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Le Guerre pirriche furono un conflitto che vide tra il 280 a.C. ed il 275 a.C. la
Repubblica romana affrontare l'esercito del re epirota, Pirro, a capo di una
coalizione greco-italica. Ebbero luogo nell'Italia meridionale e coinvolsero anche
le popolazioni italiche del posto. Generata dalla reazione di Taranto, citt� della
Magna Grecia, all'espansionismo romano, la guerra coinvolse presto anche la Sicilia
greca e Cartagine. Dopo alterne vicende, i Romani riuscirono alla fine a battere
Pirro, costretto a lasciare definitivamente l'Italia; l'esito fu l'egemonia romana
sull'intera Magna Grecia, ad eccezione della Sicilia.
Roma
Dopo il superamento del pericolo costituito dalla presenza delle popolazioni
galliche a Nord, temporaneamente respinte grazie alla battaglia dell'Aniene, le
vittorie su Volsci ed Equi e gli accordi stipulati con Etruschi e Latini, Roma pot�
avviare, nella seconda met� del IV secolo a.C., un intenso processo di espansione
verso il Meridione della penisola italica. La vittoria romana nelle tre guerre
sannitiche (343-341; 326-304; 298-290 a.C.) assicur� dunque all'Urbe il controllo
di buona parte dell'Italia centro-meridionale; le strategie politiche e militari
attuate da Roma - quali la fondazione di colonie di diritto latino, la deduzione di
colonie romane e la costruzione della via Appia - testimoniano la potenza di tale
spinta espansionistica verso Sud. L'interesse per il dominio territoriale non era
infatti una semplice prerogativa di alcune famiglie aristocratiche, tra cui la gens
Claudia, ma investiva tutta la scena politica romana, e a esso aderiva l'intero
senato assieme alla plebe. A sollecitare l'avanzata verso Sud erano infatti
interessi di tipo economico e culturale; a frenarla contribuiva invece la presenza
di una civilt�, quella della Magna Grecia, ad alto livello di organizzazione,
militarmente, politicamente e culturalmente capace di resistere all'espansione
romana.
Non � possibile determinare con precisione quali fossero i rapporti commerciali che
univano Roma con i centri della Magna Grecia, ma risulta probabile una certa
compartecipazione di interessi commerciali tra l'Urbe e le citt� greche della
Campania, testimoniata dall'emissione, a partire dal 320 a.C., di monete romano-
campane.[11] Non � tuttavia chiaro se tali intese commerciali siano state il
fattore o il prodotto delle guerre sannitiche e dell'espansione romana verso
Meridione, e non � dunque possibile determinare quale sia stato l'effettivo peso
dei negotiatores nella politica espansionistica, almeno fino alla seconda met� del
III secolo a.C. A determinare la necessit� di un'espansione territoriale verso Sud
erano, per�, anche le esigenze della plebe rurale, che richiedeva nuove terre
coltivabili che l'espansione nell'Italia centrale e settentrionale non era bastata
a procurare.
Lo sviluppo economico che interess� l'Urbe tra IV e III secolo a.C. port�,
comunque, ad un progressivo avvicinamento di Roma all'area magnogreca, ed ebbe,
dunque, anche pesanti ripercussioni sugli aspetti istituzionali, culturali e
sociali della vita nell'Urbe. Il contesto culturale romano fu fortemente
influenzato dalla penetrazione della filosofia pitagorica, presto accettata dalle
�lite aristocratiche, e dal contatto con la storiografia ellenistica, che modific�
profondamente la produzione storiografica romana. Contemporaneamente, lo sviluppo
economico favor� l'elevazione politica e sociale di una parte della classe plebea e
port� alla scomparsa o all'attenuazione delle antiche forme di subordinazione
sociale, come la schiavit� per debiti, garantendo dunque una maggiore mobilit�
sociale che caus� la nascita del proletariato urbano: essa comport� a sua volta un
forte aumento della popolazione di Roma, favor� la costruzione di nuove strutture
nella citt� e modific� profondamente gli equilibri sociali.
Al periodo tra il IV secolo e il III secolo a.C. risalgono infine alcuni mutamenti
nelle istituzioni militari: al tradizionale schieramento oplitico-falangitico
basato sulla centuria, si sostitu� l'ordinamento manipolare, che rendeva pi� agile
e articolato l'impiego tattico della legione romana.
Magna Grecia
A partire dalla seconda met� del IV secolo a.C., la Magna Grecia cominci�
lentamente a tramontare sotto i continui attacchi delle popolazioni sabelliche di
Bruzi e Lucani. Le citt� pi� meridionali, tra cui Taranto era la pi� importante
grazie al commercio con le popolazioni dell'entroterra e la Grecia stessa, furono
pi� volte costrette ad assoldare mercenari provenienti dalla "madre patria", come
Archidamo III di Sparta negli anni 342-338 a.C. o Alessandro il Molosso negli anni
335-330 a.C., per difendersi dagli attacchi dalle popolazioni italiche che, con la
nuova federazione dei Lucani, alla fine del V secolo a.C. si erano espanse fino
alle coste del Mar Ionio. Nel corso di queste guerre i Tarentini, nel tentativo di
far valere i propri diritti sull'Apulia, stipularono un trattato con Roma, di
consueto collocato nell'anno 303 a.C. ma forse risalente gi� al 325 a.C., secondo
il quale alle navi romane non era concesso di superare ad Oriente il promontorio
Lacinio (oggi capo Colonna, presso Crotone). La successiva alleanza di Roma con
Napoli nel 327 a.C. e la fondazione della colonia romana di Luceria nel 314 a.C.
preoccuparano non poco i Tarantini che temevano di dover rinunciare alle loro
ambizioni di conquista sui territori dell'Apulia settentrionale a causa
dell'avanzata romana.
Nuovi attacchi da parte dei Lucani costrinsero, ancora una volta, i Tarentini a
chiedere aiuto ai mercenari della "madre patria": fu ingaggiato questa volta un
certo Cleonimo di Sparta (303-302 a.C.), che fu, per�, sconfitto dalle popolazioni
italiche, forse sobillate dagli stessi Romani.
Casus belli
L'aiuto accordato da Roma a Thurii fu visto dai Tarantini come un atto compiuto in
violazione dell'accordo che le due citt� avevano firmato diversi anni prima:
sebbene le operazioni militari romane fossero state compiute per via di terra,
Thurii gravitava pur sempre sul golfo di Taranto, a nord della linea di
demarcazione stabilita presso il capo Lacinio; Taranto temeva dunque che il suo
ruolo di patronato nei confronti delle altre citt� italiche venisse meno.
Roma, tuttavia, in aperta violazione degli accordi, forse per la forte pressione
esercitata dai negotiatores o forse perch� gli accordi stessi erano ritenuti
decaduti, nell'autunno del 282 a.C. invi� una piccola flotta duumvirale composta da
dieci imbarcazioni da osservazione nel golfo di Taranto che provoc� i tarantini; le
navi, guidate dall'ammiraglio Lucio Valerio Flacco o dall'ex console Publio
Cornelio Dolabella, erano dirette a Thurii o verso la stessa Taranto, con
intenzioni amichevoli. I Tarantini, che stavano celebrando in un teatro affacciato
sul mare delle feste in onore del dio Dioniso, in preda all'ebbrezza, scorte le
navi romane, credettero che esse stessero avanzando contro di loro e le
attaccarono: ne affondarono quattro e una fu catturata, mentre cinque riuscirono a
fuggire; tra i Romani catturati, alcuni furono imprigionati, altri mandati a morte.
Dopo l'attacco alla flotta romana, i Tarantini, resisi conto che la loro reazione
alla provocazione romana avrebbe potuto condurre alla guerra e convinti
dell'atteggiamento ostile di Roma, marciarono contro Thurii, che fu presa e
saccheggiata; la guarnigione che i Romani avevano posto a tutela della citt� ne fu
scacciata assieme agli esponenti dell'aristocrazia locale.
L'oltraggio di Filonide
Gli avvenimenti subito successivi all'attacco tarantino testimoniano la cautela e
l'accortezza del gruppo dirigente romano, che, pur senza sottovalutare la
situazione, prefer� tentare un'azione diplomatica piuttosto che muovere subito
guerra a Taranto: da Roma, non appena si ebbe notizia di quanto era accaduto, si
decise infatti di inviare a Taranto un'ambasceria guidata da Postumio, per chiedere
la liberazione di coloro che erano stati fatti prigionieri, il rimpatrio dei
cittadini aristocratici espulsi da Thurii, la restituzione dei beni a loro
depredati e la consegna di coloro che erano responsabili dell'attacco alle navi
romane: dal rispetto di tali condizioni sarebbe dipeso il futuro svolgimento delle
relazioni tra le due potenze. I diplomatici romani, giunti a Taranto, furono
ricevuti non senza riserve nel teatro da cui i Tarantini avevano scorto le navi
attraversare il golfo; il discorso di Postumio, tuttavia, fu ascoltato con scarso
interesse da parte dell'uditorio, pi� attento alla correttezza della lingua greca
parlata dall'ambasciatore romano che alla sostanza del messaggio. Vittime di risate
di scherno da parte dei Tarantini, che si prendevano gioco dell'eloquio scorretto e
delle loro toghe dalle fasce purpuree, gli ambasciatori furono condotti fuori dal
teatro; nel momento in cui ne stavano uscendo, tuttavia, un uomo chiamato Filonide,
in preda all'ubriachezza, si sollev� la veste e orin� sulla toga degli ambasciatori
con l'intento di oltraggiarli. A tale atto, che ledeva il diritto all'inviolabilit�
degli ambasciatori, Postumio reag� tentando di suscitare lo sdegno della folla dei
Tarantini verso il concittadino; tuttavia, accortosi che tutti coloro che erano
presenti nel teatro sembravano aver apprezzato l'atto di Filonide, li apostrof�,
secondo Appiano di Alessandria, promettendo loro che avrebbero pulito con il sangue
la toga sporcata da Filonide, o dicendo, secondo la testimonianza di Dionisio di
Alicarnasso, "Ridete finch� potete, Tarantini, ridete! In futuro dovrete a lungo
versare lacrime!" Detto ci�, gli ambasciatori lasciarono dunque la citt� di Taranto
per rientrare in Roma, dove Postumio mostr� ai concittadini la toga sporcata da
Filonide.
Gli ambasciatori giunsero a Roma, senza portare risposte, nel 281 a.C., nei giorni
in cui i nuovi consoli, Lucio Emilio Barbula e Quinto Marcio Filippo, entravano in
carica; Postumio rifer� l'esito della sua ambasceria e l'offesa che aveva subito: i
consoli, dunque, convocarono il senato, che si riun� per pi� giorni dall'alba fino
al tramonto, per decidere sul da farsi. Un certo numero di senatori riteneva poco
prudente intraprendere una spedizione militare contro Taranto quando le ribellioni
dei popoli italici non erano ancora state del tutto sedate, ma la maggior parte
prefer� che la decisione di dichiarare guerra a Taranto venisse messa subito ai
voti: risultarono essere in maggioranza coloro che volevano che Roma si impegnasse
all'istante in un'azione militare, e la popolazione ratific� la decisione
senatoria.. Lo storico Marcel Le Glay pone l'accento sulle pressioni di una parte
dei politici romani e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, per
l�espansione territoriale di Roma verso il sud Italia.
Scullard scrive che se Pirro non avesse aderito alla richiesta dei Tarantini, il
dissidio tra Taranto e Roma si sarebbe risolto facilmente e velocemente. E invece
fu la guerra.
FORZE IN CAMPO
Epiro, Taranto e Italioti
Sappiamo che gli Italioti (ovvero i Greci della Magna Grecia), dopo aver conferito
a Pirro il comando supremo, gli promisero ben 350.000 armati. Il re epirota sbarc�
in Italia nel 280 a.C. con circa 25.000 uomini e 20 elefanti:
Repubblica romana
I Romani furono costretti a dividersi su due fronti, poich� la guerra etrusca a
settentrione non era ancora stata portata a termine. Nel 280 a.C. l'esercito romano
del fronte meridionale, schierato contro Pirro, era composto da circa 20.000 armati
ed affidato al console di quell'anno Marco Valerio Levino, cos� suddivisi:
2 legioni di cittadini romani e 2 Alae di Socii (alleati italici, che erano posti
alle ali dello schieramento), composte ciascuna da 4.200/5.000 fanti per un totale
di 16.800 / 20.000 fanti;
600 cavalieri legionari e 1.800 alleati, pari a 2.400 complessivi.
A questo esercito consolare andrebbe aggiunto un contingente di 4.000 armati,
inviato a Reggio nel 280 a.C., a protezione della citt� alleata.
Dopo aver lasciato l�Epiro, Pirro avanz� richieste di aiuti militari a vari sovrani
ellenistici, in quanto l'Epiro era un regno montanaro e da solo non aveva
sufficienti mezzi per condurre una lunga e dispendiosa campagna contro Roma. Chiese
aiuti ad Antioco I (re del regno seleucide) e ad Antigono II Gonata (figlio di
Demetrio I Poliorcete), nonch� al re di Macedonia, Tolomeo Cerauno, al quale chiese
sostegno finanziario e marittimo. Il re dell�Egitto Tolomeo II promise l'invio di
una forza di 4.000 soldati, 5.000 cavalieri e 50 elefanti da guerra destinata a
difendere l�Epiro durante la campagna d�Italia. Analogamente, Pirro, reclut� anche
altre forze mercenarie, tra cui i cavalieri di Tessaglia e i frombolieri di Rodi.
Nel 280 a.C. Pirro salp� verso le coste italiche ma, durante la traversata, fu
sorpreso da una tempesta che arrec� danni alle navi e lo indusse a sbarcare le
truppe, probabilmente nei pressi di Brindisi. Era a capo di 25.500 armati e 20
elefanti. Di l� prosegu� via terra verso Taranto dove si acquartier�, aiutato dai
Messapi.
Dopo aver atteso l'arrivo delle restanti navi, Pirro lasci� a Taranto un presidio
di 3.000 uomini con il suo fidato ambasciatore Cinea e si spost� verso sud,
accampandosi nei pressi di Heraclea con un esercito forte di circa 25.500 uomini,
suddivisi in 20.000 opliti, 3.000 cavalieri, 20 elefanti da guerra, 2.000 arcieri e
500 frombolieri. I Romani avevano previsto l'imminente arrivo di Pirro e
mobilitarono otto legioni. Queste comprendevano circa 80.000 soldati divisi in
quattro armate:
Pirro aveva appreso che il console Levino sostava a Venosa, impegnato ad assicurare
le cure ai feriti e a riorganizzare l'esercito in attesa di rinforzi, mentre il
console Coruncanio era impegnato in Etruria. Pertanto avanz� verso Roma con
l'intento di spingere i suoi alleati alla ribellione e di sorreggere gli Etruschi
contro Coruncanio. Durante l'avanzata devi� su Napoli con l'intento di prenderla o
di indurla a ribellarsi a Roma. Il tentativo fall� e comport� una perdita di tempo
che gioc� a vantaggio dei Romani: quando giunse a Capua la trov� gi� presidiata da
Levino. Prosegu� allora verso Roma devastando la zona del Liri e di Fregellae
giungendo cos� ad Anagni e forse anche a Preneste. Qui ebbe sentore di una manovra
a tenaglia progettata dai Romani: gli Etruschi avevano appena concluso la pace,
liberando le forze di Coruncanio, che ora stavano muovendo dal nord dell'Etruria
contro di lui. Consapevole di non disporre di forze sufficienti per affrontare le
armate di Coruncanio, di Levino e di Barbula, decise di ritirarsi.
In seguito, Gaio Fabricio Luscino venne inviato come ambasciatore presso Pirro per
trattare lo scambio dei prigionieri. Pirro fu favorevolmente attratto dalle qualit�
dell'ambasciatore, il quale non si pieg� ad essere corrotto dal re epirota che gli
offr� la quarta parte del suo regno. Il re epirota, non avendo ottenuto ci� che
volava da Fabricio, invi� a sua volta a Roma, il suo fidato consigliere, Cinea, per
chiedere le pace, affidandogli anche quei soldati romani fatti prigionieri nella
battaglia di Eraclea e dei quali non volle alcun riscatto. L'obiettivo del re
epirota era di ottenere l'assenso dal Senato romano a mantenere il dominio sui
territori meridionali del suolo italico, finora conquistati. Il Senato respinse la
richiesta di Pirro e consider� i prigionieri romani "infami", poich� erano stati
catturati con le armi in pugno, e perci� allontanati. Questi ultimi avrebbero
potuto essere reintegrati nello Stato romano solo nel caso in cui ciascuno di loro
avesse consegnato le spoglie di due nemici uccisi.
Pirro ricevette due offerte allo stesso tempo: da un lato, le citt� greche di
Sicilia gli proposero di estromettere i Cartaginesi (l'altra grande potenza del
Mediterraneo occidentale) dalla met� occidentale dell'isola; dall'altro, i Macedoni
gli chiesero di salire al trono di Macedonia al posto di re Tolomeo Cerauno,
decapitato nell'invasione della Grecia e della Macedonia da parte dei Galli. Pirro
giunse a conclusione che le opportunit� maggiori venivano dall'avventura in Sicilia
e decise, pertanto, di abbandonare l'Italia meridionale e andare in aiuto
dell'isola, non avendo ottenuto per� nessun trattato preciso dai romani. Al comando
di un esercito di 37.000 uomini mosse da Agrigento verso Erice e la espugn�: caduta
la citt� filo-cartaginese pi� fortificata, altre come Segesta e Iato si
consegnarono all'epirota. Fu cos� nominato re di Sicilia, e i suoi piani
prevedevano la spartizione dei territori fin l� conquistati tra i due figli, Eleno
(a cui sarebbe andata la Sicilia) e Alessandro (a cui sarebbe andata l'Italia).
277 a.C.
276 a.C.
Il re epirota intavol� trattative coi cartaginesi. Per quanto essi fossero gi�
pronti a venire a patti con Pirro, e fornirgli denaro e navi quando fossero stati
ripristinati rapporti amichevoli, questi richiese che tutti i cartaginesi
lasciassero l'isola per fare del mare una linea di confine tra punici e greci. Al
loro rifiuto segu� l'assedio infruttuoso di Lilibeo che, unito al suo comportamento
dispotico nei confronti delle colonie siceliote, caus� un'ondata di risentimento
nei suoi confronti: Pirro fu costretto ad abbandonare la Sicilia inseguito dai
Cartaginesi ed a tornare in Italia, senza fra l'altro ottenere cospicui rinforzi
perch� fino a quel momento le citt� greche che aveva preteso di proteggere non
riuscirono mai a concordarsi fra di loro per sostenere lo sforzo bellico comune. Il
mancato successo finale produsse uno scollamento tra Pirro ed i sicelioti ed egli
dovette tornare in Italia prendendo come pretesto la richiesta d'aiuto di Taranto.
275 a.C.
Lo scontro definitivo con Roma avvenne nel Sannio, a Maleventum (da allora
ribattezzata con il nome di "Beneventum", tramandatosi poi in Benevento), nella
tarda primavera di quest'anno. L'intento di Pirro era quello di far togliere
l'assedio a Taranto minacciando direttamente Roma. Ma i romani, intuita la
strategia dell'epirota, non solo non tolsero l'assedio a Taranto, bens� risposero
inviandogli contro tutte le legioni stanziate in Etruria, devastando l'esercito
avversario che - oramai - non disponeva pi� degli elefanti, tutti eliminati nelle
azioni di guerriglia seguite allo scontro di Ascoli, era stato logorato da anni di
guerra ed era provato nel morale per gli insuccessi strategici.
Pirro, per non cadere prigioniero dei romani, dovette far ritorno precipitosamente
nel suo regno con quanto rimaneva del suo esercito. Taranto rimarr� sotto assedio
altri tre anni, capitolando nel 272 a.C. Roma aveva completato la sottomissione
della Magna Grecia.
CONSEGUENZE
A causa della sconfitta Pirro abbandon� la campagna d'Italia e torn� in Epiro,
dove, non pago del grave prezzo in uomini, denaro e mezzi della sua avventura a
Occidente, due anni dopo prepar� un'altra spedizione bellica contro Antigono II
Gonata: il successo fu facile e Pirro torn� a sedersi sul trono macedone, dove mor�
di l� a poco mentre tentava di conquistare il Peloponneso. Taranto rimase sotto
assedio altri tre anni, capitolando nel 272 a.C., e di l� a poco tutto il resto
dell'Italia meridionale pass� nell'orbita dell'Urbe (Reggio fu presa nel 271 a.C.):
Roma aveva completato la sottomissione della Magna Grecia e la conquista di tutta
l�Italia meridionale. In seguito alla vittoria romana la citt� di Maleventum
divenne colonia (268 a.C.) e ribattezzata Beneventum (da cui l�odierna Benevento),
nome pi� adeguato alla felice circostanza.
� [I Romani] dopo aver condotto con valore la guerra contro Pirro ed averlo
costretto ad abbandonare l'Italia insieme al suo esercito, continuarono a
combattere e sottomisero tutte le popolazioni che si erano schierate dalla parte di
quest'ultimo. Divenuti cos� i padroni della situazione, dopo aver assoggettato
tutte quante le popolazioni d'Italia... �
L'integrazione della Magna Grecia nel dominio della Repubblica Romana fu l'inizio
di varie evoluzioni sociali per la citt�, che accoglieva cos� molti pi� greci con
la loro cultura che avrebbe in seguito influenzato la stessa societ� romana. Ma
mise anche Roma a diretto contatto con la Sicilia, divisa fra i greci e i
cartaginesi, situazione che avrebbe in seguito condotto alle guerre puniche.