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“Gesù” L'invenzione del Dio cristiano | Recensione https://www.uaar.

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Gesù
L'invenzione del Dio cristiano
Paolo Flores d'Arcais
ADD Editore, 2011
ISBN: 9788896873335

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Il fermento del variegato mondo miscredente e anticlericale nostrano, rilanciato soprattutto grazie
ad internet, ha tra i suoi terreni di allenamento preferiti la critica testuale ai Vangeli e lo studio
della figura di Gesù. Si nota così un fiorire di pubblicazioni e siti ‘artigianali’ che sviscerano i
racconti evangelici. D’altronde, ora che possedere e leggere certi testi non è più reato o
appannaggio della casta clericale, qualunque scettico può prendere in mano una copia del Nuovo
Testamento e mettere nero su bianco tutte le evidenti contraddizioni che trova. Senza sapere
magari che la critica di stampo illuministico e razionalista ha fatto lo stesso, già da qualche secolo.
E che anzi il filone storico-critico è vivo anche nei giorni nostri e di alto livello, nonostante
rimanga nella nicchia delle accademie e poco diffuso nel nostro Paese.

Il risultato è che non di rado toni polemici e pirotecnici e tesi discutibili sopravanzano la qualità
delle argomentazioni. Quello che manca è infatti un retroterra culturale adeguatamente
metabolizzato e approfondito, che ignora una schiera di studiosi di riferimento la cui produzione è
soprattutto in inglese e tedesco. E’ anche vero che per tanti dubbiosi la produzione più
schiettamente polemica è quella più abbordabile e facilmente reperibile. Soprattutto per quelli alle
prime armi, desiderosi di risposte e conferme per consolidare la propria scelta esistenziale di non
credenza. Ma sarebbe auspicabile traghettare i curiosi e gli appassionati verso opere più
sostanziose.

È per questo che risulta particolarmente utile il recente libricino di Paolo Flores d’Arcais su Gesù.
L’autore infatti presenta le tesi di esperti del calibro di Bart Ehrman e Geza Vermes (solo per citare
un paio di pesi massimi), in maniera chiara e sintetica. Meglio ancora, lo fa con un’opera
concepita per essere divulgativa e dal costo veramente abbordabile. Chiaramente, non può essere

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esaustiva di tutto il dibattito accademico sui resoconti evangelici e sulla vita di Gesù. Ma può
essere una bussola per chi volesse avventurarsi in quel mondo, indirizzandosi verso opere più serie
e stimolanti.

Così, d’Arcais punta a fornire un’agile guida per smantellare una per una le «bugie» di Benedetto
XVI, col quale già aveva duellato a colpi di fioretto quando ancora questi vestiva la porpora
cardinalizia. Diventato papa, Raztinger ha avviato a tambur battente e con grancassa mediatica e
culturale al seguito la sua opera di revisionismo storico e filosofico integrale (o integralista, a
seconda dei palati), con i suoi tomi sulla figura di Gesù. D’altronde, il disegno è facilitato anche
dalla generalizzata ignoranza su ciò che i testi effettivamente dicono e sulla loro evoluzione nei
primissimi secoli di storia cristiana. E per contrastare ciò, ecco che Flores d’Arcais pensa ad un
libro che invece è piccolo e snello. Si direbbe, in un patetico impeto di lirismo, come un seme che
può germogliare negli spiriti più recettivi. O versatile ed essenziale una frombola, se volessimo
proprio scomodare lo scontro biblico tra un Golia ‘raztingeriano’ e un Davide ‘razionalista’.

Così scopriamo (si fa per dire) che tanti di quei dogmi veicolati dal cattolicesimo non reggono al
confronto della più navigata e attendibile ricerca storica. Già gli stessi seguaci del proclamato
‘messia’ erano ebrei osservanti. Un’altra «bugia» è che la parusia sia stata annunciata come
lontana, quando invece lo stesso Gesù in maniera inequivocabile l’ha proclamata imminente. E
così aveva fatto Paolo, con successivo slittamento dei tempi nelle lettere successive, fatte passare
come opere degli apostoli per giustificare il cambiamento di rotta. Si capisce infatti che prorogare
ad libitum la parusia diventa un’assicurazione per la Chiesa, che può quindi auto legittimare la sua
esistenza virtualmente all’infinito. Negli stessi testi del Nuovo Testamento si trovano gli indizi di
una modifica della dogmatica cristiana, che ad una analisi più attenta si mostra molto relativa (o
relativista). D’Arcais parla in certi casi di «criterio di imbarazzo»: se i detti attribuiti a Gesù
entrano in contrasto con la teologia successiva allora dovevano essere stati ritenuti originali e per
questo non espunti dai testi.

Altro dogma di cui vengono mostrati gli ingranaggi difettosi è quello della resurrezione. Paolo ne
ha una concezione prettamente mistica, mentre i Vangeli mostrano ricostruzioni discordanti e
aggiunte molto tarde.

Andando a sezionare le varie versioni dei Vangeli, la critica – pur con conclusioni e approcci
differenti, come correttamente rilevato da Flores d’Arcais – le considera come espressione della
«concorrenza» tra le varie correnti cristiane, su punti fondamentali quali il primato di Pietro
rispetto a Giacomo, fratello di Gesù. Infatti proprio il Nuovo Testamento, grattando la patina
dell’ortodossia, mette in luce le aspre diatribe tra le varie comunità. Prima di tutto, tra quella di
Gerusalemme legata alla tradizione israelitica, di cui è rappresentante Giacomo, e le correnti

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ellenistiche, che ammettono i gentili e sorvolano sull’osservanza delle pratiche ebraiche. Lo stesso
Paolo si scaglierà contro Pietro e la comunità originaria, bollandoli come ‘falsi apostoli’.
Contrapposizioni che nella rielaborazione dell’ortodossia saranno appianate da una «ricostruzione
posteriore». Tanto che Pietro e Paolo ora formano per la dottrina cattolica un’accoppiata
inscindibile.

Anche il canone evangelico si forma molto più tardi rispetto ai fatti che suppone di narrare e in
maniera tutt’altro che lineare. Considerato prima di tutto che Gesù doveva predicare in aramaico e
solo agli ebrei, mentre i Vangeli sono in greco e diffusi tra ellenisti e non circoncisi. Si ritiene che
il nucleo di partenza siano stati gli oscuri logia (i detti attribuiti a Gesù), diffusi oralmente e fusi –
l’autore sostiene in buona fede – con i «carismi» profetici delle comunità, con corollario di
glossolalia, estasi mistiche et similia. Dato il metodo di ricostruzione non propriamente
attendibile, non è strano che si siano diffusi «misunderstanding» anche clamorosi. Come gli errori
di traduzione e ortografia più o meno involontari (si vedano i casi arcinoti della ‘vergine’ o del
‘cammello’) nel corso della «diffusione/evoluzione» delle storie su Gesù.

Tutto questo processo fa dire a d’Arcais: «pensare ai canonici e agli apocrifi in termini di
autenticità o falsità» dal punto di vista dell’analisi storica «sarebbe semplicemente demenziale».
Fino al IV secolo infatti c’è un «caleidoscopio» di «cristianesimi» con «teologie inconciliabili» e
non eresie staccatesi dal tronco di una ortodossia già definita. Di fatto, è solo con l’imposizione
del cristianesimo come unica religione di stato nell’impero romano che prevarranno una
ortodossia e una Chiesa. Opera fondamentale per capire questo revisionismo teologico è Contro le
eresie di Ireneo, dove il padre della Chiesa cataloga le sette cristiane considerate eretiche e in
particolare si scaglia contro Marcione. Il noto ‘eretico’ della fine del II secolo, paradossalmente,
sarà il primo ad organizzare su larga scala una Chiesa e ad elaborare un canone. Lo farà
espungendo dai testi alcune lettere false di Paolo «con perizia filologica straordinaria per quei
tempi» e accettando il Vangelo di Luca senza la natività e senza nemmeno prendere in
considerazione gli altri tre canonici. D’altra parte, saranno proprio gli “eretici” ad accusare gli
“ortodossi” di falsificare le scritture a proprio piacimento, per controbattere alle obiezioni.

Punto forse deludente per alcuni è che D’Arcais non mette in dubbio la storicità di Gesù,
interessato com’è a seguire la traccia dei testi rimasti e a rendere conto dei risultati della ricerca
più seriosa. Proprio sulla base degli scritti però contesta l’idea che egli si sia proclamato “messia”
o tantomeno Dio. La divinizzazione di Gesù e la sua trasformazione in Cristo sono «astrazioni
successive» e riflettono piuttosto le diatribe successive tra rabbini e cristiani. Sulla scorta
soprattutto di Ehrman, l’autore sostiene che saranno poi i cristiani ad alterare i testi per introdurre
elementi tesi a legittimare la credenza in un Gesù divino. Come le storie «posticce» sulla nascita
da una vergine. Racconti tesi piuttosto a rispondere alle eresie adozionistiche, secondo cui Gesù

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non è nato ‘divino’ ma al limite è stato ‘adottato’ da Dio dopo la nascita.

Capitolo interessante è quello dedicato a Gesù secondo l’ottica islamica. Un filo rosso legherebbe
il cristianesimo ‘originario’ di Gerusalemme (quello ebionita) a Maometto. D’Arcais riporta che il
profeta arabo si è probabilmente ispirato ai discendenti di gruppi di ebioniti diffusi in Arabia.
Tanto che secondo alcuni testi islamici sarebbero stati proprio i cristiani ad abbandonare la
religione di Gesù istigati da Paolo, per adattarsi ai costumi romani. La tradizione giudeo-cristiana,
ritenuta eretica perché considerava Gesù semplice profeta ed era anti-trinitaria, sarebbe poi
confluita nell’islam. E quindi il Gesù più ‘genuino’ sarebbe quello che emerge dai testi islamici,
non quello della Chiesa.

La conclusione dell’autore è secca: Gesù non era un messia (o il Messia), ma un profeta


apocalittico errante nonché ebreo osservante. In sostanza Gesù non è mai stato “cristiano”, ma lo
diventerà nel pio sforzo fideistico dei suoi seguaci e dopo un percorso ideologico-teologico lungo
e contraddittorio.

Valentino Salvatore

Agosto 2011

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