Escolar Documentos
Profissional Documentos
Cultura Documentos
0$&&+,1(
Si dice macchina, in generale, ogni meccanismo o insieme di meccanismi atto a compiere lavori
particolari quando a esso siano applicate delle forze.
• la vite — Si chiamano vite e madrevite gli organi meccanici con i quali viene costruttivamente
realizzata la coppia cinematica elicoidale. Dal punto di vista cinematico le superfici combacianti
appartenenti ai due membri della coppia potrebbero essere due elicoidi uguali qualsiasi.
Praticamente queste superfici vengono realizzate mediante solchi e risalti elicoidali (filetti)
praticati sulla parete di un corpo cilindrico pieno detto vite e sulla faccia interna, ugualmente
cilindrica, di un corrispondente; corpo cavo detto madrevite. Il profilo assiale dei singoli filetti
Con il passare del tempo, il concetto di macchina divenne quello indicato all’inizio.
La trattazione dei problemi inerenti al movimento delle varie parti delle macchine e alle relazioni
tra le forze agenti in esse è oggetto della Cinematica applicata e della Dinamica applicata,
discipline che insieme costituiscono la Meccanica applicata alle macchine.
Le macchine motrici, dette anche motori, trasformano forme diverse d’energia in energia
meccanica, direttamente utilizzabile.
Le macchine operatrici (detti anche utilizzatori), invece, sono quelle che, accoppiate a un motore,
ne utilizzano l'energia meccanica per compiere lavori particolari.
Definizione, quest’ultima, che privilegia la funzione della macchina, quindi l’aspetto dinamico
rispetto a quello cinematico del passato.
La distinzione principale è basata sulla forma d’energia utilizzata per generare potenza meccanica.
Si distinguono in: motori ad aria compressa, motori a combustione, motori a vento, motori
idraulici, motori elettrici ecc.
Motori a combustione
Si distinguono in:
• motori a combustione esterna, nei quali il fluido evolvente, quello che, incrementato nella
temperatura e nella pressione, cede energia all’organo mobile (normalmente il pistone o la
girante nelle turbine), è diverso da quello che gli cede calore; esempi: motore ad aria calda,
macchina a vapore, turbina a vapore, ecc.
8WLOL]]DWRUL
Tali sono, per esempio, le macchine per:
Inoltre si conta oggi un numero grandissimo di macchine operatrici adatte ad assolvere ai più
diversi compiti, sostituendo quasi ovunque l'operazione diretta dell'uomo, dalle macchine per
cucire, alle macchine da scrivere e a quelle particolari alle diverse attività produttive come le
macchine da cartiere, quelle per edilizia, ecc.
Non sfuggirà, tuttavia, a più che, come detto, oggi con il termine macchina, s’intende comunemente
l’insieme inscindibile di motore, trasmissione e utilizzatore
ϕ, ω Mm Mr
LAGRANGE
G ∂(F ∂(F ∂( S δ * /
( )− + =
GW ∂T& ∂T ∂T δ *T
e sia
GT Gϕ
T (W ) ≡ ϕ (W ) e quindi = T& (W ) = = ω (W )
GW GW
Supponiamo che il baricentro del sistema sia sulla traccia dell’asse di rotazione, per cui, mancando
altre forze esterne che ammettano energia potenziale:
∂( S
(S = N con N = costante per cui =0
∂T
1 1 1
(F (W ) = -ω (W ) × ω (W ) = - (ω (W ) )2 = - ( T& (W ) )2
r r
2 2 2
∂(F G ∂(
= -T& (W ) → F = -T&&(W )
∂T& GW ∂T&
r r r r
δ * / = 0 P (ω ) × δ *T + 0 U (ω ) × δ *T = 0 P (ω )δ *T − 0 U (ω )δ *T
&& = 0 P (ω ) − 0 U (ω )
-T
ϕ, ω Mm Mr
J
Principio dei Lavori Virtuali
δ */ = 0
δ * / = − -ϕδ
&& ϕ + 0 P (ω )δ ϕ − 0 U (ω )δ ϕ = 0
* * *
-ϕ&& = 0 P (ω ) − 0 U (ω )
Equilibri dinamici
0 P (ω ) − 0 U (ω ) − - ϕ&& = 0
Bilancio di potenze
ϕ, ω Mm Mr
J
G/
POTENZA : =
GW
G(F
∑: = GW (1)
1 r r
(F (W ) = -ω (W ) × ω (W )
2
∑: = 0
Moto a regime periodico: (F (W ) = (F (W + 7 ) con 7 = periodo, integrando la (1) su un periodo
W +7
∫W ∑:GW =(F (W + 7 ) − (F (W ) = ∆(F (7 ) = 0
∑/ W
W +7
=0
G(F (W )
ma istantaneamente ≠0
GW
G(F
∑: =
GW
r r r r
∑: = ∑ ) ×Y +∑ 0 ×ω
N
N N
M
M M
1 r r
(FN = PN YN × YN
2
Per il generico corpo rigido k
1 r r 1 r r r r r r
(FN = PN Y*N × Y*N + -ξ 1Nω ξ 1N ×ωξ 1N + -ξ 2Nω ξ 2N ×ωξ 2N + -ξ 3Nω ξ 3N ×ωξ 3N
2 2
Nel piano:
1 r r 1 r r
(FN = PN Y*N × Y*N + - *Nω N ×ω N
2 2
ϕ, ω Mm Mr
0 P (ω ) ⋅ ω − 0 U (ω ) ⋅ ω = -ϕ&& ⋅ ω
0 P (ω ) − 0 U (ω ) = -ϕ&&
• Se 0 P (ω ) > 0 U (ω ) ⇒ ϕ
&& > 0 la macchina accelera
• Se 0 P (ω ) < 0 U (ω ) ⇒ ϕ
&& < 0 la macchina decelera
• Se 0 P (ω ) = 0 U (ω ) ⇒ ϕ
&& = 0 quindi ω è costante e la macchina è in moto a regime
assoluto.
Gω 0 P (ω ) − 0 U (ω )
ϕ&& = =
GW -
per cui
0 P (ω ) − 0 U (ω )
ω (W ) = ω (W0 ) + (W − W 0 )
-
• risolvendo numericamente t
0 P (ω ) − 0 U (ω ) = 0
• graficamente con la sovrapposizione delle curve caratteristiche
Mm Mr
-ϕ&& > 0
Condizioni di regime
0 P (ω ) − 0 U (ω ) − - ϕ&& = 0
0 P (ω ) ≅ 0 P (ω ) + G0 P
(ω − ω 0 )
Gω (
0
ω =ω0 )
0 (ω ) ≅ 0 (ω ) + G0 U
(ω − ω 0 )
G ω (
U U 0
ω =ω 0 )
G0 P
(ω − ω0 ) − U
G0
(ω − ω0 ) − -ϕ&& = 0
G ω (ω =ω0 ) G ω (ω =ω0 )
ponendo
ω = ω − ω0
ω = ω 0 + ω ⇒ ϕ&& =
Gω = ω&
GW
G0 P,U
. P,U =
Gω (ω =ω ) 0
- ω& + ( . U − . P )ω = 0
equazione differenziale lineare a coefficienti costanti di primo ordine, la cui soluzione generale è
del tipo
ω ( W ) = $Hλ W
- λ $HλW + ( . U − . P ) $HλW =
.U − . P
(λ - + ( . U − . P )) $HλW = 0 → λ + =0
-
. − .U
λ= P
-
. − .U
λ= P
-
. P − . U > 0 → .P > . U → λ = α Moto instabile
. P − . U < 0 → . P < . U → λ = −α Moto stabile
M
Km Km Mr
Kr
Kr Posizione di
regime stabile
Posizione di
regime instabile Mm
ω
M
5D1 5D 2 5D3 5D = 0
Mr
Q0
Poiché la zona di regime stabile è tra la velocità di coppia massima e quella di sincronismo Q, vista
l’elevata pendenza della curva caratteristica tra queste due velocità, da un punto di vista pratico si
considera Q come velocità angolare di funzionamento della macchina azionata da un motore
elettrico asincrono trifase.
G(
∑: = GW&
Supponendo che motore e utilizzatore abbiano, rispettivamente, momenti d’inerzia -P e -U, mentre
sia trascurabile quello della trasmissione:
1 1
(& = - Pω P2 + - Uω U2
2 2
ωU
Ricordando che il rapporto di trasmissione vale τ =
ωP
1 1
(& = - Pω P2 + - Uτ 2ωP2 =
2 2
1
2
( - P + - Uτ 2 )ωP2
ωm Jm
τ
Jm
τ Jr ωr
Mm Jr
Mr
Mm
m
J Mr ωr
Mm
m
J Mr ωr
Dal punto di vista globale, siamo ricondotti al sistema meccanico equipollente sottostante:
Mm
m
J M’r ωr
ωm Jm
τ
Jm
τ,η
Jr ωr
Mm Jr
Mr
r r r r G(F
∑: = 0 P × ω P + 0 U × ω U + : S = GW
con : (<0)
S potenza dissipata nella trasmissione che si suppone d’inerzia trascurabile
( (FWUDVPLVVLRQH = 0 )
Accanto alla formulazione soprascritta ne esiste una seconda che raggruppa le potenze in base agli
organi componenti la generica macchina, ovvero:
• :
potenza motrice P associata al motore;
• :
potenza resistente U associata all’utilizzatore, ai freni e alle apparecchiature ausiliarie;
• :
potenza dissipata S negli organi di trasmissione.
G(F
:P − :U − : S = (1)
GW
che, a differenza della
G(F
∑: + : S =
GW
( 2)
∑:
La prima formulazione (2) presuppone che tutte le potenze siano positive se entranti nella macchina
macchina
:S
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 3
A.A. 2000/2001
Lezione III
Riduzione di forze e masse
:U
La seconda (1) è invece legata al verso del flusso di potenza che attraversa la macchina nelle
:P
condizioni di normale funzionamento, ovvero dal motore all’utilizzatore e agli organi ausiliari.
macchina
:S
: :
Nelle nuove convenzioni U e S sono positive se uscenti dalla macchina, quindi con versi opposti
rispetto a quelli assunti positivi per le sole potenze dissipate e quelle legate all’utilizzatore nella
G(F
formulazione ∑: + : S =
GW
.
r r r r G(F
0 P × ωP + 0 U × ωU − :S =
GW
equazione del tutto identica a quella ottenuta usando la prima formulazione.
Si definisce rendimento di una trasmissione, il rapporto tra la potenza uscente da essa e quella in
essa entrante
η=
: X
’
: H
’
Applicando il bilancio di potenze alla sola trasmissione, considerata come detto d’inerzia
trascurabile, avremo:
:P − :U − :S = 0
con
: =:
P H
’
: =:
U X
’
per cui
: −: −: = 0
’
H X
’
S
: = : − η: = : (1 − η )
S H
’ ’
H
’
H
motore
:H : :H
trasmissione
:X’
’
-P
X
:S
:H : :H
trasmissione
:X’
’
-P
X
: S
Bilancio di potenza del solo motore di momento d’inerzia -P, detto 0P il momento erogato dal
motore alla velocità ω (N.B. in condizione di regime assoluto):
r r
0 Pω P − :X = - Pω& P × ω P
r r
:X = 0 Pω P − - Pω& P × ω P
:X = :H’
: = : (1 − η )
S H
’
ovvero, sostituendo:
r r
: S = (1 − η ) 0 Pω P − - Pω& P × ω P
Il moto nelle trasmissioni è chiamato diretto quando la trasmissione trasmette potenza dall’albero
del motore a quello dell’utilizzatore e a questo corrisponde un rendimento ηG in moto diretto.
La potenza : può, in alcuni casi, provenire dal lato dell’utilizzatore (condizione necessaria, ma
H
’
G(F
non sufficiente, :U nella formulazione :P − :U − : S = ) e si è in presenza di un moto
GW
detto retrogrado, caratterizzato dal corrispondente rendimento ηU (o η
), in generale diverso da ηG.
Si noti che la definizione di moto retrogrado è legata solamente al verso del flusso di potenza in
uscita dalla trasmissione e non a quello delle velocità dei vari organi.
Esempio: montacarichi
UTILIZZATORE
:P
argano di
trasmissione sollevamento di
motore momento d’inerzia J
V,a
m
V,a
IPOTESI:
fune inestensibile
fune di diametro e massa trascurabile
assenza di slittamento tra fune e tamburo dell’argano
G(F
:P − :U − : S =
GW
G(F
In salita a regime assoluto =0 e :S
GW
:P = :U = −0Jr × Yr − PJr × Yr = JY ( 0 − P)
se
• 0 − P > 0 ⇒: > 0 moto diretto
0 − P < 0 ⇒:
U
• U
< 0 possibile moto retrogrado (dipende da ηU)
: U
=− 0Jr × Yr − PJr × Yr = JY ( 0 − P)
Si noti, inoltre, che, essendo:
Y = ω W UW = τω PUW
con ω velocità angolare dell’argano
W
τ rapporto di trasmissione
ω P velocità angolare del motore
:U = JUW ( 0 − P) P= 0U’
P
0 = JU ( 0 − P)
U
’
W
Esempio: montacarichi
:P
argano di
trasmissione sollevamento di
motore momento d’inerzia J
V,a
m
V,a
IPOTESI
• fune inestensibile
• fune di diametro e massa trascurabile
• assenza di slittamento tra fune e tamburo dell’argano
G(F
:P − :U − : S =
GW
Bilancio di potenze del solo utilizzatore
G(F
:P = :U +
r
GW
r r r r r r r r r
: = − 0J × Y − PJ × Y + - ω& × ω + 0D × Y + PD × Y
P W W
Accelerando in salita
NOTA
:P − JUW ( 0 − P )τω P
ω& P =
- + ( 0 + P ) UW 2 τ 2ω P
ovvero quella della cabina
:P − JUW ( 0 − P )τω P
D = ω& Pτ UW = UW
- + ( 0 + P ) UW 2 τω P
Aumentando, a esempio, l’inerzia del tamburo dell’argano, o con un volano calettato sull’albero di
trasmissione, si riesce a limitare l’accelerazione massima della cabina nelle condizioni di carico
minimo (0 minimo).
In molte macchine l’organo di trasmissione complessivo è formato da più trasmissioni collegate tra
loro (a es. nei veicoli dove oltre al cambio di velocità vi è una seconda riduzione nel differenziale o
sulla ruota motrice come nelle motociclette)
differenziale
cambio motore
differenziale Wu
cambio τ ,η ’ ’
τ,η albero di
trasmissione
Wm
Detta ωm la velocità angolare dell’albero d’ingresso al cambio, avremo che la velocità angolare
dell’albero di trasmissione ωtr sarà:
ω WU = τω P
La velocità angolare dell’albero di uscita dal differenziale varrà invece:
ω X = τ ’ωWU
ovvero
ωX = τ ’τω P = τ WRWωP
con
τ WRW = τ ’τ
ovvero il rapporto di trasmissione totale è sempre il prodotto dei singoli rapporti di trasmissione.
differenziale Wu
cambio τ ,η’ ’
τ,η albero di
trasmissione
Wm
Per quanto riguarda le potenze, la potenza in uscita dal cambio, trascurandone l’inerzia, sarà pari a
:WU = η:P
Detto Jtr il momento d’inerzia della trasmissione, la potenza entrante nel differenziale sarà pari a
r r
:HGLI = η:P − - WUω& WU × ωWU
( )
r r
:X = η ’:HGLI = η ’ η:P − - WUω& WU × ωWU
Solo nell’ipotesi che l’albero di trasmissione sia d’inerzia trascurabile, ovvero in condizioni di
r
regime assoluto ( ω& WU = 0 ) risulterà
ηWRW = ηη
’
Motori endotermici
1
Lezione V
Motori endotermici
Morfologia e nomenclatura
2
Lezione V
Motori endotermici
Fase 1-> 5:
scarico
3
Lezione V
Motori endotermici
η =
4 −4
F (7 − 7 ) − F (7 − 7 ) =
1 2
= Y 3 2 Y 4 1
L
4 F (7 − 7 )
1 Y 3 2
7 (7 − 1) 4
(7 − 7 ) 7 1
=1− =1− 4 1
7 ( 7 − 1)
1
(7 − 7 ) 3
7
3 2
2
2
ma per le trasformazioni adiabatiche di compressione (1-2)
e di espansione (3-4) si ha rispettivamente:
N −1
72 Y1
=
71 Y2
N −1
73 Y4
=
74 Y3
e poiché è Y Y eY Y
possiamo scrivere che:
72 73
=
71 74
e quindi:
74 73
=
71 72
da qui
−1
Y
N
1
η =1− 2 =1−
L
Y1 ρ −1N
Y1
con il rapporto di compressione così definito: ρ=
Y2
4
Lezione V
Motori endotermici
Rendimento
o Aumento dei calori specifici con la temperatura; tanto il calore specifico a pressione
costante cp quanto quello a volume costante aumentano il loro valore e le pressioni e
temperature massime risultano inferiori a quelli raggiungibili nel caso essi fossero costanti.
o Dissociazione nei prodotti della combustione con assorbimento di calore.
o Lavoro di pompaggio (area D)
5
Lezione V
Motori endotermici
6
Lezione V
Motori endotermici
Il lavoro utile è ottenuto in un solo ciclo, quindi il due tempi potrebbe erogare potenza
doppia rispetto a un corrispondente quattro tempi.
7
Lezione V
Motori endotermici
ASPIRAZIONE
La miscela è aspirata attraverso la luce di COMPRESSIONE
aspirazione dal rotore che si muove attorno La miscela è compressa tra le due tenute
all’ingranaggio centrale compiendo un’orbita poste in due spigoli consecutivi del
eccentrica rotore
COMBUSTIONE SCARICO
Le due candele innescano la combustione I gas combusti fuoriescono attraverso la camera
della miscela che espande, spingendo il di espansione
rotore in avanti
Per ogni rotazione vengono eseguiti tre cicli termodinamici completi, per cui un rotore Wankel
equivale a un motore a tre cilindri a due tempi o a un sei cilindri a quattro tempi
8
Lezione V
Motori endotermici
CURVA CARATTERISTICA
: (ω ) = &P (ω )ω
per cui la coppia motrice Cm(ω) rappresenta il coefficiente angolare di un fascio di rette spiccate
dall’origine ai vari punti della curva caratteristica di potenza.
G&P (ω )
Per cui la coppia massima è quella per cui = 0 , espressione che esprime la condizione di
Gω
tangenza tra una retta appartenente al fascio e la curva caratteristica di potenza.
9
Lezione V
Motori endotermici
La misura è del tipo indiretto in quanto misuriamo la coppia frenante per mantenere in regime
assoluto il motore alla velocità ω.
Il più antico sistema di freno usato per la misura della caratteristica è il freno di Prony.
Consiste di una ruota di raggio r solidale all’albero motore e racchiusa tra le ganasce regolabili di
un freno. Un braccio di lunghezza R, attaccato rigidamente al freno, è libero di muoversi entro un
angolo limitato e all’estremità porta un peso F. Quando l’albero motore ruota, l’attrito tra la ruota e
le ganasce del freno genera un momento che tende a far ruotare il braccio e che viene equilibrato dal
peso applicato all’estremità.
A ogni giro dell’albero motore, il lavoro compiuto dalla forza tangenziale d’attrito I è pari a
/DWWULWR = 2π UI
Il lavoro dissipato dal freno a ogni giro vale
/GLVVLSDWR = 2π 5)
pertanto la potenza effettiva alla velocità di regime assoluto ω è
:P = 5)ω
Il freno Prony non viene più usato a causa della difficoltà di smaltire il calore nelle ganasce che
modifica il loro coefficiente di attrito.
10
Lezione V
Motori endotermici
:P = N)ω
con :P calcolato in Cv
) misurato in kg
ω misurato in giri/min
5
La costante N, detta costante del freno, vale N= con 5 pari a 0,716m o a 1,432m in modo che
716
N sia pari a 1/1000 o 1/500.
11
Lezione V
Motori endotermici
Freni idraulici
Durante il funzionamento, viene immessa acqua nel rotore solidale con l’albero a gomiti del motore.
La reazione che l’acqua oppone alla rotazione del rotore reagisce sullo statore producendo una
coppia eguale alla copia motrice; questa viene misurata per mezzo di una bilancia applicata
all’estremità del braccio portato dallo statore.
Variando la portata d’acqua, con una valvola a saracinesca, cambio la coppia frenante.
12
Lezione V
Motori endotermici
Freni elettrici
Di due tipi:
Freni aerodinamici
Usati più per il rodaggio che per misura in quanto la resistenza aerodinamica varia con le
caratteristiche fisiche dell’aria e non è possibile la variazione del carico a regime costante, a meno
di non usare pale a passo variabile.
13
Lezione VI
Cinematica e dinamica del manovellismo
x Definizioni
C
O = lunghezza della biella
β U = raggio di manovella
α
r
[ = U (1 − cosα ) + O (1 − cos β )
ma
U sen α = O sen β
si ha
U
sen β = sen α = λ sen α
O
π
Per α = ⇒ sen β = λ per cui λ è l’indice dell’inclinazione massima della biella.
2
[ = U (1 − cosα ) + O (1 − cos β )
U
sen β = sen α = λ sen α
O
x
C Ricordando
cos β = ± 1 − sen 2 β
cos β = ± 1 − λ 2 sen 2 α
l
L’ambiguità di segno è un problema di montaggio. Infatti per il
medesimo valore α sono possibili due soluzioni per la biella.
[
(
= U (1 − cosα ) + O 1 − 1 − λ 2 sen 2 α (1) )
r
Se la biella avesse lunghezza infinita (λ=0)essa si manterrebbe
sempre parallela a se stessa e
[ = U (1 − cosα )
80
Spostamento dello stantuffo
60
α1 =T1ω71 α 2 = ω72
7 7
40
20
0
0 30 60 90 120 150 180
Angoli di manovella
Dal diagramma, ottenuto usando la formulazione non approssimata (1), si osserva che
π
per α = il pistone ha compiuto uno spostamento maggiore della corsa, quindi, se la
2
velocità angolare della manovella ω è costante (per cui α = ω W ), impiega un tempo 7
La velocità del pistone non è uniforme, anche se la velocità angolare della manovella
è costante.
Derivando rispetto al tempo la legge di moto
[
(
= U (1 − cosα ) + O 1 − 1 − λ 2 sen 2 α = )
1 − λ sen α )
λ(
1
=U (1 − cos α ) + 1− 2 2
si ha
G[ G α 1 λ 2 2sen α cos D
Y = = ω U sen α +
α
G GW
λ 2 1 − λ 2 sen 2 α
α
G
in cui ω = è la velocità angolare del motore
GW
(1 − λ 2 sen 2 α ) 1
1
2
= 1 − λ 2 sen 2 α + ⋅ ⋅ ⋅ ≅ 1
2
per cui
λ
Y ≅ ω U ( sen α + λ sen α cos D ) = ω U sen α + sen 2α
2
Y ≅ ω U sen α
La velocità media dello stantuffo, poiché a ogni giro della manovella il pistone
percorre uno spazio pari a due volte la corsa, sarà pari a
2& &
X = = ω
7 π
essendo il periodo 7 pari all’inverso della velocità angolare della manovella supposta
costante.
Poiché
λ
Y ≅ ω U sen α + sen 2α
2
D ≅ ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
D ≅ ω 2 U cosα
= − P D
r
)
r
D
r
accelerazione del pistone prima calcolata.
La biella, di massa M, è invece dotata di moto rototraslatorio.
Da un punto di vista di equipollenza globale, non valida quindi per il calcolo delle
sollecitazioni alle quali è sottoposta la biella stessa, si può pensare di ricondurre
l’effetto delle forze d’inerzia agenti, distribuite in realtà su tutto il fusto della biella
(essendo la massa distribuita e le accelerazioni diverse da punto a punto del fusto
della biella), a quello di due masse solidali una col piede di biella (in moto solidale
con il pistone) e l’altra colla testa di biella (in moto solidale con la manovella).
M m2
m1
l1 l2
0 = P1 + P2
PO
11 = P2O2
dove O e O sono, rispettivamente, le distanze dei centri del piede e della testa di biella
Risulta quindi:
O
P
1 =0 2
O
O
P
2 =0 1
O
Ma l’accelerazione del baricentro della biella vale anche (v. nota finale):
D = D
r O1 r O2
+D
r
O O
B
Quindi la forza d’inerzia agente su di essa applicata nel
baricentro della biella
− P1D
r
%
)
r
= − r 0D = − 0D
r O
1
− 0D
r O
2
= − P2 D − P1D
r r
O O
ove
− P2D D
r r
accelerazione della testa di biella
G $
r
D accelerazione del piede di biella
Con
r l’operazione prima descritta, sostituiamo la forza d’inerzia
) con le due sue componenti prima calcolate, applicate tuttavia,
A
rispettivamente, nella testa e nel piede di biella.
O
Si noti, inoltre, che l’effetto della coppia d’inerzia agente sulla
biella viene trascurato. In fatti le due componenti applicate in A e
B danno momento nullo rispetto a O.
Contrappesando la manovella in modo che il baricentro del sistema composto dalla
manovella stessa più la massa P della biella si trovi in O, otterremo che il risultante
U =
0
U + P2 U
0
faremo in modo di riportare in O il baricentro del sistema composto dalla manovella
propriamente detta, dal contrappeso e dalla massa equivalente P della biella,
1RWDILQDOH
D = D + D
r r r
e
D = D + D
r r r
Da quest’ultima espressione
−D = D − D ⇒ D = D − D
r r r r r r
ma
r O2 r O2 r O2
D
= D =D −D
r
O O O
e quindi
O O O − O2 O O O
D = D
+ D 2
− D
2
= D
+ D 2
= D
1
+ D 2
r r r r r r r r
O O O O O O
Dalla relazione
) = −P
D = − P ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
con ma pari alla massa totale del pistone, prima definita, più la massa m1 che
rappresenta quella parte della biella che, nelle ipotesi fatte, può considerarsi dotata di
moto alterno, notiamo che il termine tra parentesi è formato da due funzioni
armoniche.
15
10
0 I ordine
II ordine
-5 Totale
-10
-15
-20
0 90 180 270 360
GLDJUDPPDGHOOHIRU]HG¶LQHU]LDGLYLVHSHUO¶DUHDGHOFLOLQGUR
L’espressione −P ω 2 U cosα rappresenta la forza d’inerzia del primo ordine ed
equivale a tutta la forza d’inerzia agente nel caso ideale di biella di lunghezza infinita.
L’espressione −P ω 2 Uλ cos 2α costituisce la forza d’inerzia del secondo ordine.
Avendo supposto ω costante
) = − P ω U ( cos ω W + λ cos 2ω W )
2
e si può dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza d’inerzia per una rotazione di
mezzo giro della manovella è nullo.
G(
= −: ⇒ G( = −: GW
GW
− ∫ : GW = − / = ∆(
poiché l’energia cinetica delle masse in moto alterno al PMS è eguale a 0 come al
PMI, ne deriva che la variazione di energia cinetica lungo la corsa è nulla.
Quindi il lavoro delle forze d’inerzia per una rotazione di mezzo giro è nulla.
Può essere interessante calcolare la forza risultante che in ogni istante del ciclo agisce
sugli organi del manovellismo. Questa è ottenuta componendo il diagramma delle
forze dovute alle pressioni del gas, ottenuto dal ciclo indicato, con quello delle forze
alterne d’inerzia.
Sia le forze dovute alla pressione dei gas sia quelle d’inerzia sono state divise per
l’area dello stantuffo e sono quindi dimensionalmente delle pressioni.
Esse sono considerate positive quando hanno direzione coincidente con quella della
velocità dello stantuffo, dando quindi luogo a potenze motrici.
50
40
30
20
10 pressione gas
pressione F. inerzia
0 pressione totale
-10
-20
-30
-40
0 180 360 540 720
50
40
30
20
10 pressione gas
pressione F. inerzia
0 pressione totale
-10
-20
-30
-40
0 180 360 540 720
La coppia motrice
)
0 (α ) = U sen (α + β ) =
cos β
sen β
= )U sen α + cosα
cos β
Ricordando che sen β = λ sen D e FRVβ è circa eguale a 1 si ha
λ
0 (α ) ≅ )U sen α + sen 2α
350
300
250
200
Coppia (Nm)
150
100
50
-50
-100
0 180 360 540 720
angoli di manovella
E’ quindi possibile calcolare anche la coppia motrice media & tale che: P
4π
& 4π = ∫
0
0 (α ) G α
1 4π
0 (α )Gα
4π ∫0
& =
Nel caso di motori a più cilindri, per regolarizzare la coppia motrice e rendere più
uniforme il moto dell’albero a gomiti, si fa in modo che i cicli dei vari cilindri si
succedano a eguali intervalli angolari: ciò si ottiene disponendo le manovelle
dell’albero a gomiti in modo che quelle corrispondenti a due cicli consecutivi siano
sfasate di un angolo
K
θ =π
L
Il volano
Anche se il valore medio della coppia motrice eguaglia il valore medio della coppia
resistente, la velocità di rotazione del motore non si mantiene costante durante il
compimento di un ciclo.
Infatti, scrivendo il bilancio di potenze per il solo motore in condizione di moto a
regime periodico
G(
: − : =
GW
( 0 (α ) − ′ (α ) )ω (α ) =
0 GW G(
∫ ( (α ) − ′ (α ) ) α = ∆
0 0 G (
poiché la coppia motrice varia durante il ciclo termodinamico, quando essa è
maggiore della coppia resistente l’energia cinetica aumenta mentre diminuisce nel
caso opposto.
Indicando con ω ′ (α1 ) la massima velocità angolare raggiunta in un ciclo e con
ω
′′ (α 2 ) quella minima, avremo
α1
∫(
α
0 (α ) − 0 ′ (α ) ) Gα = ∆(
max
2
Con buona approssimazione possiamo definire la velocità angolare media alla quale
vorremmo far funzionare il motore come:
ω ′ (α1 ) + ω ′′ (α 2 )
ω =
2
e l’irregolarità periodica come lo scarto rispetto alla velocità angolare media
ω ′ (α1 ) − ω ′′ (α 2 )
L =
ω
ω ′ (α1 ) + ω ′′ (α 2 )
ω =
2
ω ′ (α1 ) − ω ′′ (α 2 )
L =
ω
quindi
∆( max = - (ω ′2 (α1 ) − ω ′′2 (α 2 ) ) =
1
2
ω ′ (α1 ) − ω ′′ (α 2 ) ω ′ (α1 ) + ω ′′ (α 2 )
= - ω × = -Lω 2
ω 2
da cui
∆( max
- =
Lω
2
) = ) tan β
essendo
sen β = λ sen α
)
= P ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
P
η =
ρ091
con
PDW massa di miscela aspirata
ρ densità della miscela alla pressione e alla temperatura di aspirazione
9 volume totale del singolo cilindro (cilindrata 9 + volume dello spazio nocivo
9 )
π '2
X Xπ '
2
Y
$
& = ⇒ Y =
4 4 $
&
con
' alesaggio
X velocità media del pistone
$Y area di passaggio attraverso le valvole
&H coefficiente di efflusso medio attraverso le valvole
indice di Mach maggiore di 0,6 alle massime velocità angolari raggiunte dal motore
per cui è necessario aumentare al massimo la sezione di passaggio $ Y
Quanto al diametro ottimale della valvola (o delle valvole) che possono operare su
una testa di un cilindro di alesaggio ', questo può essere calcolato geometricamente
con un programma che si basa sulle seguenti ipotesi:
'
Testa a sei valvole con tre di
aspirazione
≡G
Valori di G'
ϑ ϑ ϑ ϑ
$6 0,3743 - - -
0,2433
$6 0,3826 0,3776 0,3726 0,3675
0,2487 0,2454 0,2422 0,2389
$6 0,3844 0,3785 0,3724 0,3663
0,2499 0,2460 0,2420 0,2381
$6 0.3719 0.3595 0.3470 0.3344
0.2417 0.2337 0.2255 0.2174
$6 0.3716 0.3653 0.3589 0.3525
0.2417 0.2374 0.2333 0.2291
) = −P
D = − P ω 2 U ( cosα + λ cos 2α )
)
= − P ω 2 U sen α
2
possibile equilibrare completamente anche le
componenti del II ordine.
1) bicilindrico con manovelle a 360° - può essere visto come l’insieme di due
monocilindrici in fase tra loro. Quindi le forze d’inerzia di ogni ordine sono in
fase tra loro e si sommano;
2) bicilindrico con manovelle a 180° (indipendentemente dalla disposizione dei
cilindri in linea o boxer):
= P ω 2 U ( cosα + cos (α + π ) ) = 0
)
= )1 + )2
) = )1 + )2
= P ω 2 Uλ ( cos 2α + cos 2 (α + π ) ) = 2P ω 2Uλ cos 2α
)
4) il quattro cilindri con manovelle a 180° ha le sole forze d’inerzia del I ordine
equilibrate mentre quelle del II si sommano tutte (due bicilindrici a 180°)
5) il sei cilindri in linea con manovelle a 120° ha le risultanti tanto del I ordine,
quanto del II equilibrate
6) l’otto cilindri con manovelle a 90° ha pure esso le risultanti del primo e del
secondo ordine equilibrati.
Motori a V
α
α
2 2
fase (cilindro 1) ±α ±2α
fase (cilindro 2) ± (α + 2ψ ) ±2 (α + 2ψ )
Per riferire tutti gli angoli all’asse del primo cilindro si deve sottrarre all’angolo
calcolato ψ
Pertanto l’angolo di rotazione del vettore di ordine n del secondo cilindro, ruotante in
verso orario, vale
Q α 2 − 2ψ = Q (α + 2ψ ) − 2ψ
−Qα 2 − 2ψ = −Q (α + 2ψ ) − 2ψ
2 2
fase (cilindro 1) ±α ±2α
fase (cilindro 2 orario) α 2α + 2ψ
fase (cilindro 2 antiorario) −α − 4ψ −2α − 6ψ
fase α 2α + ψ
fase −α − 2ψ −2α − 3ψ ( ±π )
ADERENZA
appoggio.
Dalle esperienze di Coulomb, risulta che
= I 5
5
*
ove 5Q è la componente normale della reazione;
Per cui, affinché non vi sia moto relativo tra le superfici deve valere che
5 ≤
I 5
STRISCIAMENTO
Se
5 >
I 5
il corpo è moto rispetto alla superficie d’appoggio con velocità v e allora vale
=−
r r
Y
5 I ( )
Y 5
Y
fa
=−
r r
Y
5 I ( )
Y 5
Y
=−
r r r
Y Y
G5 I ( ) Y G5 ≅ − IG5
Y Y
r r
Y
( ) ( )
r r
:
( ) = − 5 × Y = I Y 5 ×Y = I Y 5 Y
Y
G(
: − :
− : =
GW
ma
5
$ =
σ max
quindi
τ max
5 = 5 = I5
σ max
Rt
1 = 5 = ∫ G5 = ∫ SG$
con p = pressione di contatto, funzione solo del raggio r per l’ovvia simmetria polare
ma
5
= ∫ G5 = 0 ≠ ∫
IG5
= I
∫ G5Q = I5
Ipotesi di Reye
,O YROXPH GL PDWHULDOH DVSRUWDWR SHU ORJRUDPHQWR q SURSRU]LRQDOH DO ODYRUR
FRQVXPDWRSHUDWWULWR
G/ = ISZG$
δ G$ = NISZG$
ovvero
δ = NISω U
1
NISω U = FRVWDQWH∴ S(U ) ∝
U
Esigenze:
o i motori a combustione interna non possono avviarsi sotto carico e devono
essere mantenuti, durante l’avviamento di un veicolo, a un regime di coppia
superiore a un dato valore minimo; inoltre occorre poter fermare il veicolo
stesso senza fermare il motore;
o esistendo un cambio di velocità, il passaggio da una marcia all’altra va fatto
mentre la trasmissione non trasmette
coppia.
U
$
N ′= 2
2π ( U − U )
Nel moto relativo tra i dischi, a causa dell’attrito definito dal coefficiente I supposto
costante, si genera quindi un momento opposto alla velocità angolare del motore
′
0
= ∫ I 2π
N
U
U GU
2
= I π N′ ( U
2
− U 2 )
che può essere visto come dovuto a una forza tangenziale risultante fittizia fA2 avente
un braccio equivalente Req tale che
N′ 2
U GU = I π N ′ ( U − U ) = I$ 5
0
=
∫ I 2π
2 2
2
U
I π N ′ ( U 2 − U 2 ) ( U − U )( U + U ) U + U
5 = = =
I$
2 2 ( U − U ) 2
0
(ω )ω − 0 ′ω = - ω& ω
dove 0 ′ = 2 0
essendo, nel nostro caso, due le facce
che trasmettono il moto al disco della frizione.
Poiché tale momento è maggiore della coppia massima
erogata dal motore, quest’ultimo decelera
ω& = 0 (ω ) − ′ 0
ω ( ) = ω0 −
W
0 ′ − (ω )
0
W
-
dalla quale si nota che se la velocità angolare iniziale del motore è troppo piccola, e
conseguentemente la coppia erogata, la grande decelerazione può portare il motore a
spegnersi.
ω& ′ =
0 ′ − (ω ′ )
0
- ′
e la conseguente legge del moto del veicolo, supposto inizialmente fermo, sarà
ω′ ( )=
W
0 ′ − (ω
′ )
0
W
- ′
Dopo un tempo t’, detto tempo d’innesto, le due velocità angolari saranno eguali e la
frizione si comporterà come un collegamento rigido e la legge del moto varrà
ovviamente
ω′ ( ) = ω ( ) = ω ( ′) +
W W W
0 (ω )− 0 (ω ) W
- ′+ -
Tale legge vale se non vi è slittamento tra disco e campana della frizione ovvero se
sono verificate entrambe le equazioni:
0 ′ max = 2 I $ 5
2 > 0 (ω )+ - ω& (ω )
0 ′ max = 2 I $ 5
2 > 0 (ω )+ - ′ω& (ω )
dove 0 ′ max rappresenta il momento massimo della frizione in condizioni di
incipiente slittamento.
Si noti che:
o durante il transitorio d’innesto gli organi della trasmissione sono sollecitati da
un momento torcente maggiore della coppia massima erogata dal motore e ciò
spiega le possibili rotture in fase di partenza;
o d’altronde l’aumento del momento trasmesso durante la fase di slittamento
riduce il tempo d’innesto a vantaggio delle prestazioni;
o la riduzione di -, facendo il momento d’inerzia della campana e del disco i più
piccoli possibili, migliora le accelerazioni;
o aumentando il momento trasmesso dalla frizione in fase d’innesto porta a un
incremento della potenza dissipata con corrispondente incremento della
temperatura del materiale d’attrito con conseguente riduzione del coefficiente
d’attrito dinamico della guarnizione d’attrito.
Attrito di rotolamento
1
/ = 5 X
U
1
/ = 5 X
U
U
5 =
I 5
fv
Normalmente si esprime la
fv funzione I Y con l’espressione
Y
I = I
0 + .Y 2
Pneumatico radiale
Valori tipici di f0
Cemento ottimo 0,008 - 0,010
Asfalto ottimo 0,010 - 0,0125
Cemento medio 0,010 - 0,015
Lastricato ottimo 0,015
Mac Adam ottimo 0,013 - 0,016
Asfalto medio 0,018
Cemento cattivo 0,020
Lastricato buono 0,020
Mac Adam medio 0,018 - 0,023
Asfalto cattivo 0,023
Mac Adam con polvere 0,023 - 0,028
Selciato buono 0,033 - 0,055
Fondo naturale ottimo 0,045
Selciato cattivo 0,085
Strato neve {5 cm) 0,025
Strato neve (10 cm) 0,037
Fondo naturale abbandonato 0,080 - 0,160
Sabbia 0,150 - 0,300
Microslittamenti
Lontano dalla zona di
contatto si può ritenere
che la velocità di P
(relativa al sistema
mobile ξη) sia
Y = ωU
All’avvicinarsi però
del bordo in A
dell’area di contatto tale velocità viene progressivamente a modificarsi a causa della
deformazione periferica della ruota
Detta O la lunghezza di una porzione di battistrada a riposo (lontano da A) questa si
GO
Y
= ωU +
GW
GO
con > 0 per battistrada teso (ruota frenata (b))
GW
GO
con < 0 per battistrada compresso (ruota motrice (a))
GW
La velocità di P nella zona di aderenza corrisponde a quella del centro ruota C, per
cui si hanno le condizioni
GO
Y − ωU = >0
GW
Y − ωU
σ=
Y
:
= 0 ω − )Y = 0 ω − ) (ω U + σ
Y
F=T M=Fr
= − )σ Y
:
con σ. Questa potenza dissipata si aggiunge a quella già calcolata, dovuta al
fenomeno di isteresi, anche su assume valori molto più piccoli rispetto alla prima
(circa il 10%)
Le più semplici macchine di prova sono quelle che utilizzano la cosiddetta “ruota-
strada”, ovvero una superficie
cilindrica sulla quale la ruota viene
fatta rotolare.
Le condizioni reali di funzionamento
del pneumatico sono intermedie tra i
risultati ottenuti con i due tipi di
macchina e i risultati sono tanto più
attendibili quanto più è alto il
rapporto tra i raggi della ruota strada
e del pneumatico.
Per la misura del coefficiente di
attrito volvente si può portare il complesso ruota-ruota strada a una velocità
prestabilita per poi lasciare che il sistema proceda per inerzia disinnestando i motori.
Applicando il bilancio di potenze al sistema si ottiene, nota la curva caratteristica del
momento resistente 0 ω applicato alla ruota strada, avremo
V V
ω =
U U
0 ω
otteniamo
) ω−
2
U U
− 0 (ω =U ω = - ωω
& 0 + - ωω
0
I &
0
U
U
da cui
0 (ω ) U
U 2
= - 0 + - ω&
−
−
0
I =U
U
0
U
ovvero
− 0 (ω ) −( U U - U
2
+ -U 2 )ω&
=
0 0
I
2
=U U
0
− ∑ =1 I 0 ω = 0
4
7Y 5
U
che nelle ipotesi di egual coefficiente di attrito per le quattro ruote e eguale raggio di
rotolamento sotto carico e ricordando che nelle ipotesi di rotolamento Y ωU porta a
∑
4
7Y − I Y
=1 5
=0
ma, nelle ipotesi di marcia in piano, detta 0 la massa del veicolo l’equilibrio alla
traslazione verticale porta a
= ∑ =1 5
4
0J
e quindi
7
I
=
0J
Azioni aerodinamiche
1 2
F= ρ v SC f
2
1 2
M= ρ v SlC m
2
si suppone cioè che essi siano proporzionali alla pressione dinamica della corrente
1
indisturbata ρ v 2 , a una superficie di riferimento S (nell’espressione del momento
2
compare anche una lunghezza l) e a un coefficiente adimensionale da determinare
sperimentalmente.
ρ vL
Re =
µ
L’indice di Mach, già definito, non ha alcun interesse nel campo dei veicoli se si
escludono alcune vetture da record di velocità assoluto.
1 2
F= ρ v SC f
2
1 2
M= ρ v SlC m
2
La superficie S e la lunghezza l di riferimento possono essere qualsiasi: esse
esprimono solamente la dipendenza delle forze e dei momenti rispettivamente dal
quadrato e dal cubo delle dimensioni lineari del corpo.
E’ però evidente che il valore dei coefficienti aerodinamici dipende dalla scelta della
superficie e della lunghezza di riferimento.
Nella tecnica automobilistica la forza aerodinamica viene scomposta secondo gli assi
del corpo e le due componenti Fx e Fz, dirette, rispettivamente, longitudinalmente e
verticalmente alla vettura prendono impropriamente il nome di resistenza e portanza.
1 2
Fx = ρ v SCx
2
1
Fz = ρ v 2 SCz
2
e sono analoghe alla forza di drag e lift.
Il sistema di riferimento
aerodinamico definito dalla
SAE (Society of Automotive
Engineering) americana per le
prove in galleria del vento.
WB = passo
PM=momento di beccheggio
RM=momento di rollio
YM=momento d’imbardata
D=resistenza
L=portanza
S=spinta laterale
V∞=corrente indisturbata
Angolo d’imbardata
Effetto suolo
Per ipotesi si assuma che A sia un punto di ristagno, per cui la velocità V1 dell’aria
nella sezione 1 sia pari a V∞ e la sua pressione p1 sia quindi pari a p∞. Il fluido sia
considerato incomprimibile e trascuriamo qualsiasi effetto di bordo (strato limite). Si
supponga infine che le minigonne sigillino perfettamente il sottoscocca.
A1
ρ AV
1 1 = ρ A2V2 ⇒ V2 = V1
A2
l’equazione di Bernoulli dice
1 1
p∞ + ρV∞2 = p2 + ρV22
2 2
e quindi
1 1
∆p = p2 − p∞ = ρV∞2 − ρV22
2 2
2
∆p V2 A
= 1 − 22 = 1 − 1
1 V∞ A2
ρV∞2
2
Da non dimenticare che prove sulla medesima vettura di formula (con ruote esposte
alla corrente) in galleria hanno dato i seguenti risultati
Libera stazionaria
p − p∞
Libera rotante Cp =
1 2
ρv
2 ∞
La conclusione
interessante è che esiste
una pressione negativa in
tutti i casi in cui la ruota
non tocca il terreno ed
essa aumenta (ricordando
Bernoulli) man mano che
la ruota si avvicina al
terreno.
Quando la ruota è posata
sul terreno, nasce una
pressione positiva che
genera portanza sulla
ruota indipendentemente
dal fatto che giri o sia
stazionaria. In scia si
genera una depressione
maggiore se la ruota gira.
Dal punto di vista meccanico hanno importanza le vibrazione indotte per distacco di
vortici.
Se il corpo immerso nella corrente non è a profilo alare, lo strato limite si separa e il
forte gradiente di velocità che si ha nello strato limite si diffonde a valle con
formazioni di vortici.
fD
S=
v∞
Il coefficiente di Strouhal assume valori diversi per forme diverse del corpo investito
Gli strisciamenti tra corpi asciutti si verificano nelle macchine solo in casi
eccezionali, quando sia utile avere un forte attrito, come a esempio nei freni e negli
innesti a frizione; negli altri casi le superfici a contatto sono sempre bagnate da un
liquido detto lubrificante, ovvero lubrificate.
Possono essere usati come lubrificanti gli olii e i grassi, che hanno la proprietà di
formare veli superficiali (epilamini) aderenti alle superfici striscianti. I lubrificanti
possono essere anche solidi (grafite) per condizioni di temperatura molto basse
Legge di Petroff
Tutti i fluidi reali sono viscosi e oppongono una resistenza allo scorrimento delle
particelle che li compongono. Se noi facciamo scorrere degli strati di fluido gli uni
sugli altri, fra gli stati stessi si esercita un’azione che si oppone al moto relativo. Tale
azione è proporzionale secondo un coefficiente caratteristico del fluido, detto
coefficiente di viscosità, alla velocità con la quale avviene lo scorrimento.
Supponiamo che:
o il moto del fluido sia laminare
permanente per strati paralleli all’asse z;
o le forze di volume (peso e inerzia)
siano trascurabili rispetto a quelle dovute
alla viscosità;
o il fluido sia incomprimibile e abbia
µ costante;
o il moto avvenga in una sola direzione (lungo x)
Il problema del moto del fluido interposto tra le due superfici è dunque piano e quindi
non vi sia fuoriuscita laterale in direzione y (perpedicolare al piano x-z).
pdz − ( p + dp ) dz − τ dx + (τ + dτ ) dx = 0
ovvero
dpdz = dτ dx
Separando le variabili si ha
dp dτ
=
dx dz
1
Secondo z avremo
p( x )dx − p( x)dx = 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 2
A.A. 2000/2001
Lezione XIII
Teoria elementare della lubrificazione
dp d 2u
=µ 2
dx dz
d 2u
µ 2 = 0 ∴ µu = Az + B
dz
d 2 u dp dp z 2
µ = ∴ µ u = + Cz + D
dz 2 dx dx 2
L’integrale generale è
dp z 2
µu = + C′z + D′
dx 2
Le condizioni al contorno sono
u ( 0 ) = 0 ∴ D′ = 0
d p h2 µv d p h
u ( h ) = v∴ µ v = + C′h ∴ C′ = −
dx 2 h dx 2
che porta a
dp z 2 1 µ v dp h dp z v
u( z) = + − z= ( z − h) + z
dx 2 µ h dx 2 dx 2 µ h
h
Q = ∫ udz = k
0
p′
h h
∫0 ( z − hz ) dz + h ∫0 zdz = k
v
Q= 2
2µ
p′
h h
∫0 ( z − hz ) dz + h ∫0 zdz = k
v
Q= 2
2µ
h h
p′ z 3 hz 2 v z2 p ′h3 vh
Q= − + =− +
2 µ 3 2 0 h 2 0 12µ 2
Se anche h(x) fosse costante tutti i termini a destra dell’eguale sarebbero costanti e
quindi p’=costante.
Ma detta l la lunghezza del meato al di fuori del quale la pressione relativa è pari a
quella atmosferica (=0) avremmo
dp
= C ∴ dp = Cdx ∴ p( x ) = Cx + D
dx
p (0) = 0 ∴ D = 0
con le condizioni al contorno
p (l ) = 0 ∴ C = 0
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 4
A.A. 2000/2001
Lezione XIII
Teoria elementare della lubrificazione
Si nota immediatamente che se v=0, ovvero non vi è moto relativo tra le superfici, la
portata è nulla e quindi non può istaurarsi la
lubrificazione idrodinamica (problema degli
organi di macchine dotati di moto con
arresto)
p′
h
2µ 0∫ ( z 2 − h ( x) z ) dz
vh ( x0 )
Q=
2
in quella del gradiente di p
12 µ vh ( x )
p′( x ) = − Q
h3( x) 2
otteniamo
6µ v
p′ ( x ) =
h3 ( x )
( h ( x ) − h ( x0 ) )
6µ v
p (l ) − p (0) = ∫ p ′( x ) dx = ∫ ( h ( x ) − h ( x0 ) )dx = 0
l l
0 0 h3 ( x )
ma
h1 − h2
h ( x ) = h1 − x
l
da cui differenziando
h2 − h1 l
dh = dx ∴ dx = dh
l h2 − h1
h2 ( h − h ( x0 ) ) l
6µ v∫ h − h dh = 0
−
h1 h3 1 2
che semplificata nelle costanti
h − h ( x0 ) h2 dh h2 dh 2h h
∫ dh = 0 ∴ ∫ 2 = h ( x0 ) ∫ 3 ∴ h ( x0 ) = 1 2
h2
h1 h 3 h1 h h1 h h1 + h2
h − h ( x0 ) h2 dh h2 dh 2h h
∫ ∫ ( ) ∫ ∴ h ( x0 ) = 1 2
h2
dh = 0 ∴ = h x
h1 + h2
3 2 0 3
h1 h h1 h h1 h
2h1h2 h −h
h ( x0 ) = = h1 − 1 2 x0
h1 + h2 l
permette di calcolare l’ascissa x0
l l x
N = ∫ p ( x ) dA = ∫ p ( x )dx = ∫ dx ∫ p ′( x ) dx
A 0 0 0
quindi la pressione genera una spinta N per unità di larghezza del cuscinetto capace di
tenere separate le due superfici.
Inoltre, sulla superficie superiore in moto si genera una reazione d’attrito pari a
l
T = ∫τ z =h ( x )
dx
0
Possiamo quindi calcolare il coefficiente di attrito mediato come
T
fm =
≅ 0,01
N
Detta b la larghezza del meato, l’azione tangenziale genera una potenza resistente
r r
Wr = − bT × v = bTv = f mbNv
f m Nv
Wr = f mbNv = α bl (θ − θe ) ∴θ = θ e +
αl
ove α è il coefficiente di scambio termico, θ è la temperatura del fluido a regime e θe
è la temperatura esterna
Noto, quindi, il carico P=bN che il cuscinetto deve sopportare e la sua geometria (b,l)
si può quindi valutare la temperatura di funzionamento e quindi scegliere l’olio della
gradazione più opportuna, tenendo conto che all’aumento della temperatura la
viscosità (e quindi la capacità di sostentamento) decresce.
Si noti che se entrambe le superfici sono in moto, l’integrale generale
dp z 2
µu = + C′z + D′
dz 2
u ( 0 ) = v1
deve essere risolto per le condizioni al contorno
u ( h ) = v2
dove v1 e v2 sono le velocità delle due superfici. Se esse sono eguali e opposte è facile
verificare che la portata Q è pari a 0, ovvero non può instaurarsi la lubrificazione
idrodinamica naturale.
Si noti, infine, che il carico effettivo applicabile nella realtà è inferiore a quello
ricavato da questa trattazione elementare, infatti il fluido non ha sempre direzione
parallela a x, ma si ha fuoriuscita laterale e, quand’anche questa non vi fosse, il moto
non è unidirezionale ma piano.
b +l Nb
c= ∴ P′ =
b c
Per quanto detto nelle precedenti lezioni, la potenza necessaria al moto su strada
piana in condizioni di regime assoluto e in assenza di vento è data da
= Y 0J ( I 0 + .Y 2 ) + ρ Y 2 6&
1
:
2
trascurando la portanza aerodinamica.
0,8
Resistenza al rotolamento
!" 0,6
Resistenza aerodinamica
Aerodinamica/rotolamento
0,4
0,2
0
0 50 100 150 200
Come si nota dal grafico oltre gli 80 km/h le forze preponderanti diventano quelle
aerodinamiche, mentre piccola è la variazione della resistenza al rotolamento con la
velocità, per valori di quest’ultima inferiori alla velocità critica del pneumatico.
Nel caso di marcia non in piano alla resistenza aerodinamica e a quella al rotolamento
deve essere aggiunta quella necessaria al superamento della pendenza α, ovvero
= Y 0J cosα ( I 0 + .Y 2 ) + ρ Y 2 6& + 0J sin α
1
:
2
sempre trascurando l’effetto della
portanza = . DHU
;
1 = I =
1 ∴:
max = I = Y
1
per una a trazione posteriore
= I = 2 ∴:
;
2
max = I = Y
2
e per una vettura a quattro ruote motrici
;
1 + ;2 = I
( =
1 + = 2 ) ∴:
max = I
( =
1 + =2 ) Y
1 2
ρ Y 6&
( 1 + ∆[1 ) +
0J [
2
\
= =
( [1 − [2 )
2
0J
1
(− [2 − ∆[2 ) − ρ Y 2 6&
2
\
= =
( [1 − [2 )
1
che, essendo in generale [ ≅[ , evidenzia come una vettura a trazione posteriore di
( 1 + ∆[1 ) +
0J [
1 2
2
ρ Y 6&
\ +0
GY
GW
\
= =
( [1 − [2 )
2
0J
1
(− [2 − ∆[2 ) − ρ Y 2 6&
2
\ −0
GY
GW
\
= =
( [1 − [2 )
1
0J
1
(− [2 − ∆[2 ) − ρ Y 2 6& \ − 0
2
GY
GW
\
−
ω& -
= =
( [1 − [2 )
1
Si noti che se una vettura slitta con velocità del baricentro Y , per l’impronta di ogni
*
I 1
I 1
Y¶
Y
ωU
I 1
Organi di trasmissione
Organi flessibili
puleggia conduttrice quella a cui è applicata una coppia motrice &P, ha una tensione
Il ramo di cinghia che si avvolge sulla puleggia, detto conduttore, essendo detta
&Pω = (71 − 70 ) ω U = 4Y
Gϕ Gϕ Y2
−7 (ϕ ) sen − (7 (ϕ ) + G7 ) sen + P UGϕ + S (ϕ ) UGϕ = 0
2 2 U
Gϕ Gϕ
sen ≅
2 2
e, trascurando l’infinitesimo di ordine superiore
Gϕ Gϕ
G7 sen ≅ G7
2 2
avremo quindi che
7 (ϕ ) = S (ϕ ) U + PY 2
7 (ϕ ) = S (ϕ ) U + PY 2
G7 = S (ϕ ) I D UGϕ
S (ϕ ) U = 7 (ϕ ) − PY 2
per cui
G7
= I D Gϕ
7
G7 7
= I D ∫ Gϕ ∴ 1 = H IDθ
71 θ
∫70 7 0 70
71 = 70 H θ
ID
4 = 71 − 70 = 70 H θ
ID
− 70 = 70 H ( ID θ
)
−1
4 = 71 − 70 = 70 H ( IG θ
−1 )
con IG coefficiente di attrito cinetico.
4 = 71 − 70 = 70 H( IG θ
)
−1
D
70 = )
E
per cui
D
4=) H( )
E
θ
IG
−1
D
: = −4 × Y = ) H −1 ω U
r r
U
E
( IG θ
)
Si noti che se l’albero girasse in verso opposto, si avrebbe che 70 > 71 e quindi
71 = 70 H − IG θ
per cui
D
: = −4 × Y = ) H − −1 ω U
r r
U
E
( IG θ
)
con un potere frenante notevolmente inferiore.
Per ovviare alla dissimmetria di comportamento del freno a nastro semplice, si può
utilizzare il freno a nastro addizionale nel quale
O
70 = )
D (H I θ
+ 1)
e quindi
O (H θ
− 1)
: = )Uω
I
D (H θ
+ 1)
U I
Ritornando alle cinghie, nelle trasmissioni si dovrà fare in modo di avere sempre un
margine di sicurezza rispetto alla condizione di incipiente slittamento; ciò può
ottenersi calcolando la coppia massima trasmissibile in condizioni di incipiente
slittamento introducendo nelle formule scritte un angolo θ minore di quello
effettivamente abbracciato sulla puleggia.
ω 2 U1
Y = ω1U1 = ω 2 U2 ⇒ τ =
ω1 U2
=
ma gli archi abbracciati sono diversi e quindi dovremo calcolare il valore di Q sulla
puleggia che ha angolo d’avvolgimento minore a parità di coefficiente di aderenza.
Se non vi sono speciali accorgimenti, quali galoppini tendicinghia, l’angolo di
avvolgimento minore è quello abbracciato sulla puleggia di diametro inferiore. Da
qui l’uso, nonostante alcuni inconvenienti, di cinghie incrociate.
E’ comunque evidente che dovremo fare in modo che il prodotto IDθ sia il massimo
possibile.
Cinghie trapezoidali
7 + G7
2G1 sin β
G1
2G) W G1 sin β
Gϕ Gϕ
2G1 sin β = 7 sin + (7 + G7 ) sin ≅ 7Gϕ
2 2
e
ID
G7 ≅ 2G)W = 2 I D G1 = 7Gϕ
sin β
ID
per cui è come se si fosse in presenza di un coefficiente di aderenza pari a > ID
sin β
Freni
Generalità
I freni sono dispositivi atti a creare resistenza al moto allo scopo di impedirne l’inizio
o per regolarne la velocità o l’accelerazione.
• freni a ceppi
o a tamburo (in figura un freno a ceppi
liberamente girevoli, tipico nelle costruzioni
ferroviarie);
−φ1
Lezione XVI
Freni meccanici
Freni a ceppi
Nelle due figure sono rappresentati, rispettivamente, dei freni a ceppi esterni (usati
soprattutto negli impianti di sollevamento) e altri a ceppi interni (di comune impiego
nei veicoli).
relativo braccio equivalente K rispetto al centro del tamburo sono calcolabili dalle
relazioni
0U = ∫φ S (φ ) IOU Gφ
φ1
2
1= ∫ S (φ )OU cos (φ − φ ′) Gφ
φ1 1
−φ1
7= ∫φ S (φ ) IOU cos (φ − φ ′) Gφ = I1
φ1
− 1
S (φ ) IOU 2 Gφ U ∫ S (φ )Gφ
φ1 φ1
0U
∫
K=
−φ1 −φ1
7
= =
∫ S (φ ) IOU cos (φ − φ ′) Gφ ∫φ S (φ ) cos (φ − φ ′) Gφ
φ1 φ1
−φ1 − 1
L’angolo φ¶ è quello che la retta di azione della 1 forma con la bisettrice con l’arco di
contatto e si determina imponendo che la risultante in direzione ortogonale alla retta
d’azione sia nulla. Ovvero:
∫ S (φ ) sin (φ − φ ′) Gφ = 0
φ1
−φ1
Come già visto in precedenza, il problema può essere risolto solo conoscendo la
distribuzione delle pressioni Sφ.
A questo scopo si nota che, supponendo il ceppo infinitamente rigido, una sua
rotazione piccolissima δϕ attorno alla cerniera, che porta i vari punti della
guarnizione di attrito a venire a contatto con il tamburo, può sempre essere vista
come una rotazione rigida infinitesima δϕ del ceppo stesso attorno a un altro polo, a
esempio il centro del tamburo, più una traslazione δ Uδϕ.
δ (φ ) = δ 0 cos φ
S (φ ) = S0 cos φ
espressione che sostituita negli integrali prima visti porta a
S0 cos φ sin (φ − φ ′ ) Gφ = cos φ ′ ∫−φ cos φ sin φ Gφ − sin φ −∫φ cos φ Gφ = − 2 sin φ ′ sin 2φ1 = 0 ∴φ ′ = 0
φ1 φ1 1 φ
1
∫ ′ 2
−φ1 1 1
−φ1
2 ( )
0 U = IS0OU 2 Gφ = 2 IS0OU 2 sin φ1
φ1
−
∫φ cos
e a un braccio K della 7
1
0U
K= = 2U >U
sin φ1
I1 φ1 + 1 2 sin 2φ1
Scrivendo l’equilibrio alla rotazione rispetto al perno per il ceppo sinistro otteniamo
D
11 = . = S01OU φ1 + 1 sin 2φ1
( )
E − IF 2
DF
; = 11 − 1 2 = 2 I.
1
E2
≠0
F
1− I
2
E
DF
< = I ( 11 − 1 2 ) = 2 I 2 . 2
1
E
≠0
F
1− I
2
E
Freni a disco
Svantaggi
• minor potere frenante (meno della metà) a parità di forza . applicata, coefficiente
di attrito e dimensioni
5
DE
0 U = 2 I.51 < 2 I.K ≅ 4 I.K
1
E −I F
2 2 2
(1 − I 2 )
anche supponendo
D
51 ≅ E ≅ F ≅ <K
2
I cuscinetti puramente
portanti, detti anche radiali,
sono costituiti da due anelli
coassiali sui quali sono
ricavate le corsie toriche, o
piste, su cui rotolano le
rispettivamente i diametri
della corsia interna ed
esterna, d il diametro dei
'
rulli o delle sfere, il
diametro su cui
giacciono i loro centri è
dato da
π ' > ]G
per cui i rulli o le sfere distano notevolmente l’uno dall’altro e sono mantenuti alla
voluta mutua distanza da una gabbia distanziatrice.
'1
Y% = ω VI G = ω
2
per cui le sfere sono animate da una velocità
'1
angolare
2G
ω =ω
VI
• nel caso di corona esterna rotante alla medesima velocità angolare ω, avremo che
'2
Y $ = ω VI G = ω
2
per cui le sfere sono animate da una velocità angolare
'2 '
2G 2G
ω VI = ω >ω 1
2Y2 2 ω VI G
( )
2
D2 =
2
'1 + G '1 + G
= 2
che è maggiore nel caso in cui sia rotante la corona esterna con conseguenti carichi
dinamici maggiori che le sfere o rulli devono sopportare.
Il metodo più semplice per calcolare la durata è quello di utilizzare la formula ISO
della durata base
&
S
/10 =
3
106 &
S
/10 K
60Q 3
=
mentre per i veicoli su strada o su rotaia, specie per i cuscinetti delle sale, risulta più
conveniente correlare la durata base ai chilometri percorsi
π' &
S
/10 V
1000 3
=
/V = durata di base in milioni di chilometri
' = diametro ruota [m]
con
Per la scelta di un cuscinetto è pratica generale basare i calcoli sulla durata /, per
Quali valori orientativi /K può variare da qualche migliaio di ore per apparecchi
cui è essenziale conoscere la durata base per l’applicazione.
d’uso domestico e macchine agricole a circa 100.000 ore per applicazioni in grosse
macchine elettriche, linee d’assi di navi ecc.
/V varia invece da 300.000 km per le autovetture a oltre 3.000.000 km per carrozze
per treni viaggiatori, automotrici e locomotive elettriche.
Il coefficiente di carico dinamico &, fornito dagli abachi della Case costruttrici, vale
della capacità di carico dinamico, riduzione di cui si tiene conto moltiplicando & per
per normali temperature di funzionamento. A temperature elevate si ha una riduzione
un coefficiente minore di 1, che vale 1 per temperature uguali o inferiori a 150° e 0,6
per temperature di funzionamento di 300°.
INGRANAGGI
Poiché
essendo, per definizione P0 centro d’istantanea rotazione del moto relativo, risulta
930 = 9W30
ovvero
ω1 ( 30 − 21 ) = ω 2 ( 30 − 22 )
e quindi
ω 2 30 − 21
ω1 30 − 22
τ= =
ω 2 U1
ω1U1 = ω2U2 ⇒ τ =
ω1 U2
=
7 ≤ ID 1
e inoltre un rendimento
1
2 1I Y U2
η=
02
1+
Infatti in condizioni ideali (attrito volvente nullo) il momento motore in condizioni di regime
assoluto
:P − :U = 0 ⇒ 0 1ω1 − 0 2ω 2 = 0 ⇒ :X = 0 2ω 2 = 0 2τω1
0 2 = 7U2 − 1I Y U2
U1 U
ovvero
02 = 7U1 − 1I Y U1 ⇒ 7U1 = 0 2 1 + 1I Y U1
U2 U2
mentre per la ruota 1 si ha
U
0 1 = 7U1 + 1I Y U1 = 0 2 1 + 1I Y U1 + 1I Y U1 = 0 2τ + 2 1I Y U1
U2
:X = 0 2ω 2 = 0 2τω1
0 1 = 0 2τ + 2 1I Y U1
:H = ( 0 2τ + 2 1I Y U1 )ω1
da cui un rendimento
0 2τω1 1
( 0 2τ + 2 1IY U1 )ω1 1 + 2 1IY U2
η= =
02
che peggiora all’aumentare di 1. Bisognerà dare quindi al precarico 1 il minimo valore compatibile
1 e quindi non è conveniente utilizzare le ruote di frizione per trasmettere momenti elevati.
con la sicurezza della trasmissione. Per trasmettere coppie notevoli dobbiamo avere valori elevati di
RUOTE DENTATE
Potremmo pensare di sostituire alle ruote di frizione, materializzazione dei cerchi primitivi (enti
cinematici che rappresentano i luoghi dei centri d’istantanea rotazione relativi durante il moto) con
una trasmissione a cinghia incrociata.
La soluzione b) (centrale), ottenuta con una cinghia incrociata, ha lo stesso rapporto di trasmissione
della a) (con ruote di frizione) se
Q2 '1 'E1
Q1 '2 'E 2
τ= = =
dove 'E e 'E sono detti cerchi di base.
Anche la soluzione c), con interasse delle pulegge aumentato, presenta un aumento dei diametri dei
Evolvente di cerchio
ρ = 70 = 70 0
'E
tracciano le tangenti;
costruzione si ha
0′1′ = 01 = 1$
0′2′ = 02 = 2 %
HFF
Se la ruota di centro 2 ruota di un angolo α, l’evolvente ( andrà in (¶, spingendo il profilo (
che andrà in (¶ ruotando di un angolo α. I punti $ e % dei rispettivi profili compiranno una
traiettoria circolare fino ad andare nel nuovo punto di tangenza in %.
$1 1 ’1 − $11 = 11 11′ = $%
$1 2 − %1 1 2′ = 1 2 1 2′ = $%
'E1 '
11 11′ = α1 = 1 2 1 2′ = α 2 E 2
2 2
ciò significa che i due cerchi primitivi rotolano senza slittare.
DUFRDFFHVVR
SDVVR
> 1∴1,2 ÷ 1,4
Ovviamente, volendo garantire una trasmissione del moto bidirezionale entrambi i fianchi di ogni
dente di ogni ruota dovranno essere dei profili a evolvente del proprio cerchio di base.
I profili a evolvente sono tracciati a cavallo della primitiva così da limitare gli strisciamenti, in
quanto solo sulla primitiva, luogo dei centri
d’istantanea rotazione relativi, le velocità relative
sono nulle.
S
P= con S = passo circonferenziale misurato
π
S
sulla primitiva
S] = 'π = Pπ ]
e quindi, poiché i denti di due ruote devono ingranare tra loro occorre che abbiano lo stesso passo
circonferenziale e quindi il medesimo modulo
'1 '2
P=
]1 ]2
=
Q2 '1 ]1
Q1 '2 ]2
τ= = =
I profili dei denti che si ottengono sulla ruota sono sempre delle evolventi di cerchio, anche se il
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 8
A.A. 2000/2001
Lezione XVIII
Ingranaggi
P] 2
D > 307 sin θ = U sin 2 θ = sin θ
D
2
]min = P
2
sin 2 θ
e se il proporzionamento è modulare e θ risulta che il numero minimo di denti è pari a 17.
Se l’ingranaggio è tagliato con una fresa, non vi sarà sottotaglio, ma bensì interferenza.
La figura mostra come varia la forma del dente di ingranaggio di 18 denti al variare dell’angolo di
pressione θ (nella figura indicato come α). La zona tratteggiata nella figura per α θ mostra il
sottotaglio durante la creazione del dente. Aumentare troppo l’angolo di pressione porta ad
accrescere inutilmente il carico radiale sui cuscinetti, per cui non è pratica conveniente.
Per evitare l’interferenza, mantenendo costante l’angolo di pressione, si devono quindi usare
D
proporzionamenti non modulari come il ribassamento in cui si utilizza un utensile con altezza
P
ridotta nel rapporto α= per cui il numero minimo di denti risulta dato da
D
P
2α
]min =
sin θ
2
D−[
]min P
2
=
sin 2 θ
Il dente risulta così irrobustito, il taglio economico, in
quanto non è necessario usare una dentiera speciale
come nel ribassamento, ma è tuttavia necessario che
l’interferenza non si presenti sull’altra ruota in quanto
comunque deve risultare
]1 + ]2 > 2 ]min
Si noti che allontanando il contatto dalla primitiva aumentano gli strisciamenti e quindi peggiora il
rendimento.
M 1 = M 2τ + 2 Nf v r1
We = ( M 2τ + 2 Nf v r1 ) ω1
da cui un rendimento
M 2τω1 1
η= =
( M 2τ + 2 Nf v r1 ) ω1 1 + 2Nf vr2
M2
che peggiora all’aumentare di N. Bisognerà dare quindi al precarico N il minimo
valore compatibile con la sicurezza della trasmissione. Per trasmettere coppie
notevoli dobbiamo avere valori elevati di N e quindi non è conveniente utilizzare le
ruote di frizione per trasmettere momenti elevati.
a−x
2
z min = m
sin2 θ
z1 + z 2 > 2 zmin
Con dentatura diritta potrebbe venire meno la continuità del moto, mentre nella
dentatura elicoidale la trsmissione del moto è più facilmente assicurata con
conseguente maggior silenziosità.
Per la trasmissione di
potenza tra assi paralleli si
può anche ricorrere a
cinghie dentate positive
che permettono interassi
anche notevoli tra i due
alberi.
1 1
]1 ]2
η ; 1 − 0,5 +
Si devono distinguere:
Q
τ WRW = ∏ L =1τ L
]1
]Q
τ WRW =
• i rotismi
epicicloidali
nei quali i
perni delle
ruote sono
accoppiati a
un membro
rigido, detto
portatreno,
effetto della rotazione del portatreno sono detti satelliti. Nelle figure con Q e Q
che può a sua volta ruotare attorno a un asse. Le ruote i cui assi sono mobili per
ω2 − Ω
τ=
ω1 − Ω
Applicazioni
1- Differenziale di un veicolo
Glossario
• F pignone solidale con l’albero di
trasmissione di velocità angolare ωWU;
• E corona ingranantesi con il
pignone e solidale con il portatreno;
• C e D satelliti con un numero di
denti pari a ]& ]'
• A e B (con ]$ ]% denti) planetari
collegati tramite i semialberi alle ruote
motrici di velocità angolare,
rispettivamente, ω H ω
Ω = τ SRQWH ωWU
ω2 − Ω ] ]
]3 ]1
τ= = − 1 g 3 = −1
ω1 − Ω
Si noti che in questo caso il portatreno è conduttore, mentre gli altri due alberi sono
condotti.
Risulta
ω1 + ω 2
ω 2 − Ω = −ω1 + Ω ⇒ Ω =
2
ovvero la velocità angolare del portatreno è sempre la media aritmetica delle velocità
angolari dei semialberi.
Moto in curva
a regime
ω1
ω2
'2
Y' = YGLII = ω 2 UUXRWD
'2 + H
mentre Y6
2
'2 + H
Y6 = YGLII = ω1UUXRWD
'2 + H
2
Supponiamo che una vettura ferma abbia una sola ruota motrice, a esempio la destra,
appoggiata su un terreno con basso coefficiente di aderenza.
che porterebbe rapidamente, per il piccolo valore di -', la ruota che slitta alla velocità
di regime di Ω, mantenendo fermo il veicolo se la forza d’attrito I1 ' non è
]1 ]3
]2 ]4
τ= g
243 ω 2 − Ω 243 2
= ⇒ ω 2 = 1 − Ω = Ω
245 −Ω 245 245
Con dentatura diritta potrebbe venire meno la continuità del moto, mentre nella
dentatura elicoidale la trsmissione del moto è più facilmente assicurata con
conseguente maggior silenziosità.
Per le macchine viste finora, è quasi sempre possibile effettuare uno studio considerandole a un solo
grado di libertà, dove ogni elemento è ritenuto rigido.
La deformabilità degli elementi componenti può essere voluta o indesiderata: a es. le sospensioni di
un veicolo sono elementi volutamente deformabili. Purtroppo, per le difficoltà che insorgono nello
studio e per gli effetti collaterali, sono ben più importanti i casi di deformabilità dinamica non
voluta, quando un elemento che il progettista vorrebbe rigido si deforma, dando luogo di regola a
moti vibratori indesiderati e dannosi.
Per lo studio di questi moti vibratori è necessario fare qualche considerazione sui modelli
matematici atti a descrivere tali fenomeni.
Spesso la difficoltà consiste nell’associare un modello deformabile a qualcosa che nella realtà il
progettista vorrebbe rigido. Ovviamente questi schemi devono essere i più semplici possibili ed è
possibile suddividerli in due gruppi:
• modelli continui (a infiniti gradi di libertà) derivanti dalla Scienza delle Costruzioni, dove
riferendoci, a esempio, a una trave, ogni punto di questa può muoversi e ogni sezione può
ruotare. Per descriverne il comportamento è necessario conoscere una funzione f(x) e delle
equazioni alle derivate parziali. Tali modelli vengono usati per lo studio delle vibrazioni
trasversali di travi o funi;
• modelli discreti (a n finiti gradi di libertà) che contrastano con l’osservazione del fenomeno
fisico secondo la quale la deformabilità e l’inerzia sono distribuite nel modello fisico.
Per fortuna, molte volte è possibile ricondurre il modello reale a sistemi a uno o pochi gradi di
libertà.
Si tenga presente che per utilizzare modelli a uno o pochi gradi di libertà, è necessario prima
effettuare lo studio con schemi a un numero maggiore di g.d.l. e capire sotto quali condizioni si può
tornare a pochi g.d.l. senza perdere informazioni importanti per la risoluzione del problema.
Un velivolo in atterraggio,
a esempio, possiede una
velocità che non è mai
perfettamente orizzontale
e per questo i carrelli sono
dotati di opportuni
molleggi che hanno il
compito di dissipare
l’energia associata alla
componente verticale di
tale velocità.
Se analizziamo in prima
approssimazione l’impatto
−P\&& − N\ = 0
sin θ ; θ
−Oθ&& − Jθ = 0
dando luogo a una equazione differenziale lineare simile a quella già
vista per il velivolo.
Trattiamo il problema delle vibrazioni a un solo g.d.l. in modo generale, studiando per ora il caso
che sul sistema dinamico, considerato in assenza di attriti o smorzamento, non agiscano forze
esterne.
[, [& , &&
[, ) Per mettere in equazione il modello meccanico,
Consideriamo un moto traslatorio della massa e scriviamo l’equazione di moto del sistema. Vi sono
due metodi per ricavare le equazioni di moto:
• gli equilibri dinamici;
• i principi energetici.
Utilizziamo, per ora, gli equilibri dinamici. In una generica posizione deformata x(t), agiranno sul
corpo la forza d’inerzia e la forza di richiamo elastico della molla, ovvero
−P[&& − N[ = 0 ⇒ P[&& + N[ = 0
equazione differenziale lineare omogenea a coefficienti costanti, la cui soluzione è del tipo
[ (W ) = $Hλ W
che, trascurando la soluzione banale $ = 0 ⇒ [ (W ) = 0∀W (0 < W < ∞) che rappresenta l’equilibrio
statico, porta a
N N
⇒ λ1,2 = ±L = ±Lω 0
P P
λ2 = −
La soluzione dell’equazione differenziale è quindi data dalla combinazione lineare delle due
soluzioni date da λ e λ
[ (W ) = $1H ω0 + $2H− ω0
L W L W
dell’omogenea per una costante arbitraria e quindi $ e $ possono essere reali o complesse.
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W
ovvero
& = $2 + % 2
%
WJϕ =
con
$
Le due costanti presenti nella soluzione ($%), ovvero l’ampiezza & e la fase ϕ sono determinate
attraverso le condizioni iniziali.
[ ( W = 0 ) = [R e [& ( W = 0 ) = [&0
sostituendo si trova
[&0
$ = [0 e % =
ω0
5
4 T0
3
2
1
0
-1
fase ϕ C
-2
-3
-4
-5
−P\&& − N\ + PJ = 0 ⇒ P\&& + N\ = PJ
Se prendiamo ora come origine della coordinata libera [ la posizione di equilibrio statico sarà
\ = [ + δ VW
\ = &&
&& [
con
PJ
N
δ VW =
che sostituite portano a
PJ
−P[&& − N [ + + PJ = 0 ⇒ P[&& + N[ = 0
N
Ovvero, se non interessa lo studio del moto derivante in seguito all’applicazione di una forza
costante nel tempo, conviene scegliere l’origine della coordinata libera nel punto di equilibrio
statico in quanto si ottiene sempre un’equazione differenziale omogenea.
[, [& , &&
[, ) Sempre in assenza di smorzamento e di attriti,
) (W ) = )0 sin ω W
con ) e ω noti.
equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa il cui integrale generale è dato
dall’integrale generale dell’omogenea associata più l’integrale particolare, ovvero
[ (W ) = [J (W ) + [ S (W )
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W + [ S (W )
con
[ S ( W ) = & sin ω W
integrale particolare che sostituito nell’equazione di partenza
)0
−Pω 2& sin ω W + N& sin ω W = )0 sin ω W ⇒ & =
N − Pω 2
quindi
)0
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W + sin ω W
N − Pω 2
Il moto risultante risulta quindi somma di due funzioni armoniche, una con pulsazione ω e l’altra
con pulsazione ω e il moto risultante non è armonico (per ω diverso da ω) e neppure, in generale,
)0
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W + sin ω W
N − Pω 2
ω!!ω
)0
5
Caso e
N − Pω 2
4 <A,B
3
2
1
0
-1
-2
-3
-4
-5
)0
≅ $%
N − Pω 2
Caso ω ≅ 2ω 0 e 5
4
3
2
1
0
-1
-2
-3
-4
-5
8
6
Caso ω ≅ ω0 e
)0
4
≅ $2 + % 2
N − Pω
2 2
0 si ha il fenomeno dei
-2 battimenti
-4
-6
-8
Per effetto degli inevitabili smorzamenti, l’integrale generale dell’omogenea associata tende a zero
col crescere del tempo (lo vedremo nelle lezioni successive) per cui a noi interessa studiare il
comportamento vibratorio a regime, ovvero il solo integrale particolare
)0
[ (W ) ≅ sin ω W
N − Pω 2
Analizziamo l’ampiezza & del moto a regime al variare dei parametri
)0
)0 N = δ VW
&=
N − Pω 2 Pω 2
=
ω2
N
1− 1− 2
ω0
F0/k
0 1 2 3 4 ω 5
ω0
• se la pulsazione della forzante tende a zero, l’ampiezza di vibrazione & tende a un valore pari
alla deformazione indotta dalla forza ) applicata staticamente;
• se ω cresce, & aumenta, fenomeno dell’amplificazione dinamica, fino a un asintoto verticale per
ω → ω 0 ⇒ & → ∞ (risonanza);
• se ω ? ω0 ⇒ & → 0
Inoltre, dobbiamo ricordare che le costanti A e B devono essere calcolate per la soluzione generale:
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W + [ S (W )
per cui
[ ( 0 ) = $ + [ S (0)
[& ( 0 ) = %ω 0 + [& S (0)
supponendo per t=0 tanto lo spostamento, quanto la velocità siano nulle si ottiene
)0
[ (W ) = W W
1 ω
N
sin ω − sin ω 0
ω2 ω0
1− 2
ω0
0
che fornisce una forma indeterminata del tipo per ω → ω 0
0
Applicando la regola di L’Hopital si ottiene
)0 )0
limω →ω0 [ (W ) = limω →ω0 W W ( sin ω W − ω W cos ω W )
1 ω
N 2N
sin ω − sin ω 0 =
ω2 ω0
1− 2
ω0
per cui sarebbe comunque necessario tempo infinito, anche in condizioni ideali di linearità delle
forze elastiche, per raggiungere ampiezze infinite.
)0
Ricordando, infine
)0 N = δ VW
&=
N − Pω 2 Pω 2
=
ω2
N
1− 1− 2
ω0
&
+ (ω ) =
1
=
δ VW ω2
1− 2
ω0
Consideriamo il solito sistema che si muova rispetto a un osservatore assoluto con una legge \W
[, [& , &&
[, )
nota.
\ (W ) = [(W ) = [U (W ) = 0
−P[&& − N ( [ − \ (W )) = 0 ⇒ P[&& + N[ = N\ (W )
equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa del tutto simile a quella già vista nel
moto forzato.
−P ( &&
[U + &&
\ (W ) ) − N[U = 0 ⇒ P[&&U + N[U = − P\&&(W )
\ (W ) = E sin ω W
per cui
P[&& + N[ = NE sin ω W
che ha come integrale particolare
NE
[ S (W ) = sin ω W = ; sin ω W
N − Pω 2
NE
ove ; = è l’ampiezza di vibrazione nel moto assoluto della massa P.
N − Pω 2
;
In termini adimensionali
1
E
=
ω2
1− 2
ω0
;
E
≅ 1 ⇒ ω 02 ? ω 2
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 1
A.A. 2000/2001
Lezione XXI
Sistemi vibranti a 1gdl-Moto forzato non smorzato
e quindi
Pω 2E
[US ( W ) = sin ω W = ; U sin ω W
N − Pω 2
e in termini adimensionali
ω2
;U ω 02
E
=
ω2
1− 2
ω0
D = D + D = ω 2H H ω + &&
[
r r r L
r W
U W
PHω 2
[ S (W ) = sin ω W = ; (ω ) sin ω W
2N − ( 0 + P ) ω 2
e quindi
ω2
; (ω ) P ω2 P ω 02
H ( 0 + P) ω 02 − ω 2 ( 0 + P)
= =
ω2
1− 2
ω0
Si noti che la macchina al variare della velocità trasmetterà al terreno una forza variabile nel tempo
pari a
che forzerà il terreno a vibrare, non potendolo considerare infinitamente rigido, e questo forzerà a
sua volta a vibrare, per spostamento di vincolo, le altre strutture posate su di esso.
Ovviamente, equilibrando la macchina, ovvero facendo in modo che il suo asse di rotazione sia
baricentrico (e anche principale d’inerzia come vedremo) la forzante si annulla e il fenomeno
scompare in quanto l’equazione di moto risulta essere la soluzione di
( 0 + P ) &&[ + 2N[ = 0
)W del tipo
Con riferimento al solito schema, vediamo quale sia la risposta dinamica del sistema a una forza
[, [& , &&
[, )
)W −∞ ≤ W < 0
)W 4 W≥0
P[&& + N[ = 4
[J ( W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W
N
P
dove ω0 = mentre l’integrale particolare è del tipo
[ S (W ) = ' = costante
4
[ S (W ) = ' =
N
= δ VW
ovvero
[ (W ) = $ cos ω 0W + % sin ω 0W + δ VW
dove A e B devono essere valutati sulla base delle condizioni iniziali. Supponendo
[ ( 0) = 0 $ = −δ VW
[& ( 0 ) = 0 %=0
si ricava da cui
[ (W ) = δ VW (1 − cos ω 0W )
ovvero un carico dinamico, applicato bruscamente, fornisce deformazioni molto maggiori, di uno
applicato staticamente. Infatti
[max = 2δ VW
I1 =
1
7
con poche eccezioni, tale funzione può essere espansa in serie di Fourier, ovvero
D0 ∞
[ (W ) = + ∑ ( DN cos 2π I N W + EN sin 2π I N W )
2 N =1
dove
N
I N = NI1 = per N «
7
DN = ∫ [ (W )cos 2π I N WGW
7
2
70
mentre
D0 1
[ (W )GW = µ [
7
2 7 ∫0
=
D0 ∞
[ (W ) = + ∑ ( DN cos 2π I N W + EN sin 2π I N W )
2 N =1
Tenendo conto che le due funzioni armoniche hanno il medesimo argomento, la serie di Fourier può
anche essere espressa come
[ (W ) = ; 0 + ∑ ; N cos ( 2π I N W − θ N )
∞
N =1
D0
dove
;0 =
2
; N = DN2 + EN2 per N «
E
DN
θ N = tan −1 N
[ (W ) = ∑ $H
∞
L 2π IN W
N =−∞
dove
D0
$0 =
2
$N = ( DN − LEN ) = ∫ [ (W )H − L 2π I W GW
7
per N ±±±«
1 1
70
N
H − θ = cosθ − L sin θ
L
Anche se [Wè reale, la funzione può essere sempre espressa in forma complessa usando
componenti a frequenze positive e negative (ovvero controrotanti) il cui risultante è sempre reale. In
particolare
$ = $ H − θ per N ±±±«
N N
L N
$ = $ H − θ per N ±±±«
N N
L N
dove
;
$N = DN + EN2 = N
1 2
2 2
E
DN
θ N = tan −1 N
$− N = $N θ − N = −θ N
$− = $− H − θ − = $ H θ = $*
N N
L N
N
L N
TRASFORMATA DI FOURIER
Supponiamo ora che la funzione [W sia non periodica. La serie di Fourier può essere estesa
considerando che il periodo 7→∞. Questo porta all’integrale di Fourier
;(I )= ∫ [ (W ) H GW
∞
-∞ I∞
− L 2π IW
dove ;I esiste se
−∞
[(W ) GW < ∞
∞
∫
−∞
[ (W ) = ∫ ; ( I )H GI
∞
-∞ W∞
L 2π IW
−∞
; ( I ) = ; ( I ) + L; ( I )
U L
dove
−∞
−∞
ovvero
; ( I ) = ; ( I ) H− θ ( L I )
Le proprietà statistiche
dell’insieme dei dati possono
ψ [ ( W1 ) = lim 1 →∞ ∑ [L ( W1 )
1 1 2
1 L =1
2
L =1
Nel caso speciale che tutte le proprietà statistiche e l’autocorrelazione siano costanti al variare di W,
il fenomeno è detto stazionario.
µ [ = lim7 →∞ ∫ [L (W )GW
7
1
70
; 7 ( I ) = ; ( I , 7 ) = ∫ [ (W )H − L 2π IW GW
7
N
Per quanto detto, si può dimostrare che alle frequenze finite I N =
7
risulta
; ( I N , 7 ) = 7$N N ±±±«
Inoltre se [W è campionato per un numero discreto 1 di punti intervallati di ∆W, la lunghezza del
record diventa 7 1∆W e questo automaticamente introduce il fatto che potremo calcolare tutte le
frequenze discrete fino a IF ∆W , frequenza detta di Nyquist, e che i conti considerano i dati
come priodici con periodo pari a 7 1∆W ovvero si introduce una frequenza fondamentale, che può
essere arbitraria, I 7 e gli spettri sono calcolati frequenze discrete equispaziate di ∆I I
Per cui, in pratica, il record continuo [W è sostituito da una sequenza discreta di dati
{ ; } = { ; ( N ∆I )} per N
N «1
dove
NQ
; N = ; (N ∆I ) = ∆W ∑ [QH
1
per N «1
− L 2π
1
Q =1
L 2π NQ
[Q = [ (Q∆W ) = ∆I ∑ ; N H 1
1
perQ «1
N =1
dove i valori ;N per N!1 sono calcolabili da quelli per N12 per la circolarità delle funzioni
trigonometriche.
)W avremo che
Per quanto detto se il nostro solito sistema a un grado di libertà è forzato da una forzante generica
) (W ) ≅ )0 + ∑ )N cos ( 2π OI1W − θ O )
1 /2
O =1
O =1
)0 1 / 2 )O
[ S (W ) = +∑ cos ( 2π OI1W − θ O )
N O =1 N − P(2π OI1 ) 2
5LJLGH]]DGHJOLHOHPHQWLHODVWLFL
keqδ = 1
da cui
N1N2
N1 + N2
keq = 1/δ =
E D
Per cui gli allungamenti di k1 e k2 sono
( D + E ) N1 ( D + E ) N2
e e quello del punto O
E D D E 1 D 2 E2
( D + E ) N1 D + E ( D + E ) N2 ( D + E ) N1 ( D + E )2 N2 N1
+ − = +
Quindi
N0
( D + E)
2
D 2 E2
=
N2 N1
+
Se è nota la freccia statica δst della molla per effetto del peso della massa m,
è opportuno ricordare che
kδst = mg
ovvero
Supponiamo di avere un cilindro con una sezione di area A, lunghezza l e di massa m zavorrato in
modo che possa traslare solo verticalmente. Immerso in un fluido di
densità ρ, la sua faccia superiore si disporrà a un’altezza h dal pelo
libero in modo tale che
h mg = ρgA(l-h)
ρ*Alg = ρgA(l-h)
∆spinta= ρgAx
-P[&& - ρ J$[ = 0
che potrebbe suggerire un altro metodo per calcolare la densità incognita ρ del fluido dalla misura
diretta della frequenza propria del cilindro immerso.
7DEHOODGHOODULJLGH]]DGHOOHPROOH
Spesso è conveniente, specie per sistemi meccanici complessi composti da più organi tra loro
collegati, ricorrere a metodi energetici come l’equazione di Lagrange nella sua prima o seconda
formulazione.
7 = ρ $O[& 2
1
2
dove l = lunghezza della colonna di fluido, A = area della sezione
trasversale di fluido, ρ = densità del fluido.
G G7 G7 G8
GW G[& G[ G[
ovvero, applicando Lagrange ( − + = 0)
[ + (2 J / O ) [ = 0
&&
2 2 U
− 1 θ =
2
2 4
e quella potenziale, riferita alla posizione di equilibrio statico (θ
= 0)
U = mg (R – r) (1 – cos θ)
Per cui otteniamo l’equazione differenziale non lineare
G G7 G7 G8 3P 3P
( 5 − U ) θ&& + PJ ( 5 − U ) sinθ ≅ ( 5 − U ) θ&& + PJ ( 5 − U )θ = 0
GW Gθ Gθ Gθ
&− + =
2 2
2 2
1 - + PYE 2 2
7 = -θ& 2 + PY Eθ& ( ) [&
1 1 2
2 D2
=
2 2
ovvero
- + PYE 2
PD =
D2
L’energia potenziale sarà data da
y(t) quella dell’asta più quella della molla
1 ($ 1 E
8= ( [ − \ (W ) ) + N [
2
2 O 2 D
2
E
Se la massa della molla non fosse trascurabile, sappiamo che il suo estremo superiore ha una
[& , mentre quello inferiore ha velocità nulla, per cui detta l la lunghezza della molla nella
D
velocità
posizione di equilibrio statico, l’energia cinetica di un elementino di massa mdy posto a una
distanza y dall’estremo fisso della molla è pari a
P \E 2
G7PROOD = G\ ( [& )
2 O D
nell’ipotesi di moto a pulsazione molto inferiore alla frequenza propria della molla.
Per cui
P E[& 1 PO E[&
7PROOD \ G\
2 O 2
2 OD
= ∫0 =
2 3 D
2
P E[& 1 PO E[&
7PROOD ∫0 \ G\ = 2 3 D
2 O 2
2 OD
= 2
ovvero un terzo della massa totale della molla (ml), nelle ipotesi fatte, incrementa l’energia cinetica
; 1
<
=
ω2
1− 2
ω0
;
che la frequenza propria del treno di comando (asta + bilanciere + molla + valvola) deve avere una
<
frequenza propria ω0 la più alta possibile affinché il rapporto (dove Y è l’ampiezza della
generica componente armonica derivante dalla scomposizione secondo Fourier del moto del
vincolo) si mantenga costante al variare della velocità angolare ω dell’albero a camme.
Da qui la drastica soluzione di azionare direttamente la valvola con l’albero a camme, eliminando
l’asta e spesso il bilanciere, e l’uso delle leghe di titanio (peso specifico 4,87 g/cm3) al posto di
quelle d’acciaio (peso specifico 7,86 g/cm3).
9,%5$=,21,/,%(5(6025=$7(
6PRU]DPHQWRYLVFRVR
Durante la vibrazione libera, l’energia è dissipata in vari modi e un moto con ampiezza costante non
può essere mantenuto senza che venga continuamente fornita energia.
È difficile una formulazione esatta del fenomeno dissipativo, in quanto questo può essere funzione
dello spostamento, della velocità, dello stato di deformazione o di altro.
Un modello ideale, spesso soddisfacente, è quello dello smorzamento viscoso secondo il quale la
forza dissipativa è espressa da
) = −U[& = −F[&
Dove r è utilizzato nella bibliografia italiana, mentre c in quella
di lingua anglo-sassone.
−P[&& − U[& − N[ = 0
che può essere risolta usando la solita forma
x (t) = Aeλt
2 U N λ
che sostituita nell’equazione differenziale di partenza porta all’equazione lineare
λ + λ + $H = 0
P P
W
che ammette come soluzioni non banali (per $ ≠ 0 e valide per qualsiasi valore di t)
U U N
2
2P 2P P
λ1,2 = − ± −
2P 2P P
λ1,2 = − ± −
Smorzamento critico
U N
2
2P P
−
Come parametro di riferimento utilizzeremo lo smorzamento critico rc, ovvero quel valore di r che
riduce il radicando a zero.
UF N
2P P
= = ω0
Lo smorzamento reale del sistema r può essere espresso in forma adimensionale, in funzione dello
smorzamento critico rc, dal rapporto
ζ = r/rc
U U
2P 2P
= ξ F = ξω 0
(
λ1,2 = −ξ ± ξ 2 − 1 ω 0 )
6PRU]DPHQWRPLQRUHGLTXHOORFULWLFRζ
( L 1−ξ 2 ω 0W
+ %H− L 1−ξ 2 ω0W
)=
= ;H−ξω0 sin W
( ( 1 − ξ ω W + φ ))2
0
6PRU]DPHQWRPDJJLRUHGLTXHOORFULWLFRζ !
[(W ) = $H
( −ξ + ξ −1)ω
2
0W
+ %H
( −ξ − ξ −1)ω
2
0W
6PRU]DPHQWRXJXDOHDTXHOORFULWLFRζ
In quest’ultimo caso le due radici sono reali e coincidenti. In questo caso l’integrale generale
assumerà la forma
[(W ) = ( $ + %W )H−ω0 W
• indipendentemente dalle
condizioni iniziali il moto libero
si annulla sempre dopo un tempo
più o meno lungo;
• a parità di condizioni iniziali,
il tempo necessario per smorzarsi
dipende da ζ;
• a parità di condizioni iniziali,
per ζ =1 il tempo è minimo
(strumenti di misura, artiglierie,
ecc.)
9,%5$=,21,)25=$7(&21(&&,7$=,21($5021,&$
Abbiamo già dimostrato che la soluzione a regime per un’eccitazione di tipo armonico ha una
validità del tutto generale in quanto:
Quindi, la risposta del sistema meccanico è fornita dalla sovrapposizione delle risposte alle singole
componenti armoniche in cui è sviluppabile la generica eccitazione periodica.
Inoltre, tali risposte, in condizioni di regime, sono date dai soli integrali particolari in quanto gli
integrali generali delle omogenee associate, per effetto delle inevitabili dissipazioni, tendono
comunque a zero in un tempo più o meno lungo.
6ROX]LRQHDUHJLPHFRQVPRU]DPHQWRYLVFRVR
[(W ) ≅ [ S (W )
con
[ ( W ) = ;H ω = ; H− φ H ω = ; H ( = ; sin (ω W − φ )
L W L L W L ω W −φ )
S
Sostituendo [ ( W ) = ;H ω
L W
S
nell’equazione differenziale di partenza
otteniamo
− )0 )0
;= H(
φ −π )
( N − Pω 2 ) + LUω
=
L
( N − Pω ) + ( Uω )
2 2 2
con
ωU
N − Pω 2
φ = tan −1
Ricordando che:
ω0 = N
P
• frequenza propria del sistema equivalente non smorzato
• ξ = UU fattore di smorzamento
• UF = 2Pω 0
F
smorzamento critico
)
• ;0 = 0
N
freccia del sistema per effetto della forzante F0 a frequenza nulla
otteniamo
; 1
;0
=
2
ω 2 ω 2
1 − + 2ξ
ω0 ω0
ω
2ξ
ω0
φ = tan −1 2
ω
1−
ω0
; 1
;0
=
2
ω 2 ω 2
1 − + 2ξ
ω0 ω0
ω
2ξ
ω0
φ = tan −1 2
ω
1−
ω0
Possiamo rappresentare graficamente l’andamento dell’integrale particolare in funzione del
ω ω
rapporto (N.B. nel disegno e c=r)
ω0 ωQ
ω
ω0
L’angolo di fase è piccolo e quindi è la forza
della molla a equilibrare la forzante esterna cui
si somma la forza d’inerzia
ω
=1
ω0
L’angolo di fase è pari a 90° per cui la
forzante esterna è equilibrata dalla forza
viscosa. L’ampiezza di vibrazione a regime
è pari a
)0 ;
; =
Uω 0 2ξ
= 0
ω
>1
ω0
L’angolo di fase si avvicina a 180° e la forza
impressa è equilibrata quasi integralmente
da quella d’inerzia
,VRODPHQWRGHOOHYLEUD]LRQL
Come abbiamo visto, la forzante armonica impressa al nostro oscillatore potrebbe essere dovuta a
un macchinario ruotante con velocità angolare ω posto sulla massa di fondazione.
WU
L W
dove
)0 N 2 + ( Uω )
)WU =
2
( N − Pω ) + ( Uω )
2 2 2
ovvero
2
ω
1 + 2ξ
)WU
ω0
)0
=
2
ω 2 ω 2
1 − + 2ξ
ω 0 ω 0
Come già visto questa forzante armonica applicata al terreno lo porterà a vibrare con un’ampiezza b
ovvero con una legge del tipo
\ (W ) = E sin ω W
che forzerà le strutture circostanti
E N 2 + ( Uω )
; =
2
( N − Pω ) + ( Uω )
2 2 2
ovvero
2
ω
1 + 2ξ
;
ω0
E
=
2
ω 2 ω 2
1 − + 2ξ
ω 0 ω 0
Si noti che pur essendo due fenomeni diversi, la soluzione è del tutto analoga a quella della forza
trasmessa
2
ω
1 + 2ξ
)WU
ω0
)0
=
2
ω 2 ω 2
1 − + 2ξ
ω 0 ω 0
; ω
E
Diagrammiamo l’andamento di β= al variare di . Si nota
ω0
ω
che per = 2 la
ω0
trasmissibilità è pari a 1 e
che al crescere del rapporto
tra le frequenze la
trasmissibilità scende fino a
tendere asintoticamente a
ω
zero per →∞.
ω0
Questo fatto avviene
indipendentemente dal
valore dell’indice di
smorzamento ξ il cui
effetto è quello, al suo
aumento, di ridurre
l’ampiezza di vibrazione
ω ω
per = 1 , ma d’altro lato rallenta la diminuzione di β per > 2.
ω0 ω0
Pω 2
> 2⇒N <
ω
Riassumendo, converrebbe, quindi scegliere e nel contempo avere valori
ω0 2
di ξ piccoli per non ricorrere a k troppo piccoli.
ω
Poiché abbiamo scelto di far operare la fondazione con > 2 , ciò significa che tutte le volte
ω0
che avvieremo o fermeremo il macchinario, entrambe le nostre fondazioni, durante il transitorio, si
N ω Pω 2
≤ ⇒N≤
P 2 4
Tale ragionamento porterebbe a scegliere ω0 → 0 ,
ma
PJ J 1
N
δ VW = = 2 ∴δ VW ∝ 2
ω0 ω0
ovvero dovremmo realizzare fondazioni con frecce statiche molto grandi, e tale problema è
ovviamente di impossibile soluzione se abbiamo macchine lente in cui ω è dell’ordine di qualche
centinaio di giri/1’.
) ) ) g( ) g(g $ (g $
N=
∆K Kgε Kgσ Kg ) K
= = = =
quindi per ridurre k, scelto un materiale e quindi il modulo di elasticità E, dovremo avere delle aree
A piccole e degli spessori h degli elementi elastici (a esempio un tappeto di gomma) grandi.
Ma
) PJ PJ g (
$> ∴N >
σ DP gK
>
σ DP σ DP
ovvero
N Jg(
P σ DP K
ω 02 = >
da cui si nota come dovremmo avere bassi valori di E e corrispondentemente, impossibili nei
materiali, alti valori σam e comunque alti valori di h, che creerebbe problemi d’instabilità.
Per tasselli di gomma dura (E = 100 kg/cm2) sollecitati a compressione vale il seguente diagramma
in funzione del fattore di forma R
\ = δ VW
Nell’abaco si parte dalla conoscenza di
O g*
)= G = NG
1 U22
4 + O 24
1 2
con ( ≅ 3* e
$g*
)= G = N G con ρ = raggio giratore
K2
K 1 +
W
2
36 ρ
della sezione intorno all’asse neutro della flessione
Risulta
$g ( $g (
NW = N
K2 K
< =
3K 1 +
D
2
36 ρ
67580(17,',0,685$'(//(9,%5$=,21,
Tra le applicazioni del nostro oscillatore vi è quella di usarlo come strumento per la misura delle
vibrazioni assolute di un corpo
Con riferimento alle grandezze indicate
nella figura e ai relativi versi positivi
degli spostamenti, avremo che
[L ( W ) = ; L sin (ωLW − ψ L )
dove
0[
&&&0 + U[&0 + N[0 = 0[&& = −ω 2 ; 0H
L L L
M (ωLW −ψ L )
− 2 ; L H − Mψ
ωL2
−ωL ; L 0H − Mψ
L
; 0L = = ; 0L H − Mφ
ω0
2 L
ω0 ω0
2
N U U
0 UF 2 0 ω 0
con ω0 = eξ= =
1
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
Se riferiamo le fasi della risposta a quelle delle componenti armoniche avremo che
− 2 ;
ω2 L
;0 = = ;0 H = ; 0 H−
ω0 −
L
M (φ −ψ )
L L M βL
1 − 2 + M 2ξ
ω ω
L 2 L L
L L
ω0 ω0
otteniamo
ω2
;0
− 2 L
ω0
;
= L
2 2
ω2 ω
L
1 − 2 + 2ξ
L L
ω0 ω0
ω
2ξ L
ω0
β = tan −1
L 2
ω
1− L
ω0
Si nota, quindi, che se
ω ? ω 0 (almeno 4-5 volte)
L
la misura dell’ampiezza
della vibrazione relativa
permette di ricavare quella
incognita di trascinamento.
Ovviamente, affinché la
misura non sia distorta, deve
essere
;0
;
= costante e βi =nπ
L
(n=0,1,2,..,N) per i =
1,2,3,…,N
Questa esigenza porta che il sismografo, tale è il nome dello strumento, abbia una frequenza propria
ω1
ω0 < e tale condizione verifica automaticamente che non vi sia distorsione per le componenti
4
armoniche di ordine superiore.
2
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
I sismografi sono, quindi strumenti pesanti e ingombranti dovendo avere una frequenza propria
necessariamente bassa e normalmente si usano indici di smorzamento ξ dell’ordine di 0,6-0,7 per
ridurre l’effetto delle condizioni iniziali.
N
ω0 =
$
0 + 1 P
$2
;0
;
Nel caso duale di ω = ω 0 risulta che
L
L
≅ 0 per cui
[0 ( W ) = &&
[L ( W ) − &&
[0 ( W ) ≅ &&
[L ( W )
L
&&
e la forza d’inerzia agente sulla massa M è praticamente dovuta al solo moto di trascinamento, per
cui se riuscissimo a misurare la reazione della molla questa, a meno del guadagno, sarebbe pari
all’accelerazione incognita del vincolo.
con M = −1
[0L ( W ) = ; 0L H Mω W
L
con
3
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
(N + MωL U ) ; L H − Mψ
; 0L = = ; 0L H M β
L
(N − 0 ωL ) + MωL U
L
ovvero
N 2 + (ω L U ) ; L ; 0L N 2 + (ω L U )
; 0L = = +L =
2 2
;L
⇒
(N − 0 ωL2 ) 2 + (ωL U ) (N − 0 ωL2 )2 + (ωL U )
2 2
−ω U 2N − 0 ω
( )
2
β = tan −1
L L
− N 2 + N0 ω 2 + (ω U )
L 2
L L
Utilizzando, a esempio, un fattore di smorzamento ξ = 0,7 si nota che la fase varia, per un range di
ω Lω1
frequenza compreso tra 0,6 ω0 e ω0, con legge pari a β ∝ L
= e quindi
L
ω0 ω0
12 12
[0L ( W ) = ∑ + L ; L sin (ωLW + β L ) = ∑ + L ; L sin Lω1W + NL 1
ω
L =1 L=1 ω0
N
12 12
[0L ( W ) = ∑ + L ; L sin Lω1 W + = ∑ + L ; L sin ( Lω1W ′ )
L =1 ω 0 L =1
4
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
,GHQWLILFD]LRQHGHOORVPRU]DPHQWR
Nell’ipotesi di avere uno smorzamento di tipo viscoso, sappiamo che la risposta del moto libero ha
una legge del tipo
( ( 1 − ξ ω W + φ ))
2
0 .
Quando sin ( 1 − ξ 2 ω 0W + φ = 1 ,
)
esponenziale ; H 0 , tuttavia le
la risposta è tangente all’inviluppo
−ξω W
2πξ
δ= ≅ 2πξ per ξ < 0,3
1−ξ 2
5
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
D’altronde ricordando che per una forzante armonica del tipo ) (W ) = )0 sin ω W il lavoro introdotto
in un periodo in un sistema meccanico è pari a
/ = ∫ )G[
7
[(W ) = ; sin (ω W − φ )
ne deriva quindi che
G[
G[ = GW ⇒ G[ = ; ω cos (ω W − φ ) GW
GW
e quindi
2π
0
0
Nell’ipotesi di smorzamento viscoso, il lavoro dissipato a regime, in assenza di assenza di altre
forze agenti sul sistema meccanico in prova, sarà
2π
7
/' = ∫ −U[G[
& = −U ; ω 2 ∫ cos (ωW − φ )GW = −U ; ω = −U ; ωπ
2
ω
2 2 2 1 2π 2
0 0
2 ω
da cui
)0 sin φ
/ + /' = π )0 ; sin φ − U ; ωπ = 0 ⇒ U =
;ω
2
Dalla misura dell’energia dissipata scopriamo che, a parità di ampiezza imposta, il lavoro dissipato
varia proporzionalmente con la frequenza, mentre a parità di frequenza si modifica con il quadrato
dell’ampiezza di vibrazione.
/' ∝ − ; = −α ;
2 2
ovvero
ωπ ω
per cui l’equazione differenziale, la cui soluzione descrive il moto del sistema, diventa
6
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
)0
; =
( N − Pω ) α
2
2 2
+
π
)0π
; =
α
7 7 7
[% (W ) = + [ [(W ) ] = ∫ [(X) W − X GX
∞
1
−∞
; ( I ) = ) [ [(W ) ]
;% ( I ) = ) [ [% (W ) ]
7
Lezione XXIV
Sistemi vibranti a 1 gdl
Si può dimostrare che
(−) M sgn( I ) = )
1
π W
quindi
ovvero una retta con intercetta sull’asse delle ordinate pari a ln ; , dipendente quindi dalle
condizioni iniziali, ma il cui coefficiente angolare è sempre ξω 0 .
Esempio per ξ = 0,05 e ω0 = 1 rad/s
8
Lezione XXV
Sistemi vibranti a 1 gdl
/DIXQ]LRQHGLWUDVIHULPHQWR
Come abbiamo visto, la risposta a regime di un sistema a un solo grado a una forzante armonica
)0H ω è data da
L W
; = )0 = + (ω ) )0
1
2
ω ω
N 1 −
2 2
+ 2ξ
ω0 ω 0
ω
2ξ
ω0
φ = tan −1 2
ω
1−
ω0
dove + (ω ) , risposta del sistema a una forzante unitaria di pulsazione ω è detta funzione di
trasferimento.
Nel caso in cui la dissipazione sia di tipo isteretico, o strutturale, la funzione di trasferimento
diventa
; = )0 = + (ω ) )0
1
2
ω α
N 1 −
2 2
Nπ
+
ω0
α
Nπ
dove η = è detto anche loss factor dello smorzamento strutturale. La fase vale
η
φ = tan −1 2
ω
1−
ω0
La mobility, rapporto tra la risposta del sistema misurata in velocità e la forza armonica applicata
Lω ; H (
ω W −φ )
< (ω ) = = Lω + (ω ) H φ
L
)0H ω
L
L W
−ω 2 ; H (
ω W −φ )
$(ω ) = = −ω 2 + (ω ) H φ
L
)0H ω
L
L W
Queste tre forme sono quelle più diffuse per rappresentare la funzione di trasferimento. Ne esistono
anche quelle inverse dette, rispettivamente, rigidezza dinamica, forza/spostamento, impedenza
meccanica, forza/velocità, e massa apparente, forza/accelerazione.
• il diagramma di Bode, consistente in due grafici, uno per il modulo in funzione della frequenza
della forzante e l’altro per la fase in funzione della frequenza della forzante;
Infatti, come visto, i termini di rigidezza e di massa possono essere calcolati dal modulo della
funzione di trasferimento.
+ (ω ) =
1 1 ω
N
≅ se =1
2 ω0
ω ω
2 2
N 1 − + 2ξ
ω 0 ω 0
$ (ω ) = − + (ω ) ω 2 =
ω2 1 ω
P
≅ se 0 = 1
2
ω 2 ω 2 ω
Pω2 0 − 1 + 2ξ 0
ω ω
Inoltre
2
1 − ω
Re + (ω ) = ω0 ω
= 0 per =1
2
ω 2 ω 2 ω0
1 − ω + 2ξ ω
0
0
+ (ω 0 ) =
1 1
2Nξ 2 N + (ω 0 )
⇒ξ =
Quindi nell’ipotesi che + (ω ) sia una funzione continua misurata sperimentalmente, possiamo
ricavare tutti i parametri modali.
/DPLVXUDGHOODIXQ]LRQHGLWUDVIHULPHQWR
La catena di eccitazione e misura della funzione di trasferimento di un sistema meccanico può
essere riassunta nello schema seguente
Il sistema meccanico da sottoporre alla prova deve essere opportunamente preparato e una delle fasi
più importanti è scegliere come deve essere vincolata la struttura, ovvero se la struttura è libera o
vincolata al terreno.
Nel
primo caso, struttura sospesa, introduciamo
arbitrariamente sei frequenze proprie, dovute ai moti
rigidi dell’oggetto in prova. Nel secondo vi è il
rischio di introdurre degli irrigidimenti alla struttura
per via dei vincoli a terra aggiunti.
controllare l’entità della forza applicata è facile riscontrare delle non linearità nel comportamento
della struttura.
Meglio è usare metodi deterministici con i tavoli vibranti, nei quali possiamo facilmente controllare
l’entità della forza applicata.
Senza entrare in dettagli i tavoli vibranti possono essere pilotati in modo da generare forze
armoniche con ampiezza e pulsazione ω variabile a piacimento. Lo svantaggio principale di questo
tipo di eccitazione consiste nella lentezza, in quanto devo prima cambiare la frequenza di
eccitazione, poi aspettare che il moto imposto sia a regime e quindi infine acquisire i dati alla
frequenza di eccitazione (ovvero estrarre dallo spettro della risposta il modulo e la fase
Poiché gli analizzatori di spettro operano su record discreti di lunghezza finita pari a un numero di
campioni potenza di 2 (normalmente 512=29 o 1024=210) così da utilizzare i più semplici algoritmi
di FFT (Fast Fourier Transform), del tutto conseguente parve di dotarli di un’uscita analogica sulla
quale fornire un segnale in tensione pseudo-random atto a pilotare il tavolo vibrante.
Poiché l’analizzatore di spettro opera su record di lunghezza T, viene generato un segnale random
di uguale durata il cui spettro discreto è fisso e costante in
Concettualmente derivato da quest’ultima è l’eccitazione del tipo impulsivo periodico con periodo
T pari alla durata del record di campionamento dell’analizzatore. La differenza principale rispetto al
precedente tipo di segnale è che la fasi sono fisse e non random. I vantaggi sono i medesimi del
segnale pseudo-random, così come gli svantaggi aggravati dal fatto che il fattore di cresta (rapporto
tra il valore di picco e quello efficace o RMS del segnale) è molto elevato e quindi eccita facilmente
con le + (ω ) ottenute con altri tipi di eccitazione. Infatti se il sistema ha comportamento lineare,
le non linearità del sistema. Da qui l’utilità di questo segnale come tipo di eccitazione di controllo
Nel tentativo di unire i vantaggi del segnale tipo random noise, impossibile a essere generato ma
concettualmente ideale per ottenere un’approssimazione lineare del sistema meccanico, e di quelli
periodici, gli unici che permettano la corretta applicazione della serie di Fourier, cercando di
di fornire un segnale elettrico del tipo random periodico per pilotare il tavolo vibrante.
Questo tipo di segnale è formato da un segnale pseudo-random (A) ripetuto per un paio di volte per
+ (ω ) . A questo segue un nuovo segnale pseudo-random (B) di diversa ampiezza per tutte le
portare a regime il sistema meccanico, più una terza volta per effettuare una prima misura di
componenti armoniche, normalmente ripetuto anch’esso per almeno tre volte, e quindi un altro
segnale pseudo-random (C) e così via.
dalla media statistica delle N + (ω ) , ottenuta alle diverse ampiezze degli N spettri dovuti ai 3*N
La funzione di trasferimento, approssimazione lineare del comportamento del sistema, sarà data
L
9,%5$=,21,75$16,725,(
Quando un sistema dinamico viene sollecitato da una eccitazione non periodica applicata
improvvisamente, come nel caso di un impulso, le risposte a tali eccitazioni sono dette transitori,
dal momento che generalmente non si producono oscillazioni di regime. Tali oscillazioni
avvengono con le frequenze proprie del sistema e l'ampiezza varierà a seconda del tipo di
eccitazione.
Per prima cosa studiamo la risposta del solito oscillatore a una eccitazione impulsiva, dal momento
che questo caso è importante per la comprensione del problema più generale dei transitori.
Incontriamo frequentemente forze molto grandi agenti per un tempo molto breve, ma con integrale
finito rispetto al tempo. Chiamiamo tali forze impulsive e il loro valore è definito dall'equazione
W +ε
)ˆ = ∫ )GW
W
La figura mostra una forza impulsiva di grandezza F /ε con durata nel tempo ε. Se ε tende a zero,
tali forze tendono all'infinito; l'impulso definito dal suo integrale rispetto al tempo è )ˆ . Quando )ˆ
è uguale all'unità, tale forza nel caso limite di ε → 0 viene chiamata impulso unitario o funzione
delta, e viene indicata con il simbolo δ (t- ξ) e gode delle seguenti proprietà
δ ( W − ξ ) = 0 per ≠ ξW
∫ δ ( W − ξ )Gξ = 1
0
∞
∫ I (ξ )δ ( W − ξ )Gξ = I (ξ )
0
Dal momento che F dt = m dv, 1'impulso ˆ agente sulla massa darà luogo a una improvvisa
)
)ˆ
[ ( 0 ) = 0; [& ( 0 ) = Y0 =
P
)ˆ
[(W ) = sin ω 0W = K(W ) )ˆ
Pω0
mentre nel caso smorzato
[(W ) =
)ˆ
Pω0 1 − ξ 2
H −ξω
0W
( )
sin 1 − ξ 2 ω 0W = K(W ) )ˆ
Nota la risposta h(t) del sistema meccanico a un’eccitazione d’impulso unitario è quindi possibile
calcolarne la risposta a una forza arbitraria f(t), immaginandola come costituita da una serie
d’impulsi )ˆ = I (ξ )∆ξ
I (ξ )∆ξ K(W − ξ )
e poiché il sistema è lineare, valendo il principio di sovrapposizione degli effetti, la risposta del
nostro sistema alla forzante arbitraria f(t) è dato da
[ (W ) = ∫ I (ξ )K(W − ξ )Gξ
0
Da quanto detto, si può banalmente calcolare la risposta a una forzante a gradino del tipo f(t)=F0,
già vista in precedenza.
Se il sistema è non smorzato, abbiamo che
1
K(W ) = sin ω 0W
Pω 0
e quindi
) W
)
[(W ) = 0 ∫ sinω0 ( W − ξ ) Gξ = 0 (1 − cos ω0W )
Pω0 0 N
coincidente, ovviamente, con quanto avevamo ottenuto attraverso le condizioni iniziali e l’integrale
particolare.
∞
+ ( I ) = ) K (τ ) = ∫ K (τ )H− M 2π I τ
Gτ
0
e, ovviamente che
K(τ ) = ) −1 + ( I )
6,67(0,121/,1($5,
G ( G7 ) − G7 + G8 = 4
GW GT& GT GT
dove
• T è l’energia cinetica del sistema;
• U è l’energia potenziale delle forze conservative agenti;
• q è la coordinata libera che si è scelta per rappresentare il moto del sistema;
• Q, detta componente lagrangiana, rappresenta la somma dei lavori elementari di tutte le altre
forze agenti sul sistema per un incremento virtuale unitario δ T = 1 della variabile
*
indipendente.
G G7 G7
In perticolare, il termine ( )− rappresenta il lavoro virtuale delle forze e coppie
GW GT& GT
d’inerzia del sistema; il termine
G8 il lavoro virtuale delle forze che ammettono potenziale,
GT
mentre 4 = G: è il lavoro virtuale di tutte le altre forze agenti sul sistema.
δT *
[ = [ (W , T ) per i = 1,2, 3, …, m
L L
Nei casi di cui ci occuperemo, gli m legami geometrici risultano indipendenti dal tempo per cui
[ = [ (T ) per i = 1,2, 3, …, m
L L
Ne deriva che
P P
1
7 = ∑ 7 = ∑ P [& 2 L L L
=1 2 =1
L L
Ma
G[ (T ) G[ (T )
[& = =L
T& L
GW GT
L
e quindi
2
P
1 G[ (T ) P
7 = ∑ 7 = T& 2 ∑ P = 7 ( T, T& )
L
=1L
2
L
=1 GT L
L
Ma
∂7 ∂7
7 (T, T& ) = 7 (T0 ,0) + (T − T0 ) + T& + ...
∂T T= T0 ,T& = 0
∂T& T = T0 , T& =0
1 ∂ 27 ∂ 27 1 ∂ 27
+ (T − T0 ) +
2
(T − T0 )T& + T& 2 + ...
2 ∂T 2 T = T0 , T =0
&
∂T ∂T&
T= T0 ,T = 0 &
2 ∂T& 2 T = T0 ,T& = 0
G G7 ∂ 27 ∂ 27
( )≅ 2 T&& + T&
GW GT& ∂T& T = T0 , T =0 &
∂ T ∂ T
&
T = T0 ,T = 0 &
e
G7 ∂7 ∂ 27 ∂ 27
≅ + ( T − T0 ) + T&
GT ∂T T = T0 ,T& =0
∂T 2 T= T0 ,T& = 0
∂T∂T& T=T0 ,T=0 &
8 (T) = 8 (T ) + G8 ( T − T ) + 1 G 8 ( T − T )
2
+ ...
2
GT T T
0
2 GT T T = 0
0 2
= 0
0
che porta a
G8 ≅ G8 + G 8 ( T − T ) 2
GT GT T T GT T T = 0
2
= 0
0
r
G[ ur
ur r ) × * r L
G: δ / ) ×δ [ GT GT* = ) × [ = ) cosα G[
ur G
L
* P P P P P
4= * =∑ * =∑ = ∑ L
∑=1 GT* ∑=1
L L L
L
=1 L =1 L L L L
+
G4 T& + G4 T&& + ...
GT& WT WT =0
= 0 ,T& = T&&=0
GT&& WT WT =0
= 0 ,T& = T&&=0
Ovvero, utilizzando Lagrange, ed eventualmente linearizzando con Taylor i termini non lineari,
perverremo sempre a una equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa del tipo
PT&& + UT& + NT = ) (W ) + )0
dove, nel caso più generale,
∂ 27 G4
• P= 2 −
∂T& GT&& WT WT
;
=0
T = T0 ,T& =0 = 0 ,T& = T&&=0
• U = − G4
GT& WT WT T T
;
=0
= 0 , & = &&=0
N = G 8 − G4
2
•
GT T T GT WT WT
2
;
=0
= 0 = 0 ,T& = T&&=0
G4
• ) (W ) = ;
GW WT==WT ,T=T=0
0
0 & &&
G8 G 28
• )0 = 4(W0 , T0 ,0,0) − + 2 T0
GT T = T0
GT T = T0
Con un’opportuna scelta di t0 e di q0 è sempre possibile fare in modo che F0 sia nullo, se non
interessa studiare la risposta del sistema alla sua applicazione, e quindi risolvere l’equazione
differenziale linearizzata al fine di valutare la stabilità del sistema per piccole oscillazioni attorno
alla posizione q0 a partire dall’istante t0.
4(W , T ,0,0) − G8 =0
0 0
GT T T = 0
(VHPSLGLVLVWHPLQRQOLQHDUL
Molle ad aria
Ricordando quanto detto a proposito dell’isolamento delle vibrazioni, possiamo dimostrare che
utilizzando un sistema di molle ad aria è possibile avere frequenze proprie del sistema molto piccole
con freccia statica nulla.
S0 $ = 0J
Supponendo che l’aria segua una legge di
trasformazione politropica, spostandosi la massa M,
avremo di conseguenza
S090γ = S9 γ
&S
con γ= ovvero
&9
γ
9
S = S (9 ) = S0 0
9
Il lavoro virtuale compiuto dalla pressione per uno spostamento virtuale, misurato dalla posizione di
equilibrio, del suo punto di applicazione vale
δ * / = − ( S(9 ) − S0 ) $δ [*
e quindi
4 = −( S(9 ) − S0 ) $
ovvero
GS S
4 ≅ −( S0 + (9 − 90 ) − S0 ) $ = (γ 0 (9 − 90 )) $
G9 9 =9 0
90
GS S
4 ≅ −( S0 + (9 − 90 ) − S0 ) $ = (γ 0 (9 − 90 )) $
G9 9 =9 0
90
ma
9 = 90 − $[
per cui
S0 S 0J
4 ≅ (γ ( 90 − $[ − 90 )) $ = −γ 0 $2 [ = −γ $[
90 90 90
e quindi
0J 0J
0[&& + γ $[ = 0 ⇒ ω 0 = γ $
90 90 0
Profili alari
V
[, [&, &&[, )
1 5O = : O + 'K − /O ⇒ [ =
15
2
0
NV
dove W è il peso della vettura e ks è la rigidezza equivalente della sospensione posteriore (per
semplicità supponiamo i montanti dell’ala rigidi).
Supponiamo ora un moto verticale della sospensione con relativa traslazione dell’ala rispetto a
questa posizione di equilibrio.
L’ala verrà quindi investita da una velocità relativa
V 95 = 9 2 + [& 2
con anomalia
[&
VR
[&
αˆ = tan −1
9
L
VR
L
V α̂
α
α
D
D
per cui scrivendo l’equazione di equilibrio alla traslazione verticale della sola sospensione
posteriore, ala compresa, avremo, con ovvio significato dei simboli,
1 1
− PV &&
[ − UV [& − NV [ − ρ $952&' (−αˆ + α )sin αˆ + ρ $952&/ (−αˆ + α )cosαˆ = 0
2 2
che linearizzata con Taylor porta a
1 1 G& (α )
/
− PV &&
[ − UV [& − NV [ + ρ $&/ (α 0 )9 2 − ρ $[9
& + &' (α 0 ) = 0
2 2 Gα α =α
0
ovvero
1 G& (α ) 1
[ − UV + ρ $9 /
− PV && + &' (α 0 ) [& − N V [ + ρ $&/ (α 0 )9 2 = 0
2 Gα α =α 2
0
G&/ (α )
Ora, nel caso in questione, può essere negativa assumendo valori molto maggiori di
Gα α =α 0
G& (α )
&' (α 0 ) , per cui /
+ &' (α 0 ) <0 ed esisterà sempre una velocità V di avanzamento
Gα α =α
0
della vettura, al di sopra della quale
1 G& (α )
/
UHT = UV + ρ $9 + &' (α 0 ) < 0
2 Gα α =α
0
[ − UHT [& + N V [ = 0
PV &&
ha entrambe le radici
UHT ± UHT2 − 4 PV N V
λ1,2 = >0
2PV
che daranno luogo a un moto libero espansivo nel tempo per effetto di una perturbazione iniziale.
) = 2 1I
diretta in verso opposto alla velocità periferica
relativa del disco e a una forza uguale e opposta sarà
sottoposta la pinza.
− PS &&
[ − UV [& − NV [ + 2 1I (9UHO ) = 0
dove
GI
I (9UHO ) ≅ I ( 0 ) + 9UHO
G9UHO 9 UHO =0
ovvero
GI
−P [ U [ − NV [ + 2 1
S && − V & I (0) + (9 − [ ) = 0
&
G9UHO 9 =0UHO
P S &&[ + UV + 2 1 GI [& + N V [ = 2 1 I ( 0) + GI 9
G9UHO 9UHO
=0
G9UHO 9 =0
UHO
P S &&[ + UV + 2 1 GI [& + N V [ = 2 1 I ( 0 ) + GI 9
G9UHO 9 UHO
=0
G9UHO 9 =0
UHO
GI
Anche in questo caso < 0 per cui esisterà sempre una forza N tale per cui
G9UHO 9
UHO = 0
UV + 2 1 GI <0
G9UHO 9 UHO =0
(VHPSLGLVLVWHPLQRQOLQHDUL
Molle ad aria
Ricordando quanto detto a proposito dell’isolamento delle vibrazioni, possiamo
dimostrare che utilizzando un sistema di molle ad aria è possibile avere frequenze
proprie del sistema molto piccole con freccia statica nulla.
S0 $ = 0J
S090γ = S9 γ
&S
&9
con γ = ovvero
9
S = S (9 ) = S0 0
γ
9
Il lavoro virtuale compiuto dalla pressione per uno spostamento virtuale, misurato
dalla posizione di equilibrio, del suo punto di applicazione vale
δ * / = − ( S (9 ) − S0 ) $δ [*
e quindi
4 = −( S (9 ) − S0 ) $
ovvero
GS S0
4 ≅ −( S0 + (9 − 90 ) − S0 ) $ = (γ (9 − 90 )) $
G9 9 =90 90
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 1
A.A. 2000/2001
Lezione XXVIII
Sistemi vibranti a 2-n gdl
6LVWHPLDSLJUDGLGLOLEHUWjQRQVPRU]DWL
Per un sistema non smorzato con N gradi di libertà, le equazioni che ne governano il
moto possono essere sempre scritte nella forma matriciale
[ 0 ]{&&[(W )} + [ . ]{ [(W )} = { I (W )}
dove
Applicando il principio di
sovrapposizione degli effetti, ovvero
calcolando le forze che agiscono sul
sistema prima per [1 ≠ 0, [2 = 0 e poi
quelle per [1 = 0, [2 ≠ 0 , si possono
facilmente determinare le equazioni di equilibrio dinamico delle due masse, ovvero
P1 &&
[1+ N1 [1 + N2 ( [1 − [2 ) = I1
[2 + N3 [2 + N2 ( [2 − [1 ) = I 2
P2 &&
•
[ 0 ] = 01
P 0
P
2
N1 + N2 −N2
• [. ] =
− N2 N2 + N3
[1 ( W ) I1
• { [(W )} = e { I (W )} =
[2 ( W ) I2
{ [(W )} = { ; } Hλ W
([ . ] + λ [ 0 ]){ ; } H = {0}
2 λW
det [ N ] + λ [0 ] = det
N N
1 + 2 + λ2 P − N
=0
2 1 2
− 2 N N +N
2 3 + λ2 P
2
( )
P1P2λ + P1 (N2 + N3 ) + P2 ( N1 + N2 ) λ + N1N2 + N1N3 + N2 N3 = 0
4 2
⇓
Dλ + Eλ 2 + F = 0
4
2
−E E F
λ =
2
+ − < 0 ⇒ λ1,2 = ±Lω1
2D 2D D
1
2
−E E F
λ = 2
− − < 0 ⇒ λ3,4 = ±Lω 2
2D 2D D
2
([ . ] − ω [ 0 ]){ ; } = {0}
2
1 1
([ . ] − ω [ 0 ]){ ; } = {0}
2
2 2
N1 + N2 − ω12 P1 −N2 1 ; 1 0
=
−N2 N2 + N3 − ω12P2 1 ; 2 1 0
Risolvendo la prima equazione
( N1 + N2 − ω12P1 ) 1 ; 1 − N2 1 ; 2 = 0
ovvero
1
{ ; }1 = N1 + N2 − ω12P1 1 ; 1
N2
e analogamente
1
{ ; }2 = N1 + N2 − ω 22P1 2 ; 1
N2
Nel caso, a esempio, che P1 = P2 = P e N1 = N2 = N3 = N , abbiamo che
N 3N
ω12 = e ω 22 =
P P
e corrispondentemente
1 1
{ ; }1 = 1 ; 1 e { ; }2 = 2 ;1
1 −
1
([ . ] + λ [ 0 ]){ ; } H = {0}
2 λW
([ 0 ] [ . ] + λ 2 [ , ]){ ; } Hλ = {0}
−1 W
([ $] − γ [ , ]){9 } = {0}
dove γ sono gli autovalori della matrice [A] e {9 } i corrispondenti autovettori.
E’ ovvio che
−γ ≡ λ 2 e {9 } ≡ { ; }
Nel nostro caso si ha
1
0
[ ] =
−1 P 0
0 1
P
2N −N
[ $] = [ 0 ] [ . ] P P
−1
−N 2N
P P
i cui autovalori e autovettori sono
3N
−1 1
{γ } = P e [9 ] =
N P 1 1
([ . ] − ω [ 0 ]){ ; } = {0}
2
1 1
e
([ . ] − ω [ 0 ]){ ; } = {0}
2
2 2
{ ; }2
7
Premoltiplicando la prima espressione per abbiamo
{ ; }2 ([ . ] − ω22 [ 0 ] ){ ; }1 = {0} ⇒ { ; }2 [ . ] { ; }1 = { ; }2 ω 22 [ 0 ] { ; }1
7 7 7 7 7 7 7
{ ; }2 [ 0 ]{ ; }1 = { ; }2 [ . ]{ ; }1 = 0
7 7
ovvero i modi propri vibrare, associati a frequenze proprie distinte, sono ortogonali
rispetto alla matrice di massa e rigidezza.
Inoltre
{ ; }L [ 0 ]{ ; }L = PLL e { ; }L [ . ]{ ; }L = NLL
7 7
P 0 1
P11 = [1 1] 1 = 2P; P22 = 2P; N11 = 2N ; N22 = 6N
0 P
Cerchiamo ora un sistema di coordinate libere che disaccoppi contemporaneamente il
sistema tanto inerzialmente, quanto elasticamente, ovvero tale per cui le equazioni
che, risolte, descrivano il moto del sistema siano disaccoppiate.
Se costruiamo una matrice quadrata ψ le cui colonne siano costituite dai modi propri
di vibrare, ovvero
; ;1
[ψ ] = 1 ; 1 2
detta anche matrice modale
1 2 2 ;2
e definiamo la trasformazione
dove GLDJ [ P] e GLDJ [ N ] sono matrici diagonali, tali per cui i elementi P LM
= 0e
N = 0 se M ≠ L
LM
Nel nostro caso con le due masse uguali tra loro, così come le tre rigidezze, si ha
2P 0 2N 0
GLDJ [ P ] = GLDJ [ N ] = 0 6N
e
0 2P
2P 0 T&&1 2N 0 T1 I1 + I2
0 2P T&& + 0 =
6N T2 I1 −
2 I2
Ma
[ ] potremmo
P premoltiplicare l’equazione per
l’inversa di G L D J
[ ] ovvero
P
dove
N 0
P
( GLDJ [ P]) GLDJ [ N ] =
−1
= GLDJ ω 2
0 3N
P
[ 0 ]{&&[(W )} + [ . ]{ [(W )} = { I } H ω L W
{ [(W )} = { [} H ω L W
([ . ] − ω [ 0 ]){ [} = { I } ⇒ { [} = ([ . ] − ω [ 0 ]) { I }
2 2 −1
{ [} = + (ω ){ I }
dove + (ω ) è la receptance matrix del sistema, quadrata di ordine N, e ne costituisce
il modello della sua risposta in frequenza.
Ma
[ψ ] ([ . ] − ω 2 [ 0 ])[ψ ] = ( GLDJ ω 2 − ω 2 [ , ]) = [ψ ] ( + (ω ) ) [ψ ]
7 7 −1
e quindi
+ (ω ) = [ψ ]( GLDJ ω )
−1
− ω 2 [ , ] [ψ ]
2 7
+ (ω ) = [ψ ]( GLDJ ω )
−1
− ω 2 [ , ] [ψ ]
2 7
[ M (ω ) [ (ω ) 1 U ; M ⋅ U ; N
I M (ω ) ∑
K MN (ω ) = = KNM (ω ) = N =
I N (ω ) U =1 ω U − ω
2 2
da cui si nota come il sistema possa andare in risonanza, qualora la pulsazione della
forzante ω uguagli una delle N frequenze ω U proprie del sistema vibrante.
−2N + ω 2 P 2N − ω 2 P
K11 (ω ) = − 2 =
3N − 4NPω 2 + ω 4 P2 P2 (N / P − ω 2 )(3N / P − ω 2 )
N N
K21 (ω ) = =
3N 2 − 4NPω 2 + ω 4 P 2 P 2 (N / P − ω 2 )(3N / P − ω 2 )
1 1 2N − Pω 2
K11 (ω ) = + =
2 P(N / P − ω 2 ) 2P(3N / P − ω 2 ) P2 (N / P − ω 2 )(3N / P − ω 2 )
1 1 N
K21 (ω ) = − = 2
2P(N / P − ω ) 2P(3N / P − ω ) P (N / P − ω )(3N / P − ω 2 )
2 2 2
$SSOLFD]LRQLO¶DVVRUELWRUHGLQDPLFR
Consideriamo il comportamento
assorbitore
del cavo con l’assorbitore
dinamico, considerando
quest’ultimo, per semplicità, a un
solo grado di libertà anziché a
quattro, ovvero ci si riconduca allo schema seguente dove m1 e k1
sono rispettivamente la massa e la rigidezza a flessione del cavo,
mentre m2 e k2 sono quelle di uno dei due contrappesi. Essendo il
sistema lineare, o a questo approssimato, la forzante armonica è una
delle componenti dello sviluppo in serie di Fourier dell’azione del
vento.
N1 N2 )0
ω11 = , ω 22 = e ;0 =
P1 P2 N1
e imponiamo come soluzioni degli integrali particolari
[1 (W ) = ; 1 sin ωW e [2 (W ) = ; 2 sin ωW
Si nota immediatamente che per ω = ω 22 , pari alla frequenza propria del solo assorbitore,
;1 ; N
tende a zero mentre 2 vale − 1 ovvero
;0 ;0 N2
N2 ; 2 = )0 = ω 2P2 ; 2
che ci permette, noto F0 e ω2, di determinare l’entità della massa m2 imposta la massima
freccia ammissibile per il trefolo che regge la massa stessa.
Le due frequenze proprie del sistema dipendono, ovviamente dal rapporto µ =
P22
P11
9LEUD]LRQLIRU]DWHVPRU]DWH6PRU]DPHQWRSURSRU]LRQDOH
Come sappiamo esistono diversi tipi di smorzamento quali il viscoso, l’isteretico, quello
dovuto ad attrito coulombiano, quello aerodinamico, ecc.
P1 0 &&
[1 F1 + F2 −F2 [&1 N1 + N2 − N2 [1 )1
[ + −F
+
F2 + F3 [&2 −N2
=
N2 + N3 [2 )2
0 P2 &&2 2
ovvero
[ 0 ]{&&[} + [& ]{ [&} + [ . ]{ [} = { )}
Diremo che lo smorzamento è proporzionale se
• [& ] = α [ 0 ] ;
• oppure [& ] = β [ . ];
• ovvero [& ] = α [ 0 ] + β [ . ] .
In tutti e tre i casi, si dimostra facilmente che la matrice modale [ψ ] del sistema
conservativo associato, ovvero quello senza smorzamento, che diagonalizza tanto la
matrice di massa [ ] , quanto quella di rigidezza [ ] , rende diagonale anche la matrice
0 .
[& ] .
Infatti nel caso più generale
che rappresenta un set di N equazioni disaccoppiate, tante quante sono i gradì di libertà del
sistema, del tipo
L’equazione, che risolta fornisce la legge del moto di un sistema a un grado di libertà
forzato, mette in luce che, a meno di una costante arbitraria, la forzante è data dal lavoro
che le restanti forze agenti sul sistema compiono per l’i-simo modo di vibrare.
N F α βωL
ω 'L = ω L 1 − ξL2 ;ωL2 = LL ;ξL = LL = +
PLL 2PLLω L 2ωL 2
mentre il decay avviene con le ampiezze che decrescono esponenzialmente con legge del
tipo
−ξLωLW
H
U ;L ⋅ U ; M
1
KLM (ω ) = ∑
U =1 ( NUU − PUUω ) + L(ω FUU )
2
6PRU]DPHQWRLVWHUHWLFR
Nel caso di smorzamento isteretico o strutturale abbiamo già visto che l’energia dissipata
in un ciclo è indipendente dalla pulsazione ma dipende solo dalla ampiezza di vibrazione
ovvero
[ 0 ]{&&[} + Lη [ . ]{ [} + [ . ]{ [} = {) }
Passando in coordinate principali
ovvero un set di N equazioni disaccoppiate, tante quante sono i gradì di libertà del sistema,
del tipo
Ovviamente
N
λ2 = − LL
(1 + Lη ) = −ω 2 1+η2H
L tan −1(η )
P
L L
LL
U ;L ⋅ U ; M
1
KLM (ω ) = ∑
U =1 ( NUU − PUUω ) + L (η NUU )
2
6PRU]DPHQWRQRQSURSRU]LRQDOH
P1 0 [&1 P1 0 [&1 0
0 P [& − 0 P [& = 0
2 2 2 2
P1 0 &&
[1 F1 + F2 −F2 [&1 N1 + N2 − N2 [1 )1
0 P && + [& + − N =
[
2 2 − F2 F2 + F3 2 2 N2 + N3 [2 )2
ovvero
0 0 P1 0 && [1 P1 0 0 0 [&1 0
−
0 0
0
P2 [2 0 P2
&&
0 0
[&2 = 0
P 0 F + F +
−F2 [&1 0 0 N1 + N2 −N2 [1 )1
1 1 2
0 P2 −F2 F2 + F3 [&2 0 0 −N
2 N2 + N3 [2 )2
Sostituendo
[1 = ]1 [&1 = ]&1 = ]3 [1
&& = ]&3
[2 = ]2 [& 2 = ]&2 = ]4 [2 = ]&4
&&
otteniamo
0 0 P1 0 ]&3 P1 0 0 0 ]3 0
−
0 0
0
P2 ]&4 0 P2 0 0
] 4 = 0
P 0 F + F +
−F2 ]&1 0 0 N1 + N2 −N2 ]1 )1
1 1 2
0 P2 −F2 F2 + F3 ]&2 0 0
− N2 N2 + N3 ]2 )2
ovvero
che può essere risolta con il metodo degli autovalori con λL = ω 'L
Supponiamo che
P1 = P2 = P F1 = F2 = F3 = F N1 = N2 = N3 = N
3F + 9F 2 − 12PN
0 0 0
2P
3F − 9F − 12PN
2
0 0 0
2P
GLDJ [ω ' ] =
F + F 2 − 4PN
0 0 0
2P
F − F 2 − 4PN
0 0 0
2P
3F + 9F 2 − 12PN 3F − 9F 2 − 12PN F + F 2 − 4PN F − F 2 − 4PN
− −
2P 2P 2P 2P
3F + 9F 2 − 12PN 3F − 9F − 12PN F + F − 4PN F − F − 4PN
[ψ ] =
2 2 2
2P 2P 2P 2P
−1 −1 1 1
1 1 1 1
dove gli elementi delle prime due righe, come ci aspettavamo, soddisfano la condizione
Nel caso, invece, generale di smorzamento non proporzionale i modi propri smorzati
$SSOLFD]LRQLVWXGLRGHOFRPSRUWDPHQWRGLQDPLFRGLXQ¶DXWRYHWWXUD
Le frequenze proprie per i primi due tipi di moto sono dello stesso ordine di grandezza e
generalmente inferiori a 1 Hz. Le ruote, invece, si muovono in senso verticale con rapidità maggiore
e la loro frequenza è dalle 6 alle 10 volte più grande di quella della cassa.
A causa di questa notevole differenza delle frequenze proprie, i moti del corpo (1) e (2) e quello delle
ruote (3) avvengono pressoché indipendentemente.
Per esempio il movimento delle ruote è a frequenza troppo alta per influenzare apprezzabilmente i
movimenti del telaio e i movimenti del telaio sono a frequenza bassa per influenzare quello delle
ruote.
È evidente quindi che possiamo studiare i moti del telaio e quelli delle ruote separatamente,
semplificando notevolmente il problema.
ovvero
P [ N1 + N2
0 && N2O2 − N1O1 [ 0
0 + 2
=
- θ&& N2O2 − N1O1 N1O1 + N2O2 θ 0
2
Utilizzando diverse coordinate libere, ovvero gli spostamenti x1e x2 degli estremi della due molle
avremmo avuto che
[2 − [1 O2 O1
[ = [1 + O + O O1 [ O + O
O1 + O2 [1 [
= [Λ] 1
⇒ =
1 2 1 2
θ = [2 − [1 θ − 1 1 [2 [2
O1 + O2
O +O
O1 + O2
1 2
e quindi
O2 O1
P
O +O P
O1 + O2 &&
[ N N2 [1 0
1 2 1+ 1 =
- - [2 − N1O1 N2O2 [2 0
&&
−
O +O
1 2 O1 + O2
2 2
1 1 1 [& − [&1 1 [& − [&1
7 = P[& 2 + -θ& 2 = P [&1 + 2 O1 + - 2
2 2 2 O1 + O2 2 O1 + O2
da cui
∂7 [& − [& O [& − [& 1 G ∂7 PO12 + - PO O − -
= P [&1 + 2 1 O1 2 − - 2 1 ⇒ = [
&& + &&
[2 1 2 2
∂[&1 O1 + O2 O1 + O2 O1 + O2 O1 + O2 GW ∂[&1 ( O1 + O2 ) ( O1 + O2 )
1 2
mentre
8 = 1N [ 2
1 1 +
1
N2 [22
2 2
ovvero
PO12 + - PO1O2 − -
( + ) ( O1 + O2 )
2 2
O O &&
[1 N1 0 [1 0
+ =
1 2
PO O − - PO22 + - && [2 0 N 2 [2 0
12 2
( O1 + O2 ) ( O1 + O2 )
2
Se poi volessimo studiare la risposta del sistema quando l’autovettura viaggia con una velocità
costante v su un suolo accidentato definito da una legge
∞
U 2π
\( [) = ∑<U sin( [)
U =1 λ
con λ lunghezza d’onda fondamentale, possiamo ricordare che
[ = YW + [0
ovvero
∞
U 2π U 2π ∞
\( [) = ∑ <U sin( YW + [0 ) = ∑ <U sin(Uω0W + Uϕ0 )
U =1 λ λ U =1
2π 2π
con ω0 = Y;ϕ 0 = [0
λ λ
9HORFLWjFULWLFKHIOHVVLRQDOL
ωt
Per le ipotesi semplificative fatte il moto del disco è piano e siano x(t) e y(t) le coordinate del centro
r x(t)
del disco al generico istante t, ovvero potremo definire un vettore z (t) = e di conseguenza
y(t)
l’equazione vettoriale di equilibrio del sistema risulta
r r r
− P]&&* − N] + PJ = 0
dove
r x(t)
zG (t) = + ε ⋅ e iω t
y(t)
equazioni caratteristiche di un sistema a due gradi di libertà forzato da una forzante armonica di
pulsazione ω. Nasceranno quindi fenomeni di risonanza qualora
k
ω = ω 0x = ω 0y = ω 0 =
m
Analizzando le soluzioni a regime, ovvero i due integrali particolari, avremo ovviamente che
v X P1 mg
z P1 = = k
YP1 0
ovvero che il sistema ruoterà attorno alla posizione dovuta alla freccia statica, mentre
ε
ω 0 2
−
v XP2 ω 1
i ωt
z P2 = = ε e
YP 2
0 ω
2
ω − 1
ovvero la traccia dell’asse di rotazione dell’albero percorre una traiettoria circolare di raggio pari a
XP2 con velocità angolare del raggio vettore pari a ω, identica a quella con la quale il baricentro G
percorre una circonferenza di raggio ε.
Ne risulta ovviamente che
Dette Fxi e Fyi le due componenti della risultante di ogni i-simo cuscinetto, risulterà:
∂) ∂) ∂) ∂)
) ( [ , \ , [& , \& ) = ) +
[L L L L L [L
∂[
[L
([ − [ 0) + ∂ \
L L
[L
( \ − \ 0 ) + ∂ [&
L L
[L
[& +
L
[L
∂ \&
\&
L
L L L
{0} {0} {0} {0}
∂) ∂) ∂) ∂)
) ( [ , \ , [& , \& ) = ) +
\L L L L L \L
∂[
\L
([ − [ 0) + ∂ \
L L
\L
( \ − \ 0 ) + ∂ [&
L L
\L
[& +
L
\L
∂ \&
\& L
L L L L
{0} {0} {0} {0}
[ = [0L L
\ = \
dove {0} =
0
e x0i e y0i sono le posizioni di equilibrio statico di ogni cuscinetto per effetto
L L
[& = 0 L
\& = 0 L
dei carichi statici gravanti.
Trascuriamo per ora i termini di velocità e i termini misti di posizione dello sviluppo di Taylor e
scriviamo le equazioni misurando gli spostamenti a partire dalla posizione di equilibrio, ovvero
∂)
) ( [ , \ , [& , \& ) ≅ ) + [L
[ =) −N [
∂[
[L L L L L [L L [L [ L
{0} {0}
L
{0}
∂)
) ( [ , \ , [& , \& ) ≅ ) + \L
\ =) −N \
∂\
\L L L L L \L L \L \ L
{0} {0}
L
{0}
Pεω 2
[ (W ) = cos ω W = ; cos ω W
N[ − Pω 2
Pεω 2
\ (W ) = sin ω W = < sin ω W
N \ − Pω 2
che quadrate e sommate danno la semplice equazione di un ellisse
x (t) y (t)
2 2
+ =1
X Y
kx
Nell’ipotesi che k x < k y eω <
m
kx ky
se <ω<
m m
ky
se, infine, <ω
m
Se, a esempio, pratichiamo una tacca sul rotore e sulla parte statorica montiamo un
trasduttore a correnti parassite, il cui segnale in uscita è proporzionale al traferro tra
la sonda e la superficie metallica del rotore, avremo così un segnale temporale tipo
quello di figura che con opportuni
operatori analogici può essere
elettricamente invertito (ovvero
moltiplicato per –1), eventualmente
squadrato e al quale si può sottrarre –
5V.
Ampiezza I armonica
Inizio periodo
Dischi
W
b eiφ2 = h11ω 2 M ε eiψ1 + t ε 2eiψ 2
g
La nuova ampiezza rappresenta 1'effetto dello sbilanciamento iniziale più quello del
peso aggiunto Wt. Se, come detto, il sistema si comporta linearmente, la differenza
vettoriale permette di calcolare la funzione di trasferimento a quella frequenza
W W
b eiφ2 − a eiφ1 = h11ω 2 M ε eiψ1 + t ε 2eiψ 2 − h11M ε eiψ1ω 2 = h11ω 2 t ε 2eiψ 2
g g
da cui
b eiφ2 − a eiφ1 −iψ 2
h11ω = 2
e
Wt
ε2
g
per cui
Wt
iφ2 iφ1 ε2
be − a e − iψ 2 g
e M ε eiψ1 ⇒ M ε eiψ1 = a e ( 1 2 )
i φ +ψ
a eiφ1 = h11ω 2 =
Wt b eiφ2 − a eiφ1
ε2
g
Corso di Meccanica Applicata alle Macchine 4
A.A. 2000/2001
Lezione XXXI
Sistemi vibranti a 2-n gdl
Wt
ε2
g
M ε eiψ1 = a e ( 1
i φ +ψ 2 )
b eiφ2 − a eiφ1
equazione complessa che equivale a due equazioni scalari e che permette di valutare
tanto l’incognita M ε , quanto l’anomalia ψ1. Una volta determinate le incognite
ponendo una massa di momento statico pari a M ε con un’anomalia pari a ψ 1 + π ,
otterremo l’annullamento della forzante.
Rotori
Nel caso di rotori su due o più supporti il procedimento è un'estensione del metodo
usato per il disco, ma in generale non è più possibile considerare la receptance matrix
costante e indipendente dalla velocità angolare, per cui l’equilibramento varrà solo
nell’intorno della velocità angolare alla quale viene effettuato.
N
F
Ponendo una massa di prova in una posizione angolare nota e a una nota distanza
dall’asse di rotazione sul piano 1 e rilanciando il rotore alla medesima velocità di
prima misureremo le seguenti vibrazioni
( )
X 1N eiψ N = hN 1 (ω ) R1ei ρ1 + M 1eiµ1ε1ω 2 + hN 2 (ω ) R2eiρ2
1
( )
X F1 eiψ F = hF 1 (ω ) R1ei ρ1 + M 1eiµ1ε1ω 2 + hF 2 (ω ) R2ei ρ2
1
da cui
1
X 1 eiψ N − X N eiψ N
X e1 iψ 1N
N − X Ne iψ N
= hN 1 (ω ) M 1e ε1ω ⇒ hN 1 (ω ) = N
i µ1 2
M 1eiµ1ε1ω 2
1
X F1 eiψ F − X F eiψ F
X F1 e iψ 1F
− X F eiψ F = hF 1 (ω ) M 1e ε1ω ⇒ hF 1 (ω ) =
iµ1 2
M 1eiµ1ε1ω 2
( ) (
X N2 eiψ N = hN 1 (ω ) R1ei ρ1 + hN 2 (ω ) R2ei ρ2 + M 2eiµ2 ε 2ω 2 )
2
( ) (
X F2 eiψ F = hF 1 (ω ) R1eiρ1 + hF 2 (ω ) R2ei ρ2 + M 2eiµ2 ε 2ω 2 )
2
da cui
2
X N2 eiψ N − X N eiψ N
X e2 iψ N2
N − X Ne iψ N
= hN 2 (ω ) M 2e ε 2ω ⇒ hN 2 (ω ) =
iµ 2 2
M 2eiµ2 ε 2ω 2
2
X F2 eiψ F − X F eiψ F
2 iψ F2
X e
F − X Fe iψ F
= hF 2 (ω ) M 2e ε 2ω ⇒ hF 2 (ω ) =
iµ 2 2
M 2eiµ2 ε 2ω 2
N Xi ⋅ r X j N Xi ⋅ r X j
hij (ω ) = ∑ r
=∑ r
r =1 (k rr − mrrω 2 ) + i (η krr ) r =1 ω2
krr 1 − 2 + i (η krr )
ωr
può essere considerato costante per cui l’equilibramento può essere effettuato a una
qualsiasi velocità angolare e il rotore, in questo caso particolare, risulta equilibrato in
tutto il campo di funzionamento.
In caso contrario il rotore è detto flessibile e l’equilibramento funziona solo
nell’intorno della velocità alla quale viene effettuato.
mx + rx x + k x x = Fx ( x, y, x, y, x, y )
my + ry y + k y y = Fy ( x, y, x, y, x, y )
dove i termini dovuti al campo di forze sono funzioni non lineari di x e y e delle loro
derivate rispetto al tempo.
[ M ]{ z} + [ R ]{ z} + [ K ]{ z} = {F ({ z} ,{ z} ,{ z})}
con
x Fx ( x, y, x, y, x, y )
{ z} = { }
, F ({ z} ,{ z} ,{ z} ) = e
Fy ( x, y, x, y, x, y )
y
m 0 rx 0 kx 0
[M ] = , [ R ] = 0 r , [ K ] = 0 k
0 m y y
∂ {F } ∂ {F} ∂ {F }
+ ( { z} − { z } ) + { z} + { z}
∂ { z} ({z0 },{0},{0})
0
∂ { z} ({z0},{0},{0}) ∂ { z } ({z0 },{0},{0})
{F ({ z} ,{ z} ,{ z})} {F ({ z } ,{0} ,{0})} +
0
∂ {F } ∂ {F} ∂ {F }
+ ( { z} − { z0 }) + { z} + { z}
∂ { z} ({z0 },{0},{0}) ∂ { z} ({z0},{0},{0}) ∂ { z} ({z0 },{0},{0})
ma
{ z} = { z0} + { z }
il sistema di equazioni differenziali di partenza può essere riscritto come
ovvero
[ M T ]{ z } + [ RT ]{ z } + [ KT ]{ z } = {0}
con, ovviamente,
[ M T ]{ z } + [ RT ]{ z } + [ KT ]{ z } = {0}
sistema di equazioni differenziali lineari omogenee a coefficienti costanti la cui
soluzione è del tipo
{ z (t )} = {Z } eλt
dove le λ sono le radici di
[ M ]{ z } + [ R ]{ z } + [ KT ]{ z } = {0}
ovvero, trascurando lo smorzamento
[ M ]{ z } + [ KT ]{ z } = {0}
da cui
[ M ] λ 2 + [ KT ] {Z } eλt = {0}
Essendo la matrice [ M ] reale, simmetrica e definita positiva, tutti i suoi minori
principali dominanti sono positivi, ovvero
∂Fx ∂Fx
∂x ∂y
Per quanto riguarda la matrice [ K F ] = − possono presentarsi due
∂Fy ∂Fy
∂x ∂y ({z0},{0},{0})
casi:
∂Fx ∂Fy
• il campo di forze è conservativo, per cui = e la matrice [ K F ] risulta
∂y ∂x
simmetrica;
∂Fx ∂Fy
• il campo di forze non è conservativo, per cui ≠ e la matrice [ K F ] non
∂y ∂x
risulta simmetrica;
1 −( m k + m k ) ± ( m k + m k ) 2 − 4m m ( k k − k k ) < 0
λ1,2
2
=
2m11m22
11 T 22 22 T 11 11 T 22 22 T 11 11 22 T 11 T 22 T 21 T 12
essendo
b > b 2 − 4ac
per cui i quattro autovalori sono tutti immaginari e il moto libero risultante è
asintoticamente stabile, ovvero si annulla per effetto dell’inevitabile smorzamento.
1 − ( m k + m k ) ± ( m k + m k ) 2 − 4m m ( k k − k k )
λ1,2
2
=
2m11m22
11 T 22 22 T 11 11 T 22 22 T 11 11 22 T 11 T 22 T 21 T 12
1
λ1,2
2
= −b ± ∆
2a
se risulta che
4m11m22 ( kT 11kT 22 − kT 21kT 12 ) > (m11kT 22 + m22 kT 11 ) 2 ⇒ ∆ < 0
avremo che
1 1 1
−b ± i ∆ =
∓ i tan −1 ( ∆ b )
λ1,2
2
= b 2 + ∆e = b 2 + ∆e ∓ iα
2a 2a 2a
e quindi
1 1
λI , II = ± b 2 + ∆ eiα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 + i sin α 2 ) = ± (ψ 1 + iψ 2 )
2a 2a
1 1
λIII , IV =± b 2 + ∆ e −iα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 − i sin α 2 ) = ± (ψ 1 − iψ 2 )
2a 2a
1 1
λI , II = ± b 2 + ∆ eiα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 + i sin α 2 ) = ± (ψ 1 + iψ 2 )
2a 2a
1 1
λIII , IV =± b 2 + ∆ e −iα 2 = ± b 2 + ∆ ( cosα 2 − i sin α 2 ) = ± (ψ 1 − iψ 2 )
2a 2a
{ z (t )} = {Z } eλt
sappiamo che, come più volte dimostrato, ciascuna coppia di radici coniugate
fornisce una sola soluzione puramente reale delle quali quella con parte reale positiva
è esponenzalmente espansiva (asintoticamente instabile), mentre l’altra è
esponenzialmente decrescente (asintoticamente stabile).
Ovvero il moto libero risultante è ellittico e instabile con pulsazione ψ 2 . Il fenomeno
prende il nome di flutter.
Se invece
4m11m22 ( kT 11kT 22 − kT 21kT 12 ) < (m11kT 22 + m22 kT 11 ) 2 ⇒ ∆ > 0
con
( kT 11kT 22 − kT 21kT 12 ) < 0
avremo anche che
b< ∆
e quindi, essendo
1
λ1,2
2
= −b ± ∆
2a
avremo due soluzione reali opposte e due immaginarie coniugate, con quella positiva
reale che porta alla divergenza.
Gli altri casi, portano a soluzioni armoniche stabili, differenti solo nei valori delle
frequenze proprie da quello già trattato nel caso di campo di forze conservativo.
Banale è poi il caso in cui la matrice [ RT ] sia definita non positiva. Il sistema sarà
soggetto a fenomeni di instabilità dinamica, con ampiezze crescenti
esponenzialmente nel tempo.
x + b1θ
α =ψ +θ − +θ
V
m 0
x rx 0 x k x 0 x 1 C (α )cosψ + CD (α )sinψ
2 L
+ + = ρ SVr
0
J θ 0 rxl 2 θ 0 k xl 2 θ 2 CCM (α )
1 1 dC x + b1θ
ρ SVr2 ( CL (α )cosψ + CD (α )sinψ ) = ρ SV 2 CL ( 0 ) + L (α ) − CD ( 0 )
2 2 dα α =0 V
1 1 dC
ρ SVr2CCM (α ) = ρ SV 2C CM ( 0 ) + M (α )
2 2 dα α =0
ρ SV 2 dCL
k
x −
2 d α
[ KT ] = α = 0
ρ SV 2C dCM
0 k xl 2 −
2 dα α =0
Potremmo, quindi, avere instabilità dinamica a un grado flessionale se il termine
ρ SV dCL
rx + + CD ( 0 ) < 0 , mentre il profilo sarebbe instabile torsionalmente se
2 dα α =0
ρ SVCb1 dCM
rxl 2 + < 0.
2 dα α =0
dCL
Come è ben noto, per i profili alari normalmente usati si ha >0 e
dα α =0
dCM
> 0 , per cui tali possibilità non sussistono, ma il fenomeno potrebbe
dα α =0
avvenire per profili con elevata sezione frontale (a.es. travi a semplice o doppio T
ecc.).
ρ SV 2C dCM
Tuttavia, analizzando la matrice [ KT ] , il termine kT 22 = k xl −
2
2 dα α =0
della matrice di rigidezza modifica la frequenza propria torsionale del profilo alare
riducendola al crescere della velocità, mentre quella flessionale, dipendente da kT11,
rimane costante. Per cui se, come accade nella realtà, la frequenza propria torsionale
in assenza di vento è più alta di quella flessionale, vi sarà sempre una velocità V per
cui le due frequenze diverranno coincidenti, dando luogo al fenomeno del flutter.
Introduzione
1 - Cinematica diretta
La cinematica diretta affronta il problema statico della ricerca delle relazioni che legano la
posizione e l'orientamento dell'estremità della struttura del robot alle variabili di giunto.
Tale relazione prende il nome di equazione cinematica in quanto governa il comportamento
cinematico del robot (Fig.1).
La struttura dei robot industriali è sempre costituita da una catena cinematica aperta, cioè da una
serie di elementi rigidi collegati l'uno all'altro da giunti. Per identificare correttamente e
sinteticamente i componenti della struttura conviene associare a ciascuno di essi un numero
seguendo un'opportuna convenzione (Fig.2).
Fig. 2 – Numerazione di elementi e giunti in un robot a n giunti
Nel seguito il primo elemento della struttura, cioè quello collegato a terra, sarà identificato
come segmento zero e i successivi con una numerazione progressiva: 1, 2, ..., n-1, n dove n è il
numero dei giunti.
I giunti vengono numerati progressivamente, a partire da uno, nell'ordine in cui si incontrano
muovendosi dalla base della struttura verso la sua estremità. Con questa convenzione, il
generico giunto i sarà quello che unisce gli elementi i-1 e i della struttura.
La cinematica diretta è meglio definita introducendo n+1 sistemi di riferimento tali che:
La configurazione assunta dalla struttura del robot, e quindi la posizione e l'orientamento della
terna di estremità, possono essere calcolate note che siano le relazioni della cinematica diretta e
gli n valori delle variabili di giunto. Premesso questo si può pensare di definire uno spazio, detto
spazio dei giunti, avente un numero di dimensioni pari a quello dei giunti, cioè n.
Un punto appartenente a tale spazio viene individuato da un insieme ordinato di n coordinate
(n1,n2,...,nn). Quindi ad ogni configurazione assunta dalla struttura del robot corrisponderà in tale
spazio un punto le cui n coordinate saranno i valori delle variabili di giunto. L'inverso non e'
sempre vero in quanto i giunti hanno possibilità di movimento limitata e quindi non sarà possibile
far corrispondere ad ogni punto dello spazio dei giunti una possibile configurazione della struttura
del robot.
La cinematica diretta può quindi essere pensata come l'insieme di quelle relazioni che
trasformano un punto dello spazio dei giunti (che esprime la configurazione della struttura del
robot) nella posizione ed orientamento di una terna cartesiana (quella solidale con l'estremità della
struttura).
2 - Cinematica diretta per un meccanismo piano a due gradi di libertà
Si consideri un meccanismo a due gradi di libertà in cui gli assi di rotazione dei due giunti siano
entrambi perpendicolari al foglio in modo tale che ogni suo movimento avvenga in tale piano
(Fig.3).
Essendo due i giunti, si dovranno definire tre terne, la prima di riferimento, la seconda solidale
al primo segmento della struttura e l'ultima al secondo. Essendo a priori del tutto arbitraria
sia la posizione in cui sistemare l'origine che l'orientamento da dare agli assi di riferimento,
conviene posizionare le terne in modo tale da semplificare il problema.
Una buona soluzione per la terna di riferimento O0_X 0 Y0 Z0 è quella di fare coincidere
l'origine con l'intersezione tra l'asse di rotazione del primo giunto e il piano in cui si muove il
robot. Per quanto riguarda l'orientazione è conveniente che l'asse Z0 coincida con quello di
rotazione del primo giunto.
L'origine della terna O1_x 1y 1z1 può essere sistemata tra l'intersezione dell'asse di rotazione
del secondo giunto ed il piano di movimento del robot, l'asse z1 coincidente con quello di
rotazione del secondo giunto mentre l'asse x1 può essere vantaggiosamente orientato in modo
da essere il prolungamento del primo braccio.
L'origine dell'ultima terna, O1_x 2 y 2 z 2 , viene in genere posizionata in un punto
dell'ultimo elemento della struttura particolarmente interessante, ad esempio quello in cui avviene
la chiusura delle due dita. Per quanto riguarda gli assi, una buona soluzione e' di disporre z2
parallelo a Z0 e z1 e x2 come il prolungamento del secondo braccio.
Nel seguito si utilizzeranno le matrici di trasformazione 4 x 4 introdotte nel capitolo precedente
anche se, essendo tutti i movimenti appartenenti al piano X 0 Y0 della terna di riferimento,
sarebbe in teoria possibile utilizzare delle matrici 3 x 3 che trascurino la terza dimensione. Tali
matrici si ottengono da quelle che verranno utilizzate togliendo la terza colonna e la terza riga.
La scelta di utilizzare comunque le più complesse matrici 4 x 4 è giustificata dalla esigenza di
rendere l'esempio più aderente alla trattazione generale del problema che verrà sviluppata nel
seguito.
Nell'intento di semplificare la rappresentazione delle funzioni trigonometriche seno e coseno, di
cui si farà un uso intenso, si adotteranno le seguenti convenzioni:
sin ϑn = Sn
cos ϑn = Cn
sin ( ϑ m + ϑn ) = Smn
cos( ϑ m + ϑn ) = Cmn
La trasformazione omogenea che descrive la terna O1_x 1y 1z 1 rispetto a quella di riferimento
e':
C1 − S1 0 l1 C1
S C1 0 l1 S1
A1 = 1
0 0 1 0
0 0 0 1
X = l1 * C 1 Y = l1* S1
La coordinata Z di O1 non pone alcun problema in quanto e' sempre nulla. Determinate le prime tre
righe della matrice non resta che completarla con la quarta per ottenere la matrice sopra
riportata.
La trasformazione omogenea che descrive la terna O2_x2 y 2 z 2 rispetto alla O1_x1 y 1 z 1 è:
C 2 − S2 0 l2C2
S C2 0 l 2 S 2
A2 = 2
0 0 1 0
0 0 0 1
Il procedimento per ottenere questa matrice e' analogo a quello utilizzato per determinare A1.
L'equazione cinematica per questo robot a due gradi di libertà sarà:
La terna di estremità risulta ruotata attorno all'asse Z dell'angolo ϑ12 rispetto al riferimento,
come risulta dalla sottomatrice di rotazione 3 x 3.
Fig. 4 – Schema del meccanismo con riportate le terne di riferimento e le coordinate libere
Esempio: dato il robot di Fig.4, calcolare la posizione dell'estremità della struttura quando:
ϑ1 = 60°
ϑ2 = -30°
sapendo che:
l 1 = 600 mm
l2 = 500 mm
x = 733.013
y = 769.615
Tale relazione sarà in pratica una trasformazione omogenea, cioè una matrice 4 x 4, i cui singoli
elementi saranno funzione delle variabili di giunto.
La posizione e l'orientamento di una qualsiasi delle terne introdotte, rispetto alla sua
precedente, può essere espressa tramite una opportuna trasformazione omogenea funzione della
variabile di giunto che ne permette il movimento relativo.
Quindi l'equazione cinematica può essere ottenuta come il prodotto delle sei trasformazioni
omogenee che descrivono le relazioni tra le terne (Fig.5).
Le sei trasformazioni di interesse sono:
dove con A si indica la matrice corrispondente e con l'indice il numero del giunto che permette il
movimento relativo delle due terne. Ad esempio, gli elementi della matrice A3 saranno funzione
della posizione assunta dal terzo giunto ed esprimeranno la posizione e l'orientamento di
O3_x3y3z 3 rispetto ad O2_x2y2z 2.
L'equazione cinematica, che d'ora in poi chiameremo T, sarà data dal prodotto delle sei matrici che
descrivono le relazioni tra le terne:
T = A1A2A3A4A5A6
Tutto è quindi ricondotto alla determinazione delle singole trasformazioni, problema che verrà
affrontato successivamente.
La maggior parte delle strutture dei robot industriali prevedono che i primi tre giunti siano
specializzati a posizionare gli oggetti nello spazio mentre i tre rimanenti ne permettono
l'orientazione. Questa considerazione suggerisce di riscrivere l'equazione cinematica
sottolineando questa specializzazione:
T = TpTo
dove:
Tp = A1A2A3
To = A4A5A6
La trasformazione Tp esprime la posizione e l'orientamento della terza terna, solidale con il terzo
elemento della struttura, rispetto al riferimento base.
Quando il robot è cartesiano tale trasformazione sarà caratterizzata dall'avere la componente
rotatoria costante in quanto i primi tre assi del robot sono prismatici e quindi non modificano
l'orientamento della terza terna rispetto al riferimento (Fig.6).
Fig. 6
Quando invece almeno uno dei primi tre giunti è rotoidale, anche la componente rotatoria della
matrice Tp sarà funzione delle variabili di giunto (Fig.7).
La trasformazione To esprime la posizione e l'orientamento della terna di estremità della struttura
rispetto alla terza. Gli ultimi tre giunti delle strutture dei robot sono praticamente sempre
rotoidali per cui la trasformazione To conterrà sempre una componente rotatoria funzione delle
variabili di giunto.
La componente traslatoria può al contrario essere nulla. Questo accade quando i giunti sono
disposti in modo che i tre assi di rotazione si incontrano in un unico punto (si parla di polso
sferico e la condizione e' verificata nella maggior parte dei robot industriali) che viene fatto
coincidere con l'origine delle terne, dalla terza alla sesta (Fig.8a). La componente di
traslazione sarà in questo caso nulla perché la posizione dell'origine della sesta terna,
coincidente con quella della terza, non può essere modificata dal movimento degli ultimi tre
giunti in quanto appartiene ai loro assi di rotazione.
Fig. 7
Nella pratica questa situazione si riscontra raramente in quanto la sesta terna viene sempre
posizionata in un punto significativo della struttura (Fig.8b); ad esempio in corrispon-
denza della flangia di attacco degli utensili o coincidente con la loro estremità operativa.
Fig. 8
Quando il polso non e' sferico la To conterrà sempre una componente traslatoria risultato del
movimento rotatorio dei giunti (Fig.9).
Fig. 9
L'intenso uso che si farà nel seguito di questa matrice consiglia tuttavia di utilizzare una
formulazione più semplice:
n x ox ax px
n oy ay p y
T= y
nz oz az pz
0 0 0 1
n = vettore normale.
Considerando una pinza ad apertura parallela delle dita sarà ortogonale al piano in cui
avviene tale movimento.
o = vettore apertura.
Verrà orientato in modo da descrivere il movimento di apertura e di chiusura delle dita.
a = vettore avvicinamento.
Indica la normale al palmo della mano e quindi la direzione con cui l'utensile di presa deve
approcciare le parti da manipolare.
p = vettore posizione.
Esprime la posizione dell'origine della sesta terna rispetto a quella di riferimento. In
generale l'origine viene posizionata nel punto centrale della pinza quando le due dita sono
completamente chiuse.
Fig. 10
Nella pratica risulta spesso conveniente adottare come terna di riferimento un sistema di
riferimento cartesiano diverso da O0_X 0Y 0Z0. Questa eventualità si presenta ad esempio
quando si deve gestire un'isola robotizzata in cui operano contemporaneamente più
macchine. In tal caso è evidente il vantaggio di riferire le posizioni di tutti gli oggetti e le
operazioni ad essi relative ad un unico sistema di riferimento.
Fig. 11
In questi casi, per descrivere la posizione e l'orientamento della sesta terna rispetto al nuovo
riferimento costituito dalla terna B (base), occorrerà considerare una ulteriore
trasformazione omogenea (Fig. 11). Tale trasformazione, indicata nel seguito con Z, esprimerà
posizione ed orientamento della terna O0_X 0Y 0Z0 rispetto alla B. Quindi la sesta terna sarà
identificata dalla trasformazione:
ZT = ZA1A2A3A4A5A6
ZTU = ZA1A2 A3 A4 A5 A6 U
Fig. 12
Fig. 13
Le regole sopra esposte sono facilmente estendibili ai giunti prismatici pur di sostituire all'asse
di rotazione la direzione di traslazione. Tra le infinite rette aventi tale direzione si opterà per
quella passante per la prima origine ben definita che si incontra avanzando nella catena cinematica
(Fig.15). La prima e l'ultima terna non possono essere completamente definite utilizzando le
regole viste in quanto si trovano alle estremità della struttura.
Fig. 14
Fig. 15
Per quanto riguarda la terna base (la prima) si conviene di posizionare l'origine in un opportuno
punto appartenente all'asse di rotazione del primo giunto e di far coincidere quest'ultimo con
l'asse Z 0. La disposizione degli assi X 0 e Y 0 e' invece arbitraria.
Per la terna di estremità risulta conveniente posizionare l'origine in un opportuno punto dell'organo
terminale e di orientare gli assi in modo che sia semplice descrivere rispetto ad essi le
operazioni di lavoro (Fig.10).
Si considerino ora i due generici elementi della struttura di un robot riportati in Fig.14 con le
relative terne.
La rappresentazione di Denavit e Hartenberg utilizza quattro parametri per descrivere la
posizione e l'orientamento della i_esima terna rispetto alla i-1-esima.
La prima coppia descrive la geometria dell'i-esimo elemento della struttura ed è costituita pertanto
da due costanti. Tali costanti sono:
a i - distanza dell'asse z i da z i-1 . Tale distanza e' la lunghezza della normale comune, cioè di quel
segmento compreso tra i due assi e normale ad entrambi. Questa costante esprime la
lunghezza dell'elemento della struttura.
α i - angolo formato dalle proiezioni dei due assi z e z i-1 su un piano perpendicolare alla
i
normale comune. Per convenzione si assume l'angolo positivo quando la proiezione dell'asse
z i-1 deve essere ruotata in senso antiorario attorno all'asse x i per sovrapporla a quella
dell'asse zi. Questa costante esprime l'angolo di rotazione dell'elemento della struttura.
La seconda coppia determina la posizione relativa dei due giunti adiacenti i ed i+1 ed è formata
da una costante e da una variabile.
di - distanza tra le due intersezioni che gli assi xi-1 ed xi hanno con l'asse e z i-1. Tale
parametro risulta essere variabile nel caso in cui il giunto i sia di tipo prismatico;
ϑi - angolo formato dalla proiezione delle due normali comuni (assi xi-1 ed xi su un piano perpen-
dicolare all' asse e z i-1. Per convenzione si assume positivo l'angolo quando la
proiezione dell'asse xi-1 deve essere ruotata in senso antiorario attorno all'asse z i-1 per
sovrapporla a quella dell'asse xi. Tale parametro risulta essere variabile nel caso in cui il
giunto i sia rotoidale.
Con questi quattro parametri si e' in grado di rappresentare la posizione e l'orientamento della
terna i-esima rispetto alla terna i-1-esima. Per semplificare la procedura che porta a scrivere la
trasformazione omogenea relativa e' utile introdurre la terna intermedia Hi_x'y'z' (Fig.16). Tale
terna avrà l'origine nel punto di intersezione tra l'asse zi-1 e xi , l'asse x' diretto come xi e l'asse z'
come z i-1. Utilizzando le due costanti ai ed α i che descrivono la geometria dell'i-esimo elemento
della struttura è possibile scrivere la trasformazione omogenea che permette di passare dalla terna
Oi_x iy izi alla Hi _x'y'z'. Tale trasformazione sarà il risultato di una traslazione di ai lungo l'asse x'
e di una rotazione di α i attorno all'asse x':
1 0 0 ai
0 cos α i − senα i 0
H i=trasl(ai,0,0)rot(x', α i ) =
0 senα i cos α i 0
0 0 0 1
Tramite i due parametri che descrivono la posizione relativa dei due giunti i-1 e i è possibile
scrivere la trasformazione omogenea che permette di passare dalla terna Hi_x'y'z' alla Oi-1_xi-
1yi-1zi-1. Tale trasformazione e' composta dalla traslazione di lungo l'asse Z i-1 e dalla rotazione
ϑi attorno allo stesso asse.
C i − Si 0 0
S Ci 0 0
H' i= trasl (0,0 d i) rot (z, ϑi ) = i
0 0 1 di
0 0 0 1
Fig. 16
La trasformazione omogenea di Denavit e Hartenberg è data dal prodotto delle due matrici Hi ed
Hi':
Per i giunti rotoidali la variabile di giunto è l'angolo ϑi mentre per quelli prismatici è la lunghezza
di. Inoltre, quando il giunto i-esimo e' prismatico, la costante ai si annulla.
Si consideri il robot a due gradi di libertà descritto nel Par. 2 e riportato in Fig. 4 e se ne
determini l'equazione cinematica.
Terne di riferimento:
O0_X0,Y0Z0
O0: intersezione tra Z0 e il piano in cui si muove il robot.
X0: direzione arbitraria.
Y0: completa la terna destra.
Z0: coincidente con l'asse di rotazione del primo giunto.
O1_x1y1z1
O1: intersezione tra z1 e il piano in cui si muove il robot.
x1: prolungamento della normale comune agli assi Z0 e z1 passante per O0 .
y1: completa la terna destra.
z1: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto.
O2_x2y2z2
O2: punto di chiusura della pinza del robot.
x2: prolungamento del segmento O1O2
y2: completa la terna destra.
z2: parallelo a Z0 e z1.
Giunto ϑi d1 αi a1 Matrice
1 ϑ1 0 0 l1 A1
2 ϑ2 0 0 l2 A2
Equazione cinematica:
nx = C12
ny = S12
nz = 0
ox = -S12
oy = C12
oz = 0
ax = 0
ay = 0
az = 1
px = l2*C12+l1*C1
py = l2*S12+l1*S1
pz = 0
Terne di riferimento:
O0_X0Y0Z0
O0: un punto dell'asse di traslazione del primo giunto coincidente con quello di rotazione
del secondo.
X0: direzione arbitraria.
Y0: completa la terna destra.
Z0: coincidente con l'asse parallelo alla direzione di traslazione del 1° giunto passante per O0.
O1_x1y1z1
O1: intersezione tra z1 e la normale comune con la retta parallela alla direzione di trasla-
zione del terzo giunto passante per O3.
x1: coincidente con X0 quando d1=0.
y1: coincidente con Y0 quando d1=0.
z1: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto.
O2_x2y2z2
O2: intersezione tra z2 e la normale comune a z1.
x2: normale al piano individuato da z1 e z2.
y2: completa la terna destra.
z2: coincidente con la retta parallela alla direzione di traslazione del 3°giunto passante per O3.
O3_x3y3z3
O3: punto di chiusura della pinza del robot.
x3: coincidente con il vettore normale della pinza.
y3: coincidente con il vettore apertura.
z3: coincidente con il vettore avvicinamento.
Parametri cinematici e variabili di giunto:
Giunto ϑi di αi ai Matrice
1 0 d1 0 0 A1
2 ϑ3 0 -90° a2 A2
3 0 d3 0 0 A3
1 0 0 0
0 1 0 0
A1=
0 0 1 d1
0 0 0 1
C 2 0 − S2 a2C 2
S 0 C2 a 2 S 2
A2 = 2
0 −1 0 0
0 0 0 1
1 0 0 0
0 1 0 0
A3 =
0 0 1 d3
0 0 0 1
Equazione cinematica:
n x = C2
ny=S2
nz=0
ox=0
oy=0
o z = -1
ax=-S2
a y = C2
az=0
p x = -d 3 S 2 + a 2 C2
p y = d 3 C 2 + a 2 S2
p z = d1
d1 = 500 mm
ϑ3 = 30 °
d3 = 400 mm
sapendo che:
a2 = 100 mm
Il risultato ottenuto può essere verificato disegnando la configurazione della struttura corrispon-
dente ai dati del problema.
Fig. 18
Terne di riferimento:
O0_X0Y0Z0
O0: intersezione tra Z0 e Z1.
X0,Y0: direzioni arbitrarie.
Z0: coincidente con l'asse di rotazione del primo giunto.
O1_x1y1z1
O1: coincidente con O0.
x1: normale al piano individuato da Z0 e z1.
y1: completa la terna destra.
z1: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto.
O2_x2y2z2
O2: intersezione tra z2 e la normale comune con z1 passante per O1.
x2: prolungamento della normale comune.
y2: completa la terna destra.
z2: coincidente con l'asse di rotazione del terzo giunto.
O3_x3y3z3
O3: coincidente con O2.
x3: coincidente con il vettore normale della pinza.
y3: coincidente con il vettore apertura.
z3: coincidente con il vettore avvicinamento.
Intuitivamente si sarebbe tentati di sistemare l'origine di questa terna in corrispondenza del
punto di chiusura della pinza. Questa sistemazione non è tuttavia compatibile con la metodologia
di Denavit e Hartenberg in quanto i quattro parametri non sarebbero sufficienti per descriverne la
posizione rispetto alla terna precedente. In particolare, per portare a coincidere le due origini,
sarebbe necessario traslare O3 lungo l'asse x 2, movimento non permesso dal formalismo adottato.
La posizione della pinza (P in Fig.18), detta l2 la distanza tra P ed O3 può essere calcolata come
segue:
Px = px + l2ax
Py = py + l2ay
Pz = pz + l2az
Infatti P si trova sul prolungamento in direzione positiva dell' asse z3, di cui si conoscono i coseni
direttori ax, ay, az.
L'orientamento e' invece determinato dalla conoscenza di quello della terza terna.
Giunto ϑi di αi ai Matrice
1 ϑ1 0 -90 0 A1
2 ϑ2 0 0 l1 A2
3 ϑ3 0 90 0 A3
C1 0 − S1 0
S 0 C1 0
A1 = 1
0 −1 0 0
0 0 0 1
C2 − S2 0 l1C 2
S2 C2 0 l1 S 2
A2 =
0 0 1 0
0 0 0 1
C 3 0 S3 0
S 0 − C3 0
A3 = 3
0 1 0 0
0 0 0 1
Equazione Cinematica
nx = C1C23
ny = S1C23
nz = -S23
ox = -S1
oy = C1
oz = 0
ax = C1S23
ay = S1S23
az = C23
px = l1C1C2
py = l1S1C2
pz = - l1S 2
Px = l1C1C2 + l2C1S23
Py = l1S1C2 + l2S1S23
Pz = -l1S2+l2C23
ϑ1 = 90 °
ϑ2 = 0 °
ϑ3 = 0°
sapendo che:
l1 = 600
l2 = 500
0 0 1 600
0 1 0 0
T = A1A2A3 =
− 1 0 0 0
0 0 0 1
Il risultato ottenuto può essere verificato osservando la Fig.18 che rappresenta il robot con
questa configurazione dei giunti.
La posizione del centro pinza sarà un punto che, rispetto all'origine O3 e' traslato di 500mm nel
verso positivo dell'asse z3. Conoscendo i versori di z3 le coordinate di tale punto possono essere
calcolate:
L'orientamento della pinza è definito dai versori degli assi della terza terna.
Fig. 19
Terne di riferimento:
Il polso viene normalmente collocato a valle dei tre giunti principali per permettere al robot di
orientare correttamente gli oggetti. Per questo si considererà come terna di riferimento la
O3_x3y3z3 mentre le successive avranno indice crescente, così come le variabili di giunto che
saranno indicate con ϑ 4ϑ5ϑ6 .
O3_x3y3z3
O3: intersezione degli assi di rotazione dei giunti.
x3,y3: direzioni arbitrarie.
z3: coincidente con l'asse di rotazione del primo giunto del polso.
O4_x4y4z4
O4: coincidente con O3.
x4: normale al piano individuato da z3 e z4.
y4: completa la terna destra.
z4: coincidente con l'asse di rotazione del secondo giunto del polso.
O5_x5y5z5
O5: coincidente con O4.
x5: normale al piano individuato da z4 e z5.
y5: completa la terna destra.
z5: coincidente con l'asse di rotazione del terzo giunto del polso.
O6_x 6y 6z6
O6: punto di chiusura della pinza del robot.
x6: coincidente con il vettore normale della pinza.
y6: coincidente con il vettore apertura.
z6: coincidente con il vettore avvicinamento.
C 4 0 − S4 0
S 0 C4 0
A4 = 4
0 1 0 0
0 0 0 1
C 5 0 − S5 0
S 0 − C5 0
A5 = 5
0 1 0 0
0 0 0 1
C 6 − S6 0 0
S C6 0 0
A6 = 6
0 0 1 d6
0 0 0 1
Equazione cinematica:
nx = C4C5C6-S4 S6
ny = S4C5C6-C4 S6
nz = -S5C6
ox = -C4C5S 6-S4 C6
oy = S4C5C6-C4 S6
oz = -S5C6
ax = C4S5
ay = S4S5
az = C5
px =d6C4 S5
py =d6S4 S5
pz =d6S5
Esempio: dato il polso di Fig.19, calcolare la posizione e l'orientamento della sua terna di
estremità quando:
ϑ4=0°
ϑ 5 = 0°
ϑ 6 = 0°
sapendo che:
d6 = 150 mm
1 0 0 0
0 1 0 0
T = A4A5A6 = =
0 0 1 150
0 0 0 1
Introduzione
La posizione e l'orientamento della terna di estremità di un meccanismo a più gradi di libertà
dipendono dalle caratteristiche geometriche della struttura e dalla configurazione dei suoi giunti
nel modo descritto nella lezione precedente.
Assai meno evidente è il procedimento, noto sotto il nome di cinematica inversa, con cui
determinare quale configurazione deve assumere il meccanismo affinchè la terna di estremità
assuma una certa posizione ed un certo orientamento.
Dopo un inquadramento qualitativo della cinematica inversa si risolve il problema per un robot
a due gradi di libertà e si introduce la funzione trigonometrica inversa ATAN2(x,y). Si affronta
quindi teoricamente la cinematica inversa per una struttura a sei gradi di libertà per terminare con
una serie di esempi a tre gradi di libertà.
1. Cinematica inversa
La cinematica inversa affronta il problema statico della ricerca delle relazioni per il calcolo delle
variabili di giunto, date la posizione e l'orientamento della terna di estremità della struttura
del meccanismo a più gradi di libertà e i parametri caratteristici dei giunti e dei segmenti (Fig.1).
Dati una certa posizione e un certo orientamento della terna di estremità della struttura, si tratta
di calcolare tutti i possibili insiemi di variabili di giunto che permettono di ottenerli.
I parametri caratteristi dei giunti e dei segmenti vengono definiti durante la modellazione
secondo Denavit & Hartenberg della struttura e, per ogni grado di libertà del robot, si avranno
tre costanti e una variabile. La posizione e l'orientamento della estremità della struttura
dipendono dal valore che le variabili di giunto assumono di volta in volta.
Fig. 1
Nella pratica, la cinematica inversa utilizza come dati di partenza i valori degli elementi della
matrice T:
nx ox ax px
n oy ay py
T = y
nz oz az pz
0 0 0 1
e ricava i valori delle variabili di giunto corrispondenti:
Con qi si intende la generica variabile che sarà un angolo ( ϑi ) od una traslazione (di) in
funzione del tipo di giunto corrispondente (rotatorio o prismatico).
La lezione pecedente si è visto come la posizione e l'orientamento della terna di estremità possa
essere espressa sia nello spazio cartesiano (tramite la matrice T) sia in quello dei giunti (tramite
le variabili di giunto). La cinematica diretta trasforma un punto dello spazio dei giunti nella
corrispondente posizione ed orientamento della terna di estremità; quella inversa al contrario,
data la posizione e l'orientamento della terna di estremità, determina, tutti i punti corrispondenti
nello spazio dei giunti.
Nelle applicazioni pratiche la cinematica inversa è di gran lunga più importante di quella diretta.
Il programmatore ragiona infatti nello spazio tridimensionale cartesiano, mentre il controllo
elettronico del robot opera in quello dei giunti. In altre parole ciò significa che il
programmatore impone al robot movimenti di traslazione e di rotazione rispettivamente lungo
od attorno agli assi del sistema di riferimento cartesiano adottato mentre il controllore può agire
solo a livello dei giunti.
Le relazioni della cinematica inversa diventano pertanto di importanza fondamentale
permettendo al controllore del robot di tradurre i movimenti desiderati dal programmatore nei
corrispondenti spostamenti da imporre ai singoli giunti.
Il problema cinematico inverso per un sistema a due gradi di libertà piano è quello di ricavare i
valori delle variabili di giunto che permettono di posizionare l'estremità della struttura (O2) nella
posizione specificata dalle coordinate x,y.
Si tratta di risolvere le equazioni cinematiche:
x = f(q1,q2)
y = f(q1,q2)
q1 = f(x,y)
q2 = f(x,y)
Tale soluzione si presenta complessa quando, come per il sistema considerato, le equazioni
cinematiche non sono lineari. Proprio per questo è possibile di affermare che il problema
cinematico inverso si presenta di soluzione molto più complessa di quello diretto.
Fig. 2
Il problema cinematico inverso, a differenza di quello diretto, può, per particolari posizioni
dell'estremità O2, non ammettere soluzione.
L'insieme di tutti i punti in cui il problema cinematico inverso ammette soluzione coincide con la
porzione di piano raggiungibile dall’estremità del sistema e definisce la sua area di lavoro.
La Fig.3 mostra che, quando i due bracci
del robot hanno lunghezze l1,l2 diverse,
l'area di lavoro coincide con la corona
circolare di raggio esterno l1+l2 e interno
l1-l2. Quando i due bracci hanno uguale
lunghezza tale area sarà il cerchio di
raggio esterno l1+l2 .
Quanto detto vale nell'ipotesi di giunti ideali
che permettono rotazioni di 360°. Nella
realtà i giunti permettono raramente
rotazioni così ampie e ciò provoca
una riduzione dell'estensione dell'area di
lavoro.
Fig. 3
A.A. 2000/2001 – Pag 3 di 3
Cinematica inversa – A. Curami, R. Sala
Il problema cinematico inverso molto spesso ammette più di una soluzione nel senso che
possono esistere più configurazioni della struttura che portano la sua estremità nella medesima
posizione.
Si consideri ad esempio la Fig.4 in cui si vede
come la pinza possa essere portata nello stesso
punto P del piano con due diverse coppie di
valori per le variabili di giunto.
Fig. 4
Strutture ridondanti
Al fine di posizionare un punto nel piano, i sistemi con più di due gradi di libertà sono da
considerarsi ridondanti, in quanto hanno a disposizione più possibilità di movimento delle due
necessarie per posizionare un punto nel piano. Il problema cinematico inverso ammette, nel
caso di strutture ridondanti, una infinità di soluzioni. Tale affermazione può essere compresa
osservando il robot di Fig.5 che ha a disposizione infinite configurazioni della struttura per
raggiungere il punto P.
Fig. 5
A.A. 2000/2001 – Pag 4 di 4
Cinematica inversa – A. Curami, R. Sala
Cinematica inversa
Le equazioni cinematiche per il sistema considerato sono state ricavate la lezione precedente:
x =l2C12 +l1 C1
y = l2S12 +l1 S1
ϑ1 = f1 (x,y)
ϑ2 = f2 (x,y)
ottenendo in tal modo due relazioni che, per ogni posizione x, y occupata dalla pinza, permettano
di determinare gli angoli di rotazione θ1 e θ2 dei rispettivi giunti.
Si cominci con l'esplicitare θ2; elevando al quadrato e quindi sommando le due equazioni si
ottiene:
Applicando le formule trigonometriche relative al seno e coseno della somma di due archi si ha:
si ottiene quindi:
x 2 + y 2 = l 22 + l12 + 2l1l 2 (C 2 )
x 2 + y 2 − l12 − l 22
C2 =
2l1l 2
S 2 = ± (1 − C 22 )
x 2 + y 2 − l12 − l 22
ϑ2 a = arccos
2l1l 2
ϑ2b = −ϑ2 a
x = l 2 (C1C 2 − S1 S 2 ) + l1C1
y = l 2 ( S1C 2 + C1 S 2) + l1 S1
x + l 2 S1 S 2
C1 =
l 2 C 2 + l1
y (l 2 C 2 + l1 ) − l 2 xS 2
S1 =
(l1 + l 2 C 2 ) 2 + l 22 S 22
Esempio
Dato il sistema piano a due gdl di Fig.4, calcolare il valore delle due variabili di giunto quando:
x = 733.013 [mm]
y = 769.615 [mm]
sapendo che:
l1= 600 [mm]
l2= 500 [mm]
C2= 0.866
ϑ2 = ±30°
Le due coppie di angoli che permettono di portare l'estremità della struttura nel punto indicato
sono (Fig.6):
3 - La funzione ATAN2
La risoluzione del problema cinematico inverso comporta un pesante utilizzo delle funzioni
trigonometriche inverse.
Questa necessità si scontra col fatto che le funzioni trigonometriche (seno, coseno e
tangente) non ammettono funzione inversa univoca. Infatti, rappresentando in ascissa gli angoli ed
in ordinata il valore della funzione (Fig.7) si vede come, per tutte e tre, ad ogni valore di y
corrispondano infiniti angoli.
Fig. 6
Fig. 7
La funzione ATAN2(y,x) calcola l'angolo utilizzando due argomenti. Tali argomenti possono
essere assimilati all'ascissa e all'ordinata di un punto. Il valore restituito dalla ATAN2(y,x) è
l'angolo, positivo in verso antiorario, compreso tra il semiasse delle ascisse positive e il
segmento congiungente l'origine con il punto di coordinate x,y (Fig.9).
I vantaggi dell'utilizzo della funzione ATAN2(y,x) sono la determinazione univoca
dell'angolo corrispondente agli argomenti x,y nell'intervallo da -180 ° a 180° e l'accuratezza
uniforme in tutto il campo di definizione.
Fig. 8
In generale queste equazioni sono funzione di più di una variabile di giunto e si presentano
non lineari a causa dei giunti rotoidali che introducono nelle relazioni le funzioni
trigonometriche. Queste loro caratteristiche rendono particolarmente difficile, quando
non del tutto impossibile, esplicitare le variabili di giunto in funzione dei valori degli elementi
della matrice T:
q1 = f(P&O)
.. ....
q6 = f(P&O)
Nel caso più generale si dovrà risolvere un sistema di sei equazioni trigonometriche in seno e
coseno in sei incognite, rappresentate dalle variabili di giunto.
Quando non si riuscirà a risolvere analiticamente tale sistema, sarà impossibile ottenere delle
relazioni che diano in forma esplicita le variabili di giunto in funzione dei valori degli elementi
di P&O e la struttura del robot verrà detta non risolubile.
La cinematica inversa di un robot non risolubile può essere affrontata solo con tecniche di
calcolo numerico che esigono un notevole carico computazionale. Questo costringe ad utilizzare
un elaboratore di controllo più veloce e, spesso, ad accettare tempi più lunghi per la risoluzione
della cinematica inversa (si sottolinea comunque che la potenza di calcolo dei migliori controllori
per robot riescono comunque a padroneggiare senza problemi la complessità computazionale
associata al problema). A fronte di questi aspetti negativi le tecniche numeriche offrono il non
trascurabile vantaggio di potere essere applicate a tutte le strutture, indifferentemente dalle loro
caratteristiche. Per
questo è possibile prevedere in futuro una loro diffusione quando saranno disponibili calcolatori
sufficientemente veloci da garantire il calcolo delle soluzioni in tempo reale.
Tuttavia, per ora, in ambito industriale si utilizzano praticamente solo strutture per le quali
sia possibile risolvere la cinematica inversa in modo esplicito.
Questa necessità ha spinto a ricercare quali caratteristiche debbano essere soddisfatte dalla
struttura affinché la sua cinematica inversa ammetta soluzioni esplicite.
Condizione sufficiente affinché la struttura di un robot a sei gradi di libertà sia risolubile è che gli
assi di rotazione di tre giunti consecutivi si incontrino in uno stesso punto, per tutti i possibili
valori delle variabili di giunto.
Il punto di incontro dei tre assi può anche essere improprio e quindi anche quando tre giunti
rotoidali consecutivi hanno gli assi di rotazione paralleli la struttura sarà risolubile.
Si ricorda che la condizione è solo sufficiente per cui possono esistere delle strutture che, pur
non godendo di questa proprietà, sono risolubili.
Tutte le strutture che utilizzano un polso sferico soddisfano la condizione sufficiente sopra
riportata e questo spiega la loro ampia diffusione in ambito industriale. Osservando la Fig.10 si
può intuire perché queste strutture siano sempre risolubili.
Essendo nota la matrice P&O si conoscerà la posizione e l'orientamento della sesta terna
rispetto al riferimento.
Risulta quindi possibile calcolare le coordinate di O5 (x',y',z') trovandosi infatti sul prolungamento,
in direzione negativa, dell'asse z6, distante d6 da O6:
x' = px – axd6
y' = py – a6d6
z' = pz – azd6
La posizione di O5 è tuttavia funzione solo dei primi tre gradi di libertà e quindi la cinematica
inversa può essere scissa in due sottoproblemi in tre incognite.
Ricordando la formulazione della cinematica diretta come prodotto tra la matrice di
posizionamento e quella di orientamento:
T = Tp To
si capisce come sia possibile ricavare le relazioni che danno i valori delle prime tre variabili di
giunto utilizzando le seguenti equazioni:
Tp[1,4] = x'
Tp[2,4] = y'
Tp[3,4] = z'
Avendo ridotto il sistema a sole tre incognite si può essere certi di esplicitare le variabili di
giunto essendo l'equazione risolvente al massimo di quarto grado (quando le relazioni sono in
ϑ
seno e coseno devono essere risolte utilizzando la tangente di ) e, come tale, analiticamente
2
risolubile.
Fig. 9
Calcolati i valori delle prime tre variabili di giunto la matrice Tp è da considerarsi completamente
nota e quindi varrà la relazione:
To = (T p ) −1 P&O
che rappresenta un altro problema in tre incognite risolvendo il quale è possibile ricavare anche i
valori delle variabili di giunto corrispondenti agli ultimi tre gradi di liberta.
Il problema della cinematica diretta ammette sempre una soluzione in quanto, dato un certo valore
a tutte le variabili di giunto, la posizione e l'orientamento della terna di estremità della struttura
sono sempre completamente determinati.
Il problema della cinematica inversa non sempre ammette, al contrario, soluzione. L'esistenza
o la non esistenza della soluzione permette di definire rigorosamente lo spazio (volume) di
lavoro.
Lo spazio di lavoro è l'insieme di tutti i punti raggiungibili dalla terna di estremità. Lo spazio di
lavoro destro è l'insieme di tutti i punti raggiungibili dalla terna di estremità con orientamento
arbitrario.
Limiti e caratteristiche del campo di lavoro sono determinate dai valori dei parametri
caratteristici dei segmenti della struttura e dal campo di variazione delle variabili di giunto. In
particolare i giunti rotoidali difficilmente permettono rotazioni complete (360°), mentre le
traslazioni permesse da quelli prismatici sono limitate dalla necessità di garantire una adeguata
rigidezza alla struttura.
Il problema cinematico inverso è caratterizzato, in molti casi, dalla molteplicità delle soluzioni,
cioè dalla possibilità che un certo numero di configurazioni diverse della struttura portino la terna
di estremità nella medesima posizione con lo stesso orientamento.
Anche le strutture di comune impiego in ambito industriale possono avere più soluzioni al
problema cinematico inverso.
Si consideri per ora separatamente il posizionamento e l'orientazione della terna di estremità:
Fig. 10
orientazione: il polso sferico permette di ottenere la stessa orientazione con due diverse
configurazioni della struttura. Si immagini di avere la configurazione di Fig.13a e di cercare gli
altri valori delle variabili di giunto che danno lo stesso orientamento alla terna di estremità. Si
ruoti allo scopo il giunto 4 di 180°, il giunto 5 lo si porti da ϑ5 a − ϑ5 , e si ruoti il sesto di 180 °
e si otterrà la configurazione cercata (Fig.13b).
Fig. 11
Considerando una struttura completa a sei gradi di libertà il numero di configurazioni che
permettono di ottenere la stessa posizione ed orientamento della terna di estremità aumentano.
Nel caso di robot che utilizzano un polso sferico il numero di soluzioni al problema cinematico
inverso sarà il doppio di quelle permesse dai primi tre gradi di libertà. Questo perché ogni
configurazione dei primi tre giunti genera due diverse soluzioni al problema cinematico inverso
tenendo conto delle due possibili disposizioni dei gradi di libertà del polso.
Fig. 12
Il numero di soluzioni dipende, a parità di gradi di libertà, dalle caratteristiche della struttura. In
generale si può
affermare che maggiore è il numero di parametri caratteristici non nulli e maggiore sarà il
numero di soluzioni al problema della cinematica inversa.
I robot con più di sei gradi di libertà sono detti ridondanti in quanto hanno a disposizione più
possibilità di movimento di quante ne servano per posizionare ed orientare nello spazio un
oggetto. Questo significa che, data una certa posizione ed orientamento della loro terna di
estremità, esisteranno una infinità di soluzioni al problema cinematico inverso.
Tali strutture sono comunque quasi assenti in ambito industriale. Molto diffuse sono invece le
strutture incomplete, cioè quelle con meno di sei gradi di libertà che vengono utilizzate quando
non è indispensabile disporre di tutte le possibilità di orientamento.
Trovandosi di fronte a strutture semplici il migliore sistema per risolvere la cinematica inversa è di
studiare geometricamente la struttura e quindi di utilizzare le equazioni della cinematica diretta
che sembrano più opportune Con un minimo di esperienza la via per raggiungere la soluzione
risulta in questi casi praticamente sempre immediata.
Per strutture complesse, in cui non è semplice capire intuitivamente le relazioni tra gli
spostamenti dei giunti e la posizione e l'orientamento della terna di estremità esistono più
schemi risolutivi che propongono un indirizzo nella ricerca delle soluzioni.
Il metodo che verrà utilizzato nel seguito è dovuto principalmente all'americano R. Paul
[1981] e propone una serie di manipolazioni della equazione cinematica nel tentativo di isolare
alcune relazioni facilmente risolubili.
Nel caso più generale si conosceranno gli elementi della trasformazione omogenea (P&O)
che descrive la posizione e l'orientamento della terna di estremità rispetto al riferimento. Tale
matrice sarà il risultato del prodotto delle sei matrici Ai:
T = A1 A2 A3 A4 A5 A6 [k = f(q1,q2,q3,q4,q5,q6)]
Uguagliando membro a membro le due matrici si ottengono dodici equazioni in cui il termine a
sinistra è una costante mentre quello a destra è funzione delle variabili di giunto.
In casi semplici, come quello di strutture a tre gradi di libertà specializzate nel posizionamento
o nell'orientamento di oggetti si avrà a che fare con un numero di relazioni inferiore.
Più precisamente si avranno a disposizione tre equazioni se il problema è di posizionamento
(sottomatrice di posizione, quarta colonna) e nove se è di orientazione (sottomatrice di
orientamento, prime tre colonne).
In alcuni casi felici può darsi che qualcuna di queste equazioni sia facilmente risolubile, ad
esempio quando contiene una sola variabile di giunto che può essere esplicitata in modo univoco.
Quando non si riesce ad esplicitare nessuna variabile di giunto, il metodo di Paul, consiglia di
premoltiplicare o di postmoltiplicare l'equazione cinematica per l'inversa della matrici A1 o
A6, rispettivamente quella a sinistra e a destra del secondo membro.
Si ottengono cosi due relazioni:
che esprimono la posizione e l'orientamento della sesta terna rispetto alla prima, e:
Se la spiegazione teorica della metodologia risolutiva risultasse complicata, il modo migliore per
comprenderla è quello di seguire la risoluzione degli esempi e solo dopo rileggere questa parte.
Si ricorda ancora che esistono altri approcci altrettanto validi alla soluzione del problema
cinematico inverso e soprattutto, che queste tecniche si limitano a fornire solo degli indirizzi di
carattere generale. Infatti la soluzione può sempre essere ottenuta con molte modalità diverse fra
le quali solo l'intuito e l'esperienza permettono di destreggiarsi agevolmente. Quanto detto risulta
ancora più vero per la risoluzione delle strutture che non soddisfano la condizione sufficiente
per la risolubilità.
Un robot piano a due gradi di libertà può soltanto posizionare gli oggetti in un piano. Per poterli
anche orientare è necessario un terzo grado di libertà che permetta di ruotare le parti
manipolate attorno ad un asse perpendicolare al piano di lavoro.
Mancando il terzo grado di libertà l'orientamento della terna di estremità del robot è fissata dalla
posizione della sua origine . Fissato il punto O2 infatti, la terna potrà assumere solo due diverse
orientazioni, corrispondenti alle due possibili configurazioni della struttura. Questa affermazione è
valida in generale, ma esiste la singolarità dell'origine O della terna base, punto nel quale ,
quando i due bracci hanno lunghezze uguali, la terna di estremità può essere arbitrariamente
ruotata attorno ad un asse verticale.
Per quanto riguarda la soluzione della cinematica inversa e il relativo esempio numerico si può
fare riferimento al paragrafo 2.
Fig. 13
Un robot a tre gradi di liberà può soltanto posizionare degli oggetti nello spazio. Si tratta quindi,
note le coordinate
px, py ,pz di O3 (coincidenti con quelle della pinza), di calcolare tutti i corrispondenti valori della
variabile di giunto.
A.A. 2000/2001 – Pag 14 di 14
Cinematica inversa – A. Curami, R. Sala
d1 = pz
Osservando la Fig.13 è d'altra parte evidente che la quota di O3 è determinata dal solo valore del
primo giunto.
Elevando al quadrato e sommando tra loro le due relazioni non utilizzate si ha :
p x2 + p y2 = d 32 + a 22
d 3 = ( p x2 + p y2 − a z2 )
Delle due possibili soluzioni solo quella positiva ha significato fisico in quanto, per come sono
state disposte le terne di riferimento, la variabile d3 può assumere solo valori positivi.
Il procedimento applicato può essere pensato come l'applicazione del teorema di Pitagora per il
calcolo del cateto del triangolo rettangolo rappresentato in Fig.14 nella quale sono evidenziate
anche le altre grandezze coinvolte.
Fig. 14
Noto d3 si ricavano seno e coseno della seconda variabile di giunto risolvendo il seguente sistema
di due equazioni in due incognite:
Px = −d 3 S 2 + a 2 C 2
p y = d 3C 2 + a 2 S 2
ottenendo:
a2 p y − d 3 p x
S2 =
d 32 + a 22
p y − a2 S 2
C2 =
d3
ϑ2 =ATAN2(S2 ,C2)
Esempio
Dato il robot di fig.13, calcolare i valori delle tre variabili di giunto conoscendo le coordinate
della pinza:
px = 113.4 [mm]
py = 396.4 [mm]
pz = 500[mm]
e il valore del parametro a2:
a2 = 100 [mm]
d1 = 500 mm.
Fig. 15
Si tratta di individuare quelle relazioni che, note le coordinate px,py,pz della pinza, determinano
tutti i corrispondenti valori delle variabili di giunto. Come per quella cilindrica, anche la
risoluzione di questa struttura può essere pensata come la prima delle due tappe in cui è possibile
suddividere la risoluzione della cinematica inversa per un robot a sei gradi di libertà.
Nella modellazione della struttura l'origine della terza terna è stata fatta coincidere con quella della
seconda per rispettare la convenzione di Denavit-Hartenberg e quindi le coordinate di O3
non coincideranno con quelle della pinza. Le tre equazioni che danno le coordinate px,py,pz della
pinza sono:
p x = C1 ( S 23l 2 + C 2 l1 )
p y = S1 ( S 23l 2 + C 2 l1 )
p z = C 23l2 − S 2 l1
S 23 l 2 + C 2 l1 = (Oo P) 2 + ( PO2 ) 2 = ( p x2 + p y2 + p z2 − p z2 ) = ( p x2 + p y2 )
Il segmento O O O2' assume sempre valore positivo tranne quando il robot è completamente
verticale ( ϑ2 = −90°,ϑ3 = 90°) . Escludendo quest'ultima configurazione particolare, sarà quindi
sempre possibile calcolare C1 e S1:
px px
C1 = ( S 23l 2 + C 2 l1 ) = ( p x2 + p 2y )
py py
S1 = =
S 23l 2 + C 2 l1 ) ( p x2 + p y2 )
ϑ1 a = ATAN2(S1,C1)
ϑ1b = ATAN2(-S1,-C1) = ϑ1a + 180°
Noti px, py l'angolo ϑ1 è completamente individuato. La seconda soluzione dipende dal fatto che
le stesse ascisse ed ordinate della pinza possono essere ottenute ruotando di 180° la prima
variabile di giunto e ribaltando rispetto alla verticale il secondo segmento della struttura
(Fig.16).
Quando il robot è verticale il calcolo di ϑ1 , impossibile attraverso il metodo in oggetto,
perché si annulla il
denominatore delle formule che ne danno il seno e il coseno, non costituisce problema in quanto il
suo valore non influisce sulle coordinate della pinza.
Per determinare i due rimanenti valori delle variabili di giunto si hanno ora a disposizione le due
relazioni:
px
S 23 l 2 + C 2 l1 =
C1
C 23 l 2 − S 2 l1 = p x
che presentano molte analogie con quelle che sono state utilizzate per risolvere la cinematica
inversa del robot a due gradi di libertà. Tale analogia è immediatamente comprensibile pensando
di ragionare nel piano verticale passante per Z0 individuato dall'angolo di rotazione ϑ1 (Fig.17).
Fig. 17
Fig. 18
Bisogna comunque sottolineare che la prima delle due relazioni è valida solo per C1 diverso da
zero; quando C1=0 essa deve essere sostituita con la relazione equivalente:
py
S 23 l 2 + C 2 l1 =
S1
Per isolare le due variabili di giunto conviene elevare al quadrato e sommare le due relazioni
sopra riportate ottenendo:
p x2
l + l + 2l1l2 ( S 23 C 2 − C 23 S 2 ) = 2
2
2 1
2
2
C1 + p z
Applicando le formule trigonometriche relative al seno e coseno della somma di due archi, si
ottiene:
p2
l 22 + l12 + 2l1l 2 S 3 = 2 x 2
C1 + p z
p x2
+ p z2 − l12 − l 22
C12
S3 =
2l1l2
C3 = ± (1 − S 32 )
ϑ3 a = ATAN2(S3,C3)
ϑ3b = ATAN2(S3,-C3)
px
l 2 ( S 2 C3 + C 2 S 3 ) + l1C 2 = C1
l 2 (C 2 C3 − S 2 S 3 ) + l1 S 2 = p x
Px / C1 − l 2 S 2 C3
C2 =
l1 + l 2 S 3
px
− p x (l1 + l 2 S 3 ) + ( l2 C3
C1 )
S2 = 2 2
l 2 + l1 + 2l1l 2 S 3
Sostituendo nell' equazione i due possibili valori di C3 e di C1, oltre a quello di S3, si ricavano i
corrispondenti valori di S2: noti questi è possibile calcolare anche C2 e quindi risalire al valore di
ϑ2 utilizzando la funzione ATAN2(S2,C2). Si noti che esistono quattro possibili valori di C2 ed
S2, a causa dei due possibili valori di C1 e C3.
Riassumendo le possibili soluzioni al problema cinematico inverso sono in genere quattro,
corrispondenti alle quattro colonne sottoriportate:
Esempio
Dato il robot di Fig.15, calcolare i valori delle tre variabili di giunto conoscendo le coordinate
della pinza:
px = 1100 [mm]
py = 0 [mm]
pz = 0 [mm]
e il valore dei due parametri:
l1 = 600 [mm]
l2 = 500 [mm]
Fig. 18
C1 = 1
S1 = 0
e quindi:
ϑ1a = ATAN2(0,1) = 0°
ϑ1b = ATAN2(0,-1) = 180°
S3 = 1
C3 = +/-0
e quindi:
ϑ3 = ATAN2(1,0) = 90°
In questo esempio, dove il braccio del robot è completamente esteso orizzontalmente, le due
soluzioni di gomito in alto e gomito in basso vengono a coincidere. Per il calcolo della
seconda variabile di giunto si ha:
e quindi:
ϑ2 a = ATAN2(1,0) = 0°
ϑ2b = ATAN2(1,0) = 180°
Fig. 19
Il polso sferico permette di orientare gli oggetti nello spazio e quindi, aggiungendo a monte del
polso sferico una struttura che sia in grado di posizionarlo si ottiene un robot completo a sei gradi
di libertà. Questo permette di considerare il procedimento che verrà sviluppato come la seconda
delle due tappe in cui è possibile suddividere la risoluzione della cinematica inversa di un robot
completo.
Per determinare il valore assunto dalle variabili di giunto, bisognerà utilizzare i valori delle
componenti dei versori della terna di estremità rispetto al riferimento base.
Nota la trasformazione omogenea che descrive la terna di estremità (la sesta) rispetto a quella
base (la terza), tali componenti sono contenute nella sottomatrice di orientazione.
L'equazione matriciale da utilizzare sarà quindi:
nx ox a x C 4 C 5 C 6 − S 4 S 6 − C 4 C5 S 6 − S 4 C6 C4 S5
n oy a y = S 4 C 5 C 6 + C 4 S 6 − S 4 C5 S 6 + C 4 C 6 S 4 S 5
y
n z oz a z − S5 S6 S5 S6 C 5
Nessuna delle nove relazioni si presta per ricavare in modo esplicito qualche variabile di
giunto; conviene quindi tentare una premoltiplicazione che isoli a destra, ad esempio, la
variabile ϑ4 .Limitandosi a considerare la sottomatrice di orientazione e premoltiplicando
entrambi i membri per l'inversa della matrice A4 si ottiene:
C4 nx + S 4 n y C4ox + S 4o y C 4 a x + S 4 a y C 5 C 6 − C5 C 6 S5
− nz oz az = S 5C 6 − S5 S6 − C5
− S 4 n x + C 4 n y − S4ox + C4oy − S 4 a x + C 4 a y S 6 C6 0
Uguagliando gli elementi [3,3] delle due matrici sopra riportate si ottiene un'equazione in cui
compare come unica variabile θ4:
− S4 ax + C4 a y = 0
θ4a = ATAN2(ay,ax)
θ4b = ATAN2(-ay,-ax) = θ4a +180
La variabile θ5a può essere ricavata uguagliando gli elementi [1,3] e [2,3] che danno
rispettivamente il seno e il coseno di tale angolo:
S5 = C4 a x + S 4 a y
C5 = a z
Con analogo procedimento è possibile determinare la variabile θ6 eguagliando gli elementi [3,1] e
[3,2] che danno rispettivamente il seno e il coseno di tale angolo:
S 6 = −S 4 n x + C4 n y
C5 = − S 4 o x + C 4 o y
Le due soluzioni trovate valgono nell'ipotesi che tutti i giunti possano ruotare di 360.
Esempio
Dato il polso sferico di Fig. 19, calcolare i valori delle tre variabili di giunto conoscendo
l'orientazione dei tre versori degli assi della terna associata alla pinza:
nx = 1 ox = 0 ax = 0
n = 0 o = 1 a = 0
y y y
n z = 0 oz = 0 a z = 0
In realtà ci si trova di fronte al caso degenere del polso sferico riconoscibile dal fatto che gli assi
z3 e z6 paralleli. Gli assi di rotazione del quarto e del sesto giunto sono paralleli e quindi il
numero di gradi di libertà indipendenti del polso scende a due.
Esempio
Dato il polso sferico di Fig.20, calcolare i valori delle tre variabili di giunto conoscendo
l'orientazione dei tre versori degli assi della terna associata alla pinza:
n x = 0 o x = 0 a x = −1
n = 0 o = 1 a = 0
y y y
n z = 1 o z = 0 a z = 0
Fig. 20
Sostituendo i due possibili valori di θ4 nelle relazioni che danno θ5 se ne ottengono i due possibili
valori:
1 - La struttura meccanica
La struttura meccanica dei robot è costituita da una sequenza di elementi meccanici connessi tra
loro da giunti che ne consentono il moto relativo.
I singoli elementi possono essere connessi tra loro in serie (Fig.1a) od in parallelo (Fig.1b). La
struttura è seriale quando i singoli elementi sono collegati l'uno all'altro come gli anelli di una
catena;èparallela quando tutti gli elementi sono collegati sia a terra sia all'estremità della
struttura tramite dei giunti rotoidali. L'approccio seriale garantisce una più ampia possibilità di
movimento, mentre quello parallelo permette di ottenere una maggiore rigidezza. Osservando
l'esempio di Fig. 1 è infatti evidente che il robot di sinistra può spostare la sua estremita "Ea" in
una porzione di piano maggiore di quella raggiungibile da "Eb" mentre quello di destra offre una
maggiore rigidezza grazie alla struttura triangolare.
Le strutture seriali, definite dalla meccanica applicata catene cinematiche aperte, attualmente,
sono di gran lunga le piu' diffuse in ambito industriale.
Fig. 1
Va comunque sottolineata un crescente interesse attorno alle strutture parallele che, oltre a garantire
una maggiore rigidezza, permettono in alcuni casi di raggiungere prestazioni superiori a quelle
seriali; di conseguenza sul mercato cominciano ad essere proposte, solo per ambiti specifici per ora,
soluzioni parallele.
Tra gli elementi che costituiscono la catena cinematica di un robot il primo è quello collegato a
terra che viene definito telaio, quando è fisso (Fig.2a) oppure base mobile, quando ha delle
possibilità di movimento (Fig.2b).
L'ultimo elemento della catena è collegato solo al precedente in quanto l'altra sua estremità
termina con un attacco a cui andranno collegati gli utensili specifici per l'applicazione alla
quale il robot verrà destinato.
Fig. 2
I giunti di collegamento tra i vari elementi meccanici sono classificati come rotatori o
prismatici,in funzione del tipo di movimento relativo che permettono, rispettivamente rotatorio e
traslatorio.
2 - Gradi di libertà
Un arbitrario spostamento di un corpo rigido può essere ottenuto componendo dei singoli
spostamenti fondamentali; ognuno di essi rappresenta un grado di libertà per l'oggetto.
I robot industriali hanno fondamentalmente lo scopo di manipolare degli oggetti, cioè di muoverli
nello spazio controllandone posizione ed orientamento. Gli oggetti che i robot si trovano a
dover manipolare sono, nella quasi totalità dei casi, riconducibili a corpi solidi. Si tratterà
quindi di studiarne i possibili movimenti nello spazio per poi definire quelle caratteristiche
che la struttura deve possedere per poterli realizzare. Infatti l'oggetto, una volta afferrato, è
solidale con l'estremità della struttura e quindi ne riproduce fedelmente gli spostamenti.
Un corpo rigido ha, nello spazio, sei gradi di libertà corrispondenti ad altrettante possibilità di
spostamento.
Ciò significa che la sua posizione e il suo orientamento rispetto ad un sistema di riferimento
sono descritte da sei parametri. Per rendere piu' intuitiva questa affermazione si immagini di
rendere solidale con l'oggetto rigido la terna cartesiana xyz (Fig. 3). I sei parametri prima citati
risultano ora di facile interpretazione: tre definiscono la posizione dell'origine della terna xyz
mentre le rimanenti ne individuano l'orientazione. Gli spostamenti corrispondenti sono tre
traslazioni (parallelamente agli assi coordinati) e tre rotazioni (attorno agli stessi assi).
Questo permette di affermare che la struttura di un robot, per poter muovere ed orientare
arbitrariamente un corpo nello spazio, ha bisogno di un minimo di sei gradi di libertà.
Con analoghe considerazioni è facile arrivare a concludere che un corpo rigido, se vincolato a
muoversi in un piano, ha tre gradi di libertà. Infatti, come mostra la Fig. 4, le sue possibilità
di movimento si riducono a due traslazioni (lungo l'asse X od Y) e ad una rotazione (attorno ad un
asse verticale).
Un giunto ha tanti gradi di libertà quante sono le possibilità di movimento relative permesse ai due
corpi rigidi che collega.
Nella realtà possono essere realizzati dei giunti che permettono fino a tre gradi di libertà. Il giunto
sferico permette ad esempio tre possibilità di spostamento relative ai due oggetti che collega.
Un esempio molto semplice dell'utilizzo di questo giunto si ha nei porta penna orientabili (Fig.
5a). In tal caso i gradi di libertà permessi sono tre, in quanto la penna può essere ruotata sia attorno
ad un asse verticale che attorno a due assi orizzontali ortogonali tra loro. In altre parole un solo
giunto sferico permette di orientare in tutti i modi possibili un oggetto.
Fig. 3
Il giunto cilindrico (Fig. 5b) ne permette due; infatti il sistema a valle può soltanto ruotare
attorno all'asse del giunto e traslare lungo esso. Un esempio pratico di un giunto di questo tipo è un
cilindro in cui lo stelo, oltre alla possibilità di traslare, ha anche quella di ruotare attorno al suo
asse.
I giunti a singolo grado di libertà sono classificati in base al tipo di movimento relativo permesso
ai corpi ad essi collegati. Il giunto prismatico permette un moto relativo
traslatorio, come ad esempio un manicotto che scorre su una guida lineare (Fig. 6a). Quello
rotatorio permette ai due membri una rotazione relativa e si realizza tutte le volte in cui c'è un
accoppiamento perno/cuscinetto (Fig. 6b). Il giunto elicoidale permette un movimento relativo
elicoidale, cioè una rotazione intorno ad un asse accompagnata da una traslazione lungo lo
stesso. Tale movimento si realizza ad esempio tra una vite ed il suo dado (Fig. 6c).
Fig. 6
I robot, come tutte le strutture meccaniche realizzate con parti rigide collegate fra loro da giunti,
sono caratterizzati dal numero di gradi di libertà. Tale numero dipende dal tipo di giunti
utilizzati e dal loro numero.
Le strutture dei robot sono sempre realizzate utilizzando dei giunti di tipo prismatico o rotatorio.
Questa affermazione è corretta nel momento in cui la si riferisce a quei giunti che sono
accoppiati con un motore e quindi sono in grado di produrre un movimento. Infatti nei robot
si possono trovare altri tipi di giunti, tipicamente sferici, ma puramente passivi. Il loro impiego si
rende necessario quando si utilizzano strutture parallele, o all'interno di cinematismi per la
trasmissione del moto. Il nostro interesse si soffermerà comunque sui primi, in quanto essi
soltanto sono in grado di spostare e di orientare nello spazio l'estremità della struttura del robot.
L'utilizzo esclusivo di giunti a singolo grado di libertà ci permette di affermare che:
i robot hanno tanti gradi di libertà quanti sono i giunti contenuti nella loro struttura.
I gradi di libertà possono essere calcolati anche come numero di parametri necessari per
individuare la posizione assunta dalla struttura. Nel caso dei robot tali parametri vengono anche
detti variabili di giunto, in quanto esprimono la posizione assunta da ciascuno di essi e quindi
sono rappresentati da un angolo di rotazione o da una distanza di traslazione.
La struttura di un robot deve permettere sei diverse possibilità di movimento alla sua
estremità in modo da poterla spostare ed orientare nello spazio in modo arbitrario.
Tanti sono infatti i gradi di libertà necessari per poter manipolare in modo completo un corpo
rigido.
Lo scopo può essere raggiunto con l'utilizzo di sei giunti ben disposti, cioè in grado di generare
dei movimenti indipendenti tra loro. Per meglio comprendere questa affermazione consideriamo
quei casi in cui due giunti non generano movimenti indipendenti. Questo accade quando due
giunti rotatori hanno gli assi di rotazione paralleli (Fig,7a), o due traslatori permettono il
movimento nella medesima direzione(Fig.7b). Si parla allora di giunti ridondanti in quanto
entrambi permettono uno stesso tipo di spostamento e quindi, uno dei due potrebbe essere
eliminato senza penalizzare le possibilità di movimento dell'estremità della struttura. In
conclusione si può dire che una coppia di giunti ridondanti aggiunge due gradi di libertà alla
struttura, ma una sola possibilità di movimento alla sua estremità.
Fig. 7
Nell'ambito della robotica industriale si incontrano solo strutture i cui giunti sono disposti
in modo da ottenere movimenti indipendenti; per questo è lecito affermare che i gradi di
libertà della struttura coincidono con quelli della sua estremità.
Un robot industriale a sei gradi di libertà può spostare ed orientare in modo arbitrario nello
spazio l'estremita della sua struttura.
Quando un robot ha meno di sei gradi di libertà gli vengono a mancare alcune possibilità di
movimento.Dato che la capacità di spostare l'oggetto nello spazio è in genere ritenuta
irrinunciabile, si eliminano alcune possibilità di orientazione.
Quando il robot ha più di sei gradi di libertà si dice ridondante, in quanto ha a disposizione un
giunto supplementare per realizzare i suoi movimenti. Queste particolari strutture permettono di
ottenere una desiderata posizione ed un determinato orientamento per un oggetto manipolato
con infinite configurazioni diverse della struttura. L'utilizzo di robot ridondanti in ambito
industriale è praticamente inesistente.
Quando si parla di robot a sette gradi di libertà i costruttori fanno infatti riferimento al numero di
assi (giunti) controllati e, di conseguenza, includono nel conteggio anche il movimento di
apertura/chiusura della pinza e/o la base mobile. Tuttavia si tratta di giunti che non vengono
gestiti in contemporanea con quelli della struttura ma in momenti diversi. La pinza viene
infatti chiusa per afferrare o rilasciare gli oggetti da manipolare ma non contribuisce alle
possibilità di movimento della struttura. Anche la base mobile non può essere inclusa tra
i gradi di libertà della struttura, in quanto essa serve solo a spostare il robot in zone di lavoro
diverse, ma non viene mai utilizzata durante il suo ciclo operativo.
In molte applicazioni pratiche si utilizzano strutture con meno di sei gradi di libertà nell'intento
di ridurre costi e complessità del robot.
Robot a quattro gradi di libertà sono utilizzati in quelle applicazioni di montaggio (Fig.8a) in
cui l'unione delle parti si ottiene con una sequenza di inserzioni verticali. In tal caso infatti tre
gradi di libertà (traslazioni lungo gli assi X ed Y e rotazione attorno ad un asse verticale) servono
per posizionare ed orientare il pezzo nel piano, mentre il quarto (traslazione lungo un asse
verticale) esegue l'operazione di inserzione.
Fig. 8
Robot a tre gradi di libertà possono sostituirsi in modo del tutto equivalente a quelli a quattro ogni
volta che i pezzi da montare sono cilindrici (perni, spine ...). Infatti in questa situazione diventa
del tutto superflua la possibilità di ruotare il pezzo attorno ad un asse verticale essendo il
pezzo simmetrico rispetto a tale asse (Fig.8b). Vale la pena di sottolineare che questa
situazione si presenta abbastanza frequentemente durante le operazioni di montaggio.
Robot a cinque gradi di libertà possono sostituirsi a quelli a sei tutte le volte in cui si devono
manipolare degli oggetti dotati di simmetria assiale. Tipicamente si tratterà di oggetti di forma
cilindrica che rendono del tutto superfluo il fatto che il robot possieda la capacità di ruotarli
attorno al loro asse di simmetria(Fig. 9).
Fig. 9
La stessa motivazione, cioè l'utilizzo di un utensile dotato di un asse di simmetria, spiega perchè
le teste dei centri di lavoro per asportazione di truciolo sono dotate di soli due gradi di libertà
A.A. 2000/2001 – Pag 6 di 6
Generalità sui robot industriali – A. Curami, R. Sala
secondari contro i tre che sembrerebbero essere necessari per non avere limitazioni alle possibili
orientazioni dell'utensile.
Fig. 10
Un importante punto a favore della soluzione rotoidale è la compattezza. Per rendersene conto
basterà confrontare in Fig. 11 lo spazio necessario ai due tipi di giunto per ottenere un
uguale spostamento. Concettualmente nulla vieta di realizzare il giunto lineare con una struttura a
telescopio per diminuirne l'ingombro, ma tale approccio può solo raramente essere
realizzato nella pratica per i costi e la complessità agguntiva che comporta.
Fig. 11
Sensori ed attuatori utilizzati per il movimento delle articolazioni possono essere sia di tipo
rotoidale che prismatico in quanto la meccanica mette a disposizione molti modi per convertire
un moto da rotatorio a lineare e viceversa.
L'estremità della struttura di un robot possiede in genere sei diverse possibilità di movimento:
tre di traslazione per spostamenti nello spazio e tre di rotazione per l'orientazione.
Questa divisione dei gradi di libertà in due gruppi con finalità distinte si riflette generalmente
nella struttura con una specializzazione dei giunti.
I gradi di libertà principali si occupano di posizionare nello spazio gli oggetti manipolati dal
robot, quelli secondari di orientarli.
Quelli principali formano il braccio del robot mentre quelli secondari il polso. Braccio e polso,
in conseguenza della loro funzione, presentano caratteristiche diverse. In primo luogo nella
realizzazione del braccio si può scegliere se utilizzare giunti rotoidali o prismatici mentre la
realizzazione del polso può avvenire solo con i giunti del primo tipo. Inoltre gli elementi
meccanici che compongono il braccio hanno una certa lunghezza mentre quelli del polso sono
in genere privi di dimensione, nel senso che gli assi di rotazione dei tre giunti si incontrano in un
punto.
L'estremità del braccio di un robot deve possedere almeno tre possibilità di movimento di tipo
traslatorio in quanto deve posizionare gli oggetti nello spazio (Fig. 12).
Il volume di lavoro è l'insieme di tutti i punti dello spazio raggiungibili dall'estremità del braccio.
Il tipo di giunti, (lineari o rotatori), utilizzati nella realizzazione del braccio ne definisce la
forma mentre le dimensioni dei singoli elementi meccanici ne determinano l'ampiezza. La
presenza di un eventuale polso collegato alla sua estremità non ne altera in genere le
caratteristiche. Piu' precisamente ciò accade ogni volte che i tre assi di rotazione dei giunti del
polso si incontrano in un unico punto. Infatti la posizione occupata da tale punto nello spazio
dipende solamente dalla configurazione assunta dal braccio e non dall'orientamento
del polso. Per questo motivo tale punto viene spesso utilizzato per definire il volume di lavoro in
sostituzione dell'estremità della struttura.
La configurazione di un braccio può essere sinteticamente descritta utilizzando una notazione
a tre lettere in cui "R" sottintende l'utilizzo di un giunto rotoidale e "P" quello di uno lineare.
L'ordine riflette quello con cui si incontrano le articolazioni a partire dalla base.
Un punto nello spazio viene individuato da tre coordinate, in quanto può essere considerato
come un corpo rigido privo di dimensioni, e quindi non toccato dal problema dell'orientamento.
I sistemi di riferimento stabiliscono delle convenzioni sulla loro determinazione, indicando il
tipo di coordinate da utilizzare (lineari od angolari), il loro ordine e le modalità con cui devono
essere eseguite le misure.
Quelli utilizzati sono:
Le strutture, realizzate in modo tale che ogni coordinata possa trovare un giunto corrispondente,
prendono il nome del sistema di riferimento. Si avranno cosi' bracci cartesiani (tre
articolazioni lineari), cilindrici (due lineari e una rotazionale), sferici (una prismatica e
due rotazionali) e antropomorfi (tre articolazioni rotazionali).
Fig. 12
Fig. 13
Fig. 14
Le strutture realizzate con l'utilizzo di almeno due giunti aventi gli assi di rotazione paralleli
vengono dette articolate.
Queste ultime si dividono fra quelle che realizzano il movimento articolato in un piano verticale
(antropomorfe - Fig.14a) e quelle che lo realizzano in un piano orizzontale (SCARA -
Fig.14b).
Questa classificazione delle strutture dei bracci dei robot industriali richiede quindi
l'introduzione di almeno cinque categorie. Piu' semplice risulta la classificazione in base alle
caratteristiche del volume di lavoro perchè permette di ridurre a tre sole le categorie necessarie
per comprenderli tutti, comprese alcune eccezioni prima non considerate.
Infatti i possibili volumi di lavoro possono essere assimilati a tre solidi soltanto: il
parallelepipedo, il cilindro e la sfera.
È doveroso sottolineare che i volumi di lavoro effettivamente permessi dai bracci sono spesso
molto complessi e per assimilarli a parallelepipedi, cilindri o sfere, sono necessarie delle
approssimazioni.
Nel seguito si adotterà la classificazione basata sulla disposizione dei giunti in quanto
permette di chiarire le caratteristiche di ogni singola struttura.
Questi robot realizzano i tre movimenti principali utilizzando tre accoppiamenti prismatici
orientati secondo tre assi ortogonali tra loro. Di conseguenza il volume di lavoro è un
parallelepipedo le cui dimensioni sono fissate dalle corse dei singoli giunti. I robot cartesiani
possono essere realizzati con una struttura a portale (Fig.15 ) o a montante (Fig.16 ).
L'utilizzo di giunti lineari semplifica la programmazione e il controllo dei movimenti del braccio.
Si immagini infatti di utilizzare come sistema di riferimento una terna di assi ortogonali paralleli a
quelli lungo cui avviene il movimento dei giunti. In tal caso ogni spostamento parallelo agli assi
coordinati viene eseguito con un uguale spostamento dell'asse corrispondente. Considerando
che un generico spostamento nello spazio può essere facilmente scomposto in tre spostamenti
paralleli agli assi di riferimento è facile capire perchè la programmazione dei movimenti risulti
intuitiva per l'utente e semplice da gestire per il controllo.
Fig. 15
Fig. 16
Questa possibilità permette sia di manipolare grossi carichi che di costruire la struttura rigida e
robusta (e quindi pesante) senza penalizzare le prestazioni dinamiche in quanto i motori possono
essere sovradimensionati. L'unico problema che può manifestarsi è l' insorgere di vibrazioni
durante i
A.A. 2000/2001 – Pag 11 di 11
Generalità sui robot industriali – A. Curami, R. Sala
Fig. 17
L'utilizzo di questa struttura semplifica notevolmente l'integrazione del robot, nel layout
dell' impianto, anche se preesistente.
La scelta di realizzare dei robot con questa struttura fu probabilmente suggerita dall'idea di
sostituire l'operatore umano con una macchina che ne riproducesse, per quanto possibile, le
capacità di manipolazione. L'analogia risulta evidente osservando una delle tanti stazioni di
montaggio realizzate con questo tipo di robot. Essi vengono installati ai bordi dell'area di lavoro e
possono essere assimilati a degli uomini che, vicino al bordo del bancone di lavoro, eseguono
operazioni di assemblaggio. Ciò facilita le possibilità di integrazione del robot all'interno
dell'impianto produttivo in quanto non va ad intaccare la continuità del sistema di
movimentazione; ne deriva tuttavia l'impossibilità di aggirare degli ostacoli presenti nel piano di
lavoro, qualora questi siano compresi tra la pinza di manipolazione ed il montante della struttura.
La struttura a montante presenta una minore rigidezza rispetto a quella a portale.
Infatti gli assi di scorrimento lineare sono supportati in un singolo punto, mentre nei robot a
portale le guide prismatiche per il movimento nel piano sono sostenute ad entrambi gli
estremi. Per questo motivo il loro volume di lavoro è quasi sempre modesto ed il loro utilizzo
limitato ad operazioni di assemblaggio leggero. Particolare cura dovrà essere posta nella
realizzazione dell'asse Z ( il terzo ) in quanto sul suo supporto potranno agire momenti notevoli,
qualora si vadano a manipolare carichi elevati con notevole sbraccio (la distanza tra
quest'ultimo ed il piano degli assi X ed Y).
Trattandosi comunque ancora di una struttura cartesiana sarà possibile raggiungere la stessa
precisione di posizionamento ottenibile con quella a portale, ma a prezzo di un irrigidimento della
struttura che significa un aumento di peso e quindi l'impossibilità di raggiungere prestazioni
dinamiche elevate.
I bracci antropomorfi sono realizzati con l'utilizzo esclusivo di giunti rotoidali (Fig. 18 )
Questa scelta permette di semplificare le lavorazioni meccaniche che verranno eseguite soltanto
su superfici di rivoluzione.
Muovendosi dalla base verso l'estremità della struttura si incontrano i tre movimenti principali
cosi' organizzati:
- rotazione attorno ad un asse verticale
- " " " " asse orizzontale
- " " " " asse orizzontale
Questi robot sono detti antropomorfi in quanto riproducono abbastanza fedelmente le
possibilità di movimento di un braccio umano o a giunti rotoidali verticali (in quanto il
secondo e il terzo grado di libertà, detti rispettivamente spalla e gomito, muovono il braccio del
robot all'interno di un piano verticale).
Il volume di lavoro può essere considerato, in prima approssimazione, come una porzione di
sfera.
Fig. 18
Infatti i robot articolati, a parità di dimensioni, riescono a coprire un piu' ampio volume di
lavoro rispetto alle altre strutture. La versatilità è giustificata sia dalla capacità di raggiungere
uno stesso punto del campo i lavoro con divere configurazioni della struttura sia da quella di
poter manipolare facilmente dei pezzi che si trovino sotto, sopra o dietro il basamento. La Fig.
20 mostra le quattro diverse possibilità che questi robot hanno per raggiungere i punti del loro
volume di lavoro con ovvi vantaggi per la possibilità di evitare degli ostacoli eventualmente
presenti nel campo di lavoro.
Fig. 19
Fig. 20
Il punto debole delle strutture antropomorfe è in genere rappresentato dal costo, superiore
a quello delle altre configurazioni, cartesiane escluse.
La motivazione va ricercata in una serie di problemi che l'utilizzo di questa struttura
comporta. Innanzitutto la struttura è totalmente a sbalzo e quindi va accuratamente
progettata per ridurre al minimo pesi e flessioni. Il peso, soprattutto se concentrato verso
l'estremità del braccio, può rappresentare un reale problema in alcune configurazioni
particolari, come quella in cui il robot è completamente esteso in orizzontale. Infatti in tale
A.A. 2000/2001 – Pag 14 di 14
Generalità sui robot industriali – A. Curami, R. Sala
posizione sia il momento flettente che le inerzie assumono i massimi valori. Questo spiega
perchè, spesso, l'indicazione del carico che il robot può manipolare e le sue prestazioni
cinematiche (velocità ed accelerazioni) vengono date in riferimento ad una ben definita
configurazione del braccio.
Fig. 21
Per ridurre i pesi gravanti sulla struttura una soluzione generalmente adottata da tutti i
costruttori è quella di posizionare i motori sulla base del robot, immediatamente a
valle del primo giunto di rotazione. Questa soluzione ha il vantaggio di alleggerire
notevolmente la struttura, ma necessita di un sistema di trasmissione che porti il moto dai motori
fino ai giunti utilizzatori;la trasmissione, oltre a causare un aumento di complessità del
sistema, porterà spesso ad una degradazione delle prestazioni dinamiche del robot. Tale
penalizzazione dinamica è spiegabile con la diminuzione di rigidità del sistema di
trasmissione del moto conseguente all'introduzione dei suddetti cinematismi tra il motore ed il
giunto utilizzatore.
Allo scopo di contenere le flessioni, funzioni sia del carico che della configurazione, si
irrigidiscere la struttura, avendo cura di appesantirla il meno possibile.
Inoltre i giochi meccanici dovranno essere il piu' ridotti possibile in quanto il volume di
lavoro coperto è tale che la struttura possa venir sollecitata in direzioni opposte con il risultato
di evidenziarne eventuali giochi presenti nella meccanica.
Il controllo del movimento degli assi si presenta complesso se si desidera garantire che le
traiettorie reali riproducano fedelmente quelle impostate teoricamente. Infatti il
programmatore della macchine quando descrive al robot il ciclo operativo, inteso come sequenza
di movimenti, lo farà sempre in riferimento ad un mondo cartesiano e quindi, utilizzando nella
maggior parte dei casi, dei movimenti in linea retta. Compito del controllo del robot sarà quindi
quello di imporre ai giunti del robot la corretta sequenza di movimenti coordinati in modo che
l'estremità della sua struttura realizzi la traiettoia desiderata dall'utente.
I tre gradi di libertà principali, ordinati a partire dalla base, sono cosi' organizzati ( Fig. 22 ) :
- rotazione attorno ad un asse verticale
- rotazione attorno ad un asse orizzontale
- traslazione lungo la direzione definita dalla posizione dei due giunti angolari
Il movimento traslatorio è in pratica realizzato dall'estensione telescopica del giunto lineare e viene
detto sfilo.
La struttura viene definita sferica in quanto il volume di lavoro è un settore di sfera (Fig 23 ).
I due giunti rotatori descrivono infatti due archi perpendicolari fra loro mentre quello lineare
determina il raggio della superficie sferica da essi descritta, variabile tra un minimo (sfilo
contratto) e un massimo (sfilo esteso). Immaginando di collocare il robot in modo che il punto
di intersezione dei suoi due assi rotatori coincida con l'origine del sistema di riferimento, si nota
come i primi due assi rotatori servano ad individuare la direzione del punto obbiettivo, mentre il
terzo permetta di raggiungerlo effettivamente.
Fig. 22
Fig. 23
I robot sferici hanno il vantaggio di poter essere facilmente introdotti nei processi produttivi.
Infatti il grosso della struttura, a cui compete l'orientamento del robot, può essere
collocato in una posizione abbastanza lontana dal punto in cui esso deve operare, che viene
raggiunto utilizzando lo sfilo.
I tre gradi di libertà principali, ordinati a partire dalla base, sono cosi' organizzati ( Fig.24):
- rotazione attorno ad un asse verticale
- traslazione lungo l'asse di rotazione del giunto precedente.
- traslazione nella direzione definita dalla rotazione del primo giunto ottenuta con uno sfilo
Fig. 24
Questa struttura viene definita cilindrica in quanto il volume di lavoro è facilmente individuabile
come quello racchiuso tra due cilindri l'uno interno all'altro (Fig. 25 ).
Il giunto prismatico orizzontale determina le dimensioni del cilindro interno (sfilo
completamente retratto) e di quello esterno (sfilo alla sua massima estensione). Quello verticale
definisce invece l'altezza dei due cilindri, pari alla sua corsa.
Questa struttura permette di coprire agevolmente un ampio volume di lavoro e di poter penetrare
anche in spazi di lavoro angusti.
Tutto lo spazio che si trova attorno alla base del robot può essere infatti raggiunto agevolmente
con una semplice rotazione del primo grado di libertà e la presenza dello sfilo permette di
collocare il grosso della struttura in una posizione abbastanza lontana da quella in cui esso deve
operare. Il suo punto debole è rappresentato dalla presenza dello sfilo e, piu' in generale, di assi
lineari.
Fig. 25
Lo sfilo è causa di problema in quanto può subire delle flessioni in funzione sia del carico
trasportato che della sua estensione. Ciò significa che la precisione di posizionamento di questo
robot è funzione sia del carico che della posizione dello sfilo. La presenza di giunti prismatici
non è in questo caso causa di notevoli costi agguntivi poichè questo robot viene utilizzato in
genere in operazioni di manipolazione che non richiedono una elevata precisione di
posizionamento. I robot cilindrici trovano la loro applicazione ideale nella
movimentazione di parti o nell'asservimento di piu' macchine operatrici.
Infatti entrambe le applicazioni richiedono che il robot copra un ampio volume di lavoro ma si
accontentano anche di precisioni modeste. Per ottimizzare lo sfruttamento dello spazio di lavoro
solitamente i pezzi da manipolare (o le macchine da asservire) vengono disposte a corona attorno
al robot. La possibilità di eseguire movimenti verticali utilizzando un solo giunto ha permesso
l'utilizzo di questi robot anche in operazioni di assemblaggio. Tuttavia in questo ambito sono
stati praticamente soppiantati dai robot di tipo SCARA, piu' rapidi ed economici.
La struttura cilindrica raggiunse, al pari di quella sferica, la massima diffusion agli inizi della
robotica industriale. Questo fatto è spiegabile se si pensa che i primi robot utilizzavano
prevalentemente degli azionamenti idraulici e che questa struttura si presenta
particolarmente adatta per il loro utilizzo.
I tre gradi di libertà principali, ordinati a partire dalla base, sono cosi' disposti:
- rotazione attorno ad un asse verticale
- rotazione " " " " "
- traslazione in direzione verticale ( Fig. 26).
I primi due permettono all'estremità di muoversi in un piano orizzontale, mentre quello
traslatorio rende possibile anche gli spostamenti verticali.
Il volume di lavoro è descrivibile in prima approssimazione come una porzione di cilindro e
risulta simile a quello dei robot cilindrici nei casi in cui il loro primo grado di libertà non è in
grado di compiere una rotazione completa (Fig. 27).
Fig. 26
Gli SCARA vengono comunemente definiti anche come robot a braccio girevole o a giunti rotoidali
orizzontali ( perchè il 2° e il 3° grado di libertà muovono il braccio in un piano orizzontale).
Questa struttura è il risultato di uno studio condotto da piu' società giapponesi tendente a
realizzare un sistema a basso costo in grado di operare con tre o quattro gradi di libertà.
Nonostante la sua introduzione sul mercato sia relativamente recente rispetto alle altre strutture,
essa ha già raggionto una diffusione tale, che oggi praticamente tutti i costruttori di robot la
annoverano nei loro cataloghi.
Le applicazioni in cui gli SCARA si stanno imponendo sono quelle dell'assemblaggio e della
movimentazione leggera.
Fig. 27
Le ragioni del successo in questo ambito derivano innanzitutto dall' elevata precisione di
posizionamento raggiungibile e dalle notevoli prestazioni dinamiche. Queste ultime sono rese
possibili dal fatto che il movimento della parte piu' pesante della struttura avviene in un piano
orizzontale e quindi gli attuatori non devono lavorare contro la forza peso.
Inoltre il comportamento selettivo della struttura la rende molto rigida per sforzi in direzione
verticale mentre presenta una maggiore cedevolezza nel piano orizzontale. Infatti la
sigla SCARA deriva dalle iniziali di Selective Compliance Assembly Robot Arm ( Braccio
robotizzato per assemblaggio con cedevolezza differenziata). La necessità di questo
comportamento del robot è molto utile per eseguire in modo affidabile molte
operazioni di assemblaggio.
Notevole è poi la possibilità di effettuare operazioni di inserzione verticale utilizzando il solo
movimento dell'asse Z. Va sottolineato che, essendo il giunto di traslazione verticale l'ultimo
della struttura, il peso della parte in movimento per effettuare un'inserzione sarà modesto. Questo
al contrario delle strutture cilindriche, dove ogni movimento verticale comporta lo
spostamento di tutta la struttura.
Significativa anche la compattezza della struttura in rapporto al volume di lavoro ricoperto. Si
tratta in ogni caso di prestazioni nettamente inferiori a quelle permesse dai robot articolati in
quanto gli SCARA non possono afferrare pezzi che si trovino sulla verticale del loro basamento ed
hanno difficoltà a manipolare pezzi situati ad altezza uguale od inferiore a quella del basamento.
In questi casi infatti l'asse lineare dello Z dovrebbe avere una corsa molto elevata che ne
pregiudicherebbe la rigidità andando a penalizzare la precisione di posizionamento
del sistema.
Infine la possibilità di realizzare dei robot semplici ed economici. Infatti la maggioranza degli
SCARA viene costruita con soli quattro gradi di libertà ed utilizzata per semplici
operazioni di assemblaggio che non richiedono al robot una completa capacità di orientazione
dei pezzi manipolati. In quei casi in cui risultano indispensabili tutti i sei gradi di
libertà,il costo dello SCARA (equipaggiato con un polso che permetta l'orientazione completa
dei pezzi) diventa comparabile con quello degli altri robot e, nella maggior parte dei casi,
diviene piu' conveniente orientarsi verso una struttura di tipo articolato per la maggiore flessibilità
operativa. Gli studi sulla tipologia delle operazioni di assemblaggio indicano che
oltre l'80% di esse può essere eseguita utilizzando uno SCARA a quattro gradi di libertà.
Il maggior limite degli SCARA è la loro struttura che ne limita pesantemente le possibilità di
operare in spazi angusti rendendone problematico l'impiego in molti ambiti, come ad
esempio quello dell'asservimento di macchine operatrici.
Fig. 28
Si tratta del robot IRB 1000 sviluppato dalla ABB per applicazioni di assemblaggio (Fig.28 a).
Il suo nome ne sottolinea la somiglianza con un pendolo in quanto i suoi tre gradi di libertà
principali sono cosi' organizzati:
- due rotazioni che permettono al braccio di realizzare i movimenti nel piano X Y tramite delle
oscillazioni. Tale scelta è stata la logica conseguenza di voler realizzare un robot ad elevate
prestazioni dinamiche. Infatti i suoi attuatori, dal momento che il robot pende dall'alto verso
il basso, si troveranno a vincere una forza peso molto ridotta. D'altra parte, dal momento che
tutte le masse sono state concentrate in prossimità dei due assi di rotazione, anche le
inerzie risulteranno molto ridotte.
- lo sfilo dell'elemento alla cui estremità è stato ricavato il polso. In pratica il movimento che
realizza può essere assimilato ad una traslazione verticale.
Il volume di lavoro è, come nel caso dei robot sferici, una corona sferica, come mostrato in Fig.
28b.
Il pendolo è un robot che nasce a sei gradi di libertà e viene sempre impiegato in configurazione
completa. Per questo il pendolo si presta all' automazione di operazioni complesse; in ogni
caso, la sua maggior destrezza si traduce in una semplificazione della realizzazione della
stazione di lavoro, ripagando il suo maggio costo iniziale.
Spine robot
Si tratta di un robot realizzato da una ditta svedese che presenta una struttura molto particolare
(Fig.29a).
Fig. 29
Essa è infatti costituita da due giunti ognuno dei quali è realizzato con una catena di elementi
ciascuno dei quali ricorda vagamente un anello della colonna vertebrale. Infatti entrambi i giunti
sono realizzati con una sequenza di dischi convessi, tenuti premuti fra loro da quattro cavi
messi in tensione da altrettanti cilindri idraulici. Il precarico della struttura si rende necessario
per aumentarne la rigidezza e per diminuirne i giochi.
Il movimento viene realizzato agendo sui quattro tiranti che vanno comandati sempre a coppie,
intendendo per coppia, due fili diagonalmente opposti. L'azionamento viene affidato a dei
cilindri idraulici che provvedono a mettere in tensione o a rilasciare i tiranti in modo che,
grazie alla possibilità che ogni singolo disco ha di ruotare rispetto agli altri, l'estremità
della struttura del robot possa raggiungere la desiderata posizione (Fig.29b). I due giunti
cosi'realizzati portano al robot quattro gradi di libertà; infatti ciascuno di essi permette di ruotarlo
attorno a due assi ortogonali tra loro.
Nel polso sono concentrati i tre secondari , per un totale di sette. Il vantaggio dell'utilizzo di
questa struttura è la sua ineguagliabile flessibilità. Tuttavia la presenza dei numerosi contatti
superficiali tra i singoli dischi causa una diminuzione sia della rigidezza della struttura che della
precisione di posizionamento.
Fig. 30
Sarebbe molto interessante che i tre assi, attorno a cui avvengono le rotazioni, si incontrino in
un ben determinato punto del pezzo manipolato, cosi' che l'operazione di orientamento non vada a
modificare la sua posizione nello spazio di lavoro. Si pensi, come esempio, ad un robot utilizzato
in un'applicazione di incollaggio, il cui polso sia realizzato in modo tale che i tre assi di rotazione
si incontrino esattamente sopra l'ugello di distribuzione del collante. Ciò significa che l'ugello
può essere comunque orientato, ad esempio per mantenerlo perpendicolare alla superficie
da incollare, senza che questo vari la sua posizione nello spazio che risulterebbe governata
soltanto dai giunti principali.
Poichè è molto difficile realizzare in pratica un polso di questo tipo, quelli dei robot industriali
hanno il punto di incontro degli assi di rotazione in genere contenuto all'interno del polso stesso.
A.A. 2000/2001 – Pag 22 di 22
Generalità sui robot industriali – A. Curami, R. Sala