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Obesità e Sindrome metabolica


Obesità (fare iperuricemia)

L’obesità è la condizione clinica in cui si ha un eccesso di tessuto adiposo che è in grado di indurre
significativo aumento dei rischi di sviluppare diverse patologie.
Spesso è considerata equivalente ad un aumento del peso corporeo ma, sebbene all’aumento del
tessuto adiposo si associa sempre un aumento del peso, quest’ultimo può aumentare anche in indi-
vidui magri ma con massa muscolare molto sviluppata.
L’obesità ha genesi multifattoriale ma le cause sono poco note; sicuramente, nell’ambito di un con-
testo genetico e ormonale più o meno predisponente, è l’eccessiva assunzione di cibo che gioca il
ruolo principale. Non va quindi considerata come una patologia ma come una condizione voluttuaria
che porta ad un aumento del rischio di sviluppare patologia, quali diabete e malattie cardiovascolari.

EPIDEMIOLOGIA
L’obesità è uno dei problemi di salute pubblica più visibile, ma purtroppo ancora trascurato: nei
paesi fortemente industrializzati circa 1 individuo su 3 è obeso (ovvero con un peso corporeo mag-
giore del 20% rispetto a quello ideale) con un rischio aumentato di complicanze (diabete, iperten-
sione, iperlimidiemie, malattie cardiovascolari) e di mortalità.
Circa 300 milioni di persone al mondo sono obesi e 2,5 milioni all’anno muore a causa delle com-
plicanze dell’obesità.
Inoltre questa condizione grava notevolmente sulla spesa sanitaria, tanto che negli Stati Uniti è
responsabile del consumo del 5-6% della spesa sanitaria nazionale, in Italia si aggira intorno al 3%.
I costi sono associati alle lunghe degenze (l’obeso con problemi cardiaci è più probabile che sviluppi
unoscompenso), ai farmaci, all’invalidità lavorativa (il 5% degli obesi abbandonano la propria attività
lavorativa) e alle visite ambulatoriali.

In Italia si calcola che circa il 33% della popolazione (oltre 5 milioni) è in sovrappeso e circa il 9%
sono francamente obesi, con distribuzione piuttosto omogenea ma con prevalenza al sud.
Generalmente è la popolazione adulta-anziana a rappresentare la maggioranza degli obesi, in parti-
colare le donne casalinghe tra i 30-50 anni e gli individui pensionati, tra i 60-75 anni, ma il continuo
aumento del fenomeno ha coinvolto anche i più giovani.
Di grande gravità è il fatto che interessa anche i bambini, ed attualmente si valuta che circa il 20%
dei ragazzi tra 6-9 anni è in sovrappeso; la percentuale si riduce nell’età adolescenziale per poi
presentarsi di nuovo elevata nell’adulto.
Tra i fattori che influenzano la scorretta alimentazione troviamo:
- Famiglia: che invece di controllare l’alimentazione dei bambini, tendono ad esasperarla.
- Stress: che viene scaricato spesso sul cibo se non si hanno altri “vizi” (shopping, ludopatie)
- Sedentarietà
- Fumo
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FISIOPATOLOGIA
Il tessuto adiposo è costituito da adipociti maturi, che costituiscono circa i 2/3 del tessuto, vasi, ner-
vi, fibroblasti e preadipociti per il restante 1/3. È un organo di deposito ma può essere considerato a
tutti gli effetti un organo endocrino diffuso, localizzato a livello sottocutaneo e periviscerale; si distingue:
 Tessuto adiposo bruno, con adipociti caratterizzati da vescicole lipidiche multiple e numerosi
mitocondri, presenta il gene UCP-1, per la sintesi della termogenina (o proteina disaccop-
piante), che è responsabile della produzione di calore nell’uomo ed è regolato dal sistema
nervoso vegetativo e, soprattutto dal T3.
Si forma intorno alla 20° settimana di gestazione, con iperespressione della termogenina, in
modo da rispondere a tutti i casi di esposizione al freddo del neonato, e poco dopo la nascita
va incontro a trasformazione, residuando solo come piccole isole nel tessuto adiposo bianco;
tuttavia c’è la possibilità di ritrasformazione del tessuto adiposo bianco in bruno quando c’è
bisogno, come nelle forti esposizioni al freddo, caratteristica definita plasticità.
 Tessuto adiposo bianco, nei cui adipociti sono presenti vacuoli unici, è il vero organo endo-
crino, in grado di produrre diversi ormoni, tra cui:
- Leptina, che una volta immessa in circolo è in grado di attraversare la barriera emato-
encefalica e raggiungere i nuclei ipotalamici che controllano le sensazioni di fame e
sazietà dove agisce come ormone anoressizzante diminuendo la ricerca di cibo e au-
mentando il consumo energetico.
In passato si riteneva che l’obesità fosse dovuta ad una carenza di leptina ma, a parte
poche famiglie in cui l’ormone si presenta deficitario (e che si presentano infatti iper-
fagiche ed obese), la stragrande maggioranza della popolazione obesa presenta livelli
normali, per cui non le può essere attribuito la causa dell’obesità.
[Le lipochine prodotte dal tessuto adiposo non sono le uniche responsabili del controllo
delle sensazioni di fame e sazietà a livello ipotalamico: esistono numerosi altri stimoli
che possono agire in senso oressizzante e anoressizzante, tra cui sicuramente quelli
provenienti dal sistema gastrointestinale e gli organi associati (fegato, pancreas).
Dall’apparato digerente, infatti, partono stimoli nervosi (trasmessi principalmente
dal vago) e ormonali che sono in grado di raggiungere i centri superiori informandoli
della quantità e della quantità di cibo introdotto, informazioni che si riflettono poi sul
comportamento alimentare dell’individuo; ad esempio:
 Grelina: prodotta dallo stomaco, soprattutto dalle cellule del fondo, e va a
stimolare l’appetito; i suoi livelli aumentano 1-2 ore prima del pasto.
 Pancreatic Peptide Y (PPY): prodotto dalle cellule L dell’ileo e del colon, hanno
effetto regolatore opposto, inducendo il senso di sazietà; inoltre riduce la mo-
tilità gastrica aumentando il tempo di svuotamento, e favorisce il riassorbi-
mento di acqua ed elettroliti da parte del colon.
Viene secreta in concomitanza con il pasto con effetto a circa 30-40 minuti,
per poi decrescere nel periodo post-prandiale (per questo motivo se si mangia
di fretta si mangia di più)].
- Resisitina (che modifica la sensibilità del recettore insulinico)
- FFT (acidi grassi liberi), che riducono l’azione vasodilatatoria dell’NO
- Citochine (tra cui il TNF-α), responsabili di insulino-resistenza e ridotta vasodilatazione

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- Sostanze protrombotiche (come gli inibitori dell’attivatore del plasminogeno, PAI-1)
- Fattori di crescita (che agiscono a diverso livello)

L’aumento del tessuto adiposo bianco si caratterizza prima per un’ipertrofia degli adipociti
e poi un’iperplasia, con un comportamento che è quindi assimilabile a quello di un “tumore
benigno” come ipotizzato da alcuni autori.
Tale accrescimento del tessuto adiposo aumenta la produzione degli ormoni e delle citochi-
ne, ed inoltre richiama anche cellule dell’infiammazione (non solo per la produzione
citochinica, ma anche in seguito ad eccessiva ipertrofia degli adipociti con conseguente lisi,
soprattutto quelli del tessuto adiposo viscerale che sono più fragili di quelli del sottocutaneo);
queste cellule determinano ulteriore liberazione di mediatori che sono responsabili delle com-
plicanze dell’obesità, prima fra tutte l’insulino-resistenza, da cui si sviluppa quindi il diabete
mellito di tipo 2 e delle modificazioni cardiovascolari.

Altra importante distinzione da fare è sulla distribuzione del tessuto adiposo in differenti siti anato-
mici, che ha diverse implicazioni sull’aumento del rischio di malattia.
Possiamo distinguere un’obesità androide, in cui l’accumulo di grasso è prevalentemente a livello
periviscerale, e quindi soprattutto a livello dell’addome, e un’obesità ginoide, in cui invece si localiz-
za a livello sottocutaneo, nella regione glutea e agli arti inferiori.
L’obesità periviscerale è senza dubbio la più pericolosa in quanto il tessuto adiposo intraddominale
sembra essere particolarmente attivo nella produzione di lipochine e nel richiamare cellule infiam-
matorie. Diversi studi hanno confermato la stretta correlazione tra questa obesità centale e lo svi-
luppo di sindrome metabolica, e quindi dei rischi di sviluppare diabete malattie cardiovascolari.

CAUSE DI SVILUPPO DI OBESITÀ


Come detto, diversi fattori incidono sullo sviluppo dell’obesità sia genetici che ambientali:
 Per quanto riguarda la componente genetica si possono descrivere famiglie con fenotipo so-
vrappeso-obeso che può far sospettare un’ereditarietà, così come gemelli identici, cresciuti
sia insieme che separati, tendono ad avere un peso corporeo simile; tuttavia è certo che
l’ambiente riveste il ruolo chiave, ed infatti le privazioni alimentari prevengono l’obesità in
tutti i casi.
In sostanza alcuni geni definiti “risparmiatori” (ad esempio il gene OB) hanno il compito di pro-
teggerci dal digiuno prolungato, ci consentono di immagazzinare grandi quantità di energia
sotto forma di grassi quando il cibo è abbondante: quando si eccede con il cibo, quindi, favo-
riscono la formazione dei “magazzini energetici” e quindi del tessuto adiposo (vedi pag.13).
In ogni caso, comunque, sono responsabili solo una predisposizione maggiore o minore a svi-
luppare obesità, su cui si deve sovrapporre l’eccessiva alimentazione.
Esistono tuttavia anche sindromi genetiche, come ad esempio:
- Sindrome di Prader-Willi, dovuta a microdelezione del cromosoma 15, si presenta con
ritardo mentale, ipogonadismo, mani e piedi piccoli, ipotonia, obesità e iperfagia).
 La componente ormonale può anch’essa influire in termini di predisposizione, in quanto
diversi ormoni determinano un’alterazione del metabolismo lipidico con accumulo adiposo:
- Sindrome dell’ovaio policistico, caratterizzata dalla presenza di numerose cisti ova-
riche, con aumento di ormoni androgeni e anovulazione. Le cause non sono chiare
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ma è probabilmente una sindrome poligenica e tra le conseguenze si hanno anche
quelle metaboliche, con insulino-resistenza ed iperinsulinemia da cui gli effetti ana-
bolizzanti a livello del tessuto adiposo.
- Sindrome di Cushing, ovvero ipercortisolismo, che si associa a ipertensione, iperglice-
mia e obesità centrale (con accumulo di tessuto adiposo a livello di tronco e faccia,
con le tipiche “gobba di bufalo” e “facies lunaris”).
- Ipotiroidismo, rara causa di obesità in quanto l’aumento di peso nell’ipotiroidismo si
correla alla presenza di mixedema.
- Malattie ipotalamiche di natura neoplastica, traumatica o flogistica, possono portare
ad alterazione del controllo del senso di sazietà e del dispendio energetico con
sviluppo di vari livelli di obesità.
 La componente ambientale rappresenta sicuramente la causa principale di obesità, ed infatti
mentre l’obesità secondaria a cause genetiche o ormonali non porteranno mai a gravi obe-
sità, ma solitamente si limitano ad un sovrappeso o ad obesità di grado 1 (BMI <35), la scor-
retta alimentazione è l’unica responsabile delle grandi obesità (grado 2 e 3).
Tale ruolo dell’alimentazione è facilmente evidenziabile nei paesi sviluppati, dove la disponi-
bilità illimitata di alimenti, l’abuso degli stessi e la sedentarietà porta ad ingrassare: anche in
caso di forte predisposizione individuale, solamente l’assunzione di cibo eccessiva porterà a
sviluppare la massa adiposa.

In sostanza nell’obeso si ha uno squilibrio del bilancio energetico a favore dell’assunzione.


Il dispendio energetico è in gran parte determinato dal metabolismo basale (70%); la
termogenesi e l’esercizio fisico (nettamente ridotto con la modernizzazione: auto, attività
sedentarie preferite allo sport, ecc.) rappresentano la restante parte.
L’assunzione energetica è dovuta all’alimentazione e, perché un individuo possa ingrassare,
deve introdurre una quantità di calorie superiore a quelle spese; per questo motivo gli
individui obesi introducono quantità molto superiori di cibo, anche considerando che il loro
dispendio energetico è aumentato in relazione al fatto che la massa magra non aumenta
proporzionalmente a quella grassa: per mantenere il loro peso e ancor di più per ingrassare,
quindi, una persona obesa deve mangiare di più di una persona magra.
Inoltre bisogna anche considerare la qualità dei cibi assunti: esistono infatti alimenti che
possono essere assunti abbondantemente, quali cerali e verdura, che non determinano au-
mento di peso anche in grandi quan-
tità; altri che invece che presentano
un elevatissimo apporto calorico e la
cui assunzione deve essere limitata,
quali ad esempio i dolci.
Un utile grafico al fine di aiutare la
popolazione a seguire una corretta
dieta è la piramide alimentare, alla
cui base vi sono gli alimenti che pos-
sono essere consumati di frequente,
mentre verso l’alto ci sono gli alimenti
il cui consumo deve essere limitato.
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La scorretta alimentazione talvolta condizionata da disturbi della personalità: il cibo ha
infatti un effetto gratificante e in soggetti depressi, o in bambini che si sentono trascurati, la
ricerca del cibo può essere un modo per sentirsi meglio.
In altri casi si tratta di veri e propri disturbi dell’alimentazione, come il disturbo dell’alimen-
tazione incontrollata (o “disturbo delle abbuffatte”) che è un disturbo psichiatrico caratteriz-
zato dalla accessi di fame con rapida assunzione di grandi quantità di cibo, addirittura fino a
7000-10000 Kcal ad abbuffata.
[Infine vanno anche considerati i farmaci, soprattutto pazienti in terapia cronica con
ansiolitici e antidepressivi, che aumentano l’appetito].

COMPLICANZE DELL’OBESITA’
L’obesità non è puramente un problema estetico risulta quindi aumentare il rischio di patologie,
soprattutto cardiovascolari, a causa essenzialmente di 3 fattori:
- Aumento della massa grassa (con conseguenze di tipo meccanico ed emodinamico)
- Stato infiammatorio persistente che il tessuto adiposo genera (come conseguenza delle cito-
chine prodotte dal tessuto adiposo e del richiamo del tessuto infiammatorio)
- Secrezione di numerosi fattori (oltre quelli citochinici, anche fattori protrombotici e fattori
di crescita che agiscono a livello di diversi tessuti).
L’obesità entra quindi a far parte della sindrome metabolica (vedi pag.11) in cui gioca un ruolo cen-
trale nella sua patogenesi insieme all’insulino-resistenza, di cui ne favorisce lo sviluppo, portando
ad una serie di complicanze (ipertensione, diabete, dislipidemie) caratteristiche della suddetta
sindrome, con aggravamento del rischio cardiovascolare e la mortalità.

Tra le più frequenti complicanze troviamo:


 Compromissione ventricolare sinistra: l’incremento ponderale determina un aumento delle
richieste metaboliche e del letto vascolare, con incremento della gittata cardiaca al fine di
aumentare il flusso ematico tissutale, indipendentemente dai valori di pressione arteriosa.
L’aumento del lavoro cardiaco porta, a lungo tempo, ad un’ipertrofia ventricolare e pos-
sibile compromissione su base ischemica.
 Ipertensione, evidente per ogni fascia d’età, a causa sia dell’aumento della massa grassa con
alterazione emodinamica, sia delle alterazioni infiammatorie e metaboliche, prima fra tutte
l’insulino-resistenza con alterata risposta ai fattori endoteliali vasoattivi (NO).
 Dislipidemia, anch’essa correlata all’aumento dell’incidenza di disturbi cardiovascolari, si ca-
ratterizzano principalmente per aumentati livelli di colesterolo LDL e trigliceridi e ridotti di
colesterolo HDL.
La condizione sembra sia correlata all’aumentato flusso di acidi grassi che passano dal tes-
suto adiposo viscerale al fegato, con conseguente accumulo di trigliceridi e aumento della
produzione di lipoproteine a bassa densità (VLDL) alla base delle alterate proporzioni dei
lipidi circolanti.

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 Diabete mellito di tipo 2, per cui l’obesità è uno dei più importanti fattori di rischio in quanto
l’aumento del grasso periviscerale porta ad insulino-resistenza.
Come abbiamo detto, infatti, il tessuto adiposo periviscerale è responsabile di uno stato in-
fiammatorio persistente con liberazione di molteplici mediatori (TNF-α, IL-6) che vanno ad
agire, tra gli altri bersagli, anche sul recettore dell’insulina, che non è più in grado di determi-
nare l’apertura dei canali del glucosio GLUT-4 e conseguente iperglicemia.
Il tentativo di compenso da parte dell’organismo comporta un aumento della produzione di
insulina e, quando non più adeguata a compensare il deficit, a diabete mellito di tipo 2.
 Apnee e OSAS (sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno), che si presentano molto frequen-
temente in pazienti obesi, come episodi di arresto del flusso aereo dalla bocca e dal naso per
più di 10 secondi durante il sonno, a causa della compressione della massa grassa sulle alte
vie aeree (trachea e laringe).
Si parla di OSAS se il numero di episodi è elevato, in particolare >5 all’ora e >35 nell’arco di
una notte; questa sindrome è un fattore indipendente di aumentato rischio cardiovascolare.
 Alterazione della funzionalità gonadica sia nel maschio che nella femmina adulta sebbene
un ipogonadismo si riscontra solo nelle forme molto gravi di obesità.
Nelle donne adulte obese, invece, sono frequenti irregolarità mestruali e cicli anovulatori.
 Osteoartrosi, dovuta sia a fattori locali (aumento delle forze di carico sull’apparato sche-
letrico) sia a fattori generali (aumento di fattori di crescita cartilaginei).
 Generale incremento del rischio di neoplasia, evidenziato da alcuni studi epidemiologici
forse in relazione ad un aumento di fattori di crescita circolanti
All’aumento del peso (più nello specifico al BMI e alla misurazione della circonferenza della vita) si
correla indubbiamente un maggiore rischio di mortalità, dimostrabile in tutte le fascie di età, e con
picco massimo intorno ai 65-70 anni, dove il rischio è quasi il doppio rispetto al normale.
La morte giunge per le complicanze sopra dette, ed in particolar modo per infarto del miocardio.

DIAGNOSI
Le misure indirette utilizzano parametri semplici come il peso, l’altezza, la circonferenza di vita e
fianchi per ottenere indici di costituzione corporea, di rapida e semplice esecuzione:
 BMI (Body Mass Index), è sicuramente l’indice più utilizzato e si calcola facilmente come:
BMI: Peso (kg) / Altezza2 (m2)
Il risultato è confrontato con una scala di valori in grado di classificare gli individui in base al
peso corporeo, tenendo presente che il rischio di complicanze aumenta con l’aumentare del
BMI, in particolar modo quelle cardiovascolari:
- <18 Sottopeso
- 18,5 – 24,9 Normopeso
- 25,0 – 29,9 Sovrappeso
- 30,0 – 34,9 Obesità di I grado
- 35,0 – 39,9 Obesità di II grado
- >40 Obesità di III grado

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 Circonferenza della vita, con un cut-off di 88cm per le donne e 102cm per gli uomini (per le
popolazioni caucasiche; varia nelle popolazioni orientali)
 Rapporto vita/fianchi (W/H), è un semplice indicatore di distribuzione del grasso, in quanto
permette di avere un’idea se il grasso è distribuito a livello sottocutaneo o viscerale: un rap-
porto > 0,9 nell’uomo e > 0,85 nella donna indica obesità viscerale (o centrale).
 Plicometria, consiste nella misurazione dello spessore del sottocutaneo a livello del bicipite,
del tricipite, sottoscapolare e soprailiaco.

Le misure dirette sono metodi più precisi di quantificazione della massa corporea grassa rispetto
alla magra, ma anche di più complessa esecuzione e alcune molto costose; tra queste:
 Impedenzometria, che si basa sulla conduzione della corrente elettrica attraverso l’organi-
smo considerando che la massa magra offre bassa resistenza al passaggio
 TC e RM per studi più fini, permette di valutare lo spessore del tessuto adiposo
 Esami bioumorali, ed in particolare:
- Assetto lipidico (colesterolo totale, HDL, trigliceridi)
- Cortisoluria nelle 24 h
Obesità secondaria
- T3, T4, TSH

A questi si aggiungono tutta la serie di altri esami per la valutazione delle complicanze dell’obesità:
 Esami strumentali, tra cui:
- Test di funzionalità respiratoria e RX torace
- Valutazione cardiologica, ECG e ecocuore
- Endoscopia esofagea (ernia iatale)
 Esami di laboratorio:
- Glicemia e OGTT (test di tolleranza al glucosio)
- Dosaggio degli ormoni sessuali (LH, FSH, testosterone, androstenedione)
- Emocromo completo, dosaggio delle proteine plasmatiche e parametri del ferro
- Esami di funzionalità renale (creatininemia)
- Esami di funzionalità epatica (AST, ALT, γ-GT, fosfatasi alcalina, bilirubina)
- Uricemia

TERAPIA
Sicuramente la prima e più efficace terapia dell’obesità è la modificazione dello stile di vita, attraver-
so una dieta che garantisce una riduzione dell’introito calorico e l’attività fisica, che ne aumenta il
consumo.
Un’appropriata strategia dietetica deve innanzitutto andare a valutare il rapporto tra le calorie as-
sunte e quelle bruciate, oltre ovviamente a definire il tipo di alimenti da introdurre.
La dieta mediterranea, seguita correttamente, permette di mantenere un peso nei limiti oltre a
migliorare le condizioni di salute ed è stato osservato come si associa ad una minore mortalità per
patologie neoplastiche e vascolari.
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Purtroppo il problema principale è la difficoltà dei pazienti nell’aderire a lungo ad una dieta, tanto
che i centri per l’obesità sono valutati proprio sulla base del numero di pazienti che abbandonano il
programma: se hanno una percentuale <50% di abbandoni, si considera un buon centro.
La terapia dietetica, quindi, dipende strettamente dalla volontà del paziente di dimagrire.
Non esistono farmaci che permettono di dimagrire e, a parte dosi massicce di T3 e l’amfetamina che
erano usate in passato, l’unico approvato per la terapia dell’obesità è l’inibitore delle lipasi gastro-
intestinali, che agisce bloccando la digestione dei grassi ed inducendo una sindrome da antiabuso,
in cui il paziente si sente molto male quando assume pasti grassi, proprio per l’incapacità di digerirli,
e presuppone quindi che per evitare tale malessere i pazienti evitino di mangiare male.
Esistono poi alcuni farmaci in corso di sperimentazione, e tra questi abbiamo il liraglutide, utilizza-
to nella terapia del diabete ma anche nell’obesità dove è associato ad una dieta regolare e permette
di perdere alcuni kili; tuttavia è molto costoso.
[Più complesso è il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, di natura psichiatrica].

Nelle gravi obesità (grado II o III) che presentano già gravi complicanze, si può ricorrere alla chirurgia
bariatrica, che permette una perdita di peso consistente e di ridurre i rischi delle complicanze.
Negli ultimi anni il ricorso alla chirurgia bariatrica è divenuto sempre più frequente sia per l’aumento
esponenziale dei pazienti obesi (soprattutto negli ultimi 10 anni), sia perché la terapia dietetica e
medica danno scarsi risultati (5% di efficacia, e solo in pazienti con BMI < 35): la prima per scarsa
compliance da parte del paziente, la seconda per la scarsa efficacia dei farmaci e la poca scelta.
Di contro il trattamento chirurgico, anche quello mini-invasivo, risulta essere efficace e duraturo,
tuttavia è fondamentale saper decidere quando il paziente può essere sottoposto ad intervento, ov-
vero quando questo è effettivamente necessario ed ha una buona percentuale di successo ed una
buona gestione nel post-operatorio.
L’intervento è indicato in pazienti:
- Peso corporeo superiore di almeno 35 kg rispetto al peso ideale
- BMI > 40, o < 40 con patologie associate (ipertensione, diabete, OSAS, artropatie, cardiomio-
patie o patologie ortopediche da sovraccarico.
- Fallimento dei trattamenti medico-dietetici (almeno 5 tentativi con obesità da almeno 5 anni)
- Rischio operatorio accettabile
- Paziente con buona compliance nel post-operatorio, sia per quanto riguarda l’alimentazione
che per quanto riguarda il follow-up (soprattutto nel primo periodo).
Tra le altre indicazioni alla chirurgia comprendono: ostacolo professionale, rifiuto totale della propria
immagine e incapacità a mantenere un peso corporeo accettabile nonostante la restrizione calorica
(in questi casi vi è il rischio di perdita del controllo sfociando in accessi bulimici).

Si ha invece controindicazione all’intervento in pazienti:


- < 18 anni o > 75 anni
- Morbo di Cushing
- Alcolismo e cirrosi epatica
- Patologie intestinali in fase attiva (Morbo di Chron)

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INTERVENTI DI CHIRURGIA BARIATRICA
Negli ultimi anni sono state messe a punto numerose tecniche chirurgiche per il trattamento delle
grandi obesità. Tali interventi dovrebbero soddisfare 4 principi generali che caratterizzerebbero un
intervento bariatrico ideale, ovvero:
- Assenza di complicanze metaboliche
- Risultato completo, ovvero dimagrimento > 40% rispetto al peso iniziale
- Stabilità indeterminata nel tempo del peso raggiunto
- Rischio operatorio nullo (impossibile in qualsiasi tipo di intervento chirurgico)

Quelli attualmente eseguiti rispettano 1-2 di questi criteri, e si distinguono in:


 Restrittivi, in cui si va a ridurre le dimensioni dello stomaco fino
a quella all’incirca di una tazza, in modo da indurre rapida-
mente il senso di sazietà dopo piccole quantità di cibo:
 Gastroplastica, in cui si crea una piccola tasca attra-
verso la cucitura dello stomaco, che resta in comu-
nicazione con il resto dell’organo attraverso uno stret-
to orifizio.
Esistono due diverse tecniche laparoscopiche:
- G. verticale secondo Mason: si crea una piccola
tasca in senso verticale lungo la piccola cur-
vatura dello stomaco mediante un’incisione
circolare al margine inferiore e sutura lineare
verticale.
- G. verticale secondo Mc-Lean: simile al pre-
cedente ma a seguito dell’incisione circolare si
effettua un’incisione e sutura verticale, in mo-
do da separare la tasca dalla restante porzione
di stomaco impedendo che la sutura possa es-
sere forzata.
 Sleeve Gastrectomy, l’attuale intervento di scelta e
viene fatto anch’esso in laparoscopia: attraverso una
suturatrice meccanica che va contemporaneamente
ad incidere e suturare, si effettua una resezione dello
stomaco asportando permanentemente l’80-90% (dopo
aver isolato le connessioni vascolari con la milza).
La porzione restante tubulare, che va lungo la piccola
curvatura dal cardias al piloro, mantiene le medesime
funzioni dell’organo completo ma precoce induzione
della sensazione di fame e netta riduzione della secrezione di grelina.
L’intervento dà ottimi risultati a 3 anni, con netta perdita di peso del paziente e, in
caso di fallimento, si può convertire in duodenal switch.
 Bendaggio gastrico, analogamente alla gastroplastica, viene creata una tasca gastrica
di dimensioni ridotte e comunicante con lo stomaco ma in questo caso attraverso il
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posizionamento di un anello di silicone attorno alla parte superiore dell’organo (che
viene poi fissato per evitarne lo scivolamento o l’erniazione dello stomaco).
La fascia in silicone può essere regolata attraverso uno specifico catetere in modo da
determinare il diametro dell’orifizio e quindi l’entità di passaggio del cibo; inoltre è
facilmente removibile (e quindi l’intervento è reversibile).
È un ottimo intervento per la reversibilità, efficacia, degenza breve (3 giorni) e
mortalità pressochè nulla; inoltre non determina alcuna sequela emodinamica o me-
tabolica in quanto non vi è resezione dello stomaco.
 Palloncino endogastrico, che una volta introdotto e gonfiato all’interno dello stoma-
co ne va a ridurre il volume; tuttavia può capitare che il palloncino si sposti nell’in-
testino e necessita di un intervento per rimuoverlo.
È indicato soprattutto per usi temporanei, quando si richiede un rapido calo pon-
derale (in genere come preparazione ad un intervento resettivo) o in pazienti anziani
con diabete mellito di tipo 2 o ipertensione arteriosa grave.

 Malassorbitivi, in cui anche se il soggetto continua a mangiare, non è in grado di assorbire


gli alimenti in quanto vengono “saltati” lunghi tratti di intestino; consiste in sostanza in una
riduzione della superficie di assorbimento disponibile. e dimagrisce:
 By-pass bilio-intestinale: l’intervento più facile da effettuare ma ormai non più in
uso, consiste nel congiungere i primi 30-35 cm di digiuno con gli ultimi 15-20 cm di
ileo, in modo da ridurre notevolmente la superficie di assorbimento.
La colecisti viene infine anastomizzata con la parte di intestino escluso dal transito
in modo da evitare la proliferazione batterica anomala, soprattutto anaerobica, e una
serie di complicanze gravi.
 Diversione bilio-pancreatica, consiste in una resezione dello stomaco in modo da ri-
durre il volume a 200-500 ml e la restante parte viene connessa ad un’ansa poco
prima della valvola ileo-cieca-
le, mentre la parte di intesti-
no non attraversata dal cibo
viene anastomizzata a 50 cm
dalla valvola, in modo che il
cibo possa entrare in contat-
to con i succhi pancreatici e
biliari, ed essere digeriti, solo
per questo breve tratto (a li-
vello del colon viene assorbi-
ta principalmente acqua).
Viene asportata anche la co-
lecisti per evitare la forma-
zione di calcoli.
È il principale intervento per il trattamento a lungo termine dell’obesità e delle sue
complicanze e sta divenendo sempre più frequente; a differenza degli interventi
restrittivi, che hanno poche complicanze e che possono essere forzati (con apertura
della tasca) o ovviati (mangiando più volte), questo è irreversibile, in quanto una
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parte dello stomaco è eliminata.
Inoltre questi pazienti vanno incontro a carenza vitaminica, di calcio e ferro, che sono
assorbiti a livello del duodeno e dei tratti prossimali dell’intestino, per cui sono co-
stretti a reintegrare tali carenze mediante preparati polivitaminici in dosi abbondanti.

 Misti, in cui si associa la componente restrittiva ad una componente malassorbitiva ma in


misura generalmente meno importante. Tra questi il più importante è:
 By-pass gastrico, è un intervento poco malassorbitivo ma principalmente restrittivo,
in quanto prevede la creazione di una piccola tasca gastrica analogamente alla gas-
troplastica ma l’orifizio è in diretta comunicazione con un’ansa ileale, in modo da
saltare una buona fetta di intestino.

Il trattamento della grande obesità non può essere limitato al solo atto chirurgico o alla sola terapia
medico-dietetica: è necessario un team di persone che lavora intorno ai pazienti, esaminano il caso
e decidono il percorso da intraprendere.

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Sindrome metabolica

La sindrome metabolica è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di più fattori di rischio
cardiovascolari, principalmente metabolici ma non solo, e dalla presenza di insulino-resistenza.
La definizione di questa sindrome nasce negli anni ’60, quando si è vista la correlazione tra diverse
condizioni, quali diabete mellito, obesità, ipertrigliceridemia, e classificandola come entità clinica
che è stata denominata in vari modi:
- Sindrome X metabolica (da non confondere con la sindrome X cardiaca)
- Sindrome dell’insulino-resistenza (in quanto spesso i pazienti sono diabetici)
- Sindrome metabolica (termine usato da WHO)

La presenza di più alterazioni metaboliche contemporanee ha portato allo sviluppo di diversi criteri
di definizione della SM negli anni, tra cui:
 Definizione OMS-1998:
che attribuisce un ruolo centrale all’insulino-resistenza; per la definizione della sindrome è
infatti necessaria la presenza di:
 Insulino-resistenza, e/o di intolleranza al glucosio (IGT) o diabete mellito di tipo 2 (DB2)
 Almeno 2 fra le seguenti condizioni:
- Pressione arteriosa: ≥ 160/90 mmHg
- Obesità viscerale: rapporto W/H > 0,9 nell’uomo o > 0,85 nella donna
- Colesterolo HDL ridotto: < 35 mg/dl nell’uomo o < 39 mg/dl nella donna
- Trigliceridemia: ≥ 150 mg/dl
- Microalbuminuria: escrezione urinaria di albumina (UAE) ≥ 20 µg/min; questo
è indice precoce di intolleranza ai carboidrati e diabete mellito di tipo 2 (questo
parametro è stato successivamente eliminato)
 Definizione NCEP-2001 (National Cholesterol Education Program):
la diagnosi di sindrome metabolica dipende dalla presenza di 3 o più dei seguenti fattori:
 Glicemia a digiuno: ≥ 110 mg/dl
 Pressione arteriosa: ≥ 150 mmHg
 Obesità viscerale: circonferenza vita > 102 cm nell’uomo o > 80 cm nella donna
 Colesterolo HDL: < 40 mg/dl nell’uomo o < 50 mg/dl nella donna
 Trigliceridemia: ≥ 150 mg/dl
 Definizione IDF-2005 (International Diabetes Federation):
Con ruolo centrale dell’obesità viscerale e criteri più ampi per le misure della circonferenza
e della pressione arteriosa; è inclusa una fetta più larga della popolazione generale nella dia-
gnosi di sindrome metabolica rispetto alle precedenti definizioni. La diagnosi si basa su:
 Obesità viscerale: circonferenza vita > 94 cm nell’uomo o > 80 cm nella donna
 Almeno 2 fra le seguenti condizioni:
- Glicemia a digiuno: ≥ 100 mg/dl o diabete noto
- Pressione arteriosa: ≥ 130/85 mmHg (attualmente i valori di p.a. consigliati sono
al di sotto di 120/80 mmHg; un valore di 130 è considerato borderline)
- Colesterolo HDL: < 40 mg/dl nell’uomo o < 50 mg/dl nella donna
- Trigliceridemia: ≥ 150 mg/dl
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EZIOPATOGENESI
Ruolo centrale nello sviluppo della sindrome metabolica sono sicuramente l’obesità centrale e l’in-
sulino resistenza, tra loro correlate; da qui si arriva allo sviluppo di diabete, ipertensione e dislipi-
demia che concorrono alla genesi di una disfunzione endoteliale e quindi l’aterosclerosi.

I fattori che portano allo sviluppo


dell’obesità centrale e della resistenza
insulinica sono sia ambientali, in parti-
colar modo la scorretta alimentazione
e la ridotta attività fisica, sia fattori
genetici, come ad esempio la familia-
rità per il diabete, l’ipertensione o il
genotipo risparmiatore.
La resistenza primaria all’insulino-resi-
stenza, ovvero la predisposizione ge-
netica ha un ruolo fondamentale nello
sviluppo di sindrome metabolica; ed
infatti questa si presenta anche in po-
polazioni con BMI < 25.

Il genotipo risparmiatore è un corredo


genetico che deriva dai nostri ante-
nati raccoglitori e cacciatori, in tempi
in cui si alternavano periodi di abbondanza e di carestia; tale corredo aveva lo scopo di garantire la
formazione delle riserve energetiche nei momenti di abbondanza in modo da far fronte a quelli di
carestia, in modo da permettere la sopravvivenza.
Al giorno d’oggi, in cui si vive in costante abbondanza (almeno nei paesi sviluppati) si ha la tendenza
ad accumulare e da qui l’origine dell’obesità e del diabete. In tali condizioni il genotipo risparmiatore
non va più a garantire la sopravvivenza ma è responsabile di aumentata mortalità.

L’obesità viscerale, a sua volta, va a favorire lo sviluppo di insulino-resistenza e quindi iperinsu-


linemia a causa dello stato infiammatorio persistente.
Le due condizioni concorrono a determinare:
 Dislipidemia: aumento trigliceridi e colesterolo LDL, riduzione del colesterolo HDL
 IGT (intolleranza al glucosio) o DM (diabete mellito): evoluzione dell’insulino-resistenza
 Ipertensione: dovuta non solo all’alterazione emodinamica conseguente all’aumento della
massa grassa, ma anche allo stato infiammatorio e protrombotico indotti dall’attività secre-
toria del tessuto adiposo e dalle alterazioni metaboliche e vascolari dell’insulino-resistenza.
[La dislipidemia e l’ipertensione possono anche presentarsi nel soggetto dall’inizio, e quindi indi-
pendentemente dall’obesità e dell’insulino-resistenza].
Si determina, infine, una disfunzione endoteliale che favorisce lo sviluppo di aterosclerosi e che
rappresenta il principale determinante, assieme all’aumento del lavoro cardiaco a causa dell’obesi-
tà, degli eventi cardiovascolari e dell’aumentata mortalità che complicano la sindrome metabolica.

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In sostanza, quindi, l’insieme di tutti questi fattori tra loro correlati, conducono a modificazioni meta-
boliche e vascolari (ipertensione, iperinsulinemia, dislipidemia) con disfunzione endoteliale, da cui lo
sviluppo di aterosclerosi ed alterata emodinamica che aumentano il rischio di insorgenza di eventi
cardiovascolari (su base ischemica, quali arteriopatie obliteranti periferiche o infarti del miocardio) e
la mortalità dei pazienti, che si è calcolata essere in 5-10 anni fino a 3 volte e mezzo superiore rispetto
a quella della popolazione generale.

MECCANISMO CHE DETERMINA LA DISFUNZIONE ENDOTELIALE


La correlazione tra sindrome metabolica ed eventi cardiovascolari è facilmente evidenziabile se si
osserva il flusso ematico massimo (in seguito alla stimolazione con acetilcolina, e quindi rilascio di
NO) in relazione al BMI e insulino-resistenza.

Un ruolo centrale nella regolazione del tono vascolare è dato dall’NO e dall’endotelina 1, che sono
rispettivamente il principale vasodilatatore e vasocostrittore.
La produzione di NO è fondamentale per contrastare l’ipertensione e l’ischemia, attraverso una ris-
posta vasodilatatoria che permette di aumentare il flusso ematico, per cui la capacità di produrre
questo metabolita è un importante fattore di corretta funzionalità vascolare.
Attraverso la stimolazione con acetilcolina possiamo andare a valutare la riserva di produttività di
NO da parte dell’endotelio:
- In pazienti sani (con BMI < 28 e diabetici) la risposta è normale
- All’aumentare del BMI e dell’insulinemia, la risposta diviene piatta e non si determina vasodi-
latazione in nessun vaso. Di conseguenza anche la risposta di flusso massimo in relazione a
tale stimolazione scende drasticamente.
Vi è quindi un rapporto stretto tra obesità, livelli di insulina e funzionalità vascolare.
Tale rapporto evidenzia il motivo per cui i pazienti con sindrome metabolica oltre al rischio di svi-
luppare diabete mellito di tipo 2, sviluppano anche ipertensione ed il rischio di eventi cardiovasco-
lari con una mortalità maggiore rispetto alla popolazione generale.

La risposta patologica vascolare è legata all’attivazione del recettore insulinico nelle cellule endo-
teliali, dove innesca due diverse vie:
 Via delle chinasi AKT e PI3K: che mentre nelle cellule specifiche (miociti, cardiomiociti, adi-
pociti) sono responsabili dell’attivazione del GLUT4 e del suo trasferimento sulla membrana
cellulare; in quelle endoteliali porta alla produzione di NO e quindi vasodilatazione.
 Via delle MAP-chinasi: che è invece responsabile della secrezione di endotelina 1 da parte
delle cellule endoteliali e quindi di vasocostrizione.
La produzione di NO ed endotelina-1 da parte delle cellule endoteliali in seguito alla stimolazione
insulinica, è in equilibrio a seconda delle necessità fisiologiche; in caso di sindrome metabolica, inve-
ce, la resistenza insulinica determina un potenziamento della via delle MAP-K e inibizione dell’altra:
si ha una ridotta produzione di NO e di conseguenza vasocostrizione.

Questo sbilanciamento a livello endoteliale è dovuto ad un’alterata secrezione ormonale da parte del
tessuto adiposo: in condizioni normali, infatti, rilascia una serie di adipochine protettive.

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Tra le più importanti abbiamo l’adiponectina che presenta proprietà:
 Anti-aterogene:
- Riduce l’espressione di molecole di adesione
- Riduce l’adesione dei monociti alle cellule endoteliali
- Riduce l’uptake delle LDL ossidate
- Riduce la formazione di foam cell
- Riduce la proliferazione e migrazione di cellule muscolari lisce
 Anti-diabetiche:
- Aumenta la sensibilità all’insulina (regola la funzionalità del recettore insulinico,
prevenendo l’insulino-resistenza e lo sbilanciamento dei fattori vasoattivi)
- Aumenta l’uptake muscolare di glucosio e ossidazione dei FFT
- Riduce la produzione epatica di glucosio
- Riduce i trigliceridi intracellulari

In un soggetto con sindrome metabolica, si ha abbondante tessuto adiposo viscerale con infiltra-
zione di cellule infiammatorie; i numerosi adipociti modificano il proprio fenotipo riducendo il
rilascio di sostanze protettive quali l’adipochina a favore di:
- Altri tipi di adipochine, quali la leptina (effetti anoressizzanti) o la resistina (che modifica la
sensibilità del recettore insulinico)
- Acidi grassi liberi (FFT): perché gli adipociti sono ricchissimi in trigliceridi, e i NEFA (acidi grassi
non esterificati) sono responsabili della riduzione della risposta alla vasodilatazione
- Citochine infiammatorie: come ad esempio il TNF-α che anch’esso agisce a livello del re-
cettore insulinico favorendo l’insulino-resistenza e a livello vascolare riduce l’attività dell’NO.
In particolare proprio a livello perivascolare il tessuto adiposo presenta una maggiore pro-
duzione locale di TNF-α e una ridotta produzione di adiponectina.

DIAGNOSI E TERAPIA
Il rischio correlato alla sindrome metabolica pone la necessità di non sottovalutare pazienti che pos-
sono avere una predisposizione a svilupparla, in modo da prevenirne la comparsa o le complicanze.
Dal punto di vista clinico, si può sospettare la sindrome metabolica in pazienti con:
 Obesità addominale
 Storia familiare di diabete di tipo 2
 Alterazioni glicemiche
 Ipertensione arteriosa
 Dislipidemia
 Steatoepatite non alcolica
 Ovaio policistico
[Gli ultimi due aspetti non fanno parte della definizione di sindrome metabolica ma si osservano con
grande frequenza in questi soggetti.
I pazienti con sindrome metabolica possono infatti presentare una steatosi epatica che può essere
talmente grave da evolvere in steatoepatite con necrosi, infiltrazione infiammatoria e fibrosi reattiva.
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L’ovaio policistico è strettamente correlato soprattutto in quanto crea un forte rischio di sviluppare
insulino-resistenza, ed infatti viene trattato con la metformina, farmaco utilizzato nella terapia del
diabete (migliora la resistenza dei recettori all’insulina)].

La terapia deve essere innanzitutto incentrata sulla riduzione del peso corporeo (vedi obesità, pag.7)
principalmente con dieta e attività fisica; è inoltre importante migliorare la sensibilità all’insulina
attraverso, ad esempio, la metformina che si è visto essere in grado di ridurre l’insorgenza di corona-
ropatia in pazienti obesi e con diabete di tipo II.
Per quanto riguarda le altre condizioni si possono eventualmente associare: farmaci anti-iperten-
sivi, statine ed antiaggreganti piastrinici.

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