnia dei Corbolani, un incarico che non gli sarebbe stato conferito
se fosse stato inviso al regime dei Priori71.
Dominus Bonagiunta Carincioni e suo figlio Carincione compaiono tra gli
esuli di parte bianca. Pietro di Cristofano Carincioni, tuttavia, sposò Berguccia,
figlia di dominus Guccio figlio del giudice Opizo ucciso nel 130172. L’altra figlia
di Guccio aveva sposato il figlio di Orlando Salamoncelli, uno dei principali
sostenitori aristocratici della fazione dei Rosciompelli. Il fratello di Pietro
Carincioni, il giudice Giovanni, nel 1297 fu tra gli esperti di diritto incaricati
dai Priori e dal Maggior sindaco di appurare la legittimità dei diritti avanzati
da Gerio Castracani su alcune miniere della Versilia, insieme a Rustichello
Boccansocchi e Lando da Porcari, entrambi molto vicini al regime priorale73.
Una frattura del genere sembra avere attraversato anche la domus nobiliare
dei da Tassignano. I Gesta lucanorum e Giovanni Sercambi, che probabilmen-
te ebbe anche i Gesta tra le sue fonti per la storia lucchese, inseriscono i da
Tassignano tra le famiglie che subirono la furia popolare dopo l’uccisione del
giudice Opizo, e che videro le loro case saccheggiate e bruciate74. Il giudice
Filippo da Tassignano fu tuttavia uno dei più stretti collaboratori aristocratici
dei Priori75. Coluccio del fu dominus Burnetto da Tassignano aveva sposato
Coluccia di Gerarduccio Gracci, che apparteneva a una delle famiglie priorali
più in vista76. Gerarduccio e Burnetto, il padre di Coluccio, erano entrambi
soci della compagnia dei Bettori, ed è dunque probabile che il matrimonio fosse
precedente al processo di polarizzazione politica che, come si è detto, divenne
evidente soltanto dall’inizio degli anni ’90. Questo rapporto familiare creava
tuttavia tra i da Tassignano e la fazione dei Rosciompelli un legame che poteva
essere attivato dai membri della casata che fossero in disaccordo con la scelta
di schierarsi dalla parte dei Mordecastelli.
Nella fazione dei Mordecastelli non mancarono inoltre defezioni eccellenti.

71
ASLu, Dipl. S. Nicolao, 1299 febbraio 9; ASLu, Dipl. S. Romano, 1312 luglio 20.
72
ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, cc. 158-175, 1305 luglio 14.
73
ASLu, Dipl. Archivio di Stato-Tarpea, 1297 novembre 20; cfr. supra.
74
I Gesta lucanorum sono pubblicati in appendice agli annali di Tolomeo: Tholomei Lucensis Annales,
cit., pp. 278-321; in particolare p. 321. La cronica di Giovanni Sercambi, cit., pp. 49-50.
75
Nel 1304 Filippo fece parte della delegazione diplomatica inviata dal Comune di Lucca alla
curia romana, composta dai più prestigiosi esponenti aristocratici della fazione al potere: oltre a
Filippo, Parente da Porcari, Orlando Salamoncelli, Luti degli Opizi, Todesco Mansi e Lamberto
Sornachi (ASLu, Dipl. Serviti, 1304 giugno 7). Nel 1307 i collegi degli Anziani e dei Priori si rivolsero
a Filippo per avere un parere su una questione legale (ASLu, Dipl. Serviti, 1307 marzo 4).
76
ASLu, Not. 54, Rabbito Torringhelli, c. 5, 1303 gennaio 9.
174 Alma Poloni

Un caso particolarmente significativo è quello di dominus Ghiddino Simonetti, uno


dei nobili in primo piano tanto nell’operazione di soccorso finanziario ai Berrettani
da Barga quanto nella questione di Sommacolonia; egli in seguito si schierò aper-
tamente al fianco dei Priori, ottenendone in cambio una notevole visibilità politi-
ca77. La stessa scelta sembra aver compiuto dominus Betto Tagliamelo78.
La decisione dei leaders della fazione dei Mordecastelli di portare il conflitto
su un altro piano, quello dello scontro armato, va dunque inserita in questo
quadro, caratterizzato dalla difficoltà di trovare il giusto registro comunicativo,
di raccogliere consensi nell’ampio bacino dei cittadini politicamente attivi e di
mantenere compatto il fronte interno. Era prevedibile che l’uccisione del giu-
dice Opizo sarebbe stata interpretata come una insopportabile provocazione,
e avrebbe portato a una reazione della fazione dei Rosciompelli; quest’ultima
sarebbe stata così trascinata in un confronto militare che lo schieramento dei
Mordecastelli, che poteva contare sull’appoggio di un gran numero di milites
con le loro clientele armate, e forse anche sulla promessa di un aiuto da parte
dei pisani, sperava di vincere.
Gli avvenimenti del 1301 comportarono anche un’improvvisa accelerazione
nel processo di trasformazione dell’identità politica della parte bianca lucchese.
Quest’ultima infatti accompagnò il distacco fisico dalla città con il distacco dalla
tradizione guelfa, fino a quel momento formalmente rispettata, e aderì aper-
tamente al coordinamento filoimperiale, cioè ghibellino. Il cronista dei Gesta
lucanorum osserva, dopo aver narrato i fatti del 1301, che «da quel di innanzi
fu incorporata in Lucha parte Ghibelina», e questa notazione è riportata anche
da Giovanni Sercambi. Il ghibellinismo e il fuoriuscitismo diedero insieme
un’impronta identitaria forte a un gruppo per il quale, come abbiamo visto, la
scarsa capacità di produrre un discorso politico articolato aveva rappresentato
un fattore di debolezza e di disgregazione.

2.3. La parte nera al potere


Nelle cronache lucchesi e fiorentine troviamo designata la fazione dei
Mordecastelli come «parte bianca» o «guelfi bianchi», e i loro avversari come

77
Nel 1304 Ghiddino Simonetti fu inserito, come rappresentante della categoria socio-politica dei
potentes sive casastici, nella commissione incaricata di trovare una soluzione ai contrasti interni ai guelfi
neri fiorentini (Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227). Opezuccio, figlio di dominus Bindo Simonetti,
fu tra gli esponenti di parte nera che ottennero le prebende canonicali rese vacanti dall’allontanamento
dal capitolo dei canonici di parte bianca (ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v, 1301 novembre 5).
78
Anche Betto compare nella commissione del 1304 per la questione dei guelfi neri fiorentini,
sempre tra i potentes sive casastici.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 175

«guelfi neri» o «parte nera». In realtà nessuno dei due schieramenti utilizzò mai
queste denominazioni in alcun documento ufficiale. I neri non si rappresenta-
vano come una parte, una fazione: essi si riconoscevano nel Comune e nelle sue
istituzioni, che dopo il 1301 sottoposero a uno stretto controllo grazie all’oc-
cupazione sia dell’Anzianato che del Priorato. I bianchi si definivano soltanto
«exiticii de Luca»; a Pisa essi erano organizzati in una universitas guidata da due
capitanei affiancati da alcuni consiliarii.
Nel settembre del 1301 l’esecutore dei collegi degli Anziani e dei Priori
condannò in contumacia i due fratelli Francuccio e Perracca Accettanti al
pagamento di 1000 lire lucchesi ognuno con la motivazione che «ipsi et quilibet
eorum septam et tractatum fecerunt una cum quibusdam aliis facere devenire
lucanam civitatem et eius homines et personas in manus et fortiam aliquorum
extraneorum de extra lucanam civitatem et fortiam contra honorem et bonum
et pacificum statum comunis et populi lucani»79. Le 2000 lire furono versate al
tesoriere del Comune da frate Dato dell’ospedale di Sant’Iacopo di Altopascio,
che aveva ricevuto dai due fratelli il mandato di vendere le loro proprietà per
pagare l’ammenda. Il testo proponeva una rilettura degli avvenimenti del gen-
naio del 1301 nella quale l’allusività e l’enigmaticità dei riferimenti ai «quidem
alii» e agli «aliqui extranei de extra lucanam civitatem» negava alla fazione dei
Mordecastelli il riconoscimento di gruppo organizzato dotato di una precisa
identità politica, e allo stesso tempo alludeva efficacemente alle oscure trame
del pugno di cospiratori. Qualunque lucchese comunque era in grado di iden-
tificare gli extranei con i pisani.
Nell’aprile del 1303 Liscio, esecutore dei collegi degli Anziani e dei Priori,
assegnò a Puccio Cenami e altri due cittadini un terreno di proprietà di domi-
nus Ugolino del fu dominus Rocchigiano Ranieri, «proditor et rebellis lucani
comunis», per un debito insoluto che questi aveva contratto con Granduccio
Faitinelli per poco più di 62 lire lucchesi80. Granduccio aveva poi ceduto i suoi
diritti a Puccio Cenami e agli altri, i quali avevano avanzato una petizione ai
collegi degli Anziani e dei Priori per avere quanto spettava loro. I beni di domi-
nus Ugolino infatti, dopo che era stata accertata la sua colpevolezza, erano stati
confiscati dal Comune.
Non ho trovato altre attestazioni relative al trattamento giudiziario riservato
agli esuli del 1301, ma questi due documenti sono a mio parere sufficienti per farsi
un’idea di come il regime priorale gestì, da un punto di vista legale, l’esclusione
degli avversari. A quanto sembra non fu emanato alcun provvedimento penale

79
AALu, Dipl. ++ P 19, 1301 settembre 16.
80
ASLu, Dipl. S. M. Corteorlandini, 1303 aprile 19.
176 Alma Poloni

collettivo, nella forma di liste di confinati in vario modo elaborate e organizzate.


Furono invece probabilmente emesse una serie di sentenze nominali, alla conclu-
sione di procedimenti giudiziari che coinvolsero singoli individui o al massimo,
come nel caso degli Accettanti, ristretti nuclei familiari. Il regime priorale si servì
cioè della giustizia ordinaria del Comune per colpire i suoi nemici. Le condanne
furono emanate dall’esecutore dei collegi degli Anziani e dei Priori, un ufficiale
giusdicente forestiero creato verosimilmente nell’ambito della riforma istituzionale
che nel 1300 aveva portato all’accorpamento dei collegi degli Anziani e dei Priori.
L’esecutore era normalmente incaricato del disbrigo delle questioni giudiziarie
portate davanti alla curia dei Priori. Non fu dunque istituita alcuna magistratura
straordinaria per formalizzare l’esclusione politica della parte bianca81.
Questa scelta rientrava nella identificazione della fazione dei Rosciompelli
con le istituzioni del Comune. L’aspetto più significativo era però l’annullamen-
to dell’avversario. Un procedimento collettivo avrebbe comportato il ricono-
scimento dell’altra coalizione come parte organizzata interprete di una precisa
visione politica, anche se incompatibile con quella dello schieramento al potere.
Le sentenze nominali, invece, promuovevano l’idea di una congiura volta a far
perdere al Comune la sua indipendenza, un piano sovversivo ordito da una
cricca di traditori uniti soltanto dal desiderio di potere e privi di qualsiasi pro-
getto politico di ampio respiro. Gli avvenimenti del gennaio del 1301 venivano
riletti come la vittoria dei cittadini che avevano a cuore la libertà del Comune, e
la sua tradizione guelfa e popolare, contro un pugno di ribelli che intendevano
consegnare Lucca a Pisa, il nemico di sempre.
A ben vedere è tutta la storia degli anni precedenti a essere reinterpretata,
attraverso la cancellazione della memoria del conflitto politico che aveva oppo-
sto i due schieramenti. Si tratta di un importante sviluppo del discorso prodotto
dalla fazione dei Rosciompelli. Essa era giunta al potere dopo dieci anni di
confronto politico di intensità crescente, e attraverso uno strappo doloroso e del
tutto inedito nella storia del Comune lucchese, che aveva comportato l’allonta-
namento di alcuni membri delle maggiori famiglie del vecchio gruppo dirigente
popolare e di molte tra le più prestigiose casate dell’aristocrazia cittadina. Ma,
tramite i processi del 1301, veniva proposta ai cittadini una lettura all’insegna
della continuità e della conservazione degli equilibri politici interni; una lettura
secondo la quale i mutamenti al vertice delle istituzioni non erano la conseguen-
za della prevalenza di una parte, anche per mezzo delle armi, ma il risultato
della vittoriosa resistenza del Popolo contro un gruppuscolo di ribelli.

81
Le forme giudiziarie scelte dai neri lucchesi per l’esclusione dei bianchi sembrano del tutto
analoghe a quelle adottate negli stessi anni dai neri fiorentini: Milani, L’esclusione, cit., pp. 416-423.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 177

Dopo il gennaio del 1301, in realtà, la fazione dei Rosciompelli diede inizio
a un vero e proprio programma di occupazione delle posizioni di potere. Dal
punto di vista istituzionale, il controllo tanto del Priorato quanto dell’Anzianato
garantiva allo schieramento una forte concentrazione di potere decisionale. Ma
forse l’aspetto più interessante è il tentativo di estendere il controllo della fazio-
ne, che si era fatta gruppo dirigente, sul capitolo della cattedrale. Negli ultimi
mesi del 1301, infatti, Bonifacio VIII, che aveva visto con molto favore gli even-
ti di Lucca, ordinò, probabilmente su sollecitazione dei leaders dello schieramen-
to vittorioso, che sei canonici della cattedrale fossero privati dei loro benefici.
I canonici rimossi erano Guglielmo degli Antelminelli, Giovanni Ubaldi degli
Antelminelli, Tommasino de Loppa, Ugolino del fu dominus Rocchigiano Ranieri,
Michele Mangialmacchi e Bongiorno Fralmi, tutti membri di famiglie di primo
piano della fazione dei Mordecastelli. Le loro prebende furono poi assegnate
dal papa a nuovi titolari: Enrico figlio di Adiuto Rosciompelli, Parentuccio di
dominus Bonifacio da Porcari, Opezuccio figlio di dominus Bindo Simonetti,
Rosso di Puccio Faitinelli, Lamberto di Ugolino Gracci, Tegrimo figlio del giu-
dice Nicolao Tegrimi82. Per quanto riguarda quest’ultimo, tuttavia, i canonici
dichiararono di non poterlo accogliere perché con i cinque nuovi insediati si
raggiungeva già il numero stabilito di sedici prebende.
Parentuccio da Porcari e Opezuccio Simonetti appartenevano, come
si è detto, a famiglie aristocratiche che avevano appoggiato la fazione dei
Rosciompelli. Enrico Rosciompelli, Lamberto Gracci e Tegrimo Tegrimi pro-
venivano invece da alcune delle famiglie popolari più impegnate nello schiera-
mento fin dal suo ingresso sulla scena politica lucchese.
Il capitolo della cattedrale era rimasto per tutto il Duecento una roccaforte
aristocratica. A quanto sembra nessuna delle famiglie dell’élite dirigente popo-
lare – neppure gli ambiziosi Mordecastelli, nonostante fossero legati ad alcune
importanti casate della nobiltà cittadina – era riuscita, prima del 1301, a farsi
ammettere in quello che era davvero un circolo esclusivo. Per i Rosciompelli, i
Gracci e i Tegrimi, dunque, questo onore acquistava un significato particolare.
Si trattava di famiglie di origine recente, che emergono nella documentazione
lucchese nei decenni centrali del Duecento, prive quindi di una memoria fami-
liare di un qualche spessore83. L’accesso al capitolo era una straordinaria fonte

82
ACLu, Not. LL 34, cc. 98v-99v, 1301 novembre 5; G. Benedetto, I rapporti tra Castruccio Castracani
e la chiesa di Lucca, in «Annuario della Biblioteca civica di Massa», 1980, pp. 73-97.
83
I Rosciompelli derivavano il proprio cognome dal soprannome del padre di Adiuto, Guglielmo,
detto appunto «Roscinpelo», che compare nella documentazione lucchese, come socio della compagnia
Ricciardi, all’inizio degli anni ’40 del Duecento (AALu, Dipl. + F 78, 1241 settembre 30). La prima atte-
stazione che ho trovato per la famiglia Gracci è un atto del 1242 rogato dal notaio Gerarduccio figlio
178 Alma Poloni

di prestigio, capace di ribadire e di legittimare agli occhi dei concittadini la forte


influenza esercitata da queste famiglie all’interno del nuovo gruppo di potere
che si era definito tra la seconda metà degli anni ’90 del Duecento e i primi anni
del Trecento. Allo stesso tempo i Rosciompelli, i Gracci e i Tegrimi tentavano di
dare maggiore consistenza e stabilità alla posizione di primo piano così recen-
temente conquistata nella società cittadina, ancorandola a una istituzione che
pareva garantire una solidità maggiore rispetto all’incertezza del gioco politico.
Non sappiamo quando Enrico Rosciompelli e Tegrimo Tegrimi fossero stati
avviati alla carriera ecclesiastica. L’unico per il quale disponiamo di qualche noti-
zia è Lamberto Gracci, che compare come clericus in un atto del novembre del 1295
rogato nella chiesa di San Cristoforo84. Possiamo forse ipotizzare che per queste
famiglie la scelta di tentare una strategia di diversificazione dei destini familiari,
per favorire il proprio radicamento ai vertici della società cittadina, abbia coinciso
con l’intensificazione della militanza politica negli anni ’90 del Duecento.
Questa strategia di controllo e di penetrazione nelle strutture di potere della
chiesa cittadina fu probabilmente più ampia di quanto le poche fonti a nostra
disposizione ci consentano di vedere. Una pergamena priva di data, ma cer-
tamente posteriore al 1284 e forse anteriore alla fine del 1302, ci informa che
Alamanno, già defunto al momento della stesura del documento, nipote ex fratre
del notaio Enrico Guerci, era stato canonico della chiesa collegiata dei Santi
Giovanni e Reparata, un altro ente ecclesiastico di primaria importanza85. Tra i
chierici rimossi da Bonifacio VIII nel 1301 c’era anche Francesco Gonella degli
Antelminelli, canonico di Santa Reparata; è possibile che Alamanno Guerci
avesse preso il suo posto. La famiglia del notaio Enrico, probabilmente impa-
rentata con i Fiadoni, aveva svolto fin dagli anni ’90 un ruolo non secondario
all’interno della fazione dei Rosciompelli e del Priorato.
Nel maggio del 1303, alla morte di Sarduccio da Fucecchio, rettore e ammi-
nistratore dell’ospedale di Fucecchio, le monache del monastero di Santa Maria

del fu Paganello Gracci (ASLu, Dipl. S. Giovanni, 1242 marzo 1). Ma la fortuna della famiglia è legata
probabilmente alle attività di un altro Gerarduccio, mercante, socio della compagnia dei Bettori attivo
in Francia. I Tegrimi emersero nella società cittadina con il giudice Tegrimo, dal quale derivarono
appunto il cognome, figlio di un medico di nome Guido; Tegrimo è attestato dalla fine degli anni ’50
del Duecento (ASLu, Dipl. S. Frediano, 1257 dicembre 23).
84
ASLu, Dipl. Archivio di Stato, 1295 novembre 29.
85
La pergamena si trova nell’ASLu con la segnatura Dipl. Altopascio deposito Orsetti Cittadella, XIII
sec. Nel documento il padre di Alamanno, Nicolao, risulta già defunto. Nicolao era ancora vivente nel
1284 (ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri). Il notaio Enrico invece, ancora vivo nell’atto in questione, fece
testamento nel luglio del 1302, e probabilmente morì poco tempo dopo (ASLu, Dipl. Sped. di S. Luca,
1302 luglio 9).
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 179

in Gattaiola, dal quale l’ospedale dipendeva, conferirono l’incarico a Guglielmo


figlio di dominus Opizo del fu Guglielmo degli Opizi86. Il nonno di Guglielmo,
che portava lo stesso nome, era fratello del giudice Opizo ucciso nel 1301; lo zio
del nuovo rettore, Luti del fu Guglielmo Opizi, era uno dei principali esponenti
aristocratici della fazione al potere. Le monache intendevano probabilmente in
questo modo porsi sotto l’ala protettrice del nuovo regime.

Nel 1308 lo schieramento al potere portò avanti una rielaborazione comples-


siva della tradizione statutaria cittadina. Furono infatti riscritti, probabilmente
con numerose correzioni e aggiunte rispetto alle versioni precedenti, lo statu-
to del Comune e lo statuto del Popolo, e forse anche lo statuto del Maggior
Sindaco e quello delle curie giudiziarie, cioè tutti i testi normativi fondamentali
per il funzionamento delle istituzioni comunali87. Questa operazione era det-
tata da ragioni pratiche. In una quindicina di anni il sistema politico lucchese
aveva subito importanti trasformazioni, a causa del ruolo sempre più centrale
del Priorato e della creazione di una sorta di direttivo formato dagli Anziani e
dai Priori, che si riunivano in sessione congiunta. Si era perciò reso necessario
un aggiornamento di tutte le disposizioni che regolavano i meccanismi istitu-
zionali.
Forse non è un caso che il nuovo regime abbia atteso ben sette anni prima
di procedere all’adattamento delle norme a una realtà profondamente mutata.
Come si è visto, nei primi tempi dopo il 1301 la fazione vittoriosa era stata
impegnata piuttosto a enfatizzare la continuità con il passato, a sminuire l’im-

86
ASLu, Not. 84, Tommaso Clavari, cc. 58-59, 1303 maggio 27.
87
In chiusura allo statuto del Comune del 1308 i compilatores et declaratores del testo statutario
dichiaravano che il podestà e i suoi giudici «teneantur ad observantiam eorum que expresse manda-
rentur vel concederentur eisdem per aliquod capitulum Statutorum lucani Comunis vel Populi compilatorum
per nos de novo» (Statuto del Comune, cit., p. 330; il corsivo è mio). Questo riferimento chiarisce che conte-
stualmente allo statuto del Comune era stato rivisto e corretto anche lo statuto del Popolo, che tuttavia
non è giunto fino a noi. Poco dopo la pubblicazione degli statuti sorse un contrasto tra le istituzioni
lucchesi e il vescovo cittadino «super nonnullis Statutis dicte Civitatis, que dictus dominus Episcopus
et clerus dicebant per predictas [le istituzioni comunali] edita esse contra ecclesiasticam libertatem».
Il vescovo giunse a scomunicare le autorità comunali. Il papa incaricò Stefano, pievano della pieve
di Campoli, di risolvere la questione. Le autorità lucchesi furono invitate e presentare tutti gli statuti
nei quali erano stati introdotti nuovi capitoli ritenuti lesivi dell’autonomia della chiesa cittadina; essi
presentarono lo statuto del Comune, quello del Popolo, lo statuto del Maggior Sindaco e quello delle
curie giudiziarie. Stefano lesse con attenzione i testi e, con la collaborazione del clero cittadino, segna-
lò numerose rubriche che dovevano essere corrette (la sentenza di Stefano è pubblicata da Bongi in
appendice allo statuto del 1308, Statuto del Comune, cit., pp. 337-345). È dunque probabile che anche
gli statuti del Maggior Sindaco e delle curie giudiziarie fossero stati significativamente modificati in
occasione della revisione del 1308.
180 Alma Poloni

portanza della frattura determinata dall’allontanamento dei leaders della parte


bianca, insomma a nascondere gli aspetti di rottura insiti nelle forme della sua
affermazione. La grande operazione di revisione statutaria del 1308 segna dun-
que un nuovo scarto nella strategia comunicativa e nell’incessante processo di
trasformazione e riconfigurazione dell’identità politica del gruppo che, a partire
dagli anni ’80 del Duecento, aveva sconvolto gli equilibri politico-istituzionali
lucchesi. Dopo il lungo periodo di assestamento, il nuovo regime veniva allo
scoperto, rivendicava il suo diritto e la sua capacità di governare la città con
le nuove regole che esso stesso aveva imposto. La riscrittura degli statuti era
un’ammissione e anzi una rivendicazione della cesura rappresentata dal cambio
al vertice delle istituzioni comunali, ed era un momento centrale nella trasfor-
mazione dei leaders della fazione in élite dirigente cittadina.
Sfortunatamente soltanto lo statuto del Comune del 1308 è giunto fino a
noi88. Non disponendo di testi statutari antecedenti non è possibile determinare
quali siano le variazioni introdotte con la revisione. Pare tuttavia probabile
che la parte contenente le disposizioni antimagnatizie, e in generale le norme
a tutela dei populares, sia la più rimaneggiata, come suggeriscono la centrali-
tà assegnata alle società del Popolo e all’istituto dei Priori, ma anche il forte
investimento propagandistico e didascalico che caratterizza questa sezione.
Ciascuno degli otto capitoli che la compongono, infatti, si apre con un breve
preambolo, di lunghezza variabile da poche parole ad alcune righe, che spiega
attraverso il ricorso a parole-chiave del discorso popolare la ratio della norma
in esso contenuta89.

88
Statuto del Comune, cit.
89
Capitoli 162-170 del terzo libro dello statuto (Statuto del Comune, cit., pp. 234-244). Il capitolo
166, «De eo quod invitati ad Consilia possint dicere in Consilio suum velle», è estraneo a questo
blocco. Questi sono i preamboli degli otto capitoli: cap. 162, «De pena offendentium et iniurantium
homines de Societatibus»: «Meditantes de labore quem substinent omnes et singuli Societatum armo-
rum lucani Populi, ut lucana Civitas habeat bonum statum, circa eum continue vigilando, nequaquam
inspicientes hodium vel amorem; et si quis aliquem de dictis Societatibus auso temerario superbie et
ipsas Societates volens aut presumens vel attendans offendere vel iniuriari vel offendi vel iniuriari
facere, quod pernimium esset danpnosum lucano Comuni ut debentes portare premium penam portent,
hac lege perpetuo valitura statuimus quod…». Cap. 163, «De eo quod nulla persona possit accusare
aliquem popularem qui non sit de Societate via Societatis, nisi habita licentia accusandi a Prioribus
Societatis»: «Obviantes fraudibus iniquorum decrevimus quod…». Cap. 164, «De eo quod inter con-
sortes eadem portantes sint heedem pene»: «Ut inter consortes servetur equalitas et omnis tollatur
materia scandalorum providemus quod….». Cap. 165, «De hiis qui esse non possunt nec intelliguntur
in Societatibus esse; et qui esse possunt, et eorum privilegiis et immunitatibus»: «Ad hoc ut hii qui vere
in Societatibus armorum lucani Populi esse possunt et privilegium Societatum debent gaudere ab aliis
cognoscantur et lucano Regimini eiusque curie patefiant, nec de eis possit aliquatenus defraudari, sta-
tuimus quod….». Cap. 167, «de pena offendentium aliquem Priorem Societatum»: «Ad hoc ut officium
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 181

Le condizioni delle fonti lucchesi non ci consentono neppure di sapere se la


locuzione «casastici et potentes», utilizzata per indicare quelli che altrove sono
chiamati magnates, fosse un’invenzione del regime impostosi dopo il 1301. Quello
che è certo è che essa non compare per la prima volta nel 1308. All’inizio del 1304
Firenze fu sconvolta da gravi disordini politici. Il gruppo dirigente fiorentino, di
parte nera, chiese l’aiuto dei lucchesi. Orlando Salamoncelli, Nicolao Moriconi
e Adiuto Rosciompelli si recarono a Firenze per farsi un’idea della situazione. Al
loro ritorno il consiglio del Popolo stabilì che il Podestà, il Capitano, gli Anziani
e i Priori nominassero una commissione di sapientes che, insieme agli Anziani, ai
Priori e ai tre ambasciatori rientrati da Firenze, stabilisse un programma d’azio-
ne per risolvere la questione fiorentina90. Da Giovanni Villani sappiamo che in
seguito i lucchesi entrarono a Firenze con un grande esercito di fanti e cavalieri e
assunsero il controllo della città per sedici giorni, durante i quali riuscirono a pla-
care i tumulti, disarmare le fazioni in lotta e riportare la pace91. La commissione
che aveva affiancato gli Anziani e i Priori di Lucca nella ricerca di una soluzione
praticabile era composta da diciassette popolari, uno per ogni società del Popolo,
e cinque «potentes sive casastici», uno per ognuna delle Porte cittadine.
L’espressione era dunque entrata nell’uso politico corrente prima di trovare
spazio nello statuto. È tuttavia improbabile che essa esistesse nel lessico politico
lucchese prima del 1294. I «casastici et potentes» erano l’esatto corrispondente
dei magnates di altre realtà, cioè non un ceto sociale ma una categoria artificiale
creata dal gruppo dirigente popolare per definire i confini dell’area sociale da
isolare come «nemica». Confluirono infatti nella lista dei casastici et potentes,
inserita nello statuto del 1308 in chiusura della sezione dedicata alle disposizioni
antimagnatizie, non solo tutte le casate aristocratiche, comprese quelle vicine
al nuovo regime come i da Porcari, i Salamoncelli, i Simonetti – con la sola
clamorosa eccezione degli Opizi –, ma anche diverse famiglie di origine ducen-
tesca92. Tra di esse troviamo ovviamente tutte quelle vicine alla fazione dei
Mordecastelli, a cominciare dai Mordecastelli stessi e poi i Martini, i Peri, gli
Onesti, i Sartori, i Rapondi, i Carincioni, i da Chiatri, ma anche molte apparen-

Priorum ab omnibus honoretur et quilibet expavescat iniuriari eisdem, statuimus quod…». Cap. 168,
«De eo quod casastici et potentes non possint testimonium perhibere contra populares»: «Cum poten-
tes casastici ut plurimum habeant odio populares, statuimus quod…». Cap. 170, «De cerna potentium»:
«Ad hoc ut potentium et casasticorum possit per Rectores haberi memoria, ne sub velamine popula-
rium defendadntu, statuimus quod….».
90
Cianelli, Dissertazioni, cit., pp. 224-227.
91
G. Villani, Nuova cronica, ed. critica a cura di G. Porta, 3 voll., Parma, Fondazione Pietro Bembo,
1990-1991, vol. II, pp. 115-118.
92
Statuto del Comune, cit., pp. 241-244
182 Alma Poloni

temente non coinvolte nelle lotte di fazione, come i Fornari, i Cari, i Corbolani, i
Liena, i Guidiccioni, i Ricciardi, i Bettori e probabilmente altre ancora che non
sono in grado di identificare.
Il criterio per individuare le famiglie non aristocratiche da inserire nella lista
dei casastici non era dunque – o non era soltanto – la militanza politica, e nep-
pure semplicemente il potere economico. Tra i gruppi familiari che si esprime-
vano nel Priorato ve ne erano alcuni, come i Volpelli, i Rosciompelli, i Fiadoni,
i Melanesi, i Dati, che probabilmente non avevano nulla da invidiare in quanto
a ricchezza alle famiglie «magnatizzate». Queste ultime tuttavia sembrano avere
una precisa riconoscibilità sociale. Si trattava di gruppi familiari che si erano
fatti strada tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, molti dei quali avevano
animato la «prima rivoluzione commerciale» lucchese e avevano combattuto in
prima linea per l’affermazione del Popolo. La grande maggioranza di essi a par-
tire dagli anni ’50 del Duecento aveva fatto parte dell’élite dirigente del Comune
di Popolo. Erano famiglie che avevano ormai alle spalle più di un secolo di
storia e di memoria familiare, e soprattutto dotate di una solida tradizione di
esercizio del potere politico. Molte di esse avevano coronato il proprio successo
sociale ottenendo l’investitura cavalleresca per alcuni dei loro membri.
Finchè queste famiglie mantennero il controllo delle istituzioni popolari non
ci fu a mio parere bisogno di un concetto come quello di casastici et potentes.
La loro controparte politico-sociale erano semplicemente i nobiles o milites, i
lignaggi dell’aristocrazia urbana che avevano guidato il Comune in età conso-
lare e podestarile e quelli della nobiltà rurale che si erano inurbati in momenti
diversi della storia cittadina. L’uso della categoria, ben più ambigua e sfuggente,
di casastici et potentes acquista invece senso se inserita nel contesto degli anni a
cavallo tra Due e Trecento, quando l’iniziativa politica era passata nelle mani
di un gruppo di famiglie la cui fisionomia sociale si distingueva in maniera
abbastanza evidente da quella delle famiglie della vecchia élite popolare. Quella
categoria fu infatti utilizzata dalla fazione dei Rosciompelli per escludere dalla
competizione per le cariche più importanti buona parte della vecchia classe
politica popolare, e contestualmente per giustificare agli occhi della cittadinan-
za questa esclusione. Allo stesso tempo, la lista dei casastici et potentes era in un
certo senso il coronamento e la conclusione del discorso politico che la fazione
dei Rociompelli aveva elaborato a partire dai primi anni ’90, e che aveva accom-
pagnato attraverso successive trasformazioni, adattamenti e deviazioni il suo
percorso di affermazione. Le famiglie del Priorato, come abbiamo visto, si erano
accreditate come il «vero» Popolo in contrapposizione al «falso» Popolo delle
famiglie che avevano dominato l’Anzianato. Attraverso la cerna potentium queste
ultime venivano private di qualsiasi residuo di identità popolare, venivano sem-
plicemente collocate al di fuori dei confini sociali e politici del Popolo.
conclusioni

Il «lungo Ducento» lucchese si chiuse con la conquista della città da parte


di Uguccione della Faggiola nel 1314. Nelle pagine precedenti si è dedicato
ampio spazio alle trasformazioni economiche, sociali e politiche che Lucca
conobbe nel corso del XIII secolo. La forte insistenza sulla dinamicità della
società ducentesca non deve tuttavia far pensare che con la fine di quella fase
si aprisse un’epoca di immobilità e di cristallizzazione degli equilibri socio-poli-
tici. Al contrario, è convinzione di chi scrive che una prospettiva quale quella
proposta in questo lavoro, incentrata sul cambiamento sociale, interessata agli
intrecci, alle interrelazioni e alle interdipendenze tra mutamenti economici, tra-
sformazioni sociali e cambiamenti politici, potrebbe forse aiutare a inquadrare
meglio anche la storia lucchese del XIV secolo.
Esiste tra molti storici la convinzione, più o meno esplicita, che il Trecento
sia un secolo caratterizzato da una scarsa mobilità sociale, o soltanto da quella
limitata mobilità individuale, dai ritmi rallentati, che è fisiologica di qualsiasi
sistema sociale, anche il più statico. Questa idea è strettamente legata all’im-
magine di un’economia trecentesca poco dinamica, segnata dalla stagnazione
determinata dall’esaurirsi della crescita duecentesca e poi dalla crisi causata dal
tracollo demografico. Tutto ciò però, almeno per Lucca, è ancora interamente
da dimostrare.
Per molto tempo in effetti la storia trecentesca dell’economia lucchese è stata
letta principalmente attraverso il paradigma della decadenza. L’industria serica,
e di conseguenza il commercio lucchese, sarebbero andati incontro nel corso del
Trecento a un inesorabile declino, legato soprattutto alle intense correnti di emi-
grazione di mercanti e di artigiani specializzati provocate dall’instabilità politica
che caratterizzò la città a partire dal secondo decennio del secolo. Uno studio
di Luca Molà ha tuttavia cominciato a mettere in discussione questa immagine


Per il valore periodizzante dell’occupazione della città da parte di Uguccione della Faggiola cfr.
Green, Castruccio Castracani, cit. e Id., Lucca Under Many Masters. A Fourteenth-Century Italian Commune
in Crisis (1328-1342), Firenze, Olschki, 1995.

P.A. Sorokin, La mobilità sociale, Introduzione di A. Pagani, Milano, Edizioni di Comunità,
1965.

E non solo per Lucca; a questo proposito, si veda per Pisa G. Ciccaglioni, Priores Antianorum,
primi tra gli Anziani. Criteri di preminenza, cicli economici e ricambio dei gruppi dirigenti popolari a Pisa nel XIV
secolo, in 1406: Firenze e Pisa. La creazione di un nuovo spazio regionale, a cura di G. Pinto, in corso di stampa.
184 Alma Poloni

«catastrofista». Prendendo le mosse da un’indagine sulla comunità dei lucchesi


insediati a Venezia, Molà propone un’interpretazione diversa dei mutamenti
dell’industria e del commercio lucchesi. L’emigrazione, temporanea o definiti-
va, di imprenditori e manodopera specializzata, in particolare verso Bologna
e Venezia, non avrebbe determinato un ridimensionamento della manifattura
serica lucchese, ma una sua profonda riorganizzazione. Le sete «lucchesi» con-
tinuarono per tutto il Trecento a dominare il mercato europeo. La differenza
rispetto al Duecento è che esse non erano prodotte soltanto a Lucca, ma in
larga parte a Venezia e Bologna. Ciò non le rendeva meno «lucchesi»: in queste
città le «società nell’arte della seta» erano in grande maggioranza controllate da
imprenditori lucchesi, e lucchesi, o perlomeno addestrati e formati da lucchesi,
erano anche gli artigiani. In più, grazie alla loro forte presenza a Venezia, i
maggiori mercanti lucchesi furono in grado di integrare efficacemente le aree
di penetrazione commerciale lucchese, incentrate in particolare su Firenze,
Genova, Parigi, Bruges e Lucca, con la rete commerciale veneziana, che aprì
loro il Levante e l’Europa centrale.
I mutamenti trecenteschi, a quanto sembra, non provocarono la decadenza del
commercio e dell’industria lucchesi, ma piuttosto una riorganizzazione dell’intero
sistema produttivo e commerciale, che assunse una configurazione senz’altro
molto diversa da quella emersa dalla rivoluzione commerciale duecentesca. Le
vicende politiche – combinate certo con importanti cambiamenti nella struttura
della domanda e dell’offerta e nei circuiti di scambio internazionali – potrebbero
avere esercitato sull’economia lucchese un condizionamento più complesso e
meno scontato di quanto fin qui si sia creduto. È ipotizzabile poi che queste
importanti trasformazioni economiche abbiano a loro volta influito, in modi anco-
ra tutti da verificare, sui processi di mobilità sociale, e che questi ultimi abbiano
interagito, sempre in maniera non lineare, con i mutamenti politico-istituzionali.
Si tratta, appunto, soltanto di ipotesi. Quello che è importante sottolineare
è che l’impressione di vitalità e anzi di esuberanza che accompagna il lungo
Duecento – che fu, è bene ribadirlo, non soltanto il secolo dell’epopea mercantile,
ma anche il secolo del Popolo e del livello più alto di partecipazione dei cittadini
alla vita politica del Comune – non può spingerci automaticamente a pensare al
periodo successivo come a una fase di riflusso, economico, sociale e culturale.


L. Molà, La comunità dei lucchesi a Venezia. Immigrazione e industria della seta nel tardo Medioevo,
Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1994. Un’apertura verso un’interpretazione meno
pessimistica dell’economia trecentesca lucchese si trova anche in L. Green, Lucchese Commerce under
Castruccio Castracani, in «Actum Luce», XIII-XIV (1984), pp. 217-264 e Id., Lucca Under Many Masters,
cit., pp. 243-318.
APPENDICE I
COMPAGNIE INTERNAZIONALI PRENDITRICI DI CAMBIO.
ATTIVITÀ SULLA PIAZZA LUCCHESE*

Abbreviazioni

Pesi e misure Monete

cop. = coppia (2 libbre) l. lira (20 soldi)


lb. = libbra lucchese (12 once; 334,5 grammi) s. soldo (12 denari)
onc. = oncia (4 quarre; circa 27,87 grammi) d. denaro
qr. = quarra (circa 7 grammi) p. provesino
pz. = pezza t. tornese
bl. = balla
frd.= fardello
cent. = centinaio (di gueffe), misura per l’oro filato. All’inizio
del XIV secolo una gueffa era di lunghezza pari
a 44 once di braccio, cioè circa 2,2 metri. Un
centinaio era dunque pari a circa 220 metri di filo.
Il valore di questa misura cambiò tuttavia nel corso
del Trecento

La denominazione della seta greggia nei documenti indica la zona di provenienza.


Per limitarci ai casi più frequentemente attestati (cfr. Del Punta, Mercanti, cit., p. 62):
seta chella: proveniente da Ghilan, Costa meridionale del Mar Caspio
talani: da Talich, Azerbaijan
gangia: da Ghandja, Georgia
giorgiana: da Djurdjan, regione ad est del Mar Caspio
mercadascia: da Merv Chaidjan, Turkestan
cattuia: dal Catai, Cina
soriana: dalla Siria
nicchilia: da Nicea, Asia Minore
castolina: da Kastuluna, Spagna meridionale

* Per non appesantire troppo le note, in particolare dei capp. III e IV, si è scelto di presentare in for-
ma tabellare nelle tre Appendici la documentazione relativa alle compagnie commerciali analizzate.
Le informazioni sono state organizzate per tipo di attività – acquisti, vendite, cambi, spedizioni – per
fornire un quadro sintetico dell’articolazione dell’impegno commerciale e finanziario di ogni società.
186 Alma Poloni

1.. Società Omodeo Fiadoni e soci

1a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)

1301/05/09 lb. 623 onc. 8 grana di Corinto l. 692 s. 12 d. 8 Balduccio Frammi e


Riccomo Martini

1301/05/10 lb. 650 onc. 3 grana di Corinto l. 812 s. 16 d. 3 Società Mordecastelli

1301/05/12 bl. 10 grana di Romania l. 1048 Società Minerbetti di


Firenze

1302/03/01 lb. 50 zendadi bianchi forti l. 400 Società fratelli Cristofani

1302/03/17 lb. 50 zendadi forti l. 400 Società Appiccalcani

1302/10/27 pz. 50 zendadi leggeri l. 100 Marroncino del fu


Marchigiano

1302/11/07 lb. 23 onc. 8 seta de fregio l. 100 s. 5 d. 9 Bonaccorso Clavari

1302/11/09 pz. 47 br. 11 qr. 1 zendadi bianchi l. 193 s. 8 d. 1 Turello Arcadipane


leggeri

1302/11/09 pz. 76 br. 21 zendadi bianchi leggeri l. 319 d. 9 Coluccio Carincioni

1303/01/15 pz. 40 onc. 10 zendadi forti bianchi l. 449 s. 5 d. 10 Bonaccorso Clavari

1303/03/27 lb. 59 onc. 10 zendadi forti bianchi l. 456 s. 4 d. 8 Terio Incapestra, Coscio
Diversi e soci

1303/09/28 lb. 38 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 408 s. 2 d. 5 Dino Tadiccioni, Lazario
de Fondora e soci

1304/01/01 lb. 189 onc. 8 zendadi forti l. 1400 Nicoloso da Poggio

1304/01/15 pz. 12 br. 1 qr. 3 zendadi leggeri l. 114 Federigo Guinigi

1304/01/16 pz. 19 zendadi leggeri l. 86 s. 10 Gregorio Paganelli

1304/01/21 lb. 28 onc. 11 zendadi forti l. 342 s. 2 d. 8 Belluccio Dombellinghi

1304/09/07 lb. 302 zendadi forti l. 2240 s. 1 Angioretto Callianelli


Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 187

1305/01/05 pz. 28 br. 10 zendadi testorii l. 125 s. 2 d. 6 Arriguccio Castagnacci

1305/03/27 pz. 45 br. 12 zendadi bianchi leggeri l. 182 s. 1 d. 8 Matteo Callianelli

1305/06/06 lb. 103 onc. 8 grana di Corinto l. 136 s. 16 d. 7 Borgognotto Domaschi


e soci
1305/09/16 pz. 30 drappi di seta e pz. 3 diaspri l. 700 s. 12 Rossellino Galganetti
Bianchi

1305/09/16 pz. 34 mezzanelli, pz. 12 terzanelli, l. 479 Paganasso Guassi e


pz. 4 drappi in accia Michele Aimerigi

1306/03/24 lb. 58 onc. 8 zendadi forti bainchi l. 434 s. 2 d. 8 Dino Squete e soci

1307/07/08 pz. 44 drappi di Venezia l. 346 s. 16 Coluccio Cerondi

1307/11/08 lb. 35 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 295 s. 8 Coluccio Conciati

1307/11/08 pz. 108 mezzanelli e terzanelli e l. 1008 s. 4 Pagano Guassi e Michele


drappi di Venezia e seta di diversi Aimerigi
colori

1307/11/12 lb. 55 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 459 s. 17 d. 11 Banduccio Bianchi

1308/03/05 lb. 74 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 628 s. 16 Ciomeo Tagliapane

1308/03/15 lb. 70 onc. 11 zendadi forti bianchi l. 588 s. 12 d. 2 Bonaventura Arcadipane

1309/01/28 lb. 31 onc. 5 seta de fregio bianca l. 237 s. 3

1309/01/28 lb. 171 onc. 8 zendadi forti bianchi l. 1545 Petruccio Borgognoni

1309/01/28 lb. 23 onc. 5 zendadi forti l. 206 s. 10 Ciandoro Patasse e


Puccino Normannini

1309/01/28 lb. 51 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 450 s. 5 d. 4 Montullio di Buiamonte


Rossi e soci

1309/03/04 pz. 22 panni in seta e accia fiorentina l. 567 s. 2 d. 4 Ardoino pannarius

1309/05/07 lb. 108 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 1016 s. 15 d. 4 Banduccio Bianchi

1309/05/07 lb. 38 onc. 9 zendadi forti bianchi l. 379 s. 12 d. 3 Banduccio Bianchi

1309/07/21 lb. 114 onc. 2 zendadi forti bianchi l. 1096 Vanni da Poggio e soci

1309/07/21 lb. 383 grana di Romania l. 823 d. 6 Pagano Guassi e Michele


Amerigi
188 Alma Poloni

1310/03/10 pz. 86 drappi veneziani di diversi l. 721 Coluccio Garba


colori

1310/05/27 lb. 101 onc. 2 zendadi bianchi forti l. 961 s. 1 d. 8 Bandino Meliori e soci di
Firenze
1310/07/29 pz. 72 drappi veneziani l. 574 s. 10 Società Mozzi di Firenze

1311/01/02 pz. 150 drappi veneziani l. 1350 Società Mozzi di Firenze

1311/01/28 lb. 21 onc. 3 zendadi forti bianchi l. 193 s. 18 d. 5 Lazario de Fondora e soci

1311/03/11 lb. 187 onc. 1 grana di Romania l. 355 s. 9 Nettoro Lambertelli e


soci
1311/05/27 lb. 62 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 567 s. 7 d. 2 Puccino Mattafelloni

1312/01/02 lb. 118 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 926 s. 18 d. 9 Ciomeo Clavari

1312/01/26 lb. 108 onc. 9 zendadi forti bianchi l. 967 s. 18 Pandoro di Quarto

1312/09/02 cent. 24 oro filato in accia l. 485 s. 19 Puccino Gherardi

1313/05/16 lb. 107 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 966 s. 15 Banduccio Bianchi

1314/03/02 drappi 52 di seta di Lucca l. 1200 Bernarduccio Maccaiori

1314/05/11 lb. 31 onc. 8 zendadi forti bianchi l. 527 s. 11 d. 7 Banduccio de Gallo e soci

1314/05/28 lb. 200 grana di Romania l. 450 Iuntoro Tignosini e soci


Fonti: ASLu, Not. 82, Bartolomeo di Gerardino Tacchi; Nott. 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, Rabbito Toringhelli.

1b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1306/05/25 lb. 120 onc. 10 grana di Spagna l. 223 s. 10 d. 11 Petruccio Volpi

1306/07/20 lb. 219 grana di Spagna l. 383 s. 5

1309/03/08 lb. 151 grana di Spagna e di Romania l. 336 s. 15 Done Filippi

1310/01/20 lb. 200 grana di Spagna l. 560 Ghetto Arrigucci


Fonti: ASLu, Not. 56, 59, 60, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 189

1c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Datore


o tornesi (d. lucchesi
per s.
provesino
o tornese)

1284/04/04 l. 300 p. Provins Tedicio Arnolfini e


soci

1284/08/16 l. 1470 s. 16 l. 400 p. d. 44 Provins St. Savarigio Castracani


d. 8 Ayoul

1284/08/04 l. 384 s. 7 l. 100 p. d. 46 e ¼ di ½ Troyes San Martinosso Bonanni


d. 6 Giovanni

1302/01/03 l. 241 s. 13 l. 100 t. Lagny Lippo Diversi

1302/01/12 l. 487 s. 15 l. 200 t. d. 29 e ¼ Lagny Società Cino Margatti


e soci
1302/01/26 l. 489 s. 11 l. 200 t. d. 29 e ¼ Lagny Società Guiduccio
d. 8 Andree e soci di
Firenze

1302/05/10 l. 725 l. 300 t. d. 29 Provins Società Appiccalcani


maggio

1302/05/15 l. 484 s. 3 l. 200 t. Provins Società Mozzi di


d. 4 maggio Firenze e Michele
Gentile loro hospes

1302/05/19 l. 1450 l. 600 t. d. 29 Provins Società Appiccalcani


maggio

1302/09/15 l. 925 l. 400 t. d. 27 e ¾ Provins St. Società Appiccalcani


Ayoul

1302/09/21 l. 929 s. 3 l. 400 t. d. 27 e ¾ e Provins St. Società Mozzi di


d. 4 mezzo Ayoul Firenze e Michele
Gentile loro hospes

1302/10/02 l. 1387 s. 10 l. 600 t. d. 27 e ¾ Provins St. Società Cecio e


Ayoul Metto Biliotti e soci
di Firenze e Bandino
Meliori loro hospes

1302/10/10 l. 220 s. 16 l. 100 t. d. 26 e ½ Troyes Società Cino Margatti


d. 8 e soci
190 Alma Poloni

1303/01/16 l. 665 s. 12 l. 300 t d. 26 e ½ e Lagny Società Cino Margatti


d. 6 metà di ¼ e soci

1303/01/22 l. 1337 s. 10 l. 700 t. d. 26 e ¾ Lagny Società Giovannino


di Castro Lambri
di Milano e soci di
Genova

1303/01/21 l. 328 s. 6 l. 140 t. d. 26 e ¼ Lagny Puccio Spiafame

1303/01/29 l. 445 s. 19 l. 200 t. d. 26 e ¾ Lagny Società Appiccalcani


d. 8

1303/01/29 l. 2025 l. 900 t. d. 26 e ½ Lagny Società Guglielmuccio


di Giovanni e soci

1303/05/03 l. 3033 s. 6 l. 1400 t. d. 26 Provins Società Guglielmuccio


d. 8 maggio di Giovanni e soci

1303/05/15 l. 442 s. 12 l. 200 t. Provins Società Bonconti di


d. 4 maggio Pisa

1304/01/16 l. 550 l. 300 t. d. 22 Lagny Società fratelli Dati


e soci

1304/01/23 l. 623 s. 7 l. 340 s. 6 t. d. 22 Lagny Società Cino Margatti


d. 6 e soci

1304/01/25 l. 366 s. 13 l. 200 t. d. 22 Lagny Società fratelli Dati


d. 4 e soci

1304/03/19 l. 1466 s. 13 l. 800 t. d. 22 Bar-sur- Nicoloso da Poggio


d. 4 Aube

1304/05/05 l. 185 s. 8 l. 100 t. d. 22 e ¼ Provins Società Cino Margatti


d. 4 maggio e soci

1304/05/9 l. 1483 s. 5 l. 800 t. d. 22 e ¼ Provins Paruccio Parenti


d. 8 maggio e Francesco de
Bienama di Genova

1304/05/15 l. 245 l. 132 s. 2 d. 9 t. d. 22 e ¼ Provins Società Cino Margatti


maggio e soci

1304/05/15 l. 278 s. 2 l. 150 t. Provins Vanni da Poggio e


d. 6 maggio Iacopino Picchio di
Genova

1305/01/26 l. 560 l. 336 t. d. 20 Lagny Società Cecio e Metto


Biliotti e soci di
Firenze
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 191

1305/07/02 l. 432 l. 8 grossi tornesi l. 54 per lira Provins Società Cino Margatti
tornese maggio e soci

1305/07/02 l. 386 s. 14 l. 7 s. 8 grossi l. 53 s. 5 per Provins Società Cecio e Metto


tornesi lira tornese maggio Biliotti e soci di
Firenze

1305/08/25 l. 138 s. 10 l. 100 t. d. 16 e ½ e Troyes San Società Ghilino


metà di ¼ Giovanni Beraldi e soci

1305/08/26 l. 415 s. 12 l. 300 t. d. 16 e ½ e Troyes San Società Cino Margatti


d. 6 metà di ¼ Giovanni e soci

1305/08/25 l. 354 s. 12 l. 256 t. d. 16 e ½ e Troyes San Società Andrea


d. 8 metà di ¼ Giovanni Arnolfi e soci di San
Miniato

1305/08/25 l. 277 s. 1 l. 200 t. d. 16 e ½ e Troyes San Società Pieruccio


metà di ¼ Giovanni Parenti e soci

1305/10/20 l. 292 l. 228 s. 6 t. d. 15 Provins St. Andrea Arnolfi e


Ayoul mercanti di San
Miniato

1305/10/20 l. 598 s. 10 l. 463 s. 7 d. 3 t. d. 15 Provins St. Società Cecio e Metto


Ayoul Biliotti e soci di
Firenze

1305/10/20 l. 272 l. 200 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società Conte e Cione


Ayoul Filippi di Siena

1305/10/21 l. 272 l. 200 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società fratelli Dati


Ayoul e soci

1305/10/21 l. 272 l. 200 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società Matteo


Ayoul Gottori e soci

1305/10/21 l. 409 s. 7 l. 300 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società fratelli Dati


d. 6 Ayoul e soci

1306/03/26 l. 328 s. 2 l. 250 t. d. 15 e ½ Bar-sur- Freduccio Sciaborditi


d. 6 Aube

1306/03/28 l. 393 s. 15 l. 300 t. d. 15 e 1/3 Bar-sur- Bendinello Rossilioni


Aube

1307/01/24 l. 1239 s. 11 l. 333 s. 14 d. 4 t. d. 44 Lagny Società Cecio e Metto


d. 8 lega di San Luigi Biliotti e soci di
Firenze
1307/07/06 l. 1333 s. 6 l. 266 s. 13 d. 4 t. d. 46 e ½ Nîmes Società Gherardo
d. 8 lega di San Luigi Battosi e soci
192 Alma Poloni

1308/03/18 l. 768 s. 15 l. 600 t. fragilis d. 15 e ¼ di ½ Bar-sur- Società Cino Margatti


decurse monete Aube e soci

1308/03/20 l. 512 s. 10 l. 400 t. fragilis d. 15 e ¼ Bar-sur- Società Cecio e Metto


decurse monete Aube Biliotti e soci di
Firenze
1308/03/28 l. 766 s. 15 l. 600 t. fragilis d. 15 e ¼ Bar-sur- Società Guinigi
decurse monete Aube

1308/05/31 l. 2712 l. 2100 fragilis d. 15 Provins Società Cecio e Metto


decurse monete maggio Biliotti e soci di
Firenze
1308/07/05 l. 512 s. 10 l. 400 t. fragilis d. 15 e ¼ e ½ Troyes San Chieruccio Pagani
decurse monete Giovanni e soci

1308/11/20 l. 1008 s. 6 l. 800 t. fragilis d. 15 e ½ di ¼ Troyes San Società Cecio e Metto


d. 9 decurse monete Giovanni Biliotti e soci di
Firenze
1309/01/25 l. 1000 l. 800 t. fragilis d. 15 e ¼ di ½ Lagny Società Cecio e Metto
decurse monete Biliotti e soci di
Firenze
1309/03/03 l. 381 s. 5 l. 100 t. lega di d. 45 e ¾ Bar-sur- Società fratelli Dati
San Luigi Aube e soci

1309/03/26 l. 635 s. 8 l. 166 s. 13 d. 4 t. d. 45 e ¾ Bar-sur- Società Metto Biliotti


d. 4 lega di San Luigi Aube e soci di Firenze

1309/03/27 l. 256 s. 5 l. 66 s. 13 d. 4 t. d. 46 e ½ di ¼ Bar-sur- Società Matteo


lega di San Luigi Aube Gottori e soci

1309/05/13 l. 625 l. 166 s. 13 d. 4 t. d. 45 Provins Società Cecio e Metto


lega di San Luigi maggio Biliotti e soci di
Firenze
1309/05/31 l. 3000 l. 800 t. lega di d. 45 Provins Società Mozzi di
San Luigi maggio Firenze

1312/05/27 l. 937 s. 10 l. 300 t. lega di d. 37 e ½ Provins Società Vanni


San Luigi maggio Lotteringi e soci di
Firenze

1314/05/10 l. 1237 s. 10 l. 300 t. lega di Provins Società Moriconi


San Luigi maggio

1314/05/18 l. 2702 s. 18 l. 500 t. lega di d. 49 e ¾ Provins Società Puccino


d. 4 San Luigi maggio Ghirardi e soci
Fonti: ASLu, Not. 14, II, Nicolao Clavari; Not. 15, Tegrimo Fulceri; Nott. 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 62, 64, Rabbito
Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 193

1d Spedizioni

Data Merce Valore Destinazione


(n. balle) (l. lucchesi)

1302/10/12 bl. 10 l. 12000 Nîmes

1302/12/07 bl. 7 l. 7000 Parigi

1302/12/07 bl. 4 l. 4000 Nîmes

1303/01/05 bl. 7 l. 7000 Nîmes

1303/03/02 bl. 7 l. 7000 Nîmes

1303/03/26 bl. 9 l. 9000 Parigi

1303/03/26 bl. 5 l. 5000 Nîmes

1306/05/11 bl. 1 l. 500 Nîmes

1306/07/23 bl. 6 l. 6000 Fiera Provins St. Ayoul

1306/09/02 bl. 4 l. 2000 Nîmes

1307/01/05 bl. 4 l. 4000 Nîmes

1307/01/24 bl. 1 Fiera Bar-sur-Aube e poi Parigi

1308/01/26 bl. 10 l. 4000 Nîmes

1308/05/22 bl. 8 l. 8000 Fiera Provins maggio

1311/01/29 bl. 5 l. 6000 Nîmes

1311/03/29 bl. 2 l. 3000 Nîmes


Fonti: ASLu, Nott. 53, 54, 56, 57, 58, 61, Rabbito Toringhelli.
194 Alma Poloni

2. Società Mordecastelli

2a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)
1294/09/06 lb. 413 onc. 6 grana di l. 516 s. 17 Società Cione del Cappone e soci
Corinto di Firenze
1301/03/20 cent. 12 oro filato in accia l. 175 s. 10 Paolo battiloro
1302/10/12 lb. 422 onc. 1 zendadi l. 3377 Giovanni Mordecastelli
bianchi forti
1302/11/16 cent. 6 oro filato in accia l. 86 s. 5 Giuntore battiloro
1303/04/07 lb. 28 onc. 9 zendadi forti l. 219 s. 8 d. 9 Dugoro Diversi
bianchi
1303/04/30 cent. 12 oro filato in accia l. 177 Paolo battiloro
1304/03/06 lb. 61 onc. 2 seta de fregio l. 244 s. 13 d. 4 Ceccoro Cacciadoris
cruda lombarda
1304/03/14 lb. 16 onc. 7 testorium crudo l. 66 Società Federigo Arnaldi e Betto
Saggine
1304/03/20 cent. 15 oro filato in accia l. 182 s. 5 Bandullio Iacobi
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli; Not. 82, Bartolomeo di Gerardino Tacchi; Nott. 37, II, 38, 39, I,
Giovanni Beraldi.

2b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)
1301/05/10 lb. 650 onc. 3 grana di Corinto l. 812 s. 16 d. 3 Società Omodeo Fiadoni e soci
1302/02/08 lb. 224 grana di Corinto l. 324 s. 16 Società Giovanni Draghi e soci
Fonti: ASLu, Not. 82, Bartolomeo di Gerardino Tacchi; Not. 53, Rabbito Toringhelli.

2c Cambi

Data Lire Lire Cambio Fiera Datore


lucchesi provesine (d. lucchesi
o tornesi per s. provesino
o tornese)
1302/01/16 l. 731 s. 5 l. 300 t. d. 29 e ¼ Lagny Società Mozzi di
Firenze e Michele
Gentile loro hospes
1302/03/28 l. 588 s. 10 l. 250 t. d. 28 e ¼ Provins Società Mozzi di
d. 10 maggio Firenze e Michele
Gentile loro hospes
Fonti: ASLu, Not. 53, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 195

2d Spedizioni

Data Merce (n. balle) Valore (l. lucchesi) Destinazione


1301/06/11 bl. 4 l. 3000 Nîmes
1302/10/12 bl. 4 l. 4000 Nîmes
1303/01/05 bl. 8 l. 8000 Nîmes
1304/07/04 bl. 6 l. 5000 Nîmes
Fonti: ASLu, Not. 53, 54, Rabbito Torringhelli, Not. 37, II, Giovanni Beraldi.

3. Società Riccomo Martini, Done Anguilla e soci (dal 1304 società Guido
Martini, Done Anguilla e soci)

3a Acquisti

Data Merce Prezzo (l. lucchesi) Venditore


1293/12/18 cent. 109 oro filato in l. 128 s. 10 Garbuccio del Garbo
accia
1295/06/9 cent. 8 oro filato in accia l. 80 s. 4 Società Ottolino Federigi di
Mantova e soci
1302/01/04 lb. 29 seta de fregio cruda l. 137 s. 5 Fazio di Mercati Boni
1305/01/13 lb. 203 onc. 5 zendadi l. 1505 s. 5 d. 8 Società Ghilino Beraldi e soci
forti
1305/02/11 lb. 22 onc. 7 seta l. 87 s. 8 d. 8 Bettino Callianelli
mezzana in vari colori
1306/07/14 lb. 47 onc. 11 seta de fregio l. 206 d. 10 Narduccio di Rabbito Teste
cruda
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli; Nott. 52, 53, 55, 56, Rabbito Toringhelli.

3b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1293/12/16 lb. 201 onc. 8 grana di Corinto l. 314 s. 11 Ghirardus cordarius e Lucchese
Bonoditi
1293/12/24 lb. 200 grana di Corinto l. 312 due tintori di zendadi

1301/05/09 lb. 629 onc. 8 grana di Corinto l. 692 s. 12 d. 8 Società Omodeo Fiadoni
e soci
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli; Not. 82, Bartolomeo di Gerardino Tacchi.
196 Alma Poloni

3c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Datore


o tornesi (d. lucchesi
per s. provesino
o tornese)
1284/02/11 l. 346 s. 13 l. 100 p. Bar-sur- Società Martinosso
Aube Bonanni e soci
1284/02/22 l. 1096 s. 17 l. 300 p. Bar-sur- Società Durasso
Aube Durassi e soci
1284/07/11 l. 370 s. 16 l. 100 p. d. 44 e ½ Provins St. Società Donato
d. 8 Ayoul Villanova e soci
1284/08/02 l. 733 s. 6 d. 8 l. 200 p. d. 44 Provins St. Savarigio Castracani
Ayoul
1284/11/01 l. 551 s. 11 l. 150 p. d. 44 e ½ di ¼ Lagny Società Battosi
d. 3
1285/01/13 l. 365 s. 12 l. 100 p. d. 44 Bar-sur- Figli di Savarigio
d. 8 Aube Castracani
1285/03/22 l. 362 s. 10 l. 100 p. d. 43 e ½ Provins Figli di Savarigio
Castracani
1302/05/11 l. 479 s. 3 d. 4 l. 200 t. d. 28 e ¾ Provins Società Appiccalcani
maggio
1302/05/13 l. 975 l. 400 t. d. 28 e ¼ Provins Società Michele di
maggio Castro Lambri da
Milano e soci di
Genova
1304/03/11 l. 531 s. 5 l. 300 t. d. 21 e ¾ Bar-sur- Società Cino Margatti
Aube e soci
1304/05/15 l. 362 s. 10 l. 200 t. d. 21 e ¾ Società fratelli Dati
e soci
1305/07/02 l. 425 l. 300 t. Bar-sur- Società Cino
Aube Lotteringi e soci di
Firenze
1305/10/21 l. 800 l. 600 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società fratelli Dati
Ayoul e soci
1307/01/14 l. 716 s. 10 l. 573 t. d. 15 Lagny Società Guinigi
1308/01/03 l. 1125 l. 900 t. d. 15 Lagny Società Appiccalcani
Fonti: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri; Not. 53, 55, 57, Rabbito Toringhelli.

3d Spedizioni

Data Merce (n. balle) Valore (l. lucchesi) Destinazione


1305/01/17 bl. 2 l. 2000 Parigi
Fonte: ASLu, Not. 52, Rabbito Toringhelli, c. 449.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 197

4. Società fratelli Martini

4a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)
1292/12/27 lb. 72 onc. 5 seta de fregio l. 307 s. 15 Società Arriguccio
lombarda Boccadivacca e soci
1293/12/15 marsupi de filugello et sirico l. 245 s. 5 d. 6 Coluccio Bartolomi
1294/02/11 cent. 8 oro filato in accia l. 100 Garbuccio Garba
1294/03/31 cent. 16 oro filato in accia l. 200 Francesco Bonaveri
1295/01/19 lb. 227 onc. 10 capitone tinto l. 55 s. 13 d. 4 Coluccio Iacobi
in vari colori
1295/10/24 lb. 21 onc. 9 testorium crudo l. 196 s. 15 d. 2 Nerio Bocci e Como
Urbicciani
1295/10/29 cent. 8 oro filato in accia l. 100 Vanni Volpelli battiloro
1303/01/18 pz. 85 br. 12 zendadi bianchi l. 342 Cacciaguerra Orlandini
leggeri
1305/04/29 frd. 2 seta chella l. 1262 s. 4 d. 9 Società Tolomei di Siena
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli; Not. 52, 54, Rabbito Toringhelli.

4b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)
1303/05/25 cop. 42 onc. 18 seta de l. 519 s. 15 Coscio e Vanni di Brancalo
mattassellis castolina
1304/01/31 lb. 178 onc. 4 filugello l. 267 s. 17 d. 6
romanesco bianco
Fonti: ASLu, Nott. 54, 55, Rabbito Toringhelli.

4c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Datore


o tornesi (d. lucchesi
per s. provesino
o tornese)
1295/07/02 l. 537 s. 10 l. 150 t. d. 43 Provins St. Società Lapo Chiari
Ayoul e soci di Firenze,
Francesco e benetto
Onesti loro hospites
198 Alma Poloni

1302/01/16 l. 975 l. 400 t. d. 29 e ¼ Lagny Società Mozzi di


Firenze e Michele
Gentile loro hospes
1302/02/28 l. 479 s. 3 d. 4 l. 200 t. d. 28 e ¼ Bar-sur- Società Cino
Aube Margatti e soci
1302/03/24 l. 958 s. 6 d. 8 l. 400 t. Bar-sur- Società Mozzi di
Aube Firenze e Michele
Gentile loro hospes
1302/05/12 l. 3178 s. 15 l. 1300 t. d. 29 e ¼ Provins Società Michele
maggio de Castro Lambri
di Milano e soci di
Genova
1304/03/19 l. 750 l. 400 t. d. 22 e ½ Bar-sur- Società Appicalcani
Aube
1304/03/21 l. 183 s. 6 d. 8 l. 100 t. d. 22 Bar-sur- Società Ghilino
Aube Beraldi e soci
1304/07/27 l. 181 s. 5 l. 100 t. d. 21 e ¾ Troyes San Società Appicalcani
Giovanni
1305/05/25 l. 824 l. 16 grossi Provins Società Tolomei di
tornesi maggio Siena
1305/05/25 l. 1300 l. 25 grossi Provins Società fratelli Dati
tornesi maggio e soci
1305/06/19 l. 309 Provins Società Tolomei di
maggio Siena
1305/07/02 l. 425 l. 300 t. d. 17 Provins Società fratelli Dati
maggio e soci
1305/07/02 l. 425 l. 300 t. Provins Società Cino
maggio Lotteringi e soci di
Firenze
1306/01/07 l. 400 l. 300 t. d. 16 Lagny Società Tolomei di
Siena
1306/05/11 l. 400 l. 300 t. d. 16 Provins Società Cecio e
maggio Metto Biliotti e soci
di Firenze
1306/05/17 l. 133 s. 6 d. 8 l. 100 t. d. 16 Provins Società Bendinello
maggio Rossilioni e soci
Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di Orlando Paganelli; Nott. 53, 55, 56, 57, Rabbito Toringhelli.

4d Spedizioni

Data Merce Valore Destinazione


(n. balle) (l. lucchesi)
1300/12/11 bl. 2 Parigi

1303/07/18 bl. 1 l. 1000 Parigi

Fonti: ASLu, Nott. 52, 54, Rabbito Toringhelli.


Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 199

APPENDICE II: AZIENDE A DIMENSIONE LOCALE

1. Società fratelli Terizendi

1a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)
1284/07/14 cop. 17 onc. 16 seta l. 165 s. 16 d. 4 Società Paganelli
castolina

1294/02/23 cop. 8 onc. 17 seta giorgiana l. 52 Società Vanni Bondoni e soci di


Firenze

1294/09/13 cop. 13 seta castolina l. 79 s. 15 Società Cione del Cappone e


soci di Firenze

1294/12/02 cop. 82 onc. 17 seta l. 577 s. 17 d. 3 Società Cione del Cappone e


giorgiana soci di Firenze

1302/01/09 frd. 1 seta mista (con l. 261 s. 18 d. 8 Società Nerio Clari e soci di
Società Pagani) genovesi Firenze

1302/10/17 cop. 107 seta mercadascia l. 930 s. 10 d. 9 Società Folchino Aliotti e soci


di Firenze

1303/09/02 bl. 1 seta giorgiana (con l. 458 s. 15 Società Minerbetti di Firenze


Società Pagani)

1306/07/28 cop. 103 onc. 9 seta chella l. 909 s. 18 d. 3 Società Nicoloso da Poggio e


soci

1307/11/28 bl. 2 sete miste (con Società l. 2106 s. 8 d. 10 Società dei Mozzi di Firenze e
Pagani) Michele Gentile loro hospes

1308/07/30 cop. 50 onc. 16 seta de l. 506 s. 13 d. 4 Lazario de Fondora


mattafellonis e castolina (con
Società Pagani)

Fonti: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri; Not. 29, I, Gregorio di orlando Paganelli; Nott. 53, 54, 56, 57, 58, Tegrimo Fulceri.
200 Alma Poloni

1b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1284/06/26 lb. 6 onc. 9 testorium crudo l. 32 s. 8 Giuntorio Turciani publicus mercator

1302/05/11 lb. 9 onc. 10 qr. 3 seta gangia l. 47 d. 5 Puccio Mattafelloni


cruda

1302/05/24 lb. 13 onc. 10 testorium crudo l. 65 d. 4 Galgano Bartolomei publicus


mercator

1302/10/10 lb. 11 onc. 11 testorium crudo l. 59 s. 11 d. 8 Ugolino Franchi

1303/05/14 lb. 6 onc. 1 qr. 3 testorium crudo l. 39 s. 12 d. 10 Carduccio Bandetti

1303/05/24 lb. 6 onc. 6 qr. 1 orsorium crudo l. 41 s. 8 d. 1 Fazio di Mercato Boni e Puccio
Alluminati

1304/01/23 lb. 18 onc. 6 testorium l. 92 s. 10 Moralino mercator e Puccetto notaio

1304/03/16 lb. 12 onc. 8 testorium l. 62 s. 1 d. 4 Società Peruccio Squete e soci

1304/05/27 lb. 26 onc. 8 orsorium l. 145 s. 15 Società Peruccio Squete e soci

1305/01/30 lb. 7 onc. 7 qr. 3 testorium l. 38 s. 6 d. 9 Puccio Cari

1305/03/13 lb. 28 onc. 2 orsorium l. 177 s. 9 Società Peruccio Squete e soci

1305/09/18 cop. 147 onc. 22 seta l. 1293 s. 18 Bonaccorso Clavari


mercadascia (con Società
Pagani)

1307/01/24 cop. 31 onc. 4 seta l. 319 s. 9 d. 2 Società Puccino del Bene e soci

1309/07/18 lb. 6 onc. 10 qr. 3 orsorium crudo l. 51 s. 5 Bolgorio Bolgori

1310/01/16 lb. 14 onc. 4 orsorium l. 108 s. 4 d. 4 Società Ghilino Beraldi e soci

Fonti: ASLu, Not. 15, Tegrimo Fulceri; Nott. 53, 54, 55, 57, 59, 60, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 201

2. Società Federigo Arnaldi e Betto Saggine

2a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)
1302/02/28 cop. 109 onc. 22 seta chella l. 670 s. 9 d. 10 Società Cino Margatti e soci
(con Società fratelli Rapondi)

1302/03/07 cop. 104 onc. 7 seta chella l. 654 s. 8 d. 7 Società Appiccalcani

1302/07/16 cop. 105 onc. 6 seta cattuia l. 763 s. 1 d. 3 Società Appiccalcani

1304/01/21 frd. 1 seta cattuia (con Società l. 874 s. 8 d. 9 Società Ciardo Iacobi e soci di
fratelli Rapondi) Siena

1304/09/12 frd. 1 seta yvena l. 488 s. 14 d. 3 Società Appiccalcani

1307/05/16 lb. 212 onc. 7 filugello l. 377 s. 6 d. 8 Coluccio Corodi


romanesco

1308/01/30 cop. 114 onc. 16 seta mista l. 1009 s. 15 Società Mozzi di Firenze

1309/01/11 cop. 113 onc. 13 seta chella l. 879 s. 18 Michele Gentile

1309/01/28 lb. 10 onc. 4 seta cattuia e l. 509 s. 18 Società Anguille


soriana cruda

1309/07/14 cop. 116 onc. 16 seta cattuia l. 1118 s. 6 d. 8 Società Cecio e Metto Biliotti e soci
di Firenze

1310/03/31 cop. 114 onc. 15 seta cattuia l. 951 s. 7 d. 8 Società Cecio e Metto Biliotti e soci
di Firenze

Fonti: ASLu, Nott. 53, 54, 57, 58, 59, 60, Rabbito Toringhelli.
202 Alma Poloni

2b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)
1303/01/10 lb. 26 onc. 1 seta de fregio cruda l. 189 s. 6 d. 2 Società fratelli Rapondi

1304/03/02 lb. 26 onc. 5 testorium l. 110 s. 19 Francesco Massarizie

1304/03/14 lb. 16 onc. 7 testorium crudo l. 66 Società Mordecastelli

1306/03/16 lb. 12 onc. 11 testorium crudo l. 50 s. 7 d. 6 Admannato Pieri e Moricone


Moriconi
Fonti: ASLu, Nott. 54, 55, 56, Rabbito Toringhelli.

2c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Datore


o tornesi (d. lucchesi
per s.
provesino
o tornese)
1312/07/28 l. 1237 s. 5 l. 404 t. Troyes San Società Matteo
Giovanni Brancali e soci
Fonte: ASLu, Not. 62, Rabbito Toringhelli, c. 160v.

2d Spedizioni

Data Merce (n. balle) Valore (l. lucchesi) Destinazione

1311/09/28 bl. 1 l. 1300 fiera..


Fonte: ASLu, Not. 61, Rabbito Toringhelli, c. 255r.

3. Società Peruccio Squete e Coscio Ventura

3a Acquisti

Data Merce Prezzo (l. lucchesi) Venditore

1304/03/16 lb. 12 onc. 8 testorium l. 62 s. 1 d. 4 Società fratelli


Terizendi
1304/03/27 lb. 26 onc. 6 orsorium l. 145 s. 15 Società fratelli
Terizendi
1305/03/13 lb. 28 onc. 2 orsorium l. 177 s. 9 Società fratelli
Terizendi
Fonti: ASLu, Nott. 55, 56, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 203

3b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1303/01/08 lb. 153 onc. 2 zendadi forti l. 1133 s. 8 d. 8 Società fratelli Rapondi
bianchi

1306/03/24 lb. 58 onc. 8 zendadi forti bianchi l. 434 s. 2 d. 8 Società Omodeo Fiadoni e soci
Fonti: ASLu, Nott. 54, 56, Rabbito Toringhelli.

4. Società fratelli Rapondi

4a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)

1294/08/13 ¼ di cop. 125 onc. 9 seta cattuia l. 219 s. 8 d. 1 Società Arrigo Bonanni e soci
di Firenze
1302/02/07 seta turchia l. 734 s. 9 d. 5 Società Minerbetti di Firenze

1302/02/28 cop. 109 onc. 22 seta chella (con l. 670 s. 9 d. 10 Società Cino Margatti e soci
Società Federigo Arnaldi e Betto
Saggine)

1302/03/14 lb. 22 onc. 5 seta sovana cruda l. 98 s. 10 d. 10 Società Coluccio Cenami e soci

1302/05/15 cop. 71 onc. 14 seta cattuia l. 544 d. 8 Società Appiccalcani

1302/05/15 cop. 114 onc. 2 seta cattuia l. 849 s. 12 Società Appiccalcani

1303/01/08 lb. 153 onc. 2 zendadi forti l. 1133 s. 8 d. 8 Società Peruccio Squete
bianchi (con Società Moricone
Moriconi – Admannato Pieri)

1303/01/10 lb. 26 onc. 1 seta de fregio cruda l. 189 s. 6 d. 2 Società Federigo Arnaldi e
Betto Saggine
1303/03/09 pz. 96 e ½ zendadi leggeri (con l. 386 Bonaccorso Clavari
Società Moricone Moriconi -
Admannato Pieri)

1303/05/10 lb. 14 onc. 5 qr. 3 zendadi l. 103 s. 3 d. 2 Società Coluccio Dominici e


bianchi (con Società Moricone soci
Moriconi – Admannato Pieri)
204 Alma Poloni

1303/05/23 cop. 113 onc. 17 seta (con Società l. 799 s. 3 d. 9 Società Tolomei di Siena
Moricone Moriconi - Admannato
Pieri)

1303/07/03 cop. 112 onc. 6 seta cattuia l. 793 s. 3 Società Tolomei di Siena


(con Società Moricone
Moriconi – Admannato Pieri)

1303/07/06 lb. 40 onc. 11 zendadi forti l. 296 s. 12 Chesi Boninsegne


bianchi (con Società Moricone d. 11
Moriconi – Admannato Pieri)

1303/07/11 cop. 30 seta castolina l. 300 Società Mozzi di Firenze e


Michele Gentile loro hospes
1303/07/15 lb. 192 onc. 8 seta lombarda l. 559 s. 10 Società Bonagiunta Teolozini e
(con Società Moricone soci di Firenze
Moriconi – Admannato Pieri)

1304/01/21 lb. 64 onc. 11 seta de fregio l. 201 s. 3 d. 4 Turino Bongiorni


lombarda

1304/01/21 frd. 1 seta cattuia (con Società l. 874 s. 8 d. 9 Società Tolomei di Siena
Federigo Arnaldi e Betto
Saggine)

1304/05/27 cop. 116 onc. 10 seta chella l. 640 Andreuccio Arnolfi

1305/03/13 lb. 11 onc. 6 testorium l. 98 s. 4 d. 8 Gaddino Scorcialupi

1306/01/30 frd. 1 seta mista l. 406 s. 10 Società Conte e Cione Filippi e


soci di Siena
1308/01/30 pz. 14 panni in accia l. 262 s. 9 d. 1 Un pannarius

1308/03/08 lb. 98 onc. 8 seta de fregio cruda l. 567 s. 6 d. 8 Società Nardino Testa e soci

1308/03/18 lb. 53 onc. 7 zendadi bianchi forti l. 455 s. 9 d. 2 Società Freduccio Massarizie
e soci
1308/11/05 bl. 1 seta cattuia l. 1396 s. 12 Passamonte Passamonti
d. 8

1308/11/05 lb. 256 onc. 11 seta cattuia l. 1097 s. 18 Guccio Bonaventure


d. 5

1310/01/20 lb. 150 indaco l. 180 Nuto Bonaccorsi tintore

1310/05/14 lb. 31 grana di Corinto Società Matteo Brancali e soci

1310/05/14 lb. 40 seta de fregio cruda l. 200 Ciuccho Ughi

1312/03/22 lb. 40 onc. 5 zendadi forti bianchi l. 347 s. 11 d. 8 Turino Bonagiunta

1313/03/21 lb. 53 onc. 6 grana di Corinto l. 533 d. 8 Società Guinigi

Fonti: ASLu, Not. 29, I, Gregorio di orlando Paganelli; Nott. 53, 54, 55, 56, 58, 60, 62, 63, Rabbito Torringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 205

4b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1303/03/05 lb. 45 onc. 5 seta de fregio lombarda tinta l. 224 s. 16 d. 3 Società Corbolani
in vari colori (con Società Moricone
Moriconi – Admannato Pieri)

1304/03/11 lb. 14 accia mantovana l. 11 Coscio Fonsi battiloro

1304/03/28 lb. 65 onc. 3 accia mantovana l. 79 s. 18 d. 6 Lemmo Caramonti


battiloro

1307/03/01 lb. 96 accia mantovana l. 208 Iorno battiloro

1307/05/18 lb. 10 onc. 4 testorium crudo (con Ravignano l. 53 s. 14 d. 8 Puccino Baronsetti


Ravignani)
1308/03/15 lb. 15 onc. 6 testorium crudo l. 86 s. 16 Puccio Cari

1308/09/04 lb. 16 onc. 4 accia mantovana l. 47 s. 10 d. 8 Chello Castagnacci

1309/01/08 lb. 70 onc. 1 accia mantovana un battiloro


Fonti: ASLu, Nott. 54, 55, 57, 58, 59, Rabbito Toringhelli.

5. Società fratelli Cristofani

5a Acquisti

Data Merce Prezzo Venditore


(l. lucchesi)

1304/09/03 cop. 152 onc. 4 seta cattuia l. 1057 s. 11 d. 4 Società fratelli Dati e soci

1305/03/20 cop. 222 onc. 9 seta chella l. 1123 s. 1 d. 3 Società Cino Margatti e soci

1305/05/15 frd. 1 seta mercadascia l. 969 s. 2 Società Cino Margatti e soci

1305/05/15 frd. 1 seta cattuia l. 761 s. 13 Società Cino Margatti e soci

1305/09/30 bl. 1 seta mercadascia l. 1070 s. 16 d. 10 Società fratelli Dati e soci


Fonte: ASLu, Nott. 55, Rabbito Toringhelli.
206 Alma Poloni

5b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1308/03/05 lb. 74 onc. 5 zendadi bianchi forti l. 628 s. 16 Società Omodeo Fiadoni e soci

1309/05/07 lb. 20 zendadi forti bianchi l. 188 Società Omodeo Fiadoni e soci

1310/03/27 lb. 19 testorium crudo l. 99 Francesco Sandoni


Fonti: ASLu, Nott. 58, 59, 60, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 207

APPENDICE III
COMPAGNIE INTERNAZIONALI DATRICI DI CAMBIO.
ATTIVITÀ SULLA PIAZZA LUCCHESE

1. Società Cino Margatti e soci

1a Acquisti – Nessun acquisto attestato

1b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)

1302/01/29 lb. 22 onc. 5 testorium l. 108 s. 14 d. 3 Società Dino Tadiccioni e soci


crudo

1302/02/28 cop. 109 onc. 22 seta chella l. 670 s. 9 d. 10 Società Federico Arnaldi e Betto
Saggine con Società fratelli Rapondi

1303/03/04 cop. 115 onc. 19 seta chella l. 636 s. 17 Bartolomeo da Puticciano

1303/03/28 cop. 110 onc. 10 seta talani l. 1104 s. 3 d. 4 Peruccio Paravillani

1303/09/23 cop. 123 onc. 7 seta l. 1504 s. 6 d. 4 Duccio Ghiandolfi publicus mercator


mercadascia

1304/01/15 cop. 119 onc. 4 seta turchia l. 851 s. 9 d. 11 Società Puccio Martini e soci

1304/01/18 lb. 19 onc. 4 testorium l. 75 s. 8 Società Cecchoro Deotislavi e soci

1304/01/22 cop. 85 onc. 17 seta chella l. 388 s. 10 d. 8 Coltano Savini

1304/03/16 cop. 89 onc. 5 seta talani e l. 758 s. 6 d. 6 Arrigo Incapestra


altre sete

1304/05/05 cop. 97 onc. 19 seta l. 875 s. 4 d. 8 Società Flammi


mercadascia

1305/03/20 cop. 222 onc. 9 seta chella l. 1123 s. 1 d. 3 Società fratelli Cristofani

1305/05/15 frd. 1 seta cattuia l. 761 s. 13 Società fratelli Cristofani

1305/05/15 frd. 1 seta mercadascia l. 969 s. 2 Società fratelli Cristofani


208 Alma Poloni

1306/03/22 pz. 19 sarge bianche l. 160 t. Vectigales genovesi

1306/07/23 frd. 1 seta turchia l. 643 s. 17 Datuccio Ugolinelli

1308/01/19 cop. 116 onc. 12 seta l. 1063 s. 11 d. 9 Orlando Borgognoni


turchia

1308/03/05 bl. 1 seta mista l. 1058 s. 17 Ghilino Castagnacci


d. 11
1308/03/08 pz. 11 sarge bianche l. 198 Bonamico merciadrus
irlandesi

1308/07/02 bl. 1 seta l. 1463 s. 16 d. 8 Filippino Clavari

1308/09/04 lb. 250 onc. 8 seta chella l. 1056 s. 19 d. 6 Vannello Vibiani

1308/09/27 cop. 105 onc. 20 seta chella l. 973 s. 13 Coltano Savini

1309/03/04 bl. 2 seta turchia l. 2064 s. 10 Società Nicoloso da Podio e soci

1309/07/11 bl. 2 seta cattuia l. 763 s. 17 Società Anguilla


genovesi
1310/03/24 pz. 5 sarge irlandesi l. 107 s. 16 d. 8 Bonamico merciadrus

1310/09/04 cop. 117 onc. 7 seta chella l. 1401 s. 12 d. 8 Società Ghiandolfo Ghiandolfi e soci

1310/09/04 cop. 53 onc. 5 seta mista l. 574 s. 17 d. 6 Guido Cristofani

1310/09/04 cop. 53 onc. 5 e mezzo seta l. 574 s. 16 d. 6 Società Dino Tadiccioni e soci
mista

1310/11/03 cop. 121 onc. 14 seta l. 1124 s. 12 Mercato Boni e Luporo Bonomi


cattuia d. 11

1310/11/03 bl. 1 seta nicchilia l. 1485 s. 10 Ciamboro Pagani

1310/11/03 lb. 291 onc. 7 seta l. 529 s. 14 d. Stefanello Incapestra


mercadascia 2 genovesi, da
pagare a Genova

1310/11/10 bl. 1 seta mista l. 1180 s. 11 Duccio Ghiandolfi

1310/11/10 bl. 1 seta cattuia l. 1008 s. 2 Puccio Martini

1313/09/06 pz. 5 panni di Parigi l. 255 s. 6 d. 6 Bacciameo pannarius lini

1314/05/21 lb. 292 seta turchia Ugolino Clavari


Fonti: ASLu, Nott. 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 63, 64, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 209

1c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Prenditore


o tornesi (d. lucchesi
per s. provesino
o tornese)

1302/01/12 l. 487 s. 15 l. 200 t. d. 29 e ¼ Lagny Società Omodeo


Fiadoni e soci

1302/09/27 l. 464 s. 11 d. 8 l. 200 t. d. 27 e ¾ Provins St. Società Corbolani


Ayoul

1302/10/10 l. 220 s. 16 d. 8 l. 100 t. d. 26 e ½ Troyes St. Società Omodeo


Remi Fiadoni e soci

1302/12/11 l. 1135 s. 8 d. 4 l. 500 t. d. 27 e ¼ Troyes St. Società Freduccio


Remi Diversi e soci

1303/01/16 l. 665 s. 12 d. 6 l. 300 t. d. 26 e ½ e metà Lagny Società Omodeo


di ¼ Fiadoni e soci

1303/05/21 l. 650 l. 300 t. d. 26 Provins Matteo Calcinelli


maggio

1304/01/21 l. 1103 l. 601 s. 14 t. d. 22 Lagny Società Corbolani

1304/01/21 l. 200 t. Lagny Società Corbolani

1304/01/23 l. 623 s. 7 d. 6 l. 340 d. 6 t. d. 22 Lagny Società Omodeo


Fiadoni e soci

1304/03/11 l. 531 s. 5 l. 300 t. d. 21 e ¾ Bar-sur- Società Guido


Aube Martini, Done
Anguilla e soci

1304/05/05 l. 185 s. 8 d. 4 l. 100 t. d. 22 e ¼ Provins Società Omodeo


maggio Fiadoni e soci

1304/05/15 l. 245 l. 132 s. 2 d. d. 22 e ¼ Provins Società Omodeo


9 t. maggio Fiadoni e soci

1305/07/02 l. 432 l. 8 grossi l. 54 per lira Provins Società Omodeo


tornesi tornese maggio Fiadoni e soci

1305/07/02 l. 1275 l. 900 t. d. 17 Provins Società Giovanni


maggio Boccelle e soci
210 Alma Poloni

1305/08/26 l. 415 s. 12 d. 6 l. 300 t. d. 16 e ½ e metà Troyes San Società Omodeo


di ¼ Giovanni Fiadoni e soci

1307/05/31 l. 400 l. 300 t. d. 16 Società Schiatta

1308/01/20 l. 256 s. 5 l. 200 t. d. 15 e ¼ Lagny Società Schiatta


fragilis decurse
monete

1308/03/18 l. 768 s. 15 l. 600 t. d. 15 e ¼ di ½ Bar-sur- Società Omodeo


fragilis decurse Aube Fiadoni e soci
monete

1309/05/02 l. 1375 l. 1100 t. d. 15 Provins Società Iacobo


fragilis decurse maggio Paronsetti e soci
monete

1310/01/28 l. 356 s. 5 l. 100 t. d. 42 e 4/3 Lagny Dino Schiatta


fragilis decurse
monete

1310/03/02 l. 831 s. 5 l. 233 s. 6 d. 42 e ½ Bar-sur- Società Matteo


lega di San Aube Gottori e soci
Luigi

1312/03/23 l. 637 s. 10 l. 200 t. d. 35 e ¼ Bar-sur- Società Gialdello


Aube Sesmondi e soci
1312/07/08 l. 1531 s. 5 l. 500 t. d. 36 e ¾ Troyes St. Società Guinigi
Remi
1312/07/27 l. 4662 s. 10 l. 1500 t. Troyes San Società Matteo
Giovanni Gottori e soci
1313/01/30 l. 1025 s. 3 d. 8 l. 341 s. 13 t. Parigi Società Bindo
Scandaleoni e soci
Fonti:ASLu, Nott. 53, 54, 55, 57, 58, 59, 60, 62, 63, Rabbito Toringhelli.

1d Spedizioni

Data Merce Valore Destinazione


(n. balle) (l. lucchesi)

1303/03/23 bl. 9 l. 9000 Parigi

1303/07/07 bl. 4 l. 4000 Parigi

1304/07/14 bl. 2 Parigi


Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 211

1306/05/11 bl. 4 l. 4000 Fiera Troyes San Giovanni

1306/07/23 bl. 8 l. 8000 Fiera Provins St. Ayoul

1306/09/06 bl. 10 l. 10000 Fiera Provins St. Ayoul

1307/01/05 bl. 3 l. 3000 Fiera Bar-sur-Aube

1307/01/24 bl. 1 Fiera Bar-sur Aube e poi Parigi

1308/05/22 bl. 8 l. 8000 Fiera Provins maggio

1308/07/05 bl. 2 l. 2000 Fiera Troyes San Giovanni

1308/09/12 bl. 6 l. 6000 Fiera Troyes St. Remi

1308/03/08 bl. 2 l. 2000 Fiera Bar-sur-Aube

1309/09/06 bl. 6 l. 6000 Fiera Provins St. Ayoul

1310/03/07 bl. 3 l. 4000 Fiera Bar-sur-Aube

1310/05/12 bl. 2 l. 2000 Fiera Provins maggio

1311/03/28 bl. 3 l. 3000 Fiera San Giovani


Fonti: ASLu, Nott. 54, 55, 46, 57, 58,59, 60, 61, Rabbito Toringhelli.

1e Servizio di trasporto

Data Merce Valore Clienti Destinazione


(n. balle) (l. lucchesi)

1312/05/15 bl. 4 Società Matteo Gottori e soci Parigi

1312/05/15 bl. 8 l. 2666 Società Gialdello Sesmondi e soci Parigi

1312/05/24 bl. 1 l. 848 Società Matteo Brancali e soci Parigi

1312/05/26 bl. 4 l. 1400 t.. Società Gialdello Sesmondi e soci Parigi

1312/11/25 bl. 3 l. 2600 Società Matteo Brancali e soci Parigi

1313/01/02 bl. 3 l. 2000 Società Matteo Brancali e soci Parigi

1313/03/11 bl. 7 fiorini d’oro 3150 Società Michele Aimerigi e soci Nîmes
Fonti: ASLu, Nott. 62, 63, Rabbito Toringhelli.
212 Alma Poloni

2. Società fratelli Dati e soci (dal 1311 società Gialdello Sesmondi e soci)

2a Acquisti – Nessun acquisto attestato

2b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(l. lucchesi)
1304/01/01 cop. 9 onc. 23 seta cattuia l. 747 s. 14 d. 4 Aldebrandino Iacobi
e Admannato Pieri
1304/03/11 cop. 112 onc. 12 seta cattuia l. 776 s. 5 Coluccio Spade
1304/05/09 cop. 85 onc. 16 seta chella l. 471 s. 3 d. 4 Vannello e Coluccio Cerlocti
1304/07/07 cop. 122 onc. 11 seta cattuia l. 838 s. 19 d. 8 Società Iannotto Passamonti
e fratelli
1304/09/03 cop. 152 onc. 4 seta cattuia l. 1057 s. 11 d. 4 Società fratelli Cristofani
1305/01/05 pz. 17 drappi di seta, di velluto l. 706 s. 17 d. 6 Puccino Dominici
e altri
1305/05/25 cop. 113 onc. 6 seta chella l. 666 s. 10 d. 3

1305/05/25 cop. 113 onc. 18 seta chella l. 668 s. 5 d. 7 Vanni e Coltano Savini


1305/07/21 cop. 58 onc. 7 seta giorgiana l. 326 s. 2 Pietro Buiamonti Rossi
1306/03/15 cop. 116 onc. 8 seta mista l. 831 Coluccio Pellegrini
1306/03/28 frd. 1 seta mercadascia l. 915 s. 6 d. 8 Società Pagani
1306/05/06 cop. 118 onc. 9 seta chella l. 710 s. 5 Società Federigo Arnaldi
e Betto Saggine
1306/05/25 cop. 79 onc. 10 seta turchia l. 516 s. 4 d. 2 Società Coscio da Brancalo
e soci
1306/09/15 cop. 114 onc. 2 seta chella l. 700 s. 9 d. 8 Società Banuccio Sigheri
e soci
1307/11/09 cop. 116 onc. 13 seta l. 113 s. 9 Orlando Borgognoni
mercadascia
1310/01/09 cop. 53 onc. 12 seta cattuia l. 561 s. 15 Paravillano Paravillani
1311/03/08 cop. 118 onc. 23 seta l. 1403 s. 14
mercadascia
1311/07/30 cop. 84 onc. 7 seta mista l. 800 Alluminato Alluminati
Fonti: ASLu, Nott. 55, 56, 57, 60, 61, Rabbito Toringhelli.
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 213

2c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Prenditore


o tornesi (d. lucchesi
per s. provesino
o tornese)

1304/01/16 l. 550 l. 300 t. d. 22 Lagny Società Omodeo


Fiadoni e soci

1304/01/25 l. 366 s. 13 l. 200 t. d. 22 Lagny Società Omodeo


d. 4 Fiadoni e soci

1304/05/15 l. 362 s. 10 l. 200 t. d. 21 e ¾ Provins Società Guido


Martini, Done
Anguilla e soci

1304/09/25 l. 666 d. s. 13 l. 400 t. d. 20 Provins St. Società Corbolani


d. 4 Ayoul

1305/05/25 l. 1300 l. 25 grossi Provins Società fratelli


tornesi maggio Martini

1305/07/02 l. 425 l. 300 t. d. 17 Provins Società fratelli


maggio Martini

1305/10/21 l. 800 l. 600 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società Guido


Ayoul Martini, Done
Anguilla e soci

1305/10/21 l. 409 s. 7 d. 6 l. 300 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società Omodeo


Ayoul Fiadoni e soci

1305/10/21 l. 272 l. 200 t. d. 16 e ¼ Provins St. Società Omodeo


Ayoul Fiadoni e soci

1309/03/03 l. 381 s. 5 l. 100 t. Lega d. 45 e ¾ Bar-sur- Società Omodeo


di San Luigi Aube Fiadoni e soci
Fonti: ASLu, Nott. 55, 56, 59, Rabbito Toringhelli.
214 Alma Poloni

2d Spedizioni

Data Merce Valore Destinazione


(n. balle) (l. lucchesi)
1304/01/17 bl. 1 l. 1000 Parigi
1304/07/4 bl. 2 l. 2000 Parigi
1304/07/14 bl. 2 l. 2000 Parigi
1306/01/03 bl. 2 l. 2000 Parigi
1306/09/02 bl. 1 Fiera Provins St. Ayoul
1307/01/24 bl. 4 Fiera Bar-sur-Aube poi Parigi
1308/09/12 bl. 2 Fiera Troyes St. Remi
1308/11/28 bl. 2 Fiera Lagny
1309/01/25 bl. 3 l. 3000 Fiera Bar-sur-Aube
1309/09/07 bl. 2 l. 2000 Fiera Provins St. Ayoul
1311/05/15 bl. 2 Fiera Provins maggio
1312/05/13 bl. 8 Parigi

1312/05/26 bl. 4 l. 1400 Parigi


Fonti: ASLu, Nott. 55, 56, 57, 58, 59, 61, 62, Rabbito Toringhelli.

3. Società Appiccalcani

3a Acquisti – Nessun acquisto attestato

3b Vendite

Data Merce Prezzo Acquirente


(lire lucchesi)
1302/03/07 cop. 104 onc. 7 seta chella l. 654 s. 8 d. 7 Società Federigo Arnaldi e Betto
Saggine
1302/03/17 lb. 50 zendadi forti bianchi l. 400 Società Omodeo Fiadoni e soci
1302/05/15 cop. 71 onc. 14 seta cattuia l. 544 d. 8 Società fratelli Rapondi
1302/05/15 cop. 114 onc. 2 seta cattuia l. 849 s. 12 Società fratelli Rapondi
1302/07/16 cop. 105 onc. 6 seta cattuia l. 763 s. 1 d. 3 Società Federigo Arnaldi e Betto
Saggine
1304/09/12 frd. 1 seta yvena l. 488 s. 14 d. 3 Società Federigo Arnaldi e Betto
Saggine
Fonti: ASLu, Nott. 53, 55, Rabbito Toringhelli
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 215

3c Cambi

Data l. lucchesi l. provesine Cambio Fiera Prenditore


o tornesi (d. lucchesi
per s. provesino
o tornese)

1302/05/10 l. 725 l. 300 t. d. 29 Provins Società Omodeo


maggio Fiadoni e soci
1302/05/11 l. 479 s. 3 d. 4 l. 200 t. d. 28 e ¾ Provins Società Riccomo
maggio Martini, Done
Anguilla e soci
1302/05/19 l. 1450 l. 600 t. d. 29 Provins Società Omodeo
maggio Fiadoni e soci
1302/09/15 l. 925 l. 400 t. d. 27 e ¾ Provins St. Società Omodeo
Ayoul Fiadoni e soci
1303/01/29 l. 445 s. 19 d. 8 l. 200 t. d. 26 e ¾ Lagny Società Omodeo
Fiadoni e soci
1304/03/19 l. 750 l. 400 t. d. 22 e ½ Bar-sur- Società fratelli
Aube Martini
1304/07/27 l. 181 s. 5 l. 100 t. d. 21 e ¾ Troyes San Società fratelli
Giovanni Martini
1308/01/03 l. 1125 l. 900 t. d. 15 Lagny Società Guido
Martini, Done
Anguilla e soci
Fonti: ASLu, Nott. 53, 54, 55, 58, Rabbito Toringhelli.
OPERE CITATE

1. Fonti edite

Bandi lucchesi del secolo decimoquarto tratti dai registri del R. Archivio di Stato in Lucca, a cura di S. Bongi,
Bologna, Tipografia del progresso, 1863
(Il) Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini et al., Siena, Accademia senese degli
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Cardon C., Il protocollo notarile di Orlando di Orlando Ciapparoni, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a.
1999-2000, relatore M. Tangheroni
(Il) cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano e M. Moresco, Torino, Lattes, 1935
Cianelli A.N., Dissertazioni sopra la storia lucchese, in Memorie e documenti per servire all’istoria del prin-
cipato lucchese, Tomo I, 1813
Codice diplomatico della repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Roma, Tip. del
Senato, 1936
(Il) Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel 1309-1310, a cura di M. S. Elsheikh, Siena,
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(Le) croniche di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bongi, 3 voll., Lucca, Tipografia Giusti,
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Davidsohn R., Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin, Mittler und Sohn, 1908
Doehaerd R., Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l’Outremont d’apres les archives notaria-
les genoises aux XIIIe et XIVe siécles, 3 voll., Bruxelles, Palais des Academies, Roma, Academia
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Ferretto A., Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante
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Giovanni di Guiberto (1200-1211), a cura di M. W. Hall-Cole, H. C. Krueger, R. L. Reynolds, 2 voll.,
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Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M.W. Hall - H. C. Krueger - R.L. Reynolds, 2 voll.,
Torino, Lattes, 1938
Lanfranco (1202-1226), a cura di H.G. Krueger e R. L. Reynolds, Genova, Società ligure di storia
patria, 1951
Lettere dei Ricciardi di Lucca ai loro compagni in Inghilterra (1295-1303), edizione e glossario a cura di A.
Castellani, Introduzione, commenti, indici a cura di I. Del Punta, Roma, Salerno, 2005
Lettere volgari del secolo XIII scritte da senesi. Pubblicate e illustrate con documenti e annotazioni da C.
Paoli e da E. Piccolomini, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968
(I) Libri Iurium della repubblica di Genova, a cura di A. Rovere - D. Puncuh - E. Madia - M.
Bibolini - E. Pallavicino, 8 voll., Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio
centrale per i beni archivistici, 1992-2002
Michaëlsson K., Le livre de la taille de Paris l’an 1296, Göteborg, Almqvist, 1958
Oberto Scriba de Mercato (1186), a cura di M. Chiaudano, Torino, Editrice libraria italiana, 1940
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libraria italiana, 1938
218 Alma Poloni

Pegolotti F.B., La pratica della mercatura, edited by A. Evans, 2 voll., Cambridge (Mass.), The
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Piton C., Les lombards en France et à Paris, Paris, Chempion, 1892-1893
(Les) registres de Grégoire IX, a cura di L. Auvray, Paris 1896-1907
(I) registri della cancelleria angioina ricostruiti da R. Filangeri con la collaborazione degli archivisti napoleta-
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Seghieri M., Le pergamene di Vivinaia, Montechiari, San Piero in Campo (secc. XI-XIV), a cura di S.
Nelli, presentazione di A. Romiti, Lucca, Istituto storico lucchese, 1995
Statuti della repubblica fiorentina. II. Statuto del Podestà dell’anno 1325, a cura di R. Caggese, Firenze,
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Tholomei Lucensis Annales, a cura di B. Schmeidler, in MGH, SS, n.s., t. VIII, Berlin, 1930
Tommasi G., Sommario di storia lucchese, in «Archivio storico italiano», serie I, X (1847), Appendice
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Villani G., Nuova cronica, ed. critica a cura di G. Porta, 3 voll., Parma, Fondazione Pietro Bembo,
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2. Studi

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Ashtor E., Investments in Levant Trade in the Period of the Crusades, in «The Journal of European
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Balard M., La Romanie génoise (XIIe-début du XVe siècle), 2 voll., Genova, Società ligure di storia
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Id., Les Génois en Romanie entre 1204 et 1261. Recherches sur le minutiers notaraux génois, in «Mélanges
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Banchieri e mercanti di Siena, prefazione di C.M. Cipolla, Roma, De Luca, 1987
Banti O., Di alcuni caratteri delle cronache medioevali e in particolare di quelle toscane dei secoli XII-XIV, in
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Barca F. (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli, 1997
Bautier R.H., I Lombardi e i problemi del credito nel regno di Francia nei secoli XIII e XIV, in L’uomo del
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Id., Les foires de Champagne, in La foire, Bruxelles, Librairie Encyclopedique, 1953, pp. 97-147
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Id., Dal «settore industriale» al «distretto industriale». Alcune considerazioni sull’unità d’indagine dell’econo-
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Id., The Marshallian Industrial District as a Socio-Economic Concept, in Industrial Districts and Inter-Firm
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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI
I numeri in corsivo rimandano alle pagine delle Appendici

Accettanti Francuccio, 175; Peracca, 175 Avvocati, famiglia, 152, 153, 170; Puccio
Acciaioli, famiglia e compagnia fiorentina, Normannini, 152, 153; Puccino
115, 117 Normannini, 187
Accon, 63 Baldesi Torino, mercante fiorentino, 115
Acri, 48n Bandetti Carduccio, 117, 118, 200; Ubaldo,
Aigues Mortes, 75, 124, 130 87, 118, 186-192
Aimerigi Gardo, 65n Bandino di Giovanni, mercante fiorentino,
Aimerigi Michele, 65n, 88, 98-99, 130, 187, 115
211 Barca Barchetto, 73; Bendinello, 170; Puccino,
Aleppo, 48 170; Rainaldello, 170
Aliotti Folchino, mercante di Firenze, 199 Bardi, famiglia fiorentina, 70
Alluminati Alluminato, 212; Puccio, 200 Bartolomeo, mercante lucchese, 45
Ammannato di Piero, 98 Baruffaldo di Compito, 167
Angiò Carlo I, 63, 66, 67, 70, 73, 85, 147 Battosi, famiglia e compagnia, 34n, 62n,
Anguilla Done, 92-93, 118, 195-196 112, 113, 114, 149, 196; Gherardo, 191;
Antelminelli, famiglia, 73, 169, 170; Bonuccio, Orlando, 62n
170; Davino, 152; Giovanni Ubaldi, 177; Bella (della) Giano, mercante fiorentino, 117
Guglielmo, 177 Belli Belluccio, 72
Antelminelli Gonella, ramo degli Antelminelli, Benenati Coluccio, 99-102, 212-214
Francesco, 178 Beraldi Giovanni notaio, 93; Ghilino, 191, 195,
Antelminelli Parghia, ramo degli Antelminelli, 198, 200
Giovanni, 152; Coluccio, 152 Bernardini Giuntino, 128n, 129
Appiccalcani, famiglia e compagnia, 89, 95, Berrettani da Barga, famiglia, 151, 153, 156,
96, 102, 113, 114, 214-215; Coluccio, 102; 162, 163, 170, 174; Ottobono giudice, 151
Filippo, 102; Pardo, 102 Bettori, famiglia e compagnia, 112, 113, 114,
Arcadipane Bonaventura, 187; Turello, 186 173, 178n, 182
Arecchi Nicoluccio, mercante di Siena, 130 Bianchi Banduccio, 88, 187, 188
Arnaldi, famiglia, 145, 146n, 147, 157, 158; Biliotti, mercanti fiorentini, Cecio, 89, 115,
Federigo, 95, 97, 98, 99, 102, 130, 158, 189, 191, 192, 198, 201; Metto, 89, 115, 189,
201-203 191, 192, 198, 201
Arnolfi Andrea, mercante di San Miniato, Boccadivacca Arriguccio, 197; Ghiandone, 73
191, 204 Boccansocchi Rustichello, 173
Arnolfini Arrigo, 74; Tedicio, 189 Bodono, mercante lucchese, 44
Arrigucci Ghetto, 188 Bologna, 184
Asquini, famiglia, 66, 145, 146n, 157, 169; Bonamico, mercante lucchese, 46, 50
Arrigo notaio, 66; Burnetto, 66; Coluccio, Bonanni Arrigo, mercante fiorentino, 117,
150, 158; Lando, 158 203; Martinosso, 189, 196
226 Alma Poloni

Bonaventure Betto, 150; Guccio, 204; Guido, Castro Lambri (de), mercanti milanesi,
150; Marraghino, 150, 162 Giovannino, 190; Michele, 196, 198
Boncompagni, mercanti senesi, Bartolomeo, Cenami Coluccio, 203; Puccio, 175
116; Lando, 116 Cenna, mercante lucchese, 39, 40-41, 42, 43,
Bondoni Vanni, mercante fiorentino, 199 45, 56
Boni Fazio, 101-102, 200; Mercato, 138n, Cerchi, famiglia fiorentina, 70
195, 208 Cerondi Coluccio, 187
Bonifacio VIII, papa, 171, 177 Cesarea, 79
Bonomi Luporo, 208 Champagne, fiere della, 44, 52, 55, 58-60, 62
Bonsignori, famiglia e compagnia di Siena, 64, 72, 73, 74, 75, 82, 84-85, 89, 92, 95,
114, 140n 99, 100, 101, 115, 119, 120-125, 130, 141,
Borgognoni Orlando, 208, 212; Petruccio, 187 143, 151, 189-192, 193, 194, 196, 197-198,
Bosco (del), famiglia, 170; Posarello, 151 209-210, 211, 213, 214, 215
Brabante, 126 Chiari, mercanti fiorentini, Cambino, 130;
Brancali Coscio, 212; Matteo, 202, 204, 211 Lapo, 114, 197; Nerio, 199
Brancasecchi Ceccoro, 152 Chiatri (da), famiglia, 181; Fralmo, 130;
Bruges, 127, 184 Gerardo, 53; Puccio, 170
Buggiano, 167n Ciabatto, notaio, 14
Buiamonti Betto, 62n; Forese, 152 Ciapparoni, famiglia, 169; Bacciameo, 152,
Buzolini Giovanni, 138n 170; Orlando, 170n
Cacciaguerre Bartolomeo, 87, 186-192; Cina, 79
Cacciaguerra, 87, 186-192 Clavari Bonaccorso, 88, 186, 200, 203; Ciomeo,
Caffa, 80 188; Filippo, 208; Ugolino, 99, 101, 207-
Callianelli Albertino, 73; Angioretto, 186; 211
Bettino, 195; Graziuccio, 87, 137; Matteo, Clavica (de) Stefano, 43, 44
187, 209 Compagni Cecco, mercante fiorentino, 117
Calveto Loterio, 46 Conciati Coluccio, 187
Camaiore, 159 Corbolani, famiglia e compagnia, 117, 119,
Capponi, mercanti fiorentini, 117; Arecco, 173, 182, 205, 209, 213
114; Cione, 114, 194, 199; Mico, 114 Corsi Baccione, 150
Cardellini Ubaldo, 65n Corsica, 40
Cardellini, famiglia e compagnia, 65n, 74, 75 Cortafugga di Panfollia, 43
Cari, famiglia, 182; Betto, 87, 186-192; Nicolao, Costantinopoli, 47, 48, 80
87, 186-192; Puccio, 94, 200, 205 Crimea, 80
Carincioni, famiglia, 25-26, 32, 34n, 54, 68, 70, Cristofani Deodato giudice, 97; Federico,
72, 145, 146n, 147, 172, 181 Benbuono, 152; Guido, 97-98, 205-206; Tagliapane,
25; dominus Bonagiunta, 70n, 170, 173; 97-98, 205-206; Tedora, 98
Carincione (capostipite), 25, 26, 41, 43, Damasco, 48
54, 64; Carincione di Bonagiunta, 170, Dardagnini, famiglia e compagnia, 160;
173; Coluccio, 26n, 186; Giovanni giu- Manfredi, 117, 138n; Coluccio, 138n;
dice, 26n, 173; Opizzo, 26n; Pietro, 173; Vermiglietto, 138n
Ranieri, 26n; Reale, 26n Dati, famiglia, 145, 146n, 157, 182; Bonturo,
Castagnacci Arriguccio, 186; Chello, 205; 97, 99-102, 113, 114, 124, 130, 158, 160,
Ghilino, 208 162, 163, 212-214; Vanni, 101, 102, 158,
Castelnuovo di Garfagnana, 151 212-214
Castracani, famiglia e compagnia, 34n, Diversi Coscio, 186; Dugoro, 194; Freduccio,
112, 113; Gerio, 167n, 173; Pillio, 152; 209; Lippo, 189
Savarigio, 189, 196 Doehaerd R., 15
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 227

Domaschi Borgognotto, 187 Fucecchio (da) Sarduccio, 178


Dombellinghi Belluccio, 186 Fulceri Tegrimo, 102
Draghi Giovanni, 194 Funtananigra (de) Pietro draperius genovese,
Durassi Durasso, 196 126n
Egitto, 48n Gaba Guido, 41, 45
Erro (dell’) Cecco, 162 Galganetti Rossellino, 187
Erzurum, 79 Garba Coluccio, 187
Faber Giovanni, 39 Genova, 36-60, 61, 62 72, 67n, 73, 74, 75, 76,
Faggiola (della) Uguccione, 95, 158, 165n, 78-84, 85, 87, 89, 92, 99, 100, 104, 109,
183 111, 115, 116, 125, 126n, 127, 128, 129,
Faitinelli, famiglia, 52; Cecio, 52; Faitinello, 130, 148, 150, 184
52; Gerarduccio, 175; Gherardo, 52; Gentili Gentile, 117; Michele, 117, 189, 198,
Rosso canonico, 177 199, 201, 204
Ferretto A., 15, 64 Gerardino di Moretto, 43
Fiadoni, famiglia, 15, 68, 71, 72, 145, 146n, Gerardo di Ghiandone notaio, socio dei
147, 157, 158, 159, 161, 182; Iacobino di Fornari, 51
Iacobo, 63n; Iacobo, 63n; Iacobo (Puccio), Ghent, 127
150, 158; Omodeo, 18, 63, 87-90, 91, 92, Ghiandolfi Duccio, 208; Ghiandolfo, 208
94, 97, 99, 100, 101, 102, 104, 118, 119, Golfo Persico, 79
128, 129, 137, 158, 186-193; Rainone, 63n; Gottori Matteo, 191, 192, 210, 211
frate Tolomeo, cronista, 13, 14, 15, 33, Gracci, famiglia, 157, 177, 178; Coluccia, 173;
155-156, 158, 160-161, 169 Gerarduccio mercante, 150, 158, 173,
Fiandre, 81, 82, 83, 112, 115, 126 178n; Gerarduccio notaio, 177n; Lamberto
Fibialla, 63n canonico, 158, 177, 178; Lemmo, 158;
Filippi, mercanti senesi, Conte, 116, 191, 204; Paganello (Panello), 150, 158
Cione, 116, 191, 204; Done, 188 Grecia, 81
Filippo Augusto, re di Francia, 59 Guassi Pagano, 88, 98-99, 130, 187
Filippo il Bello, re di Francia, 119-125, 129 Guerci, famiglia, 29-30, 32, 145, 146n,
Firenze, 11, 65, 70, 72, 102-105, 142-143, 147, 157, 178; Alamanno canonico, 159, 178;
148, 157, 171, 181, 184 Arrigo, 29, 30, 159, 178; Bonaventura
Fondora (de) Lazario, 152, 186, 188, 199; mercante, 62, 63, 87; Bonaventura
Morettino, 30 notaio, 29, 30; Guercio, 159; Nicolao,
Fornari, famiglia, 26-27, 32, 33, 34, 50, 52, 178n
54, 55, 68, 69, 70, 71, 72, 78, 105, 145, Guidi Benetto, 99-101
146n, 182; Bonagiunta, 26, 27, 50-51, Guidiccioni, famiglia, 31, 34n, 182
52; dominus Enrico, 27n, 70n; Fornario Guinigi, famiglia e compagnia, 74-75, 125-
di Mattafellone, 26; Mattafellone (capo- 127, 192, 196, 204, 210; Conte, 74, 75;
stipite), 26, 33, 54, 64; Pagano, 50-51; Federico, 186; Giovanni, 126n; Nicolozo,
Ranuccio, 27n; Ugolino, 26 125, 126n
Fossatello (de) Pietro e Nicoloso, draperii geno- Iacobi Aldibrandino, 98; Bandullio, 194;
vesi, 126n Coluccio, 197
Fralmi Banduccio, 92-93, 118; Bongiorno, Iacobi Scorcialupo, 72
177; Nerello, 89, 99-101, 207-211 Iacobi, mercanti fiorentini, Baldo, 89, 115;
Franchi Ugolino, 200 Rustichello, 115
Francia, 83 Incalocchiati, famiglia, 28-29, 32, 34n, 54,
Frangelasta Fredo, 67, 90, 92; Puccetto, 90 145, 146n, 157; Lazario notaio, 159, 164;
Frescobaldi, famiglia e compagnia fiorentina, Scalocchiato (capostipite), 28, 41, 43,
114 54, 64
228 Alma Poloni

Incapestra Arrigo, 207; Stefanello, 208; Terio, 198; Tedora, 27, 53; Ugolino, 23n, 150;
186 Vanni, 170
Laiazzo (Yumurtalik), 79, 80 Martinosso di Bonanno, 65n
Liena, famiglia, 182 Massa pisana, 167n
Lieti, famiglia, 152, 172; Coluccio, 152, 170; Mattafelloni Puccio, 188, 200
Dettoro, 170; Ricciardello, 170 Melanesi, famiglia, 61-63, 64, 68, 71, 72, 104,
Linguadoca, 89 145, 146n, 182; Benetto, 61; Iacobo, 61,
Linguaforbita Ubaldetto, 62n 62, 63; Salliente, 62, 63, 87-90, 92, 98,
Londra, 129 115, 118, 186-192; Vannello, 98
Loppa (de) Tommasino, 177 Messina, 39
Lotteringi, mercanti fiorentini, Cino, 196, 198; Migliori Bandino, 115, 117, 188, 189, 191,
Vanni, 192 192
Luporo di Bonomo, 101-102 Minerbetti, famiglia e compagnia fiorentina,
Maccaiori Bernarduccio, 188 115, 186, 199, 203
Maire Vigueur J. C., 34 Moccidenti, famiglia, 65n
Malafronte di Gerardo, 43 Molà L., 183, 184
Malpigli, famiglia, 67, 68, 153; Ranieri Montacollo, socio dei Fornari, 51
Salamoni, 152, 153; Moncello Salamoni, Montefeltro (da) Guido, 160
153 Montpellier, 40
Manenti Perfetto, 152, 162, 163 Mordecastelli, famiglia e compagnia, 66-68,
Mangialmacchi Aldibrandino, 87, 186-192; 70n, 71, 75, 90-92, 93, 104, 117, 118, 119,
Betto, 118; Francesco, 67; Michele, 177 128, 145, 146n, 151-155, 156, 157, 162,
Mar Caspio, 79, 81 163, 166, 167n, 168, 169, 170, 171, 172,
Mar Nero, 79, 80, 81, 82 173, 174, 177, 181, 194-195; Albonetto, 66,
Marcovaldi Ciato, mercante senese, 116 70n; Baldinetto, 67; Castello, 67; dominus
Maremma, 40 Dino, 152, 154, 167n; Faitinello, 66, 67,
Margatti, famiglia, 64, 145, 146n, 157; Dino, 92; Ghiddino, 153, 172; Ghisello, 66,
64; Freduccio (Cino), 64, 89, 95, 96, 153; dominus Gualfreduccio, 90, 152, 154;
99-101, 113, 114, 124, 129, 159, 207-211; Marcovaldo, 67, 90, 152; Moncello, 153;
Margatto, 64; Sandonese, 64 Nello, 90, 152; Nicolao, 67; Pannocchia,
Marsiglia, 124 67, 153, 154; Puccio 152, 153; dominus
Martini, famiglia, 21-24, 27, 32, 33, 34n, 35, Ranieri, 70n; Ranuccio, 67, 170
52, 53, 54, 68, 69, 70, 71, 72, 101, 102, Moriconi, famiglia e compagnia, 63-64, 71, 72,
104, 118 119, 128, 145, 146n, 147, 152, 128-129, 130, 145, 146n, 157; Arrigo, 63,
154, 155, 172, 181; Aldibrandino, 23n, 63; Datone, 63, 64; Lazario, 130; Nicolao,
53; Arrigo di Guido, 21, 22, 23, 24, 25, 63, 128, 160, 181; Orlando (Lando), 63,
53, 70n; dominus Arrigo, 70n; dominus 128, 160; Uberto, 63; Moricone, 98, 202
Bendinello, 152, 154, 170; Bonaccorso, Motrone, 124, 126n, 130
22, 23; Federigo (Bigoro), 70n, 92-93, Mozzi, famiglia e compagnia fiorentina, 70,
118, 197-198; Gualando, 70n; Guido di 89, 115, 117, 188, 189, 192, 194, 198, 199,
Arrigo, 23, 25, 70n; Guido di Martino, 201, 204
70n, 92-93, 154, 195-196; Guido di Munro J. M., 126, 127
Martino (capostipite), 23, 24, 26, 32, 41, Napoli, 72
43, 53, 54; Guiduccio di dominus Arrigo, Nîmes, 89, 90, 93, 99, 119, 130, 193, 195, 211
70n, 72, 152, 162; Lotto, 170; Martino, Noie Lippo, 99-101
70n; Orlando, 23n, 70n; Riccomo, 92-93, Oberto lucensis, mercante lucchese, 37-38, 41,
195-196; Rustichello (Tello), 92-93, 197- 42, 43, 45, 56
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 229

Onesti, famiglia, 24-25, 27, 32, 34n, 35, 52, Pescia (da) dominus Gerardo Inghifredi, 25
54, 55, 68, 69, 71, 117, 145, 146n, 147, Picchio caciaiolo da Puticciano, 162
153, 155, 172, 181; Benetto di Onesto, 27, Piccolomini, famiglia e compagnia di Siena,
49-50; Benetto di Dino, 197; Bonuccia, 140n
154; Dino, 72, 170; Fazio, 72; Francesco Pieri Admannato, 20, 212
giudice, 197; Gualterio, 49-50; Moccia, Pinello tintore, 40
153; Noradino, 24, 49; Onesto (capo- Pinochi Martino, 150
stipite), 24, 26, 41, 43, 54, 64; Tancredo Pisa, 160
causidicus di Onesto, 24, 49; Tancredo, Pistoia, 116, 171
154; Ughetto, 49-50; Vante, 72 Podio (de), famiglia, 30, 65n, 73, 154, 170;
Opizi, famiglia, 75, 158, 169, 181 Bernardino, 73; Chello Corradi, 151,
Opizi Malaspina, ramo degli Opizi, 75, 168- 154; Enrico di Tegrimo, 73; Enrico, 73;
169; Ardiccione, 169; Berguccia, 173; Marzucco, 73; Nicoloso, 186, 190, 199, 208;
Dino, 75; Guccio, 173; dominus Guglielmo, Orlandino, 73; Rainaldo, 73; Tegrimo, 30;
75; Guglielmo di dominus Opizo, 179; Vanni, 187, 190
Luto, 165n, 173n, 179; Opizuccio, 75; Podio (de) Porco, ramo dei de Podio, Chello,
Opizo giudice, 170, 173, 174; dominus 170; Iacobo, 73; Nerio, 152; Nicolao, 73,
Opizo miles, 75 151, 154; Ugolino, 154
Opizi Posarelli, ramo degli Opizi, Gerardo, Poggibonsi, 148
67, 68, 75, 92 Porcari (da), famiglia, 164-165, 168, 181;
Orbetello, mercante lucchese, 46 dominus Bonifazio, 165n; Ingherame, 165;
Ostia (da) Ugolino, legato apostolico, 30 Lando, 173; dominus Parente, 165n, 173n;
Paganelli, famiglia e società, 199; Gregorio, Parentuccio canonico, 165n, 177
186 Porcelli Bonaventura, 61; Enrico, 61; Falcone,
Paleologo Michele, 79 61
Palermo, 52 Porta (de) Tedicio, 74
Parenti Pieruccio, 191 Portovenere, 130
Parigi, 44, 82, 84, 93, 100, 101, 119, 124, 125, Prato, 148
129, 141, 184, 193, 196, 198, 210, 211, 214 Provanza Dino, 138n
Patasse Ciandoro, 187 Provenza, 89
Paxio, mercante lucchese, 39-40, 41, 42, 43, Puccio di Martino, 102
45 Raimondino Corso, mercante lucchese, 44
Pazzi Chierico, mercante fiorentino, 117 Ranieri dominus Ugolino, 175, 177
Pegolotti Francesco, 123 Rapondi, famiglia e compagnia, 27, 32, 54, 102,
Peloponneso, 48 145, 146n, 152, 155, 172, 181; Bartolomeo
Pera, 80 (Ciucco), 96-97, 172, 173, 203-205;
Peri, famiglia, 25, 27, 32, 52, 54, 69, 70, 71, Benvenuta, 27; Ceccorino, 170; Dino,
145, 146n, 147, 152, 153, 154, 155, 172, 172; Giovanni (Vannetto), 96-97, 172,
181; Baldinotto, 25n; Bandino, 25n, 150; 203-205; Rapondo (capostipite), 27, 41, 54;
dominus Bonifazio, 27, 70n; Guglielmo giu- Spalla notaio, 152, 153, 172; Tedora, 153,
dice, 25; dominus Moncello, 25n, 152, 154; 172; Tommaso di Rapondo, 27n
Pero di Sasso (capostipite), 25, 27, 54, 70n; Ravignani Ranuccio, 87, 186-192
Pero notaio, 25n, 152, 153, 170; Ranuccio Ricciardi, famiglia e compagnia, 31, 34n, 55,
di pero di Sasso, 25n; Ranuccio (Nuccio) 65, 73, 75, 105, 112, 113, 114, 121, 137,
di Pero notaio, 170; Sasso, 26, 43 138, 148, 149, 158, 182; Graziano, 65;
Peroni, mercanti fiorentini, Lapo 115, 117; Perfetto, 65; Ricciardo, 30, 31, 51, 52, 65
Pollastro, 115, 117 Rocca (della) Aliotto, 151
230 Alma Poloni

Rolando, mercante lucchese, 45 Ghiddino, 174; Opezzuccio canonico,


Roma, 31, 41, 44 174n, 177
Ronzini, famiglia, 75-76; Iacobo (Puccio), 75; Sivas, 79
Pagano, 75 Sommacolonia (Garfagnana), 161-163, 165,
Rosciompelli, famiglia, 31, 145, 146n, 147, 166, 174
149, 155-170, 171, 172, 173, 174, 175, Sornachi, famiglia, 168; Lamberto, 173n
176, 178, 182; Adalagia, 169; Adiuto, 148, Spadoio (in), Bonatino, 52
149, 151, 157, 160, 177n, 181; Enrico Spinatico, 28
canonico, 158, 177, 178; Ghino, 149; Spini, famiglia fiorentina, 70
Guglielmo “Roscinpelo”, 177n; Matteo, Spinola Giorgio, 129; Luchetto, 62n
157; Nello, 149; Porcoricciardo, 149; Squete Peruccio, 94, 97, 104, 200, 203
Vanni, 149, 157 St. Venant (da) Raoul, 58
Rossi Montullio, 187 Streghi, famiglia, 52; Iacobo, 170; Morettino,
Rossilioni Bendinello, 191, 198 52; Overardo, 52; Perotto, 170
Saggine Betto, 94, 97, 98, 99, 102, 130, 201- Tabriz, 79, 80, 81
203 Tacchi Bartolomeo notaio, 88
Salamoncelli, famiglia, 168, 181; dominus Tadiccioni Dino, 186, 207, 208
Orlando, 160, 173, 181 Tadolini Cinello, 152; Giario, 152
Salimbeni, famiglia e compagnia di Siena, Tagliamelo Betto, 152, 174
140n Tagliapane Ciomeo, 187
San Frediano, quartiere di Lucca, 27, 50 Talgardi Davinuccio, 152
San Gimignano, 148 Tassignano (da), famiglia, 73-74, 173;
San Lorenzo (da) Marchesio, 39 Albertino, 164, 165n; Bendino, 74;
San Lorenzo (da) Ogerio, 39, 40 Burnetto, 173; Coluccio, 173; Filippo
San Miniato, 116, 148 giudice, 165n, 173; Gerarduccio, 173;
Sandoni, famiglia, 64-66, 68, 71, 72, 73, 145, Guidone, 73, 74; Iano, 74
146n, 157; Arrigo, 64, 65, 66; Bonifazio, Tassignano, 65n
64; Francesco, 206; Orlando, 64; Perfetto, Tegrimi, famiglia, 157, 177, 178; Guido medi-
64, 65; Simuccio notaio, 159; Tomuccio co, 157, 178n; Guido mercante, 160;
notaio, 159 Nicolao giudice, 159, 160, 163; Tegrimo
Sartori, famiglia, 70, 145, 146n, 181; dominus giudice, 159, 178n; Tegrimo di Nicolao,
Lando, 72, 152, 154; dominus Sartorio, 160, 177, 178; Villanuccio, 138n, 160
70n Terizendi, famiglia e compagnia, 25-26, 93-95,
Savona, 130 104, 118, 130, 145, 199-200; Aldebrandino,
Scali, famiglia fiorentina, 70 70n; Betto, 93; Bindo, 93-95, 199-200;
Scatisse Peruccio, 74 Rustichello (Nello), 93-95, 130, 199-200;
Schiatta, famiglia e compagnia, 75, 76, 118; Terizendo di Carincione, 25, 26
Coluccio, 170, 210 Teste Narduccio, 195, 204
Schumpeter J. A., 49, 77, 78 Tignosini Bonagiunta, 62n; Bonaventura, 72;
Sciaborditi Freduccio, 191 Iuntoro, 188
Scorcialupi Gaddino, 204 Tiro, 48n
Sercambi Giovanni cronista, 14, 169, 173, Tolomei (famiglia e compagnia di Siena), 96,
174 197, 198, 204
Sesmondi Gialdello, 99-102, 130, 212-214 Toringhelli Bacciomeo, 137; Rabbito notaio,
Sicilia, 39, 40, 43, 44 16, 17, 18, 88, 93, 100, 103
Siena, 116, 140-142, 148 Torre (della) Nicolozo, 129
Simonetti, famiglia, 158, 181; dominus Trebisonda, 80
Lucca nel Duecento. Uno studio sul cambiamento sociale 231

Tronfio di Mercadante di Compito, 167n Vittori Neri, mercante fioretnino, 114


Tunisi, 38 Vivinaia (Montecarlo), 159, 163, 164, 165,
Turkestan, 46, 50 166
Turnemire (de) Guy, monetiere marsigliese, Volpelli, famiglia, 30-31, 32, 34n, 145, 146n,
121 147, 157, 182; Albertino, 30; Gerarduccio,
Urbicciani Bonagiunta, 74; Como, 197 30; Graziano (Ciano), 157, 172; Guidone,
Ususmaris Baldezone, 37-38 30; Labro, 137n, 148, 149, 157, 159;
Vediano, mercante lucchese, 43, 44, 45 Rolandino, 30; Vanni battiloro, 197;
Venezia, 65, 90, 93, 98, 99, 184 Volpella, 172
Ventura Coscio, 94, 97 Volpi Petruccio, 188
Vezzano, 130 Wickham C., 35, 42
Villani Giovanni cronista, 181 Ypres, 127
Finito di stampare nel mese di Ottobre 2009
presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. - Pisa

per conto di Edizioni PLUS - Pisa University Press

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