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1964, pp. 253-282. D’ora in avanti farò sempre riferimento all’edizione delle Genealogie deo�
rum gentilium procurata da V. Zaccaria in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V.
Branca, voll. VII-VIII, Milano, Mondadori, 1998. Il corredo di note e riferimenti bibliografici
non ha alcuna pretesa di esaustività, e intende semmai rilevare i punti salienti di un percorso
di riflessione, che in quella circostanza si è rivelato felicemente libero dalle pastoie dei vincoli
disciplinari.
2 Ancora fondamentale l’opera di H. de Lubac, Exégèse médiévale. Les quatre sens de
l’Écriture, II/2, 1964, trad. it. Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, vol. 4, Milano,
Jaca Book, 2006.
3 Non toccherò il problema delle fonti mitografiche del Boccaccio, le quali, del resto, ad
esclusione del misterioso Teodonzio – per cui lo stesso Zaccaria (cfr. V. Zaccaria, Boccaccio
narratore, storico, moralista e mitografo, Firenze, Olschki, 2001) non sembra spingersi oltre
le acquisizioni del Landi (cfr. C. Landi, Demogòrgone. Con un saggio di nuova edizione delle
«Genealogie deorum gentilium» del Boccaccio e silloge dei frammenti di Teodonzio, Palermo,
Sandron, 1930) –, sono state ormai da tempo individuate dagli specialisti, che hanno ben
illustrato anche la grande influenza esercitata dalla Genealogia fino a tutto il Cinquecento: si
vedano ancora i classici studi di J. Seznec, La survivance des dieux antiques. Essai sur le role de
la tradition mythologique dans l’humanisme et dans l’art de la Renaissance, 1940 (19802), trad.
it. La sopravvivenza degli antichi dèi. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica nella cultura e
nell’arte rinascimentali, a cura di G. Niccoli, Torino, Boringhieri, 1981, pp. 268-280 e passim;
E. Garin, Medioevo e Rinascimento. Studi e ricerche, Roma-Bari, Laterza, 1954 (19732), pp. 63-
84; H. de Lubac, Esegesi medievale, cit., pp. 278, 399-400. Sulle possibili identità di Teodonzio
rinvio al contributo di Maria Paola Funaioli in questo stesso fascicolo di «Interesezioni».
4 Cfr. ora J. Assmann, Dio e gli dèi. Egitto, Israele e la nascita del monoteismo, Bologna,
Il Mulino, 2009.
5 Si pensi ai capitali lavori di H. Usener, Götternamen. �����������������������������������
Versuch einer Lehre von der religi�
ösen Begriffsbildung, 1896 (19483), trad. it. I nomi degli dèi. Saggio di teoria della formazione
dei concetti religiosi, a cura di M. Ferrando e R.M. Parrinello, Brescia, Morcelliana, 2008; e
di É. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 1969, trad. it. Il vocabolario
delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1976.
6 G. Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento (Homo sacer II/3),
rinvio una volta per tutte alle pp. 18-22 del saggio introduttivo dell’edizione Zaccaria; si veda
inoltre V. Zaccaria, Boccaccio narratore, cit.
8 Trattatello in laude di Dante, I, 128-129, che leggo nell’edizione a cura di L. Sasso, Mi-
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Petrarca (Fam. X, 4), e cioè che le origini della poesia affondano nel
cuore dell’esperienza religiosa della «prima gente ne’ primi secoli»,
la quale, pur «rozzissima e inculta» era «ardentissima di conoscere il
vero»9. Quei primi uomini, infatti, desiderosi di venerare la divinità,
eressero templi e statue «in rappresentamento della imaginata essen-
zia divina», a cui offrirono doni e ornamenti, e che pensarono bene
di propiziarsi trovando parole acconce alla sua dignità, «nelle quali
le si porgessero sacrate lusinghe»10. Affinché tali parole avessero più
efficacia, essi «vollero che fossero sotto legge di certi numeri compo-
ste, per li quali alcuna dolcezza si sentisse, e cacciassesi il rincresci-
mento e la noia. E certo, questo non in volgar forma o usitata, ma
con artificiosa e esquisita e nuova convenne che si facesse. La quale
forma li Greci appellano poetes; laonde nacque, che quello che in
cotale forma fatto fosse s’appellasse poesis; e quegli che ciò faces-
sero o cotale modo di parlare usassono, si chiamassero poeti»11. La
pseudo-etimologia, che gli proviene da Isidoro di Siviglia, si ritrova
alla lettera nella Genealogia12, e più avanti ci darà modo di rilevare
un aspetto cruciale della poetica teologica del Boccaccio.
Segue un interessante précis di storia «naturale» della religione,
in cui riaffiora il paradigma antico dell’evoluzione del politeismo
(divinizzazione dei pianeti e degli elementi) dal culto primigenio di
una «superiore potenzia». La ragione di ciò viene individuata nel
desiderio di affermazione di coloro che inventarono nuove divinità,
per quanto subordinate a quella suprema, laddove le «rozze età» si
limitarono alla «laudevole e buona intenzione» di coltivare ed onorare
la «sola deità»13. Una sapienza, questa, che il Boccaccio, nel secondo
Proemio della Genealogia, ritiene condivisa da testimoni credibilissimi,
e appartenenti a molte religioni, ma che fu a un certo punto corrotta
dai «filosofanti anche di diversa opinione», e dopo di loro anche dai
poeti, i quali tutti credettero essere «primi dèi quelle che erano le
prime cause del mondo»14.
nato da dove molti inavvertitamente credono, cioè da poio, pois, ma da poetes, antichissimo
vocabolo greco, che significa in latino exquisita locutio»). Boccaccio fa dunque derivare poesis
non da poio (poieo) ma da poetes «quod latine sonat exquisita locutio»; la pseudo-etimologia
è tratta da Isidoro di Siviglia, Etym. VIII, vii, 2; cfr. G. Billanovich, Petrarca letterato, I. Lo
scrittoio del Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1947, p. 124; É. Gilson, Poésie
et vérité, cit., p. 277.
13 Trattatello, I, 133 ss., ed. Sasso, cit., pp. 50 s.
14 Geneal., Proem. II, 4, ed. Zaccaria, cit., pp. 64 s. («…secundum suas credulitates esse
eos deos primos quos ipsi arbitrabantur rerum primas fuisse causas»).
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2. Omissioni e cautele
15 Cfr. J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi dèi, cit., pp. 177-204 e passim.
16 Se ne tratta diffusamente in L. Canetti, Il passero spennato. Riti, agiografia e memoria
dal Tardoantico al Medioevo, Spoleto, Fondazione CISAM, 2007, e in Id., Rappresentare e
vedere l’invisibile. Una semantica storica degli «ornamenta ecclesiae», in Religiosità e civiltà.
Le comunicazioni simboliche (secoli IX-XIII), a cura di G. Andenna, Milano, Vita e Pensiero,
2009, pp. 345-405.
17 Un’originale messa a punto su questi temi si troverà in A. Boureau, Satan hérétique.
Histoire de la démonologie (1280-1330), 2004, trad. it. Satana eretico. Nascita della demonologia
nell’Occidente medievale (1280-1330), Milano, Baldini e Castoldi, 2006.
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vi alle censure dei teologi e dei giuristi contro le favole dei poeti,
cioè la mitologia pagana). Benché l’inquisizione medievale, gestita
dai vescovi e poi dagli ordini mendicanti, non si occupasse ancora
tecnicamente di stilare elenchi di libri proibiti, furono molti i testi
(oltre alle persone) che tra Due e Trecento vennero messi al rogo:
dalle opere di Abelardo e Gioacchino da Fiore alle Bibbie in volgare;
dai manoscritti talmudici alla Monarchia di Dante, solo per citare i
più noti18. In ogni caso mi pare che la questione della religiosità e
della fede personale del Boccaccio rimanga sostanzialmente esterna
ed estranea alla Genealogia, malgrado o forse proprio anche a causa
delle insistite proteste di ortodossia nelle chiuse dei Proemi. Più che
di apologia personale, si trattava di difendere la possibilità e l’utilità
per i cristiani di un’esegesi dei miti pagani19.
3. Teologia e allegoria
guerra de Irak, 2004, trad. it. Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere
alla guerra in Iraq, Roma, Viella, 2007, pp. 119-124.
19 Più interessante, riguardo al tema della religiosità del Boccaccio, si rivela senz’altro il
Decameron, e non solo per gli sferzanti giudizi contro i frati, la corruzione del clero e il culto
delle reliquie. Ma sono cose notissime, e invero poco pertinenti al tema del mio discorso. Rin-
vio quindi allo studio pionieristico di Arturo Graf sul Boccaccio ‘superstizioso’ (cfr. A. Graf,
Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, 1892-93, nuova edizione a cura di C. Allasia e W.
Meliga, Milano, Bruno Mondadori, 2002, pp. 305-321), e alle trattazioni più e meno sistemati-
che di Carlo Muscetta, Vittore Branca, Alberto Asor Rosa ed Emilio Pasquini.
20 Geneal., Proem. I, 18, ed. Zaccaria, cit., p. 50.
21 Doveroso il rinvio a J. Pépin, La «théologie tripartite» de Varron. Essai de reconstitution
et recherche des sources, in Mémorial Gustave Bardy = «Revue des Études Augustiniennes»,
2 (1956), pp. 265‑294; Id., Mythe et allégorie. Les origines grècques et les contestations judéo-
chrétiennes, Paris, Études Augustinienns, 1958 (19762), pp. 13-32; 276 ss.
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22 Cfr. L. Lugaresi, Il teatro di Dio. Il problema degli spettacoli nel cristianesimo antico (II-V
cora partire dal monumentale lavoro di Pépin (v. supra, nota 21). Sulla fortuna medievale di
Ovidio basti qui il rinvio (tra i molti possibili) ai contributi raccolti in Aetates ovidiane. Lettori
di Ovidio dall’Antichità al Rinascimento, a cura di I. Gallo e L. Nicastri, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1995.
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Morcelliana, 1999, pp. 186-200; il problema di una conciliazione tra verità del mito pagano e
rivelazione cristiana verrà ricondotto alle coordinate di una possibile teologia mitica ancora da
Pico della Mirandola (cfr. E. Wind, Pagan Mysteries in the Renaissance, 1958 (19803), trad. it.
Misteri pagani nel Rinascimento. Nuova edizione riveduta, Milano, Adelphi, 1985, pp. 21-31).
29 Cfr. p. es. Geneal. XIV, vii, 6, ed. Zaccaria, cit., pp. 1400-1402 («Si ergo legerint, quid
Tullius Cicero, homo phylosophus non poeta, dixerit ea in oratione, quam apud senatum ha-
buit pro Aulo Licinio Archya, in fidem forsan faciliores devenient. Dicit enim sic: Atque sic a
summis hominibus eruditissimisque accepimus. Ceterarum rerum studia et doctrina et preceptis
et arte constare, poetam natura ipsa valere, et mentis viribus excitari, et quasi divino quodam
spiritu inflari etc. Ergo, ne orationem longius protraham, satis apparere potest piis hominibus
poesim facultatem esse, et ex dei gremio originem ducere, et ab effectu nomen assumere, et ad
eam insignia atque fausta multa spectare, quibus ipsimet negantes utuntur assidue»).
30 L’opera, com’è noto, fu letta con entusiasmo dal Petrarca, che ne donò il manoscritto al
Boccaccio facendogliela conoscere (cfr. G. Billanovich, Petrarca letterato, cit., pp. 96, 107 s.,
123, 192, 208; É. Gilson, Poésie et vérité, cit., pp. 281 s.).
31 P. Kingsley, Ancient Philosophy, Mistery and Magic. Empedocles and Pythagorean Tradition,
1995, trad. it. Misteri e magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica, Milano,
il Saggiatore, 2007; Id., In the Dark Places of Wisdom, 1999, trad. it. Nei luoghi oscuri della
saggezza, Milano, Tropea, 2001; G. Costa, La sirena di Archimede. Etnolinguistica comparata e
tradizione preplatonica, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008.
32 Quasi scontato il rimando a E.R. Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelal�
ter, 1948 (19532), trad. it. Letteratura europea e Medioevo latino, a cura di R. Antonelli, Firenze,
La Nuova Italia, 1992, pp. 255-273.
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re, sapienziale, insomma, del poeta (sia egli l’aedo omerico oppure il
bardo celtico33) quale «maestro di verità», portatore di una aletheia
che, come aveva chiarito Marcel Détienne, non ha ancora a che fare
con l’episteme. Figlia di Mnemosyne, quella verità è semmai tutt’uno
con la iatromantica incubatoria e con la giustizia ordalica della re-
galità primitiva34. Attraverso le tecniche della hesychia monastica,
quell’antica verità di ordine mantico e terapeutico ha trovato forse
esiti imprevisti nelle agiografie e liturgie santuariali del Mezzogiorno
grecanico nei secoli centrali del Medioevo, in quelle stesse regioni
in cui i filosofi-sapienti-poeti della scuola di Elea avevano fondato
le proprie scuole e sviluppato le tecniche estatiche di incubazione
rituale35.
Si sa che Esiodo, poeta didascalico, fu il primo ad attaccare
Omero (ma poi lo criticarono anche Pindaro, Euripide e Callimaco);
sarà poi il logos filosofico, dapprima con i physikoi della Ionia, poi
con Platone i Sofisti e Aristotele, a contrapporsi al mythos poetico:
l’allegorismo diventa allora la soluzione di compromesso tra Omero
e Platone, una via che del resto lo stesso Platone aveva percorso
nell’esegesi dei miti cosmogonici e psicologici del Timeo e della Re�
pubblica. Arriva sino al Romanticismo tedesco la millenaria fortuna
delle metafore della verità nascosta sotto la corteccia delle parole
(«sub verborum tegmine vera latent», come scriveva Giovanni di Sa-
lisbury36); del bell’involucro delle squisite forme poetiche, che tanto
spesso ritorna in Boccaccio; o del velo di Iside dietro cui, secondo
l’antica massima attribuita a Eraclito, «la natura ama nascondersi»
( physis kryptesthai philei ) 37. Entrambe le dimensioni, profetica e
didascalica, convivono e confluiscono in Dante, maestro di verità ma
anche profeta e visionario ispirato.
Nella poetica del Boccaccio, quella tensione tra le due istanze
non approda mai a una piena risoluzione. Non mi riferisco tanto
all’apparente giustapposizione tra l’abito erudito dei primi tredici libri
della Genealogia e la veste teorica e apologetica degli ultimi due 38.
1967, trad. it. I maestri di verità nella Grecia arcaica, Roma-Bari, Laterza, 1977.
35 Se ne tratta in L. Canetti, Sogno e terapia nel Medioevo latino, in Terapie e guarigioni, a
cura di A. Paravicini Bagliani, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2010, pp. 25-54; sulla
iatromanzia iniziatica degli Eleati cfr. G. Costa, La sirena di Archimede, cit., pp. 162-187.
36 Cfr. Iohannis Sarisberiensis Entheticus de dogmate philosophorum, v. 186, in PL, 199, col.
de nature, 2004, trad. it. Il velo di Iside. Storia dell’idea di natura, Torino, Einaudi, 2006. Una
storia culturale delle metafore cosmologiche fu prospettata da H. Blumenberg, Paradigmen zu
einer Metaphorologie, 1960, trad. it. Paradigmi per una metaforologia, Milano, Raffaello Cortina,
2009, pp. 115-133.
38 Cfr. V. Zaccaria, Introduzione alle Genealogie, cit., pp. 32 ss.
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41 Cfr. Trattatello in laude di Dante, I, 138 ss., ed. Sasso, cit., pp. 52 ss.
42 Molto materiale viene discusso in La corona e i simboli del potere, a cura di A. Piras,
Rimini, il Cerchio, 2000.
43 Cfr. anche Geneal. XV, ix, ed. Zaccaria, cit., pp. 1548-60, dove si dimostra che non è
di Siviglia, dei Moralia di Gregorio Magno: Gregorii Magni Moralia in Iob, ep. Leandro, 4 (cfr.
Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, I, a cura di P. Siniscalco, Roma, Città Nuova,
1992, pp. 86 s.).
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fiume della Scrittura, con uno stesso sermone, aprendo «il testo e il
misterio a quel sottoposto», conforta i semplici ed esercita i sapienti,
nutre in aperto i pargoli mentre in occulto serba di che allettare «le
menti de’ sublimi intenditori»46.
L’allegoria poetica (visioni, parabole, profezie, in prosa o in versi)
è dunque il dispositivo attraverso cui la stessa Scrittura ci addita i
grandi misteri della storia della salvezza. Del pari, i poeti pagani, per
via di finzioni, di metamorfosi e di persuasioni leggiadre, ci hanno
mostrato le ragioni delle cose e gli effetti delle virtù e dei vizi (teolo-
gia mitica e teologia fisica). L’allegorismo, come ha mostrato Curtius,
non è soltanto il dispositivo atto a giustificare l’idea di una verità
nascosta e che va disvelata, ma anche l’abito pret-à-porter che ha
rivestito le ambizioni universalistiche di un ideale di polimathia che
dai Greci, attraversando i secoli, è approdato fino a Goethe47.
La teologia e la poesia, benché «avverse nel suggetto», convergono
dunque nella «forma dell’operare»48: ecco perché i detrattori della
poesia rischiano incautamente di biasimare lo Spirito Santo, che ha
parlato in forma poetica nella corteccia delle Sacre Scritture (un tema
che, da san Girolamo in poi, ha attraversato l’intera poetica biblica
del Medioevo latino). Inoltre, il valore della poesia viene accresciuto
dall’eccellenza dell’ornamento (si osservi che ornatus, in latino, non
rinvia alla mera funzione decorativa; al contrario, ha in sé la pregnan-
za semantica del greco agalma, ciò che onora e risplende e quindi
glorifica, e che dunque è più adatto alla sostanza divina, che l’orna-
mento celebra e rappresenta per via sintagmatica e metonimica). La
verità piana dà scarso diletto e viene subito dimenticata; quella che è
frutto di persuasione (la via filosofica) non è mai abbastanza attraente
né sa godere della verità che dimostra; quella nascosta sotto la coper-
ta delle belle favole è non soltanto più dolce e più memorabile ma –
sembra dire il Boccaccio – è l’unica che arrivi a cogliere la dolcezza
del frutto nascosto. Il «velament[um] fabulos[um] atque decent[e]»
con cui la poesia ricopre la verità è molto più di un mero espediente
retorico e decorativo per abbellirne i contenuti morali e dottrinali49;
e la ‘decenza’ del velo non è pudicizia ma decus e decorum, ciò che
conviene, ciò che si addice (decet) al suo altissimo referente, e rinvia
per l’appunto a quel registro glorioso e agalmatico dei segni divini, di
cui fa parte la lingua poetica. Allo stesso modo, un reliquiario d’oro
e di gemme è necessario a onorarne il contenuto prezioso: è il reli-
1414; 1418-1420).
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50 Cfr. L. Canetti, Rappresentare e vedere l’invisibile, cit.; Id., Impronte di gloria. Effigie e
del cap. XII, pp. 240-246); vi è ritornato G. Frasso, Riflessioni sulla «difesa della poesia» e
sul rapporto «teologia-poesia» da Dante a Boccaccio, in Il pensiero filosofico e teologico di Dante
Alighieri, a cura di A. Ghisalberti, Milano, Vita e Pensiero, 2001, pp. 149-173 (152 ss., 161-
164).
54 Trattatello in laude di Dante, I, 154-155, ed. Sasso, cit., p. 57. Nella seconda redazione
del Trattatello (1367) l’identità tra poesia e teologia verrà mitigata in una forma di tendenziale
simiglianza (cfr. G. Frasso, Riflessioni sulla «difesa della poesia», cit., pp. 164 s.).
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55 Dante, Ep. XIII, [9] 27, a cura di G. Brugnoli, in Dante Alighieri, Opere minori, t. II,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1979, pp. 612-614; n. ed. critica in Dante Alighieri, Epistola a Can�
grande, a cura di E. Cecchini, Firenze, Giunti, 1995, p. 10; seguo qui E.R. Curtius, Letteratura
europea, cit., pp. 247 ss.
56 Cfr. Magistri Alexandri de Hales Summa Theologiae I, 1, ed. a Patribus Collegii S. Bo-
naventurae, Ad Claras Aquas prope Florentiam 1924 (= 1979), t. I, p. 7; cfr. E.R. Curtius,
Letteratura europea, cit., pp. 248 s.
57 Dante, Ep. XIII [9], 27, ed. Brugnoli, cit., p. 614; ed. Cecchini, cit., p. 10.
58 Cfr. E.R. Curtius, Letteratura europea, cit., p. 250.
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7. Un «divino fervore»
59 Summa theol. p. I, q. 1, a. 9: «Videtur quod sacra Scriptura non debeat uti metaphoris.
Illud enim quod est proprium infimae doctrinae, non videtur competere huic scientiae, quae
inter alias tenet locum supremum, ut iam dictum est. Procedere autem per similitudines varias
et repraesentationes, est proprium poeticae, quae est infima inter omnes doctrinas. Ergo huius-
modi similitudinibus uti, non est conveniens huic scientiae. […] Ad primum ergo dicendum
quod poeta utitur metaphoris propter repraesentationem, repraesentatio enim naturaliter homini
delectabilis est. Sed sacra doctrina utitur metaphoris propter necessitatem et utilitatem […] ».
60 Cfr. É. Gilson, Poésie et vérité, cit., pp. 261 s.
61 Cfr. G. Frasso, Riflessioni sulla «difesa della poesia», cit., pp. 161-163.
62 Cfr. ibidem, pp. 155-160.
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Canetti, «Facendosi fare di cera». Un’euristica dell’eccedenza e della somiglianza tra Medioevo
ed Età moderna, in Finis corporis. Eccedenze, protuberanze, estremità nei corpi, in «Micrologus.
Natura, scienza e società medievali», XX (2012), in corso di stampa.
66 Cfr. G. Didi-Huberman, La ressemblance par contact. Archéologie, anachronisme et mo�
dernité de l’empreinte, 2008, trad. it. La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e
modernità dell’impronta, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, pp. 92-111.
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Bibliografia essenziale
67 Arist. Poet. 1447a (I, 15): le imitazioni (mimeseis) «…differiscono l’una dall’altra per tre
aspetti: o per il fatto di imitare con mezzi diversi, o cose diverse, o diversamente e non nello
stesso modo» (cfr. Aristotele, Poetica, trad. e cura di P. Donini, Torino, Einaudi, 2008, p. 5).
La somiglianza, in altre parole, come il filosofo illustrerà nei successivi capitoli, varia a seconda
dei mezzi, degli oggetti e dei modi.
68 Cfr. G. Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Ei-
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H. de Lubac, Exégèse médiévale. Les quatre sens de l’Écriture, II/2, 1964, trad. it.
Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, vol. 4, Milano, Jaca Book,
2006.
F. Ohly, Geometria e memoria. Lettera e allegoria nel Medioevo, a cura di L. Ritter
Santini, Bologna, Il Mulino, 1984.
J. Pépin, Mythe et allégorie. Les origines grècques et les contestations judéo-chrétien�
nes, Paris, Études Augustiniennes, 1958 (19762).
J. Seznec, La survivance des dieux antiques. Essai sur le role de la tradition mytholo�
gique dans l’humanisme et dans l’art de la Renaissance, 1940 (19802), trad. it.
La sopravvivenza degli antichi dèi. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica
nella cultura e nell’arte rinascimentali, a cura di G. Niccoli, Presentazione di
S. Settis, Torino, Boringhieri, 1981.
H. Usener, Götternamen. Versuch einer Lehre von der religiosen Begriffsbildung,
1896 (19483), trad. it. I nomi degli dèi. Saggio di teoria della formazione dei
concetti religiosi, a cura di M. Ferrando e R. M. Parrinello, Brescia, Mor-
celliana, 2008.
E. Wind, Pagan Mysteries in the Renaissance, 1958 (19803), trad. it. Misteri pagani
nel Rinascimento, nuova edizione riveduta, Milano, Adelphi, 1985.
Abstract: Boccaccio the theologian. Poetry and Truth in the Late Middle
Ages
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