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Petronio, Satyricon, 31,8-33,8 (L’ingresso di Trimalchione).

[31, 8] Allata est tamen gustatio valde lauta; nam iam omnes discubuerant praeter
ipsum Trimalchionem, cui locus novo more primus servabatur. Ceterum in
promulsidari asellus erat Corinthius cum bisaccio positus, qui habebat olivas in
altera parte albas, in altera nigras. Tegebant asellum duae lances, in quarum
marginibus nomen Trimalchionis inscriptum erat et argenti pondus. Ponticuli etiam
ferruminati sustinebant glires melle ac papavere sparsos. Fuerunt et tomacula super
craticulam argenteam ferventia posita, et infra craticulam Syriaca pruna cum granis
Punici mali.
Fu servito tuttavia un antipasto di grande classe; infatti erano ormai tutti a tavola a
parte lui, Trimalchione, al quale, in nuova usanza era stato riservato il primo posto.
Del resto nel vassoio era posto un asinello in (bronzo) corinzio con una bisaccia, che
aveva olive bianche da una parte, nere dall’altra. Ricoprivano l’asinello due piatti, su
cui in un margine stava scritto il nome di Trimalchione e il peso dell’argento. E dei
ponticelli che erano stati saldati sostenevano ghiri cosparsi di miele e papaveri. E
c’erano delle salsicce a sfrigolare su una graticola d’argento, e sotto la graticola
susine di Siria con chicchi di melagrana.
[32, 1] In his eramus lautitiis, cum Trimalchio ad symphoniam allatus est, positusque
inter cervicalia minutissima expressit imprudentibus risum. Pallio enim coccineo
adrasum excluserat caput, circaque oneratas veste cervices laticlaviam immiserat
mappam fimbriis hinc atque illinc pendentibus. Habebat etiam in minimo digito
sinistrae manus anulum grandem subauratum, extremo vero articulo digiti sequentis
minorem, ut mihi videbatur, totum aureum, sed plane ferreis veluti stellis
ferruminatum. Et ne has tantum ostenderet divitias, dextrum nudavit lacertum
armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo.
Eravamo assorti in tali delizie, quando Trimalchione apparve lì a suon di musica, e
deposto tra guanciali minuscoli, suscitò il riso di coloro che furono colti alla
sprovvista. Da un mantello scarlatto lasciava infatti sbucare la testa rapata, e intorno
al collo, rinfagottato dall’abito, si era messo un tovagliolo con liste di porpora e
frange spenzolanti qua e là. Aveva poi nel dito mignolo della mano sinistra un grosso
anello placcato d’oro, e nell’ultima falange del dito seguente un nello più piccolo,
d’oro massiccio, avrei detto, ma ceto saldate sopra come delle stelle in ferro. E per
non fare mostra di quei gioielli soltanto, mise a nudo il braccio destro, che era
adorno di un’armilla d’oro e di un cerchio d’avorio con una lamina luccicante
all’intorno.
[33, 1] Vt deinde pinna argentea dentes perfodit: "Amici, inquit, nondum mihi suave
erat in triclinium venire, sed ne diutius absentivos morae vobis essem, omnem
voluptatem mihi negavi. Permittetis tamen finiri lusum." Sequebatur puer cum
tabula terebinthina et crystallinis tesseris, notavique rem omnium delicatissimam.
Pro calculis enim albis ac nigris aureos argenteosque habebat denarios. Interim dum
ille omnium textorum dicta inter lusum consumit, gustantibus adhuc nobis
repositorium allatum est cum corbe, in quo gallina erat lignea patentibus in orbem
alis, quales esse solent quae incubant ova. Accessere continuo duo servi et
symphonia strepente scrutari paleam coeperunt, erutaque subinde pavonina ova
divisere convivis. Convertit ad hanc scenam Trimalchio vultum et: "Amici, ait,
pavonis ova gallinae iussi supponi. Et mehercules timeo ne iam concepti sint.
Temptemus tamen, si adhuc sorbilia sunt." Accipimus nos cochlearia non minus
selibras pendentia, ovaque ex farina pingui figurata pertundimus. Ego quidem paene
proieci partem meam, nam videbatur mihi iam in pullum coisse. Deinde ut audivi
veterem convivam: "Hic nescio quid boni debet esse", persecutus putamen manu,
pinguissimam ficedulam inveni piperato vitello circumdatam.
Quindi, scandagliati i denti con uno stecchino d’argento, “amici, - disse – ancora non
mi era a grado venire nel triclinio, ma, per non farvi in mia assenza aspettar troppo,
sacrificai tutto quanto mi piace. Permetterete comunque che si finisca la partita”. Lo
seguiva un valletto con una scacchiera di terebinto e dadi di cristallo, e notai in
proposito un particolare estremamente raffinato, che invece di pedine bianche e
nere, si usavano monete d’oro e d’argento. Intanto, mentre lui tra una mossa e
l’altra dava fondo al vocabolario dei carrettieri, dinnanzi a noi, che eravamo ancora
all’antipasto, fu collocato un vassoio con sopra una cesta, in cui c’era una gallina di
legno con le ali aperte a cerchio, come stanno d’abitudine quando covano. Si
accostano subito due schiavi, che in un concerto assordante prendono a frugare fra
la paglia e, tiratene fuori uova di pavone su uova le dividono tra i convitati. A questo
colpo di scena, Trimalcione volge il capo, e “Amici, - dice – uova di pavone ho fatto
mettere sotto la gallina. Ma ho paura, per Bacco, che ci sia già la famiglia! Ad ogni
modo, proviamo se sono ancora da bere”. Riceviamo dei cucchiaini da mezza libbra
almeno e rompiamo quelle uova rivestite di pasta frolla. Io però fui a un pelo dal
gettare via la mia porzione, chè in effetti mi pareva ci fosse già il pulcino. Ma poi,
quando sento un commensale di vecchia data “Qui dev’esserci qualcosa di buono”,
frugo con la mano dentro il guscio e trovo immerso nel tuorlo pepato un beccafico
bello grasso.

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