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Terza Prova Storia dell’arte

Futurismo
Il Futurismo nasce all'inizio del Novecento, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e
della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i
grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili,
la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione
delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i continenti.
Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all'interno dell'essere umano una nuova realtà:
la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le biblioteche" in modo da non avere più
rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso
ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le
strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel
tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi,
sia nelle nuove possibilità di comunicazione.
Questo movimento nacque inizialmente in Italia e successivamente si diffuse in tutta Europa.

La città che sale di Umberto Boccioni


Boccioni per dipingere quest'opera prende spunto dalla vista di Milano che si vedeva dal balcone della casa
dove abitava. Il titolo originale era Il lavoro così come apparve alla Mostra d'arte libera di Milano del 1911.
Nonostante la presenza degli elementi realistici come il cantiere o la costruzione, o ancora la resa dello spazio in
maniera prospettica, il dipinto viene considerato la prima opera veramente futurista del pittore reggino, pur non
discostandosi molto dai quadri analoghi degli anni precedenti, nei quali le periferie urbane erano il soggetto
principale. In questo dipinto viene parzialmente abbandonata la visione naturalistica dei quadri precedenti, per
lasciare il posto ad una visione più movimentata e dinamica.
Si coglie la visione di palazzi in costruzione in una periferia urbana, mentre compaiono ciminiere e impalcature
solo nella parte superiore. Gran parte dello spazio è invece occupato da uomini e da cavalli, fusi
esasperatamente insieme in uno sforzo dinamico. In tal modo Boccioni mette in risalto alcuni tra gli elementi più
tipici del futurismo, quali l'esaltazione del lavoro dell'uomo e l'importanza della città moderna plasmata sulle
esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro.
Ciò che mette il quadro perfettamente in linea con lo spirito futurista è però l'esaltazione visiva della forza e del
movimento, della quale sono protagonisti uomini e cavalli e non macchine. Questo è ritenuto un particolare che
attesta come Boccioni si muova ancora nel simbolismo, rendendo visibile il mito attraverso l'immagine. Ed è
proprio il "mito" ciò che l'artista modifica, dunque non più arcaico legato all'esplorazione del mondo psicologico
dell'uomo, ma mito dell'uomo moderno, artefice di un nuovo mondo. In parole povere l'intento dell'artista è di
dipingere il frutto del nostro tempo industriale.
Il soggetto dunque, da raffigurazione di un normale momento di lavoro in un qualunque cantiere, si trasforma
nella celebrazione dell'idea del progresso industriale con la sua inarrestabile avanzata. Sintesi di ciò ne è il
cavallo inutilmente trattenuto dagli uomini attaccati alle sue briglie.
Espressionismo
Con il termine espressionismo si usa definire la propensione di un artista a esaltare, esasperandolo, il lato
emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente.
In senso linguistico, strettamente relazionato al significato che la parola espressionismo evoca, anche artisti
come Matthias Grünewald ed El Greco possono essere riletti come artisti espressionisti, ma storicamente
"espressionismo" è un movimento culturale europeo circoscrivibile a circa un ventennio che coincide con i primi
anni del 1900, inquadrabile nelle cosiddette avanguardie artistiche e sviluppato soprattutto in Germania tra
il 1905 e il 1925. Si oppone concettualmente al razionalismo o — più precisamente — all'architettura sachlich,
detta anche "oggettiva"
L'espressionismo proponeva una rivoluzione del linguaggio che contrapponeva all'oggettività
dell'impressionismo la sua soggettività.
L'impressionismo rappresenta una sorta di moto dall'esterno all'interno, cioè era la realtà oggettiva a imprimersi
nella coscienza soggettiva dell'artista; l'espressionismo costituisce il moto inverso, dall'interno all'esterno:
dall'anima dell'artista direttamente nella realtà, senza mediazioni. Il senso dell'Espressionismo produce una
ribellione dello spirito contro la materia e quindi gli occhi dell'anima sono la base di partenza della poetica
espressionistica.
L'occhio interno si sostituisce a quello esterno creando, in qualche modo, una sorta di confusione fra etica ed
estetica.[1] Il nuovo linguaggio riprende alcuni elementi romantici, come ad esempio l'identificazione romantica
fra arte e vita. La natura dell'espressionismo è ricca di contenuti sociali e di drammatica testimonianza della
realtà. Ma la realtà tedesca dei primi anni del secolo è la realtà amara della guerra, di contraddizioni politiche, di
perdita di valori ideali, di aspre lotte di classe, e proprio questi furono i temi principali e dolorosi degli artisti
espressionisti. Inoltre gli artisti espressionisti polemizzano contro la società borghese, contro l'alienazione del
mondo del lavoro, contro la visione positivistica del mondo, dello scientismo e delle leggi di causalità. Le
premesse teorico-culturali dell'Espressionismo stanno nel pensiero di Sigmund Freud (psicanalisi, inconscio) e
del filosofo francese Henri Bergson ("slancio vitale", "intuizionismo").[2]
L'intento del movimento espressionista era quello di ritrovare il dato comunicativo nell'arte, infatti questi artisti
criticheranno le correnti passate: gli impressionisti, perché l'impressione su cui si basavano non creava
comunicabilità con lo spettatore; i simbolisti, poiché la loro arte piena di simbologie e riferimenti culturali intensi e
profondi non offriva una facile lettura allo spettatore, tanto che venne definita "arte per pochi"; i
neoimpressionisti, per il loro approccio troppo scientifico nei confronti dell'arte; il modernismo o Liberty (che si
muoverà di pari passo), considerato come puro movimento di gusto e moda dell'epoca. Ma la molteplicità del
movimento si evidenzia nella frattura fra la componente cosmica, degli eternisti a caccia di una fede nuova,
quella politico-sociale degli attivisti e quella astratto-geometrica tendente a ricostruire nuove forme naturali.

L’urlo di Edward Munch


L'urlo raffigura un sentiero in salita sulla collina di Ekberg[7] sopra la città di Oslo, spesso confuso con un ponte,
a causa del parapetto che taglia diagonalmente la composizione; ebbene, su questo sentiero si sta consumando
un urlo lancinante, acuto, che in quest'opera acquisisce un carattere indefinito e universale, elevando la scena a
simbolo del dramma collettivo dell'angoscia, del dolore e della paura. Il soggetto urlante è la figura in primo
piano, terrorizzata, che per emettere il grido (e non per proteggersene) si comprime la testa con le mani,
perdendo ogni forma e diventando preda del suo stesso sentimento: più che un uomo, infatti, ricorda un
ectoplasma, con il suo corpo serpentiforme, quasi senza scheletro, privo di capelli, deforme. Si perde insieme
alla sua voce straziata e alla sua forma umana tra le lingue di fuoco del cielo morente, così come morente
appare il suo corpo, le sue labbra nere putrescenti, le sue narici dilatate e gli occhi sbarrati, testimoni di un
abominio immondo. Ma il vero centro dell'opera è costituito dalla bocca che, aprendosi in un innaturale spasmo,
emette un grido che distorce l'intero paesaggio, che in questo modo restituisce una sensazione di disarmonia,
squilibrio.[8] Questo sentimento di malessere non è esclusivo né dello sfondo, né dell'animo di Munch: è infatti
distintivo del pessimismo fin de siècle diffuso in quel periodo, che cominciò a mettere in dubbio le certezze
dell'essere umano, proprio mentre Sigmund Freud indagava gli abissi dell'inconscio.
A rimanere dritti sono esclusivamente il parapetto e i due personaggi a sinistra. Queste due figure umane sono
sorde sia al grido sia alla catastrofe emozionale che sta angosciando il pittore: non a caso, sono collocate ai
margini della composizione, quasi volessero uscire dal quadro. È in questo modo che Munch ci restituisce in
modo molto crudo e lucido una metafora della falsità dei rapporti umani. Sulla destra, invece, è collocato il
paesaggio, innaturale e poco accogliente, quasi fosse un'appendice dell'inquietudine dell'artista: il mare è una
massa nera ed oleosa, mentre il cielo è solcato da lingue di fuoco, con le nuvole che sembrano essere cariche
di sangue.

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