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ANDREA ATTERITANO

Note minime in tema di onere della contestazione


e tecniche di accelerazione del processo

Sommario: 1. Premessa. – 2. Collocazione dell’onere della contestazione nell’attuale sistema processuale.


– 3. Non contestazione e disponibilità dei diritti in contesa. – 4. Utilizzo della non contestazione in ambiti
diversi dalla cognizione ordinaria. – 5. Non contestazione e necessità di un controllo giudiziale.

1. Premessa
Il c.d. principio della non contestazione o, come e stato più correttamente definito,
l’“onere della contestazione”, è stato introdotto nel sistema codicistico dalla riforma apportata
dalla l. n. 69 del 2009, ma è ben noto che esso trovava applicazione nella pratica da molto prima
di tale modifica.
Per la precisione, prima della riforma apportata con la legge n. 353 del 1990, perché un
fatto potesse ritenersi pacifico era necessaria una vera e propria ammissione (malgrado per il rito
del lavoro vigesse, giá dal 1973, l’art. 416 c.p.c.): lo ha ricordato espressamente la S.C. quando,
ancora di recente, ha fatto presente che “Nei giudizi instaurati con rito ordinario anteriormente
all'entrata in vigore della l. 26 novembre 1990 n. 353, (che ha modificato il comma 1 dell'art.
167 c.p.c., imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento
della domanda), affinché il fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da poter
fondare la decisione ancorché non provato, non è sufficiente la mancata contestazione,
occorrendo che la controparte ammetta il fatto esplicitamente o che imposti il sistema difensivo
su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione”1.
A partire dalla riforma del 1990, il crescente interesse della dottrina2 ed alcuni importanti
arresti giurisprudenziali3 hanno contribuito a teorizzare il principio4 sino a che la menzionata
1
Cass., 16 novembre 2012 n. 20211. In proposito, già Proto Pisani, La nuova disciplina del processo
civile, Napoli, 1991, 158 parlava di inammissibilità della contestazione tardiva delle parti costituite, in
processi aventi ad oggetto diritti disponibili: conseguenza derivante dalla impostazione e creazione di un
sistema caratterizzato da rigide preclusioni istruttorie. Sulla riforma apportata dalla l. n. 353, v. anche,
diffusamente, Aa.Vv., La riforma del processo civile, Quaderni del Consiglio Superiore della
Magistratura, 1994, 73.
2
Prime fra tutte, si rammentano le opere monografiche di Ciaccia Cavallari, La non contestazione
nel processo civile, Milano, 1993 e Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile,
Milano, 1995.
3
Dalla nota sentenza delle SS.UU., 23 gennaio 2002, n. 761, passando per altre pronunce
(compiutamente rammentate da Santangeli, La non contestazione come prova liberamente valutabile, in
www.judicium.it, in part. nt. 2; per un excursus ugualmente ampio, v. anche Fornaciari, Il contraddittorio
a seguito di un rilievo officioso e la non contestazione (nel piu generale contesto della problematica
concernente allegazione, rilievo e prova), ibidem, spec. par. 9, che muove dalla introduzione, circa il rito
del lavoro, dell’art. 416 c.p.c., la cui previsione era tuttavia rimasta “lettera morta”, trattando poi della
sopra citata riforma apportata dalla l. n. 353 del 1990, sino ad arrivare alla pronuncia del 2002.

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riforma del 2009 lo ha consacrato nel testo del codice di rito. Di qui, molti son stati i commenti
in argomento5 e vivo è parso l’interesse verso questa particolare tecnica processuale, che peraltro
è stata ritenuta e ha da ritenersi applicabile al processo amministrativo6, in sede di mediazione7,
in caso di arbitrato8. Nè basta, dato che l’istituto è stato di recente preso ad esempio, pur cum
grano salis, nel fervente moto legislativo che negli ultimi anni sta interessando la materia
processuale9.
Nel presente contributo, senza la pretesa di voler entrare nel sovraffollato dibattito in
argomento, ci limiteremo a riepilogare taluni tratti essenziali dell’istituto, concludendo con
alcune riflessioni, o considerazioni sparse, che paiono opportune proprio per la generale valenza
che lo stesso istituto sembra assumere nei progetti di politica legislativa del processo.

4
Non senza aggiungere un po’ di confusione e talune incertezze: lo rammenta Sassani, L'onere della
contestazione, in Giusto proc. civ., 2010, 5, 401 ss. e in www.judicium.it, par. 1.
5
Senza pretese di completezza, e ai limitati fini che ci proponiamo di soddisfare con le presenti brevi
note, citiamo, oltre agli aa. menzionati nelle note precedenti: Buffa, La «non contestazione» nel processo
del lavoro, tra principio dispositivo e principio di economia processuale, in Giust. civ., 2008, 12, 2958
ss.; Cea, La tecnica della non contestazione nel processo civile, in Giusto Proc. Civ., 2006, 202 ss. e, più
di recente, Id., L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione, in www.judicium.it; Del Core, Il
principio di non contestazione nel processo civile: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti
acquisizioni giurisprudenziali, in Giust. civ., 2004, 2, 111 ss.; De Santis, A. D., Sul concetto di “non
inequivocabilità” della non contestazione, in Riv. dir. proc., 2008, 2, 559 ss.; De Vita, Onere di
contestazione e modelli processuali, Roma, 2012, 151 ss.; Fabiani, E., Il valore probatorio della non
contestazione del fatto allegato, in Corr. Giur., 2003, 10, 1335 ss. e Id., Il nuovo volto della trattazione e
dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 9, 1161 ss.; Festi, Riflessioni sul principio di non contestazione nel
processo civile, in Giur. It., 2011, 1; Frus, Non contestazione e diritti indisponibili: oscillazioni dottrinali
e incertezze giurisprudenziali, in Giur. It., 2011; Iarussi, Onere di contestazione tempestiva dei fatti e
giusto processo, in Lavoro nella giur., 2008, 3, 270 ss.; Papagni, La non contestazione nei procedimenti
per la dichiarazione di fallimento ha valore di argomento di prova, in Giur. mer., 2011, 12, 3117; Proto
Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, in Foro It., 2003, I, 606
ss.; Rascio, La non contestazione come principio e la rimessione nel termine per impugnare: due innesti
nel processo, benvenuti quanto scarni e perciò da rinfoltire, in Corr. Giur., 2010, 9, 1243 ss.; Taruffo,
sub art. 115 c.p.c., in Carratta; Taruffo, Dei poteri del giudice, Bologna, 2011, 490 ss.; Tedoldi, La non
contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2011, 1, 76 ss.; Verde, voce Domanda
(principio della). Diritto processuale civile, in Enc. Giur., Roma, 1989, XII, § 10.
6
L’art. 64 c.p.a., rubricato “Disponibilità, onere e valutazione della prova”, riproduce al co. 2 quanto
ora previsto dall’art. 115 c.p.c., precisando che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonchè i fatti non specificatamente contestati
dalle parti costituite”. Per una applicazione, v. esemplificativemente, T.A.R. Piemonte – Torino, 29
gennaio 2010, n. 454.
7
Al riguardo Cass., 21 giugno 2013, n. 15658.
8
Cavallini, La non contestazione nell'arbitrato, in Riv. arb., 2009, 55 ss.
9
Infra, par. 4.

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2. Collocazione dell’onere della contestazione nell’attuale sistema processuale

La riforma del 2009 ha collocato la disciplina dell’onere della contestazione all’interno


dell’art. 115 c.p.c. (norma cardine e attinente ai poteri del giudice), facendo chiarezza su alcuni
aspetti, ma in generale ribadendo – come più sopra accennato – un principio già noto al
sistema10.
Il meccanismo della non contestazione, di conseguenza, si trova ora idealmente situato
all’interno del momento della allegazione dei fatti11 e precede immediatamente la istruzione
probatoria. Si tratta della valorizzazione di un comportamento processuale delle parti cui la legge
attribuisce conseguenze sul piano probatorio12.
La regola vale, malgrado non manchino incertezze giurisprudenziali pur recenti13, tanto
per i fatti principali quanto per quelli c.d. secondari14 (da cui inferire l’esistenza dei fatti
principali), e soltanto – con tutta evidenza e qui con minori incertezze – per i fatti “noti” alla
parte15.
Per un verso, la contestazione deve essere specifica, non ammettendosi il ricorso a
formule generiche tanto diffuso nella realtà professionale forense16; per altro verso, e
correlativamente, basta per la operatività del meccanismo in discorso anche spiegare
argomentazioni logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti in questione17.
Poco senso ha l’affermare, specie se fuori contesto, che la contestazione debba essere
tempestiva, non potendosi revocare in dubbio una volta maturate le c.d. preclusioni18: al
10
Hanno ritenuto che il principio preesistesse alla riforma, tra gli altri, Trib. Piacenza, 2 e 23
febbraio 2010, nonché App. Milano, 29 giugno 2011, in Giur. It., 2012,1859 ss., nt. Frus, Osservazioni,
cit.; ha invece enfatizzato il carattere innovativo della riforma del 2009, Trib. Catanzaro, 18 gennaio
2011.
11
O, come si suol dire, della determinazione dell’oggetto del processo: ma v. al riguardo gli
avvertimenti di Sassani, L’onere, cit., nt. 45.
12
Santangeli, La non contestazione, cit., par. 2 e i riff. citati in nt. 8.
13
V. es. Trib. Catanzaro, sez. II, 18 gennaio 2011, che ritiene che per i fatti c.d. secondari esso possa
al piu operare fornendo al giudice un argomento di prova, ex art. 116 co. 2 c.p.c.
14
La irrilevanza della distinzione è peraltro postulata da Sassani, L’onere, cit., nt. 39 e par. 8 e da
altri, tra cui v. Fornaciari, Il contraddittorio, cit., 14 e i riff. in nt. 59. Anche per Santangeli, La non
contestazione, cit., che propone una lettura, per cui v. anche infra, in chiave di prova liberamente
valutabile del fatto non contestato non deve apprezzarsi alcuna distinzione tra fatti principali e fatti
secondari.
15
Cosi ha ritenuto Cass., 13 febbraio 2013, la cui massima recita che “L'onere di contestazione - la
cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova - sussiste soltanto per i fatti noti alla
parte, non anche per i fatti ad essa ignoti”.
16
Sassani, L’onere, cit., par. 9.
17
Non richiedendosi una ammissione esplicita: così ad esempio, nella giurisprudenza di merito, Trib.
Salerno, 7 maggio 2009.
18
Tanto si suole formalisticamente ritenere e tanto ha fatto, affermando che – una volta formatosi il
thema decidendum – la “revoca” della contestazione resta possibile solamente sulla base dei presupposti

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contrario, il comportamento della parte va interpretato e letto globalmente e anche a prescindere


da ciò. Ora per l’espressa previsione legislativa riferentesi alle “parti costituite”, la non
contestazione non può interessare la parte rimasta contumace – la cui situazione, come tutti
sanno –, il nostro ordinamento considera di ficta contestatio19.
Circa l’effetto dell’operare del meccanismo della non contestazione, rammentiamo poi
che questo si identifica, per i più, nella relevatio ab onere probandi rispetto al fatto allegato e
non contestato20. Vengono in gioco, ovverosia, gli artt. 2697 e 2698 c.c. Cosa significhi in tal
caso sollevamento dall’onere ed entro quali limiti il giudice debba o possa prendere per vero il
fatto uscito così dal circuito probatorio torneremo a dire in fine al presente scritto, mentre
immediatamente di seguito occorre ancora occuparsi del primo profilo problematico che mette
conto analizzare: le differenti applicazioni della non contestazione a seconda della natura dei
diritti dedotti in contesa.

3. Non contestazione e disponibilità dei diritti in contesa

Per la dottrina21 e la giurisprudenza22 prevalenti l’effetto di relevatio della non


contestazione è limitato ai processi aventi ad oggetto diritti disponibili e ciò si spiegherebbe alla
luce dell’art. 2698 c.c., a ragion del quale – come é noto – “(s)ono nulli i patti con i quali è
invertito ovvero è modificato l'onere della prova, quando si tratta di diritti di cui le parti non
possono disporre”: il divieto sancito da tale norma sarebbe difatti facilmente aggirato quando si
consentisse al comportamento concretamente tenuto dalla parte in giudizio di produrre
indirettamente l’effetto non realizzabile per via pattizia23. Nei processi su diritti indisponibili la

della rimessione in termini, Trib. Varese, 14 ottobre 2011. Sul punto, v. la chiara opinione, cui abbiamo
aderito nel testo, espressa da Sassani, L’onere, cit., par. 11, e i riff. da questi citati alle note 79 ss., anche
con riguardo ad ordinamenti stranieri.
19
Il punto è ora espresso dalla norma nel far riferimento alle parti “costituite” e confermato in
giurisprudenza, per cui v. es. Cass., 23 giugno 2009 n. 14623 (salvo ammettere, come ha fatto Trib.
Roma, 9 febbraio 2009, che tale atteggiamento di presunta noncuranza possa rilevare e sia valutabile ai
sensi dell’art. 116 co. 2 c.p.c.).
20
Ma v. anche, per la differente lettura della non contestazione come prova liberamente valutabile,
Santangeli, La non contestazione, cit., par. 2 e passim.
21
V. per tutti Sassani, L’onere, cit., spec. nt. 42.
22
Conferma della limitazione circa i processi aventi ad oggetto diritti disponibili si ricava dalla
giurisprudenza che, pur di recente, ne ha precisato l’applicazione anche in materia di mediazione, in
conformità con l’art. 2 d.lgs. n. 28/2010: cosi, Cass., 21 giugno 2013, n. 15658.
23
Sassani, L’onere, cit., spec. nt. 42; conf. Proto Pisani, Allegazione dei fatti, cit., 606 ss. Cfr. pure
Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2009, 55: “se sono privi di rilevanza giuridica i negozi di
diritto sostanziale che hanno ad oggetto un diritto indisponibile, sarebbe incoerente che le parti possano
vincolare il giudice, attraverso la non contestazione, a considerare esistenti i fatti storici costitutivi di un
certo diritto, perché in tal modo il limite relativo alla sua indisponibilità sarebbe facilmente aggirato in
sede processuale”.

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non contestazione acquisterebbe invece rilievo, come ogni altro comportamento delle parti, quale
argomento di prova, ex art. 116 co. 2 c.p.c.24.
Vero questo, il passo è breve per concludere che la non contestazione debba ricondursi al
principio dispositivo in senso sostanziale e al principio della domanda25, affermazione su cui,
peraltro, occorrerebbe meglio intendersi26.
Non manca poi una diversa ricostruzione, che muove dalla convinzione che la non
contestazione “non abbia nulla a che fare con il principio della domanda né possa considerarsi
un riflesso del potere monopolistico delle parti in tema di allegazione dei fatti”, integrando
solamente uno strumento di accelerazione del processo27 talché essa dovrebbe rilevare in egual
modo anche nei giudizi aventi ad oggetto diritti indisponibili28. Vi è anche inoltre chi, negando
l’effetto di relevatio sopra rammentato, ha ritenuto che la non contestazione costituisca prova
liberamente valutabile e debba dunque valere in riferimento ad ogni processo, e a prescindere
dalla natura delle situazioni giuridiche dedottevi29.
24
Così anche Tedoldi, La non contestazione, cit., in part. § 9. In giurisprudenza, a conferma di ciò,
Trib. Varese, 27 novembre 2009, in Giur. It., 2011, 3, nt. Frus, cit. (circa una azione di disconoscimento
di paternità) e Trib. Monza, 29 settembre 2010, in Giur. mer., 2011, 12, 3117, nt. Papagni, cit. (circa il
processo per la dichiarazione di fallimento), nonché, più recentemente Cass., 16 marzo 2012, n. 4249.
Altro è dire delle divergenti opinioni intorno al valore probatorio degli argomenti di prova: per la tesi
avallata nel testo, che nega al giudice il potere di decidere sulla sola base di essi v., tra i tanti, Luiso,
Diritto processuale civile, II, Milano, 2011, 78-79; Sassani, Lineamenti del processo civile italiano,
Milano, 2012, 224 ss.; per la differente opinione, cfr. invece Ruffini, Argomenti di prova e fondamento
della decisione del giudice civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1329 ss.
25
A favore della ricostruzione del principio in questione come fondato sul potere di disposizione
delle parti, v. già Ciaccia Cavallari, La non contestazione, cit., 98 ss. Cfr anche, tra gli altri, Del Core, Il
principio, cit., 111 ss.; Verde, voce Domanda, cit., § 10 e Iarussi, Onere di contestazione, cit., 270 ss. Ma
su tale assimilazione, v. l’importante studio di Carnacini, citato infra, nt. 52. In giurisprudenza, v. di
nuovo la nota Cass. Sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761: “in presenza di situazioni giuridiche sostanziali
caratterizzate dal requisito della disponibilità, assoluta o relativa, il processo si atteggia secondo il
principio dispositivo, ossia secondo un modello che postula, come tratti qualificanti indefettibili,
l’affidamento esclusivo alla parte del potere di proporre la domanda e di allegare i fatti posti a
fondamento della medesima”.
26
Non la fa propria, emblematicamente, Sassani, L’onere, cit.
27
Consonanti rilievi, in Cea, La tecnica, cit., 202 ss.
28
Rascio, La non contestazione, cit., 1243 ss.; Buffa, La «non contestazione», cit., 2958 ss. e, più di
recente, Fabiani, E., Il nuovo volto, cit., 1161 ss., ha escluso esplicitamente che la contestazione vincoli il
giudice “per la semplice ragione che non ci troviamo di fronte ad un accordo in senso proprio posto che
le parti non hanno mai la disponibilità dei fatti (ma solo la disponibilità dell'allegazione), fatti che sono
quelli che nella realtà si sono manifestati; anzi, proprio perché il fatto è allegato (e non contestato), là
dove troviamo diritti indisponibili, lì troviamo anche un ampliamento dei poteri istruttori del giudice e
ciò mi pare porti a concludere che fermo l'effetto di non contestazione, il giudice non ne è condizionato e
non gli è precluso far ricorso ai mezzi di prova officiosi”. Sul punto, v. ora anche Taruffo, sub art. 115,
cit., 490 ss.
29
Santangeli, La non contestazione, cit., par.6.

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A noi pare che la limitazione suddetta, ai processi aventi ad oggetto diritti disponibili, sia
difficilmente aggirabile, a prescindere dal fatto che anche noi riterremmo trattarsi di tecnica
processuale che dovrebbe applicarsi senza distinzioni sulla natura dei diritti dedotti in giudizio.
Altro è dire, ed in questo ci sentiamo di aderire pienamente al duplice timore espresso da
autorevole dottrina30, che il riferimento alla natura disponibile o meno del diritto conteso è
criterio sfuggente, suscettibile di mutare di contenuto nel tempo e di generare dubbi nelle sue
applicazioni concrete31 e, peraltro, già dimostratosi inadeguato ove chiamato in causa per la
materia processuale32.
Sarebbe forse il caso di intervenire sulla disciplina dei codici per attualizzarla, muovendo
in tal caso proprio dall’assunto che la non contestazione altro non è che uno strumento di tecnica
del processo che nulla ha a che vedere con la disponibilità del diritto e il potere dei privati di
contrattare in proposito sul piano sostanziale33. Finché ciò non avvenga e sino a che le cose
staranno come si è detto, non sarà però possibile mutare la conclusione ricordata, visto il chiaro
disposto dell’art. 2698 c.c., e il meccanismo di relevatio dovrà operare in maniera diversa in
diversi contesti.

4. Utilizzo della non contestazione in ambiti diversi dalla cognizione ordinaria

La capacità espansiva dello strumento in analisi, come detto nelle premesse, è andata
finanche oltre a seguito di recentissime riforme dalle quali – come si vedrà – emerge un intento
legislativo piuttosto chiaro ma al contempo non del tutto rassicurante.
Dapprima, circa le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, il
d.l. n. 98 del 6 luglio 201134 ha introdotto nel codice di rito un nuovo art. 445-bis, in tema di
accertamento tecnico preventivo obbligatorio, con valenza di condizione di procedibilità, rispetto

30
Sassani, lc. ult. cit.
31
In applicazione del principio in commento, Cass. civ. Lav., 2 novembre 2009, n. 23142 ha ritenuto
che “L'esatto adempimento di una prestazione previdenziale da parte dell'INPS può essere desunto,
anche in sede di gravame, dal comportamento processuale delle parti, alla stregua del principio di non
contestazione che informa il sistema processuale civile”. Del merito della pronuncia (la cui massima,
volutamente, si è scelto di trascrivere qui per gran sua parte) ci sarebbe da discutere, interrogandosi sul se
la pretesa del privato (non ancora assurta a diritto rinunziabile) nei confronti dell’ente pubblico
previdenziale possa veramente dirsi a carattere disponibile.
32
L’impiego del concetto in ambiti eterogenei e difficilmente accomunabili ha già condotto la
dottrina ad uno sforzo ricostruttivo che significativamente rinuncia alla pretesa di fornire una definizione
di disponibilità universalmente valida all’interno del processo, per riempire l’espressione di contenuto
differente, di volta in volta, di fronte ai differenti istituti chiamati in gioco: Barletta, La disponibilità dei
diritti nel processo di cognizione e nell’arbitrato, in Riv. dir. Proc., 2008, 979 ss.
33
Sulla scorta dell’insegnamento del Carnacini, ampiamente esposto nel famoso saggio Tutela
giurisdizionale e tecnica del processo, in Aa.Vv., Studi in onore di Enrico Redenti, II, Milano, 1951, p.
693 ss.
34
Poi convertito nella l. 15 luglio 2011, n. 111.

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a domande per il riconoscimento di diritti nelle liti di cui alla l. 12 giugno 1984, n. 22235,
all’interno del quale si prevede (co. 3) che avverso le risultanze della relazione peritale
presentata dal consulente debba essere proposta contestazione entro un certo termine. In assenza
di tale contestazione, il giudice pronuncia un decreto di omologazione dell’accertamento del
requisito sanitario e si ritiene che tale decreto, a tacer di altri effetti36, determini la preclusione
della successiva contestazione (nel giudizio di merito) del fatto in discussione (per l’appunto, il
c.d. requisito sanitario)37. La ricorrente prospettiva “emergenziale”38 ha condotto alla
introduzione di un onere di contestazione, dunque, con conseguente relevatio ab onere probandi,
utilizzato tuttavia a fronte di una situazione (quella del cittadino che richieda all’ente pubblico
una prestazione previdenziale o assistenziale) sui cui tratti di disponibilità potrebbe discutersi e
su cui dubbi son stati effettivamente avanzati. Come dicevamo, delle due l’una: appurato che un
certo diritto sia indisponibile, o si sceglie di chiarire apertamente con legge che la tecnica della
non contestazione opera allo stesso modo pure in consimili ipotesi, oppure si deve
inevitabilmente concludere che le risultanze di essa possano al più valutarsi quali argomenti di
prova, anche adottando interpretazioni correttive di testi di legge che sembrerebbero basarsi su
presupposti differenti39.

35
In materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione
di inabilità e di assegno di invalidità,. Sulla natura di condizione di procedibilità, v. Cossignani,
L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445-bis c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2013, 629 ss. e
spec. 630, che precisa peraltro che tanto possa ritenersi limitatamente alla ipotesi in cui lite vi sia in
riferimento ai c.d. presupposti sanitari della domanda, mancando la quale non si richiede necessariamente
di attivare il neo-introdotto procedimento.
36
Discorre di efficacia di giudicato la Relazione n. 2 del 17 gennaio 2012, a cura dell’Ufficio del
Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione, citata da Cossignani, L’accertamento, cit.,
643 nt. 45. `
37
Per Cossignani, L’accertamento, cit., 644, si tratta della “mera ricognizione del perfezionamento di
una fattispecie processuale”.
38
Monteleone, Il nuovo processo previdenziale alla luce dell’art. 445-bis c.p.c., in www.judicium.it,
par. 1.
39
Questo in astratto, perché in concreto saremmo invece dell’idea che – nella specie – la citata
situazione del privato che aspira ad ottenere, per ipotesi, una pensione di invalidità, non possa ritenersi
indisponibile (in quanto a contenuto patrimoniale e sebbene tutelata da norme a carattere inderogabile) al
punto di negare la piena operatività del meccanismo di non contestazione in riferimento all’accertamento
tecnico che è necessario compiere prima di poter valutare se tale aspirazione sia meritevole o meno di
tutela. Cossignani, L’accertamento, cit., 646, liquida la questione semplicemente facendo presente che
parte della dottrina ha da tempo ritenuto il principio di non contestazione applicabile a prescindere dalla
natura del diritto controverso. Per Licci, Il nuovo accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle
controversie previdenziali: l’occasione mancata per l’ottenimento di un rapido titolo esecutivo?, in
www.judicium.it, par. 6, la materia in oggetto riguarderebbe diritti indisponibili “poiché regolati da norme
imperative e posti nell’interesse più generale dell’ordinamento”: l’opinione, affermata soltanto per
escludere che al particolare procedimento di accertamento tecnico possano applicarsi le norme dell’art.
696-bis c.p.c. ma senza riferimento alcuno alla operatività e agli effetti della mancata contestazione, non
può tuttavia condiversi, sia per quanto appena ricordato, sia perché la ragione su cui si fonda (i.e. la

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Successivamente, e in tutt’altro ambito, è intervenuta la l. n. 221 del 17 dicembre 201240,


con cui il legislatore ha scelto di far ricorso al meccanismo della non contestazione anche nella
disciplina dell’espropriazione presso terzi. Recita l’art. 548 c.p.c., che “se il pignoramento
riguarda i crediti di cui all'articolo 545, terzo e quarto comma, quando il terzo non compare
all'udienza stabilita, il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non
contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di
assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553”41. Lo stesso dicasi, a
mente del nuovo comma 2 della medesima norma, per il terzo possessore o debitore di cose o
altri crediti quando questi non compaia all’udienza all’uopo fissata dal giudice per il controllo in
proposito42.
Tralasciando i profili problematici lasciati aperti dalle modifiche, come si vede, l’onere della
contestazione o, più precisamente, l’onere di “dichiarazione”43, viene in tal caso utilizzato con
effetti dirompenti, che rovesciano letteralmente il sistema previgente della espropriazione presso
terzi44.
Sebbene il meccanismo poco o nulla abbia a che vedere con il principio riconosciuto
dall’art. 115 c.p.c., richiamato per taluno soltanto con valenza descrittiva45 (e malgrado si
valorizzi in tale ipotesi non la mancata contestazione di un fatto, ma una ipotesi di
riconoscimento del diritto di credito o del – fatto – del possesso, e con efficacia tendenzialmente
endoprocessuale46), la logica che ha ispirato l’intervento ci pare indubitabilmente la stessa,
acceleratoria, che ha mosso dapprima la introduzione nel codice del principio in questione e poi

presenza di norme inderogabili) non prova affatto che il diritto in gioco sia indisponibile (v. es., in arg., la
Bove, La riforma in materia di conciliazione tra delega e decreto legislativo, sempre in www.judicium.it).
40
Conversione del d.l., 18 ottobre 2012, n. 179.
41
Trattasi, come è noto, delle somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre
indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento
(pignorabili nei limiti indicati dagli stessi commi 3 e 4 dell’art. 545 c.p.c.).
42
Attenendo la previsione di fissazione di una nuova udienza soltanto alla necessità di consentire,
per l’appunto, il controllo del giudicante sulla inerzia del terzo che non abbia inviato alcuna
dichiarazione: Saletti, Le novità dell’espropriazione presso terzi, in www.judicium.it, par. 3.
43
Così, Tota, sub art. 548 c.p.c., in Aa.Vv., Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella (a cura di),
Commentario del codice di procedura civile, Torino, 2013, spec. par. A.
44
Saletti, Le novità, cit., 3. In passato, infatti, la legge non faceva discendere dalla dichiarazione del
terzo alcuna conseguenza di sorta in merito alla esistenza dell’obbligo: sul punto, v. anche Vincre, Brevi
note sulle novità introdotte dalla L. 228/2012 nell’espropriazione presso terzi: la mancata dichiarazione
del terzo (art.548 c.p.c.) e la contestazione della dichiarazione, in Riv. Esec. Forz., 2013, 1, par. 2.
45
Anche per Tota, sub art. 548, cit., par. 2, il legislatore ha “verosimilmente attinto dalla recente
codificazione del principio di non contestazione nell’ambito dell’art. 115 c.p.c.”.
46
Saletti, Le novità, cit., par. 5 e Vincre, Brevi note, cit.,spec. par. 5: efficacia da riferisi, peraltro,
non soltanto ai fini del procedimento in corso, ma anche ai fini della successiva esecuzione forzata
(contro il terzo) fondata sul provvedimento di assegnazione.

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l’altro intervento in materia di processo previdenziale: in questa impressione non siamo soli47,
donde l’opportunità di riunire istituti all’apparenza differenti in queste brevi riflessioni.
Se questo è vero, vorremmo anzitutto evidenziare l’esigenza che di tale tecnica sia data una più
compiuta, se possibile univoca, valenza legislativa, tanto più in considerazione del fatto che
l’utilizzo incontrollato della stessa comporta effetti non di poco conto, ed ora anche a danno di
un soggetto, il terzo per l’appunto, che non è neppure parte del processo48, ma che
ciononostante49 può diventare debitore per la disciplina processuale, pur non essendolo nella
sostanza, per il semplice fatto di non aver reso la propria dichiarazione.
È vero che il terzo, vuole oggi la norma, potrà semmai ricorrere alla opposizione agli atti
(ristretta ai soli motivi indicati?) ex art. 617c.p.c.50, ma ciò non toglie che – ove questi non lo
faccia, per svista o qualsivoglia altra ragione – il sistema avrà all’evidenza rinunciato al controllo
del decisum, rimettendolo tout court ai privati, secondo un procedimento scandito da una chiara
logica acceleratoria: sull’aspetto del controllo degli effetti della non contestazione, v. peraltro
quanto si dirà, conclusivamente, tra breve.

5. Non contestazione e necessità di un controllo giudiziale

Tanto maggiore è lo spazio di utilizzo dell’istituto, tanto più pressante si fa la necessità di


verificare che siffatto utilizzo si svolga correttamente.
Tra le considerazioni sparse che abbiamo effettuato, dobbiamo a questo punto soffermarci
- quale ultimo profilo - su quello dell’effetto della non contestazione, che conviene analizzare ora
e soltanto dopo che gli ambiti di nostro interesse sono stati compiutamente accennati. Il profilo è

47
Timore ben espresso da Saletti, Le novità, cit., par. 3, nel punto in cui, con domanda retorica, ci si
interroga su quali potrebbero essere le future applicazioni del principio: “forse stabilire che il testimone
che non compare “non contesta” i capitoli che dovrebbe affermare?”.
48
Sulla applicabilità del principio alle sole parti del processo, v. per tutti De Vita, Onere di
contestazione, cit., 151 ss. Vincre, Brevi note, cit., spec. par. 3, mette in luce come da tale profilo sia
possibile rilevare il differente (e in tal sede criticabile) utilizzo del meccanismo della non contestazione
già chiamato in gioco nel processo esecutivo dall’art. 499 co.6 c.p.c. (ai sensi di tale norma la non
contestazione è quella del debitore, parte del processo esecutivo, mentre per nell’art. 548 ci si riferisce al
terzo che al processo esecutivo resta estraneo o comunque in posizione sui generis).
49
E senza che neppure si abbia cura di avvertirlo delle conseguenze della propria inerzia: Saletti, Le
novità, cit., par. 3, che della norma in parte qua (sia per il primo che per il terzo comma dell’art. 548)
prospetta pertanto la illegittimità costituzionale. Conf. Tota, sub art. 548, cit. par. B e nt. 10, nonché par.
5.
50
Ma soltanto, infatti, stando alla norma, quando il terzo provi di non aver avuto tempestiva
conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore (precisazione che si
presta a differenti interpretazioni, su cui è qui impossibile soffermarsi: v. in proposito Vincre, Brevi note,
cit., par. 8, la quale ritiene che il tenore della disposizione non imponga una effettiva limitazione in merito
alla possibilità di promuovere un’ordinaria opposizione agli atti esecutivi; cfr. anche Saletti, op. lc. cit.

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degno della massima attenzione, proprio in funzione della forza propulsiva che l’istituto sta
conoscendo.
Ebbene, circa l’art. 115 c.p.c., la giurisprudenza al riguardo appare divisa tra ritenere che
il giudice debba astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito
al materiale processuale51 e, per converso, ritenere che questi (il giudice) possa esercitare un
controllo, accertando la esistenza o non esistenza del fatto non contestato aliunde52. La
Cassazione opta soventemente per la prima soluzione, della contestazione affermando il carattere
vincolante per il giudice “che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non
contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge
il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti”53. Dello stesso avviso si dice una certa
parte della dottrina54, mentre altri ha affermato che se l’effetto della non contestazione equivale a
relevatio ab onere probandi, e perciò il fatto non abbisogna di prova, non si vede perché il
giudice debba dicostarsene55.
Tali visioni, generando il rischio che con il meccanismo allegazione-ammissione le parti
possano imporre l’applicazione della regola giuridica a fatti che esse sappiano non veri, aprendo
le porte a una qual sorta di verità “concordata”56, omettono tuttavia di considerare la attuale
collocazione dell’istituto nel primo comma dell’art. 115 c.p.c., esemplarmente messa in luce da
chi ci ha ricordato che “esonero dalla prova non vuol dire prova” e che il giudice è autorizzato a
giudicare iuxta non oppugnata “ma se ed in quanto alia non obstant”57.

51
Così, con riferimento a liti in tema di riscatto e prelazione agrari, ma con considerazioni valide in
termini generali, Cass., 9 marzo 2012, n. 3727.
52
V., nell’ambito del processo del lavoro, Cass. lav., 4 aprile 2012, n. 5363.
53
Oltre al rif. citato supra, v. anche Cass., 21 giugno 2013, n. 15658. In precedenza, Cass. 25 maggio
2004, n. 10031; Cass. 21 maggio 2008, n. 13079; Cass., 27 febbraio 2008, n. 5191; Cass., 5 marzo 2009,
n. 5356.
54
V. esemplificativamente, Teodoldi, La non contestazione, cit., il quale segnala che “nessun
processo né alcun giudice civile hanno interesse ad accertare, per puro vezzo epistemico, se i fatti
pacifici tra le parti siano in realtà difformi dal vero. Lo faranno soltanto allorché superiori interessi
dell’ordinamento esigano tale accertamento, come avviene, ad es., nel campo dei diritti indisponibili”.
55
Santangeli, La non contestazione, par. 9 e nt. 60.
56
In arg. v. Festi, Riflessioni, cit., par. 1 (il quale considera la nota posizione di Taruffo, con riff. in
nt. 7) espressa in Verità negoziata?, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., Suppl. 3, 2008, , 94 ss. e per cui v. ora
anche Id., sub art. 115, 490 ss. Analogo timore è espresso da Santangeli, La non contestazione, cit., par.
2.
57
Sassani, L’onere, cit., par. 5. Riengono che– ad onta del tenore testuale dell’art. 115 – il giudice
potrebbe rilevare l’inesistenza del fatto quand’anche non contestato anche Consolo, Spiegazioni di diritto
processuale civile, I, Le tutele di merito, sommarie ed esecutive, Torino, 2012, 221 ss.; De Vita, L’onere
di contestazione, cit., 196 ss. Sul punto, v. anche Taruffo, sub art. 115, cit., 493 e Cea, L’evoluzione del
dibattito, cit.

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Soltanto aderendo a tale tesi, si evita che il sistema permetta una decisione fondata su fatti non
veri, esigenza sentita poiché sulla esistenza di tali fatti il controllo in sede di impugnazione è ad
alto “rischio di dissolvimento”58.
Se un’ottica “efficientistica”59 deve adottarsi, che lo si faccia, quanto meno, in maniera
coerente ed univoca in riferimento a ciascuna delle ipotesi, più o meno assimilabili, in cui la
tecnica in questione è utilizzata.
Certo è che deve sempre ritenersi opportuno un controllo a posteriori del giudice sul
meccanismo della non contestazione e sugli effetti del suo operare.
Precisato quanto precede con riguardo al processo di cognizione, saremmo inclini a negare,
nell’ambito del nuovo art. 548 c.p.c., che la non contestazione del terzo determini una decisione
ed un effetto incontrollabili da parte del giudice, aderendo tanto alla lettura che ridimensiona
l’effetto apparentemente restrittivo della impugnabilità con opposizione agli atti dell’ordinanza
di assegnazione resa sulla base della mancata contestazione derivante dall’art. 548 ult. comma,
quanto alla proposta di ritenere che il terzo possa proporre opposizione all’esecuzione avviata
sulla scorta della medesima ordinanza, anche contestando la certezza del diritto medesimo60.
Quanto al particolare procedimento di consulenza preventiva introdotto all’art. 445-bis c.p.c.,
vista la possibilità che ad un accertamento definitivo e non più impugnabile si giunga soltanto
per il fatto della non contestazione della consulenza ad opera delle parti 61, saremmo senz’altro
dell’idea di ammettere avverso il decreto di omologazione il ricorso straordinario ex art. 111
Cost. 62, pur con tutti i limiti del caso63.
Per il futuro ancor meglio sarebbe, come dicevamo, far chiarezza sui connotati essenziali
della tecnica in commento, per evitare di ripetere certi errori e inaccortezze.

58
Le recenti riforme al sistema delle impugnazioni ed in particolare al testo dell’art. 360 c.p.c., son
state fatte oggetto di molteplici commenti in dottrina, tra i quali ci limitiamo a citare l’autorevole voce di
Sassani, La logica del giudice e la sua scomparsa in Cassazione, in www.judicium.it. Fintanto che la
mancata contestazione integra tipicamente un accertamento di fatto, come si ritiene normalmente in
giurisprudenza (v. es. Cass., 16 dicembre 2005, n. 27833), dubbi esisteranno oggi circa il ricorso per
cassazione, salvo ritenere, come Santangeli, La non contestazione, cit., par. 10, che la mancata
contestazione ed il giudizio al riguardo integri un error in procedendo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
59
Espressione utilizzata da Vincre, Brevi note, cit., par. 2, in relazione alle recenti modifiche in tema
di espropriazione presso terzi.
60
Vincre, op. cit., par. 6, in fine.
61
Salvo estendere i limiti dell’accertamento del giudice in sede di omologa, tema su cui v. Frabasile,
L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445-bis c.p.c.: questioni controverse e soluzioni
possibili, in ww.judicium.it, par. 5.
62
Così anche Monteleone, Il nuovo processo, cit., par. 4.
63
Nei limiti in cui ciò possa soddisfare la necessità di ripetere la consulenza il che, come noto, sarà
possibile (ma assai difficile) soltanto dopo che la S.C. vi abbia rilevato delle incongruenze e decida di
rinviare le parti dinanzi al tribunale competente per lo svolgimento del giudizio in unico grado.

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