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Appunti dalle lezioni


del corso di

MACCHINE

Prof. Vincenzo Dossena

NOTA: La dispensa è proposta in forma provvisoria.


Si ringrazia il Prof. Gianfranco Angelino per l’autorizzazione a utilizzare
parzialmente gli appunti alle lezioni del corso di Macchine dell’anno 2002.
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INDICE
Capitolo 1°
Oggetto del corso p. 3

Capitolo 2°
Richiami di Termodinamica p. 6

Capitolo 3°
Conservazione dell’energia e lavoro nei sistemi fluenti p. 12

Capitolo 4°
La similitudine idraulica p. 25

Capitolo 5°
Turbine idrauliche p. 38

Capitolo 6°
Pompe centrifughe p. 49

Capitolo 7°
La compressione dei gas p. 55

Capitolo 8°
I compressori di gas p. 59

Capitolo 11°
Turbine assiali p. 84

Capitolo 13°
Turbine a gas p. 103

Capitolo 14°
Motori volumetrici a combustione interna p. 123
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CAPITOLO 1°
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Le macchine e l’energia
Il corso si propone di descrivere le pincipali trasformazioni energetiche, gli
impianti destinati a tali trasformazioni e le principali macchine utilizzate per tale
scopo. Benché siano disponibili sistemi di coversione diretta dell’energia solare e
termica in energia elettrica la quasi totalità degli impianti energetici (la totalità
per quanto riguarda impianti di grande potenza) impiega, per la coversione,
macchine a fluido, nelle quali si ha scambio di energia fra il fluido di lavoro
(liquido o aeriforme) e organi meccanici. In molti casi, ma non necessariamente
l’energia meccanica è convertita in energia elettrica viceversa. La descrizione delle
principali macchine a fluido e i principi elementari di funzionamento saranno
oggetto del corso, mentre si rinvia a corsi specializzati per concetti più
approfonditi sul progetto delle macchine.
In generale le macchine trasformano l’energia del fluido in energia meccanica
(macchine motrici: idrauliche, a vapore o a gas) o assorbono energia meccanica
per fornire energia al fluido (macchine operatrici: idrauliche o a gas), ma anche in
quest’ultimo caso l’energia meccanica proviene comunque da trasformazioni di
energia primaria è utile avere un’idea delle diverse fonti energetiche e dei diversi
settori di utilizzo dell’energia.
TABELLA Consumo di energia primaria per tipo. Consumo mondiale totale =9125
Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio).
CONSUMO ENERGETICO MONDIALE 1984
% PER DIVERSI SETTORI E PER DIVERSE FONTI ENERGETICHE
Petrolio Gas Carbone Nucleare Idraulica Totale
Residenziale/commercio 6,9 9,7 2,0 - - 18,6
Industriale 7,4 5,0 6,0 - - 18,4
Trasporti 18,0 0,1 - - - 18,1
Energia elettrica 3,2 2,5 18,2 4,5 7,0 35,4
Altri usi 3,5 2,7 3,3 - - 9,5
Totale 39,0 20,0 29,5 4,5 7,0 100
Totale anno 2001 38,5 23,7 24,7 6,6 6,5
NOTA: nella voce “idraulica” sono comprese le energie rinnovabili in generale
(solare, eolico,...)
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La frazione preponderante dell’energia primaria consumata da un Paese


industrializzato come il nostro viene elaborata dalle macchine: tutta l’energia
elettrica è prodotta attraverso macchine a fluido (35% circa del consumo
complessivo di energia primaria; per una potenza utile di oltre 50 000 MW); tutta
la potenza propulsiva dei mezzi di trasporto (terrestri, aerei, marini per un totale
del 25% circa del consumo di energia primaria) è ottenuta a mezzo di macchine
termiche. Dalle tabelle appare inoltre evidente che la maggior parte dei processi
energetici è di natura termodinamica, per lo più legata alla produzione di calore
prodotto dalla combustione. Come già detto ciò comporta in modo diretto o
indiretto l’impiego di macchine a fluido. L’ampio settore del riscaldamento
ambientale (20% del consumo di energia primaria) e della produzione di calore a
bassa temperatura sembra a tutta prima estraneo alla necessità di fare ricorso
alle macchine, in quanto le sue esigenze vengono soddisfatte da caldaie o
generatori di calore e di vapore. In realtà la razionalizzazione dei consumi passa
nel futuro attraverso un ricorso importante alle macchine a fluido anche in tale
settore, per mezzo delle cosiddette “pompe di calore”, che trasformano energia
meccanica in calore in maniera molto più efficiente, così come i cicli frigoriferi
permettono di asportare calore a bassa temperatura.

Classificazione delle macchine a fluido

Come detto le macchine a fluido producono energia meccanica (macchine motrici)


o l’assorbono, aumentando l’energia del fluido (macchine operatrici). Nella prima
categoria studieremo le turbine: idrauliche, eoliche, a vapore o a gas e i motori
volumetrici a combustione interna. Nella seconda categoria studieremo le pompe
e i compressori, ma rientrano anche le eliche propulsive.
Una seconda importante classificazione distingue in macchine volumetriche e
dinamiche.
Nelle prime il lavoro è scambiato fra fluido e organi meccanici in modo “quasi
statico”, nel senso che la velocità del fluido non è rilevante sul lavoro specifico
scambiato. L’esempio più comune sono i motori, le pompe o i compressori
alternativi, nei quali l’organo mobile che scambia lavoro è il pistone sul quale
agisce la pressione del fluido.
Nelle seconde, al contrario, gli effetti dinamici del fluido sono preponderanti; esse
sono quindi caratterizzate da elevate velocità del fluido. La categoria di gran lunga
più interessante è quella delle cosiddette “turbomacchine”, caratterizzate dal fatto
che il fluido scambia energia con organi rotanti attorno a un asse di simmetria
della macchina (rotori o giranti), attraverso opportune palettature che variano la
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velocità del fluido in modulo o direzione. Nel seguito studieremo le turbine


idrauliche o termiche, le pompe e i compressori assiali e centrifughi.
Per quanto l’esperienza quotidiana ci porti a conoscere maggiormente i motori a
volumetrici a combustione interna, largamente impiegati nel trasporto su ruote,
perché più adatti, come vedremo, per piccole potenze, la quasi totalità dell’energia
per uso industriale e in particolare tutta l’energia elettrica è prodotta da grandi
turbomacchine (turbine idrauliche, a vapore o a gas).
Della descrizione di tali macchine, dei loro principi di funzionamento e delle loro
prestazioni si occuperà il corso, ma anche della descrizione dei più importanti
impianti termici per la produzione di energia, le centrali a vapore e le turbine a
gas fisse e per il trasporto navale ed aereo.
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CAPITOLO 2°
RICHIAMI DI TERMODINAMICA

Il primo principio e l’energia interna


Come è noto molte grandezze meccaniche e termodinamiche sono estensive in
particolare con riferimento alla massa, sono cioè proporzionali alla massa. Nel
seguito verranno per lo più utilizzate forme “specifiche alla massa utilizzando
lettere minuscole, mentre le corrispondenti grandezze globali saranno descritte
con lettere maiuscole per le formulazioni globali. Tuttavia fa eccezione il lavoro
specifico, che indicheremo in genere con la lettera maiuscola per evitare equivoci
nella grafia.
Concettualmente si può far risalire la formulazione del primo principio
all’osservazione che se un sistema riceve dall’esterno energia meccanica, affinché
il suo stato non cambi, è necessario che venga asportata energia termica in
quantità proporzionale all’energia meccanica entrante. La misura della costante
di proporzionalità conduce al principio di equivalenza del calore e del lavoro:

L J
= 4186 (1)
Q Kcal

che va intesa per un sistema che non cambia il suo stato o che, pur cambiandolo,
viene però ricondotto allo stato di partenza. Con tale osservazione e usando le
stesse unità di misura la (1), con riferimento ad una trasformazione ciclica, può
essere così riscritta ad esempio per una massa unitaria:

∑ (L + q) = 0; ∫ (δq + δL) = 0 (2)

in cui lavoro e calore sono positivi se entranti. Per una proprietà delle somme (e
degli integrali) la (2) fornisce:

2 2

∫ (δq + δL) = ∫ (δq + δL) =u 2 − u1


1,A 1,B
(3)

dove A e B rappresentano due percorsi diversi per portare il sistema da 1 a 2. La


(3) consente di definire la funzione di stato energia interna e rappresenta una
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delle formulazioni possibili del primo principio, peraltro compiutamente


contenuto anche nella (2). La (3) può essere così riscritta:

q + L = u 2 − u 1 ; δq + δL = du (4)

in cui calore e lavoro sono supposti positivi se entranti. Il lavoro può essere
espresso per mezzo della variazione di volume (dilatazione), ottenendo:

δL = − P ⋅ dv (trasformazione reversibile) (5)


δL = − P ⋅ dv + δl W (trasformazione generica) (6)

dove si è introdotta l’energia dissipapa per irreversibilità δLW.


La (4) può essere così riscritta

δq + δL W = du + P ⋅ dv (7)

o anche
2
q + L W = u 2 − u 1 + ∫ P ⋅ dv (8)
1

per le quali si può osservare che le dissipazioni Lw (energia di natura meccanica


degradata a energia di agitazione molecolare) sono “viste” dal fluido come calore
entrante.

Il secondo principio e l’entropia


L’osservazione che in natura i processi avvengono in una direzione privilegiata
(appunto naturale) costituisce la sostanza del secondo principio.
Quantitativamente esso può essere formulato con l’osservazione che il rendimento
massimo (trasformazioni reversibili) per la conversione del calore isotermo in
lavoro è quello previsto per il ciclo di Carnot:

L Q T
ηc = = 1− 2 = 1− 2 (9)
Q1 Q1 T1

da cui si deduce: Q2/Q1=T2/T1; osservando che per Q1 e Q2 in (9) si sono usate


convenzioni di segno opposte, unificando le convenzioni si ha poi, per una
trasformazione ciclica:
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Q δQ
∑ T = 0; ∫ T
= 0 (processo reversibile) (10)

La (10), in analogia con quanto fatto per la (4) si presta alla definizione di un’altra
funzione di stato, l’entropia:

2 2
δq δq δq
∫ T 1,∫B T
1, A
= = s 2 − s1 ; ds =
T
(trasformazione reversibile) (11)

In generale ds > δq/T in quanto δLw produce effetti aggiuntivi del tutto uguali a
quelli prodotti da un’ulteriore introduzione di calore:

δq δL W δL w
ds = + ; ds irr = (12)
T T T

in cui dsirr può essere presente anche nel caso adiabatico.


Sostituendo la (12) nella (7), si ottiene l’equazione fondamentale della
termodinamica;
Tds = du + Pdv (13)
Nello studio delle macchine è utile definire una nuova grandezza di stato,
l’entalpia specifica h=u + Pv, da cui: dh=du+P dv+v dP. Sostituendo du nella (13)
si ottiene la forma alternativa:
Tds = dh − vdP (14)

I fluidi di lavoro: gas perfetti, gas reali,


liquidi in senso proprio e liquidi comprimibili
Il fluido più semplice d’uso corrente nelle macchine è il gas perfetto, che
obbedisce all’equazione di stato:
R
P ⋅ v = R ⋅ T; R = (15)
M
in cui la costante specifica del gas è ottenuta da quella universale dividendola per
la massa molecolare. La teoria cinetica dei gas insegna che si comporta come un
gas perfetto un sistema costituito da un gran numero di particelle che
interagiscono soltanto a mezzo di urti (assenza di azioni a distanza). Al concetto
di gas perfetto è associata la conseguenza che energia interna, entalpia.
u = u(T); h = h(T)
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δq
Introducendo il concetto di “calore specifico”: c x = , che è una proprietà fisica
dT
del fluido e dipende dalla trasformazione termodinamica, ne consegue che ,
anch’esso è funzione della sola temperatura. In particolare i calori specifici a
volume ed a pressione costante:

c V = c V (T ); c P = c P (T )

L’andamento dei calori specifici con la temperatura è determinato dai gradi di


libertà della molecola. In generale valgono le relazioni:
c 0V = c V,trasl + c V,rot + c V,vibr c 0P = c 0V + R (16)
3
Il contributo traslazionale è sempre presente e vale ⋅ R ; quello rotazionale,
2
2
assente nelle molecole monoatomiche (come quelle dei gas nobili), vale ⋅ R per le
2
3
molecole biatomiche e ⋅ R per le molecole con più di due atomi e struttura
2
spaziale (possibilità di rotazione attraverso tre assi ortogonali). Praticamente i
gradi di libertà di traslazione e di rotazione sono sempre totalmente eccitati e
forniscono un contributo costante al variare della temperatura. Le molecole
biatomiche al crescere della temperatura cessano di comportarsi come rigide e
acquisiscono un grado di libertà vibrazionale il cui livello di eccitazione cresce con
2 1
la temperatura e che contribuisce, alla saturazione, con ⋅ R ( ⋅ R per ciascuna
2 2
delle due forme di energia, cinetica e potenziale, messe in gioco dalla vibrazione).
L’aria a temperature inferiori a quella ambiente, ad esempio, è come se fosse
costituita da molecole rigide. Le molecole pluri-atomiche a struttura spaziale
manifestano, al crescere della temperatura, 3n-6 modi possibili di vibrare,
variamente eccitati, in funzione della loro frequenza. Gas a molecola complessa
(ad esempio vapori di C8H18) proprio a causa del determinante contributo delle
numerose possibilità di vibrazione, hanno calori specifici fortemente crescenti con
la temperatura.
In definitiva il comportamento termodinamico di un gas perfetto è compiutamente
noto quando si conoscano la massa molecolare e l’andamento del calore specifico
con la temperatura.
Qualora un gas non obbedisca, se non approssimativamente, alla (13) lo si
definisce un “gas reale” e lo scostamento di comportamento prende il nome di
“effetto di gas reale”. Formalmente anche per esso viene mantenuta un’equazione
di stato simile alla (13)

P ⋅ v = Z ⋅ R ⋅ T Z = Z(P, T) (19)
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in cui Z, denominato “fattore di comprimibilità”, racchiude l’intera divergenza di


P T
Pr =
; Tr = Z = Z(Pr , Tr ) (20)
Pcr Tcr
comportamento volumetrico del gas rispetto a quello perfetto. Z rappresenta
anche il rapporto fra il volume specifico effettivo e quello che si avrebbe
nell’ipotesi di gas perfetto. Pertanto lo scostamento di Z dall’unità costituisce un
buon indice per misurare l’entità dell’effetto di gas reale. L’infinità varietà di
comportamento dei gas reali può essere ricondotta in una cornice di notevole
semplicità con l’osservazione che Z, con buona approssimazione, è una funzione
univoca delle grandezze ridotte

Questa osservazione sperimentale costituisce il “principio degli stati


corrispondenti” che unifica, sotto opportune regole, il comportamento
termodinamico di tutti i fluidi sia dal punto di vista volumetrico che termico. Le
cause principali di scostamento dal comportamento di gas perfetto sono da
ricercarsi o nelle azioni a distanza fra le molecole o nell’instabilità molecolare che
porta alla variazione di M.
Passando alla categoria dei liquidi, parleremo di un liquido in senso proprio
quando il fluido si presenta come incomprimibile sia nei confronti delle azioni
meccaniche sia nei confronti delle variazioni di temperatura. Il principio degli
stati corrispondenti consente di collocare la regione nella quale ciò si verifica alla
basse temperature ridotte (ad es. 0.3). All’interno della zona del liquido (a sinistra
della curva del liquido saturo) ma a temperatura ridotta più elevata (ad es. 0.7), il
fluido pur mantenendo le caratteristiche di base dei liquidi si presenta come
sensibilmente comprimibile e dilatabile, finché, aumentando ancora Tr, in
corrispondenza del punto critico perde completamente il carattere del liquido per
acquisire quello di un gas sia pure di natura molto particolare (Zcr ≈ 0.25 ÷ 0.28).
Con riferimento ai fluidi di uso corrente nelle macchine citeremo i gas
perfetti (ad es. aria o gas combusti a moderate temperature), i gas reali (ad
esempio il vapor d’acqua o i gas combusti a temperature particolarmente elevate),
i liquidi propri (ad es. acqua alla temperatura ambiente) e i liquidi comprimibili
(ad es. acqua a 250-300°C).

Trasformazioni elementari per gas perfetti

Molte trasformazioni possono essere approssimate supponendo la pressione


costante (trasformazione isobara), il volume specifico costante (isocora), la
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temperatura costante (isoterma) o trascurando gli scambi di calore (adiabatica,


isentropica se reversibile).
Tutte queste trasformazioni posso essere compendiate nella forma δq = cx dT , dove
cx è il calore specifico che assume valori diversi per le diverse trasformazioni. In particolare:

cx = cp per trasformazioni isobare. Per esse si ha dq=dh


cx = cv per trasformazioni isocore. Per esse si ha dq=du
(Si noti che da esse consegue che in generale, per gas perfetto: dh=cpdT e du=cvdT)

cx=0 per trasformazioni adiabatiche. Nel caso di trasformazioni reversibili e gas perfetto si ottiene:

cp κ −1
P ⋅ v κ = cost; T ⋅ P -θ = cost con : κ = ; θ= (21)
cv κ

cx →∞ per trasformazioni isoterme, per cui vale la relazione Pv= cost, se il gas è perfetto.

Per una trasformazione reversibile generica si ha, per la (13): c x dT = cv dT + Pdv . Se


supponiamo il gas perfetto: dT=1/R (Pdv+vdP), che sostituita nella precedente
permette di integrarla, se supponiamo il calore specifico indipendente dalla
temperatura:
cx − cp
Pv n = cost, con : n = (22)
cx − cv
Tale trasformazione prende il nome di “politropica” e può essere utilizzata per
approssimare una trasformazione reale in modo reversibile.
Osserviamo innanzitutto infine che la (14) può essere facilmente integrata fra due
stati (1) e (2), permettendo di esprimere l’entropia in funzione di due qualsiasi
variabili di stato (ad esempio temperatura e pressione). Se ad esempio
supponiamo il gas perfetto e i calori specifici costanti con la temperatura:

T2 P
s2 − s1 = c p ln − R ln 2 (23)
T1 P1
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CAPITOLO 3°
CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA
E LAVORO NEI SISTEMI FLUENTI

Formulazione “termica” della conservazione dell’energia


Si consideri una macchina a flusso continuo (in cui cioè il fluido all’interno della
macchina è in contatto costante a mezzo delle sezioni di entrata e di uscita col
fluido di alimentazione e di scarico), inserita in un circuito, nelle seguenti ipotesi
semplificative: il moto è stazionario, i filetti fluidi nelle sezioni di ingresso e di
uscita sono sensibilmente rettilinei, sono assenti reazioni chimiche ed infine è
applicabile l’ipotesi monodimensionale.

L Q
v1dt v2dt

- M +
p1A1 p2A2
1 1' 2 2'

Fig. 1

Si consideri la massa racchiusa fra le sezioni 1 e 2 in Fig. 1. Nel tempo


elementare dt la sezione 1 si porta in 1’ e la sezione 2 in 2’. La massa originaria è
ora racchiusa fra le sezioni 1’ e 2’ con la perdita della massa (e dell’energia) prima
contenuta fra 1 e 1’ e con l’acquisizione di quella contenuta fra 2 e 2’. Massa ed
energia racchiuse fra 1’ e 2, data l’ipotesi di stazionarietà, sono rimaste
immutate. La conservazione della massa si scrive pertanto:

ρ1 ⋅ A1 ⋅ V1 ⋅ dt = ρ 2 ⋅ A 2 ⋅ V2 ⋅ dt = dm (24)

in cui A rappresenta la sezione di passaggio e V la velocità del fluido. Scriviamo


quindi che l’aumento di energia per il sistema in esame eguaglia l’energia
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V22 V2
(g ⋅ z 2 + + u 2 ) ⋅ dm − (g ⋅ z1 + 1 + u1 ) ⋅ dm = L ⋅ dm + q ⋅ dm + P1 ⋅ A1 ⋅ V1 ⋅ dt − P2 ⋅ A 2 ⋅ V2 ⋅ dt (25)
2 2
entrante suddivisa in lavoro e calore scambiato dalla macchina (L dm) e (q m) e
lavoro di pulsione in ingresso ( P1 ⋅ A1 ⋅ V1 ⋅ dt ) e in uscita ( P2 ⋅ A 2 ⋅ V2 ⋅ dt ):

dm
Osservando che per la (24): A ⋅ V ⋅ dt = , introducendo la grandezza di stato
ρ
P
entalpia h = u + e dividendo ambo i membri della (25) per dm si ottiene:
ρ
V22 V2
L + q = g ⋅ z2 + + h 2 − (g ⋅ z1 + 1 + h1 ) (26)
2 2

La (26) esplicita gli aspetti termici dello scambio energetico (Q,h) mentre contiene
soltanto in forma implicita gli effetti delle perdite (Lw).
Consideriamo alcune applicazioni dirette della (26).

a) Macchine adiabatiche (compressori,turbine).


Trascurando le variazioni di energia cinetica e potenziale

L = h 2 - h1
con L>0 per compressori (entrante) e <0 per turbine.
b) Valvole adiabatiche.
Trascurando le variazioni di energia cinetica e potenziale ed osservando
che il lavoro scambiato è nullo si ottiene:

h 2 = h1

c) Moto di un fluido in un condotto adiabatico.


Trascurando le variazioni di energia potenziale e l’energia cinetica in
ingresso si ottiene:

V22 V12
− = h1 − h 2
2 2
che può essere meglio formulata introducendo una “entalpia totale o di
V2
ristagno”, definita come h0=h+ , che si conserva lungo il condotto.
2
essa coincide con l’entalpia in una sezione dove V sia trascurabile ( ad
esempio in un serbatoio).
Ovviamente si possono introdurre altre grandezze nelle medesime
condizioni (pressione di ristagno, Temperatura, densità ecc.). In sostanza
se nel condotto ad esempio aumenta la velocità l’entalpia ( e quindi la
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pressione) diminuisce. Viceversa se diminuiamo la pressione a valle di


un condotto in generale la velocità aumenta.
d) Scambiatori di calore.
Trascurando le variazioni di energia cinetica e potenziale ed osservando
che L=0, la (25) fornisce

q = h 2 − h1

il calore entrante, cioè, si trasforma in aumento di entalpia indipendentemente


dall’essere o meno la trasformazione isobara. Si può concludere che i bilanci agli
scambiatori di calore sono per loro natura bilanci entalpici.

Formulazione “meccanica” della conservazione dell’energia


Partendo dal 1° principio della termodinamica (eq. 4), differenziando l’ entalpia:
h = u + P v ricordando la (6) si ha:

dh = δq + δL w + v ⋅ dP (27)
o anche, in forma integrale:
h 2 − h1 = q + L w + ∫ v ⋅ dP (28)

che sostituita a 2° membro della (23) fornisce:

V22 − V12
L - L w = g ⋅ (z 2 − z 1 ) + + ∫ v ⋅ dP (29)
2

La (29) può essere intesa come la conservazione dell’energia meccanica a meno


delle perdite e può essere enunciata così: il lavoro esterno non dissipato diventa
energia meccanica nelle tre forme: di posizione, cinetica e di pressione.
La formulazione (29) è preferita nel caso di fluidi incomprimibili, poichè in tal
P2 − P1
caso ∫ v ⋅ dP = ρ
. Se il lavoro scambiato è nullo essa non è altro che la

classica equazione di Bernoulli per il moto di un liquido in un condotto.


Se le sezioni 1 e 2 sono quelle di ingresso ed uscita di una turbomacchina le
energie di posizione e cinetica sono trascurabili rispetto al lavoro e la (29) diventa:

L' = ∫ v ⋅ dP (30)

L = ∫ v ⋅ dP + L w (31)
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per trasformazione reversibile e non, rispettivamente.


Esse evidenziano l’importanza del volume specifico, o meglio della sua “storia”
nella determinazione del lavoro. In termini elementari, per gas perfetto e
trasformazione reversibile:

R dP
δL = v ⋅ dP = ⋅T⋅ (32)
M P

che chiarisce come, localmente, i lavori sono proporzionali ai volumi specifici e


quindi alle temperature assolute. Resta comunque spiegata l’importanza della
massa molecolare (lavori inversamente proporzionale ad M) e dell’aumento relativo
della pressione dP/P direttamente legato al rapporto di compressione.

Moto dei fluidi comprimibili nei condotti delle macchine

Detta A la sezione del condotto normale al flusso, dall’equazione di conservazione


della portata massica ρ·V·A=cost, prendendo i logaritmi e differenziando si ha:

dρ dV dA
+ + =0 (33)
ρ V A

Nell’ipotesi di gas perfetto e di trasformazione isentropica vale la relazione:


P
= cos t
ρκ
che differenziata fornisce:
dρ 1 dP
= ⋅ (34)
ρ κ P
V2
Dalla conservazione dell’energia h+ =cost (equazione 26), differenziando si ha:
2
dh = − V ⋅ dV (35)
mentre dalla definizione di entalpia h=u+P·v differenziando e ricordando che, per
la (28) applicata a trasformazioni adiabatiche reversibili si ha:
dP
dh =
ρ
che, con la (34) e la (35) fornisce:
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dρ V ⋅ dV V 2 ⋅ dV dV
=− =− = −M 2 (36)
ρ P κ⋅R ⋅T⋅V V
κ⋅
ρ
in cui si è posto a= κ ⋅ R ⋅ T (velocità del suono) e M=V/a (definizione del numero
di Mach). La (36) evidenzia un possibile significato del numero di Mach quale
parametro che evidenzia l’importanza delle variazioni percentuali di volume
specifico rispetto alle variazioni percentuali di velocità.
Dalle (33) e (36) si ha infine:

dA
A
(
= M2 −1 ⋅
dV
V
) (37)

che chiarisce come per accelerare un flusso subsonico siano richieste aree
decrescenti mentre per accelerare un flusso supersonico servano aree crescenti.
In condizioni soniche (M=1) l’area di passaggio risulta stazionaria, siamo cioè in
presenza di una gola. Pertanto per accelerare un gas in quiete sino a velocità
supersoniche è necessario un convergente–divergente (ugello di De Laval).
Consideriamo un condotto convergente all’uscita di un serbatoio, assegnate le
condizioni di ristagno (temperatura e pressione nel sebatoio). Se diminuiamo la
pressione allo scarico (pressione ambiente) la velocità e quindi la portata
aumentano. Per calcolare velocità e portata osserviamo che, nota la pressione, la
temperatura si valuta dalla legge dell’isentropica, come pure la densità. Dal salto
di temperatura si ricava inoltre il salto entalpico e quindi la velocità che con la
densità e la superficie permette di valutare la portata. Esiste tuttavia una
pressione per cui si raggiunge la condizione sonica allo scarico. Tale pressione è
data dal seguente “rapporto critico” di espansione:

κ
P *  2  κ −1
=  = β cr (38)
P0  κ + 1 

Se si diminuisce ulteriormente la pressione a valle, la portata non aumenta più,


poiché la perturbazione generata dalla variazione di pressione si propaga con la
velocità del suono che coincide con la velocità del flusso nella sezione e quindi
non riesce a risalire nel condotto. In conclusione, assegnate le condizioni di
ristagno e la dimensione del condotto esiste un valore massimo per la portata che
attraversa il condotto.
In un condotto convergente-divergente la sezione critica è costituita dalla gola.
-17-

Scambio di lavoro fluido-rotore (equazione di Eulero)


Una formulazione diretta del lavoro scambiato fra fluido e rotore può essere
ottenuta dalla conservazione del momento della quantità di moto. Consideriamo
due palette contigue di un rotore di compressore (Fig. 2). La vena fluida entra nel
rotore attraverso la sezione 1 ed esce dalla sezione 2. La sua interazione col rotore
è governata dal teorema del “momento della quantità di moto” che può essere così
formulato: l’incremento del momento della quantità di moto della corrente
nell’unità di tempo eguaglia il momento esterno. In sede applicativa si definisce
una superficie chiusa di controllo, si valuta l’incremento di momento della
quantità di moto del flusso nell’attraversamento della superficie di controllo e si
ricercano tutti i contributi al momento esterno che si esplicano attraverso le
diverse porzioni di detta superficie. Osservando che soltanto le componenti
tangenziali della velocità hanno momento non nullo rispetto all’asse di rotazione,
l’incremento di momento della quantità di moto nell’unità di tempo della corrente
. .
fluida sarà dato da: m⋅ (r2 ⋅ V2t − r1 ⋅ V1 t ) in cui m è la portata massica, r1 ed r2 i
raggi medi di ingresso e di uscita.

v2 r2

v1

r1 u
1

Fig.2
Scriveremo pertanto

.
m⋅ (r2 ⋅ V2t − r1 ⋅ V1 t ) = ∑ M e (39)
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in cui si valutano tutti i contributi al momento esterno delle diverse parti della
superficie di controllo. Osserviamo adesso che attraverso le superfici di ingresso
ed uscita (1 e 2) che sono per natura superfici di rivoluzione su cui agiscono
unicamente forze di pressione, non si esplica momento (forze a momento nullo).
Inoltre il contributo al momento della superficie superiore s del volume di
controllo, essendo dovuto soltanto ad eventuali azioni tangenziali esplicate dalla
cassa può essere ritenuto trascurabile. Tutte le altre superfici appartengono alla
girante e pertanto la somma dei momenti esterni può essere fatta coincidere col
momento della girante Mg che verrà introdotto nella (39).
Eseguendo la sostituzione e moltiplicando per la velocità angolare si ottiene

.
( 2 2t 1 1t
)
m⋅ ω ⋅ r ⋅ V − ω ⋅ r ⋅ V = ω ⋅ M = P
g g
(40)

.
Pg = m ⋅ L (41)

dove Pg è la potenza della girante che può essere espressa come prodotto della
portata massica per un lavoro unitario:
.
Sostituendo la (41) nella (40), dividendo per m e ricordando che U = ω r, si
ottiene:
L = U 2 V2t − U 1V1t (42)
che prende il nome di “equazione di Eulero” e governa gli scambi di lavoro fra
fluido e macchina.
Per una migliore comprensione della (42) introduciamo il concetto di “triangolo
delle velocità” quale diagramma riassuntivo, in forma vettoriale, delle interazioni
dinamiche fluido-macchina. Anticipando qualche concetto, che verrà ripreso nel
seguito, si consideri il modo di operare di uno stadio di turbina a vapore (Fig. 3).
Lo statore S, espandendo il fluido di lavoro produce un getto a velocità V 1 che
incide sul rotore R a velocità W 1 ; la vena fluida viene quindi deflessa e scaricata
nel moto relativo secondo la direzione W 2 e nel moto assoluto secondo la
direzione V 2 .
I triangoli delle velocità d’ingresso e di uscita riassumono il meccanismo
fluidodinamico di elaborazione della vena fluida. Triangoli “simili”, anche se non
identici, conservano una buona “qualità” fluidodinamica e, con riferimento ad
essi, tutte le velocità risulteranno proporzionali ad una singola velocità presa
come riferimento (per esempio la U1 della (42)). Ne consegue che la stessa (42)
può essere riscritta:
-19-

L t = cost ⋅ U 12 (43)

In altre parole se si ipotizzano triangoli delle velocità simili l’equazione di Eulero


stabilisce una dipendenza quadratica dei lavori delle velocità periferiche.

v1

w1
u
R

2
(a) w2

v2

β1

v1 v2 w2
w1
α1
u1 u2
(b)
Fig. 3
La conservazione dell’energia nel moto relativo
Con riferimento alla (26) ricaveremo per analogia la conservazione dell’energia nel
moto relativo (osservatore solidale con la girante) dopo aver fatto le seguenti
osservazioni:
-20-

1) il campo di forze centrifugo mette in gioco una nuova forma di energia


potenziale valutabile come lavoro fatto da una forza esterna che
equilibra la forza centrifuga. Muovendosi nel senso delle r crescenti il
lavoro esterno è negativo, in quanto la forza esterna è di natura
resistente, ed ha l’espressione riportata in Fig. 4(b). L’energia per unità
U2
di massa risulta pertanto pari a − laddove quella dovuta al campo
2
gravitazionale è proporzionale a g ⋅ z (Fig. 4(a)).
2) nel moto relativo le velocità andranno indicate con Win luogo di V;
3) per un osservatore in moto relativo il lavoro è nullo.
z

2
L est = m ⋅ g ⋅ (z 2 − z1 )
Fest
energia per unità di massa : g ⋅ z
1

(a) 0

2

L est = − m ⋅ ω2 ⋅ r ⋅ dr =

mω r 2 r22 − r12 u2 − u12


= −m ⋅ ω2 ⋅ = −m ⋅ 2
1 2 2
u2
Fest energia per unità di massa : -
2

(b)

Fig.4

U 22 W22 U 12 W12
q = (g ⋅ z 2 − + + h 2 ) − (g ⋅ z 1 − + + h1 ) (44)
2 2 2 2
che nel caso adiabatico dà:

U 22 − U 12 W22 − W12
h 2 − h1 = − - g(z 2 - z 1 ) (45)
2 2
-21-

La (45) è utile al calcolo delle variazioni di entalpia in un canale mobile (ad


esempio in un compressore centrifugo).
Sostituendo la (45)nella (26) e semplificando di ottiene una formulazione del
lavoro per mezzo delle velocità:
V22 − V12 U 22 − U 12 W22 − W12
L= + − (46)
2 2 2

che può essere così enunciata: il lavoro esterno è pari all’aumento dell’energia
cinetica nel moto assoluto cui và sommato l’aumento di energia cinetica nel moto
di trascinamento e da cui va sottratto l’aumento dell’energia cinetica nel moto
relativo. Si osservi che nell’ipotesi di L>0 (lavoro entrante) il moto di
trascinamento fornisce un contributo positivo solo se U2>U1 (raggio in uscita
maggiore del raggio in ingresso, macchina centrifuga).
E’ molto interessante osservare che la (46) coincide con la (42), ricordando il
teorema di Carnot fra i lati di un generico triangolo, che afferma che:

V 2 + U 2 − W 2 = 2 UVt

Sollecitazioni meccaniche nelle palette


a) Sollecitazioni dovute alle forze centrifughe
Non di rado le sollecitazioni indotte dalle forze centrifughe rappresentano il
contributo più importante al carico totale sulle palette. Esse possono essere
calcolate nel seguente modo. Si consideri una paletta mobile a sezione costante di
altezza h, disposta radialmente e ancorata alla base al disco rotante. La forza
centrifuga elementare per il volumetto di altezza dr e quella complessiva valgono
rispettivamente:

dFc = ρ ⋅ S ⋅ dr ⋅ ω 2 ⋅ r

che integrata dalla base b all’apice a della pala da la forza centrifuga dovuta a
tutta la pala:
a
Fc = ρ ⋅ S ⋅ ω 2 ⋅ ∫ r ⋅ dr (47)
b

Dividendo la forza complessiva per S si può ottenere la sollecitazione alla base


della paletta (che è quella massima):
-22-

Fc 2 ra − rb
σc = = ρ⋅ω ⋅
2 2
(r − r ) ⋅ (r + r )
= ρ ⋅ ω2 ⋅ a b a b (48)
S 2 2

facendo poi comparire il diametro medio, l’altezza di pala e la velocità periferica si


otterrà:

h
σ c = 2 ⋅ ρ ⋅ u 2m ⋅ (49)
Dm
Nelle formule riportate sono significative:
1) la proporzionalità della sollecitazione alla densità del materiale. I materiali
leggeri sono privilegiati. Il parametro di merito per un’applicazione del tipo di
quella in esame è il rapporto samm/r piuttosto che la sola samm;
2) la dipendenza della sollecitazione dal quadrato della velocità periferica, mentre
la velocità angolare è ininfluente;
3) la proporzionalità della sollecitazione al rapporto altezza di pala / diametro. Le
pale alte in termini relativi, sono maggiormente sollecitate, come del resto era
intuitivo attendersi.
Un metodo ampiamente diffuso per ridurre la sollecitazione dovuta alle forze
centrifughe consiste nel ridurre le dimensioni della sezione della pala dalla base
all’apice, mantenendo il profilo in similitudine (rastrematura). Così facendo, senza
alterare la fluidodinamica della pala, si rimuove del materiale soprattutto verso
l’apice dove esso causa il massimo carico centrifugo (pale a rastrematura conica).

Considerazioni elementari sulle forze aerodinamiche agenti sui


profili alari

Appare chiara dai paragrafi precedenti l’importanza delle palettature fisse e mobili
nelle turbomacchine, cui è affidato il compito di accelerare o decelerare il flusso
assoluto o relativo e soprattutto di defletterlo. Appare altresì chiaro come sia
necessario trovare un compromesso fra un numero di pale infinito, che
permetterebbe di guidare perfettamente il flusso e contenere le sollecitazioni sulle
pale, ma comporterebbe superfici bagnate infinite e quindi perdite inaccettabili
per attrito e la soluzione opposta. In pratica si ricorre a profili opportunamente
sagomati, più o meno simili ai profili alari utilizzati nell’aerodinamica classica. Lo
-23-

studio del comportamento di tali profili esula dai limiti del presente corso,
tuttavia occorre dare alcune indicazioni elementari utili per il seguito.
Premettiamo alcune considerazioni, relative al moto dei fluidi reali, e quindi
viscosi. Come sappiamo gli effetti della viscosità sono particolarmente importanti
in prossimità delle pareti, poiché su di esse la velocità relativa è nulla e pertanto i
gradienti della velocità normalmente alle pareti sono molto grandi e
dV
conseguentemente anche gli sforzi viscosi τ=µ , anche per fluidi
dn
relativamente poco viscosi come l’aria o l’acqua. Ne consegue che spesso il flusso
nei condotti può essere considerato ideale ad eccezione di un sottile strato,
aderente alle pareti, che prende il nome di “strato limite”. Se il moto esterno è
uniforme, come in un tubo, gli sforzi alla parete sono ricavabili dal noto
diaframma di Moody in funzione del Numero di Reynolds e della rugosità
superficiale e i profili di velocità nello starto limite sono del tipo riportato nel
punto A della figura che si riferisce al moto sul dorso di un tipico profilo alare.
L’esperienza mostra che, al contrario il profilo dello strato limite si modifica
pesantemente se il flusso esterno rallenta fortemente e non ha quindi più la
capacità di trascinare il fluido a bassa energia dello strato limite. Ciò può
avvenire ad esempio in un condotto divergente o verso la coda di un profilo alare.
In condizioni particolarmente negative può assumere il profilo di velocità può
assumere la configurazione riportata nel punto C in figura, caratterizzata da una
separazione dalla parete e dalla presenza di flussi inversi vicino ad essa. In tale
circostanza il flusso non segue più la parete e le conseguenze possono essere
disastrose. Non vogliamo qui addentrarci nel problema, ma sottolineiamo il fatto
che la condizione di flusso che rallenta in un condotto o su un profilo è
particolarmente gravosa.

Fig. 5
-24-

Come detto le pale delle turbomacchine assumono la configurazione del tipo in


figura, caratterizzata da una asimmetria fra dorso, più lungo e ventre, più corto.
Per regimi di flusso subsonici il bordo di ingresso è arrotondato, per favorire
l’adattamento del flusso al profilo anche con angoli di incidenza non ottimali e,
soprattutto, il bordo di uscita è molto affilato, in modo tale che il flusso non possa
aggirarlo, senza staccarsi dal profilo. La conseguenza principale sarà un
incremento di velocità sul dorso e una riduzione sul ventre e, conseguentemente
pressioni minori sul dorso rispetto al ventre.
Nasce dunque una forza normale alla direzione del flusso incidente, detta
Portanza e, per fluidi viscosi, una forza parallela al flusso, detta Resistenza. Se il
profilo è ben disegnato la prima, fortunatamente, è molto maggiore della seconda
e permette, nelle applicazioni aeronautiche di sostentare l’aereo, nelle applicazioni
turbomacchinistiche di esercitare una coppia sull’albero della macchina. Il
meccanismo è tuttavia affidato al fatto che la corrente fluida resti aderente al
profilo fino al bordo di uscita; se il carico palare è eccessivo e il flusso rallenta in
modo anomalo si può verificare il distacco della vena, come descritto, la portanza
crolla drasticamente e la resistenza aumenta per effetto della scia. Il fenomeno
prende il nome di Stallo ed ha conseguenze catastrofiche sul comportamento
dell’ala o della turbomacchina.
-25-

CAPITOLO 4°
FUNZIONAMENTO DELLE MACCHINE E
SIMILITUDINE IDRAULICA

Le variabili adimensionali
Il modo più semplice e generale di descrivere una turbomacchina consiste nel
correlare le principali grandezze in ingresso e in uscita fra di loro, confondendo la
macchina con la sua funzione. Tale descrizione è in generale sufficiente
all'utilizzatore della macchina e al progettista dell'impianto per consentirne la
scelta e l'interfacciamento con l'impianto nel quale la macchina deve essere
collocata. Naturalmente la scelta delle variabili più significative può variare da
macchina a macchina, ma anche per la stessa macchina in relazione alla
funzione specifica che ad essa si richiede; ad esempio una macchina motrice in
generale dovrà fornire lavoro o potenza all'albero a partire dall'energia disponibile
nel fluido, idraulica o termica, mentre per una macchina operatrice la potenza
meccanica sarà fornita all'albero da un motore e la funzione della macchina
stessa sarà espressa in termini di energia fornita al fluido in varie forme:
potenziale geodetica (per superare un dislivello), energia cinetica (in ventilatori o
eliche propulsive), o di pressione (in pompe e compressori). In ogni caso sarà
necessario conoscere la portata del fluido in ingresso e in uscita dalla
turbomacchina. E' ovvio che le grandezze ora descritte saranno correlate alle
caratteristiche geometriche ed operative della macchina stessa, essenzialmente
alla sua forma, alla sua dimensione e alla velocità di rotazione dell'albero, nonché
alle caratteristiche fisiche del fluido evolvente. Elenchiamo alcune grandezze
utilizzate per descrivere le prestazioni delle turbomacchine:
Lavoro ideale per unità di massa scambiato fra fluido e macchina (energia
disponibile nel caso di macchine motrici ed energia fornita al fluido in assenza
di irreversibilità per macchine operatrici).
Potenza effettiva all'albero.
Rendimento definito come rapporto fra energia utilizzata ed energia
disponibile.
Portata volumetrica.
Spesso al posto del lavoro specifico nella descrizione delle prestazioni di macchine
idrauliche si usa ancora il corrispondente termine in unità tecniche, ad esempio:

, dove è l'accelerazione di gravità. Esso prende il nome di salto utile o


-26-

motore nelle turbine idrauliche e prevalenza nelle pompe e nei ventilatori. Si


osservi infine che nelle macchine a flusso comprimibile è preferibile fare

riferimento alla portata massica , anziché a quella volumetrica , che varia da


sezione a sezione. Una macchina è definita dalla forma, intesa come una serie di
rapporti fra lunghezze e di angoli geometrici e da alcune grandezze dimensionali,

tipicamente: Diametro di riferimento (solitamente il diametro della girante).

La velocità di rotazione angolare o il numero di giri (giri/s), con Il

fluido è caratterizzato dalla densità , dalla viscosità dinamica o cinematica ,


dalla tensione di vapore, dal peso molecolare, dai calori specifici ecc. Come detto
il funzionamento della macchina è descritto da relazioni, analitiche o, più spesso,
grafiche fra alcune delle grandezze sopraelencate, preferibilmente in forma
esplicita, definendo una grandezza dipendente in funzione di altre, considerate
indipendenti. Va sottolineato che tale classificazione è spesso arbitraria e
puramente di comodo. Ad esempio, per una pompa avremo relazioni del tipo:

mentre per una turbina idraulica avremo:

Come si vede i parametri dimensionali coinvolti sono numerosi e di conseguenza


la rappresentazione grafica risulta assai onerosa. Fortunatamente considerazioni
puramente dimensionali permettono di ridurre considerevolmente i gradi di
libertà del problema. Prima però di richiamare tali considerazioni è opportuno
fare un esempio semplice per chiarire praticamente l'idea e introdurre la
cosiddetta Teoria della similitudine. L'esempio si riferisce ad una pompa
assegnata (geometria e diametro) e ad un liquido assegnato attraverso la densità

e considerato perfetto e non viscoso; in tali condizioni le prestazioni della pompa

possono essere date da una legge del tipo come riportato in Fig. 6a
-27-

Curve di funzionamento dimensionali (a) e adimensionali (b) di una pompa


centrifuga a diverse velocità di rotazione.
Fig. 6

Le curve relative a diverse velocità di rotazione, espresse in figura in giri/min,


non sono indipendenti, poiché è possibile passare dall'una all'altra per mezzo di
considerazioni puramente dimensionali. Partiamo infatti da un punto di

funzionamento (1), caratterizzato da , , e supponiamo di portarci ad una

nuova velocità di rotazione , ovviamente la velocità periferica di un punto

qualsiasi della girante risulterà proporzionale a , ossia ; se

contemporaneamente ci portiamo ad una nuova portata volumetrica


, varieranno nella stessa proporzione tutte le velocità associate alla portata, ossia
normali alle sezioni di passaggio. Essendo la geometria e quindi gli angoli, fissati
potremo ritenere che la direzione del flusso assoluto nelle parti statoriche e
relativo in quelle rotoriche rimanga invariata, ovvero che i triangoli delle velocità
risultino in ogni sezione simili, nelle condizioni (1) e (2). Il rapporto fra velocità o

componenti di esse corrispondenti sarà . Poiché il lavoro per unità di massa


ceduto dalla macchina al fluido è proporzionale alla velocità al quadrato (si veda
ad esempio la relazione di Eulero) esso varierà con legge quadratica in funzione di

. Avendo trascurato le perdite per attrito, l'unica energia persa, ovvero non
trasformata in effetto utile per il fluido, sarà l'energia cinetica residua allo scarico
-28-

della macchina, che risulta anch'essa variabile con legge quadratica; di

conseguenza anche il lavoro utile per unità di massa ricevuto dal fluido o la

corrispondente prevalenza manometrica risultano proporzionali a ,

ovvero a . In conclusione: noto un punto di funzionamento su una curva è


possibile dedurre infiniti punti di funzionamento a diverse velocità di rotazione,
che si trovano su una parabola; dunque le informazioni della Fig.6 sono
ridondanti ed è sufficiente una curva per dedurre le altre.
Le considerazioni fatte possono essere facilmente estese a macchine
geometricamente simili, ma di diversa dimensione (solitamente definita da un

diametro di riferimento). Per descrivere le prestazioni della serie di macchine


occorrono diversi diagrammi a velocità di rotazione diverse o un diagramma con

più curve parametrate in , se fissiamo la velocità di rotazione. L'unica differenza


rispetto alla trattazione precedente è che la velocità peri-ferica è proporzionale

anche a e la velocità associata alla portata è proporzionale . Ne consegue


che per soddisfare la
similitudine cinema-tica deve essere

Le relazioni precedenti si possono esprimere anche dicendo che gli infiniti punti
che corrispondono ad una certa forma della macchina e dei triangoli delle
velocità, che sono cioè in similitudine geo-metrica e cinematica e che chiameremo

corrispondenti, sono caratterizzati dagli stessi rapporti e , rapporti che


risultano adimensionali se si utilizzano unità di misura coerenti come è facile
verificare (è bene evitare di utilizzare il sistema tecnico per il lavoro specifico). Ne
consegue dunque un modo più immediato di esprimere il concetto di similitudine:

basta sostituire le grandezze di interesse ( e nell'esempio), con


corrispondenti grandezze adimensionalizzate per mezzo di variabili che

definiscono il sistema ( e nell'esempio). Dette e tali variabili, ogni coppia di

valori definisce una duplice infinità di punti di funzionamento

corrispondenti e una curva del tipo definisce l'intero campo di


-29-

funzionamento della famiglia di macchine simili. In Fig. 6b è riportata la curva


caratteristica della famiglia di pompe considerata per mezzo dei valori

sperimentali di e . La dispersione è dovuta all'influenza della viscosità ed altri


parametri che abbiamo trascurato nell'analisi precedente; come si nota i punti

non sono rigorosamente indipendenti da .

Variabili adimensionali:
L'esempio del paragrafo precedente chiarisce che è molto vantaggioso utilizzare
variabili adimensionali, anziché le variabili primarie, poiché la correlazione fra
alcune grandezze è implicita nel sistema dimensionale utilizzato e pertanto le
variabili realmente indipendenti sono in numero inferiore a quanto l'esperienza ci
suggerisce. Questo concetto si esprime in un famoso teorema, noto come teorema

(o di Buckingham), che afferma che una equazione di n argomenti,


dimensionalmente omogenea rispetto a m unità fondamentali, può essere
espressa come relazione fra (n-m) variabili adimensionali indipendenti.
Ad esempio la legge di funzionamento di una pompa, come nell’esempio
precedente, tenendo conto anche della viscosità, si può esprimere con una
relazione del tipo:

Applicando l’analisi adimensionale potremmo ricondurci ad una legge più


semplice e generale del tipo

dove, oltre ai coefficienti già visti, compare il numero di Reynolds


Infatti, come sappiamo il numero di Reynolds esprime l’importanza delle forze
viscose per rapporto alle forze di inerzia.
Riportiamo a titolo di esempio alcune tipiche grandezze adimensionali costruite
nel modo descritto:
Coefficiente di carico

Coefficiente di potenza

Rendimento per macchine motrici

Rendimento per macchine operatrici

Coefficiente di portata
-30-

Classificazione e scelta delle turbomacchine

Velocità specifica e numero di giri caratteristico


Come si è visto, anche limitandoci alla semplice similitudine geometrica e
cinematica o confrontando condizioni di funzionamento allo stesso numero di
Reynols, una famiglia di macchine simili può operare in diversi punti di
funzionamento, determinati dall'accoppiamento con l'impianto in cui le macchine

operano ed espressi da una legge del tipo ; in particolare assumerà una

grande importanza la curva di prestazione in termini di rendimento . Il


punto più significativo è in generale quello di massimo rendimento, per cui
appare logico che la famiglia di macchine considerata sia individuata dalle

grandezze adimensionali corrispondenti: . Si tratta di valutare la


variabile migliore dal punto di vista della classificazione della famiglia di
macchine. La prima considerazione è che vogliamo caratterizzare la forma della
macchina e pertanto conviene scegliere una variabile che non contenga il
diametro; la seconda è che sembra molto conveniente utilizzare una variabile che
sia legata a grandezze di progetto della macchine come la portata, il salto
disponibile o la prevalenza, oppure la potenza; conviene allora partire dal
coefficiente di portata e dal coefficiente di carico, oppure il coefficiente di potenza
ed eliminare il diametro che compare nelle definizioni. Il numero puro che ne
deriva è la cosiddetta velocità specifica:

(50)
oppure, utilizzando la potenza all'albero:

(51)
che coincide con la precedente, a meno di un rendimento, poiché per una
macchina motrice Pe = ηQρl i e per una operatrice Pe = Qρl i / η .
Nella tradizione dei costruttori e utilizzatori di macchine idrauliche le definizioni
precedenti vengono spesso utilizzate in forme dimensionalmente meno rigorose,
in particolare i costruttori di pompe utilizzano il “numero di giri caratteristico”
definito nel modo seguente:
-31-

Q
nc = n ⋅ 34
(52)
h
dove n è il numero di giri al minuto e il lavoro specifico è sostituito dalla
prevalenza in metri di colonna di liquido (senza rispettare la coerenza
dimensionale). I costruttori di turbine idrauliche preferiscono fare riferimento alla
potenza utile, che è in generale un dato di progetto e al salto disponibile in metri
di colonna d’acqua; anche qui non viene rispettata la correttezza dimensionale. Se
si confrontano situazioni omogenee è sufficiente aver cura di adottare una unica
definizione, mentre se si utilizza materiale fornito da terzi occorre fare attenzione
alla definizione utilizzata. Nel seguito si preferisce usare la velocità specifica sopra
definita.
E' opportuno ripetere che in generale una famiglia di macchine simili può operare

in un campo di valori di , così come opera ad esempio a diversi coefficienti di

portata ; ma il valore assunto come caratteristico della macchina è quello per


cui è massimo il rendimento. Ritorniamo sulle due proprietà che rendono la
velocità specifica particolarmente interessante per la classificazione e la scelta
delle turbomacchine: Essa può essere stimata a partire da dati di progetto noti a
priori, come la portata e il lavoro specifico. Naturalmente occorre conoscere anche
il numero di giri, ma per esso è possibile fare ragionevoli assunzioni, specialmente
se la macchina è connessa ad un motore elettrico o a un alternatore. Essa è
fortemente correlata all'evoluzione della geometria della turbomacchina. Macchine
con canali di passaggio grandi per rapporto ad una dimensione media (macchine
assiali con pale molto alte) saranno adatte a smaltire elevate portate, mentre
macchine con altezze di pala limitate e flusso radiale sono in grado di fornire
elevati lavori specifici. La velocità specifica, crescente con la portata e decrescente
col lavoro specifico descrive molto bene tale evoluzione, mentre altre grandezze
adimensionali hanno per esempio valori molto simili per macchine molto diverse.
-32-

Classificazione delle pompe e rendimenti in funzione della velocità specifica


Fig.7

In figura 7, a titolo di esempio è riportata tutta la gamma di turbopompe,


correlata colla velocità specifica e i massimi rendimenti ottenibili per ciascuna
tipologia geometrica (e quindi per un determinato campo di funzionamento in
termini di prevalenza, portata e velocità di rotazione della macchina). L'analisi
potrebbe essere estesa a pompe volumentriche o alle turbine idrauliche, come
vedremo in seguito, o addirittura alle macchine termiche nelle quali tuttavia la
variazione di densità nelle diverse sezioni pone serie difficoltà, poichè una
variazione della portata massica non comporta proporzionalità con le velocità
nelle sezioni della macchina; non è pertanto facile soddisfare la necessaria
similitudine cinematica.
Diametro specifico
In anni abbastanza recenti ha assunto importanza un secondo parametro
adimensionale, con caratteristiche simili a quelle della velocità specifica, che
fornisce informazioni aggiuntive su due punti importanti aspetti: il primo
riguarda una stima approssimata della dimensione della macchina, il secondo
riguarda la possibilità di valutare la perdita di rendimento di una macchina
anche se la geometria o la dimensione non sono quelle per cui le prestazioni sono
massime in termini di rendimento.
-33-

Diagramma statistico di Cordier per correlare Diametro specifico e velocità specifica


di turbomacchine operanti nel punto ottimo rendimento.
Fig. 8

Volendo ancora utilizzare portata e lavoro specifico, l'idea consiste nell'eliminare,

questa volta, la velocità di rotazione dai coefficienti di portata e di lavoro ed


ottenere quindi una grandezza adimensionale così definita:

(53)
chiamata Diametro specifico.

Se, analogamente a quanto fatto per , si esamina un gran numero di macchine


operanti nelle rispettive condizioni di ottimo e si valuta questo nuovo parametro,
si scopre che anch'esso è ben correlato alla tipologia della macchina. Cordier ha

addirittura trovato una correlazione statistica fra e per macchine operanti


nelle condizioni di ottimo, relativa in origine a pompe, ma successivamente
generalizzata a tutte le turbomacchine.
-34-

Diagramma di Baljè per pompe centrifughe ed assiali


Fig.9

Note le grandezze di progetto e e assunto , il diagramma di Cordier

permette di valutare orientativamente e quindi il diametro . Se la


dimensione della macchina non è accettabile o economica occorre

necessariamente modificare il numero di giri e quindi , oppure accettare un


rendimento non ottimale. A tal fine Baljé balje ha ampliato l'idea di Cordier
riportando in diagrammi statistici (noti appunto come Diagrammi di Baljé) le
prestazioni di numerosissime turbomacchine in esercizio, non sempre ottimizzate
dal punto di vista del rendimento; in figura è riportato l'esempio delle
turbopompe.

Cavitazione nelle macchine idrauliche


Nelle macchine idrauliche è possibile che si raggiungano localmente pressioni
inferiori alla pressione parziale complessiva dei gas e vapori presenti, tipicamente
-35-

la tensione di vapore dello stesso liquido e la pressione parziale di eventuali gas

disciolti, la cui somma chiameremo d'ora in poi , essendo in genere la tensione


di vapore largamente prevalente. Quando ciò avviene, si liberano all'interno del
liquido bolle di aeriformi; tale processo è noto col nome di cavitazione e può
provocare modifiche nelle prestazioni della macchina e soprattutto serie
conseguenze meccaniche sulle parti esposte, in particolare la girante della
turbomacchina. Non è questa la sede per la descrizione di dettaglio del processo
fisico, tuttavia rammentiamo che esso consiste essenzialmente in una erosione
dovuta alle fortissime accelerazioni, nonché alle elevatissime temperature,
generate dal repentino riempimento da parte del liquido delle cavità occupate

dalle bolle, quando queste, trascinate in regioni a pressione superiore a ,


implodono. Poiché ciò avviene in generale vicino alle pareti, si verificano forti
martellamenti sul metallo con conseguente danneggiamento superficiale. In
questa sede noi ci occuperemo essenzialmente delle influenze sulle prestazioni
fluidodinamiche, generalmente fortemente negative, ma con si-gnificative
eccezioni, soprattutto nel campo delle eliche propulsive e limitatamente a ristrette
regioni di funzionamento. Ciò può avvenire ad esempio a causa dell'aumento delle
velocità del liquido che consegue all'effetto di bloccaggio delle bolle di aeriformi
che determina una riduzione delle aree di passaggio del liquido. Nella maggior
parte dei casi interessa solamente sapere quando si verifica l'inizio del fenomeno
(incipiente cavitazione), ossia quando la pressione mi-nima all'interno della

macchina è uguale a ; più in generale è interessante conoscere il margine fra la

pressione minima e . Poiché normalmente non è possibile valutare la pressione


minima all'interno della macchina, occorre riferirsi alla sezione dove la pressione
è minore fra quelle nelle quali è age-vole effettuare una misura anche per la
macchina in esercizio; in genere ci si riferisce al punto superiore della flangia di
aspirazione in una pompa o della sezione di scarico in una turbina idraulica.
Chiamata S1 tale sezione è allora possibile definire una Energia di aspirazione o la
corrispondente grandezza nel sistema tecnico (in metri di colonna di liquido) nota
anche come Net Positiv Suction Head (NPSH):

(54)
Per una macchina e una condizione di funzionamento assegnata vi sarà un valore
di tale grandezza per cui la pressione minima all'interno della macchina eguaglia

e si sviluppano bolle di cavitazione. D'altra parte il carico totale nella sezione


(1) è ovviamente facilmente esprimibile, per mezzo del teorema di Bernoulli, a
partire dai dati dell'impianto. Consideriamo una pompa che aspira da un bacino
-36-

a pressione atmosferica oppure una turbina idraulica che scarica in un analogo

bacino; detta la quota della sezione (1) rispetto al pelo libero del bacino e
la perdita in metri di colonna di liquido nella condotta di aspirazione per la
pompa o di scarico per la turbina, si avrà:

(55)
Tale valore, che potremmo chiamare disponibile deve essere confrontato col valore
richiesto dalla macchina affinché non si verifichi la cavitazione, valore
generalmente valutato sperimentalmente sulla macchina stessa o su un modello e
deve dunque intendersi come valore di incipiente cavitazione. Esso è fornito dal
costruttore della macchina in funzione ad esempio della portata, per una
dimensione e un numero di giri assegnato. In genere dovrà essere:

Come è stato fatto nei paragrafi precedenti

per altre variabili, appare interessante descrivere l'influenza dell' in forma


adimesionale, per mezzo delle leggi di similitudine. Per fare ciò si osservi che la
pressione minima si ha in un punto non noto, tipicamente sul dorso delle pale

rotoriche della macchina; per il teorema di Bernoulli è esprimibile per

mezzo di un termine del tipo , nel quale è la velocità relativa in (1), poiché

in condizioni di similitudine la velocità massima è proporzionale a . Appare

logico adimensionalizzare per mezzo di una velocità al quadrato o addirittura


per mezzo della prevalenza stessa, dal momento che anche l'energia specifica o la
prevalenza corrispondente sono proporzionali al quadrato delle velocità. In altre

parole se varia il carico, in condizioni di similitudine cinematica, l' varia


nella stessa misura. Quanto detto porta al cosiddetto coefficiente di cavitazione o
del Thoma:

(56)
che permette di confrontare situazioni analoghe dal punto di vista della ca-
vitazione in macchine simili fra di loro, operanti in condizioni diverse, ma in
similitudine cinematica. Si faccia attenzione che la condizione di similitudine
cinematica non è generalmente soddisfatta da una macchina al variare della
portata per effetto della regolazione dell'impianto: ad esempio per una pompa in
genere la macchina opera a giri costanti e all'aumento della portata la prevalenza
diminuisce.
-37-

NOTA: in alternativa alla definizione di NPSH data nella (54), in molte applicazioni
(ad esempio nel campo delle eliche propulsive) si presferisce la seguente:
p1 pv
NPSH = − (57)
ρg ρg
che è equivalente sotto ogni aspetto alla precedente. In particolare si osservi che
entrambe dipendono dalla velocità e quindi dalla portata.

Fig. 10a Fig. 10b


-38-

CAPITOLO 5°
TURBINE IDRAULICHE

Salto motore e grado di reazione


Il salto motore di una turbina idraulica è costituito dall’energia meccanica della
corrente fluida messa a disposizione della macchina. Esso sarà in larga misura
convertito in lavoro e, in piccola parte dissipato dagli attriti:

H m = ( L + L w )/g (58)
Dalla (58) deriva la seguente definizione di rendimento idraulico:
L
η=
Hmg
Immaginando una macchina completamente immersa nella corrente come in Fig.
10 il salto motore si calcola come differenza fra il trinomio di Bernoulli in ingresso
(energia meccanica di partenza) e quello in uscita (energia meccanica allo
scarico). Entrando nel dettaglio del modo di operare delle turbine idrauliche può
accadere che il salto motore sia convertito integralmente in energia cinetica nel
distributore fisso che alimenta la girante. In tal caso la turbina si dice “ad
azione”. Altre volte soltanto una frazione del salto motore è convertito in energia
cinetica nel distributore; il resto viene utilizzato a cavallo della girante: in questo
caso la turbina viene detta “a reazione”. Ipotizzando in 0 una velocità trascurabile
e supponendo piccole le energie di posizione all’interno della macchina, le energie
meccaniche sono assimilabili ad energie di pressione e ciò consente la definizione
di un “grado di reazione” come rapporto fra salto di pressione a cavallo della
girante e salto di pressione totale a cavallo dell’intera macchina:

(P1 − P2 )
(P − P ) ρg
χ= 1 2 = (59)
( P00 − P02 ) Hm

Supponendo uno scarico assiale (energia cinetica minima) il lavoro euleriano si


riduce al termine U1⋅V1t=U1⋅V1⋅cos(α1) e risulta proporzionale alla velocità assoluta
di alimentazione della girante V1.
-39-

La turbina Pelton

a) generalità
La turbina Pelton è una macchina ad azione la cui girante è costituita da un disco
sulla cui periferia è ricavata (o in alcuni casi “ancorata”) una serie di doppi
cucchiai che costituiscono la parte fluidodinamicamente attiva della turbina (Fig.
11 (a) e (b)). L’intero salto motore, eventualmente molto grande (fino a 2000 m) è
convertito in energia cinetica negli ugelli (da uno a sei). Il getto così ottenuto
alimenta tangenzialmente la girante: un intaglio ricavato nella parte superiore del
doppio cucchiaio permette al getto di introdursi nella corona attiva della
macchina con perdite molto contenute. Sul cucchiaio il getto, bipartito nello
spigolo centrale, viene deflesso dalla superficie concava sviluppando un sistema
di sovrapressioni che produce l’effetto utile. In linea di principio la pressione nel
getto non scende in nessun punto al di sotto del valore atmosferico. La geometria
di ciascun ugello può essere modificata in sede di regolazione della macchina a

Fig.11

mezzo di un moto assiale della spina. Le nuove condizioni di ugello così ottenute
conservano un’elevata efficienza idraulica: il getto di alimentazione mantiene,
cioè, una velocità sostanzialmente costante e pari a quella originaria. In caso si
renda necessario interrompere repentinamente l’afflusso di energia idraulica, il
getto può essere intercettato da un’opportuna superficie (tegolo deviatore) senza
arrestare il moto della colonna liquida che alimenta la macchina. In tal modo si
evita il pericolo del “colpo d’ariete” che si manifesterebbe se si intervenisse con un
brusco movimento della spina. Una peculiarità della turbina Pelton è
-40-

Fig.11 b
rappresentata dalla circostanza che la girante è immersa in aria, con dissipazioni
parassite enormemente più piccole di quelle che si avrebbero se, come accade
praticamente in tutte le altre turbomacchine, la girante fosse immersa. Il fatto
che la Pelton sia una turbina ad azione, caratterizzata quindi da basse velocità
periferiche per un dato salto motore, riduce il livello di sollecitazione meccanica
della girante anche in corrispondenza di elevati salti motore. Le macchine pluri-
ugello consentono l’elaborazione di portate maggiori a prezzo di un’architettura
alquanto più complessa, come si vede in Fig. 11 b, in cui è rappresentata una
macchina a 4 getti (asse verticale per ovvie ragioni impiantistiche).

b) calcolo del rendimento idraulico e del numero di giri caratteristico


Con riferimento al filetto centrale del getto, ammettendo valida l’ipotesi
monodimensionale, il triangolo in ingresso, in questo caso degenere, si ottiene
sottraendo la velocità periferica a quella del getto (Fig. 12(a)), ottenuta da quella
ideale a mezzo di un coefficiente riduttivo; similmente la velocità relativa in
efflusso si ottiene da quella in ingresso tramite un secondo coefficiente di perdita:

V1 W2
= ϕ; =ψ (60)
V1i W1
-41-

si tenga presente che, data l’assialità della macchina, in ipotesi ideali w2 sarebbe
uguale a w1.
Il lavoro euleriano è, in valore assoluto:

L = U ⋅ (V1 − V2 ⋅ cos α 2 ) (61)


si osservi adesso che:
V2 ⋅ cos α2 = U − W2 ⋅ cos β2 = U − ψ⋅ W1 ⋅ cos β2 = U − ψ⋅ (V1 − U) ⋅ cos β2
da cui, sostituendo nella (61):

L = U ⋅ (V1 − U) ⋅ (1 + ψ ⋅ cos β 2 ) (62)

che consente l’immediato calcolo della forza totale utile (tangenziale) che agisce
sui cucchiai a mezzo della relazione:
.
m ⋅ L = P = FTot ⋅ U (63)

L U  U 
η= = 2⋅ ⋅  ϕ −  ⋅ (1 + ψ ⋅ cos β 2 ) (64)
2
Vi1 Vi1  Vi1 
2
Vi12
Il rendimento é il rapporto fra il lavoro e l’energia idealmente disponibile .
2
η ϕ2
⋅ (1 + ψ ⋅ cos β 2 )
2
v1 F η

u w1

w2 v2
α2
β2
u
ϕ u/v1i
(a) (b) 2

d/D
nc
i

H
(c)
Fig.12
-42-

Al termine U/V1i si attribuisce la denominazione di coefficiente di velocità


periferica kp. L’andamento del rendimento è illustrato in Fig. 12(b) (curva
ϕ
simmetrica, ottimo in corrispondenza dell’ascissa ). Si osservi che la velocità
2
periferica di ottimo è pari alla metà della velocità effettiva del getto.
Per quanto concerne la determinazione del numero di giri caratteristico,
rammentando la definizione, proponiamoci di esprimere la portata volumetrica e
il salto motore a partire dalla velocità. La portata è proporzionale alla velocità del
getto e quindi, in condizioni di ottimo alla velocità periferica U=ωD/2, all’area del
singolo getto, proporzionale a d2 e al numero di getti “i”; il salto motore è
Vi12 U2
esprimibile come e quindi proporzionale a , ovvero a ω 2 D 2 . Sostituendo
2 2
nella definizione di velocità specifica si semplificano i termini dimensionali e
risulta, ad esempio per il numero di giri caratteristico:
d
n c = cost ⋅ i ⋅ (65)
D
Considerazioni empirico/teoriche portano a suggerire per l’espressione
nc d
= cost ⋅ l’andamento in funzione di H illustrato in Fig. 12 (c) che garantisce
i D
cucchiai e getti grandi quando il salto motore è piccolo (in ipotesi contraria la
potenza idraulica, di modesta entità, rischierebbe di essere in larga misura
dissipata a causa delle perdite parassite).
Il movimento in avanti della spina riducendo le aree di passaggio riduce la portata
e quindi la potenza della macchina. Il conseguente cambiamento della geometria
e dei parametri operativi della turbina porta anche alla variazione del numero di
giri caratteristico. Contrariamente a quanto accade usualmente per le
turbomacchine tale variazione non comporta un sensibile calo di rendimento.
Grazie alle buone qualità idrodinamiche dell’ugello anche in condizioni di carico
ridotto la velocità di alimentazione e quindi i triangoli delle velocità si
mantengono sostanzialmente inalterati. Inoltre le perdite parassite permangono
modeste anche se rapportate ad una potenza idraulica ridotta in quanto la
girante ruota in un mezzo leggero (aria). Ne risulta un’ottima regolabilità
(parzializzabilità) della turbina.

La turbina Francis
La turbina Francis è una macchina centripeta a reazione costituita da un
distributore periferico che indirizza la vena fluida secondo una opportuna
angolatura, con un’appropriata componente radiale, verso la palettatura mobile
-43-

della girante. Nei canali rotanti il flusso passa con gradualità da una direzione
prevalentemente radiale ad una prevalentemente assiale. Lo scarico, nel moto
assoluto avviene, con buona approssimazione, assialmente. La configurazione
della turbina è illustrata in Fig. 13(a) mentre la Fig. 13(b) fornisce un possibile
triangolo della velocità in ingresso. Si noti che la figura (b), per chiarezza,
considera la girante interamente visibile nel piano normale all’asse della
macchina, mentre in realtà lo scarico delle pale in generale è obliquo, come
riportato nella figura (a). Supponendo nulla la componente tangenziale allo
scarico, come richiesto dalla ottimizzazione della macchina (energia cinetica allo
scarico minima) e rettangolo il triangolo in entrata, il lavoro euleriano è pari a U 12
V12
mentre l’energia cinetica di alimentazione, pari a , è all’incirca uguale alla
2
metà del lavoro (U1 ≈ V1). Questa circostanza porta a concludere che le turbine
Francis sono naturalmente a reazione (grado di reazione, nel caso in esame, di
circa il 50%). Si osservi che, a differenza della turbina Pelton, il rapporto
kp=U1/V1 ottimale è poco inferiore a 1. Il fatto che a pari salto motore, la Francis
chieda velocità periferiche elevate (macchina a reazione) e che sia potenzialmente
esposta alla cavitazione (influenza del diffusore, dell’altezza di aspirazione e delle
depressioni locali allo scarico nei

Fig.13 a
-44-

Fig. 13 b
canali mobili) rende questo tipo di turbina inadatto agli elevati salti motori (salto
massimo pari a circa 400m).
L’area di passaggio per il fluido è tendenzialmente grande essendo costituita
dall’intera corona d’ingresso, di altezza h, ed è controllata dal progettista a mezzo
della scelta del rapporto h/D. Ne consegue che la portata, e quindi il numero di
giri caratteristico è considerevolmente maggiore rispetto alla turbina Pelton e
tanto maggiore quanto maggiore è la altezza della pala.
Per quanto concerne la regolazione si interviene riducendo le aree di passaggio del
distributore a mezzo di una rotazione delle sue pale (Fig. 13 b). In tal modo, però,
si altera l’intero comportamento idraulico della macchina (angoli, grado di
reazione, …) che non può essere mantenuto congruo con quello originario in
quanto ad una geometria del distributore variata se ne associa una fissa per la
girante. Ne consegue un calo di rendimento ai carichi parziali più sensibile di
quello che si ha nel caso della Pelton.
-45-

La turbina Kaplan
Macchine con una configurazione generale simile a quella delle eliche navali sono
state sviluppate per essere impiegate quali turbine assiali. Esse sono costituite da
un limitato numero di pale (fino a 6) che interagiscono con un flusso creato da un

Fig. 14 a
distributore (turbina Kaplan, Fig. 14 a Sia le pale del distributore che quelle della
girante sono orientabili a mezzo di un congegno meccanico. La riduzione concorde
delle aree di passaggio nei canali fissi e mobili garantisce una buona regolabilità
della macchina. La Kaplan è, tipicamente, una turbina a reazione adatta ai
modesti salti (da qualche metro a decine di metri), conseguenza il numero di giri
caratteristico è elevato e supera, di norma, quello delle Francis. Le poche, robuste
pale, sovente di spessore elevato, dovendo raccogliere l’intera potenza perturbano
sensibilmente il campo di moto producendo regioni di intensa sovrapressione e
depressione ed esponendo potenzialmente la turbina alla cavitazione. La
collocazione della macchina sotto battente risolve solitamente questo tipo di
problema. Al fine di limitare le dimensioni delle turbine anche per grandi portate
si tende a mantenere elevate le velocità di attraversamento e di scarico. Da qui la
necessità di predisporre in uscita dalla macchina un diffusore di recupero
dell’energia cinetica.
-46-

Fig. 14 b
In Fig. 14 b è rappresentata, a titolo di esempio la sezione di una pala rotorica di
una turbina Kaplan con asse verticale, coi relativi triangoli delle velocità. Nota la
velocità in ingresso, proveniente dal distributore non rappresentato in figura, si
osservi che il flusso relativo è molto tangenziale, come richiesto dalla geometria
delle pale, pertanto la velocità periferica deve essere molto grande, per rapporto a
V1. Se ci poniamo in condizioni ottime (energia cinetica minima allo scarico),
essendo nota la componente assiale della velocità allo scarico a partire dalla
portata, il triangolo in (2) è noto. Si osservi che il lavoro è molto modesto, per U
assegnata, mentre la sezione di passaggio è molto grande. Ne consegue che tali
turbine sono caratterizzate da numeri di giri caratteristici grandi. Si osservi
inoltre che il flusso accelera fortemente nella girante e pertanto il grado di
reazione è molto elevato.
Una evoluzione limite delle turbine assiali è costituita dalle turbine a elica e a
bulbo, che mancano di voluta e spesso anche del distributore. Esse sono
normalmente poste in linea col condotto di adduzione.
Campi di impiego delle diverse turbine idrauliche
Dalla descrizione fatta emerge che le diverse tipologie di turbine idrauliche sono
caratterizzate da campi di impiego molto differenti. Come sappiamo, il parametro
significativo per la classificazione è la velocità specifica o il numero di giri
caratteristico. Se ci si riferisce a dimensioni evelocità di rotazione usuali, per
macchine di potenza elevata, è anche possibile dare una indicazione
approssimativa del campo di salto geodetico e portata caratteristico delle diverse
macchine. Tali dati orientativi sono riportati nella seguente tabella:
-47-

Nc dislivello geodetico (m) portata (m3/s)


PELTON a 1 getto 12 - 30
PELTON a 2 getti 17 - 42 300 - 2000 0.5 - 20
PELTON a 4 getti 24 - 60
FRANCIS lenta 60 – 125 350 – 240
FRANCIS media 125 – 250 150 – 70 2 - 150
FRANCIS veloce 250 – 450 70 – 30
a ELICA o KAPLAN 450 - 1000 30 – 5 8 - 400

Da quanto detto emerge anche che le diverse macchine sono più o meno
facilmente regolabili; pertanto è utile dare una indicazione del campo di
regolazione % in portata delle diverse macchine,(Fig. 15)

Fig.15
-48-

Cavitazione e altezza di aspirazione per le turbine


Per le turbine idrauliche, così come per le pompe si può definire un’altezza di
aspirazione come differenza fra la quota della sezione di uscita della macchina e il
pelo libero del canale di scarico (z1-za in Fig. 10 b). Scrivendo la conservazione
dell’energia fra (1) e (a) è possibile valutare la pressione sulla sezione di scarico
della macchina:

P1 P V2
= a − (z 1 − z a ) − 1 + y (66)
gρ gρ 2⋅g

valutare l’NPSH disponibile e confrontarlo con quello richiesto per la specifica


macchina.
Si osservi che la presenza di un diffusore, il cui compito è recuperare l’energia
cinetica di scarico, de-pressurizza la vena fluida in corrispondenza della sezione
di uscita della macchina. Questa circostanza chiarisce anche l’effetto utile del
diffusore che fa aumentare il salto di pressione sperimentato dalla turbina con un
conseguente aumento della sua potenza utile. Le perdite di carico, al contrario di
quanto accadeva per le pompe, pressurizzano la corrente fluida. Un’altezza di
aspirazione positiva, per semplici ragioni idrostatiche, riduce la pressione
all’uscita della girante aumentando i pericoli di cavitazione.
-49-

CAPITOLO 6°
POMPE CENTRIFUGHE

Generalità

(a) (b)
3

0 1

Fig. 16
Le pompe centrifughe sono macchine operatrici radiali di impiego molto diffuso
per tutti i livelli di potenza e per numerosissime applicazioni. La girante è
costituita da un corpo di rivoluzione dotato di una serie di setti radiali che
delimitano un insieme di canali mobili (Fig. 16(a) e (b)).
L’aspirazione è usualmente assiale, in quanto manca, di norma, un pre-
distributore che induca una componente tangenziale nella vena fluida aspirata
dalla girante. Nel canale mobile il flusso viene pressurizzato e indirizzato
gradualmente verso una direzione tendenzialmente radiale. Allo scarico dalla
girante la velocità, somma della velocità relativa e di quella periferica, è elevata e
viene recuperata a mezzo di un diffusore (da 2 a 3 di Fig. 16) che può essere
palettato o a camera libera. In entrambi i casi vengono messe a disposizione del
fluido sezioni di passaggio crescenti che consentono il recupero dell’energia
cinetica. La pompa centrifuga, pertanto, è una macchina “naturalmente” a
-50-

reazione. La prevalenza H della pompa è la somma delle energie di natura


“meccanica” conferite alla corrente fluida ed è ovviamente minore del lavoro
introdotto, a causa del lavoro assorbito dalle irreversibilità. Ne consegue la
seguente definizione di rendimento:
H g
η=
L
Come per le turbine idrauliche è opportuno definire un grado di reazione, che
evidenzia l’incremento della sola pressione nella girante rapportato al incremento
di energia a cavallo dell’intera macchina, definito, ad esempio dalla:

(P2 − P1 )
(P − P ) ρg
χ= 2 1 =
( P03 − P00 ) H
Solitamente l’energia di pressione è assolutamente preponderante e la prevalenza
viene definita in termini di incremento di questa sola forma di energia. Allo
scarico della girante nel moto relativo, la velocità del fluido guidato dalle pale può
essere radiale o, in alternativa, può avere una componente in senso concorde
oppure in senso opposto alla velocità periferica. Nel primo caso la palettatura si
definisce “radiale” nel secondo caso “in avanti”, nel terzo caso “all’indietro”.

w2
v2 w2
v2 w2
v2

u2 u2 u2

(c)

u1
v1 H
w1 in avanti
(d) (e)
pale radiali
all'indietro
w2r w2 v2 u22
β2
α2
u2 Q

v2t
Fig.
17
-51-

Curve caratteristiche
Per un aspirazione assiale il triangolo delle velocità in ingresso non contribuisce
al lavoro euleriano che risulta unicamente determinato dal triangolo allo scarico
(Fig. 17(d)):

L = U 2 ⋅ V2t = U 2 ⋅ V2 ⋅ cos α 2 (66)

Genericamente la v2t (e con essa lavoro e prevalenza) è influenzata dalla w2 e,


quindi, dalla portata. Esiste cioè un legame prevalenza - portata che definisce la
“curva caratteristica” di una pompa. In ipotesi ideali (lavoro coincidente con la
prevalenza) essa può essere calcolata come segue:

H = U 2 ⋅ V2 ⋅ cosα 2 = U 2 ⋅ (U 2 + W2 ⋅ cosβ 2 )
Q = A ⋅ W2 ⋅ sin β 2
 Q 
H = U 2 ⋅  U 2 + ⋅ cotg β 2 
 A 
La curva caratteristica ideale è pertanto lineare (Fig. 17(e)) e dà luogo a
prevalenze costanti con la portata per palette radiali (β2 = π/2), a prevalenze
decrescenti con la portata per palette all’indietro (β2 > π/2) e a prevalenze
crescenti con la portata per palette in avanti (β2 < π/2). Nel caso reale il legame
portata – prevalenza, che rappresenta poi l’insieme di tutti i possibili punti di
lavoro della pompa a giri costanti, è sostanzialmente un dato empirico, rilevato a
mezzo di un’opportuna sperimentazione. Concettualmente si può pensare che la
caratteristica effettiva (Fig. 18(b)) si ottenga da quella ideale sottraendo alla
prevalenza le perdite. Queste ultime sono ripartite in perdite concentrate
(d’imbocco nella girante e nell’eventuale diffusore palettato) e distribuite lungo
tutto lo sviluppo del canale. Le perdite concentrate presentano un minimo in
corrispondenza di angoli fluidodinamici (desunti dai triangoli delle velocità) in
accordo con gli angoli costruttivi (Fig. 17(a)). All’aumentare dei giri le curve
caratteristiche si dilatano mantenendo la forma originaria. Nell’ipotesi,
abbastanza ben verificata, di validità della similitudine idraulica, dalla curva di
base a giri n1 si deducono le curve a giri superiori sulla base della seguente
regola. Al punto P1 su n1 corrispondono punti in similitudine P2 su n2 e P3 su n3
ottenuti facendo aumentare linearmente con i giri la portata e quadraticamente la
prevalenza. In altre parole tutti i punti in similitudine stanno su una parabola del
second’ordine che passa per l’origine. Su tale parabola i triangoli delle velocità
dovrebbero essere simili e i rendimenti uguali. Nella realtà correggendo la
-52-

similitudine per tener conto di circostanze da questa non considerate


(trafilamenti, attriti sui dischi, perdite meccaniche …) si ottengono curve di
rendimento non coincidenti con quelle paraboliche (isole di equi-rendimento come
in Fig. 18(b)). Il punto operativo del sistema pompa – circuito si ottiene
intersecando la caratteristica della macchina con quella dell’impianto (ad esempio
punto T).
y ytot H

n=cost
P3

P2
ydis n3
P1
T n2
yconc
n1

(a) Q (b) Q

H Q
t
cos A
n=
B
C
D3 D
E
D2

D1

(c) Q (d) H

B
A ∆H

Q0 Q0+∆Q
(e) Q
Fig. 18
-53-

La variazione dei giri è uno strumento estremamente efficace per ampliare il


campo operativo di una pompa, ma comporta costi relativamente elevati. La
maggior parte delle macchine vengono costruite per una gestione a giri costanti
(azionamento a mezzo di ordinari motori elettrici). Per ampliare economicamente
il settore d’impiego di una pompa è invalso l’uso di considerare il diametro
massimo della girante come una variabili progettuale cui si può ricorrere
mantenendo inalterate le altre caratteristiche della pompa (meccanica,
azionamento, cassa). La riduzione per tornitura del diametro della girante ha
l’effetto principale di ridurre, a pari giri, la velocità periferica con un risultato
simile a quello che si avrebbe, a geometria costante, con la diminuzione del
numero di giri. Esiste cioè un parallelismo fra le caratteristiche ottenute per
riduzione dei giri e caratteristiche a giri costanti ottenute per riduzione del
diametro della girante, come qualitativamente indicato nella Fig. 18(c). Con
questo accorgimento una certa tipologia di pompa coprirà non già una linea, ma
un’intera regione del piano Q-H. Giustapponendo le regioni coperte da vari tipi di
macchina si ottiene un quadro riassuntivo utile per la scelta della pompa capace
di soddisfare una specifica esigenza (Fig. 18(d), diagramma a fazzoletti).
L’accoppiamento della pompa con un circuito esterno dà luogo solitamente ad
un’intersezione stabile. Le usuali caratteristiche d’impianto chiedono H crescenti
al crescere di Q a causa delle perdite di carico che aumentano con la velocità,
come illustrato in Fig. 18(e). Il punto A di funzionamento del sistema rappresenta
un accoppiamento stabile: infatti una perturbazione fortuita che faccia
aumentare la portata conduce la pompa a lavorare in C e il circuito in B. Ne
risulta un deficit di forza motrice (prevalenza della pompa inferiore alle esigenze
del circuito) che rallenta la colonna fluida riconducendo il sistema in A.
Grado di reazione
Dalla Fig. 17 è possibile dedurre che in generale le pompe con pale all’indietro
danno prevalenze minori a pari portata e velocità periferica. Ciò non è un
problema, poiché in realtà le prevalenze richieste alle pompe non sono elevate. In
compenso è possibile verificare che l’energia cinetica residua a valle della girante
è minore, ovvero il grado di reazione è molto più elevato. Tale aspetto è
particolarmente interessante, poichè rende meno utile, spesso addirittura inutile,
prevedere un diffusore a valle della girante.

Calcolo dell’altezza massima di aspirazione nelle pompe


Per ragioni di natura pratica le pompe vengono di solito collocate al di sopra del
pelo libero del bacino di alimentazione (cioè del piano della campagna). La quota
d’installazione rispetto al pelo libero dell’alimentazione è detta “altezza di
aspirazione”. Per ragioni idrostatiche ed idrodinamiche la pressione
-54-

all’alimentazione della pompa inferiore a quella atmosferica e potrebbe


raggiungere un valore tale da innescare, all’interno dlla macchina, il fenomeno
della cavitazione. Esiste cioè un’altezza massima di aspirazione al di sopra della
quale si ha cavitazione. Per il suo calcolo possiamo riferirci al capitolo precedente,
partendo dalle condizioni del bacino di aspirazione.
Un’altezza massima di aspirazione negativa significa che, per evitare la
cavitazione, la pompa va posta sotto battente. Si osservi che tale condizione può
facilmente verificarsi se il fluido viene aspirato alle condizioni di saturazione (ad
esempio in un serbatoio di gas liquefatto o nel condensatore di un impianto a
vapore). In tal caso Pa sarebbe uguale a Pv e l’altezza massima di aspirazione
sarebbe sicuramente negativa.
-55-

CAPITOLO 7°
LA COMPRESSIONE DEI GAS

Riassumiamo qui di seguito le relazioni fondamentali utili allo studio della


compressione dei gas, trascurando il peso proprio del fluido e la differenza delle
quote cinetiche in ingresso e in uscita:

L' = ∫ v dP; L = ∫ v ⋅ dP + L W (67)


L = h 2 − h1 − q (68)

Inoltre si riterrà valida in ogni caso l’equazione dei gas perfetti.


Il lavoro di compressione tende a riscaldare il gas: se si impedisce tale
riscaldamento con una adeguata refrigerazione si minimizzano, per ciascun livello
di pressione, i volumi specifici e quindi i lavori. L’isoterma reversibile rappresenta
pertanto la trasformazione di minimo lavoro. La (68) fornisce:

2 2
dP P
L T = ∫ v ⋅ dP = R ⋅ T ⋅ ∫ = R ⋅ T ⋅ ln 2 (69)
1 1
P P1

mentre dalla (69), tenendo presente che h è funzione della sola temperatura, si
ha:

L T = −q (70)

L’isoterma reversibile è rappresentata nel piano P-v e T-s rispettivamente nelle


Fig. 16(a) e (b) (curve 1-2*).
In entrambi i piani si può evidenziare compiutamente il lavoro di compressione
come l’area (tratteggiata) sottesa alla trasformazione con riferimento all’asse delle
pressioni nel primo caso e delle entropie nel secondo. Si osservi che il piano T-s
evidenzia per sua natura il calore scambiato reversibilmente e solo sulla base
della (68) consente l’individuazione del lavoro di compressione.
Passando a considerare la compressione adiabatica reversibile (isoentropica), il
lavoro può essere così espresso:
-56-

p T
2* 2' 2 2
3
2'

2* 1

4 1
5
v 4 3 s
(a) (b)
p T
2* 4 5
5
4
2'
3 2'

3 1

v s
(c) (d)
2
h
4 ηc
η y=1
1
2' 3 0.9 η y=0.9

3' 0.8

η y=0.8

1 β
1
s
(e) (f)

Nel piano P-v il triangolo curvilineo 1-2*-2’ rappresenta il lavoro aggiuntivo


rispetto all’isoterma, dovuto ai maggiori volumi specifici del gas che
progressivamente si riscalda. Nel piano T-s, osservato che h1 = h2*, la differenza
di entalpia fra i punti 2’ e 1 (e quindi 2’ e 2*) può essere letta come area sottesa
-57-

all’arco 2* - 2’ (calore scambiato a pressione costante). Nelle Fig. 16(a) e (b) è


anche rappresentata la compressione adiabatica irreversibile (curve 1-2). Il senso
di tale rappresentazione, alle volte ritenuta criticabile, è il seguente. Con
riferimento ad una situazione operativa molto diffusa si immagini che la
compressione sia realizzata in una macchina costituita da un gran numero di
stadi operanti in serie. A valle di ciascuno stadio le condizioni medie del gas sono
note sia per via teorica che per via sperimentale. E’ quindi possibile tracciare la
curva reale della compressione che evidenzi la storia effettiva dei volumi specifici
che risulteranno sistematicamente maggiori rispetto al caso isoentropico a causa
del più intenso riscaldamento del gas. Analiticamente il lavoro eguaglia il salto
entalpico effettivo e può essere calcolato da quello isoentropico utilizzando la
definizione di rendimento adiabatico di compressione:

h 2' − h1
ηc = (72)
h 2 − h1

l’area 1-2-3-4 nel piano P-v fornisce il lavoro diminuito delle perdite Lw, mentre
l’area sottesa all’arco 2-2* nel piano T-s, rappresentando il salto entalpico
effettivo, fornisce compiutamente tutto il lavoro di compressione. In entrambi i
piani i triangoli 1-2’-2 rappresentano l’incremento dell’integrale di v⋅dP dovuto
all’effetto indiretto delle perdite. A tale incremento si dà il nome di contro-
recupero. L’area sottesa all’arco 1-2 nel piano T-s, sulla base della (14),
rappresenta il lavoro delle resistenza passive.
Le turbomacchine per loro natura mal si prestano ad una refrigerazione continua
del fluido di lavoro. Le superfici di scambio disponibili al loro interno sono infatti
estremamente limitate ed il fluido le lambisce a velocità molto elevata. Volendo
ridurre le temperature medie della trasformazione si procede per tanto in questo
modo. Si interrompe la compressione dopo che il fluido ha subito un sensibile
riscaldamento; si avvia il gas ad uno scambiatore di calore dove la sua
temperatura viene ricondotta a valori prossimi a quelli iniziali; si completa quindi
la compressione in un secondo stadio (compressione inter-refrigerata). Il
risparmio di lavoro dovuto alla più favorevole “storia” dei volumi specifici è
rappresentato, nel caso reversibile, dall’area tratteggiata nelle Fig. 16(c) e (d).
Naturalmente gli stadi di inter-refrigerazione possono essere più di uno. Per
quanto concerne l’ottimazione della pressione di inter-refrigerazione si osservi che
un raffreddamento troppo anticipato è inefficace in quanto il gas non ha avuto
ancora modo di riscaldarsi sensibilmente; parimenti inefficace è un
raffreddamento troppo ritardato in quanto i benefici della refrigerazione si
manifesterebbero per una compressione residua eccessivamente modesta.
-58-

Nell’ipotesi di un rapporto di compressione elevato il rendimento adiabatico non


rappresenta un buon indice della “qualità” fluidodinamica di un compressore.
Accade infatti che il progressivo surriscaldamento del gas dovuto alle perdite
faccia crescere intrinsecamente i lavori rispetto a quelli di una trasformazione
totalmente isoentropica. Per chiarire meglio questa circostanza si consideri la
compressione isentropica 1-2’ nel piano h-s di Fig. 16(e). L’ultimo stadio di
compressione richiede un lavoro pari a h2’ – h3’. Il progressivo surriscaldamento
del gas, d’altro canto, fa si che il fluido nella situazione reale, si presenti all’ultimo
stadio alla temperatura T3 sensibilmente maggiore di T3’, con la conseguenza che,
anche nell’ipotesi isentropica, il lavoro, pari a h4 - h3 è notevolmente più elevato
di quello di riferimento h2’ –h3’. In altre parole anche una macchina reversibile
avrebbe un rendimento minore di uno, non imputabile, ovviamente, ad una
cattiva qualità fluidodinamica. Esiste la possibilità di definire un nuovo
rendimento, il rendimento politropico ηy, che prende come riferimento ideale io
lavoro necessario per comprimere idealmente (senza irreversibilità) il gas da (1) a
2
(2), lungo la linea di trasformazione effettiva. Tale lavoro è Lid= ∫ vdP e consente di
1

definire un nuovo rendimento che meglio chiarisce la qualità della compressione,


il “rendimento idraulico”:

ηy =
∫ v dP (73)
L eff
che risulta maggiore del rendimento adiabatico (72)
Se si approssima la trasformazione reale 1-2 con una politropica di equazione
P vn = costante, il numeratore della (73) e quindi il rendimento idraulico (che in
tale ipotesi prende il nome di “rendimento politropico”) può facilmente essere
valutato e confrontati col rendimento adiabatico. Il legame è illustrato
graficamente in Fig. 16(f). Si osservi che: a) il rendimento adiabatico è sempre
minore di quello politropico; b) al diminuire del rendimento politropico e al
crescere del rapporto di compressione cresce il divario fra i due rendimenti.
-59-

CAPITOLO 8°
I COMPRESSORI DI GAS

Il compressore centrifugo
a) Generalità
Il compressore centrifugo ha una configurazione d’insieme simile a quella delle
pompe centrifughe.

Fig. 20
Esso è costituito cioè da una girante palettata (Fig. 20(a)), alimentata assialmente
con scarico tendenzialmente radiale.
-60-

3
h2
2

3 2 1
0 D1 1 D2

(b)

w2
v2

β2

α2 u2
w2 v2

β2

α2 u2
w2 v2

β2

α2 u2

(c)
Fig. 21
L’elevata velocità di uscita dalla girante richiede che la vena fluida sia rallentata
in un opportuno condotto (diffusore) con recupero di energia di pressione. Con i
-61-

V22
triangoli di Fig. 20(a) il lavoro euleriano è pari a U 22 : poco più della metà ( ) è
2
disponibile come energia cinetica allo scarico della girante da utilizzare per la
compressione nel diffusore. Il compressore centrifugo è pertanto una macchina
naturalmente a reazione (grado di reazione definito come rapporto fra salto
entalpico a cavallo della girante e salto entalpico totale). Prescindendo dagli effetti
di comprimibilità la fluidodinamica del compressore e della pompa centrifuga è
del tutto analoga. Anche per i compressori le palette allo scarico possono essere
configurate radialmente, in avanti, all’indietro. Con riferimento alla Fig. 21(c) si è
già detto che un triangolo con scarico radiale ha grado di reazione di poco
inferiore al 50%. Mantenendo costante la u2 e considerando un triangolo con una
W2 all’indietro, la riduzione della V2 si riflette, linearmente, in una riduzione del
lavoro euleriano e, quadraticamente, nella riduzione dell’energia cinetica di
scarico. Aumenta perciò il grado di reazione e diventa meno importante il
recupero di energia cinetica nel diffusore. Considerazioni opposte valgono per i
triangoli con W2 in avanti.

b) Ottimizzazione della velocità angolare


Stabilito che, per ragioni energetiche, la velocità periferica necessaria per la
compressione di un gas con una certa tipologia di triangoli è fissata, la scelta del
numero di giri determina le dimensioni fisiche della girante e quindi la portata
che la stessa è in grado di elaborare. Usualmente nel progetto di una
turbomacchina l’individuazione del numero di giri è lo strumento principale di
ottimazione e viene determinato a mezzo del numero di giri caratteristico. Una
data tipologia di compressore, ad esempio quello centrifugo, è caratterizzata da
un certo intervallo di valori accettabili per nc e quindi da una banda all’interno
della quale si collocano i punti rappresentativi di macchine di buon rendimento.
Tale banda nel caso dei compressori viene limitata a causa di effetti della
comprimibilità.
L’entalpia del punto 2 all’uscita della girante è calcolabile con la relazione:

V22
h2 = h0 + L − (74)
2

mentre la pressione P2 si calcola individuando dapprima il punto 2’ a mezzo della


relazione:
h 2' − h1
η girante = (75)
h 2 − h1
ed applicando quindi la legge dell’isentropica:
-62-

θ
T2'  P2 
=  (76)
T1  P1 

V22
Nel diffusore l’energia cinetica viene in larga misura utilizzata per
2
comprimere la vena fluida (da 2 a 3) mantenendo un residuo di velocità V3 che
garantisce il trasferimento del gas. Se nel punto 3 si ipotizza di utilizzare l’energia
cinetica disponibile in una compressione isentropica si ottiene il punto 03 detto
“di ristagno” cui corrispondono grandezze termodinamiche definite “di ristagno” o
“totali”. Analogamente al punto 2 (condizioni statiche) è associato il punto 02 di
ristagno (condizioni totali). Dato che le trasformazioni 3-03 o 2-02 sono reversibili
è sempre possibile passare dalla situazione di quiete rappresentata dai punti 03 e
02 a quella effettiva, caratterizzata da condizioni 3 o 2 associate alle relative
energie cinetiche e viceversa. Le condizioni di ristagno rappresentano lo stato del
serbatoio ideale da cui si può immaginare che derivi il flusso. Sperimentalmente
l’arresto reversibile della vena fluida in un tubo di Pitot genera condizioni di
ristagno. L’utilità delle grandezze di ristagno sta nel semplificare il quadro termo-
fluidodinamico riconducendolo a condizioni statiche individuate dai puri
parametri termodinamici.

Il compressore assiale
Un’altra tipologia di compressore, quello assiale, utilizza per l’elaborazione della
vena fluida una serie di palettature, alternativamente mobili e fisse, il cui profilo
aerodinamico induce un graduale aumento di pressione nei canali. La Fig. 22(b)
fornisce una vista schematica della macchina da cui si intuisce che le aree di
passaggio a disposizione del fluido sono grandi rispetto alla sezione maestra
(numero di giri caratteristico elevato) e che, naturalmente, è possibile organizzare
in poco spazio un gran numero di stadi. Sezionando con il cilindro c-c la mezzeria
delle palette si ottengono sezioni conformate a profilo aerodinamico come
rappresentato ad esempio in Fig. 22(c). Le deflessioni impresse alla vena fluida
sono congrue con l’andamento della linea media del profilo e sono compiutamente
rappresentate a mezzo dei triangoli di velocità di ingresso e di uscita.
-63-

statore
(a) (b)
c c
02 03

(v22)/2 (v32)/2

3
3' rotore
1 2 3 03

v 23
2
v 22
L 3
2 2
L w 22
2'
2

w12
01 2 2

v12
0 2

(v12)/2 h
1
h 1' 1 s (f)
s

w1
(c)
∆α ∆β
u u

v2 w1 w2 v3=v1 v2
w2

v3=v1 u
u
∆vt
(d)
w1
u
v2 u

w2 w1 w2 v3=v1 v2

u
v3=v1 u
w1
(e)
u
u

v2 w1 w2
w2 v3=v1 v2

u
u
v3=v1
Fig. 22

Sempre con riferimento alla Fig. 22(c) osserveremo che i triangoli sono simmetrici
(velocità assolute speculari a quelle relative, grado di reazione del 50%) che le
-64-

deflessioni sono molto contenute e, conseguentemente, il lavoro euleriano è


modesto (∆Vt piccolo) e il lavoro di compressione limitato (alquanto inferiore
rispetto a quello dei compressori centrifughi). Deflessioni più marcate
indurrebbero compressioni più intense e gradienti di pressione più elevati col
pericolo di distacchi di vena e di perdite fluidodinamiche severe.
Altri possibili triangoli delle velocità sono rappresentati in Fig. 22(d) (grado di
reazione 100%) ed (e) (grado di reazione 0). La storia della compressione nel piano
h-s per un grado di reazione del 50% è rappresentata nella Fig. 22(f). Se per una
data velocità periferica i lavori di compressione sono tendenzialmente modesti,
l’aumento della u sino a valori eventualmente molto elevati li fa aumentare
considerevolmente. Tuttavia il superamento anche solo a livello locale della
velocità del suono indotto da velocità periferiche eccessive crea problemi di
natura fluidodinamica che non sempre si è disposti ad accettare.

Il fenomeno del pompaggio


In analogia con quanto visto per le pompe, anche nel caso dei compressori il
punto di funzionamento del sistema macchina-circuito è individuato
dall’intersezione della caratteristica esterna con quella del compressore (punto T
della figura 23 a). Se tuttavia il fluido è comprimibile e la capacità del circuito non
è trascurabile, in esso, a differenza del caso idraulico, può accumularsi fluido che
si comporta in qualche modo come una molla dando origine a ritardi e
pendolazioni nel processo di adeguamento della pressione ad una variazione della
pressione di mandata del compressore. Se la pendenza della curva caratteristica è
positiva (come normalmente avviene a basse portate), può succedere che tale
pendolazione non sia smorzata o sia addirittura amplificata, e provochi il ricir-
colo verso l’aspirazione del compressore di parte della portata Il risultato di tale
comportamento anomalo è una pulsazione sulla girante che può portare alla
rottura.
Possiamo vedere il problema un altro punto di vista facendo riferimento ad una
caratteristica esterna virtuale tracciata orizzontalmente. Infatti la presenza nel
sistema di volumi di una certa ampiezza a disposizione del fluido (cassa, condotti
…) fa si che in essi, a seguito di piccoli aumenti di pressione, si possa accumulare
fluido. È cioè presente una capacità che, per semplicità, schematizzeremo come
un accumulo perfetto (infinito). La caratteristica di tale capacità virtuale è una
retta orizzontale tracciata a qualunque livello di pressione si desideri. Ragionando
come si è fatto per le pompe tutte le intersezioni a sinistra del massimo M sono
instabili. L’intero tratto L-M è inutilizzabile: in esso il compressore funziona
irregolarmente, in maniera pulsante, senza fornire le pressioni previste. A tale
-65-

fenomeno si dà il nome di “pompaggio”. La caratteristica della macchina risulta


utilizzabile solo al di sopra di una portata minima (limite del pompaggio). Per
ragioni di similitudine il limite del pompaggio sarà presente in tutte le
caratteristiche che si ottengono al variare dei giri (Fig. 23(b)). Si dà il caso che la
regione utile di funzionamento contigua alla linea del pompaggio sia quella a
rendimento migliore. È quindi prassi corrente far funzionare i compressori in
regioni non lontano da questa zona.

β β
(p) (p)

pompaggio
limite del
M
S
P caratteristica
L capacità
perfetta n4

η1
caratteristica
T
esterna
η2

caratterisica
compressore n1 n2 n3

Q Q

(a) (b)

Fig. 23
-84-

CAPITOLO 11°
TURBINE $66,$/,

Rendimenti
Nello studio di singoli stadi della turbina è necessario tener conto delle energie
cinetiche del fluido e quindi distinguere fra condizioni statiche e condizioni totali
del fluido di lavoro.
00

 v 22 
0
p1 h00 − h2* ≅ h00 −  h2' + 

 2 
L h − h02
ηt,s = = 00
1 h00 − h2' h00 − h2'
1'
L L
ηt , t =
h00 − h2*
p02

p2
02
2* (v22)/2
2
(a) 2'
Fig. 29

Con riferimento alla Fig. 29(a) si consideri l’espansione isoentropica da condizioni


totali OO all’isobara p2 (punto 2’) e quella reale da OO a 2 con un residuo di
energia cinetica V22/2 che consente la definizione di uno stato totale 02. Il lavoro
effettivo (euleriano) è dato dalla differenza delle entalpie totali:

L = h 00 − h 02 (103)

Se l’energia cinetica di scarico V22/2 viene dissipata isobaricamente la pressione


finale del processo di espansione è la p2 e quindi il salto entalpico isoentropico è
dato da hOO - h2’: esso fa riferimento a condizioni totali di inizio espansione e a
condizioni statiche di scarico. Viene pertanto definito un rendimento “totale a
statico” sulla base della seguente formula:
-85-

L
η ts = (104)
h 00 − h 2'

In alternativa si può ipotizzare il recupero dell’energia cinetica di scarico a mezzo


di un diffusore ideale che innalzerebbe la pressione dal livello p2 al livello p02. Con
riferimento a tale seconda isobara il salto entalpico isoentropico risulterebbe in
questo caso pari a hOO - h2*. Data la limitata divergenza delle isobare il segmento
h2* - h2’ può essere confuso con il segmento hO2 - h2 (che eguaglia l’energia
cinetica di scarico) con la conseguenza che il salto entalpico isoentropico risulta
pari alla differenza hOO – (h2’ + V22/2). Esso fa riferimento a condizioni totali sia
all’alimentazione che allo scarico consentendo la definizione di un rendimento
“totale a totale”:

L
η tt = (105)
h 00 − h 2' − V22 /2

Il rendimento “totale a statico” è significativo negli stadi singoli o negli ultimi stadi
di turbina in assenza di un diffusore in quanto, in tal caso, l’energia cinetica di
scarico è effettivamente perduta. Per gli stadi intermedi o in presenza di un
diffusore, dato il recupero quantomeno parziale dell’energia cinetica di scarico è
significativo il rendimento “totale a totale”.

Stadio assiale ideale ad azione


Nel seguito ci occuperemo dell’efficienza fluidodinamica dell’interazione fluido –
macchina a prescindere dalla presenza di attriti (stadio ideale). La sola perdita
presa in considerazione è quella per energia cinetica di scarico. Consideriamo
dapprima uno stadio ad azione in cui, cioè, tutto il salto entalpico disponibile è
trasformato in energia cinetica nel distributore fisso (ugelli).
-86-

β1
β2
v1
w1 (b)
∆β

v1 w1 v2 w2
u
α1 α2

w2 u u
v2
η
(c) (d)
cos2α 1
β1
β2

∆β
v2 w2
v1 w1
u
α1

u
u/v1
(cosα 1)/2 cosα 1

Fig. 30
Con riferimento alla Fig. 30(b), si supponga simmetrica la palettatura mobile
(angolo β1 = 180° - β2). Le due velocità relative, uguali in modulo, sono speculari
una rispetto all’altra.
Il lavoro euleriano risulta:

L = U ⋅ (V1 ⋅ cosα 1 − V2 ⋅ cosα 2 ) (106)

con
V2 ⋅ cosα 2 = U + W2 ⋅ cosβ 2 = U − W1 ⋅ cosβ1
U − W1 ⋅ cosβ1 = U − (V1 ⋅ cosα 1 − U ) = 2 ⋅ U − V1 ⋅ cosα 1
si ha quindi:

L = 2 ⋅ U ⋅ (V1 ⋅ cosα 1 − U ) (107)

osservando che l’energia disponibile coincide con l’energia cinetica di


alimentazione si ha infine:

 U
⋅  cosα 1 −  = 4 ⋅ k p ⋅ (cosα 1 − k p ) (108)
L U
η= 2
= 4⋅
V1 /2 V1  V1 

in cui kP viene denominato coefficiente di velocità periferica.


-87-

La (108) si traduce graficamente nella curva simmetrica di Fig. 30(c), con un


ottimo in corrispondenza di kP = cosα1/2, che vale cos2α1 (velocità di scarico
assiale). Sempre per la stessa ascissa il lavoro euleriano, sulla base della (107), è
pari a 2·U22. Per quanto concerne la validità dei risultati ottenuti si osservi che
mentre l’ascissa che ottimizza il rendimento ha un valore analogo a quello del
caso reale, il rendimento massimo non solo è largamente ottimistico ma non
fornisce neppure un andamento realistico, quanto meno per i bassi valori di α1.
Rinunciando alla simmetria della palettatura e aumentando l’angolo β2 è possibile
ridurre la velocità di scarico e, con essa, la perdita di energia cinetica,
migliorando il rendimento Fig. 30(d). La riduzione della velocità assoluta di
scarico, per compensazione, comporta la necessità di un aumento dell’area utile
di passaggio e quindi dell’altezza della paletta in uscita rispetto all’altezza in
entrata.

Stadi assiali ideali a reazione


In uno stadio a reazione una parte del salto entalpico disponibile viene utilizzato
per accelerare la vena fluida nel moto relativo all’interno dei canali mobili. Il
grado di reazione viene definito come rapporto fra il salto entalpico nella girante e
il salto entalpico totale:

∆h girante ∆h girante
χ= = (109)
∆h tot ∆h girante + ∆h distr.

Si osservi che, trattandosi di una macchina assiale, la conservazione dell’energia


ha forma analoga nei canali fissi e mobili e asserisce che il salto entalpico
eguaglia l’incremento di energia cinetica rispettivamente nel moto assoluto o
relativo. Un triangolo a reazione, pertanto, sarà caratterizzato da una w2
maggiore, in modulo, della W1 come illustrato nella Fig. 31(a) (triangolo
ottimizzato).
-88-

β1

v1 v2=v0 v1 w1 v2=v0 w2

α1 α1
(b) (a)
u u

v0 ∆vt

β1

v1 w1

v1 w1 v2=v0 w2
u α1
(c)
u u
v2 w2
∆vt

Fig. 31
La configurazione a reazione comporta, in linea di principio, un certo vantaggio di
rendimento sia perché l’energia cinetica allo scarico è minore, ma soprattutto
perché le velocità assolute e relative sono mediamente minori di uno stadio ad
azione e le perdite per attrito sono proporzionali all’energia cinetica. Una
configurazione tipica, largamente utilizzata, di stadio a reazione è costituita da
palettature fisse e mobili con profili speculari l’uno rispetto all’altro e quindi
simmetrici come illustrato nelle Fig. 31(c) (triangolo ottimizzato). In questo caso il
processo di espansione che avviene nel rotore è del tutto analogo a quello che ha
luogo nello statore (creazione della stessa energia cinetica con angoli delle velocità
simmetrici) e risulta: W2 = V1; W1 = V2.
Il grado di reazione è sostanzialmente pari al cinquanta per cento. Con
riferimento al triangolo ottimizzato, il lavoro euleriano è dato da U·V1·cosα= U22.
Mentre il triangolo non ottimizzato, a fronte di un rendimento inferiore ha un
lavoro più elevato a causa della maggiore variazione di componente tangenziale di
velocità nel moto assoluto.
Sono abbastanza diffusi anche triangoli delle velocità con gradi di reazione elevati
(anche nettamente maggiori del 50%).

Stadi ideali a salti di velocità


Consideriamo il triangolo ad azione di Fig. 30(b) e modifichiamolo supponendo
cha la velocità periferica sia nettamente inferiore a quella rappresentata.
-89-

Otterremo un triangolo del tipo di quello riportato in Fig. 32(a) in cui la velocità
assoluta di scarico ha una significativa componente tangenziale di verso
contrapposto a quello della u. Tale componente potrebbe essere ancora utilizzata
purché la si riconduca al verso corretto, nello stesso senso della u. Ciò è possibile
a mezzo di un’apposita palettatura denominata raddrizzatore. A questo punto la
velocità assoluta può essere utilizzata in un secondo stadio mobile come illustrato
in Fig. 32(b). La macchina che ne risulta prende il nome di turbina a salti di
velocità (o turbina Curtis se, come nel caso in esame, gli stadi mobili sono due).
In uno stadio ad azione semplice ottimizzato la componente tangenziale della V1
viene annullata sottraendole due volte la U; nella turbina a salti di velocità,
secondo lo schema in figura, la U viene sottratta quattro volte al fine di
ricondurre la velocità assoluta alla direzione assiale. Pertanto il coefficiente ottimo
di velocità periferica risulta dimezzato rispetto allo stadio ad azione semplice
(cosα1/4 in luogo di cosα1/2). Considerando triangoli ottimizzati a pari α1 il
rapporto fra velocità di scarico e velocità di alimentazione è lo stesso per lo stadio
ad azione semplice e per la Curtis, quindi la perdita di energia cinetica di stadio
incide allo

α1 v1 w1

u
v1 w1 v2 w2
w2
α1
(a) v2
u u

v3
w3

w4
v1 w1 v3 w3 v4 w4 v2 w2

(b) v4

u u u u

÷L2
÷L1

Fig. 32
stesso modo sull’energia cinetica di alimentazione nei due tipi di stadio: ne
consegue che il rendimento ottimo è identico. Il coefficiente di velocità periferica
dimezzato comporta per la Curtis, a pari U, una velocità di alimentazione doppia
-90-

e quindi un’energia cinetica quadrupla e quindi lavori totali quadrupli. I due stadi
però compiono lavori molto diversi in quanto la parte preponderante dell’effetto
utile è fornita dal 1° stadio.

Analisi delle perdite


a) Il fenomeno del recupero
Le perdite fluidodinamiche rimangono dentro il vapore come aumento di entalpia
rispetto al caso isoentropico. Con riferimento alla Fig. 33, ipotizzando
un’espansione a più stadi, le perdite nel primo stadio portano il vapore nelle
condizioni 1 in luogo di 1’. La successiva espansione a partire da 1 (1 – 3) mette a
disposizione un salto entalpico isoentropico maggiore di quello che si potrebbe
sfruttare partendo da 1’ (1’ – 2). Ciò è dovuto alla divergenza delle isobare o, in
termini più fisici, alla dilatazione dei volumi specifici dovuta all’aumento di
temperatura. Il maggior salto entalpico isoentropico si traduce in un maggior
lavoro utile che costituisce un recupero, sia pure parziale, della perdita originaria.
(c)

h
0

1
∆hdiss
1'

∆h'
∆H'

3
2

s
Fig. 33
Stabilita la linea effettiva di espansione 0 – 4 la somma dei salti entalpici
isoentropici a disposizione degli stadi è maggiore del salto isoentropico originario
(0 – 2). Il rapporto, superiore a uno, fra queste due quantità è denominato “fattore
di recupero”.
-91-

b) Perdite nei canali


Si è detto come le perdite per attrito siano concentrate in una limitatissima
regione del campo di moto chiamata strato limite. Nell’ipotesi monodimensionale
non si può tener conto della disuniformità del flusso in ciascuna sezione causata
dall’effetto di strato limite. Si preferisce pertanto ipotizzare come risultato delle
perdite un rallentamento uniforme della vena fluida su tutta la sezione in luogo
del rallentamento, molto più sensibile, in prossimità delle pareti. Vengono così
definiti dei coefficienti di perdita rispettivamente per i canali fissi e mobili, come
rapporti fra la velocità effettiva e quella ideale.

V1 W
ϕ= ; ψ= 2 (110)
V1i W2i

Tali coefficienti dipendono da molti fattori: numero di Reynolds, numero di Mach,


finitura delle superfici, presenza di gradienti di pressione… Tuttavia si ritiene che
l’effetto preponderante sui due coefficienti sia da attribuirsi alla deflessione che la
vene fluida subisce nel canale fisso o mobile.
c) Perdite per trafilamenti
Per ragioni costruttive (dilatazioni termiche differenziali di cassa e rotore ecc.) sia
le palettature mobili che quelle fisse presentano sempre giochi alle loro estremità
nei confronti, rispettivamente, della cassa e del rotore. Una frazione della portata
trafila attraverso i giochi senza fornire lavoro utile. In particolare le palettature di
piccola altezza risulteranno fortemente penalizzate.
d) Perdite per azione frenante del liquido
Quando una turbina si trova ad operare in condizioni di vapore umido le
traiettorie della frazione liquida, che non accelera per virtù propria ma viene
trascinata dal vapore, sono radicalmente diverse da quelle della fase gassosa. Ciò
comporta una specifica perdita.

La parzializzazione
Le turbine ad azione possono essere parzializzate nel senso che la chiusura di
parte degli ugelli di alimentazione. Ciò consente la riduzione della portata senza
importanti disturbi fluidodinamici. Questo principio viene utilizzato ampiamente
negli interventi di regolazione, ma può servire anche in sede di progetto per un
migliore proporzionamento delle palettature.
Negli stadi di alta pressione accade sovente che la modesta portata volumetrica
impedisca di avere palette di altezza adeguata. Infatti, a giri costanti (tipicamente
3000 giri/min), onde ottenere una velocità periferica sufficiente, i diametri devono
-92-

essere relativamente grandi. Una paletta di altezza accettabile (pari ad esempio al


2÷3% del diametro) determina un’area di passaggio eccessiva rispetto alle
esigenze della piccola portata volumetrica disponibile. La chiusura di una frazione
ε dell’arco di ammissione, concentrando la portata sul restante arco (1 – ε),
induce un aumento dell’altezza della paletta per un fattore 1/(1 – ε), come risulta
dalla formula:

.
V = π ⋅ D ⋅ h ⋅ v a ⋅ (1 − ε ) (111)

Vengono così limitate le severe perdite per trafilamento tipiche delle palette troppo
basse.

Note aggiuntive sui diversi stadi di turbina a vapore


Anche nel caso reale lo stadio ad reazione mantiene, in linea di principio, un certo
vantaggio di rendimento su quello ad azione a causa non solo della minor
incidenza delle perdite per energia cinetica di scarico, ma anche della ridotta
deflessione nel canale mobile che migliora il coefficiente riduttivo di velocità.
Per quanto riguarda la turbina Curtis, contrariamente a quanto accade nel caso
ideale, il rendimento ottimo è alquanto inferiore a quello dello stadio ad azione
semplice. Per rendersi conto del motivo di ciò si osservi che per un salto entalpico
prefissato una turbina Curtis potrebbe essere sostituita da quattro stadi ad
azione semplici, ciascuno dei quali elaborante un quarto del salto entalpico.
Pertanto l’energia cinetica massima nella Curtis risulta quattro volte maggiore di
quella degli stadi ad azione e le perdite, in qualche modo proporzionali a tale
energia, risultano particolarmente elevate. Allo stesso risultato si perviene con
l’osservazione che, nella Curtis, l’intero salto entalpico trasformato in energia
cinetica viene elaborato da quattro successive palettature che cumulano le loro
perdite, laddove nello stadio ad azione le palettature sono soltanto due.
La caratterizzazione della Curtis come una turbina che abbina lavori elevati a
rendimenti relativamente modesti suggerisce il suo uso all’inizio dell’espansione
quando, da un lato, i diametri degli stadi e le velocità periferiche sono basse e
dall’altro il fenomeno del recupero si potrà esplicare per una parte preponderante
dell’espansione. Ciò è particolarmente vero per le macchine di piccola potenzialità
a 3000 giri/min che hanno diametri piccoli e soffrono di una marcata
insufficienza di velocità periferica. Al contrario le grandi macchine delle centrali
termoelettriche, data la notevole portata di fluido che elaborano, hanno diametri
sufficienti anche in alta pressione e non richiedono l’uso della Curtis che,
peraltro, sarebbe penalizzante dal punto di vista del rendimento.
-93-

La regolazione delle turbine a vapore


La potenza immessa nella rete deve eguagliare le richieste complessive delle
utenze. Al variare di queste il parco di centrali attive modifica il proprio assetto
generativo per ristabilire l’equilibrio. E’ necessario allora poter regolare la potenza
delle centrali in un campo abbastanza ampio.
Con riferimento all’usuale espressione della potenza:

.
P = m⋅ ∆hu (112)

per ottenere la variazione di P non è opportuno agire sul salto entalpico utile in
quanto esso è legato ad un ciclo termodinamico ottimizzato che, nei limiti del
possibile, deve essere mantenuto inalterato. Si agirà pertanto sulla portata
massica che può essere ridotta, a partire dal valore nominale, secondo due
modalità: la parzializzazione o la laminazione.

a) Regolazione per parzializzazione


Si applica al primo stadio, ad azione, della turbina. Si divide la corona degli ugelli
fissi in settori indipendenti, ad esempio quattro, ciascuno alimentato da un
condotto di vapore vivo intercettabile a mezzo di una valvola. La chiusura di una
o più valvole riduce, a seconda delle necessità, la portata di vapore a pressione di
alimentazione inalterata e quindi senza modificare il ciclo termodinamico. Il
rendimento interno della turbina subisce invece un modesto calo a seguito della
riduzione della portata. Si faccia riferimento alla Fig. 35(b) che rappresenta una
turbina in cui il primo stadio è parzializzabile. Si è visto in precedenza che la
portata di un ugello può ritenersi proporzionale alla pressione di alimentazione e
viceversa. Nella prima corona di ugelli la portata viene ridotta a mezzo della
parzializzazione, a pressione di alimentazione costante; nella seconda corona, non
parzializzata, la portata ridotta genera una pressione proporzionalmente ridotta a
monte della palettatura (sezione 2). Essendo il primo stadio ad azione la pressione
in 1 eguaglierà quella in 2 e risulterà ugualmente decurtata. Il rapporto di
espansione p0/p1 pertanto cresce al diminuire della portata e con esso la velocità
di alimentazione dello stadio. Di conseguenza, data la costanza della u, il
coefficiente di velocità periferica varierà spostandosi dal valore di ottimo. In
definitiva per il primo stadio si avrà un certo calo di rendimento. A causa della
riduzione di p2 inoltre il complesso degli stadi successivi al primo si trova a dover
gestire un rapporto di espansione ridotto. In ragione dell’elevato numero di stadi,
-94-

però, una piccola diminuzione del rapporto di espansione di ciascuno,


cumulandosi, produce la necessaria variazione del rapporto totale. Poiché gli
stadi sono dotati di una certa elasticità di funzionamento le piccole variazioni di
cui si è detto non generano significative perdite di rendimento.

b) Regolazione per laminazione


Data la proporzionalità fra pressione di alimentazione e portata una semplice
valvola di laminazione posta a monte della turbina è sufficiente per controllare la
potenza. Il rapporto di espansione utilizzato nella valvola non è più disponibile
per la turbina che si trova a lavorare con un salto entalpico ridotto. Il fenomeno
del recupero a valle della laminazione limita le perdite. Inoltre una riduzione
anche importante della pressione nella valvola (ad es. da 180 a 90 bar) che
provoca un calo sensibile di portata (del 50%) comporta la perdita di un rapporto
di espansione modesto (2 nel caso in esame). Il rendimento interno della turbina,
in corrispondenza di un rapporto totale di espansione ridotto, per i motivi già
esposti al punto precedente, rimane all’incirca inalterato. Complessivamente la
regolazione per laminazione è caratterizzata da una discreta efficienza.
Una terza tecnica di regolazione prevede la generazione di vapore a pressione
ridotta facendo affidamento su una pompa dotata di una grande flessibilità (ad
es. a giri variabili). In questo caso il ciclo termodinamico risentirà negativamente
dell’abbassamento di pressione ma sarà evitata la perdita per laminazione nella
valvola. L’efficienza di quest’ultimo metodo di regolazione è intermedia fra quelle
dei sistemi prima considerati.

Stadi di bassa pressione


L’ottimazione termodinamica dei cicli conduce a rapporti totali di espansione di
molte migliaia (ad es. 3 – 4000) cui corrispondono rapporti delle portate
volumetriche quasi altrettanto grandi (ad es. 800 – 1500). Per potenze e quindi
portate massicce elevate la portata volumetrica scaricata al condensatore è
estremamente grande e richiede palette quanto più alte possibile. Una tipica
configurazione limite dello stadio finale prevede palette di un metro di altezza
montate su dischi di due metri di diametro.
Un problema che nasce quando il rapporto h/Dm è elevato (1/3 nel nostro
esempio) è la grande differenza di velocità periferica e quindi la grande differenza
potenziale di scambio di lavoro dalla base all’apice delle pale. D’altro canto
l’estrazione di lavoro deve essere uniforme in quanto tutti i filetti fluidi hanno lo
stesso potenziale termodinamico. Si fa così affidamento su un grado di reazione
ampiamente crescente dalla base all’apice per compensare la diversa capacità
intrinseca di lavoro delle diverse sezioni. Ipotizzando uno scarico assiale, al fine di
-95-

ottimizzare il rendimento in assenza di un diffusore di recupero dell’energia


cinetica di scarico, l’espressione del lavoro ha la forma:

L = U ⋅ V1 ⋅ cosα 1 (113)

e la sua costanza comporta che il prodotto r·V1·cos(α1) sia costante (distribuzione


a vortice libero). Alla base della pala dove la velocità periferica è minima si può
scegliere un triangolo ad azione che comporta il massimo lavoro (che verrà poi
mantenuto costante). In mezzeria, a seconda dell’altezza relativa della pala, è
richiesto un grado di reazione più o meno elevato (ad es. il 50%, come nella Fig.
34(a)). All’apice è necessario ricorrere ad un grado di reazione ancora più elevato,
con deflessioni minime nel canale mobile. La variazione di profili che,
qualitativamente, comporta una sorta di “torsione” della pala viene chiamata
“svergolatura”. Gli ultimi stadi delle turbine a vapore hanno palette fortemente
svergolate e rastremate.

(a)

v1 v2 w1 w2 (a)
h
(m) u
u

Dm
(b)
v1 w1 v2 w2
α1 (m)
u u

v1 w1 v2 w2

α1 (b)
u u
(a)

Fig. 34
-96-

Pur utilizzando diametri elevati e palette molto alte la capacità della corona di
scarico di far passare portata è limitata e conseguentemente limitata risulterà la
potenza ottenibile da una turbina con uno scarico singolo. Ipotizzando in
mezzeria un triangolo con il 50% di reazione come in figura si ha infatti per la
portata volumetrica:

. h
V = π ⋅ D m ⋅ h ⋅ v a = π ⋅ D m ⋅ h ⋅ u m ⋅ tgα1 = π ⋅ D 2m ⋅ ⋅ u m ⋅ tgα1
Dm (114)

Per rendere massima la portata bisognerà rendere massime le variabili a fattore


nell’ultimo membro della relazione. Per il rapporto h/D si è indicato quale valore
limite 1/3. Valori ancora più elevati comporterebbero problemi fluidodinamici
(squilibri ancora maggiori per la capacità intrinseca di lavoro) e meccanici
(sollecitazioni alla base ancora più severe).
Si è visto come le sollecitazioni dovute alle forze centrifughe crescano con um2. Si
capisce pertanto come esista un valore limite, determinabile con il calcolo, al di là
del quale le sollecitazioni risultano eccessive. Tale valore si può indicare
approssimativamente in 450 m/s. Fissata la u limite, a giri costanti, è fissato di
conseguenza anche il diametro medio limite.
A questo punto fissato il numero di giri (ad es. 3000 al minuto) si possono
introdurre nella formula i valori numerici al posto delle variabili col risultato che
la portata limite così ottenuta è di circa 2000 m3/s. Ad essa corrisponde una
portata massica funzione del volume specifico al condensatore che determina la
potenza limite per una turbina a scarico singolo (120÷150 MW nei climi
mediterranei). Per potenze superiori è necessario ricorrere a scarichi multipli (2,
4, 6…). Una condensazione a temperatura particolarmente bassa come quella che
è possibile nei climi freddi, aumentando i volumi specifici del vapore, riduce la
potenza limite.
Stabilita la configurazione dell’ultimo stadio per 3000 giri/min, in linea di
principio si potrebbero aumentare in similitudine le dimensioni dello scarico
riducendo proporzionalmente i giri (in modo da conservare um e con essa tutte le
velocità). Ad esempio a 1500 giri/min si avrebbero altezze di pala e diametri
doppi, aree di passaggio e portate quadruple (come si può anche dedurre dalla
formula). I bassi giri, cioè, si adattano alle grandi portate e alle grandi potenze
(come ad esempio nel settore nucleare).
Si osservi infine che le elevatissime velocità periferiche all’apice delle pale
(fino ad oltre 600 m/s) rendono in pratica inevitabile il superamento della velocità
del suono nel moto relativo quanto meno nella parte esterna della pala (velocità
del suono a bassa temperatura di circa 450 m/s).
-97-

Configurazione delle turbine a vapore


La turbina a vapore è una macchina fluidodinamicamente complessa in quanto il
ciclo termodinamico ottimizzato comporta una espansione di estrema ampiezza. A
rendere difficile l’organizzazione dell’insieme degli stadi contribuiscono le seguenti
caratteristiche dell’espansione:
─ l’enorme variazione di portata volumetrica dalla pressione di
alimentazione a quella di condensazione;
─ l’elevatissimo rapporto di espansione;
─ il grande salto entalpico;
─ le piccole portate volumetriche in alta pressione per le macchine di
modesta potenzialità e le grandi portate in bassa pressione per le
macchine di grande potenzialità.
L’aumento di portata volumetrica è il fattore singolo di più difficile gestione.
Siccome per ragioni economiche l’alternatore è unico e tutti gli stadi sono
caratterizzati dalla stessa velocità di rotazione (in Europa 3000 giri/min) risulta
impossibile l’ottimazione fluidodinamica contemporanea dell’alta, media e bassa
pressione. Ipotizziamo gruppi di stadi in media pressione di proporzionamento
ottimale: si avranno allora in alta pressione palette tendenzialmente troppo basse
e in bassa pressione palette troppo alte.
L’impossibilità di adottare un progetto ovunque ottimo si può dedurre anche
dall’espressione del numero di giri caratteristico che, a giri costanti, subisce
necessariamente un’amplissima escursione da valori largamente al di sotto
dell’ottimo in alta pressione a valori eccessivi in bassa pressione. L’eventuale
possibilità di ripartire l’espansione su più alberi a giri diversi consentirebbe in
linea di principio l’ottimazione punto per punto della macchina.
Lungo lo sviluppo della turbina si tiene dietro all’aumento di portata volumetrica
con un aumento dei diametri (che comporta velocità periferiche in bassa
pressione maggiori che in alta), con un netto aumento dell’altezza di pala e con
l’incremento dell’angolo di alimentazione. Per potenze superiori ai 150 MW inoltre
la suddivisione della portata in più flussi di bassa pressione allevia lo squilibrio
fra le portate di inizio e fine espansione. Le turbine di media potenza (20÷30 MW)
hanno solitamente una velocità di rotazione standard (3000 giri/min) ma, a causa
dei ridotti diametri dovute alle modeste portate volumetriche, manifestano
velocità periferiche inferiori a quelle tecnicamente ammissibili. Per potenze ancora
minori (2÷5 MW) è giocoforza per ragioni di ottimazione fluidodinamica scegliere
una velocità di rotazione elevata che viene ricondotta ad una velocità sincrona a
mezzo di un riduttore meccanico.
-103-

CAPITOLO 13°
TURBINE A GAS

Considerazioni introduttive
Si è visto che nelle macchine a flusso continuo i lavori sono proporzionali ai
volumi specifici. Per ottenere lavoro utile in un ciclo termodinamico è pertanto
necessario che i volumi specifici medi in fase di espansione siano grandi rispetto
a quelli della fase di compressione. E’ cioè necessario che sia presente un
meccanismo di dilatazione dei volumi che, nei cicli a vapore, è rappresentato dalla
vaporizzazione. Nei cicli a gas uno strumento altrettanto efficace non è invece
disponibile; se infatti la vaporizzazione moltiplica i volumi di centinaia di volte
rendendo i lavori di espansione incomparabilmente maggiori di quelli di
compressione, nei cicli a gas si fa invece affidamento sulla dilatazione causata dal
riscaldamento indotto dalla combustione: un aumento di temperatura assoluta
media nelle turbomacchine di un fattore 3, ad esempio, comporta lavori di
espansione idealmente tripli di quelli di compressione e quindi in qualche modo
paragonabili con essi. Questa diversa struttura quantitativa del lavoro utile nelle
due tipologie di ciclo comporta un’incidenza delle perdite radicalmente differente.
Nel caso del vapore anche in presenza di dissipazioni molto elevate nella turbina e
nella pompa il lavoro di espansione non corre alcun pericolo di avvicinarsi a
quello di compressione; nel caso del ciclo a gas, invece, l’effetto combinato delle
perdite che fanno diminuire il lavoro della turbina e aumentare quello del
compressore incide radicalmente sul lavoro utile con il rischio, in presenza di
efficienze delle macchine modeste, di un suo annullamento. Pertanto la capacità
di gestire temperature elevate aumentando la differenza intrinseca di lavoro fra
turbina e compressore e la qualità fluidodinamica delle turbomacchine giocano
un ruolo fondamentale nei cicli di turbina a gas.
Ciclo semplice ideale
Il ciclo ideale di turbina a gas è costituito da una compressione isoentropica di
aria prelevata dall’ambiente, dal suo riscaldamento diretto attraverso una
combustione, da un’espansione isoentropica fino alla pressione atmosferica e
dallo scarico finale dei gas combusti (Fig. 37(a), (b), (c), ciclo Brayton). Poiché la
combustione altera la natura e la portata del flusso di gas, nella schematizzazione
ideale è conveniente fare riferimento al ciclo chiuso (Fig. 37(d)) in cui cioè la
combustione è sostituita da un riscaldamento in uno scambiatore di calore e il
ricambio del fluido di lavoro è sostituito dal raffreddamento dei gas scaricati dalla
-104-

Fig. 36
turbina. Così facendo diventa ammissibile, senza incorrere in incongruenze,
l’ipotesi di gas perfetto a calori specifici costanti (l’elio, ad esempio, si presta a
questa schematizzazione).
Il rendimento del ciclo può essere facilmente calcolato come segue:

Q2 c ⋅ (T − T1 ) T ⋅ (T / T − 1)
η =1− = 1− p 4 = 1− 1 4 1 (119)
Q1 c p ⋅ (T3 − T2 ) T2 ⋅ (T3 / T2 − 1)

il contenuto delle due parentesi a numeratore e denominatore è uguale in quanto:


T2 T3
= = βθ (120)
T1 T4
-105-

p T 3
2 3

2 4

1 4
(a) 1 (b)

v s

1 1
4 4

2 3 2 3

(α) (α+1)
(1)

(c) (d)

Fig. 37
per cui, in definitiva, si ha:

T1
η = 1− = 1 − β −θ (121)
T2
la prima delle quali dice che il rendimento dipende unicamente dal riscaldamento
che si realizza durante la compressione, la seconda che esso è funzione crescente
del rapporto di compressione (Fig. 38(e)). L’indipendenza di η dalla temperatura
massima non è però assoluta: infatti, fissata T3, esiste un rapporto di
compressione limite che riscalda il gas durante la compressione fino ad una T2 =
T3; in queste condizioni il lavoro si annulla (area del ciclo infinitesima) e il
rendimento assume il valore di quello di Carnot.
-106-

La (122) è immediatamente comprensibile dividendo il ciclo nel piano T – s in


infiniti cicli elementari a mezzo di coppie di isoentropiche contigue. Tali cicli sono
assimilabili a cicli di Carnot di eguale rendimento in quanto il rapporto delle
temperature estreme è identico per tutti e vale appunto T2/T1.
1
T 3

ηc

2
η 4

β0 β lim β

(e)
Fig. 38
Il massimo del lavoro utile si ha invece per un rapporto di compressione βo che
rende T2 uguale a T4, come si può facilmente verificare esprimendo il lavoro utile
ideale nel seguente modo:
T3
Lid = ηidQ1 = (1 − β−θ )cp (T3 − T1 ) = c pT1 (1 − β−θ )( − βθ )
T1
Fissate le temperature massima e minima il lavoro è massimo per
1/ θ 1/ θ
T T 
β = 2 =  3  = βlim (122).
T1  T1 
Dalla (122) si ha che T2 = T1T3 ; d’altra parte sappiamo che T1T3=T2T4, ne
consegue che T2=T4, per cui il rapporto di compressione βo sopra introdotto
massimizza il lavoro.
Ciclo semplice reale
Sempre nell’ipotesi di gas perfetto a calori specifici costanti si considerino adesso
le trasformazioni reali invece che ideali. La compressione da 1 a 2 sarà adiabatica
ad entropia crescente; nel combustore (o nello scambiatore di calore primario) si
manifesterà una perdita di carico; analogamente l’espansione sarà ad entropia
crescente e terminerà ad una pressione di poco superiore a quella del punto 1 a
-107-

causa delle perdite di carico nei condotti di scarico nello schema di ciclo aperto o
nel refrigeratore nelle ipotesi di ciclo chiuso. Le perdite di carico diminuiscono il
rapporto di espansione rispetto a quello di compressione e quindi penalizzano
entrambi i lavori rispetto ad un caso ideale a pressioni intermedie. Lo stesso
risultato energetico si può ottenere ignorando le perdite di carico ma ipotizzando
rendimenti pessimistici per le turbomacchine: l’analisi del ciclo viene resa in
T T 3
3

t
c os
p=

2 2
4 2' 4
4'
ost
p=c

1 1

s s
(a) (b)

Fig. 39

questo caso molto più agevole. Nel seguito seguiremo pertanto questa seconda
schematizzazione (vedi Fig. 39(a) e (b)).
L’andamento del rendimento ideale in funzione di β non presenta un massimo in
senso proprio; nel caso reale invece tale massimo esiste in quanto, al crescere di β
al di là di un certo valore, il rendimento diminuisce sino ad annullarsi.
In un ciclo a grande rapporto di compressione: il rendimento ideale è prossimo a
quello di Carnot mentre quello reale potrebbe essere nullo o addirittura negativo.
Infatti i lavori ideali di espansione e di compressione sono simili col risultato che,
introducendo in entrambi le perdite, il lavoro di compressione può eguagliare o
addirittura superare quello di espansione.
Ricerchiamo analiticamente le condizioni di rendimento nullo. Fissato il rapporto
di compressione il lavoro utile reale ha l’espressione:

Lc ' L ' 1 
L u = η mt ⋅ η t ⋅ L t '− = η mt ⋅ η t ⋅ L c '⋅ t −  (123)
η mc ⋅ η c  L c ' η mt ⋅ η t ⋅ η mc ⋅ η c 
-108-

in cui Lc’ ed Lt’ rappresentano rispettivamente i lavori isoentropici di


compressione e di espansione. Ricordando la proporzionalità fra lavori e
temperature si può scrivere:

L t ' T3 T3
= = (124)
L c ' T2' T1 ⋅ β θ

Introducendo questa espressione nella (123) e annullando il contenuto della


parentesi si ha:
T3 1
= (125)
T1 ⋅ β θ
η tot
in cui si è posto:

η tot = η mt ⋅ η t ⋅ η mc ⋅ ηc

Dalla (127) si ricavano le seguenti espressioni:

T1 ⋅ β θ
T3 * = (126)
η tot

(β *)θ = T3 ⋅ η tot (127)


T1

che si interpretano nel seguente modo.


Fissato il rapporto di compressione e i rendimenti delle macchine esiste una
temperatura massima che annulla il lavoro e il rendimento. Per temperature
inferiori il ciclo non si autosostenta; per temperature superiori lavoro e
rendimento sono positivi (126). Mutando le variabili (127), fissata la temperatura
massima e i rendimenti delle macchine, esiste un rapporto di compressione che
annulla il rendimento. Per rapporti superiori il ciclo non si autosostenta, per
rapporti inferiori lavoro e rendimento sono positivi. Questi concetti si traducono
nei grafici della Fig. 40(a), che evidenzia il ruolo giocato dai rendimenti elevati
delle macchine e dalla temperatura massima. Si osservi inoltre che al crescere
della temperatura massima cresce il rapporto di compressione che ottimizza il
rendimento.
-109-

η T 3'=cost
L
L

η y=0.75 η y=0.85

β
(a)
Fig. 40
Con riferimento alla Fig. 40(a) si noti infine che il β che rende massimo il
rendimento è più elevato di quello che rende massimo il lavoro. Ciò si spiega con
la seguente osservazione. Poniamoci nelle condizioni di lavoro massimo:
nell’intorno della corrispondente ascissa il lavoro è stazionario per cui un piccolo
aumento del rapporto di compressione lascia inalterato il lavoro ma riduce il
consumo di calore (in quanto la temperatura di fine compressione cresce)
migliorando così il rendimento. In tal modo viene dimostrata la precedente
affermazione.

La combustione nelle turbine a gas


Il bilancio di combustione utilizza quale misura dell’energia del combustibile il
potere calorifico e assume la combustione in condizioni adiabatiche: si otterranno
così prodotti di combustione ad alta temperatura. Il calore che si ricava dal loro
raffreddamento fino alla temperatura di riferimento è definito “potere calorifico” e
dipende, sia pure marginalmente, dalla temperatura di riferimento. Si immagini
di realizzare la combustione di 1 kg di combustibile in α kg di aria per la
produzione di α + 1 kg di gas combusti. Genericamente i flussi di aria e di
combustibile, se si trovano a temperatura superiore a quella di riferimento,
portano con sé l’energia corrispondente al loro calore sensibile che andrà
considerata nel bilancio:

α ⋅ (h 2 − h ra ) + 1 ⋅ (h b − h rb ) + η b ⋅ H i = (α + 1) ⋅ (h 3 − h rf ) (128)
-110-

in cui le entalpie di riferimento sono valutate a 25°C e in cui si è introdotto un


rendimento che tiene conto dell’eventuale imperfetta combustione. Assimilando
l’entalpia del combustibile (indice b) a quella dell’aria (indice a) la (128) si
semplifica così:

(α + 1) ⋅ (h 2 − h ra ) + η b ⋅ H i = (α + 1) ⋅ (h 3 − h rf ) (129)

che fornisce, in definitiva:

ηb ⋅ H i
α +1 = 130)
(h 3 − h rf ) − (h 2 − h ra )

attraverso cui è possibile calcolare il rapporto aria/combustibile. L’applicazione


numerica della (130) comporta la valutazione separata dell’entalpia dell’aria e di
quella dei fumi a partire dalla temperatura di riferimento. Si osservi però che in
primissima approssimazione aria e fumi hanno la stessa natura in quanto tutto
l’azoto e buona parte dell’ossigeno restano inalterati attraverso il combustore. In
queste ipotesi le entalpie di riferimento dell’aria e dei fumi sono le stesse e quindi
si semplificano.
Poiché le temperature di ingresso in turbina sono largamente inferiori a quelle
corrispondenti ad una combustione stechiometrica il rapporto α è solitamente
piuttosto elevato ( 50).

Combustore
Le camere di combustione utilizzate nelle turbine a gas sono molto diverse a
seconda della applicazione, fissa o aeronautica, tuttavia in generale sono
riconducibili a tubi più o meno complessi nei quali viene iniettata aria
proveniente dal compressore e combustibile di varia natura e nei quali la
combustione avviene a pressione più o meno costante. Una caratteristica comune
nei moderni combustori consiste nel fatto che esistono due diversi ambienti: una
zona “primaria”, nella quale avviene una combustione pressoché stechiometrica
ed una zona “secondaria”, nella quale i prodotti della combustione sono diluiti
con l’eccesso d’aria necessario per ridurre la temperatura rispetto a quella
adiabatica di fiamma, come richiesto dalle condizioni in ingresso turbina. La
ragione principale di tale soluzione risiede nel fatto che i limiti di infiammabilità
del combustibile sono molto contenuti attorno al rapporto stechiometrico.
Nelle macchine moderne la configurazione geometrica e fluidodinamica della
camera è condizionata dalla necessità di contenere le emissioni inquinanti, in
-111-

particolare di favorire la combustione completa del carbonio a CO2 limitando la


formazione di monossido di carbonio (ciò che richiederebbe elevate temperature) e
sfavorire la presenza di ossidi di azoto (ciò che, al contrario richiederebbe basse
temperature). Come è facile comprendere si tratta di un equilibrio molto delicato,
che tuttavia è possibile nelle moderne macchine, che infatti permettono di
raggiungere livelli estremamente bassi di inquinanti.

Cicli ad inter-refrigerazione
Al fine di ridurre il lavoro di compressione è possibile realizzare una inter-
refrigerazione. Nel caso ideale il ciclo assume la configurazione illustrata in Fig.
41(d); il lavoro utile aumenta, come si vede ad esempio dall’aumento dell’area del
ciclo, ma anche il consumo di calore aumenta in quanto a fine compressione il
gas entra nel riscaldatore più freddo. Tale secondo effetto prevale sul primo e il
-112-

T
3
4

3
2 5
4 L3

7 7
5 2' 2
L2 L1
6 1

6 1
s

(d) (e)
η

η agg
η id

A
B

η base

β parz β tot β

(f)
Fig. 41
rendimento diminuisce. Infatti con una coppia di isoentropiche fra 5 e 2 è
possibile separare il ciclo di inter-refrigerazione dal ciclo originario (base):
l’insieme dei due cicli (ciclo base e ciclo aggiunto) è del tutto equivalente al ciclo
complesso (stessi scambi di calore e lavoro). Il ciclo aggiunto ha un rendimento
minore di quello del ciclo base in quanto il suo rapporto di compressione è più
piccolo: ne consegue che il contributo che esso apporta al rendimento (media
pesata dei rendimenti dei cicli) è negativo.
Più complessa è la situazione nel caso reale. Al fine di ottenere in maniera
semplice dei risultati quantitativi, si facciano le seguenti ipotesi (Fig. 41(e)):
-113-

─ i due rapporti parziali di compressione prima e dopo l’inter-


refrigerazione sono uguali;
─ La temperatura di fine raffreddamento è uguale a quella di inizio
compressione;
─ i rendimenti di tutti i compressori cono uguali.
Con queste posizioni le due temperature reali di fine compressioni sono uguali (T2
= T7). Proponiamoci adesso di quantificare i due aspetti, positivo e negativo,
dell’inter-refrigerazione. Con riferimento ai simboli della Fig. 41(e) l’aumento del
lavoro utile, coincidente con la diminuzione di quello di compressione è dato da:

L3 − L2
∆L =
η mc

mentre per il consumo di calore abbiamo:

h 3 − h 7 L3
∆Q = = )
ηb ηb

Definiamo un rendimento di ciclo aggiuntivo come rapporto fra lavoro e calore


addizionale e introduciamo nella definizione le due precedenti relazioni:

∆L η b  L 
η agg = = ⋅ 1 − 2  (131)
∆Q η mc  L3 
che, per la proporzionalità fra lavori e temperature assolute, diventa:

ηb  T 
η agg = ⋅ 1 − 1  (132)
η mc  T2 

Osservato che i due rendimenti a secondo membro sono simili (e molto prossimi a
1) e quindi il loro rapporto si discosta pochissimo dall’unità, la (132) dice che il
rendimento del ciclo aggiunto ha la struttura dei rendimenti ideali valutati in
corrispondenza del rapporto parziale di compressione. Anzi, essendo T2 > T2’, ηagg
è leggermente maggiore di ηid.
Il paragone fra i rendimenti del ciclo base e del ciclo aggiunto può essere
effettuato a mezzo della Fig. 41(f) in cui sulla curva reale del ciclo base, in
corrispondenza del rapporto totale di compressione, è segnato il punto operativo
A e sulla curva del rendimento aggiuntivo, in corrispondenza del rapporto
parziale, è segnato il punto rappresentativo B. La posizione relativa di A e B
-114-

stabilisce la convenienza o meno dell’inter-refrigerazione in quanto il rendimento


del ciclo complesso è la media pesata di quello del ciclo base e del ciclo aggiunto
(in figura B è sotto A e quindi si avrebbe una perdita di rendimento). In generale,
senza quantificare il problema, non è possibile conoscere la collocazione di A e B.
Per inquadrare la questione si può però ragionare nel seguente modo. Al
diminuire della temperatura massima il punto A scende, in quanto la curva reale
si sposta verso il basso, mentre il punto B rimane inalterato. Pertanto per una
riduzione sufficiente della temperatura massima il punto B avrà un rendimento
superiore a quello di A e l’inter-refrigerazione sarà vantaggiosa. Similmente al
diminuire dei rendimenti interni delle turbomacchine il punto A si abbassa
mentre il punto B addirittura si innalza, come si può vedere dall’equazione (132),
in quanto T2 cresce. Anche in questo caso pertanto si perverrà, ad un certo
punto, a condizioni di superiorità per il ciclo aggiuntivo.
Si può allora concludere che nel caso reale per temperature massime modeste o
per rendimenti delle macchine scadenti l’inter-refrigerazione tende a produrre un
effetto positivo sul rendimento (che si aggiunge all’effetto sul lavoro utile, che è
sempre positivo).

Cicli a ricombustione
Scopo della ricombustione è aumentare la temperatura media di espansione e
quindi il lavoro nella turbina e quello utile. Nel caso ideale, per quanto visto, sarà
meglio parlare di “riscaldamento ripetuto” invece che di ricombustione. Con
riferimento alla Fig. 42(a), (ciclo ideale), l’aumento dell’area del ciclo dimostra
l’effetto positivo sul lavoro netto. Con una coppia di isoentropiche si separi il ciclo
base dal ciclo aggiunto e si osservi che quest’ultimo ha rendimento inferiore in
quanto opera con un rapporto di compressione ridotto. Il suo contributo al
rendimento è quindi negativo.
Più complessa è la situazione nel caso reale. Come già visto in precedenza, anche
qui per ottenere risultati diretti è necessario introdurre le seguenti ipotesi
semplificative:
─ le due temperature di inizio espansione sono uguali (T3 = T5 in Fig.
42(b));
─ i rapporti parziali di compressione e i rendimenti delle turbine sono
parimenti uguali.
Da tali posizioni consegue che le due temperature di fine espansione sono le
stesse (T4 = T6). Con la simbologia indicata in figura l’aumento di lavoro rispetto
al ciclo base risulta:
-115-

T
3 5
3 5

L1 L3
4
4
6 4 6

2 6'
L2
2 7
7

(a) (b)
η

η id
η agg

B
η base

β parz β tot β

(c)
Fig. 42

∆L = ηmt ⋅ (L 3 − L 2 )

mentre l’incremento del consumo di calore è dato da:

h5 − h 4
∆Q =
ηb
-116-

o anche, data la coincidenza delle entalpie in 4 e in 6:

L3
∆Q =
ηb

Definendo nuovamente un rendimento di ciclo aggiunto e ricordando ancora una


volta la proporzionalità fra lavori e temperature, si ha in definitiva:

∆L  L   T 
η agg = = η mt ⋅ η b ⋅ 1 − 2  = η mt ⋅ η b ⋅ 1 − 6  (133)
∆Q  L3   T5 

Anche in questo caso il rendimento del ciclo aggiunto ha la struttura di quello


ideale ma è un po’ inferiore ad esso per la presenza dei due rendimenti a fattore e
per il fatto che la temperatura T6’ che comparirebbe nel ciclo ideale è sostituita da
una T6 più elevata. La convenienza o meno della ricombustione si valuta a mezzo
del grafico di Fig. 42(c) dalla posizione relativa dei punti A e B.
Ragionando in maniera analoga a quanto fatto per l’inter-refrigerazione si osservi
che la riduzione della temperatura massima porta ad un abbassamento del punto
A mentre lascia inalterato B. Pertanto per temperature sufficientemente basse la
ricombustione avrà certamente un effetto positivo. Similmente rendimenti
scadenti delle turbomacchine portano ad una caduta di A accompagnata da un
certo abbassamento di B (vedi la (133)); anche in questo caso, quindi, per valori
dei rendimenti sufficientemente bassi la ricombustione avrà un effetto positivo.

Cicli rigenerativi
Se la temperatura dei gas allo scarico della turbina è superiore a quella di fine
compressione è possibile, a mezzo di uno scambiatore di calore, preriscaldare
l’aria compressa a spese del calore sensibile dei gas combusti. Nella
schematizzazione ideale, con riferimento al ciclo chiuso, la capacità termica dei
gas in bassa e in alta pressione è identica e lo scambio termico, nell’ipotesi di
superfici infinite, avviene in maniera reversibile (da 4 – 5 a 2 – 6, Fig. 43(a)). Il
risparmio di combustibile a pari lavoro comporta necessariamente un aumento di
rendimento. Inoltre la semplice costruzione geometrica riportata in figura
dimostra che la rigenerazione equivale, dal punto di vista delle prestazioni del
ciclo, ad un aumento del rapporto di compressione. Per il calcolo del rendimento,
osservato che gli scambi di calore con l’esterno avvengono soltanto fra 6 e 3
(introduzione del calore primario) e fra 5 e 1 (scarico del calore di scarto), si
procede con il seguente sviluppo analitico:
-117-

T η
3
ciclo
rigenerativo

6 4
ciclo
6' 2 semplice
5'
2 8
5

1 7

s β

(a) (c)
η
1

ηc

ε R=0.9

β
1 β0 β lim

(b)

Fig. 43

Q2 c p ⋅ (T5 − T1 ) T − T1
ηR = 1 − =1− =1− 2
Q1 c p ⋅ (T3 − T6 ) T3 − T4

che, mettendo in evidenza T1 a numeratore e T4 a denominatore, fornisce:


T1 ⋅ (T2 / T1 − 1) T T T
ηR = 1 − =1− 1 =1− 1 ⋅ 3
T4 ⋅ (T3 / T4 − 1) T4 T3 T4
-118-

da cui infine:

T1
ηR = 1 − ⋅βθ (134)
T3
Allo stesso risultato si poteva giungere più rapidamente dalla costruzione
geometrica in figura che consente di scrivere direttamente:

T7 T
ηR = 1 − =1− 1
T6 T4

La (134), riportata in grafico in Fig. 43(b), chiarisce che per un rapporto di


compressione che tende a 1 il rendimento tende a quello del ciclo di Carnot, come
del resto era facile intuire in quanto in tale situazione il ciclo è internamente
reversibile e scambia calore in condizioni praticamente isoterme rispettivamente
alla massima e alla minima temperatura. In corrispondenza del rapporto di
compressione che rende massimo il lavoro (e per cui T2 = T4) i cicli rigenerativi e
non hanno lo stesso rendimento in quanto la rigenerazione assume
un’importanza evanescente. Se si vuole avere una forza motrice dello scambio
termico finita (e non infinitesima) bisognerà ridurre la quantità di calore
scambiata col raffreddamento dei gas combusti fino a 5’ e il riscaldamento
dell’aria compressa fino a 6’. Il rapporto fra calore effettivamente rigenerato e
calore massimo rigenerabile è definito efficacia (o rendimento) della rigenerazione:

c p ⋅ (T6' − T2 ) T6' − T2
εR = = (135)
c p ⋅ (T4 − T2 ) T4 − T2

Per valori di εR minori di 1 la curva del rendimento si trasforma come illustrato in


Fig. 43/b). In linea di principio la rigenerazione può comportare notevolissimi
miglioramenti del rendimento. Nella pratica, però, i modesti coefficienti di
scambio termico rendono i rigeneratori ingombranti e costosi e limitano quasi
sempre l’efficacia di rigenerazione a valori relativamente modesti (ad es. 0.6÷0.7):
ciò rende il ciclo rigenerativo reale solo poco più efficiente di quello semplice
ottimizzato (vedi a questo proposito la Fig. 43(c)).
Naturalmente il rapporto di compressione ottimo per il ciclo rigenerativo è molto
inferiore a quello del ciclo semplice, con una non indifferente penalizzazione per il
lavoro utile. Modernamente si possono ottenere rendimenti del 35÷38% dai cicli
semplici e del 35÷40% dai cicli rigenerativi.
-119-

Le modifiche al ciclo semplice precedentemente considerate possono essere


utilizzate invece che singolarmente in combinazione le une con le altre: si
ottengono in tal modo cicli variamente complessi con prestazioni migliorate.

Soluzioni impiantistiche a più alberi e regolazione


La corretta progettazione di una turbina a gas montata su un unico albero e la
possibilità di effettuare una efficace regolazione, ovvero una variazione della
potenza fornita agendo essenzialmente sulla portata di combustibile, incontrano
due difficoltà principali. La prima è legata al fatto che gli stadi di alta pressione e
di bassa pressione, sia del compressore che della turbina, elaborano portate
volumetriche molto diverse e pertanto hanno sezioni di passaggio e quindi
diametri molto diversi. Se la velocità angolare è fissa ne consegue che gli stadi di
alta pressione hanno velocità periferiche molto basse e quindi sono caratterizzate
da lavori specifici molto bassi. La seconda difficoltà deriva dal vincolo sul numero
di giri imposto dalla connessione della macchina con un alternatore, la cui
velocità di rotazione è fissa, essendo fissa la frequenza della rete elettrica trifase.
In sede di progetto è possibile agire in parte sul numero di paia di poli
dell’alternatore e anche, per potenze non eccessive, sulla possibilità di interporre
un riduttore di giri fra macchina e alternatore, ma resta comunque impossibile
variare la velocità di rotazione in sede di regolazione della macchina per
mantenere triangoli di velocità simili al variare della portata. Questo limite è
molto meno grave nel caso di un turboreattore aeronautico, che non è vincolato
da un utilizzatore meccanico.
Un notevole vantaggio per entrambi gli aspetti si ottiene assemblando i
componenti su due o più alberi. Esaminiamo le due soluzioni più semplici.
• Soluzione con un albero libero su cui è montato l’intero compressore e la
turbina di alta pressione (Figura 44a). in questo caso il vincolo sul numero di
giri è limitato alla turbina di potenza che, essendo più grande, può girare più
piano per adattarsi all’utilizzatore. Resta la difficoltà di progetto degli stadi di
bassa pressione del compressore, ma la velocità di rotazione dell’albero libero
può essere variata in sede di regolazione.
• Soluzione con un albero libero su cui sono montati gli stadi alta pressione sia
del compressore che della turbina (Figura 44b). Restano i vantaggi della prima
soluzione con la possibilità di ottimizzare meglio il progetto delle due
macchine di bassa e di alta.
-120-

Fig. 44

Aspetti tecnologici
E’ stato precedentemente chiarito come un’alta temperatura di ingresso in
turbina è condizione per poter utilizzare elevati rapporti di compressione
ottenendo buoni rendimenti. Le palette della prima girante della turbina, in
assenza di refrigerazione, si portano ad una temperatura solo un poco inferiore a
quella massima del ciclo e sono anche sollecitate meccanicamente dalle forze
centrifughe. La contemporanea presenza di un’elevata temperatura e di una
rilevante sollecitazione rende la resistenza al “creep” (scorrimento a caldo) il
parametro chiave per la scelta dei materiali. Appena un gradino sotto si collocano
i problemi di corrosione dei materiali esposti alle massime temperature in
contatto con i gas combusti. Gli acciai altamente legati hanno una resistenza al
creep buona ma insufficiente: sono stati sviluppati pertanto materiali ad hoc
costituiti da leghe di nichel, cobalto, molibdeno, cromo, etc. (dette superleghe),
che manifestano una resistenza al creep di alcune centinaia di gradi migliore di
quella degli acciai altamente legati. Tali leghe, pur costose e di non agevole
lavorazione, essendo impiegate in piccole quantità, non trovano ostacoli
economici per l’applicazione in oggetto. La presenza di rilevanti problemi di
corrosione ed, eventualmente anche di erosione, rende praticamente obbligatorio
l’uso di combustibili privi di sostanze inquinanti (zolfo, metalli, ceneri…) come il
-121-

cherosene e il gas naturale; quest’ultimo è l’unico ad avere un costo accessibile


per impieghi industriali.
In linea di principio è disponibile anche un’altra categoria di materiali, quelli
ceramici, come il nitruro e il carburo di silicio, potenzialmente di caratteristiche
superiori a quelle delle superleghe. Essi presentano una resistenza al creep e alla
corrosione migliore e sono costituiti da elementi abbondantissimi in natura e
quindi economici. Le tecniche produttive sono radicalmente diverse da quelle
usuali e sono in qualche modo mutuate dall’industria della ceramica e integrate
da processi specificamente sviluppati (ad es. compressione isostatica ad alta
temperatura). Questa nuova tecnologia ha ottenuto importanti ma parziali
successi e non è ancora matura per un uso standard. Piccole giranti centripete di
turbina, monoblocco, sono state prodotte anche in serie, ma i problemi connessi
con la rottura fragile tipica di questa classe di materiali non sono ancora stati
superati.
A partire dagli anni sessanta è stato possibile realizzare palette raffreddate
con un progressivo sensibile innalzamento delle temperature massime. All’interno
delle pale mobili (ma anche fisse) vengono variamente realizzati dei canali che,
alimentati da aria compressa, mantengono la temperatura della parete
nettamente più bassa di quella naturale. Nei cicli combinati l’aria è alle volte
sostituita da vapore in circuito aperto o chiuso. Nel raffreddamento ad aria il
costo energetico della compressione del mezzo refrigerante riduce
significativamente i benefici ottenuti tramite l’aumento di temperatura.
Recentemente un ulteriore progresso tecnologico ha consentito la produzione di
palette “monocristallo” con un guadagno di qualche decina di gradi rispetto a
quanto consentito dallo stesso materiale policristallino.
Accanto alle turbine industriali, a struttura relativamente pesante, ne sono
state sviluppate altre, derivate da propulsori aeronautici, leggere e sofisticate che
vengono usate come generatori di gas combusti in pressione per l’alimentazione
di una turbina di potenza. Questo tipo di macchina ha usualmente rendimenti
leggermente superiori a quelli delle turbine industriali e beneficia della
produzione in serie tipica del comparto aeronautico.

Cicli combinati gas-vapore


La turbina a gas a ciclo semplice (o anche rigenerativo) non riesce a
competere col ciclo a vapore dal punto di vista dei costi dell’energia prodotta per
usi di base in quanto i rendimenti sono inferiori e la qualità del combustibile, che
è necessario impiegare per ragioni tecniche, superiore.
Al contrario il suo uso in abbinamento ad un ciclo a vapore che utilizza il
calore residuo dei gas scaricati dalla turbina (ciclo combinato) consente
-122-

rendimenti complessivi del 55÷58% che compensano ampiamente il maggior costo


del combustibile. Il rendimento complessivo può essere facilmente valutato come
rapporto fra il lavoro totale prodotto dal ciclo a gas e da quello a vapore,
rapportato al calore effettivamente introdotto dall’esterno. Tale calore coincide col
calore introdotto nel ciclo a gas se il ciclo a vapore utilizza solo il calore scaricato
dalla turbina a gas.
La temperatura dei gas di scarico da una turbina a gas di alte prestazioni
(Tmax=1500 °C, pmax=30 bar) è superiore alla massima temperatura di un ciclo a
vapore (580 °C), pertanto essi sono utilizzabili per fornire il calore necessario al
ciclo a vapore. Le modalità di utilizzo dei gas combusti per riscaldare, evaporare e
surriscaldare il vapore in opportune “caldaie a recupero” possono essere
molteplici ed esulano dagli scopi del corso, tuttavia osserviamo che l’impiego
diretto dei fumi della turbina a gas per generare vapore è problematico poiché le
portate dei fumi e quindi le superfici di scambio necessarie sono enormi. La
situazione è più favorevole per la fase di riscaldamento dell’acqua che, come
sappiamo, è la fase termodinamicamente più infelice. Poiché la curva di
riscaldamento del vapore in caldaia è una spezzata, si possono adottare soluzioni
complesse prevedendo diversi livelli di pressione per la produzione del vapore per
alimentare le turbine di alta e bassa pressione. Un’altra possibilità consiste nel
bruciare i gas combusti, che contengono ancora molta aria, in caldaia.
Un serio problema è costituito dal fatto che attualmente le potenze delle turbine a
gas sono inferiori a quelle degli impianti a vapore, per contro un grande
vantaggio è costituito dal fatto che la soluzione proposta permette di “potenziare”
impianti a vapore esistenti, migliorandone largamente anche i rendimenti, senza
prevedere la localizzazione e la costruzione di nuovi siti. Questo aspetto è
particolarmente importante in paesi ad alta densità di popolazione.
-123-

CAPITOLO 14°
MOTORI VOLUMETRICI A COMBUSTIONE
INTERNA

Considerazioni introduttive
Dal punto di vista della concezione termodinamica di base il ciclo operativo del
motore è analogo a quello della turbina a gas in quanto entrambi prevedono una
compressione, un riscaldamento e un’espansione seguita dal rinnovo del fluido di
lavoro. Date però le caratteristiche peculiari di ciascuna delle due macchine la
realizzazione finale del sistema di conversione porta a risultati ampiamente
diversificati. Se la turbina a gas fa affidamento su turbomacchine ad elevata
velocità periferica tendenzialmente adiabatiche, il motore a combustione interna è
normalmente costituito da un capsulismo (cilindro – pistone) relativamente lento,
agevolmente refrigerabile, meccanicamente complesso.

Fig. 45
Inoltre mentre la turbina a gas è attraversata da un flusso continuo, nel motore
una piccola quantità di fluido di lavoro viene captata, elaborata separatamente in
un ciclo completo e, quindi, espulsa e sostituita. Come conseguenza di ciò la
struttura delle perdite è significativamente diversa nei due casi: nella turbina il
ruolo principale è giocato dalle perdite fluidodinamiche, nel motore da quelle
meccaniche e per dispersione di calore. Un’ulteriore differenziazione riguarda la
taglia delle macchine. Nella turbina l’alta velocità di attraversamento e
conseguentemente il grande flusso di massa porta a potenze rilevanti; nel motore,
-124-

per converso, la relativa lentezza dell’elaborazione del fluido limita ad un tempo le


portate e le potenze. Inoltre, nel caso della turbina, la semplicità di concezione
abbinata ad un’intrinseca possibilità di aumento, in scala, delle dimensioni
comporta un’elevata riduzione dei costi per KW installato al crescere della
potenzialità. Tale economicità di scala risulta molto meno marcata nel caso del
motore.
Infine la turbina a gas è estremamente esigente dal punto di vista dei
combustibili che consuma mentre il motore, se opportunamente progettato,
consente l’uso dei meno raffinati e più economici combustibili liquidi disponibili
sul mercato (olio pesante o residuo).
I motori a combustione interna si differenziano per diversi aspetti:
• Per il combustibile impiegato: nafta (oli pesanti), gasolio (oli leggeri), benzina,
metano ecc.
• Schema di accensione: comandata (cilclo Otto), spontanea (ciclo Diesel)
• Il sistema di alimentazione: a carburazione, a iniezione indiretta e diretta
• Il ciclo di lavoro a 2 tempi (il ciclo si compie completamente in un giro di
manovella) e a 4 tempi (occorro due giri per completare il ciclo)

Fig. 46
I cicli ideali
Nell’ipotesi di gas perfetto a calori specifici costanti, consideriamo dapprima il
ciclo ad accensione comandata (Otto). Esso è costituito da due isoentropiche (di
compressione e di espansione) e da due isocore (di riscaldamento e
raffreddamento) come illustrato in Fig. 47(a). Similmente a quanto fatto per la
turbina a gas scriviamo il rendimento nella seguente forma:

Q2 c ⋅ (T4 − T1 ) T ⋅ (T4 / T1 − 1)
η =1− =1− v =1− 1 (136)
Q1 c v ⋅ (T3 − T2 ) T2 ⋅ (T3 / T2 − 1)
-125-

Osserviamo adesso che i punti 1 – 2 e 3 – 4 stanno su due isoentropiche per cui


valgono le relazioni:

T1 ⋅ v1κ −1 = T2 ⋅ v 2κ −1

T4 ⋅ v 4κ −1 = T3 ⋅ v 3κ −1

con v1 = v4 e v2 = v3. Dividendo membro a membro e semplificando si ha:


T4 T
= 3
T1 T2
che, sostituita nella (136), fornisce il risultato finale:

T1
η =1− (137)
T2
o anche:
1 v1
η =1− κ −1
ρ= (138)
ρ v2

in cui il rendimento è espresso in funzione del rapporto volumetrico di


compressione ρ. La (137) è identica alla formula del rendimento ideale del ciclo
semplice di turbina a gas; anche in questo caso, quindi, la temperatura massima
sarà ininfluente. Per capirne il motivo si divida il ciclo nel piano T – s in infiniti
cicli elementari a mezzo di coppie di isoentropiche. Tutti i cicli hanno lo stesso
rendimento, in quanto il rapporto fra le temperature estreme si conserva,
indipendentemente dalla temperatura massima a cui essi operano.
Con riferimento alla Fig. 47(b) si consideri adesso il ciclo così costituito: una
compressione isoentropica da 1 a 2, un’espansione isobara, con introduzione di
calore, fra 2 e 3, un’espansione isoentropica fra 3 e 4 ed infine un raffreddamento
isocoro da 4 a 1 fino ad incontrare l’isoentropica di partenza (ciclo Diesel). La
configurazione del ciclo nel piano T – s e la sua usuale suddivisione in cicli
elementari permettono di concludere che a pari rapporto di compressione il ciclo
Diesel è meno efficiente del ciclo Otto in quanto i rapporti fra temperatura
massima e minima sono mediamente minori. Più in dettaglio: all’estremità fredda
i due cicli hanno uguale rendimento, all’estremità calda il ciclo Diesel ha un
rendimento significativamente inferiore a causa ridotto ∆t fra isobara e isocora. In
concreto questa tipologia di ciclo viene realizzata con una combustione ad
accensione spontanea: l’aria aspirata viene compressa fino ad elevate condizioni
di temperatura in modo che, il combustibile iniettato a compressione avvenuta, si
accenda spontaneamente.
-126-

p T
3 3

s=
co
st

st
co
4

v=
2
4
2 t
s= cos
c os v=
t

1 1

v s
(a)

p T
3(Otto)
2 3
3
s=

st
co
co

p=
st

4
s=
co
t s

4
2
st
= co
v
1 1

v s
(b)
Fig. 47

Il ciclo limite
Con questa denominazione si intende un ciclo realizzato a mezzo di una
macchina ideale ma in cui evolve l’effettivo fluido di lavoro; le differenze rispetto al
ciclo ideale vanno pertanto ricercate tutte nelle diverse caratteristiche
termodinamiche dei gas combusti a confronto col gas perfetto a calori specifici
costanti prima ipotizzato. In particolare il nuovo fluido di lavoro è caratterizzato
dai seguenti comportamenti:
-127-

1. non è un gas perfetto, ma un gas reale. Infatti alle altissime temperature


massime raggiunte (oltre 2000°C) i principali prodotti della combustione
subiscono una significativa dissociazione, retta dai seguenti equilibri chimici:
2CO2 ⇔ 2CO + O2 (endotermica verso destra) (139)
2H2 O ⇔ 2H2 + O2 (endotermica verso destra) (140)
tali reazioni sono spostate verso destra alle alte temperature e verso sinistra
alle basse. Esse, inoltre, comportano una variazione del numero di molecole
del sistema e la messa in gioco di importanti calori di reazione. Nessuna di
queste due circostanze è compatibile con la schematizzazione di gas perfetto.
2. ha calori specifici crescenti con la temperatura. Infatti sia le molecole bi-
atomiche che quelle tri-atomiche al crescere della temperatura manifestano
significativi contribuiti al calore specifico dei gradi di libertà vibrazionali.
Anche le dissociazioni implicano un aumento dei calori specifici apparenti.
Infatti per un aumento di temperatura unitario il calore che è necessario
fornire dall’esterno è particolarmente elevato in quanto deve fornire anche
l’energia di dissociazione.
Complessivamente, a pari introduzione di calore, gli alti calori specifici sia effettivi
che apparenti riducono le temperature massime del ciclo e, con esse, le pressioni;
per le stesse ragioni durante l’espansione si ha un minore raffreddamento. La
compressione dell’aria, invece, a causa delle modeste temperature in gioco, nel
passaggio al ciclo limite rimane sostanzialmente inalterata.
Qualitativamente il ciclo si modifica come illustrato in Fig. 48(a) e (b). L’usuale
operazione di suddivisione del ciclo nel piano T – s in infiniti cicli elementari
permette di concludere che il ciclo limite ha un rendimento un po’ inferiore a
quello del ciclo ideale. Infatti, come illustrato nella fig. 48(b), l’isocora di
riscaldamento, causa le alte temperature, è sensibilmente divergente da quella
ideale mentre l’isocora di raffreddamento, a temperatura ridotta, si scosta poco
dalla trasformazione ideale. Ne consegue che, all’estremità calda del ciclo, i
rapporti di temperature Tmax/Tmin per il ciclo limite sono minori di quelli del ciclo
ideale. Un ulteriore avvicinamento al comportamento effettivo del ciclo si ottiene
considerando la permanenza di gas combusti residui nello spazio morto dopo la
fase di scarico. Tali gas si mescolano alla carica fresca in fase di aspirazione
-128-

p T
3id 3id
3
3

4
2 4id

4 2

1 4'
1

v s
(a) (b)

3
p

2 4*
4
∆p
patm
1

PMS PMI v
(c)
Fig. 48
dell’aria carburata. La loro massa, in termini percentuali, si calcola a mezzo del
seguente ragionamento. L’apertura della valvola di scarico a fine espansione
provoca l’espansione isoentropica del gas dentro il cilindro, fino allo stato 4’ di
Fig. 48(a) (pressione atmosferica). A corsa di espulsione ultimata il volume
disponibile per i gas residui è v2 che, rapportato al volume specifico v4’, fornisce la
massa residua per un kg di fluido che evolve nel ciclo: f = v2/v4’.
-129-

Il ciclo effettivo (indicato)


Nel ciclo Otto effettivo una prima differenza rispetto al ciclo limite è costituita dal
rinnovo della carica che, invece di comportare lavori nulli come nel caso
precedente, è associata ad un lavoro negativo, detto “pompaggio”. Infatti, a causa
delle inevitabili perdite di carico, la pressione nel cilindro durante la fase di
aspirazione è sub-atmosferica, mentre nella fase di scarico è super-atmosferica. Il
prodotto del volume generato dal moto del pistone (cilindrata) per il ∆p totale
permette la quantificazione di questo lavoro. Nell’intero evolversi del ciclo, fatta
eccezione per il ricambio del fluido di cui si è detto, si trascureranno le perdite
fluidodinamiche (Lw): le velocità medie del fluido in gioco sono infatti modeste
(10÷15 m/s) e le energie cinetiche, che condizionano le perdite, praticamente
trascurabili. In altre parole il pistone lavora per via “quasi statica”. Nella
compressione dell’aria da 1 a 2 (Fig. 48(c)) gli scambi termici sono modesti ed
hanno luogo nei due sensi, dapprima dalle pareti al fluido, quindi viceversa.
Conseguentemente di potrà continuare a ritenere isoentropica la trasformazione.
Nel punto 2, con un certo anticipo rispetto al punto morto superiore, inizia la
combustione, innescata da una scintilla (accensione comandata). L’anticipo è
necessario in quanto la velocità del fronte di fiamma che spazza il cilindro è
limitata (ad es. 20 m/s) e la combustione richiede, per completarsi, un tempo
finito che è opportuno si estenda, simmetricamente, nell’intorno del punto morto.
Come conseguenza di ciò in una prima fase della combustione, da 2 ad A, il
pistone comprime il gas che sta riscaldandosi; in una seconda fase, da A a 3, i
gas, massicciamente pressurizzati dal riscaldamento, compiono sul pistone un
primo lavoro di espansione. Complessivamente tale lavoro, definito di


“combustione” (Lc) risulta uscente ed è pari all’area tratteggiata ( p dv ). Inoltre

condizione di sopravvivenza del motore, i cui materiali (leghe leggere, ghise, olio
lubrificante…) hanno modeste caratteristiche di resistenza alla temperatura, è
un’efficace refrigerazione che comporta lo scambio di una quantità di calore QR.
Definita un’energia interna totale come somma dell’energia di agitazione
molecolare e di quella chimica, il bilancio di primo principio (sistema chiuso)
applicato fra 2 e 3 fornisce:

u t 3 = u2 + E c − L c − QR (141)

in cui Ec, l’energia chimica del combustibile, ha l’espressione:


Hi
Ec = ⋅ (1 − f ) + kf (142)
1+ α
-130-

Il termine kf, rappresentativo dell’eventuale energia chimica nei residui, è in


pratica presente solo nel caso di miscela ricca (quantità di combustibile maggiore
di quella corrispondente alla dosatura stechiometrica). A combustione ultimata
con il volume v3 uguale, per ipotesi, a quello iniziale v2, inizia l’espansione che
fornisce la quasi totalità del lavoro esterno. Trascurando, ancora una volta, le
perdite fluidodinamiche, l’espansione risulta ad entropia decrescente, causa la
cessione al sistema di raffreddamento del calore QR*. Con un certo anticipo
rispetto al punto morto inferiore, in 4*, si aprono le valvole di scarico per
consentire il rapido abbassamento della pressione fin quasi al livello atmosferico.
Per semplicità di calcolo la modifica della legge di espansione causata
dall’apertura delle valvole viene qui ignorata e la trasformazione viene fatta
proseguire con legge immutata, fino al punto 4. Lo stato termodinamico 4 viene
calcolato a mezzo del suo volume specifico (v4 = v1) e della sua entropia.
Quest’ultima in via approssimativa viene valutata come segue:


δq R 1 QR *
s3 − s4 = = ⋅ QR * =
T T (T3 + T4 ) / 2

tale relazione presenta due incognite fra loro dipendenti (s4 e T4) e viene risolta
assegnando un valore di primo tentativo a T4 e procedendo quindi per successive
approssimazioni.
Sulla base del primo principio il lavoro di espansione si calcola così:

L e = ut3 − ut 4 − QR *

In tal modo il calcolo del ciclo risulta completato.


Vengono definiti i seguenti rendimenti:
─ rendimento ideale, rapporto fra lavoro del ciclo ideale e calore entrante
(eq. (138));
─ rendimento indicato, rapporto fra lavoro indicato e lavoro ideale, a pari
introduzione di calore;
─ rendimento organico, rapporto fra lavoro effettivo e lavoro indicato
sempre a pari introduzione di calore.
Il rendimento totale risulta pertanto dal prodotto dei tre rendimenti:

L eff
(143) ηtot = = ηid ⋅ ηind ⋅ ηorg
Q1

È necessario inoltre tener conto del fatto che la quantità d’aria contenuta nel
cilindro a fine aspirazione è minore di quella teorica (pari a una cilindrata d’aria
-131-

in condizioni atmosferiche): la sua pressione è infatti sub-atmosferica e la sua


temperatura relativamente elevata a causa del riscaldamento dovuto alle pareti
calde con cui l’aria in aspirazione entra in contatto e alla presenza dei residui. Il
rapporto fra la massa effettiva aspirata in un ciclo e quella di una cilindrata d’aria
esterna viene definito “coefficiente di riempimento” e indicato con λ. La massa di
miscela aria – combustibile aspirata in un ciclo è pertanto λ·V/vm (in cui V è la
cilindrata e vm il volume specifico della miscela aspirata) mentre l’energia chimica
introdotta per unità di miscela è Hi/(α +1). Se n rappresenta il numero di giri al
secondo e m un numero pari a 2 per i motori a quattro tempi (quattro corse del
pistone per completare il ciclo) e ad 1 per il motore a 2 tempi (due corse per ciclo),
la potenza del motore sarà espressa dalla seguente formula:

Hi V n
Peff = η tot ⋅ λ ⋅ ⋅ ⋅ (144)
α + 1 vm m

che chiarisce fra l’altro come i motori a due tempi siano favoriti dal punto di vista
della potenza specifica (infatti in essi il ricambio di fluido, effettuato nell’intorno
del punto morto inferiore con l’aiuto di mezzi esterni che “lavano” i gas combusti
sostituendoli con aria fresca, non comporta alcuna corsa del pistone).

Sovralimentazione
Per aumentare la potenza si può ricorrere ad una compressione dell’aria prima
dell’immissione nei cilindri per mezzo di un compressore connesso
meccanicamente con l’albero motore o, più facilmente, da un compressore
centrifugo trascinato da una turbina centripeta che utilizza i gas di scarico del
motore ad alta temperatura (turbo-sovralimentatore).

Fig. 49
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Per mezzo della sovralimentazione la densità dell’aria immessa nel cilindro


aumenta e così la portata massica e quindi la potenza a pari cilindrata. L’effetto
può essere amplificato interrefrigerando l’aria dopo la compressione, per
aumentarne ulteriormente la densità. In genere il rendimento del motore
sovralimentato diminuisce, poiché diminuisce il rapporto di compressione.

Combustibili e combustione
Con riferimento al motore ad accensione comandata il modo più diretto per
aumentare il rendimento del ciclo è aumentare il rapporto di compressione (vedi
(143)). Tuttavia esiste un limite, indicativamente nell’intorno di 10, al di sopra del
quale la combustione cessa di essere regolare e si manifestano disturbi di natura
meccanica e termica che danneggiano le prestazioni del motore e, nel lungo
periodo, possono mettere in pericolo la sua stessa integrità fisica. Accade infatti
che il combustibile mescolato all’aria nella fase di aspirazione e compressione dia
luogo ad una serie di reazioni preliminari che generano composti instabili (teoria
dei perossidi). L’aumento di temperatura e pressione conseguente all’accensione
può provocare la decomposizione di tali sostanze con la brusca cessione di una
parte dell’energia del combustibile a seguito di un’onda di pressione che spazza la
camera di combustione. Ne consegue un diagramma delle pressioni irregolare
accompagnato da un surriscaldamento e da un calo di potenza del motore. A tale
fenomeno si dà il nome di “detonazione”. La detonazione è favorita dalle alte
temperature e pressioni, dalle grandi dimensioni dei cilindri e dalle basse velocità
angolari; determinante è poi la natura del combustibile. Al fine di classificare i
combustibili dal punto di vista della resistenza alla detonazione si impiega un
metodo comparativo così strutturato. Si utilizza il combustibile che si vuole
classificare in un motore di caratteristiche prefissate (corsa, alesaggio, giri…) con
rapporto di compressione variabile che viene aumentato fino al limite della
detonazione. Si costruisce quindi una miscela di isottano e di eptano normale che
abbia lo stesso comportamento del combustibile in prova nei confronti della
detonazione. La percentuale di isottano nella miscela rappresenta un importante
parametro di merito per il combustibile e viene definita “numero di ottano”. Per
estrapolazione sono possibili anche numeri di ottano maggiori di 100.
Nei motori ad accensione spontanea si presenta un problema in qualche misura
opposto a quello della detonazione. In essi infatti il combustibile viene iniettato
verso il termine della compressione e sarebbe auspicabile una sua accensione
istantanea. In realtà è inevitabile un certo “ritardo di accensione” durante il quale
il combustibile si accumula nel cilindro senza bruciare. Al termine del periodo di
ritardo si innesca la combustione che, quasi istantaneamente, consuma l’intera
quantità di combustibile accumulata con un brusco aumento di temperatura e di
-133-

pressione. Per questa ragione diventa in pratica impossibile una vera


combustione isobara come previsto dalla schematizzazione ideale. Se
termodinamicamente questo comportamento è addirittura positivo (il ciclo Diesel
tende ad assomigliare al ciclo Otto, più efficiente), dal punto di vista strutturale il
picco di pressione è dannoso fino al limite del pericolo. Pertanto la qualità dei
combustibili viene classificata sulla base del ritardo di accensione secondo il
seguente schema. Scelto un combustibile di minimo ritardo, il cetano normale, ed
un secondo di ritardo elevato, l’alfa-metil-naftalene, si costruisce una miscela dei
due che manifesti lo stesso ritardo di accensione del combustibile in prova; la
percentuale di cetano della miscela rappresenta il parametro di merito del
combustibile e viene definita “numero di cetano”.
Nel caso dei motori a ciclo Otto era richiesta una bassa reattività del combustibile
in modo che fino allo scoccare della scintilla non avessero luogo reazioni chimiche
preparatorie di importanza significativa; nei motori ad accensione comandata è
invece richiesta un’alta reattività in modo che l’accensione sia quanto più pronta
possibile. Questi diversi comportamenti richiesti per i due tipi di combustione
rendono incompatibili i combustibili adatti per un tipo di motore per i motori
dell’altro tipo. Si potrebbe inoltre dimostrare che, sempre per il motivo fisico
sopra illustrato, ad un alto numero di ottano corrisponde un basso numero di
cetano e viceversa.

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