Você está na página 1de 5

A RIABILITAZIONE DELLE TENDINOPATIE

L’obiettivo del trattamento è rimuovere il dolore e recuperare la funzione (lavorativa o


sportiva), evitare la rottura del tendine e l’intervento chirurgico, prevenire le recidive.
Una volta instauratasi la patologia tendinea è necessario porre una corretta diagnosi e classificare
lo stadio della patologia in base alla clinica e alla diagnostica per immagini. Il trattamento delle
tendinopatie è infatti generalmente basato sulla gravità delle stesse: nei gradi più lievi (1°) viene
consigliato il riposo e viene, quasi sempre invariabilmente, prescritto un trattamento farmacologico
con FANS o analgesici per ridurre la sintomatologia dolorosa; nelle forme più importanti (2°-3°) è
utile associare alle terapie farmacologiche e strumentali un trattamento riabilitativo e ortesico. è
tuttavia necessario sottolineare come le tendinopatie di 1° grado, pur potendole considerare lesioni
minime, necessitano comunque di grande attenzione perchè una loro sottostima può aggravarne la
prognosi e i tempi di guarigione. Nelle patologie tendinee di 4° grado (cioè in presenza di completa
rottura tendinea) l’approccio dovrà essere chirurgico. La maggior parte degli autori è dunque
concorde nel preferire, almeno come primo tentativo, un approccio di tipo riabilitativo: le più recenti
statistiche dimostrano successi a breve e medio termine nel 90% dei casi; tuttavia le recidive
possono insorgere nel 26% dei pazienti, mentre fino al 40% lamenta disturbi prolungati nel tempo.
I più comuni metodi di trattamento conservativo comprendono il riposo, i FANS e le terapie
farmacologiche locali, le infiltrazioni, le terapie fisiche strumentali e l’esercizio muscolare. Il riposo
e l’immobilizzazione da un lato favoriscono l’attenuazione del sintomo “dolore”, dall’altro hanno un
effetto negativo sul metabolismo e sulle proprietà di forza e resistenza dell’unità muscolo- tendine-
osso. Un programma di rinforzo muscolare eviterà l’instaurarsi di una ipotonotrofia da inattività che
lascerebbe ulteriormente l’articolazione in balia dei minimi stress. Vengono arbitrariamente
riconosciuti tre momenti nel processo di lesione/guarigione di un tendine:
 la fase infiammatoria
 la fase della sintesi di collagene
 la fase di rimodellamento biologico e biomeccanico.
La prima fase (di reazione infiammatoria) è caratterizzata dall’afflusso di sostanze vasoattive,
fattori chemiotattici ed enzimi. La seconda fase si caratterizza per l’inizio del processo riparativo ad
opera di cellule differenziate in senso fibroblastico che originano dalla guaina tendinea e dalla
matrice extracellulare e che producono collagene: l’orientamento delle fibre collagene viene però
determinato in modo casuale, non garantendo alla struttura neoformata caratteristiche appropriate
di resistenza. Se il tessuto viene però adeguatamente stimolato (terza fase, il rimodellamento), le
fibre collagene assumono verso in direzione della linea di forza muscolare e il tessuto si
irrobustisce e distribuisce in maniera ottimale le forze tensive che su esso agiscono.
. Questa modalità di trattamento dovrebbe quindi essere utilizzata in casi selezionati e con un
numero non superiore alle 2-3 infiltrazioni. La crioterapia viene utilizzata a scopo analgesico e
antiflogistico: nelle sue differenti modalità di applicazione il freddo determina una riduzione
dell’attività metabolica e dunque di rilascio di mediatori infiammatori. Altre tecniche, come quelle di
medicina manuale, possono contribuire ad alleviare transitoriamente il dolore, mentre l’agopuntura
è una tecnica antalgica che si sta sempre più diffondendo, anche se la maggior parte degli studi
non è, ancora una volta, scientificamente validata.
 2° fase: il recupero della funzione

Ancora una volta, però, per molte di queste tecniche non esiste un giudizio univoco in letteratura e
il loro impiego è quindi dettato più dall’esperienza personale del riabilitatore piuttosto che da una
evidenza scientifica della loro efficacia. Tutte queste metodiche, a medio e lungo termine, non
mostrano infatti benefici significativi o clinicamente rilevanti, né prevengono le recidive. Ciò
d’altronde è facilmente comprensibile se si ragiona sulla base fisiopatologica della tendinopatia
cronica, cioè una degenerazione e non più solo una infiammazione. In questa fase l’unico
trattamento dimostratosi efficace è rappresentato dalla ginnastica riabilitativa. L’impiego di farmaci
o di mezzi fisici è ancora ragionevole ma limitatamente al transitorio alleviamento della
sintomatologia dolorosa (ciò può consentire al paziente di svolgere al meglio la rieducazione
motoria), mentre risulta avere benefici inconsistenti se non integrato in un progetto riabilitativo più
ampio, con interventi “attivi” di ricondizionamento funzionale. Il trattamento conservativo
rappresenta ancora la scelta terapeutica più opportuna: naturalmente risulta tanto più efficace
quanto più precocemente è messo in atto. Uno dei cardini essenziali per il raggiungimento
dell’obiettivo terapeutico è la riduzione dei carichi più o meno radicale, a seconda delle entità e
della fase della patologia. È controindicata comunque una completa immobilizzazione, essendo le
stesse forze di tensione un efficace stimolo alla rigenerazione delle fibre collagene e del loro
orientamento. Proprio su questo concetto si fonda il mio studio. Certamente, quale sia la
giusta tempistica per passare dalla prima fase alla seconda è ancora da definire, ma numerosi
studi hanno dimostrato come un eccessivo riposo o tempo di immobilizzazione possano avere
risultati deleteri, causando atrofia muscolare e perdita di forza della unità muscolo-tendine-osso.
Per questo motivo anche l’impiego dei tutori è controverso: certamente sono in grado di ridurre il
sovraccarico funzionale ma non di favorire il processo di guarigione, se non in associazione alla
rieducazione funzionale. Così la guarigione di un tendine prevede innanzitutto di spegnere il
processo infiammatorio ma anche di intervenire velocemente per rimuovere l’irritazione che lo ha
causato. Non appena possibile è opportuno iniziare con tecniche di mobilizzazione e rinforzo
muscolare. Prima di iniziare il lavoro muscolare controresistenza è opportuno recuperare la
completa escursione articolare. Esercizi per il ripristino della escursione articolare vengono
eseguiti dal paziente sotto il controllo del terapista, che al bisogno si avvale di diverse tecniche
manuali (stretching statico, stretching dinamico) ed esercizi. Per gestire il “sovraccarico”
riabilitativo ci si avvale della crioterapia.
È compito del riabilitatore ricercare e correggere anche le anomalie anatomiche e le alterazioni
funzionali che influenzano in modo determinante la biomeccanica dei gesti motori, e non
focalizzare l’attenzione solo sul sito di lesione. Ai sintomi clinici locali (dolore, tumefazione,
impotenza funzionale) si accompagnano spesso deficit quali debolezza muscolare dei muscoli
sinergici, contratture e perdita di elasticità. Oltre all’esame clinico della struttura coinvolta, è
fondamentale dunque eseguire una valutazione posturale globale poiché una patologia dolorosa
tendinea è spesso causata, oltre che dai ripetuti microtraumi che agiscono sul tendine, anche dai
fenomeni di adattamento che una articolazione attua nel tempo per compensare e far fronte a
problemi nati a volte altrove. Ad esempio il tendine rotuleo è al centro di un sistema funzionale che
è fondamentale per tutto l’arto inferiore: dal suo corretto allineamento dipende l’estensione della
gamba e nel corso del tempo esso può trovarsi a compensare difetti che provengono dal basso
(es. problemi di appoggio del piede) oppure adattarsi a problematiche discendenti che provengono
dal bacino o dalla colonna o dalle anche. Ancora, il tendine rotuleo e achilleo possono andare
incontro a progressiva degenerazione per cause indipendenti dalla loro struttura o dai carichi cui
sono sottoposti, ma per effetto di erronee sollecitazioni che provengono da sistemi biomeccanici
inefficaci: tipico è il caso della instabilità articolare della caviglia e dell’anca. Dopo la correzione di
eventuali squilibri biomeccanici, il passo successivo è quello di cercare di ridare elasticità al
sistema con un programma di stretching muscolare associato a un graduale potenziamento della
muscolatura coinvolta.

L’esercizio terapeutico
Come detto, una volta regredita o migliorata la sintomatologia dolorosa, si deve passare alla
seconda fase del processo riabilitativo che consiste nella rieducazione motoria vera e propria,
troppo spesso trascurata o fatta male dopo la risoluzione dei sintomi e che rappresenta invece la
vera chiave di successo per la guarigione del processo e per la prevenzione della recidiva. Vanno
incoraggiati esercizi di contrazione muscolare isometrica e successivamente isotonica, entro ambiti
articolari inizialmente protetti e poi liberi, a carico libero e via via crescente (con elastici e pesi).
Viene sostanzialmente esplicata una graduale sollecitazione sul tessuto in via di guarigione,
avendo cura di non esagerare, lungo l’asse principale del tendine, con il fine di stimolare un
corretto orientamento delle fibre collagene neoformate e incrementare la resistenza ai carichi
dell’unità muscolo-tendinea. A lungo termine, la rieducazione funzionale garantisce una riduzione
della disabilità superiore alla strategia attendista “aspettiamo e vediamo”, e studi epidemiologici
riportano che gli esercizi terapeutici sono giudicati utili in una percentuale dal 48 al 99% dei
pazienti. La rieducazione delle tendinopatie con esercizio eccentrico in particolare ha evidenziato
buoni risultati clinici, in associazione con tecniche di stretching, tipo facilitazioni neuromotorie
progressive, e a terapie per il controllo della reazione infiammatoria (ghiaccio a fine seduta).
Il trattamento riabilitativo consiste quindi nella elasticizzazione della struttura muscolo-tendinea
coinvolta e nel ripristino di una corretta risposta propriocettiva. Questo approccio appare
incoraggiante e i risultati positivi sono probabilmente da attribuire ad alcuni fattori quali l’aumento
della resistenza tensile e della forza muscolare, la correzione dei disturbi neuromuscolari, la
modulazione della collagenasi tendinea con miglioramento e acceleramento del processo di
guarigione. I benefici delle diverse esercitazioni kinesiterapiche hanno inoltre una solida base
scientifica. Il movimento e il carico sul tendine ne migliorano le proprietà fisiche e strutturali,
aumentando il metabolismo e la densità delle fibre collagene, garantendo così gradualmente una
maggiore resistenza al tendine e favorendo l’elasticizzazione dei processi fibrotici cicatriziali della
guarigione. Ricordiamo che esistono due tipi di contrazione muscolo-tendinea: la contrazione
statica o isometrica e la contrazione dinamica. Durante la contrazione isometrica il muscolo
sviluppa tensione senza che i suoi estremi si avvicinino. Nella contrazione dinamica c’è
spostamento (e quindi lavoro) e il muscolo varia la sua lunghezza: si accorcia se resiste a una
resistenza (lavoro concentrico) o si allunga se, nonostante la resistenza che offre, la forza
applicata la supera. Poiché la contrazione eccentrica genera la maggior tensione a carico dell’unità
muscolo-tendinea, normalmente è opportuno iniziare con delle esercitazioni isometriche e, alla
scomparsa del dolore, inserire modalità di rinforzo isotonico, inizialmente contro resistenza e poi
mediante l’impiego di elastici a tensione via via crescente. In questa fase è possibile alternare, al
programma di lavoro in palestra, alcune sedute di idrochinesiterapia, assistita o autoassistita, per
sfruttare gli effetti positivi dell’ambiente acquatico (meglio se in acqua a 27-28° di una vasca
riabilitativa). L’effetto dell’acqua infatti permette un più rapido e sicuro recupero dell’escursione
articolare e una maggiore stimolazione propriocettiva, inoltre costituisce spesso un ambiente di
lavoro estremamente piacevole per il paziente. Vengono efficacemente proposti esercizi di
posizionamento e riposizionamento articolare per migliorare la percezione del movimento ed
esercizi per il recupero dell’equilibrio, in carico bipodalico e successivamente monopodalico, ad
occhi aperti e poi chiusi.
 3° fase: il recupero della attività fisica precedente
Un programma riabilitativo deve tenere in considerazione sempre 3 aspetti fondamentali:
 la specificità dell’allenamento
 il carico massimale
 la progressione del lavoro.
Per specificità di allenamento si intende la necessità di allenare il tendine proprio nel gesto sportivo
che l’ha messo in difficoltà: l’unità muscolo-tendinea deve essere sottoposta alle stesse
sollecitazioni in cui viene normalmente a confrontarsi durante il gesto motorio (ad esempio
allenamento nei balzi per sport quali pallavolo o basket). Dal momento che la massima tensione a
carico dell’unità miotendinea si verifica durante la fase eccentrica della contrazione, esercizi
specifici eseguiti in modalità eccentrica rappresentano la chiave per un ottimale recupero
funzionale e un corretto rimodellamento della struttura alterata dai processi degenerativi.
L’efficacia del potenziamento eccentrico è stata ormai dimostrata in numerosi studi per il
trattamento delle tendinosi achillea, rotulea e del tendine epicondiloideo dell’omero. Per le sue
stesse caratteristiche, tale tipo di rinforzo prevede la necessità di un adeguato tempo di recupero
tra le serie e tra le sedute, ma riproduce moltissimi movimenti che effettuiamo durante la vita
quotidiana e l’attività sportiva (Fig. 9). Come possibile spiegazione degli effetti benefici di tale
modalità di potenziamento è stato ipotizzato, innanzitutto, proprio il concetto dell’allenamento
gesto-specifico, un effetto di elasticizzazione (oltre che di rinforzo) dell’unità muscolo-tendinea e lo
sviluppo di un certo grado di ipertrofia del tessuto tendineo come reazione biologica diretta a
questo tipo di lavoro. Ovviamente questo tipo di allenamento deve avvenire in progressione,
consentendo al tendine un adattamento nel tempo a una maggiore capacità di resistenza.
Soprattutto in una prima fase, allorquando l’esercizio provoca ancora dolore (se non addirittura lo
esacerba) è necessario che tempi e carichi vadano “dosati” in maniera appropriata, rispettando i
sintomi e le sensazioni del paziente. In questa fase di riparazione, infatti, la resistenza del tendine
potrebbe non essere ancora in grado di sopportare grandi sollecitazioni e una forte contrazione
muscolare potrebbe causarne anche la rottura. Il punto strategico di un appropriato recupero
funzionale risiede dunque nella capacità da parte del riabilitatore di non eccedere i fisiologici limiti
di adattamento e di proporre carichi crescenti, nel rispetto della capacità di sopportazione del
tendine in quel momento; il sintomo dolore agisce da feedback per la progressione dei carichi (Fig.
10). È opportuno sottolineare come i tempi di reazione e adattamento biomeccanico a questo tipo
di lavoro siano comunque lunghi, ed è necessario spiegare al paziente (in particolare agli atleti e ai
loro allenatori!) che, molto spesso, i “frutti di tanta sofferenza” si renderanno realmente effettivi solo
a distanza di mesi, sconsigliando quindi di interrompere prima di 12 settimane il programma di
riabilitazione, anche quando sia scomparsa la sintomatologia. Inutile sottolineare come un
recupero affrettato o inadeguato sia il principale fattore di rischio per una recidiva. Nelle fasi finali
dell’iter riabilitativo, è opportuno completare il recupero muscolare con l’impiego di un dinamometro
isocinetico (vedi Approfondimento); tale metodica è in grado di offrire almeno 2 diversi vantaggi:
 fornire una sollecitazione massimale ma “controllata” sul tendine (la velocità del movimento rimane
infatti costante)
 possibilità di quantificare il deficit di forza e monitorare i guadagni ottenuti mediante l’esecuzione
del test e l’allenamento isocinetico.
La guarigione metabolica
Come detto, il tendine, pur poco vascolarizzato, è un tessuto metabolicamente attivo costituito da
fibre di collagene (per l’85%) e di elastina che ne garantiscono le proprietà elastiche e meccaniche
e gli permettono di reagire agli stimoli esterni, adattandosi ai carichi di lavoro e modificando le
proprie caratteristiche, mediante un lento ma costante processo di rinnovamento cellulare.
Tuttavia, la resistenza del tendine può essere compromessa in caso di overuse e di stress ripetuti
(la cui frequenza superi la velocità di riparazione cellulare del tessuto tendineo); ciò avviene più
facilmente in tendini logori per età o usurati da stressanti attività sportive o lavorative. In tali
condizioni diventano strutture facilmente vulnerabili agli insulti traumatici o microtraumatici,
soprattutto quando l’organismo è carente dei microelementi nutrizionali essenziali per il buon
funzionamento e la conservazione del tendine stesso. Inoltre, serve una adeguata quantità di
collagene poiché la guarigione necessita della riparazione del tessuto danneggiato tramite la
neoformazione di tessuto cicatriziale, conservando però le qualità elastiche e di flessibilità del
tessuto originario.
Allo stesso tempo, una sintesi eccessiva potrebbe rivelarsi controproducente qualora fosse di
“impiccio” alla scorrimento del tendine.

Você também pode gostar