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AD ELSA NAVALE
Di come il termine
“Pugnale ad Elsa Gammata”
Sia da ritenersi obsoleto
e sia da sostituire con il più attinente e corretto
“Pugnale ad Elsa Navale”
IL PUGNALE AD ELSA NAVALE
Andrea Loddo ArcheoLogo Sperimentale
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In realtà il “Pugnale ad Elsa Gammata” prende il nome dalla somiglianza riscontrata dagli archeologi
tra l’elsa del pugnale e la cosiddetta “croce gammata” (praticamente la svastica poi resa tristemente
famosa da Hitler e dai nazisti), ma anche e forse più con la “lettera gamma”
dell’alfabeto greco.
.. Ora.. la lettera gamma, nemmeno esisteva, nel periodo nuragico, per cui
mi è sempre sembrato non corretto utilizzare questo termine, ma me n’ero fatto una ragione,
finché …
Molti di voi lo sapranno, alcuni no, sicuramente, ma io sono un archeologo sperimentale, ovvero
realizzo manufatti antichi, verificando sperimentalmente le tecniche costruttive e di fabbricazione
antiche, per arrivare al prodotto finale.
Ho ricostruito, con tecniche nuragiche, bronzetti, spade, armature, altri manufatti, finché non mi
sono confrontato con il nostro Pugnale ad Elsa (sic!) Gammata.
Già da tempo avevo osservato che di pugnali ad elsa gammata (facciamo che d’ora in poi li
chiamiamo “pugnali”, ok?), dicevo, di pugnali ne esistono due tipi, a seconda del tipo di tecnica
utilizzata per la realizzazione:
il primo, più semplice, è realizzato in un pezzo
unico, ottenuto con un'unica fusione,
Ho iniziato riproducendo questo, più semplice nella
realizzazione: si ottiene realizzando due matrici ,
come fossero due valve, in argilla, che una volta
unite, al loro interno creano uno spazio
tridimensionale con la forma dell’oggetto da
realizzare, in questo caso appunto il pugnale. In
questo spazio viene fatto colare il metallo fuso, che
prenderà la forma stabilita, dando vita all’oggetto / pugnale.
prova d’autore certificata con marcatura temporale ai sensi della normativa 910/2014 Deposito 84262 Patamu
Licenza creative commons 4.0 (CC BY-NC-ND 4.0)
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Il secondo pugnale è ottenuto invece in due parti, elsa e lama, poi unite insieme per assemblaggio
tramite rivetti.
Nella foto a fianco (una mia realizzazione, scusate l’orgoglio di babbo..)
si può notare il punto d’unione fra elsa e lama tramite i due rivetti,
visibili come cerchietti di colore differente, in quanto realizzati in rame
e non in bronzo..
Per la realizzazione di questo meraviglioso oggetto, ho dovuto invece
necessariamente usare la tecnica della cera persa, tecnica utilizzata
specialmente per la realizzazione dei Bronzetti, e nella quale gli Antichi
Sardi erano ovviamente maestri.
Attraverso la tecnica della cera persa si riesce infatti a realizzare forme più complesse, come gli
incavi necessari per assemblare i pezzi, ed addirittura si riesce a realizzare già pronti i fori dove
andranno alloggiati i rivetti che terranno unite le parti.
Dicevamo, finché …
Perché è proprio realizzando questo secondo tipo di pugnale, che ho capito che il termine “pugnale
ad elsa gammata” poteva essere sostituito con un altro più attinente all’essenza stessa di questo
oggetto che solo oggetto non è.
Ma andiamo per gradi.
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…finché non li ho avuti di fronte, e non immaginate la sorpresa quando mi sono accorto che avevo
sotto i miei occhi, è vero,
tutti i pezzi che compongono l’elsa di un pugnale Sardo,
ma contemporaneamente anche
In basso lo scafo, con una protome di uccellino, uccellino che ritroviamo in tutte le navicelle
nuragiche, l’albero, posizionato al centro, usato come impugnatura, poi un traverso che rappresenta
il boma alto con la vela, questa disposta ovviamente secondo una vista prospettica, e infine in cima
l’anello, presente in tutte le navicelle ritrovate
C’era tutto il necessario, non mancava niente…
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Fate attenzione.
Il pugnale Sardo viene usualmente considerato un
simbolo di potere.
Però il pugnale lo troviamo rappresentato su tutti i
personaggi impressi nei bronzetti:
capi tribù, tantissimi arcieri, è presente nel petto di
acquaioli, offerenti e persino sul petto di bambini,
come nel bronzetto “la Madre dell’Ucciso” definito
anche “la pietà Sarda”.
Insomma, questo oggetto, che veniva definito “simbolo del potere”, o “simbolo del comando”,
una sorta di “pugnale del potere”, scopriamo che proprio per la sua diffusa presenza nelle diverse
rappresentazioni tramandateci attraverso i nostri bronzetti, simbolo del comando o del potere
proprio non può essere.
..e del resto, il simbolo del comando, ormai è appurato fosse il bastone, il bastone del comando,
appunto, il bastone di Noè, il bastone di Mosè, il bastone che infatti troviamo presente nei capi
Sardi, quelli si, rappresentati nei bronzetti col bastone del comando.
Ma se il pugnale non era simbolo di comando, era comunque un simbolo, un simbolo che per gli
Antichi Sardi era importante, molto importante.
Un simbolo che più lo osservavo e analizzavo, più ne scoprivo i segreti della fabbricazione, più me
ne rigiravo fra le mani i pezzi, più entravo in sintonia con lui,
e più mi rendevo conto che il suo mondo era il mondo delle navi, il mondo del mare,
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E’ un evidente “pugno nell’occhio”.. bronzeo, lucente e scintillante, proprio non puoi ,non vederlo!
Però, stranamente, quello che viene usato come “comunicante” non è la lama, che si direbbe la
parte più importante di un pugnale, quella che incute timore e rispetto, per la pericolosità di se
stessa e di chi la porta..
No, Il messaggio è invece lanciato dall’elsa.
Una bronzea, lucente, evidente “Elsa Navale”.
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Dove meglio poggiare una chiglia, infatti, se non sull’acqua, sull’acqua del mare?
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Bandoliera e gradi militari, simboli praticamente identici ai simboli già usati dagli Antichi Sardi,
sono già due elementi , due indizi importanti che ci fanno pensare ad un possibile collegamento,
una continuità simbolica tra il mondo Sardo prenuragico e i giorni nostri, mostrandoci come forse
la memoria dell’Antica Civiltà Sarda non sia andata dispersa, ma sopravviva in elementi anche
insospettabili, come quelli di cui stiamo appunto parlando.
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Il grado del tenente di vascello è indicato nelle mostrine non più con i “baffi” dei sottufficiali, ma
con una barra sormontata da un cerchio, un anello.
Un elemento che nel suo insieme viene chiamato “spaghetto” o, più frequentemente, “binario”, e
che viene assegnato in numero di uno, due,tre, in funzione del grado, in origine del grado di
competenza, ovvero in funzione dell’abilità velistica raggiunta dal “tenente”, della sua capacità di
“tenere il vascello”.
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Una grande responsabilità, che meritava fra gli Antichi Sardi un simbolo che rendesse evidente a
tutti, e da tutti immediatamente comprensibile, la caratura e lo spessore del loro interlocutore..
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Leggermente diversa è invece l’impugnatura: l’elsa mantiene la protome, ma nelle navi si aggiunge
il timone, e così anche nel pugnale, che prima non c’era, e a causa probabilmente della diversa
invelatura anche il boma con l’anello non c’è più.
Ma la somiglianza rimane comunque notevole..
Il legame tra marinaio e coltello, è fortissimo, un marinaio aveva bisogno del suo coltello per
lavorare, accorciare cime, sbrogliare nodi, in caso di tempesta anche tagliare le sartie e liberare le
vele, ma anche lo usava per difesa personale, contro uomini o bestie, o semplicemente come
coltello e forchetta insieme, per il cibo.
Si può dire che ad un marinaio puoi togliere tutto, ma non il suo pugnale!
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Un'altra cosa che ho notato, ancora, è la posizione del pugnale sui bronzetti.
Solitamente infatti l’elsa del pugnale guarda verso il lato destro, ma con la protome navale verso il
lato sinistro.
La protome guarda sempre il braccio sinistro, mai il destro..
Un fatto che a prima vista pare occasionale, ma invece risponde ad una precisa esigenza, uno
scopo ben preciso: il pugnale doveva essere estratto rapidamente, velocemente, senza esitazione,
con la mano destra.
Con la protome a sinistra, la mano destra non ha nessun impaccio, nessun ostacolo, può
impugnare l’arma senza tentennamenti, sia per lavoro, sia per difesa.
In realtà, un bronzetto mi ha aperto gli occhi e fatto arrivare a questa conclusione: un bronzetto
con la disposizione inversa , con la fascia a sinistra, e la protome a destra.
Vedendolo, osservandolo, mi è saltata agli occhi la differenza.. come avrebbe potuto impugnare
facilmente , con quella posizione !?... doveva essere mancino, pensai, e in effetti.. doveva essere
così, perché tutti gli altri osservati, avevano la fascia a sinistra. Non era quindi un caso, ma una
rappresentazione reale, una riproduzione fedele di ciò che gli artisti Sardi vedevano, e
riproducevano nei loro meravigliosi bronzetti.
Un'altra riprova che il pugnale era si, un forte simbolo, ma era anche un oggetto di uso pratico,
quotidiano, costante.
Una fusione di sacro e profano, di concreto e astratto, che si ritrova spesso e caratterizza la cultura
degli Antichi Sardi, evidente anche nella rappresentazione realistica che i bronzi mostravano e
mostrano ancora della realtà del tempo,
insomma, un popolo che possiamo definire sicuramente tutto meno che scollegato dalla realtà,
dalle esigenze quotidiane, un popolo di cui abbiamo ancora oggi, dopo migliaia di anni,
testimonianza precisa di usi e costumi, proprio grazie a queste magnifiche piccole sculture..
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Ho provato anche a sovrapporre il pugnale, e la forma ripete in maniera precisa quella delle navi,
è pazzesco!
L’impressione, con un pugnale in mano, è
quella di maneggiare una navicella impugnabile,
torna tutto, l’albero, la vela, che addirittura
sembra piegata come una vela latina, lo scafo..
ogni cosa è al suo posto!
Una nave, quindi, con tutto ciò che serve (scafo,vela,albero.. ) ma con qualcosa in più, di una nave
normale. Infatti qui, si aggiunge un elemento estraneo, un elemento che con la navigazione
normalmente non c’entra granché..
Si aggiunge una lama. Si aggiunge un arma.
Ecco che in un attimo, si ottiene una nave “armata”.
Questo fatto mi ha colpito in maniera particolare. Una nave “armata”.
MI ha colpito l’assonanza con l’”armatore”, e con il concetto di “armare” una nave, ovvero
predisporla per il viaggio: trovare e caricare viveri, attrezzature, materiali, ma soprattutto
organizzare un equipaggio con i “requisiti”, con “esperienza”, un equipaggio “armato”.
Nel nostro caso, però equipaggio armato probabilmente significava un equipaggio in possesso del
simbolo che ne attestava la capacità e l’esperienza in mare, un equipaggio in possesso del
“pugnale ad elsa navale”..
Niente di strano che l’armatore fosse migliaia di anni fa il comandante, il “tenente di vascello”, che
“armava” l’equipaggio, ovvero concedeva il possesso del pugnale a chi ne aveva i meriti
guadagnati sul campo (anzi, sulla tolda)… e che poi il termine “armatore “sia successivamente
transitato al proprietario della nave, con il significato che oggi materialisticamente gli viene
attribuito, lontano dagli antichi valori morali anticamente posseduti, e vicino purtroppo ai valori
prettamente economici che permeano la società cosiddetta “moderna”…
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Tremila anni fa, esistevano flotte Sarde, che solcavano i mari, con coraggio, esperienza, fermezza,
flotte Sarde, fatte di navi Sarde, navi comandate dai “Tenenti di Vascello”,
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Mi sono trovato davanti un pugnale Sardo, l’ho smontato, analizzato, ho trovato nell’elsa del
pugnale una nave, con tutti gli elementi che la compongono:
scafo, albero e infine in cima la vela ammainata.
Ho trovato nella bandoliera indossata dai bronzetti Sardi le onde del mare.
Ho immaginato che questi fossero simboli della capacità, dell’esperienza, della responsabilità, di
coloro che avevano acquisito sul mare il diritto di esporli.
Ho trovato gli stessi simboli rappresentati nei gradi delle odierne forze armate di mare, attraverso
la bandoliera, gli chevron e i binari, simboli attuali del livello gerarchico raggiunto dai moderni
marinai.
Col mio bronzetto in una mano, e con il pugnale nell’altra, sono rimasto affascinato nel constatare
che, forse, una parte della storia vissuta dagli Antichi Sardi, ancora viva nelle moderne divise della
Marina Militare…
Spero di essere riuscito a farvi entrare un po' nel mio mondo, un mondo emozionante, un mondo
in cui il bronzo parla, e racconta a chi lo sa osservare, la storia degli oggetti e dei soggetti
rappresentati,
Un mondo, quello dei bronzetti, che chiede soltanto che noi si prenda un minuto, e ci si fermi ad
ascoltare,
Un mondo più vicino al nostro, forse, di quanto ci si possa immaginare.
Andrea Loddo
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