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Il reddito di base è il welfare del nuovo secolo https://ilmanifesto.it/il-reddito-di-base-e-il-welfare-del-nuovo-secolo/...

Il reddito di base è il welfare del nuovo


secolo

Piero Bevilacqua

È molto utile prendere in considerazione le obiezioni contro l’eventuale adozione,


anche in Italia, di un reddito di dignità: termine generico per alludere a una
notevole varietà di soluzioni possibili.

LA PIÙ SERIA e fondata di queste è che, data la scarsità di risorse pubbliche,


sarebbe più utile avviare un vasto programma di opere pubbliche in grado di
creare posti di lavoro, piuttosto che impiegarle nella elargizione di un modesto
reddito. È l’unica da prendere seriamente in considerazione insieme all’altra, per
la verità oggi neppure accennata, di una drastica riduzione dell’orario di lavoro.

Per «lavorare meno, lavorare tutti»: il fortunato slogan italiano in linea con la
storia del lavoro nelle società industriali. La prospettiva comunque ineludibile del
prossimo futuro.

Ma un vasto piano di opere infrastrutturali, certamente auspicabile, oggi non è


minimamente alle viste, necessiterebbe di una pubblica amministrazione
efficiente, di una visione progettuale e di una conoscenza profonda dei nostri
habitat che francamente non si vede.

A meno che per opere infrastrutturali non si indichi la costruzione di strade, dove
siamo imbattibili campioni… nella distruzione dei territori. D’altra parte, un tale
piano non sarebbe sufficiente per assorbire la nostra disoccupazione, soprattutto
quella intellettuale, costituirebbe un intervento congiunturale, mentre il reddito di
dignità è una riforma strutturale del welfare.

UN’ALTRA OBIEZIONE è quella dominante: bisogna proseguire nella crescita


economica. Sono gli investimenti che determinano lavori stabili e non passiva e
inerte assistenza.

Ora, quanto stabili siano i nuovi lavori da investimenti privati, l‘Italia lo mostra
nella maniera più esemplare con l’esplosione dei lavori a termine.

Ma la domanda da porsi è se il capitalismo è davvero in grado di generare posti di


lavoro dignitosi e di garantire una relativo livello di piena occupazione nei
prossimi anni.

Ora, nulla fa presagire un tale ottimistico scenario . Mai il capitalismo aveva


goduto di tanta liquidità a buon mercato, mai usufruito di tanta abbondante e

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sottomessa forza lavoro. Eppure gli investimenti sono limitati, la piena


occupazione è lontana: anche negli Usa, dove la ripresa economica continua a
generare lavori precari e mal pagati.

TALE TENDENZA, che alcuni economisti definiscono «stagnazione secolare»,


ci pone alcuni interrogativi.

Quanto la debolezza sindacale della forza lavoro, che si traduce in bassa domanda
aggregata, dissuade gli imprenditori dall’investire in uno scenario di aspra
competizione intercapitalistica, dentro una società matura, satura di beni e
servizi? Quanto è più conveniente investire i profitti in attività finanziarie? Ma
quanto è auspicabile per tutti noi la crescita economica, che comporta un aumento
di consumo di energie e risorse in presenza di squilibri ambientali planetari
sempre meno sostenibili?

Infine c’è una obiezione morale da prendere in considerazione. Sorge nell’ambito


della sinistra ed è una attardata trasfigurazione della vecchia etica del lavoro. Il
reddito va conseguito attraverso la «dignità del lavoro», altrimenti è un obolo che
sancisce la dipendenza istituzionalizzata delle persone dal potere. È una riserva
moralistica che non tiene conto di ciò che oggi è il capitalismo.

INTANTO OCCORRE ricordare che in questa società l’individuo che lavora


ubbidisce sempre a un potere pubblico o privato, più o meno esigente e
oppressivo. Occorre poi domandarsi quanta dignità ci sia a lavorare nell’altoforno
di una fonderia, fare turni di notte, stare tutto il giorno in un cantiere autostradale
al gelo, o sotto il sole d’agosto. Per non dire di più umili prestazioni.

MA CIÒ CHE SFUGGE a questa riserva è la più grande novità sociale dell’epoca
: la nostra è una società panlavoristica. Non solo si sono allungati gli orari di
lavoro ma ormai è stata abolita la distinzione tra tempo domestico e tempo di
lavoro, grazie alla rete e ai cellulari.

E soprattutto il sistema capitalistico utilizza una massa crescente di lavoro


gratuito, che crea valore invisibile, e che si connette strettamente al lavoro
produttivo.

NON SONO SOLO le attività gratuite che numerosi giovani svolgono negli studi
degli avvocati, nelle università, negli ospedali o quelle oscure e generose del
volontariato. Ma anche le varie e numerosissime prestazioni che non vengono
remunerate: dal lavoro delle donne, che in casa nutrono e rendono pronta al suo
utilizzo la forza lavoro di figli e mariti, alla valorizzazione quotidiana del capitale
tramite le nostre telefonate, il lavoro nella rete, lo scambio di mail.

Come mostra un’ampia letteratura, le nostre attività su Internet producono idee e


contenuti, dati, consumano informazioni pubblicitarie, promuovono acquisti,

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tengono in piedi motori di ricerca, ecc. Non produciamo merci, ma valore


economico che rifluisce nelle mani di grandi aggregati finanziari, senza ricevere
alcuna remunerazione.

Inoltre la vasta platea di circoli culturali, associazioni, ecc. svolge un ruolo


prezioso per il capitale, ritesse la coesione sociale che esso tende a frantumare.

Resta infine da considerare il lavoro gratuito che svolgiamo per il consumo.

QUANTO TEMPO DI VITA spendiamo per gli acquisti nei supermercati e nei
centri commerciali ?

Il capitalismo è un modo di produzione e… di consumo. Senza un consumo


crescente e continuo, questo capitalismo sprofonda, perciò richiede il nostro
costante impegno nella pratica di distruzione delle merci che produciamo.

Un reddito di base costituirebbe dunque almeno la remunerazione di questa


immensa massa di lavoro non pagato.

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