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Franco D’Agostino –
1. INTRODUZIONE.
L’accadico è la più antica tra le lingue semitiche che, dal punto di vista geografico, si
dividono in:
La storia della lingua e letteratura accadica può essere divisa in tre grandi fasi, che coprono un
periodo di oltre due millenni e mezzo:
1) la fase arcaica, che abbraccia tutta la seconda metà del III millennio, vede l’accadico
convivere con l’elemento sumerico;
2) la fase media, che abbraccia tutto il II millennio, è caratterizzata dal formarsi di due
rami, l’Assiro e il Babilonese;
3) la fase recente, che comprende tutto il I millennio, è l’età della rinascita e della
scomparsa definitiva.
Dal punto di vista linguistico, è possibile individuare tre dialetti principali nella lingua
accadica: l’Antico Accadico, l’Assiro (a sua volta distinto in Antico Assiro, Medio Assiro e
Neo-Assiro) e il Babilonese (Antico Babilonese, Medio Babilonese e Neo-Babilonese).
A differenza dell’arabo, non si ha per l’Accadico una lingua “classica” vera e propria, una
forma di lingua scritta valevole per la letteratura; per ovviare a questa mancanza, tra gli
Assiriologi vige l’accordo di considerare l’Antico Babilonese come lingua classica.
Tutte le lingue semitiche sono caratterizzate dalla legge del trisillabismo: nel 99% dei casi una
radice semitica è costituita da 3 consonanti che indicano un concetto di base, che sarà poi
modificato con apofonie vocaliche e l’uso di afformanti.
Es: “mhr” indica il concetto di ‘incontrare, essere di fronte’
Questa radice può essere modificata in vari modi, ad es.:
“mahārum”: all’infinito, ‘incontrarsi’
“muhhurum”: ‘essere uno contro l’altro, opporsi’
“mithurum”: ‘essere d’accordo, incontrarsi’.
Va notato che la radice e l’ordine delle consonanti rimangono immutati.
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Esistono tuttavia anche parole biconsonantiche, a dimostrazione che il triconsonantismo non è
una caratteristica originaria della lingua, ma il risultato di uno sviluppo nel tempo.
Es: il concetto di ‘dare’ era espresso nell’ambito semitico da una radice biconsonantica “t/dn”,
dato reso evidente dal confronto tra le lingue semitiche:
ndn in accadico
ytn in fenicio
ntn in ebraico
Quindi proprio nelle 2 consonanti t/dn si racchiude il concetto di “dare”.
In accadico sono riconoscibili 3 modi per trasformare una radice da bi- a triconsonantica:
1) anteporre “n” alla radice, afformante che aggiunge un valore direzionale
es: naqānum: ‘distruggere’
nadānum: ‘dare’
questa caratteristica formazione può essere ritrovata anche in verbi onomatopeici:
nabāhum: ‘abbaiare’ (lett. ‘fare bah’)
natāhum: ‘gocciolare’ (lett. ‘fare tuh’);
2) prefiggere alla radice biconsonantica la “w”:
possiamo distinguere i verbi in cui w non è originaria, tutti transitivi (es: wabālum:
‘portare’), da quelli in cui la w è originaria, che indicano uno stato (warātum: ‘essere
giallo/verde’);
3) raddoppiare la seconda consonante di radice
zanānum: ‘piovere’ indicano un’azione somma di
dabābum: ‘parlare’ tante piccole azioni ripetute
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Es: rmי: ‘amare’, infinito: *ramāיum, siccome tra le caratteristiche dei suoni deboli c’è quella
di cadere se si trovano tra 2 vocali, per compensazione si ha una contrazione delle vocali a
contatto, che viene segnata in trascrizione con l’accento circonflesso: ramûm.
Va sottolineato che la vocale è lunga esattamente come se avesse il segno V , quindi l’uso
dell’accento circonflesso è un espediente per descrivere il fenomeno fonetico della caduta di
un suono debole.
E ancora: rיm: ‘essere alto’, infinito: *raיāmum > râmum.
Anche nella compensazione, però, torna a funzionare il concetto dell’analogia, poiché,
prendendo una qualsiasi altra radice con una consonante debole in fine di parola otterrò un
comportamento morfologico analogo, identico a quello visto per il verbo ramûm; es: qbי,
‘parlare’, infinito qabûm.
Le sillabe possono essere aperte (se escono in vocale) o chiuse (se escono in consonante) e
contenere vocali brevi o lunghe per natura
iddák
šarratu (CV CCV CV )
šárratu
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šarrātu šarrátu
In accadico non possono sussistere 2 consonanti in inizio o fine di parola (si chiama cluster
l’incontro di queste 2 consonanti); di conseguenza, per sciogliere il cluster si inserisce tra le 2
consonanti una vocale di radice.
Allo stesso modo, al centro di una parola non possono sussistere 3 consonanti vicine:
*kalb-t-um > kalbatum.
Le consonanti deboli (alef, waw e yod) quiescono (ossia scompaiono) quando si appoggiano
ad una vocale, producendo un allungamento di compenso della vocale stessa.
-VיC- > -VC-
-VיVC- > -VC-
-Vי > -V (in fine di parola alef cade senza lasciare traccia).
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Contrazione delle vocali:
in accadico vige la legge generale che due vocali, se per ragioni fonetiche e morfologiche
vengono in contatto tra loro, si contraggono, dando origine a una vocale lunga
a+u > û (prevale il suono più importante, in questo caso la ‘u’ che indica il
nominativo)
a+i > ê.
La radice è l’elemento primitivo del sostantivo; si ottiene con la rimozione di tutti gli elementi
morfologici, sia di flessione che di formazione nominale.
Dal punto di vista del significato distinguiamo:
1) radici originariamente nominali (o radici primarie), che indicano un oggetto, una
realtà; in genere sono primari i sostantivi che indicano parentela, persone, parti del
corpo, animali, elementi, ecc. Esse prevedono una vocale lunga o breve tra la prima e
la seconda consonante
[C1VC2C3]
es: kalb;
2) radici originariamente verbali, che indicano un’azione o uno stato; prevedono una
vocale breve tra la seconda e la terza consonante
[C1C2VC3]
es: pluh.
2.1. IL GENERE.
L’accadico ha due generi, maschile e femminile (mai neutro!):
- sono maschili per natura i sostantivi che indicano esseri maschili: abum, ‘padre’; ahum,
‘fratello’; mārum, ‘figlio’; kalbum, ‘cane’; imērum, ‘asino’; immerum, ‘montone’; ecc.
- sono femminili per natura i sostantivi che indicano esseri femminili: ummum, ‘madre’;
arānum, ‘asina’; enzum, ‘capra’; ecc.
- sono femminili i sostantivi che indicano le parti doppie del corpo: idum, ‘lato’; īnum,
‘occhio’; qātum, ‘mano’; šēpum, ‘piede’; šīnnu, ‘dente’; ubānum, ‘dito’.
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- sono femminili per uso alcuni sostantivi come abnum, ‘pietra’; harrānum, ‘campagna
militare’; eleppum, ‘nave’; ecc.
- sono femminili i sostantivi che presentano il tratto morfologico del femminile: √ + t
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A) nominativo -(t)um
B) obliquo -(t)im
C) diretto -(t)am
Il duale è poco usato già in epoca accadica, impiegato soltanto con i sostantivi designanti parti
del corpo appaiate o distribuite in due serie corrispondenti; con altri sostantivi il duale ha
bisogno di essere specificato con il numerale “due”.
La declinazione del duale è diptota:
A) nominativo -(t)ān
B) obliquo e diretto -(t)īn
A) nominativo -ū / -ātum
B) obliquo e diretto -ī / -ātim
Es: kalbū, ‘i cani’; ina kalbī, ‘tra i cani’; šarratum, ‘regina’; ina šarrātim, ‘tra le regine’.
Alcuni sostantivi sono usati soltanto al plurale (pluralia tantum), come mû, ‘acqua’; nīšū, ‘le
persone, la gente’.
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Esiste anche un altro plurale maschile, sempre diptoto, con valore singolativo, che sottolinea
cioè la singolarità all’interno di un gruppo:
A) -ānu
B) -āni
Es: ālu, ‘città’; ālānu, ‘le città’ (ha soltanto il plurale singolativo)
īlu, ‘dio’ al plurale singolativo: īlānu.
Gli aggettivi maschili plurali (sempre deverbali) hanno una loro declinazione diptota:
A) -ūtum
B) -ūtim
Dunque al maschile vi sono due declinazioni plurali, una per i sostantivi e una per gli
aggettivi, mentre la declinazione del femminile non distingue tra sostantivi e aggettivi.
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il figlio del re (acc.) = mār šarrim.
Al maschile singolare le forme dello stato costrutto si ottengono togliendo al nome in stato
retto le desinenze della declinazione:
1) -VC
mārum > mār
immerum > immer
2) -VC1C1 > -VC1
šarrum > šar
se -VC1C1 > -VC1C1+i
Ńuppum > Ńuppi
3) -VC1C2 > -VC1+a+C2
kalbum > kalab
alpum > alap.
Femminile singolare:
1) -VCt > -VC+at
mārtum > *mārt > mārat
anche per il femminile si può trovare la “i” finale: qišti qarrādim, ‘l’arco dell’eroe’.
2) -VC1VC2t > -VC1VC2+ti
pirištum > *pirišt > *pirišat > pirišti
dunque i polisillabi femminili inseriscono la “i” finale
3) -VC1C1/2at > idem
šarratum > šarrat.
Nel femminile plurale è sufficiente togliere la terminazione –um:
pulhātum > pulhāt.
Nel duale si elimina semplicemente la –n finale:
īnān, ‘gli occhi’
īnā šarrim, ‘gli occhi del re’.
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Esempi:
il buon figlio del re = mār šarrim damqum
al buon figlio del re = ana mār šarrim damqim (N.B: si potrebbe tradurre anche ‘al figlio del
buon re’!).
Talvolta una sequenza troppo lunga di stati costrutti può creare delle ambiguità (ad esempio la
frase “ana kalab mār šarrim damqim” si potrebbe tradurre sia ‘al buon cane del figlio del re’,
sia ‘al cane del buon figlio del re’ o persino ‘al cane del figlio del buon re’); per sciogliere tali
ambiguità in accadico venne introdotto un pronome determinativo, invariabile per genere,
numero e caso: ša (lett: ‘quello di’).
Tale pronome sta sempre in stato costrutto ed ha come dipendenza un sostantivo al caso
obliquo.
Es: ana kalbim ša mār šarrim = al cane del figlio del re (lett: al cane, quello del figlio del re)
ana kalbim damqin ša mār šarrim = al buon cane del figlio del re.
Per tradurre la frase ‘il palazzo del figlio del re di Babilonia’ si possono scrivere due forme:
ekal mār šar Bābilimki
oppure
ekal mārim ša šar Bābilimki.
Oltre alla costruzione genetivale e all’uso del pronome relativo ša c’è una terza possibilità per
esprimere il genitivo, probabilmente di derivazione sumerica:
‘l’esercito del re’ si può esprimere dunque in tre modi:
1) şab šarrim
2) şabum ša šarrim
3) šarrum şab-šu, lett. ‘il re, il suo esercito’.
Quest’ultima soluzione viene preferita se si vuole porre in posizione enfatica il sostantivo che
deve essere normalmente espresso in stato retto.
Esistono frasi fatte di questo tipo:
mimma šum-šu = ‘qualsiasi cosa, il suo nome’, cioè ‘il nome di qualsiasi cosa’: è
un’espressione usata spesso nel codice di Hammurabi per evitare lunghi elenchi.
Un altro esempio:
‘il cane del figlio del re’:
1) kalab mār šarrim
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2) kalab mārim ša šarrim ≠ kalbum ša mār šarrim
3) mār šarrim kalab-šu.
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3. I PRONOMI
m. šū šâšim šuāti
III s.
f. šī šiāšim šiāti
Il pronome di III persona šū è usato spesso come aggettivo dimostrativo, con il significato di
“questo”.
Es: wardum šū, ‘questo schiavo’.
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Il pronome personale suffisso può legarsi ad un sostantivo (e indica il possesso) o a un verbo.
Può aggiungersi al nome privato di terminazione se ha funzione di nominativo o accusativo,
altrimenti si aggiunge al sostantivo declinato.
La I persona singolare ha 2 forme: una per il nominativo e per il caso diretto, “-ī”, l’altra per il
caso obliquo, “-ya”.
Es: bēlum, ‘signore’; il mio signore = bēlī
al mio signore = ana bēliya
il cane del mio signore = kalab bēliya
il mio cane = *kalab-ī > kalbī.
La I persona plurale ha soltanto la terminazione “-ni”, sia per il maschile che per il femminile.
Es: il nostro signore = bēlni
al nostro signore = ana bēlini.
Infine, la III persona plurale presenta “-šunu” per il maschile e “-šina” per il femminile.
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SINGOLARE PLURALE
m. f. m. f.
-ī (nom./acc.)
I -ni
-ya (obliquo)
4. IL VERBO.
4.1. LE CONIUGAZIONI.
In accadico il verbo possiede 4 coniugazioni:
1) I Grundstamm = forma di base o coniugazione G
l’infinito è formato in questo modo:
[C1 ă C2 ā C3+um]
prs > părāsum: ‘tagliare’
ktb > katābum: ‘scrivere’
2) II Doppelungstamm = radice reduplicata o coniugazione D
La caratteristica tematica è la duplicazione della consonante mediana; il valore
fondamentale della coniugazione D è quello fattitivo; inoltre, questa coniugazione
aggiunge intensità alla radice di base.
Formazione dell’infinito:
[C1 ŭ C2C2 ŭ C3+um]
prs > purrusum: ‘spezzare in mille pezzi’
3) III coniugazione Š
Caratteristica tematica è l’ampliamento mediante il prefisso –ša; il senso fondamentale
del tema Š è quello causativo; non di rado il tema Š ha, come la coniugazione D,
valore fattitivo.
Formazione dell’infinito:
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[šu C1 C2 ŭ C3+um]
4) IV coniugazione N
Caratteristica della coniugazione N è l’ampliamento tematico na- premesso alla radice
verbale; questo tema verbale funge da passivo del tema G nei verbi di azione, mentre
nei verbi di stato ha valore ingressivo.
Formazione dell’infinito:
[na C1 C2 ŭ C3+um]
GeN DeŠ
III s. i- u-
II s. ta- tu-
I s. a- u-
III pl. i- u-
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4.3. LE FORME VERBALI.
Ciascuna coniugazione prevede 8 forme:
1) preterito
2) presente-futuro
forme personali
3) perfetto
4) stativo o permansivo
5) infinito
6) participio forme impersonali
7) aggettivo verbale
8) imperativo
Il preterito indica un’azione passata, istantanea e puntuale; nelle proposizioni secondarie può
esprimere un’azione anteriore a quella della principale (corrisponde dunque al piuccheperfetto
italiano).
Il perfetto si usa per indicare un’azione compiuta; in una frase che riguarda il passato, se due
o più verbi sono coordinati, l’ultimo si mette al perfetto.
Il presente esprime la qualità durativa dell’azione, indipendentemente dal tempo in cui essa
avviene.
Lo stativo (o permansivo) indica che il soggetto si trova nella condizione espressa dalla
radice verbale.
Il participio (che non tutti i verbi esprimono) indica la persona che sta facendo l’azione (es:
pārisum = colui che sta tagliando).
L’aggettivo verbale è la nominalizzazione dello stativo: denota infatti una qualità o un modo
di essere in cui il soggetto si trova o viene a trovarsi in seguito a un’azione fatta o subita..
Ogni coniugazione può poi essere ampliata mediante l’inserimento, all’interno della radice,
di:
-t- per indicare reciprocità e riflessività (nella coniugazione G) o il passivo (nelle
coniugazioni D e Š );
-tan- per indicare ripetitività dell’azione.
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D prrs: ‘spezzare in mille pezzi’; Dt ptrrs: ‘essere spezzati in mille pezzi’; Dtn ptnrrs: ‘solere
spezzare in mille pezzi’
Š šprs: ‘far tagliare’; Št štprs: ‘essere fatto tagliare’; Štn štnprs: ‘essere soliti far tagliare’
N nprs: ‘essere tagliato’; Ntn ntnprs: ‘solere essere tagliato’ (ovviamente Nt non esiste perché
non può esistere il passivo del passivo).
4.4.1. CONIUGAZIONE G
Preterito:
[pref. pron.-C1C2VradC3]
i-prus
La vocale di radice della coniugazione G non si può prevedere, tuttavia spesso i verbi di moto
usano la vocale “u”.
Sulla base della vocale che compare al preterito e quella che compare al presente
distinguiamo 4 diverse classi di verbi:
- a/a işbat/işabbat: ‘egli prese/prende’
- i/i ipqid/ipaqqid: ‘egli confidò/confida”
- u/u ilmun/ilammun: ‘egli era cattivo/è cattivo’
- u/a iprus/iparrad: ‘egli tagliò/taglia’.
Preterito G:
m. ta-C1C2VradC3 taprus
II s.
f. ta-C1C2VradC3-ī taprusī
I s. m. e f. a-C1C2VradC3 aprus
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II pl. m. e f. ta-C1C2VradC3-ā taprusā
Presente-futuro:
[pref. pron.-C1ă C2C2VradC3]
I aparras
II taparras / taparrasī
III iparras
I niparras
II taparrasā
III iparrasū/iparrasā
Il perfetto è utilizzato per indicare un’azione avvenuta nel passato dopo un’altra azione
(espressa in preterito); caratteristica del perfetto è l’infisso -ta-
[pref. pron.-C1-ta-C2VradC3]
I aptaras
II taptaras / taptarsī
III iptaras
I niptaras
II taptarsā
III iptarsū / iptarsā
I parsāku
II parsāta / parsāti
III paris / parsat
I parsānu
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II parsātunu / parsātina
III parsū / parsā
Le tre forme impersonali (infinito, participio e aggettivo verbale) sono forme nominali, quindi
indeclinabili.
L’aggettivo verbale è la nominalizzazione dello stativo:
*paris+um > *parisum > parsum
Se lo stativo “paris” significa ‘essere tagliato/deciso’, l’aggettivo verbale “parsum” ha il
significato di ‘tagliato/deciso’.
Essendo un aggettivo, deve concordare in genere, numero e caso con il sostantivo a cui si
riferisce:
M. F.
s. parsum paristum
M. F.
II s. purus pursī
II pl. pursā
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4.4.2 CONIUGAZIONE GT
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Perfetto:
*iptatanras > iptatarras
Stativo:
*pitanrus > pitarrus
Aggettivo verbale e infinito:
pitarrusum
Participio:
*muptanrisum > muptarrisum
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4.5. CONIUGAZIONE D E SUOI DERIVATI.
4.5.1. CONIUGAZIONE D.
La coniugazione D, che prevede il raddoppiamento della consonante mediana di radice in
tutte le forme, ha un significato fattitivo: indica l’azione che conduce allo stativo G.
Es: palāhum, ‘temere’
stativo G: palih, ‘essere spaventato’
infinito D: pulluhum, ‘spaventare’.
lamādum, ‘sapere’
stativo G: lamid, ‘egli è sapiente’
infinito D: lummudum, ‘insegnare’.
Per quanto riguarda la vocalizzazione, va notato che le vocali sono imposte dalla
coniugazione:
-ĭ- per il preterito e il perfetto
-ă- per il presente.
Preterito:
[pref. pron.-C1 ă C2C2 ĭ C3]
I s. uparris
II s. tuparris / tuparrisī
III s. uparris
I pl. nuparris
II pl. tuparrisā
III pl. uparrisū / uparrisā
Presente:
[pref. pron.-C1 ă C2C2 ă C3]
uparras
Perfetto:
[pref. pron.-C1 ta C2C2 ĭ C3]
uptarris
Stativo:
la vocale caratteristica è la -u-
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III s. purrus / purrusat
III pl. purrusū / purrusā
Aggettivo verbale:
s. purrusum / purrustum
pl. purrusūtum / purrusātum
Infinito:
purrusum
Participio:
muparrisum / muparristum
4.5.2. CONIUGAZIONE DT
Preterito:
uptarris
Presente:
uptarras
Perfetto:
uptatarris
Stativo:
putarrus
Aggettivo verbale:
putarrusum / putarrustum
putarrusūtum / putarrusātum
Infinito:
putarrusum
Participio:
muptarrisum / muptarristum
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4.5.3. CONIUGAZIONE DTN
4.6.1. CONIUGAZIONE Š.
Caratteristica del causativo Š è l’ampliamento tematico mediante il prefisso “ša-”.
Es: kašādum, ‘raggiungere’
ša+kašādum, ‘far raggiungere, inviare’
Proprio come la coniugazione D, utilizza vocali imposte: -i- per il preterito e il perfetto e -a-
per il presente.
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Preterito:
[pref. pron.-ša-C1C2 ĭ C3]
ušapris
Presente:
ušapras
Perfetto:
*u-ša-ta-pris > uštapris
Stativo:
šuprus
Aggettivo verbale e infinito:
šuprusum
Participio:
mušaprisum
4.6.2. CONIUGAZIONE ŠT
Esprime il passivo della coniugazione Š; esistono due forme di Št, che si distinguono
morfologicamente solo nel presente.
Preterito:
*u-ša-ta-pris > uštapris
Presente:
1) uštapras (il vero passivo della coniugazione Š)
2) uštaparras (forma irregolare ma più frequente).
Perfetto:
*u-ša-ta-ta-pris > uštatapris
Stativo:
šutaprus
Aggettivo verbale e infinito:
šutaprusum
Participio:
*mušataprisum > muštaprisum
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4.6.3. CONIUGAZIONE ŠTN
4.7.1. CONIUGAZIONE N.
La sua caratteristica è l’ampliamento tematico “na-” premesso alla radice verbale, che si
assimila quando è seguito da un’altra consonante.
Preterito:
*i-n-paris > ipparis
Presente:
*i-n-parras > ipparras
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Perfetto:
*i-n-ta-pras > ittapras
Stativo:
naprus
Aggettivo verbale e infinito:
naprusum
Participio:
*mu-n-parisum > mupparisum
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Schema riepilogativo della coniugazione N e Ntn:
4.8. IL VENTIVO.
Il ventivo è una modificazione verbale che in genere esprime direzionalità dell’azione verso
chi parla/scrive, sostituendo talvolta i suffissi pronominali. Qualsiasi forma coniugata del
verbo può essere ampliata mediante il ventivo, che si costruisce annettendo al verbo le
desinenze modali “-am” e “-nim” .
-C+am
-V+nim
Es: šapārum, ‘scrivere’
tašpur-am, ‘tu mi hai scritto’
tašpurā-nim, ‘voi mi avete scritto’.
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4.9. SUFFISSI PRONOMINALI
Anche al verbo è possibile aggiungere dei prefissi pronominali, che sono di 2 tipi:
ACCUSATIVO DATIVO
m. -šu -šum
III s.
f. -ši -šim
m. -šunūti -šunūšim
III pl.
f. -šināti -šināšim
4.10. IL CONGIUNTIVO.
La costruzione del congiuntivo è dunque una sorta di nominalizzazione della forma verbale.
Es: ‘mi ha mostrato quello che il re ha preso durante la campagna militare’
ša šarrum ina harrānim işbatu ulammidam.
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4.11. VERBI DEBOLI.
I verbi deboli si distinguono in:
1) di prima consonante debole (verba primae infirmae)
2) di seconda consonante debole (verba secundae infirmae)
3) di terza consonante debole (verba tertiae infirmae).
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invece dabābum, stativo dabib (perché è un verbo d’azione).
Spesso i verbi di media geminata esprimono un’azione che è risultato della ripetizione di tante
piccole azioni.
L’irregolarità dei verbi di media geminata è evidente soltanto nella III persona m.s. dello
stativo G dei verbi che indicano uno stato.
Nei verbi che terminano con vocale ē per assimilazione tutte le “a” si trasformano in “e”:
leqûm, al presente: *ilaqqe > ileqqe.
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III pl. pres. G: ibannû
III pl. pret. Š da kalûm: ušaklû
II pl. pret. Dt da banûm: tubtannâ
part. G di banûm: bānûm
part. D: mubannûm
part. Š: mušabnûm.
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