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LE GUERRE PIRRICHE (280 - 275 A.C.

)
Le Guerre pirriche furono un conflitto che vide tra il 280 a.C. ed il 275 a.C. la
Repubblica romana affrontare l'esercito del re epirota, Pirro, a capo di una
coalizione greco-italica. Ebbero luogo nell'Italia meridionale e coinvolsero anche
le popolazioni italiche del posto. Generata dalla reazione di Taranto, citt� della
Magna Grecia, all'espansionismo romano, la guerra coinvolse presto anche la Sicilia
greca e Cartagine. Dopo alterne vicende, i Romani riuscirono alla fine a battere
Pirro, costretto a lasciare definitivamente l'Italia; l'esito fu l'egemonia romana
sull'intera Magna Grecia, ad eccezione della Sicilia.

Roma
Dopo il superamento del pericolo costituito dalla presenza delle popolazioni
galliche a Nord, temporaneamente respinte grazie alla battaglia dell'Aniene, le
vittorie su Volsci ed Equi e gli accordi stipulati con Etruschi e Latini, Roma pot�
avviare, nella seconda met� del IV secolo a.C., un intenso processo di espansione
verso il Meridione della penisola italica. La vittoria romana nelle tre guerre
sannitiche (343-341; 326-304; 298-290 a.C.) assicur� dunque all'Urbe il controllo
di buona parte dell'Italia centro-meridionale; le strategie politiche e militari
attuate da Roma - quali la fondazione di colonie di diritto latino, la deduzione di
colonie romane e la costruzione della via Appia - testimoniano la potenza di tale
spinta espansionistica verso Sud. L'interesse per il dominio territoriale non era
infatti una semplice prerogativa di alcune famiglie aristocratiche, tra cui la gens
Claudia, ma investiva tutta la scena politica romana, e a esso aderiva l'intero
senato assieme alla plebe. A sollecitare l'avanzata verso Sud erano infatti
interessi di tipo economico e culturale; a frenarla contribuiva invece la presenza
di una civilt�, quella della Magna Grecia, ad alto livello di organizzazione,
militarmente, politicamente e culturalmente capace di resistere all'espansione
romana.

La strategia romana si basava dunque sulla capacit� di rompere i legami di


solidariet� tra popoli diversi o tra citt�, in modo tale da indebolire le capacit�
di resistenza dei nemici: a tale fine puntavano le deduzioni coloniarie in terra
straniera (Luceria nel 315 o 314; Venusia nel 291 a.C.) e l'avanzamento verso Sud
della via Appia. A tali processi, che non erano direttamente rivolti verso i centri
della Magna Grecia, aveva contribuito in particolare l'opera di Appio Claudio
Cieco, che, caratterizzato da una forte sensibilit� verso la societ� greca, fu tra
i primi ad intendere la fusione tra di essa e il mondo romano come un'occasione di
profondo arricchimento per l'Urbe. Egli si era reso, in particolare, interprete
delle esigenze della plebe urbana, interessata a intessere rapporti commerciali con
i mercanti greci e oschi.

Durante e subito dopo le Guerre sannitiche, Roma mantenne un atteggiamento ambiguo


nei confronti dei popoli italici pi� meridionali, i Lucani, che ora appoggi� ora
osteggi� secondo le convenienze del momento. Intorno al 303 a.C. sigl� un trattato
con i Lucani, incoraggiandone le aspirazioni contro Taranto, salvo accordarsi anche
con la stessa citt� greca e sostenerne indirettamente la lotta contro gli Italici.
Il doppio gioco era motivato dalla volont� di includere comunque i Lucani nella
propria rete diplomatica, in quel momento tutta tesa a piegare i Sanniti, ma senza
che veri interessi comuni propiziassero legami pi� forti. Rispetto all'ordinamento
che Roma stava dando alla Penisola, l'assetto dei territori occupati dai Lucani
rimase in uno stato fluido, basato su semplici alleanze, fino alle guerre puniche.

Non � possibile determinare con precisione quali fossero i rapporti commerciali che
univano Roma con i centri della Magna Grecia, ma risulta probabile una certa
compartecipazione di interessi commerciali tra l'Urbe e le citt� greche della
Campania, testimoniata dall'emissione, a partire dal 320 a.C., di monete romano-
campane.[11] Non � tuttavia chiaro se tali intese commerciali siano state il
fattore o il prodotto delle guerre sannitiche e dell'espansione romana verso
Meridione, e non � dunque possibile determinare quale sia stato l'effettivo peso
dei negotiatores nella politica espansionistica, almeno fino alla seconda met� del
III secolo a.C. A determinare la necessit� di un'espansione territoriale verso Sud
erano, per�, anche le esigenze della plebe rurale, che richiedeva nuove terre
coltivabili che l'espansione nell'Italia centrale e settentrionale non era bastata
a procurare.

Lo sviluppo economico che interess� l'Urbe tra IV e III secolo a.C. port�,
comunque, ad un progressivo avvicinamento di Roma all'area magnogreca, ed ebbe,
dunque, anche pesanti ripercussioni sugli aspetti istituzionali, culturali e
sociali della vita nell'Urbe. Il contesto culturale romano fu fortemente
influenzato dalla penetrazione della filosofia pitagorica, presto accettata dalle
�lite aristocratiche, e dal contatto con la storiografia ellenistica, che modific�
profondamente la produzione storiografica romana. Contemporaneamente, lo sviluppo
economico favor� l'elevazione politica e sociale di una parte della classe plebea e
port� alla scomparsa o all'attenuazione delle antiche forme di subordinazione
sociale, come la schiavit� per debiti, garantendo dunque una maggiore mobilit�
sociale che caus� la nascita del proletariato urbano: essa comport� a sua volta un
forte aumento della popolazione di Roma, favor� la costruzione di nuove strutture
nella citt� e modific� profondamente gli equilibri sociali.

Al periodo tra il IV secolo e il III secolo a.C. risalgono infine alcuni mutamenti
nelle istituzioni militari: al tradizionale schieramento oplitico-falangitico
basato sulla centuria, si sostitu� l'ordinamento manipolare, che rendeva pi� agile
e articolato l'impiego tattico della legione romana.

Contemporaneamente, alla suddivisione delle milizie secondo la classe di


appartenenza, prevista dall'ordinamento serviano, si sostitu� quella secondo il
criterio dell'anzianit�, e la base del reclutamento fu allargata, per la prima
volta tra il 280 e il 281 a.C., anche ai proletari.

Magna Grecia
A partire dalla seconda met� del IV secolo a.C., la Magna Grecia cominci�
lentamente a tramontare sotto i continui attacchi delle popolazioni sabelliche di
Bruzi e Lucani. Le citt� pi� meridionali, tra cui Taranto era la pi� importante
grazie al commercio con le popolazioni dell'entroterra e la Grecia stessa, furono
pi� volte costrette ad assoldare mercenari provenienti dalla "madre patria", come
Archidamo III di Sparta negli anni 342-338 a.C. o Alessandro il Molosso negli anni
335-330 a.C., per difendersi dagli attacchi dalle popolazioni italiche che, con la
nuova federazione dei Lucani, alla fine del V secolo a.C. si erano espanse fino
alle coste del Mar Ionio. Nel corso di queste guerre i Tarentini, nel tentativo di
far valere i propri diritti sull'Apulia, stipularono un trattato con Roma, di
consueto collocato nell'anno 303 a.C. ma forse risalente gi� al 325 a.C., secondo
il quale alle navi romane non era concesso di superare ad Oriente il promontorio
Lacinio (oggi capo Colonna, presso Crotone). La successiva alleanza di Roma con
Napoli nel 327 a.C. e la fondazione della colonia romana di Luceria nel 314 a.C.
preoccuparano non poco i Tarantini che temevano di dover rinunciare alle loro
ambizioni di conquista sui territori dell'Apulia settentrionale a causa
dell'avanzata romana.

Nuovi attacchi da parte dei Lucani costrinsero, ancora una volta, i Tarentini a
chiedere aiuto ai mercenari della "madre patria": fu ingaggiato questa volta un
certo Cleonimo di Sparta (303-302 a.C.), che fu, per�, sconfitto dalle popolazioni
italiche, forse sobillate dagli stessi Romani.

Il successivo intervento di un altro paladino della grecit�, Agatocle di Siracusa,


port� di nuovo l'ordine nella regione con la sconfitta dei Bruzi (298-295 a.C.), ma
la fiducia dei Greci delle piccole citt� dell'Italia meridionale in Taranto e
Siracusa inizi� a svanire a vantaggio di Roma, che nel contempo si era alleata con
i Lucani ed era risultata vittoriosa a settentrione su Sanniti, Etruschi e Celti
(vedi terza guerra sannitica e guerre tra Celti e Romani). Morto Agatocle di
Siracusa nel 289 a.C., i Lucani, un tempo alleati di Roma, si ribellarono ed
iniziarono ad avanzare nel territorio di Thurii devastandolo; gli abitanti della
citt�, consci della propria debolezza inviarono due ambasciate a Roma per chiedere
aiuto, la prima nel 285 a.C. e poi nel 282 a.C..Solo in questa seconda circostanza
Roma invi� il consoleGaio Fabricio Luscino il quale, posta una guarnigione a
Thurii, avanz� contro i Lucani sconfiggendone il loro principe Stenio Stallio, come
riportano i Fasti triumphale. A seguito di questo successo, le citt� di Reggio,
Locri e Crotone chiesero di essere poste sotto la protezione di Roma la quale invi�
una guarnigione di 4.000 uomini a presidio di Reggio: Roma si proiettava, ormai,
verso il Meridione d'Italia.

Casus belli
L'aiuto accordato da Roma a Thurii fu visto dai Tarantini come un atto compiuto in
violazione dell'accordo che le due citt� avevano firmato diversi anni prima:
sebbene le operazioni militari romane fossero state compiute per via di terra,
Thurii gravitava pur sempre sul golfo di Taranto, a nord della linea di
demarcazione stabilita presso il capo Lacinio; Taranto temeva dunque che il suo
ruolo di patronato nei confronti delle altre citt� italiche venisse meno.

Roma, tuttavia, in aperta violazione degli accordi, forse per la forte pressione
esercitata dai negotiatores o forse perch� gli accordi stessi erano ritenuti
decaduti, nell'autunno del 282 a.C. invi� una piccola flotta duumvirale composta da
dieci imbarcazioni da osservazione nel golfo di Taranto che provoc� i tarantini; le
navi, guidate dall'ammiraglio Lucio Valerio Flacco o dall'ex console Publio
Cornelio Dolabella, erano dirette a Thurii o verso la stessa Taranto, con
intenzioni amichevoli. I Tarantini, che stavano celebrando in un teatro affacciato
sul mare delle feste in onore del dio Dioniso, in preda all'ebbrezza, scorte le
navi romane, credettero che esse stessero avanzando contro di loro e le
attaccarono: ne affondarono quattro e una fu catturata, mentre cinque riuscirono a
fuggire; tra i Romani catturati, alcuni furono imprigionati, altri mandati a morte.

Dopo l'attacco alla flotta romana, i Tarantini, resisi conto che la loro reazione
alla provocazione romana avrebbe potuto condurre alla guerra e convinti
dell'atteggiamento ostile di Roma, marciarono contro Thurii, che fu presa e
saccheggiata; la guarnigione che i Romani avevano posto a tutela della citt� ne fu
scacciata assieme agli esponenti dell'aristocrazia locale.

L'oltraggio di Filonide
Gli avvenimenti subito successivi all'attacco tarantino testimoniano la cautela e
l'accortezza del gruppo dirigente romano, che, pur senza sottovalutare la
situazione, prefer� tentare un'azione diplomatica piuttosto che muovere subito
guerra a Taranto: da Roma, non appena si ebbe notizia di quanto era accaduto, si
decise infatti di inviare a Taranto un'ambasceria guidata da Postumio, per chiedere
la liberazione di coloro che erano stati fatti prigionieri, il rimpatrio dei
cittadini aristocratici espulsi da Thurii, la restituzione dei beni a loro
depredati e la consegna di coloro che erano responsabili dell'attacco alle navi
romane: dal rispetto di tali condizioni sarebbe dipeso il futuro svolgimento delle
relazioni tra le due potenze. I diplomatici romani, giunti a Taranto, furono
ricevuti non senza riserve nel teatro da cui i Tarantini avevano scorto le navi
attraversare il golfo; il discorso di Postumio, tuttavia, fu ascoltato con scarso
interesse da parte dell'uditorio, pi� attento alla correttezza della lingua greca
parlata dall'ambasciatore romano che alla sostanza del messaggio. Vittime di risate
di scherno da parte dei Tarantini, che si prendevano gioco dell'eloquio scorretto e
delle loro toghe dalle fasce purpuree, gli ambasciatori furono condotti fuori dal
teatro; nel momento in cui ne stavano uscendo, tuttavia, un uomo chiamato Filonide,
in preda all'ubriachezza, si sollev� la veste e orin� sulla toga degli ambasciatori
con l'intento di oltraggiarli. A tale atto, che ledeva il diritto all'inviolabilit�
degli ambasciatori, Postumio reag� tentando di suscitare lo sdegno della folla dei
Tarantini verso il concittadino; tuttavia, accortosi che tutti coloro che erano
presenti nel teatro sembravano aver apprezzato l'atto di Filonide, li apostrof�,
secondo Appiano di Alessandria, promettendo loro che avrebbero pulito con il sangue
la toga sporcata da Filonide, o dicendo, secondo la testimonianza di Dionisio di
Alicarnasso, "Ridete finch� potete, Tarantini, ridete! In futuro dovrete a lungo
versare lacrime!" Detto ci�, gli ambasciatori lasciarono dunque la citt� di Taranto
per rientrare in Roma, dove Postumio mostr� ai concittadini la toga sporcata da
Filonide.

Gli ambasciatori giunsero a Roma, senza portare risposte, nel 281 a.C., nei giorni
in cui i nuovi consoli, Lucio Emilio Barbula e Quinto Marcio Filippo, entravano in
carica; Postumio rifer� l'esito della sua ambasceria e l'offesa che aveva subito: i
consoli, dunque, convocarono il senato, che si riun� per pi� giorni dall'alba fino
al tramonto, per decidere sul da farsi. Un certo numero di senatori riteneva poco
prudente intraprendere una spedizione militare contro Taranto quando le ribellioni
dei popoli italici non erano ancora state del tutto sedate, ma la maggior parte
prefer� che la decisione di dichiarare guerra a Taranto venisse messa subito ai
voti: risultarono essere in maggioranza coloro che volevano che Roma si impegnasse
all'istante in un'azione militare, e la popolazione ratific� la decisione
senatoria.. Lo storico Marcel Le Glay pone l'accento sulle pressioni di una parte
dei politici romani e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, per
l�espansione territoriale di Roma verso il sud Italia.

Lucio Emilio Barbula fu dunque costretto a sospendere temporaneamente la campagna


che aveva intrapreso contro i Sanniti e fu incaricato dal popolo di riproporre a
Taranto, per salvare la pace, le stesse condizioni proposte da Postumio. I
Tarantini, impauriti dall'arrivo dell'esercito consolare romano, si divisero tra
coloro che sarebbero stati intenzionati ad accettare le condizioni di pace offerte
dai Romani e coloro che avrebbero invece voluto dare inizio alle ostilit�; fu in
questo contesto che si decise di chiedere l'aiuto del re d'Epiro Pirro.

Barbula cominci� a devastare le campagne circostanti la citt�, tanto che i


Tarantini, consci di non poter affrontare a lungo l'assedio romano, cercarono nuovi
aiuti questa volta in Epiro, richiedendo l'intervento del re Pirro. Quest'ultimo,
che aveva avuto un'educazione militare dall'allora sovrano di Macedonia, Demetrio I
Poliorcete, accolta la richiesta di aiuto dei Tarantini, desideroso di ampliare il
proprio regno ed incorporare nella propria sfera d'influenza la Magna Grecia,
compresa la Sicilia (contesa dai Cartaginesi e dalla citt� greca di Siracusa)
fondando uno stato nell'Italia meridionale, invi� un certo Cinea per comunicare la
sua decisione, poco prima che Taranto capitolasse. Pirro non poteva respingere la
richiesta di aiuto fatta da Taranto poich� quest'ultima aveva dato un contributo
importante per la conquista di Corf� e per la riconquista della Macedonia, persa
nel 285 a.C.

Scullard scrive che se Pirro non avesse aderito alla richiesta dei Tarantini, il
dissidio tra Taranto e Roma si sarebbe risolto facilmente e velocemente. E invece
fu la guerra.

FORZE IN CAMPO
Epiro, Taranto e Italioti
Sappiamo che gli Italioti (ovvero i Greci della Magna Grecia), dopo aver conferito
a Pirro il comando supremo, gli promisero ben 350.000 armati. Il re epirota sbarc�
in Italia nel 280 a.C. con circa 25.000 uomini e 20 elefanti:

20.000 opliti addestrati alla formazione a falange


3.000 cavalieri (comprendenti truppe provenienti dalla Tessaglia)
2.000 arcieri greci
500 frombolieri rodensi
20 elefanti da guerra
In seguito si unirono 3.000 hypaspistai (sotto il comando di Milone di Taranto).

Repubblica romana
I Romani furono costretti a dividersi su due fronti, poich� la guerra etrusca a
settentrione non era ancora stata portata a termine. Nel 280 a.C. l'esercito romano
del fronte meridionale, schierato contro Pirro, era composto da circa 20.000 armati
ed affidato al console di quell'anno Marco Valerio Levino, cos� suddivisi:

2 legioni di cittadini romani e 2 Alae di Socii (alleati italici, che erano posti
alle ali dello schieramento), composte ciascuna da 4.200/5.000 fanti per un totale
di 16.800 / 20.000 fanti;
600 cavalieri legionari e 1.800 alleati, pari a 2.400 complessivi.
A questo esercito consolare andrebbe aggiunto un contingente di 4.000 armati,
inviato a Reggio nel 280 a.C., a protezione della citt� alleata.

FASI DEL CONFLITTO


L'offensiva di Barbula e l'arrivo di Pirro
Si dice che i Tarentini e i loro alleati si vantassero di poter disporre di 350.000
uomini e 20.000 cavalieri reclutati tra Sanniti, Lucani e Bruzi. Nel 281 a.C. le
legioni romane, al comando di Lucio Emilio Barbula, entrarono in Taranto e la
conquistarono, malgrado i rinforzi dei Sanniti e dei Messapi. All�indomani della
battaglia i Greci chiesero una breve tregua e la possibilit� di intavolare delle
trattative con i Romani.

I negoziati vennero bruscamente interrotti con l'arrivo a Taranto dell'ambasciatore


Cinea che precedeva (o accompagnava) 3.000 soldati, forza d'avanguardia di Pirro
posta sotto il comando del generale Milone di Taranto. Il console romano Barbula,
che si era spinto nel Metapontino, si ritrov� sotto il tiro delle macchine da
guerra delle navi nemiche che erano disposte lungo la costa a presidiare il golfo.
Nella battaglia che ne scatur�, Barbula riusc� a subire perdite minori del previsto
poich� aveva astutamente disposto sul lato destro della colonna, esposto ai colpi,
i prigionieri di guerra.

Il piano di Pirro era quello di aiutare Taranto e respingere i Romani al di l� del


meridiano italiano, per poi iniziare ad espandere la propria influenza in Sicilia e
quindi attaccare Cartagine, nemica storica dei greci della Magna Grecia. Cos� fece
nel 278 a.C. aiutando i Siracusani in guerra contro Cartagine. Ma dopo la campagna
in Sicilia, fu costretto ad abbandonare il suo progetto, sia per la forte
resistenza dei Cartaginesi a Lilibeo, sia perch� le citt� greche sue alleate non
riuscivano ad accordarsi fra di loro e non mandarono i contingenti promessi e sia
per il malcontento che scaten� sulla popolazione del luogo per la sua avida
gestione delle risorse.

Dopo aver lasciato l�Epiro, Pirro avanz� richieste di aiuti militari a vari sovrani
ellenistici, in quanto l'Epiro era un regno montanaro e da solo non aveva
sufficienti mezzi per condurre una lunga e dispendiosa campagna contro Roma. Chiese
aiuti ad Antioco I (re del regno seleucide) e ad Antigono II Gonata (figlio di
Demetrio I Poliorcete), nonch� al re di Macedonia, Tolomeo Cerauno, al quale chiese
sostegno finanziario e marittimo. Il re dell�Egitto Tolomeo II promise l'invio di
una forza di 4.000 soldati, 5.000 cavalieri e 50 elefanti da guerra destinata a
difendere l�Epiro durante la campagna d�Italia. Analogamente, Pirro, reclut� anche
altre forze mercenarie, tra cui i cavalieri di Tessaglia e i frombolieri di Rodi.

Nel 280 a.C. Pirro salp� verso le coste italiche ma, durante la traversata, fu
sorpreso da una tempesta che arrec� danni alle navi e lo indusse a sbarcare le
truppe, probabilmente nei pressi di Brindisi. Era a capo di 25.500 armati e 20
elefanti. Di l� prosegu� via terra verso Taranto dove si acquartier�, aiutato dai
Messapi.

Dopo aver atteso l'arrivo delle restanti navi, Pirro lasci� a Taranto un presidio
di 3.000 uomini con il suo fidato ambasciatore Cinea e si spost� verso sud,
accampandosi nei pressi di Heraclea con un esercito forte di circa 25.500 uomini,
suddivisi in 20.000 opliti, 3.000 cavalieri, 20 elefanti da guerra, 2.000 arcieri e
500 frombolieri. I Romani avevano previsto l'imminente arrivo di Pirro e
mobilitarono otto legioni. Queste comprendevano circa 80.000 soldati divisi in
quattro armate:

La prima armata, comandata da Barbula, si stanzi� a Venosa per impedire ai Sanniti


e ai Lucani di congiungersi con le truppe di Pirro
La seconda armata fu schierata a protezione di Roma nell'eventualit� che Pirro
tentasse di attaccarla
La terza armata, comandata dal console Tiberio Coruncanio, aveva il compito di
attaccare gli Etruschi per scongiurare che si alleassero con Pirro
La quarta armata, comandata da Publio Valerio Levino, avrebbe dovuto attaccare
Taranto ed invadere la Lucania
Difatti, Levino invase la Lucania ed intercett� Pirro nei pressi di Heraclea, citt�
alleata dei Tarentini, con l�intento di bloccare la sua avanzata verso sud,
scongiurando in questo modo una sua alleanza con le colonie greche di Calabria.
Pirro si dispose alla battaglia organizzando una "falange articolata" con divisioni
di fanteria leggera fra i falangiti, per renderla pi� mobile sul collinoso
territorio italiano, e gli elefanti a sostegno della fanteria.

La prima sconfitta romana ad Eraclea (280 a.C.)


Il primo scontro tra gli Epiroti ed i Romani avvenne in Basilicata, nella piana di
Eraclea (presso l'odierna Policoro), nello stesso 280 a.C. Nonostante la sorpresa
di trovarsi di fronte gli elefanti da guerra, animali mai visti in precedenza, i
Romani ressero bene l'urto fino a sera, anche se la battaglia alla fine si risolse
con una sconfitta in cui ne morirono 7.000 (circa un terzo, dei 20.000 iniziali) e
1.800 furono fatti prigionieri. Pirro lasci� invece sul campo 4.000 armati dei
25.000 iniziali: troppe perdite per il contingente epirota, che difficilmente
poteva ottenere rinforzi al contrario di Roma che poteva reclutare in fretta nuove
truppe, ma fortunatamente per Pirro queste perdite vennero rimpiazzate dai soldati
di Lucani, Bruzi e Messapi, assieme ad alcuni rinforzi mandati dalle citt� greche
(Crotone, Locri Epizefiri) che alla notizia della vittoria decisero di unirsi a
lui.

Dopo la battaglia, sembr� finalmente cementarsi quell'intesa tra Greci ed Italici


in funzione antiromana, che parte dell'aristocrazia tarentina si augurava da tempo.
Rinforzi provenienti dalla Lucania e dal Sannio si unirono all�esercito di Pirro.
Anche i Bruzi si ribellarono. Le citt� greche d'Italia si allearono con Pirro e a
Locri fu cacciata la guarnigione romana. Una scelta analoga sembra si verific�
nella stessa Crotone poco dopo. A Reggio Calabria, ultima posizione della costa
jonica ancora controllata da Roma, il pretore campano Decio Vibullio, che comandava
la guarnigione cittadina, massacr� una parte degli abitanti, cacci� i restanti e si
proclam� amministratore della citt�, ribellandosi all�autorit� di Roma.

Pirro aveva appreso che il console Levino sostava a Venosa, impegnato ad assicurare
le cure ai feriti e a riorganizzare l'esercito in attesa di rinforzi, mentre il
console Coruncanio era impegnato in Etruria. Pertanto avanz� verso Roma con
l'intento di spingere i suoi alleati alla ribellione e di sorreggere gli Etruschi
contro Coruncanio. Durante l'avanzata devi� su Napoli con l'intento di prenderla o
di indurla a ribellarsi a Roma. Il tentativo fall� e comport� una perdita di tempo
che gioc� a vantaggio dei Romani: quando giunse a Capua la trov� gi� presidiata da
Levino. Prosegu� allora verso Roma devastando la zona del Liri e di Fregellae
giungendo cos� ad Anagni e forse anche a Preneste. Qui ebbe sentore di una manovra
a tenaglia progettata dai Romani: gli Etruschi avevano appena concluso la pace,
liberando le forze di Coruncanio, che ora stavano muovendo dal nord dell'Etruria
contro di lui. Consapevole di non disporre di forze sufficienti per affrontare le
armate di Coruncanio, di Levino e di Barbula, decise di ritirarsi.

In seguito, Gaio Fabricio Luscino venne inviato come ambasciatore presso Pirro per
trattare lo scambio dei prigionieri. Pirro fu favorevolmente attratto dalle qualit�
dell'ambasciatore, il quale non si pieg� ad essere corrotto dal re epirota che gli
offr� la quarta parte del suo regno. Il re epirota, non avendo ottenuto ci� che
volava da Fabricio, invi� a sua volta a Roma, il suo fidato consigliere, Cinea, per
chiedere le pace, affidandogli anche quei soldati romani fatti prigionieri nella
battaglia di Eraclea e dei quali non volle alcun riscatto. L'obiettivo del re
epirota era di ottenere l'assenso dal Senato romano a mantenere il dominio sui
territori meridionali del suolo italico, finora conquistati. Il Senato respinse la
richiesta di Pirro e consider� i prigionieri romani "infami", poich� erano stati
catturati con le armi in pugno, e perci� allontanati. Questi ultimi avrebbero
potuto essere reintegrati nello Stato romano solo nel caso in cui ciascuno di loro
avesse consegnato le spoglie di due nemici uccisi.

Pirro, a questo punto, si trovava in seria difficolt� per gli approvvigionamenti:


riceverli via mare dall'Epiro era troppo dispendioso. Prelevarli in loco dagli
alleati italici gli avrebbe alienato la loro benevolenza e scatenato probabilmente
qualche azione di guerriglia a vantaggio dei romani. Il re epirota, si risolse cos�
a tentare un accomodamento diplomatico col senato romano. Roma venne minacciata di
occupazione se non avesse ritirato il suo esercito al di qua del fiume Garigliano e
non avesse smesso di compiere sortite con azioni di guerriglia ai danni di epiroti
e di tarantini. Ma il console Appio Claudio Cieco (era effettivamente cieco),
capofila degli intransigenti, fece fallire le trattative, consapevole dell'appoggio
logistico e finanziario di Cartagine, che non desiderava lo sbarco dell'esercito
epirota in Sicilia, e conscio della capacit� dell'esercito romano nel rimpiazzare
le perdite senza problemi, a differenza dell'esercito di Pirro. A Pirro non
rimaneva che cercare uno scontro decisivo che obbligasse Roma a piegarsi.

La seconda sconfitta romana ad Ascoli Satriano (279 a.C.)


Nel corso del 279 a.C. i Romani si scontrarono con Pirro ad Ascoli Satriano, dove
furono nuovamente sconfitti (persero 6.000 uomini) infliggendo tuttavia, in
proporzione, perdite talmente alte alla coalizione greco-italico-epirota (3.500
soldati) che Pirro fu costretto a ripiegare per evitare ulteriori scontri coi
romani che avrebbero assottigliato ulteriormente le sue forze. Si narra abbia
dichiarato, alla fine della battaglia, �?? ?t? �?a? �???? ????s?�e?, ?p????a�e?�
(�un'altra vittoria cos� sui Romani e sar� perduto��). Da questo episodio l'uso del
termine vittoria di Pirro o pirrica divenne proverbiale.

� forse in seguito a questi eventi che Romani e Cartaginesi decisero di stipulare


un trattato di alleanza contro il comune nemico epirota. Polibio ci racconta
infatti:

� Nel trattato [tra Roma e Cartagine] si confermavano tutti i precedenti accordi,


ed in pi� si aggiungevano i seguenti: nel caso in cui uno dei due stati concludesse
un patto di alleanza con Pirro, entrambi erano obbligati ad inserire una clausola
che preveda di fornire aiuto l'uno all'altro, qualora venisse attaccato nel proprio
territorio; se uno dei due avr� bisogno di aiuto, i Cartaginesi dovranno fornire le
navi per il trasporto e per le operazioni militari [...]; i Cartaginesi aiuteranno
i Romani anche per mare se necessario, ma nessuno potr� obbligare gli equipaggi a
sbarcare se non lo vorranno. �

L'intervento in Sicilia (278-276 a.C.)


278 a.C.

Pirro ricevette due offerte allo stesso tempo: da un lato, le citt� greche di
Sicilia gli proposero di estromettere i Cartaginesi (l'altra grande potenza del
Mediterraneo occidentale) dalla met� occidentale dell'isola; dall'altro, i Macedoni
gli chiesero di salire al trono di Macedonia al posto di re Tolomeo Cerauno,
decapitato nell'invasione della Grecia e della Macedonia da parte dei Galli. Pirro
giunse a conclusione che le opportunit� maggiori venivano dall'avventura in Sicilia
e decise, pertanto, di abbandonare l'Italia meridionale e andare in aiuto
dell'isola, non avendo ottenuto per� nessun trattato preciso dai romani. Al comando
di un esercito di 37.000 uomini mosse da Agrigento verso Erice e la espugn�: caduta
la citt� filo-cartaginese pi� fortificata, altre come Segesta e Iato si
consegnarono all'epirota. Fu cos� nominato re di Sicilia, e i suoi piani
prevedevano la spartizione dei territori fin l� conquistati tra i due figli, Eleno
(a cui sarebbe andata la Sicilia) e Alessandro (a cui sarebbe andata l'Italia).

277 a.C.

Ancora Pirro espugn� Erice, la pi� munita fortezza filo-cartaginese sull'isola, e


questo rese quasi naturale la defezione delle altre citt� controllate dai punici.
Cartagine aveva deciso di non difendere citt� come Palermo ed Eraclea Minoa, ma
concentr� i suoi sforzi su Lilibeo, citt� che veniva rifornita via mare: fu cos�
possibile ai fenici di sostenere l'assedio posto da Pirro.

276 a.C.

Il re epirota intavol� trattative coi cartaginesi. Per quanto essi fossero gi�
pronti a venire a patti con Pirro, e fornirgli denaro e navi quando fossero stati
ripristinati rapporti amichevoli, questi richiese che tutti i cartaginesi
lasciassero l'isola per fare del mare una linea di confine tra punici e greci. Al
loro rifiuto segu� l'assedio infruttuoso di Lilibeo che, unito al suo comportamento
dispotico nei confronti delle colonie siceliote, caus� un'ondata di risentimento
nei suoi confronti: Pirro fu costretto ad abbandonare la Sicilia inseguito dai
Cartaginesi ed a tornare in Italia, senza fra l'altro ottenere cospicui rinforzi
perch� fino a quel momento le citt� greche che aveva preteso di proteggere non
riuscirono mai a concordarsi fra di loro per sostenere lo sforzo bellico comune. Il
mancato successo finale produsse uno scollamento tra Pirro ed i sicelioti ed egli
dovette tornare in Italia prendendo come pretesto la richiesta d'aiuto di Taranto.

Fine della guerra: la battaglia di Maleventum (Benevento)


Nel frattempo Roma, sempre rifornita abbondantemente da Cartagine, rioccupava senza
colpo ferire tutto il territorio precedentemente perduto in Puglia ed in Lucania.
Sedata definitivamente la ribellione di Oschi e dei Sanniti (la componente
stanziata al confine tra le attuali Campania e Puglia), arriv� nell'inverno del 276
a.C. a porre nuovamente sotto assedio Taranto, per terra e questa volta anche per
mare, complice la flotta cartaginese. I tarantini invocarono nuovamente l'aiuto di
Pirro, che dovette dunque abbandonare la Sicilia e sbarcare in Lucania.

275 a.C.

Lo scontro definitivo con Roma avvenne nel Sannio, a Maleventum (da allora
ribattezzata con il nome di "Beneventum", tramandatosi poi in Benevento), nella
tarda primavera di quest'anno. L'intento di Pirro era quello di far togliere
l'assedio a Taranto minacciando direttamente Roma. Ma i romani, intuita la
strategia dell'epirota, non solo non tolsero l'assedio a Taranto, bens� risposero
inviandogli contro tutte le legioni stanziate in Etruria, devastando l'esercito
avversario che - oramai - non disponeva pi� degli elefanti, tutti eliminati nelle
azioni di guerriglia seguite allo scontro di Ascoli, era stato logorato da anni di
guerra ed era provato nel morale per gli insuccessi strategici.

Pirro, per non cadere prigioniero dei romani, dovette far ritorno precipitosamente
nel suo regno con quanto rimaneva del suo esercito. Taranto rimarr� sotto assedio
altri tre anni, capitolando nel 272 a.C. Roma aveva completato la sottomissione
della Magna Grecia.

CONSEGUENZE
A causa della sconfitta Pirro abbandon� la campagna d'Italia e torn� in Epiro,
dove, non pago del grave prezzo in uomini, denaro e mezzi della sua avventura a
Occidente, due anni dopo prepar� un'altra spedizione bellica contro Antigono II
Gonata: il successo fu facile e Pirro torn� a sedersi sul trono macedone, dove mor�
di l� a poco mentre tentava di conquistare il Peloponneso. Taranto rimase sotto
assedio altri tre anni, capitolando nel 272 a.C., e di l� a poco tutto il resto
dell'Italia meridionale pass� nell'orbita dell'Urbe (Reggio fu presa nel 271 a.C.):
Roma aveva completato la sottomissione della Magna Grecia e la conquista di tutta
l�Italia meridionale. In seguito alla vittoria romana la citt� di Maleventum
divenne colonia (268 a.C.) e ribattezzata Beneventum (da cui l�odierna Benevento),
nome pi� adeguato alla felice circostanza.

� [I Romani] dopo aver condotto con valore la guerra contro Pirro ed averlo
costretto ad abbandonare l'Italia insieme al suo esercito, continuarono a
combattere e sottomisero tutte le popolazioni che si erano schierate dalla parte di
quest'ultimo. Divenuti cos� i padroni della situazione, dopo aver assoggettato
tutte quante le popolazioni d'Italia... �

L'integrazione della Magna Grecia nel dominio della Repubblica Romana fu l'inizio
di varie evoluzioni sociali per la citt�, che accoglieva cos� molti pi� greci con
la loro cultura che avrebbe in seguito influenzato la stessa societ� romana. Ma
mise anche Roma a diretto contatto con la Sicilia, divisa fra i greci e i
cartaginesi, situazione che avrebbe in seguito condotto alle guerre puniche.

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