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111 femmine) sono stati somministrati il questionario “Experience in Close


Relationships” di Brennan et al. e un questionario sulla Percezione del Rischio. A
conferma delle nostre ipotesi, i risultati hanno mostrato che l’attaccamento influenza la
percezione del rischio nel terzo fattore “esposizione personale” e nel quarto “diversità”.
https://www.scienzaonline.com/paleontologia/antropologia/item/563-attaccamento-e-
percezione-del-rischio.html

Introduzione

La teoria dell’Attaccamento e l’elaborazione dell’informazione

Secondo la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1980) nell’individuo fin dalla nascita è
presente un sistema motivazionale a base innata che, in caso di pericolo, ha come funzione
quella di ripristinare lo stato di sicurezza. Sicurezza che dovrebbe essere offerta da chi si
prende cura del piccolo. Le capacità di rispondere al pericolo in modo adeguato si
sviluppano attraverso l’esperienza vissuta con la figura di attaccamento. Pertanto esiste un
legame molto stretto fra attaccamento, sicurezza e pericolo. E’ stata largamente studiata
l’influenza dell’attaccamento sui processi di elaborazione dell’informazione,
considerandone l’interazione tra aspetti cognitivi e affettivi. Secondo la teoria
dell’attaccamento negli individui, infatti, a seconda del tipo di relazione che avranno
sperimentato con la loro figura di attaccamento, si formeranno delle rappresentazioni
mentali, gli Internal Working Models, che vengono definiti come le raffigurazioni interne
che l’individuo possiede del mondo, delle figure d’attaccamento e di sé e che vengono
utilizzate appunto per organizzare l’informazione (Bowlby,1973; Main, Kaplan e Cassidy,
1985). Non si tratta di sistemi rappresentativi rigidi ma capaci di essere attivati e modulati
dalle circostanze ambientali ed interpersonali (Bretherton, 1991). Una volta formato, un
Internal Working Model tende ad organizzare le percezioni e a selezionare l’attenzione in
modo da stabilizzarsi in un’ottica autoconservativa. Questi modelli tendono pertanto a
mantenersi stabili e a configurarsi come caratteristiche stabili della personalità
dell’individuo. Numerose sono state le ricerche che hanno dimostrato la relazione tra la
qualità dell’attaccamento e diverse modalità con cui ogni individuo può elaborare
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l’informazione. Bowlby (1979,1980) ha descritto tre stili di elaborazione delle informazioni


derivanti dai rispettivi tipi di legame di attaccamento con la figura primaria. Gli individui
sicuri sono coloro che hanno sia l’accesso alle informazioni immagazzinate nella memoria,
sia l’abilità di integrare informazioni emotive e cognitive nel corso dell’elaborazione. Gli
individui evitanti escludono in modo difensivo dalla percezione gran parte delle
informazioni rilevanti per il legame di attaccamento, hanno meno accesso a ricordi di
esperienze di attaccamento ed elaborano le informazioni tralasciando quelle riguardanti lo
stato emotivo. Gli individui ansiosi, percepiscono la maggior parte delle infoqíazioni
correlate all’attaccamento, hanno accesso diretto ad esse e ricordano facilmente il tono
emotivo associato. La funzione di valutazione dell’informazione emotiva, però, non è
integrata con le informazioni cognitive. La conseguenza è che gli individui ansiosi non
riescono a distinguere le situazioni minacciose da quelle non minacciose, e rimangono in
uno stato di allerta, con il sistema di attaccamento costantemente attivato. Le configurazioni
degli evitanti e degli ambivalenti rappresentano, pertanto, sia configurazioni di
comportamento sia configurazioni di elaborazione mentale dell’informazione. Sono
ambedue configurazioni distorte, che si sono sviluppate per il bisogno degli individui di
adattarsi ad ambienti distorti, rinunciando anche a parti del loro sé.
Ci è sembrato molto interessante analizzare più approfonditamente l’influenza dello stile di
attaccamento sulla percezione del rischio sia perché non ci risulta che in letteratura sia stato
studiato, sia per l’importanza che esso può assumere a livello sociale per comprendere
meglio il fenomeno dei comportamenti a rischio e per l’elaborazione di strategie
preventive e di intervento.

La Percezione del Rischio

Numerose sono state le ricerche che hanno voluto indagare il modo con cui l’individuo
percepisce il rischio di determinati eventi. Gli studi più recenti (Chaiken & Trope, 1999;
Epstein, 1994; Sloman, 1996; Slovic, Finucane, Peters & MacGregor, 2002) hanno dovuto
tener conto delle moderne teorie psicologiche secondo le quali, nel momento in cui si è
chiamati ad esprimere un giudizio o a prendere una decisione, ci sono due differenti modi di
processare l’informazione. Il primo di questi modi è, dal punto di vista evoluzionistico, il
più arcaico, il più istintivo e quindi il più immediato, meno consapevole e che sfugge al
controllo cognitivo. Lavora a livello di associazioni ed analogie utilizzando le emozioni che
si rivelano utili anche come sistema di pre-allarme. La seconda modalità con cui
l’individuo processa l’informazione è legata all’aspetto cognitivo della nostra mente,
coinvolge cioè la consapevolezza, il controllo, la razionalità e lavora attraverso algoritmi e
ruoli come i modelli normativi di giudizio, la logica formale, il calcolo delle probabilità,
soprattutto quando c’è una conoscenza reale dell’evento preso in considerazione. Ma
quando le informazioni a disposizione sono incomplete o contraddittorie, gli individui, nel
giudicare o stimare un evento rischioso, non si affidano al modello statistico di probabilità
oggettiva, ma formulano delle stime personali che possono essere influenzate sia da una
serie di parametri soggettivi quali, tra gli altri, le proprie esperienze personali (Brehmer,
1987; Weinstein, 1989), la conoscenza diretta o indiretta dell’evento (Berger, 1998), nonché
la possibilità di esercitare o meno un controllo su di esso (Horrens e Buunk, 1993; Otten e
van der Plight, 1996) ma anche da variabili emotive (Mehta e Simpson-Housley, 1994;
Gasper e Clore, 1998) e da caratteristiche di personalità (Twigger-Ross e Breakwell, 1999;
Källmen, 2000; Sjöberg, 2003).

I dati dello studio pionieristico di Fischhoff, Slovic, Lichtenstein, Read e Combs (1978) e
delle successive ricerche (per una rassegna si veda: Boholm, 1998; Rohrmann, 1999), hanno
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fornito un quadro abbastanza omogeneo del modo in cui viene rappresentato il rischio
soggettivo, nonostante le inevitabili differenze culturali e sociali riscontrate, i cui risultati
rimangono tuttora validi nonostante siano trascorsi più di venti anni dalle prime indagini.
I risultati di questi studi hanno consentito a Slovic e collaboratori (Slovic, Fischhoff e
Lichtenstein, 1980) di individuare un gruppo di fattori cognitivi, chiamati “fattori
qualitativi”, in grado di influenzare i processi di valutazione del rischio da parte degli
individui. Le tecniche psicometriche adottate (tipicamente l’analisi fattoriale e lo scaling
psicofisico) hanno consentito di tracciare delle mappe cognitive dei rischi (Slovic, 1987),
che definiscono una rappresentazione mentale del rischio fondata su due o tre dimensioni in
grado di spiegare gran parte della varianza totale.

Il primo di questi fattori, denominato “dread risk” o rischio terrificante, è associato ai


giudizi relativi al potenziale catastrofico dell’evento, alla gravità delle conseguenze, alla
paura ed allo scarso controllo personale dei possibili effetti dannosi. Il secondo fattore,
denominato ”unknown risk” o rischio sconosciuto, è connesso al livello di osservabilità del
rischio, al grado di conoscenza individuale e della comunità scientifica dell’evento
rischioso, alla novità e alla volontarietà dello stesso. Il terzo fattore è associato sia al grado
di esposizione personale alla fonte di rischio che al numero di persone esposte.
Dall’esame della letteratura sulla percezione del rischio, emerge come, nelle ricerche
iniziali, la categoria di rischio più frequentemente utilizzata fosse quella dei “rischi
tecnologici”, categoria tradizionalmente oggetto di studio dell’analisi statistico-
probabilistica o “Risk Analysis”. In seguito, anche in ricerche nazionali (Savadori, Rumiati,
Bonini e Pedon, 1998b; Martinez-Arias, Prades, Arranz e Macias, 2000; Savio, Savadori,
Nicotra e Rumiati, 2003), sono state indagate nuove tipologie di eventi rischiosi (di matrice
ambientale, sanitaria ecc.), che hanno permesso di ampliare lo spettro qualitativo del
concetto di rischio, introducendo anche situazioni e realtà più vicine alla vita quotidiana.
In una nostra recente ricerca (Vermigli, Raschielli, Rossi, Roazzi, 2009) abbiamo seguito
questa direzione, introducendo nuovi rischi, alcuni dei quali afferiscono all’area medico-
sanitaria (SARS, BSE, assunzione di psicofarmaci, ecc.), altri sono riconducibili alla sfera
della socialità, dello stile di vita, dei rapporti e delle relazioni sociali. Con questa scelta
abbiamo voluto rappresentare situazioni, quali quelle della multietnicità e del confronto con
la diversità (culturale, religiosa, di orientamento sessuale), percepite dalla popolazione
italiana con preoccupazione, come emerge da alcune indagini del Censis condotte sul
territorio nazionale negli anni 2003 e 2004 (per la composizione dei vari fattori vedi
appendice A).

Inoltre, abbiamo ritenuto fosse importante differenziare due aspetti della percezione di un
evento rischioso: la gravità del rischio e la probabilità che ha di verificarsi (Tab. 1).
Dall’esame della letteratura sull’argomento, è emerso che anche altre ricerche hanno
utilizzato, queste due diverse dimensioni (Martinez-Arias, 2000; Martinez-Arias et al.,
2000; Arranz, Macias, Prades, Martinez-Arias e Sola, 2000; Martinez-Arias e Prades,
2004). Le differenze emerse, nel nostro studio, tra le due dimensioni hanno confermato la
validità delle nostre ipotesi. I primi due fattori presentano punteggi più elevati nella scala di
gravità che in quella di probabilità, questo è dovuto alla natura degli eventi rischiosi
rappresentati in questi fattori; infatti sono presenti sia dei rischi dalle conseguenze
particolarmente gravi (nel fattore 1) sia dei rischi che fanno riferimento ad attività o
situazioni nuove o poco conosciute (nel fattore 2). In entrambi i casi la stima di questi rischi
è condizionata dallo scarso controllo personale o collettivo che si può esercitare e dalla
scarsa familiarità degli eventi rischiosi. Il terzo fattore riguarda invece eventi considerati
meno pericolosi e i cui effetti sono ritenuti più controllabili dall’individuo, trattandosi di
rischi a cui ci si espone in maniera volontaria, spesso con una regolarità che li rende
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familiari. Pertanto sono percepiti meno gravi, ma più probabili. Queste caratteristiche
rendono la stima di questi rischi soggetta a frequenti errori o distorsioni cognitive e all’uso
di procedure inferenziali conosciute con il nome di euristiche. Il quarto fattore da noi
denominato “diversità” presenta un andamento simile al terzo fattore, risulta cioè meno
grave che probabile. In questo caso l’interpretazione che si può avanzare è che l’approccio
con il diverso sia ormai considerato un fatto culturalmente acquisito e l’inserimento nel
mondo della scuola o del lavoro di persone di cultura o stile di vita diversi dalla propria non
è più percepito come una minaccia, forse anche perché fatti del genere cominciano a
diventare frequenti, quindi familiari e conosciuti.

Differenze individuali nella percezione del Rischio

Dalle numerose ricerche sul rischio emerge che tra i fattori in grado di influenzare la
percezione notevole peso viene dato alle differenze individuali legate al genere, all’età dei
partecipanti, alla genitorialità e all’expertise, mentre meno studiate risultano le
caratteristiche di personalità .
Il genere è la variabile con maggiori riscontri empirici: le donne tendono a valutare i rischi
in modo più severo rispetto agli uomini, esprimendo una maggiore preoccupazione
(Viscusi,1991; Flynn, Slovic e Mertz, 1994; Davidson e Freudenburg, 1996; Slovic, 2000;
Lundborg and Anderson, 2006), anche se da alcuni interessanti studi emerge che se anche
questa differenza di genere esiste a livello quantitativo, ad un’analisi qualitativa, risulta che
essa è da attribuire anche ad altri elementi come il tipo di rischio, i diversi significati ad
esso attribuiti, le relazioni di potere tra uomo e donna, ecc. (Bronfman et al., 2003). Anche i
nostri risultati vanno in questa direzione: si sono ottenute delle differenze statisticamente
rilevanti tra i valori di stima del rischio espressi dalle donne rispetto a quelli espressi dagli
uomini nei primi due fattori, Rischio Terrificante e Rischio Sconosciuto, sia a livello di
gravità che di probabilità. Non risultano invece differenze significative tra uomini e donne
per quanto riguarda il terzo e il quarto fattore, corrispondenti a Rischio Esposizione
Personale e Rischio Diversità (Tab. 2).
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Tabella 2. Analisi di Kruskal-Wallis considerando come variabili indipendenti Expertise,


Sesso e Genitorialitá e come variabili dipendenti i quattro fattori di rischio per le due
dimensioni: Gravitá e Probabilità

* Nota: Expertise = Media 1 Esperto, Media 2 Non-Esperto; Sesso = Media 1 Maschio,


Media 2 Femmina; Genitorialitá = Media 1 Genitore, Media 2 Non Genitore.

Con riferimento all’età, i risultati presenti in letteratura mostrano, generalmente, che le


popolazioni giovanili sono meno preoccupate dei pericoli, in confronto a campioni di età
più avanzate. Ciò produce una stima meno grave dei rischi e delle possibili conseguenze
(Hellesoy, Gronhaug e Kvitastein, 1998). Anche dai nostri risultati emerge che le stime di
rischiosità da parte del gruppo dei giovani, relativamente al terzo fattore, Rischio
Esposizione Personale, sono di entità inferiore a quelle espresse dal gruppo di soggetti di età
superiore ai 30 anni, sia a livello di gravità che di probabilità del rischio. Possiamo
affermare che, il giudizio sottostimato fornito dai giovani possa essere attribuito ad
atteggiamenti ed assunzioni valoriali di iper-fiducia nelle proprie abilità che sono in grado
di alterare e viziare la percezione soggettiva del rischio, come sappiamo dagli studi sulle
euristiche e sui bias cognitivi (Kahneman, Slovic e Tversky, 1982; Savadori, Rumiati e
Pietroni, 1999; Rumiati e Bonini, 2001).

In riferimento alla genitorialità si sono riscontrate differenze significative sia a livello di


gravità che di probabilità in relazione al fattore 3 “Rischio Esposizione Personale”: il
gruppo dei genitori valuta come più alta sia la gravità che la frequenza di accadimento degli
eventi rischiosi associati a questo fattore. Le situazioni che vengono prese in considerazione
prevedono l’ esposizione individuale al rischio dovuta all’uso del
motorino, dell’automobile e al far uso di bevande alcoliche e quindi di guidare in stato di
ebbrezza che più di altri possono richiamare alla mente condotte giovanili o adolescenziali.
Possiamo ipotizzare che la presenza di una relazione affettiva coinvolgente (come quella
genitore-figlio) induca i genitori a sovrastimare la probabilità di accadimento dell’evento
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rischioso. Come se lo stimolo (l’evento rischio) attivi nel genitore uno stato d’animo (la
preoccupazione o la paura) in grado di alterare la percezione del rischio.

Un altro dei fattori che sembra influenzare le stime dei rischi è il livello di expertise del
valutatore. Tale effetto è stato studiato in una ricerca di Slovic, Fischhoff e Lichtenstein
(1980) dalla quale sono emerse nitidamente alcune differenze nella percezione del rischio
dei tre diversi gruppi di persone non-esperte rispetto al gruppo di esperti, il cui giudizio è
altamente correlato con le stime obiettive, più di quanto lo fosse quello dei soggetti non
esperti (lay people). Questi ultimi sono coloro che possiedono poche conoscenze
scientifico-tecnologiche (Miller, 1998) e pertanto nel momento in cui sono chiamati ad
esprimere un giudizio sulla rischiosità di determinati eventi si affidano alle loro esperienze
personali piuttosto che alle conoscenze in loro possesso. Anche da altre ricerche (Slovic,
Malmfors, Krewski, Mertz, Neil e Bartlett, 1995) emerge che il fattore “expertise” è in
grado di differenziare gli individui nella percezione del rischio, tuttavia dai risultati di altri
studi (Savadori, Rumiati, Bonini e Pedon, 1998) i ricercatori hanno notato che le stime di
rischiosità della gente comune non sono sempre di entità superiori a quelle espresse dagli
esperti, deducendo che in determinati contesti non sarebbe statisticamente plausibile parlare
di differenze tra i due gruppi (Savio, Savadori, Nicotra e Rumiati, 2003). Infatti, la
differenza tra esperti e non esperti emerge per i rischi di natura scientifico-tecnologica
laddove cioè, il fatto di possedere conoscenze specifiche, porta ad una valutazione della
probabilità del rischio più aderente alla realtà (Kletz, 1996). Va tenuto conto che non
sempre gli esperti concordano sul risk assessment e che sono anch’essi soggetti a possibili
fonti di distorsione (Rowe e Wright, 2001).

Per quanto riguarda i dati della nostra ricerca i risultati fanno emergere differenze
statisticamente significative sulla stima del rischio da parte del campione degli “esperti”
rispetto ai “non esperti”, sia a livello di gravità che a livello di probabilità nei primi due
fattori, il Rischio Terrificante e Rischio Sconosciuto, e solo a livello di probabilità in
relazione al fattore 4, Rischio Diversità.

Alla luce di quanto emerge dagli studi sulla percezione del rischio abbiamo ritenuto utile
fornire un ulteriore contributo alla conoscenza della percezione del rischio che offrisse una
visione integrata della variabilità della percezione del rischio a livello di dimensioni,
tenendo separata la valutazione in funzione della gravità e della probabilità di accadimento;
a livello di situazioni, includendo fenomeni sociali emergenti nel contesto italiano come
quelli legati alla precarietà del lavoro o alla relazione con la multietnicità; a livello di
differenze individuali studiando l’influenza di variabili quali il genere, l’età, il livello di
istruzione, la genitorialità, l’expertise ma anche considerando una tra le caratteristiche di
personalità che pensiamo che possa maggiormente influenzare il modo di processare
l’informazione cioè lo stile di attaccamento.

L’ ipotesi che avanziamo è che l’attaccamento, lungo l’asse sicurezza/insicurezza, sia in


grado di modificare la percezione del rischio degli individui.
Pur mantenendo distinte le valutazioni a seconda delle due dimensioni, gravità e probabilità,
in questo articolo riportiamo i dati relativi all’influenza dell’attaccamento rispetto ai quattro
fattori emersi.
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Metodo

Caratteristiche del campione


Il nostro campione è costituito da 212 partecipanti, residenti nel Lazio, 101 maschi (47,6%)
e 111 femmine (52,4%), di cui 97 esperti (45,8%), di età compresa tra i 20 e i 66 anni (età
media di 40,7 anni). L’area professionale da cui è stato tratto il campione di esperti è quella
della ricerca.
Il campione secondo il titolo di studio risulta così suddiviso: 8 con licenza media (3,8%), 88
con diploma di scuola superiore (42,1%), 113 con laurea (54,1%), di cui 89 con laurea
tecnico-scientifica (42,6%) e 24 con laurea umanistica (11,5%).

Strumenti d’indagine
Per svolgere il presente lavoro di ricerca abbiamo utilizzato un questionario per la misura
della percezione del rischio costituito da 56 item, in relazione a ciascuno dei quali è stato
chiesto di dare una valutazione sia della gravità del rischio che della sua probabilità di
accadimento, utilizzando una scala Likert adattata con valori da 1 a 4. Le analisi fattoriali
hanno fatto emergere quattro fattori. In particolare nel fattore I, che può essere etichettato
come “Rischio terrificante”, è rappresentato da una serie di rischi, legati a sostanze,
tecnologie o comportamenti, considerati anche in letteratura (Rumiati e Savadori, 1999)
dalle conseguenze estremamente gravi, il cui potenziale catastrofico è fatale e
incontrollabile e i cui effetti dannosi possono estendersi anche alle generazioni future oltre a
risultare indipendenti dalla volontà del singolo individuo.Questo fattore presenta un elevato
indice di omogeneità interna, il più alto tra i quattro fattori, che rende coerenti tra di loro gli
item che lo rappresentano (alpha di Cronbach gravità 0.93, probabilità 0,95).

Il Fattore 2 che può essere indicato come “Rischio sconosciuto” è composto da item che
abbracciano campi diversi e che sembrano anche molto distanti tra loro. Il denominatore
comune sembra essere proprio il fatto che le conseguenze di questi tipi di rischio non sono
conosciute e pertanto la percezione della loro gravità è legata al grado di conoscenza e
familiarità che si ha della sostanza, tecnologia o comportamento, sia da parte delle persone
che da parte della scienza, alla non osservabilità delle conseguenze, all’assunzione
involontaria del rischio, al timore di essere esposti a effetti dannosi differiti, a lungo
termine. La coerenza interna del fattore è testimoniata dall’alto coefficiente dell’alfa di
Cronbach, (alpha di Cronbach gravità 0.90, probabilità 0,87) che è in grado di intercettare in
campi così diversi del sapere (le nuove tecnologie industriali e i nuovi campi del sapere
della scienza, le recenti tematiche ambientali e i rischi dovuti alla riforma del sistema
pensionistico), le caratteristiche proprie di questo fattore.

Il Fattore 3 può essere definito come “Esposizione personale” ed è collegato al grado di


esposizione effettiva sia personale che collettiva all’evento rischioso, alle conseguenze
personali e, talvolta, anche alle caratteristiche del rischio nell’ottica del rapporto
costi/benefici: per es. nell’evento “Intervento chirurgico” risulta evidente il pericolo che si
corre sottoponendosi all’intervento, tuttavia, in maniera del tutto generale, ci si sottopone
agli interventi chirurgici consapevoli che i benefici che se ne traggono sono superiori ai
rischi che si corrono. Questo fattore non è sempre presente in letteratura, specialmente negli
studi rivolti alla popolazione adulta. Invece, alcuni rischi legati all’utilizzo imprudente di
mezzi di trasporto o all’uso eccessivo di bevande alcoliche, sono tra gli eventi rischiosi che
più emergono nelle ricerche svolte sulla percezione del rischio negli adolescenti (Bonino e
Cattelino, 1998). Nella presente ricerca questo terzo fattore presenta un indice di
omogeneità interno molto elevato (alpha di Cronbach gravità 0.82, probabilità 0,80).
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Dall’esame dei singoli item si può notare che un elemento che li accomuna è il fatto che
l’esposizione alla fonte di rischio si riferisce a comportamenti legati ad azioni che ogni
individuo può svolgere nella quotidianità e la cui pericolosità dipende dall’uso improprio o
incauto che ne viene fatto (andare in bicicletta, in moto, alpinismo), alla valutazione nel
rapporto costi/benefici e all’esposizione volontaria al rischio.

Il Fattore 4 può essere denominato come “Rischio diversità” (alpha di Cronbach gravità
0.75, probabilità 0,78) ed è legato al concetto di relazione, e incontro con l’altro, inteso sia
come individuo che come gruppo, al grado di novità e familiarità con tale evento e alle sue
conseguenze personali o collettive.
Si tratta di un nuovo fattore, che non ci risulta essere stato mai individuato da nessuna
ricerca in campo psicometrico, che riguarda una tipologia di rischio o, per meglio dire,
preoccupazione sociale, collettiva, molto sentita nella realtà italiana, e, per queste ragioni, è
stata da noi individuata ed estrapolata da alcune ricerche locali e nazionali condotte da
autorevoli istituti di ricerca come il Censis.
Sono stati inoltre rilevati alcuni dati socio-demografici, quali l’età, il sesso, la professione e
l’essere o meno genitori.

Un secondo questionario, L’ECR (Experiences in Close Relationships) di Brennan, Clark e


Shaver (1998) validato anche in Italia (Picardi, Vermigli, Toni, D’Amico, Bitetti e Pasquini,
2002), è stato utilizzato per la misura dello stile di attaccamento. Gli autori ritengono che
l’amore romantico possa essere concepito come un vero e proprio processo di attaccamento,
in cui le differenze individuali riportate nelle esperienze di innamoramento sono legate ai
ricordi delle relazioni avute coi genitori nel corso dell’infanzia. ed è costituito da due
sottoscale di 18 items ciascuna, le quali misurano rispettivamente la dimensione
“Evitamento” (α di Cronbach = 0,88) e la dimensione “Ansietà” (α di Cronbach = 0,90)
nelle relazioni di coppia. I sette livelli della scala vanno da completamente falso a
completamente vero. I partecipanti che hanno punteggi alti nella scala evitamento sono
coloro che mostrano un modo d’amare che si basa essenzialmente nel mantenere le distanze
dal partner (appena il mio partner inizia a diventare più intimo, mi rendo conto di
allontanarmi) e sul provare disagio nei rapporti intimi (ho difficoltà ad aprirmi al partner). I
punteggi alti nella scala ansietà stanno ad indicare una relazione affettiva basata sul timore e
sulla diffidenza (ho bisogno di molte rassicurazioni sul fatto di essere amato dal mio
partner).

Procedure
E’ stata fornita ai partecipanti una breve presentazione della ricerca, esponendo le ragioni e
le finalità dell’indagine, con la rassicurazione del rispetto della privacy. Le istruzioni per la
compilazione dei questionari sono state fornite in forma scritta e orale in modo da chiarire
eventuali dubbi del partecipante. La compilazione dei questionari è avvenuta
individualmente, sono stati lasciati al partecipante stabilendo il giorno in cui il ricercatore li
avrebbe ritirati.

Risultati

Fattori di rischio e stile di attaccamento


Prima di mostrare i risultati relativi alle correlazioni tra i fattori di rischio e l’attaccamento
sono state effettuate delle analisi della varianza per controllare l’ esistenza di differenze di
genere nelle due scale, ansia ed evitamento. I risultati mostrano che non risultano
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differenze significative tra uomini (ansia M = 62,15; Evit. M = 39,7) e donne (ansia M =
62,98; Evit. M = 35,8) né in relazione all’Ansia (p< .73) né all’Evitamento (p<.06).
L’Evitamento tuttavia evidenzia una differenza marcata, anche se non significativa, tra
uomini e donne, dove gli uomini presentano la media più elevata .
La dimensione dell’ansia, sia per quanto riguarda la gravità che per quanto riguarda la
probabilità, correla in maniera significativa con i fattori Esposizione Personale e Diversità.
Non risultano correlazioni significative con gli altri due fattori (Tab. 3).

Tabella 3. Correlazioni tra i quattro Fattori di Rischio e le variabili Ânsia (Pearson) e


Evitamento (Pearson).

E’ interessante notare che il terzo e il quarto fattore, pur presentando le medie più basse in entrambe
le scale, sono ritenuti come quelli più minacciosi da coloro che esprimono alti livelli di ansia: questo
sembra fornire prove a sostegno della distinzione tra rischi che evocano allarme perché
oggettivamente sono pericolosi da quelli che evocano ansia a prescindere dalla loro pericolosità
(Shaver e Mikulincer, 2002) ma che sono in grado di attivare il sistema di attaccamento. Sembra
evidente che ciò su cui l’ansia agisce nella rappresentazione del rischio non è l’elemento terrificante
o catastrofico dell’evento (presente nel fattore 1), né l’incontrollabilità dei suoi effetti (fattore 2), ma
è l’aspetto della fiducia in se stessi, del senso di autoefficacia inteso come capacità di far fronte agli
eventi stressanti, come sono gli eventi rischiosi presenti nel fattore 3. Tanto più marcate saranno le
credenze autovalutative negative del soggetto ansioso, tanto più svaluterà le proprie prestazioni
pratiche e le proprie capacità di autocontrollo emotivo del rischio, che quindi sarà giudicato più
grave e più probabile.

Relativamente al fattore Diversità, invece, l’ansia correla con l’aspetto della relazione,
dell’incontro/confronto con l’Altro: il confronto con la diversità, la possibilità di interagire con
l’Altro viene percepito come fonte di pericolo e di allarme, più alta è l’ansia, maggiore è la
percezione di pericolosità associata a quest’ultimo fattore. Possiamo supporre che la forte
correlazione tra ansia e stima della probabilità dei fattori 3 e 4 sia attribuibile alla strategia di
iperattivazione di regolazione affettiva degli ansiosi, che sappiamo tendere ad amplificare la severità
delle situazioni e degli eventi, esagerandone le conseguenze, o nel caso specifico, la loro percezione
di accadimento.

Per quanto riguarda la dimensione dell’evitamento, troviamo una correlazione significativa solo con
la percezione di gravità del fattore Rischio Diversità, mentre non risultano correlazioni con gli altri
fattori, né sul piano della gravità né su quello della probabilità. Più alto è il livello di evitamento,
maggiore risulta essere la valutazione della gravità del rischio associato a questo fattore. Questo
risultato, unitamente all’analogo dato degli ansiosi, conferma ciò che la letteratura riporta a
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proposito del senso di sicurezza, dove la persona sicura si pone rispetto ad un evento minaccioso in
modo da renderlo affrontabile e gestibile, mentre gli insicuri proprio sul piano dell’elaborazione
dell’informazione, anche di quella minacciosa, presentano una maggiore rigidità o non flessibilità
nell’integrare nuove informazioni nella propria struttura cognitiva, con un più marcato ricorso agli
stereotipi, una ridotta curiosità e una minore tendenza all’esplorazione.

Sembra che l’essenza stessa degli item del fattore 4 imponga ai soggetti insicuri di confrontarsi con
aspetti della sfera relazionale (l’idea di una relazione, di un confronto con l’altro) verso cui per
ragioni diverse, sia gli ansiosi che gli evitanti manifestano disagio, sofferenza e dolore.
Il modello relazionale richiamato dagli item, sembra intercettare nell’evitante la sua abituale ritrosia
al coinvolgimento nelle relazioni interpersonali, dalle quali ha imparato a mantenersi distante. In
questo caso, al contrario di quanto fa il soggetto ansioso, che mantiene una strategia di ipervigilanza
verso le possibili fonti di minaccia, il soggetto evitante anticipa e mantiene, appunto, una
separazione mentale ed emozionale da queste, considerate fonti minacciose.

Discussione e Conclusioni

L’ampia letteratura sulla percezione del rischio ha fornito una rappresentazione multidisciplinare e
trasversale del concetto di rischio. Malgrado in questi ultimi anni ci sia stato un forte interesse della
comunità scientifica rispetto all’influenza delle caratteristiche di personalità sulla percezione del
rischio, non ci risulta ci siano stati lavori che abbiano preso in considerazione la relazione tra
percezione del rischio e stili di attaccamento. E questo nonostante il fatto che numerose ricerche
abbiano focalizzato l’attenzione sui Modelli Operativi Interni e sul loro ruolo nel modo di processare
l’informazione. Bowlby stesso enfatizza la funzione di questi Modelli nella reazione dell’individuo
dinanzi a situazioni allarmanti, anzi è proprio di fronte al pericolo (reale o atteso) che si attiva il
sistema di attaccamento. Abbiamo pertanto ipotizzato l’esistenza di differenze nella percezione del
rischio a seconda dei diversi stili di attaccamento anche se i rischi vengono presentati solo in forma
di rappresentazione mentale e non riguardano necessariamente un’esperienza realmente esperita dal
soggetto.

Per quanto riguarda l’influenza dello stile di attaccamento, si è visto che la dimensione dell’ansia
incide sulla percezione del rischio legato alla sfera dell’individuo e relazionale (fattori 3 e 4) sia a
livello di gravità che di probabilità. Abbiamo ritenuto interpretare questo risultato alla luce della
specifica strategia di iperattivazione di regolazione affettiva degli ansiosi, che tende ad amplificare la
severità delle situazioni e degli eventi, esagerandone le conseguenze, anche in riferimento a
situazioni della vita di tutti i giorni. Questa tendenza si esprime, nel caso specifico, anche nella più
alta stima di accadimento degli eventi associati al terzo fattore.

In relazione al quarto fattore, possiamo osservare che il tema della diversità, nelle sue varie
manifestazioni, ne sollecita l’aspetto relazionale, del confronto con l’altro, visto sia come singolo
che come gruppo. Questo è il tema significativo su cui si innesta la dimensione dell’ansia. Si può
supporre che l’aspetto relazionale, del confronto con un altro, il “diverso”, provochi nell’ansioso una
certa preoccupazione, forse addirittura una sensazione di minacciosità o pericolosità. Sappiamo dagli
studi sull’argomento che gli insicuri sul piano cognitivo manifestano una rigidità ad integrare le
nuove informazioni nelle proprie strutture cognitive. Questo certamente non migliora la capacità
dell’ansioso di affrontare, adattandovisi, la complessità e la mutevolezza del mondo (Mikulincer,
1997). Inoltre la letteratura (Mikulincer e Shaver, 2001) ci ha mostrato che l’ ansioso tende a
percepire gli individui dei gruppi socialmente e culturalmente diversi dal proprio in termini
fortemente negativi, ricorrendo più frequentemente all’”intergroup bias”, una tendenza a percepire i
membri di gruppi diversi dal proprio in termini negativi e a giudicarli pericolosi e minacciosi.
La dimensione dell’evitamento, invece, incide sulla percezione del rischio associato al quarto fattore
esclusivamente a livello di gravità.
Anche in questo caso è il fattore Diversità ad essere correlato con l’evitamento. E’ sempre il piano
relazionale che esalta la risposta dell’evitante, per ragioni che, seppur diverse dagli ansiosi, risultano
essere disadattive rispetto al pattern della sicurezza. Riteniamo che gli evitanti di fronte a eventi o
11

situazioni ritenute pericolose, come quelle proposte dagli item del fattore 4, mettano in atto gli stessi
stili di regolazione cognitiva ed emozionale che sono loro propri. Sul piano cognitivo, gli evitanti si
caratterizzano per scarsa flessibilità nell’integrare nuove informazioni nel proprio sistema cognitivo,
preferendo ricorrere a stabili stereotipi, in caso di giudizi sociali, piuttosto che sostenere l’ambiguità
cognitiva che le nuove informazioni provocano e preferendo fermarsi alle conoscenze consolidate o
“primacy effect” (Mikulincer, 1997). Gli evitanti presentano infine una scarsa curiosità intellettuale.
Sul piano affettivo, invece, si caratterizzano per una minimizzazione dell’affettività che provoca
un’autosufficienza affettiva e un distacco dalle interazioni sociali, viste come un peso, un ostacolo al
raggiungimento dell’autonomia, loro traguardo. Gli evitanti, al contrario degli ansiosi, quindi,
tendono a mantenere una distanza tra loro stessi e la o le fonti che provocano loro preoccupazione e
angoscia. L’adozione di tale strategia sembra in grado di fornire una spiegazione al perché nella
scala probabilità non vi sia alcuna correlazione tra evitamento e i 4 fattori.
Alla luce dei risultati di questo nostro studio emerge una rappresentazione del rischio molto
articolata e composita che non esaurisce tutte le possibilità che un costrutto così complesso offre allo
studio ed alla sperimentazione ma intende costituire un ulteriore fonte per nuovi spunti di confronto
e di ricerca.

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