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L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera

dipinta’ del castello di San Giorgio a


Mantova: le peripezie di un motivo ornamentale
NATALIA AGAPIOU

Estratto da:
Studi Umanistici Piceni – XXXII / 2012
Istituto Internazionale di Studi Piceni – Sassoferrato
L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera
dipinta’ del castello di San Giorgio a
Mantova: le peripezie di un motivo ornamentale*
Natalia Agapiou

Ci troviamo nel 1474. Mantegna, da una quindicina d’anni al servi-


zio di Ludovico Gonzaga, signore di Mantova, sta per porre gli ultimi
tocchi sulle pareti della ‘Camera dipinta’ (ill. 1), nella residenza prin-
cipale di Ludovico, il castello di San Giorgio. Sono già nove anni1 che
Mantegna attende alla decorazione di questa sala, che renderà i Gonzaga
celebri nell’Italia intera. Dall’ottobre 1470, il suo principe è impaziente:
si lamenta perché i lavori procedono lentamente: «sonno tanti anni ch’el
cominciò a dipingere quella nostra camera e anchora non è fornita la
mitade»2. Mantegna, dal canto suo, malgrado le attenzioni che gli vengono
rivolte, non è contento. Il suo compenso non gli è retribuito con regola-
rità e le limitazioni che gli vengono imposte frustrano le sue ambizioni.
Poco tempo dopo, il ciclo pittorico è terminato. Si compone di due

* Al professore Ferruccio Bertini, che mi ha offerto la felice opportunità di partecipare al


convegno di Sassoferrato, si rivolge riconoscente, per la sua profonda umanità e gentilezza, il mio
pensiero. Sono inoltre debitrice a molte altre persone per il loro aiuto nella redazione di questo
testo. Il professor Hermann Walter è stato, una volta di più, mio costante interlocutore: i suoi
preziosi consigli mi fungono sempre da bussola. Il professor Rodolfo Signorini mi ha aiutato,
con la sua perizia, a evitare alcune trappole, suggerendomi di tenere sempre a mente il motto dei
Gonzaga: Cautius. Il dottor Stylianos Katakis, docente dell’Università di Atene, mi ha dato utili
consigli in ambito archeologico. La dottoressa Cecilia Frosinini, direttrice del Settore restauro
pitture murali dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ha avuto la gentilezza di fornirmi alcune
foto, di consentirmi di pubblicarle in questa sede, e anche di mettermi a parte del suo testo prima
della pubblicazione. Fra’ Carlo Bottero, direttore della Biblioteca del Sacro Convento di Assisi,
mi ha cortesemente consentito di scattare delle foto nella basilica di Assisi e di arricchire così
la mia documentazione. La dottoressa Claudia Timossi, dell’Archivio Storico dell’Opera di Santa
Croce, ha agevolato la mia ricerca nella chiesa di Santa Croce. Il dottor Ettore Napione ha messo
a mia disposizione il ricco fondo della Biblioteca d’Arte del Museo di Castelvecchio di Verona. Le
biblioteche del Warburg Institute a Londra, dell’INHA a Parigi, la Blegen Library di Atene, così
come l’indispensabile Dokumentlieferdienst del ZIKG di Monaco di Baviera, hanno reso possibile
la realizzazione di questa ricerca. Last but not least, il mio compagno Michel Popoff è stato sempre
presente nei miei momenti di sconforto e mi ha generosamente sostenuta.
1
Sulla datazione dei lavori nella ‘Camera dipinta’ attraverso i documenti esistenti, vedi R.
Signorini, Opus hoc tenue. La «archetipata» Camera Dipinta detta «degli Sposi» di Andrea Mantegna,
Mantova 20072 (ed. riv.), pp. 156-166  e pp. 397-399, docc. 3-18. Il 22 marzo 1474, una fornitura «de
azurro de Alemagna» e d’«oro batuto» è attesa per la camera in questione (ibid., p. 399, doc. 18), la
cui decorazione è verosimilmente nella sua fase conclusiva, considerando, d’altronde, che il 1474 è
l’anno indicato sull’iscrizione che commemora il suo compimento.
2
Ibid., p. 398, doc. 9; cfr. Id., Andrea ‘mercuriale’ in Andrea Mantegna: impronta del genio,
Firenze 2010, II, p. 705.

237
Ill. 1 - La ‘Camera dipinta’ - Mantova, Castel San Giorgio.

scene principali di soggetto storico: in una delle due, si vedono dei putti
sostenere con difficoltà una targa dorata recante i nomi della coppia
principesca, così come quello dell’artista, Andreas Mantinia3, il tutto
compreso entro uno scenario particolarmente sontuoso, costellato di rife-
rimenti antichi. Ora, al pittore ambizioso non è bastato questo omaggio;
Mantegna ci riservava una strizzatina d’occhio4: sul pilastro a destra di
questa scena (ill. 2), egli «scolpì in pictura»5 l’autoritratto che costituisce
il tema del presente contributo6.
Il volto di Mantegna è rimasto invisibile per ben 500 anni e dob-
biamo la sua scoperta a Rodolfo Signorini, che, nel 19757 dimostrò in

3
Per il testo di questa targa, vedi Signorini, Opus (vedi nota 1), p. 337.
4
J. Woods-Marsden lo chiama facetia, or jest, un ‘jeu d’esprit’; Renaissance Self-Portraiture. The
Visual Construction of Identity and the Social Status of the Artist, New Haven-London 1998, pp. 86,
88. In realtà le ‘strizzatine d’occhio’ sono due: Mantegna pone anche la propria firma («A[nd]rea[s]/
me pi[nxit]») sulla lettera tenuta dal figlio di Ludovico, il cardinal Francesco, in una delle scene
rappresentate nella sala; Signorini, Opus (vedi nota 1), p. 185.
5
L’espressione è di Ulisse Aleotti (1447-1448); G. Agosti, Su Mantegna I, Milano, 20063, p. 15.
6
Sugli autoritratti di Mantegna, A. Roesler-Friedenthal, Ein Porträt Andrea Mantegnas als ‘Alter
Orpheus’ im Kontext seiner Selbstdarstellungen, «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana» 31
(1996), pp. 151-185.
7
R. Signorini pubblicò per la prima volta la propria scoperta nel giornale Gazzetta di Mantova
del 14 dicembre 1975, p. 3; la sviluppò quindi con il titolo L’autoritratto del Mantegna nella Camera

238 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 2 - Autoritratto di Mantegna.

modo convincente la congruenza di questa effigie con un altro (auto?)


ritratto dell’artista che ci è pervenuto: il suo busto in bronzo8. Secondo
Signorini, Mantegna si sarebbe ispirato all’autoritratto di Lorenzo Ghi-
berti, scolpito assieme ad altri busti in clipeo su uno dei battenti della
celebre porta del Paradiso del Battistero di Firenze9.
Nel 1994, in una breve nota, Keith Christiansen mostrava, da parte
sua, come il modello10 dell’autoritratto della ‘Camera dipinta’ altro non
fosse che un gorgoneion (ill. 3) scolpito su uno dei pilastri dell’arco dei

degli Sposi, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz» 20 (1976), pp. 205-212.
Giovanni Battista Gelli fu il primo a prendere in considerazione l’autoritratto di Ghiberti in Vite
d’artisti, a cura di G. Mancini, «Archivio Storico Italiano» ser. iv, XVII (1896), p. 50.
8
Roesler-Friedenthal (vedi nota 6), pp. 158-161; cfr. Woods-Marsden (vedi nota 4), pp. 90-94.
La sua paternità è messa in dubbio da J. Grabski, Dignitas figurae. Andrea Mantegna: interrelazioni
fra la scultura e la pittura, in Mantegna e Roma. L’artista davanti all’antico, a cura di T. Calvano, C.
Cieri Via e L. Ventura, Roma 2010, pp. 330-334.
9
Sull’autoritratto di Ghiberti, vedi R. Krautheimer, T. Krautheimer-Hess, Lorenzo Ghiberti,
Princeton 1956, pp. 9-10.
10
K. Christiansen, Rapporti presunti, probabili e (forse anche) effettivi fra Alberti e Mantegna,
in Leon Battista Alberti, a cura di J. Rykwert e A. Engel, Milano 1994, p. 351, n. 86. Occorre notare
che questo gorgoneion è l’unico in tutta la sala.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 239
Ill. 3 - Pilastro con gorgoneion.

Gavi, un arco celebrativo della famiglia appunto dei Gavi11 (ill. 4), eretto
sulla via Postumia che passa per Verona, verso la fine dell’impero di
Augusto o all’inizio dell’impero di Tiberio12. La sorte dell’arco è delle
più avventurose dal momento che, «per […] disgraziata circostanza», fu
smontato nel 1805 per essere poi rimontato nel 1932, a qualche metro
dalla posizione originaria, dopo una lunga polemica sulla stampa dell’e-
poca13. In un recente intervento14, Paola Tossetti Grandi sviluppa l’acco-
stamento proposto da Christiansen: basta, in effetti, confrontare le due
immagini e il rapporto salta agli occhi (ill. 5).

11
G. Tosi, L’arco dei Gavi, Roma 1983. In un primo momento si è creduto che si trattasse di
vestigia dell’anfiteatro di Verona, l’Arena; poi di un cenotafio. Cfr. V. Cavazzocca-Mazzanti, Intorno
all’arco dei Gavi. Notizie-Documenti-Bibliografia, Verona 1915, pp. 6-9 e n. 2; C. Anti, L’arco dei Gavi
a Verona, «Architettura e arti decorative» I-2 (1921-22), p. 133.
12
M. Mathea-Förtsch, Römische Rankenpfeiler und -Pilaster…, Mainz am Rhein 1999, pp. 187-
188, no 259 e tav. 59, 4-5.
13
Anti (vedi nota 11), p. 130; Cavazzocca-Mazzanti, pp. 18-25. Non ho potuto consultare A.
Avena, L’arco dei Gavi ricostruito dal Comune di Verona, Verona 1932.
14
Andrea Mantegna, Giovanni Marcanova e Felice Feliciano, in Andrea Mantegna: impronta del
genio (vedi nota 2), I, pp. 340-343.

240 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 4 - Verona, Arco dei Gavi.

Ill. 5 - Confronto del gorgoneion del pilastro con l’autoritratto di Mantegna.

Non abbiamo prove certe di una visita di Mantegna a Verona, tutta-


via è inverosimile che l’artista abbia eseguito la ‘Pala di San Zeno’, la cui
complessità ambientale è nota, senza recarsi in quella città. In ogni caso,
Giorgio Vasari – testimone invero non sempre affidabile – gli attribui-
sce un soggiorno nel capoluogo veneto15. Ma a rivelare una conoscenza
dei monumenti di Verona sono anzitutto le opere stesse, a partire dagli
affreschi della Cappella Ovetari della Chiesa degli Eremitani a Padova,

15
Egli scrive nelle sue Vite del 1568: «E fra l’altre cose, stando in Verona, lavorò e mandò in
diversi luoghi e n’ebbe uno abbate della Badia di Fiesole, suo amico e parente, un quadro nel quale
è una Nostra Donna dal mezzo in su, col Figliuolo in collo et alcune teste d’Angeli che cantano,
fatti con grazia mirabile».

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 241
con un noto riferimento all’arco dei Gavi, sino alla stessa ‘Pala di San
Zeno’, alle pitture murali della ‘Camera dipinta’ di Mantova e ai San
Sebastiano di Vienna e di Parigi, nelle quali vari particolari tradiscono
una conoscenza dei monumenti della città16. Con queste allusioni all’arco
dei Gavi, considerato all’epoca un’opera autografa di Vitruvio, che l’ar-
chitetto avrebbe proprio firmata, non è impossibile che Mantegna volesse
«rifarsi alla sua autorità» per «veicolare un messaggio di elevazione e
promozione sociale», come suppone Tobia Patetta17.
Per molto tempo gli studiosi hanno pensato che fosse visibile solo una
porzione limitata dell’arco – chiamato all’epoca ‘porta maestra’ perché,
incluso dal XII secolo nella ‘muraglia grande’ della città, fungeva da porta
di ingresso18 –, dal momento che nelle più antiche incisioni conosciute esso
si presenta in gran parte ricoperto di terra (ill. 6)19. Ora, queste incisioni
risalgono al Settecento: come possiamo essere sicuri che la situazione fosse
la stessa che alla fine del ’400? Come che sia, il gorgoneion era ben visibile
e probabilmente famoso, se qualcuno – Mantegna stesso o altri – si è preso
la briga di riprodurlo. Si può immaginare quanto la pietra dell’arco, oggi
corrosa dal tempo e dalle aggressioni meteorologiche e ambientali, fosse
conservata molto meglio all’epoca di Mantegna. Si può inoltre immagi-
nare come questa enigmatica testa «emergente da un mannello di spighe»
– e oggi riconosciuta come un gorgoneion «beneaugurante», considerati
i simboli di vegetazione e fertilità da cui affiora20 – suscitasse una certa
perplessità. In ogni caso, l’importanza dell’arco nel ’400 non può essere
messa in dubbio, se si considerano anche i versi che a esso furono dedicati

16
N. Zanolli Gemi suppone un viaggio di Mantegna a Verona sulla base di prove interne alla
sua opera e al suo circolo di conoscenze; Andrea Mantegna e Verona, «Atti e Memorie dell’Acca-
demia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona» CLXXIX (2002-2003), pp. 285-299. Mantegna,
per esempio, potrebbe aver visitato la città durante la famosa escursione sul lago di Garda; ibid., p.
293. Per le reminiscenze dell’arco nell’opera di Mantegna, vedi A. M. Tamassia, Visioni di antichità
nell’opera del Mantegna, «Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti» 28
(1955-56), pp. 213-249; cfr. G. Beltramini, Mantegna e la firma di Vitruvio, in Mantegna e le arti a
Verona, Venezia 2006, pp. 139-147. Matteo Ceriana riconosce, d’altro canto, nella ‘Pala di San Zeno’,
diversi motivi provenienti da antichi monumenti veronesi; L’architettura della ‘Pala di San Zeno’, in
Mantegna e le arti a Verona, cit., pp. 53-61. T. Patetta, da parte sua, dà per scontata una buona
conoscenza della città da parte di Mantegna, Marmi, pietre e mattoni: città modernamente antiche di
Andrea Mantegna, in Mantegna e Roma (vedi nota 8), p. 273, n. 10 e p. 275, n. 19.
17
Ibid., p. 275.
18
Cavazzocca Mazzanti (vedi nota 11), p. 8: «Venne murato ed incorporato nella cortina»;
c’era anche un’altra cinta muraria nella città, lungo il canale, p. 11. Tosi ripercorre tutta la storia
moderna dell’arco che, dopo la sua ricostruzione, si trovò con la facciata principale, su cui si situa
il gorgoneion, rivolta dal lato sbagliato, cioè verso la città e non verso i campi; (vedi nota 11) p. 4.
19
C. Anti osserva: «Bisogna credere peraltro che gli autori di questi disegni [le stampe]
lavorassero a memoria e con alquanta libertà, perché (…) la struttura del monumento era ben
visibile almeno nelle sue grandi linee» nel 1749; (vedi nota 11) p. 123.
20
Tosi (vedi nota 11), pp. 47 e 53. D’altronde, «nel piedritto sinistro della stessa fronte resta
traccia di un volto femminile diademato e di due sistri che fuoriescono dai tralci d’acanto», p. 48.
Non riusciamo a ravvisare le spighe a cui si riferisce Giovanna Tosi.

242 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 6 - L’arco dei Gavi nel Settecento.

da Francesco Corna da Soncino nel suo Fioretto del 147721, e il fatto che
fu copiato e ricopiato negli anni seguenti, a cominciare dalle iscrizioni
riprodotte da Ciriaco d’Ancona nel 1433, e riprese nella raccolta dell’amico
di Mantegna, Giovanni Marcanova22. Nel ’500 l’arco conoscerà giorni
ancora più gloriosi: sarà disegnato, tra gli altri, da Baldassarre Peruzzi,
Antonio da Sangallo il Giovane, Giovanni Caroto e Andrea Palladio23.
Si può presumere che Mantegna abbia copiato questo motivo orna-
mentale su un libro di disegni – o su un taccuino, quest’ultimo di formato
più piccolo – a uso personale. Michael Vickers ha formulato, nel 1976,
l’ipotesi dell’esistenza di un libro di disegni di questo genere, cui attribui-
sce il nome «the Palazzo Santacroce Sketchbook», che avrebbe contenuto
dei disegni di Mantegna eseguiti sulla base di opere antiche provenienti
dal Palazzo Santacroce a Roma; è da questo libro che Mantegna avrebbe
tratto i modelli per le sue incisioni della Battaglia degli dèi marini e delle

21
Cavazzocca Mazzanti (vedi nota 11), pp. 16-17, n. 3.
22
C. Anti suppone che la seconda iscrizione fu incisa alla fine del ’400; (vedi nota 11), p. 132.
Sulle iscrizioni, Corpus Inscriptionum Latinarum V 3464.
23
Tosi (vedi nota 11), pp. 89-121; cfr. Id., Verona Romana. I monumenti romani di Verona nella
tradizione letteraria veronese del Cinquecento, in Palladio e Verona, a cura di P. Marini, Verona 1980,
pp. 33-121; D. Zocchi, I disegni rinascimentali dell’antico nel Nord-Italia, «Il disegno di architettura.
Notizie su studi, ricerche, archivi e collezioni pubbliche e private» 7 (Aprile 1993), pp. 48-56.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 243
Baccanali, così come alcuni dettagli dei suoi Trionfi24. Il nome di Mante-
gna è d’altra parte legato anche a un altro libro di disegni tratti da opere
antiche: il cosiddetto «codex Mantegna»25. Quest’ultimo, malgrado gli
«stretti rapporti»,  rilevati da Andrew Martindale26, tra alcuni disegni ivi
contenuti e i Trionfi mantegneschi, non sembra essere di mano dell’artista.
In alternativa, se pure Mantegna non avesse riprodotto di suo
pugno questo gorgoneion, potrebbe averlo copiato da un libro che fun-
geva da repertorio di modelli27, uno di quelli che circolavano da secoli
negli ambienti degli artigiani e degli artisti. È per questa versione dei
fatti che sembra propendere il biografo dell’artista Ronald Lightbown28.
Un celebre esempio di questo tipo di impiego, che ci offre, credo, un’i-
dea dell’aspetto che avrebbero potuto avere questi libri, è un foglio da
disegno proveniente dalla regione della Loira e risalente alla fine del IX
secolo (ill. 7)29. Sappiamo che «[…] uno libro del ritracto de certe scul-
ture antiche, le quale la più parte sono bataglie di centauri, di fauni et
di satiri, cosi ancora d’uomini et di femine accavallo et appiè, et altre
cose simili» esisteva presso la corte di Ludovico II Gonzaga, almeno nel
1476, e Mantegna stesso lo avrebbe prestato, a un certo punto, a un altro
pittore; le sue tracce sono oggi perdute30.

24
M. Vickers, The Palazzo Santacroce Sketchbook: A New Source for Andrea Mantegna’s
‘Triumph of Caesar’, ‘Bacchanals’ and ‘Battle of the Sea Gods’, «The Burlington Magazine» 118, no
885 (Dec. 1976), pp. 824-835.
25
L. Leoncini, Il codice detto del Mantegna: Codice Destailleur OZ 111 della Kunstbibliothek di
Berlino, Roma 1993. Leoncini traccia la cronistoria della denominazione «codex Mantegna», pp. 27-30.
26
A. Martindale, The Triumphs of Caesar by Andrea Mantegna in the Collection of H. M. The
Queen at Hampton Court, London 1979, p. 149. Uno studio della filigrana gli ha consentito di
attribuire al libro un’origine mantovana e come data gli anni 1490.
27
Sulla distinzione tra «model-books», destinati a circolare tra gli artisti, e «sketch-books», che
servivano a uso personale, vedi A. J. Elen, Italian Late-Medieval and Renaissance Drawing-books
from Giovannino de’ Grassi to Palma Giovane: a codicological approach, Leiden 1994, pp. 93 e 136.
Cfr. R. W. Scheller, Exemplum: Model-book Drawings and the Practice of Artistic Transmission in
the Middle Ages (ca. 900 - ca. 1470), Amsterdam 1975). Sembra che sia Julius von Schlosser ad
avere inventato il termine ‘Modelbuch’ per questo tipo di libri, che egli chiama anche «vademecum»
per gli artisti; Zur Kenntnis der künstlerischen Überlieferung im späten Mittelalter, «Jahrbuch der
kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses» 23 (1902), pp. 279-338 (soprattutto
p. 318). Elen nota che i libri contenenti disegni di opere antiche si concentrano in particolare nel
periodo 1475-1550; cit., p. 93.
28
R. W. Lightbown, Mantegna. With a Complete Catalogue of the Paintings, Drawings and
Prints, Oxford 1986, p. 48.
29
Roma, Vaticano, Biblioteca Apostolica, ms Reg. Lat. 596, fo 27vo; Scheller (vedi nota 27), pp.
98-108. Arnold Nesselrath lo colloca più avanti, nel X o all’inizio dell’XI secolo; I libri di disegni di
antichità. Tentativo di una tipologia, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di S. Settis, III,
Dalla tradizione all’archeologia, Torino 1986, p. 95.
30
Secondo Vickers non si tratterebbe di quello, ipotetico, che egli designa come «Santacroce
Sketchbook» (vedi nota 24), p. 834, n. 79. Per le testimonianze riguardanti il libro di Ludovico
Gonzaga, vedi C. M. Brown, Gleanings from the Gonzaga Monuments in Mantua. Gian Cristoforo
Romano and Andrea Mantegna, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz» 17
(1973), pp. 153-59. Arnold Nesselrath lo include nel suo tentativo di una tipologia di simili libri,
classificandolo nella categoria «libri di copie» (vedi nota 29), pp. 123-124.

244 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 7 - BAV, ms Reg. lat. 596, fo 27vo.

Tutta questa tipologia di libri si deteriorava piuttosto facilmente, non


soltanto per la fragilità del materiale, ma anche perché i libri di disegni
erano considerati semplicemente dei repertori di motivi da reinventare31;
inoltre, sembra che circolassero ampiamente tra gli artisti32. Secondo R.
W. Scheller, un’altra ragione della loro scomparsa consiste nel fatto che
prima del ’500 il disegno non era ancora apprezzato come genere33. Quelli
che fossero riusciti a sopravvivere rischiavano poi di venire smembrati da
mercanti per essere venduti a collezionisti34.

31
È vero, comunque, che quello di Ludovico Gonzaga pare venisse ritenuto un oggetto prezioso,
se si considera l’attenzione riservatagli da Angelo Tovaglia, il quale propone al marchese che gliene
si faccia preparare una copia per mano di chi si voglia, «perche io so che queste cose si tengono care
et che gli originali non se mandano attorno»; Nesselrath (vedi nota 29), p. 123.
32
Michelangelo, tuttavia, si vede rifiutare il libro di disegni di Domenico Ghirlandaio; Elen
(vedi nota 27), p. 126.
33
Scheller (vedi nota 27), p. 2.
34
Si veda, per esempio, il tentativo di Georg Gronau di ricostruire il taccuino di Verrocchio;
Elen (vedi nota 27), p. 20.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 245
E comunque certo che l’ornamentazione di pilastri con racemi vege-
tali rivestiva notevole interesse per gli artisti dell’Italia settentrionale
della seconda metà del ’400, se si considerino i numerosi esempi scolpiti
presenti a Venezia a partire dalla fine degli anni ’6035. Wolfgang Wolters
ci informa che a Venezia lavorava un cospicuo numero di scultori non
veneziani, alcuni dei quali erano specializzati nella scultura ornamentale
ed erano assunti nelle botteghe locali con un compenso ‘a giornata’36. Ma
i racemi a candelabro ‘all’antica’ erano prodotti specialmente da artisti
lombardi, come quelli della bottega di Pietro Lombardo e dei suoi figli
Tullio e Antonio, al punto da essere diventati, secondo Wolters, il loro
«marchio di fabbrica»37. La diffusione di questi motivi sarebbe garan-
tita non solo dalla circolazione dei libri di disegni, ma anche grazie ai
primi incunaboli degli stampatori stabilitisi in città e alle loro illustra-
zioni antichizzanti adorne di tali motivi, aggiunti timidamente a mano
a partire dagli anni ’60, per poi divenire molto più frequenti; lo stesso
vale per le miniature di manoscritti38. Mantegna, i cui rapporti con Vene-
zia sono conosciuti39, raffigura questo motivo ornamentale in una parte
illusionistica della ‘Camera dipinta’ che imita appunto la scultura: in un
finto pilastro. In ogni caso, una volta terminata, la ‘Camera dipinta’ ha
cominciato essa stessa a servire da modello agli artisti40.

Esaminiamo ora il pilastro dell’arco dei Gavi che servì da modello a


Mantegna. Siamo in presenza di una decorazione a racemi d’acanto del
tipo chiamato ‘a candelabro’, ornamento verticale costituito da racemi
affiancati sempre simmetrici, tipo di decorazione sconosciuto in Grecia41.
Marion Mathea-Förtsch, l’archeologo che studiò approfonditamente i

35
W. Wolters, Architettura e ornamento: la decorazione nel Rinascimento veneziano, Verona 2007,
(ed. orig. 2000), pp. 117-131 e note 132-133; cfr. P. Dittmar, Die dekorative Skulptur der venezianischen
FrührenaissanceI, «Zeitschrift für Kunstgeschichte» 47/2 (1984), pp. 158-185. Per esempio, il
‘candelabrum’ a racemi di S. Giobbe è quasi identico a quello dell’arco dei Gavi, pp. 159-160.
36
Wolters (vedi nota 35), pp. 122-123. È attestata, per esempio, la presenza di un fiorentino che
avrebbe scolpito il fregio ‘all’antica’ del portale della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, ibid., p. 118;
cfr. p. 33. Pietro Lombardo, per altro, avrebbe subito l’influenza dei modelli fiorentini dopo la sua
visita nella città toscana, ibid., p. 120.
37
Ibid., p. 117.
38
Wolters (vedi nota 35), pp. 120 e 118; cfr. L. Armstrong, Renaissance Miniature Painters and
Classical Imagery: The Master of the Putti and his Venetian Workshop, London 1981, p. 2.
39
Mi riferisco certo alla sua parentela con la famiglia dei Bellini.
40
Sulla fortuna della ‘Camera dipinta’, vedi Signorini, Opus (vedi nota 1), pp. 346-365. Per i libri
di copie a partire da opere contemporanee, Elen (vedi nota 27), pp. 79- 84.
41
Mathea-Förtsch (vedi nota 12), pp. 10-15; cfr. M. Bimbenet-Privat Rinceaux, in A. Gruber
(éd.), L’art décoratif en Europe: Renaissance et Maniérisme, Paris 1993, pp. 118-122, e A. Gruber,
Grotesques, ibid., pp. 202-203.

246 - NATALIA AGAPIOU


pilastri a racemi romani, offre una descrizione più dettagliata del nostro
modello: «L’acanto presenta contorni molto sommari. Ad eccezione dei
grandi sepali, la superficie non possiede una struttura plastica. La com-
posizione resta nel tracciato dell’Ara Pacis […]. È tuttavia semplificata,
dal momento che i viticci della pianta si concludono per lo più con una
[sola] circonvoluzione»42. La decorazione, infine, termina in un vaso.
Aloïs Riegl, lo storico dell’arte della scuola viennese, studiò in det-
taglio, come sappiamo, l’evoluzione di questo tipo di ornamentazione,
dell’acanthus spinosa – «erbaccia comune»43 – divenuta il principale orna-
mento vegetale presso i Greci e poi presso i Romani. Da allora, l’acanto
è stato studiato, non solo dal punto di vista formale, ma recentemente
anche storico44. Il verdetto è unanime: il modello del motivo ornamentale
dell’acanto rampicante, così come appare nei diversi elementi dell’architet-
tura romana, è l’Ara Pacis Augustae (ill. 8), l’altare inaugurato nel 9 a.C.,
per commemorare il vittorioso ritorno di Augusto dalla Spagna e dalla

Ill. 8 - Roma, Ara Pacis Augustae (particolare).

42
Ibid., pp. 187-188.
43
L’espressione è tratta dalla prefazione di Otto Pächt  in A. Riegl, Historische Grammatik der
bildenden Künste, Graz 1966. Riegl se ne è occupato in particolare nelle sue Stilfragen. Grundlegungen
zur einer Geschichte der Ornamentik, Berlin 1893.
44
Penso segnatamente a G. Sauron, L’histoire végétalisée: ornament et politique à Rome, Paris
2000. La sua affascinante tesi non è stata unanimemente accettata. Per altro, Giulia Caneva ha
proposto ultimamente una lettura originale del rilievo, individuando le sue varie componenti
botaniche; Il codice botanico di Augusto. Ara Pacis: parlare al popolo attraverso le immagini della
natura, Roma 2010.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 247
Gallia. La sua forte presenza simbolica, che denota «la prosperità con-
seguita dalla pacificazione»45 caratteristica dell’aurea aetas di Augusto, si
farà sentire sui monumenti posteriori. Marion Mathea-Förtsch classifica
infatti l’arco dei Gavi nella categoria dei monumenti direttamente ispirati
a quell’altare, che si tenterà per la prima volta di localizzare nel 1536, e
dunque non poteva essere conosciuto da Mantegna46.
Dopo l’antichità, il racemo vegetale semplice non disparve mai dal
campo visivo degli artigiani. Lo si vede scolpito su sarcofagi, ma anche,
per esempio, rappresentato su mosaici dell’arte paleocristiana (ill. 9)47.

Ill. 9 - Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia (particolare).

Reimpiegato o imitato, lo si ritrova anche nei fregi che ornano i portali


delle chiese – in Italia se ne trovano esempi a Modena, a Ferrara, a

45
Ibid., p. 224.
46
O. Rossini, Ara Pacis, Roma 20082, p. 14; cf. Mathea-Förtsch (vedi nota 12), p. 187.
47
Si veda l’esempio di San Vitale a Ravenna.

248 - NATALIA AGAPIOU


Pisa48. Le miniature medioevali, d’altra parte, sono un altro ambito in
cui il racemo d’acanto trovò albergo dopo l’antichità: i miniaturisti caro-
lingi, per esempio, optarono quasi esclusivamente per il racemo a foglie
d’acanto, uno degli elementi che permise loro di pretendere alla continu-
ità con la tradizione classica49.
Tuttavia, quanto al gorgoneion che è presente sull’arco dei Gavi, si
tratta piuttosto di un fenomeno desueto, dacché è un motivo raramente
scolpito su un pilastro50. I gorgoneia, immagini di carattere apotropaico,
servivano inizialmente da antefissa nell’architettura greca, uso che sembra
essere una reminiscenza della pratica di esibire, sui tetti delle costru-
zioni, maschere rituali o eventualmente teste di nemici uccisi in battaglia.
Nell’epoca classica, quando i metodi di costruzione dei templi si modifi-
cano, il loro uso come antefisse si esaurisce; è all’incirca in quest’epoca
che il gorgoneion comincia ad acquisire un significato ctonio51. Nell’arte
romana, se ne trovano soprattutto su capitelli legati a un contesto funera-
rio, come, per esempio, il gorgoneion proveniente dall’Antiquarium comu-
nale di Roma, dotato, come quello dell’arco dei Gavi, di ali sui due lati
del volto – ali dal momento che le Gorgoni venivano considerate esseri
aerei (ill. 10)52. A. L. Frothingham dimostrò tuttavia, nel 1915, che con-
trariamente a quanto si pensava, i gorgoneia circondati da vegetazione,
presenti sui monumenti funerari, fungevano da «emblema di vita, di vit-
toria sulla morte e di vita rinnovata al di là della tomba»53.
Accanto ai gorgoneia, però, un’altra categoria di figure, esse stesse
di carattere funerario, fa pensare a quel volto affiorante tra il fogliame
che nell’opera di Mantegna guadagna dei tratti personalizzati: i Blätter-
kelchbüste, come li chiamano i tedeschi, questa «combinazione di busti
con ritratto ed elementi vegetali»54, cioè busti raffiguranti dei defunti
che spuntano dal calice di una pianta rampicante; Rankenfiguren, figure

48
A. Peroni, Acanthe remployée et acanthe imitée dans les cathédrales de Modène, Ferrare et Pise,
in L’acanthe dans la sculpture monumentale de l’Antiquité à la Renaissance, Paris 1993, pp. 313-326.
Sulla sua sorte nel Rinascimento, vedi Bimbenet-Privat (vedi nota 44), pp. 113-189.
49
O. Pächt, L’enluminure médiévale, Paris 1997 (ed. orig. 1984), pp. 54 e 77 sg. Si tratta della scuola
di Metz all’epoca del vescovo Drogon. Non sono riuscita a consultare l’edizione originale tedesca.
50
Mathea-Förtsch (vedi nota 12), p. 188; si tratta dell’esempio meglio preservato ai nostri giorni.
51
J. D. Belson, The Gorgoneion in Greek Architecture, tesi di dottorato presentata presso il Bryn
Mawr College, 2 vol., 1981 (Ann Arbor: University Microfilms International [1986]), I, pp. 40, 46;
cfr. p. 45.
52
E. von Mercklin, Antike Figuralkapitelle, Berlin 1962, p. 133, n. 350; cfr. p. 132. Il capitello con
gorgoneion nell’Antiquarium comunale di Roma fa parte della classe «Kapitelle mit Medusenhäuptern».
I gorgoneia alati appartengono alla classe dei gorgoneia «della più bella tipologia» («schöner Typus»);
cfr. J. Floren, Studien zur Typologie des Gorgoneion, Münster 1977, pp. 207-217.
53
A. L. Frothingham, Medusa II. The Vegetation gorgoneion, «American Journal of Archaeo-
logy» 19/1 (1915), p. 22.
54
H. Jucker, Das Bildnis im Blätterkelch. Geschichte und Bedeutung einer römischen Porträtform,
Lausanne-Freiburg i. Br. 1961, p. 115.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 249
Ill. 10 - Capitello con gorgoneion - Roma, Antiquarium Comunale, Magazzino.

rampicanti scolpite su sarcofagi o su pietre funerarie, in terra cotta o


in bronzo. Per esempio, su un’urna mortuaria etrusca, oggi a Perugia,
compare una ragazza con i tratti della Medusa e il paio d’ali sui due lati
del viso (ill. 11)55.

Ill. 11 - Urna cineraria del tipo Blätterkelchbüste di origine etrusca - Perugia,


Museo.

Ma l’insolito gorgoneion dell’arco dei Gavi (ill. 12) assomiglia ancor


più, ci pare, a un altro motivo che fa la sua comparsa nella scultura
romana del primo secolo dopo Cristo, cioè all’incirca all’epoca della cre-

55
Jucker (vedi nota 54), p. 133.

250 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 12 - Il gorgoneion dell’arco dei Gavi.

azione del pilastro veronese: assomiglia cioè a una Blattmaske, un volto


vegetalizzato (ill. 13)56. Antoinette Roesler-Friedenthal ravvisa proprio
questa parentela quando osserva che il volto di Mantegna, che rimanda
al gorgoneion dell’arco dei Gavi, è «messo in scena come una ‘Blattmas-
ke’»57. Questo motivo ornamentale, ignorato dal mondo bizantino58, sarà
particolarmente popolare durante il Medioevo, al di là delle Alpi – in
Francia, in Germania, in Inghilterra – dove si articolerà in diverse tipo-
logie secondo il grado di adesione della vegetazione al volto59; la sua
origine romana resta comunque indiscussa60. Tutti questi motivi, in ogni
caso, hanno radici comuni: il motivo della Rankengöttin, cioè della divi-
nità della pianta rampicante, la cui origine si situa nello spazio egizio-
mesopotamico e che annovera tra i suoi aspetti la Grande Artemide, dea
delle acque e del fiore selvatico61.
Abbiamo sin qui considerato separatamente le due componenti del
motivo ornamentale che Mantegna ha tratto dall’arco dei Gavi: da un

56
Von Mercklin (vedi nota 52), p. 136, n. 359; cfr. p. 135. Questo capitello è classificato nella
categoria «Kapitelle mit Masken: Blattmasken». Sulle Blattmasken, vedi M. Wegner, Blattmasken,
in Adolf Goldschmidt zu seinem siebenzigsten Geburtstag am 15. Januar 1933, Berlin 1935, pp. 43-50;
devo a Heinrich Kuhn l’accesso a questo testo. Cfr. H. Keller, Blattmaske, in Reallexikon zur
deutschen Kunstgeschichte, II, Stuttgart 1948, pp. 867-874.
57
Roesler-Friedenthal (vedi nota 6), p. 161.
58
Keller (vedi nota 56), p. 867.
59
R. H. L. Hamann-MacLean, Antikenstudium in der Kunst des Mittelalters, «Marburger
Jahrbuch für Kunstwissenschaft» 15 (1949-1950), pp. 209-211.
60
Wegner (vedi nota 56), p. 45; uno dei primi esempi sarebbe il ‘Campana-relief’, tav. XV, ill. 1.
Gli si attribuiscono, inoltre, poteri demoniaci; Keller (vedi nota 56), p. 867.
61
W. Veit, Die Rankengöttin, «Pantheon. Internationale Jahreszeitschrift für Kunst» XLVIII
(1990), pp. 4-27.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 251
Ill. 13 - Capitello con Blattmaske - Roma, Antiquarium Comunale, no 244.

lato, il racemo d’acanto (o d’altra pianta simile, come, per esempio, la


vite), onnipresente in epoca romana, e, dall’altro, il gorgoneion (o altre
figure antropomorfe simili) che spunta attraverso elementi vegetali. Il con-
nubio tra un racemo (libero, semplice o doppio) e una figura animale o
umana che emerge tra le sue volute e intrattiene con quello una relazione
con diversi gradi di compenetrazione, costituisce un’idea formale desi-
gnata come ‘racemo abitato’62: le figure possono sembrare imprigionate
nelle sue spirali o semplicemente in clipeo, come in medaglioni. Questa
idea formale vede il giorno nell’architettura monumentale ellenistica del
bacino mediterraneo orientale come composizione lineare costituita da
fregi con girali, e conosce uno sviluppo prodigioso in epoca imperiale, e
in tutte le province romane63. Proprio come i casi già esaminati, queste
ghirlande di racemi abitati compaiono in un contesto religioso legato,
esso stesso, ad alcuni aspetti della ‘Grande dea’, Artemide, e si diffon-
dono presto su altre superfici, oltre quelle architettoniche: si ritrovano su
sarcofagi o anche nelle arti minori, come l’arte del metallo, ma soprat-
tutto nelle miniature64.

62
Aloïs Riegl individua il primo esempio di connubio tra l’acanto e la figura umana in una
lekythos proveniente da Dipylon; A. Riegl, Stilfragen (vedi nota 43), pp. 206-207, ill. 108, e p. 237.
Sulla lekythos in questione, A. Furtwängler, Weisso attische Lekythos, «Archäologische Zeitung» 38
(1880), pp. 134-137, tav. 11.
63
J. M. C. Toynbee, J. B. Ward, Peopled Scrolls: a Hellenistic Motif in Imperial Art, «Papers of
the British School at Rome» XVIII (1950), pp. 1-43 e tav. I-XXVI; cfr. Bimbenet-Privat (vedi nota
41), p. 115.
64
Tuttavia, quando si tratta della decorazione delle lettere iniziali, la miniatura distingue tra

252 - NATALIA AGAPIOU


Il racemo abitato sarà particolarmente caro agli artisti medioevali
che ne trovavano attorno a sé numerosi esempi, soprattutto a Roma65:
in San Lorenzo fuori le Mura, vediamo riutilizzati degli spolia recanti
dei racemi, ‘abitati’ da putti o animali (ill. 14); Jacopo Torriti farà qual-
cosa di simile in mosaico nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma

Ill. 14 - Pilastro antico utilizzato come trabeazione - Roma, San Lorenzo fuori le
Mura.

(ill. 15). Così, in Vaticano, nell’antica basilica costantiniana, si trovavano


cinque lesene «docta manu», ricoperte da racemi abitati, visibili sino al
1605 sulla facciata del sacello di Giovanni VII (ill. 16-17)66; nel museo

‘racemo abitato’ (bewohnte Initiale) e ‘racemo istoriato’   (historisierte Initiale); nel secondo caso, il
racemo serve semplicemente da riquadro; Pächt (vedi nota 49), pp. 76-94.
65
R. Meoli Toulmin, L’ornamento nella pittura di Giotto con particolare riferimento alla Cappella
degli Scrovegni, in Giotto e il suo tempo, Atti del congresso internazionale…, Roma 1971, pp. 177-189
e 538-551, ill. 1-33.
66
A. Ballardini traccia l’affascinante storia di queste lesene, passate in seguito nella biblioteca
della basilica per finire nelle Grotte vaticane; Un oratorio per la ‘Theotokos’: Giovanni VII (705-707)
committente a San Pietro, in Medioevo: i committenti, a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2011,

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 253
Ill. 15 - Mosaico di Jacopo Torriti - Roma, Santa Maria Maggiore.

Ill. 16 - Lesene antiche provenienti dal sacello Ill. 17 - Lesena antica (par-
del papa Giovanni VII nella basilica costanti- ticolare della quarta lesena)
niana di San Pietro - Città del Vaticano, Basi- - Città del Vaticano, Basilica
lica di S. Pietro, Grotte Vaticane. di S. Pietro, Grotte Vaticane.

Laterano si trova un esempio di racemo di vite che avvolge figure intere


di Menadi e Sileni, proveniente dalla tomba degli Haterii67 – tutto ser-

pp. 94-116. Una sesta lesena è oggi murata nell’oratorio di San Leone nelle Grotte. Oggi, quelle
tra le cinque lesene rimaste intere, sono fissate sulle pareti del nuovo corridoio che conduce alle
Grotte vaticane (p. 111, n. 95). Ballardini formula l’ipotesi che Gregorio VII, il papa di origine greca
committente dell’oratorio, sarebbe stato con ogni probabilità consapevole del carattere funebre delle
rappresentazioni della lesena; ibid., p. 96.
67
Toynbee-Ward (vedi nota 63), p. 14, tav. XIII; pp. 19-20, tav. XVII; pp. 20-21, tav. XVIII.

254 - NATALIA AGAPIOU


virà da fonte di ispirazione e verrà imitato nei mosaici, in pittura, nella
miniatura, negli avori: il motivo è anche imitato sulla porta della Man-
dorla di Santa Maria del Fiore68, a Firenze.  Nelle miniature, quando i
personaggi non vengono rappresentati in clipeo69, cioè ben delimitati, il
motivo si risolverà, in certi casi, in immagini da incubo in cui i racemi
finiranno per strangolare le figure, e l’antagonismo tra pianta e animale/
uomo si concluderà con una reciproca compenetrazione70 (ill. 18).

Ill. 18 - Lettera iniziale dalla ‘St. Hugh’s Bible’ proveniente da Winchester - Oxford,
Bodleian Library, Ms. Auct. E. inf. 1, fo 304ro ca 1180.

Bastava poco perché questi motivi decorativi si trasformassero, in


certi luoghi, in potenti simboli, come nel caso dell’Ara Pacis Augustae. Nel
XII secolo, la curia romana intende procedere a una ‘renovatio Ecclesiae
primitivae formae’, e in San Clemente sceglie di riprodurre un’immagine
già nota, dacché presente nel luogo religioso più prestigioso della Cristia-

68
Lucilla de Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995,
p. 393.
69
Pächt (vedi nota 49), p. 77
70
Pächt parla di compressione, strangolamento, lotte, di orge di forme intrecciate. A suo avviso,
è un secolo dopo la miniatura che l’architettura romanica scoprirà il motivo del racemo abitato;
ibid., pp. 94 e 84.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 255
nità, San Giovanni in Laterano71: un’enorme pianta, una crux florida (ill.
19); i suoi racemi, il cui rigoglio e la cui vitalità «evocano metaforica-
mente la renovatio»72, partecipano attivamente al gioco d’ornamentazioni
sontuose destinate a promuovere la causa cristiana. È degno di nota il
fatto che, sebbene venga definita come ‘vite’ nell’iscrizione (a evocazione
dell’eucarestia) e si notino dei radi grappoli, essa sia in realtà «travestita
d’acanto»73, la pianta «semper frondens»74. Allo stesso modo, un altro

Ill. 19 - L’albero della vita - Roma, Basilica di San Clemente.

simbolo cristiano analogo, quello che richiama la genealogia di Cristo,


l’albero di Jesse, che accoglie tra i suoi racemi dei personaggi biblici75,
riprende il motivo antico; un celebre esempio si trova sulle porte di San
Zeno a Verona (ill. 20), e lo si ritrova anche in numerosi manoscritti della
stessa epoca (ill. 21).

71
H. Toubert, Un art dirigé. Réforme grégorienne et iconographie, Paris 2007, pp. 7-15, 276.
72
J.-C. Bonne, De l’ornement à l’ornementalité: la mosaïque absidiale de San Clemente de Rome,
in Le rôle de l’ornement dans la peinture murale du Moyen Âge, Poitiers 1997, p. 110.
73
Toubert (vedi nota 71), p. 271
74
Bonne (vedi nota 72), p. 111. L’iscrizione recita: «Ecclesiam Christi viti similabimus isti quam
lex arentem set crux facit esse virentem». È Servio a qualificare l’acanto come semper frondens, ad
georg. II, 119.
75
Isaia 11, 1: Et egredietur virga de radice Iesse et flos de radice eius ascendet; Pächt (vedi nota
49), p. 94.

256 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 20 - L’albero di Jesse - Verona, San Zeno. Ill. 21 - L’albero di Jesse, manoscritto
proveniente dall’abbazia di Cîteaux
in Borgogna, 1o terzo del XII
secolo Dijon, BM, Ms 641, fo 40 vo.

Quando, alcuni mesi fa, ho incominciato a occuparmi dell’autori-


tratto di Mantegna, mi sono ritrovata, del tutto casualmente, davanti a
un’immagine simile che mi ha colpita per la sua espressività: sfogliando
una lussuosa monografia sulle grottesche76, ho avuto improvvisamente
davanti agli occhi (ill. 22), un volto che guardava attraverso il fogliame,
dipinto nella Cappella Peruzzi, una delle cappelle della chiesa fiorentina
di Santa Croce, decorata da Giotto. Ingenuamente convinta di aver sco-
perto un autoritratto di Giotto, si può immaginare la mia delusione – ma
anche il mio compiacimento! – quando, immettendo su Google i termini
‘Giotto’ + ‘Cappella Peruzzi’ + ‘autoritratto’, mi sono trovata dinanzi
una pagina di Wikipedia in cui compariva la stessa immagine con l’intri-
gante didascalia: «A possible contender as an image of Giotto» (ill. 23).
Ora le cose si sono dimostrate molto più complesse di così.
Per fare luce sul mistero, bisognava visitare il luogo del ‘crimine’.
E, infatti, una volta entrata nella cappella Peruzzi di Santa Croce, la
situazione si presentò completamente diversa: non si trattava di un volto
isolato – come credevo sulla base dell’impressione creata dal libro sulle

76
A. Zamperini, Le grottesche. Il sogno della pittura nella decorazione parietale, Verona 2007,
p. 63.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 257
Ill. 22 - Firenze, Santa Croce, Cappella Peruzzi Ill. 23 - Dalla voce ‘Giotto’ (Wikipedia in
(particolare dello sguancio della finestra); dal inglese).
libro di A. Zamperini sulle grottesche dove l’im-
magine è pubblicata in modo speculare.

grottesche – ma di “tutta una serie” di volti (ill. 24-25), che occupa gli
sguanci della finestra, alternandosi a riquadri ‘abitati’ da animali mitici
o da altri simboli. Un’ornamentazione simile, d’altronde, si trova pure
sulle pareti della finestra della cappella accanto, quella dei Bardi, deco-
rata anch’essa da Giotto.
Per meglio apprezzare ciò che Giotto qui ci propone occorreva però
tornare ad fontes, cioè ad Assisi, il cantiere in cui Giotto si è formato77.
Già dall’entrata nelle due basiliche lo spettatore rimane sbalordito dall’ine-
briante ricchezza degli elementi decorativi. Questi motivi ornamentali, che
«appartenevano al linguaggio comune della pittura del secolo»78, erano –
veniamo a sapere – monopolio di pittori romani, delle maestranze romane

77
Non oso pronunciarmi sulla disputa tra ‘separatisti’ e ‘integrazionisti’, il celebre dilemma
«Giotto-non Giotto» la cui cronistoria è tracciata da Th. De Wesselow in The Date of the St Francis
Cycle in the Upper Church of S. Francesco at Assisi: The Evidence of Copies and Considerations of
Method, in S. McMichael (ed.), The Art of the Franciscan Order, Leiden-Boston 2005, pp. 114-117;
cfr. B. Zanardi, Giotto e Pietro Cavalini. La questione di Assisi e il cantiere medievale della pittura a
fresco, Milano 2002, pp. 25-29. Sembra scontato che il cantiere di Assisi ebbe per Giotto un ruolo
formativo assai rilevante.
78
Meoli Toulmin (vedi nota 65), p. 177.

258 - NATALIA AGAPIOU


venute a lavorare qui, sotto la guida di Cimabue. Si trattava di discendenti
degli scultori soprannominati ‘i Cosmati’, la cui opera presentava degli
elementi antichizzanti ispirati dall’arte paleocristiana. Uno dei motivi che,
secondo Hans Belting, questi artigiani dell’ornamentazione avrebbero
portato con sé nei loro libri di disegni, è quello della decorazione vegetale
che, nel secondo quarto del Duecento, quando l’arte dei Cosmati era al
suo apogeo, sarebbe stata appunto sottoposta a una «riantichizzazione»79.

Ill. 24 - Firenze, Santa Croce, Cap- Ill. 25 - Firenze, Santa Croce, Cap-
pella Peruzzi - Particolare dello pella Peruzzi - Particolare dello
sguancio della finestra, parte sinistra. sguancio della finestra, parte destra.

Sulle pareti della chiesa superiore di San Francesco ad Assisi,


indipendentemente da chi sia l’autore della decorazione, si può infatti,
dice Hans Belting, seguire il suo intero albero genealogico: da semplice
ornamento che funge da bordura (ill. 26), il racemo diventa presto, «per
piacere di sperimentazione», un ornamento a specchio che separa dei
riquadri con figure (pinakes) o dei medaglioni; si ritrovano dunque qui i

79
H. Belting, Die Oberkirche von San Francesco in Assisi. Ihre Dekoration als Aufgabe und die
Genese einer neuen Wandmalerei, Berlin 1977, pp. 214-215, cfr. p. 191. Luciano Bellosi trova «del
tutto ingiustificata» l’idea di una presenza romana nella chiesa; La pecora di Giotto, Torino 1985, p.
190; Meoli Toulmin sembra, tuttavia, provare il contrario (vedi nota 65), pp. 179-185.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 259
Ill. 26 - Girale decorativo - Assisi, Basilica di San Francesco (Chiesa superiore).

motivi già incontrati su una delle lesene del Vaticano (ill. 27-28). Altrove,
nella parte decorata dalla bottega di Cimabue, da questi schemi decora-

Ill. 27 - Lesena con raffigurazione di Ill. 28 - Motivo decorativo Assisi - Basilica


Tellus - Città del Vaticano, Basilica di di San Francesco (Chiesa superiore).
S. Pietro, Grotte Vaticane.

tivi spuntano busti di figure, più precisamente busti di putti alati (ill. 29).
L’interpolazione di busti di figure umane «è certo una decisione presa
sul posto»80, sostiene Belting. Questa ‘Ikonisierung’, questa aggiunta di

80
Belting (vedi nota 79), p. 218.

260 - NATALIA AGAPIOU


Ill. 29 - Bottega di Cimabue, Motivo Ill. 30 - Lesena con tralcio abitato da Aphro-
decorativo - Assisi, Basilica di San Fran- disias (particolare) - Londra, British Museum,
cesco (Chiesa superiore). 1921,1220.125.

un aspetto figurativo che «si continua […] fin dentro alla struttura parti-
colare dei girali», sarebbe propriamente, secondo lo studioso tedesco, un
puro prodotto del cantiere di Assisi81. Questo esempio però sembra trarre
pure la propria ispirazione da un antico elemento architettonico, essendo
il suo disegno assai simile al motivo centrale di un fregio dal racemo
abitato82 (ill. 30). Questi busti, dunque, sembrano essere semplicemente
trasposizioni di motivi già presenti nei racemi abitati antichi, frequenti
in terra italiana.
Comunque sia, più avanti, proprio nel momento in cui sembra inter-
venire la bottega di Giotto, si può in effetti parlare di una evoluzione e

81
Belting (vedi nota 79), pp. 222, 219.
82
British Museum, 1921,1220.125. Questo fregio proveniente da Aphrodisias non può essere
il modello del motivo decorativo di Assisi, ma sicuramente circolavano in Italia esempi di altri
racemi analoghi. Lo studio dei documenti ha, per esempio condotto Ballardini alla conclusione che
i fregi antichi nella basilica costantiniana erano verosimilmente molto più numerosi di quelli da noi
conosciuti; (vedi nota 66), p. 97.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 261
Ill. 31 e 32 - Bottega di Giotto, Motivi decorativi ispirati da tralci abitati - Assisi, Basi-
lica di San Francesco (Chiesa superiore), Volta dei dottori (particolari).

di un «puro prodotto del cantiere di Assisi». A parte i fregi decorativi,


che riprendono meri racemi schematizzati (ill. 31) e racemi popolati da
animali (ill. 32), si vedono ora i busti ridotti a semplici teste, dapprima
con gli occhi vuoti, a designare l’estasi paradisiaca (ill. 33), più tardi con

Ill. 33 - Bottega di Giotto, Motivo deco- Ill. 34 - Bottega di Cimabue (?), Motivo
rativo - Assisi, Basilica di San Francesco decorativo - Assisi, Basilica di San Fran-
(Chiesa inferiore), Volta con le allegorie cesco (Chiesa superiore), Volta degli
francescane (particolare). Evangelisti (particolare).

gli occhi dipinti e l’espressione più briosa (ill. 34); allo stesso tempo, le
forme cui quelle teste sono integrate divengono più stilizzate, più «mono-

262 - NATALIA AGAPIOU


toni», secondo un «ritmo rigido», mentre l’insieme si fa più variegato,
grazie all’uso del colore83.
Giotto sembra affascinato dal motivo del volto affiorante dal
fogliame. Ancora ad Assisi, sull’architrave della scena in cui san France-
sco predica dinanzi a Onorio III, si vede apparire un motivo che asso-
miglia a un cavolo da cui spunta la testa di un putto con gli occhi vuoti
(ill. 35)84. Motivi analoghi si trovano a Padova, nella Cappella degli Scro-

Ill. 35 - La predica di Francesco davanti a Onorio III (particolare) - Assisi, Basi-


lica di San Francesco (Chiesa superiore).

vegni (ill. 36). Siamo dinanzi a un residuo dei modelli di Blattmasken


delle botteghe gotiche che lavoravano ad Assisi? Non è a caso che un
raro esempio di Blattmaske scolpita in terra italiana sia già presente sul
portale della basilica superiore di Assisi (ill. 37)85.
Quel che è certo è che nelle due cappelle di Santa Croce, la cappella
Peruzzi e la cappella Bardi, entrambe decorate da Giotto, questi racemi
abitati, che avevamo incontrato come elementi decorativi sulle volte della
basilica superiore di Assisi, diventano qui vere e proprie opere, consi-
derata l’espressività individualizzata delle teste (ill. 38 e 39). Sfortuna-
tamente, il cattivo stato di conservazione di questi fregi, soprattutto di

83
Belting (vedi nota 79), p. 221. Ci pare che il motivo decorativo dell’ill. 34 sia più vicino alla
maniera della bottega di Giotto che a quella della bottega di Cimabue.
84
Posto, certo, che si consideri Giotto l’artefice di questo ciclo; B. Zanardi, Il cantiere di Giotto:
le storie di San Francesco ad Assisi […] note storico-iconografiche di C. Frugoni, Milano 1996, pp.
242-244.
85
B. Kleinschmidt, Die Basilika San Francesco in Assisi, I: Einleitung, Geschichte der Kirche,
Architektur und Skulptur, Kunstgewerbe, Berlin 1915, p. 76, ill. 63.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 263
Ill. 36 - Giotto, Motivo decorativo Ill. 37 - ‘Blattmaske’ - Assisi, Basi-
(particolare) - Padova, Cap- lica di San Francesco, por-
pella degli Scrovegni. tale della Chiesa superiore
(particolare).

Ill. 38 e 39 - Bottega di Giotto, Cappella Peruzzi, particolari degli sguanci


della finestra - Firenze, Santa Croce.

quelli che decorano le pareti della cappella Peruzzi86, non ci consente


di apprezzarne appieno le raffigurazioni, quei volti che pure «tornano

86
Contrariamente alle altre raffigurazioni, le zone ornamentali degli sguanci sono dipinte «in
vero affresco». Sulle peripezie che ha dovuto attraversare la cappella Peruzzi, vedi L. Tintori, E.
Borsook, Giotto. La Cappella Peruzzi, Torino, 1965, pp. 104-106; A. Monciatti, C. Frosinini, La
Cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, in Medioevo: i committenti (vedi nota 66), pp. 606-622. La
cappella è oggi l’oggetto di un progetto congiunto tra l’Opera di Santa Croce, l’Opificio delle Pietre
Dure e la Getty Foundation di Los Angeles. Le prime indagini hanno svelato degli impressionanti
effetti di chiaroscuro e una sorprendente tridimensionalità, smentendo dunque la lettura di H. B.
J. Magginis, In search of an artist, in A. Derbes, M. Sandona (ed.), The Cambridge Companion to
Giotto, Cambridge 2004, pp. 18-23.

264 - NATALIA AGAPIOU


leggibili»87, tanto i loro tratti sono caratterizzati. È stata questa leggibi-
lità ad averci guidati nell’accostare tali immagini all’autoritratto di Man-
tenga, ed è questa leggibilità a offrirci la ragione per riguardarle come
probabili ritratti.
Nella cappella Bardi, i fregi decorativi delle finestre (ill. 40-41) sem-
brano costituire una tappa posteriore rispetto ai fregi delle volte della
basalica superiore di Assisi. Enrico Castelnuovo vi rileva, infatti, l’evolu-
zione del «repertorio decorativo di Assisi»88. Basta guardare i volti delle

Ill. 40 e 41 - Bottega di Giotto, Cappella Bardi, particolari degli sguanci della


finestra - Firenze, Santa Croce.

figure – che non sono tutti dei putti (ill. 41) – per rendersi conto della
differenza quanto a espressività. Quei volti ‘vivi’ guardano in tutte le
direzioni, come se volessero attirare la nostra attenzione su ciò che li
circonda. Giuliano Pisani interpreta in questo senso una delle grisaglie
della cappella degli Scrovegni: lo spettatore – in questo caso Enrico Scro-

87
È Cecilia Frosinini a utilizzare questa felice espressione in un comunicato stampa; l’espres-
sione si riferisce però alle figure dei dipinti murali della cappella.
88
Egli include nel suo testo un’immagine, con la didascalia che segue: «Gli elementi classici
del repertorio decorativo assisiate sono sviluppati da Giotto a Padova e a Firenze. Fiori, fogli di
acanto, teste di putti sono trattati tridimensionalmente; la luce e l’ombra ne definiscono i volumi
e lo spessore. Schemi compositivi gotici, come nel quadrilobo del centro, si inseriscono nel motivo
classico del tralcio»; E. Castelnuovo, Arte delle città, arte delle corti tra XII e XIV secolo, in Storia
dell’arte italiana, 5: Dal Medioevo al Quattrocento, a cura di F. Zeri, Torino 1983, legenda de l’ill. 114.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 265
vegni – è invitato, dallo sguardo della figura in questione, a osservare e
percepire il messaggio morale che il pittore gli comunica89.
Nel caso della cappella Peruzzi, i volti dei fregi sono ancor più diffe-
renziati tra loro (ill. 22, 38, 39). Esaminiamo quello che è all’origine della
nostra riflessione (ill. 22): a ben guardarlo si resta colpiti dai suoi tratti per-
sonalizzati. Un gioco di luce si disegna sulla fronte, sul sopracciglio destro,
sulla guancia destra, sul mento; la parte superiore della fronte, le tempie,
la punta del naso e le linee delle guance sono sottolineate da effetti d’om-
bra. Una linea profonda si disegna tra le sopracciglia; il naso è piuttosto
grosso, le labbra, per contro, sottili, e la bocca leggermente socchiusa. Lo si
potrebbe chiamare senza problemi un ritratto. Si badi però di non confon-
dere espressività e ritrattistica, «due nozioni che occorre tener distinte»90.
Enrico Castelnuovo si è soffermato però anche su altre testine che
‘abitano’, questa volta, le cornici della cappella Peruzzi (ill. 42). Secondo

Ill. 42 - Bottega di Giotto, Ritratti - Firenze, Santa Croce, Cappella Peruzzi.

89
G. Pisani, I volti segreti di Giotto. Le rivelazioni della Cappella degli Scrovegni, Milano 2008,
pp. 263-274.
90
Il monito è di Roland Recht, riportato da Enrico Castelnuovo: Les portraits individuels de
Giotto, in D. Olariu (éd.), Le portrait individuel. Réflexions autour d’une forme de représentation
XIIIe-XVe siècles, Berne 2009, p. 96. Su Giotto e il ritratto vedi in specie P. Seiler, Giotto als Erfinder
des Porträts, in Das Porträt vor der Erfindung des Porträts, hg. von M. Büchsel, P. Schmidt, Mainz
2003, pp. 153-172.

266 - NATALIA AGAPIOU


Frederik Antal ci troveremmo dinanzi ai ritratti dei membri della famiglia
dei committenti, i Peruzzi, «i primi tra i ricchi fiorentini ad essere rappre-
sentati fuori da un affresco o da un quadro religioso, in ritratti quasi del
tutto autonomi, anche se inseriti nella cornice dei dipinti»91. Sarà così?
Anche Eve Borsook conferma che sono qui «probabilmente» presenti
dei membri della famiglia Peruzzi, e tuttavia rileva che essi sono «assai
modestamente collocati dentro le fasce ornamentali» della cappella92.
Alessio Monciatti si mostra più cauto e propone di «sospendere ogni
ulteriore affondo» in attesa dei risultati dell’indagine in corso93. Enrico
Castelnuovo riconosce nondimeno che siamo di fronte a una «volontà
caratterizzante […] a ben più alta concentrazione che nei personaggi delle
scene leggendarie» e fa notare che, tanto in questo caso quanto nella
cappella degli Scrovegni, «i tentativi più avanzatamente illusionistici e
naturalistici sono confinati ai margini»94. Con i loro differenti costumi
e atteggiamenti95, queste testine sembrano apparentarsi alle rappresen-
tazioni dei diversi ruoli, così care al Medioevo, come quelle scolpite nei
capitelli del Palazzo Ducale a Venezia96. Questi ‘ritratti’ sarebbero dunque
piuttosto delle immagini emblematiche della classe borghese fiorentina?
E le teste che compaiono nei motivi ornamentali degli sguanci della
finestra della cappella Peruzzi? Stranamente, Leonetto Tintori et Eve
Borsook, i restauratori della cappella, le passano quasi sotto silenzio,
designandole semplicemente con una parola – «putti» – e si mostrano più
sensibili ai motivi decorativi che li accompagnano: uomini a cavallo, stelle
di fuoco, le insegne dei committenti – le pere97. Se si confrontano però i
fregi della cappella Bardi con quelli della cappella Peruzzi, in cui appare il
volto di cui ci stiamo occupando, ci si rende conto di essere in presenza di
una indubbia evoluzione; i volti sono meno vividi ma nelcontempo appa-
iono dotati di interiorità. Ci asteniamo dal proporre che si tratti di raffi-
gurazioni di personaggi realmente esistiti; e però siamo indubbiamente in
presenza di volti di una impressionante espressività. Quanto alla loro rela-
zione con la vegetazione che li circonda, sembrano Blätterkelchbüste all’in-
contrario; le figure pendono in questo caso dal calice della pianta. Detta-

91
F. Antal, La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento,
Torino 1960 (ed. orig. London 1947), p. 230.
92
E. Borsook, Giotto nelle cappelle Bardi e Peruzzi, «Città di Vita» 21 (1966), p. 365; cfr. Tintori,
Borsook (vedi nota 86), p. 25: «più prudenti e più modesti».
93
Monciatti (vedi nota 86), pp. 614-615.
94
E. Castelnuovo, Il significato del ritratto pittorico nella società, in Storia d’Italia, 5: I documenti,
a cura di L. Cracco Ruggini e G. Cracco, Torino 1973, pp. 1039-1040.
95
Castelnuovo (vedi nota 90), pp. 116-119.
96
I capitelli del Palazzo Ducale di Venezia, a cura di T. Rizzo, Venezia 1995, p. 21: Teste; p. 55:
Teste di uomini.
97
Tintori, Borsook (vedi nota 86), p. 25.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 267
glio importante: troviamo esattamente le stesse foglie e la stessa disposi-
zione in un motivo ornamentale della basilica inferiore di Assisi (ill. 43).

Ill. 43 - Confronto fra un motivo decorativo proveniente dalla Chiesa inferiore


della Basilica di San Francesco ad Assisi e il ritratto nella Cappella
Peruzzi di Santa Croce a Firenze.

Che valore avrebbero rivestito per Mantegna queste testine? Egli


avrebbe dunque visto queste opere ‘periferiche’ di Giotto? Qual era l’im-
portanza di quest’ultimo per Mantegna? Sappiamo che gli artisti pado-
vani della sua generazione, con cui aveva lavorato nella cappella Ovetari
della chiesa degli Eremitani, furono inclini a una rivalutazione dei lavori
locali risalenti al Trecento. Ora, Giotto aveva soggiornato e lavorato a
Padova nella cappella degli Scrovegni98. Sappiamo, d’altra parte, come
la cappella Peruzzi fosse particolarmente ammirata nel Quattrocento, e
come la qualità di quelle pitture fosse apprezzata, tra gli altri, da Miche-
langelo che ne fece delle copie99. Ancora oggi, anche prima delle recenti
scoperte, gli studiosi sono ammirati dalla qualità delle pitture di questa
cappella: si parla del «Giotto monumentale della Cappella Peruzzi»100 e
si insiste sul «modernissimo stile Peruzzi»101.
Mantegna soggiornò a Firenze nel luglio del 1466, cioè nel periodo
in cui lavorava alla ‘Camera dipinta’102 . Se visitò Santa Croce, il che

98
I. Holgate, Giovanni d’Alemagna, Antonio Vivarini and the Early History of the Ovetari Chapel,
«Artibus et Historiae» 24/47 (2003), p. 15.
99
Tintori, Borsook (vedi nota 86), pp. 28 sg.
100
Castelnuovo (vedi nota 88), p. 208.
101
C. Volpe, «Il lungo percorso del ‘dipingere dolcissimo e tanto unito’», in Storia dell’arte ita-
liana (vedi nota 88), p. 265, n. 11; cfr. p. 275, n. 23: «lo stile Peruzzi, personalissimo e senza un vero
seguito».
102
Carlo D’Arco prende in considerazione una lettera di Aldobrandini al marchese Ludovico

268 - NATALIA AGAPIOU


è decisamente plausibile, vista la fama della chiesa, non è impossi-
bile che siano stati questi volti caratterizzati, che scrutano da dietro
il fogliame, a far scattare in lui l’idea di trasformare il gorgoneion
dell’arco dei Gavi in autoritratto (ill. 44). Antoinette Roesler-Frieden-
thal fa un’interessante osservazione sull’autoritratto di Mantegna: «il
volto dà l’impressione di trovarsi su un secondo strato, spazialmente
differenziato, come se guardasse dall’esterno nella sala attraverso un’a-
pertura nel muro»103; il volto della cappella Peruzzi – meno solenne, è
vero – dà la stessa impressione. Non si può fare a meno di pensare al
celebre passaggio di Plinio il Vecchio, che riferisce come Apelle avesse
l’abitudine, terminata un’opera, di esporla in una galleria alla vista di
tutti e di nascondersi dietro per ascoltare i commenti dei passanti104.
Mantegna qui sembra infatti vigilare su ciò che accade nella ‘Camera
dipinta’, ricoperta di pitture di sua mano, ed attendere il nostro ver-
detto. Quanto alla questione se il ritratto di Giotto nasconda un autori-
tratto105, questo meriterebbe di diventare il tema di un altro intervento.

Ill. 44 - Confronto fra il ritratto giottesco nella Cappella Peruzzi e l’au-


toritratto di Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del Castello di San
Giorgio di Mantova.

Gonzaga, datata il 5 luglio 1466, in cui viene riferito che Mantegna si trova a Firenza; Dell’arti e
artefici di Mantova, Mantova 1857, II, p. 12, n. 12. Questa informazione viene ripresa da P. Kristeller,
Andrea Mantegna, London 1901, pp. 208 e 223-224. Christoph L. Frommel, d’altra parte, suppone
anche un viaggio verso il 1454-56, durante il quale Mantegna avrebbe incontrato Leon Battista
Alberti; Mantegna architetto, in Andrea Mantegna: impronta del genio (vedi nota 2), p. 189. Non ho
potuto trovare altri riferimenti a un viaggio a Firenze in quel periodo.
103
Roesler-Friedenthal (vedi nota 6), p. 162.
104
Nat. Hist. XXXV, 84.
105
Sulle testimonianze dei contemporanei di Giotto sul suo ritratto, vedi N. E. Land, Giotto as
an ugly genius: a study in self-potrayal, «Explorations in Renaissance Culture» 23 (1977), pp. 23-36;
cfr. A. Nagel, Authorship and image-making in the monument to Giotto in Florence Cathedral, «RES.
Anthropology and Esthetics» 53-54 (Spring-Autumn 2008), pp. 143-151. Sul tema degli autoritratti
di Giotto, vedi Seiler (vedi nota 89), p. 155, n. 25.

L’autoritratto di Andrea Mantegna nella ‘Camera dipinta’ del castello di San Giorgio... - 269

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