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Pertanto, queste mie riflessioni vogliono essere solo un primo approccio alla Costituzione, in vista
del lavoro che ci attende nel futuro prossimo1.
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Per la verità, non è chiarissimo se anche gli Istituti saranno chiamati a esprimersi al fine di adattare le indicazioni
generali della Costituzione alle diverse tradizioni carismatiche. Infatti, nella parte dispositiva di VDQ all’art. 2 §3, si
afferma che: «La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica – qualora necessario
in accordo con la Congregazione per le Chiese Orientali o la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli –
regolerà le distinte modalità di attuazione di queste norme costitutive, secondo le diverse tradizioni monastiche e
tenendo conto delle differenti famiglie carismatiche». Parrebbe quindi, salvo meliori judicio, che tutto il lavoro debba
essere fatto dalla Congregazione nell’Istruzione pratica che seguirà alla Costituzione.
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Dunque, già a partire dalle conclusioni della Plenaria del novembre 2008 si era lavorato a un nuovo
documento sulla vita claustrale. Tale documento aveva per oggetto soprattutto la questione
dell’autonomia dei monasteri3 e le modalità di gestirla, in particolare quando i monasteri, pur
godendo di autonomia giuridica, non godono di autonomia vitale. Si tratta di una questione molto
complessa, che coinvolge una intricata rete di relazioni del monastero sui juris con le varie istanze
dell’autorità ecclesiale, e cioè:
la Congregazione degli Istituti di vita consacrata;
l’Ordinario del luogo, specialmente nel caso dei monasteri isolati, cioè non associati a un
Istituto maschile (cfr. can. 615);
il Superiore Maggiore dell’Istituto maschile, nel caso di monasteri associati al ramo
maschile della stessa famiglia religiosa (come nel caso delle carmelitane scalze), in base al
can. 614;
la Federazione (o Associazione) di monasteri nel caso di monasteri federati.
Come spiega P. Paciolla, si trattava di «intervenire, per integrarla», sulla Costituzione Apostolica
Sponsa Christi, il che ovviamente superava le competenze della Congregazione e richiedeva
l’approvazione del S. Padre.
Perché si è ritenuto opportuno intervenire su quanto stabilito da Sponsa Christi? La ragione
fondamentale è che, in determinate situazioni, oggi sempre più numerose, l’autonomia giuridica del
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S. PACIOLLA, Il monastero autonomo: tra potenzialità e limiti; la si può trovare nel web, per esempio all’indirizzo:
http://www.vitanostra-nuovaciteaux.it/it/wp-content/uploads/Paciolla-Il-monastero-autonomo.pdf.
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Can. 613: «[§1] Una casa religiosa di canonici regolari o di monaci, sotto il governo e la cura del proprio Moderatore,
è una casa sui juris, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti. [§2] Il Moderatore di una casa sui juris è, per
diritto, Superiore maggiore» (in base al can. 606, ciò che si dice per gli istituti di vita consacrata e i loro membri «vale a
pari diritto per entrambi i sessi»).
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monastero diventa «fonte di problemi ed anche ostacolo all’aiuto». Molti monasteri si trovano in
situazione critica, a motivo o dell’esiguità del numero e delle forze della comunità, o della qualità
della formazione iniziale e permanente, e tuttavia è estremamente difficile intervenire per
correggere tali situazioni, se la stessa comunità, giuridicamente autonoma, non decide di chiedere
aiuto.
Più difficile è dire verso quali nuove soluzioni ci si volesse orientare. Il P. Paciolla presenta
alcune proposte, che probabilmente corrispondono all’impostazione della prima versione del
documento. Tra queste, le più importanti sono:
La possibilità di affiliare un monastero in difficoltà momentanea a un altro monastero più
solido e vitale, sospendendone temporaneamente l’autonomia giuridica.
Nel caso di un monastero in difficoltà strutturale, ossia non legata a una situazione
passeggera, si propone di sospenderne definitivamente l’autonomia e di affidare il
monastero alla “tutela” di un altro monastero, perché si avvii il processo di soppressione e/o
di fusione.
Più in generale, si cerca di superare l’isolamento dei monasteri, «caldeggiando il
collegamento tra loro nelle varie forme previste dal diritto oppure associandoli con
maggiore vincolo giuridico agli Istituti maschili».
Riguardo alle Federazioni dei monasteri, «si deve andare incontro aggiungendo specifiche
competenze a quelle legate all’ufficio di Presidente Federale, al consiglio e all’assemblea
della Federazione». Il P. Paciolla è dell’avviso che «le congregazioni monastiche femminili
in quanto tali e le federazioni con alcuni poteri aggiunti possano essere un logico
bilanciamento tra autonomia del monastero ed esigenze di centralismo, ponendosi come
istanze intermedie tra i singoli monasteri sui juris ed il Dicastero».
Queste proposte, formulate nel gennaio del 2016 da un sottosegretario della Congregazione, danno
un’idea di ciò che gli addetti ai lavori si attendevano dal nuovo documento pontificio.
Oltre al tema dell’autonomia giuridica dei monasteri, era stato annunziato da mons. Carballo
nella conferenza stampa del 31 gennaio 2014 che, per mandato del S. Padre, si sarebbe proceduto
anche alla revisione dell’Istruzione Verbi Sponsa, includendo pertanto anche la questione della
clausura.
Per quanto riguarda la normativa sulla clausura, essa è stata aggiornata più volte, dopo
Sponsa Christi:
Nel 1966 il Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, n.32 abolì la clausura papale minore e indicò
come possibili solo due tipi di clausura: quella papale per le monache integralmente
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Can. 667 §3: «I monasteri di monache interamente ordinati alla vita contemplativa devono osservare la clausura
papale, cioè conforme alle norme date dalla Sede Apostolica. Tutti gli altri monasteri di monache osservino la clausura
adatta all'indole propria e definita dalle costituzioni».
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normativa. Mi soffermerò solo sui temi che mi paiono contenere le novità più significative,
commentando insieme i numeri della parte espositiva e quelli corrispondenti della parte dispositiva.
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Nella nota 33 si rimanda anche a CIC can. 664; ritengo che si tratti di un errore di stampa. Probabilmente il rimando
corretto è al can. 660, che pone l’esigenza di una formazione capace di integrare la dimensione dottrinale e quella
pratica.
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la Costituzione richiede che «siano elaborati dei criteri per assicurare il compimento di
ciò».
Si raccomanda di promuovere «case di formazione iniziale comuni a vari monasteri», al fine
di «assicurare una formazione di qualità» (art. 3 § 7). Tale raccomandazione può apparire
non del tutto coerente con quanto affermato al n. 14, ossia che «il luogo ordinario dove
avviene il cammino formativo è il monastero». Si può, tuttavia, intendere che quando dei
monasteri non sono in grado di assicurare una formazione adeguata, è possibile, anzi
raccomandabile che si creino case di formazione iniziale comuni a più monasteri. Si tratta
comunque di una innovazione di notevole portata per dei monasteri di vita contemplativa,
che dovrebbero essere autosufficienti «soprattutto nel campo della formazione» (VS 24).
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La nota 69 riporta una serie di riferimenti a canoni del CIC. Anche qui si rileva un probabile errore di stampa: il can.
1428 § 1-2 è senza dubbio da leggere come can. 1427 § 1-2.
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monasteri autonomi e il Dicastero competente per la vita consacrata (come si esprimeva P. Paciolla
nel testo su citato). Nella parte dispositiva, però, al § 3 si afferma che la Congregazione «stabilirà
le competenze della Presidente e del Consiglio della federazione», lasciando quindi intendere che
in proposito potrebbe esserci qualche novità (nell’Istruzione applicativa? O la Congregazione
deciderà caso per caso?).
Neppure viene risolta la questione della obbligatorietà o meno dell’Assistente religioso, che
è stata posta a partire dal decreto emanato dalla Congregazione nel settembre 2012. A tale
questione non viene fatto minimamente cenno né nella parte espositiva, né in quella dispositiva (il
che potrebbe significare che non si intende innovare rispetto alla libertà della federazione di avere
o no un Assistente).
La novità più importante si trova all’art. 9 § 1, dove si dice che «inizialmente tutti i
monasteri dovranno far parte di una federazione». L’affermazione sarebbe stata certamente più
chiara senza l’avverbio “inizialmente” (che in spagnolo è stato tradotto con “en principio”, in
francese con “tout d’abord”, in inglese con “initially”). Come si deve interpretare, pertanto, questa
espressione? Secondo le parole di mons. Carballo nella presentazione del documento, «tutti i
monasteri dovranno essere federati», ma si ammette la possibilità di eccezioni a giudizio della S.
Sede. L’avverbio, pertanto, non sembra così importante, mentre lo è la frase successiva che
ammette la possibilità di chiedere alla Congregazione una sorta di dispensa dall’obbligo di
appartenere a una federazione.
Il § 2 dell’art. 9 apre alla possibilità di costituire federazioni «non solo secondo un criterio
geografico, ma di affinità di spirito e di tradizioni». Le applicazioni pratiche di tale possibilità
suscitano parecchi interrogativi: si possono federare monasteri molto distanti geograficamente o
che parlano lingue diverse? Anche in questo caso bisognerà attendere le indicazioni più concrete
che verranno date dalla Congregazione.
Finalmente, il § 4 afferma che «si favorirà l’associazione, anche giuridica, dei monasteri
all’Ordine maschile corrispondente». Per quanto riguarda le carmelitane scalze dei monasteri del
’91 tale associazione già esiste (a differenza dei monasteri del ’90). A mio parere, non è da
confondere l’associazione all’Ordine con la giurisdizione o vigilanza del Superiore del monastero.
In altri termini, il documento non sta dicendo che si preferirà che i monasteri siano collocati sotto
la giurisdizione del Superiore religioso, anziché del Vescovo diocesano. Neppure la Costituzione
attribuisce maggiori competenze riguardo alle monache al ramo maschile dell’Ordine o al
Superiore Generale, per cui anche questa via di decentralizzazione non è stata percorsa, come del
resto era prevedibile.
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clausura su misura delle diverse comunità (una bespoke enclosure). Ma ancora una volta vedremo
quali precisazioni l’Istruzione apporterà su questa materia.
3. Conclusioni
Mi sono soffermato solo su cinque dei dodici temi trattati in VDQ e ho cercato di
interpretarli alla luce del dibattito che in questi anni si sta svolgendo sulla vita contemplativa delle
monache.
La Costituzione è, in buona misura, un testo di tipo esortativo e, anche nelle sue
determinazioni dispositive, non intende modificare il quadro giuridico esistente. In questo senso,
forse, non era strettamente necessario che il documento comparisse come Costituzione Apostolica.
Le disposizioni tengono conto della reale complessità e multiformità della vita contemplativa
femminile e la accolgono senza tentare di uniformarla, ma al contrario riconoscendo in essa «una
ricchezza e non un impedimento alla comunione, armonizzando sensibilità diverse in un’unità
superiore» (VDQ 31).
Molte domande restano ancora aperte e sarà compito prossimo della Congregazione fornire
le risposte con l’emanazione di norme applicative. Sarà, tuttavia, difficile – dato il quadro definito
dalla Costituzione – che si possano considerare risolte le questioni fondamentali riguardo alla vita
dei monasteri contemplativi femminili, che – in base all’esperienza del nostro Ordine – riassumerei
in tre punti: l’eccesso di centralizzazione, la scarsa vigilanza sui singoli monasteri e
l’indebolimento dell’unità tra ramo maschile e ramo femminile della stessa famiglia carismatica.