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Stefano U.

Baldassarri

CAPOLAVORO O ‘SPAMMING’ CINQUECENTESCO?


IL DISCORSO INTORNO ALLA NOSTRA LINGUA ATTRIBUITO A
MACHIAVELLI

La figura di Niccolò Machiavelli ha sempre suscitato reazioni accese e, spesso,


contrastanti, come testimonia l’esistenza di un’intera scuola di pensiero che, più
o meno coerentemente, si identifica proprio nell’opposizione ai dettami poli-
tici del segretario fiorentino.1 A livello interpretativo, tali contrasti si avvertono
per tutte le sue opere, motivati – almeno in parte – anche dal carattere spesso
volutamente complesso della prosa machiavelliana.2 Un problema ancora più
spinoso è rappresentato dal Discorso intorno alla nostra lingua, dove le difficoltà
insorgono non solo a livello testuale (e fin dal titolo, come spesso accade)3 ma
addirittura attributivo.4 I giudizi circa questo scritto appaiono quindi partico- 59
larmente differenziati – registrando ampie oscillazioni – se non addirittura op-
posti in diversi casi. Se da un lato, infatti, alcuni hanno visto in quest’opera “il
capolavoro della fase cinquecentesca della disputa linguistica” e lo assegnano
senza dubbio alcuno a Machiavelli,5 altri lo considerano addirittura un falso, e
nemmeno troppo ben confezionato. È, quest’ultima, la nota tesi di Mario Mar-
telli, da lui stesso così sommariamente esposta in un ampio studio interamente
dedicato a sconfessare la paternità machiavelliana del Discorso:

[…] questa è l’ipotesi di lavoro intorno alla quale ci accingiamo a lavorare: tra il 1576
ed il 1577, una persona che tutto lascia credere fiorentina ed informata delle faccende
dell’Accademia, di spiriti antimedicei, incline alla beffa (o ‘giarda’, o ‘berta’, o ‘baia’)
di antica tradizione in Firenze, non in tutto digiuno di studi filosofici, ma quasi asso-
lutamente ignaro di questioni linguistiche, decide di perpetrare una gigantesca burla
alle spalle degli Accademici, confezionando un falso scritto intorno alla lingua da at-
tribuire a Niccolò Machiavelli; ma, consapevole della sua ignoranza linguistica, si serve
come falsariga per la sua opera di una lettera, inviata non sappiamo a chi qualche anno
prima da Vincenzio Borghini, come risposta polemica alle tesi sostenute nei passati
giorni contro la fiorentinità della lingua, dal Trissino col Castellano (in favore della lin-
gua italiana) nel 1529, dal Muzio con la lettera a Renato Trivulzio (stessa posizione del
Trissino) pubblicata nel 1551, dal Tolomei col Cesano (in favore della toscanità della lin-
gua) pubblicato nel 1555: Trissino e Muzio sono gli inonestissimi, Tolomei (e, forse, come tandolo di un doveroso – seppur agile – saggio introduttivo e alcune note espli-
nell’Ercolano, il Dolce) i meno inonesti; quanto agli altri che si eran battuti per la fio- cative.
rentinità della lingua, a parte il Bembo, è evidente che si alludeva ai fiorentini puro san- Dal punto di vista filologico l’attribuzione del testo a Machiavelli si basa in-
gue, come, per fare un nome o due, il Lenzoni e il Giambullari.6 nanzitutto sulla testimonianza del figlio Bernardo, il quale afferma – secondo
quanto riporta Giuliano de’ Ricci nell’avvertenza alla sua copia del Discorso –
Nell’ampio scenario che separa il “capolavoro” dal “mostriciattolo” – come in di aver visto questo scritto del padre negli anni della giovinezza.16 Già si è detto
un altro passo della sua monografia Martelli definisce quest’opera –7 trovano delle opposte tesi di eminenti critici quali Martelli e Ridolfi. Più recentemente,
spazio numerosi, disparati giudizi, talvolta segnati da notevole animosità, più la posizione assunta da Giorgio Inglese – improntata a un’intelligente ed eru-
spesso (in particolare negli ultimi anni) improntati alla cautela e alle sfuma- dita cautela – risulta utile a spiegare diverse difficoltà del Discorso senza esclu-
ture che una questione così complessa dovrebbe sempre suggerire, specie se con- derne la paternità machiavelliana. Il trattatello linguistico, secondo l’ipotesi di
testualizzate in quel periodo, ossia il Cinquecento, che (per citare da un cele- Inglese, sarebbe un testo incompleto cui Machiavelli pose mano nella seconda
bre saggio di Cesare Segre) oltre a essere “il secolo climaterico nella vita della metà del settembre 1524, dedicandovi saltuarie attenzioni fino all’inizio del-
lingua italiana”, “fece vere orge di teoria” – nota lo studioso – “non solo per la l’anno successivo;17 a quel punto – terminata la Clizia, impegnato nella stesura
letteratura, ma per tutte le arti”.8 Alla prima categoria (altamente elogiativa, cioè, delle voluminose Istorie fiorentine, “e fors’anche insoddisfatto per la fisionomia
del testo in questione) appartengono le parole di Cosimo Ridolfi, che riteneva comunque assunta dall’operetta” –18 egli avrebbe mostrato il Discorso così co-
il Discorso senz’altro machiavelliano, come rivelerebbe lo stile o, per meglio dire, m’era (ossia incompleto e ancora in uno stato di abbozzo) a Ludovico Martelli,
il piglio stesso, la ‘verve’ dello scritto, “quel suo fiorentinissimo spiritaccio”.9 Ma il quale se ne servì (forse) per la sua Risposta al Trissino. In un secondo periodo
tale ‘expertise’ – perché di questo in sostanza si tratta, ossia un’attribuzione su il Discorso sarebbe finito nelle mani di un anonimo rimaneggiatore, il quale, in-
basi meramente stilistiche – ha suscitato vari dubbi in altrettanto insigni stu- tervenendo sul testo, avrebbe inserito quelle incongruenze di stile e contenuto
diosi. Ciò conferma, al contempo, una duplice verità: la prima, più volte ripe- (oltre a inevitabili errori di trascrizione) che tante incertezze hanno causato ai
60 tuta in vari secoli (nel Cinquecento, ad esempio, dallo stesso Machiavelli, da moderni filologi.19 61
Etienne Dolet e da Philip Sidney),10 è che, per citare le parole di Clive Staples Concordo con Inglese circa la genesi e la diffusione di questo testo, ritenendo
Lewis, “A language has its own personality”.11 La seconda, più difficile da de- cioè il Discorso uno scritto machiavelliano o – per meglio dire, adottando il les-
terminare ma altrettanto indubitabile, è che – ancora secondo la formula di Le- sico del segretario fiorentino – uno dei suoi ‘ghiribizzi’ o ‘badalucchi’, una sorta
wis – “Each personality has his/her own language”.12 di ‘divertissement’ dettato soprattutto dall’acceso spirito patriottico che tutti gli
Non è ora mia intenzione passare in rassegna i molteplici giudizi e le tante riconoscono, giuntoci ancora nello stato di abbozzo20 e forse non destinato a cir-
interpretazioni di cui questo scritto è stato oggetto dopo gli studi dedicatigli da colare, anche una volta rivisto, oltre la cerchia dei più stretti conoscenti. Ritengo
Grayson e Baron nei primi anni Sessanta del secolo scorso;13 ciò è del resto già infatti che Machiavelli non avesse l’intenzione di entrare ufficialmente nella
stato fatto, con esemplare perizia, da diversi recenti editori del testo.14 Basti in discussione linguistica sollevata da Trissino e dalla sua riscoperta del De vulgari
questa sede ripercorrere a grandi linee le tesi oggi prevalentemente accettate dalla eloquentia dantesco,21 né potesse davvero vantarne le necessarie competenze. Ma
critica circa l’autore e la datazione di quest’opera, onde collocarla all’interno di seppur conservatosi a uno stato quasi ancora ‘embrionale’, il testo qui preso in
quel vivace dibattito che animò i letterati italiani del Cinquecento noto col nome esame – come sempre accade (e soprattutto nel Rinascimento) quando l’autore
di ‘questione della lingua’. Si sa che tale disputa è fra gli argomenti più com- si ripropone di ‘serio ludere’,22 ossia esprimere le proprie convinzioni amman-
plessi e, secondo alcuni, noiosi della storia letteraria d’Italia (e forse la seconda tandole in un contesto faceto, irrisorio e persino dissacrante – non va di-
opinione risulta in parte dalla sua innegabile difficoltà, frutto di distinzioni tal- smesso come privo di interesse o significato. Ad esempio, per quanto concerne
volta sottili e capziose, al punto da suscitare irritazione già all’epoca del dibat- il rilievo che le affermazioni machiavelliane in questo breve scritto possono as-
tito stesso).15 Tenendo questi fattori nel debito conto, ciò che qui più interessa sumere alla luce del dibattito traduttologico allora in corso, mi limito a sotto-
è notare il rapporto che può intercorrere fra questo breve trattato attribuito a lineare che il distacco dell’autore da ogni forma di manierismo linguistico sia
Machiavelli (a mio avviso giustamente, come spiegherò fra breve) e le princi- in senso accademico sia esageratamente popolare – unito a una educazione uma-
pali teorie della traduzione allora in voga in Italia; è appunto con tale obiettivo nistica che, seppur non solida e certo assai inferiore a quanto da alcuni ipotiz-
che ritengo opportuno proporlo all’attenzione dei lettori di «Testo a Fronte», do- zato,23 fu comunque presente – lo porta a favorire un idioma vivo e quotidiano
che ben si adatta a una resa fedele dei testi e delle più diverse situazioni lette- L’attento esame della prassi adottata da Machiavelli nei confronti della
rarie. Si può infatti estendere la riflessione di Machiavelli ad ambiti allora in voga commedia di Terenzio da lui riadattata in volgare attende quindi ancora un
quali le traduzioni di testi storici e scientifici, come l’autore pare suggerire nel esame puntuale dal punto di vista traduttologico. Ma è difficile sfuggire al-
par. 8 trattando dei neologismi.24 Ma il caso più evidente – e proposto in modo l’impressione – soprattuto considerando che in quegli stessi giorni l’autore stava
esplicito dallo stesso Machiavelli, fortunato autore teatrale – è quello delle com- lavorando alla Clizia, liberamente ispirata alla Casina di Plauto – che nel suo
medie. Non stupisce, del resto, che sia proprio la parte dedicata al linguaggio tentativo di convincere il personaggio Dante (ossia gli eventuali lettori, a co-
comico (par. 12) quella a risultare la più solida e convincente di tutto il trat- minciare dal Trissino) come la sua Commedia fosse scritta non in un’ipotetica
tatello machiavelliano. Inglese ritiene, probabilmente a ragione, che la stessa lingua italiana, né in un altrettanto vago toscano, bensì in fiorentino Machia-
struttura del testo (e conseguentemente il titolo) vada spiegata con l’interesse velli pensasse anche (se non soprattutto) alla propria produzione teatrale, che
e l’inclinazione naturale dell’autore per il teatro.25 L’attività del segretario fio- già aveva visto il successo della Mandragola e il succitato riadattamento del-
rentino in questo genere artistico è nota, accolta con favore e ben documentata l’Andria terenziana. Certo le circostanze non erano favorevoli all’autore. Firenze
sin dalla sua stessa epoca; negli ultimi decenni, non pochi autorevoli esperti vi aveva ormai perso da tempo – anche a causa del suo atteggiamento nei confronti
hanno dedicato importanti ricerche.26 Nella fattispecie, onde valutare un’even- delle traduzioni in volgare dei classici latini e greci –36 quel primato culturale
tuale coerenza fra teoria e prassi in Machiavelli e considerarne anche le possi- che poteva vantare all’inizio dell’umanesimo. Inoltre, la comparsa delle anti-
bili ricadute in ambito traduttologico, merita concentrarsi sul caso del suo vol- dantesche Prose della volgar lingua di Pietro Bembo a un anno esatto di distanza,
garizzamento dell’Andria. Il tema è stato indagato da Mario Martelli in un suo nel settembre 1525, proponevano un modello ben lontano da quello messo in
contributo di ormai oltre quarant’anni or sono,27 e quindi fornito di alcune ne- pratica da Machiavelli.37 Infine – in uno scenario di poco successivo, nonché
cessarie precisazioni grazie a un successivo studio di Richardson.28 Nel suo eru- più ampio e complesso dal punto di vista geografico, cronologico e culturale –
dito e importante commento alla prima edizione critica dell’Andria,29 Martelli le strategie censorie che la Chiesa avrebbe messo in atto a cominciare dal Con-
tende infatti a trattare il rapporto del traduttore con la fonte latina in modo esa- cilio di Trento, così importanti anche nella storia della lingua italiana,38 si sa-
62 geratamente intellettuale, senza inoltre considerare la possibilità che il testo te- rebbero mosse in senso contrario a tutto quanto propugnato dal segretario fio- 63
renziano a disposizione di Machiavelli potesse risultare in più punti corrotto, rentino. Forse percependo il crearsi di tale situazione con la sua consueta
come invece dimostrato da Richardson, il che spiega non pochi casi di apparente ‘prudenza’, virtù eminentemente politica, Machiavelli decise di non comple-
fraintendimento dell’originale.30 In realtà nella sua resa della commedia tere- tare il suo trattatello, perché se è vero – come si legge nel Discorso (par. 9) – che
ziana Machiavelli mette in atto diverse acute strategie che – per adottare il les- “l’arte non può mai in tutto repugnare a la natura” risulta altrettanto innega-
sico e i criteri proposti da Vinay e Darbelnet nella loro Stylistique comparée du bile, come lui ben sapeva e più volte ebbe a scrivere,39 che dire sempre la verità
français et de l’anglais –31 si configurano di volta in volta come ‘traduzione let- è la peggior forma di pazzia. Onde la scelta di non condurre a termine e far cir-
terale’, ‘modulazione’ e, soprattutto, ‘trasposizione’ ed ‘equivalenza’, giun- colare un testo che – prendendo a prestito una formula di Dionisotti – va a mio
gendo (come ci si attenderebbe nel caso di una commedia da volgersi in altra avviso considerato ulteriore prova “dei tratti imprevedibili, delle subitanee eva-
lingua) a un vero e proprio ‘adattamento’.32 Ad esempio, se non è possibile con- sioni e invenzioni, che caratterizzano il vero e grande Machiavelli”.40
servare una figura retorica quale l’anafora o l’annominazione per motivi lin-
guistici o per i diversi effetti comici che sortirebbero da un adeguamento pas-
sivo del volgare al testo latino, Machiavelli compensa inserendone un’altra nella
sua versione.33 Altrove, poi, adegua espressioni idiomatiche dell’originale alla re-
altà fiorentina nota al suo pubblico, come quando la battuta “Verberibus cae-
sum te in pistrinum, Dave, dedam usque ad necem” viene resa con un “Io ti
manderò carico a morte di mazate a zappare tucto dì in uno campo” ben più
comprensibile agli spettatori dell’epoca (e quindi efficace) rispetto a una tra-
duzione letterale, peraltro non certo difficile in questo caso.34 O, per finire que-
sta breve casistica, la scelta di rendere un’espressione idiomatica come “Facta,
transacta omnia” col corrispettivo fiorentino “Et non mi giova cosa alcuna”.35
9
Cfr. C. Ridolfi, Nota sull’attribuzione del and Place of his ‘Dialogo intorno alla nostra lin-
NOTE ‘Dialogo intorno alla nostra lingua’, «La Bi- gua’, «Bibliothèque d’Humanisme et Re-
bliofilia», 73, 1971, pp. 235-246. L’espressio- naissance», 23, 1961, pp. 449-476. Per un’ac-
1
Mi sto ovviamente riferendo al cosiddet- tegrazione “della lingua” è aggiunta da mano ne citata si trova a p. 237 n. 2. curata bibliografia degli studi in materia ag-
to ‘antimachiavellismo’, su cui si vedano, nel- seriore). Il titolo più comune con cui viene in- 10
Per Machiavelli cfr. infra, Discorso, parr. giornata al 1982 si veda la già citata edizione
la sterminata bibliografia dedicata al segretario dicata, ossia Discorso o dialogo intorno alla no- 8 e 10. Per Dolet cfr. il suo La maniere de bien di Trovato, pp. LXXXII-LXXXVI, cui si aggiunga-
fiorentino, i seguenti studi, ai quali si rimanda stra lingua, deriva dall’avvertenza che prece- traduire d’une langue en aultre, edito con ver- no, per gli ultimi anni, il contributo di Inglese
per ulteriori segnalazioni editoriali: R. De Mat- de la copia del nipote di Machiavelli, Giuliano sione italiana da N. Briamonte in «Testo a qui segnalato alla nota successiva e quello di
tei, Dal premachiavellismo all’antimachiavelli- de’ Ricci (Biblioteca Nazionale Centrale di Fi- Fronte», 25, 2001, pp. 22-31 (introduzione del Simonetta alla nota 19.
smo, Sansoni, Firenze, 1969; R. Bireley, The renze, ms. Pal. E.B. 15.10). Com’è noto, il te- curatore alle pp. 7-21); il passo in questione 14
Si veda, ad esempio, la già citata intro-
Counter-Reformation Prince: Anti-machiavel- sto presenta effettivamente una struttura si legge alle pp. 24-25. Infine, si veda P. Sid- duzione di Sozzi (in particolare pp. XXIV-LXII),
lanism on Catholic Statecraft in Early Modern mista, iniziando in forma di discorso ma as- ney, In difesa della poesia, a cura di G. Del Re cui si aggiunga la postilla di G. Inglese a N.
Europe, University of North Carolina Press, sumendo quindi quella di dialogo. Sul titolo e A.R. Parra, ETS, Pisa, 1997, p. 103. Machiavelli, Clizia, Andria e Dialogo intorno
Chapel Hill NC, 1990 e il recente volume di e la struttura dell’opera si veda anche la nota 11
C.S. Lewis, The Discarded Image. An Intro- alla nostra lingua, Rizzoli, Milano, 1997, pp.
S. Anglo, Machiavelli. The First Century: Stu- 25 all’interno del presente saggio introdutti- duction to Medieval and Renaissance Literatu- 206-209. Ciò non toglie che, più in genera-
dies in Enthusiasm, Hostility, and Irrelevance, vo. Concordo con Paolo Trovato, curatore di re, Cambridge University Press, Cambridge, le, sia vero quanto asserito da V. Fera nella sua
Oxford University Press, Oxford, 2005. Si ve- un’ottima edizione critica di questo testo (An- 1964, p. 6. introduzione alla ristampa dell’ormai classi-
dano anche le interessanti riflessioni svolte in tenore, Padova, 1982), che il titolo da adottarsi 12
Ivi, p. 6, cui si aggiunga, per restare nel- co studio di C. Dionisotti, Gli umanisti e il vol-
G. Giglioni, Ateismo e machiavellismo in età mo- sia Discorso intorno alla nostra lingua. l’ambito degli studi novecenteschi ormai gare fra Quattro e Cinquecento, 5 Continents
derna. Il ritrovato ‘Atesimo Trionfato’ di Tom- 4
Per un’attenta disamina della questione classici in materia, l’affermazione in R. Wel- Editions, Milano, 2003 (edizione originale: Le
64 maso Campanella, «Rinascimento», s. II, 44, attributiva sin dall’editio princeps del 1730 cfr. lek-A. Warren, Teoria della letteratura, trad. it. Monnier, Firenze, 1968), quando a p. XXII scri- 65
2004, pp. 459-468 e G. Mazzotta, Ariosto e Ma- C. Dionisotti, Machiavellerie. Storia e fortuna di P.L. Contessi, Il Mulino, Bologna, 1956, p. ve: “Gli anni a cavallo tra Quattro e Cin-
chiavelli: mondi reali, mondi immaginari, in Id., di Machiavelli, Einaudi, Torino, 1980, pp. 232: «La relazione tra lingua e letteratura, non quecento non sono stati ancora sufficiente-
Cosmopoiesis. Il progetto del Rinascimento, 268-310. Si veda anche il recente saggio di S. bisogna mai dimenticarlo, è una relazione dia- mente esplorati al punto da farci comprendere
trad. it. di S.U. Baldassarri, Sellerio, Palermo, Bionda, Il ‘nodo’ del “Dialogo della lingua” at- lettica e a sua volta la letteratura ha profon- sino in fondo le ragioni e i modi del trapas-
2008, pp. 64-89. tribuito a Niccolò Machiavelli, «Interpres», 28, damente influenzato lo sviluppo della lingua». so dalla cultura umanistica a quella volgare”.
2
Su tale aspetto della prosa machiavellia- 2009, pp. 275-297. 13
Cfr. C. Grayson, Lorenzo, Machiavelli and È chiaro come un tale tema risulti tutt’altro
na, e in particolare sui suoi risvolti nell’am- 5
Tale è il giudizio espresso da B.T. Sozzi a p. the Italian Language, in Italian Renaissance Stu- che marginale anche per le tesi linguistiche
bito delle traduzioni di un testo quale Il prin- LII del saggio introduttivo alla sua edizione (a dies, ed. E.F. Jacob, Faber & Faber, London, di Machiavelli.
cipe in lingua inglese, mi sono brevemente sof- dire il vero non impeccabile) del testo; cfr. N. 1960, pp. 410-432, poi sviluppato nei suoi due 15
Reagì da par suo, con la consueta con-
fermato nel saggio The Taming of the Secreta- Machiavelli, Discorso o dialogo intorno alla no- saggi Machiavelli and Dante, in Renaissance Stu- cinnitas, il Folengo, il quale così ebbe a espri-
ry. Reflections on Some English Translations of stra lingua, a cura di B.T. Sozzi, Einaudi, To- dies in Honor of Hans Baron, eds. A. Molho and mersi nel Baldus: “Plus Bergamasco dat ver-
Machiavelli’s “Il Principe”, «Journal of Italian rino, 1976. J.A. Tedeschi, Sansoni, Firenze, 1971, pp. 361- mocano ab ore / quam centum chiachiarae
Translation», 1, fasc. 2, 2006, pp. 237-253. 6
M. Martelli, Una giarda fiorentina. Il 384 (in versione italiana col titolo Machiavelli queis Florentinus abundat” (“Un vermocan det-
3
Limitandosi ai testimoni utili alla rico- ‘Dialogo della lingua’ attribuito a Niccolò Ma- e Dante. Per la data e l’attribuzione del ‘Dialo- to da una bocca bergamasca è più efficace del-
struzione del testo, l’opera è trascritta priva di chiavelli, Salerno Editrice, Roma, 1978, p. 138. go intorno alla lingua’, «Studi e problemi di cri- le cento chiacchiere di cui abbonda un fio-
titolo nel ms. Laur. Ashburn. 764, mentre il 7
Ivi, p. 7. tica testuale», 2, 1971, pp. 5-28) e Questione rentino”). Cito dall’edizione a cura di M. Chie-
frammento conservato nel ms. Filza Rinuccini 8
Cito da C. Segre, Edonismo linguistico nel Cin- ancora aperta sul “Dialogo intorno alla nostra sa, con versione italiana a fronte, Einaudi, To-
22 della Biblioteca Nazionale Centrale di Fi- quecento, in Id., Lingua, stile e società. Studi sul- lingua”, «Studi e problemi di critica testuale», rino, 1997, vol. I, lib. XII, vv. 86-87, pp. 528-529.
renze riporta la seguente rubrica: “Discorso la storia della prosa italiana, Feltrinelli, Milano, 9, 1979, pp. 113-124. Di H. Baron cfr. Ma- 16
Cito il testo completo dell’avvertenza nel
di Nic° Machiavelli nel quale si tratta …” (l’in- 1963, pp. 355-382, rispettivamente pp. 377 e 356. chiavelli in the Eve of the Discourses: The Date cosiddetto Apografo Ricci (ossia il già indicato
ms. Palat. E.B. 15.10 della Nazionale di Firenze) ti alle edizioni di Sozzi, Trovato e Inglese, cui prima Deca di Tito Livio’, Salerno Editrice, 29
Martelli, La versione, cit., pp. 215-274.
dal saggio introduttivo di Sozzi, cit., pp. X-XI: si aggiunga il fondamentale studio di O. Ca- Roma, 1998 e Machiavelli e i classici, in Cultura 30
Cfr. in particolare Richardson, cit., pp.
“Giuliano de Ricci a chi legge: Havevo disegnato stellani Polidori, Niccolò Machiavelli e il “Dia- e scrittura di Machiavelli. Atti del Convegno di 320-321, in cui si spiegano diversi errori del-
d’andare seguitando di copiare questi gior- logo intorno alla nostra lingua”, Olschki, Firenze, Firenze-Pisa, 27-30 ottobre 1997, Salerno Editrice, la versione italiana di Machiavelli sulla base
naletti d’historie del Machiavello, quando mi 1978. In particolare, merita qui riproporre Roma, pp. 279-309. Quest’ultimo saggio è sta- di corruttele comuni alle principali edizioni
è capitato alle mani un discorso o dialogo in- quanto sostenuto da Trovato, cit., p. XXXV: to poi ristampato in Id., Tra filologia e storia. dell’Andria latina allora circolanti.
torno alla nostra lingua, dicono fatto dal me- “Non è possibile stabilire, in assenza di con- Otto studi machiavelliani, a cura di F. Bausi, Sa- 31
Opportunamente riassunti nell’altrettanto
desimo Niccolò, et se bene lo stile è alquan- ferme documentali, se il Machiavelli abbia mai lerno Editrice, Roma, 2009, pp. 99-127. famoso manuale di G. Mounin, Teoria e sto-
to diverso dall’altre cose sue, et io in questi letto o discusso in pubblico il suo ‘ragiona- 24
Si veda, a questo riguardo, e in partico- ria della traduzione, trad. it. di S. Morganti, Ei-
fragmenti che ho ritrovati non ho visto né l’ori- mento’ linguistico… Non sembra tuttavia im- lare per il dibattito cinquecentesco sulla tra- naudi, Torino, 1965, pp. 64-65.
ginale, né bozza, né parte alcuna di detto dia- probabile che una certa riluttanza a una in- duzione di testi scientifici in italiano, il mio 32
Ancora valide in proposito ritengo le con-
logo, nondimeno credo si possa credere in- discriminata divulgazione dell’opertta spet- saggio Girolamo Catena precursore di Pierre- siderazioni di Mounin nel capitolo La tradu-
dubbiamente che sia dello stesso Machiavel- tasse, fin dall’epoca della composizione, al- Daniel Huet: Il “Discorso sopra la traduttione zione teatrale nel suo Teoria e storia, cit., pp.
lo, atteso che li concepti appariscono suoi, che l’autore stesso, consapevole dell’asprezza di cer- delle scienze e d’altre facultà”, «Testo a Fronte», 153-158. Si legga, ad esempio, il seguente bra-
per molti anni per ciascuno in mano di chi te pointes polemiche, che avrebbero potuto 36, 2007, pp. 5-30 e relativa bibliografia. E in no, che ben si adatta al lavoro svolto da Ma-
hoggi si truova si tiene suo, et quello che più compromettere i suoi rapporti, solo da pochi propostio ha ragione I. Baldelli, Il dialogo sul- chiavelli sull’Andria di Terenzio: “Di qui ben
di altro importa è che Bernardo Machiavel- anni normalizzatisi, con il Papa e con il dif- la lingua, «Cultura e scuola», 33-34, 1970, pp. si capisce perché la traduzione teatrale, quan-
li, figlio di detto Niccolò, hoggi di età di anni fidente Establishment fiorentino”. 255-259, a notare: “L’osservazione che le lin- do non è scritta per un’edizione scolastica, uni-
74, afferma ricordarsi haverne sentito ragio- 21
Opera che Machiavelli non aveva mai let- gue si alimentano attraverso le lingue delle na- versitaria o critica, bensì per la recitazione, deb-
nare a suo padre, et vedutogliene fra le mani ta, come si desume dal Discorso e perento- zioni da cui si prendono nuove dottrine e nuo- ba trattare il testo in modo da poter essere con-
66 molte volte. Il dialogo è questo che seguita”. riamente ribadito da Trovato, cit., p. XXXI (“egli ve arti – a quest’altezza e in questo momen- siderata tanto un adattamento quanto una tra- 67
17
Sugli argomenti relativi alla datazione del mostra di non avere la più pallida idea sul con- to storico – è tutt’altro che banale” (ivi, p. 256). duzione. … Bisogna tradurre il valore teatra-
testo si veda soprattutto la chiara disamina di tenuto del trattato dantesco”). 25
Cfr. Inglese, cit., p. 9, ove si legge: le prima di preoccuparsi di rendere i valori let-
Trovato, cit., pp. XXIX-XXXIII. 22
Restando in ambito machiavelliano, e per “L’orientamento mentale al teatro spiega terari o poetici, e se fra quello e questi si crea
18
Cfr. la postilla di Inglese a Machiavelli, Cli- riferirsi a un testo coevo al Discorso, basti qui forse perché il “discorso” diventi a un certo un conflitto, bisognerà scegliere il primo
zia, cit., p. 208. pensare al celebre prologo della Clizia, rifa- punto “dialogo”, perché il topos del colloquio contro i secondi”.
19
Ivi, pp. 208-209. Fra gli ultimi studiosi a cimento della Casina plautina, con la teoria ideale con i grandi antichi prenda la forma di 33
Cfr. il testo edito da Martelli, La versione,
occuparsi della questione è stato Marcello Si- stoica dell’eterno ritorno (“Se nel mondo tor- un virulento, aristofanesco (qui sì) certame cit., pp. 215, 216 e 239 col relativo apparato di
monetta; si veda il suo saggio La lingua esiliata: nassino i medesimi huomini, come tornano fra ‘N.’ e ‘Dante’, un certame il cui ritmo ha commento, in cui si confrontano le soluzio-
buoni propositi e cattivi ‘suppositi’ in un testo i medesimi casi, non passerebbono mai cen- molto più a che fare con la Mandragola che ni di Machiavelli con l’originale latino.
machiavelliano, «Rivista di studi italiani», 15, to anni che noi non ci trovassimo un’altra vol- con i Dialoghi dell’arte della guerra”. Sulla strut- 34
Ivi, p. 223 e relativo apparato di commento.
fasc. 1, 1997, pp. 41-54, in cui viene ribadita ta insieme, ad fare le medesime cose che tura dell’opera si veda il breve ma preciso in- 35
Ivi, pp. 226-227 e relativo apparato di com-
la completa attribuzione del testo al segreta- hora”), su cui si vedano il commento di In- tervento di Trovato, cit., pp. XXXIX-XLIII. mento.
rio fiorentino. Si accenna, infine, alla possi- glese, cit., pp. 12-19 e i relativi rimandi bi- 26
Cfr. la bibliografia riportata in Inglese, cit. 36
Cfr. G. Tanturli, La cultura fiorentina vol-
bilità di interpolazioni nel recente contribu- bliografici. pp. 32-35. gare del Quattrocento davanti ai nuovi testi gre-
to di Bionda, cit. 23
Basti in proposito – in polemica con quan- 27
Cfr. M. Martelli, La versione machiavelliana ci, «Medioevo e Rinascimento», 2, 1988, pp.
20
Come suggeriscono vari brani poco lim- ti, da Costantino Triantafillis a Gennaro Sas- dell’«Andria», «Rinascimento», s. II, 8, 1968, 217-243. Più in generale, sul ritardo e il gra-
pidi per sintassi e contenuto o addirittura – so, hanno esagerato la cultura classica di Ma- pp. 203-274. duale isolamento della cultura forentina nel
forse – incompleti, per i quali rimando alle chiavelli – il rinvio ai seguenti contributi di M. 28
Cfr. B. Richardson, Evoluzione stilistica e XVI secolo rispetto ad altri centri italiani (so-
note di commento qui apposte al testo, non- Martelli: Machiavelli e gli storicii antichi. Os- fortuna della traduzione machiavelliana dell’«An- prattutto Venezia e Roma) si veda Donisotti,
ché ai già citati (e ben più ricchi) commen- servazioni su alcuni luoghi dei ‘Discorsi sopra la dria», «Lettere Italiane», 25, 1973, pp. 319-338. Machiavellerie, cit. pp. 241-253 e 376-377.
37
In proposito, basti qui riportare quanto
concisamente asserito da Baldeli, Il dialogo, cit., Niccolò Machiavelli
p. 256: “Il Machiavelli dunque, dal suo angolo
di visuale robustamente politico, di continuo
riporta la lingua alle sue connessioni con la DISCORSO INTORNO ALLA NOSTRA LINGUA1
realtà sociale ed umana. Il che non è di scar-
sa originalità, in un momento in cui della lin-
gua si mettevano in evidenza soprattutto gli
aspetti letterari e retorici, di bellezza e armo-
nia; e il Bembo misurava la lingua di Dante [1] Sempre che io ho potuto onorare la patria mia, etiamdio con mio carico
con quella del Petrarca sul paragone della dol- et pericolo,2 l’ho fatto volentieri, perché l’huomo non ha maggiore obligo nella
cezza, della vaghezza e dell’eleganza. Ciò che vita sua che con quella, dependendo prima da essa l’essere, et di poi tutto quello
naturalmente è anche spiegazione della scar- che di buono la fortuna et la natura ci hanno conceduto;3 et tanto viene a es-
sa se non della nulla incidenza del Dialogo ma- sere maggiore in coloro che hanno sortito patria più nobile. Et veramente co-
chiavelliano sulle idee linguistiche del suo tem- lui il quale con l’animo e con l’opera si fa nimico della sua patria meritamente
po”. si può chiamare parricida,4 ancora che da quella fussi suto offeso. Perché, se bat-
38
Si veda a riguardo il bel volume di G. Fri- tere il padre et la madre, per qualunque cagione, è cosa nefanda, di necessità
gnito, Proibito capire. La Chiesa e il volgare nel- ne segue il lacerare la patria esser cosa nefandissima, perché da lei mai si pati-
la prima età moderna, Il Mulino, Bologna, 2005. sce alcuna persecutione per la quale possa meritare d’essere da te ingiuriata, ha-
39
Basti pensare ai celeberrimi capitoli XV e vendo a riconoscere da quella ogni tuo bene;5 tal che, s’ella si priva di parte de’
68 XVIII del Principe, oppure alla sua lettera del 17 suoi cittadini, sei più tosto obbligato ringratiarla di quelli ch’ella si lascia che 69
maggio 1521 a Francesco Guicciardini, me- infamiarla per quelli che la ci toglie.6 E quando questo sia vero, che è verissimo,
morabile fin dall’incipit (“Magnifice vir, ma- io non dubito mai di ingannarmi per difenderla et venire contra quelli che
jor observandissime. Io ero in sul cesso quan- troppo prosuntuosamente cercano di privarla dell’honor suo.
do arrivò il vostro messo…”), edita in N. Ma- [2] La cagione perché io habbia mosso questo ragionamento è la disputa, nata
chiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Feltrinelli, più volte ne’ passati giorni,7 se la lingua nella quale hanno scritto i nostri poeti
Milano, 1961, pp. 402-405, in particolare il se- et oratori8 fiorentini è fiorentina, toscana o italiana. Nella qual disputa ho con-
guente brano a p. 405: “Perché, da un tem- siderato come alcuni, meno inhonesti, vogliono ch’ella sia toscana;9 alcuni al-
po in qua, io non dico mai quello che io cre- tri, inhonestissimi, la chiamano italiana;10 et alcuni tengono ch’ella si debba al
do, né credo mai quel che io dico, et se pure tutto nominare fiorentina.11 Et ciascuno di essi s’è sforzato di difendere la parte
e’ mi vien detto qualche volta il vero, io lo na- sua, in forma che, restando la lite indecisa, m’è parso in questo mio vendem-
scondo fra tante bugie, che è difficile trovar- mial negotio12 scrivervi largamente quello che io ne senta, per terminare la qui-
lo”. stione o per dare a ciascuno materia di maggior contesa.13
40
Dionisotti, Machiavellerie, cit., p. 247. [3] A volere vedere dunque con che lingua hanno scritto gli scrittori14 in que-
sta moderna lingua celebrati, delli quali tengano, senza alcuna discrepanza d’al-
cuno, il primo luogo Dante, il Petrarca et il Boccaccio, è necessario metterli da
una parte, et da l’altra tutta Italia, alla qual provincia, per amore circa la lin-
gua di questi tre, pare che qualunque altro luogo ceda, perché la spagnuola et
la franzese et la tedesca è meno in questo caso prosuntuosa che la lombarda. È
necessario, fatto questo, considerare li luoghi d’Italia et vedere la differenza del
parlar loro, et a quelli dare più favore che a questi scrittori si confanno, et con-
cedere loro più grado et più parte in quella lingua, et, se voi volete, distinguer bardi et li Romagniuoli quasi tutte le sospendono su le consonanti, come è pane
bene tutta Italia et quante castella non che città sono in essa.15 Però, volendo et pan.
fuggire questa confusione,16 divideremo quella solamente nelle sue provincie, [5] Considerato adunque tutte queste et altre differenze che sono in questa
come Lombardia,17 Romagna, Toscana, Terra di Roma et Regno di Napoli. Et ve- lingua italica, a voler vedere quale di queste tenga la penna in mano27 et in quale
ramente, se ciascuna di dette parti saranno bene examinate, si vedrà nel par- habbino scritto gli scrittori antichi, è prima necessario veder donde Dante et gli
lare d’esse grandi differenze; ma a voler conoscere donde proceda questo, è prima primi scrittori furono28 et se essi scrissono nella lingua patria o se non vi scris-
necessario vedere qualche ragione di quelle che fanno che infra loro sia tanta sero; dipoi arrecarsi innanzi i loro scritti, et appresso qualche scrittura mera fio-
similitudine che questi che hoggi scrivono vogliono che quelli che hanno rentina o lombarda o d’altra provincia d’Italia, dove non sia arte ma tutta na-
scritto per l’adreto habbino parlato in questa lingua comune italiana, et quale tura,29 et quella che fia più conforme alli scritti loro, quella si potrà chiamare,
cagione fa che in tanta diversità di lingue noi ci intendiamo.18 credo, quella lingua nella quale essi habbino scritto. Donde30 quelli primi scrit-
[4] Vogliono alcuni che a ciascuna lingua dia termine la particula afferma- tori fussino, eccetto che un Bolognese, un Aretino et un Pistolese,31 i quali tutti
tiva, la quale appresso a gl’Italiani con questa ditione sì è significata, et che per non aggiunsono a X canzoni, è cosa notissima come e’ furono Fiorentini; intra
tutta quella provincia si intenda il medesimo parlare dove con un medesimo vo- li quali Dante, il Petrarca et il Boccaccio tengono il primo loco, et tanto alto,
cabolo parlando si afferma;19 et allegano l’autorità di Dante, il quale, volendo che alcuno spera più aggiungervi. Di questi, il Boccaccio afferma nel Centono-
significare Italia, la nominò sotto questa particula sì quando disse: velle di scrivere in volgar fiorentino;32 il Petrarca non so che ne parli cosa alcuna;
Dante, in un suo libro ch’ei fa De vulgari eloquentia, dove egli danna tutta la lin-
Ahi Pisa, vituperio delle genti gua particulare d’Italia,33 afferma non havere scritto in fiorentino ma in una lin-
del bel paese là dove il sì sona20 gua curiale; in modo che, quando e’ se li havesse a credere, mi cancellerebbe l’ob-
biezioni che di sopra si feciono, di volere intendere da loro donde havevano
cioè d’Italia. Allegano ancora l’exemplo di Francia, dove tutto il paese si quella lingua imparata.34
70 chiama Francia ed è detto ancora lingua di huy et d’oc, che significano, appresso [6] Io non voglio, in quanto s’appartenga al Petrarca et al Boccaccio, repli- 71
di loro, quel medesimo che appresso li Italiani sì. Adducano ancora in exem- care cosa alcuna, essendo l’uno in nostro favore et l’altro stando neutrale; ma
plo tutta la lingua tedesca, che dice hyò, e tutta la Inghilterra, che dice jeh. Et mi fermerò sopra di Dante, il quale in ogni parte mostrò d’esser per ingegno,
forse da queste ragioni mossi vogliono molti di costoro che qualunque è in Ita- per dottrina et per giuditio huomo eccellente, eccetto che dov’egli hebbe a ra-
lia che scriva o parli, scriva et parli in una lingua.21 Alcuni altri tengono che gionar della patria sua, la quale, fuori d’ogni umanità et filosofico instituto, per-
questa particula sì non sia quella che regoli la lingua, perché, se la regolasse, i seguitò con ogni spetie d’ingiuria. Et non potendo altro fare che infamarla, ac-
Siciliani et li Spagnuoli sarebbono ancor loro, quanto al parlare, Italiani; et però cusò quella d’ogni vitio, dannò gl’huomini, biasimò il sito, disse male de’
è necessario si regoli con22 altre ragioni, et dicano che chi considera bene le otto costumi et delle legge di lei; et questo fece non solo in una parte de la sua can-
parti de l’oratione, et nella quale ogni parlar si divide,23 troverrà che quella che tica, ma in tutta, et diversamente et in diversi modi; tanto l’offese l’ingiuria del-
si chiama verbo è la catena et il nervo24 de la lingua, et ogni volta che in que- l’exilio, tanta vendetta ne desiderava, et però ne fece tanta quanta egli poté. Et
sta parte non si varia, ancora che nelle altre si variasse assai, conviene che le se, per sorte, de’ mali ch’egli li predisse le ne fusse accaduto alcuno, Firenze ha-
lingue habbino una comune intelligenza. Perché quelli nomi che ci sono in- rebbe più da dolersi d’haver nutrito quell’uomo che di qualunque altra sua ro-
cogniti ce li fa intendere il verbo quale infra loro è collocato; et così, per con- vina. Ma la fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con la gloria sua la ca-
trario, dove li verbi sono diferenti, ancora che vi fusse similitudine ne’ nomi, lunnia falsa di quello, l’ha continuamente prosperata et fatta celebre per tutte
diventa quella un’altra lingua. Et per exemplo si può dare la provincia d’Ita- le provincie cristiane, et condotta al presente in tanta felicità et sì tranquillo
lia, la quale è in una minima parte differente ne i verbi ma ne i nomi diffe- stato, che, se Dante la vedessi, o egli accusarebbe se stesso o, ripercosso dai colpi
rentissima, perché ciascuno Italiano dice amare, stare e leggere, ma ciascuno di di quella sua innata invidia, vorrebbe, essendo risucitato, di nuovo morire.
loro non dice già deschetto, tavola et guastada.25 Intra i pronomi, quelli che im- [7] Non è pertanto maraviglia se costui, che in ogni cosa accrebbe infamia
portano più sono variati, sì com’è mi in vece d’io e ti per tu.26 Quello che fa an- a la sua patria, volse ancora nella lingua torle quella riputatione la quale pa-
cora differenti le lingue, ma non tanto che le non s’intendino, sono la pronuntia reva a lui d’haverle data ne’ suoi scritti, et per non la honorare in alcuno modo
et gl’accenti. Li Toscani fermano tutte le loro parole in su le vocali, ma li Lom- compose quell’opera per mostrare quella lingua nella quale egli haveva scritto
non essere fiorentina. Il che tanto se li debbe credere, quanto che e’ trovassi Bruto gua fiorentina, lo domanderei qual cosa è quella che nel suo poema non fussi
in bocca di lucifero maggiore,35 et cinque cittadini fiorentini in tra i ladroni, et scritta in fiorentino; et perché e’ risponderebbe che molte tratte di Lombardia
quel suo Cacciaguida in Paradiso, et simili sue passioni et oppinioni;36 nelle quali o trovate da sé o tratte dal latino…44 Ma perché io voglio un poco parlare con
fu tanto cieco che perse ogni sua gravità, dottrina et giudicio, et divenne al tutto Dante, per fuggire egli disse et io risposi metterò gl’interlocutori d’avanti.45
un altr’huomo; talmente che, s’egli havessi giudicato così ogni cosa, o egli sa-
rebbe vivuto sempre a Firenze o egli ne sarebbe stato cacciato per pazzo. N. Quali traesti tu di Lombardia?
[8] Ma perché le cose che s’impugnano per parole generali et per conietture D. Questa: In co del ponte presso a Benevento et quest’altra: Con voi nasceva et
possono essere facilmente riprese,37 io voglio a ragioni vive et vere mostrare come s’ascondeva vosco.46
il suo parlare è al tutto fiorentino, et più assai che quello che il Boccaccio con- N. Quali traesti tu da i Latini?
fessa per se stesso esser fiorentino, et in parte rispondere a quelli che tengono D. Questi, et molti altri: Transhumanare significar per verba.47
la medesima oppinione di Dante. Parlare comune d’Italia sarebbe quello dove N. Quali trovasti da te?
fussi più del comune che del proprio d’alcuna lingua, et similmente parlar pro- D. Questi: S’io m’intuassi come tu ti immii.48 Li quali vocaboli, miscolati tutti
prio fia quello dove è più del proprio che di alcuna altra lingua, perché non si con li toscani, fanno una terza lingua.
può trovare una lingua che parli ogni cosa per sé senza haverne accattato da al- N. Sta bene. Ma dimmi: in questa tua opera come49 vi sono di questi voca-
tri; perché nel conversare gl’huomini di varie provincie insieme prendono de’ boli o forestieri o trovati da te o latini?
motti l’uno dell’altro.38 Aggiugnesi a questo che qualunche volta viene o nuove D. Nelle prime due cantiche ve ne sono pochi ma nell’ultima assai, massime
dottrine in una città o nuove arti, è necessario che vi venghino nuovi vocaboli, dedotti da’ Latini, perché le dottrine varie di che io ragiono mi costringono a
et nati in quella lingua donde quelle dottrine o quelle arti son venute; ma ri- pigliare vocaboli atti a poterle esprimere;50 et non si potendo se non con ter-
ducendosi, nel parlare, con li modi, con li casi, con le desinenze et con li ac- mini latini, io gl’usavo, ma li deducevo in modo con le desinenze che io gli fa-
centi, fanno una medesima consonanza con i vocaboli di quella lingua ch’e’ tro- cevo diventare simili alla lingua del resto dell’opera.51
72 vano, et così diventano suoi,39 perché altrimenti le lingue parrebbono rappezzate N. Che lingua è quella dell’opera? 73
e non tornerebbon bene. Et così li vocaboli forestieri si convertono in fioren- D. Curiale.
tini, non li fiorentini in forestieri; né però diventa altro la nostra lingua che fio- N. Che vuol dir ‘curiale’?
rentina. Et di qui depende che le lingue da principio arricchiscano et diventano D. Vuol dire una lingua parlata da gl’huomini di corte del papa, del duca, i
più belle essendo più copiose, ma è ben vero che col tempo, per la moltitudine quali, per essere huomini litterati, parlano meglio che non si parla nelle terre
di questi nuovi vocaboli, imbastardiscano et diventano un’altra cosa. Ma fanno particolari d’Italia.52
questo in centinaia d’anni, di che altri non si accorge se non poi che è rovinato N. Tu dirai le bugie.53 Dimmi un poco: che vuol dire in quella lingua curiale
in una estrema barbaria. Fa ben più presto questa mutatione quand’egl’adviene morse?
che una nuova popolatione venisse ad habitare in una provincia; in questo caso D. Vuol dire morì.
ella fa la sua mutatione in un corso d’una età d’un huomo. Ma in qualunche N. In fiorentino che vuol dire?
di questi duo modi che la lingua si muti, è necessario che quella lingua persa, D. Vuol dire strignere uno con i denti.
volendo, la sia riassunta40 per il mezzo di buoni scrittori che in quella hanno N. Quando tu di’, ne’ tuoi versi, Et quando il dente longobardo morse,54 che vuol
scritto, come si è fatto et fa della lingua latina et della greca.41 Ma lasciando stare dire quel morse?
questa parte come non necessaria, per non essere la nostra lingua ancora nella D. Punse, offese et assaltò, ch’è una translatione55 dedotta da quel mordere che
sua declinazione, et tornando donde io mi partii, dico che quella lingua si può dicono i Fiorentini.
chiamare comune in una provincia dove la maggior parte de’ suoi vocaboli con N. Adunque parli tu in fiorentino e non cortigiano.56
le loro circustanze42 non si usino in alcuna lingua propria43 di quella provin- D. Egl’è vero in maggiore parte; pure io mi riguardo di non usare certi voca-
cia; et quella lingua si chiamerà ‘propria’ dove la maggior parte de’ suoi voca- boli nostri proprii.57
boli non s’usino in altra lingua di quella provincia. N. Come te ne riguardi? Quando tu di’ forte spingava con ambe le piote,58 que-
[9] Quando questo ch’io dico sia vero – che è verissimo – io vorrei chiamar sto spingare che vuol dire?
Dante, che mi mostrasse il suo poema; et havendo appreso alcuno scritto in lin- D. In Firenze s’usa dire, quando una bestia trae de’ calci, ella spinga una cop-
pia di calci; et perché io volsi dimostrare come colui traeva de’ calci, dissi spin- Non chi comincia ha meritato, è scritto
gava. Nel tuo santo Vangel, benigno Padre.69
N. Dimmi di nuovo: tu di’ ancora, volendo dire le gambe, Et quello che pian-
geva con le zanche.59 Perché lo di’ tu? N. Hor ben, che differenza è da quella tua lingua a questa?
D. Perché in Firenze si chiamono zanche quelle aste60 sopra le quali vanno gli D. Poca.
spiritelli di Santo Giovanni, et perché allora e’ l’usano per gambe, et io61 volendo N. Non mi ce ne pare veruna.
significare gambe dissi zanche. D. Qui è pur non so che.
N. Per mia fé, tu ti guardi assai bene da i vocaboli fiorentini!62 Ma dimmi, N. Che cosa?
più là, quando tu di’: Non prendete mortali i voti a ciancie,63 perché tu di’ cian- D. Quel chi è troppo fiorentino.
cie come i Fiorentini e non zanze come i Lombardi, avendo detto vosco et co del N. Tu farai a ridirti; o non di’ tu:
ponte?
D. Non dissi zanze per non usare un vocabolo barbaro come quello, ma dissi Io non so chi tu sia, né per qual modo
co et vosco sì perché non sono vocaboli sì barbari, sì perché in una opera venuto sei quaggiù, ma fiorentino etc.?70
grande è lecito usare qualche vocabolo esterno, come fece Vergilio quando disse:
Troica gaza per undas.64 D. Egl’è vero, et ho il torto.
N. Sta bene; ma fu egli per questo che Virgilio non scrivessi in latino? N. Dante mio, io voglio che tu t’emendi, et che tu consideri meglio il par-
D. No. lare fiorentino et la tua opera, et vedrai che se alcuno s’harà da vergognare, sarà
N. Et così tu ancora, per aver detto co et vosco, non hai lasciata la tua lingua. più tosto Firenze che tu; perché se considererai bene a quel che tu hai detto, tu
Ma noi facciamo una disputa vana, perché nella tua opera tu medesimo in più vedrai come ne’ tuoi versi non hai fuggito il goffo, come è quello: Poi ci partimmo
luoghi confessi di parlare toscano et fiorentino.65 Non di’ tu di uno che ti sentì et n’andavamo in‹trocque›.71 Non hai fuggito il porco, com’è quello: Che merda
74 parlare nell’Inferno: Et egli ch’intese la parola tosca?66 E altrove, in bocca di Fa- fa di quel che si trangugia.72 Non hai fuggito l’osceno, come è: Le mani alzò con 75
rinata, parlando egli teco: ambedue le fiche.73 E non avendo fuggito questo, che disonora tutta l’opera tua,
tu non puoi aver fuggito infiniti vocaboli patrii che non s’usano altrove che in
La tua loquela ti fa manifesto quella,74 perché l’arte non può mai in tutto repugnare a la natura.75
Di quella dolce patria natio [10] Oltra di questo, io voglio che tu consideri come le lingue non possono
Alla qual forse fui troppo molesto.67 essere semplici, ma conviene che sieno miste con l’altre lingue. Ma quella lin-
gua si chiama d’una patria la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati76
D. Gl’è vero ch’io dico tutto cotesto. da altri nel suo uso, ed è sì potente che i vocaboli accattati non la disordinano,
N. Perché di’ dunque di non parlare fiorentino? Ma io ti voglio convincere ma ella disordina loro, perché quello ch’ella reca da altri lo tira a sé in modo
co i libri in mano et con il riscontro; et però leggiamo questa tua opera et il Mor- che par suo.77 Et gl’huomini che scrivono in quella lingua, come amorevoli di
gante. Leggi, su. essa, debbono far quello che hai fatto tu, ma non dire quello che hai detto tu.
Perché se tu hai accattato da’ Latini e da’ forestieri assai vocaboli, se tu n’hai
D. Nel mezzo del cammin di nostra vita fatti de’ nuovi, hai fatto molto bene; ma tu hai ben fatto male a dire che per
Mi ritrovai per una selva oscura questo ella sia diventata un’altra lingua. Dice Orazio:
Che la diritta via era smarrita.68
quod lingua Catonis et Enni
N. E’ basta. Leggi un poco hora il Morgante. sermonem patrium dictavit78
D. Dove?
N. Dove tu vuoi. Leggi costì a caso. et lauda quelli come li primi che cominciorno ad arricchire la lingua latina. E’
D. Ecco: Romani negl’exerciti loro non havevono più che due legioni di Romani, quali
erono circa dodicimila persone, et di poi vi havevano ventimila dell’altre na-
zioni;79 nondimeno, perché quelli erano con li loro capi il nervo de l’exercito, di modo che veruna sarebbe brutta,86 ma dico ancora che quella che ha di es-
perché militavono tutti sotto l’ordine et disciplina romana, teneano quelli ser misto men bisogno è più laudabile, et senza dubbio ne ha men bisogno la
exerciti il nome, l’autorità et dignità romana. Et tu che hai messo ne’ tuoi scritti fiorentina. Dico ancora come si scrivano molte cose che, senza scrivere i motti
venti legioni di vocaboli fiorentini et usi li casi, i tempi et i modi et le desinenze et i termini proprii patrii, non sono belle; di queste sorte sono le commedie, per-
fiorentine, vuoi che li vocaboli adventitii faccino mutar la lingua? Et se tu la ché ancora che il fine d’una commedia sia proporre uno specchio d’una vita
chiamassi o comune d’Italia o cortigiana perché in quella si usassino tutti li verbi privata, nondimeno il suo modo del farlo è con certa urbanità87 et termini che
che s’usano in Firenze, ti rispondo che, se si sono usati li medesimi verbi, non muovino il riso, acciò che gl’huomini, correndo a quella delettatione, gustino
s’usano i medesimi termini, perché si variano tanto con la pronuntia che di- poi l’exemplo utile che vi è sotto.88 Et perciò le persone con chi difficilmente pos-
ventono un’altra cosa. Perché tu sai che i forestieri80 o e’ pervertano c in z, come sano essere persone gravi la trattano,89 perché non può esser gravità in un servo
di sopra si disse di cianciare e zanzare, o eglino aggiungano lettere – come verrà, fraudolente, in un vecchio deriso, in un giovane impazzato d’amore, in una put-
vegnirà – o e’ ne lievano, come poltrone et poltron, talmente che quelli vocaboli tana lusinghiera, in un parasito goloso; ma ben ne risulta di questa composi-
che sono simili a’ nostri gli storpiano in modo che gli fanno diventare un’al- tione d’huomini effetti gravi et utili a la vita nostra.90 Ma perché le cose sono
tra cosa. trattate ridiculamente, conviene usare termini et motti che faccino questi ef-
[11] Et se tu mi allegassi il parlar curiale, ti rispondo, se tu parli de le corti di fetti; i quali termini, se non sono proprii et patrii, dove sieno soli intesi et noti,
Milano o di Napoli, che tutte tengono del loco de la patria loro, et quelle hanno non muovono né posson muovere.91 Donde nasce che uno che non sia toscano
più di buono che più s’accostano al toscano et più l’imitano. Et se tu vuoi ch’e’ non farà mai questa parte bene, perché se vorrà dire i motti della patria sua farà
sia migliore l’imitatore che l’imitato, tu vuoi quello che il più delle volte non una veste rattoppata, facendo una composizione mezza toscana et mezza fore-
è. Ma se tu parli della corte di Roma,81 tu parli d’un luogo dove si parla di tanti stiera; et qui si conoscerebbe che lingua egli havessi imparata, s’ella fussi co-
modi di quante nationi vi sono, né se li può dare in modo alcuno regola. Di poi mune o propria.92 Ma s’e’ non gli vorrà usare, non sappiendo quelli di Toscana,
io mi meraviglio di te, che tu voglia, dove non si fa cosa alcuna laudabile o farà una cosa manca93 et che non harà la perfetione sua. Et a provar questo io
76 buona, che vi si faccia questa, perché dove sono i costumi perversi conviene che voglio che tu leggi una comedia fatta da uno delli Ariosti di Ferrara, et vedrai 77
il parlare sia perverso82 et habbia in sé quello effemminato lascivo che hanno una gentil compositione et uno stilo ornato et ordinato; vedrai un nodo94 bene
coloro che lo parlono.83 Ma quello che inganna molti circa i vocaboli comuni accomodato et meglio sciolto, ma la vedrai priva di quei sali95 che ricerca96 una
è che, tu et gl’altri che hanno scritto essendo stati celebrati et letti in varii luo- comedia, tale non per altra cagione che per la detta: perché i motti ferraresi non
ghi,84 molti vocaboli nostri sono stati imparati da molti forestieri et osservati da li piacevano et i fiorentini non sapeva, talmente che gli lasciò stare.97 Usonne
loro, tal che de proprii nostri son diventati comuni. Et se tu vuoi conoscere que- uno comune, et credo ancora fatto comune per via di Firenze, dicendo che un
sto, arrecati innanzi un libro composto da quelli forestieri che hanno scritto dottore della berretta lunga pagherebbe una sua dama di doppioni.98 Usonne uno
dopo voi, et vedrai quanti vocaboli egli usano de’ vostri et come e’ cercano d’imi- proprio, per il quale si vede quanto sta male mescolare il ferrarese con il toscano,
tarvi. Et per havere riprova di questo fa’ loro leggere libri composti da gl’huo- ché dicendo una di non volere parlare dove fussino orecchie che l’udissino, le
mini loro avanti che nasceste voi,85 et si vedrà che in quelli non fia né vocabolo fa rispondere che non parlassino dove <fussino>99 i bigonzoni; et un gusto pur-
né termine; et così apparirà che la lingua in che essi oggi scrivano è la vostra, gato sa quanto nel leggere et nell’udire dire bigonzoni è offeso.100 Et vedesi fa-
et per consequenza nostra, et la nostra non è comune con la loro. La qual lin- cilmente et in questo et in molti altri luoghi con quanta difficultà egli mantiene
gua, ancora che con mille sudori e’ cerchino d’imitare, nondimeno, se leggerai il decoro di quella lingua ch’egli ha accattata.
i loro scritti, vedrai in mille luoghi essere da loro male et perversamente usata, [13] Pertanto io concludo che molte cose sono quelle che non si possono scri-
perché gli è impossibile che l’arte possa più che la natura. vere bene senza intendere le cose proprie et particolari di quella lingua che è
[12] Considera ancora un’altra cosa, se tu vuoi vedere la dignità della tua lin- più in prezzo.101 Et volendo li proprii,102 conviene andare alla fonte donde
gua patria: che i forestieri che scrivano, se prendano alcuno suggetto nuovo, dove quella lingua ha havuto origine, altrimenti si fa una compositione dove l’una
non habbino exemplo di vocaboli imparati da voi, di necessità conviene ch’e’ parte non corrisponde a l’altra. Et che l’importanza di questa lingua nella quale
ricorrino in Toscana, o vero, s’e’ prendano vocaboli loro, gli spianino et allar- et tu, Dante, scrivesti, et gli altri che vennono et prima et poi di te hanno scritto
ghino all’uso toscano, ché altrimenti né loro né altri gl’approverebbono. Et per- sia derivata da Firenze, lo dimostra esser voi stati fiorentini, et nati’n una pa-
ché e’ dicono che tutte le lingue patrie son brutte s’elle non hanno del misto, tria che parlava in modo che si poteva meglio che alcuna altra accomodare a
scrivere in versi et in prosa, al che non si potevano accomodare gl’altri parlari
di Italia. Perché ciascuno sa come i Provenzali cominciarono a scrivere in NOTE
versi; di Provenza ne venne quest’uso in Sicilia, et di Sicilia in Italia, et in tra
le provincie di Italia in Toscana, et di tutta Toscana in Firenze, non per altro che 1
Riproduco il testo secondo la citata edizione con le parole, con i cenni, io non intendo
per essere la lingua più atta.103 Perché né per commodità di sito, né per ingegno, Trovato, eccetto alcune minime varianti se- mancarle anco in questo”. E subito aggiun-
né per alcuna altra particulare occasione meritò Firenze esser la prima a pro- gnalate in nota. Ho invece mutato notevol- ge, significativamente: “Vero è che io so che
creare questi scrittori, se non per la lingua commoda a prendere simile disci- mente la paragrafazione, onde rendere il Di- io sono contrario, come in molte altre cose,
plina, il che non era nell’altre città. Et ch’e’ sia vero, si vede in questi tempi as- scorso più idoneo alle esigenze tipografiche di all’oppinione di quelli cittadini” (Machiavelli,
sai Ferraresi, Napoletani, Vicentini e Vineziani che scrivono bene et hanno questa rivista, e apportato diverse modifiche Lettere, cit., p. 403).
ingegni attissimi allo scrivere,104 il che non potevano far prima che tu, il Petrarca alla punteggiatura. 4
Come effettivamente fa, di norma, Cice-
et il Boccaccio havessi scritto. Perché a volere ch’e’ venissino a questo grado, di- 2
Simonetta, cit., p. 42 fa notare la coinci- rone, modello qui tenuto presente, più di ogni
saiutandoli la lingua patria, era necessario ch’e’ fussi prima alcuno il quale con denza fra questa espressione e un brano del- altro, per le sue considerazioni di spirito pa-
lo exemplo suo insegnassi com’egl’havessino a dimenticare quella lor naturale le Istorie fiorentine (II.13), dove di Giano del- triottico. Basti ricordare che “parricida” è ap-
barbaria, nella quale la patria lingua li sommergeva. Concludesi pertanto che la Bella si dice: “[…] e lasciare quella città la punto uno degli appellativi più spesso impiegati
non c’è lingua che si possa chiamare o comune d’Italia o curiale, perché tutte quale con suo carico e pericolo aveva liberata dal- da Cicerone nelle Filippiche per rivolgersi al ne-
quelle che si potessino chiamare così hanno il fondamento loro da gli scrittori la servitù de’ potenti”. L’indicazione risulta mico Antonio e in Cat. I.17 il ribelle Catilina
fiorentini et dalla lingua fiorentina, alla quale in ogni defetto, come a vero fonte suggestiva ma è anche vero che si tratta di for- viene appunto accusato di tentato parricidio.
et fondamento loro, è necessario che ricorrino, et non volendo esser veri per- mula e concetto correnti in vari autori coe- 5
Anche in questo caso la fonte principale, ben-
tinaci105 hanno a confessarla fiorentina. vi, come segnala nel suo commento Inglese, chè si tratti di un luogo comune della retorica
[14] Udito che Dante hebbe queste cose, le confessò vere et si partì, et io mi cit., p. 183. politica caro agli umanisti, è Cicerone; cfr. in
78 restai tutto contento, parendomi di haverlo sgannato.106 Non so già s’io mi sgan- 3
Cfr. Cic., De off. I.17.58 e De leg. II.5. Da no- particolare i brani qui segnalati alla n. 3. 79
nerò coloro che sono sì poco conoscitori de’ beneficii ch’egl’hanno havuti da tare, inoltre, che l’intera struttura dell’incipit 6
Viene così indirettamente inserito, fin dal-
la nostra patria, che e’ vogliono accomunare con essa lei nella lingua Milano, risulta tipica della retorica umanistica come l’inizio, il tema dell’esilio, di fondamentale im-
Vinegia, Romagna et tutte le bestemmie107 di Lombardia.108 si era andata sviluppando nel corso del Quat- portanza per il successivo dialogo con Dan-
trocento sulla base dei modelli latini classici, te e la valutazione delle sue affermazioni an-
in primis (appunto) Cicerone. Alla stregua, tifiorentine non meno che per la figura pub-
cioè, di umanisti suoi predecessori (Salutati, blica dello stesso Machiavelli, prima esiliato
Bruni e Poliziano, solo per citare i più celebri) e poi riaccolto in patria. Anche questo, del re-
che svolgevano cariche pubbliche per la cit- sto, risulta un argomento frequentemente trat-
tà di Firenze, l’autore si sente in dovere di di- tato da Cicerone, a sua volta (com’è noto) esi-
fendere la propria patria dagli attacchi degli liato e poi riaccolto in patria, dal quale Ma-
avversari. Simonetta, cit., p. 42 sottolinea la chiavelli attinge pure nel presente caso.
somiglianza tematica con il proemio del 7
Con ogni probabilità l’autore si riferisce
Principe; dal punto di vista lessicale, fra i mol- a uno o più colloqui o scambi epistolari con
ti passi machiavelliani di identico tenore l’in- gli ex frequentatori degli Orti Oricellari,
cipit del Discorso merita un riscontro col se- come gli studiosi sono concordi nel ritenere;
guente brano dall’epistola a Francesco Guic- assai minore identità di giudizio, invece, si ri-
ciardini del 17 maggio 1521: “Et perché io non scontra circa la data in cui tale dibattito sa-
mancai mai a quella repubblica [Firenze], dove rebbe avvenuto. In proposito, cfr. quanto qui
io ho possuto giovarle, che io non l’habbi fat- asserito nell’introduzione al Discorso e indi-
to, se non con le opere, con le parole, se non cato da Inglese nel suo commento, cit., p. 184.
8
Ossia “prosatori”. teria di maggior contesa”). Come nota Inglese, questa formula, soprattutto per il suo rie- sti letterari con scritti di uso pratico, vergati
9
Come nota Inglese, cit., p. 184, “Questo cit., p. 184, “Il testo è dunque (formalmente) cheggiare la nota confutazione del detto se- in una lingua che sia puro lombardo o fio-
punto della polemica rimane, di fatto, non un’epistola, così come l’intervento del Trissino condo cui il denaro è “il nervo della guerra” rentino o qualsivoglia altro idioma, destitui-
svolto, fino al punto che l’autore del D. si ser- nel ’24 (Epistola de le lettere nuovamente ag- in Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II.10 ti di artifici retorici.
ve talvolta del termine ‘toscano’ là dove do- giunte ne la lingua italiana, a Clemente VII) e (pp. 316-319 dell’edizione a cura di G. Ingle- 30
Come sopra: “di quale origine”.
vrebbe dire ‘fiorentino’”. In proposito si veda la Risposta alla epistola del Trissino ecc. che Lo- se, con saggio introduttivo di G. Sasso, Rizzoli, 31
Machiavelli si riferisce, com’è facile in-
anche Trovato, cit., p. LI, il quale afferma: “… dovico Martelli indirizzò al card. Niccolò Ri- Milano, 1984). Ma al di là della natura pro- tuire, a Guido Guinizelli, Guittone d’Arezzo
l’intercambiabilitià dei termini fiorentino e to- dolfi (dicembre 1524)”. verbiale (e quindi non riconducibile al solo les- e Cino da Pistoia.
scano, e anzi la prevalenza del secondo sul pri- 14
L’annominazione è, sia detto per inciso, sico machiavelliano) di questa seconda espres- 32
Precisamente nella celebre introduzione
mo, è normale a Firenze nel ’400 e ancora nei una delle figure retoriche predilette da vari sione, la dottrina secondo cui nel verbo risiede apologetica alla IV giornata del Decameron.
primi anni del ’500 e … il Machiavelli del Di- umanisti (oltre che da Machiavelli) e ricor- la forza del discorso è già corrente in epoca 33
Vale a dire i vari dialetti, com’è noto a
scorso … ricorre in qualche caso al termine to- re abbastanza spesso nel Discorso (cfr. ad esem- classica; basti qui il rimando a Quint., Inst. chiunque abbia anche solo sentito parlare (è
scano dove ci si aspetterebbe la parola fioren- pio par. 5). Già si è indicato nel breve saggio orat. I.4.18: “in verbis vis sermonis”. appunto il caso di Machiavelli) dell’incom-
tino”. introduttivo come il segretario fiorentino si di- 25
Tutti sostantivi fiorentini di ambito do- pleto trattatello dantesco.
10
Questo riferimento etico risulta impor- mostri abile nell’impiegarla volgarizzando mestico: praticamente sinonimici i primi 34
Ma, appunto, Machiavelli non crede che
tante anche come anticipazione di una del- l’Andria di Terenzio. due (“tavolino” e “tavola”), il terzo signifi- la Divina Commedia sia scritta in «una lingua
le maggiori accuse che l’autore muoverà a 15
In altre parole, si tratta di ripercorrere le ca “ampolla”, “brocca”, insomma un reci- curiale», bensì in fiorentino, donde il dialo-
Dante nel suo dialogo col poeta. Circa tali as- fasi principali del progetto dantesco del De vul- piente panciuto per contenere liquidi. Su que- go con Dante che l’autore sta per inserire nel
sertori della “italianità linguistica”, essi sono gari eloquentia alla luce del modello ormai im- sto passo dell’opera cfr. le considerazioni di Discorso.
da identificarsi col Trissino e i suoi seguaci prescindibile delle “Tre corone fiorentine”. Martelli, Una giarda, cit., pp. 113-114, dove si 35
Ossia, secondo formula tipica già in Dec.
80
11
Tale risulta appunto l’opinione di Ma- 16
Ossia – come chiosa Sozzi, cit., p. 5 – per fa notare l’uso del termine “guastada” da par- VIII.2 (p. 645 dell’edizione a cura di V. Bran-
81
chiavelli espressa con forza nel Discorso. evitare “una ripartizione troppo minuziosa”. te di Machiavelli nell’Asino, IV.34. ca, Mondadori, Milano, 1989) “principe dei
12
Comprensibilmente, la maggior parte de- 17
Da intendersi, secondo l’accezione comune 26
Come ben si ricordò (visto che qui Ma- demoni”, come rilevato da tutti gli editori mo-
gli studiosi ha visto in questa formula un ele- all’epoca, nel senso di “Italia settentrionale”. chiavelli ha senz’altro in mente, come detto derni del Discorso. Scrive in proposito Bran-
mento utile a una datazione, seppur parzia- 18
È la tesi, appunto, dei teorici settentrio- nell’introduzione, i suoi esperimenti teatrali ca a p. 1101 dell’edizione citata (n. 79): “‘lu-
le, dell’opera, tale cioè da supporre che al- nali, fra i quali spicca il vicentino Gian e quelli dei suoi predecessori in volgare) il fio- cifero’ era sentito come nome comune per dia-
l’epoca della stesura del Discorso l’autore si tro- Giorgio Trissino. rentino Poliziano nel coro conclusivo del- volo”.
vasse “in campagna per la vendemmia” 19
Dove, cioè, l’avverbio affermativo sia lo l’Orfeo, allestito per la prima volta a Manto- 36
Riferimento a celeberrimi episodi della Di-
(come scrive, ad esempio, Sozzi, cit., p. 4 nel stesso. va nel 1480; cfr. A. Poliziano, Stanze, Orfeo, vina Commedia, rispettivamente Inf. XXXIV.64-
suo commento). Martelli, Una giarda, cit., p. 20
Inf. XXXIII.79-80. Rime, a cura di D. Puccini, Garzanti, Milano, 66; Inf. XXV.34 sgg. e Par. XV-XVII.
137 nota che l’aggettivo (“vendemmial”) ri- 21
Ossia nella stessa, identica lingua. 1992, pp. 175-176 (vv. 313-316): “Voi ’mbotta- 37
Il termine “riprese” è qui da intendersi nel
sulta “hapax nella letteratura, se non nella lin- 22
“Ci si basi su”. te come pevere [ossia, tracannate come imbu- senso di “confutate”, e quindi “criticabili”.
gua italiana” e che deriva da Macrobio (Sat. 23
Vale a dire, come attestato in tutti i ma- ti]: / i’ vo’ bevere ancor mi! / Gli è del vino 38
Tutte le lingue, insomma, si influenzano
7: “vindemiales fructus”). Come già esposto nuali di grammatica in uso all’epoca, sia clas- ancor per ti, / lascia bevere imprima me”. Su a vicenda, seppur in gradi e forme diverse; non
nell’introduzione, concordo con Trovato nel sici sia umanistici, nomen, pronomen, verbum, questa opera teatrale di Poliziano si veda da esiste una lingua del tutto indipendente dal-
datare il Discorso alla seconda metà del set- adverbium, participium, coniunctio, praepositio, ultimo il suggestivo intervento di G. Mazzotta, le altre, sicura e funzionante in un suo idea-
tembre 1524. interiectio. L’Orfeo di Poliziano: realtà e mito, in Id., Co- le, inattingibile isolamento.
13
Il proposito dell’autore oscilla qui com- 24
Ossia “l’elemento strutturante e princi- smopoiesis, cit., pp. 19-42. 39
Viene così descritto dall’autore del Discorso
piaciuto fra il linguaggio scolastico (“termi- pale”, secondo una duplice metafora. Gli stu- 27
Abbia, cioè, dignità letteraria. il processo di assimilazione del lessico tecni-
nare la quistione”) e la struttura aperta del dia- diosi che attribuiscono il Discorso a Machia- 28
Ossia identificare la loro patria. co dalla lingua in cui ha avuto origine nelle
logo ciceroniano (“o per dare a ciascuno ma- velli tendono a sottolineare l’importanza di 29
Si procederà quindi a confrontare tali te- altre.
40
Come notato da vari editori del Discor- 46
Rispettivamente Purg. III.128 e Par. XXII.115. contraddirsi e a mentire per sostenere la sua l’introduzione in cui Machiavelli non distingue
so, la sintassi risulta qui tutt’altro che scor- Si tenga presente che queste e tutte le suc- capziosa posizione. Cfr. infra l’espressione “Tu chiaramente fra toscano e fiorentino.
revole e non va esclusa l’ipotesi di una lacu- cessive citazioni dal poema dantesco sono fat- farai a ridirti”. 66
Inf. XXIII.76 (lezione corretta: “E un che
na. All’espressione “volendo la sia riassunta” te a memoria dall’interlocutore indicato con 54
Par. VI.94 (riferito all’attacco portato alla ’ntese la parola tosca”).
(ossia, “se si vuole riportare in auge quella lin- ‘N.’, senza precisi controlli testuali, come ri- Chiesa da Desiderio, re dei Longobardi). 67
Inf. X.25-27 (da correggersi “dolce patria”
gua che ha subito notevoli contaminazioni velano diverse incongruenze con le lezioni più 55
Termine tecnico equivalente a “traslato”, in “nobil patria” e “alla qual” in “a la
esterne”) seguiva forse, nel testo originale, una autorevoli. “metafora”. qual”).
formula equivalente a “ciò può avvenire”; in 47
Par. I.70. Il verso così citato risulta iper- 56
L’obiezione di N. non è corretta, dato che 68
Inf. I.1-3 (qui segnalato solo per un do-
altre parole, una lingua temporaneamente in- metro; la forma corretta legge: Trasumanar si- si tratta di una metafora comune a molte lin- veroso principio di uniformità nell’indicazione
debolita può risollevarsi grazie alla compar- gnificar per verba (ma la lezione Transumanar gue (basti pensare alle connotazioni del lati- delle fonti). Noto, inoltre, che al terzo verso
sa di validi autori che in essa compongano. è trasmessa da molti testimoni). no “carpere”). alcuni editori (ad esempio Petrocchi) prefe-
Un’altra soluzione (meno invasiva e a mio av- 48
Par. IX.81. Anche in questo caso va nota- 57
Vale a dire termini ed espressioni idio- riscono leggere “ché” invece di “che”, optando
viso preferibile) potrebbe essere l’aggiunta di ta, nei manoscritti più importanti, l’oscilla- matiche esclusive del volgare fiorentino. per una sfumatura causale piuttosto che
una virgola dopo “volendo”, in modo da leg- zione fra le forme inmii (probabilmente pre- 58
Inf. XIX.120. consecutiva.
gere: “…è necessario che quella lingua persa, feribile) e immii. 59
Inf. XIX.45. Ma la forma esatta legge: “di 69
Pulci, Morgante XXIV.1-2 (“Evangel” nel-
volendo, la sia riassunta etc.”. È appunto que- 49
Ossia “in che quantità”, “con quale fre- quel che si piangeva con la zanca” (oppure “sì l’edizione a cura di D. De Robertis, Sansoni,
sta l’opzione che ho prediletto, laddove il te- quenza”. piangeva”), nel senso di “manifestare il pro- Firenze, 1991, p. 656).
sto edito da Trovato, cit., p. 33 legge: “…che 50
Esattamente lo stesso problema, sia det- prio dolore agitando le gambe”. 70
Inf. XXXIII.10-11 (da leggersi se’ invece di
quella lingua persa, volendola, sia riassunta to per inciso, affrontato da Cicerone nel di- 60
Cioè “trampoli”. Machiavelli fa qui ri- sei, per che in luogo di per qual e, al verso suc-
etc.”. vulgare la filosofia greca in lingua latina e da ferimento alla mascherata degli “spiritelli” cessivo, se’ qua giù invece di sei quaggiù).
82
41
Accenno al ripristino umanista (dopo la lui discusso, ad esempio, in De fin. I.3.7 e (così detti perché, in alto sui trampoli, sem- 71
Inf. XX.130 (lezione esatta: “Sì mi parla- 83
“temperie” medievale) di un latino e di un gre- III.4.15. In proposito, mi permetto di rinviare bravano volare) nella festa del santo patrono va, e andavamo introcque”). Come segnala
co corretti secondo i moduli classici. al mio volume Umanesimo e traduzione da Pe- di Firenze. Su questo brano del Discorso cfr. Trovato, cit., p. 48 nel suo apparato flologico
42
Qui equivalente a “peculiarità”. trarca a Manetti, Dipartimento di Lingue e Let- Martelli, Una giarda, cit., pp. 213-227. già il Laur. Ashburn. 674 lascia uno spazio vuo-
43
Nel senso di “locale”, “geograficamente terature Comparate dell’Università di Cassi- 61
Nel senso di “anch’io”. to dopo “in”. La lezione completa (e corret-
circoscritta”. no, Cassino, 2003, in particolare l’introduzione 62
Detto con evidente sarcasmo. ta) viene integrata già nell’edizione Mazzo-
44
Si anticipano, con una sintassi voluta- alle pp. 1-25 e le pp. 152-154 per i principali 63
Par. V.64, dove tuttavia la lezione esatta ni-Casella (solitamente indicata colla sigla MC
mente anacolutica (come concordano i vari brani del retore latino che trattano questo ar- risulta la seguente: “Non prendan li morta- negli apparati). Da notare che la forma “in-
editori) per meglio rendere l’urgenza della que- gomento. li il voto a ciancia”, all’interno del lungo am- trocque” (“frattanto”, “nel frattempo”) è se-
stione, alcune delle probabili affermazioni di 51
“Ne mutavo le sillabe conclusive in monimento di Beatrice ai cristiani. gnalata da Dante in De vulg. eloq. I.13.1-2 in
Dante – ossia che diversi vocaboli da lui usa- modo da assimilarle alla lingua impiegata nel 64
Aen. I.119 (“e teucri tesori fra l’onde”, come quanto vocabolo dialettale toscano di stile umi-
ti non sono fiorentini ma lombardismi, neo- resto del poema”. si legge nella pregevole traduzione di Rosa Cal- le, come ricorda anche Trovato, cit., p. 49 nel
logismi e latinismi – e la conseguente obie- 52
Si tratta della teoria esposta da Dante nel zecchi Onesti, Einaudi, Torino, 1967, p. 9) ma suo commento.
zione dell’autore del Discorso, prima di assu- De vulgari eloquentia, opera “riscoperta” dal anche in questo caso urge la correzione: 72
Inf. XXVIII.27.
mere la struttura dialogica in forma diretta, Trissino e da lui sottoposta all’attenzione dei “Troia” invece di “Troica” (purtuttavia atte- 73
Inf. XXV.2 (alcuni testimoni autorevoli leg-
più consona alla disputa. membri degli Orti Oricellari, fra cui figura- stato, come lezione tarda, in diversi testimo- gono amendue invece di ambedue).
45
Già Martelli, Una giarda, cit., p. 96, pur va – com’è noto – lo stesso Machiavelli. Col ni). Il termine “gaza” (di origine persiana, ma 74
Cioè nel fiorentino.
non credendo (come si è detto) alla paterni- termine “duca” si intende qui il duca di Mi- frequentemente attestato nei poeti e prosatori 75
L’antico contrasto “arte”-“natura” è uno
tà machiavelliana del Discorso notava la lano (ossia, nel settembre 1524, Francesco II latini della classicità) sta a indicare “tesori”, dei temi ricorrenti nel Discorso (compare, ad
pressoché totale coincidenza di questo brano Sforza). “ricchezze”. esempio, al termine del par. 11, sebbene for-
con l’inizio dell’Arte della guerra. 53
N. anticipa, cioè, che D. sarà costretto a 65
È questo uno dei casi cui si accennava nel- mulato in modo leggermente diverso). In pro-
posito cfr. le considerazioni svolte da Martelli, zione, Trovato, cit., p. 55 rinvia a Cic., De orat. stesso Machiavelli: “Giova veramente assai ad sistette il pontefice Leone X, il quale “ne rise
Una giarda, cit., pp. 198-213. III.41: “Sunt … certa vitia quae nemo est quin qualunque huomo, et maximamente a’ gio- assai gagliardamente con li astanti”, come ri-
76
“Derivati”. effugere cupiat: mollis vox aut muliebris vanetti, cognoscere la avaritia d’un vecchio, corda la fonte citata da L. Stefani in L. Ario-
77
Ossia “assimila i vocaboli presi in prestito …”. In ambito novellistico, per una vivace ca- il furore d’uno innamorato, l’inganni d’un ser- sto, Commedie: La Cassaria – I Suppositi,
da un’altra lingua”. ratterizzazione della curia pontificia senz’al- vo, la gola d’un parassito, la miseria d’un po- Mursia, Milano, 1997, p. 73.
78
Citazione da Hor., Ars poet. 56-57 (“se la tro apprezzata da Machiavelli cfr. Decameron vero, l’ambitione d’un riccho, le lusinghe d’una 98
Cfr. I Suppositi, cit., Atto I Scena I, p. 158
lingua di Catone ed Ennio ha arricchito il pa- I.2. meretrice, la poca fede di tutti gli huomini, de’ (“il dottoraccio de la berretta lunga”, riferi-
trio sermone”, là dove Orazio tratta della le- 84
Tali glorie letterarie sono le “tre corone quali exempli le commedie sono piene” (ed. to al personaggio di Cleandro) e Atto II Sce-
gittimità di coniare neologismi e importare ter- fiorentine” (Dante, Petrarca e Boccaccio), cui Inglese, cit., p. 117). na II, p. 177 per il significato (forse con dop-
mini da altre lingue). La forma esatta legge l’autore si riferisce anche poche righe più sot- 91
Per muovere al riso e risultare, quindi, ef- piosenso osceno) di “doppioni” (monete
“quum” (o “cum”) in luogo di “quod” e “di- to col generico “voi”. ficaci anche dal punto di vista etico le paro- spagnole; ma formule quali “pagare di dop-
taverit” invece di “dictaverit”. 85
Appunto – come anticipato alla nota pre- le impiegate in un’opera teatrale devono es- pioni” nel linguaggio comico dell’epoca al-
79
Su questo passo e il raffronto con un bra- cedente – Dante, Petrarca e Boccaccio. ser bene intese sia dagli attori sia dal pubbli- ludevano spesso all’atto sessuale, come ricorda
no de L’arte della guerra su cui hanno insistito 86
Appunto perché tutte le lingue risultano co. Il “dove” incidentale di questo periodo va Trovato, cit., pp. 63-64 nel suo commento a
gli studiosi contrari all’attribuzione del Discorso (seppur con gradi diversi) frutto di commi- inteso riferito a “patria” (ossia, le espressio- questo passo).
a Machiavelli (data la differenza delle cifre for- stione. ni idiomatiche e le voci particolari sono 99
Lezione integrata da MC e da tutti i suc-
nite) si veda il convincente commento di Tro- 87
Per il noto concetto retorico di urbanitas comprese appieno solo nel loro luogo d’ori- cessivi editori in quanto necessaria.
vato, cit., p. 52, dove tali supposizioni vengono Trovato, cit., p. 60 rinvia opportunamente a gine, come l’autore spiega nel brano imme- 100
Per la voce “bigonzoni” (o “bigoncioni”,
rivelate prive di fondamento. un celebre passo di Quint., Inst. orat. VI.3-4. diatamente successivo). come avrebbe preferito Machiavelli e si leg-
80
Col termine “forestieri” l’autore si rife- 88
Si tratta di strategie e di finalità tutt’al- 92
È quindi soprattutto nel genere teatrale, ge in alcune edizioni, vale a dire “pignatte”)
84 risce ai non toscani e, in particolare, ai dia- tro che originali; ancora una volta basti il ri- data l’immediatezza e l’urgenza dei dialoghi, cfr. I Suppositi, cit., Atto I Scena I, p. 155 (bat- 85
letti del nord Italia, come si evince dagli esem- mando a Hor., Ars poet. 343-344 (“Omne tu- che più risaltano le differenze linguistiche lo- tute iniziali del dialogo fra la nutrice e Poli-
pi qui addotti. lit punctum qui miscuit utile dulci, / lecto- cali rispetto a una reale o ipotetica norma co- nesta). Suggestiva risulta la proposta avanzata
81
Cioè di quella curia pontificia dove, se- rem delectando pariterque monendo”) e alle mune. da Simonetta, cit., p. 49, secondo cui Ma-
condo il giudizio del Calmeta, si parlava la lin- fonti più note, sia classiche sia umanistiche, 93
“Manchevole”, “difettosa”. chiavelli alluderebbe qui ai vv. 55-57 del IX del
gua che tutta l’Italia avrebbe dovuto adotta- indicate da Trovato, cit., pp. 60-61. 94
“Un intreccio”. Sull’uso di questo termine Paradiso (“Troppo sarebbe larga la bigoncia /
re; in proposito cfr. il commento in Trovato, 89
Sozzi, cit., p. 22 ipotizza un guasto in que- tecnico nel Discorso e la possibilità che si trat- che ricevesse il sangue ferrarese, / e stanco chi
cit., p. 54. sto brano del testo. È probabile, a mio avvi- ti di un’interpolazione, cfr. Bionda, cit. ’l pesasse a oncia a oncia”), ma ritengo più
82
Si tratta di un principio classico, già to- so, un errore di anticipo nel primo “le per- 95
“Arguzie”, “battute”. probabile la semplice spiegazione di Trovato,
pico in età aristotelica, e quindi passato nel- sone”, cui si dovrà sostituire una forma qua- 96
“Richiede”. cit., p. 64, ossia che l’autore rimproveri al-
la cultura latina prima di essere assunto fra le “li autori” o simile; il termine “persona”, 97
Il riferimento è a I Suppositi di Ludovico l’Ariosto “la barbarie linguistica dell’affrica-
i temi dominanti dell’umanesimo italiano; per inoltre, è qui da intendersi nel senso classico Ariosto, commedia ispirata a noti modelli plau- ta dentale” in sintonia con quanto già espo-
restare in ambito fiorentino, si vedano le bru- di “maschera”, “personaggio”. Interessante è tini e terenziani; composta inizialmente in pro- sto nel Discorso contrapponendo ciancie a zan-
niane Vite di Dante e del Petrarca, pp. 55-57 del- anche l’emendamento proposto da Martelli sa (fu rappresentata per la prima volta nel Pa- ze.
l’edizione a cura di A. Lanza, Archivio Guido e accolto da Inglese, cit., pp. 201-202: “Et per- lazzo Ducale di Ferrara il 6 febbraio 1509 e pre- 101
Ossia la lingua di maggior pregio, corri-
Izzi, Roma, 1987. Quanto al disprezzo di Ma- ciò le persone con chi la trattano difficilmente sto data alle stampe, forse già nello stesso anno, spondente al toscano su base fiorentina se-
chiavelli per la curia pontificia, si tratta – co- possano essere persone gravi”. a Firenze, o più verosimilmente fra il 1510 e condo l’opinione dell’autore.
m’è noto – di uno dei temi più ricorrenti nel- 90
Martelli, Una giarda, cit., p. 180 fa op- il 1512), venne quindi ridotta in versi dal- 102
Da intendersi con lo stesso significato pri-
le sue riflessioni politiche sull’Italia del tem- portunamente notare come questo passo l’autore negli ultimi anni della sua vita. Alla ma assunto, ossia “espressioni e termini ca-
po. corrisponda quasi alla perfezione al seguen- rappresentazione (la seconda) del 6 marzo 1519 ratteristici”.
83
Opportunamente, per questa considera- te, tratto dal prologo della coeva Clizia dello in Vaticano (con scenografie di Raffaello) as- 103
Per questo breve excursus di storia della
letteratura italiana si vedano Vita Nova cap. 107
“Assurdità”, “spropositi”.
XXV; Bruni, Vite di Dante e del Petrarca, cit., pp. 108
Così chiosa le ultime parole del Discor-
50-51 e le fonti segnalate nel commento di Tro- so Trovato, cit., p. 70: “Si distingue da ultimo
vato, cit., pp. 67-68. (in cauda venenum) tra l’onestà intellettuale
104
Sozzi ritiene l’allusione “rivolta princi- di Dante, che riconosce di buon grado il suo
palmente al Boiardo (più che all’Ariosto), al errore, e la malafede di Trissino e degli altri
Sannazaro, al Trissino, al Bembo” (cit., p. 25) italianisti”. Propende invece per una lettura
ma la maggior parte dei commentatori iden- ironica e autoironica di questo paragrafo con-
tifica qui i “Ferraresi” con l’autore del Furio- clusivo Simonetta, cit., pp. 52-53.
so, testo (si sa) molto apprezzatto da Ma-
chiavelli, come basta a ricordarci la famosa let-
tera del 17 dicembre 1517 a Lodovico Alamanni
in Lettere, cit., pp. 382-384, in cui (com’è al-
trettanto noto) l’unica cosa a non essergli pia-
ciuta era stata la sua mancata menzione nel-
la lista dei letterati illustri nell’ultimo canto
del poema. Scrisse infatti all’amico allora in
Roma così pregandolo di riferire all’Ariosto,
nel caso in cui lo avesse incontrato: “Io ho let-
to a questi dì l’Orlando Furioso dello Ariosto,
86 et veramente il poema è bello tutto, et in di
molti luoghi è mirabile. Se si truova costì, rac-
comandatemi a lui, et ditegli che io mi dol-
go solo che, havendo ricordato tanti poeti, che
m’habbi lasciato indietro come un cazzo…”.
Sull’importanza della lettura del Furioso per
la successiva carriera letteraria di Machiavelli
e di questa epistola in particolare cfr. Dioni-
sotti, Machiavellerie, cit., pp. 250-251, secon-
do il quale, dopo il capolavoro del ferrarese,
“la competizione restava aperta sul piano del-
la prosa e, proprio con l’Ariosto, su quello spe-
cifico della commedia in prosa, non più su
quello della poesia” (ivi, p. 251).
105
“Testardi fino in fondo”.
106
Il significato del verbo è chiaro (“aver-
lo disingannato”, “averlo corretto”, “confu-
tato”), ma vale la pena notare il tributo a Dan-
te nell’uso di una forma che rimanda inevi-
tabilmente al celebre verso di Inf. XIX: “e que-
sto sia suggel ch’ogn’omo sganni” (v. 21).

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