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LA PEDAGOGIA PSICOANALITICA IN EUROPA E NEGLI STATI

UNITI
Nei primi quarant’anni del ventesimo secolo in Europa e negli Stati Uniti si
sviluppano alcune importanti correnti di psicologia clinica e sperimentale che
gettano le basi per la teoria pedagogica e la didattica contemporanee.

1. Freud e la psicoanalisi
Sigmund Freud è il fondatore della psicoanalisi, teoria psicologica destinata a
modificare non solo l’immagine dell’uomo ma anche quella dell’età infantile e le
pratiche educative correlate.
1.1 La teoria dell’inconscio
Freud afferma che nella nostra psiche esiste una dimensione inconscia e irrazionale
in cui istinti e desideri si annidano e non sono percepibili a livello cosciente. Pur non
essendo percepiti, questi contenuti perlopiù di natura sessuale, necessitano di
essere soddisfatti, pena il manifestarsi di disturbi del comportamento più o meno
gravi.
Nei contenuti dell’inconscio rientrano anche esperienze vissute e dimenticate a
seguito di un processo di rimozione. La rimozione cancella dal piano cosciente
eventi come traumi. Tuttavia, il contenuto può affiorare sotto forma di sintomo
nevrotico generando una sofferenza psichica.
Per far fronte alla sofferenza psichica, Freud mette a punto una scienza dell’uomo e
della mente e un percorso terapeutico che vanno sotto il nome di psicoanalisi.
Questa terapia presuppone il colloquio libero tra terapeuta e paziente, e lo
psicanalista aiuta al paziente a far emergere i conflitti del proprio inconscio. Questo
metodo favorisce lo sviluppo della consapevolezza necessaria a instaurare in sé un
nuovo equilibrio.
Per Freud la terapia richiede un rapporto assai lungo, con incontri periodici e durate
annuali. Questa relazione diventa molto profonda: lo psicoanalista trasferisce sul
paziente paure, desideri, aspettative che sono presenti in figure rilevanti come i
genitori o persone amate. È il transfert, che porterà alla guarigione il paziente.
Le pulsioni inconsce (libido: energia di natura sessuale) e i contenuti rimossi si
manifestano innanzitutto nei sogni ma anche nei comportamenti, nei giochi e nelle
espressioni verbali. Essi sono segni di un contenuto latente, proveniente
dall’inconscio.
1.2 La concezione della vita psichica
Freud descrive il funzionamento della vita psichica mediante tre componenti della
personalità:
 L’Es, sede inconscia degli istinti;
 L’Io, dimensione conscia di controllo dell’Es;
 Il Super-Io, formazione morale che “censura” i desideri socialmente
inaccettabili
Il compito dell’uomo è di sottoporre gli istinti al controllo dell’Io: si tratta di tendere
ad una situazione di equilibrio tra le componenti della personalità.
Parallelamente Freud teorizza che non può esistere solo la libido come pulsione
umana e ne introduce altre due contrapposte:
 Eros, pulsione di vita che si esprime nell’amore e nella costruttività.
 Thanatos, pulsione di morte che si esprime nell’odio.
1.3 La teoria dello sviluppo psico-sessuale
Freud ha messo a punto la psicoanalisi partendo dall’esperienza diretta con gli
adulti: non ha mai analizzato direttamente i bambini. Tuttavia ha ritenuto
importante elaborare una teoria dello sviluppo che tenga conto dei primi sei anni di
vita, ritenendoli fondamentali per l’organizzazione di una personalità serena e non
nevrotica.
Per Freud ogni individuo attraversa varie fasi psico-sessuali, in cui la libido si
concentra in zone, dette erogene:
 Nella fase orale la zona erogena è la bocca, il bambino con età compresa tra i
primi mesi e un anno e mezzo prova piacere all’atto della suzione.
 Nella fase anale, che va da uno ai tre anni, il bambino prova piacere legato
alle funzioni corporali (zona erogena ano).
 Nella fase genitale il piacere è legato all’esplorazione sessuale (alla fine del
terzo anno). La fase genitale è divisa in fase fallica, fino ai cinque anni, e fase
genitale in senso stretto dai cinque in poi.
Alla fase fallica segue un periodo di latenza dove la sessualità è inibita, per poi
esplodere nella pubertà.
Durante la fase fallica i bambini e le bambine desiderano un rapporto esclusivo con il
genitore dell’altro sesso e vivono il genitore del proprio sesso come un rivale. È il
cosiddetto complesso di Edipo. La risoluzione della crisi edipica permette la
maturazione sessuale e l’interiorizzazione delle regole e della morale della società.
1.4 Le implicazioni pedagogiche delle teorie freudiane
Freud mette in discussione i valori dell’educazione borghese del suo tempo: la
razionalità, l’autocontrollo, la repressione sessuale. Secondo Freud bisogna
riconoscere che le pulsioni vanno comunque soddisfatte, anche se in forma
controllata e dirottata verso mete socialmente accettabili.
Convinto che nell’educazione si debba cercare di ottenere il massimo e nuocere il
minimo, nella lettera Sull’istruzione sessuale dei fanciulli Freud denuncia
l’atteggiamento di coloro che ignorano l’esistenza di una sessualità infantile, o di
coloro che cercano di impedirne il manifestarsi.
Poiché Freud ritiene che un corretto sviluppo psico-sessuale nei primi sei anni di vita
si realizzi solo mediante interazioni positive con gli adulti, egli conferisce loro la
responsabilità della salute psicologica del bambino. Tra il bambino e l’adulto
estraneo alla cerchia familiare (il maestro) può verificarsi un processo di transfert,
ossia trasposizione inconsapevole di sentimenti originariamente diretti alle figure
centrali della propria infanzia.
Un’altra implicazione pedagogica è la concezione della vita come una costante
percorso auto-educativo, lungo il quale l’uomo lotta per sottomettere alla
razionalità le forze oscure che si agitano in lui: ‘’dov’era Es, deve diventare Io’’.

2. Oltre il freudismo: Adler


Alfred Adler, medico austriaco, prende le distanze dal movimento psicanalitico a
causa di contrasti teorici. Egli teorizza una concezione dello sviluppo differente da
quella di Freud e concepisce lo sviluppo come processo organizzato intorno a un
‘’sentimento di inferiorità’’ dell’Io e a un ‘’ideale di perfezione’’ compensativo.
Il complesso di inferiorità scaturisce dal desiderio del bambino di affermarsi nella
realtà conseguendo i propri obiettivi. L’esperienza del fallimento genera frustrazione
e senso di inferiorità: quindi cerca una compensazione plasmando un sé ideale.
L’ “ideale dell’Io” affiora nell’infanzia e in seguito può venire perseguito in forma
equilibrata oppure patologica. Per questo l’intervento educativo diviene
fondamentale al fine di favorire l’individualizzazione delle strategie necessarie per
consentire a tutti la propria realizzazione. È necessario cercare di realizzare percorsi
educativi familiari e scolastici che permettano al bambino di sviluppare un armonico
ideale di vita.
L’educazione per Adler deve promuovere il senso sociale dei bambini, incanalando la
loro aspirazione alla superiorità in sbocchi positivi ed utili. Non deve forgiare
studenti modello ma persone dotate di benessere psichico e di una positiva
capacità di adattamento sociale. Essa dovrebbe aiutare tutti a realizzarsi in questa
dimensione, anche coloro che non mirano al successo scolastico.

3. Anna Freud e la psicoanalisi infantile


Anna Freud, figlia di Sigmund, può essere considerata la fondatrice della
psicoanalisi infantile. Alla direzione della “Hampstead Child Therapy Clinic” di
Londra, Anna Freud realizza e promuove una grande quantità di ricerche sulla
terapia psicoanalitica infantile e sull’interpretazione generale della psicologia
dell’età evolutiva.
La studiosa si preoccupa anche di analizzare il rapporto tra la psicoanalisi e la
pedagogia. Il contributo della psicoanalisi alla pedagogia può anche servire a
riparare i danni inflitti da un’educazione sbagliata. Secondo Freud lo sviluppo dei
bambini è profondamente influenzato dalle relazioni familiari e sociali, e il compito
della psicoanalisi consiste sia nel riequilibrare le condizioni psicologiche del bambino
in crisi, sia nell’agire nei confronti dei genitori e degli educatori, perché a loro volta
siano in grado di comunicare efficacemente e positivamente con lui.
Il terapeuta deve accostarsi alla comprensione del bambino sia attraverso il
linguaggio sia, soprattutto, attraverso l’analisi di una serie di comportamenti a forte
contenuto simbolico come i sogni, i giochi e il disegno. Il ruolo dello psicoanalista
prevede anche un aspetto attivo, che consiste sostanzialmente nella comunicazione
educativa con il paziente.

4. La psicoanalisi negli Stati Uniti


A causa del nazismo in Germania e della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti
sono stati terra di diaspora per gli psicoanalisti tedeschi e austriaci. In questo
orizzonte si inserisce il contributo dello psicologo tedesco Erikson e dello
psicoanalista viennese Bettlheim.
4.1 Erikson e lo sviluppo psico-sociale
Erik Erikson collega le teorie di Freud alla sociologia, ampliando e rivedendone le
implicazioni. Egli estende le fasi psico-sessuali freudiane all’arco di tutta la vita,
trasformandole in otto ‘’fasi di sviluppo psico-sociale’’, ciascuna riconducibile a uno
specifico momento dello sviluppo, nonché del percorso educativo.
 Orale sensorio: fiducia e sfiducia
 Muscolare anale: vergogna, dubbio, autonomia
 Locomotorio genitale: spirito di iniziativa e senso di colpa
 Latenza: industriosità e senso di inferiorità
 Pubertà e adolescenza: identità e dispersione
 Gioventù: Intimità e isolamento
 Età adulta: Generatività e stagnazione
 Maturità: integrità dell’io e disperazione
Ogni fase della vita è caratterizzata da una specifica dicotomia;
Il processo educativo, per Erikson, consiste nell’interazione con una personalità che
si sviluppa secondo le proprie leggi, lungo un percorso determinato dalle risposte
dell’ambiente all’individuo. L’educazione assume così primaria importanza perché i
bambini fissano tratti della propria personalità mediante le relazioni con gli adulti.
4.2 Bettelheim: psicoanalisi e educazione
Bruno Bettelheim dirige per quasi trent’anni l’Orthogenic School, una scuola
speciale di Chicago per bambini psicotici. Il suo interesse per la psicologia del
bambino lo spinge a occuparsi soprattutto dell’interazione tra genitori e figli e del
significato psicologico della fiaba.
Secondo Bettelheim nell’educazione l’amore non basta. La complessità dei processi
psicologici richiede che l’educatore sappia cogliere i bisogni profondi del bambino e
interagire con il suo sviluppo rispettandone l’individualità. Particolarmente
significative sono le osservazioni Bettelheim sul metodo usato per l’istruzione
nell’istituto da lui diretto, una vera e propria comunità educativa totale, in cui
qualunque momento diviene terapeutico e educativo.
L’insegnante della Orthogenic School deve favorire la crescita complessiva della
personalità dell’allievo: non si tratta solo di acculturare, ma di migliorare il apporto
del bambino con sé stesso e con il mondo. Una volta affrontati e risolti i problemi
emotivi dell’alunno, i progressi scolastici saranno così rapidi che l’insegnante avrà il
compito di contenerli per evitare che egli sia un disadattato quando si reinserirà
nella scuola pubblica.
Sono note le analisi psicopedagogiche di Bettelheim riguardanti il significato delle
fiabe che hanno ispirato molti studiosi. Bettelheim vede in essa un espediente
narrativo utile per affrontare una serie di eventi negativi corrispondenti alle paure o
alle circostanze reali della vita del bambino. Per Bettelheim il bambino sa qual è la
differenza tra realtà e fantasia e trova nella fiaba un momento di liberazione dalle
proprie angosce. Le fiabe offrono un contributo importante alla comprensione del
mondo interiore e delle relazioni tra persone. La fiaba può svolgere il compito di
“guida morale” che aiuta il bambino a ricavare un senso dal succedersi delle proprie
emozioni.

5. La psicologia della forma in Germania


Agli inizi del Novecento in Germania si diffonde una scuola psicologica nota come
psicologia della forma, in base alla quale la nostra esperienza del mondo si organizza
mentalmente in ‘’forme’’. I gestaltisti sviluppano la loro teoria compiendo ricerche
sulle leggi che governano la percezione e sul modo in cui l’intelligenza affronta i
problemi posti dall’adattamento all’ambiente.
A questo proposito Kohler conduce esperimenti con le scimmie e osserva che la
soluzione di problemi basati su comportamenti complessi richiede l’utilizzo di
strategie intelligenti e di strutturazioni e ristrutturazioni creative (insight, intuizione)
degli elementi del problema. Da queste osservazioni deriverà la corrente
psicopedagogica rivolta allo studio dell’apprendimento come problem solving.
5.1 Wertheimer e il pensiero produttivo
Il contributo gestaltista più importante per lo sviluppo della teoria e della pratica
educative è quello di Max Wertheimer. Egli ne “Il pensiero produttivo” analizza le
strategie di insegnamento messe in atto nelle scuole tedesche all’inizio del
ventesimo secolo, strategie che ha modo di conoscere in qualità di ispettore
scolastico.
Egli constata che gli insegnanti tendono a fornire agli allievi procedimenti
precostituiti per la soluzione dei problemi. Questo fatto, osservato soprattutto
nell’ambito della matematica, porta a Wertheimer a notare che la strategia di
apprendimento degli alunni è tendenzialmente passiva e mnemonica.
Quando si propone a una classe il problema la cui soluzione è possibile solo sulla
base di un valido insight, gli allievi si dividono tra coloro che sanno realizzare questa
ristrutturazione e coloro che si bloccano, protestano, o comunque non riescono a
giungere alla soluzione. I primi sono coloro che possiedono un pensiero produttivo,
una percezione globale della struttura del problema. La didattica è dunque efficace
quando pone i soggetti di fronte a problemi affrontabili con strategie alla loro
portata. Il compito dell’insegnante diventa quello di offrire aiuti o stimoli, di attivare
l’alunno di fronte al problema. Secondo Wertheimer un simile approccio non è
efficace solo per quanto concerne le didattiche di area logico-matematica, ma in
generale, per insegnare ad affrontare tutte quelle situazioni in cui l’individuo deve
innescare strategie diverse, a seconda degli stimoli dell’ambiente esterno: in altre
parole, per la vita stessa.
6. Piaget e l’epistemologia genetica
Insieme a Freud, Piaget è lo studioso che nel ventesimo secolo ha più contribuito a
modificare l’immagine del fanciullo e dell’educazione. La teoria psicologica
piagetiana viene definita “epistemologia genetica” perché è orientata a seguire la
genesi (l’origine e lo sviluppo dell’intelligenza attraverso le fasi proprie di ciascuna
età), e a spiegare il passaggio da una fase all’altra.
La psicologia genetica studia soprattutto le funzioni legate all’intelligenza, ma non si
occupa dell’affettività come motore di sviluppo psichico: la concezione piagetiana
del bambino è complementare a quella freudiana, incentrata proprio su affetti ed
emozioni.
Per Piaget l’intelligenza è una capacità che permette al soggetto di adattare il
proprio comportamento alle modificazioni dell’ambiente. Lo sviluppo psichico,
secondo lui, avviene attraverso l’interazione con l’ambiente fisico e sociale
circostante. Dunque l’apprendimento, in quanto adattamento, è costruzione che
dipende dall’attività del fanciullo e dalle modificazioni psichiche conseguenti.
6.1 La concezione pedagogica
Piaget ritiene che i tempi e la successione delle fasi di sviluppo psicologico siano
sostanzialmente universali e immodificabili. L’intervento degli adulti non può ne
accelerare ne cambiare questi aspetti. Per il bambino gli insegnamenti verbali sono
significativi solo nella misura in cui la sua intelligenza ha compiuto il passo avanti
necessario a dotarli di senso.
L’educazione non può produrre direttamente i progressi dell’allievo, ma solo
preparare l’ambiente adatto alla loro comparsa, oppure rafforzarli. Il motore
dell’intelligenza del bambino è la sua azione: l’educatore deve predisporre le
condizioni adatte all’esercizio di questo ‘’ autonomo fare’’.
La centralità attribuita al fare del bambino è in pieno accordo con la concezione
dell’attivismo, ma l’analisi che Piaget conduce sullo sviluppo dell’azione nei settori
cognitivi delinea un profilo dell’insegnante diverso. Piaget si batte per un
riconoscimento di questa professionalità, che può favorirne il percorso e assicurare
al bambino il necessario benessere psicologico. L’insegnante deve essere un vero e
proprio “ricercatore”, in grado di rintracciare le condizioni migliori per
l’apprendimento e per le dinamiche ad esso sottostanti.
7. Vygotskij e la psicologia in Russia
Lev Vygotskij è uno dei fondatori della scuola “storico-culturale”, la più importante
scuola sovietica di psicologia. Pur aderendo all’idea che lo sviluppo umano dipende
ampiamente dalla dimensione sociale, Vygotskij si nutre del confronto col pensiero
occidentale.
In ‘’pensiero e linguaggio’’ Vygotskij prende le distanze dalla riflessione di Piaget. Il
bambino degli studi piagetiani viene descritto isolato; per Vygotskij l’aspetto
caratteristico dello sviluppo è la sua socialità: il bambino cresce nell’interazione con
gli altri.
Se per Piaget l’educazione e l’istruzione devono seguire lo sviluppo, per Vygotskij
esiste un’area di sviluppo potenziale nella psiche del bambino, la quale, se
opportunamente stimolata, consente progressi nell’apprendimento non altrimenti
conseguibili.
Quest’ area di sviluppo potenziale corrisponde a funzioni cognitive ancora “acerbe”,
suscettibili di maturazione grazie all’assistenza di un adulto. Da essa si distingue
l’area di sviluppo attuale che corrisponde a funzioni cognitive già maturate del
bambino che vanno a costituire la sua competenza individuale.
Lo sviluppo umano si configura come prodotto storico – sociale: l’adulto fornisce al
bambino la piattaforma su cui salire per poi costruire il proprio personale edificio
conoscitivo. Per designare l’attività di sostegno dell’insegnante nei confronti
dell’allievo si riconosce la metafora dell’impalcatura (lo scaffolding).
La pedagogia di Vygotskij si incentra sull’idea che tutte le relazioni sociali abbiano
una forte valenza educativa in quanto attraverso la comunicazione non formativa
l’adulto fornisce al bambino strumenti culturali utili al suo sviluppo.
Vygotskij insiste sulla necessità che l’educazione sia precoce e interessi il fanciullo
gia in età prescolare; egli fa corrispondere una nuova ed approfondita analisi delle
sue valenze psico-evolutive: il gioco è una delle principali aree di sviluppo
potenziale. Attraverso il gioco il bambino apprende in una condizione in cui il
rapporto “mobile” con la realtà gli consente di raggiungere mete cognitive altrimenti
impossibili.

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