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AMORERIVALITA’GIORNALISM
OLIBERTA’SOGNOPAZZIARIVO
LTABUDAPESTSTALINCOMUNIS
MOAMORERIVALITA’GIORNALI
SMOLANALISI
IBERTA’ SOGNO
SEMIOTICA DELPAZZIARI
FILM
VOLTA
BUDAPESTSTALINCOMUNISMO
AMORERIVALITA’GIORNALISM
Un film di
OLIBERTA’INDRO
SOGNO P
MONTANELLI
(1961)
AZZIAR IVO
LTABUDAPESTSTALINCOMUNIS
MOAMORERIVALITA’GIORNALI
SMOLIBERTA’SOGNOPAZZIARI
VOLTABUDAPESTSTALINCOMU
NISMO
1
I SOGNI MUOIONO ALL’ALBA
LA SCHEDA
Regia:
Mario Craveri,
Enrico Gras,
Indro Montanelli
Interpreti:
Lea Massari (Anna Miklos)
Aroldo Tieri (Antonio)
Mario Feliciani (Mario)
Ivo Garrani (Andrea)
Gianni Santuccio (Gianni)
Rina Centa (Ethel)
Renzo Montagnani (Sergio)
Durata: h 1.32
Nazionalità: Italia 1961
Genere: drammatico
Al cinema nell'Agosto 1961
Trama:
A Budapest, la notte tra il 3 e il 4 novembre 1956, cinque giornalisti italiani
aspettano in una camera d'albergo l'arrivo dei carri armati sovietici che
soffocheranno la rivolta popolare. Crisi di coscienza, tentato suicidio,
disillusioni. Un giovane militante comunista decide di morire al fianco di una
rivoltosa ungherese. Da una pièce teatrale (1960) di I. Montanelli.
Altro:
David di Donatello 1962 a Lea Massari.
Revisione Ministero Ottobre 1997.
2
I FATTI UNGHERESI:
PRELUDIO - Per spiegare la rivolta ungherese dobbiamo partire dai primi
decenni del ‘900: nel 1919 l’Ungheria sostenne una rivoluzione democratico
borghese, che la portò ad un periodo di relativo benessere. In seguito “negli
anni Trenta, il reggente d'Ungheria, il militarista di destra Miklós Horthy, strinse
un'alleanza con la Germania Nazista, nella speranza di recuperare alcune delle
perdite territoriali dovute al Trattato di Trianon che fece seguito alla prima
guerra mondiale. Avendo guadagnato dei territori grazie alle concessioni dei
due arbitrati di Vienna e nel Banato, l'Ungheria entrò infine nella seconda
guerra mondiale nel 1941, combattendo principalmente contro l'Unione
Sovietica. […] Successivamente alla seconda guerra mondiale, i confini
vennero ripristinati in modo quasi identico a quelli del 1920. L'Ungheria
divenne parte della sfera di influenza sovietica, e dopo un breve periodo di
democrazia multipartitica, si trasformò [dopo le elezioni truccate del ’47 n.d.a]
in uno stato comunista a partire dal 1949. Le truppe sovietiche avevano
occupato l'Ungheria fin dal 1944; inizialmente come esercito invasore e forza di
occupazione, quindi su invito nominale del governo ungherese, e infine in base
a quanto richiesto dall'appartenenza dell'Ungheria al Patto di Varsavia. Il 5
marzo 1953 Stalin muore, lasciando un vuoto di potere al vertice dell'Unione
Sovietica. Si apre quindi una fase caratterizzata da un breve periodo di relativa
"destalinizzazione" - nella quale venne tollerato qualche velato sentimento
anti-stalinista. La maggior parte dei partiti comunisti europei iniziò a esprimere
un'ala revisionista.”1
1
Tratto da Wikipedia alla voce “Rivolta ungherese del ‘56”
3
sei giorni, alla fine per stanchezza e fame chiesero il cessate il fuoco.
Cominciarono le trattative tra le forze di occupazione sovietiche e i consigli dei
lavoratori. János Kádár, capo del Partito Socialista Ungherese dei Lavoratori,
formò un nuovo governo, col supporto dell'URSS. Lo sciopero generale, però,
con sporadici attacchi della resistenza armata, proseguì fino al 1957.
2
S.Gerbi, R. Liucci, Lo stregone. La prima vita di Indro Montanelli, Einaudi, Torino, 2006, p. 344
4
che la «classe operaia» avesse per ideali soltanto il frigidaire
e la televisione, e che le rivolte nascessero dall'indebolimento
e dall'incertezza dell'oppressore, più che dalla determinatezza
e dal coraggio degli oppressi. Ora, di queste mie certezze non
rimane in piedi nemmeno un frammento. L'Ungheria è stata
ed è tuttora un popolo in armi, di cui gli operai e gli studenti,
che son tutti figli d'operai, costituiscono la truppa d'urto.
Costoro non si battono per il frigidaire e la televisione, per i
quali si può fare, al massimo, uno sciopero d'accordo coi
carabinieri. Si battono, e continuano a battersi, contro un
avversario di cui non possono sottovalutare la strapotenza e
la brutalità. E non si è trattato soltanto di un'ubriacatura
momentanea. Lo si poteva credere durante la prima rivolta,
dal modo com'era nata, senza capi né programma. Ma chi ha
visto quella città sorpresa nel sonno da cinquemila carri
armati, avventarglisi contro compatta, ogni casa trasformata
in fortino, ogni finestra in feritoia, e pavimentare di morti le
sue strade in quattro giorni e quattro notti di accanita batta-
glia, eppoi, rimasta senza munizioni, incrociare le braccia e
lasciarsi arrestare, fucilare, deportare, morire di fame e di
freddo, piuttosto che collaborare; eh no, chi ha visto questo,
all'ipotesi della sbornia non può più credere.”3
Quello della lotta di comunisti contro comunisti era il messaggio che traspariva
da ogni articolo di Montanelli e di altri giornalisti che come lui analizzavano la
realtà e non la stravolgevano per tornaconto. L’esperienza di Budapest toccò
profondamente Montanelli e lo portò, negli anni successivi, ad essere un po’
meno intransigente con chi la pensava in maniera estremamente opposta alla
sua. Subito dopo il ’56 furono molti i comunisti che abiurarono la loro “fede” e
si convertirono a ideologie più moderate, ma questo non sconvolse Indro. Egli
era convinto che le ideologie, come le religioni, stessero perdendo affiliati e
non condannava il voltagabbanismo perché “anche noi eravamo così”, anche
lui, come molti contemporanei, aveva abiurato il fascismo, almeno
formalmente, ben prima che Mussolini perdesse il suo posto. Questo
mutamento nelle idee, Montanelli lo aveva subito osservando il conflitto
interiore (ideologico e di coscienza) che, durante le giornate trascorse a
Budapest, aveva investito un suo collega inviato in Ungheria per il quotidiano
“L’Unità”: Alberto Jacoviello. Si erano incontrati per la prima volta in quella
nefasta occasione, nella capitale magiara. Così, Montanelli, dalle pagine di
“Repubblica” ha raccontato l'incontro: “Ero a Budapest per il Corriere. Ci
trovammo assiepati nello stesso albergo, noi giornalisti e il Quartier generale
della rivolta. Lui, l'inviato dell'Unità era un personaggio brusco. Non
risparmiava il sarcasmo nei riguardi di chi, come me, incarnava ai suoi occhi la
"reazione ". II primo approccio fu perciò difficile. Ma io capii che, se forzava i
toni, lo faceva per proteggersi. Era lacerato e non voleva riconoscerlo. II che mi
spinse ad apprezzarlo. Soprattutto a non infierire con battute importune, su ciò
che doveva passargli nell'animo. (..). In quel clima di disperazione Jacoviello si
3
I. Montanelli, La sublime pazzia della rivolta. L’insurrezione ungherese del 1956, Rizzoli,
Milano, 2006, pg. 89 (raccolta di tutti gli articoli scritti da M. sulla rivolta ungherese)
5
mostrò d’altronde un eccellente collega: non profittò mai della posizione di
privilegio che, almeno in teoria, doveva venir riconosciuta a un comunista in un
paese comunista. “ Montanelli, in seguito, nel 1960 partì dalla figura di
Jacoviello per impostare la sua pièce teatrale “I sogni muoiono all’alba”. Nel
1961 da quest’opera trasse il film omonimo di cui ne fu anche regista.
PIECE vs. FILM - “La pièce in due tempi riferisce la drammatica situazione
di cinque reporter italiani, alloggiati nella periferia di Budapest, quando, all’alba
del 4 novembre, un rombo di cannone annunzia la controrivoluzione. Sapranno
resistere, gli ungheresi, ai carri armati sovietici? Che cosa fare? Fuggire o
restare? Quale atteggiamento assumere dinanzi agli invasori? Le diverse scelte
portano sulla scena la storia personale di ognuno, in un intrico di miseria
morale e di riscatto, di seducenti miraggi e di nostalgie svanite. La commedia è
solcata da un senso di tristezza per il tramonto dei sogni e per la
consapevolezza della relatività e mediocrità delle umane vicende.” La pièce
teatrale si concentra in modo più marcato sul fattore politico, mentre la
trasposizione per il grande schermo è più incentrata sulla storia d’amore tra la
partigiana e il giovane giornalista. Fra i personaggi principali della pièce non
trova collocazione quello di Franco, ma viene sostituito dalla figura di Mario,
personaggio di navigata esperienza che si può ricondurre per tipologia alle
figure dei “maestri di mestiere” per quanto riguarda la formazione di Montanelli
(Longanesi, Papini, Pajetta, ecc.). Nella sceneggiatura per il teatro, inoltre,
Montanelli chiama Alberto, il giornalista stalinista, come il collega a cui è
ispirata l’opera. In seguito nel film gli cambia il nome in Antonio – forse per una
forma di pudore di una “fama”, bella o buona, ma comunque immortale
(ricordiamo che il film è girato nel 1961, molto vicino all’epoca di cui si parla).
7
Antonio e una visione metaforica della carriera giornalistica, il film analizzato
nasconde un’interpretazione, attraverso l’uso di un’allegoria, della storia
ungherese fino al 1956. Mi spiego meglio: secondo la mia visione, Ethel – la
centralinista appena liberata da un campo di concentramento – rappresenta la
“Vecchia Ungheria”, l’Ungheria che ha combattuto nel 1919 per la repubblica e
che nel 1947 è stata sottomessa dall’influenza sovietica. Anna, invece, la
giovane partigiana, rappresenta la “Nuova Ungheria”, quella che ha
combattuto la tirannia il 23 ottobre ’56. A conferma di questa mia
supposizione, posso evidenziare l’uso che i registi fanno dell’abito da sera.
Ethel regala il suo abito da sera alla figlia Anna. Questo rappresenta il
passaggio di un certo “coraggio”, di una certa voglia di libertà, di sognarla,
almeno. Un passaggio dalla Vecchia Ungheria, quella che ha combattuto per la
repubblica, ad una Nuova Ungheria che con il mitra in mano si appresta a
combattere l’oppressore sovietico. Il tutto è supportato e concentrato nella
scena della prova dell’abito, verso la metà del film. La scena ha inizio con
Andrea che, dopo aver posizionato strategicamente l’abito da sera per farlo
trovare subito da Anna, si sofferma un solo istante e poi con fare liquidatorio e
deciso gira il ritratto di Stalin che ha campeggiato oppressivamente fino a
quell’istante nella stanza . Anna entra, infila l’abito, dando le spalle allo
specchio, si sveste del giubbotto militare che era stato il suo unico indumento
fino a quella scena. Questo cambio dura un attimo, il tempo di un ultimo ballo.
Una delle ultime scene del film, infatti, vede Anna che ritorna ad indossare
ancora il giubbotto militare con in più un fucile a tracolla. Ridà il vestito da
sera alla madre, dopo averlo mestamente arrotolato, come per ribadire che i
sogni sono finiti e che incomincia la dura lotta contro la realtà dei carri armati.
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Il fatto stesso di credere nel sogno di libertà, anche se a tratti sembra
drammaticamente svanire, ti avvicina sempre di più al suo raggiungimento. I
sogni muoiono all’alba, ma prima di quell’alba essi sono permeati di realtà, di
quella realtà che solo con la complicità delle pieghe della notte sa trasformarsi
in certezza e preludio di quei fatti che troveranno la loro piena espressione di
libertà solo dopo molti anni a venire. Vanno solo alimentati…
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