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FANTASMI A VILLA DURAZZO-PALLAVICINI,

PEGLI-GENOVA-ITALIA,
ANCHE I BIDELLI VANNO IN PARADISO.

Un racconto alienato di Ugo Pennacino Torino-Italy 2018


C’era stata una guerra in Europa. Senza carri armati o bombe atomiche ma l’effetto
era stato uguale. Finanziarie impazzite, banche fraudolente e centinaia di imprese a
gestione familiare erano sparite dall’oggi al domani portando i titolari a darsi
fuoco o a penzolare dal ramo di un albero dei loro giardini. In questo clima di
precarietà assoluta dove un paese come la Grecia era sprofondato nel baratro
della recessione lasciando i suoi cittadini a mendicare per le strade, si poteva
impazzire in giornate lunghissime dove la settimana era fatta di tanti Lunedì uno
uguale all’altro. Ero in fila, fuori dalla sede dell’Associazione “Terza settimana” di
Torino, per avere la mia quota mensile di alimenti dato che le mie finanze
miseramente crollate a picco dopo la perdita di lavoro, mi aveva portato sull’orlo
di un collasso nervoso facendomi anche finire nelle liste dei “soggetti svantaggiati”
nella ricerca di una occupazione. Questa condizione costringeva il Centro per
l’Impiego di Torino a doversene occupare, non potendo fare finta che non esistessi
come la maggior parte dei disoccupati iscritti nelle liste da un tempo immemorabile.
Fantozzi aveva il posto fisso, la casa, una famiglia ed andava in vacanza, rispetto
all’italiano medio di oggi era un personaggio di successo. Il sevizio alimentare
situato al primo piano di via Luserna é una bottega artigianale di color verde
pisello con scaffali metallici rossi pieni di prodotti dalle marche più disparate come
avanzi di un grande magazzino. Il servizio costa 20€ al mese di cui 5€ solamente
sono a carico della Caritas e lo stavo sfruttando stipando il vecchio zaino militare
di scatolette di fagioli e lenticchie che mi avrebbero causato una aerofagia tale da
diventare definitivamente un emarginato. La fila al social market era lunga e
c’erano anche degli italiani in attesa con i quali avevo in comune il male di vivere.
La signora dal capellino vintage veniva a ritirare gli alimenti con uno zaino a
rotelle talmente mal ridotto che il mio ex capitano l’avrebbe fatta fucilare sul
posto, ma tutti i soldi che riceveva dai figli li spendeva in cure mediche costose e
l’estetica era il suo ultimo pensiero. L’uomo dalla taglia forte aveva disturbi
psicosomatici da stress causati dalla perdita di una occupazione trentennale: parlava
a scatti, fumava in continuazione e piangeva. La moglie non se la sentiva di fare la
fila e lo aspettava in automobile, un vecchio modello che sarebbe stato di successo
sull’isola di Cuba. Il calvo con brio, con pantaloni a coste e giacca militare
attirava l’attenzione per la sua simpatia ma la sua ilarità contagiosa era dovuta
ad una depressione che lo portava improvvisamente al mutismo. Il vecchio con la
barba da frate indossava una maglia grigia con tracce di unto, una coppola verde
palude e mandava l’odore di uno che aveva dormito per strada o aveva appena
finito uno scontro con le forze di Polizia. Parlava poco, gli piaceva bestemmiare ma
sottovoce o non riceveva gli alimenti. Dopo un ora di coda potevo riempire la mia
dispensa con questo cibo da supermercato dei poveri. era l’unica possibilità per
sopravvivere con un costante abbassamento dei salari ai lavoratori. Un trillo sul
cellulare mi avvertiva che era arrivato un sms. Vivendo da solo ho pensato al
solito messaggio promozionale, invece era il Centro per l’Impiego del Comune per un
colloquio il giorno successivo. Dopo una notte insonne a sparare getti d’aria con il
lato B, avevo indossato il vestito migliore per l’incontro con la giovane funzionaria.
La signora Netta era stata molto cordiale e mi aveva anche fatto accomodare su
una sedia rotta mentre la poltrona di pelle era stata lasciata vuota perché fatta
pulire da poco. Discretamente graziosa nel suo abito formale e gli occhiali dorati
che le davano un’aria da funzionaria del catasto, parlava con tono sommesso come
una che non ha bisogno di urlare per farsi ascoltare. Doveva essere laureata
perché nemmeno gli insetti di quella calda giornata tentavano di morderla,
riconoscendola come specie pericolosa. Era il mio giorno fortunato, avevo passato le
selezioni per un posto da collaboratore scolastico: la mia condizione mentale di
“soggetto svantaggiato” mi aveva posto in cima alla lista ed era comunque lei quale
funzionario, a decidere le assegnazioni e probabilmente la sua giovane età non le
garantiva qualche parente da raccomandare al mio posto. Il lavoro era part time
ma poteva diventare full time perché dovevo fare quello che volevano loro e la
paga era simbolica perché tirocinante. Ero comunque contento e prendendo il foglio
della mia assegnazione mi prodigai in un baciamano che risultò molto apprezzato.
Avevo ancora qualche soldo sul conto corrente così mi recai in un Centro
Commerciale per comprare degli abiti adatti a lavorare con gli esseri umani.
La patente era in scadenza ma ancora utilizzabile e avevo rinnovato il porto d’armi
da poco. Avrei preso servizio il lunedì successivo all’incontro e mi restavano
quattro giorni buoni per mettere su peso e rimettermi in forma. Dopo un buon caffè
indossai un paio di pantaloncini corti e una maglietta quasi puliti e con le vecchie
scarpe da ginnastica passai la mezz’ora successiva a correre dietro alle ragazze al
parco ruffini senza mai riuscire a raggiungerle. La domenica sera ero caduto
letteralmente svenuto dopo la corsa, gli addominali ed il pollo arrosto che avevo
divorato facendo la scarpetta con la lingua sul piatto. Come collaboratore
scolastico avevo mansioni di custode, assistenza amministrativa di segreteria ed aiuto
ai disabili. La mia assegnazione era a Torino al dipartimento di Fisica Sperimentale e
la mia responsabile era la signora Adele. Dovevo fare tutto quello che mi dicevano
ed anche le pulizie dei cessi se era necessario. Il posto era a tempo indeterminato
quindi se non facevo cazzate, avrei potuto in un’età veneranda andare in pensione.
Avevo indossato la mia tenuta da sorvegliante: pantaloni grigi, camicia bianca e
giacca blu scuro con una cravatta regimental, le scarpe erano un modello da
ginnastica che sembravano di cuoio. La signora Adele si era molto divertita del mio
abbigliamento e mi aveva ricordato che dovevo prestare servizio all’Università e
non alla Casa Bianca. Avevo comunque fatto una buona impressione e tra i bidelli
ero il più giovane quindi il più sfruttabile. La sala professori era un vecchio
modello anni novanta e mi ricordava la caserma dove avevo prestato servizio
amministrativo come unico Lagunare capace di scrivere sulla tastiera alla velocità
di 250 parole al minuto. Il gabbiotto dei collaboratori scolastici era uno spazio
angusto che dovevamo dividere in quattro, ma tre dei miei colleghi erano in
malattia da tempo e comunque era la signora Adele a “beggiare” al loro posto.
Mi aveva dato un foglio con tutti i numeri di telefono dei professori per indirizzare
le chiamate e l’orario delle lezioni per dare informazioni agli studenti. I gabinetti
venivano puliti dalla cooperativa di sinistra gestita dal Comune e quindi potevo
mantenere i vestiti nuovi in un ottimo stato di conservazione. Fu una giornata
intensa ma soddisfacente per uno che era appena emerso dal baratro della
disoccupazione ed aveva allontanato lo spettro dell’accattonaggio. Dopo una notte
trascorsa senza i soliti incubi ero pronto per incontrare il corpo docente e farmi
un’idea dei miei datori di lavoro. Venni convocato in sala professori durante una
pausa tra le lezioni perché il dottor Alceste voleva conoscermi. Per puro culo non
avevo sostituito il mio abbigliamento formale con una tuta da fatica più adatta al
mio ruolo operativo. Il Professor Alceste era il più anziano del gruppo docente, una
figura borbonica di altri tempi. Al dipartimento di Fisica la sua parola era legge ed
era meglio rispettare i suoi voleri o come studente non avresti mai avuto accesso
ad un dottorato. Era vestito come se facesse parte di una ricostruzione storica per
una foto di gruppo dei primi del ‘900 e non lo si poteva quindi definire un
progressista. Non era solo, al tavolo per le riunioni degli insegnanti c’era un
gruppo di colleghi ed io cercavo una posizione strategica che mi consentisse di
guardare il sedere a tutte le giovani dottoresse. <Ho letto il suo curriculum e l’ho
trovato molto interessante. Diploma amministrativo, post diploma di informatica, ex
lagunare alla Serenissima, arti marziali, porto d’armi per uso sportivo e single.
Proprio il soggetto che fa al caso nostro! Io e i miei collaboratori dobbiamo
recarci a Genova per una serie di esperimenti scientifici ed abbiamo bisogno di uno
con le sue caratteristiche che abbia un ruolo di supporto. Un…> fece una lunga
pausa perché non riusciva a trovare la definizione adatta <un jolly, un factotum
insomma!> Sapevo quindi chi avrebbe portato i bagagli in questa gita culturale.
<Ha mai letto qualcosa di Ernesto Bozzano il parapsicologo genovese, una
importante figura storica in Italia per il settore del paranormale?> Gli risposi che
avevo digerito con difficoltà Allan Kardec e si mise a ridere per sottolineare la
mia ignoranza che mi rendeva di una simpatia disarmante. Al tavolo c’erano i membri
della spedizione: la dottoressa in fisica Ladila, mussulmana con un velo che
nascondeva una capigliatura lussureggiante, vestita con pantaloni di tela grezza e
sandali senza tacco che mi guardò come se facessi parte del paesaggio. Il dottor
Handala africano che metteva in mostra il suo sorriso bianchissimo che contrastava
la sua abbronzatura naturale. Era uno sportivo o forse voleva farlo credere
indossando un paio di scarpe da palestra che con il loro costo avrebbero sfamato
un’ intero villaggio. Tony il tecnico informatico del Canada che avrebbe fatto le
riprese. un ragazzone alto con una capigliatura da Nerd che fu l’unico a guardarmi
negli occhi e la figlia del professore Arianna, dottoranda in fisica che si sarebbe
occupata di documentare gli eventi scrivendo la relazione. Graziosa come una
porcellana e dalle guance color porpora, respirava a fatica imprigionata in una
maglietta che minacciava una esplosione per il suo contenuto. Ero rimasto in piedi
tutto il tempo delle presentazioni e naturalmente non mi avrebbero mai invitato a
sedermi al loro tavolo in quanto appartenente ad una razza inferiore, una specie
sacrificabile. La signora Adele non era rimasta molto contenta di dover rinunciare
al suo nuovo schiavo già la settimana successiva ma era abituata a dover
sottostare a cambiamenti improvvisi e capricciosi del gruppo dirigente. Mi era stato
ordinato per la sicurezza del gruppo, di portare la mia pistola, la German Sport
Gun p.d.r. un modello tedesco a due canne che poteva sparare proiettili al capsicum,
calibro 45 e pallettoni da fucile. Se non riesci a centrare il bersaglio con i primi
due colpi, il terzo te lo becchi in fronte. L’escursione avrebbe dovuto durare al
massimo un weekend per testare le attrezzature da ripresa ed il nuovo ghostark un
piccolo ma completo strumento portatile che integra tutta la migliore tecnologia
adatta alla ricerca di elementi soprannaturali come un misuratore di campi
elettromagnetici e microfoni sensibili ad ascoltare voci di altri mondi: il meglio per
catturare il fantasma che era stato notato nel parco dai giardinieri e dai custodi.
Il dottor Alceste aveva a disposizione i fondi per una ricerca universitaria e poteva
comunque usufruire di contributi di società private. Avevo trascorso il resto della
giornata a fare anche le pulizie per punizione, lavando interminabili vetrate e
lunghi corridoi piastrellati. Prima di partire la signora Adele mi aveva ricordato
che nelle mie mansioni c’era anche quella di assistente ai disabili. <Non ci sono
persone in carrozzella, mi sembra o alla spedizione si deve aggregare un’altra
persona?> < Mio ingenuo collaboratore scolastico, la figlia del dottor Alceste,
Arianna ha un problemino e dovrà prendersene cura.> <Soffre di manie depressive?>
<Purtroppo è una nota ninfomane ed il nostro professore se la porta dietro perché
non si faccia tutta l’Università.> <Non esistono delle cure?> <Basta che lei la tenga
sotto controllo e la distragga se ha una delle sue crisi e le è comunque proibito di
approfittarne o la sua prossima destinazione sarà qualche sperduta isola dell’Italia
del sud.> <Io faccio il mio lavoro ed eseguo gli ordini.> <Bravo soldatino! Ed ora si
levi dalle palle perché con questa storia dovrò fare anche il suo di lavoro e non
mi piace sporcarmi.> La sera nella solitudine del mio buco di appartamento, mi ero
documentato via internet sui lavori del parapsicologo Ernesto Bozzano ed avevo
trovato anche due libri interessanti sul medium Demofilo Fidani che erano scritti
con garbo. Se la parapsicologia poteva diventare un mio hobby mi sarei iscritto alla
Biblioteca storica Bozzano-De Boni che custodisce migliaia di volumi sull’argomento.
Avevo pulito la pistola e fatto una scorta di cartucce a pallini per eventuali
aggressori e qualche proiettile di gomma da usare contro eventuali molestatori
della figlia del dottor Alceste. La mia dotazione per la spedizione l’avevo stipata
nel mio zaino militare della Mil-tec. Indossavo un paio di scarpe blu della Geo-tex
modello snake, comodissime, pantaloni con tasconi di colore nero ed una maglia a
maniche lunghe blu cobalto. La giacca a vento verde oliva per le serate all’aperto
ripiegata su un braccio. Dovevamo partire dall’aeroporto di Torino con un volo Air
Italy che ci avrebbe poi condotti all’aeroscalo Colombo della città di Genova.
Il volo era alle 6 del mattino perché il professore voleva che fossimo pronti a
cominciare le riprese già la sera successiva al nostro arrivo. Viaggiavamo a coppie e
a me era toccata la dottoressa Arianna che sfoggiava un completo confortevole che
metteva in risalto la sua terza abbondante. Sembrava allegra ed anche gli altri
membri della spedizione erano di ottimo umore. Al check in gli addetti alla sicurezza
fecero molti commenti sulla mia arma che avevo smontato e risposto nella sua
custodia. Dovetti esibire il permesso ad un numero imprecisato di individui che
cercavano in me il sospetto terrorista poi la pistola venne riposta con le valige
nel vano bagagli dell’aereo. La dottoressa Ladila sedeva accanto al professore,
mentre Tony si era sistemato con il dottor Handala. Eravamo sparsi per l’aereo che
era pieno di turisti dato che il periodo estivo stava per iniziare. Le hostess erano
carine, non belle come quelle delle linee olandesi ma distraevano dall’altezza
vertiginosa che si vedeva dai finestrini. C’era silenzio per la tensione e molti
passeggeri ascoltavano la musica in cuffia per dimenticarsi del volo. Ci vennero
offerte delle bevande analcoliche frizzanti anche se l’aria condizionata manteneva
l’ambiente piacevolmente fresco. Stavo viaggiando ed avevo ripreso la mia forma
fisica di ex lagunare: “come lo scoglio infrango, come l’onda travolgo”. Se mangio.
Anche se andavamo soltanto a Genova la mia precedente situazione di disoccupato di
lungo corso non mi aveva concesso di andare oltre i parchi pubblici della mia città.
Il viaggio scorreva tranquillo e senza intoppi. Il comandante non aveva mandato
qualche messaggio equivoco sull’arrivo di un improvvisa turbolenza e probabilmente
anche i terroristi erano in vacanza. Improvvisamente su una coscia, una mano
estranea cercava qualcosa di molto ben definito: la dottoressa Arianna stava per
avere una delle sue crisi. Si era voltata verso di me con uno sguardo perso, i suoi
occhi azzurri erano diventati scuri come un buco nero e probabilmente il suo
universo stava per essere attraversato da una moltitudine di falli giganti. L’aereo
era pieno di gente e nessuno si era accorto della tempesta che stava per scatenarsi.
I bottoni della sua camicetta si erano aperti da soli come sotto l’effetto di una
esplosione e la sua mano aveva trovato quello che cercava senza alcun senso di
colpa o di vergogna. non mi trovavo più vicino ad un essere umano ma ad un
animale da preda. Mentre la dottoressa armeggiava con la mia dotazione naturale
ed era distratta, avevo aperto una delle tasche superiori della mia giacca a vento
ed avevo estratto lo spray al capsicum. Lo spruzzai su una delle mani e con
delicatezza le passai la destra sul volto che diventò rosso per il peperoncino,
mollando la presa sulle mie parti basse e facendola tornare docile e remissiva.
Nessuno si era accorto di nulla e lei sarebbe stata tranquilla fino all’arrivo
all’aeroscalo di Genova. L’hostess era tornata per portarci una bottiglietta d’acqua
fresca ed Arianna né svuotò la metà in pochi secondi. Le sorrisi e le feci capire che
tutto era tornato normale e non ci sarebbero state delle conseguenze. Era pazza
ma pur sempre la figlia del mio datore di lavoro. Il viaggio trascorse sereno, la
hostess fece un fugace commento sul viso arrossato ed il fiato corto della
dottoressa che avevo interpretato come stress ed ansia per il volo. All’arrivo in
aeroporto presi il mio zaino militare e trascinai la dottoressa Arianna verso il
resto del gruppo che aspettava al bar del terminal in attesa della navetta che ci
avrebbe condotti all’albergo. L’albergo Puppo era una antica dimora ottocentesca,
di proprietà della famiglia Puppo, passata di generazione in generazione, mantenendo
intatta la grande tradizione familiare. L'albergo a tre stelle, si affaccia sul
lungomare di Pegli, tranquilla delegazione del ponente genovese, ed è facilmente
raggiungibile grazie alla vicinanza con l'aeroporto di circa tre chilometri. L’albergo
era chiuso per una ristrutturazione ma il professore aveva le sue conoscenze e
saremmo stati gli unici ospiti per quel weekend di lavoro. La giornata era splendida
e si profilava all’orizzonte un mese di giugno bellissimo. Il tecnico Tony e il dottor
Handala l’africano palestrato tutto denti, si sistemarono assieme, la dottoressa
Arianna la pazza, aveva una camera ad un letto per meditare in solitudine, mentre
io andai nella stanza con il professore nel mio nuovo ruolo di cameriere personale.
Appoggiai lo zaino sul letto di una camera bianchissima e profumata con le pareti
calde al tatto che riflettevano la luce ed il calore del sole. Un buon odore di
salsedine arrivava dalla finestra lasciata aperta dal personale di servizio.
Il dottor Alceste era di ottimo umore, sapeva che stava portando sul campo la sua
ricerca teorica e che aveva messo insieme una buona squadra per conseguire degli
ottimi risultati. L’albergo era vuoto se non si contava la cameriera thailandese che
valeva un doppio UAU e che prestava servizio per i signori Puppo.
Il campo base sarebbe stato allestito nella camera del professore, dove Tony
avrebbe istallato la centralina dei monitor delle telecamere e l’impianto di
registrazione. L’Università e una fondazione avevano finanziato la spedizione e se la
ricerca avesse avuto successo avrebbero avuto pubblicità gratuita sui giornali.
I fantasmi catturati fanno notizia.
Per cena ordinai una pizza per tutti e lasciai i signori dottori ad approfondire i
piani sulla spedizione certo che la mia opinione non sarebbe stata presa in
considerazione. Prima di coricarsi per la notte il dottor Alceste fece la richiesta di
una tisana alle erbe così mi recai in cucina dato che il telefono suonava a vuoto.
La cameriera thailandese stava sistemando delle stoviglie, era a piedi nudi ed
indossava un lungo camicie di tela molto confortevole che lasciava vedere il solco
dei seni ed altre meraviglie.
Le chiesi se poteva preparare la bevanda per il professore e durante la
conversazione cercai di farle capire che ero interessato a dei giochi di ruolo in
camera da letto. Magari la sua!
Si mise a ridere e mi chiese se facevo parte del gruppo dirigente.
Non riuscendo a mentire sul mio ruolo di sgangherata guardia del corpo quando
terminò di preparare la bevanda calda, mi porse una bottiglia di cognac come unico
genere di conforto.
Dopo una nottata piuttosto tranquilla scesi nella sala da pranzo per fare
colazione e notai un bacio fugace tra la dottoressa Arianna e la cameriera
thailandese, una chiara conferma che la povera inferma aveva trovato soddisfazione.
Il dottor Alceste stava già consumando il suo caffè in compagnia della dottoressa
Ladila che per il caldo non portava più il velo e rideva felice per le battute
umoristiche dell’anziano imbonitore. Tony e il dottor Handala arrivarono poco dopo
e dal tono scherzoso immaginai che stessero parlando di donne. La giornata era
calda già di primo mattino anche se una leggera brezza arrivava dal mare.
I piani del professore prevedevano che avremmo fatto una ricognizione della Villa e
del parco a tema per poi piazzare le telecamere. Durante la riunione avevo avuto
una copia sia dello storico di Villa Durazzo-Pallavicini sia una pianta dei giardini
estesi per 6 ettari con un percorso esoterico di 2,7 km, sia dei vari monumenti.

Avremmo creato la base operativa nel castello del Capitano.


Dopo colazione tornai nella mia camera per fare lo zaino, un ambiente spazioso e
confortevole che non avrei più rivisto perché per i membri operativi era previsto di
allestire brandine per la notte e cucina da campo. Al termine del sopralluogo il
professor Alceste e la sua collega Ladila sarebbero rimasti in albergo a guardare
la centralina principale dei monitor delle telecamere in un ambiente tranquillo ed
ovattato. Passai nella stanza della dottoressa Arianna per vedere se tutto fosse in
ordine. Dal corridoio non si sentivano lamenti e di conseguenza doveva essere sola.
La sua stanza era pulita ed ordinata con il trolley aperto sul letto pronto per la
chiusura. La dottoressa aveva i capelli lavati ancora bagnati avvolti in un
asciugamano color panna, la camicetta di tela bianca con i bottoni chiusi ma non
portava scarpe, calze, pantaloni e mutandine. Mi guardò come un animale braccato e
dalle sue parole compresi che era di nuovo fuori di testa! <Ti rendi conto che
potremmo fare l’amore per delle ore!> Era passata al Tu e questo non era un buon
segno. <Purtroppo io duro solo dei minuti e sorgerebbe un problema di
incompatibilità.> Il suo sguardo era di nuovo perso in una landa di falli giganti e
dovevo trovare una soluzione. <Dottoressa Arianna se non va subito a vestirsi le
spruzzo la patatina di soluzione al peperoncino così avrà un ottima ragione per
menarsela!> Andò in bagno sbattendo la porta tra colpi di tosse e piagnistei Poi ci
fu un rumore di sciacquone, armadietti sbattuti e riemerse cinque minuti dopo con
un’aria professorale che rendeva ancora più intrigante la sua terza di reggiseno e
naturalmente mi mandò a fan…! Arrivammo alla villa con un furgone modello
Ducato che il professore aveva noleggiato in modo da conservare quella discrezione
richiesta per una operazione che avrebbe potuto attirare dei giornalisti od
incuriosire i passeggeri di un vagone ferroviario. La villa, ora sede del Museo di
Archeologia Ligure, presenta sul davanti un piazzale dal quale si può accedere,
tramite un doppio scalone, alle serre e all'orto botanico. Lateralmente si trova
invece l'accesso al parco. Dietro alla villa si possono vedere la chiesa di San
Martino il cui campanile richiama il tempio di Diana presente nella vegetazione e il
cimitero cittadino, entrambi confinanti. La Villa si raggiunge percorrendo un lungo
viale alberato che unisce la residenza alla cittadina e alla costa. Alla sinistra
dell'ingresso si trova la stazione ferroviaria. L’architetto responsabile della Tenuta
assieme alla titolare della cooperativa che si occupa della manutenzione ci
aspettavano all’ingresso entrambe accaldate per la giornata afosa. Ci venne subito
offerto un rinfresco a base di bevande analcoliche e trovammo l’accoglienza molto
calorosa. La nostra permanenza sarebbe cominciata il sabato e sarebbe terminata il
Lunedì mattina. Alcuni membri della cooperativa avrebbero effettuato degli
interventi di manutenzione ma in orario serale non saremmo stati disturbati.
Su un tavolo c’era un volantino con una sintesi della storia della villa che mi
offrì un quadro del luogo in cui avremmo operato.
Villa Durazzo Pallavicini è una storica dimora nobiliare del comune di Genova.
Si trova a Pegli, quartiere residenziale del ponente cittadino. Il parco di quasi 10
ettari che è tra i maggiori giardini storici a livello europeo, comprende il giardino
botanico intitolato alla nobildonna Clelia Durazzo. Nel 2017 viene incoronato
"Parco più bello d'Italia". Il complesso fu realizzato tra il 1840 e il 1846 per
volere di Ignazio Alessandro Pallavicini, nipote della marchesa Clelia Durazzo, che
ne affidò la progettazione e la realizzazione a Michele Canzio, scenografo del
teatro Carlo Felice e insegnante presso l'Accademia di belle arti. All'inaugurazione,
che si tenne nel 1846, in concomitanza con l'VIII Congresso degli Scienziati Italiani,
parteciparono numerosi studiosi botanici invitati dal marchese.
La villa, in stile neoclassico, edificata in posizione dominante sulla collina di San
Martino, alle spalle di Pegli, è il risultato del rifacimento del palazzo di
villeggiatura settecentesco appartenuto a Giovanni Battista Grimaldi, doge della
Repubblica di Genova dal 1752 al 1754 dal quale la proprietà passò per via
ereditaria ad esponenti della famiglia Grimaldi.
Il nipote Giuseppe, figlio di un altro doge, Pier Francesco Grimaldi, sposò Clelia
Durazzo, appartenente ad un'altra importante famiglia genovese, botanica di fama
internazionale, che nel 1794 fece realizzare il giardino botanico che porta il suo
nome. Giuseppe Grimaldi morì nel 1820, Clelia Durazzo, ritiratasi nella villa dopo la
morte del marito, vi morì nel 1837. I coniugi Grimaldi non avevano eredi diretti e
quindi nel 1840, dopo una contrastata successione, il complesso divenne proprietà di
Ignazio Alessandro Pallavicini, lontano nipote della marchesa. Il rifacimento voluto
da Ignazio Pallavicini, in forme neoclassiche e rielaborato nell'ottica del
romanticismo, si inquadrava nel contesto del rinnovamento urbanistico di Pegli, che
grazie anche alla costruzione della ferrovia Genova-Voltri, si sarebbe affermata
come centro turistico di rinomanza europea. Il suo parco romantico, aperto al
pubblico, sia pure a pagamento, a differenza degli esclusivi giardini delle antiche
ville patrizie, divenne da subito motivo di grande richiamo vantando annualmente
migliaia di visitatori. Tra Ottocento e Novecento si confermò il ruolo della villa
come punto di attrazione della cittadina. Da Ignazio Pallavicini, morto nel 1871, la
villa passò alla figlia Teresa, moglie di Marcello Durazzo, entrambi unici discendenti
delle rispettive famiglie, e da loro al nipote Giacomo Filippo Durazzo Pallavicini,
che ottenne il diritto a portare il doppio cognome, da cui l'attuale denominazione,
morto nel 1921. La vedova Matilde Giustiniani la donò al comune di Genova nel
1928, con il vincolo di destinare l'edificio ad uso culturale e mantenere il parco
aperto al pubblico. Dal 1936 il palazzo ospita il museo di archeologia ligure. Negli
anni sessanta il parco subì gravi danni in seguito ai lavori di costruzione della
sottostante galleria autostradale, che ne causarono la chiusura, protrattasi fino
alla fine degli anni ottanta. Dopo lunghi lavori di restauro è stato definitivamente
riaperto al pubblico nel settembre 2016. Il progetto di ristrutturazione in forme
neoclassiche del palazzo e la realizzazione del parco vennero affidati a Michele
Canzio, che fu anche direttore dei lavori. L'architetto Angelo Scaniglia fu invece
incaricato della costruzione del viale di accesso sopraelevato, che sostituiva la
scomoda stradina che collegava il vecchio palazzo dei Grimaldi con il centro di
Pegli. Nel 1857, con la costruzione della ferrovia e dell'adiacente stazione, una
parte del viale diventò strada pubblica; risale a quell'epoca la realizzazione
dell'attuale ingresso con le due palazzine gemelle, da dove un viale ornato di lecci
sale alla villa, superando la ferrovia su un cavalcavia in leggera pendenza.
L'edificio, di forme massicce e squadrate, ha il fronte principale rivolto a levante.
Per le sue grandi dimensioni si imponeva un tempo sul paesaggio della sottostante
piana, urbanizzata nel secondo dopoguerra; alti caseggiati moderni hanno preso il
posto di orti e frutteti nascondendolo parzialmente alla vista. Il palazzo è
articolato su quattro piani, con un'ampia terrazza panoramica antistante l'ingresso
principale. l'articolazione degli spazi interni ed i relativi decori sono anch'essi
ispirati al repertorio neoclassico, anche se non mancano richiami al gusto
settecentesco, come la decorazione a tempera e stucco della "Sala verde". Vi sono
dipinti murali dovuti allo stesso Michele Canzio ed a Giuseppe Isola, andati in parte
distrutti nel 1869 per il crollo del soffitto. L'affresco nel salone al piano nobile
risale invece alla fine dell'Ottocento. Il parco ideato da Michele Canzio fu
realizzato a partire dal 1840 ed i lavori si protrassero ancora per qualche tempo
dopo l'inaugurazione ufficiale del 1846. Considerato tra le più alte espressioni del
giardino romantico ottocentesco, fu concepito come un'originale rappresentazione
teatrale che attraverso un insieme articolato di scenografie disegna un percorso
narrativo in tre atti, ricco di significati simbolici e allegorici, che si snoda lungo
sentieri contornati da architetture neoclassiche, neogotiche o rustiche, palme, piante
esotiche portando il visitatore a vivere emozioni diverse e contrastanti. Il percorso
inizia dal piazzale della villa percorrendo un viale, fiancheggiato da lecci e allori.
Subito si incontra il "coffe house", piccolo edificio in stile neoclassico, decorato con
quattro statue di Carlo Rubatto: Ebe, Flora, Leda e Pomona.
al termine del viale l'"Arco di Trionfo", decorato da statue di G.B. Cevasco, che
segna la fine del prologo ed immette alla zona del primo atto, incentrato sulla
Natura: un'iscrizione latina sull'arco, che sul retro diventa un casolare rustico,
avverte che dall'ambiente cittadino si passa alla quiete del bosco, invitando il
visitatore ad abbandonare le preoccupazioni quotidiane per godere delle semplici
gioie della campagna. Rigogliosa é una delle più antiche collezioni italiane di camelie
la cui fioritura è ovviamente visibile in primavera.

La collezione di camelie, immancabile nei giardini ottocenteschi, comprende numerose


cultivar pregiate provenienti da tutto il mondo, impiantate nel periodo 1856-1877
sotto la supervisione di Carlo Moroni, capo giardiniere della villa, ritenuto
all'epoca uno dei maggiori conoscitori di questa specie.
Dopo il bosco delle camelie si risale la collina tra pini marittimi e si giunge prima
al piazzale dei giochi meccanici, poi alla sommità della pineta (secondo atto) dove
finte rovine medioevali rappresentano il succedersi della Storia: la cappelletta
gotica della Madonna, il castello, il mausoleo del Capitano, le tombe degli Eroi e
la casa colonica anch'essa in stile medioevale rievocano epici eventi ispirati al
mondo cavalleresco, mito della cultura romantica.
Il castello, a base quadrata e con una torre centrale cilindrica, è internamente
affrescato e contiene pregevoli arredi.
Il terzo atto è quello della Purificazione.
Tramite un percorso tortuoso e buio all'interno di una grotta raffigurante gli
inferi si arriva alla scenografia del Lago grande, immagine catartica del Paradiso:
qui la maestria scenografica del Canzio si rivela in pieno, col tempietto neoclassico
dedicato a Diana che sorge al centro del lago, immagine divenuta simbolo del parco,
il ponticello in ferro in stile orientale, la pagoda cinese, l'obelisco egizio e il
tempio turco.
Proseguendo si arriva al Casino di Flora, una costruzione a pianta ottagonale
ornata di stucchi e vetri colorati e con all'interno un gioco di specchi contrapposti
che dilata all'infinito l'immagine del soggetto al centro della sala. In tutto il parco
sono numerose le statue, attribuite per lo più a Giovanni Battista Cevasco, i giochi
d'acqua e rari esemplari vegetali.

Il percorso ideato dal Canzio si presta ad una duplice interpretazione: accanto al


punto di vista del comune visitatore, di puro divertimento, in cui prevalgono la
meraviglia e lo stupore per i variegati paesaggi naturali e le ambientazioni esotiche,
se ne affianca un'altra in chiave esoterica, ispirata dalle idee massoniche del
marchese Pallavicini. Secondo questa interpretazione le ambientazioni romantiche del
parco dissimulerebbero un percorso d'iniziazione con il suo messaggio di ricerca della
verità attraverso la conoscenza. Punti chiave sono il passaggio attraverso l'arco,
con l'invito ad abbandonare le preoccupazioni quotidiane per immergersi nella quiete
della natura, la conoscenza della storia e della tecnica, per approdare infine alla
verità dopo il passaggio nella grotta buia e tortuosa. Il terzo atto rappresenta
quindi la purificazione superando gli inferi.
Al centro del lago si erge maestoso il tempietto neoclassico dedicato a Diana a cui
fanno da cornice un ponticello in ferro orientaleggiante, una pagoda cinese, un
obelisco egizio ed un tempio turco. Infine una costruzione ottagonale raffigurante il
Paradiso, con stucchi e vetri colorati rende un’immagine particolare con un gioco di
specchi. Il parco rappresenta nella sua composizione tra statue, giochi d’acqua e
rare specie della flora uno spettacolo immenso vitale e divertente.

Il Giardino Botanico fondato nel 1794 dalla marchesa Durazzo, dopo un lungo
degrado è stato riportato alla sua bellezza originaria con i suoi 4500 metri
quadrati di estensione e quasi 150 specie vegetali al suo interno. Di notevole valore
la collezione di piante carnivore, le 200 specie di orchidee ed una pianta molto
singolare originaria della Namibia, considerata una delle più antiche specie viventi.
in varie serre monumentali troviamo all’interno felci, palme, cacao, ananas, tabacco,
banani, piante acquatiche tra cui una ninfea con foglie di oltre un metro di
diametro a cui si accostano specie mediterranee come rose, camelie e bambù.
Dal punto di vista della sicurezza l’intera Villa costituiva un vero incubo e per
piazzare tutte le telecamere ci avremmo impiegato l’intero sabato, per dedicare le
notti del weekend alle riprese ed il lunedì mattina per il controllo di tutto il
materiale girato. Il martedì successivo il parco sarebbe tornato aperto al pubblico.
Mentre il Dottor Alceste e la dottoressa Ladila parlavano con l’architetto, la
dottoressa Arianna ed il dottor Handala si intrattenevano sul tipo di relazione che
avrebbero scritto insieme per corredare la documentazione filmata degli eventi per
l’università. Tony ed io ci apprestavamo zaino in spalla a costellare i punti caldi
della Tenuta con le telecamere. Il nostro obiettivo era una apparizione che era
stata notata diverse volte nel tempo ed un anno fa era avvenuta proprio nei
festivi. Eravamo quindi perfettamente in linea con la tabella di marcia. La giovane
evanescente che attraversava il parco camminando sulle acque del laghetto fino a
dissolversi nel casino di flora, era già stata notata negli anni ‘20 e si presentava a
scadenze regolari all’attenzione del personale di sorveglianza ed ai giardinieri.
Avevamo previsto un percorso di controllo con le telecamere ad infrarossi in modo
da segnalare il punto esatto in cui la ragazza sarebbe apparsa e sarebbe stata
circondata da obiettivi piazzati vicino all’obelisco, la pagoda cinese e due erano
dedicate al laghetto ed al Tempio di Diana. Nel pomeriggio il Dottor Alceste dopo
aver seguito con la dottoressa Ladila il percorso esoterico e massonico con
l’Architetto in una udienza privata, erano tornati in albergo dove era posizionata
la centralina dei monitor e gli hard disk per la registrazione dei video, così
potevano godersi al fresco l’intera operazione. Al Castello avevamo una unità
mobile sorvegliata da Tony che si sarebbe occupato sul posto di eventuali guasti o
problemi di ricezione dei segnali. Nel pomeriggio la dottoressa Arianna ed il dottor
Handala erano andati a vedere se riuscivano ad accedere alle grotte sotterranee
che erano state chiuse al pubblico mentre io seduto sul sacco a pelo, con sulle
ginocchia il computer portatile, mi informavo sui testi di spiritismo che mi erano
sconosciuti. trovai degli articoli su Umberto Bozzano e cominciai a farmi una idea
delle ricerche di questo famoso parapsicologo che nacque a Genova il 9 gennaio
1862 e mori in quella città il 24 giugno 1943. Visse sempre solo e si dedicò con
grande passione, allo studio della parapsicologia: condusse la sua esistenza in casa
di un fratello ricco e sposato con figlie potendo così esprimere il meglio del suo
intelletto in un ambiente adatto. Indagò ogni ramo della parapsicologia, senza
limitazioni di sorta, pubblicando una cinquantina di monografie sui temi più disparati.
Fu collaboratore di tutte le più importanti riviste estere, e di Luce e Ombra in
particolare, sulla quale scrisse dal 1906 al 1939, pubblicando circa 3.700 pagine e
nel corso di 52 anni, divenne uno dei più grandi eruditi della sua epoca.
A dimostrare l’esistenza e la sopravvivenza dello spirito umano c’erano diverse
tematiche. L’esistenza latente nella subcoscienza umana di facoltà super normali
meravigliose, emancipate dai vincoli di spazio e di tempo, ed indipendenti dalle leggi
dell’evoluzione biologica come i fenomeni di bilocazione che si presentano durante la
vita solo quando si è in prossimità del decesso. Ne deriva che questi fenomeni
temporanei preluderanno ai fenomeni di bilocazione definitiva, quando l’anima si
separerà dal corpo. Documentò l’esistenza di numerosissimi casi di apparizione di
defunti al letto di morte. I fantasmi sono sovente scorti collettivamente dal
morente e dai parenti. Indagò sui fenomeni di premonizione di morte accidentale, in
cui viene prospettato alla vittima l’evento che l’attende ma in modo volutamente
oscuro e reticente fino ad evento compiuto. Si occupò dell’esistenza delle
corrispondenze incrociate, in cui il messaggio telepatico viene inviato ad una
personalità medianica, la quale poi lo divide in frammenti che vengono trasmessi a
vari medium in modo tale che solo ponendoli tutti insieme se ne coglie un senso
compiuto. Tali esperimenti furono ideati da entità decedute per dimostrare la
sopravvivenza dello spirito alla morte del corpo. Numerose le apparizioni di defunti
dopo breve o lungo intervallo dalla loro morte, il che si verifica quando tali
fantasmi vengono visualizzati indipendentemente e collettivamente da varie persone.
Diversi i casi in cui un defunto rivela incidenti che si sono realizzati dopo la sua
sparizione e che sono ignorati da tutti i viventi e quelli in cui i defunti si
materializzano anche per diversi anni, sottoponendosi ad indagini scientifiche.
Nel saggio i ”Morti ritornano”, Umberto Bozzano approfondisce il tema che
speravamo documentare, immortalandolo in un video da premio Oscar.
Terminata l’interessante lettura, andai a fare una passeggiata per sgranchirmi le
gambe, la temperatura si era alzata ed il pomeriggio si presentava veramente
bollente. Arrivato nella zona delle grotte chiuse al pubblico per i lavori della
galleria per l’autostrada ho avvertito come delle grida soffocate e vidi che un
gruppo di scoiattoli sembrava in preda ad una fuga precipitosa e non era certo
tempo di migrazioni. Le grida provenivano dall’interno di una delle grotte ma più
che di dolore erano di grande soddisfazione. Una delle inferiate era aperta. Mi
appostai dietro un masso e guardai il dottor Handala dottorando in fisica teorica
fare alla dottoressa Arianna quello che tutti i presidenti del Consiglio hanno
sempre fatto al nostro paese e le stava dando con un certo vigore un bonus che
non le avrebbe consentito di sedersi per un lungo periodo. Handala aveva tutto un
suo metodo di spinte e con le mani sui fianchi della dottoressa poteva imprimere un
ritmo sempre più frenetico ad un rapporto che non voleva concludersi per l’intensa
passione. Arianna stava sfoggiando tutto il repertorio delle vocali:
una a di piacere, seguita da una u di meraviglia, una o di compiacimento, una e di
incitamento ed una i che sottolineava il dolore per la posizione e lo sforzo.
Restai fermo a guardare per qualche minuto poi tornai al mio lavoro di
osservazione contento di non essere più una preda sessuale e di avere salvo il mio
posto di lavoro. Al castello Tony il canadese su una delle sedie pieghevoli, stava
guardando i monitor e mi fece cenno di avvicinarmi. Su uno degli schermi del
computer si vedeva inquadrata una delle stanze dell’Hotel Puppo. La camera
sembrava vuota, uno dei letti era disfatto, sull’altro c’era un portatile aperto e
diversi fogli sparsi sul copriletto. Tony era di ottimo umore e si stava vantando di
come fosse riuscito ad impalarsi la domestica thailandese. Di sicuro la sua borsa di
studio era per meriti sportivi e non di ricerca. Non gli raccontai di quello che
sapevo sulle tendenze lesbiche della cameriera per non metterlo in imbarazzo.
Ora il monitor presentava senza audio, il professore e la dottoressa Ladila che
discutevano seduti sul copriletto della stanza, purtroppo non c’era audio ma la
conversazione sembrava animata. Tony poteva collegarsi alla loro stanza dalla web
cam di uno dei computer, aveva progettato il sistema per poter fare una riunione
virtuale ma non credo che il dottor Alceste fosse al corrente che in questo
momento lo stessimo spiando. Gli ricordai la normativa sulla privacy e lui mi
assicurò che era solo uno scherzo poi stappò una lattina di birra e tornò a giocare
con il suo videogioco mettendosi le cuffie. Mi sdraiai sul sacco a pelo e cercai di
prendere sonno in modo da garantirmi il riposo che avrei perso nelle ore notturne.
Era finito il tempo dei turni di guardia e delle nottate passate in attesa di un
cambio di sentinella che sembrava non arrivare mai.
Grazie al mio addestramento mi svegliai senza aver programmato la suoneria del mio
orologio G-Schock verso mezzanotte, per osservare la centralina dei monitor e
vedere se saremmo riusciti a catturare qualcosa. Non c’erano luci di cortesia nel
parco e se c’erano, il professore le aveva fatte scollegare in modo da sfruttare
interamente tutto il potenziale delle fotocamere agli infrarossi. Restai allerta fino
alle quattro del mattino saltellando con lo sguardo da uno schermo all’altro ma
non successe nulla. Dai sacco a pelo nessuno dei dottori aveva pensato di darmi il
cambio, sicuri che il software di rilevazione di eventuali anomalie li avrebbe
svegliati in caso di necessità. Non avevo molta fiducia nelle macchine ma nessun
impianto istallato nella tenuta portò alla luce il minimo poltergeist. La notte
trascorse tranquilla. La brezza marina che soffiava leggera, il frinire delle cicale,
le rane nello stagno che saltellavano spruzzando l’acqua dei canali e il russare dei
miei capi. I tre dottori giacevano addormentati ai miei piedi, avvolti nei loro sacchi
a pelo di una marca costosa, le scarpe ultimo modello abbandonate vicino al
giaciglio ed i loro corpi giovani e robusti mantenuti in vita da costose bistecche che
non potevo permettermi. Appartenevano ad un mondo al quale dovevo solo obbedire
e mantenermi in disparte con discrezione per non dare troppo fastidio, come il
personaggio del libro di Peter Handke “Il Cinese del dolore”, quelle figure
sofferenti con gli occhi socchiusi, non per mettere meglio a fuoco le cose ma per il
disagio di dover sempre vivere sulle soglie in un tempo sospeso e mai in uno spazio
comune. La dottoressa Arianna sembrava una bambina imbronciata, si voltava a
destra ed a sinistra a seconda dei sogni che l’attraversavano, abbracciando ora
Handala ora Tony come se fossero dei bambolotti. Handala dormiva con il volto
rivolto alle stelle con i denti bianchissimi che rilucevano del chiarore lunare e
sorrideva compiaciuto di un ricordo felice. Tony era rivolto su un fianco ma si
lasciava attirare tra le braccia della dottoressa mimando un rapporto sessuale che
non era ancora avvenuto. Erano tre creature felici, socialmente ben inserite che
avrebbero fatto parte del gruppo dirigente del nostro Paese. Quando cominciò ad
albeggiare mi sdraiai sul mio sacco a pelo e mi addormentai quasi immediatamente per
garantirmi quelle quattro ore di sonno che sono il massimo concesso ad un uomo di
fatica. Alle otto del mattino ripresi conoscenza e mi resi conto che il gruppo era
ancora addormentato. L’aria era fresca e frizzante ed odorava della vegetazione
bagnata di rugiada. Qualche gabbiano era andato a rovistare vicino alla sacca delle
provviste che erano state portate per garantirci almeno 48 ore di autonomia. La
domenica non c’era nessuno ed il parco era vuoto e senza esseri umani gli animali
potevano accoppiarsi indisturbati. Avevo controllato quanto era stato girato nella
notte precedente e non c’era nulla di particolarmente rilevante a parte un gruppo
di cani randagi ma dal computer che Tony aveva programmato per le conferenze,
potevo spiare indisturbato la web cam della camera del dottor Alceste.
nella penombra di una lampada da tavolo lasciata accesa, il letto era sfatto e una
luce probabilmente quella del bagno, aveva illuminato improvvisamente la stanza.
La dottoressa Ladila la mussulmana praticante, era uscita completamente nuda con
la sua chioma corvina sciolta ed umida sulle spalle. Sembrava sola e si sedette sul
letto asciugandosi il corpo che era mantenuto in forma da ore di palestra.
Rimasi qualche minuto a fissarla come si guarda un’apparizione e controllai che
nella realtà del mattino gli altri tre stessero effettivamente dormendo.
Il dottor Alceste era nel letto e si stava svegliando e con lui anche un desiderio
ardente che non voleva sfogarsi nell’orinatoio. La dottoressa Ladila sembrava
divertita e si lasciò accarezzare, poi dalle languide carezze si passò ad un vero
combattimento corpo a corpo. Il vecchietto stava riscoprendo il Kamasutra imparato
sui libri e lo stava mettendo in pratica trasformando il talamo dell’albergo
in un campo di battaglia dove l’appartenenza religiosa non aveva alcuna importanza.
Cristiani e mussulmani andavano perfettamente d’accordo per il raggiungimento di un
obiettivo comune: un orgasmo da primo premio. Sicuramente alla dottoressa Ladila
sarebbe stata rinnovata la borsa di studio. <Le telecamere hanno ripreso qualcosa?>
Mi chiese con tono assonnato Tony che si era proprio svegliato durante la posizione
del “pastore che prende in giro una pecora” ed interrompendo la visione del film
pornografico in diretta. Feci appena in tempo a scollegarmi prima che arrivasse al
portatile e si accorgesse del mio svago da guardone. Tony si preoccupò di effettuare
comunque un back up dei dati per la relazione all’Università nonostante l’esito
negativo, poi si fece un caffè sulla caffettiera da campo e si mise a sgranocchiare
dei biscotti. Il dottor Handala stanco della performance del pomeriggio precedente
non accennava ad un risveglio, mentre Arianna seduta sul sacco a pelo si stava
pettinando i capelli con la camicetta aperta che lasciava intravedere i seni
perfettamente abbronzati dovuti a sedute ripetute ed estenuanti al centro estetico.
Passai la mattinata nella lettura di uno dei testi di Umberto Bozzano per
migliorare la mia cultura sulla parapsicologia e le tecniche adottate durante le
indagini sul campo. La telefonata del dottor Alceste arrivò verso le dieci e fu
molto rammaricato dall’apprendere la notizia del nostro fiasco ma restava
comunque una notte intera e dalle testimonianze del personale di servizio il
fantasma o quello che era, si manifestava durante i festivi.
Aveva orari prestabiliti come se avesse un appuntamento.
Tony fece il giro completo degli apparecchi da ripresa per vedere se non occorreva
per la presenza di salsedine nell’aria, effettuare degli interventi di manutenzione,
mentre Handala ed Arianna sarebbero andati all’orto botanico per un giro
culturale. Decisi di rovinargli la festa con la mia compagnia, venendo accolto da un
poco sincero benvenuto. Arrivati alla fontana centrale del giardino si dipartivano
dei sentieri in tutte le diramazioni dividendo gli spazi in aiole ben curate. Passammo
sotto il pergolato abbellito dalle piante rampicanti: da una parte si vedevano le
case confinanti, dall’altra le due serre monumentali con le due ampie scalinate.
Arianna si chinò a guardare una pianta denominata “menta dei gatti” mettendo in
risalto tutta la sua cultura ed il suo lato migliore, mentre il dottor Handala con
uno sguardo circolare faceva un bel respiro di soddisfazione per il luogo fresco e
ben riparato dai raggi del sole. Aiole di salvia, piante di pistacchio, rose, ginestre,
piante di zucca, canneti. numerosi erano i vasi disposti in fila sui gradini della
scalinata di accesso alle serre ed ognuno presentava una targhetta con la
descrizione della specie che vi fioriva. Era un vero e proprio paradiso per un
amante della natura e per lo studioso di botanica. Ci fermammo alla serra delle
“piante succulente” dove c’era una esposizione di piante grasse, le mie preferite
perché non richiedevano eccessiva tutela. Numerose le varietà simpatiche e bizzarre
ed alcune specie sembravano venire da un altro pianeta come quelle del misterioso
manoscritto voynich. La serra esagonale era molto fresca e con una umidità
tropicale. Il rumore delle ventole per il ricambio dell’aria un piacevole brusio
nella serenità del luogo. in una serra a loro dedicata, crescevano varietà di piante
carnivore divoratrici di insetti e il laghetto delle ninfee era spettacolare e ben
curato con un caratteristico ponticello che lo attraversava.
L’acqua stagnante opportunamente filtrata e trasparente, rifletteva come uno
specchio di luce argentata. Facemmo il pranzo al sacco seduti su una delle gradinate
della serra più grande e ci raggiunse anche Tony in quell’atmosfera fresca e
pittoresca che induceva ad atteggiamenti romantici e meditativi.
Il pomeriggio i laureati tornarono all’Hotel Puppo per conferire con il professore e
fare un pasto decente in qualche ristorante di Genova mentre io rimasi sdraiato a
dormire sul sacco a pelo in modo da essere pronto per una eventuale caccia
notturna al fantasma.
Mi svegliai verso le 22 dal brusio dei dottori che erano rientrati e si stavano
sistemando nei sacchi a pelo. nel castello del Capitano eravamo posizionati nella
zona centrale. In cucina avevamo qualche provvista, il bagno era inutilizzabile ma
avevamo posizionato degli orinatoi di fortuna e l’armeria custodiva gli zaini e le
sacche dei cambi d’abito. Usando la scala a chiocciola con le finestre a piombo sono
salito al secondo piano che dava alla terrazza della torre merlata. oltre le
vetrate dai mosaici blu ed oro che durante la giornata inondavano di un piacevole
colore tutte le superfici, potevo dare uno sguardo al panorama del porto di
Genova di quella bellissima serata estiva ricca di stelle e con una buona visibilità.
Feci una lunga corsa tra i viali ben curati immerso nella vegetazione rigogliosa
fino al portone di ingresso della villa e salutai il custode che mi ricambiò con il
pollice alzato facendomi gli auguri per le riprese notturne. Avevo con me la
telecamera portatile agli infrarossi mentre Tony vigilava alla centralina.
Il dottor Handala ed Arianna come sempre, non sarebbero riusciti a restare svegli.
Alle 24 tutto era avvolto nell’oscurità e potevo fare il percorso esoterico in
completa solitudine. Superai l’Arco di Trionfo che simboleggia l’abbandono della
razionalità per iniziare il romitaggio nel bosco: un ritorno alla natura purificando
lo spirito. Passai la rupe artificiale e mi fermai sul ponticello gotico per fare una
panoramica dell’oasi di palmizi che simboleggia i paesi esotici ed introduce al Parco
dei divertimenti. Intorno rododendri e camelie bianche che brillavano alla luce
della luna. Scorsi il lago vecchio con il suo orrido romantico, le cascatelle, le
panchine per il riposo dei visitatori, superai un ponte che dal prato conduce alla
selva con la sorgente di acqua stagnante. Vicino alla Cappelletta di Maria intravidi
uno strano cane nero che con un movimento repentino sparì tra le piante.
Attraversai il bosco mediterraneo, le colonne bianche e i mattoni rossi della
Capanna Svizzera che rappresenta il villaggio all’interno della tenuta. Sullo sfondo
il finto feudo nemico a contrastare il Castello del Capitano costruito dal Marchese
per ricordare le devastazioni della guerra che guastano materia e spirito. Non si
scorgeva nulla di particolare nel visore della telecamera. Tornato al castello del
Capitano a 134 metri sul livello del mare, con le sue finestre ogivali e i suoi vetri
policromi, il fossato gotico ed i ruderi delle fortificazioni, ero circondato da pini,
lecci, arbusti di erica e rosa canina e piante di corbezzolo. Nella base quadrata del
bastione simbolo del mondo materiale e razionale c’era Tony che faticava a restare
sveglio non avendo rilevato alcuna presenza. All’esterno il torrione circolare del
castello che rappresenta l’emblema della spiritualità raggiunta dall’uomo nella sua
ascesa dal mondo materiale all’infinito, svettava sul parco avvolto dal buio.
Mi fermai a bere un caffè e per precauzione, al ricordo dello strano animale nero
che avevo visto, controllai la mia pistola a due canne caricata con cartucce a
pallini. Come previsto il dottor Handala ed Arianna dormivano abbracciati e persi in
qualche sogno erotico e nemmeno Tony sembrava molto pronto all’azione.
Per me era una notte di guardia come ne avevo fatte tante durante il periodo
militare con i lagunari di Venezia ed in condizioni davvero proibitive.
Tornai alla mia ispezione del percorso esoterico verso le due del mattino, la serata
era fresca e si sentiva il gracchiare dei corvi sui rami.
Mi fermai al Mausoleo del Capitano vicino al finto cimitero dove dovevano riposare
i soldati morti nella battaglia immaginaria tra i due feudi.
Dopo l’ascesa al castello si scende al Parco dei divertimenti con le sue giostre che
evocano una gioia infantile, il Chiosco Turco e la Pagoda Cinese.
Mi guardavano come orbite vuote gli antri bui e cavernosi delle grotte.
In alto il Chiosco delle rose ed in basso il lago grande con il Tempietto di Diana e
le sue statue su ruderi circolari immersi nelle acque.
Intorno salici e silenzio.
Feci una panoramica verso l’Obelisco egizio e la vidi.
una figura bianca e risplendente di luce, tra lauri e cipressi: come un passaggio tra
vita e morte. Avanzai lentamente centrandola col mirino della telecamera.
Era una ragazza bruna e sembrava intrattenersi parlando con un interlocutore
invisibile. Dal ponte romano la visione dall’alto del tempio di Diana mentre seguivo
la graziosa visitatrice che si fermò nel paesaggio silenzioso a guardarmi.
Mi avvicinai e sistemai l’apparato di ripresa su un tre piede portatile in modo da
potermi muovere più liberamente e poterla incontrare come un faccia a faccia con
l’aldilà.
La figura continuava a parlare mentre io ero ormai a due metri da lei.
Aveva capelli neri fluttuanti in un vento spettrale e due occhi grandi quasi
orientali.
Mi passò di lato e rimasi impressionato dalla sua perfezione e la seguii
fino ai giardini di Flora attraversando il prato circolare e ben curato che
simboleggia il Paradiso terrestre con la sua Silfide alata imprigionata nella pietra.
Si fermò al tempietto neoclassico con in cima la statua di Flora che porge i fiori ed
il Viridario dove la dea coltiva le piante durante l’inverno per perpetuare la vita
sulla Terra.
All’interno le vetrate istoriate in oro ed i divanetti bianchi sui quali mi sedetti
esausto mentre l’apparizione continuava il suo percorso sul pavimento a mosaico e
sotto l’affresco che raffigura l’amore tra Flora e Zefiro.
Mi dimenticai completamente la telecamera nel parco.
Ma c’era qualcosa di strano in quella creatura così aliena dal paesaggio
circostante: si rifletteva in tutti gli specchi della sala. Non era dunque un fantasma
ma qualcos’altro che non riuscivo a spiegarmi e sembrava paralizzare qualunque
movimento o pensiero. Poi ho percepito una voce nella testa.
Come un’apparizione mariana mi stava dicendo delle cose sull’Universo e la sua
origine e che non dovevo avere timore. Il Parco era il suo contatto con il nostro
Mondo che lei veniva a visitare con i suoi fratelli. Persi ogni controllo dei
movimenti e la spina dorsale diventò come un nastro serpeggiante di corrente
elettrica che generava scariche di puro orrore che solo cadendo in un pozzo senza
fondo si può provare.
La stanza sembrava diventata immobile e lei scomparve alla mia vista.
Riflesso nello specchio vidi che una delle pareti si apriva come l’acqua di una
cascata e tre cani neri l’attraversavano e mi venivano incontro. Ma non erano cani.
Estrassi la pistola e feci fuoco due volte centrando il primo della fila, poi venni
colpito da una scarica elettrica e svenni.
C’era l’aria condizionata al risveglio o comunque l’atmosfera ben temperata era
piacevole. Non avevo idea di quanto tempo fosse trascorso.
La stanza era bianca come quella dell’Hotel Puppo dove avevamo la centrale
operativa ma il posto non sembrava lo stesso.
In sottofondo un rumore continuo come il ronzio prolungato di un gigantesco
frigorifero vibrava nel metallo delle pareti.
Il letto su cui ero disteso sembrava quello operatorio e tutto era bianco e lucido
e perfettamente pulito. Non si vedeva nessuno.
Mi alzai con fatica e mi accorsi che non indossavo vestiti e non c’era un armadio
dove potevano essere riposti. Non si vedeva del personale di servizio così mi
avvicinai per aprire la porta che sembrava fatta di metallo ed era fredda al tatto.
Il locale adiacente era molto ampio e sembrava un luogo di ristoro.
C’era molta gente, uomini e donne completamente nudi che conversavano amabilmente.
Seduti ad un tavolo rotondo, il professore e i quattro dottorandi del Dipartimento
di Fisica Sperimentale dell’Università di Torino stavano sorseggiando nudi delle
bevande colorate. Mi invitarono a sedersi con loro.
Senza vestiti in quel luogo di sogno, eravamo tutti uguali.
I loro corpi apparivano diversi: come se fossero usciti da un bagno ristoratore che
avesse rigenerato ossa e tessuti rendendoli quasi luminosi.
Assaggiai con grande piacere una bevanda che mi venne offerta da Arianna.
Il suo sguardo era intenso come se migliaia di anni di storia e di cultura fossero
stati depositati in fondo ai suoi occhi azzurri.
Un patrimonio universale di significati profondi aveva aumentato la loro
consapevolezza.
“cosa sono? Una piccola creatura che misura sette spanne della mia mano? Sono
racchiuso in un universo simile ad una scodella composto di natura materiale:
energia totale, falso ego, etere, aria, acqua e terra. E qual’é la tua gloria?
Universi illimitati passano attraverso i pori del tuo corpo come particelle di
polvere attraversano le aperture di una finestra schermata.”
“Perché tu sei illimitato, né i signori del cielo e neppure tu stesso potrai mai
arrivare a comprendere le tue meraviglie. Gli innumerevoli universi, ognuno avvolto
nel suo guscio, sono costretti dalla ruota del tempo ad errare in te, come
particelle di polvere che soffiano nel cielo”(baghavata purana).
Quella che doveva essere un’infermiera mi accompagnò in una stanza grande dove
c’erano dei cilindri trasparenti con all’interno una sostanza blu.
Ero straordinariamente docile a questa nuova autorità ma dopotutto ero uno
abituato ad obbedire.
La sala era ampia e l’aria priva di odori si lasciava respirare senza sforzo.
Alle pareti migliaia di contenitori in vetro contenevano feti umani immersi in un
liquido amniotico. Una nuova razza forse più intelligente e meno distruttiva verso i
propri simili stava per nascere.
Venni accolto in un cilindro e ci fu una scarica di energia e nel contenitore in
vetro adiacente, prese vita con un bagliore un corpo simile al mio.
Era identico e con gli stessi difetti che ora avrei perduto per sempre.
Tutto era compiuto.
La mia copia umana sarebbe tornata sulla Terra a prendere il mio posto.
potevo vivere in quell’Eden tecnologico senza alcuna preoccupazione.
Niente più lavoro e malattie, esclusione sociale o invidia.
Niente più sofferenza o solitudine.
Forse sarei vissuto millenni con questo DNA rinnovato.
Avrei condiviso con altre forme di vita straordinarie colonie extra mondo.
Le 400.000 specie umanoidi che esistono nell’Universo secondo il padma purana.
Sulla porta della sala della Rigenerazione era apparsa una figura alta dai capelli
lunghi e rossi e dalla pelle bianca. indossava una tuta blu attillata con un
medaglione al collo: due triangoli intrecciati a formare una stella a sei punte
incastonata in un cerchio.
Era accompagnata da quello che non era un cane nero ma una figura umanoide di
bassa statura e dalla pelle lucida che lo serviva docilmente.
Rimase immobile sulla soglia sorridendo senza proferire alcuna parola poi
alzò la mano destra a sei dita in segno di pace colmando di gioia il mio cuore.

Ugo P. Il Redattore

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