Escolar Documentos
Profissional Documentos
Cultura Documentos
2014
Quella cultura regionale, iniziata da quando Roma fondò le sue colonie a Brindisi, già capitale
della Messapia (244 a. C.) e a Lecce (125 a. C.), ci è stata tramandata, senza soluzione di continuità,
dal dialetto leccese di cui la presente Grammatica è un importante documento per la conoscenza della
latinità regionale e dell'attuale vitalità d'uso del sistema orale nella comunicazione sociale.
Il sistema linguistico leccese, come risulta da tutta la descrizione della Grammatica, è di tipo
italo-romanzo secondo una varietà meridionale, con tratti più vicini al sistema siculo-calabrese, e con
altri tratti più generalmente meridionali.
Accanto a questa caratteristica di schietta romanità, la latinità salentina presenta anche una più
tardiva caratteristica d'epoca medievale.
La Grammatica di A. Garrisi, oltre ad essere documento di una latinità regionale del Salento, è
anche documento dell'uso vivo del dialetto utilizzato nella fascia della comunicazione sociale in un
territorio dominato da Lecce.
Il sistema linguistico leccese, dal punto di vista storico è un dialetto, in continuità latina,
modificatosi nel corso del tempo per diverse innovazioni d'origine interna e per influssi esterni di
centri dominanti; dal punto di vista culturale è invece il sistema orale utilizzato nella fascia bassa della
comunicazione sociale.
3
l'assimilazione italica per i gruppi -ND- (kuannu), e per -MB- kiummu) come traccia di un
probabile influsso ricevuto dai Messapi a contatto dei Sanniti: a Lecce però A. Garrisi trova
sempre manda, índere 'vendere', pende, respúndere, ecc.
Accanto a questa caratteristica di schietta romanità, la latinità salentina presenta anche
una più tardiva caratteristica d'epoca medievale.
Anche nell'Italia centro-meridionale il sistema del vocalismo tonico del Latino si era
mutato nel nuovo sistema qualitativo a 7 vocali, con le due vocali estreme i, u chiusi, le due
vocali medie e, o stretti, le due vocali medie e, o aperti e la vocale centrale a. La
realizzazione delle due vocali e, o stretti non risultava univoca in tutto il territorio, nel senso
che a Roma questi suoni venivano resi molto vicini a e, o stretti, a Lecce, e in altri punti,
questi stessi suoni venivano resi simili a i, u larghi. Questa particolare realizzazione
meridionale, in parte oscillante, si è protratta sino al VI secolo quando, per influsso dei
Longobardi di Benevento, si rafforzò la tendenza, che era stata anche latina, a modificare le
vocali toniche secondo una specie di armonizzazione con le vocali finali, per cui i suoni di i,
u larghi finirono per stabilizzarsi in e, o a contatto di -A, -E, -O finali, e a chiudersi in i, u a
contatto di -I, -U finali: troviamo così a Brindisi lu mesi, li misi, la sera, l'acitu, lu nipoti, li
niputi, la kroce, li kruci. A Lecce, dominata dai Bizantini, non essendo arrivata l'innovazione
beneventana, i suoni di i, u larghi hanno finito per avvicinarsi di più a i, u chiusi, con i quali
si sono confusi, per cui sempre lu mise, li misi, la sira, lu citu, lu nepute, li neputi, la kruce, li
cruci.
Una successiva innovazione della stessa origine ha poi modificato anche le due vocali
medie e, o aperti con, o senza, dittongo secondo le vocali finali: in questo caso l'innovazione
ha raggiunto tanto Brindisi che Lecce, (ma non Otranto-Ugento) per cui in tutti e due i
territori si trova lu pete, li pieti, lu dente, li dienti, la socra, lu suecru, la morta, lu muertu,
ecc. Di particolare però, nel territorio di Lecce si trova la monottongazione per alcune forme
lessicali come l'éu 'uovo', ertu 'orto', ergiu 'orzo' (ma nel brindisino sempre ueu, uertu, uergiu,
ecc.).
L'arrivo delle innovazioni medievali ha prodotto una triplice distinzione linguistica tra il
tipo 'brindisino', che ha conosciuto le due innovazioni, il tipo 'leccese', che ne ha conosciuta
una sola, e il tipo 'otrantino-ugentino', che le ha ignorate completamente. Anche se con questa
triplice distinzione, l'antico territorio salentino risulta ancora ben distinto dal vicino territorio
pugliese, per tutta una serie di tratti linguistici, come la palatalizzazione di A tonico (kesa
'casa', pene 'pane'), il frangimento vocalico (séire, 'sera', nepóute 'nipote'), la caduta delle
atone (kes- 'casa', pen- 'pane', séir- 'sera', nepóut- 'nipote'), ecc., tratti presenti a nord della Via
Appia, già confine romano che separava nell'organizzazione amministrativa della REGIO
SECUNDA la CALABRIA dalla APULIA. Questa distinzione d'origine medievale non ha
però cancellato i tratti di un'antica latinità comune a tutta l'Italia meridionale, per cui molte
forme lessicali raccolte nella Grammatica, come nzurare 'maritare', vúngulu 'baccello'
risultano diffuse non solo in territorio pugliese, ma anche in quelli sardo, calabrese e
siciliano; così come sono diffusi anche antichi grecismi penetrati nel latino regionale come
naka 'culla', cilona 'tartaruga'.
La Grammatica di A. Garrisi, oltre ad essere documento di una latinità regionale del
Salento, è anche documento dell'uso vivo del dialetto utilizzato nella fascia della
comunicazione sociale in un territorio dominato da Lecce.
4
Il sistema linguistico leccese, dal punto di vista storico è un dialetto, in continuità latina,
modificatosi nel corso del tempo per diverse innovazioni d'origine interna e per influssi
esterni di centri dominanti; dal punto di vista culturale è invece il sistema orale utilizzato
nella fascia bassa della comunicazione sociale.
Ogni lingua romanza, in quanto risultato di un lungo processo culturale di tutta una
comunità in un territorio unitario, si presenta come una fascia di sistemi o registri linguistici,
con quello letterario-scientifico al vertice della fascia per la massima circolarità in tutto il
territorio, i vari sistemi regionali ai livelli medio-alto e medio-basso per la circolarità in
territori limitati, il dialetto nella parte più bassa per la minima circolarità linguistica. Data
questa sua stessa collocazione e limitata circolarità, il dialetto non è la corruzione della lingua
comune, o nazionale, da bandire dalla fascia della comunicazione sociale ma, nello stesso
tempo, non è neppure un sistema da poter promuovere a usi più alti che non gli competono;
come un dialetto deve essere rimosso quando è la triste eredità di una classe disagiata di
analfabeti, così anche non deve essere piegato alle sperimentazioni di eventuale classe
superagiata di alfabetizzati. Il dialetto rimane sempre una ricchezza della comunità per
utilizzare distinti sistemi per usi diversi, ma non può aspirare di essere promosso a 'lingua',
data la sua minima circolarità e la sua identificazione con una cultura minore.
A. Garrisi, che con la raccolta di costrutti tipici e frasi idiomatiche (confronta tutta
l'Appendice) ha ben documentato l'energica vitalità del dialetto leccese, non ci nasconde che
proprio tale vitalità possa avere anche un risvolto negativo: il dialetto nella continua
resistenza agli influssi della lingua comune per mantenere inalterato il proprio sistema
fonetico, morfo-sintattico e lessicale, può arrivare a sovrapporsi allo stesso sistema della
lingua comune, impedendo ai parlanti la dovuta separazione dei distinti sistemi negli usi
diversi. Perché il parlante leccese possa mantenere la consapevolezza, per es. di articolare in
Italiano patria, quattro senza la sua abituale resa gengivale, dovrà possedere la doppia
competenza della propria grammatica dialettale e quella della lingua italiana per non
incorrere nelle sanzioni della comunità nazionale.
5
Al lettore
Conoscevo di fama Antonio Garrisi quale autore del Dizionario Leccese-Italiano e del
Glossario Italiano-Leccese, dai quali ho attinto per tentare di districarmi ogni qualvolta mi ha
attanagliato un dubbio sull'uso corretto o sul significato di una parola dialettale leccese.
L'occasione di un incontro con l'autore è stata da me cercata per poter, insieme a lui,
vedere cosa si poteva fare per rendere rappresentabile dal punto di vista teatrale qualche
opera letteraria del Capitano Black, Giuseppe De Dominicis, suo illustre concittadino del
quale, nessuno come lui, è un approfondito studioso ed estimatore. Lo testimoniano le varie
pubblicazioni fatte dal Garrisi sul De Dominicis ed elencate alla fine del libro.
In quel primo incontro, tenutosi in casa sua, al quale partecipò anche sua moglie e Gianni
Solinas, dopo aver parlato e sviscerato l'argomento che mi stava a cuore, si parlò ovviamente
di dialetto, e fu allora che appresi da Antonio Garrisi che aveva pronta la grammatica del
dialetto leccese, da oltre dieci anni, ma che non si era mai deciso a pubblicarla.
Raggiungemmo l'intesa che sarebbe stata la mia Associazione Culturale "Corte dei
Musco" a rendersi promotrice della pubblicazione. Ed è stato così.
Contattai "La Gazzetta del Mezzogiorno", che è stata sempre attenta ad iniziative
editoriali riguardanti la nostra cultura, trovando subito la massima disponibilità.
La stessa cosa è avvenuta con il Professore di Filologia Romanza dell'Università di Lecce,
Padre Giovan Battista Mancarella, che con la sua presentazione ha dato giusto
riconoscimento della valenza scientifica della pubblicazione.
Come pure la famiglia Re, gelosa custode dei quadri del grande pittore Geremia Re, ha
contribuito con entusiasmo acconsentendo a far uscire in copertina, curata dal grafico Vittorio
Contaldo, un particolare de "Il contadino" una delle ultime e più significative opere del
maestro.
Ed è grazie a tutte queste persone, a "La Gazzetta del Mezzogiorno" e all'intervento
finanziario dell'Amministrazione Provinciale di Lecce, che è stato possibile pubblicare la
"Grammatica del dialetto leccese", che è tra le prime, se non la prima, tra le grammatiche di
dialetto pubblicate in Italia.
6
PARTE PRIMA:
Cenni storico-linguistici e annotazioni fonetiche
7
vanu, velu, vuluntate, zelare, zona, ecc., ecc., e l'espressione [qu]isti suntu fili mei, ecc.)
facciamo un primo raffronto tra le seguenti voci:
8
guardare
respicere respicare
ancora
9
'bellus', aggettivo maschile, per significare 'bello, grazioso'; per indicare la guerra dicevano
'bellum', sostantivo neutro, e per loro non c'era da confondere i due nomi e i due significati.
Ma nel medioevo, quando caddero nel parlare le consonanti finali -s di bellus e -m di
bellum, si ebbe una identica forma lessicale 'bellu' per indicare due concetti diversi, e
quest'unica voce certamente ingenerava confusione. Perciò la parola 'bellu' rimase a
significare soltanto 'bello e grazioso', e, per indicare la 'guerra, si usò il nome uerra, preso dal
parlare dei neovenuti Longobardi dominatori, che infatti dicevano werra.
Nel frattempo i lavoratori dei campi tralasciarono di usare il termine equus (= nobile
cavallo da cocchio e da sella) e gli preferirono la parola caballus (= ronzino, l'utile bestia da
lavoro), anche perché, poi, per gente illetterata equus era da confondere con 'aequum'
(pianura) e con 'aequus' (equo, giusto); vinse, pertanto, la voce popolare caballu, di
comprensione più immediata.
Inoltre, i poveri come potevano usare il vocabolo domus (= abitazione ampia e bene
arredata) se la propria dimora era un'umile piccola casa (casupola, capanna, tugurio)?; e
dunque nel linguaggio comune prevalse quest'ultimo termine, casa.
E il popolano analfabeta, invece di presentare: 'uxorem meam' (la mia signora moglie),
diceva semplicemente 'muliere[m] mea[m]' (mia moglie), successivamente diventato in
leccese > mugghiere mea > mugghièrema; e indicando sororem suam disse soru sua > sorsa.
Infine, invece di continuare a chiamare avis l'uccello (che, per di più, si confondeva con
avus = nonno) lo disse aucellus; e così invece di dire ovis la pecora, ebrius l'ubbriaco, scriba
lo scrivano, apothecarius il bottegaio, labor il lavoro gratificante, li disse rispettivamente
pècora, ebriacus, scribanus, putearius, fatiga (cioè lavoro faticoso), ecc.; al vocabolo leva
preferì sinistra; a callidus > vitiosus; a hispidus > pilosus; a ludus > jocus; a urbs > civitas; a
sus > porcus; ecc.; invece di cantare 'Dies illa' recitò 'tiesilla'.
Invece di anulus disse anellus (anello), e a cerebrum preferì cerebellum (cervello); al
letterario os preferì il popolare bucca (bocca); invece di senex (vecchio) usò il più facile
vetulus; ecc.
Al posto dell'antica voce emere usò comparare (comprare) e a lucere sostituì prima
lucèscere e poi lucescìre (far luce), ecc.
Semplificazioni grammaticali
La popolazione leccese ormai costituiva una comunità sociale di tipo feudale, limitata e
chiusa nel suo contado. Non essendo più in vigore le scuole pubbliche, chi insegnava ai
giovanetti le complesse desinenze latine da applicare secondo i casi, i generi, i numeri ai
nomi delle cinque declinazioni? Chi insegnava loro ad usare correttamente le complicate voci
verbali delle coniugazioni regolari, ed ancora la forma attiva, la passiva, la deponente e, in
più, le forme dei verbi irregolari? E tutti, analfabeti quali erano, finirono per applicare ai
sostantivi e agli aggettivi, per il singolare e per il plurale, per il maschile e per il femminile,
quattro soli (invece di sessanta!) morfemi: -a, -u, -e, le vocali risultanti, cioè, dopo
l'eliminazione della -m finale del caso accusativo singolare; in seguito venne aggiunta una
quarta vocale, la -i, per indicare i nomi maschili plurali; sicché avvennero le seguenti
mutazioni: animam > anima, rosam > rosa, spicam > spica, manum > manu, remedium >
remediu, pedem > pede, mortem > morte, pirum > piru, curtam > curta, cupum > cupu,
10
fortem > forte, …requiem aeternam > recumeterna… È pertanto evidente che in questa prima
fase le varianti maggiori si verificarono alla fine dei vocaboli, nelle desinenze.
Poi, i verbi latini si confusero e le coniugazioni da quattro si ridussero a tre; ancora, i
verbi in -ere e quelli in -ire si accoppiarono, assunsero una medesima flessione
amalgamandosi e semplificando sempre più le rispettive coniugazioni, vedi chiàngere e
chiangìre, cùrrere e currìre, lèggere e leggìre, pàrtere e partìre, sèntere e sentìre, ecc.; di
preferenza fu usata la forma attiva dei verbi, raramente la passiva; fu dimenticata la forma
deponente; i verbi irregolari uniformarono la loro coniugazione a quella dei verbi regolari;
alcuni tempi e modi verbali, quali il futuro e il piuccheperfetto, l'infinito passato e il gerundio
passato, il participio presente e quasi tutte le voci del modo congiuntivo furono abbandonati;
nella parlata leccese non comparvero mai specifiche forme verbali del modo condizionale,
cosa che, invece, si verificò nella lingua toscana. Per tale diversificazione derivò che nei
periodi ipotetici fu tralasciato dai leccesi l'uso abbastanza complicato del congiuntivo e del
condizionale e si adoperò soltanto l'indicativo: facìa buenu ci me rrecalàa nna quattrusordi
(farebbe bene se mi regalasse un ventino); ci aìanu enuti li amici, ièu m'ìa presçiatu (se gli
amici fossero venuti, io mi sarei rallegrato).
amo per la
hamus amu
pesca
11
crista crista cresta
12
Certo il passaggio del parlare dalla lingua latina popolare all'idioma vernacolo leccese si
verificò attraverso lente e graduali diversificazioni di elementi lessicali, attraverso misteriosi
ma naturali processi di mutuazioni linguistiche, fenomeni di trasformazione - ripetiamo - che
si svolsero di generazione in generazione per parecchi secoli, all'incirca dal VI al XVI sec.
Difatti, consideriamo sinteticamente. Dopo la disintegrazione politico-amministrativa
dell'Impero romano, durante le successive dominazioni straniere (anche nel Salento si
insediarono gli Ostrogoti, i Bizantini, i Longobardi, e poi i Normanni e gli Svevi, e poi gli
Spagnoli), un lunghissimo periodo storico caratterizzato da endemica miseria e da diffusa
ignoranza, il latino volgare subì in maniera sempre più radicale frequenti trasformazioni nel
lessico, nella fonetica, nella sintassi.
Effettivamente, in tempi successivi (è impossibile indicare la data certa e precisa del
verificarsi di ogni singola variazione) si produssero nella pronunzia popolare leccese
mutamenti sempre più vistosi; tantissime voci latine, non più regolate dalle norme lessicali e
grammaticali, trasmesse oralmente, sulla bocca della gente leccese subirono notevoli
alterazioni; non a capriccio, però, ma secondo maniere e cadenze abbastanza costanti,
determinate - insistiamo su questo motivo - dal naturale processo di articolazioni fonetiche e
definite dalle precipue attitudini psicofisiche dei parlanti.
In generale, nella parlata leccese le vocali -a, -e, -i, -o, -u, in tutte le posizioni nel
vocabolo, si pronunziano con suono pieno e chiaro; anche la -e- e la -o-, che nel toscano-
fiorentino possono avere in alcune parole suono aperto e in altre suono chiuso, nel leccese si
pronunziano in un loro identico suono aperto e largo; non c'è alcuna differenza fonica, infatti,
per es., tra ccetta = egli accetta e ccetta = la scure; tra legge = egli legge e legge = la legge;
tra ieri = tu eri e ieri = ieri; tra more = muore e more = more, scure.
In particolar modo bisogna osservare che le vocali -e- e -i- sono soggette ai medesimi
fenomeni di sostituzione scambievole; difatti alle vocali latine oppure italiane -e-,-i-
corrisponde nel leccese ora la -e-, ora la -i-, e ora il dittongo -ie-: lat. certus > lecc. certu (it.
certo); lat. acetum > lecc. citu (it. aceto); basilicus > basilecu (basilico); medicus > mietecu
(medico); lat. dentes > lecc. tienti (it. denti); lat. vermis > lecc. sing. erme e pl. iermi (it.
verme).
La vocale -o- in leccese si pronunzia con suono pieno e chiaro senza alcuna distinzione,
come in italiano, tra o- aperto e o- chiuso. Tuttavia, poiché l'idioma leccese predilige i suoni
cupi, la vocale -o di derivazione latina o greca o italiana o straniera, raramente resiste,
sostituita dalla -u: lat. colorem > lecc. culure (it. colore); lat. sorores > lecc. sururi (sorelle);
greco phyton > lecc. fitu (sciame); it. bòccolo > lecc. bùcculu; francese mortier > lecc.
murtieri (malta).
Spesso (fenomeno tipico leccese!) alla -o- tonica primitiva si sostituisce il dittongo -ue-:
lat. corpus > lecc. cuerpu; focus > fuecu; mortus > muertu; porcus > puercu; novus > nueu; it.
biscotto > lecc. pesquettu. Ma attenzione! Nel passaggio della voce leccese dal maschile al
femminile, il dittongo -ue- torna ad essere -o-: mortus > masch. muertu > ma femm. morta;
porcus > masch. puercu ma femm. porca; novus > masch. nueu > ma femm. noa.
La -u- è la vocale che più frequentemente compare nell'idioma leccese, che - ripetiamo -
predilige i suoni vocalici cupi. La -u- sostituisce tutte, proprio tutte, le -o finali delle parole
madri e molto spesso compare al posto della -o- all'interno dei vocaboli originari: lat. succosu
> it. succoso > lecc. sucusu; color > colore > culure; populus > popolo > populu.
13
Per quanto riguarda particolari segni letterari c'è da notare:
- la consonante liquida l- seguita da consonante labiale spesso si mutò nella liquida r-: lat.
malva > lecc. marvia (it. malva); lat. culpa > lecc. curpa (it. colpa); culmus > curmu (colmo);
polpus > purpu (polpo); albinus > Arbinu (Albino);
- i nessi latini ci-, ce- seguiti da vocale cominciarono ad essere articolati con il suono zz-:
lat. carraticia > lecc. carratizza (carrobotte); cretaceus > critazzu (terreno cretaceo); e per
analogia da grumaticeus > rumatizza (terreno arricchito con stallatico);
- i nessi latini ti-, te- seguiti da vocale cominciarono ad essere pronunziati con il suono
forte z- o zz-: lat. gratia > lecc. cràzia e ràzzia (it. grazia); cucutia > cucuzza (zucca); puteus
> puzzu (pozzo); platea > chiazza (piazza);
- i gruppi latini ct-, bsc-, nsc- si semplificarono per essere pronunziati più facilmente: lat.
conductus > lecc. nduttu (condotto); obscurus > scuru (oscuro); conscientia > cuscenzia
(coscienza);
- la lettera x- latina non passò nel linguaggio leccese, ma generò la sibilante s- o ss-: lat.
exigere > lecc. sìggere (avere desiderio); lat. exire > lecc. essire (uscire); exhumare >
ssumare (sollevare il livello di un liquido); exercitium > sertìziu (esercizio).
Mutazioni profonde e caratteristiche subirono sulla bocca dei Leccesi alcuni fenomeni;
ecco i più tipici e i più interessanti:
- la o- tonica - come già s'è detto - in leccese ebbe come esito il dittongo ue- e poi anche
la semplice -e- (mentre in toscano fa uo- e pure -o-): lat. bonus > lecc. buenu (it. buono);
corium > cueru (cuoio); homines > uemmeni (uomini); focus > fuecu (fuoco); morsus >
muersu (morso); ovus > ueu (uovo); tortus > tuertu e tertu (torto); somnus > suennu ed anche
sennu (sonno);
- la vocale e- tonica spesso si mutò in ie-: lat. ferrum > lecc. fierru (ferro); merum > mieru
(vino); hibernum > iernu (inverno); pectus > piettu (petto); lentus > lientu (lento);
- il nesso al- seguito da dentale o da palatale si mutò in au-: lat. altus > lecc. autu (alto);
caldus > cautu (caldo); falsus > fausu (falso); calcem > cauce (calcio); falcem > fauce (falce);
- i nessi li-, le- seguiti da vocale in leccese assunsero il suono gghi- (in italiano divennero
gli-): lat. filia > lecc. figghia (it. figlia); allium > agghiu (aglio); cilium > cigghiu (ciglio);
- i gruppi consonantici cl-, pl-, tl- si trasformarono in chi- e cchi-: lat. oculus > oclus >
lecc. uecchiu (it. occhio); lat. speculum > speclum > lecc. specchiu (it. specchio); plica >
chica (piega); planta > chianta (pianta); plenus > chinu (pieno); vetulus > vetlus > ecchiu
(vecchio);
- nella parlata prettamente leccese il gruppo nd- latino rimane stabile: lat. quando > lecc.
quandu (it. quando); mundus > mundu (mondo); grandis > rande (grande); contra bandum >
cuntrabbandu (contrabando); (in altre isole linguistiche salentine rispettivamente si dice per
assimilazione: quannu, munnu, ranne, cuntrabbannu);
- il gruppo mb- invece non si stabilizzò e tuttora oscilla tra mb- e mm- per assimilazione:
lat. lembus > lecc. limbu e limmu (bacinella di terracotta); lat. palumbarius > lecc. palumbaru
e palummaru (it. colombaia); lat. bambacem > lecc. ambace e mmace (it. bambagia);
- infine, ricordiamo che il suono della dentale di 2° grado d- nella parlata leccese si
avvicina maggiormente al suono della dentale di 1° grado t-: lat. dolorem > lecc. tulore (it.
14
dolore); sudorem > suture (sudore); decem > teice (dieci); digitus > tìsçetu (dito); dentes >
tienti (denti); nodus > nnutu (nodo); nudus > nutu (nudo).
Fonetica e grafia dei gruppi dd- e δδ-; sc- e sç-; str- e tr-; z- e ž
Interessante nella parlata prettamente leccese è il fenomeno per cui al suono liquido
laterale della doppia ll- (o latina o greca o italiana o francese) si sostituisce il tipico suono
rotacizzato della doppia dd-, che forse è un retaggio di un qualche antichissimo sostrato
linguistico mediterraneo (fenicio?, messapico?), giacché è comune pure al calabrese, al
siciliano e, in parte, al sardo. Dunque, solamente l'originale nesso ll- dà come esito fonetico
dd- rotacizzato che riproduce un suono cacuminale invertito, il quale si ottiene poggiando sul
palato la punta della lingua piegata alquanto all'indietro; esempi: lat. illa > it. ella > lecc.
idda; lat. illac > lecc. ddai; lat. nullus > lecc. nuddu; lat. martellus > it. martello > lecc.
martieddu; lat. pellis > it. pelle > lecc. pedde; greco mallos > lecc. maddune (fiocco di lana);
greco trullos > it. trullo > lecc. truddu; francese melle > lecc. medda (nespola). Sempre e solo
ll- > dd-!
Riprodurre graficamente il suono rotacizzato cacuminale invertito per gli scrittori
vernacoli leccesi ha costituito sempre un problema di ricerca e di scelta personale senza mai
giungere a una convenzione comune. Nel dramma settecentesco di autore anonimo Rassa a
bute (giuntoci manoscritto) troviamo evidenziato il suddetto suono caratteristico con
l'aggiunta di un taglietto apportato sulle asticelle delle lettere dd-.
Successivamente, fra gli scrittori dialettali:
- alcuni hanno tenuto presente la corrispondenza ll- > dd ed hanno scritto dd- senza
alcuna aggiunta (D'Amelio, Marinosci, Miggiano, De Maria, Parlangeli; il Panareo e il
Susanna evidenziarono scrivendo dd- corsivo in parola scritta in tondo, e dd- normale in
parola scritta in corsivo);
- parecchi hanno usato il gruppo ddh- (Casotti-Imbriani, D'Elia, Leoni, Marangi, Bozzi,
Vernaleone, Rucco, Caforio, Capodacqua, Coppone, Greco, Invitto, Mazzo, Montagna,
Mucciato, Morello, Nuzzoli; Giuseppe De Dominicis il Capitano Black usò prima dd- e poi,
consigliato dall'amico prof. Fr. D'Elia, adottò ddh-);
- qualcuno usa sbrigativamente dh-;
- alcuni ancora, per aderire il più possibile al suono della pronunzia, hanno scelto il
gruppo ddr- (Costa, Pagliarulo, Morelli, Fiorentino);
- altri hanno usato ddhr- (Bernardini-Marzolla, De Filippi, Marra);
- altri, infine, hanno convenuto di scrivere dd- ponendovi .. due puntini sotto (Salamac,
Rohlfs, Cucugliato, Graziuso, De Donno, Lupo, Caputo), in questo caso, però, andando
incontro a difficoltà dattilografiche e tipografiche perché le macchine per scrivere, allora, non
possedevano tali segni e bisognava crearli di proposito.
Io, non avendo nel mio computer le preferibili dd- con i due puntini sotto, uso i segni δδ-
(i delta dell'alfabeto greco) sia perché tali lettere, per la forma, richiamano le lettere italiane
dd- e sia perché, nello stesso tempo, ne evidenziano la diversità di grafia e quindi
suggeriscono subito di pronunziare con differente suono le normali dd- e le speciali δδ-,
distinguendo fonicamente, per esempio: iddi, idde (vidi, vide) e iδδi, iδδe (essi, esse); friddu
(freddo) e riδδu (grillo); ecc.
15
Il digramma sc- nel linguaggio leccese viene pronunziato con suoni diversi. In questa
sede, semplificando l'argomento, raccogliamo tali vari suoni in due distinti gruppi, che per
analogie e somiglianze chiamiamo: 1° di tipo italiano - 2° di tipo napoletano.
In sintesi, 1° - il digramma sc- in leccese può far sentire come in italiano un suono
sibilante gutturale secco (lecc. scatula = it. scatola, lecc. scutu = it. scudo); ed anche un
suono schiacciato duro (lecc. scemu = it. scemo, lecc. scippu = it. scippo, sciancatu =
sciancato);
2° - il digramma sc- in leccese può far sentire come in napoletano un suono palatilizzato
dolce (sçaffa, sçanare, musça, sçuma) e un suono schiacciato bleso (sçennaru, sçènneru,
masçi, sçire, sçiana, sçioculanu, sçiudeu).
Nella grafia leccese è importante diversificare il digramma sc- del 1° suono di tipo
italiano dal digramma sç- del 2° suono di tipo napoletano; ciò implica e distingue addirittura
il significato diverso di un vocabolo simile; per esempio: osce (vostre) e osçe (oggi); àsciu
(basso) e àsçiu (posto); càscia (cassa) e càsçia (cada); pèsciu (piscio) e pèsçiu (peggio);
scattare (scattare) e sçattare (scoppiare). Č necessaria, dunque, segnalare questa diversità
fonetica. In che modo? Semplice: basta porre nel digramma sc- del 2° suono di tipo
napoletano un segno speciale qualsiasi, sopra o sotto la s- (es. š) oppure sopra o sotto la c-
(es. ç-) secondo le contingenti possibilità dattilografiche e tipografiche.
Il gruppo str- nel dialetto leccese ha un suono sibilante cacuminale invertito sordo:
camastra (catena del camastrale), castratu (castrato), strèmeti (strepiti eccessivi), strèusu
(estroso), strittu (stretto), stròppiu (storpio), strùsçere (struggere); anche il nesso tr- ha suono
cacuminale invertito sordo: tratimentu (tradimento), trenu (treno), tribbulare (tribolare),
troppu (troppo), truccu (trucco).
A questo punto un'osservazione è opportuna circa la grafia di detti nessi str- e tr-. Si sa
che un segno speciale di scrittura segnala la pronunzia particolare ma di per sé non riproduce
il relativo fonema. Orbene, poiché il suono di entrambi questi gruppi consonantici str- e tr-,
nell'ambito del linguaggio e del lessico leccese, è sempre e solamente cacuminale, sempre e
solamente spirante postdentale, senza alcuna eccezione, è superfluo segnalarlo graficamente
apponendovi segni particolari: per distinguerlo da che cosa? Ma non esistono nella parlata
leccese altri nessi simili, str-, tr-, da pronunziarsi con suono diverso!
La consonante z- indica il suono affricato aspro e sordo: lecc. zàmparu (zoticone),
zèppula (zeppola), zìngaru (zingaro), zòcculu (zoccolo), zuca (fune), ràzia (grazia); infatti la
z- viene pronunziata con suono doppio rafforzato come se i vocaboli fossero scritti zzàmparu,
zzèppula, zzìngaru, zzòccalu, zzuca, ràzzia;
Invece la consonante ž- indica il suono sonoro e dolce (così come anche nelle parole
italiane žagara, želo, žižžania, žulù); e dunque diciamo: lecc. žallu (rožžo), žeru (žero),
màžžaru (žoticone), žella (testa calva), žulù (žulù), pužu (polso), žichi-žachi (žig-žag).
18
glaciare iazzare ghiacciare
requiem
recumeterna riposo eterno
aeternam
19
auricula rìcchia orecchia
20
Fenomeni positivi
Contemporaneamente a questi fenomeni di trasformazione, che possiamo definire
negativi in quanto che si tradussero in perdita o in mutamento rispetto agli etimi originari, si
produssero altri fenomeni positivi o di acquisto, per il fatto che comparvero nel discorso dei
parlanti leccesi gli articoli e le preposizioni, paroline queste indispensabili (ora che le
desinenze dei casi latini sono scomparse) per determinare le funzioni logiche dei sostantivi e
dei pronomi nell'ambito della proposizione e, quindi, per dare più chiarezza al proprio
pensiero.
Documenti popolari scritti di quel tempo (siamo intorno al mille) non ne abbiamo,
purtroppo; i sudditi, i fruitori dell'umile linguaggio parlavano e non scrivevano perché non
sapevano scrivere; essi si tramandavano oralmente le loro schiette canzuni (per lo più canti
d'amore e di sdegno), i loro cunti (racconti, novelle popolari), i loro culacchi (barzellette,
freddure).
Erano analfabeti persino i 'signori'. E difatti i più antichi documenti ufficiali giunti sino a
noi erano redatti in latino medioevale, la lingua artificiale dei notai, infarcita di formule
cancelleresche; e quanti baroni contraenti sottoscrivevano i rogiti, gli atti pubblici e privati
tracciando un facile segno di croce!
Comunque (e qui lavoriamo un po' di fantasia, giacché, come si è detto, documenti scritti
leccesi dell'epoca non ne abbiamo) non è illogico supporre che (verso il X-XI-XII secolo?)
una frase corrente in latino popolare tipo: habeo dictum que illum mulum est meum sulla
bocca del villano, col passare di molti decenni, diventò abeo dictu ca quiδδu mulu ete meu; e
poi - sempre a mo' d'esempio - la frase: ego et amicus meus metimus cum ista fauce illum
fenum siccatum si cambiò: eo et amicu meu metimu cu sta fauce lu fienu siccatu; e la frase:
istum iuvenem arat istum campum cum illo caballo de illo massaro si pronunziò: stu giòene
ara lu campu cu lu ca(ba)δδu de lu massaru. Così grosso modo, ma inavvertitamente, si
passò dalla lingua latina plebea all'idioma vernacolo leccese.
Come la lingua nazionale e tutti gli altri dialetti italiani, così l'idioma leccese accolse nel
proprio vocabolario anche voci estranee, derivate dai linguaggi dei vari invasori occupanti
(soldati, funzionari, gabellieri), i quali vennero nel Salento e vi si stanziarono come padroni
per periodi più o meno lunghi. Le loro lingue, tuttavia, essendo meno progredite del volgare
medioevale parlato dai sudditi nativi, ebbero poca efficacia e scarsa incidenza sulla parlata
indigena, in particolare sul lessico leccese, e dunque vi lasciarono poche tracce:
21
longobardo wanga angale molare
Non così, invece, per le parole di origine greca. Veramente, a proposito dei prestiti greci,
si prova una certa perplessità a considerarli stranieri, sapendo quanto la lingua greca avesse
influenzato le parlate dell'Italia meridionale sia al tempo della colonizzazione greca e sia
durante il periodo della dominazione bizantina: nei tempi antichi la greca Taranto fece sentire
la sua influenza sulla contigua Messapia (tanto che Quinto Ennio, diventato nel 185 a. C.
civis romanus, si vantava di avere assimilato tre culture: la messapica, la ellenica, la latina);
nel medioevo, poi, le genti della Grecìa salentina intrattennero frequenti rapporti con Lecce e
il suo contado.
Ad ogni modo, ecco alcuni tipici vocaboli leccesi derivati direttamente dal greco:
22
kanthòs cantu cerchione della ruota
23
dòlikhos tòleca specie di cicèrchia
24
Il seguente distico di Minervino, che si fa risalire all'anno 1473, viene segnalato come il
più remoto documento tipico dell'idioma popolare leccese; esso dichiara:
Como lu lione e(s)t lo re dell'animali
Cusì Menerbinu e(s)t lo re de li casali
Un cronista del tempo (seconda metà del sec. XV), M. L. Cardami, nei suoi "Diarii"
(evidenziamo che egli si esprimeva in lingua letteraria) sotto l'anno 1478 annotò: Foro tante
le campie grandi ad modo de lucerte, che se mangiavanu tutte le vigne ("Furono tanti i bruchi
grandi a mo' di lucertole, che si mangiavano tutte le vigne").
Un brano tratto dall'atto ufficiale "Instrumentum concordie" n. 68 del 1495 (Libro Rosso
della Città di Lecce) recita in lingua cancelleresca: Fuit conclusum che per observare la
unione, amore et benevolencia tra li dicti Magnifici baruni et dicta Magnifica Universita se
faza uno istrumentu puplico nel quale utraque pars se obligara vivere in omnibus et per
omnia sin come se ha vixuto et viveno de lo Regimento…
Appare chiaro, ad ogni modo, che il linguaggio e lo stile, sia quello popolaresco del primo
brano (il distico di Minervino), sia quello letterario del secondo (l'annotazione del Cardami),
sia quello curialesco del terzo brano (la promessa di pace), risultano da una mescolanza o, se
vogliamo, da una medietà tra latino volgare, italiano popolare e leccese emergente.
In epoca moderna gli Spagnoli tennero a lungo sottomessa l'Italia meridionale e il loro
dominio si fece sentire pesantemente in campo politico-fiscale. Il loro apporto linguistico
lessicale, invece, nel dialetto leccese risultò molto meno sensibile e diffuso di quanto potesse
far supporre il lungo periodo (dal 1559 al 1700) di dominazione, segno che la pomposa civiltà
spagnolesca influì limitatamente sulla consolidata cultura contadina delle popolazioni
salentine, le quali ebbero lunghi contatti ma limitati rapporti solamente con i funzionari regi e
non anche con le truppe spagnole, che, a dire il vero, tra noi rimasero stanziate per breve
tempo.
All'influenza spagnola potremmo far risalire la desinenza -iento delle parole leccesi
reggimientu, patimientu, trumientu, rusecamientu, ecc., uso facilitato anche dal più antico
modo di formare il plurale dei nomi derivati da voci latine in -entes (tonica e- > ie-): lat.
parentes > lecc. parienti (parenti), lat. serpentes > lecc. serpienti (serpenti).
Ecco alcune voci leccesi con etimi spagnoli:
25
farfullar farfugghiare farfugliare
Dei prestiti lessicali francesi presenti nell'idioma leccese, alcuni, i più arcaici, devono
farsi risalire al periodo angioino (1266-1435); altri, specialmente le voci indicanti mestieri e
attrezzi artigianali, tipi di armi, oggetti commerciali e di abbigliamento, sono da addebitare
alla influenza francese esercitata o indirettamente tramite la lingua italiana o direttamente nel
corso del più recente, se pur breve, periodo murattiano (1808-1815).
26
dormeuse durmosa poltrona a sdraio
- 16 sonetti leccesi raccolti nel manoscritto di Londra (prima metà del secolo XVIII);
- La Juneide , osia Lecce trasfurmatu, culle laudi de lu Juni, puema eroeco dedecatu alli
signori curiosi; di autore ignoto, fu scritto non prima del 1768; il poemetto prende il titolo da
lu Juni, soprannome di Giuseppe Romano il quale fu sindaco di Lecce nel biennio 1768 - 69;
- poesie delle Accademie oriatane (1781-83).
Ma a questo punto siamo arrivati al sorgere della vera e propria letteratura dialettale
leccese, la quale viene nobilitata dalle Puesei a lingua leccese de lu Frangiscantoni D'Amelio
de Lecce (1775 - 1861), dedecate a Soa Ccellenza D. Carlo Ungaro de Montejasi; e
28
principalmente dalla vasta opera poetica del cavallinese Giuseppe De Dominicis, il Capitano
Black, (1869 - 1905), il più valido e meritatamente illustre poeta dialettale salentino.
È vero, l'idioma toscano-fiorentino, anch'esso derivato dalla lingua madre comune, il
latino volgare, da qualche secolo aveva trionfato pur con grande difficoltà, sopra tutti gli altri
cento dialetti provinciali italiani, era divenuto lingua nazionale e faceva sentire sicuramente
la sua influenza, anche sulle parlate salentine; ma è pure certo che il dialetto leccese in
particolare conservò ben marcato - come abbiamo osservato - nel vocabolario e nella struttura
la memoria del latino. Ricordi remoti…, ma più immediati di quanto abbiano mantenuto gli
altri dialetti italiani. Un idioma - concludiamo - il nostro, che si mantiene tuttora vivo nell'uso
quotidiano (nel privato e tra tutti i ceti sociali schiettamente leccesi), e che conserva anche la
propria tradizione culturale e storica.
Da questa constatazione discende la consapevolezza che sono validi i motivi per cui
dappertutto nel Salento c'è un risorgere di studi dialettali: si pubblicano raccolte di canti
popolari e componimenti poetici in vernacolo (ma chissà quante altre raccolte di poesie
rimangono chiuse nei cassetti degli autori!); si istituiscono premi letterari per racconti e
poesie dialettali; inoltre, vengono incrementate le genuine sagre popolari e le tradizioni
folcloristiche; valide compagnie di attori presentano nei teatri lodevoli commedie dialettali; si
organizzano ricostruzioni storiche e si approntano musei di civiltà contadina; si pubblicano
numeri unici periodici. Tutte documentazioni importanti di una cultura che, se pure ristretta
nello spazio, prolunga le sue origini lontano, molto lontano nel tempo; perciò tale cultura è
interessante e degna; perciò è bene che la sua memoria non vada perduta.
PARTE SECONDA:
Morfologia
IL NOME O SOSTANTIVO
Il nome o sostantivo è la parola usata per indicare una persona o un animale oppure una
cosa o un concetto: Caubbe (Giobbe), Ronza (Oronza), surdatu (soldato), felandara
(filandaia), manzaru (montone), canìgghia (crusca), furcina (forchetta), curru (trottola),
curàggiu (coraggio), unestità (onestà), ecc.
1. Nomi concreti e nomi astratti
Lungo i millenni di esperienza l'uomo ha assegnato un nome a tutti gli esseri animati e
agli oggetti, ha dato un nome anche alle azioni, alle qualità, ai sentimenti, alle sensazioni,
addirittura alle idee. Tutti questi nomi li dividiamo in concreti e astratti:
1. a) nomi concreti si dicono quelle parole usate per indicare persone o cose esistenti o
credute esistenti nella realtà: Iacu (Giacomo), Ntònia (Antonia), nutaru (notaio),
trainieri (carrettiere), caniatu (cognato), aratinu (aratro di ferro), acu (ago), ampa
(vampa), trèmetu (tremolio), càutu (calore), nannercu (vecchio orco), stulara
(strega), tiempu (tempo), ecc.
2. b) nomi astratti si dicono quei termini usati per indicare idee della mente, semplici
nozioni: artezza (altezza), libbertà (libertà), micragna (avarizia), pàndeca (mira
costante), straccata (affaticamento), traugghiamientu (rimescolamento), ecc.
2. Nomi propri e nomi comuni
29
1. a) - I sostantivi propri sono quei nomi che indicano proprio quella particolare
persona, proprio quel singolo animale, proprio quella determinata cosa senza
possibilità di confusione o di equivoco. Essi vanno scritti con la lettera iniziale
maiuscola: Mària (Amalia), Cisàriu (Cesario), Morò (questo cane qui), Utràntu
(Otranto), Turre Iènneri (Torre Venere), ecc.
2. b) - I sostantivi comuni, invece, sono quelle parole che indicano esseri animati o cose
o concetti in senso generico, senza distinzione dagli altri individui della medesima
specie: òmmene (uomo), nunna (donna), stria (ragazza), mùscia (gatta), ermecòculu
(onisco), scùmmaru (sgombro), cità (città), farnaru (crivello), scuparu (ramazza),
ursulu (orciolo), ecc.
3. Nomi collettivi
Si dicono collettivi quei nomi che, pur avendo forma singolare, non indicano un essere
solo, ma più individui insieme: fitu (sciame), murra (gregge), sièrsetu (esercito), mendulara
(mandorleto), ecc.
4. Nomi primitivi e nomi derivati
I nomi originari si dicono primitivi perché non derivano da nessuna altra parola già
esistente nel nostro idioma; si dicono, invece, derivati o alterati quei vocaboli che risultano
dalla modificazione di nomi originari; p. es.:
dal nome originario Frangiscu (Francesco) > i derivati Frangeschinu, Ngiccu, Nniccu,
Cchinu, Chiccu, Cici, Cìcciu, Ciccillu;
da culonna (colonna) > i derivati culunnetta, culunnina, culunnatu;
da cane (cane) > caniceδδu, cagnùlu, cagnulieδδu, cagnulastru;
da màsculu (maschio) > masculieδδu, masculazzu, mascularu, masculettu, masculinu,
masculone.
Come si può notare, le variazioni di un nome si possono fare in tanti modi, togliendo,
mutando, alterando il suffisso.
Altri suffissi per i nomi derivati sono:
-àcchiu: Peppu (Giuseppe) > Peppàcchiu; luta (fango) > lutàcchiu (pantano melmoso);
ìcchiu: surge (topo) > surgìcchiu; furmìcula (formica) > furmiculìcchia; ngrazziatu
(grazioso) > ngrazziatìcchiu; pisirìcchiu (frugoletto).
Per i nomi di persona, suffissi comuni sono:
-inu, -ùcciu: Ntoni (Antonio) > Ntuninu, Ntunùcciu; Mmela (Carmela) > Mmelina,
Mmelùccia; Angiulinu (Angelo); Rafelùcciu (Raffaele); ecc.
-uzzu: Mecu (Carmelo) > Mecuzzu; Mingu (Domenico) > Minguzzu; Pietru (Pietro) >
Petruzzu; Santa > Santuzza.
Ma di gran lunga i suffissi più frequentemente usati, in senso diminutivo e vezzeggiativo,
sono -ieδδu m., -eδδa f.; -iceδδu m., -iceδδa f., terminazioni che possono essere aggiunte:
1. a) - a nomi comuni: fenièsciu (finestra) > fenescieδδu, fenesceδδa; carusu (giovane) >
carusieδδu, caruseδδa; mùsciu (gatto) > muscieδδu, musceδδa, musciceδδu,
musciceδδa; cucùmmeru (cocomero) > cucummerieδδu; ozza (giara) > ozziceδδa;
spaδδe (dorso) > spaδδiceδδe; pupu (pupazzo) > pupiceδδu, pupiceδδa;
30
2. b) - a nomi propri: Ronzu (Oronzo) > Ronziceδδu; Peppu (Giuseppe) > Peppiceδδu;
Mèlia (Amelia) > Meliceδδa;
3. c) - ad aggettivi: malatu (ammalato) > malatieδδu (convalescente); rande (grande) >
randiceδδu (grandicello); maru (amaro) > marieδδu, mariceδδu (amarognolo, un po'
amaro); piccinnu (piccolo) > piccinnieδδu (piccolino);
4. d) - ad avverbi anche: picca (poco) > picchiceδδu (pochino); prestu (presto) >
presticeδδu (alquanto presto); tardu (tardi) > tardiceδδu (un po' tardi); cùcchiu
(vicino) > cucchiceδδu (abbastanza vicino).
5. Nomi composti
Si dicono composti i nomi formati
da due sostantivi: capuuàrdia (capoguardia), terramotu (terremoto);
o da un aggettivo e un sostantivo: bunànima (buon'anima), capiδδirizzu (dai capelli
ricci), uecchimmìrciu (strabico); menzadìa (mezzodì);
o da un verbo e un sostantivo: cconzalìmmure (conciabrocche, artigiano girovago che
ripara oggetti rotti di terracotta), chiangimuerti (piagnone), cacafae (inconcludente),
mangiapappa (sempliciotto);
o da un avverbio e un sostantivo: senzaquiδδa (impotente), subbratàula (dessert),
suttauècchiu (sottecchi).
6. Il genere dei nomi
In leccese sono maschili:
a) - i nomi che al singolare terminanu in -u: Nunziatu (Annunziato), mulenaru
(mugnaio), mulu (mulo), palumbu (colombo), celu (cielo), cìceru (cece); sargeniscu
(anguria, melone d'acqua);
- fanno eccezione: la supranu (il soprano), la manu(la mano), l'aràtiu (la radio), la tìnamu
(la dinamo), sostantivi che sono femminili e conservano la desinenza -u anche al plurale: le
supranu, le manu, le aràtiu, le tìnamu;
b) - sono maschili anche i nomi uscenti al singolare in -i: artieri (artigiano), cucchieri
(cocchiere), cammerieri (cameriere), antieri (capofila di una schiera di lavoratori),
ecc.
Sono di genere femminile i nomi che al singolare escono in -a: Nunziata (Annunziata),
mulenara (mugnaia), porca (scrofa), palumba (colomba), mbrunella (prugna, susina),
tagghiata (cava di pietra).
Sono maschili e/o femminili i sostantivi che al singolare terminano in -e: lu lepre (lepre
maschio), la lepre (lepre femmina); lu tulore, la tulore (il dolore); lu culure (il colore); la
catrame (il bitume); la salame (il salame).
Tranne lu sàbbatu (il sabato), che è maschile, gli altri giorni della settimana sono
femminili: la lunedìa o lunetìa (il lunedì), la martedìa (il martedì), la merculedìa o mercutìa
(il mercoledì), la sçiuedìa (il giovedì), la ernedìa (il venerdì), la tumìneca (la domenica).
Per i nomi delle piante e dei rispettivi frutti non c'è una regola definitiva ed occorre
consultare il dizionario; difatti, milu m. (melo, l'albero e pure il suo frutto), mila f. (mela, il
frutto); piru m. (il pero e pure il suo frutto), pira f. (la pera); ma fica f. (fico, sia l'albero che il
frutto); ulìa f. (sia l'albero dell'olivo e sia l'oliva, il frutto); portucallu m. (l'arancio e
31
l'arancia); sçìsçiula (l'albero del giùggiolo e pure il suo frutto); còrnula (il carrubo, la
carruba).
Un gran numero di sostantivi cambiano genere semplicemente mutando la terminazione
maschile -e, -i, -u nella desinenza femminile -a: gnore e gnora (signor marito e signora
moglie); Tore, Tora (Salvatore, Salvatora); burlieri, burliera (burlone, burlona); pustieri,
pustiera (postino, postina); Nzinu, Nzina (Vincenzo, Vincenza); canatu, canata (cognato,
cognata), ecc.
I seguenti nomi, passando dal maschile al femminile, fanno furestieri > furestera [nota -ie
> -e] (forestieri, forestiera); antieri (caposquadra maschio) al femminile fa antara
(caposquadra femmina).
7. Nomi difettivi
Anche nel dialetto leccese ci sono nomi comuni maschili di persona e di animale i quali
non hanno la propria forma femminile (perciò si dicono difettivi), ma cambiano addirittura
vocabolo: m. òmmene, omu (uomo) e f. donna, nunna (donna); m. màsculu (maschio) e f.
fìmmena (femmina); m. sire, tata (padre) e f. mamma (mamma); frate (fratello) e soru
(sorella); maritu (marito) e mugghiere (moglie); sçènneru (genero) e nora (nuora); cumpare
(compare) e cummare (comare); manzaru (montone) e pècura (pecora); oi (bue) e acca
(vacca); caδδu (cavallo) e sçiumenta (giumenta, il f. caδδa non esiste!); aδδuzzu (galletto) e
puδδàscia (pollastra); rre (re) e rresçina, rrecina (regina).
Al contrario, ci sono nomi femminili i quali non hanno la propria forma maschile: il f.
mèrula (merlo, merla) non ha il corrispondente m. mèrulu; fuìna indica sia la faìna femmina e
sia la faìna maschio; melogna è sia il tasso maschio che il tasso femmina; ticra è la tigre
maschio e la tigre femmina; e poi malòtula (coleottero), musça (mosca), taranta (ragno); ecc.
Una peculiarità leccese interessa molte parole, le quali al maschile singolare prima della
desinenza presentano il dittongo -uè-, esito di una originaria -o- tonica; ebbene, esse passando
al femminile mutano -uè- in -o-: m. puercu (porco) e f. porca (dal lat. porcus); m. percuecu
(pesco) e f. percoca (pesca); m. cuernu e f. corna (corno); m. uessu (osso) e f. pl. osse (ossa);
ecc.
8. Il numero dei nomi
I nomi possono essere di numero singolare o plurale:
- il singolare indica una sola persona o un solo animale o una singola cosa o idea: fìgghiu
(figlio), ramaru (ramaio, stagnaio), ciùcciu (somaro), malota (scarabeo), cascettinu
(scatolino), macìnula (argano), busçìa (bugia);
- il plurale indica più persone, più animali, più cose o idee: figghi (figli), ramari (ramai),
ciucci (somari), malote (scarabei), cascettini (scatolini), macìnule (argani), busçèi (bugie),
ecc.
32
(m.)
-a
-a lu tata (il padre) - li tata (i padri); lu papa (il papa) - li papa (i papi);
(m.)
-u -i maritu-mariti; ssegnuttu-ssegnutti; curru-curri;
II nna manu (una mano) - doi manu (due mani); l'aràtiu (la radio) - le aràtiu (le
-u -u
radio);
III -e -i dulore-dulori; suture-suturi; urpe-urpi; ndore-ndori;
lu artieri (l'artigiano) - li artieri (gli artigiani); lu cumenanzieri (diurnista) - li
IV -i -i cumenanzieri (diurnisti); nnu tarloci (un orologio) - tanti tarloci (tanti
orologi).
a) - particolarità del I gruppo:
sing. pl. esempi
-ca (f.) -che àleca-àleche; còleca-còleche; mmuca-mmuche; furca-furche;
-ca (m.) -chi duca-duchi; culleca-cullechi;
-ìa -èi malatìa-malatèi; paccìa-paccèi; zia-zei; strìa-strèi;
-ia -ie amicìzia-amicìzie; pàccia-pàccie; fògghia-fògghie
b) - particolarità del II gruppo:
sing. pl. esempi
-iu -i cànciu-canci; ìzziu-izzi; làcciu-lacci; màgghiu-magghi;
-ìu -èi sçiutìu-sçiutèi; ziu-zei;
-cu -ci amicu-amici; mònecu-mòneci; puercu-puerci;
-cu -chi bacu-bachi; fuecu-fuechi; laccu-lacchi; macu-machi.
Plurali irregolari:
a) - alcuni nomi maschili, passando al plurale, non si attengono alle norme suddette,
ma si comportano in maniera irregolare: il sing. omu (lat. homo) >fa uèmmeni (lat.
homines) al pl. (e non omi!); calantomu > calantèmmeni (galantuomini);
b) - altri cambiano genere, per cui, invece di -i, prendono la terminazione femminile -
e: ueu (uovo) m. sing. > oe (uova) f. pl.; centenaru (centinaio) > centenare (centinaia);
migghiaru (migliaio) > migghiare (migliaia); mìgghiu (miglio) > mìgghie (miglia); nnu
paru m. (un paio) > doi pare f. (due paia); sçenùcchiu (ginocchio) > sçenùcchie
(ginocchia); tìsçetu (dito) > tìsçete (dita); lu razzu (il braccio) > le razze (le braccia).
c) - alcuni nomi hanno due plurali: sing. nna manu (una mano) > pl. doi manu f. o
mànure f. (due mani); sing. acu (ago) > pl. àcure f. e achi m.; arcu (arco) > àrcure f. e
archi; pizzu (pizzo) > pìzzure e pizzi; puzzu (pozzo) > pùzzure f. e puzzi m.; campu
(campo) > càmpure f. e campi m.; còfanu (conca per il bucato) > còfane f. e còfani
m.; risu (risata) > risate f. e risi m.; ritu (grido) > retate f. e riti m.; uessu (osso) > uessi
m. e osse f.; soru (sorella) > pl. soru e sururi o suluri.
9. Nomi invariabili
Hanno il plurale identico al singolare:
33
alcuni vocaboli indicanti mestieri: lu barbieri (it. barbiere)-li barbieri; nnu
cumenanzieri (salariato fisso)-tanti cumenanzieri; e così: mestieri (mestiere),
cancascieri (sonatore di grancassa), sçiurnatieri (lavoratore pagato a giornata),
staδδieri (stalliere);
alcuni nomi maschili uscenti in -a: bòia (boia), tata (padre), curilla (gorilla);
i femminili: aràtiu (radio), tìnamu (dinamo);
il nome brìndisi;
le parole di evidente derivazione latina terminanti in -ate e le loro forme tronche in -
tà: abbeletate, abbeletà (abilità); buntate, buntà (bontà); caretate (carità), caretà
(elemosina); sanetate, sanetà (buona salute); citate, cità (città); tempestate
(tempesta); ecc.
GLI ARTICOLI
1. Articoli determinativi:
2. Articoli indeterminativi:
34
GLI AGGETTIVI
Gli aggettivi sono parole che si aggiungono ai sostantivi per meglio specificarne la qualità
e meglio definirne l'appartenenza, la posizione, la quantità ed altre condizioni particolari.
Essi, pertanto, si dividono in due grandi gruppi: a) aggettivi qualificativi e b) aggettivi
determinativi.
2° - Al secondo gruppo appartengono gli aggettivi che hanno due uscite: -e per il sing.
masch. e femm.; -i per il pl. masch. e femm.: àbbile, àbbili (abile, abili); rande, randi
(grande, grandi); tuce, tuci (dolce, dolci);
- alcuni aggettivi di questo gruppo, i quali al singolare presentano nell'interno della parola
una e- tonica, al plurale mutano questa e- in ie-: dèbbule, dièbbuli (debole, deboli); fetente,
fetienti (fetente, fetenti);
- l'aggettivo forte al plurale fa fuerti (o- > ue-) sia al masch. che al femm.: muli fuerti
(muli forti); spaδδe fuerti (spalle robuste).
3° - Al terzo gruppo poniamo gli aggettivi qualificativi che, nella formazione o del
femminile o del plurale si discostano dalle norme relative; li chiamiamo, perciò, irregolari: il
sing. crutìu (non cottoio) al pl. non fa crutìi, ma crutèi (non cottoi); prematìu (precoce),
prematèi (precoci); picca (poco e poca), picchi (pochi e poche).
Anche gli aggettivi qualificativi possono essere alterati come i sostantivi, p. es.: bona,
boniceδδa, bunazza (buona, alquanto buona, straordinariamente buona); iancu, ianculiδδu
35
(bianco, bianchiccio); àsciu, asciceδδu, asciòttulu (basso, bassino, bassotto); maru, marieδδu,
mariceδδu (amaro, amaretto).
A volte l'agg. beδδu viene rafforzato, combinandosi, dall'agg. fattu, ed entrambi
concordano con il nome al quale si riferiscono: beδδufattu, beδδafatta, beδδifatti, beδδefatte
(ben fatto, ben fatta, ecc.).
L'agg. buenu (buono) in espressioni beneauguranti diventa bon- (f. bona) e si congiunge
al sostantivo: bonannu (buon anno), bonappetitu (buon appetito), bongiornu (buon giorno),
bonaèspera (buon pomeriggio), bonasçiana (buonumore), ecc.
Santu e San si usano indifferentemente, secondo la disponibilità del momento: Santu e
San Frangiscu (S. Francesco); Santu e San Luisçi (S. Luigi); Santu e San Rafeli (S. Raffaele);
ecc.
- ma si dice solo Santu Giustu (S. Giusto), Santu Ronzu (S. Oronzo), Santu Furtunatu e
non San Furtunatu (S. Fortunato), Santu Larienzu e non San Larienzu (S. Lorenzo), ecc.
- Santu elide la -u soltanto davanti a nomi che cominciano con la vocale A-: Sant'Antoni
(S. Antonio), Sant'Angelu (Sant'Angelo), Sant'Aràsemu (S. Erasmo); invece si dice: Santu
Elìsiu (S. Eliseo), Santu Itu (S. Vito), Santu Iacu (S. Giacomo), Santu Ucu (S. Ugo), ecc.
36
o ripetendo due volte l'agg. positivo: caru caru (carissimo), rande rande (grande
grande), picciccu picciccu (piccolo piccolo), àutu àutu (altissimo), largu largu
(lontanissimo);
o oppure premettendo all'aggettivo un avverbio, quale mutu (molto, assai),
troppu (troppo), pròpriu (proprio), supèrchiu (soverchio), ddaveru
(veramente): mutu caru (molto caro), troppu rande (troppo grande), pròpriu
picciccu (piccolissimo), supèrchiu buenu (assai buono, ottimo), ddaveru
spiertu (veramente svelto);
o o, infine, accoppiando l'aggettivo positivo all'aggettivo tuttu (tutto) con il
significato avverbiale italiano di completamente, del tutto, interamente: tuttu
lurdu (sporco dalla testa ai piedi, sporchissimo), tutta uastata (interamente
guasta), bona tutta (del tutto buona, buonissima), tuttu mmuδδatu
(completamente madido); tutta presçiata (lietissima); le scarpe tutte chine te
luta (le scarpe completamente infangate).
Qualche superlativo formato con il suffisso -issemu (certamente dal lat. -issimus o dall'it.
-issimo) è di derivazione dotta e letteraria, per es. santìssemu (santissimo), amatìssemu
(amatissimo), ccellentìssemu (eccellentissimo).
AGGETTIVI DETERMINATIVI
AGGETTIVI POSSESSIVI
Gli aggettivi possessivi nella parlata leccese si pongono generalmente dopo il sostantivo
(però in poesia sono liberi). Essi sono:
- miu, mia, mei, mei (mio, mia, miei, mie):
ieu au cu llu traìnu miu (io andrò con il mio carro); la beδδa mia (la mia bella); àggiu ntisu
cu lle rìcchie mei (ho udito con le mie orecchie); non si dice: lu miu tata, ma lu tata miu (il
padre mio).
- tou, toa, toi, toi (tuo, tua, tuoi, tue):
rrumanìu a ccasa toa cu lli parienti toi (rimase a casa tua con i tuoi parenti); le manu toi
suntu ncaδδarute (le tue mani sono callose);
- sou, soa, soi, soi (suo, sua, suoi, sue):
mmitàu le amiche soi (invitò le sue amiche); la lingua soa ete longa (la sua lingua è lunga);
me piàcenu le idee soi (mi piacciono le sue idee); lu tarlosçi ete sou (l'orologio è suo);
- n[u]èsciu, nòscia, n[u]esci, nosce (nostro, nostra, nostri, nostre):
ntra llu core nèsciu tenimu scuse le pene nòscie (dentro il nostro cuore teniamo nascoste le
nostre pene);
- uèsciu, òscia, uesci, osce (vostro, vostra, vostri, vostre):
la mamma òscia e llu tata uèsciu suntu zei nesci (vostra madre e vostro padre sono zii nostri);
- loru (loro), invariabile:
ìnnera cu lle fìgghie loru (vennero insieme con le loro figlie); cu sse fàzzanu li cazzi loru (che
bàdino ai loro casi!); uardàra cu ll'ecchi loru stessi (guardarono con i loro stessi occhi).
Gli aggettivi possessivi, quando sono usati da soli, quando, cioè, non accompagnano il
nome e sono, allora, preceduti dall'articolo determinativo, vanno intesi come pronomi
possessivi: lu uai ete ca lu sou ete sou e puru lu miu ete sou (il guaio è che il suo è suo e pure
il mio è suo); ete mègghiu lu miu te lu tou (è migliore il mio del tuo); moirretu li toi ànu
spicciatu te pesare lu ranu (poco fa i tuoi hanno terminato di trebbiare il grano).
Altre forme invariabili di possessivi sono:
-ma (dal lat. m[e]a) mio, mia;
-ta (dal lat. t[u]a) tuo, tua;
-sa (dal lat. s[u]a) suo, sua;
Esse sono frequentemente usate e vengono unite come enclitiche ai nomi di parentela e ai
nomi di quelle persone con cui si hanno stretti rapporti sociali: mama (mia madre), zìuma
(mio zio), cumpàrema (mio compare), fràita (tuo fratello), caniàtata (tua cognata), mèsciuta
(il tuo maestro), nùnnusa (il suo padrino), patrùnusa (il suo padrone), patrùnasa (la sua
padrona), ecc.
38
La voce -ta, allorché si congiunge con la consonante r-, si muta in -da: sir[e]ta > sirda
(tuo padre); sor[u]ta > sorda (tua sorella).
AGGETTIVI DIMOSTRATIVI
Gli aggettivi dimostrativi sono:
- àutru, àutra, àutri, àutre o àuru, àura, àuri, àure (altro, altra, altri, altre):
l'àutru o l'àuru giurnu (l'altro giorno), le àutre o le àure fiate (le altre volte), passàu te l'una
all'àutra ripa (passò dall'una all'altra riva); l'àuri amici nu bènenu (gli altri amici non
verranno); me faci nn'àuru faore? (mi fai un altro favore?)
Gli aggettivi stessu, àutru, tale possono essere usati anche come pronomi: a iδδu n'à
ddatu lu permessu, lu stessu à ffare cu mmie (a lui ha dato il permesso, la stessa cosa deve
fare con me); l'àutri li lassu (gli altri li lascio); me l'à dditta nnu tale (un tale me lo ha
riferito).
39
AGGETTIVI INDEFINITI
(proprio
tantu (tanto) tuttuquantu
tutto)
(parecchio
mutu (molto) parecchiu
)
autrettantu,
(altrettanto); troppu (troppo)
aurettantu
- essi hanno quattro forme ciascuno (-u, -a, -i, -e) corrispondenti al maschile e femminile
singolare e al maschile e femminile plurale:
la farina l'à mmenata tuttaquanta (ha sparso proprio tutta la farina);
ccerti descorsi nu mme cunvìncenu (certi discorsi non mi convincono);
muta canìgghia à' misa (hai messo molta crusca);
pìgghiatende quantu cumandi (prènditene quanto desideri);
autrettanta salute, Signore! (altrettanta salute, o Signore!);
parècchiu prièsçiu nc'era (c'era parecchia allegria);
- ha solo due forme (-u, -a) al singolare nuδδu, che in italiano può assumere sia il significato
di nessuno, sia quello di alcuno:
nuδδa pròpriu ecina me pote malangare (proprio nessuna vicina di casa mi può criticare);
nu ttegnu nuδδu cuntu mpisu (non ho alcun conto sospeso);
- sono invariabili gli indefiniti picca (poco), quarsìasi (qualsiasi):
tene picca sinnu e ppicca turnisi (ha poco senno e pochi quattrini);
quarsìasi fessarìa me dae alli niervi (qualsiasi sciocchezza mi fa innervosire).
Tutti i predetti indefiniti possono fare la funzione e di aggettivo e di pronome.
- sono usati soltanto come aggettivi gli invariabili ogne, -gne (ogni) e quarche (qualche):
ogne ppetra àusa parite (ogni pietra fa più alto il muretto).
AGGETTIVI INTERROGATIVI
Sono usati sia come aggettivi e sia come pronomi:
- cce? (che?, che cosa?) invariabile:
fena a cce ppuntu rriati? (fino a che punto arrivate?);
ucchipiertu, a cce sta' ppiensi? (scioccone, a che cosa stai pensando?);
40
- quale?, quali? (quale?, quali?):
quale de sti estiri te piace? (quale di queste vesti ti piace?);
quali à' scucchiati? (quali hai scelto?);
- quantu, -a, -i, -e? (quanto, -a, -i, -e?):
quanta terra à' arata? (quanta terra hai arata?); quanti spaccimi te sordi tene? (quanti soldi
del diavolo possiede?).
Quando questi aggettivi entrano in espressioni di meraviglia, di sorpresa, si chiamano
esclamativi:
cce ffriddu! (che freddo!); quantu sinti fessa! (quanto sei stupido!).
AGGETTIVI NUMERALI
a) cardinali d) frazionari
b) ordinali e) distributivi
c) moltiplicativi f) derivati
a) numerali cardinali
unu, una (pron.): unu a mmie, una a ttie (uno a me, una a te);
1 nnu, nna (agg. unito al nome): nnu sordu a mmie, nna lira a ttie (un soldo a me,
una lira a te)
doi (pron.), do' (agg.): nde portu ddoi a mmama (ne porto due a mia madre); ni
2
tese do' asi (le diede due baci)
ttrete (pron.), ttre (agg.): ttrete suli nde rimànenu (tre soltanto ne rimangono); su'
3
ppassati ttre ggiurni (sono trascorsi tre giorni)
4 quattru
5 cinque
6 sei, se'
7 sette
8 uettu, ottu
9 noe
10 dèice, tèice
11 ùndici
12 tùtici
13 trìtici
14 quattòrdici
15 quìndici
41
16 sìdici, sìtici
17 diciassette, ticiassette
18 diciottu, ticiottu, ticitottu
19 diciannoe, ticinnoe
20 inti, intunu, intitòi, intittre,…
30 trenta, trentunu, trentatòi,…
40 quaranta, quarantunu,…
50 cenquanta, ciqquanta
60 sessanta, sessantunu,…
70 settanta, sttantatòi,…
80 uttanta, uttantattrete,…
90 nuvanta, nuanta
100 centu, centu e unu, centu e ddoi, centu e ttrete,…
200 docentu, docentu tèice, docentu inti,…
300 ttrecentu, ttrecentu e unu, ttrecentunuanta,…
400 quattrucentu, cinquecentu, secentu, settecentu,…
1.000 mille, mille e unu, mille e ddoi, mille e ccentu…
2.000 domila,tomila, ttremila, quattumila, uettumila…
10.000 dèicemila, intimila,…
100.000 centumila, docentumila,…
1.000.000 nnu migliune, nnu miglione, doi migliuni, …
b) numerali ordinali
lu primu (lu prima) (il primo)
lu secundu (il secondo)
lu tersu (il terzo)
lu quartu (il quarto)
lu quintu (il quinto)
lu sestu (il sesto)
lu sèttimu (il settimo)
l'uttavu (l'ottavo)
lu nonu (il nono)
lu dècimu, lu tècimu (il decimo)
lu undicèsimu (l'undicesimo)
lu tuticèsemu (il dodicesimo)
lu triticèsemu (il tredicesimo,…)
lu intèsimu (il ventesimo)
lu trentèsemu (il trentesimo,…)
lu centèsemu (il centesimo)
42
lu millèsemu (il millesimo)
lu migliunèsemu (il milionesimo)
(della luna piena si dice che sta "a quintatècima")
c) numerali moltiplicativi
sièngulu (sìngolo): fiuru sièngulu (fiore singolo con una sola fila di petali);
dùbbulu (duplice): inta dùbbula (duplice vincita);
dòppiu, dùppiu (doppio): a filu dòppiu (a filo doppio);
per il resto si ricorre a: ttre fiate tantu (tre volte tanto); quattru fiate (quattro volte tanto),
ecc.: era àutu se' fiate lu campanaru te Lecce (era alto sei volte il campanile di Lecce).
d) numerali frazionari
nnu tiersu (un terzo), do' tiersi (due terzi); nnu quartu (un quarto), ttre cquarti (tre quarti);
nnu quintu (un quinto), doi quinti (due quinti); suntu mpena quattru quinti, nu rria a nnu
chilu (sono quattro quinti, non arriva a un chilogrammo); ecc.;
- oppure: la tersa parte (la terza parte), nna quarta parte (una quarta parte); àggiu arata la
quinta parte te la chiesura (ho arato la quinta parte del fondo);
- oppure: nnu mienzu quintu (metà di un quinto), nn'ura e mmenza (un'ora e mezzo); m' àggiu
beuti doi suli mienzi quinti te mieru (ho bevuto soltanto due mezzi quinti di vino);
- ed anche: nna miatà, nna metà te mese (una metà del mese); doi metà a mmie e doi a ttie
(due metà a me e due a te);
- nnu mienzu saccu te biàa (un mezzo sacco di biada): nna menza pezza te casu (metà forma
di cacio).
e) numerali distributivi
Per i numerali distributivi si ricorre a diversi sistemi:
1. ripetendo due volte il numero cardinale e facendolo precedere dalla prep. a: a unu a
unu; a doi a doi; a dèice a dèice; a centu a centu (a uno a uno; a due a due; a dieci a
dieci; a cento a cento);
2. facendo seguire il numero cardinale dal pronome petunu: unu petunu (uno per
ciascuno); quattru petunu (quattro cadauno); inti petunu (venti ciascuno);
3. facendo seguire il numero dalla locuzione avverbiale la fiata: ttrete la fiata (tre alla
volta); tùtici la fiata (dodici la volta); ecc.
f) aggettivi e sostantivi derivati da numerali:
- quantità: nna ttreina; nna quattrina; nna seìna; nna uettina (più o meno tre; quattro; sei;
otto); nna tecina (circa dieci); nna entina (una ventina); doi tuzzine (due dozzine); ecc.;
- lotto: nnu ambu, nnu ternu, nna quaterna, nna cinquina (un ambo, un terno, una quaterna,
una cinquina);
- riti religiosi: trìtuu (triduo); li tiersi (il terzo giorno dalla morte); nuenàriu m., nuera f.
(novenario, novena); triticina (la tredicina in onore di S. Antonio, il quale distribuisce 13
grazie al giorno!).
I PRONOMI
I pronomi si dividono in diverse categorie:
1 Personali 3 Dimostrativi 5 Indefiniti
43
2 Possessivi 4 Interrogativi 6 Relativi
44
Talvolta (come alcuni esempi hanno anticipato), per dare maggior forza si associano il
pronome e la partecella pronominale: a mmie me sta' ddole la capu a me duole la testa; a bui
bu tòccanu tùtici sordi a voi spettano dodici soldi.
Inoltre ci sono i pronomi:
- ni m. e f., 3a pers. sing. (a lui, a lei, gli, le) e 3a pers. pl. (a loro, ad essi, ad esse), che si usa
solo come complemento di termine: la mbrazzài e ni diesi nnu asu l'abbracciai e le diedi un
bacio; quandu sìppera la noa, ni inne pàntecu de core quando appresero la notizia, venne
loro un sussulto al cuore;
- se m. e f., 3a pers. sing. e pl. (it. si), usato con valore riflessivo: se ncagnara e se lassàra si
offesero e si lasciarono.
Così come in italiano, la particella pronominale si premette al verbo, ma si pospone come
enclitica alla voce dell'imperativo; per es. me dai nna mila? mi dai una mela?; damme nna
mila dammi una mela; me lu dai? me lo dai? dàmmelu dàmmelo.
2 - Pronomi possessivi
(vedere gli aggettivi possessivi, cap 7-a)
3 - Pronomi dimostrativi
- quistu, quista, quisti, quiste (questo, questa, questi, queste; ciò):
stu uagnone ete tristu, quisti suntu cuieti (questo ragazzo è discolo, questi sono quieti); quista
ete mia (questa è mia); ste petate a mmie, quiste àutre a llu patrunu (queste patate a me,
quest'altre al padrone); quistu nu mme sape te nienti (ciò non mi sa di niente);
- quiδδu, quiδδa, quiδδi, quiδδe (quello - ciò, quella, quelli, quelle):
quiδδa me face mpaccire (quella mi fa impazzire); quiδδi suntu furbi (quelli son furbi); parla
cu cquiδδu (parla con quello);
- quistu cquai (questo qua, codesto, costui), ecc.
- quiδδu δδai (quello là, colui), ecc.
Tutti questi pronomi si possono riferire a persone, ad animali e a cose. Essi, allorché per
motivi eufonici devono raddoppiare l'iniziale, rafforzano la q- premettendovi una c-: quista
cu cquista nu ccummene (questa non si confà con questa); a cquistu nun aìa pensatu (a
questo non avevo pensato); pe cquiδδa δδai nu ddormu la notte (per quella lì non dormo la
notte).
- nci (ci, a ciò, a questa cosa, a quella cosa) è invariabile e fa la funzione di compl. di
termine: tie nci criti? (tu ci credi, tu credi a ciò?); sai ca nci tegnu mutu (sai che a ciò tengo
assai);
- nde (ne, di ciò, di questa cosa, di quella cosa) è invariabile e fa le funzioni di compl.
partitivo o di compl. di argomento: quanti nde uliti? (quanti ne volete?); te li toi nu buèi nde
sienti, ma uèi nde dici (dei tuoi non ne vuoi sentire, ma ne vuoi parlare).
(Per nci, nde, avverbi, vedere il cap. XX).
(Per gli aggettivi dimostrativi, vedere il cap. 7-b).
4 - Pronomi interrogativi
(vedere gli aggettivi interrogativi, cap 7-d).
5 - Pronomi indefiniti
(vedere gli aggettivi indefiniti, cap. 7-c).
6 - Pronomi relativi
I pronomi relativi sono:
45
- ca, invariabile; esso corrisponde ai pronomi italiani: che, il quale, la quale, i quali, le
quali, e si usa solo in funzione di soggetto e di oggetto: lu giòane, ca sta' bene, ete caniàtuma
(il giovane, che viene, è mio cognato); suntu le caruse, ca sorma à nvitate (sono le signorine,
che mia sorella ha invitato); me piace sta stria, ca ete ngarbata (mi piace questa ragazza, la
quale è garbata); ccuegghi le nèspule, ca s'ànu fatte (raccogli le nespole, le quali si sono
maturate);
- ci, cci, invariabile; esso corrisponde ai pronomi italiani: chi, colui che, colei che, cui; può
fare da soggetto e da oggetto (come il ca) ed anche, con le opportune preposizioni, può
servire per qualunque complemento indiretto (esclusi quelli di luogo): ci ete tundu, nu pote
murire quatratu (chi è tondo, non può morire quadrato); a ccasa mia trase ci chiamu ièu (a
casa mia entra chi chiamo io); nu mme nde preme te ci ete stu curru (non mi importa di colui
a cui appartiene questa trottola); me pìgghiu le cose ci tie lassi (mi prendo le cose che tu
lasci);
- altrettanto dìcasi per cinca, ccinca (qualunque persona che, chiunque) e per il rafforzativo
cìncata (proprio colui che, proprio colei che): cu crepa cinca me ole male (che crepi
chiunque mi vuol male!); cinca se sente usçare, cu sse ratta! (chiunque si sente prudere, che
si gratti!); còccia a cìncata dicu ièu (un colpo apoplettico proprio a colui che dico io!);
- ddu, invariabile, significa: nel luogo nel quale, nei luoghi in cui, in cui, dove: se stise susu a
llu saccune, ddu stìa curcata nònnasa (si distese sul pagliericcio, sul quale era coricata sua
nonna); me nde scappài te ddu sta 'facìanu mazzate (mi allontanai di corsa dal luogo in cui
facevano a botte); lu postu, a ddu se fermàu, era periculosu (il luogo, in cui si fermò, era
pericoloso);
- ddunca, ddùncata significano: qualunque luogo nel quale, qualunque parte in cui: a ddunca
me porta, au (vado in qualunque luogo mi porti);
- quantu, variabile, pronome correlativo, che ha il significato di 'tutto ciò che': me pìgghiu
quantu ògghiu (mi prendo tutto ciò che desidero).
I VERBI
Il verbo è la parte più importante del discorso; esso esprime un'azione o un modo di essere.
VERBI COPULATIVI
Verbi copulativi si dicono quelli che servono a legare un sostantivo o un aggettivo al
soggetto; sono i seguenti:
- essere - nui simu uèmmeni de palora (noi siamo uomini di parola);
- stare - li siri uesci stanu mari (i vostri genitori stanno amareggiati);
- parìre - pariti tantu ngraziate (sembrate tanto graziose);
- nàscere - nascìu mastignu (nacque robusto e forte);
- ddentare - fìgghiuma à ddentatu maestru de scola (mio figlio è diventato insegnante
elementare);
- restare - restara mari (rimasero scontenti e amareggiati);
- rrumanire - la Mària à rrumasta cattìa (Amalia è rimasta vedova);
- campare - stu ècchiu campa mìseru (questo vecchio campa misero);
- murìre - morse desperatu (morì disperato);
- musciare - nepùtema se mòscia buenu cu mmie (mio nipote si dimostra cortese con me);
46
- resurtare - lu mulu resurtàu nna bona èstia all'aratu (il mulo risultò una buona bestia
all'aratro);
- spicciare - pensu ca sta stria spìccia fiacca (penso che questa ragazza finirà male).
VERBI PREDICATIVI
Verbi predicativi sono quelli che esprimono azioni: stu cane mòzzeca (questo cane morde);
sçìa sprecandu petate (andava dissotterrando patate); me esse sangu te lu nasu (mi esce
sangue dal naso); ecc.
VERBI TRANSITIVI E INTRANSITIVI
I verbi si dividono in due grandi gruppi:
- transitivi, i quali esigono un complemento oggetto per completarsi: amare (amare), curmare
(colmare), lèggere (leggere), mètere (mietere), sentìre (sentire), tengìre (tingere), ummecare
(vomitare), zzeccare (prendere, afferrare), ecc.: la sçiardenera curmàu lu panaru de site
(l'ortolana colmò il paniere di melagrane); metìanu lu ranu (mietevano il grano); zzicca la
pala (prendi la pala);
- intransitivi, i quali esprimono un'azione che, perché il senso sia completo, non ha bisogno di
un oggetto esterno: rriare (arrivare), sçattunisçiare (sbocciare), llucìscere (albeggiare), rìtere
(ridere), catìre (cadere), murìre, ecc.: fra ppicca rria lu iernu (fra poco arriverà l'inverno);
retìa cu lle làcrime all'ecchi (rideva con le lacrime agli occhi); le mile catèra ncora tìfere (le
mele caddero ancora acerbe); la mita à morta (la gazza è morta).
FORME DEL VERBO TRANSITIVO
I verbi transitivi possono essere di tre forme: attiva, passiva, riflessiva;
- forma attiva, quando il soggetto agisce: li ellani sta' zàppanu (i villani zappano); le
specalure ccugghìanu le spiche (le spigolatrici raccoglievano le spighe);
- forma passiva, quando il soggetto subisce l'azione compiuta da altri: fìgghiuma à statu
chiamatu a surdatu (mio figlio è stato chiamato per fare il soldato); lu pagghiaru foi bruciatu
pe despiettu (il pagliaio fu incendiato per dispetto);
- forma riflessiva (frequentemente usata anche impropriamente!): ci cùcchia all'ampa, se
brùsçia (chi si avvicina alla vampa, si brucia); te ccugghisti tardu? (rincasasti tardi?); bu
mangiastu puru li nùzzuli (vi mangiaste persino i nòccioli).
Spesso il riflessivo è accompagnato dalla particella pronominale nde = ne: me nde stiesi cittu
(me ne stetti zitto); se nde turnara suppi suppi (tornarono bagnatissimi); quandu bu nde eniti?
(quando ve ne venite?); moi sçiàmuninde (adesso andiàmocene).
VERBI AUSILIARI
I verbi ausiliari sono: aìre (avere) ed èssere (essere);
47
- èssere, viene usato (ma in espressioni dotte e solo al passato prossimo):
a. come ausiliare di se stesso: su' statu a mare (sono stato a mare); siti stati custretti (siete stati
costretti);
b. con i verbi intransitivi: su' rrumaste a ccasa (sono rimaste a casa); simu sçiuti e simu puru
turnati
c. con i verbi di forma passiva: siti stati nvitati puru ui (siete stati invitati pure voi); su' statu
nzurtatu e uffesu (sono stato insultato e offeso).
VERBI SERVILI
I verbi servili più frequenti sono:
- aìre, ìre (dovere); putìre (potere), i quali sono seguiti direttamente da un altro verbo al
modo infiunito: àggiu ppartìre moi (devo partire adesso); puèi enire nnu picca? (puoi venire
un attimo?);
- ncignare (cominciare), congiunto o all'infinito di un altro verbo mediante la prep. a:
ncignasti a cchiàngere (cominciasti a piangere); oppure al congiuntivo presente mediante la
cong. cu: ncignàu cu llegga (cominciò a leggere); ncignara cu sse mmòanu (cominciarono a
muoversi);
- spicciare (finire, smettere), unito o all'infinito mediante la prep. de-te: ànu spicciatu te
fatiare (hanno terminato di lavorare); crai spicciamu de mmundare (domani finiremo di fare
la rimonda); oppure al congiuntivo presente mediante la cong. cu: spicciàra cu bàllanu alle
noe (smisero di ballare alle ore nove);
- ulìre (volere, desiderare), seguito dall'indicativo o dal congiuntivo presente di un altro
verbo, al quale si unisce o direttamente o per mezzo della cong. cu: ògghiu mmàngiu -
ògghiu cu mmàngiu (voglio mangiare); ose ddorma - ose cu ddorma (volle dormire);
- tuccare (essere necessario, abbisognare), quando è usato in forma personale ed è
congiunto direttamente o mediante la cong. cu rispettivamente all'infinito o al congiuntivo
presente di un altro verbo: tuccati [cu] ttrasiti prima ui (è necessario che entriate prima voi);
tuccàra [cu] zzùmpanu lu parite (furono costretti a saltare il muro).
Comunque la voce servile più usata è sta' (invariabile) del verbo stare (stare) proprio adesso
o in quel momento, la quale ha una funzione puramente fraseologica e la si unisce al
presente e all'imperfetto di qualsiasi verbo: ièu sta' curru (io sto correndo, io corro); tie sta'
rretài (tu stavi gridando, tu gridavi); iδδu sta' rretìa (egli stava ridendo, egli rideva); nui ni
sta' facimu nna binchiata de culummi (noi ci facciamo una scorpacciata di fioroni); ui sta'
stiu preoccupati (voi stavate preoccupati); iδδi se sta' llàanu le razze (loro si lavano le
braccia).
VERBI IMPERSONALI
Sono impersonali:
a) i verbi che indicano fenomeni atmosferici: chiòere (piovere), scampare (spiovere), nicare
(nevicare), derlampare (lampeggiare), nnulare (annuvolarsi), trunare (tuonare), llucìscere
(fare alba), scurìscere (far sera), nnuttare (annottare): matonna ca chiòe (forse pioverà); ae
picca ci à scampatu (da poco ha spiovuto); sta' dderlampàa a punente (lampeggiava a
ponente);
b) i verbi prèmere (premere), mpurtare (importare), ntaressare (interessare), succètere
(succedere, accadere), parìre (parere, sembrare), seguiti dalla cong. ca che regge una
48
proposizione secondaria: nu mme preme nienti ca tie te rumpi le curnicche (non mi interessa
alcunché che tu ti rompa le corna); succetìu ca me stizzài (successe che mi irritai); pare ca
nisciunu me ole male (sembra che nessuno mi voglia male);
c) e i verbi cunvenìre (convenire), tuccare (bisognare), èssere buenu (essere bene), seguiti
dalla cong. cu che regge una proposizione secondaria: era buenu cu lli ccattati (sarebbe
bene che li compriate);
d) molti verbi personali si possono rendere impersonali (alla 3a pers. sing.) premettendo la
particella pronominale se: cussìne se decìa (così si diceva); "Bongiornu! se màngia?"
("Buongiorno! si mangia?"); ogne sàbbatu se sona e se canta (ogni sabato si suona e si
canta); a ddu se ae stasira? (dove si va questa sera?).
VERBI DERIVATI
Caratteristici del dialetto leccese sono parecchi verbi, generalmente derivati da un nome o
da un'altra voce verbale analoga, i quali presentano all'infinito la desinenza -sçiare, che
conferisce all'azione del verbo un significato iterativo o durativo o intensivo; la terminazione
-sçiare è un esito caratteristico di una originaria desinenza -ggiare, reale oppure probabile o
possibile: it. carreggiare > lecc. carrisçiare; lampeggiare > lampisçiare; schiaffeggiare >
sçaffisçiare e pure sçaffunisçiare (da un ipotetico schiaffoneggiare); scarseggiare >
scarcisçiare ed anche scarciulisçiare (da un ipotetico scarsoliggiare); inoltre: it.
scampanare > lecc. scampanisçiare; it. scaldare > lecc. scarfare e scarfisçiare; lecc.
curuδδulare > curuδδulisçiare (it. ruzzolare); lecc. mpastare > mpastisçiare (it. impastare);
ecc.
Altri esempi: dal lecc. azzaru (acciaio) > azzarisçiare (acciaiare); dal lecc. ientu (vento) >
entulisçiare (ventilare); dal lecc. feδδa (fetta) > feδδisçiare (affettare); da làpete (grandine)
> lapetisçiare (grandinare); da nfannu (affanno) > nfannisçiare (ansare); da ràppulu (ruga)
> rappulisçiare (raggrinzire); ecc.
49
1. Persone e numero del verbo
ui-bui voi 2a
ièu filu (io filo); tie ruèffuli (tu russi); iδδu camina (egli cammina); iδδa face l'uèu (essa fa
l'uovo); lu mèsciu ae de pressa (il maestro va in fretta); nui retamu (noi gridiamo); ui screìti
(voi scrivete); iδδe pàrtenu crai (esse partiranno domani); le sçìsçiule s'ànu fatte (le giuggiole
si sono maturate); fràima à bintu alla benefezziata (mio fratello ha vinto al gioco del lotto).
2. Modi e tempi del verbo
- I modi del verbo sono: indicativo, congiuntivo, imperativo, infinito, gerundio, participio.
Il modo condizionale manca del tutto; quando occorre, (tuttavia nella incertezza della
correlazione dei tempi) prende in prestito:
a) le forme dell'indicativo presente: crìsçiu ca ene (credo che venga); crìsçiu ca à già
benutu (credo che sia già venuto);
b) le forme dell'indicativo imperfetto: me cretìa ca li toi enìanu (credevo che i tuoi
sarebbero venuti); ci ìa truatu nnu brau giòene, crìsçiu ca s'ìa mmaretata (se avesse
incontrato un bravo giovane, credo che si sarebbe maritata);
c) le forme dell'indicativo piuccheperfetto: ci aìa endematu a tiempu, li làndani nu
nn'ìanu rruenata l'ua (se avesse vendemmiato a tempo, la grandine non gli avrebbe rovinato
l'uva).
50
a) per il fututo semplice, al presente indicativo accompagnato da qualche avverbio di
tempo appropriato: tra nnu picca llucisce (tra un poco albeggerà); crai face buenu (domani
farà bel tempo);
b) per il futuro anteriore, si usa il passato prossimo dell'indicativo: ièu pensu ca fena a
tandu nònnata à morta (io penso che per allora tua nonna sarà morta); me pìgghiu a ttie dopu
ci lu rre à ddentatu surdatu rasu (sposerò te dopo che il re sarà diventato soldato semplice).
Il modo imperativo ha solo il tempo presente e solo le voci della 2a pers. sing. e della 1a e
a
2 pers. pl. (le quali sono, poi, le rispettive forme del tempo presente indicativo): fusçi,
fusçimu, fusçiti (fuggi, fuggiamo, fuggite); ieni moi! (vieni adesso!); sentìtime sanu
(ascoltatemi perfettamente).
Nelle proposizioni negative, la 2a pers. sing. dell'imperativo si forma premettendo la
negazione nu al verbo all'infinito (come in italiano): nu ddìcere fessarèi (non dire
stupidaggini); nu rretare e nnu tte rraggiare, sai? (non urlare e non ti irritare, capito?).
Il modo infinito ha solo il tempo presente: sentu mmurmurare la gente (sento la gente
mormorare); ete cosa fiacca lu turmìre a lluengu (sta male dormire a lungo).
Si ricorda che i verbi provenienti dalle voci verbali latine in -ęre, -ere, -ire, e da quelle
italiane in -ere e -ire, nella parlata leccese sono confluiti in un'unica classe e molti di essi,
all'infinito, escono contemporaneamente e indifferentemente in -ere o in -ìre:
chiòere - chiuìre (lat. pluere, it. piovere); dòrmere - durmìre (lat. e it. dormire); fùsçere -
fusçìre (lat. fugere, it. fuggire); lùcere - lucìre (lat. lucere, it. lùcere); tìmere - temìre (lat.
timere, it. temere); ecc.
Il modo gerundio ha per suffisso -andu nei verbi in -are ed -endu negli altri, e viene usato
soltanto nella sua forma semplice: passàa le ure ntaliandu e fesçandu (trascorreva le ore
51
bighellonando e fischiando); passàu te la chiazza currendu e ssaccandu (attraversò la piazza
correndo e ansando); sapendu ca nu nc'era nisciunu, nu chiamàra mancu (sapendo che non
c'era nessuno, non chiamarono neppure).
Il participio presente con valore verbale non è usato; vi sono soltanto poche voci, le quali,
però, hanno valore di aggettivi o di sostantivi: enente (veniente), bullente (bollente),
puzzulente (puzzolente); la currente (la corrente), lu stutente (lo studente), lu leante (il
legatore di covoni).
Il participio passato termina in -atu nei verbi con desinenza -are all'infinito e in -utu negli
altri: calatu (morsicato) da calare (morsicare); sprecatu (dissotterato) da sprecare
(dissotterrare); partutu (partito) da partìre o pàrtere (partire); gnuttutu (inghiottito) da
gnuttìre o gnùttere (inghiottire); mmattutu (infilato) da mmàttere (infilare).
Frequenti, però, sono le particolarità; per es.: istu (visto), ccuetu (raccolto), piertu
(aperto), puntu (punto), chiusu (chiuso), ecc., forme, cioè, che non terminato né in -atu né in -
utu; per questo si riscontrino i verbi particolari elencati nelle pagine seguenti e si consulti il
dizionario.
Il participio passato è frequentemente usato sia con valore propriamente verbale e sia con
valore aggettivale: saputu ca nu benìi, me nde turnài (saputo che non saresti venuto, me ne
tornài); tenìa lu striu nfassatu (aveva tra le braccia il bambino avvolto nelle fasce); statte cu
lle rìcchie ntesate (stai con le orecchie tese);
- e concorre, inoltre, insieme con gli ausiliari a formare i tempi composti dei verbi: l'àggiu
gnettatu (l'ho pettinato); l'à' saputa la noa? (hai saputo la novità?); se nd'à scappatu (è
fuggito); su' tturnate le tùrture (sono tornate le tortore); s'ìanu ccurdati e s'ìanu strinte le
mànure (si erano accordati e si erano strette le mani).
PROSPETTI VERBALI
In latino e in italiano è agevole assegnare le voci verbali alle diverse coniugazioni; i verbi
dell'idioma leccese, al contrario, hanno subìto tali scambi e fusioni nelle desinenze e
subiscono, durante la flessione, tante variazioni nelle vocali toniche delle radici, che risulta
difficoltoso far loro seguire questa o quella coniugazione, tenendo conto soltanto delle
desinenze -are ed -ere/-ire. Abbiamo detto e ripetiamo che, per quanto riguarda la flessione
dei verbi, più che l'appartenenza di essi alla 1a, alla 2a o alla 3a classe, vale la loro
suddivisione secondo i mutamenti costanti che la vocale accentata della radice verbale
compie nel passaggio da una persona all'altra e da un tempo e da un modo all'altro.
Pertanto, dopo aver presentato nelle prossime pagine le flessioni verbali del
A - verbo aìre-ìre, e del
B - verbo èssere,
indicheremo nelle pagine successive e in chiari prospetti le coniugazioni complete dei
C - verbi in -are con radice invariabile;
D - verbi in -ere /-ire con radice invariabile.
Prendendo poi, come punto di riferimento, la vocale tonica della 1a pers. sing. del
presente indicativo, si hanno le ulteriori coniugazioni di
52
E - F - G - H - verbi in -are con vocale tonica variabile: o > u; o > ue > u; e > ie; i > e;
I - L - M - verbi in -ere /-ire con vocale tonica variabile: o > ue > u; e > ie; i > e;
e in ultimo si dà la coniugazione dei
N - verbi regolari uscenti in -ire;
O - verbi riflessivi;
P - verbi particolari uscenti in -ire.
53
IMPERATIVO INFINITO
aggi tie abbi tu *a+ìre avere
ìmu nui abbiamo noi
ìti ui abbiate voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
= avendo [a]utu avuto
54
iδδi sìanu essi siano àggianu stati sìano stati
CONDIZIONALE (raro)
ièu sarìa io sarei
tie sarìi tu saresti
iδδu sarìa egli sarebbe
nui sarìamu noi saremmo
ui sarìu voi sareste
iδδi sarìanu essi sarebbero
IMPERATIVO INFINITO
sinti tie sii tu èssere essere
simu nui siamo noi
siti ui siate voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
[e]ssendu essendo statu stato
55
CONGIUNTIVO
presente passato
mand-u manda àggiu mandatu abbia mandato
mand-i manda aggi mandatu abbia mandato
mand-a manda àggia mandatu abbia mandatu
mand-amu mandiamo ìmu mandatu abbiamo mandato
mand-ati mandiate ìti mandatu abbiate mandato
mànd-anu mandano àggianu mandatu abbiano mandato
IMPERATIVO INFINITO
mand-a tie emanda tu mandare mandare
mand-amu nui mandiamo noi
mand-ati ui mandate voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
mand-andu mandando mand-atu mandato
56
rump-èra ruppera ìbbera ruttu ebbero rotto
CONGIUNTIVO
presente passato
rump-u rompa àggiu ruttu abbia rotto
rump-i rompa aggi ruttu abbia rotto
rump-a rompa àggia ruttu abbia rotto
rump-imu rompiamo ìmu ruttu abbiamo rotto
rump-iti rompiate ìti ruttu abbiate rotto
rùmp-anu rompano àggianu ruttu abbiano rotto
IMPERATIVO INFINITO
rump-i tie rompi tu rùmp-ere/rump-ìre rompere
rump-imu nui rompiamo noi
rump-iti ui rompete voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
rump-endu rompendo ruttu rotto
57
luttati ui lottate voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
luttandu lottando luttatu lottato
58
mmèretanu meritano mmeretàanu meritavano
passato remoto
mmeretài meritai
mmeretasti meritasti
mmeretàu meritò
mmeretammu meritammo
mmeretastu meritaste
mmeretàra meritarono
CONGIUNTIVO
mmèreta meriti
mmèretanu meritino
IMPERATIVO INFINITO
mmèreta tie merita tu mmeretare meritare
mmeretamu nui meritiamo noi
mmeretati meritate voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
mmeretandu meritando mmeretatu meritato
59
cucina tie cucina tu cucenare cucinare
cucenamu nui cuciniamo noi
cucenati ui cucinate voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
cucenandu cucinando cucenatu cucinato
60
pendimu pendiamo pendìamu pendevamo
penditi pendete pendìu pendevate
pèndenu pendono pendìanu pendevano
passato remoto
pendìi pendei
pestisti pendesti
pendìu pendette
pendemmu pendemmo
pendestu pendeste
pendèra penderono
CONGIUNTIVO
penda penda
pèndanu pendano
IMPERATIVO INFINITO
piendi pendi tu pèndere/pendìre pendere
pendimu pendiamo noi
pendìti pendete voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
pendendu pendendo pendutu penduto
61
inda venda
ìndanu vendano
IMPERATIVO INFINITO
ndi tie vendi tu ìndere/endìre vendere
endimu nui vendiamo noi
endìti ui vendete voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
endendu vendendo endutu venduto
62
teniti ui tenete voi
GERUNDIO PARTICIPIO PASSATO
tenendu tenendo tenutu tenuto
63
P - Coniugazione dei verbi particolari uscenti in -ire
Parecchi verbi, che all'infinito escono in -ire, hanno la caratteristica di differenziarsi, nella
coniugazione, dagli altri verbi in -ire, per le seguenti diversità:
- nella 1a, 2a, 3a pers. sing. e 3a pers. pl. del presente indicativo,
- nella 3a pers. sing. e 3a pers. pl. del presente congiuntivo,
- nella 2a pers. sing. dell'imperativo,
essi inseriscono tra radice e desinenza il suffisso -isc- (fenomeno, comunque, comune
all'italiano).
Ne segnaliamo alcuni: bullire (bollire); capire (capire); dducire (dolcificare); furnire
(ultimare); mmarire (amareggiare); mmulenire (illividire); nnacetire (inacidire); nzurdire
(insordire); patire (patire); spallire (fallire); umetire (inumidire), ecc.
Registriamo la coniugazione del verbo mmazzire (dimagrire) limitata ai tempi nei quali si
verificano le particolarità, notando che negli altri tempi questi verbi si adeguano alla flessione
delle voci verbali normali.
INDICATIVO
mmazziscu dimagrisco
mmazzisci dimagrisci
mmazzisce dimagrisce
mmazzimu dimagriamo
mmazziti dimagrite
mmazzìscenu dimagriscono
CONGIUNTIVO
mmazzisca dimagrisca
mmazzimu dimagriamo
mmazzìscanu dimagriscano
IMPERATIVO
mmazzisci tie dimagrisci tu
mmazzimu nui dimagriamo noi
mmazziti ui dimagrite voi
Osservazioni su alcuni verbi particolari uscenti in -ire:
a. - enire (venire), rrumanire (rimanere), tenire (tenere) e qualche altro nella 1a pers. sing.
dell'indicativo presente e in entrambe le persone del congiuntivo presente prendono il
suffisso -gn-, proveniente per metatesi dall'italiano -ng-:
egnu (vengo), egna (venga), ègnanu (vengano);
rrumagnu (rimango), rrumagna (rimanga), rrumàgnanu (rimangano);
b. - alire (valere), salire (salire), tulire (dolere) nelle medesime persone dei precedenti
prendono il suffisso -ggh-, proveniente dall'italiano -lg-:
àgghiu (valgo), àgghia, àgghianu (valga, valgano);
sàgghiu (salgo), sàgghia, sàgghianu (salga, salgano);
tògghiu (dolgo), tògghia, tògghianu (dolga, dolgano).
64
Casi caratteristici presentano i verbi seguenti, i quali, sempre nelle persone suddette, fanno:
- aìre: àggiu (ho), àggia, àggianu (abbia, abbiano);
- catire: càsçiu (cado), càsçia, càsçianu (cada, cadano);
- etire: ìsçiu (vedo), ìsçia, ìsçianu (veda, vedano);
- ecc. (vedere il seguente lungo elenco dei verbi irregolari).
VERBI IRREGOLARI
pres. dau - tau, dai - tai, dae, damu, dati, danu;
impf. dìa - tìa, dìi, dìa, dìamu - tìamu, dìu, dìanu;
dare - tare (dare) p.rem. diesi, diesti, dese, dèsemu, diestu, dèsera;
pres.cong. dèsçia - tèsçia, dèsçianu - tèsçianu;
imper. dai, damu, dati;
(da facere) prende le desinenze dei verbi in -ere:
fazzu, faci, face, facimu, faciti, fàcenu -
pres.
fannu;
impf. facìa, facìi, facìa, facìamu, facìu, facìanu:
fare (fare) fici, facisti, facìu - fice, facemmu - fìcemu,
p.rem.
facestu, (facèra) - fìcera;
pres.cong. fazza, fàzzanu;
imper. fane, facimu, faciti;
gerundio facendu e fandu;
pres. llàu, llài, llàe, llaàmu, llaàti, llàanu;
impf. llaàa, llaài, llaàa, llaaàmu, llaaàu, llaàanu;
p.rem. llaài, llaàsti, llaàu, llaàmmu, llaàstu, llaàra;
llaàre (lavare) pres.cong. llàa, llàanu;
imper. llàa, llaàmu, llaàti;
gerundio llaàndu;
pp. llaàtu;
pres. llèu, llièi, llèa, lliàmu, lliàti, llèanu;
impf. lliàa, lliài, lliàa, lliaàmu, lliaàu, lliàanu;
lliàre (togliere) p.rem. lliài, lliasti, lliàu, lliammu, lliastu, lliàra;
pres.cong. llèa, llèanu;
imper. llèa, lliàmu, lliàti;
pres. stau, stai, stae, stamu, stati, stanu;
impf. stìa, stìi, stìa, stìamu, stìu, stìanu;
stare (stare) p.rem. stiesi, stiesti, stese, stèsemu, stiestu, stèsera;
pres.cong. stèsçia, stèsçianu;
imper. statte, stamu, stati - stàtiu;
pres. àgghiu, ali, ale, alimu, aliti, àlenu;
alìre (valere) impf. alìa, alìi, alìa, alìamu, alìu, alìanu;
p.rem. alìi - asi, alisti, alìu - ase, alemmu - àsemu,
65
alestu, alèra - àsera;
pres.cong. àgghia, àgghianu;
pp. alutu;
pres. biu, bii, bie, beìmu, beìti, bìenu;
impf. beìa, beìi, beìa, beìamu, beìu, beìanu;
p.rem. beìi, beisti, beìu, beèmmu, beèstu, beèra;
bìere - beìre (bere) pres.cong. bìa, bìanu;
imper. bìi, beìmu, beìti;
gerundio beèndu;
pp. beutu;
pres. càsçiu, cati, cate, catimu, catiti, càtenu;
impf. catìa, catìi, catìa, catìamu, catìu, catìanu;
catìre (cadere)
p.rem. catìi, catisti, catìu, catemmu, catestu, catèra;
pres.cong. càsçia, càsçianu;
pres. cciu, cciti, ccite, ccetimu, ccetiti, ccìtenu;
ccetìa, ccetìi, ccetìa, ccetìamu, ccetìu,
impf.
ccetìanu;
ccetìi - ccisi, ccetisti, ccetìu - ccise,
ccìtere - ccetìre p.rem. ccetemmu - ccìsemu, ccetestu, ccetèra -
(uccidere) ccìsera;
pres.cong. ccìa, ccìanu;
imper. cciti, ccetimu, ccetiti;
gerundio ccetendu;
pp. ccetutu - ccisu;
ccògghiu, ccuegghi, ccògghie, ccugghimu,
pres.
ccugghiti, ccògghienu;
ccugghìa, ccugghìi, ccugghìa, ccugghìamu,
impf.
ccògghiere - ccugghìu, ccugghìanu;
ccugghìre ccugghìi - ccuesi, ccugghisti, ccugghìu -
(raccogliere) p.rem. ccose, ccugghiemmu - ccòsemu,
ccugghiestu, ccugghièra - ccòsera;
imper. ccuegghi, ccugghiti;
pp. (ccugghiutu) - ccuetu (f. ccota);
me ccorgu, te ccuergi, se ccorge, ni
pres.
ccurgimu, bu ccurgiti, se ccòrgenu;
ccòrgere se - me ccurgìi - me ccuersi, te ccurgisti, se
ccurgìre se ccurgìu - se ccorse, ni ccurgemmu - ni
p.rem.
(accorgersi) ccòrsemu, bu ccurgestu, se ccurgèra - se
ccòrsera;
imper. ccuèrgite, ccurgìmuni, ccurgìtibu;
pp. (ccurgiutu) - ccuertu - ccortu;
chiàngere - pres. chiangu, chiangi, chiange, ecc.;
66
chiangìre (piangere) chiangìi - chiansi, chiangisti, chiangìu -
p.rem. chianse, chiangemmu - chiànsemu,
chiangestu, chiangèra - chiànsera;
pp. (chiangiutu) - chiantu;
chiòere pres. chiòe, chiòenu;
- chiuìre impf. chiuìa, chiuìanu;
(piovere) p.rem. chiuìu - chiobbe, chiuèra - chiòbbera;
pp. chiuùtu (chiùtu);
pres. chiùu, chiuti, chiute, chiutimu, ecc.;
chiutìi - chiusi, chiutisti, chiutìu - chiuse,
chiùtere - chiutìre p.rem. chiutemmu - chiùsemu, chiutestu, chiutèra -
(chiudere) chiùsera;
pres.
chiùa, chiùanu;
cong.
còcere pres. cocu, cueci, coce, cucimu, cuciti, còcenu;
(cuocere) impf. cucìa, cucìi, ecc.
cucìi, cucisti, cucìu, cucemmu, cucestu,
p.rem.
cucèra;
pres.cong. coca, còcanu;
imper. cueci, cucimu, cuciti;
pp. cuciutu - quettu (f. cotta);
pres. cògghiu, cuegghi, cògghie, cugghimu, ecc.;
cugghìi - cuesi, cugghisti, cugghìu - cose,
cògghiere - cugghìre
p.rem. cugghiemmu - còsemu, cugghiestu,
(colpire)
cugghièra - còsera;
pp. cugghiutu - cuetu (f. cota);
cuncetìi - cuncessi, cuncetisti, cuncetìu -
cuncètere - cuncetìre p.rem. cuncesse, cuncetemmu - cuncèssemu,
(concedere) cuncetestu, cuncetèra - cuncèssera;
pp. cuncetutu - cuncessu;
currìi - cursi, curristi, currìu - curse,
cùrrere - currìre p.rem. curremmu - cùrsemu, currestu, currèra -
(correre) cùrsera;
pp. currutu - cursu;
defendìi - difesi, defendisti, defendìu -
defèndere - p.rem. difese, defendemmu - difèsemu, defendestu,
defendìre defendèra - difèsera;
(difendere)
pp. defendutu - difesu;
descutìi - descussi, descutisti, descutìu -
descùtere - descutìre p.rem. descusse, descutemmu - descùssemu,
(discutere) descutestu, descutèra - descùssera;
pp. (descututu) - descussu;
67
destruggìi - destrussi, destruggisti,
destrùggere - destruggìu - destrusse, destruggemmu -
p.rem.
destruggìre dstrùssemu, destruggestu, destruggèra -
(distruggere) destrùssera;
pp. destruttu;
dicu (ticu), dici (tici), dice (tice), decimu
pres.
(tecimu), deciti (teciti), dìcenu (tìcenu);
impf. decìa (tecìa), decìi (tecìi), ecc.
tecìi - dissi, tecisti, tecìu - disse, tecemmu -
p.rem. dìssemu, tecestu - (decestu), (tecèra) -
dìcere - tecìre (dire) dìssera;
pres.cong. dica, dìcanu;
imper. dine, decimu - tecimu, deciti - teciti;
gerundio decendu - tecendu;
pp. dittu - tittu;
dependìi (dipesi), dependisti, dependìu
dipèndere - p.rem. (dipese), dependemmu (dipèsemu),
dependìre dependèra (dipèsera);
(dipendere)
pp. dependutu (dipesu);
pres. diriggu, diriggi, dirigge, dereggimu, ecc.
dereggìi - diressi, dereggisti, dereggìu -
dirìggere - dereggìre
p.rem. diresse, dereggemmu - dirèssemu,
(diriggere)
dereggestu, dereggèra - dirèssera;
pp. dereggiutu - direttu;
despunìi (desposi), despunisti, despunìu
p.rem. (despose) despunemmu (despòsemu),
dispònere - despunestu, despunèra, (despòsera)
despunìre (disporre)
pres.cong. desponga, despònganu;
pp. (despunutu) despostu;
pres. egnu, ièni, ene, enimu, eniti, ènenu;
impf. enìa, enìi, enìa, ecc.;
enìi - inni, enisti, enìu - inne, enemmu -
p.rem.
ìnnemu, enestu, enèra - ìnnera;
enìre (venire)
pres.cong. egna, ègnanu;
imper. ièni, enimu, eniti;
gerundio enendu;
pp. enutu;
pres. essu, iessi, esse, essimu, essiti, èssenu;
impf. essìa, essìi, ecc.;
essìre (uscire) p.rem. essìi, essisti, essìu, essemmu, essestu, essèra;
pres.cong. essa, èssanu;
imper. iessi, essimu, essiti;
68
gerundio essendu;
pp. essutu (ssutu);
pres. fingu, fingi, finge, fengimu, ecc.
fengìi - finsi, fengisti, fengìu - finse,
fìngere - fengìre
p.rem. fengemmu - fìnsemu, fengestu, fengèra -
(uscire)(fingere)
fìnsera;
pp. fengiutu - fintu;
pres. incu, inci, ince, encimu, enciti, ìncenu;
impf. encìa, encìi, ecc.;
encìi - insi, encisti, encìu - inse, encemmu -
ìncere - encìre p.rem.
ìnsemu, encestu, encèra - ìnsera;
(vincere)
imper. inci, encimu, enciti;
gerundio encendu;
pp. enciutu - intu;
pres. ìsciu, iti, ite, etimu, etiti, ìtenu;
impf. etìa, etìi, ecc.;
etìi - iddi, etisti, etìu - idde, etemmu -
p.rem.
ìtere - etìre (vedere) ìddemu, etestu, etèra - ìddera;
pres.cong. ìsçia, ìsçianu;
imper. iti, etimu, etiti;
pp. etutu - istu;
pres. leggu, lieggi, legge, ecc.;
leggìi - liessi, leggisti, leggìu - lesse,
lèggere - leggìre
p.rem. leggemmu - lièssemu, leggestu, leggèra -
(leggere)
lèssera;
pp. leggiutu - lettu;
mintu, minti, minte, mentimu, mentiti,
pres.
mìntenu;
mentìi - misi, mentisti, mentìu - mise,
mìntere - mentìre p.rem. mentemmu - mìsemu, mentestu, mentèra -
(mettere) mìsera;
pres.cong. minta, mìntanu;
pp. mentutu - misu;
mmou, mmuèi, mmoe, mmuìmu, mmuìti,
pres.
mmòenu;
impf. mmuìa, mmuìi, ecc.;
mmuìi - mossi, mmuisti, mmuìu - mosse),
mmòere - mmuìre p.rem. mmuemmu - mòssemu, mmuisti, mmuèra -
(muovere) mòssera;
pres.cong. mmoa, mmòanu;
imper. mmuèi - mmoi, mmuìmu, mmuìti;
pp. mmuùtu - mossu;
69
mungìi - munsi, mungisti, mungìu - munse,
mùngere - mungìre p.rem. mungemmu - mùnsemu, mungestu, mungèra
(mungere) -mùnsera;
pp. mungiutu - muntu;
mueru, mueri, more, murimu, muriti,
pres.
mòrenu;
murìi - muersi, muristi, murìu - morse,
p.rem. muremmu -mòrsemu, murestu, murèra -
murire (morire) mòrsera;
pres.cong. muèra, muèranu;
imper. muèri, murimu, muriti;
gerundio murendu;
pp. muertu (f. morta);
nducu, nduci, nduce, nducimu, nduciti,
pres.
ndùcenu;
nducìi - ndussi, nducisti, nducìu - ndusse,
ndùcere - nducìre p.rem. nducemmu - ndùssemu, nducestu, nducèra -
(recare) ndùssera;
pres.cong. nduca, ndùcanu;
gerundio nducendu;
pp. (nduciutu) - nduttu;
nvatìi - nvasi, nvatisti, nvatìu - nvase,
nvàtere - nvatìre p.rem. nvatemmu - nvàsemu, nvatestu, nvatèra -
(invadere) nvàsera;
pp. nvatutu - nvasu;
pres. pargu, pari, pare, parimu, pariti, pàrenu;
impf. parìa, parìi, ecc.;
parìi - parsi, paristi, parìu - parse, paremmu -
parire (parere) p.rem.
pàrsemu, parestu, parèra - pàrsera;
pres.cong. parga, pàrganu;
pp. parutu - parsu;
pres. perdu, pierdi, perde, perdimu, ecc;
perdìi - piersi, perdisti, perdìu - perse,
pèrdere - perdìre p.rem. perdemmu - pèrsemu, perdestu, perdèra -
(perdere) pèrsera;
imper. pierdi, perdimu, perditi;
pp. perdutu - piersu - persu;
persuatìi - persuasi, persuatisti, persuatìu -
persuàtere p.rem. persuase, persuatemmu - persuàsemu,
(persuadere) persuatestu, persuatèra - persuàsera;
pp. persuatutu - persuasu;
piàcere - piacìre piazzu, piaci, piace, piacimu, piaciti,
pres.
(piacere) piàcenu;
70
impf. piacìa, piacìi, piacìa, piacìamu, ecc.;
piacìi - piazzi, piacisti, piacìu - piazze,
p.rem. piacemmu - piàzzemu, piacestu, piacèra -
piàzzera;
cong.pres. piazza, piàzzanu;
pp. piaciutu - piazzu;
pres. ponu, pueni, pone, punimu, puniti, pònenu;
punìi - posi, punisti, punìu - pose, punemmu
pònere - punìre p.rem.
- pòsemu, punestu, punèra - pòsera;
(porre)
pres.cong. ponga, pònganu;
pp. punutu - postu;
pres. ppendu, ppiendi, ppende, ppendimu, ecc.;
ppendìi, ppendisti, ppendìu, ppendemmu,
ppendestu, ppendèra ed anche mpisi,
p.rem.
ppèndere - ppendire ppendisti, mpise, mpìsemu, ppendestu,
(appendere) mpìsera;
imper. ppiendi, ppendimu, ppenditi;
gerundio ppendendu;
pp. ppendutu - mpisu;
pruteggìi - prutessi, pruteggisti, pruteggìu -
prutèggere - p.rem. prutesse, pruteggemmu - prutèssemu,
pruteggìre pruteggestu, pruteggèra - prutèssera;
(proteggere)
pp. pruteggiutu - prutettu;
pungìi - punsi, pungisti, pungìu - punse,
pùngere - pungìre p.rem. pungemmu - pùnsemu, pungestu, pungèra -
(pungere) pùnsera;
pp. (pungiutu) - puntu;
pres. pozzu, pueti, pote, putimu, putiti, pòtenu;
impf. putìa, putìi, ecc.;
putìi - puetti, putisti, putìu - potte, putemmu
p.rem.
putìre (potere) - pòttemu, putestu, putèra - pòttera;
pres.cong. puezzi, pozza, pòzzanu;
gerundio putendu;
pp. pututu;
pres. rendu, riendi, rende, ecc.;
rendìi - riesi, rendisti, rendìu - rese,
rèndere - rendìre p.rem. rendemmu - rèsemu, rendestu, rendèra -
(rendere) rèsera;
imper. riendi, rendimu, renditi;
pp. rendutu - resu;
rendùcere (ridurre) per la coniugazione, vedi ndùcere;
rèscere - rescire pres. riescu (rescu), riesci (resci), resce, rescimu,
71
(riuscire) resciti, rèscenu;
p.rem. rescìi, rescisti, rescìu, rescemmu, ecc.;
pres.cong. resca, rèscanu;
imper. rièsci, rescìmu, rescìti;
gerundio rescendu;
pp. resciutu;
rèsçiu, riesçi (resçi), resçe, resçimu, resçiti,
pres.
rèsçenu;
resçìa,
impf. resçìi,
rèsçere - resçìre ecc.;
(amministrare, p.rem. resçìi, resçisti, resçìu, resçemmu, ecc.;
reggere)
cong.pres. rèsçia, rèsçianu;
imper. resçi, resçìmu, resçiti;
gerundio resçendu;
pp. resçiutu;
respundìi - respusi, respundisti, respundìu -
respùndere - p.rem. respuse, respundemmu - respùsemu,
respundìre respundestu, respundèra - respùsera;
(rispondere) cong.pres. respunda, respùndanu;
pp. respundutu - respustu;
rimettìi - remisi, rimettisti, rimettìu - remise,
p.rem. rimettemmu - remìsemu, rimettestu,
rimèttere - remettìre rimettèra - (remìsera);
(rimettere) pres.cong. remetta, remèttanu;
imper. rimietti, remettimu, remettiti;
pp. rimettutu - remisu e remessu;
pres. riu, riti, rite, retimu, retiti, rìtenu;
retìi - risi, retisti, retìu - rise, retemmu -
rìdere - rìtere - retìre p.rem. rìsemu, retestu, (retèra) - rìsera;
(ridere)
pres.cong. rìa, rìanu;
pp. retutu - risu;
rrumagnu, rrumani, rrumane, rrumanimu,
rrumaniti, rrumànenu ed anche rimagnu,
pres.
rimani, rimane, rimanimu, rimaniti,
rimànenu;
rrumanìi - rrumasi, rrumanisti, rrumanìu -
rrumanìre - rimanìre
rrumase, rrumanemmu - rrumàsemu,
(rimanere)
rrumanestu, rrumanèra - rrumàsera; ed anche
p.rem.
rimanìi - rimasi, rimanisti, rimanìu - rimase,
rimanemmu - rimàsemu, rimanestu, rimanèra
- rimàsera;
pres.cong. rrumagna - rimagna, rrumàgnanu -
72
rimàgnanu;
gerundio rrumanendu - rimanendu;
pp. rrumanutu - rrumastu - rimastu;
pres. sàgghiu, sali, sale, salimu, saliti, sàlenu;
p.rem. salìi, salisti, salìu, salemmu, salestu, salèra;
salire (salire)
pres.cong. sàgghia, sàgghianu;
pp. salutu;
pres. sàcciu, sai, sape, sapimu, sapiti, sàpenu;
sapìi - sippi, sapisti, sapìu - sippe, sapemmu
p.rem.
- sìppemu, sapestu, sapèra - sìppera;
sapire (sapere)
pres.cong. sàccia, sàccianu;
imper. sacci, sapimu, sapiti:
pp. saputu;
pres. scindu, scindi, scinde, scendimu, ecc.;
scendìi - scisi, scendisti, scendìu - scise,
scìndere - scendìre p.rem. scendemmu - scìsemu, scendestu, scendèra -
(scendere) scìsera;
imper. scindi, scenditi;
pp. scendutu - scisu;
pres. au, ai - a', ae, sçiamu, sçiati, anu;
impf. sçìa, sçìi, sçìa, sçìamu, sçìu, sçìanu;
p.rem. sçìi, sçisti, sçìu, sçemmu, sçestu, sçera;
sçire (andare) pres.cong. àsçia, àsçianu;
imper. ane - abbane, sçiamu, sçiati;
gerundio sçendu;
pp. sçiutu;
pres. sçiungu, sçiungi, ecc.;
sçiungìre - sçiùngere sçiungìi - sçiunsi, sçiungisti, sçiungìu -
(aggiungere, p.rem. sçiunse, sçiungemmu - sçiùnsemu,
congiungere) sçiungestu, sçiungèra - sçiùnsera;
pp. (sçiungiutu) - sçiuntu;
pres. scriu, scrii, scrie, screìmu, screìti, scrìenu;
screìa, screìi, screìa, screìamu, screìu,
impf.
screìanu;
screìi - scrissi, screìsti, screìu - scrisse,
scrìere - screìre p.rem. screemmu - scrìssemu, screestu, screèra -
(scrivere) scrìssera;
pres.cong. scrìa, scrìanu;
imper. scrìi, screìmu, screìti:
gerundio screendu;
pp. (screutu) - scrittu;
73
scuncrutu - scuncruu, scuncruti, scuncrute,
pres.
scuncrutimu, scuncrutiti, scuncrùtenu;
scuncrutìi - scuncrusi, scuncrutisti,
scuncrùtere - scuncrutìu - scuncruse, scuncrutemmu -
p.rem.
scuncrutìre scuncrùsemu, scuncrutestu, scuncrutèra -
(sconcludere) scuncrùsera;
imper. scuncruti, scuncrutimu, scuncrutiti;
gerundio scuncrutendu;
pp. scuncrusu;
impf. scundìa, scundìi, ecc.;
scundìi - scusi, scundisti, scundìu - scuse,
scùndere - scundìre
p.rem. scundemmu - scùsemu, scundestu, scundèra
(nascondere, celare)
- scùsera;
pp. scundutu - scusu;
scunfeggìi - scunfissi, scunfeggisti,
scunfeggìu - scunfisse, scunfeggemmu -
scunfìggere p.rem.
scunfìssemu, scunfeggestu, scunfeggèra -
scunfeggìre scunfìssera;
(sconfiggere)
gerundio scunfeggendu;
pp. (scunfeggiutu) - scunfittu;
pres. sentu, sienti, sente, sentimu, sentiti, sèntenu;
sentìa, sentìi, sentìa, sentìamu, sentìu,
impf.
sentìanu;
sèntere - sentìre sentìi - ntisi, sentisti, sentìu - ntise,
(sentire) p.rem. sentemmu - ntìsemu, sentestu, sentèra -
ntìsera;
imper. sienti, sentimu, sentiti;
pp. sentutu - ntisu;
spandìi - spasi, spandisti, spandìu - spase,
spàndere - spandìre p.rem. spandemmu - spàsemu, spandestu, spandèra
(sciorinare) - spàsera;
pp. spandutu - spasu;
pres. spendu, spiendi, spende, spendimu, ecc.;
spendìi - spisi, spendisti, spendìu - spise,
spèndere - spendìre p.rem. spendemmu - spìsemu, spendestu, spendèra -
(spendere) spìsera;
imper. spiendi, spendimu, spenditi;
pp. spendutu - spisu;
spingu, spingi, spinge, spengimu, spengiti,
pres.
spìngenu;
spìngere - spengìre
spengìa, spengìi, spengìa, spengìamu,
(spingere) impf.
spengìu, spengìanu;
p.rem. spengìi - spinsi, spengisti, spengìu - spinse,
74
spengemmu - spìnsemu, spengestu, spengèra
- spìnsera;
imper. spingi, spengimu, spengiti;
gerundio spengendu;
pp. spengiutu - spintu;
sprìngere
segue la coniugazione di spìngere;
(spintonare)
ssorgu, ssuergi, ssorge, ssurgimu, ssurgiti,
pres.
ssòrgenu;
impf. ssurgìa, ssurgìi, ecc.;
ssurgìi - ssuesi - ssesi, ssurgisti, ssurgìu -
ssòrgere - ssurgìre p.rem. ssose, ssurgemmu - ssòsemu, ssurgestu,
(slegare) ssurgèra - ssòsera;
pres.cong. ssorga, ssòrganu;
imper. ssuergi - ssergi, ssurgimu, ssurgiti;
gerundio ssurgendu;
pp. ssurgiutu - ssuetu - ssetu;
storcu, stuerci - sterci, storce, sturcimu,
pres.
sturciti, stòrcenu;
sturcìi - stuersi, sturcisti, sturcìu - storse,
stòrcere - sturcìre p.rem. sturcemmu - stòrsemu, sturcestu, sturcèra -
(storcere) stòrsera;
imper. stuerci, sturcimu, sturciti;
pp. sturciutu - stuertu - stertu;
stòsçiu, stuesçi, stosçe, stusçimu, stusçiti,
pres.
stòsçenu;
stusçìa, stusçìi, stusçìa, stusçìamu, stusçìu,
impf.
stusçìanu;
stòsçere - stusçìre stusçìi - stuesi, stusçisti, stusçìu - stose,
p.rem.
(slegare) stusçemmu - stòsemu, stusçestu, stòsera;
pres.cong. stòsçia, stòsçianu;
imper. stuesçi, stusçimu, stusçiti;
gerundio stusçendu;
pp. stusçiutu - stuetu;
stringu, stringi, stringe, strengimu, strengiti,
pres.
strìngenu;
strengìi - strinsi, strengisti, strengìu - strinse,
strìngere - strengìre p.rem. strengemmu - strìnsemu, strengestu,
(stringere) strengèra - strìnsera;
pres.cong. stringa, strìnganu;
gerundio strengendu;
pp. strengiutu - strintu;
75
succetìi - successi, succetisti, succetìu -
succètere - succetìre p.rem. successe, succetemmu - succèssemu,
(succedere) succetestu, succetèra - succèssera;
pp. succetutu - successu;
suppongu - supponu, suppueni, suppone,
pres.
suppunimu, suppuniti, suppònenu;
suppunìi - suppuesi - supposi, suppunisti,
suppònere - suppunìu - suppose, suppunemmu -
p.rem.
suppunìre suppòsemu, suppunestu, suppunèra -
(supporre) suppòsera;
pres.cong. supponga, suppònganu;
imper. suppueni, suppunimu, suppuniti;
pp. suppunutu - suppostu;
me tàciu, te taci, se tace, ni tacimu, [b]u
pres.
taciti, se tàcenu;
me tacìi, te tacisti, se tacìu, ni tacemmu, [b]u
tàcere - tacìre p.rem.
tacestu, se tacèra;
(tacere)
pres.cong. se tàcia, se tàcianu;
imper. tàcite, tacìmuni, tacìtibu - tacìtiu;
pp. taciutu.
pres. tecidu, tecidi, tecide, tecedimu, ecc.;
tecedìi - tecisi, tecedisti, tecedìu - tecise,
tecìdere - tecetìre p.rem. tecedemmu - tecìsemu, tecedestu, tecedèra -
(decìdere) tecìsera;
gerundio tecedendu;
pp. tecedutu - tecisu;
pres. tegnu, tieni, tene, tenimu, teniti, tènenu;
tenìi - tinni, tenisti, tenìu - tinne, tenemmu -
p.rem.
tìnnemu, tenestu, tenèra - tìnnera;
tenire (tenere)
pres.cong. tegna, tègnanu;
imper. tieni, tenimu, teniti;
pp. tenutu;
pres. tingu, tingi, tinge, tengimu, tengiti, tìngenu;
tengìi - tinsi, tengisti, tengìu - tinse,
tìngere - tengìre
p.rem. tengemmu - tìnsemu, tengestu, tengèra -
(tìngere)
tìnsera;
pp. tengiutu - tintu;
torcu, tuerci - terci, torce, turcimu, turciti,
pres.
tòrcenu;
tòrcere - turcìre turcìi - tuersi, turcisti, turcìu - torse,
(torcere) p.rem. turcemmu - tòrsemu, turcestu, turcèra -
tòrsera;
imper. tuerci - terci, turcimu, turciti;
76
pp. turciutu - tuertu - tertu;
me tògghiu, te tueli - te teli, se tole, ni
pres.
tulimu, butuliti, se tòlenu;
me tulìa, te tulìi, se tulìa, ni tulìamu, [b]u
impf.
tulìu, se tulìanu;
tulìre se - dulire se me tulìi - me tuesi, te tulisti, se tulìu - se
(dolere) p.rem. tose, ni tulemmu - ni tòsemu, [b]u tulestu, se
tulèra - se tòsera;
pres.cong. se tògghia, se tògghianu;
imper. tuèlite - tèlite, tulìmuni, tulìtibu - tulìtiu;
pp. tulutu.
uffendìi - uffesi, uffendisti, uffendìu - uffese,
p.rem. uffendemmu - uffèsemu, uffendestu,
uffèndere - uffendìre uffendèra - uffèsera;
(offendere)
imper. uffiendi, uffendimu, uffenditi;
pp. uffendutu - uffesu;
pres. ògghiu, uèi, ole, ulimu, uliti, òlenu;
impf. ulìa, ulìi, ulìa, ulìamu, ulìu, ulìanu;
ulìi - uèsi, ulisti, ulìu - ose, ulemmu - òsemu,
p.rem.
ulestu, ulèra - òsera;
ulìre (volere)
pres.cong. ògghia, ògghianu;
imper. uèi, ulimu, uliti;
gerundio ulendu;
pp. ulutu;
ungìi - unsi, ungisti, ungìu - unse, ungemmu
ùngere - ungìre p.rem.
- ùnsemu, ungestu, ungèra - ùnsera;
(ungere)
pp. ungiutu - untu.
AVVERBI
Gli avverbi in relazione al significato si possono dividere in vari gruppi.
1 - Avverbi di modo o maniera
Comu (come), cussine-cussì (così): comu stau? cussì e ccussine, comu Diu ole (come sto?
così e così, come Dio vuole.
Altri avverbi di modo sono ricavati da nomi o da verbi: genucchiuni (ginocchioni),
strasçìnuli - strasçi strasçi (strasciconi), caδδupedone - scancapìrete - queδδu queδδu
(cavalcioni), pìsuli - pendurìculi (pensoloni), tantuni (tastoni), zumparìculi (saltelloni),
atàsçiu (adagio), chianu chianu (lentissimamente), tomba tomba (a passo cadenzato),
capisutta (a testa in giù).
In italiano gli avverbi di modo sono di numero illimitato, giacché ogni aggettivo può
essere trasformato in avverbio con l'aggiunta del suffisso -mente.
77
Nel dialetto leccese questa forma è assai rara:
speciarmente (specialmente), recularmente (regolarmente), sulamente (solamente),
veramente (veramente) malamente (male) e qualche altro, tutti di chiara derivazione italiana.
Talvolta è proprio l'aggettivo ad essere usato con funzione avverbiale: nu pparlati forte
non parlate ad alta voce, parla chianu (parla a bassa voce), ppunta certu e ccertu manca
prende sicuramente un appuntamento e mancherà di sicuro;
Buenu (bene), fiaccu (male) hanno anche i comparativi: mmègghiu (lat. melius, it.
meglio), pèsçiu (lat. peius, it. peggio).
Comunque nell'idioma leccese si usano di frequente:
a) le locuzioni avverbiali: a nforsa (forzatamente), te unita (insieme), a picca a picca (a
poco a poco), a buècchiu (falsamente), te carbu (garbatamente), te squìnciu (obliquamente), a
mposta (di proposito), a schersu (scherzosamente), a biru (veramente, sul serio) venuto dal
lat. ad verum, ecc.
b) e, al posto dell'avverbio di modo, il complemento di modo o maniera con la prep. cu:
cu piacere (volentieri), cu llu ncrisci (malvolentieri), cu lli ntrichi (con eccitazione), cu lli
strùffuli (capricciosamente), cu santa pacènzia (pazientemente), ecc.
c) altra forma avverbiale si ottiene con la prep. alla: alla mpete (a piedi), alla mmersa (al
rovescio), alla ritta (in modo diritto), alla ndrètula (all'indietro), alla sinfasò (alla carlona),
ecc.
2 - Avverbi di tempo
quandu (quando), fencattantu (finché), ognettantu (ogni tanto, di quando in quando), moi
moi - mo' mo' (or ora, adesso, subito), [a]llora (allora), pìgghia (allora), ncora (ancora),
oramài - urmai (ormai), prima (prima), mprima (presto), osçe (oggi), ièri (ieri), nustiersu
(l'altro ieri), crai (domani), buscrai (dopo domani), buscriδδi (fra due giorni), sempre
(sempre), mute fiate (molte volte, spesso), mai (mai), te paru (contemporaneamente),
ogneggiurnu (giornalmente), te giurnu (di giorno), te matina (di mattina), te marìsçiu (di
pomeriggio), te èspera (sul vespro), a misa de sule (al tramonto), te sira (di sera), te notte (di
notte), a prima arba (all'alba), nna fiata (una volta, un tempo), quarche fiata (talvolta), ogne
fiata (ogni volta), prestu (presto), tardu (tardi), te pressa (in fretta), alla mpruisa
(all'improvviso), all'antresattu (d'un tratto), tuttu te paru (improvvisamente), te botta (di
colpo), alla scurdata - alla securduna (inaspettatamente).
3 - Avverbi di luogo
Ddu - ddune (dove), ddunca - ddùncata (dovunque), mmeru - mmera (da quella parte),
ncoste (accanto), δδai - δδa (lì, là), δδannanti (là davanti, là vicino), δδammera (da quelle
parti), δδancoste (lì accanto), nculu nculu (accostato, aderente), subbra - susu (sopra - su),
sutta (sotto), nanti (avanti), nnanti (davanti), retu - rretu (dietro), nturnu (intorno), turnu
turnu (torno torno), intru, intra (dentro), fore (fuori), largu (lungi), cùcchiu (presso, vicino),
abbàsciu (dabbasso, abbasso), all'àutu (in alto), ottre (oltre), a ogne pparte (in ogni luogo,
dovunque);
Cqua e δδa si possono accoppiare con parecchi degli avverbi su elencati: cquassubbra
(quassù), cquassutta (quaggiù), cquammera (da questa parte), cquancoste (qui accanto),
δδassubbra, δδassutta (là sopra, là sotto); cquannanti, δδannanti (qua vicino, là vicino),
cquabbàsciu, δδabbàsciu (qua giù, là giù), ecc.
78
Hanno valore di avverbio anche le particelle:
- nci (ci, in questo luogo, in quel luogo), nci suntu muti cristiani ci sono molte persone;
mìntinci rìcchia poni orecchio, origlia; nc'era màmmata? c'era tua madre?; nci trasìu ci entrò;
- nde (ne, da questo luogo, da quel luogo), me nde lleu me ne tolgo; scòstande lu saccu scosta
da lì il sacco; se nd'essìu mmarutu se ne uscì imbronciato; me nde prèsçiu me ne rallegro.
Si ottengono parecchi avverbi locativi legando la -n della prep. an (in) al sostantivo:
ncanna (in gola), ncapu (in testa), ncueδδu (sul collo), nculu (nel sedere), mmucca (in bocca),
mpàuta (in tasca), mpiettu (sul petto); ncelu e nterra in cielo e in terra.
Un'ultima forma avverbiale si ottiene ripetendo due volte il sostantivo di luogo: casa casa
(di casa in casa), chèsia chèsia (da una chiesa all'altra), ripa ripa (rasentando), fore fore (da
un campo all'altro, alla lontana).
4 - Avverbi di quantità
Quantu (quanto), tantu (tanto), mutu (molto), ssai (assai), picca - picchi (poco), troppu
(troppo), supèrchiu (soverchio), quasi, isa isa (quasi, appena), cchiùi - cchiù' (più), menu
(meno);
Locuzioni avverbiali: a ntuttu (in tutto), pe nienti - pe nienzi (per niente, affatto), nu nc'e'
male (sufficientemente), a bezzèffiu (a profusione), a strafùttere (in grande abbondanza).
5 - Altri avverbi
Di affermazione: sì - sine (sì), eccu (ecco), ddaveru (davvero), abbiru
(davvero), già (già), pròpriu pròpriu (propriamente);
di negazione: none - nno (no), nun - nu (non), mancu (neanche), nemmancu
(nemmeno, neppure);
di dubbio: forsi (forse), cisàpe - cisà (chissà); matonna… (probabilmente).
Molti dei suddetti avverbi di tempo, di luogo, di quantità, accettano il grado del
comparativo di maggioranza facendosi precedere da cchiù': cchiù' mprima (più presto), cchiù'
tardu (più tardi), cchiù' cquai (più in qua), cchiù' susu (più su), cchiù' rretu (più dietro),
cchiù' mutu (di più), cchiù' picca (più poco, di meno).
Si ottiene il superlativo ripetendo due volte l'avverbio: nanti nanti (in prima fila), sutta
sutta (sul fondo), mutu mutu (moltissimo), picca picca (pochissimo), tantu tantu (tantissimo).
PREPOSIZIONI
Le preposizioni sono paroline essenziali per l'enunciazione e la comprensione del
discorso.
1 - Preposizioni semplici vere e proprie
leccese latino italiano
de - te de di, da
a ad a
a -n, m a[d+i]n in
cu cu[m] con
pe pe[r] per
susu - su su[r]su[m] su
79
subbra supra sopra
sutta subtus sotto
[i]ntra - [i]ntru [i]ntra-[i]ntro intra
fra [in]fra fra
tra [in]tra tra
Di dette preposizioni leccesi soltanto la semplice a, volendo, può essere combinata con
gli articoli determinativi e, allora, diventa 'articolata':
a + lu = allu oppure a llu
a + la = alla oppure a lla
a + li = alli oppure a lli
a + le = alle oppure a lle
Rendere articolate le preposizioni semplici cu, pe, su, è proprio sconsigliabile sia perché
nel discorso la pronunzia di esse è effettivamente staccata, sia perché non è bello dire per es.:
- ene culla soru viene con la sorella (meglio dunque: cu lla soru);
- ete pàcciu pelle pire è golosissimo di pere (meglio: pe lle pire);
- stìa sullu cumbò stava sul comò (meglio: su llu cumbò).
La preposizione a si usa anche davanti al complemento oggetto, quando questo però è
costituito da pronome: sta' mmenezza a nui? sta minacciando noi?; ncarizzàu a tie accarezzò
te; a mie sta' chiami? chiami me? (invece: lu Totu sta' chiama fràita Salvatore chiama tuo
fratello).
Esclusa la preposizione de - te, le altre rafforzano il suono della pronunzia della
consonante semplice della parola che segue, per cui nella scrittura è bene raddoppiare detta
consonante (senza farci condizionare dalla grafia consolidata dell'italiano; leccese e italiano
sono due idiomi diversi!):
- suntu te Lecce et àbbetu a Lecce sono di Lecce ed abito a Lecce; osçe statte cu nòrata oggi
rimani con tua nuora;
- pe nui nu nc'ete dènzia a ncelu per noi non c'è udienza in cielo;
- tra sei anni ni etimu tra sei anni ci vedremo.
La a e la n- vengono usate o insieme o da sole nei complementi di stato in luogo e di
moto a luogo; e la a spesso viene sottintesa:
- ce puerti a ncapu? che cos'hai in testa?
- porta lu piattu a ntàula porta il piatto in tavola;
- stìanu a ccasa a ccaniàtama stavano in casa di mia cognata;
- sirma porta la cruce (a) ncueδδu mio padre reca la croce in spalla;
- uardàti nterra guardate in terra;
- torna ccasa moi moi torna immediatamente a casa.
Se la n- (della prep. an) viene a trovarsi davanti a parola che comincia con b- o p-, si muta
in m-: uliti beniti a[n] mbarca? volete venire in barca?; mìntitele a[n] mpàuta mettitele in
tasca; cce ttieni a mmucca? (da mbucca, con b- > m- per assimilazione) che cosa hai in
bocca?
La preposizione de - te (dde se è preceduta dalla cong. e: de mie e dde tie di me e di te)
assomma in sé tutte le funzioni logiche delle due preposizioni italiane di e da:
80
- ete fìgghia te nu ziu miu è figlia di un mio zio;
- ete cchiù' rrande de mama è più anziana di mia madre;
- ete nna rapa de àrveru te còrnula è un tronco di albero di carruba;
- nnu curru te fau una trottola di legno di faggio;
- sta' bènenu de casa vengono da casa;
- sta' tornu te ddu sòcrasa torno da dove (è) sua suocera;
- rizzi te terra e de mare ricci terrestri e marini;
- inne de porta Nàpuli venne per porta Napoli.
2 - Preposizioni improprie.
Si dicono preposizioni improprie quegli avverbi i quali, invece di chiarire come di norma
l'azione del verbo, precedono un nome e con questo formano un complemento.
Le più comuni preposizioni improprie sono:
nnanti, annanti, rretu, fore, intra, nturnu, subbra, susu, sutta, cùcchiu, dopu, prima,
senza, ecc.
- ui stàtibu annanti (avv.) voi fermatevi avanti;
- ui spettati annanti (prep.) casa nòscia voi attendete davanti a casa nostra;
- se mina nnanti (avv.) cu nnu rrumagna rretu (avv.) si fa avanti per non restare indietro;
- rretu (prep.) lu palazzu nc'ete lu mmulafuèrfeci dietro il palazzo c'è l'arrotino;
- ièu egnu dopu (avv.) io verrò dopo;
- ièu rriài dopu (prep.) la Rusinella io giunsi dopo Rosina;
- lu mare stae cùcchiu (avv.) il mare è vicino;
- sta' pescàa cùcchiu (prep.) alla pèntuma stava pescando vicino allo scoglio.
CONGIUNZIONI
1 - Congiunzioni coordinative
Le congiunzioni coordinative sogliono essere divise in:
copulative: e, né (talvolta et alla latina); santu Ronzu e santa Rini, santu Giustu e santu
Furtunatu tutti prutèggenu Lecce S. Oronzo e S. Irene, S. Giusto e S. Fortunato proteggono
Lecce; iddi la Nzina e la Tunata vidi Vincenza e Donata; nu pesamu né osçe né crai non
trebbiamo né oggi né domani; et era iancu e russu ed era bianco e rosso (dagli esempi
precedenti risulta chiaro che queste congiunzioni e, né fanno raddoppiare la consonante
semplice iniziale della parola seguente);
aggiuntive: puru (pure, anche), mancu (nemmeno, neppure), nemmancu (neanche), anzi
(anzi); tutti me bbandunàra, puru li amici tutti mi abbandonarono, anche gli amici; nu lu
canuscu e nu mbògghiu mancu cu nni parlu non lo conosco e non desidero nemmeno
parlargli;
disgiuntive: o (o), senone, senò (altrimenti); doi su' lle cose: o te stai sotu o te nde càcciu due
sono le cose (da fare): o stai quieto e fermo o ti mando via; scàppatende, senone te tira le
ricchie scappa, altrimenti ti tira le orecchie; càngiate, senò cu mmie nu nci ieni metti il vestito
pulito altrimenti con me non ci vieni;
restrittive: armenu - ammenu (almeno), pe llu menu (per lo meno), dopu tuttu (dopotutto),
pe llu restu (del resto); le pruiste cu ddùranu ammenu fena a lla quaremma le provviste che
81
dùrino almeno sino alla quaresima; fande cce buèi, dopu tuttu tou ete lu piernu di esso fai ciò
che vuoi, dopotutto tuo è il danno;
avversative: ma - mma (ma), però (però), eppuru (eppure), nvece (invece), cchiuttostu
(piuttosto); ièu cercu tte iutu ma tie però te nde futti io cerco di aiutarti ma tu te ne impipi;
cchiuttostu mueru de fame ièu, la Nana nvece se suggetta io morirò piuttosto di fame,
invece Gaetana si assoggetta;
dichiarative: tifatti (difatti, infatti), eneddìcere (cioè): tifatti ete comu ticu ièu infatti è come
dico io; costa menza lira, eneddìcere deice sordi costa mezza lira, cioè dieci soldi;
conclusive: pe quistu (perciò), cussine - cussì (così), nsomma (insomma), e moi - e mo'
(dunque), finarmente (finalmente), an fine (alla fine); nsomma ene o nu bene? insomma
viene o non viene? e mo' aìmu spicciatu e cussì simu cuntienti abbiamo dunque finito e così
siamo soddisfatti;
comparative: te -de (di), comu (come), quantu (quanto), cca (che); ièu suntu cchiù' forte de
tie io sono più forte di te; nisciuna ale quantu a sta fimmenazza nessuna vale quanto questa
gran donna; ete mègghiu curnutu cca fessa è meglio cornuto che imbecille; currìanu comu lu
ientu correvano come il vento.
2 - Congiunzioni subordinative
Le subordinative si distinguono in:
dichiarative: ca (che), comu (come), le quali, mediante i verbi cuntare, penzare, sapire, tìcere
(raccontare, pensare, sapere, dire) e simili, introducono una proposizione esplicativa: nu
sapìa ca t'ìi nzuratu non sapevo che ti eri ammogliato; tìcenu ca lu Peppu ole nde fua la
Mmela e ca iδδa nu mbole dicono che Giuseppe intende portar via Carmela e che lei non
vuole; ae cuntandu comu s'à rreccutu va dicendo in giro come si è arricchito;
finali: cu (affinché) introduce una proposizione la quale, oltre che il fine, contiene il senso del
comando, del desiderio, del consiglio; sta' ncorda lu priulinu cu fazza nna serenata accorda il
violino affinché esegua una serenata; ni disse cu legga gli disse di leggere; ulìanu cu
ccònzanu lu presepiu desideravano approntare il presepio; era mègghiu cu te iti li fatti toi
sarebbe meglio che ti occupassi dei fatti tuoi;
causali: ca (perché, poiché), ci (per il fatto che), giacca (giacché), datu ca (dal momento che),
siccomu (per il fatto che); mmùcciate ca face friddu còpriti ché fa freddo; nu sse llèa mai la
còppula datu ca porta le corne non si toglie mai il berretto dal momento che ha le corna;
siccomu sta' chiòe li trainieri nu pàrtenu siccome piove, i carrettieri non partono; giacca t'à'
ntesata, ndùcime l'acu giacché ti sei alzata, rècami l'ago;
consecutive: tantu ca (tanto che, cosicché); rise tantu ca ni scappàra le làcreme rise tanto
che gli scapparono le lacrime; tantu trunàu ca chiobbe tuonò tanto che piovve;
privative: senza cu (senza che), mancu cu (neanche che); s'à rruttu lu curpune senza cu
nd'àggia utu nnu quàtenu s'è rotta la schiena senza che ne abbia avuto alcunché di
vantaggio; mancu cu nde àggiu nn'asu senza neppure averne un bacio;
modali: comu (come): fane la mègghiu, comu te cunviene fai la cosa migliore, come ti
conviene; comu ole la Pruetènzia come vuole la Provvidenza;
condizionali: ci (se); ci ai a llu fùndecu, ccàttame li pòsperi se vai alla rivendita di tabacchi,
comprami i fiammiferi; c'ìa ulutu, s'ìa statu a δδa ddu mie se avesse voluto, sarebbe rimasto
presso di me; ci me tecìa sine, me facìa cuntente se mi dicesse sì, mi farebbe contento;
82
concessive: puru ci, puru ca (purché, benché, sebbene, quantunque); puru ci era stracca, ose
ncufenare sebbene fosse stanca, volle preparare il bucato; puru ca la tene de signura, iδδa
nu llu pote ìtere quantunque la tratti da vera signora, lei non lo può soffrire;
interrogative e dubitative: percene, percé (perché), ci (se); dimme percene sta' chiangi
dimmi perché piangi; nu sàcciu percé se sta' ncùsçenu non so perché si stiano lamentando;
dummàndala ci ole cu bene a llu Pulitiama domandale se vuol venire al teatro Politeama;
temporali: quandu (quando), quantu (per il tempo necessario), fenca (finché), ntantu
(intanto, nel frattempo), fencattantu (fintanto che), mentre (mentre), [a]ppena (appena),
gneffiata ca - gneffiata ci (ogni volta che), ca, ci (che); fencattantu spìcciu te cupiare sta
pagginetta, tie càngia li pennini alle pinne fintanto che finisco di copiare questa paginetta, tu
cambia i pennini alle asticciole; spèttame quantu dau mmangiare alla òccula e alli purecini
attendimi fintanto che do da mangiare alla chioccia e ai pulcini; gneffiata ci se cala la lingua,
astima comu nnu tùrchiu ogni volta che si morde la lingua, bestemmia come un turco.
Prospetto sintetico delle funzioni di ca, cu, ci
tìcenu ca à mmuertu papa Cìcciu
che dichiarativa
dicono che è morto don Francesco
me prèsçiu ca à' sanatu
perché causale
mi rallegro perché sei guarito
tanta ete la fame, ca me sta' dole lu stòmecu
che consecutiva
è tanta la fame chel lo stomaco mi fa male
ca
ae nnu mese ca nu ni etimu
che temporale
è un mese che non ci vediamo
e' mègghiu uerciu cca cecatu an tuttu
che comparativa
è meglio guercio che cieco del tutto
ca parla puru, δδu rebbambitu?
che interrogativa
che parla anche, quel rimbambito?
danni nna manu cu sse ntisa
affinché finale
dagli una mano affinché si metta in piedi
cu àggia catutu ntra llu puzzu?
cu che dubitativa
che sia caduto nel pozzo?
cu àggianu nna bona sorte!
che desiderativa
che abbiano una buona sorte!
ci àe nnu masculieδδu, lu chiama Runzinu
se condizionale
se avrà un maschietto, lo chiamerà Oronzino
nu sàcciu ci la Tora me ole bene
se dubitativa
non so se Salvatora mi vuol bene
ci causale nu tte llamentare poi ci te rumpu li
se causale musi
non ti lamentare dopo se ti rompo il grugno
oimmena, ci encìa la benefezziata!
se desiderativa
oibò, se vincessi il sorteggio del beneficio!
83
ae nna ita ci campa de mesìe
che temporale
è una vita che vive di desideri speranzosi.
INTERIEZIONI E ESCLAMAZIONI
Interiezioni proprie:
a! (ah!), ai! (ahi!), o! (oh!), eu! - u! (uh!), ba! (bah!), be (e allora!), me! - mme! (orsù!), mi!, e
mo'! (e adesso!), uèi! - uè! - ei! (ehi!, ehi tu!, ehi voi!, ciao!), oimmena! - oimmè! (ohimè!),
marammìe! - porammìe! (ahimè!), a…issa! (issa!), uffa! (uff!).
Voci di richiamo… agli animali:
na na! (toh, tieni! in generale), cìu cìu cìu! (agli uccellini), cquà cquà! (al cane), pìu pìu pìu!
(ai pulcini), nane nane nane! (alle galline), ruccu ruccu! (ai colombi), àa…a! (al cavallo per
partire), ìsci…ìi! (al cavallo per arrestarsi), iù…ù! (al bue per farlo avanzare), arri! (al somaro
per incitarlo);
Voci di minaccia:
passa! (via! in generale), sciò sciò! (ai volatili), isti…sti! (al gatto), iessi fore! (al cane), zza!
(agli ovini).
Esclamazioni:
approvazione: brau!, benumale! (bravo!, bene!);
gioia: bellezza! (che bello!), cce prièsçiu! (che gioia!);
abbiru, ddaveru? (davvero, è sicuro?), cagnu! cagnateδδa! (accipicchia!), matonna!,
meraviglia: pe la matosca! (ohibò!, perdinci!), cazzu! mìnchia! (diavolo!, accidenti!), iata a tie!,
iat'a nnui,… (beato te!, fortunati noi!), peccrista! (per Giove!);
minaccia: mannàggia! (mannaggia!), uài a tie! (guai a te!), ci te zziccu! (se ti acchiappo!)
mamma mia! (mamma mia!), Matonna mia beδδa! (Madonna mia bella!),
preghiera: Gesummarìa! (Gesù e Maria!), Santu Ronzu! (Santo Oronzo, proteggimi!); Sant'Antoni
te le trìtici ràzzie (S. Antonio dalle tredici grazie al giorno);
ffanculu! (vai a… fornicare!), saietta! saièmmara! (accidenti!); lampu tte zicca! (ti
sdegno:
colga un fulmine!)
caru! (ciao!), salute! (salute a te!), statte buenu! (stai in buona salute!), bongiornu!
saluto: (una buona giornata!), bona èspera! (buon pomeriggio!, bona sera! (buona serata),
bona notte! (buona nottata!).
84
Aùri e figghi màsculi auguri e figli maschi
Santu Martinu! S. Martino faccia crescere il prodotto
Lu Signore cu tte bunda il Signore provveda a te in abbondanza;
b infauste:
Ammenu aìi sçattare possa tu almeno scoppiare
sçatta e crepa! scoppia e crepa!
Puezzi murire mpisu possa tu morire impiccato
Butta lu sangu ti colga un'emottisi
Caca lu sangu ti colpisca una dissenteria
Cu tte egna còccia che ti venga un'emorragia
Corpu te luna che ti venga un collasso letale
Corpu tte zzicca che ti colga un ictus cerebrale
Pìgghiala a nculu prendila nel didietro, ben ci sta
…lu male te Santu Tunatu ti venga un attacco epilettico
Cu mmuèri moi moi che tu muoia all'istante
Nfòcate cu nnu ccune muori soffocato mentre mangi
Ammenu t'ìi spezzare l'anche spèzzati almeno le gambe
Rùmpite le corne ròmpiti le corna
Cu tte egna lu pampanizzu che ti venga un grande tremore
Tte egna nnu càncaru che ti venga un tumore
Ammenu aìi rraggiare ti àuguro di diventare idrofobo
Alli zippi à' sçi' spicciare dovrai finire per raccogliere fuscelli
Alla lemòsena t'àggiu bìtere ti vedrò chiedere l'elemosina.
Registriamo i giuramenti più comunemente usati:
Quantu e' veru Diu quanto è vero Dio
Cuscènzia de l'ànima, e' la
in coscienza, è la verità
erdate
Cu mme iti muertu ci… che tu mi veda morto se...
Cu ccecu! che io diventi cieco!
Santa Lucia mme fazza
Santa Lucia mi faccia diventare cieco!
cecare!
Cu sçoppu nterra, moi moi! che stramazzi a terra, all'istante!
Cu sprefundu sutta terra che io sprofondi nell'abisso
Cu mme nde càsçia la lingua che mi caschi la lingua
Cu mme stoccu nn'anca che mi si spezzi una gamba
Mme càsçianu le mànure mi caschino le mani
Mme pozza runceδδare la mi si possa rattrappire la lingua
85
lingua
Mme egna lu tuercicueδδu che mi venga il torcicollo
Giuru su lli muerti mei giuro sui miei cari defunti
Giuru nfacce Diu giuro alla presenza di Dio
Giuru subbra a ll'osse de
giuro sulle ossa di mio padre
sirma
Vengono qui segnalati i termini ingiuriosi e offensivi (li nzurti) tipici del vernacolo leccese:
anchitorta, persona che ha le gambe visibilmente arcuate e storte;
anchitertu
persona claudicante;
cacafàe persona dappoco, tapino;
cacarone uomo pauroso che se la fa addosso;
cachellu millantatore che non vale un pelo, uomo dappoco;
caggianeδδa ragazza cui piace mettersi in mostra, civettuola;
capi-te-canìgghia persona ignorante, che nel cranio ha crusca;
capi-te-cazzu testa di cazzo, persona stupida, grulla;
capi-te-cestune testone vuoto e ottuso;
capi-te-trozza testardo, duro di comprendonio;
genericamente, chi abita a sud di Lecce, di modi rozzi e incivili rispetto
capustieδδu
a quelli del cittadino leccese;
catafarcu vecchio decrepito;
catapràsemu persona fastidiosa e insopportabile;
cerniientu perdigiorno, scioperato, incapace e inconcludente;
checheché chiacchierone sconclusionato;
chiangimuerti piagnucolone, uno che grida i suoi lamenti;
ciciarra donna ciarliera e pettegola;
ciùcciu persona incapace e ignorante;
crapazzoppa donna caparbia, infida e maligna;
cuccuàsçia una che ha viso appiattito e naso adunco, dunque brutta d'aspetto;
cùfiu infecondo, sterile; tonto, ritardato mentale;
cugghiune balordo, minchione;
culignu sospettato di tendenze omosessuali, pederasta passivo;
culiruttu si dice di uno che è antipaticamente fortunato;
avaraccio, tanto da voler risparmiare persino sulle necessità
culistrintu
fisiologiche impellenti;
culi-te-farnaru, culi-te-fersura donna dal sedere tondeggiante ma sciupato e poco estetico;
culòfia donna dall'ampio sedere cascante;
culummu persona pigra e indolente;
curciperta donna sempre disposta a darsi a chiunque;
86
curnàcchia donna linguacciuta e malevola;
curnutu uomo tradito dalla propria donna, poco stimato;
designatu te Diu segnato da difetto fisico o mentale o morale;
facciòmmene o facci-te-
uomo dalla faccia di barbagianni, dal viso grifagno;
ccionni
facci-te-cazzu uomo strampalato, in cerca di non si sa che cosa;
facci-te-mpisu faccia da impiccato, pendaglio da forca;
facci-te-mulu testardo sfrontato;
facheche chiacchierone sconnesso e incoerente;
fessa balordo che commette sciocchezze, imbecille che si fa abbindolare;
fetusu puzzone, persona sgradevole;
fimmeneδδa giovincello ritroso con tendenze femminee;
frabbulista chiacchierone spacciatore di frottole;
fràcetu flaccido, svigorito;
futtinculu imbroglione truffatore, lusingatore;
ieni pane ca te màngiu infingardo e fannullone, che attende che altri lo mantengano;
lassamestare persona permalosa e schifiltosa;
lengu e fessa, lengu pe
allampanato ma sciocco e inconcludente;
nnienti
linguilengu, linguilonga persona linguacciuta e maldicente;
lliccaculu lecchino smaccato;
maccabbèu scemo, stupido, tanghero;
maccarrune persona molle di carattere, smidollato;
malecarne vagabondo lavativo;
maleccore persona perfida, di animo cattivo;
malesurtu tirato su male, maleducato;
mangiunazzu sbafatore, scroccone;
manzaru individuo ostinato, caparbio incallito e impenitente;
manzarune uomo dalla testa dura e dai modi violenti;
mazzarune zoticone, cui sono assegnati i lavori più grossolani;
menata donna da marciapiede che si dà a chiunque per poco;
menzabotta o
individuo tracagnotto;
menzacartùccia
mèrula-te-màcchia donna arcigna e scostante per natura;
mìnchia persona sempliciotta e credulona;
mmaletettu individuo odioso, segno di grande disprezzo;
mmucatu sporcaccione, scostumato;
mprena-pònnule presuntuoso che millanta azioni incongrue;
87
mputrunutu sempre imbronciato, chiuso in uno sdegnato riserbo;
mucculone sempliciotto che non sa badare a se stesso;
mucitazzu individuo di malaffare, volgaraccio;
musi-te-puercu dotato di labbra carnose e sporgenti;
nasi-te-caffa persona dotata di naso a polpetta;
nasi-te-castarieδδu dal naso adunco come quello del falco;
ncicignatu, ncicirignatu malridotto, ubriaco fradicio;
ncresciogna pigrone cronico;
ndùgghia ndugghiusu, persona trasandata nel vestire, sciattone;
chi da buono e bravo è diventato disonesto e cattivo; sporcaccione,
nfetesciutu
moralmente spregevole;
dalla faccia giallastra, il colore dell'invidia, della gelosia e della
ngialenutu
cattiveria;
nnacetutu aspro e stizzoso, scorbutico;
persona dalla pelle cotta dal sole, segno di rozzezza, caratteristica di
nnervecatu
un villano e non di un cittadino;
nnigghiatu denutrito, deperito, secco allampanato;
ntartàgghia balbuziente, tartaglione;
nzìcchia individuo seccante, antipatico e fastidioso;
nzummeδδusu persona incline a seminare zizzania;
òccula grassona con le braccia divaricate, che incede a passettini;
pampasçiune persona stupida e incapace, balordo sprovveduto;
pappacola bonaccione che ingoia tutto ciò che gli si dice;
papùscia giovanetta bellina, vispa ed esibizionista;
passuδδu, passulune uomo flaccido, smidollato;
pendàgghia donna sciattona con le vesti penzolanti;
petezzòppeca sfaticato che sa trovare tante scuse per non andare a lavorare;
pezzanculu pezzente con i calzoni rattoppati al sedere;
pieti-te-pàpara persona dai piedi piatti o cavi;
piritosu uno che scoreggia senza ritegno;
pitetìcchiu ometto insignificante;
pizzafridda uomo neghittoso, rammollito;
ppòppetu cafone di provincia, incivile, zoticone;
pruticulu ragazzo fastidiosamente irrequieto, discolaccio;
puercu sporcaccione, turpe;
puttanieri dongiovanni da strapazzo insidiatore di donne;
quaremma vecchia emaciata col viso arcigno;
ranecchiulu,ranocchiula persona bassa, grassa e goffa;
88
razza strazza, strappigna famiglia di straccioni;
recuttara donnaccia, meretrice;
rremuδδatu rammollito, indolente e abulico;
rresenatu deperito, macilento, intristito;
saccu acante individuo presuntuoso e vano, ambizioso ma fatuo;
sagnafridda persona rammollita e inefficiente;
sanguetta scroccone, estorsore;
scalandrune persona di statura alta e di corporatura dinoccolata;
scangatu sdentato;
scarufaterra contadinaccio, zoticone, villanaccio;
scazzamurieδδu uomo basso e mingherlino;
sciàbbeca, sciabbecatu persona sciatta e trasandata nel vestire e nel comportamento;
sciacqualattuche incapace di eseguire un lavoro impegnativo;
di carattere volubile, che muta frequentemente umore, lunatico,
sçianaru
banderuola;
sçiòsçiu trasandato e lurido, sudicio;
cattolico non praticante, che non si fa vedere mai in chiesa o la
sçiutìu
frequenta assai raramente;
scràsçia persona fastidiosa, della quale non si riesce a liberarsi;
scuèscia, scuesciusu bazzuto, dotato di mento pronunziato;
scugghiatu senza coglioni, debole, indolente;
che non sa mantenere un segreto, che si lascia scappare qualsiasi
sculatu
confidenza riservata;
scuncignatu scalcinato, non abituato all'ordine, arruffone;
scusçetatu, senzapenzieri imperturbabile e quasi apatico;
scursune surdu sornione, furbacchione taciturno;
donna con scarsissimo seno, grave difetto per una 'carusa' in cerca di
senzaminne
uno 'zitu';
senzaquiδδa uomo ritenuto sessualmente impotente;
persona sempre tentennante, che rimane tra il sì e il no e non sa
sicchinnonni
decidersi;
spaccamuntagne fanfarone smargiasso;
spaccime, spaccimusu tipaccio losco;
sparpàgghia-pàssari persona sregolata, che si dà da fare ma provoca solo disordine;
sperpètecu bisbetico, oltremodo litigioso, attaccabrighe;
spertecune spilungone emaciato;
spriculamìgghiu persona eccessivamente parsimoniosa;
spulisçiatu corrotto moralmente, depravato, pervertito;
89
spùrchia sfruttatore privo di scrupoli, parassita;
spurpanùzzuli persona incline a ricavare da un bene il maggiore utile possibile;
stangalòi persona alta ma non proporzionata e poco aggraziata;
sucatieδδu gracile, macilento come se fosse stato succhiato;
tafaneδδaru furbacchione matricolato;
talornu persona che procura impaccio e fastidio;
tantumergu personaggio imponente ma ingombrante;
teu miscredente e anticlericale;
tràgghia individuo pesante e riottoso, infingardo;
trapularu imbroglione che racconta fandonie;
uastasi insolente, sfacciato, privo di rispetto;
uastasignu sfrontato come una scimmia, dispettoso impertinente;
ucchipiertu babbeo, scioccone;
urrusu musone permaloso e bizzoso;
žallu cafonaccio, provinciale ignorante e incivile;
uomo dinoccolato e macilento, che incede con andatura incontrollata
zàmparu
e disordinata;
scocciatore e rompiscatole insopportabile, che porta alla
zenzale perniciosu
esasperazione;
individuo che immiserisce andando sempre più in basso nella propria
zucaru
condizione.
PARTE TERZA:
Antologia di canti popolari ed i racconti dialettali
Aceδδuzzu
Aceδδuzzu1 ci luntanu à' sçire2,
fèrmate cu tte dicu doi palore:
ci lu miu bene mai usi a bedire
càntani quattru iersi de dulore;
cèrcalu pe lli monti e pe lli mari
e dinni ca pe mmie sta vita e' morte,
ca do' cori nu pponnu ntani stare3.
90
Aceδδuzzu, cu senta, canta forte.
1
uccellino, dim. di aceδδu, e questo dal lat. augellus, con ll- > δδ-.
2
devi andare; à', da aìre; sçire dall'it. antico gire, g- > sç-.
3
non possono stare lontani, non possono vivere separati.
Brunetta… e ianculiδδa
Ci ama la scorsa e ci ama la muδδica,
ci ama la ncuδδatura te lu pane1;
unu ama la brunetta2 sapurita,
nn'àutru la ianculiδδa3 senza sale.
Pe nna brunetta me sçiocu4 la ita;
la ianca la ncuzzettu ca nu mbale5.
Ieu sàcciu nna brunetta sapurita
e ci àggiu canza6 l'àggiu ssapurare!
1
chi desidera la crosta, chi la mollica, chi l'incollatura di una forma di pane: varie sono le
preferenze, diversi i gusti.
2
panino d'aspetto scuro (ragazza bruna, vivace).
3
pagnottella bianca, insipida (cioè ragazza biondiccia, slavata).
4
mi gioco; da sçiucare, lat. jocari, j > sç.
5
la appioppo a qualche altro, perché ha poco nutrimento, ha meno valore.
6
e se ho l'opportunità, se troverò il momento propizio.
91
facci de prummitoru2 de sçiardinu.
Nnanti alla gente fingu ca nu llu amu
intru allu piettu miu… nnu canarinu3;
e quandu lu ògghiu, ni fisçu4 e lu chiamu
mancu ci stia cquannanti vecinu5.
1
occhio riccio giocondo; uècchiu, dal lat. oculus > oclus, o > ue/e, cl > cchi-.
2
faccia rubiconda come un pomodoro, segno di floridezza.
3
il cuore canta melodiosamente come un canarino.
4
gli fischio, gli mando un sibilo di richiamo; dal lat. *fistulare.
5
come se stesse proprio qui vicino, pronto a mia disposizione.
Doi sururi
Quista e' la sçiata1 de lu fermalluecu2,
nc'e' nnata nna maràngia e nna lumìa3;
nc'e' doi sururi4 e s'ànu mise a sçiuecu,
stanu sçiucandu la persona mia5.
Sorte ci le ba' ncontru a cquarche luecu
sule sulette e senza cumpagnìa!
Nnu asu ni darìa cu sçetta fuecu6:
" Tenìtiu quistu pe lla mure mia!”7
1
strada; forma arcaica venuta dal lat. (via) strata, str- > sc-, così come dal lat. fenestra deriva
il lecc. fenescia, dall'it. maestro > mesciu.
2
anche fermallecu o fermallocu, via dell'altolà!, dove bisogna fermarsi.
3
un cetrangolo e un limone, alberelli piantati negli ortali delle case.
4
due sorelle; dal lat. sorores, con o > u, e > i, e la s- finale caduta.
5
si stanno prendendo gioco della mia persona.
6
che sprizzi fuoco; sçetta da sçettare (gettare, sprizzare); fuecu dal lat. focus, solitamente o
> ue.
7
tenètevi questo bacio come affettuoso ricordo di me.
Ene lu ientu
A rrisçu stìamu e nu nni nde curàamu1.
Mentre sull'àrveru fiche ccugghimu
ene lu ientu e còtula2 lu ramu:
Tiènite, Pippi, senone catimu!
Ca ci catimu nui, bàsciu nde sçiamu3,
stisi pe terra senza nni ccurgimu
unu sull'àutra mbrazzati4 ni truamu:
…piettu cu piettu l'amore facimu!
92
variante:
…panza cu panza l'amore facimu!
1
stavamo a rischio e, incoscienti, non ce ne curavamo.
2
scuote, da cutulare.
3
che se noi cadiamo, andiamo a finire giù.
4
l'uno sull'altra abbracciati; àutra, dal lat. alt[e]ra, con al > au-.
93
L'àrveru ncrina
L'àrveru ncrina a ddu1 la stanga pende
e la ziteδδa a ddu l'amore face;
la nave nu po'2 sçire senza tende3,
mancu lu piettu miu senza rrefiatu4;
lu celu nu po' stare senza stelle,
mancu lu nfiernu senza nnu dannatu;
e tie, ci si' llu fiuru de le belle,
mancu puèi stare senza nnamuratu.
1
là dove, dal lat. ad ubi.
2
apòcope di pote, può, rafforzato per eufonia; da putire = potere.
3
vele di telone.
4
respiro; vedi rrefiatare = respirare.
La strina
Alli sette d'aùstu, amore mia1,
foi lu panieri2 de Santu Tunatu;
nna beδδa strina3 ndutta t'aìa
intra a llu muccaturu nduccecatu4.
Quandu rriài cquannanti, amore mia,
tie ciciarrài5 cu nn'autru amante amatu,
e ièu, mpuggiatu a lla prutènzia mia,
me nde sçìi cu llu core ntussecatu6.
1
amore mia, perché l'invocazione è rivolta a una ragazza; amore miu, se è riferito a un
uomo.
2
mercato con esposizione di merci minute di uso casalingo.
3
presente che il fidanzato faceva alla morosa in occasione di una determinata festa
religiosa; lat. strena.
4
fazzoletto ancora stirato e ripiegato, pulitissimo; dal lat. induplicatus.
5
tu parlottavi; ciciarrare, verbo onomatopeico agganciato alla ciciarra, l'uccellino ciarliero
della cinciallegra.
6
con il cuore intossicato, sofferente per la stizza e per l'invidia e colpito da una punta di
gelosia.
Meràculi facìa
dimme cu ffazzu mille mìgghie mpete1,
dimme de iernu cu mme minu a mmare2,
dimme cu ttrou nna rosa ci nu nc'ete,
cu ffazzu nn'omu muertu descetare3.
94
Meràculi te Santu ièu facìa4,
te lu dicu cu ll'ànima e llu core;
basta ca tie nna fiata intra a lla dìa5
te rrecurdài de stu nfelice amore6.
1
a piedi; da in pete, n- davanti a -p si muta in m- e si salda = mpete.
2
anche a rischio di buscarmi una polmonite doppia.
3
che faccia risuscitare un uomo morto; addirittura!
4
io farei, dal lat. e lecc. facere = fare.
5
se tu almeno una volta al giorno…
6
ti ricordassi dell'amore mio infelice.
Mueru o campu
M'à rrenduttu1 l'amore a mmalatìa,
m'à rrenduttu cu ppìgghiu l'uèggiu santu2,
m'à rrenduttu a nnu puntu de paccìa.
Quattru mièteci dotti tegnu ccantu:
unu de quiδδi3 sai cce mme decìa?
"Lassa d'amare o nun amare tantu".
Ièu te d'intra a llu piettu respundìa:
"Te core l'àggiu amare, o mueru o campu4!"
1
mi ha ridotto, mi ha condotto.
2
olio consacrato per l'estrema unzione a un moribondo.
3
dall'it. quelli; nota e > i, ll > δδ, come di norma.
4
anche se sono malato di cuore, io continuerò ad amarla appassionatamente ad ogni costo;
o morirò o vivrò, l'amore è la cosa che soprattutto conta.
Murire ccisu
O quantu e' bellu lu murire ccisu
sutta a lla porta te la nnamurata!
L'ànima se nde sale a mparaìsu,
lu cuerpu1 resta cu lla spenturata;
iδδu2 la uarda te lu paraìsu,
iδδa2, ci3 se lu sonna, e' cunsulata;
fenca se rrecorda lu primu amore
l'amante ci4 murìu tene a llu core.
1
il corpo esanime, il cadavere; dal lat. corpus, nota o > ue.
2
egli, ella; dal lat. illum e illa, ll- > δδ-, che si pronunzia con suono cacuminale rotacizzato.
95
3
se, congiunzione condizionale.
4
che, il quale, pronome relativo.
Nchiesa
Ièu sçìi lla chèsia pe sentire missa,
δδa intra1 nci sçìi ttruài2 la Rosa amata
e ièu la tinni mente fissa fissa...
Quandu me nde ddunài3 missa ìa žata4,
tutti decìanu ca me perdu missa5:
" Missa te pierdi pe lla Rosa amata.
" Nu mme nde curu ca me perdu missa,
la Rosa me ale pe missa cantata!
1
là dentro, dall'avverbio lat. illac intra; con le solite ll- > δδ-.
2
ci andai a trovare per caso, vi trovai inaspettatamente.
3
me ne accorsi, me ne resi conto; dal lat. addo[vi]nare.
4
la messa era prossima alla fase della consacrazione.
5
di domenica, stare in chiesa e badare con lo sguardo e con la mente alla donna amata,
senza seguire le fasi della messa, significa non adempire il precetto della chiesa e, pertanto,
commettere peccato.
Nna stampa
Beδδa, ci fice a ttie fice nna stampa1,
la sippe fare cu rrande mescìa2;
cupiàu la luna e nna palumba ianca,
nci mise nn'ària3 de malancunìa,
li culuri squagghiàu4 cu ll'àcqua santa,
l'uecchi te li dunàu Santa Lucia5.
1
un quadro dipinto, un ritratto.
2
maestrìa; str- > sci-, così come da nostra > noscia, da finestra > fenescia, ecc.
3
vi soffuse un'aria di delicata malinconia, un'atmosfera di mestizia.
4
stemperare, diluire e amalgamare; il contrario è quagghiare, coagulare.
5
occhi non comuni ma straordinariamente belli, che certo ti furono donati da Santa Lucia, la
patrona della buona vista.
Nna turtureδδa
Nna bianca turtureδδa cuernài1
mmienžu a do' turtureδδe pare soi,
e ll'ale curte curte ni tagghiài2
puru cu nu lla fazzu ulare moi.
96
Quandu te la fenèscia me nfacciài
mmienžu se la purtàanu l'àutre doi.
Sai cce mme disse quandu la chiamài?
" Sècuta a mpriessu3 ci bene me uèi.
Quandu a lla ripa te mare la rriài:
" Sçatta4 e crepa! - me disse - Moi cce buèi5?
1
governai, allevai, mi presi cura.
2
le tagliai, le accorciai le penne delle ali.
3
dappresso, da vicino; dal lat. ad pressum > lecc. an pressu > a mpiessu.
4
scoppia di rabbia, imperat. di sçattare (schiattare); diverso è scattare (scattare).
5
adesso che cosa pretendi?; dall'it. [v]uoi + b- che si presenta per motivi eufonici.
Nnu cusìgghiu
1
Tesira me foi datu nnu cusìgghiu
puru cu llassu a ttie, Ninetta mia.
A mmie tantu giòa stu cusìgghiu
quantu giòa a nnu muertu la sagnìa2.
Cu llassu a ttie e nn'àutra cu mme pìgghiu
quale core te cane lu facìa?
Quandu la mamma bbanduna lu fìgghiu
tandu bbandunu a ttie, Ninetta mia.
1
dal lecc. [ieri] te sira = ieri sera.
2
quanto giova a un cadavere il salasso, la flebotomia, un tempo frequentemente praticata
per far diminuire la pressione samguigna.
97
4
se ne sta a smuovere i carboni accesi per ravvivarli.
5
finalmente viene a letto e si corica, ma resta come un babbeo… immobile.
6
l'armonica; qui è chiaro il senso maliziosamente allusivo.
98
ci nn'àutru amante ìsçiu5 a lle toi porte.
Su' celusu de tie tantu tantu,
celusu de lu sule e de lu ientu.
Beδδa, cinca6 ite a ttie pàcciu rrumane,
perde li sensi e stramuta culure,
susu a nna petra màrmula se ssetta
sulu comu dulente nnamuratu.
1
a rischio; dallo spagnolo risco, sc- con pronunzia dolce e quasi blesa.
2
lancio con forza, indirizzo verso; dal lat. minare > lecc. menare.
3
fulmini minacciosi, imprecazioni; dal lat. sagitta, it. saetta.
4
con congegni e con artifici, con ordigni e con inganni.
5
vedo; dall'it. antico veggio: v- cade, gg- > sç-, o > u.
6
Chiunque; dal lat. qui unqua.
1
si coprirono di fiori; le erbe ai bordi delle strade fiorirono.
2
Sansone, il personaggio biblico simbolo di forza eccezionale e di carattere saldo e deciso.
3
le migliori qualità morali e le maggiori doti fisiche.
99
1
tua madre; dal lat. mamma tua, lecc. mamma toa > màmmata.
2
avresti dovuto sin dall'inizio non farmi innamorare di te e non farti amare da me.
3
non avere dubbi e tentennamenti.
4
il verbo aìre, avere,, allorquando è servile ed è perciò seguito da un altro verbo all'infinito,
prende il significato di 'dovere, essere necessario'.
5
verrà, futuro di [v]enire.
6
il tempo è galantuomo e adesso sta per rendere giustizia.
1
gettare, versare, spargere nell'ortale di casa; dal lat. minare.
2
il farmacista, titolare della spezieria.
3
e ne stacca la cima, ne coglie lo stelo (da s- sottrattivo e cimare).
1
che tu sia; [b]iessi cong. pres. di èssere (forma eufonica bèssere); da non confondere con
[b]iessi (tu esci) ind. pres.di essìre (bessìre, uscire).
2
contadino il quale in un giardino recintato, fornito di pozzo, frequentato dai padroni,
100
sarchia le erbacce, cura il pergolato e il frutteto e pianta fiori lungo lo stradone.
3
bisaccia da portarsi ad armacollo, quando si viaggia a piedi; nota cc- > zz-.
4
se ne va fuori di casa, quindi in campagna, dunque si reca nel giardino.
5
meràngulu o melàngulu, albero di melo dalle foglie delicatamente profumate e dai frutti
alquanto asprigni.
6
proprio in quel mentre, in quel momento; dal lat. tamdiu.
7
berretto senza tesa ma con visiera, portato dai lavoratori; i signori portavano il cappello (lu
cappieδδu).
8
e alla padrona fa un profondo rispettoso inchino.
9
scègliti, esortativo di scucchiare.
10
come ti comporti correttamente.
11
che ti nomini; it. faccio > lecc. fazzu, di norma cc- > zz-.
12
che bel portamento, che comportamento educato e rispettoso!
Rendineδδa
Rendineδδa ci rièndini1 lu mare
cùcchia2 quantu tte dicu3 do' palore,
quantu tte scippu nna pinna te l'ale,
c'àggiu fare nna lettra4 a llu miu amore;
tutta de sangu la vògghiu mmuδδare5
e pe suggellu nci mintu stu core.
Pòrtala lèggia lèggia6 sutta a ll'ale
cu nu sse scassa lu scrittu d'amore;
cu lle toi manu ni l'à' cunsegnare:
"Quista te manda ci te porta amore".
1
'attraversare a volo di rondine': voce ricavata dallo specifico soggetto.
2
avvicìnati, imperativo di cucchiare, dal lat. copulare > coplare, pl- > cchi-.
3
quanto basta, il tempo necessario affinché ti dica…
4
da lett[e]ra, missiva.
5
bagnare; dall'it. [a]mmollare, e solitamente ll- > δδ-.
6
leggera leggera, lievissimamente.
Rusina
Rusina, Rusinella,
nu sçire a ll'acqua sula,
l'uèmmeni cu lla žella1
te rùmenu… l'ursula2!
Rusina, amore mia,
nu llusciare la mùscia,
nnu natu de ernetìa3
101
te rrubba… la papùscia4!
1
testa storta, di uno malintenzionato.
2
…la brocca, riferita scherzosamente alla vulva ancora integra di Rosina.
3
uno nato di venerdì, giorno infausto, cioè uno disonesto.
4
…l'upupa; qui però si insiste sul doppio senso eufemistico della vulva.
Signuri, sentiti
Cari Signuri, sentiti, sentiti…
La terra trèmula ddu camenati;
se mai San Giuanne nèsciu sçia' ffenditi1
lu nfiernu nn'àutru giurnu sçia' ttruati2!
Nc'era de San Giuanne nna cummare
ci se nnamuràu te nnu gioanettu;
ulìa llu scippa e nu llu rriàa scippare,
chiusu se lu tenìa ntra llu piettu.
Nu nc'era notte ci nu ll'ìa sunnare,
lu desederàa senza ccrea suspettu.
Ma a llu maritu se putìa necare?…
e nd'esse prena3 de nnu fanciullettu.
" δδu carusu tantu buenu a bedire4…
buenu, moi lu mentimu pe cumpare5".
Poi inne l'ura de lu parturire,
cu llu marito lu mandàu cchiamare:
o Ni dici a llu cumpare begna prestu6,
fare aìmu cristianu lu sçiuscettu7.
E dopu lu furnìu de attisçiare:
o Moi te cuerna8, mia bona cummare.
o Moi statte buenu: pe cquandu te spettu?
ni etimu a llu cchi' pprestu9, miu cumpare?
o Spèttame quandu spassi10 lu sçiuscettu,
nnu bellu sçisci11 ni ògghiu purtare.
La bona donna nu spettàu li uettu12;
ssendu ca lu maritu aìa mancare,
cu lla mammana13 amica, lestu lestu,
de pressa mpressa lu mandàu cchiamare:
o Ni dine14 a llu cumpare begna prestu
ca moi putimu estire lu sçiuscettu.
Iδδu inne versu sira: - Addiu cummare!
o Benvenutu, cumpare miu dilettu;
moi ci me si' de San Giuanne cumpare
102
puru te ògghiu cumpagnu…di lettu,
mai sia San Giuanne sse l'aggia a scuntare
a dire sempre "none" a sou despiettu15!
1
casomai finite per offendere San Giovanni nostro.
2
un giorno andrete all'inferno; sçia' = sçiati, da sçire, it. gire, g- > sç-.
3
e ne esce pregna, incinta (vedi il verbo lecc. mprenare, it. ingravidare).
4
tanto buono a vedersi.
5
per padrino, il quale assumeva i doveri del cumparasçiu, del comparatico.
6
che venga presto; tra it. venga e lecc. egna nota la metatesi ng- > gn-.
7
il figlioccio; dal lat. susceptus, adottato.
8
riguàrdati, abbi cura di te.
9
ci vediamo al più presto; etimu da etìre e ìtere, dal lat. [v]idere.
10
quando toglierai le fasce al bambino, cioè fra alcuni mesi.
11
vestitino, con tante belle guarnizioni.
12
non attese neppure otto giorni.
13
donna praticona che assiste le partorienti e, in questo caso, funge da ruffiana.
14
in prosa si dice dinni = digli, vai a riferirgli.
15
non sia mai che San Giovanni se l'abbia a male e ce la faccia severamente pagare, se
continuiamo a dirci "no" a dispetto del Santo protettore del comparatico.
Suntu ziteδδa
«Oi, ferma, ferma ca sinti ncurtata1
mo' ci t'àggiu ncurtata sula sula».
«Sotu2, nu mme tuccare pe la sciata3
ca su' ziteδδa e perdu la furtuna4;
ièninde quista sira a lla mia casa
ca la mamma nu nc'ete e dormu sula».
103
Inne la sira e mme nde sçìi a soa casa:
«Aggi pacènzia ca nu dormu sula5».
1
sei stata sospinta a quest'angolo e non hai via di scampo.
2
quieto, fermo, buono; dall'it. sodo.
3
forma arcaica lecc. di strata, dal lat. [via] strata, str- > sc-; in it. strada.
4
(se mi ti strusci qui all'aperto col rischio di essere scoperti e perciò stesso mi comprometti)
io, che sono ragazza da marito, perdo la reputazione e dunque la possibilità di maritarmi mai
più.
5
abbi pazienza e vattene, bello mio, perché non dormo sola; la bugia, questa volta
comunque opportuna, l'ha salvata dall'incombente violenza.
104
Essiti, nule, e cupriti sta luna
quantu3 pparlu a sta donna mpassiunata;
Diu te lu celu, màndame nna nula
de àcqua minutella a mmenža state4;
Diu te li ienti, màndame nna nula
cu trònate e derlampi e tempestate5,
puru la gente sse minta a paura
e lla mia bella le porte mme apra.
Tozzu a lle porte de la mia patruna…
quantu su' belle le cose celate6!
1
la luna, giacché con il suo chiarore argenteo illumina la strada.
2
seduta al rezzo, al fresco della sera insieme con le vicine di casa.
3
quel tanto per, allo scopo di, affinché.
4
una nuvola di pioggia minuta, quale può essere un'acquerugiola a mezza estate (affinché
quelle pettegole siano costrette a sciogliere la comunella).
5
unitamente a una tempesta di vento, tuoni e lampi.
6
eccitanti sono le azioni nascoste, gli incontri clandestini.
Aggiu saputu
Aggiu saputu ca te nde uèi sçire,
te nde uèi sçire e me uèi bbandunare;
a cquiδδe ande a ddu te nd'ài de sçire
sse pòzzanu seccare le lacquare1,
luecu nu puezzi cchiare pe sedire,
nemmancu erva cu puezzi mangiare;
lu liettu a ddu te curchi sìa de spine,
lu capezzale de sierpi e secare;
nu puezzi cchiare donna pe servire,
sempre lu nume miu ppuezzi chiamare.
1
in quelle parti dove hai intenzione di andare, si prosciughino nei campi gli invasi a cielo
aperto di acque piovane.
105
Nde l'àggiu ccuetu lu milu ngranatu
e lu mbrecuecu2 tou caru tenutu3;
moi nd'àggiu lliatu lu scuerpu de l'atu:
ttrasa ci ole, ca ièu nd'àggiu essutu4!
1
nel tuo 'giardino'… sono penetrato attraverso la porta segreta; (l'intero brano è
eroticamente allusivo).
2
la pesca; dal lat. praecoquus > lecc. brecocus > mbrecuecu.
3
ho colto il frutto del melograno e quello del pesco, che tu preziosamente serbavi; (anche
qui è palese il doppio senso).
4
ora ho tolto lo sterpo all'entrata: che entri chi vuole, poiché io ne sono uscito.
1
da mille persone, da molti corteggiatori.
2
«Lasciatela, che è roba mia e appartiene soltanto a me»
3
òscia dall'it. [v]ostra; nota str- > sci-.
4
guai a quella proprietà che ha molti padroni, i quali l'un per l'altro alla fin fine la mandano
alla malora.
106
1
non hai fatto né buio né luce, mi sei stato del tutto indifferente.
2
su dai, bàttiti la testa contro i muri, dispèrati adesso, ma invano.
3
mi uscisti dal cuore e non più vi entrerai, perdi ogni speranza.
4
dolce; dal lat. dulcem, d- > t- e la -l- e la -m sono cadute.
5
proprio mai o, forse, il giorno del giuzio finale!
107
L'amore cce m'à fattu fare
Mamma, l'amore cce m'à fattu fare!
Te quindici anni m'à fatta mpaccire1;
me ssettu ntaula2 e nu mme fa' mangiare,
me curcu3 a liettu e nu mme fa' durmire,
me nfurru4 ntra lla gente a rrecetare5,
apru la ucca e nu sàcciu cce dire.
1
perdere il controllo, impazzire; nota il mutamento zz- > cc-.
2
a tavola, a mensa; da an tàula: la a- cade e la n- si unisce alla consonante della parola che
segue.
3
mi corico, mi metto a letto.
4
mi ficco, mi immetto, mi intrufolo; dal lecc. [a]n furra (nella calca).
5
per discorrere, per conversare; dal lat. recitare.
Luna trubbulusa
Isçiu la luna mutu trubbulusa1,
nun e' chiarita comu l'àutra sera;
ìsçiu Ninella mia malencunusa,
capucalata e nu mme mòscia cera.
Crìsçiu2 ca la soa mamma la mattratta
ca ole pparla cu llu sou cunfortu3;
ma tie, Ninella mia, sueffri gnencosa,
quantu cchiù' pati cchiù' amore te portu;
ca ci poi nu suppuerti quarche cosa,
te ziccu4 suttarazzu5 e te nde portu!
1
velata di foschia, offuscata; da trùbbulu, trubbu (torbido, fosco).
2
credo, son portato a sospettare; da crìtere: ièu crìsçiu, tie criti, iδδu crite, ecc.
3
con il suo moroso, presso il quale trova sollievo e sostegno.
4
ti prendo, ti porto via, ti rapisco; zziccu da zzeccare.
5
sottobraccio; nota i mutamenti: lat. [b]rachium > it. [b]raccio > lecc. razzu; prendersi
sottobraccio (simbolo di possesso) era consentito solo agli sposati.
108
1
non voglio, non intendo; da nun *v+ògghiu: quando lo richieda l'eufonia, al posto della v- si
presenta la b-, ma la seconda -n di nun si stacca e si appiccica alla b-, diventando m-:
mbògghiu.
2
più, dal lat. plus; il nesso lat. pl- normalmente diventa in it. pi- e in lecc. chi-.
3
prima di mminu è sottinteso cu = che: che getti; minu da menare, lat. minare.
4
vento, dal lat. [v]entu[s], nota e- > ie-.
109
me lu tese a lla chianta de la manu2;
me lu tese a llu mese de la spica3,
nci li piersi li miessi de lu ranu4;
e ièu me la ncurtài sutta a nna fica5:
nna manu a mpiettu e l'àutra a llu fustianu6.
1
un pizzicotto, in segno d'intesa.
2
alla palma della mano; chianta, dal lat. planta, come di solito pl- > chi-.
3
il mese di giugno, quando ormai le spighe dei cereali sono secche e mature. Ogni anno i
falciatori salentini, come emigranti stagionali, si recavano in Capitanata per mietere e
trebbiare le messi, e così realizzare un profitto straordinario.
4
questa volta il nostro giovinotto rinunzia a partire, trattenuto dalla carusa sfacciatella, e ci
perde l'utile guadagno giacché (recita il proverbio) tira cchiùi lu pilu cca llu nzartu, attira più
il pelo che la fune.
5
ed io la costrinsi in un luogo solitario, sotto un albero di fico.
6
le infilai una mano sul seno e le insinuai l'altra sotto la gonna di fustagno.
1
mi si rivolta contro come una fiera; bota = ota, da utare, it. voltare.
2
fosti tu, per caso, a piantare mia sorella? tu rompesti il fidanzamento?
3
non feci in tempo a dichiarare, per compiacerla, che era stata lei a non volere me.
4
mi arrivò sulla testa una botta di conocchia.
5
mi avrebbe ucciso se non ci fosse stato il pennecchio di cotone impigliato all'estremità del
bastone della rocca; lat. [b]ambace[m], con l'assimilazione della b- in m-.
110
ma poi a nna cosa sula, Diu, mancasti:
ca lu core de petra ni punisti!
1
delicata, fine e gentile ma alquanto altezzosa.
2
tanti begli attributi femminili, tante grazie muliebri.
3
cchiasti dal lecc. acchiare = trovare, rinvenire; da un incrocio tra it. [ado]occhiare e
acchia[ppa]re.
4
le disegnasti le sopracciglia dolcemente arcuate.
5
finché; forma contratta dal lecc. fen[a] ca.
Passàu lu Turchiu
Passàu lu Turchiu e la zzeccàu pe rrazzu1:
- Sçiàmunde, Rosa mia, sçiamu a Turchìa.
- Spetta nni la dicu a lla mamma mia
cu mme la dae la benetezione2.
- O figghia, figghia, cce àggiu benetire
ci t'à zzeccata lu Turchiu ncivile?
Alli uettu3 nde fose demmandata:
- Rosa, comu te porta la Turchia?
- A mmie me porta comu a ll'àutre parti;
fazzu l'usanza te la casa mia:
nna pignateδδa cu ccocu la carne4,
nna scuteδδuzza mmemèsciu la trìa5,
nnu nnamuratu ca me tratta bona6.
1
lui, musulmano, la prese per un braccio e la condusse a forza con sé, quasi per vincere le
ultime remore di lei cristiana.
2
il consenso a lasciare la propria famiglia era accompagnato sempre da un atto solenne di
saluto e di augurio da parte del genitore.
3
otto giorni dopo, al ritorno della giovane donna.
4
una pignatta affinché cuoccia i pezzetti di carne non mi manca.
5
un tegame dove scodellare la minestra di tagliatelle e ceci ce l'ho.
6
ho pure un amante che mi tratta bene (dunque, crepate d'invidia!).
Perdùname
Foi Cristu e perdunàu li soi nemici
cu lle soi belle cràzie e cu pietate!
Cussì perduna a mmie ci scarru1 fici:
àprime, ninna mia2, facimu pace.
1
scarru o sgarru, sbaglio, errore; da esso anche il verbo scarrare (sbagliare).
2
ragazza mia, fanciulla cara.
111
Pôra spenturata
1
Pôra spenturata, cchiùi nu dormu,
nu sàcciu cce rrecàpetu2 pigghiare;
me mintu3 a lliettu e tie me ieni a nsonnu,
comu nna pàccia me fai descetare4;
giru lu liettu miu de turnu a nturnu5,
stendu le razze pe tie retruare6…
Nu bàstanu le pene te lu giurnu,
puru la notte ieni a trumentare7?
Ieni lu giurnu e làssame8 la notte,
la notte e' fatta pe llu rrepusare!
1
povera; dal lat. paupera e l'it. po[ve]ra.
2
indirizzo, direzione; decisione.
3
mi metto; da mìntere o mentìre.
4
mi fai destare di soprassalto; da un incrocio tra lat. excitare ed exagitare.
5
mi muovo nel mio letto per tutte le sponde, da tutti i lati.
6
allungo le braccia in cerca di te, ma invano.
7
in lecc. anche turmentare; con metatesi tra la r- e la u-.
8
lasciami in pace; dal lat. laxare, x- > ss-.
Puru li sierpi
Suntu li sierpi e puru ànu reggettu2,
1
112
- Ci à' sçi' basare4, a' basa la Matonna.
- Ma la Matonna ièu già l'àggiu asata,
mo' egnu e basu a ttie ca si' nna donna.
- Ci spieri basi a mmie stai fore sinnu,
su' de l'amante miu li asi mei5!
1
del colore del riso, epidermide chiara non abbronzata dal sole.
2
sulla gola, sul collo; la parte interna della gola è il cannalire.
3
di nuovo; da in [ri]torno, un'altra volta.
4
se proprio hai voglia di baciare qualcuna…
5
se speri di baciare me, sei fuori di senno, sei proprio matto, giacché i baci miei io li serbo
per il mio moroso.
1
del dir male, la via della maldicenza.
2
si incontra di nascosto e amoreggia.
3
smetteranno di cianciare e malignare?
4
invidia, nv- > mm- per assimilazione.
5
lecc. ntra oppure intra; proprio dal lat. intra.
113
E respuse Carunte7 de la barca:
- Mai cchiùi nu sse ripassa quista via8!
1
entrare, dal lat. tra[n]sire; e, più avanti, trasìi, entrai da lat. tra[n]si[v]i.
2
il fuoco era acceso; fuecu dal lat. focus, con o- > ue-; dumatu da allumato.
3
o ingrato, queste sono pene che patisco a causa tua, perché tu mi inducesti a commettere
peccati d'amore.
4
«Che tu stia soffrendo, che cosa posso farci io?»
«Che entri nelle fiamme l'anima tua, ed ne esca la mia!» (…e l'anima buona dell'innamorato
prese il posto dell'anima dell'amata).
5
ma quando sentì su di sé l'effetto della fiamma ardente…
6
«Torna , Ninella, rimèttiti al tuo posto, il mio turno è terminato»
7
Caronte, il burbero traghettatore delle anime dei defunti.
8
«Mai più (povero grullo!); è vietato ripercorrere questa via!»
1
sono arrossati i miei occhi; su', contratto di suntu, lat. sunt.
2
asciughi, detergi.
114
ca pe despiettu tou m'àe a lassare11.
Beδδa, ci campu te l'àggiu a rredire;
ci mueru, Diu tte pozza perdunare!
1
abbastanza abbacchiato, acciaccato; falso diminutivo di ncafatu.
2
il possessivo femminile mia, qui, oltre che per motivi di rima specifica lei, la morosa; lui, il
moroso, è amore miu.
3
mandavano un sospiro di dispiacere e di compassione verso casa mia.
4
persi conoscenza e caddi in agonia.
5
con il cuore amareggiato, prese da accoramento circa l'esito probabilmente letale della
mia vita.
6
vennero, come è usanza, a far visita a me moribondo; ìnnera da enìre; bedire da [v]edire ed
anche etire, infinito preceduto dalla eufonica b-.
7
ci andrò quando le campane annunzieranno la somministrazione della Estrema Unzione.
8
tramite le vicine ti mandai a dire.
9
dopo che sarò morto.
10
questo, dal lat. [i]stu[m].
11
a tuo dispetto mi deve lasciare in vita.
Canti de sdegnu
Sdignatu stau
Cantu de sdegnu ca sdignatu stau,
cantu pe lle ecine te cquannanti1,
cantu pe lla toa mamma ca nu mme ole,
pàtrita puru me nd'à ditte tante.
Ci nd'egnu a casa toa, egnu pe unore2,
ci fìgghiata te cercu3, mme l'à' dare,
ca ci nu mme la dai ièu te la rrubbu,
nna notte o l'àutra nde l'àggiu ppurtare4.
1
le vicine di qua davanti, coloro che abitano in case che si affacciano nel medesimo cortile,
dunque persone a voi familiarissime.
2
con intenzioni serie per dignità mia e per rispetto vostro.
3
se tua figlia ti chiedo in moglie; lecc. cercare = chiedere per ottenere.
4
sarò costretto a rapirla.
Bruttu falauru
Bruttu falauru te pesieδδu1,
te ai uantandu ca pretiendi a mmia!
Tie furma nu nde puerti te cappieδδu2,
115
te muesci nchiazza pe uappaturia;
e ci cunti tenaru ntra ll'ursieδδu,
te lu mprestasti de nnu frate mia3!
1
tonchio roditore dei piselli; dal lat. fa[b]ar[c]ulus, con metatesi tra ar- > l-.
2
sei stato sempre uomo di coppola, un individuo umile e meschino; del cappello, il
copricapo dei signori, non conosci neppure la forma.
3
quel poco di denaro che ti trovi nel borsello te lo prestò mio fratello.
116
1
non possiedi neppure uno stelo di paglia per nettarti i denti.
2
se ti acchiappo, ti rompo i fianchi del ventre costantemente digiuno.
Papùscia
Quantu fumu1 s'à misu sta papùscia2
mo' ci s'à fatta la scarpetta àscia3;
de fore nfore la fettùccia russa,
nnamurateδδa4 de tanti bardascia5!
Se sçia uantandu ca pretendu a iδδa?
nemmancu pe penzieri me nde passa.
Sai quandu forsi ca me pìgghiu a iδδa?
quandu lu papa torna mèsciu d'àscia6!
1
boria, vanagloria; dal lat. fumus.
2
upupa, l'uccello dalla caratteristica cresta erettile; eufemisticamente ragazza esibizionista;
dall'arabo babush.
3
bassa, il lecc. àscia è femm. di àsciu, dal lat. bassus.
4
fidanzatina, farfallina volubile, diminutivo di nnamurata.
5
giovanotto scanzonato.
6
maestro d'àscia, carpentiere, falegname.
Bruttu mmucatu
Bruttu mmucatu1, nu mme mentuare2,
nemmancu cu mentùi la mia persona;
ci a lla strata me truèi, nu me uardare
ca ièu te ticu e t'àggiu tittu none3;
ièu te mparu a mangiare la remigna4,
quiδδa erva resta ci nasce a campagna,
o bruttu bruttu, mmùzzate la lingua,
t'àggiu tenutu pe muzzu de staδδa5!
1
sudicio, sporcaccione; da mmuca (cacchina solida) femm. dal lat. mucus.
2
non mi nominare, ti proibisco di fare il mio nome; dal lat. mento[v]are.
3
assolutamente no! ti ripeto adesso come no! ti ho detto prima.
4
gramigna, erba agreste (resta) infestante; dal lat. [g]raminea, -nea > -gna.
5
garzone di stalla, uomo di fatica addetto ai lavori più umili.
Rùmmula de màcchia
Si' nnìura cchiùi de rùmmula2 de màcchia,
1
117
mmacari ca stiri e ca te ddàcqui4,
sempre si' nnìura e brutta te natura.
Quante fiate nde passi de sta strata
la gente se nde scappa pe paura!
1
nera, di colorito scuro, cotto dal sole, proprio il colore rozzo della pelle della contadina che
lavora all'aperto nei campi; differente il colorito delicato di una casalinga; certo una giovane
artigiana era più ricercata.
2
la mora, il frutto nero del rovo.
3
ceppo contorto di olivo centenario, vale a dire corpo tozzo e rozzo, reso sgraziato dalle
fatiche.
4
quantunque tu cerchi di eliminare le grinze, per quanto tu ti cosparga d'acqua per ripulirti
e per ritornare florida.
Bruttu curnutu
Bruttu curnutu, nu dìcere corne
ca tie utate le puerti a quattru ande1,
e nd'ài nnu paru comu doi culonne
ca puèi sunare le campane all'arme.
variante:
puerti do' corne a frunte tantu longhe
ca puèi sunare le campane all'àutu2.
Lucerta fracetana
Cce si' brutta, lucerta fracetana1,
ca te lùcenu l'uecchi comu spina;
tie si' de la taerna lavandara2,
de su lla banca pèsçiu de mappina3;
tie d'ogne cane si' la cacciuttina,
te lu puδδaru4 si' ll'aδδina nana5;
118
te passi tie pe donna tennerina
e ièu te passu pe bona cristiana6!
1
geco, lucertola che è ritenuta capace di far diventare fradicio ciò che tocca con le sue
zampe adesive e che per ciò stesso incute ribrezzo.
2
lavandaia di taverna, dunque poco di buono.
3
peggiore di uno strofinaccio da cucina; diminutivo del lat. mappa.
4
pollaio; dal lat. pullus, ll- > δδ- + suffisso funzionale -aru.
5
gallina che si acquatta per agevolare la monta al gallo; dal lat. [g]allina, anche qui, come
sempre, ll- > δδ- con suono cacuminale rotacizzato.
6
donna di facili costumi, meretrice.
Arveru pampanusu
Arveru pampanusu1 senza frutti,
alla màcchia te tocca a fare mucchi2,
119
cu llu uantare tou nienti ncuecchi3,
me sai, te sacciu e ni sapimu tutti.
1
ricco soltanto di foglie caduche.
2
cisti, piante arborescenti. Si recavano alla macchia a far legna i senza lavoro, i più miseri
dunque.
3
non concludi niente, non realizzi alcunché; dal lecc. ncucchiare.
Donna ci tesse
1
Nu mbògghiu amare cchiùi donna ci tesse,
ci face tticchi ttacchi a llu talaru,
mina nnu filu o doi e poi se nd'esse,
cu bàsçia2 sse ba mmira a llu specchiaru.
Te fore a llu purtune poi se nd'esse:
a ccinca3 parla duce, a ccinca3 maru;
de tutti sape4; a cci la sente tesse
de trìppeti e de trappi nnu felaru5!
Cu nni tegnu rretu me fa' mpaccire,
nu sàcciu comu l'àggiu rremetiare;
mègghiu e' sta donna cu lla lassu sçire6,
ci me la sposu me scuffunda a mare!
1
non voglio, non intendo; dal lecc. nun bulire, -n si salda a b- e si muta in m-.
2
cu bàsçia = cu àsçia, affinché vada; la b- ha funzione eufonica.
3
a chi…, a chi…; a uno…, a un altro…
4
conosce vita e miracoli, vizi e virtù di tutti.
5
una sequela di bazzecole e fanfaluche.
6
la lascio perdere; da gire, nota g- > sç-, che si pronunzia con suono bleso.
Mèrula de màcchia
120
Quantu si' brutta, mèrula de màcchia1,
nu tte cummene nuδδa gnettatura2;
macari ca te llai dintra a ll'acqua
sempre niura rrumani te natura.
Tieni la vita a manera de mattra3,
la facce comu culu de fersura4;
ci pe sorte nde passi de la chiazza
lu tiàulu se nde fusçe pe paura!
1
merlo comune, non dissimile dalla curnàcchia, altro epiteto ingiurioso.
2
non ti sta bene alcuna foggia di pettinatura.
3
hai i fianchi slargati e piatti a mo' di madia.
4
il viso annerito come il fondo di una pentola.
Serenate
121
ca pare ca te fìcera fattura?
Oimmena, ca me ìsçiu descacciatu
de nnu cagnolu muzzu senza cuta!
Mo' spèzzate, chitarra, e nu sunare;
de ddu te inne tutta st'allecrìa?
A, nu canusci tie le pene mare
ci anu strusçendu quista vita mia!
Tie tàcite, lingua, nu parlare,
ci parli, parla de malancunìa;
moi ci la beδδa me ose lassare
nde chiànganu le petre de la via!
Matenate
122
Decendu "Rosa, Rosa" nu mme sàziu,
ca ièu te rose nde tegnu nnu mazzu;
le tegnu siggillate ntra stu core
ca Rosa tie te chiami e Primu Amore!
Burleschi
123
Cu quattru liettri se scrie lu core,
cu quattru liettri se scrie lu culu;
a mmienžu te lu piettu nc'è llu core,
a mmienžu lle nàteche nc'è llu culu;
amare nu se po' senza lu core,
cacare nu se po' senza lu culu;
quandu te criti ca te tegnu a core,
te tegnu a lle capicche de lu culu!
124
e la mugghière, fencattantu ie,
patruna te uardare unu ci scrie!
125
Nduenieδδi (indovinelli)
De nanti se ncurtisce
e de retu se llunghisce.
(la via)
126
e nu nfrasçetisce.
(la lingua)
Tundu rutundu,
bicchieri senza fundu,
ma bicchieri nun e'.
(l'anello)
RACCONTI DIALETTALI
127
Sti pensieri ni passàra te capu pe nnu mumentu a llu Caliazzu, poi sçiu cu rrespunda cu
tutta la bona vuluntà, ma se cunfuse, se mpappinàu e rrumase cittu e mmutu.
- Somaro! - lu rimpruveràu lu vescu - Ecce agnus Dei si traduce: Ecco l'agnello di Dio;
hai capito? l'a-gnel-lo! Vai ora, figliolo, sei respinto, ripeterai la classe e ci rivedremo l'anno
prossimo; ti raccomando: studia di più.
Lu semenarista Caliazzu repetìu ntorna la quarta e cu lla santa pacènzia e cu tutta la
vuluntà e cu tanta bona sçiana stutiàu lu latinu cchiùi cca lle àutre matèrie.
A fine annu, èranu li primi te àiere, rriàra ntorna le sami. Lu vèscuvu, pròpiu cu llu iuta,
a llu semenarista Caliazzu Tumènicu ni fice la stessa dumanda:
- Traduci in italiano la frase latina: Ecce agnus Dei.
Lu Tumènicu, ci sta dumanda se la stàa pròpriu spettàa e s'ìa preparata la risposta, sta
fiata furbu, prontu e sicuru respuse:
- Ecco il manzaro di Dio.
- Ma cce dici, rebbambitu! - nu nde potte cchiùi lu vèscuvu, ca quandu se rraggiàa
parlàa puru iδδu a dialettu - l'agnus ete l'agnellu, l'auniceδδu; mofallannu, nu tte filu
rrecuerdi, bruttu capitetrozza? mofallannu te lu dissi: Ecco l'agnello di Dio.
Agnus>àunu>auniceδδu!
- Pròpiu pe quistu, Bonsignore, sta fiata te sta' cunfundi e te sta' spagli signurìa… Ci
nn'annu rretu l'agnus era auniceδδu, moi nun à ddentatu manzaru?
Deoti e rennecati
Fatti strambi, cose tiffìcili a cunsiterare, tantu suntu strammate; e puru su' successe e
succètenu puru moi sutta a ll'uècchi nesci. Pensa nnu picca: lu latru ca prea Santu Martinu cu
nni fazza riuscìre buenu lu corpu de latrunìggiu e cu nnu llu fazza sçi' spicciare a mpreggiùne,
comu sia ci lu Santu ni ete sòciu e ni po' face te palu; lu stutente sciacqualattuche, chechechè
e pierditiempu ca se face la cumenione e face votu a Santu Giuànne Boscu puru cu nni fàcenu
dummande fàcili e cu passa all'esame, cu bessa prumossu, iδδu ci nun à mmai zzeccatu lu
libbru, ca ni pisa. Nzomma cose cu tte faci la cruce alla mmersa.
Addirittura nc'ete ci prea lu Patreternu cu nni dèsçia lu curàggiu cu ccite macari
nn'amicu o fràisa o sirsa pe ntariessi mmalurati, comu ci Diu pote èssere cumpare de nnu
mucidiante. Rria l'omu a tanta scuncrusàggine e a tanta spruntatezza ca cerca alli Santi la
cràzia cu pozza aire la mugghière de nn'àutru (la mugghière te l'àutri ete sempre cchiù'
bona!), comu sia ca li Santi fàcenu li tramenžani e iùtanu li puerci e llàžžari cu ccummèttanu
cose fiacche. Nzomma, nna vera anarchìa perniciosa!
Lu bruttu ete ca li cristiani, manu manu ci ànu nnanti su lla strata de lu prucressu,
ddèntanu sempre cchiùi superbiusi, rètechi e rennecati, tantu ca pèrdenu la fete te lu Signore e
la deužione e lu rispettu te li Santi.
Sècutame a llu raggiunamentu; ògghiu cu tte spiecu - nu ssàcciu ci nci riescu - lu motu e
la manera de comu se cumpurtàanu a llu passatu li cristiani de nna parte e li Santi de l'àutra, e
comu se cumpòrtanu allu presente; comu la penzàanu prima e comu la pènzanu moi. A stu
prupòsetu ièu te putìa cuntare centu stòrie vere, casi successi a biru, ca su' rrumasti scritti
puru subbra alle làpite te màrmulu de le chiazze e de le chèsie de Lecce. Basta cu tte mòsciu
128
nna scritta sula. Sçiamu alla Basìleca te Santa Cruce; trasendu, a manu ritta lu iti δδu artare,
δδai, su stu latu, quasi a mmienžu. Ete l'artare de Santu Ronzu. Cucchiàmuni. Cce nc'ete
scrittu a punta te pennieδδu subbra a llu dipintu? Dai, lieggi tie stessu e àusa la uce, cu sentu
puru ièu.
FOI S. RONZU CI NI LEBERAU
DE LU GRA' TERRAMOTU, CI FACIU
A BINTI DE FREBBARU: TREMULAU
LA CETATE NU PIEZZU E NU CADIU.
La mazzetta
Àggiu già dittu ca foi a stu tiempu ci lu Rasi e lu Foffu, li fili de la Ngicca Cutrubbiera e
de lu Tore Babbu, turnàra a ccasa loru, enendu però te strate tiverse, unu de cquài e unu de
δδai, prima unu e poi l'àutru, l'unu e l'àutru spasulati pèsçiu te prima, ma cchiù' izziusi e
scuncignati de prima cu ppàrtanu alla entura. Cce ìa utu ffare, lu sire, n'aìa buta spàttere la
porta a nfacce? Sempre figghi èranu! E poi, ìa tittu mugghièresa la Ngicca: "Iδδi ànu besegnu
de nui, nu nui de iδδi, cràžie a lla stulara".
Sti do' figghi màsculi se truàra cu lle mànure bucate, e spendìanu e spandìanu e ni
piacìanu le llecrecere cu lli amici sciampagnoni comu a iδδi. Lu Foffu e llu Rasi tantu aìanu
ntrignulatu pe llu passatu, ca moi scialàanu e dessindecàanu li sordi, puru cu ffìmmene, tantu
cchiùi ca quiδδi sordi truàti èranu, filu turnisi fatiati a bia de suturi e de nfanni.
Quasi gnessira se facìanu bìtere ntra lla ustarìa te donna Cralice e mute fiate se
fermàanu cu mmàngianu, cu bìanu, cu ffàzzanu bardòrie cu lle amiche e cu lli amici.
129
Gneffiata ci essìanu te l'ustarìa, poi, alla caruseδδa tantu ngraziata ci li servìa a ntàula lu
Foffu ni lassàa nna bella mazzetta a mmanu e nna pezzecata susu a llu razzu: la carusa gradìa
mutu la mazzetta, e lu facìa capire e bedìre, e suppurtàa… la nnervecatura su lli carni soi.
Nna fiata, lu Foffu, pensandu ca iδδa nci se putìa stare, nna sira la spettàu a llu
scapulare. Ma se spagliàa te mutu. La caruseδδa, ca se sapìa ìtere li fatti soi, rriàu a ccasa soa
e aprìu la porta; lu giòane se fice a nnanti e lla ncurtàu subbra a llu lemmetale. Ncignàra pe
schersu e se uardàra fissi intra all'ecchi, poi cu uci maleziuse tutti doi se mìsera cu sse
spìtanu: iδδu a ddemmandare e iδδa a rrefiutare:
- Ulìa cu tte lu dau nnu asu a ncanna
e dopu asata cu tte asu ntorna.
Iδδa se ota comu nna tiranna:
- Ci à sçi' basare, à' basa la Matonna.
Lu Foffu capìu ca pe iδδu nu nc'era nienti de fare. E pe cquistu, retendu, tutti doi de paru
e de unita, a nna sula uce chiùsera la canzune cu sta strufetta:
"Zumpa de cqua'e de δδa', l'amore e' bellu,
e' tantu bellu ca murìre ni fa'!"
Nna sira ci sta' ttenìa siggènzia te do' pezzetti te fìcatu rrustutu, inne a llu lucale de donna
Cralice lu patrunu Tore a mpersona. La giòane cammeriera, ca lu canuscìa sulu te facce, lu
servìu cu tutti li rrequardi e le ttenzioni.
Quandu spicciàu de mangiare, lu Tore Babbu se ddumàu la pippa, uardàu lu tarloci, e,
siccomu s'ìa fattu tardu, pacàu, se fice dare lu restu e salutàu.
La caruseδδa, nnu picca faccitosta (le cammeriere suntu tutte nnu picca tumitille!), mentre
ccumpagnàa lu ècchiu alla essuta, ni disse retendu, δδa spruntateδδa:
«Li figghi de signurìa ogne fiata me làssanu nna mazzetta; percéne signurìa nu mme dai
mancu nna prùbbeca?».
«Eu, ninna mia, percé li fili mei tènenu nnu sire riccu; ièu, nvece, none! » - respuse lu
Tore, ci ognettantu se cumpurtàa comu nn'òmmene spassusu.
Le llecrecere a fiate spicciàanu fiacche, speciarmente quandu le amiche decise e sèrie
decìanu "none" e li carusi se ttaccàanu te niervi; allora se lletecàanu te fra iδδi menànduse
canti de sdegnu:
iδδa
- Mòneca màggiu fare te Sangiuanne
cussìne a δδai nu nci pueti trasìre.
iδδu
- Fatte capace ca nu tte pretendu
ca è mmègghiu nna ranòcchiula cca ttie.
130
iδδa
- Tie prima me parìi nnu giòane magnu
e moi me pari tezzune de nfiernu!
iδδu
- Tie te passi pe donna tennerina
e ièu te passu pe bona cristana!
nn'àutru
- Aùru a ttie la vita bessa mara
giàcca de mie nu mbuèi tte faci amare;
la pùrvere te petra te stulara
preu cu nu tte pozza cchiùi giuàre!
nn'àutra
- Lu liettu a ddu te curchi ssìa te spine,
lu capetale te sierpi e secare;
mmienžu allu piettu tou nci sìa nnu stile
cu tte trapassa l'ànima e lu core!
E ccussìne secutàanu a botte e risposte fena a ddopu menžanotte, macari fena a cquandu
nu ssentìanu la uce brutta de lu castarieδδu te la morte.
131
Don Pippi ddentàu nnu avvucatu te ciappa: brau, mutestu, unestu, pe nnienti amante te
li sordi, facìa la prufessione pe passione et era canusciutu a ttutta la pruvìncia.
Li intidoi de sçennaru te l'annu 1799 lu Rre nèsciu, Ferdinandu IV tuccàu cu sse nde
scappa te Nàpuli e cu sse minta a nsarvu, percé li Napuletani, iutati te li rivolužiunari francesi
criàra la Reprùbbica. La nutìzia rriàu a Lecce alli uettu te frebbaru, diciassette giurni dopu, e
li populani leccesi te pressa strazzàra la bandiera burbòneca e se ppuntàra a mpiettu la
cuccarda francese.
Àggiu rrecurdatu sti fatti pe dire ca lu capu te li antiburbòneci leccesi era pròpiu lu
paisanu nèsciu, l'avvucatu don Pippi De Rinaldis, amicu te lu generale leccese Oronzu Massa,
ca pe llu prièsçiu te la raggiunta libbertà dèsera de unita lu segnale cu sse sònanu le campane
e cu sse spàranu li fuechi.
Lu mese te li miessi li Sanfetisti nfetesciuti cumandati te lu Cardinale Ruffu turnàra a
Nàpuli e alla capetale rientràra puru li Riali Burboni. E l'avvucatu De Rinaldis fose
ncarceratu e chiusu ntra Forte a mare te Brìndisi.
Ma la rota te la stòria gira te pressa e ntorna lu 23 sçennaru 1806 lu Rre Ferdinandu IV
tuccàu cu sse nde scappa te Nàpuli, e Rre te le Doi Sicìglie ddentàu Giseppu Bonaparte, frate
te Napulione.
L'avvucatu don Pippi De Rinaldis te Caδδinu, comu cumpensu pe lle sufferenze patute e
comu prèmiu pe ll'amore alla libbertà, fose numenatu Presitente te lu Tribbunale Civile te
tutta la Pruvìncia. Morse a Lecce e allu campusantu te Lecce lu precàra, percé allu casale te
Caδδinu li Castrumetianu la facìanu ncora te patruni.
E cce pretendìa, sirsa, cu llu fazza scurpunare cu lla sarchiuδδa o cu lla fàuce? Lu striu
tenìa desedèriu cu bàsçia alla scola, ulìa cu mpara, ni piacìa la struzione, tenìa cùcuma pe llu
stùdiu. E dai cu lle bone e nsisti cu lle triste, nienti te fare! An fine se ntrumettìu la mamma
Frangisca, se mpegnàu ca paca iδδa cu lli uatagni soi le spese sculàstiche e, alla fine, lu
Peppinu nci la spuntàu e la ibbe inta.
Era l'annu 1880, tenìa già 10 anni percé ìa natu lu mese te settembre te lu 1869, e alla
defrescata se sçiu scrisse alla prima lementare te le scole serali; èranu a ntuttu nu cchiùi de 15
uagnuni, mmesçati ntra lla stessa stanza sculari de prima, de secunda e de tersa crasse;
facìanu scola tutti uniti, cu nnu sulu nsegnante, lu maestru Marianu Arigliani, frate te lu
duttore don Rafelùcciu; nvece nna uettina te fìmmene a ntuttu sçìanu cu lla maestra Vittòria
Rizzu mugghiere de lu Filippu Murrone.
Ma cce bera brau lu scularu De Dumìnicis, quantu era ntellisçente: bastàa cu llegga nna
sula fiata nna puesìa puru longa e de pressa se la mparàa a memòria; tutte le palore te le
spiecazioni te lu maestru se le stampàa ntru δδa mente e nu sse le scerràa cchiùi.
Era tantu stutiosu ca nu llu rimandâra nuδδu annu: te la prima passàu alla secunda
crasse, te la secunda alla tersa, l'annu doppu se pigghiàu la licenza de tersa lementare.
Ma nu sse fermàu cquai: lu 1883, tenìa 13 anni sunati, secutàu le scole a San Cisàriu;
sçìa e benìa ogne giurnu alla mpete, cu lli fridduri e cu lli quatori, cu lli sçerocchi e cu lle
133
tramuntane. E papa Santu Munìttula ni sçìa rrecalandu li Fiuretti te San Frangiscu e quarche
àutra vita de Santi, papa Titta De Giorgi ni mprestàu la Divina Cummètia, lu libbru te
crammàtica e quiδδi de stòria e de geucrafìa, e lu duttore don Diecu Garrisi, parente de parte
de mamma, ni rrecalàu li libbri Querinu Meschinu, Li Riali te Frància, Urlandu a
Runcisvalle, Iaggiu sulla Luna; e lu Pippi leggìa e leggìa tuttu quiδδu ci ni ccappàa a mmanu.
Spicciate le scole lementari, sempre prumossu cu punti àuti, a 16 anni se scrisse alla
Scola Tècnica Cummerciale te Lecce; cquai truàu prufessori veramente bravi ca lu sapere alli
studienti ni lu feccàanu ntra lle metuδδe ulìanu o nu bulìanu, e lu De Dumìnicis, ca ulìa cu
mpara, mmuntunàa tutta δδa stružione e δδa sapiènzia ntra lla gnigna. Bu ntìcepu, amici, ca
già te tandu ncignàu cu prùbbeca puesèi e artìculi subbra a llu giornalinu te la scola. Senza
sporzu, a 19 anni se pigghiàu lu diproma te licenza tècnica.
Ma, a cqua' mmera alle parti nosce nc'èranu ndùstrie? nc'èranu fràbbeche e ažiende te
cummèrciu? Mmacché! E lu Pippi nu truàu postu, e rrumase dissoccupatu, diprumatu e
custrettu cu torna fore e cu iuta sirsa e li frati soi.
L'annu doppu se presentàu comu privatista all'esami te maestru te scola lementare, ma
nu passàu, percé li studi fatti alla Scola Tècnica nu sse cumbenàanu cu cquiδδi te le
Maggistrali, le matèrie èranu diverse e foi rimandatu alla fisica e puru allu disegnu, già -
mìnchia te prufessori futtuti! - paru paru a llu disegnu ca ni piacìa tantu; lu Peppinu nde
rrumase pròpiu fiaccu, se despiazze mutu mutu, se stizzàu tantu ca a uttobbre nu mbose
mancu cu sse presenta cu rripara.
Diprumatu te cazzu! … senza nnu mpiecu; struitu… senza nn'arte. Ccerte cunsiterazioni
lu Peppinu le facìa: lu tata Totu e li ttre frati se scurpunàanu fore e iδδu ni putìa dare sulu nnu
quarche iutu e nde sentìa quasi nnu rimorsu ntra ll'arma.
Ni passàu pe lla capu puru cu sse ndàsçia sutta lle armi; ma, perìcciu!, nun era mancu te
salute tantu bona: era cchiuttostu àsciu, mazziceδδu e dèbbule de custitužione!
A δδi tiempi li carusi ci nu sapìanu né lèggere né scrìere, rriati all'ità de int'anni, facìanu
intiquattru misi te surdatu rasu; cinca tenìa la licenza te tersa putìa sçìre alli carbinieri o alli
finanzieri o alle uàrdie carceriere, e rriàa fena allu gratu de sceltu e capurale; ci poi unu tenìa
la licenza te quinta, partìa te sargente o vice-bricatieri (secundu l'arma) e ddentàa maresciallu,
maresciallu maggiore, maresciallu de campu; li furtunati ci tenìanu lu diproma te scola
superiore e bèranu struiti putìanu rriare puru a capetani e cchiùi.
Capetanu lu Peppinu De Dumìnicis nu potte ddentare, percé pe struitu era struitu ma
alla vìsita mètica lu scartàra pròpiu siccomu era strittu te turace, nnu picca dèbbule te piettu e
lu core gnettantu facìa li crapicci.
Ma te quistu nu sse nde curàu mutu percé la vita militare nun era pe iδδu, iδδu stessu lu
disse quandu scrisse:
Se edìssiu quantu è tiènneru lu core,
bu lu putìu mangiare cu lu pane!
me trèmulanu l'osse pe tterrore,
puru se ccìu na musça.
Se ìsçiu russu, pe n'annu nu nde agghiu,
ca me crìsçiu ca è sangu de cristiani;
e poi lu pane a ntaula nu lu tàgghiu,
ca timu li curtieδδi.
134
Fecuràtiu nnu picchi ci putìa maneggiare la sciàbbula o ci a nguerra aìa lu curàggiu cu
spara cu nnu fucile, na, rittu a mpiettu all' àutri carusi… puru ci èranu nemici!
Però nemmancu la campagna la putìa suffrìre e nu mbulìa cu nde senta mancu parlare.
Tentàu cu fazza l'arte de lu pittore, depengìu puru quarche quatru, ma senza cu nde
inda; pe ncàrecu de lu marchese don Eduardu Casetti e de lu barone don Cìcciu Casotti,
parienti te lu duca Sicismondu Castrumetianu, rituccàu puru li dipinti te le sale e de li saloni
te lu palazzu loru; ma, quandu spicciàu δδi lavori, …basta.
Pròpiu δδ'annu lu iernu nticipàu: àcqua e ientu, friddu e ùmetu, sçelature e nìgghie,
fursioni e custipi; nna staggione spaccimusa - pe crista!
Lu Pippi De Dumìnicis se mmalazzàu bruttu. Nna sira, spicciatu te mangiare, se žau te
tàula tuttu rresçelatu, ni ncrescìu puru cu bessa cu sse ba' fazza nna premera cu lli amici, e
rrumase a ccasa ssettatu alla brasçera. Ognettantu se sentìa comu nnu trièmulu rretu lle
spaδδe e ni ncignàu a culare lu nasu comu nnu lemmiccu.
Ni sçuppiàu nna free te cavallu e li soi temìanu nna purmunite dùbbula. Cu sta malatìa
doi èranu le cose: alli sette giurni precisi, unu o se la scampàa a ngrazie de Diu, oppuru se
nde sçìa all'àuru mundu, largu sia, San Giseppu miu!
La mamma Frangisca lu tenìa allu quatore mmugghiecatu ntra lle rrobbe te lana, ni
preparàa suppiere te latte de crapa mmesçatu cu llu mele, la sira ni dìa a bìere nnu
quarticeδδu te mieru càutu càutu cu nci fazza nna bella sutata; sempre ssettata ncoste allu
liettu ni facìa mpacchi de àcqua fridda a frunte, la freazza cu pozza basciare; ni tenìa zzeccata
la manu a δδu fìgghiu e se lu uardàa e se lu ncarizzàa cu tantu affettu.
Lu malatu foi furtunatu e pe δδa fiata, benumale, se la scapputtàu, sicuramente pe lle
cure te lu tuttore don Diegu Garrisi, amicu parente, ca lu visitàa doi, ttrete fiate lu giurnu, ma
speciarmente pe ll'assistènzia e ll'amore te la mamma soa!
Quandu ncignàu la cunvalescènzia lu Pippi a passatiempu intra lla mente se mise a fare
iersi, cu dica le cose comu le sentìa ntra ll'ànima, e cumpose nna puesìa, a ddune,
rrecurdànduse te màmmasa, cuntàa:
Ah! me recordu sì, subra lu liettu
quandu ieu cu la morte cumbattìa,
ca tie la manu me menài allu piettu
biti se nc'era ncora l'arma mia.
E cussìne, comu tutti ui nunni randi già sapìti e comu ui carusi già ìti capitu, lu Pippi De
Dumìnicis te Caδδinu se dese alla puesìa e cu llu tiempu ddentàu senza saggerazione lu cchiù'
rande pueta te l'intieru Salentu.
Scampatu ntantu allu perìculu te morte, se dese alla bella vita: iδδu, donn'Ernestu
Arigliani, l'Emìgliu Ciccarese e fràisa lu Eduardu, tutti figghi te pruprietarieδδi, l'Abbertu
135
'Puδδi', fràisa lu Ruggeru (ca contru la voluntà soa tuccàu cu trasa allu semenàriu e cu sse
fazza prete), lu Cenzi 'Cazzati', lu Tunatu 'Ferrarieδδu', mèsciu Fiuru 'Scarparu', puru don
Diecu e quarche àutru pigghianculu matriculatu, furmàra nna cumbrìccula straurdinària: nna
menža dužžina de capurioni ca pe divertimentu nde cumbinàanu de tutti li culuri: se
cementàanu te fra iδδi; facìanu tespietti e schersi alla gente; sçìanu a ngiru a fare serenate alle
beδδe caruse; spruàanu rappe de ua, pire, sçìsçiule; rrubbàanu meluni, sargenischi, culummi,
filu pe necessità o pe fame, ma peccussì, cu sse divèrtanu; te notte poi zumpàanu li pariti et
èranu capaci cu rrùbbanu puru cunigghi e capuni, se li cucenàanu sapuriti sapuriti e facìanu le
llecracere. Comu putiti mmaggenare, sçia spicciàa ca δδi sciampagnoni se buffàanu e se
cignàanu bueni bueni; tantu ete veru ca poi lu De Dumìnicis stessu cuntàa li fatti a mpuesìa:
Comu l'anima campa cu l'amore,
comu ole lu cuerpu lu mangiare;
cussì se uei cu tie stesçia la musa
de mieru fissu fissu l'ha dacquare.
........
136
Lu 1892, a 23 anni, cu nna spintareδδa de lu duca Sicismondu Castrumetianu e de lu
prufessore leccese Cìcciu D'Elìa, filu cu llu nume sou veru ma a firma te Capitanu Black
(black a llìngua ngrese signìfica nìuru, scuru, e se riferìa allu culuritu brunu-ramatu te la
pelle) fice stampare nnu libbru ntitulatu SCRASCE E GESURMINI, nna entina de puesèi,
una cchiù bella de l'àutra (La cepudda, La tinta de li mustazzi, La prima de Masçiu, Lu
Sindecu de paise, La bizzoca; e poi Alla pippa, Amore e morte, Alla mamma mia, ed altre).
E tutti li mègghiu mègghiu te Lecce ulìanu cu llu canùscanu te persona e lu nvitàanu a
ccasa loru e lu Pippi rrecitàa le puesèi cu nna uce chiara, sunora, bella, comu sapìa fare sulu
iδδu; nvitatu, a fiate pe rrecitare iersi, a fiate pe ballare, àutre fiate pe cummestazione, se
presentàa allu salottu te donna Ergìnia Bricanti, a ddu se rreunìanu tanti prufessiunisti e
signuri leccesi.
L'annu doppu, lu 1893, prubbecàu nn'àuru libbrettu ntitulatu NFIERNU, ca fice
maraegghiare tutti li lettori pe quantu era bellu, e ncignàa:
Quandu foi ca murìu lu Pietru Lau
era matina prestu de sçiuedìa,
e fenca a ttantu …
ecc., ecc.
Èranu cìnque canti ben fatti cu vera mescìa, la bellezza te 452 iersi a catenza, cu lla
rima ncatenata, veramente belli e schetti, e le cose successe - comu fice cu sse le nventa? -
mutu ma mutu curiose, comu quandu cunta:
Na ndore te purpette se sentìa
ca veramente a nterra te menaa!…
........
137
duca murìu alli 26 d'acostu 1895, alla bella ità de 84 anni. Ete inùtule dire ca allu Pippi ni
tispiacìu pròpiu te core.
Istu lu successu te lu Nfiernu, lu De Dumìnicis se dese te fare cu cumpone lu siècutu te
lu puema te l'ardilà. La puesìa uramài ìa ddentata nnu mpegnu cuntinuu pe iδδu e tenìa lu
pueta ncuδδatu alla sèggia tutti li giurni. Era bravu veramente: a punta te pinna era buenu tte
dipinga li paesaggi cussì belli ca parìanu quatretti te ppèndere allu parite; e autrettanta braura
musciàa quandu espremìa le itèi de la mente e li sentimienti de l'ànima.
L'idea de dhu mumentu rrefurmàu
ca quidha legge a nterra s'ìa mmenare.
A dhu mumentu disse: - Pietru Lau,
lu mundu capisutta ha' sci' butare! -
........
138
E de cuntìnuu cumpunìa iersi e li ccugghìa; spicciàu te screìre la bella e schersusa
puesìa LA FINE DE LU MUNDU, ma se la tinne chiusa ntra llu teraturu te la scrianìa; a nnu
ccertu puntu lu cumpunimentu decìa:
Addiu, Cadhinu miu, ddunca su' nnatu,
ddunca a chiamare mamma me mparài!
Addiu, o Lecce, a ddunca aggiu studiatu,
ddunca li mègghiu amici nci me truai!
Lu 1900, all'ità de 30 anni sunati, fice stampare CANTI DE L'ÀUTRA VITA, ca
rreunìa: Nfiernu, Purgatòriu, Paraisu, Uerra a mparaisu, Tiempu doppu, nnu puema a ddu
cuntàa comu Pietru Lau tra lli tannati de lu nfiernu e tra lle ànime de lu purgatòriu semmenàu
tante te δδe itèi, ca tutti quanti truàra lu curàggiu cu sse ribbèllanu e cu sse llìbberanu te le
pene eterne; sparpagghiàu tanti de δδi nzummieδδi tra lli àngeli e tra lli santi e le sante te lu
paraisu, ca te cumbinàu nnu rreutamientu generale, fice scuppiare nna uerra mundiale, anzi
nna rebbellione addirittura contru lu Patreternu; nzomma Pietru Lau puru all'àutru mundu fice
succètere nna casamìcciula, nnu veru Quarantottu!
A parte, su nnu fugliettu vulante, δδ'annu stessu lu De Dumìnicis endìu, a 10 cent. l'unu,
CANZUNI DE NATALE e a picca giurni se endèra tutti quanti li fuglietti.
Se mise a scrìere te paru parècchie àutre puesèi, te tanti argumenti diversi, ma ccerte le
lassàu ppena ccumenzate, àutre le ncignàa, le lassàa, le pigghiàa ntorna… nu lle purtàu mai a
cumpimientu e nu lle fice stampare: ccerte percé nun ibbe tiempu cu lle cumpreta, ccerte
àutre percé nu nd'ìa rrumastu pròpiu cuntente e sutispattu, e de quistu nde tìa la curpa alla
Musa, ca l'ìa bbandunatu! Cumpose, ma senza cu lli stampa e cu lli fazza ccanùscere all'àutri,
sti lavori: DESCORSI A SSULU, L'AMORE DE NA VERGINE, L'ANTECRISTU, LU
GIUDIZIU UNIVERSALE, ca tra ll'àutru dice:
E ogn'àcenu tantu cu nn'àutru se unisce
se cangia se scodha se gira sparisce
139
e moi de tanta pompa n'ha rrestatu
lu nume sulamente e lla memoria!
.......
140
Tra lle Spudhiculature, doi suntu le ngraziatìsseme, la prima se ntìtula La criazzione de
l'omu e spìccia cussine:
Muralità: Li prima ca mpastàu
suntu li ricchi, li privilegiati;
quidhi ca straccu all'aria semmenau
simu nui li pueredhi desperati…
E ci intru a petre e scrasçe sçiu ccadìu,
quidhi li desegnati su' de Diu!
141
prestu li carbinieri alla petata
se nde scappara… curaggiosamente!
Nnu mese doppu, effettivamente lu 12 de miessi, se fìcera le eležioni noe e risurtàu
elettu sìndecu lu marchese Eduardu Casetti, amicu te lu Pippi De Dumìnicis e a tiempu persu
pueta puru iδδu.
Lu 9 e lu 11 te lùgliu, lu mese te le àiere, allu tribbunale te Lecce se fice lu prucessu e
tutti li arrestati e tutti li denunziati fòsera assolti.
Le cose tra lu Peppinu e li Caδδinari a stu puntu se uastàra pròpriu e li rapporti se
mputtanisçiàra addirittura. Te parecchi anni a Caδδinu esestìa già nna Sucietà Acrìcula,
sustentata te l'Amministrazione cumunale; lu Pippi De Dumìnicis nde era sòciu ma la pulìtica
ssistenziale ci facìa sta Sucietà nu nni ngarbizzàa; e allora nde fundàu nna secunda, chiamata
Sucietà Acrìcula Operàia de Mùtuu Succorsu; tra lletecamienti e cuntrasti an fine iδδu fose
numenatu Presitente, donn'Antunùcciu Capone Secretàriu .
Lu pueta te mutu tiempu rretu facìa l'amore cu lla Mariùccia Zecca, nna carusa leccese
ca abbetàa a Caδδinu; nun era bella te facce e mancu te cuerpu (e ttutti se ddemmandàanu pe
cce ddiàmmine lu Peppinu nci sìa tantu nfessalutu); ma però era bona te core, mutesta e
scurnusa, e facìa la rricamatrice. Vabbene ca pe ttre fiate lu zitu ìa rimandatu lu giurnu te lu
sponžalìziu e ìa truate scuse cu nnu sse spòsanu ncora, ma pròpiu quandu an fine s'ìa decisu
cu sse la nzura - uarda biti le cumbinazioni! - la pôra Mariùccia morse; era lu mese te marsu,
giurnu 3, te lu 1905.
Ncora a Caδδinu nc'era già nna bella banda musicale cumunale, canusciuta a tutta la
pruvìncia, sustenuta te la Sucietà Acrìcula e cumandata te lu maestru Còsimu De Vincenti; lu
Pippi De Dumìnicis, ose cu fazza nna secunda banda, sustenuta te la Sucietà de Mùtuu
Succorsu e affitata allu Fiuru Farcu, nnu bravu ma sèmprice bandista.
Mo', lu De Vincenti, lu De Dumìnicis e lu Farcu ìanu stati sempre amici, amici ddaveru,
ma cu sta uccasione, pe gelusìa, pe cuncurrenza, alli primi te brile, a mmienžu alla chiazza, se
lletecàra brutti brutti, tantu ca fìcera mazzate (puru li bandisti se menàra: metà te nna parte e
metà de l'àutra!) e se le sunàra cu tutti li contracazzi!
Lu Peppinu, nvece cu sse nde stèsçia cuietu e sotu, carmu, tranquillu e scusçetatu, se
mmisçiàa ntra ttutti sti mbruegghi (cce buèi nci faci: quistu era lu caràttere sou!); e pe tutti sti
mutivi la malatìa te core se ggravàu sempre te cchiùi.
La matina te lu 15 màsçiu 1905, versu le sette, presçiatu se ntise mègghiu. Ma era la
migliurìa te la morte enente; e alle noe e mmenza, lu core se fermàu pe sempre: cussine,
senza ngunìa, tuttu te paru pe paràlesi, murìu - peccatu!, giòene de 35 anni - lu pueta nèsciu
Peppinu De Dumìnicis, lu Capitanu Bracca.
Li funerali fôra sulenni, cu gente a centenare enuta de Lecce e de tutti li paisi; pe lli
tanti descorsi la ceremònia duràu fena a mmisa de sule; all'ùrtima l'amicu papa Ruggeru De
Matteis e donn'Antunùcciu Capone rrecetàra li paneggìreci te addiu!
Sulu pe curiosità, subbra a llu leggistru te li Muerti, ca stae ccuetu all'Archiviu te la
parròcchia de Caδδinu, sutta alla data te lu 15.5.1905 cussine truamu scrittu a pinna e
nchiostru: … Josephus De Dominicis filius q.m Salvatoris et Franciscœ Garrisi eximius
pöeta vernaculus repente e vivis ablatus… (che in italiano vuol dire: Giuseppe De Dominicis
figlio del fu una volta Salvatore [il quale era morto l'anno prima] e di Francesca Garrisi [la
quale poi morirà nel 1913], esimio poeta dialettale, improvvisamente strappato ai vivi…).
142
Tante àutre puesèi, cchiùi o menu riuscite, cchiùi o menu llimate, pe esèmpiu:
MACCHIETTE; FIGURINE E RITRATTI; CANTI D'OTTOBRE; POESIE DIVERSE;
FURESTERE, rrumàsera sparpagghiate cquai e δδai. L'autore nu fice a tiempu cu lle
rreunisca e cu lle fazza stampare a nn'ùnicu libbru, percé nde foi mpetitu te la morte.
Ci aìa campatu fena a rrande, mmaggenàtibu quante àutre cose ncora mègghiu aìa
pututu fare!
Ogghiu cu cchiùu ste nutìžie cu sta puesìa te lu Capitanu Brach, ca face penzare
seriamente, nna puesìa ca presenta la vera cundižione, la precisa meschina situažione de
comu campàa o, mègghiu ncora, de comu murìa la pôra gente te la cità te Lecce o puru te lu
paisottu te Caδδinu, centu anni rretu; filu all' èbbuca te lu metiuevu, ma allu tiempu te li
nanni nesci.
Primavera, nu mme nvitare
O Primavera, no, nu mme nvitare:
l'aria de Masçiu a mmie nu mme ncarizza!
Tanta vita ca faci descetare,
tanta pompa de fiuri a mmie me stizza.
Ogghiu cu ssàgghiu cu lli piedi mei
subbra li quinti piani, alle suppinne,
ddunca le mamme nfòcanu li strei,
ca nu ppòrtanu latte intru lle minne!
Ogghiu ccurru cu bau ntru le pagghiare
perdute a nturnu allu paise miu,
ddunca tanti ecchi nci aggiu isti curcare,
rremiti senza cerca e senza Diu!
Scindu ntru gne ccantina suletaria
ddu campa de la gente la puragna,
a ddu nu ttrase mai nu filu d'aria,
ddunca malata la gioentù se lagna!
Ntru le strìttule scuse addù nu scinde
rasçiu de sule e ferve lu rumatu;
ddunca la carne se ccatta e se inde
pe na stozza de pane mmaluratu!
No, Primavera, nu begnu allu lecu
ddu tanta pompa de fiuri ha' menata!
Trasu ddu mai se mpezzecàu lu fuecu,
ddu la carne a bint'anni è rrappulata!
143
Interiezioni
1 - Interiezioni proprie:
a! (ah!), ai! (ahi!), o! (oh!), eu! - u! (uh!), ba! (bah!), be (e allora!), me! - mme! (orsù!), mi!, e
mmo'! (e adesso!), uèi! - uè! - ei! (ehi!, ehi tu!, ehi voi!, ciao!), oimmena! - oimmè! (ohimè!),
marammìe! - porammìe! (ahimè!), a…issa! (issa!), uffa! (uff!).
na na! (toh, tieni! in generale), cìu cìu cìu! (agli uccellini), cquà cquà! (al cane), pìu pìu pìu!
(ai pulcini), nane nane nane! (alle galline), ruccu ruccu! (ai colombi), àa…a! (al cavallo per
partire), ìsci…ìi! (al cavallo per arrestarsi), iù…ù! (al bue per farlo avanzare), arri! (al somaro
per incitarlo);
passa! (via! in generale), sciò sciò! (ai volatili), isti…sti! (al gatto), iessi fore! (al cane), zza!
(agli ovini).
3 - Esclamazioni di:
approvazione
brau!, benumale! (bravo!, bene!);
gioia
bellezza! (che bello!), cce prièsçiu! (che gioia!);
meraviglia
abbiru, ddaveru? (davvero, è sicuro?), cagnu! cagnateδδa! (accipicchia!), matonna!, pe lla
matosca! (ohibò!, perdinci!), cazzu! mìnchia! (diavolo!, accidenti!), iata a ttie!, iat'a nnui,…
(beato te!, fortunati noi!), peccrista! (per Giove!);
minaccia
mannàggia! (mannaggia!), uài a ttie! (guai a te!), ci te zziccu! (se ti acchiappo!)
preghiera
mamma mia! (mamma mia!), Matonna mia beδδa! (Madonna mia bella!), Gesummarìa!
(Gesù e Maria!), Santu Ronzu! (Santo Oronzo, proteggimi!); Sant'Antoni te le trìtici ràzzie
(S. Antonio dalle tredici grazie al giorno);
sdegno
ffanculu! (vai a… fornicare!), saietta! saièmmara! (accidenti!); lampu tte zicca! (ti colga un
fulmine!)
saluto
caru! (ciao!), salute! (salute a te!), statte buenu! stai in buona salute!), bongiornu! (una buona
giornata!), bona èspera! (buon pomeriggio!, bona sera! (buona serata), bona notte! (buona
nottata!).
144
Alle interiezioni facciamo seguire le espressioni augurali più caratteristiche, usate dai
leccesi:
a) fauste:
Cu campi cent'anni (possa tu vivere cento anni)
Centu de sti giurni (cento di questi giorni)
Crisci santu, suscettu! (cresci santo, figlioccio)
Benetica! (benedica e provveda il Signore)
Sorta rande (grande fortuna)
Aùri e figghi màsculi (auguri e figli maschi)
Santu Martinu! (S. Martino faccia crescere il prodotto)
Lu Signore cu tte bunda (il Signore provveda a te in abbondanza);
b) infauste:
Ammenu aìi sçattare (possa tu almeno scoppiare)
sçatta e crepa! (scoppia e crepa!)
Puezzi murire mpisu (possa tu morire impiccato)
Butta lu sangu (ti colga un'emottisi)
Caca lu sangu (ti colpisca una dissenteria)
Cu tte egna còccia (che ti venga un'emorragia)
Corpu te luna (che ti venga un collasso letale)
Corpu tte zzicca (che ti colga un ictus cerebrale)
Pìgghiala a nculu (prendila nel didietro, ben ci sta)
…lu male te Santu Tunatu (ti venga un attacco epilettico)
Cu mmuèri moi moi (che tu muoia all'istante)
Nfòcate cu nnu ccune (muori soffocato mentre mangi)
Ammenu t'ìi spezzare l'anche (spèzzati almeno le gambe)
Rùmpite le corne (ròmpiti le corna)
Cu tte egna lu pampanizzu (che ti venga un grande tremore)
Tte egna nnu càncaru (che ti venga un tumore)
Ammenu aìi rraggiare (ti àuguro di diventare idrofobo)
Alli zippi à' sçi' spicciare (dovrai finire per raccogliere fuscelli)
Alla lemòsena t'àggiu bìtere (ti vedrò chiedere l'elemosina).
145
Cu mme nde càsçia la lingua (che mi caschi la lingua)
Cu mme stoccu nn'anca (che mi si spezzi una gamba)
Mme càsçianu le mànure (mi caschino le mani)
Mme pozza runceδδare la lingua (mi si possa rattrappire la lingua)
Mme egna lu tuercicueδδu (che mi venga il torcicollo)
Giuru su lli muerti mei (giuro sui miei cari defunti)
Giuru nfacce Diu (giuro alla presenza di Dio)
Giuru subbra a ll'osse de sirma (giuro sulle ossa di mio padre)
Vengono qui segnalati i termini ingiuriosi e offensivi (li nzurti) tipici del vernacolo
leccese:
146
curnàcchia , donna linguacciuta e malevola;
curnutu , uomo tradito dalla propria donna, poco stimato;
designatu te Diu , segnato da difetto fisico o mentale o morale;
facciòmmene o facci-te-ccionni , uomo dalla faccia di barbagianni, dal viso grifagno;
facci-te-cazzu , uomo strampalato, in cerca di non si sa che cosa;
facci-te-mpisu , faccia da impiccato, pendaglio da forca;
facci-te-mulu , testardo sfrontato;
facheche , chiacchierone sconnesso e incoerente;
fessa , balordo che commette sciocchezze, imbecille che si fa abbindolare;
fetusu , puzzone, persona sgradevole;
fimmeneδδa , giovincello ritroso con tendenze femminee;
frabbulista , chiacchierone spacciatore di frottole;
fràcetu , flaccido, svigorito;
futtinculu , imbroglione truffatore, lusingatore;
ieni pane ca te màngiu , infingardo e fannullone, che attende che altri lo mantengano;
lassamestare , persona permalosa e schifiltosa;
lengu e fessa , lengu pe nnienti, allampanato ma sciocco e inconcludente;
linguilengu , linguilonga, persona linguacciuta e maldicente;
lliccaculu , lecchino smaccato;
maccabbèu , scemo, stupido, tanghero;
maccarrune , persona molle di carattere, smidollato;
malecarne , vagabondo lavativo;
maleccore , persona perfida, di animo cattivo;
malesurtu , tirato su male, maleducato;
mangiunazzu , sbafatore, scroccone;
manzaru , individuo ostinato, caparbio incallito e impenitente;
manzarune , uomo dalla testa dura e dai modi violenti;
mazzarune , zoticone, cui sono assegnati i lavori più grossolani;
menata , donna da marciapiede che si dà a chiunque per poco;
menzabotta o menzacartùccia , individuo tracagnotto;
mèrula-te-màcchia , donna arcigna e scostante per natura;
mìnchia , persona sempliciotta e credulona;
mmaletettu , individuo odioso, segno di grande disprezzo;
mmucatu , sporcaccione, scostumato;
mprena-pònnule , presuntuoso che millanta azioni incongrue;
mputrunutu , sempre imbronciato, chiuso in uno sdegnato riserbo;
mucculone , sempliciotto che non sa badare a se stesso;
mucitazzu , individuo di malaffare, volgaraccio;
musi-te-puercu , dotato di labbra carnose e sporgenti;
nasi-te-caffa , persona dotata di naso a polpetta;
nasi-te-castarieδδu , dal naso adunco come quello del falco;
ncicignatu, ncicirignatu , malridotto, ubriaco fradicio;
ncresciogna , pigrone cronico;
ndùgghia, ndugghiusu , persona trasandata nel vestire, sciattone;
147
nfetesciutu , chi da buono e bravo è diventato disonesto e cattivo; sporcaccione, moralmente
spregevole;
ngialenutu , dalla faccia giallastra, il colore dell'invidia, della gelosia e della cattiveria;
nnacetutu , aspro e stizzoso, scorbutico;
nnervecatu , persona dalla pelle cotta dal sole, segno di rozzezza, caratteristica di un villano e
non di un cittadino;
nnigghiatu , denutrito, deperito, secco allampanato;
ntartàgghia , balbuziente, tartaglione;
nzìcchia , individuo seccante, antipatico e fastidioso;
nzummeδδusu , persona incline a seminare zizzania;
òccula , grassona con le braccia divaricate, che incede a passettini;
pampasçiune , persona stupida e incapace, balordo sprovveduto;
pappacola , bonaccione che ingoia tutto ciò che gli si dice;
papùscia , giovanetta bellina, vispa ed esibizionista;
passuδδu, passulune , uomo flaccido, smidollato;
pendàgghia , donna sciattona con le vesti penzolanti;
petezzòppeca , sfaticato che sa trovare tante scuse per non andare a lavorare;
pezzanculu , pezzente con i calzoni rattoppati al sedere;
pieti-te-pàpara , persona dai piedi piatti o cavi;
piritosu , uno che scoreggia senza ritegno;
pitetìcchiu , ometto insignificante;
pizzafridda , uomo neghittoso, rammollito;
ppòppetu , cafone di provincia, incivile, zoticone;
pruticulu , ragazzo fastidiosamente irrequieto, discolaccio;
puercu , sporcaccione, turpe;
puttanieri , dongiovanni da strapazzo insidiatore di donne;
quaremma , vecchia emaciata col viso arcigno;
ranècchiulu, ranòcchiula , persona bassa, grassa e goffa;
razza strazza, strappigna , famiglia di straccioni;
recuttara , donnaccia, meretrice;
rremuδδatu , rammollito, indolente e abulico;
rresenatu , deperito, macilento, intristito;
saccu acante , individuo presuntuoso e vano, ambizioso ma fatuo;
sagnafridda , persona rammollita e inefficiente;
sanguetta , scroccone, estorsore;
scalandrune , persona di statura alta e di corporatura dinoccolata;
scangatu , sdentato;
scarufaterra , contadinaccio, zoticone, villanaccio;
scazzamurieδδu , uomo basso e mingherlino;
sciàbbeca, sciabbecatu , persona sciatta e trasandata nel vestire e nel comportamento;
sciacqualattuche , incapace di eseguire un lavoro impegnativo;
sçianaru , di carattere volubile, che muta frequentemente umore, lunatico, banderuola;
sçiòsçiu , trasandato e lurido, sudicio;
148
sçiutìu , cattolico non praticante, che non si fa vedere mai in chiesa o la frequenta assai
raramente;
scràsçia , persona fastidiosa, della quale non si riesce a liberarsi;
scuèscia , scuesciusu, bazzuto, dotato di mento pronunziato;
scugghiatu , senza coglioni, debole, indolente;
sculatu , che non sa mantenere un segreto, che si lascia scappare qualsiasi confidenza
riservata;
scuncignatu, scalcinato, non abituato all'ordine, arruffone;
scusçetatu , senzapenzieri, imperturbabile e quasi apatico;
scursune surdu , sornione, furbacchione taciturno;
senzaminne , donna con scarsissimo seno, grave difetto per una 'carusa' in cerca di uno 'zitu';
senzaquiδδa , uomo ritenuto sessualmente impotente;
sicchinnonni , persona sempre tentennante, che rimane tra il sì e il no e non sa decidersi;
spaccamuntagne , fanfarone smargiasso;
spaccime, spaccimusu , tipaccio losco;
sparpàgghia-pàssari , persona sregolata, che si dà da fare ma provoca solo disordine;
sperpètecu , bisbetico, oltremodo litigioso, attaccabrighe;
spertecune , spilungone emaciato;
spriculamìgghiu , persona eccessivamente parsimoniosa;
spulisçiatu , corrotto moralmente, depravato, pervertito;
spùrchia , sfruttatore privo di scrupoli, parassita;
spurpanùzzuli , persona incline a ricavare da un bene il maggiore utile possibile;
stangalòi , persona alta ma non proporzionata e poco aggraziata;
sucatieδδu , gracile, macilento come se fosse stato succhiato;
tafaneδδaru , furbacchione matricolato;
talornu , persona che procura impaccio e fastidio;
tantumergu , personaggio imponente ma ingombrante;
teu , miscredente e anticlericale;
tràgghia , individuo pesante e riottoso, infingardo;
trapularu , imbroglione che racconta fandonie;
uastasi , insolente, sfacciato, privo di rispetto;
uastasignu , sfrontato come una scimmia, dispettoso impertinente;
ucchipiertu , babbeo, scioccone;
urrusu , musone permaloso e bizzoso;
žallu , cafonaccio, provinciale ignorante e incivile;
zàmparu , uomo dinoccolato e macilento, che incede con andatura incontrollata e disordinata;
zenzale perniciosu , scocciatore e rompiscatole insopportabile, che porta alla esasperazione;
zucaru , individuo che immiserisce andando sempre più in basso nella propria condizione.
149