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Adalberto Piovano

Ira

SAN PAOLO
Introduzione

L’ira, una passione distruttiva

«L’ira è rapina della prudenza, distruzione di una


condizione, confusione della natura, un modo di fare
da selvaggi, una fornace del cuore, una fiamma che
erutta fuori, una legge della irascibilità, collera per le
offese, madre di belve, un conflitto silenzioso, impe­
dimento alla preghiera»1.

Con definizioni puntuali, capaci di rispecchiare


in modo preciso l’esperienza e la psiche dell’uomo,
Evagrio Pontico ci apre il vaso di Pandora che rac­
chiude la forza distruttiva dell’ira. Tutto è travolto
da questa passione: da un cuore in ebollizione di­

1 Evagrio Pontico, I vizi opposti alle virtù 6: Id., A Eulogio. Sulla co


fessione dei pensieri e consigli di vita. I vizi opposti alle virtù, cur. L. Coco,
Cinisello Balsamo (Edizioni San Paolo) 2006, pp. 128-131.
6 I Ira

vampa un incendio e l’uomo assume i tratti di una


belva indomabile che semina “rapina”, “distruzio­
ne”, “confusione”, “conflitto”. A qualcuno potreb­
be apparire eccessiva questa litania di malvagità.
Sicuramente Evagrio ci presenta una concentrato
dell’ira che, si spera, non assuma tutte queste forme
in una sola persona. Ma, onestamente, dobbiamo
riconoscere che l’una o l’altra definizione della col­
lera, contenuta in questo elenco, si può scoprire in
noi e attorno a noi. Basta porre l’attenzione all’e­
sperienza quotidiana, soprattutto nell’ambito delle
relazioni. Cosa succede quando ci si arrabbia e,
perdendo il controllo, si dà sfogo all’ira? Il cuore
diventa incandescente, entra in subbuglio e non si
riesce più a trattenere i sentimenti, le reazioni, l’e­
motività. Volto, sguardo e parole diventano infuo­
cati e pungenti, e tutto viene travolto da una ag­
gressività che, alla fine, il più delle volte uno deve
riconoscere sproporzionata. E, come conseguenza,
a una reazione piena di collera si accompagnano
turbamento e tristezza che, frantumando un equili­
brio interiore, impediscono la serenità nell’agire. Il
filosofo Remo Bodei in un interessante saggio sull’i­
ra, ci offre questa sintesi dei vari significati che sif­
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fatta “passione furente” (sottotitolo apposto dal fi­


losofo al suo libro) ha acquisito nel sentire umano:
«L ’ira è stata a lungo la passione più importante e
studiata. Fin dall’antichità le si imputa, infatti, la
perdita temporanea dei beni più preziosi: il lume
della ragione e la capacità di autocontrollo. Nelle
sue manifestazioni più accese viene considerata
una forma di cecità o di follia provvisoria che mina
la lucidità della mente e la libertà della decisioni.
Chi ne è vittima appare “fuori di sé”, asservito a
qualche altro, ad un tirannico padrone interiore
che lo priva della facoltà di intendere e di volere.
Essa rappresenta una minaccia non solo per quanti
la provano, ma anche, e soprattutto, per gli altri.
Simile ad una molla compressa, scarica all’improv­
viso, e in un colpo solo, tutte le energie accumulate
e induce individui e folle a compiere azioni di cui
spesso, a mente fredda, riconoscono l’inconsisten­
za delle motivazioni e gli effetti indesiderati»2.
«Iniziare un litigio - ammonisce il Libro dei Pro­
verbi - è come aprire una diga: prima che la lite si
esasperi, troncala» (Pr 17,14). L ’ira non solo proli­

2 R. Bodei, Ira. La passione furente, Bologna (il Mulino) 2010, p. 7.


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fica all’interno di tensioni, litigi, conflitti, ma ha la


forza di esasperarli e renderli insuperabili. Ma non
è facile porre una “diga” ben resistente a questa
passione che altrimenti rischia di travolgere tutto: a
volte la struttura caratteriale di una persona rende
molto più faticoso, se non impossibile, questo ten­
tativo di arginare la collera. Per di più, tutto si com­
plica quando si vive in una società che spesso assu­
me uno stile aggressivo. Lo si vede nel linguaggio
quotidiano oppure nei messaggi violenti ed esaspe­
rati scagliati dai mass media nelle varie forme o luo­
ghi di comunicazione. Oggi si ha la percezione di
essere aggrediti da parole, suoni, sguardi che tra­
smettono una rabbia repressa e distruttiva. Ci pare
appropriata questa considerazione dello studioso
G. Cucci sui comportamenti trasgressivi e distrutti­
vi che caratterizzano la nostra società: «Il problema
è nella sua radice culturale; bisogna in altre parole
interrogarsi circa la direzione cui può condurre una
società che per noia, tristezza o morbosità tende a
nutrirsi sempre più di violenza e sopraffazione a li­
vello culturale, informativo (dato che il bene non fa
notizia) e immaginifico: si pensi al prosperare di
videogiochi, film e romanzi sempre più violenti ed
Introduzione I9

efferati, i quali finiscono per diventare una specie


di droga affettiva che richiede dosi sempre più for­
ti per catturare l’interesse... Il vizio dell’ira, nelle
sue molteplici manifestazioni, si impone come de­
nuncia della povertà culturale, relazionale e affetti­
va tipiche delle società occidentali»3.
Tuttavia si deve anche ammettere che nell’ambi­
to della cultura e della riflessione filosofica e reli­
giosa, la passione della collera è accostata attraver­
so una duplice angolatura. Da una parte l’ira viene
rifiutata in ogni sua forma in quanto espressione di
una furia insensata e incontrollata, indegna dell’uo­
mo, fonte di follia e di divisione. In quanto dimen­
sione costitutiva di un aspetto della psiche dell’uo­
mo, l’ira può assumere una valenza positiva quando
esprime indignazione e repulsione di ciò che è male
o di ogni forma di ingiustizia. Si potrebbe quasi di­
re che, in questa prospettiva, la collera si trasforma
in una reazione giusta e doverosa di fronte a ciò che
danneggia l’uomo, una risposta non solo psicologi­
camente ma anche eticamente motivata. Ricono­
scere una certa grandezza d’animo a chi si adira

3 G. Gucci, Il fascino del male. I vizi capitali, Roma (Edizioni AdP)


2008, pp. 151-152.
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contro il male non è estraneo al sentimento religio­


so. In una riflessione sulTira, apparsa sul Corriere
della Sera con un titolo allusivo al lato positivo di
questa passione, C. Magris così scrive: «Fin dalle
origini la civiltà occidentale è familiare con la colle­
ra e, pur mettendo in guardia dai suoi pericoli, ri­
conosce in essa una certa grandezza. Si adirano eroi
e dèi greci, ma anche il Signore della Bibbia mostra
spesso un volto adirato: la sua collera, che abbatte i
superbi e gli alteri, è inseparabile dalla sua giustizia
ed è necessaria alla salvezza del mondo. Pure Gesù
manifesta senza inibizioni la sua collera, ad esem­
pio quando prende a frustate i mercanti del tem­
pio. L ’ultimo giorno - il giorno del Signore, della
verità - è un Dies ime»4.
L’ira può dunque entrare nello spazio del divino
ed esprimere con forza l’inconciliabilità tra la ten­
sione distruttiva del male che opera nel cuore
dell’uomo e la potenza del bene nel disegno di sal­
vezza di Dio. Ritorneremo in seguito sul “mistero”
dell’ira di Dio e stille sue espressioni nel linguaggio
biblico. Ma notiamo fin d’ora come questo volto di

4 C. Magris, Lira non è funesta, tutt''altro, in II Corriere della Sera,


ottobre 2002, p. 33.
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Dio abbia suscitato perplessità sin dalle origini del


cristianesimo tanto che nel IV secolo un autore cri­
stiano, Lattanzio, si è sentito in dovere di reagire e
giustificare questo aspetto del linguaggio biblico. Di
fatto Lattanzio si oppone ad una concezione di Dio,
tendente a rinchiuderlo in una impassibilità che lo
rende insensibile alla storia dell’uomo. L’apologeta
cristiano reagisce «contro la nozione di apatia divina
proprio in nome della peculiarità del Dio cristiano:
un Dio che non si adira è, come sostenevano Stoici
ed Epicurei, un Dio che non prova nessun tipo di
passione, un Dio incapace di amare e che, assente o
impotente, non si cura del mondo. L ’ira del Dio cri­
stiano altro non è dunque che la contropartita del
suo amore, una passione, ma una passione “buona”,
che esprime la sua provvidenza e la sua giustizia»5.
Questa giustificazione della collera di Dio trova ine­
vitabilmente un riflesso nell’agire dell’uomo: diventa
doveroso reagire con indignazione verso ogni sorta
di male. Dunque «provare il moto dell’ira è perfetta­
mente naturale: quello che invece Dio proibisce è il

5 C. Casagrande - S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel


Medioevo, Torino (Einaudi) 2000, p. 56. Per l’edizione di Lattanzio cfr.
Lactance, La colère de Dieu, ed. C. Ingremeau (Sources Chrétiennes 289),
Paris 1982.
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permanere costantemente in uno stato di iracondia,


trasformare lo stato di collera fisiologicamente giu­
stificato in una innaturale condizione di ira stabile e
perpetua»6. Se l’ira dell’uomo è giustificabile solo
come un riflesso della collera di Dio di fronte al ma­
le, questa relazione appare tuttavia molto delicata. D
passo verso una intolleranza connotata da ira di­
struttiva è breve. È molto facile trasgredire la misura
e cadere nell’eccesso.
Dunque l’ira sembrerebbe una passione bifron­
te, ambivalente, quasi oscillante tra la categoria del
vizio e, in un certo senso, quella della virtù. Ciò che
determina lo spazio in cui essa trova la sua positivi­
tà o la sua negatività è dato sia dall’oggetto a cui si
rivolge, sia dalla sua durata, sia dalla misura con cui
si manifesta.
Riguardo all’ambiguità dell’ira, c’è un ultimo
aspetto da sottolineare. Come parte strutturale del­
la psiche umana, l’ira sembra essere una pulsione
necessaria e la psicologia ha cercato di analizzare la
tendenza all’aggressività che fa parte della natura.
Ne ha sottolineato i pericoli quando essa viene re­

6 Casagrande - Vecchio, I sette vizi capitali, p. 57.


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pressa e la positività per l’equilibrio della persona,


quando può emergere dall’inconscio e trovare
espressioni e forme. Indubbiamente questo aspetto
sottolineato dalla psicologia è vero, tuttavia richiede
un attento discernimento: è necessario dare un no­
me ad ogni forma di aggressività, smascherare ciò
che si nasconde dietro a certi comportamenti. Af­
frontando il tema dell’ira in Evagrio Pontico, il mo­
naco G. Bunge fa questa osservazione: «Dietro
all’espressione “aggressività naturale” si possono
nascondere molte cose. Poiché questa aggressività,
secondo il modo di vedere moderno, è “naturale” e,
quindi, fondamentalmente non suscettibile di un
giudizio di valore, è giocoforza vivere con essa. E
quanto fa, in pratica, la maggior parte delle perso­
ne, a danno di tutti, persino nella Chiesa. A sorpren­
dere è, piuttosto, il fatto che in certa misura le cose
siano sempre andate in questo modo, anche quando
non esisteva ancora il concetto moderno di “aggres­
sività” e si parlava sì di “irascibilità” (thymikón) co­
me una facoltà dell’anima, tuttavia l’“ira” (thymós) e
la “collera” (orghé) erano considerate vizi»7.

7 G. Bunge, Vino dei draghi e pane degli angeli. Linsegnamento di Eva­


grio Montico sulVira e la mitezza, Bose/Magnano (Qiqajon) 199, p. 8.
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Qui si colloca il discernimento. La scelta non è


tra una aggressività/irascibilità repressa e una libe­
rata e manifestata, ma tra una aggressività incon­
trollata, passionale e distruttiva, quella che la tradi­
zione cristiana chiama il vizio o il pensiero malvagio
dell’ira, e una irascibilità integrata con tutte le com­
ponenti della persona. Questa scelta, d’altronde, è
possibile solo se si chiamano per nome le varie scel­
te che l’aggressività pone di fronte all’uomo, cioè se
si distingue ciò che è passione distruttiva da ciò che
è desiderio ambiguo o da ciò che è espressione po­
sitiva dell’interiorità dell’uomo. L ’equilibrio e la
maturità umana e spirituale non consistono mai nel
menomare la struttura della persona, ma nel rende­
re autentiche e libere le sue componenti in una ar­
monia di umanità e in una tensione verso l’amore e
il dono di sé (l’equilibrio dato dai due frutti dello
Spirito ricordati da Paolo in Gal 5,22, Vagape e il
dominio di sé).
Nelle riflessioni che seguiranno, vogliamo ap­
punto affrontare questo percorso sulla passione
dell’ira. Come sempre ci lasceremo guidare dai Pa­
dri e dagli autori monastici che, nei loro testi matu­
rati attraverso una esperienza personale e una co­
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noscenza del cuore, allo stesso tempo umana e


spirituale, hanno saputo scandagliare l’abisso in­
quietante della passione dell’ira, analizzando con
lucidità le varie forme dell’aggressività patologica.
Ma hanno anche saputo offrire percorsi di guari­
gione sia attraverso una “conversione” dell’ira, sia
soprattutto facendo abitare nel cuore la mitezza.
Tuttavia i Padri non si sono fermati al compor­
tamento umano. Le loro riflessioni sull’ira hanno
un obbiettivo ben preciso: manifestare la pericolo­
sità di questa passione per la vita spirituale. L ’ira è
una malattia dell’anima i cui sintomi investono l’a­
gire dell’uomo soprattutto nelle relazioni interper­
sonali. Non è solo una passione che coinvolge la
sfera emotiva dell’uomo e neppure è solo un vizio
che distrugge le relazioni tra gli uomini. È anzitut­
to, per un credente, una passione che compromette
radicalmente la relazione con Dio nella vita secon­
do lo Spirito. Ce lo ricorda senza mezzi termini l’a­
postolo Giacomo: «L ’ira dell’uomo non compie ciò
che è giusto davanti a Dio» (Gc 1,20). Senza dub­
bio, mediante la perversa logica dell’ira, veniamo
collocati nello spazio dell’ingiustizia, cioè in una
relazione errata e capovolta con Dio e con gli altri.
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Diventa così idolatria in quanto suggerisce la pre­


sunzione di sostituirsi a Dio nel compiere la giusti­
zia verso gli altri; e da questa idolatria nasce la vio­
lenza e l’odio che distrugge la carità. Ma anche
verso se stessi l’ira opera un capovolgimento idola­
trico, in quanto frantuma l’immagine di Dio che è
impressa in noi. Corrompe soprattutto «la dolcez­
za, forma della carità, per mezzo della quale, in par­
ticolare, l’uomo somiglia a Dio. Così scrive san
Gregorio Magno: “il peccato di collera, annichilen­
do la dolcezza della nostra anima, vi corrompe la
somiglianza dell’immagine divina”. In altri termini,
questo significa che lo Spirito Santo cessa di rima­
nere nell’uomo; lo spirito demoniaco richiamato
dall’atteggiamento dell’uomo ne prende il suo po­
sto. Privata dello Spirito, che le conferiva particola­
re ordine e unità, l’anima viene a trovarsi disorga­
nizzata e divisa»8.
Queste parole dello studioso J.-C. Larchet, che
in sintesi ci presenta la visione dei Padri e degli au­
tori monastici sulla pericolosità dell’ira per la vita

8J.-C. Larchet, Terapia delle malattie spirituali. Una introduzione alla


tradizione ascetica della Chiesa ortodossa, Cinisello Balsamo (Edizioni San
Paolo) 2003, p. 213.
Introduzione

spirituale, focalizzano bene l’obbiettivo a cui si


orienta la nostra riflessione sulla passione dell’ira.
Solo guardando senza paura le maschere di questa
passione demoniaca, maschere con cui l’ira si na­
sconde in noi e attorno a noi, solo liberandosi da
tutte le giustificazioni che questo vizio pretende di
fornire per impossessarsi del cuore dell’uomo, si
potrà camminare per quella via di purificazione in­
teriore che, mediante lo Spirito, fa abitare in noi i
sentimenti di Colui che ci ha detto: «Prendete il
mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono
mite ed umile di cuore» {Mi 11,29).
I

«L’ira è crudele,
il furore è impetuoso...» (Pr 27,4):
il volto della collera

TX ra le passioni malvagie, l’ira è probabilmente una


di quelle che si rendono maggiormente visibili sul
volto dell’uomo. Non è facile nascondere la collera: al
suo primo apparire essa trasmette i suoi messaggi
“infuocati” attraverso lo sguardo, le espressioni del
volto, il ritmo della parola e il tono della voce, i mo­
vimenti del corpo. Tutto viene intaccato da questo
impeto furente tanto che la persona perde il control­
lo di sé non solo a livello emozionale o razionale, ma
anche fisico: «Una città smantellata, senza mura, tale
è chi non sa dominare se stesso» (Pr 27,28). A questo
riguardo è interessante notare che il linguaggio bibli­
co, così ampio nel definire l’ira attraverso le sue varie
manifestazioni, si ispiri spesso alle reazioni fisiche
dell’uomo per esprimere questa passione travolgente.
In particolare il respiro diventa uno dei simboli
20 1 Ira

dell’ira (il termine ebraico più usato per indicare l’ira


esprime, nella sua radice, Tatto dello “sbuffare”): il
naso è più l'organo dell’ira che quello dell’olfatto e il
“soffio delle narici” non controllato o il “fiato corto”
che manifesta l’affanno di chi è impaziente diventa­
no le reazioni tipiche del collerico1.
Dunque a ragione possiamo iniziare il nostro
percorso di riflessione sull’ira soffermandoci a scru­
tarne il volto, lo sguardo, i movimenti per coglierne
i tratti più significativi e poter così scoprire le radici
nascoste dietro a questa maschera che tanto defor­
ma il volto delPuomo.

1. «Non tramonti il sole sopra la vostra ira»


(£/4,26)

Abbiamo fatto appena accenno al linguaggio


della Scrittura in riferimento all’ira. E vorremmo
dunque iniziare con un testo biblico per focalizzare
alcuni elementi che caratterizzano la dinamica di

1 O. Grether - J. Fichtner, Orghé. B. Ira umana e ira divina nelVA. T


La terminologia ebraica, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, V ili,
cur. G. Kittel-G. Friedrich, Brescia (Paideia) 1972, coll. 1103-1108.
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 21

questo pensiero malvagio. Ci sarebbe un’ampia scel­


ta di versetti per descrivere le varie manifestazioni
della collera, ma gran parte di essi mettono in rela­
zione l’ira con Dio. Anzi neirAntico Testamento, i
termini indicanti l’ira sono usati molto più frequen­
temente per significare la collera divina che non
quella umana2. L’ira dell’uomo generalmente è con­
dannata perché «non compie ciò che è giusto da­
vanti a Dio» (Gc 1,20), in quanto genera violenza e
odio. Ma è soprattutto la letteratura sapienziale, co­
sì attenta al comportamento etico dell’uomo, a ri­
flettere sulla collera e a condannarla soprattutto
come espressione di insensatezza, di incapacità di
utilizzare quella saggezza donata all’uomo e che si
manifesta nel dominio di sé: «Chi è pronto all’ira
commette sciocchezze... Chi è paziente ha grande
prudenza, chi è iracondo mostra stoltezza» (Pr
14,17.29). Non controllare i moti dell’ira può avere
conseguenze imprevedibili: «Iniziare un litigio è
come aprire una diga: prima che la lite si esasperi,
troncala... Chi è collerico suscita contese, chi è pa­
ziente calma le liti» (Pr 17,14; 15,18). «Senza para­

2 J. Fichtner, Orghé. III. L'ira divina nell’A. T. I. La terminologia, in


Ibid., coll, 1113.
22 I Ira

dosso - commenta il biblista X. Léon-Dufour - Dio


solo può adirarsi. Così, nel Vecchio Testamento, i
termini di ira sono usati per Dio circa cinque volte
più che per l’uomo. Paolo, che tuttavia dovette in­
collerirsi più di una volta (At 15,39), consiglia con
saggezza: “Non fatevi giustizia da soli: lasciate fare
all’ira divina, perché sta scritto: a me la vendetta, io
darò la giusta paga, dice il Signore”(Rm 12,19). L’ira
non è compito delluomo, ma di Dio»3.
Lasciando per ora da parte il rapporto tra ira
umana e ira di Dio, scegliamo proprio un testo di
Paolo per dare un primo sguardo a questa passione.
Si tratta di E f 4,26-32, un testo parenetico che ri­
chiama l’impegno del cristiano a rivestire gli atteg­
giamenti dell’«uomo nuovo, creato secondo Dio
nella giustizia e nella vera santità» {Ef 4,24). Di per
sé l’apostolo non affronta in modo specifico il tema
dell’ira nel comportamento del credente, ma fa al­
cuni accenni interessanti mettendo a confronto uno
stile di vita caratterizzato dalla violenza e dall’arro­
ganza, con uno stile in cui si riflette la compassione
stessa di Dio.

3 X. Léon-Dufour, Ira, in Dizionario di Teologia Biblica, cur. X. Léo


Dufour, Casale M. (Marietti) 1971, col. 563.
Lira è crudele, il furore è impetuoso... il volto della collera I 23

«Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra


la vostra ira e non date spazio al diavolo... Nessuna
parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto
parole buone che possano servire per una opportuna
edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non
vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il qua­
le foste segnati per il giorno della redenzione. Scom­
paiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e mal­
dicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece be­
nevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdo­
nandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in
Cristo».

Paolo inizia con una citazione biblica {Sai 4,5 se­


condo la versione dei LXX) che ci può lasciare un
po’ perplessi: Adiratevi’ ma non peccate4. Sembra
che si possa concedere uno spazio all’ira: è possibile
adirarsi, ma a condizione di non peccare. Ma Tira
delluomo può evitare il peccato? È molto difficile
mantenere un equilibrio tra ira e peccato. Il senso
del versetto citato da Paolo potrebbe essere piutto­
sto questo: «“se vi adirate, guardate di non pecca­
re”. L’ira non è chiamata esplicitamente peccato, ma

4 La nuova traduzione CEI della Bibbia, fatta sull’originale ebraico,


rende il versetto del salmo così:«Tremate e più non peccate...».
24 I Ira

ci manca poco: quando ci si adira, il peccato sta in


agguato alla porta»?. Anzi, subito dopo, Paolo non
sembra dare spazi e tempi per l’ira. Non tramonti il
sole sopra la vostra ira è l’invito a porre un limite
ben preciso ad una eventuale situazione che ha dato
spazio alla collera. Ma in ogni caso il tempo dato
all’ira è una occasione data al diavolo, è uno spazio
che gli si offre per agire liberamente e creare divi­
sione, conflitti, odio (v. 27). Di conseguenza ogni
tempo sottratto all’ira è sottratto al diavolo, perché
tipico dell’ira è il perdurare nel tempo e trascinare
con sé una zavorra di malvagità in cui il diavolo può
agire a sua agio: rancore, risentimento, vendetta,
asprezza, sdegno,grida e maldicenze con ogni sorta
di malignità (v. 31).
Paolo ci presenta, in questi versetti, uno stru­
mento caratteristico utilizzato dall’ira per riversare
il suo veleno: la parola. Già il libro dei Proverbi
esortava a porre un discernimento nell’uso della pa­
rola, proprio in relazione all’ira: «Una risposta gen­
tile calma la collera, una parola pungente eccita l’i­

5 G. Stàhlin, Orghé, E. Ira umana e ira divina nel N. T I. Lira dell’u


mo. 2. Condanna dell’ira umana, in Grande Lessico del Nuovo Testamento,
V ili, col. 1184.
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 25

ra» (Pr 15,1). La capacità distruttiva della parola è


enorme: ne sono segno evidente la maldicenza, l’ar­
roganza, la menzogna. Ma unita alla collera, la forza
devastatrice della parola diventa irrefrenabile. La
lettera di Giacomo paragona al fuoco (immagine
spesso usata per esprimere l’irà) quel male che esce
dalla lingua senza alcun controllo e dominata dalle
passioni: «Un piccolo fuoco può incendiare una
grande foresta. Anche la lingua è un fuoco, il mon­
do del male!... Nessuno la può domare: è un male
ribelle, è piena di veleno mortale... Dalla stessa
bocca escono benedizione e maledizione» (Gc
3,5.8.10). Dunque, ammonisce Paolo, parole segna­
te da asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze non
possono uscire dalle labbra di chi vuole essere di­
scepolo di Cristo.
In questo testo di Paolo ci vengono indicati due
tratti dell’ira: la sua pericolosità legata alla tendenza
a perdurare nel tempo e a trasformarsi in uno stile
di relazioni che trascina dietro a sé atteggiamenti
che provocano odio e divisione; e l’uso violento del­
la parola, utilizzata per comunicare rabbia, aggres­
sività, rancore, tristezza e non per edificare e tra­
smettere benevolenza e perdono.
26 I Ira

2. L’ira tra impulsività e turbamento

Il pensiero malvagio dell’ira è presentato dai Pa­


dri e dagli autori monastici come una delle più pe­
ricolose manifestazioni di una cuore schiavo delle
passioni: «Nessuna passione - annota G. Bunge -
agisce in maniera tanto distruttiva sulla vita spiri­
tuale quanto i peccati d’ira (orghé). Evagrio dedica
perciò ben sette capitoli ai rimedi corrispondenti,
senza contare gli altri passi riguardanti questo vi­
zio nell’insieme della sua opera»6. Di conseguenza
Evagrio Pontico può aiutarci a identificare con pre­
cisione i sintomi più evidenti della collera nella vita
di chi si lascia trascinare da questa passione. Nel
Trattato Pratico 11 ci offre un ritratto essenziale
dell’ira:

«L’ira è una passione rapidissima. Si dice, infatti, che


essa è un ribollimento e un movimento della parte
irascibile (dell’anima) contro colui che ha commesso
un torto o sembra averlo fatto. Per tutto il giorno essa
rende l’anima selvaggia, ma è soprattutto durante la

6 Evagrio Pontico, Trattato pratico. Cento capitoli sulla vita spiritua


cur. G. Bunge, Bose/Magnano (Qiqajon) 2008, p. 91.
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 27

preghiera che essa si impadronisce dell’intelletto, ri­


specchiandogli il volto di colui che l’ha contristato.
Talora, quando perdura e si trasforma in risentimen­
to, provoca dei turbamenti di notte, deperimento del
corpo, pallore e assalti di bestie velenose. Questi
quattro elementi, che fanno seguito al risentimento,
si possono trovare a volte accompagnati da molti altri
pensieri»7.

Dalla descrizione di Evagrio appare con eviden­


za il clima distruttivo che l’ira ingenera. Come un
fiume in piena essa travolge tutto: la relazione con
l’altro, il rapporto con Dio, ma soprattutto è com­
promesso e offuscato quello sguardo interiore che
permette di vedere la realtà con lucidità e distacco.
Amarezza, turbamento interiore, inquietudine,
mancanza di controllo e impulsività esagerata abita­
no nel cuore che si è lasciato travolgere dall’ira. E i
Padri mettono in guardia dall’illusione che l’ira ab­
bia un volto solo: essa ha molte maschere e spesso la
reazione aggressiva e immediata, l’ira palesata, non
è sempre la forma più pericolosa. Evagrio dice chia­
ramente che l’ira, quando perdura, può trovare nel

7 Ibid., pp. 90-91.


28 I Ira

cuore luoghi appartati in cui nascondersi: il risenti­


mento (una sorta di collera trattenuta) o il rancore,
i quali, come brace sotto la cenere, sono pronti a far
divampare all’improvviso il fuoco della collera. L’i­
ra può anche assumere la maschera del cattivo umo­
re e dell’acredine: sfrutta le forme più o meno pale­
si di irritazione, le manifestazioni di impazienza, le
parole cariche di ironia o di sarcasmo, le molteplici
forme di dispetto e di aggressività con cui si palesa
una disapprovazione o una critica. Davvero, come
dice Evagrio, «rende l’anima selvaggia». Tutto, alla
fine, diventa un condimento per la collera e motivo
per turbare e distruggere la pace che lo Spirito desi­
dera fare abitare nel cuore dell’uomo. Il cuore adi­
rato è un cuore senza pace, un cuore non ebbro del­
lo Spirito ma ubriacato dal “vino dei draghi”, come
Evagrio definisce l’ira. Il furore che tutto incendia e
il turbamento che tutto avvolge come fitta nebbia,
rendono il cuore dell’adirato preda dell’istinto irra­
zionale, simile ad una belva che cerca di uscire dal­
la sua gabbia, dalla sua solitudine. Così, in una altro
testo, Evagrio descrive questa trasformazione del
cuore provocata dalla collera:
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 29

«L’ira è una passione furibonda, che con facilità fa


uscire di mente quelli che afferra, inferocisce l’anima
e fa evitare ogni compagnia... L’acqua è mossa dalla
violenza dei venti; l’iracondo è turbato dai pensieri
stolti. Il monaco iracondo vede qualcosa e digrigna i
denti. I vapori della nebbia appesantiscono Faria:
l’impeto dell’ira (appesantisce) la mente dell’iracon­
do. Una nuvola che passa oscura il sole: così nell’in­
telletto il ricordo del male subito. Il leone in cattività
scuote continuamente i cardini della porta, così l’ira­
condo in cella i pensieri dell’ira»8.

Intaccando il cuore, luogo profondo della rela­


zione con Dio e con i fratelli, la collera distrugge
proprio lo spazio in cui lo Spirito esercita il suo mi­
nistero di consolazione e di intercessione: la pre­
ghiera. Ma la preghiera, contaminata dalla tristezza
dell’ira, diventa a sua volta lo spazio in cui si può
verificare la pericolosità della collera nelle relazioni

8 Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità 9: Id., Gli otto spiriti
della malvagità. Sui diversi pensieri della malvagità, cur. F. Moscatelli, Ci-
nisello B. (Edizioni San Paolo) 1996, pp. 46-47. Sull’immagine della bel­
va, utilizzata da Evagrio, per descrivere il furore dell’ira e la sua dimensio­
ne di irrazionalità, cfr. Bunge, Vino dei draghi, pp. 55-56. Tra l’altro,
citando in queste pagine lo stesso testo di Evagrio, G. Bunge utilizza un’al­
tra redazione in cui compare una ulteriore immagine animalesca dell’ira:
«un monaco infuriato è una “femmina di cinghiale” solitaria».
30 I Ira

fraterne: è soprattutto durante la preghiera che essa


si impadronisce dell’intelletto, rispecchiandogli il
volto di colui che l’ha contristato.
Evagrio inoltre sottolinea una caratteristica
dell’ira: l’impulsività, È «una passione rapidissi­
ma», che esige una grande vigilanza per control­
larne i moti improvvisi. Tale discernimento per­
mette anche di distinguere ciò che nell’ira è
naturale da ciò che è passionale. Evagrio ricorda
che la collera è «un movimento della parte irasci­
bile» della nostra psiche. E generalmente i Padri
saggiamente sanno distinguere un’ira che è parte
strutturale della natura umana, espressione di una
emotività capace di reagire di fronte agli eventi, e
un’ira passionale, miscuglio di violenza e di odio,
e che si trasforma in una modalità negativa di col­
locarsi di fronte agli altri. Ad esempio, con chia­
rezza Isacco il Siro distingue questi due tipi di ira:
«(Il moto) dell’ira non è biasimevole quando è
mosso da cause naturali che lo destano in noi, ma
lo è quando ce ne serviamo nelle azioni, o gli fac­
ciamo spazio in noi, lasciando che persista nell’in­
telligenza, nel rimuginare del pensiero... quando
indirizziamo con veemenza una parola insensata al
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 31

fine di offendere qualcuno.. .»9. È dunque l’utiliz­


zo strumentale di questa dimensione della psiche
umana a rendere l’ira una passione malvagia.
Infine Evagrio mette in evidenza una conseguen­
za che caratterizza lo stato interiore prodotto dalla
collera: la paura. Colui che si è lasciato prendere
dall’ira, rimane solo con i suoi fantasmi. Dall’in­
conscio emergono volti e nomi che turbano il cuore
e che, alimentanti dal risentimento, assumono con­
torni sempre più inquietanti. Davvero l’ira ci collo­
ca in un mondo irreale e pieno di insidie.

3. Un vizio dalle molte maschere

La perspicacia con cui i Padri hanno analizzato i


vizi ha permesso loro di cogliere le molteplici dina­
miche e le variegate maschere con cui ogni pensiero
passionale cerca di sedurre il cuore dell’uomo. Per
l’ira la varietà della forme è sorprendente: è come un
camaleonte che sa assumere colori diversi per ben
mimetizzarsi e nascondersi nell’uomo, usando con

9 Isacco di Ninive, Un'umile speranza. Antologia, cur. S. Chialà, Bose/


Magnano (Qiqajon) 1999, p. 106.
32 I Ira

grande maestria tempi, situazioni, luoghi, caratteri.


Tutti hanno esperienza di come la collera sa adattarsi
alla struttura psichica dell’uomo: c’è chi esplode in
un moto d’ira, senza alcun ritegno, ma sùbito dopo si
riprende come se nulla fosse; altri manifestano fisica-
mente il progressivo incendio che li tormenta oppure
cercano di nasconderlo irrigidendosi in un mutismo
glaciale. Anche il tempo gioca a favore dell’ira: alcu­
ni sono immediati nella reazione collerica, altri la­
sciano correre un po’ di tempo, altri perdurano in
una ira interiore che si trasforma in rancore. Questa
varietà di forme è dunque un tratto caratteristico
dell’ira. Cassiano, nelle sue Conferenze ai monaci,
identifica tre tipi di collera già precisati dalla diffe­
rente terminologia greca. Così scrive:

«Tre sono le specie di collera. La prima è quella che


avvampa interiormente, denominata con il termine
della lingua greca thymós. La seconda è quella che
prorompe in parole e gesti, denominata grecamente
orghé. Di essa dice l’Apostolo: “Deponete dunque an­
che voi tutte queste cose: la collera e l'indignazione”.
La terza è quella che non viene smaltita in breve ora,
ma è coltivata per giorni e giorni: essa è grecamente
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 33

definita ménis. Tutte queste colpe devono da noi es­


sere evitate con uguale abominazione»10.

Lasciando da parte il significato preciso dei ter­


mini greci citati da Cassiano, possiamo notare come
il nostro autore distingua i vari tipi di ira a partire
essenzialmente dal luogo e dal tempo in cui questa
passione prende forma. L’ira si gioca tra interiorità
ed esteriorità, tra cuore e corpo, tra immediatezza e
lunga durata. Questa oscillazione permette alla col­
lera di portare a compimento i suoi obbiettivi: sia
che venga coltivata a lungo, sia che prorompa im­
provvisa, visibile o nascosta, l’ira è sempre distrutti­
va. È un aspetto messo bene in evidenza da Grego­
rio Magno. Con fine ironia, Gregorio individua
quattro caratteri di persone colleriche, in cui l’in­
cendio dell’ira assume forme diverse:

«Si tenga presente che l’ira accende sùbito taluni e


più facilmente svanisce. Agita altri più lentamente,
ma li domina più a lungo. Altri prendono fuoco come
le canne che bruciando scoppiettano; fanno sùbito la
fiamma, ma presto si riducono in fredda cenere. Altri

10 Giovanni Cassiano, Conferenze I, V, 11: Id., Conferenze ai monaci, I,


cur. L. Dattrino {Coll. Testi Patr. 155), Roma (Città Nuova) 2000, p. 218.
34 I Ira

invece sono come tronchi di legno duro e pesante,


che stentano a prender fuoco, ma una volta accesi è
difficile spegnerli: tardano ad inquietarsi, ma conser­
vano più a lungo il fuoco del loro furore. Altri poi, e
sono i peggiori, prendono sùbito fuoco e tardano a
calmarsi.. Infine alcuni difficilmente si accendono e
presto si spengono. In questi quattro tipi il lettore ri­
conosce facilmente che l’ultimo si avvicina più del
primo al bene della tranquillità e il terzo supera il
secondo nel vizio opposto»11.

C’è un aspetto tuttavia che accomuna queste ti­


pologie di collerici, un aspetto che caratterizza la
passione dell’ira: la sua visibilità. L’immagine del
fuoco lo esprime bene: sia che uno tardi ad accen­
dersi, sia che covi nel cuore un carbone ardente, sia
che divampi all’improvviso, in ogni caso la fiamma
è ben visibile e brucia. Nonostante si facciano tanti
sforzi, l’ira non può essere nascosta e proprio il vol­
to, anzi tutto il corpo, come dicevamo all’inizio di
questo capitolo, diventa lo specchio di questa pas­
sione. La maschera più appariscente dell’ira è il voi-

11 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 80: Id., Co


mento morale a Giobbe/l, cur. P. Siniscalco - E. Gandolfo (Opere di Gre­
gorio Magno 1/1) Roma (Città Nuova) 1992, pp. 466-467.
Lira è crudele, ilfurore è impetuoso... il volto della collera I 35

to stesso dell’adirato. Ancora Gregorio Magno ci


aiuta a descrivere questo effetto dell’ira:

«Il cuore infiammato dagli stimoli dell’ira co­


mincia a battere forte, il corpo trema, la lingua si
inceppa, il viso diventa di fuoco, gli occhi si infiam­
mano e non si riconosce più nessuno. La bocca
emette urli senza senso. Che differenza c’è tra un
invasato e costui che non si rende conto di quello
che fa? Così accade spesso che l’ira fa trascendere a
vie di fatto e diventa tanto più audace quanto meno
ragionevole; e l’animo non riesce a dominarsi, per­
ché è caduto in potere altrui; e il furore spinge le
membra fuori a colpire appunto perché dentro tiene
prigioniera la mente, padrona delle membra. Altre
volte non mena le mani, ma la lingua scaglia male­
dizioni come frecce. Chiede con preghiere la morte
del fratello, e insiste perché Dio compia ciò che lo
stesso uomo malvagio teme o si vergogna di compie­
re; con l’animo e con la voce commette un omicidio,
anche se non alza le mani contro il prossimo. Qual­
che volta l’ira, quasi per una determinazione, impo­
ne silenzio all’animo agitato; e quanto meno si
esprime fuori, tanto più si arrovella dentro, adirato
36 I Ira

a tal punto da togliere la parola al prossimo dicen­


dogli col silenzio la sua ostilità»12.

Come ci suggerisce questa descrizione degli effet­


ti dell’ira, non c’è parte dell’uomo, del suo corpo e
del suo intimo, che non sia coinvolta in questo furore
incontrollato. Ecco perché non si può nascondere la
collera: anche quando si riesce a trattenerla nel cuo­
re, l’assenza di parole o l’indurimento del volto la
manifestano. Con acutezza Martino di Braga, nel suo
piccolo trattato Sull’ira, così annota: «Gli altri vizi si
nascondono e si rifugiano lontano dalla vista; l’ira si
mostra e viene fuori sul viso; e quanto più è intensa,
tanto più è appariscente nelle sue manifestazioni»13.
Quando passa il fuoco dell’ira e si rinsavisce, allora
uno prova un certo senso di vergogna. Questo dipen­
de proprio dal fatto che non ha saputo trattenersi e
che ha reso visibile questa incontrollata reazione;
non ha potuto nascondere il suo vizio.

12Ibid., V, 45,79: tr. it., pp. 464-467.


13 Martino di Braga, Sull*ira 2 (testo citato in Casagrande-Vecchio, I
sette vizi capitali, p. 64). Martino vescovo di Braga in Portogallo (510/20
ca.-580) ci ha lasciato un interessante trattato intitolato De ira, in cui ana­
lizza con precisione questo vizio, le sue manifestazioni, i suoi effetti e la
terapia per guarirlo.
II

«Brace, fuoco e zolfo...» (Sai 11,5):


le cause e le manifestazioni dell’ira

Ne, Salmo 11,5 l’ira di Dio verso colui «che


ama la violenza» viene descritta in questi termini:
«brace, fuoco e zolfo farà piovere sui malvagi: ven­
to bruciante toccherà loro in sorte». Elementi e
fenomeni della natura diventano immagine della
collera di Dio verso chi commette l’iniquità, ma
possono diventare, più in generale, un simbolo
dell’ira in azione. Per questo abbiamo scelto il ver­
setto di questo salmo per introdurre il capitolo
presente. Il fuoco dell’ira può manifestarsi in mol­
teplici modi, può avere diverse cause: un incendio
può essere provocato da un materiale infiammabi­
le (zolfo); può riprendere all’improvviso perché
sono rimasti focolai non spenti e nascosti sotto la
cenere (brace); può essere attizzato volontaria­
mente (fuoco). In questo capitolo cercheremo di
38 I Ira

analizzare vari aspetti della collera, rispondendo


ad alcune domande.
Quali sono le cause che danno origine alla pas­
sione dell’ira? Come divampa l’incendio della col­
lera in chi è preda di questo pensiero? Come si ma­
nifesta e quali sono le caratteristiche di tale vizio?
Che cosa trascina dietro a sé la collera? Il ritratto
dell’ira che abbiamo appena abbozzato ci fa già in­
tuire alcune risposte a questi interrogativi. Si tratta
ora di approfondire le dinamiche dell’ira e le sue
conseguenze nei vari àmbiti della vita dell’uomo.

1. L’ira nella catena dei vizi

Generalmente gli autori monastici di lingua gre­


ca utilizzano due termini per esprimere la passione
dell’ira: orghé e thymós. Una spiegazione di questi
due termini, utilizzati anche nella traduzione greca
della Bibbia, l’abbiamo già incontrata nel testo di
Cassiano sopra citato. Spesso usati indifferentemen­
te nella versione greca della Scrittura per indicare la
passione dell’ira, «per etimologia e àmbito semanti­
co i due termini si distinguono in origine piuttosto
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell'ira I 39

chiaramente: thymós indica il moto dell’anima, or­


ghé la sua espressione e manifestazione, thymós in­
dica l’ira che sorge e ribolle, orghé la collera che
erompe»1. Dunque col termine thymós possiamo
indicare l’ira come passione, colta nelle sua dimen­
sione globale e di per sé ambigua; l'orghé è piuttosto
l’ira nelle sue varie manifestazioni, o più semplice-
mente la collera. Precisando questi due termini in
Evagrio, G. Bunge scrive: «L’impeto collèrico (or­
ghé) è una operazione disordinata, pervertita della
facoltà irrazionale “irascibile” (thymikón) dell’ani­
ma, detta essa stessa semplicemente “ira” {thymós)»2.
Radicandosi nella struttura stessa dell’uomo,
l’ira di conseguenza entra nel gioco di tutti i vizi
formando un anello ben preciso nella loro catena.
Nella lista evagriana essa occupa il quinto posto,
tra la tristezza e l’accidia, collocandosi dunque
all’interno dei vizi che colpiscono la psiche dell’uo­
mo (a differenza della gola, della lussuria, dell’ava­
rizia che intaccano la dimensione fisica). Come
“vizi dell’anima”, tristezza, ira e accidia «spesso...

1 O. Grether - J. Fichtner, Orghé. C. Lira di Dio nei LXX. I. Luso lin­


guistico dei LXX. 1. Orghé e thymós, in Grande Lessico del Nuovo Testa­
mento, V ili, col. 1151.
2 Bunge, Vino dei draghi, p. 47.
40 I Ira

hanno la loro causa nell’àmbito dei rapporti in-


traumani... e possono essere catalogati come com­
portamenti disordinati dell’irascibilità»3. Tuttavia
non si deve mai dimenticare che tutte le passioni
sono tra loro variamente intrecciate e, se alcune
colpiscono preferibilmente il corpo, mentre altre
l’anima, ciò non vuol dire che i primi tre vizi non
abbiano influsso sugli altri. L’ira stessa lo dimo­
stra: anche se intacca la psiche dell’uomo, tuttavia
tutto il corpo ne è coinvolto. Per questo l’abba Ipe-
rechio dice: «Chi non domina la sua lingua nel
momento dell’ira, non dominerà nemmeno le pas­
sioni della carne»4.
D’altra parte l’ira ha un rapporto privilegiato
con tre passioni: la tristezza, l’invidia e l’orgoglio.
Sulla relazione tra ira e tristezza abbiamo già
parlato nel nostro libro dedicato a quest’ultimo vi­
zio5. La tristezza può essere causata da un desiderio
frustrato; ma spesso il non ottenere quello che si
vuole, fa scattare un impeto di collera. Per di più,

3 Ibid., p. 44.
4Iperechio 3: Vita e detti dei padri del deserto, II, cur. L. Mortari, Roma
(Città Nuova) 1975, p. 206.
5 Cfr. A. Piovano, Tristezza, Cinisello Balsamo (Edizioni San Paolo)
2012, pp. 53-54,58-60.
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell'ira I 41

una reazione aggressiva o eccessivamente emotiva


lascia sempre nel cuore uno strascico di amarezza,
facendolo piombare nella tristezza. «Tale legame -
osserva G. Cucci - era stato notato anche da Tom­
maso (d’Aquino): quando perde il controllo e la
giusta regola, l’ira si autoconsuma diventando triste
accidia, si spegne come un fuoco di paglia, perché
al fondo dell’ira c’è la tristezza»6.
Lo stesso vale per il rapporto tra invidia e ira.
Come tristezza per il bene altrui, l’invidia porta
sempre con sé una irritazione più o meno palese.
D’altra parte, se ira e invidia sono ambedue origina­
te dal desiderio del male altrui, tuttavia mostrano
una differenza: l’ira desidera il male dell’altro, men­
tre l’invidia brama e soffre per il bene che l’altro ha
(pur in modo malevolo). Inoltre «l’ira, a differenza
dell’invidia, può conseguire un godimento o un al­
leggerimento dell’animo perché mira ad uno scopo
che, quando rimane sotto il dominio della ragione,
è buono in sé, mentre l’invidia considerata anche
soltanto come passione non è mai buona, nemmeno
a piccole dosi se non nella versione dello zelo, della

6 Cucci, Il fascino del male, p. 140.


42 I Ira

emulazione, che però costituisce piuttosto una sua


variante»7.
Gregorio Magno, d’altra parte, intravede pro­
prio nei vizi dell’invidia, ira e tristezza gli anelli di
una pericolosa catena:

«L’invidia genera l’ira, perché nella misura in cui l’a­


nimo è colpito dall’interna ferita del livore smarrisce
pure la mansuetudine della tranquillità; e poiché è
come toccare un membro dolente, la mano dell’azio­
ne opposta vien sentita come più pesante. Dall’ira
poi sorge la tristezza, poiché la mente turbata, quanto
più disordinatamente si agita, tanto più cedendo ri­
mane confusa; e quando abbia perduto la dolcezza
della tranquillità, si pasce della tristezza che scaturi­
sce dal turbamento»8.

Il rapporto tra ira e orgoglio è dato anzitutto


dalla natura stessa delle due passioni. Ciò che le
unisce, almeno secondo Evagrio, è la loro natura
“demoniaca” in quanto sono l’espressione del volto
del tentatore. Per Evagrio «l’orgoglio è il male ori­

7 Ibtd., p. 139.
8 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe VI, 31, 45, 89: Id.,
Commento morale a Giobbe/4, cur. P. Siniscalco - E. Gandolfo (Opere di
Gregorio Magno 1/4) Roma 2001, pp. 322-323.
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell'ira I 43

ginale che fece precipitare sulla terra “Lucifero,


colui che si leva all’aurora”»9 e «nessun altro male
trasforma l’uomo in demonio come l’ira»10. Vedre­
mo in seguito il carattere demoniaco dell’ira. Tut­
tavia fin d’ora possiamo notare che, fondamental­
mente, Pira produce l’effetto che definisce l’identi­
tà stessa del tentatore: creare divisione. E non si
deve dimenticare, a partire anche dalla dinamica
stessa dell’ira, che in fondo ad ogni reazione di col­
lera, si nasconde un orgoglio ferito, un attacco all’i­
dolo di se stessi o un ostacolo al raggiungimento di
questa idolatria.
Veramente l’ira è un vizio estremamente perico­
loso che ha conseguenze tragiche sia per la vita spi­
rituale, sia per l’equilibrio della persona, sia per le
relazioni! Vedremo sùbito le conseguenze della col­
lera. Dunque dobbiamo collocarla senza alcun dub­
bio nella categoria delle passioni malvagie, seguen­
do così la tradizione dei Padri. «Che l’ira apparten­
ga a pieno titolo al settenario dei vizi capitali è chia­
ro fin dalle origini: - annotano le studiose C. Casa­
grande e S. Vecchio - presente senza alcuna esita­

9 Evagrio Pontico, Trattato pratico, Prologo 2: tr. it., p. 47.


10Id., Lettera 56,4 (testo citato in Bunge, Vino dei draghi, p. 25).
44 I Ira

zione nelle classifiche di Evagrio, di Cassiano, di


Gregorio, occupa una posizione che nessuno nel
corso della storia penserà mai di contestare. Filia­
zione delPavarizia secondo Cassiano, discendenza
dell’invidia a parere di Gregorio, l’ira è comunque
destinata ad essere sempre inclusa nel novero dei
vizi capitali, dei quali condivide pienamente lo sta­
tuto di vizio “principale”, matrice a sua volta di tut­
ta una serie di ulteriori colpe, che vanno dalle risse
agli insulti, dalle urla alle bestemmie, dall’indigna­
zione all’omicidio»11.

2. La dinamica dell’ira

«L’ira è una passione rapidissima», ci ha ricorda­


to Evagrio nel testo del Trattato pratico precedente-
mente riportato. Chi non saprebbe riconoscere, a
partire dalla propria esperienza, la verità di questa
costatazione! All’improvviso qualcosa provoca una
irritazione o un disappunto e se manca un imme­
diato controllo dell’emotività, ecco allora farsi sùbi­
to strada un gesto di insofferenza, uno sguardo in­

11 Casagrande - Vecchio, I sette vizi capitali, p. 54.


Brace; fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 45

fiammato, una parola tagliente. D’altra parte, resta


pur vero, almeno in alcuni caratteri, il tentativo di
nascondere o di trattenere una visibilità della colle­
ra che sta salendo dal cuore. Abbiamo già sottolinea­
to questo aspetto. Ma proprio in questo impossibi­
le sforzo di nascondere Tira, troviamo una caratte­
ristica fondamentale della dinamica di questa pas­
sione: essa tende a collocarsi tra dissimulazione e
manifestazione. Generalmente la collera segue un
percorso circolare: parte dal cuore, il luogo dei
sentimenti, dei desideri, delle pulsioni, e si mani­
festa visibilmente in parole o azioni, per poi ritor­
nare nell’interiorità e permanervi come rancore e
risentimento. In questo tragitto entrano in gioco i
vari tentativi messi in atto per dissimulare questa
passione, tentativi che spesso falliscono quando
l’ira diventa senza controllo. Commentando il te­
sto di Mt 5,22 («chiunque si adira contro il proprio
fratello...»), Gregorio Magno mette bene in rilievo
questa progressione:

«Dapprima l’ira si manifesta senza voce, poi con la


voce senza ancora trovare la sua piena espressione,
che finalmente essa raggiunge quando si dice: pazzo!
46 I Ira

Allora si manifesta Tira, che al tono della voce unisce


il termine di maggior disprezzo»12.

D altra parte chi riesce a nascondere nel suo inti­


mo Tira, senza però vincerla, ne è ugualmente
schiavo. Costoro rivelano una pazienza ambigua,
pericolosa o, come la chiama Climaco, “irragione­
vole”. Nel testo seguente, di Giovanni Climaco, è
ben sottolineata la pericolosità di chi riesce a dissi­
mulare Tira.

«Ho visto alcuni furiosamente infiammati dall’ira riu­


scire in questo modo a vomitare un rancore segreta-
mente covato da tempo attraverso un’altra passione
ottenendo, da parte di chi li aveva offesi, o il penti­
mento, o quantomeno una adeguata spiegazione per
ciò che li aveva fatti a lungo soffrire. Al contrario, ho
visto altri far mostra di pazienza in modo irragione­
vole e attraverso il loro silenzio accumulare nel cuore
il rancore. Questi ultimi li ho giudicati più infelici di
quelli che si lasciano prendere dalla furia dell’ira,

12 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe XXI, 5, 9: Id., Co


mento morale a Giobbe/3, cur. P. Siniscalco - E. Gandolfo (Opere di Gre­
gorio Magno 1/3) Roma (Città Nuova) 1997, pp. 182-183.
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 47

perché con la loro oscurità essi hanno fatto sparire là


Colomba!»13.

C’è dunque chi riesce a dissimulare l’ira; ma essa


rimane nascosta in tutta la sua pericolosità. Appa­
rentemente uno non sembra adirato, ma l’ira di fat­
to non è vinta. A volte, ci ricorda Climaco, queste
persone dotate di una “irragionevole” pazienza so­
no più pericolose e troveranno altri modi, sempre
dissimulati, per colpire con il loro veleno. Alla fine
è meglio riconoscere e manifestare le ferite dell’ira,
per poi guarirle attraverso una pazienza che si tra­
sforma in perdono e riconciliazione!

Ma quali sono le cause che provocano la passio­


ne dell’ira? Che cosa fa scattare certe reazioni im­
petuose a volte così sproporzionate per le conse­
guenze e gli effetti? Molte possono essere le motiva­
zioni che fanno esplodere l’ira: dalle situazioni im­
mediate ed impreviste, alle tensioni nei rapporti,
dal rancore sedimentato alPincompatibilità tra ca­

13 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V ili, 17: tr. it. cur. L. DA-
yala Valva -J. Chryssavgis, Bose/Magnano (Qiqajon) 2005, p. 213. La “Co­
lomba” di cui parla Climaco è lo Spirito Santo.
48 I Ira

ratteri. C’è dunque una varietà di cause che posso­


no mescolarsi nella passione dell’ira. Così annota
Giovanni Climaco:

«Come la febbre del corpo è una, ma il suo ardore


può esser determinato da diverse cause e non da una
sola, così anche l’ardore e il moto della collera - come
forse anche di tutte le altre passioni - hanno cause e
origini molteplici. Perciò è impossibile definire un’u­
nica regola contro queste passioni; il mio consiglio,
piuttosto, è che ciascuno dei malati ricerchi con tutta
la cura e l’impegno possibili il metodo di guarigione
a lui adatto. E la prima cura sarà proprio di ricono­
scere la causa del proprio dolore.. .»14.

Ma qualunque sia la causa che provoca l’ira, ciò


che appare evidente è il fatto che essa è percepita
come un ostacolo nella realizzazione di un proget­
to di philautìa. L’offesa ricevuta, ad esempio, o
l’impossibilità di ottenere qualcosa o una situazio­
ne che evidenzia un limite personale, tutto questo
viene sentito come un attacco, una ferita all'imma­
gine di sé, all’idolo che ciascuno nasconde dentro

14Ibid., V ili, 30: tr. it., pp. 217-218.


Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 49

di sé. L’ira diventa allora una sorta di ribellione, di


difesa a questo attacco (presunto, il più delle vol­
te). La philautia dunque, questo amore smodato di
sé che strumentalizza tutto e tutti e che deve esse­
re conservato e difeso ad ogni costo, è il terreno su
cui prolifica la collera (e ogni altra passione). Fa­
cendo riferimento proprio a questo amore egoisti­
co, J.-C. Larchet afferma che, secondo i Padri (so­
prattutto Massimo il Confessore), l’ira «nasce
nell’uomo quando è afflitto per non poter raggiun­
gere il piacere che ricerca, ma ugualmente e prin­
cipalmente quando egli si trova, si sente, o teme di
essere privato di un piacere di cui godeva, e “quan­
do dunque l’amore dell’io (philautia) viene a tro­
varsi ferito dalla sofferenza”. Essa si rivolge allora
contro quella che è, o sembra essere, la causa della
frustrazione, o che nondimeno la minaccia, o sem­
bra minacciarla»15.
Tra le varie cause che trovano nella philautia lo
spazio favorevole per scatenare l’ira, possiamo sot­
tolinearne due: il sentirsi oggetto di ingiustizia e
l’essere feriti nell’orgoglio.

15 Larchet, Terapia delle malattie spirituali, p. 206. Il testo patristico


citato è di Massimo il Confessore, Questioni a Talassio, Prologo.
50 I Ira

Evagrio, presentando il pensiero malvagio dell’i­


ra, la presenta come un «ribollimento e un movi­
mento della parte irascibile (dell’anima) contro co­
lui che ha commesso un torto o sembra averlo
fatto»16. Spesso la causa dell’ira è una sensazione di
ingiustizia subita, una offesa che si ritiene di avere
immeritatamente ricevuto, un tradimento o una
umiliazione che ha ferito in profondità. «Le violen­
ze subite - commenta G. Bunge - ingenerano ira e
collera, le quali chiedono con insistenza vendetta.
Se la sete di vendetta non può essere soddisfatta, si
fa strada la tristezza, il sentimento di frustrazione»17.
Presunta o reale, colpevole o incolpevole, questa in­
giustizia ferisce l’amor proprio. Qui, allora si inseri­
sce l’altra causa che può provocare l’ira: l’orgoglio.
Marco l’Asceta (sec. V) parlando della collera affer­
ma che questa passione «la quale rende tutta l’ani­
ma desolata, confusa, oscurata, e che, con il suo
sollevarsi e la sua attività, riduce chi è più portato a
questa passione, l’uomo irritabile, ad essere simile
alla belve, ... si sostiene e si rafforza in modo spe­
ciale con la superbia; e allora diviene impossibile

16Evagrio Pontico, Trattato pratico 11: tr. it., p. 91.


17Bunge, Vino dei draghi, p. 47.
' Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 51

dissolverla»18. Si deve ammettere che, in forme di­


verse, l’orgoglio si mescola con l’ira. Generalmente
chi è pieno di sé ha sempre uno sguardo arrogante,
pungente, irritato verso chi ritiene inferiore, e chi è
orgoglioso sente sempre profonda irritazione verso
chi non dà riconoscimento e stima all’immagine
che ha di se stesso. «Non sono le parole che ci feri­
scono - dice Basilio di Cesarea - è il nostro orgoglio
che ci fa ribellare e la buona opinione che abbiamo
di noi stessi»19.

3. Alcune caratteristiche dell’ira

Nella varietà delle sue manifestazioni, l’ira pre­


senta alcune caratteristiche costanti; esse diventano
anche criteri per discernere a quale livello tale pas­
sione è presente nella nostra vita, e soprattutto nel
nostro cuore.
Un primo tratto con cui la collera rivela il suo
volto ambiguo e pericoloso è dato da due caratteri­

18Marco l'Asceta, Lettera al monaco Nicola, in La Filocalia, 1, tr. M. B.


Artidi - M. F. Lovato, Torino (Gribaudi) 1982, pp. 220-221.
19Basilio di Cesarea, Contro coloro che si adirano. Omelia X, 7: PG 31,
coll. 369-370.
52 I Ira

stiche di per sé contraddittorie: la rapidità con cui


questa passione si impossessa dell’uomo e la ten­
denza a perdurare nascosta nel cuore. È un aspetto
tipico della dinamica dell’ira, già precedentemente
sottolineato, un aspetto che può strumentalizzare i
vari caratteri (c’è chi è impulsivo e chi è più riflessi­
vo) e con il quale la collera intesse il suo gioco. Per
questo, Isacco il Siro può dire: «La frequenza dell’i­
ra, la sua facilità e la sua persistenza sono segni di
una grave malattia dell’anima»20.
Da qui deriva una seconda caratteristica di questa
passione: la radicalità. Sfruttando una dimensione
della struttura stessa dell’uomo, l’irascibilità, si collo­
ca nel profondo della psiche. Parte sempre dal cuore
(luogo dei sentimenti, dell’emotività, delle pulsioni) e
fa ritorno ad esso. Se dal cuore non viene sradicata,
rimane nascosta, quasi attendendo le provocazioni
esterne per uscire allo scoperto. Così ricorda Cassia­
no iniziando la sua riflessione sul pensiero dell’ira:

«La quarta lotta che dobbiamo affrontare consiste


nell’estirpare completamente dal profondo della no­
stra anima il veleno mortifero dell’ira. Finché infatti

20 Isacco di Ninive, Un'umile speranza, p. 106.


Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell'ira I 53

questa passione si annida nel nostro cuore e acceca


l’occhio della nostra mente con le sue tenebre nefaste,
non potremo né acquisire un retto discernimento nel
giudicare, né possedere uno sguardo capace di auten­
tica contemplazione, né avere maturità di giudizio, né
avere parte alla vita, né restare saldi nella giustizia, né
tanto meno essere in grado di accogliere la vera luce
spirituale»21.

Cassiano, dunque, ci mette in guardia dal sottova­


lutare la radicalità di questa malattia spirituale: solo
se si va alla radice dell’ira, lì dove essa si nasconde,
allora si può essere liberati da questa passione.

In qualunque forma si manifesti, l’ira ha sempre


in sé qualcosa di eccessivo o sproporzionato. L’ecces­
so, dunque, è un altro tratto di questa passione. Di
fatto, ogni vizio si caratterizza dall’abuso o di un og­
getto o di una facoltà dell'uomo. Nell’ira questo si
nota dalle modalità con cui si rivela: la perdita di
controllo, le varie reazioni in gesti o parole, la repen­

21 Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche V ili, 1: Id., Le Istituzioni


cenobitiche. De institutis coenobiorum et de odo principalium vitiorum
remediis libri XII, cur. A. De Vogùe - L. D ’Ayala Valva, Bose/Magnano
(Qiqajon) 2007, p. 233.
54 I Ira

tinità di uno scatto di collera oppure lo smisurato


perdurare di un’ira nascosta (con la conseguenza di
gonfiare le cause) sono tutte espressioni di questo ec­
cesso. Ma spesso il carattere impetuoso ed eccessivo
della collera si manifesta nella sproporzione tra la
causa che provoca una reazione e l’effetto che ne con­
segue. Una parola, forse detta in un momento inop­
portuno, o un gesto che può apparire ingiusto scate­
nano una serie di reazioni fuori misura: da un picco­
lo fuoco (che potrebbe essere spento all’istante con
un po’ di buon senso) scoppia un incendio. Ma come
nota il filosofo R. Bodei «a sconvolgere non è, infatti,
il singolo episodio da cui l’ira trae immediatamente
origine, ma tutte le frustrazioni, le attese tradite, le
speranze non realizzate o malpagate, le irritazioni ac­
cumulate che si condensano, collassano ed esplodo­
no simultaneamente, perché, avendo raggiunto una
massa critica, si scaricano sul bersaglio più vicino»22.
Una delle conseguenze di questa mancanza di
misura, e altro carattere distintivo dell’ira, è la sua
forza distruttiva. L’immagine del fuoco che consu­
ma tutto ciò che raggiunge esprime bene questo

22 Bodei, Ira, p. 11.


Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell'ira I 55

tratto della collera. Dall’esperienza sappiamo bene


che l’ira può scatenare una serie di reazioni impre­
vedibili che possono travolgere relazioni, senti­
menti, vite intere, distruggendo tutto ciò che rag­
giungono. Commentando l’immagine del fuoco in
relazione all’ira, presente nel linguaggio degli au­
tori medievali, le studiose C. Casagrande e S. Vec­
chio annotano: «Proprio come il fuoco materiale,
il più potente degli elementi, che arde in maniera
diversa a seconda del legno cui è appiccato, il fuo­
co dell’ira, alimentato dal diavolo, assume caratte­
ristiche diverse in base alla natura delle persone in
cui divampa, ma finisce comunque per incendiare
ogni bene... Quello che accomuna le manifesta­
zioni esteriori dell’ira è il potere dirompente di
questo vizio: che si tratti di pure espressioni verba­
li o di atti concreti, le filiazioni dell’ira denuncia­
no comunque un carattere fortemente aggressi­
vo... L’ira costituisce così un pericoloso elemento
di disgregazione della società, una minaccia in­
combente per quella concordia che è alla base del­
la convivenza sociale»23.

23 Casagrande - Vecchio, I sette vizi capitali, pp. 60.62.


56 I Ira

Un concreto esempio di questa furia devastatrice


dell’ira possiamo incontrarlo nella reazione di chi è
arrabbiato nei confronti delle cose. Forse è una
esperienza capitata a ciascuno: quando non è possi­
bile scagliarsi contro qualcuno (perché o non si ha
il coraggio oppure non è presente) non di rado si
sfoga la propria rabbia contro gli oggetti giungendo
anche a distruggerli. Cassiano riporta, a questo ri­
guardo, una testimonianza personale:

«Mi ricordo che quando vivevo nella solitudine, a vol­


te ero preso da moti di indignazione contro il calamo,
se mi sembrava troppo grosso o troppo fine, o contro
lo scalpello, se era poco affilato o tagliava troppo len­
tamente, o contro la selce, se, quando avevo fretta di
mettermi a leggere, tardava a darmi la scintilla per il
fuoco; e allora non riuscivo a calmare e a far sbollire
l’agitazione che era in me se non pronunciando qual­
che parola di maledizione contro quegli strumenti in­
sensibili, o almeno contro il diavolo»24.

L’ira di Cassiano sapeva moderarsi: non distrug­


geva gli oggetti, ma li insultava. In ogni caso, prò­

24 Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche V ili, 19,2: tr. it., p. 250.


Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 57

prio la testimonianza di questo padre, che viveva


nella solitudine, ci rivela che l’ira non dipende dagli
altri o dalle cose, ma è dentro di noi!

Un altro tratto della collera, ben sottolineato


non solo dai Padri, ma anche dai filosofi antichi (e
dalla stessa letteratura classica) è la dimensione ir­
razionale di questa passione. Anzi, nelle manifesta­
zioni più violente, l’ira può essere considerata una
sorta di follia. Non è forse questa anche la percezio­
ne comune, quando uno si arrabbia fuori misura e
dice ad un altro: «Mi hai fatto uscire di senno!»? In
un testo che abbiamo riportato all’inizio della no­
stra riflessione, Gregorio Magno descrive molto be­
ne tutte le manifestazioni che accomunano uno che
è adirato con chi ha perso il lume della ragione, tan­
to che alla fine si domanda: «Che differenza c’è tra
un invasato e costui che non si rende conto di quel­
lo che fa?». «Il collerico - scrive Giovanni Climaco
- è un epilettico volontario che, per effetto di una
predisposizione involontaria, dà in escandescenze e
cade»25.

25 Giovanni Climaco, Scala del Paradiso V ili, 13: tr. it., p. 213.
58 I Ira

Ma la conseguenza più grave di questa forma di


follia è la perdita di una sguardo lucido, razionale
e spirituale, sulla realtà. L’irrazionalità di questa
passione offusca la facoltà dell’intelletto e una
persona “accecata dall’ira” non riesce più a distin­
guere ciò che è frutto della sua emotività da ciò
che è oggettivo: «L’irascibilità fomentata - dice
Evagrio - acceca chi ha la funzione di guardare»,
cioè l’intelletto26. Si crea una sorta di tenebra tra
l’occhio interiore e la realtà, per cui tutto viene de­
formato. D’altronde, in uno stato di ira non è pos­
sibile fare nessun discernimento o scelta; è sempre
meglio lasciar decantare e far scomparire questa
tenebra prima di prendere una qualsiasi decisione.
Dunque la percezione della realtà, per chi è adira­
to, «è turbata, anche se da un punto di vista este­
riore le sue facoltà cognitive sembrano esplicarsi in
modo corretto e se sembra che egli rimanga capa­
ce di ragionamenti formalmente validi. L’uomo in
preda all’aggressività cessa allora di percepire il
reale così com’è per vederlo come non è: la sua
passione provoca in lui una conoscenza delirante e

26 Testo citato in Bunge, Vino dei draghi, p. 21.


Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni delVira I 59

in relazione a ciò modifica il suo modo di compor­


tarsi di fronte alla realtà»27.

Uno degli effetti che l’incontrollato moto della


collera trascina dietro a sé è l’inquietudine mista a
turbamento. L’ira è una passione “inquieta”, carica
di agitazione (prima e dopo essere esplosa): «La
collera - dice Diadoco di Fotica - più delle altre
passioni suole turbare e sconvolgere l’anima»28. Ba­
sta osservare cosa avviene dopo essersi adirati. Si
rimane insofferenti, irrequieti: non si riesce più a
controllare il proprio tempo, le proprie occupazio­
ni, il proprio corpo. Ma soprattutto non si riesce più
a calmare il cuore: esso piomba in un turbamento,
come un mare mosso dalla tempesta, e non ha più
pace. E questa inquietudine evidentemente si riflet­
te anche su coloro con cui ci si è adirati. Gregorio
Magno vede proprio in questo squilibrio interiore
caratterizzato dall’agitazione e dal turbamento, una
delle gravi cause dell’ira: «Quando l’ira sconvolge
la tranquillità dell’anima, l’agita e la lacera tanto da

27 Larchet, Terapia delle malattie spirituali, p. 210.


28Diadoco di Fotica, Cent. 62: Id., Cento considerazioni sulla fede, cur.
V. Messana (Collana dei testi patristici 13), Roma (Città Nuova) 1978, p. 67.
60 I Ira

farle perdere l’armonia con se stessa e la divina


somiglianza»29. E altrove Gregorio alza il velo dal
cuore inquieto dell’adirato e ci fa contemplare la
folla vociferante che lo agita nell’intimo:

«Un altro si è sottomesso al dominio dell’ira e che


cosa agita il cuore se non contese, talora inesistenti?
Costui spesso non vede i presenti, contraddice gli as­
senti, proferisce tra sé insulti e ne riceve, e a quelli
che riceve risponde più aspramente, e non essendoci
nessuno a contrariarlo, inscena risse nel cuore con
alte grida. E così costui, premuto dalla carica violenta
di un pensiero infuocato, si trova ad affrontare den­
tro di sé una follai0.

Questa agitazione interiore e questo turbamen­


to, continuamente alimentati dall’ira, hanno solo
una via di uscita: trasformarsi in risentimento e ran­
core. Qui allora la collera sembra trovare una certa
quiete (falsa, perché rimane sempre il tormento)!

29 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 78: tr. it., pp.
462-465.
30Ibid., V, 30,57: tr. it., pp. 362-363.
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell'ira I 61

4 . 1 luoghi dell’ira

Una passione così impulsiva come l’ira non sem­


bra avere luoghi o situazioni privilegiati: dal cuore,
dove a volte rimane a lungo nascosta, può emergere
improvvisamente quando l’occasione la provoca.
Ma certamente la collera si trova a suo agio in ogni
forma di divisione o di scontro: litigi, tensioni, di­
scordie, invidie, atteggiamenti o parole piene di ar­
roganza, di disprezzo, di menzogna, di maldicenza,
di insofferenza verso gli altri. A partire da queste
situazioni, l’ira assume poi toni e forme svariate esi­
bendo un ampio repertorio di strumenti con cui
scatena la sua lotta: parole piene di fuoco, silenzi
che minacciano rappresaglie, gesti scostanti e vio­
lenti, sguardi taglienti, e così via. Non dobbiamo
dimenticare che questa passione sa adattarsi bene e
quindi sa variare il suo abito a partire dal luogo in
cui si manifesta. Ce lo ricorda Doroteo di Gaza nel­
la sua catechesi sul rancore:

«Si può rendere male per male non solo con le azioni,
ma anche con le parole e con il comportamento. L’u­
no sembra non rendere il male ricevuto con azioni,
62 I Ira

ma lo fa poi a parole, come ho detto, o con il suo at­


teggiamento. Accade infatti di turbare il fratello con
un semplice atteggiamento, con un gesto o uno sguar­
do; è possibile infatti ferire il fratello anche con uno
sguardo o un gesto, ma anche questo è rendere male
per male. Un altro sta attento a non rendere male per
male né con azioni, né con parole, né con atteggia­
mento o gesti, ma nel suo cuore è contristato contro
il fratello ed è irritato con lui. Vedete la diversità di
queste situazioni.. .»31.

Certamente un luogo privilegiato in cui si può va­


lutare quanto l’ira abbia preso spazio nel nostro cuo­
re è il rapporto con gli altri. Le relazioni sono in un
certo senso il momento di verifica della passione
dell’ira, ma anche l’occasione più propizia perché es­
sa possa scatenare il suo furore. È significativo il fatto
che Gesù sottolinei il pericolo dell’ira proprio all’in­
terno del rapporto con il fratello e non esiti a parago­
narla all’omicidio: «Chiunque si adira con il proprio
fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi
dice al fratello “stupido”, dovrà essere sottoposto al
sinedrio, e chi gli dice “pazzo”, sarà destinato al fuo­

31 Doroteo di Gaza, Insegnamento V ili, 93: Id., Scritti e insegnamen


spirituali, cur. L. Cremaschi, Roma (Edizioni Paoline) 1980, p. 144.
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 63

co della Geenna» (Mt 5,22). Nei rapporti «la collera


è la negazione della relazione e della responsabilità, è
la contraddizione per eccellenza alla comunicazione,
al dialogo, all’incontro, all’alleanza; è il terreno su
cui germina l’aggressività e si sviluppa la violenza
verso l’altro. Essa corrisponde allora all’atteggiamen­
to giudicato da Gesù alla stregua di un omicidio»?2.
Proprio a partire dalla relazione tra ira e rappor­
ti interpersonali, si possono individuare tre luoghi
tipici in cui questa passione trova un terreno favore­
vole: il rancore, la violenza, l’arroganza.

Il rancore, così come pure il risentimento e il ri­


cordo delle ingiurie, è una sorta di ira covata e col­
tivata; essa si sedimenta in noi e crea uno schermo
con cui si vedono gli altri, soprattutto coloro con
cui abbiamo avuto tensioni o difficoltà. Ogni gesto,
ogni parola, la stessa figura dell’altro provocano ir­
ritazione e disgusto, riaccendono il ricordo di un
torto o di una incomprensione subiti. Infatti il ran­
core e il risentimento rimangono invischiati nei tor­
ti subiti, veri o presunti, dei quali presentano sem­

32 E. Bianchi, Una lotta per la vita. Conoscere e combattere ipeccati ca­


pitali, Cinisello Balsamo (Edizioni San Paolo) 2011, pp. 159-160.
64 I Ira

pre il conto e ai quali attribuiscono ogni fallimento.


Così Giovanni Climaco ci presenta la lunga litania
di malvagità custodite dal rancore:

«Il rancore è conseguenza naturale della collera, cu­


stode dei peccati, odio della giustizia, rovina della
virtù, veleno delPanima, tarlo della mente, vergogna
nella preghiera, recisione della supplica, estrania-
mento della carità, chiodo confitto nell’anima, sgra­
devole sentimento amato per la dolcezza della sua
amarezza, peccato continuo, trasgressione incessan­
te, vizio di tutte le ore»33.

Due sono le caratteristiche sottolineate da Cli­


maco a riguardo del rancore e che lo rendono luogo
dell’ira: la sua capacità di nascondersi nel cuore,
dissimulando così la collera che porta con sé, e il
perdurare nel tempo. Quest’ultimo aspetto è ciò
che permette la conversione del risentimento in ira.
Con precisione Cassiano ci descrive questo perico­
loso passaggio, favorito dal tempo e dalla dissimula­
zione, e gli atteggiamenti che ne derivano: le perso­
ne che conservano a lungo l’ira

33 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso IX, 2: tr. it., p. 221.


Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 65

«protraendola per diversi giorni e conservando il


rancore contro coloro con cui si sono alterati, negano
a parole di essere in collera, ma con il loro stesso
comportamento dimostrano di essere profondamen­
te indignati. Infatti non si rivolgono a queste persone
in modo appropriato, né parlano loro con la consueta
affabilità e con questo non credono di far niente di
male, solo perché non cercano una vendetta al loro
risentimento. E tuttavia, poiché non osano, o non
possono, manifestare apertamente e tradurre in atto
la loro ira, rivolgendone contro se stessi il veleno a
propria rovina, la covano segretamente nel cuore e la
consumano in se stessi in silenzio... la ruminano
giorno dopo giorno, arrivando a mitigarla solo con il
tempo»34.

Questa ira mescolata a rancore può, dunque, ri­


manere a lungo nel cuore, provocando tormento e
sofferenza. Giovanni Crisostomo constata che «il
risentimento è un carnefice che si porta dovunque
dentro, è un avvoltoio che strappa le viscere»35. Ma,
in una sorta di illusoria liberazione, si può far emer­
gere tutta l’aggressività nutrita dal rancore attraver­

34 Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche V ili, 1: L tr. it., p. 243.


35 Giovanni Crisostomo, Sulle statue, Omelia XX , 2: PG 49, col. 200.
66 I Ira

so parole o gesti pieni di collera e si riversa tutto


questo sull’altro, sentito come nemico. Si lascia “sa­
lire l’ira alla gola”, come si usa dire, riconoscendo,
di fatto, che essa abitava stabilmente dentro di noi,
nascosta nel rancore.
Per spiegare questa dinamica che unisce rancore
ed ira, Doroteo di Gaza nella sua Catechesi Vili,
citata in precedenza, utilizza l’immagine del carbo­
ne e della cenere. Ogni causa che può provocare
l’ira è come un carboncino incandescente: se lo si
accoglie nel cuore, se lo si lascia acceso e lo si na­
sconde sotto la cenere, se lo si alimenta con continui
pensieri di vendetta, con giudizi, con risentimento,
questo carboncino prima o poi diventa un fuoco
che divampa e distrugge tutto. Ecco l’ira: non è mai
al di fuori di noi, ma è sempre nascosta sotto la ce­
nere del nostro cuore:

«Chi accende il fuoco - dice Doroteo - all’inizio ha


soltanto un piccolo pezzo di carbone infuocato: que­
sto carboncino è la parola del fratello che ci ha offe­
so. .. Se la sopporti, spegnerai il carbone. Ma se co­
minci a pensare: “Perché mi ha detto questo? So io
come rispondergli!”... allora metti sul fuoco della
legna sottile, come chi accende del fuoco, e fai del
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 67

fumo: il turbamento... Se avessi sopportato la piccola


parola del fratello, avresti potuto spegnere il carbon­
cino infuocato prima che comparisse il turbamen­
to. .. ma se continui a turbarti e a turbare gli altri, fai
come chi ha gettato legna sul fuoco e il fuoco divam­
pa sempre di più e così infine si forma il carbone, cioè
Tira»?6.

Proprio alla luce di testi citati, si comprende be­


ne perché i Padri e gli autori monastici mettano in
guardia dalla pericolosità del rancore: porta aperta
all’ira, esso è contraddizione radicale della carità.
Così ammonisce un abba del deserto: «Colui che,
turbato e adirato, conserva per un certo tempo, non
fosse che per un giorno, la sua tristezza e la sua col­
lera, costui è fratello dei demoni. Non può doman­
dare il perdono dei peccati né riceverlo da Dio, fin­
ché non perdona a suo fratello, qualunque sia la
colpa commessa contro di lui»?7.

Anche l’odio, in tutte le sue forme, può trasfor­


marsi in spazio favorevole per l’ira. Tra odio e colle­

36 Doroteo di Gaza, Insegnamento V ili, 90: tr. it., pp. 141-142.


37 Serie Sistematica XV, 123: I Padri del deserto, Detti editi ed inediti,
cur. S. Chialà - L. Cremaschi, Bose/Magnano (Qiqajon) 2002, pp. 223-224.
68 I Ira

ra esistono alcune differenze. L’odio persegue un


male, mentre l’ira può portare dentro di sé un desi­
derio di bene, anche se cercato in modo errato.
Inoltre, come mette bene in rilievo il filosofo R. Bo-
dei: «(L’ira) è diversa dall’odio, sia perché questo è
normalmente freddo, di lunga durata, calcolato e
nutrito (ossia costantemente alimentato e accudito),
sia perché essa non può coesistere con la paura. L’i­
ra, infatti, non conosce sul momento remore o ri­
spetti, mentre l’odio, di fronte a ragioni che sugge­
riscono la rinuncia all'aggressività, come per esem­
pio il timore di inimicarsi qualche potente, si trat­
tiene dal mostrarsi e si trasforma allora in lievito di
ulteriore ostilità. Rispetto al risentimento e all’odio,
l’ira è invece palese, di breve durata, difficilmente
controllabile, non premeditata^8. Dunque se l’ira
non necessariamente vuole la distruzione del “ne­
mico” (mira piuttosto ad una vendetta) e non neces­
sariamente si trasforma in odio, quest’ultimo tutta­
via, quando è coltivato e diventa un habitus nella
vita e nelle relazioni, può strumentalizzare la pas­
sione dell’ira per manifestare il suo veleno. Il pas­

38 Bodei, Ira, p. 8.
Brace, fuoco e zolfo... le cause e le manifestazioni dell’ira I 69

saggio dall’odio all’ira, di conseguenza, è molto de­


licato. Si tratta dunque di vigilare perché la collera
non si trasformi in odio e generi violenza: «Quando
ricevi violenza da parte di qualcuno - raccomanda
Massimo il Confessore - o sei oltraggiato in qualche
cosa, allora guardati dai pensieri dell’ira, perché
questi, separandoti dalla carità con la tristezza, non
ti pongano nella regione dell’odio»?9. Se entra nello
spazio dell’odio, l’ira diventa «un odio covato a lun­
go nel cuore, ovvero il ricordo di un rancore. L’ira è
il desiderio di fare del male a chi ci ha irritato»40.

Infine, la collera diventa sempre una delle moda­


lità che caratterizzano il comportamento di chi è
arrogante. L’orgoglio che nasce da un potere sull’al­
tro, da un senso di superiorità, dal ritenersi risoluta-
mente dalla parte del giusto si manifesta spesso con
l’arroganza nel modo di parlare, nello sguardo o nei
gesti. D’altra parte, all’arroganza si mescolano nor­
malmente disprezzo e aggressività; queste, a loro
volta, diventano modalità con cui si afferma se stes­

39Massimo il Confessore, Centuria 1,29: Id., Capitoli sulla carità, cur. A.


Ceresa - Gastaldo (Verba Seniorum N.S.-3) Roma (Studium) 1963, pp. 58-59.
40 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V ili, 5: tr. it., p. 211.
70 I Ira

si sugli altri, ricordando a chi è sottomesso (o sem­


plicemente al “debole”) da che parte sta il potere e
la ragione. In una sentenza, Doroteo di Gaza dice:
«E impossibile adirarsi con il prossimo, se prima il
nostro cuore non si è esaltato contro di lui, e se non
lo si è disprezzato considerandosi superiori a lui»41.
Vediamo così, ancora una volta, affermato il legame
tra ira e orgoglio.

41 Doroteo di Gaza, Detto 17: tr. it., p. 248.


Ili

«Una città smantellata,


senza mura...» (Pr 25,28): una vita nell’ira

cV ^om e vive un uomo che si lascia dominare dalla


collera? Come passa i suoi giorni? Come può intes­
sere delle relazioni? Che cosa prova nel suo cuore?
E come vive il suo rapporto con Dio? Forse questi
interrogativi possono sorgere in noi quando incon­
triamo persone perennemente arrabbiate, incapaci
di un qualche sguardo pacifico, sempre pronte a
proferire parole dure o a manifestare gesti scostanti.
Ma forse, più onestamente, queste domande emer­
gono nel nostro cuore quando ci lasciamo vincere
dall’ira. Dove può portare la nostra vita una passio­
ne così violenta? Gregorio Magno ci offre una pri­
ma risposta a questi interrogativi presentandoci sot­
to varie angolature la vita di chi diventa schiavo
della collera:
72 I Ira

«Riflettiamo quanto sia grave la colpa dell’ira che,


mentre fa perdere la mansuetudine, compromette la
nostra somiglianza con Dio. L’ira fa perdere la sa­
pienza, tanto che uno non sa più che cosa deve fare
e quale ordine seguire, come sta scritto: Lira riposa
in seno allo stolto, perché, sconvolgendo la mente,
sottrae la luce dell’intelligenza... L’ira fa perdere la
vita, anche se apparentemente si conserva la sapien­
za, come sta scritto: Lira perde anche iprudenti: per­
ché l’animo confuso non riesce a eseguire ciò che
pure prudentemente riesce a comprendere. L’ira im­
pedisce di compiere la giustizia, come sta scritto:
Lira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a
Dio; perché quando la mente agitata esaspera il giu­
dizio della propria ragione, ritiene giusto tutto ciò
che il furore le suggerisce... L’ira fa perdere la grazia
della vita sociale... perché chi non si modera con
l’umana ragione, è destinato a vivere solo come una
bestia. L’ira rompe la concordia, come sta scritto:
Luomo collerico provoca risse, e l'uomo iracondo sca­
va peccati... L’ira impedisce lo splendore dello Spiri­
to Santo»1.

1 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 78: tr. it., p


464-465.
Una città smantellata, senza mura... una vita nell’ira I 73

Davvero, come ci ricorda Gregorio Magno,


quando l’ira entra nella vita di un uomo, la distrug­
ge rendendola una “città smantellata e senza mura”:
sgretola e frantuma ogni difesa, colpisce ogni facol­
tà dell’uomo, impedisce ordine e discernimento,
distrugge le relazioni sociali e, soprattutto, compro­
mette alla radice la vita spirituale poiché «impedi­
sce lo splendore dello Spirito Santo». Vediamo allo­
ra in dettaglio come si presenta una vita contamina­
ta dalla passione della collera.

1. Vivere da arrabbiati

Ogni passione si riflette nella vita quotidiana,


trasformando e condizionando ciascuna dimensio­
ne della persona e del suo modo di relazionarsi
con la realtà. Tuttavia uno degli spazi più imme­
diati in cui si rispecchia lo squilibrio provocato
dalla passione è il corpo. Ogni passione, in qual­
che modo, trasforma il corpo, ma questo vale so­
prattutto per l’ira. Il corpo di colui che è schiavo
della collera diventa lo specchio di questa passio­
ne. Abbiamo già sottolineato la visibilità dell’ira,
74 I Ira

caratteristica di questo vizio, che rende il corpo


senza freni e controlli, veicolo di gesti, parole,
sguardi carichi di eccesso, inquietudine, tensione,
violenza. Non stupisce, dunque, che i Padri e gli
autori monastici (sulla scia dei filosofi antichi), si
attardino a descrivere l’anatomia del collerico, il
suo viso e i suoi occhi infuocati e pungenti, il suo
respiro affannoso, l’agitazione delle membra e il
battito accelerato del cuore, ecc... Tutta la persona
è trascinata da questo fiume in piena che è l’ira: si
perde quell’armonia e quella bellezza che caratte­
rizzano una autentica capacità di relazione e che si
trasmettono anche attraverso il corpo. Un autore
siriaco del sec. VII, Martyrios (Sahdona), monaco
e vescovo, ci offre questo confronto tra ira e amore
proprio a partire dai loro riflessi sulla totalità della
persona, cuore e corpo:

«Allontaniamo da noi, amati, la nefandezza dell’invi­


dia e il male dell’ira i quali sottopongono a tortura
costante corpo e anima. Ricerchiamo un amore veri­
tiero verso tutti, un cuore bello e buono, affinché il
nostro corpo diventi bello e ridente e la nostra anima
luminosa e gioiosa. Davvero un cuore buono rende
Una città smantellata, senza mura... una vita nell'ira I 75

bello il corpo, mentre per il cuore duro si moltiplica­


no i dolori»2.

Le caratteristiche dell’ ira che si rispecchiano


nella persona e nel suo agire si trasmettono poi a
tutta la vita, dando ad essa particolari orientamenti
e stili. Ne sottolineiamo alcuni.

Se una delle caratteristiche della collera è quella


di manifestarsi come passione improvvisa e difficile
da dominare, la conseguenza più visibile nella vita
sarà lo squilibrio. Presente in tanti modi, tale squili­
brio provocato dall’ira toglie anzitutto il controllo
di se stessi. L’uomo è come proiettato fuori di sé e la
sua stessa vita, nelle realtà più ordinarie, gli sfugge.
Si cade in una irrazionalità (altra caratteristica
dell’ira) e tutto ciò che si fa, si pensa o si dice, non
ha più alcun ordine perché non è più guidato dalla
ragione. Non per nulla i Padri accomunano spesso
le reazioni dell’iracondo ad un comportamento ani­

2 Martyrios (Sahdona), Libro della Perfezione II, 4,50: Id., Sull*amore


perfetto per Dio e per gli altri, cur. S. Chialà {Testi dei Padri della Chiesa 8),
Bose/Magnano (Qiqajon) 1993, pp. 30-31. Martyrios fu monaco e vescovo
della Chiesa assira ed è uno dei rappresentanti della tradizione teologica
formatasi alla scuola di Nisibe.
76 I Ira

malesco. Davvero l’ira «toglie l’uomo a se stesso»,


come dice Ugo di san Vittore, e rende la sua vita
alienata. «Colui che è vittima di questa passione -
scrive J.-C. Larchet - non si controlla più, non sem­
bra più agire sotto la guida del suo spirito e sotto
l’impulso della propria volontà, ma si ritrova deter­
minato a pensare e ad agire sotto la pressione di una
forza esterna a se stesso, la cui padronanza sembra
sfuggirgli completamente, forza che tiranneggia la
sua anima e il suo corpo. L’uomo diviene letteral­
mente il giocattolo della propria passione»?.
L’esperienza ci dà conferma di questa conse­
guenza distruttiva dell’ira. Di fronte a colui che è
preda della passione della collera, uno si sente come
davanti ad un ubriaco: non si sa come possa reagire
perché non riesce più a ragionare e controllare le
sue reazioni. «La collera è un movimento che rende
instabile il carattere e deforma l’anima», afferma
Giovanni Climaco4. Veramente l’ira è come una
ubriacatura, è il «vino dei draghi», come la defini­
sce Evagrio: «“Il vino è cosa indisciplinata, e sfron­
tata è l’ubriachezza”: se “l’ira dei draghi è il loro

3 Larchet, Terapia delle malattie spirituali, p. 211.


4 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V ili, 7: tr. it., p. 212.
Una città smantellata, senza mura... una vita nell'ira I 77

vino”, e d’altro canto il “vino” è “cosa indisciplina­


ta”, allora l’ira è cosa indisciplinata, che rende gli
uomini indisciplinati, e “sfrontata” è la collera»?.

Sappiamo bene che la violenza e la repentinità


con cui la passione dell’ira può manifestarsi ha con­
seguenze deleterie, sia su se stessi che sugli altri. In
Mi 5,22 è paragonata all’omicidio: si può ferire
mortalmente un altro con una parola carica di col­
lera. Ma non bisogna dimenticare che l’ira è anche
una sorta di suicidio, perché impregna la propria
vita (il cuore soprattutto) di veleno mortale: anche
se assunto in piccole dosi, alla fine contamina l’esi­
stenza e spegne la vita. Questa violenza che genera
morte è messa bene in luce nelle raffigurazioni me­
dievali del vizio della collera. Se nelle pene inferna­
li gli iracondi sono spesso rappresentati mentre si
avventano con violenza e odio l’uno sull’altro, nelle
personificazioni di questa passione si raffigura l’ira
come un uomo che si sta pugnalando6. Così, ad

5 Evagrio Pontico, Scbolia in Proverbia 20, 1: Evagre le Pontique,


Scholies aux Proverbes, ed. P. Géhin (Sources Chrétiennes 340), Paris 1987,
p. 206.
6 Nella cosiddetta “cavalcata dei vizi”, rappresentazione medievale a
scopo catechetico o morale presente nelle miniature o negli affreschi che
78 I Ira

esempio, è rappresentata in un capitello posto nel


coro della chiesa di Notre Dame du Port a Cler-
mont-Ferrand (sec. XII)7: sotto sembianze femmi­
nili, l’ira si avvicina alla gola un pugnale, mentre al
di sopra e posta la scritta Ira se occidit. «L’ira si uc­
cide»: l’ira si autodistrugge, distruggendo la vita di
colui che ne è vittima. Sta qui il paradosso dell’ira:
anche se è diretta verso qualcuno o qualcosa, alla
fine si rivolta contro chi l’ha provocata, poiché la
collera corrode progressivamente l’esistenza fin nel­
le sue radici più profonde: «quando l’ira sconvolge
la tranquillità dell’anima - dice Gregorio Magno -
l’agita e la lacera tanto da farle perdere l’armonia
con se stessa e la divina somiglianza»8. La vita che è
plasmata da questa passione è una vita piena di sof­
ferenza, di tristezza, d’inquietudine: non si vive be-

adornano le chiese, la collera è simboleggiata da un giovane uomo che si


pugnala, seduto in groppa ad un leopardo o a un cinghiale. Nelle
raffigurazioni dei sette vizi e delle sette virtù, con cui Giotto ha adornato
la parte inferiore delle pareti della cappella degli Scrovegni a Padova, l’ira
è invece rappresentata come una donna furente che si lacera il vestito
scoprendosi il petto, in una violenza che si avventa contro il suo stesso
corpo.
7Auvergne romane, cur. B. Craplet - G. Franceschi {La Nuit des Temps
2), La Pierre-qui-Vire (Zodiaque) 1955, p. 116 (cfr. foto 20).
8 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 78: tr. it., pp.
462-465.
Una città smantellata, senza mura... una vita nell’ira I 79

ne; tutto e tutti creano irritazione; la lamentela è


sempre a fior di labbra; l’altro offre sempre motivi
per arrabbiarsi; ogni ostacolo è subito come un tor­
to, una ingiustizia. È una vita avvelenata, perché è
intaccata dal rancore, dal risentimento, dall’invidia,
dalla frustrazione: «un monaco rancoroso è un
aspide che si nasconde nella tana e porta in sé un
veleno mortale»9.

Il veleno dell’ira compromette soprattutto le re­


lazioni interpersonali. Abbiamo già sottolineato co­
me i rapporti con gli altri siano uno dei luoghi pri­
vilegiati in cui si manifesta e si scatena questa pas­
sione: l’altro, con il suo comportamento o con il suo
modo di pensare che si trasforma in ostacolo alla
realizzazione di un proprio desiderio o progetto, di­
venta a volte l’obbiettivo più immediato e concreto
per sfogare la propria ira. Soprattutto quando si me­
scola a rancore e diventa un meccanismo all’interno
di una relazione, alla fine l’ira compromette ogni
forma di dialogo o di convivenza. Quante relazioni
si deteriorano o finiscono a causa di ripetuti litigi,

9 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso IX, 12: tr. it., p. 223.
80 I Ira

incomprensioni, risentimenti, tensioni, condite da


una collera che non permette di ragionare o di ri­
flettere! Quanta sofferenza si può causare con una
parola dura o insofferente, con un giudizio taglien­
te, con uno sguardo carico di arroganza: attraverso
queste forme di comunicazione (o, meglio, di non­
comunicazione), così piene di ira, non facciamo al­
tro che creare paura, innalzare muri e impedire
ogni relazione! Così raccomandava ai suoi discepo­
li, il monaco russo Nil Sorskij (1433-1508): «Non
dobbiamo mai adirarci, né far del male ad un fratel­
lo, non soltanto in azioni o parole, ma anche con il
nostro atteggiamento, poiché è possibile far soffrire
il fratello anche solo con lo sguardo, e conviene ri­
gettare senza indugio i pensieri di collera»10.
Una delle reazioni tipiche di fronte alle tensioni
nei rapporti e alla fatica di gestirle è la fuga: si fuggo-
no le relazioni difficili pensando difuggire così l’ira. Di
fatto questa sorta di capitolazione è una fuga dalla
vita, dai suoi limiti e dalle sue frustrazioni; è una fuga
da se stessi, dalla paura di dare un nome alle masche­
re della propria aggressività (riconoscere di soffrire

10 Nil Sorskij, Regola 5: Id., La vita e gli scritti, cur. E. Bianchi, Tori
(Gribaudi) 1988, p. 79.
Una città smantellata, senza mura... una vita nell’ira I 81

del vizio dell’ira), dalla fatica di gestire la propria


emotività (la propria irascibilità), dalla responsabilità
di assumere le conseguenze delle proprie reazioni.
Ma è una illusione, perché l’ira rimane nascosta den­
tro e semplicemente è repressa, finché una nuova si­
tuazione o una nuova relazione non la pone di nuovo
allo scoperto. Questa fuga può rivestirsi di tante mo­
dalità. Gli autori monastici mettono spesso in guar­
dia da questa falsa terapia dell’ira e per essi, che scri­
vevano a dei monaci, la fuga da evitare era quella di
scegliere la solitudine, andare nel deserto per sentirsi
al riparo dalle provocazioni dei fratelli. Chi vive con
altri troverà sempre giustificazioni per scaricare su
chi gli sta accanto la sua collera e per scegliere, di
conseguenza, la solitudine. Nella sua Lettera sulle tre
tappe della vita spirituale, il monaco siriaco Giuseppe
Hazzaya immagina questi pensieri suggeriti dalla
collera al monaco iracondo:

«Il demone dell’ira si avvicina e lo tenta, lo riempie di


collera e lo incendia di un furore come di fuoco con­
tro tutti i fratelli del monastero e contro le guide che
non lo amministrano equamente: “tutto ciò che com­
piono lo fanno per ipocrisia e non per Dio. Cosa ob­
bliga uno a tollerare un tale pernicioso disastro?
82 I Ira

Conviene andarsene da questo luogo, dal momento


che qui non ce n’è uno che abbia amore sincero verso
il suo compagno; anzi tutti si comportano con perfi­
dia gli uni verso gli altri! E quando il demone ma­
ledetto dell’ira ha visto che egli si è sottomesso a tut­
te queste cose, se ne va via da lui»11.

Nella vita quotidiana, tuttavia, si può anche fug­


gire tale fatica, che mette allo scoperto la fragilità e
l’incapacità a dominarsi, cercando relazioni più gra­
tificanti, meno “problematiche” o conflittuali, op­
pure, pur vivendo insieme, evitando tutto ciò che ha
il sapore di tensione. Alla fine, però, non si vive più
un rapporto reale con gli altri; anzi il risultato finale
è la morte di ogni relazione, perché una relazione
matura anche attraverso le tensioni e il superamen­
to di queste in una accoglienza dell’altro. A volte si
deve accettare di non poter avere relazioni serene
con tutti, pur desiderandole. Certamente, può esse­
re necessario e anche saggio interrompere o almeno
sospendere temporaneamente una relazione quan-

11 Giuseppe Hazzaya, Lettera sulle tre tappe 89: Id., Le tappe della v
spirituale, cur. V. Lazzeri, Bose/Magnano (Qiqajon) 2011, p. 121. Giuseppe
Hazzaya (il Veggente), autore spirituale prolifico, appartenne alla Chiesa
assira e visse nell’V ili secolo.
Una città smantellata, senza mura... una vita nell}ira I 83

do questa è sempre conflittuale. Ma onestamente


uno deve riconoscere che l’ideale sarebbe quello di
superare il conflitto e, se ciò non è possibile, almeno
riconoscere che in se stessi sono presenti dei limiti.
Giovanni Climaco ci offre, a questo riguardo, un
criterio di discernimento:

«Come una pietra appuntita e dura, se urta e sbatte


contro altre pietre, smussa tutte le sue punte e tutta la
sua durezza e diventa rotonda, così anche un anima
spigolosa e rigida, se si mescola ad una folla di uomi­
ni duri e irascibili, e vive insieme ad essi, dovrà sce­
gliere tra una delle due cose: o curerà la propria feri­
ta per mezzo della pazienza, o, se si ritira, dovrà asso­
lutamente riconoscere la propria debolezza, perché
quella sua vile fuga, come uno specchio, gliela mani­
festerà in modo evidente»12.

Proprio così è capitato ad un monaco del deser­


to, facile alla collera e tentato dalla solitudine come
guarigione alla sua malattia:

«Vi era in un monastero un fratello inquieto e fre­


quentemente soggetto all’ira. Si disse dunque: “Me

12Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso Vili, 12: tr. it., p. 212.
84 I Ira

ne andrò a vivere da solo: non avendo mai nulla a che


fare con nessuno, si calmerà la passione dell’ira”.
Quindi se ne andò ed abitò da solo in una grotta. Un
giorno, però, riempì la brocca d'acqua, la posò per
terra ed essa subito si rovesciò. La riempì una secon­
da volta ed essa subito si rovesciò; infine la riempì
una terza volta ed essa di nuovo si rovesciò. Infuriato,
prese allora la brocca e la spezzò. Rientrato in se stes­
so, capì che il diavolo si era fatto beffe di lui e disse:
“Ecco, sono solo eppure mi ha vinto; ritornerò dun­
que in monastero! Infatti ovunque c’è bisogno di fa­
tica e pazienza e soprattutto dell’aiuto di Dio”. E, al­
zatosi, ritornò da dove era venuto»13.

Questo gustoso episodio raccontato in questo


apophtegma ci svela con molto realismo uno degli
aspetti più pericolosi del pensiero dell’ira: la sua ra­
dicalità, la capacità di intaccare il centro stesso della
vita, il cuore, e nascondere a chi ne è colpito la vera
causa di questo male. Quel monaco «inquieto e fre­
quentemente soggetto all’ira» si era illuso che fug­
gendo i fratelli - secondo lui la vera causa di quella
passione che lo tormentava - avrebbe radicalmente

13 Collezione anonima. Coislin 126 - Nati 201: Detti editi e inediti, p. 85.
Una città smantellata, senza mura... una vita nell'ira I 85

guarito il suo male. Se non c’era più nessuno con cui


litigare, come avrebbe potuto arrabbiarsi? Eppure a
quel fratello è bastata una semplice brocca d’acqua
che non stava al suo posto, a scatenare la passione
dell’ira. Non erano i fratelli a causare in quel mona­
co la collera; essa dimorava stabilmente nel suo cuo­
re e non era sufficiente una apparente solitudine per
calmarla. Solo nel momento in cui ha rivolto lo
sguardo al suo cuore, assumendo con responsabilità
e senza giustificazioni la realtà del suo peccato, quel
monaco si è reso conto dell’inganno del pensiero
dell’ira: illuderlo di una vittoria senza realmente
combattere il pensiero nel luogo in cui questi si na­
scondeva indisturbato. «Finché continueremo ad
addossare ad altri le cause del nostro errore - scrive
Cassiano - , non riusciremo mai a raggiungere la
meta della pazienza e della perfezione!»14.

2. Una preghiera contaminata

Se scendiamo al livello dell’interiorità, sorge una


ulteriore domanda: colui che è dominato dall’ira,

14Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche Vili, 16: tr. it., p. 247.


86 I Ira

come vive la sua relazione con Dio? Abbiamo visto


che uno dei luoghi in cui si rivela maggiormente
la passione della collera è la relazione con l’altro.
Ma se il rapporto con il fratello è ferito dal “demo­
ne” dell’ira, sarà ancora possibile porsi nella veri­
tà di fronte a Dio? C’è una parola di Gesù che
orienta subito ad una risposta. In Mt 5,23-24 trovia­
mo scritto: «Se dunque tu presenti la tua offerta
sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche
cosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’alta­
re, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi
torna ad offrire il tuo dono». Un cuore dominato
dal rancore, turbato dalla collera, chiuso al perdono
è inconciliabile con ogni forma di relazione con
Dio: un sacrificio offerto a Dio, in questo stato inte­
riore, è ipocrisia e pretesa di giustizia. Per il disce­
polo di Gesù è richiesta piena consapevolezza della
profonda unità del grande comandamento dell’a­
more: «Carissimi, - dirà san Giovanni nella sua Pri­
ma Lettera - amiamoci gli uni gli altri, perché l’a­
more è da Dio... Chi non ama non ha conosciuto
Dio, perché Dio è amore... Chi non ama il proprio
fratello che vede, non può amare Dio che non vede»
(lGv 4,7-8.20).
Una città smantellata, senza mura... una vita nell’ira I 87

Alla luce di questa parola evangelica, tutti i Pa­


dri e gli autori monastici mettono in guardia dal
sottovalutare la passione dell’ira in rapporto alla vi­
ta secondo lo Spirito: la collera è come un veleno
che contamina e inaridisce la sorgente stessa della
vita spirituale, l’azione e la presenza dello Spirito,
quello Spirito mediante il quale noi possiamo ama­
re e Dio e i fratelli. Sono illuminanti queste parole
di Gregorio Magno:

«L’ira impedisce lo splendore dello Spirito Santo,


perché... sta scritto: Su chi riposerà il mio Spirito? Su
chi è umile e tranquillo e su chi teme la mia parola.
Dopo aver detto “su chi è umile” aggiunge subito “e
tranquillo”... Se l’ira turba la tranquillità della mente
chiude la sua abitazione allo Spirito Santo e l’anima,
rimasta vuota per questa partenza, è subito portata
ad una manifesta follia e sconvolta dall’intima radice
dei pensieri fino alla superficie»15.

La passione dell’ira procura come un vuoto inte­


riore: l’acqua dello Spirito dissecca e la vita, fin dal­
le sue profondità, diventa come un deserto infecon­

15 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 78: tr. it., pp.
464-465.
88 I Ira

do. «Se lo Spirito Santo è definito come la pace


dell’anima - aggiunge Giovanni Climaco - , e lo è
veramente, e se l’ira è ed è chiamata turbamento del
cuore, allora niente come la collera è capace di im­
pedire la venuta dello Spirito Santo in noi»16.
Ma c’è una via attraverso la quale la passione
dell’ira “somministra” il suo veleno, una falda in­
teriore che se viene contaminata, avvelena tutta
la vita secondo lo Spirito. Questa via è la preghie­
ra che, per i Padri, rappresenta l’espressione più
limpida della relazione con Dio e lo specchio in
cui si riflette la verità della propria vita (e dun­
que della relazione con gli altri). Se la preghiera è
distrutta dall’ira, tutta la vita spirituale è com­
promessa. Ce lo ricorda Evagrio nel suo trattato
Sulla preghiera:

«Quando il demonio perverso e maligno, pur aven­


do tanto provato, non è uscito ad ostacolare chi pre­
ga con fervore, per un po’ allenta la presa, ma dopo
si vendica di lui che ha pregato: o, accendendolo
all’ira, distrugge l’ottimo stato in lui edificato dalla
preghiera; o, eccitandolo a concedersi qualche pia-

16 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso Vili, 16: tr. it., p. 213.
Una città smantellata,, senza mura... una vita nell’ira

cere contro ragione, finisce col far violenza al suo


intelletto»17.

Preghiera e ira sono incompatibili: «La preghiera


è germe di mitezza - dice un detto attribuito alFabba
Nilo - e di dominio della collera»18. Quando l’ira
invade il cuore soffocandolo nella spirale della vio­
lenza e del rancore, allora diventa impossibile ogni
autentica preghiera. «Come uno che semina nel mare
- avverte Isacco il Siro - e spera di mietere, così è
colui che prega preda del rancore... Un seme sulla
pietra è la preghiera di colui che ha rancore»19. Aven­
do ferito l’icona di Dio che è il fratello o portandola
in sé offuscata dal risentimento, rimane di conse­
guenza turbato il rapporto con il Signore: chi non
riesce più a guardare in volto il fratello, non può pre­
tendere di fissare il suo sguardo sul volto di Dio. L’ab-
ba Nilo, nel detto appena citato, ci ricorda che la pre­
ghiera può sbocciare solamente in un cuore che è

17Evagrio Pontico, Sulla preghiera 47: Id., La preghiera, cur. V. Messa-


na (Collana di Testi Patristici 117), Roma (Città Nuova) 1994, pp. 94-95.
18 Nilo 2: Vita e detti dei Padri del deserto, II, cur. L. Mortari, Roma
(Città Nuova) 1975, p. 60.
19 Isacco di Ninive, Prima Collezione. Discorso 50: Id., Annuncia la
bontà di Dio, cur. S. Chialà {Testi dei Padri della Chiesa 81), Bose/Magnano
(Qiqajon) 2006, pp. 16-20.
90 I Ira

reso fertile dalla mitezza, un cuore in cui non trova­


no spazio collera e rancore. Solo se si percorre la via
della mitezza, affidando al Signore la propria causa e
deponendo le armi della violenza, allora può sgorga­
re nel cuore una preghiera libera e fiduciosa, la pre­
ghiera del povero, la preghiera di colui che ha un
cuore grande come quello di Dio, capace di ricom­
porre ogni tensione, capace di riappacificare ogni di­
visione in sé e attorno a sé.
Il rapporto tra collera e preghiera è un momento
di verifica nella nostra relazione con Dio. Su questo
insistono i Padri, soprattutto Evagrio20. Ognuno fa
esperienza dell’impossibilità di pregare quando il
suo cuore è preda del tumulto causato dall’ira, quan­
do ha usato violenza contro un fratello, quando lo ha
offeso, quando ha lasciato dimorare invidia e rancore
dentro di sé. Ogni preghiera inquinata dalla collera
diventa inevitabilmente ipocrita: si pretende un rap­
porto con Dio quando si è usato violenza con il fra­
tello. Evagrio definisce la preghiera di colui che è
preda dell’ira un «“scimmiottamento” (anatyposis)
della realtà, che suscita l’ira di Dio»21. E aggiunge:

20 Bunge, Vino dei draghi, pp. 69-78.


21 Ibid., p. 73.
Una città smantellata, sema mura... una vita nell7ira I 91

«Tutto quanto avrai fatto per vendicarti di un fratello


che ti abbia arrecato offesa, diverrà per te pietra di
inciampo nel tempo della preghiera»22. Nella pre­
ghiera si paga il conto della propria ira: il volto del
fratello, il ricordo di una offesa, una parola dura sono
altrettanti mattoni che costruiscono un muro nella
propria preghiera, un muro che ci separa da Dio per­
ché ci siamo separati dal fratello. Per Evagrio non c'è
altra via per una preghiera autentica: eliminare dalla
vita e dal cuore ogni segno di ira:

«Allontana dalla tua anima i pensieri iracondi, e Tira


non albergherà nel tuo cuore, e non sarai turbato al
momento della preghiera; come infatti il fumo delle
stoppie irrita gli occhi, così il rancore turba l'intellet­
to nel momento della preghiera. I pensieri deiriroso
sono piccoli di vipera e divorano il cuore che li ha
generati. La preghiera deiriracondo è odore nau­
seante e la salmodia deiriroso suono sgradevole»23.

«Lira distrugge la preghiera... Perché non imparia­


mo dalla misteriosa e antica consuetudine umana,
che consiste nel mandar fuori dalle case i cani, nel

22 Evagrio Pontico, Sulla preghiera 13: tr. it., p. 77.


23 Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità 10: tr. it., pp. 46-49.
92 I Ira

tempo della preghiera, mostrando così che non deve


esservi ira in coloro che pregano?»24.

Volere pregare nella verità quando si è avvelena­


ti dall’ira è ipocrisia. Questa irriducibilità tra colle­
ra e preghiera, riportandoci in profondità, nella no­
stra relazione con Dio, ci pone di fronte alla verità
della nostra vita; una preghiera abitata dall’ira e dal
rancore, una preghiera ipocrita, riflette una vita non
vera, una vita ipocrita; o detto altrimenti, per avere
una preghiera non ipocrita è necessario vivere nella
verità, in una autentica relazione con Dio e con i
fratelli. Anastasio, monaco sul Sinai nella seconda
metà del sec. VII, in una omelia, commentando le
parole di Mt 5,23-24, così dice: «Dove cresce la
pianta del ricordo dei torti ricevuti, là non c’è nulla
che giovi, non digiuno, non preghiera, non lacrime,
non confessione, non supplica, non verginità, non
elemosina, non altro bene. Tutto infatti è annullato
dal ricordo del male che hai ricevuto dal tuo
fratello»25.

24 Id., Sui diversi pensieri della malvagità 5: tr. it., pp. 74-77.
25 Anastasio Sinaita, Discorso sulla santa eucarestia e sulla necessità di
non giudicare e di non serbare rancore: Id., Una liturgia non ipocrita. Discor­
so sulla santa eucarestia t? sulla necessità di non giudicare e di non serbare
Una città smantellata, sema mura... una vita nell'ira I 93

Si può chiedere il perdono di Dio, nella preghie­


ra, se ogni giorno si vive nella logica del perdono,
donando il perdono ai fratelli e ricevendolo umil­
mente da loro, senza conservare nel cuore ira o ran­
core. Ce lo ricorda Isaia di Scete, facendo riferimen­
to alla preghiera del Padre nostro:

«Colui che vuole pregare davvero Dio con la mente,


nello Spirito Santo e con cuore puro, esamini dentro
di sé prima di pregare (per valutare) se non ha niente
da rimproverarsi verso ogni uomo oppure no. Diver­
samente egli inganna se stesso e non c’è chi lo ascolta
perché non è la sua mente a pregare ma l’abitudine
delle ore canoniche. Chi vuole pregare in maniera
pura esamini anzitutto che cosa ha nella sua mente,
per cui se tu dici: “Abbi pietà di me”, anche tu devi
avere pietà di chi ti implora; e se tu dici: “Perdona­
mi”, anche tu devi perdonare... Se non sei giunto a
fare così, preghi inutilmente perché Dio non ti ascol­
ta. . .»26.

rancore, cur. L. Cremaschi - B. M. Mariano {Testi dei Padri della Chiesa


26), Bose/Magnano (Qiqajon) 1996, p. 24.
26 Isaia di Scete, Logos 18: Id., Asceticon. Dottrina e vita spirituale di un
padre del deserto, cur. L. Coco, Cinisello Balsamo (Edizioni San Paolo)
2011, pp. 150-151.
IV

«Adiratevi, ma non peccate...» (E/4,26):


l’ira può essere una virtù?

D o v e n d o affrontare un’analisi della passione


dell’ira, è inevitabile imbattersi in un interrogativo:
la collera può avere uno spazio positivo nella vita
dell’uomo? O, detto in modo più provocatorio, l’i­
ra può essere una virtù? Abbiamo già fatto un ac­
cenno a questo problema. Ora, dopo aver offerto
un ritratto del vizio dell’ira, possiamo focalizzaré
alcuni aspetti positivi contenuti in questa passione,
o meglio, in quella parte della struttura psichica
che gli antichi chiamavano “irascibilità” (la facoltà
dell’anima definita thymós).
Dall’esperienza, sappiamo bene che di fronte a
una situazione di male, a una ingiustizia, si muo­
ve dentro di noi uno scatto di collera, una sorta
di irritazione e di disgusto verso ciò che sentiamo
contro l’uomo. Tale reazione istintiva, soprattutto
96 I Ira

se motivata da un’autentica passione per la giu­


stizia e per la difesa della dignità dell’uomo (in
particolare del debole) è «necessaria alla vita uma­
na e allo sviluppo della personalità; è una sorta
di zelo, di impeto positivo che è addirittura ne­
cessario manifestare di fronte al male, all’ingiusti­
zia, alla sofferenza delle vittime: è la collera per
amore, cioè causata dall’amore»1. Tuttavia gestire
questa tensione positiva non è semplice: richiede
grande discernimento. Affinché l’ira assuma un
tratto positivo, deve essere orientata alla luce di
alcune domande: verso chi o verso che cosa mi
adiro? Per quali ragioni si muove la mia collera?
Quale intensità o forma assume? Qual è la sua du­
rata nel tempo? A queste domande i Padri (e già
i filosofi prima di loro) hanno dato varie risposte,
proponendo alcuni criteri per valutare la positivi­
tà di questa passione, la sua misura e il suo posto
nella vita dell’uomo. Ad esempio Gregorio Magno
distingue chiaramente due tipi di ira: «Altra è l’ira
che nasce dall’impazienza e altra è quella che lo
zelo alimenta. Quella nasce da un vizio, questa da

1Bianchi, Una lotta per la vita, p. 158.


Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 97

una virtù». Anche se la collera che proviene dallo


zelo provoca un turbamento, offuscando la capa­
cità di discernimento, tuttavia essa, poiché mira
al bene, permette poi una visione più nitida della
realtà. Gregorio paragona questa forma di ira al
collirio «istillato nell’occhio malato» che «gli to­
ghe completamente la luce, ma subito dopo l’oc­
chio riceve autenticamente quella luce che in un
primo tempo salutarmente aveva perduto»2. Per
Gregorio Magno, dunque, la collera è “giusta”
solo quando è momentanea, moderata e in funzio­
ne della ragione.
Obbiettivo, motivazioni, misura ed equilibrio
sono le componenti di una “giusta” ira. Claudio
Magris, in un articolo apparso sul Corriere della
Sera già citato all’inizio della nostra riflessione, pa­
ragona la collera a «un sale che, ove se ne abusi
incontrollatamente, può essere letale, ma che, in
giusta misura, non può mancare; una persona inca­
pace di collera appare umanamene carente, priva di
una corda fondamentale dell’umanità. Mentre l’in­
vidia, ad esempio, è solo negativa - una meschinità

2 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 82: tr. it., pp.
468-469.
98 I Ira

velenosa per se stessi e per gli altri, che in nessuna


dose e in nessuna circostanza può essere buona -
l’ira s’intreccia pericolosamente alla magnanimità,
all’anima grande. Dio... talora deve adirarsi, ma
ovviamente non è pensabile che si roda d’invidia».
E aggiunge: «Se c’è qualcosa nell’universo che ci
fa paura, dice Chesterton, bisogna infuriarsi con­
tro di esso, andare a scovarlo e colpirlo in faccia.
La collera contro chi è più forte non va dominata;
va repressa quella, così vile e frequente, contro chi
è più debole... La collera è liberatoria solo se si è
capaci di liberarsi di essa: “Il sole - dice san Paolo
nella lettera agli Efesini - non tramonti sulla vostra
ira”»3.
Tuttavia c’è un altro aspetto da tenere presen­
te nel valutare la dimensione positiva dell’ira e dal
quale forse conviene partire per precisare ulterior­
mente il buon uso della collera. Si tratta dell’ira di
Dio. Che cos’è l’ira di Dio? Può motivare positiva-
mente la collera dell’uomo?

3 C. Magris, Lira non è funesta, tutt’altro, in II Corriere della Sera,


ottobre 2002, p. 33.
Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 99

1. «Egli non serba per sempre la sua ira...»


(Mi 7,18): la collera di Dio

Affrontare il tema dell’ira di Dio ci pone in gran­


de imbarazzo. Ci si sente turbati da questo volto di
Dio, anzi ci si sente come proiettati in un mondo
estraneo all’evangelo, ben lontani da un Dio che ci
è stato rivelato da Gesù come un Padre ricco di
misericordia. Un Dio che si adira è un dio pagano,
verrebbe da dire. Eppure ci si scontra con questo
volto di Dio proprio leggendo la Scrittura: nell’E-
sodo, nei Salmi, nei profeti appare in tutta la sua
terribile potenza questo lato misterioso del volto di
Dio. È sufficiente citare questo testo di Isaia, in cui
affluisce ogni sorta di immagine relativa all’ira di­
vina: «Ecco il nome del Signore venire da lontano,
ardente è la sua ira e gravoso il suo divampare; le
sue labbra traboccano sdegno, la sua lingua e come
un fuoco divorante. Il suo soffio è come un torren­
te che straripa, che giunge fino al collo... Mostre­
rà come colpisce il suo braccio con ira ardente, in
mezzo a un fuoco divorante, tra nembi, tempesta e
grandine furiosa... Profondo e largo è il rogo, fuoco
e legna abbondano. Lo accenderà, come torrente di
100 I Ira

zolfo, il soffio del Signore» (Is 30,27-28.33). Certa­


mente lo sguardo adirato di Dio si rivolge contro
il male compiuto dall’uomo, ma a volte l’uomo si
sente schiacciato da questa collera che divampa
come fuoco e con la quale Dio sembra voler di­
struggere ciò che ha creato. «Ora lascia che la mia
ira si accenda contro di loro e li divori» (Es 32,10):
così Dio si era rivolto a Mosè, reagendo di fronte
al peccato di idolatria di Israele. Tuttavia Mosè era
rimasto turbato da questo impeto di collera e con
la sua preghiera di intercessione si era frapposto tra
l’ira di Dio e il popolo peccatore: «Perché, Signore,
si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai
fatto uscire dalla terra d’Egitto...?» (v.ll). Ma cos’è
veramente l’ira di Dio?
«Nessuno può, senza scandalo - afferma il bibli­
sta X. Léon-Dufour - sentir parlare di Dio adirato,
se non è stato visitato un giorno dalla sua santità
e dal suo amore. D’altra parte, come per entrare
nella grazia l’uomo deve essere strappato al pecca­
to, così per accedere veramente all’amore di Dio
il credente deve accostarsi al mistero della sua ira.
Voler ridurre questo mistero all’espressione mitica
di una esperienza umana significa misconoscere la
Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 101

serietà del peccato e la tragicità dell’amore di Dio.


Tra la santità e il peccato c’è una radicale incompa­
tibilità. Certamente l’ira dell’uomo ha permesso di
esprimere questa realtà misteriosa, ma l’esperienza
del mistero è primaria in rapporto al linguaggio, e
di origine totalmente diversa»4. Non è nostra in­
tenzione entrare in questo mistero, scandagliato da
un’ampia letteratura e molto vasto nel suo approc­
cio biblico. Accennando a qualche aspetto legato
al tema dell’ira di Dio, vorremmo soltanto sottoli­
nearne l’importanza in rapporto alla riflessione che
stiamo facendo.
Anzitutto è importante evidenziare la complessità
di questo tema, nel quale si intrecciano e si pongono
in relazione vari aspetti della rivelazione del Dio bi­
blico. L’ira sembra quasi il risultato di un confronto
che si attua tra Dio e l’uomo: tra la santità e alterità
di Dio e l’uomo che ne usurpa lo spazio in cui essa si
rivela; tra la giustizia di Dio e ogni forma di violenza
e di oppressione delT’uomo nei confronti dei suoi
simili, soprattutto il debole e il povero; tra l’esclu­
sività dell’alleanza con cui Dio si lega a Israele e il

4X. Léon-Dufour, Ira, in Dizionario di Teologia Biblica, col. 562.


102 I Ira

tradimento dell’idolatria da parte del popolo; tra il


giudizio sulla storia e il tempo offerto all’uomo per
la conversione. Questo confronto ci fa comprendere
che l’ira di Dio, al di là delle immagini che ne sot­
tolineano la “fisicità” e l’apparente impulsività, non
è mai arbitraria. Essa è motivata dallo sdegno che
freme nel cuore stesso di Dio di fronte a tutto ciò che
capovolge la relazione dell’uomo con Dio e a tutto
ciò che deturpa la dignità stessa dell’uomo e i rap­
porti con i suoi simili. «L ’ira di Dio - scrive il biblista
J. Fichtner - rappresenta l’impeto del Dio santo che
fa valere e afferma il proprio diritto e la propria si­
gnoria assoluta... La collera descrive un “affetto” di
Dio e ne indica la manifestazione impetuosa contro
tutte quelle forze che si oppongono alla santa volon­
tà di Dio». Per quanto riguarda Israele «la collera di­
vina presenta certamente una causa particolarmente
profonda in quanto viene annunciata e intesa come
espressione del santo amore di Jahvé che è stato of­
feso, come reazione all’ingratitudine e all’infedeltà
d’Israele verso il suo Signore»5.

5 J. Fichtner, Orghé. E. Ira umana e ira divina nell’ A. T .III. Lira di D


nellAT. 6. Lira di Dio in rapporto alla santità, giustizia e misericordia
divine, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, V ili, coll. 1147-1148.
Adiratevi ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 103

A volte può sembrare eccessiva questa passiona­


lità di Dio, soprattutto se permane un visione di un
Dio che rimane impassibile di fronte alle vicende
umane, quasi racchiuso e protetto nella sua inac­
cessibile purezza. Ma questa è una visione più filo­
sofica che biblica. Il Dio rivelato nella Scrittura vive
con intensità la sua relazione con l’uomo e non ha
paura di usare il linguaggio dei sentimenti umani:
l’ira di Dio ha la radice in quelle “viscere di mise­
ricordia” che fremono di fronte ad ogni sofferenza
dell’uomo e che non sopportano l’ingiustizia che
ferisce l’immagine stessa di Dio riflessa nel volto
dell’uomo. Proprio questo luogo in cui prende for­
ma la collera di Dio ci fa comprendere il profondo
legame, in Dio, tra ira e misericordia. La collera e la
compassione ci rivelano, in modo diverso, un’unica
realtà: l’attaccamento appassionato di Dio all’uo­
mo, la serietà e la radicalità del suo amore. L ’ira è
sempre riservata per un tempo, tempo della giusti­
zia e del castigo, lasciando poi spazio alla rivelazio­
ne della misericordia e del perdono nella misura in
cui l’uomo si converte. Questa è la rivelazione del
volto di Dio che Mosè ha ricevuto sul monte: «Il Si­
gnore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e
104 I Ira

ricco di amore e fedeltà, che conserva il suo amore


per mille generazioni, ma non lascia senza punizio­
ne...» (Es 34,6-7). A questa rivelazione del nome di
Dio faranno appello i profeti i quali, pur descriven­
do a tinte forti il divampare dell’ira di Dio, potran­
no dire: «Quale dio è come te, che toglie l’iniquità
e perdona il peccato al resto della sua eredità? Egli
non serba per sempre la sua ira, ma si compiace di
manifestare il suo amore» (M/7,18).
Anche nel vangelo della grazia, annunciato e
realizzato da Gesù, l’ira di Dio conserva tutta la sua
forza purificatrice: nello sguardo misericordioso
di Colui che è «mite e umile di cuore» (Mt 11,29)
non è raro vedere riflessa la collera stessa di Dio.
Gesù si adira nei confronti di chiunque si leva con­
tro Dio e di chiunque opprime il debole: se la sua
collera minaccia il male in tutte le sue forme (dai
demoni, cfr. Me 1,25, alla malattia, cfr. Me 1,42),
non si nasconde di fronte alla durezza di cuore,
all’astuzia diabolica e all’ipocrisia dell’uomo (cfr.
Gv 8,44; Mt 12,34; 23,33; 15,5). Nelle parabole
di Gesù si manifesta l’ira escatologica del giudizio
(cfr. la parabola del banchetto in Le 14,21 o quella
del servo spietato in Mt 12,34) e come i profeti ri­
Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 105

vela, attraverso un’azione simbolica, lo sdegno per


coloro che gli negano il frutto della conversione
(cfr. la maledizione del fico sterile in Me 11,14.21).
Ma uno degli episodi che esprimono quasi plasti­
camente la forza dell’ira di Gesù è la cacciata dei
venditori dal tempio (cfr. Mt 21,12-13; Me 1,15-19;
Le 19,45-48; Gv 2,13-17). Gli occhi pieni di mitez­
za e di compassione che illuminano lo sguardo di
Gesù quando incontra poveri e sofferenti, di fronte
a ciò che vedono nel tempio si accendono di ira e
di sdegno. E la violenza prorompe dalle sue parole
e dai suoi gesti. Non siamo abituati a vedere questo
tipo di reazioni in Gesù; ci pare un comportamento
eccessivo. Certamente questo gesto di Gesù è ec­
cessivo e sta qui anzitutto la forza nascosta di ciò
che compie: Gesù non sopporta che venga capo­
volta e strumentalizzata la relazione con Dio, non
sopporta confusione di ruoli, non sopporta l’ido­
latria. Nel suo cuore brucia una parola che è la pa­
rola fondante l’identità stessa di Israele: «Io sono il
Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese di
Egitto, dalla condizione servile. Non avrai altri dèi
di fronte a me» (Es 20,2-3). Il Dio di Israele non
sopporta altri dèi di fronte perché ama il suo popo­
106 I Ira

lo: è un Dio geloso. E colui che è servo di questo


Dio, il profeta, si schiera totalmente dalla parte del
Signore e lo difende: difende la sua parola, difen­
de il luogo dove abita, difende ogni prerogativa di
Dio. Il gesto di Gesù vuol dire anzitutto questo; è il
gesto appassionato di chi è pienamente dalla parte
di Dio e non tollera che altri dèi ingombrino lo spa­
zio santo del suo Signore. Anche se tali idoli sono
ipocritamente a servizio di questo spazio, restano
segno di ingiustizia, di sopraffazione, di abuso, di
potere. Nel luogo santo di Dio si entra sempre nel­
la consapevolezza di esser di fronte alla santità di
Dio, quella santità che si fa partecipe all’uomo e
che richiede da lui un cuore puro e disponibile. Ira,
verità, santità e unicità di Dio, amore: ecco ciò che
dà forza al gesto di Gesù e alla sua santa collera.
Giotto, nell’affresco che fa parte del ciclo della vita
di Gesù nella cappella degli Scrovegni a Padova,
rappresenta con straordinaria drammaticità questo
episodio. Ma ciò che colpisce nell’interpretazione
giottesca è lo sguardo di Gesù: se le mani di Gesù
esprimono la forza della collera, lo sguardo, che fis­
sa profondamente negli occhi i due mercanti che
sta cacciando, riflette la signoria stessa di Dio, la
Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 107

serietà del suo amore, la pace di chi agisce con giu­


stizia e verità.
L ’ira di Gesù, dunque, è un tratto essenziale
dell’immagine di Gesù che i vangeli ci tramanda­
no. La sua collera «è, in primo luogo, segno della
sua piena umanità» e d’altra parte «non è mai un
sentimento totalmente umano: è un’ira che ha sem­
pre un po’ il carattere dello sdegno divino, come si
nota facilmente osservando con che cosa e perché
Gesù si adiri»6. Ma con la sua morte in croce, Gesù
opera un sorta di trasfigurazione dell’ira di Dio.
X. Léon-Dufour, presentando la teologia paolina
su questo fondamentale passaggio nella compren­
sione della collera di Dio, ce ne offre una sintesi.
«Gesù - afferma il biblista - “ha tolto il peccato del
mondo” (Gv 1,29), è stato fatto “peccato” perché
noi diventassimo giustizia di Dio in lui (2Cor 5,21);
è stato morente sulla croce, è divenuto “maledizio­
ne” per darci la benedizione (G al3,13). In Gesù si
sono incontrate le potenze dell’amore e della santi­
tà, cosicché, nel momento in cui l’ira si abbatte su
colui che era “divenuto peccato”, rimane vincitore

6 G. Stàhlin, Orghé. E. Ira umana e ira divina nel N. T .II. Lira di Dio.
6. La rivelazione dell'ira divina, in Ibid., coll. 1200-1201.
108 I Ira

l’amore; l’itinerario laborioso dell’uomo che cerca


di scoprire l’amore dietro l’ira termina e si concen­
tra nel momento in cui Gesù muore, anticipando
l’ira della fine dei tempi per liberarne per sempre
chiunque crede in lui»7.

2. «Non tramonti il sole sopra la vostra ira»


(Ef 4,26): una misura per l’ira giusta

Il breve percorso che abbiamo fatto per com­


prendere il significato dell’ira di Dio, ci ha rivelato
che questo sentimento rimane nella categoria della
giustizia solo finché l’uomo resta consapevole che
esso è un diritto di Dio e un volto della sua mise­
ricordia. Come abbiamo visto «mentre l’amore di
Dio ne include l’ira, nell’uomo amore e collera si
escludono»; e, d’altra parte «la collera di Dio nasce
dall’amore ferito, quella dell’uomo dall’egoismo
irritato»8. Il credente, tuttavia, non può non far suo
lo sdegno stesso di Dio di fronte ad ogni forma di

7 X. Léon-Dufour, Ira, in Dizionario di Teologia Biblica, coll. 569-570.


8 G. Stàhlin, Orghé. E. Ira umana e ira divina nel N. T .1. Lira dell}uo­
mo. 2. Condanna dell'ira umana, in Grande Lessico del Nuovo Testamento,
V ili, coll. 1179-1180.
Adiratevi, ma non peccate... l’ira può essere una virtù? I 109

ingiustizia e di violenza: la rabbia e la ribellione nei


confronti del male che ferisce e abbruttisce ogni
creatura è il riflesso, nell’uomo, della stessa passio­
ne con cui Dio ama tutto ciò che ha creato. Non si
può non fremere di indignazione di fronte al male
in tutte le sue manifestazioni. Parlando della neces­
sità della collera di fronte al peccato, Diadoco di
Fotica afferma:

«Chi fa uso con temperanza della collera per zelo re­


ligioso, sulla bilancia delle retribuzioni sarà trovato
certamente di tempra più pregevole di chi non va as­
solutamente in collera per torpore di spirito; eviden­
temente in costui l’auriga della mente umana è privo
di allenamento, mentre il primo sempre fra le lotte,
portato dai cavalli della virtù in mezzo allo schiera­
mento dei demoni, esercita col timor di Dio la qua­
driga della continenza»9.

Eppure questo sentimento positivo nell’uomo


deve avere una misura per rimanere in relazione
con la collera di Dio. Come dicevamo sopra, non
deve mai usurpare il diritto di Dio: la santa col­

9Diadoco di Fotica, Centuria 62: tr. it., p. 68.


110 I Ira

lera appartiene solo a Dio. Inoltre Tira è positiva


quando cerca di mantenere unite giustizia, verità e
amore e salvaguardare la relazione con Dio e con
l’uomo. Infine l’ira dell’uomo non può essere senza
limiti di tempo: prolungare l’ira oltre misura signi­
fica cadere nei lacci della passione malvagia.
Questo discernimento e questo equilibrio non
sono facili. Uno dei rischi maggiori, sul quale insi­
stono i Padri e gli autori monastici, è trasformare
lo sdegno contro il male o il peccato in ira contro
colui che lo compie. Il passaggio tra collera verso il
peccato e collera verso il peccatore è molto breve.
Parlando dell’ira in Evagrio, G. Bunge annota che
su questo delicato passaggio «i demoni fanno leva,
tramutando la nostra giusta ira contro il peccato in
ira contro il peccatore, nei confronti del quale non vi
può essere assolutamente alcuna forma di ira giusti­
ficata... Per dirla con una immagine, l’ira è il “cane”
dell’anima. Il suo compito è “di annientare soltanto
i lupi (vale a dire i demoni) e non di sbranare le pe­
core, mostrando verso tutti gli uomini la più grande
mitezza”» 10. Questo rischio lo corre soprattutto lo

10Bunge, Vino dei draghi, p. 52.


Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 111

zelante, il giusto che si compiace della sua giustizia


è che si arroga il diritto della santa ira di Dio; in lui
orgoglio e collera si confondono e la sua difesa della
verità (di Dio o della propria?) si trasforma in zelo
intempestivo in cui viene annientata la misericordia.
Questo pericolo è ben testimoniato nella storia della
Chiesa, in cui la presunta “santa” collera di fronte ad
ogni minaccia della verità di Dio ha dato origine a
ogni sorta di intolleranza e fanatismo. D’altra parte,
gli autori monastici mettono bene in guardia da que­
sto rischio soprattutto coloro che si sentono sicuri
nella loro perfezione, i monaci: è molto pericoloso
ergersi a giudici del male che si vede negli altri o pre­
tendere di guarirlo con la violenza poiché in questo
zelo senza misura si mescolano molte passioni. Paolo
Everghetinos, nella sua Synagogé, cita questo testo di
Isacco il Siro (nella versione greca) che suona da am­
monimento per tutti coloro che peccano di eccessivo
zelo e di fanatismo:

«Un fanatico non giungerà mai alla pace dello spirito.


Colui che è estraneo alla pace è anche estraneo alla
gioia... Il fanatismo è il nemico naturale della pace. Il
fanatico è dunque colpito da una grave malattia. O uo­
mo, non è buono né giovevole per te venire in aiuto
112 I Ira

agli altri esponendo te stesso ad un grande pericolo. Il


fanatismo non è una delle forme della sapienza, ma
una delle malattie dell’anima. Infatti, la grettezza e la
meschineria dei sentimenti coprono una immensa
ignoranza. Se tu vuoi guarire i malati, sappi che essi
hanno bisogno di compassione e di cure attente e non
di rimproveri...»11.

Colui che si arroga il diritto di difendere la veri­


tà di Dio adirandosi contro il fratello, si illude: cade
nel laccio della passione dell’orgoglio e della colle­
ra. Per proteggersi da queste due passioni non sono
sufficienti le giustificazioni a cui si aggrappa, anche
se sono tratte dalla Scrittura. È invece necessario
una grande vigilanza e soprattutto la consapevolez­
za che solo la misericordia verso il peccatore può
orientare lo zelo alla verità di Dio. Ce lo ricorda
ancora Isacco il Siro quando scrive:

«Se sei adirato contro qualcuno, o ardi di zelo a mo­


tivo della fede e a motivo delle sue opere cattive, o lo
accusi o lo ammonisci, vigila sulla tua anima, perché

11 Paolo Evergetinos, Synagoge II, 36,8: Paroles et exemples des ancien


Recueil ascétique de Paul surnommé Evergetinos, II, tr. N. Molinier, Mona-
stère saint-Antoine-le Grand/Monastère de Solan, 2010, p. 267.
Adiratevi, ma non peccate... l’ira può essere una virtù? I 113

tutti abbiamo nei cieli un giudice giusto. ...L’amore


non sa adirarsi, non si irrita, non rimprovera con pas­
sione...
Guarda di non esser dominato dalla passione di colo­
ro che sono ammalati del desiderio di correggere gli
altri e che da se stessi vogliono essere i censori e i
correttori di tutte le infermità degli uomini. Questa è
una dura passione... In verità, è meglio per te trovarti
a cadere nella lussuria, piuttosto che in questa
malattia»12.

L’equilibrio tra giustizia e misericordia, per


l’uomo, non è facile: se non c’è piena consapevo­
lezza della propria fragilità, del perdono che si ri­
ceve senza riserve da parte di Dio, della gratuità di
Dio stesso verso ogni uomo, allora il piatto della
bilancia penderà verso la giustizia, ma con essa si
mescolerà lo zelo, l’ira, l’orgoglio. Un altro auto­
re siriaco, Simone di Taibuteh (sec. VII) sottolinea
molto bene questa tensione tra zelo e ira, caratte­
ristiche del “discepolo di Mosè”, e misericordia,
atteggiamento del discepolo del Signore:

-12Isacco di Ninive, Un’umile speranza, pp. 199-200.


114 I Ira

«Finché sei ricco di amore per gli uomini e con il tuo


cuore trascendi le debolezze del tuo prossimo, gran­
de è in te il segno delPumiltà; finché invece separi la
zizzania dal frumento, ciò è segno di orgoglio. Finché
ti adiri contro i deboli, sei discepolo di Mosè. Finché
il tuo cuore esige negli altri la giustizia, sei furtiva­
mente tratto al maligno con il pretesto della virtù.
Finché benefichi i buoni e detesti i peccatori non sei
a somiglianza di Gesù»13.

Alla fine, dobbiamo riconoscere, con molta


onestà, che il discernimento per il retto uso dell’i­
ra, per la sua misura, per gli obbiettivi a cui mira è
molto delicato e difficile, soprattutto quando coin­
volge altri: «Occorre stare molto attenti che l’ira,
posta a servizio della virtù, - ammonisce Gregorio
Magno - non domini la mente diventando la pa­
drona, ma come serva sempre pronta agli ordini
della sua padrona, non si allontani mai dalle spalle
della ragione»14. In compagnia dell’ira, si cammina
sempre sul filo del rasoio o, se si vuole, sull’orlo di

13 Simone di Taibuteh, Discorso sulla consacrazione della cella 42: Id.,


Violenza e grazia. La coltura del cuore, cur. P. Bettiolo (Collana dei Testi
Patristici 102) Roma (Città Nuova) 1992, p. 167.
14 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe V, 45, 83: tr. it., pp.
468-470.
Adiratevi ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 115

un precipizio: basta poco per scivolare. Solo se la


collera resta discepola (“alle spalle” dice Gregorio
Magno) della carità e della ragione, allora cammi­
nerà nella misura di Dio, cioè nella misericordia.
Altrimenti conviene far proprio il consiglio di Cas-
siano e, con ogni probabilità, questa è la via più
saggia da seguire:

«L’adeta di Cristo che vuole combattere secondo le


regole, deve estirpare i moti dell’ira fin dalle sue ra­
dici. E la miglior medicina contro tale malattia è que­
sta: credere innanzitutto che non ci è consentito adi­
rarci per nessun motivo, giusto o ingiusto che sia, sa­
pendo che, appena la facoltà che governa il nostro
cuore verrà oscurata da queste tenebre, perderemo il
lume del discernimento, la saldezza di un retto giudi­
zio e perfino il senso morale e i criteri di giustizia»15.

La posizione radicale di Cassiano, di cui con­


dividiamo la saggezza e l’umiltà, può trovare una
eccezione. A nostro parere c’è un luogo in cui vie­
ne neutralizzata la forza negativa dell’ira e in cui
questa passione può condividere, in qualche modo,

15Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche Vili, 22: tr. it., p. 253.


116 I Ira

la stessa intensità della collera di Dio. Questo luogo


è la preghiera: in essa non si sfoga più l’ira con­
tro qualcuno, Dio o l’uomo, ma si ha il coraggio di
porre la propria collera di fronte a Dio in favore
dell’uomo. Nella preghiera l’ira si libera della sua
violenza distruttrice e si sottopone al discernimen­
to della giustizia/misericordia di Dio.
A questa capacità di dare sfogo all’ira nella pre­
ghiera ci educano i salmi. In essi trova spazio un
volto adirato di Dio che non si scandalizza della
rabbia dell’uomo. In noi ed attorno a noi incon­
triamo la dimensione drammatica dell’esistenza, la
pesantezza del vivere quotidiano nella solitudine e
nella povertà; c’è la sofferenza e la morte che gene­
rano angoscia e ribellione, frustrazione ed inquie­
tudine, dubbio ed incredulità; c’è l’oppressione e
l’ingiustizia che feriscono i deboli. Tutto questo
genera rabbia e collera in noi. Nei salmi l’ira si tra­
sforma in imprecazione, in indignazione; e l’impre­
cazione è la risposta sdegnata dell’uomo che soffre
e grida rivolto a un Dio che non sopporta il male,
ma che sembra tardare nel fare giustizia.
Il neutralizzare o eliminare dalla preghiera qu
sta rabbia che nasce dal lato oscuro della vita è pe-
Adiratevi, ma non peccate... l'ira può essere una virtù? I 117

ricoloso e fuorviarne perché non permette all’ira


dell’uomo di trovare un luogo davanti a Dio e, ri­
buttandola nella vita, la trasforma in violenza con­
tro gli altri. Perché, ad esempio, si ha paura di far
emergere queste situazioni o questi sentimenti nella
preghiera dei salmi? Si è preferito, con una certa di­
sinvoltura o diplomazia “liturgica”, censurare que­
sta preghiera biblica: sono parole che non si addi­
cono al discepolo di Cristo, si è detto. Ma è proprio
questa capacità dei salmi di dare un nome al lato
oscuro della vita, a renderli un’autentica scuola di
preghiera16. Nella salmodia entrano tutte le situa­
zioni vissute dall’uomo e grazie ai salmi possiamo
andare fino in fondo e trovare un linguaggio lì ove
non c’è linguaggio, anche se questo linguaggio ha
il sapore dell’ira. Bisogna assumere nella salmodia
il grido assurdo dell’umanità per farlo nostro e per
redimerlo. Ecco perché non ha senso eliminare tut­
to ciò che nel salterio è duro, oscuro, violento, ciò
che rasenta la bestemmia o la rabbia. Si deve uscire

16 Cfr. a questo riguardo le osservazioni di B. Standaert, In de school


van de psalmen, Gent (Carmelitana) 1997, pp. 67-71. Cfr. anche M. Augé, I
salmi imprecatori nella “Lectio divina'' dell'antico monacheSimo, in Psallen-
dum. Studi offerti al Prof. Jordi Pinell i Pons, cur. I. Scicolone, {Studia An-
selmiana. 105) Roma 1992, pp. 47-58.
118 I Ira

dal proprio ruolo irreale e un po’ narcisistico ed


osare prendere pienamente questo linguaggio, en­
trando in tutti i ruoli, anche quelli scomodi. Que­
sto ci permette di pregare all’inferno: «In inferno
sumus - dice in un sermone Isacco della Stella - sed
misericordiae, non irae, in coelo erimus»11. Attraver­
so i salmi, si accetta di vivere, di fronte al dolore
del mondo, «un ateismo di compassione, che ci col­
loca senza dubbio nell'Eli, Eli, lama sabactani del
Golgota»18.
Se non si è educati a pregare il De profundis, si
avrà sempre paura a guardare il lato oscuro della
vita, la dimensione di silenzio in cui l’uomo speri­
menta la sua impotenza, la sua impossibilità a pre­
gare; non si lasceranno mai emergere le tenebre che
sono “nel profondo” del nostro cuore, portandole a
Dio. Ecco perché non si è più abituati a gridare nel­
la preghiera, si fa difficoltà a gemere, a lamentarsi,
come fa l’uomo biblico. Si prova vergogna. «Tanta
gente del nostro tempo - scrive B. Standaert - non
è più capace di gemere alla maniera biblica. La sup­

17Sermo 27: P I 194, col. 1780.


18 È una espressione di O. Clément tratta da O. Clément-B. Standaert,
Pregare il Padre nostro, Bose/Magnano (Qiqajon) 1988, p. 114.
Adiratevi, ma non peccate... Vira può essere una virtù? I 119

plica si smorza in gola, soffocata. Conosciamo, sì, la


lamentela, lo scontento, la rivendicazione, riuscia­
mo in qualche modo a brontolare; ma per lo più ci
induriamo di fronte al tragico, ci chiudiamo in un
orgoglioso mutismo, e abbiamo vergogna a gridare,
a gemere, a supplicare con tutto il nostro cuore»19.
Supplicare, gridare, lamentarsi, adirarsi con
Dio (non contro Dio e contro gli altri), soprattutto
quando una situazione tormentata rischia di para­
lizzare la preghiera, esige grande coraggio. Ma esi­
ge anche grande umiltà: si pone la propria rabbia
davanti a Dio, ma non ci si ferma lì. Ci si affida a
Dio e si attende che sia lui a fare giustizia, nei tem­
pi e nei modi che lui stesso sceglierà. Allora, Tira
manifestata nella preghiera si trasforma in pazien­
za, condividendo misteriosamente la sofferenza di
tutti coloro che attendono da Dio la giustizia e il
perdono.

19 B. Standaert, Le tre colonne del mondo, Bose/Magnano (Qiqajon)


1992, p. 108.
V

«Scompaiano da voi ogni asprezza,


sdegno, ira...» (Ef 4,31): guarire dall’ira

. A d termine del gradino V ili della sua Scala del


Paradiso (gradino dedicato alla mitezza), Giovanni
Climaco constata che l’ira ha molte cause, molte
manifestazioni, per cui non esiste una terapia gene­
rica per questa passione:

«Il mio consiglio - aggiunge - è che ciascuno dei ma­


lati ricerchi con tutta la cura e l’impegno possibili il
metodo di guarigione a lui adatto. E la prima cura
sarà proprio riconoscere la causa del proprio dolore,
giacché, una volta che avremo trovato la causa, noi
malati potremo ricevere il rimedio efficace contro di
essa dalla provvidenza di Dio e dai nostri medici
spirituali»1.

1Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V ili, 30: tr. it., p. 218.
122 I Ira

La saggezza del consiglio dato da Climaco deriva


proprio dalla particolare natura della passione
dell’ira: essa sa mescolarsi e nascondersi bene nella
struttura psichica dell’uomo, sa strumentalizzare
caratteri e temperamenti, riesce a mascherarsi sotto
infinite giustificazioni. Per questo motivo è necessa­
rio precisare le varie manifestazioni dell’ira che ap­
paiono nel proprio cuore e dare un nome alle cause
che favoriscono questa passione. Tuttavia è altret­
tanto necessario non perdere mai di vista la vera
medicina che guarisce questa pericolosa malattia
spirituale. Massimo il Confessore esprime con chia­
rezza l’unica terapia che può liberarci dal male
dell’ira: «Le passioni della parte irascibile dell’ani­
ma sono più difficili da combattere di quella della
parte concupiscibile: perciò come rimedio ancora
più grande contro di essa è stato dato dal Signore il
comando della carità»2. E ancora, citando il testo di
Le 6,27-28, Massimo aggiunge:

«Io vi dico: - afferma il Signore -Amate i vostri nemi­


ci, fate del bene a quelli che vi odiano, pregate per quel-

2 Massimo il Confessore, Centuria I, 66: Id., Capitoli sulla cariti pp.


74-75.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 123

li che vi trattano male. Per quale motivo comandò


questo? Per liberarti dall’odio e dalla tristezza e
dall’ira e dal rancore e renderti degno del grandissi­
mo tesoro della perfetta carità; impossibile che la
possieda colui che non ama in ugual modo tutti gli
uomini ad imitazione di Dio, il quale ama in ugual
modo tutti gli uomini e vuole che si salvino e giungano
alla piena conoscenza della verità»\

La carità diventa non solo l’arma efficace per


combattere il demone dell’ira, ma anche il punto di
arrivo, la meta di un cuore veramente liberato da
questa passione. È il cuore mite in cui abita quella
carità «magnanima, benevola», quella carità che
«non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità»
(ICor 13,4-6). Parafrasando questo testo paolino,
Martyrios (Sahdona) così presenta le sfumature di
questa carità che ha la forza di vincere ogni violen­
za, odio, ira:

«L’amore è paziente e dolce. Non si rattrista nelle tri­


bolazioni e non si ribella davanti agli inciampi, ma

3 Id., Centuria I, 61: Ibid., pp. 72-73.


124 I Ira

sostiene e sopporta ogni cosa con dolcezza e pazien­


za... Non si irrita né monta in collera, per niente, e
mai lo sfiora un cattivo pensiero... Solo nella verità
trova gioia e si compiace, nella verità della giustizia
esulta e trasale e per essa tutto sopporta e accetta, in
essa crede e spera in tutto ciò che è promesso. Per
nulla mai vacilla o cade dal luogo in cui è saldo»4.

Ma come si può giungere a questa carità, non


vacillare mai e non cadere da questo luogo saldo?
Per i Padri e gli autori monastici la carità che vince
la violenza dell’ira ha un volto ben preciso: è la mi­
tezza. Ma un cuore abitato dalla mitezza è il frutto
di un cammino lento, un cammino di purificazione
in cui si fa spazio la mitezza stessa di Cristo: è ne­
cessario passare da un dominio di sé che permette
di controllare la propria ira, ad uno sguardo pacifi­
cato, ad un cuore libero da ogni traccia di violenza
e capace di comunicare la benevolenza stessa di
Dio. In questa progressione verso la mitezza, frutto
dello Spirito {Gal5,22), incontriamo alcuni itinerari
o luoghi di guarigione: essi sono altrettante terapie

4 Martyrios (Sahdona), Libro della Perfezione II, 4, 5: Id., Sullamo


perfetto per Dio e per gli altri, pp. 12-13.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 125

che cicatrizzano le ferite dell’ira e aprono la vita


dell’uomo a quella beatitudine che permette il vero
possesso della terra del proprio cuore: «beati i miti,
perché avranno in eredità la terra» (.Mt 5,5).

1. «Non riservare un tempo per sfogare


la collera» (Regola di san Benedetto 4,23)

Controllare i moti dell’ira, porre un freno alle


reazioni impulsive, saper prendere le distanze da
tutto ciò che può far emergere quell’aggressività che
si nasconde dentro il cuore, non è facile! Il dominio
di sé, soprattutto in rapporto alla collera, richiede
una capacità di discernimento attenta ed immediata
poiché molte componenti, soggettive e oggettive,
possono entrare in gioco e favorire questa passione.
Per chiudere la porta all’ira e non permetterle di
manifestarsi, si richiede anzitutto una conoscenza
del proprio carattere e delle modalità e dei tempi
con cui si reagisce di fronte a quelle situazioni che
possono irritare; ma poi è necessario valutare le
conseguenze di un determinato atteggiamento op­
pure tener presente la persona che si ha davanti, co­
126 I Ira

me potrebbe interagire e quali conseguenze potreb­


bero scatenarsi dalla sua risposta. Eppure si deve
riconoscere che questo è il primo passo per iniziare
una reale guarigione dalla passione dell’ira. Analiz­
zando la terapeutica dell’ira negli scritti del me­
dioevo occidentale, le studiose C. Casagrande e S.
Vecchio fanno notare che il percorso proposto «si
snoda sul doppio binario della repressione dell’ira
propria e della vanificazione dell’ira altrui. Di fatto
all’ira non si rimedia se non eliminandola radical­
mente. Martino di Braga riprende da Seneca la for­
mula quasi tautologica che sintetizza la terapeutica
dell’ira: “il primo rimedio dell’ira è non adirarsi, il
secondo è, se si è adirati, smettere sùbito, il terzo è
curare l’ira altrui”. Peccato eminentemente inter­
soggettivo, l’ira innesca una catena di violenze i cui
effetti possono essere disastrosi; interrompere que­
sta catena comprimendo la propria aggressività e
smussando con la dolcezza quella degli altri, non
vuol dire soltanto sgombrare la propria coscienza
dai turbamenti della passione e conquistarsi la sere­
nità dell’animo, ma vuol anche dire salvaguardare
la pace e la concordia sociale... Bloccare il percorso
dell’ira è già uria vittoria, e prepararsi a combatterla
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 127

riconoscendo in se stessi l’infuriare della passione


costituisce l’unica pedagogia realmente efficace
contro di essa»5.
Certamente si potrebbe obbiettare che la non-ira
non è ancora una liberazione totale da questa pas­
sione: non manifestare la collera o ridurre il tempo
in cui essa esce allo scoperto non elimina la passio­
ne dal cuore. Tuttavia questo primo passo nasce da
uno sguardo realistico e umile su se stessi e sugli
altri. D’altronde è lo sguardo che si riflette in questi
due versetti della Regola di san Benedetto presenti
nel capitolo 4 {Gli strumenti delle buone opere):
«non portare ad effetto i moti d’ira; non riservarsi
un tempo per sfogare la collera»6. Benedetto ci of­
fre non solo due acute osservazioni sul modo con
cui la collera si impossessa del nostro cuore e del
nostro agire, ma anche due “strumenti” per com­
batterla (o almeno per limitarne i danni).
«Non portare ad effetto i moti d’ira {iram non
perficere)» significa concretamente non tradurre in
atti e parole quell’ira che sta nascosta in noi. È co­
me se ci fossero due livelli: uno nascosto, nel cuore,

5 Casagrande - Vecchio, I sette vizi capitali, pp. 71-72.


6 Regola di san Benedetto 4,22-23.
128 I Ira

e uno visibile, nelle reazioni esteriori. Certamente


non viene giustificata un’ira tenuta ben nascosta nel
cuore; sappiamo molto bene come è pericoloso
mantenere nel cuore il carbone acceso dell’ira. Vie­
ne piuttosto indicato un primo passo da compiere,
un minimo risultato da raggiungere: trattenere i
moti dell’ira, altrimenti se esplodono le conseguen­
ze sono imprevedibili. In questo caso i Padri sotto­
lineano la funzione terapeutica del silenzio. Se uno
comincia a chiudere la propria bocca alle provoca­
zioni dell’ira, questa non uscirà allo scoperto e que­
sto silenzio potrà anche smorzare l’ira altrui. È
quanto consiglia Giovanni Climaco:

«L’inizio della non-irascibilità è il silenzio delle lab­


bra di fronte ad un turbamento del cuore; il grado
intermedio è il silenzio dei pensieri di fronte ad un
semplice turbamento dell’anima; e il grado perfetto è
una tranquillità imperturbabile in mezzo alla furia
dei venti impuri»7.

Ma trattenere i moti dell’ira significa anche por­


re un tempo di sospensione che favorisce una rifles­

7 Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso Vili, 4: tr. it., p. 21.


Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall’ira I 129

sione, una presa di coscienza del peso di certe rea­


zioni e forse, come dice Climaco, può dare spazio al
«silenzio dei pensieri di fronte ad un semplice tur­
bamento dell’anima». Dall’esperienza si deve rico­
noscere che ogniqualvolta uno riesce a dare un tem­
po di riflessione prima di reagire di fronte ad una
situazione che provoca collera, ha la possibilità an­
che di valutare bene le conseguenze dell’ira e spes­
so a smontarne i meccanismi. E non è impossibile,
nell’azione dello Spirito, che l’ira non manifestata si
dissolva e si neutralizzi con la preghiera e con l’u­
miltà. In una catechesi “a proposito di un fratello
che serbava rancore”, Pacomio dà questo consiglio:

«Se ti accade di litigare con un fratello che ti ha fatto


soffrire con una sua parola, o se il tuo cuore ferisce
un fratello dicendo: “Non merita questa cosa”, oppu­
re se il nemico ti insinua riguardo ad uno: “Non me­
rita queste lodi”, se tu accogli la parola o il pensiero
del diavolo, se cresce l’ostilità del tuo pensiero, se sei
in contesa con il tuo fratello sapendo che non c’è bal­
samo in Galaad, né medico nelle vicinanze (Ger
8,22), rifùgiati sùbito nella solitudine con la coscien­
za di Dio, piangi solo a solo con il Cristo e lo Spirito
di Gesù parlerà con te, con il tuo pensiero, ti convin-
130 I Ira

cera della pienezza del comandamento. Perché devi


lottare da solo, simile a una belva, come se questo
veleno fosse dentro di te?»8.

Ma Benedetto aggiunge un secondo consiglio,


più radicale: «non riservarsi un tempo per sfogare
la collera (iracundiae tempus non reservare)». Si trat­
ta non solo di evitare gesti o parole pieni di collera,
ma di rendersi conto che non ci può mai essere un
tempo riservato all’ira. In E f 4,26 Paolo ci ammoni­
sce: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira». In un
giorno che si conclude, immagine del tempo nel suo
scorrere, non ci può essere spazio per l’ira e se even­
tualmente si è riservato un tempo per sfogare la
propria collera, la riconciliazione deve neutralizzar­
ne gli effetti e dare pienezza alla giornata. Come ci
ricorda ancora Paolo, il tempo dato all’ira, è «spazio
dato al diavolo», tempo di tristezza e non di gioia:
«non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con
il quale foste segnati per il giorno della redenzione»
{Ef 4,30). Dunque, se non si riserva uno spazio di
tempo all’ira, non c’è altro modo di riempire il tem­

8 Pacomio, Catechesi a proposito di un fratello che serbava rancore 5


Pacomio e i suoi discepoli. Regole e scritti, cur. L. Cremaschi, Bose/
Magnano (Qiqajon) 1988, p. 229.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 131

po se non con il perdono; il tempo sottratto all’ira,


è un tempo donato al perdono e alla riconciliazione,
un tempo in cui si intesse la fitta trama della pazien­
za, della benevolenza, di un dominio di sé che sa
sopportare e neutralizzare quelle situazioni che fa­
voriscono la collera. Il tempo sottratto all’ira è un
tempo che prepara il nostro cuore alla mitezza. In
una giornata possono capitare tensioni; si può liti­
gare e accogliere reazioni e pensieri che favoriscono
il perdurare dell’ira. Ma il sole non deve tramontare
sull’ira.
Benedetto, nella sua Regola, offre questi consigli
pratici come primi tentativi per disciplinare le emo­
zioni violente che sconvolgono il nostro cuore. Ma
chiaramente il cammino da fare è molto più profon­
do: deve raggiungere il cuore e di lì snidare il pen­
siero dell’ira. Come dice Cassiano:

«Se vogliamo giungere alla beatitudine espressa dal


Signore, dobbiamo vietarci l’ira non soltanto negli
atti, come si è detto, ma anche nel pensiero. Infatti,
non tanto giova dominare la lingua nel momento
della collera e non mettere fuori parole furenti,
quanto piuttosto purificare il cuore dal rancore e
dal rivolgere nella propria mente pensieri cattivi
132 I Ira

contro il fratello... Poiché se viene recisa dal cuore


la radice della collera, non si tradurrà in atto né l’o­
dio né l’invidia»9.

2. Il collirio della preghiera

Il turbamento provocato dall’ira, che riempie il


cuore di amarezza ed impedisce un discernimento
secondo lo Spirito, può essere dissipato se lo sguar­
do interiore è purificato dal “collirio” della pre­
ghiera. Davvero, in rapporto all’ira, la preghiera è
come un collirio poiché permette di guardare con
maggiore chiarezza, e anche con un certo reali­
smo, tutte quelle realtà rese opache e falsificate
dalla collera e dalle sue conseguenze. D’altra parte
la preghiera ci fa vivere un paradosso. Infatti la
preghiera è, in un certo senso, impossibile quando
il cuore è abitato dall’ira: abbiamo già sottolineato
come la passione della collera intacca e avvelena la
relazione con Dio, soprattutto quella che si riflette
nella preghiera. Tuttavia abbandonare la preghiera

9 Giovanni Cassiano, Al vescovo Castore. Gli otto pensieri viziosi, in h


Filocalia, 1, tr. M. B. Artidi - M. F. Lovato, Torino (Gribaudi) 1982, p. 144.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall’ira I 133

per il fatto di essere ancora dominati dall’ira, è al­


trettanto pericoloso. Il cammino da fare comporta
l’umiltà di accettare una preghiera “impura” (e
forse un po’ ipocrita), sapendo che in essa ci viene
donata un via di purificazione. «Chi è in preda
all’ira non deve pregare in alcun modo? - si do­
manda G. Bunge. - Niente affatto! Però, anziché
protendersi verso ciò che - a motivo della sua con­
dizione passionale - è irraggiungibile, anzi, addi­
rittura nocivo, egli deve cercare rifugio in quelle
invocazioni a Cristo “brevi e continue” di cui si
parla ovunque nella letteratura monastica, quella
“giaculatorie” (Agostino) dalle quali è sorta la ben
nota “preghiera di Gesù”»10. Infatti, mediante
questa umile preghiera si apre come un varco nel
fitto fumo provocato dall’ira: allora il volto del fra­
tello acquista un’altra luce, le motivazioni che han­
no causato la collera sono ridimensionate, le pro­
prie reazioni appaiono nella loro reale portata, le
giustificazioni che si sono addotte non trovano più
un fondamento. La preghiera, forse, non libera im­
mediatamente dall’ira, ma apre il cammino verso

10Bunge, Vino dei draghi, p. 77.


134 I Ira

il luogo dove si può incontrare il Medico che sa


guarire questa malattia.
La prima conversione di sguardo che opera la
preghiera è verso se stessi: si riconosce che da soli
non ci si può liberare dall’ira e allora si chiede umil­
mente la guarigione. Nella catechesi sopra citata,
Pacomio indicava proprio la via della preghiera a
quel fratello assediato dalla collera e dal rancore:
«rifugiati sùbito nella solitudine con la coscienza di
Dio, piangi solo a solo con il Cristo e lo Spirito di
Gesù parlerà con te, con il tuo pensiero, ti convin­
cerà della pienezza del comandamento». Quando si
percepisce che ogni tentativo o sforzo di volontà
messo in atto per frenare quell’ira che abita nel no­
stro cuore, risulta vano, allora ci si rende conto che
solo domandando al Signore la liberazione dalla
passione che ci tormenta è possibile incamminarsi
verso la guarigione. Per gli antichi monaci vi era so­
prattutto un forma di preghiera che svolgeva un’a­
zione terapeutica nei confronti di ogni passione: la
salmodia. In particolare, riguardo all’ira, lai salmo­
dia permette di guardare senza paura ogni forma di
collera che si agita in noi, operare un discernimento
e collocare la propria debolezza nelle mani di Dio,
Scompaiano da voi ogni asprezza,, sdegno, ira... guarire dall’ira I 135

nella fiducia che solo lui può donare la forza per


vincere il “nemico”. Gli autori monastici non man­
cano di sottolineare l’effetto calmante che la salmo­
dia esercita sulle passioni, e sull’ira in particolare.
Nel suo Trattato pratico così scrive Evagrio:

«Quando la parte irascibile è agitata, la salmodia, la


pazienza e la misericordia la calmano... I canti de­
moniaci muovono la nostra concupiscenza e gettano
l’anima in fantasie vergognose; invece i “salmi, inni e
cantici spirituali” esortano sempre l’intelletto alla
memoria della virtù, raffreddando la nostra irascibi­
lità ribollente e spegnendo i desideri»11.

La parola di Dio, attraverso il salmo, riorienta il


nostro cuore, facendolo uscire dalle grida e dai litigi
provocati dall’ira che ancora abita in noi (i “canti
demoniaci” di cui parla Evagrio) per riportarlo alla
“memoria della virtù”, cioè per aprirlo ad uno
sguardo più limpido verso se stessi e verso gli altri.
Proprio nei confronti degli altri la preghiera
opera una seconda conversione. Come abbiamo già
sottolineato, se ci si adira con qualcuno oppure ci si

11 Evagrio Pontico, Trattato pratico 15. 71: tr. it., pp. 103.227.
136 I Ira

sente vittima della collera altrui, il volto dell’altro


ritornerà continuamente durante la preghiera, po­
nendosi come pietra di inciampo tra noi e Dio. La
preghiera tuttavia può operare un cambiamento:
ciò che diventa ostacolo può trasformarsi in luogo
di incontro con Dio. Allora si prega per l’altro che
abbiamo offeso, anche se non riusciamo ancora a
liberarci totalmente dalle ferite che l’ira ha prodot­
to oppure non ci siamo ancora riconciliati con lui.
Se, invece, nel nostro cuore rimane traccia di ranco­
re verso chi ha usato la violenza dell’ira nei nostri
confronti, si prega per il fratello che ci ha fatto del
male, anche se non si ha ancora la forza o il coraggio
di perdonarlo; e questa preghiera, misteriosamente,
attenuerà il tormento del rancore. Ce lo ricorda
Massimo il Confessore: «Se vuoi dominare i pensie­
ri, sorveglia le passioni e facilmente le caccerai dalla
mente... Per quanto riguarda il risentimento, prega
per chi ti ha offeso e sarai libero»12. E aggiunge: «Ti
è capitata una tentazione da parte del fratello e la
tristezza ti ha spinto all’odio: non esser vinto dall’o­
dio, ma vinci l’odio con la carità. Vincerai nel modo

12Massimo il Confessore, Centuria III, 13: Id., Capitoli sulla carità, pp.
148-149.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall ira I 137

seguente: pregando sinceramente Dio per lui, accet­


tando la sua giustificazione... ed essendo paziente
finché la nube sia passata»13.
Questa preghiera, forma silenziosa di perdono e
di riconciliazione, è sempre possibile, anche quan­
do ancora è presente Tira nel nostro cuore, anche
quando ci riconosciamo incapaci di perdonare, e
questa preghiera è veramente un cicatrizzante delle
ferite provocate dalla collera. Quando il rancore
brucia ancora nel cuore e può far riaprire la ferita
dell’offesa ricevuta, Doroteo di Gaza dà questo
consiglio a chi soffre ancora di questo dolore:

«Deve dunque lottare per far sparire completamente


anche la cicatrice, finché ricresca interamente la pelle
e non resti più alcun segno, così che non si capisca
nemmeno più che in quel punto vi era una ferita. Ma
come potrà riuscirvi? Pregando con tutto il cuore per
chi l’ha fatto soffrire, dicendo: “O Dio, soccorri il
mio fratello e vieni in mio aiuto grazie alle sue pre­
ghiere”. Pregando per il fratello dà prova di compas­
sione e di amore e al tempo stesso si umilia perché
chiede aiuto grazie alle preghiere del fratello. Là do-

13 Id., Centuria IV, 22: ibid., pp. 202-203.


138 I Ira

ve vi è compassione, amore, umiltà, che possono fare


la collera, il rancore e le altre passioni?»14.

Commentando questo testo di Doroteo, Nil


Sorskij così aggiunge: «La preghiera per un fratello
è già amore e bontà, ma chiamare in aiuto la sua
preghiera è umiltà»15.

3. La grazia del perdono

Attraverso la preghiera, in cui amore e umiltà


trovano una porta per entrare nel cuore, si opera un
successivo passaggio nel cammino di guarigione
dalla passione dell’ira: è il perdono. Spesso la colle­
ra, nella misura in cui si nasconde nel nostro cuore
e si tramuta in rancore o risentimento, impedisce la
riconciliazione attraverso la grazia del perdono.
Non sempre si riesce a impedire al sole di tramon­
tare sulla nostra ira (cfr. E f 4,26) e se si lascia pro­
lungare il tempo in cui si rimane legati alla collera,
allora questa prende sempre più spazio in noi. Si

14Doroteo di Gaza, Insegnamento V ili, 94: tr. it., p. 146.


15 Nil Sorskij, Vita e scritti, p. 79.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 139

comprende allora l’insistenza con cui gli autori mo­


nastici e i Padri indicano come terapia radicale per
l’ira, la necessità di cercare, domandare e rendesi
disponibili alla grazia del perdono. Dobbiamo am­
metterlo: il perdono è una grazia, non è nelle nostre
possibilità. Così come non è nelle nostre possibilità
realizzare questa parola del Signore: «Io vi dico:
amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi per­
seguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è
nei cieli...» (Mt 5,44-45). Di fronte al nemico, a chi
ci può odiare, uno può sforzarsi di non reagire: o si
chiude in sé o fugge. Ma è molto difficile, con il
solo sforzo della volontà, impedire all’ira o al ranco­
re di entrare nel nostro cuore. Allora diventa ancora
più difficile amare e pregare per i nemici. Sono pro­
fondamente vere queste riflessioni del monaco e bi­
blista B. Standaert: «Per chi è abituato a identificar­
si solamente con le proprie buone intenzioni, con il
proprio lato luminoso, senza rendersi minimamente
conto dell’ombra che è in lui, è difficile riconoscere
di avere un nemico... Ma chi arriva comunque a
rendersi conto che altri possono odiarlo, non sa co­
me venire a capo della parola di Gesù: “ama il tuo
nemico”. Deve ben presto riconoscere che un tale
140 I Ira

amore non va da sé. La sua buona volontà, la sua


naturale bontà d’animo, ogni risorsa spontanea di
benevolenza, finiscono per esaurirsi in brevissimo
tempo... È bene allora toccare il fondo, il punto ze­
ro: a questo punto le ultime risorse di buona volon­
tà sono esaurite. Il pericolo che diventiamo amari,
aggressivi, o addirittura che ricorriamo a mezzi vio­
lenti per ribattere, non è più immaginario... Bene­
detto scriveva ai suoi monaci: In Christi amore prò
inimicis orare. Prega per i tuoi nemici, ma fallo
“nell’amore di Cristo”. Non riusciresti a farlo con le
tue forze. Non è un’opera umana questa... Ma in
Christi amore, nel sacramento di questo amore che
ci pervade, deve essere possibile farlo... Quando
egli riempie del suo amore estremo tutto lo spazio,
allora posso davvero sostenere anche le relazioni
più impossibili»16.
Per giungere alla grazia di quel perdono che li­
bera il cuore dal morso dell’ira, gli autori monastici
indicano un percorso che parte dalla dimenticanza
delle offese per giungere, attraverso la preghiera, al
perdono e alla riconciliazione.

16 B. Standaert, Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegri


del XXI secolo, Bose/Magnano (Qiqajon) 1992, pp. 165-167.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall ira I 141

Se il rancore è il luogo in cui l’ira si nasconde e


rimane sempre pronta ad uscire allo scoperto (l’im­
magine della brace sotto la cenere), allora diventa
necessario imparare a prendere una distanza da tut­
to ciò che può aver procurato offesa o irritazione
per liberare il cuore da quella memoria velenosa
che alimenta il rancore. «Non ricordare in tempo di
pace - dice Massimo il Confessore - le cose dette
dal fratello nel tempo della tristezza, sia che queste
cose tristi siano state dette apertamente a te sia ad
un altro intorno a te e tu le abbia udite dopo, affin­
ché, non sopportando il risentimento dei pensieri,
non ti rivolga all’odio funesto del fratello»17. Dob­
biamo riconoscere che la memoria di una offesa
rende veramente il nostro cuore non solo ingombro
di un peso che ostacola la relazione con l’altro, ma
si trasforma in un terreno molto insidioso in cui l’i­
ra trova sempre nascondigli e occasioni per rimane­
re in azione. Dimenticare le offese è davvero una via
di libertà interiore. Altrimenti, come ricorda Gio­
vanni Climaco, «un monaco rancoroso è un aspide
che si nasconde nella tana e porta in sé un veleno

17 Massimo il Confessore, Centuria IV, 34: Id., Capitoli sulla carità, pp.
209-210.
142 I Ira

mortale». Solo «il ricordo della sofferenze di Gesù


guarirà l’anima che serba rancore, facendola vergo­
gnare grandemente di fronte alla sua mansuetu­
dine»18.
Dimenticare le offese ricevute e non lascarsi cat­
turare dal rancore che genera l’ira rendono il cuo­
re disponibile al perdono. Ma poiché il perdono
resta pur sempre una grazia, si deve domandare me­
diante la preghiera. Così come testimonia questo
apophtegma:

«Si racconta che un fratello si irritava contro il suo


fratello e quando entrava nella sua cella si vergognava
di pregare il Signore a motivo della sofferenza che
aveva provocato nell’altro. Si levò allora per suppli­
carlo dicendo: “Signore mio, ecco che ho perdonato
al mio fratello con tutto il mio cuore!” Venne allora
una voce che gli disse: “Se dunque tu hai agito a mia
immagine, pregami con fiducia”» 19.

Dunque solo la preghiera può sostenere la fatica


del cammino che conduce al perdono. Essa diventa
un balsamo che rimargina le ferite provocate dalla

18Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso IX, 12: tr. it., p. 223.
19 Geronticon Etiopico 170: Detti editi ed inediti, p. 221.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dalVira I 143

collera e nello stesso tempo ci fa prendere coscienza


che il perdono deve scaturire dal cuore. Come ci
testimonia Yapophtegma citato, il Signore accetta la
preghiera di quel fratello che si irritava spesso, nel
momento in cui egli prova profonda tristezza per
aver offeso un altro fratello: riconoscendo che la sua
preghiera non può essere vera senza il perdono (cfr.
Mt5,23), questa consapevolezza suscita nel suo cuo­
re la grazia stessa del perdono. Il grido di un cuore
capace di perdonare è accetto al Signore. Preghiera
e perdono sono profondamente uniti: si prega per
perdonare e si perdona per poter pregare nella veri­
tà. Ricordando la parola di Gesù in Mt 5,23-24, Cas­
siano richiama il profondo legame tra preghiera e
perdono:

«Come potrebbe il Signore tollerare che tratteniamo


in noi stessi la passione dell’ira - anche solo per un
istante - , quando proprio lui non ci permette neppu­
re di offrirgli i sacrifici spirituali delle nostre preghie­
re se sappiamo che un altro nutre qualche rancore nei
nostri confronti?... Come potremmo, dunque, con­
servare il rancore nei confronti del nostro fratello,
non dico per molti giorni, ma anche solo fino al tra­
monto del sole, se non abbiamo diritto di offrire a
144 I Ira

Dio le nostre preghiere neppure quando il nostro


fratello ha qualcosa contro di noi?».

Se non si sceglie la via del perdono, allora, ag­


giunge Cassiano.

«Ci restano due sole possibilità: o non pregare mai,


trattenendo questo veleno nei nostri cuori... oppure
se, ingannando noi stessi, abbiamo la presunzione di
pregare nonostante il divieto, riconoscere almeno che
non stiamo offrendo al Signore una preghiera ma l’o­
stinazione di uno spirito ribelle!»20.

Il percorso che permette a questa terapia di esse­


re efficace contro l’ira trova il compimento nella ri­
conciliazione. Quando il perdono raggiunge il cuo­
re, allora si ricostruisce quella comunione distrutta
dall’ira. D’altra parte la riconciliazione è possibile
solo se si sono deposte tutte le ragioni o le giustifica­
zioni di fronte all’altro, solo se si ha il coraggio di
assumere la propria parte di responsabilità: finché
uno continua a chiedersi se è dalla parte della ragio­
ne o meno, non si renderà disponibile alla riconci­

20 Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche Vili, 13: tr. it., p. 245.


Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 145

liazione. Così mette in guardia Massimo il Confes­


sore: «Bada a te stesso, perché il male che ti separa
dal fratello non venga a trovarsi nel fratello, ma in
te; e affrèttati a riconciliarti con lui, per non allon­
tanarti dal comandamento della carità»21. La ricon­
ciliazione, infatti, per essere autentico segno di un
perdono senza riserve, deve partire dalla verità di se
stessi davanti al fratello e davanti a Dio. Chi umil­
mente si riconosce sempre debitore di fronte a Dio
e di fronte agli altri, sarà sempre aperto alla riconci­
liazione. Ce lo ricorda questo apophtegma:

«Un fratello interrogò un anziano: “Padre mio, io ho


litigato con il mio fratello; vuoi che lo perdoni o che
serbi rancore verso di lui?”. Allora l’anziano levò gli
occhi al cielo, pianse e si percosse il petto, dicendo:
“O uomo misero e nudo, se tu provochi all’ira il Si­
gnore del cielo e della terra ed egli con te è misericor­
dioso, accoglie la tua penitenza e condona il tuo pec­
cato, e fa lo stesso con chiunque ritorna a lui: come
potresti tu non perdonare il tuo fratello?”»22.

21 Massimo il Confessore, Centuria IV, 19: Id., Capitoli sulla carità, pp.
200 - 201.
22 Geronticon Etiopico 198: Detti editi e inediti, p. 221.
146 I Ira

Alla fine, dobbiamo riconoscere che giungere


ad una liberazione dall’ira comporta un cammi­
no lungo e faticoso, soprattutto perché questo
percorso deve raggiungere il luogo dove la collera
si nasconde: il cuore. Se con umiltà si deve anzi­
tutto accettare alcune terapie che ci aiutano a
porre dei limiti all’ira perché essa non passi all’a­
zione, tuttavia dobbiamo essere altrettanto co­
scienti che non si è veramente guariti finché il
cuore non è reso libero da questa passione. Ma a
questo punto la terapia, per essere veramente ra­
dicale e decisiva, non si caratterizza più soltanto
da un controllo di questa passione; essa diventa
positiva e si trasforma nella custodia di quella
virtù che è esattamente all’opposto dell’ira, e cioè
la mitezza. La vera guarigione dall’ira è fare abi­
tare nel cuore la mitezza. Talassio Libico, un au­
tore presente nella Filocalia, dice: «Longanimità
e assenza di rancore arrestano l’ira. Carità e com­
passione la diminuiscono»23. Ma è la mitezza,
possiamo aggiungere, a liberare il nostro cuore

23 Talassio Libico, A Paolo presbitero. Centurie sulla carità II, 23: h


Filocalia, II, tr. M. B. Artioli - M. F. Lovato, Torino (Gribaudi) 1983,
p. 322.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall’ira I 147

dall’ira, perché la mitezza è «la somma cura a


non lasciarsi trascinare dalla collera»24.

4. Un cuore mite

Che cos’è veramente la mitezza? Quando un


cuore è abitato dalla mitezza? E perché i Padri pro­
pongono questa virtù come terapia radicale della
collera? L’apostolo Paolo ci ricorda che la mitezza
(in greco praótès), come frutto dello Spirito, è una
manifestazione della carità (cfr. Gal 5,22), poiché la
carità «non si adira, non tiene conto del male rice­
vuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra delle
verità» (ICor 13,5). Come dimensione profonda
dell’essere (è sempre il cuore che deve lasciarsi con­
vertire dalla virtù), la mitezza diventa un atteggia­
mento globale, uno stile di relazioni e di vita, uno
sguardo sulla realtà e sugli altri: rende capaci di an­
dare oltre gli scarti o le contraddizioni che sembra­
no ostacolare un cammino e di aprire un orizzonte
illuminato dallo sguardo stesso di Dio. Non dob­
biamo dimenticare che la mitezza è una beatitudine

24 Diadoco di Fotica, Centurie. Premessa: tr. it., p. 23.


148 I Ira

evangelica: «Beati i miti, perché avranno in eredità


la terra» (Mt 5,5). Non è dunque un semplice con­
trollo delle proprie reazioni, soprattutto della pro­
pria aggressività; e neppure una sorta di silenzio
stoico ed impenetrabile che permette di stare al ri­
paro da emozioni forti o da un coinvolgimento
troppo passionale in alcune situazioni (quelle ap­
punto che possono scatenare l’ira). È necessario si­
curamente un dominio di sé per preparare il terre­
no alla mitezza. Ma questa raggiunge il cuore
quando si depone ogni pretesa, ogni forma di vio­
lenza, quasi consegnandosi inermi di fronte ad ogni
logica di potere (non per favorirla, certamente, ma
per testimoniare la possibilità e la fecondità di un’al­
tra logica). Colui che è mite acquista una reale pa­
dronanza di se stesso, della realtà che lo circonda,
del modo di relazionarsi agli altri: libero da ogni
potere violento e dai modi con cui esso si manifesta
(l’ira appunto), il mite “ha in eredità” la terra, per­
ché possiede il bene più prezioso, il suo cuore. Il
cuore del mite è un cuore “uno”, non diviso, non
lacerato dalla violenza dell’ira.
Tuttavia, proprio alla luce della beatitudine
evangelica della mitezza, si comprende che la virtù
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dalVira I 149

in questione ha una sua qualità propria. Essa è data


dalla consapevolezza che questo atteggiamento,
questo cammino di liberazione, non è una semplice
tattica per combattere e interrompere la catena del­
la violenza con i suoi innumerevoli anelli (tra cui, in
prima linea, l’ira). La qualità della mitezza non si
esaurisce nella non violenza. Come beatitudine essa
porta impresso lo sguardo di Colui che è «mite
(praós) e umile di cuore» (Mt 11,29), uno sguardo
che apre alla speranza, che allarga gli orizzonti
dell’esistenza, che dissipa le inquietudini della vio­
lenza nascoste nel cuore e pronte a manifestarsi
nell’ira, nel rancore, nell’odio: «Venite a me, voi tut­
ti che siete stanchi e oppressi... Imparate da me che
sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la
vostra vita» (Mt 11,28.29). Nella virtù evangelica
della mitezza si riflette il volto del Servo del Signore
che «non griderà né alzerà il tono, non farà udire in
piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrina­
ta, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smor­
ta» (Is 42,2-3); il volto di Colui che «maltrattato, si
lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come
agnello condotto al macello... e non aprì la sua boc­
ca» (Is 53,7). Proprio l’icona del Servo sofferente
150 I Ira

del Deutero-Isaia ci rivela lo spazio entro il quale la


mitezza matura e prende forma: il silenzio interiore,
il vero crogiolo dove il cuore viene purificato dalle
grida della violenza e del rancore, dove la nostra pa­
rola e i nostri gesti vengono liberati dalle scorie
dell’ira, dove le contrarietà diventano luogo di ma­
turazione, dove la sofferenza può trasfigurare il no­
stro modo di amare.
A questa dimensione profonda ci orientano i Pa­
dri e gli autori monastici, indicandoci appunto in
questa virtù la vera terapia che può guarire dalla pas­
sione dell’ira. Dunque, passare dalla non-ira alla mi­
tezza è giungere al termine del cammino di guarigio­
ne dalla collera. Commentando il testo di Pr 29,11,
Evagrio sottolinea bene questo passaggio finale:

«“Lo stolto dà sfogo a tutta la sua ira, il saggio invece


ne trattiene una parte”. Chi “trattiene per sé una par­
te dell’ira” o è colui che va in collera solo per motiva­
zioni giuste, oppure colui che consuma una parte
dell’ira attraverso la misericordia. Ai più semplici si
insegni la prima cosa, agli zelanti la seconda»25.

25 Evagrio Pontico, In Prov 29,11: Evagre le Pontique, Scholies aux Pro-


verbes, ed. P. Géhin (Sources Chrétiennes 340) Paris 1987, p. 363.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall'ira I 151

La mitezza è, in fondo, «consumare Tira attra­


verso la misericordia». Ma come manifestazione
della «carità che non si adira», questa virtù assume
varie sfumature che i Padri non mancano di sottoli­
neare. Giovanni Climaco ne raccoglie diverse, of­
frendoci un ritratto della mitezza:

«La mitezza è una roccia che emerge sul mare della


collera, che dissolve tutte le onde che si abbattono
contro, senza mai esserne scossa. La mitezza è soste­
gno della pazienza, porta, anzi, madre della carità,
presupposto del discernimento...; procura il perdo­
no dei peccati, è franchezza nella preghiera, e dimora
dello Spirito Santo, poiché sta scritto: Su chi poserò
il mio sguardo, se non sui miti e sui pacifici? (Is 66,2).
La mitezza è collaboratrice dell obbedienza, guida
dell’amore fraterno, freno degli impulsivi, ostacolo
dei collerici, dispensatrice di gioia, imitazione di Cri­
sto, virtù propria degli angeli, catena dei demoni,
scudo contro lamarezza»26.

Per Climaco la mitezza avvolge completamente


la vita di colui che l’ha accolta nel suo cuore, diven­
tando “freno”, “ostacolo”, “scudo” alla violenza del­

26Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso XXIV, 2: tr. it., pp. 327-328.
152 I Ira

l’ira e rendendo ogni relazione, ogni gesto e sguar­


do segno della presenza dello Spirito. Evagrio,
invece, opponendo all’ira la virtù della mitezza, ne
sottolinea un tratto particolare: la makrothymìa
(longanimità), manifestazione dell’amore mite:

«La makrothymìa è uno scudo della prudenza, tribu­


nale dell’ira., medicina del cuore, castigo dei presun­
tuosi, serenità di chi è turbato, un porto tranquillo,
un’opera buona verso chi è afflitto, gentilezza verso
tutti, benedizione di fronte alFinfamia, esultanza di
fronte agli insulti, conforto di chi è angustiato, spec­
chio di ciò che si spera, premio dei miseri»27.

Chi sa andare al di là delle strettoie anguste con


cui le giustificazioni dell’ira intrappolano il cuore,
chi “sente in grande” (questo è il senso della parola
greca makrothymìa), acquista uno sguardo libero,
capace di cogliere il bene nell’altro e valorizzarlo; sa
attendere, nella pazienza e nella pace, non lascian­
dosi travolgere dagli eventi.
Da questi due testi emerge chiaramente che per
gli autori monastici la mitezza non è debolezza: è

27 Evagrio Pontico, I vizi opposti alle virtù 6: tr. it., pp. 130-131.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall’ira I 153

ben diversa da una sorta di dimissioni o fuga di


fronte alla realtà, in particolare di fronte al male e
alle ingiustizie. Lungi dall’essere rinuncia alla giu­
stizia o evasione dalle proprie responsabilità, la mi­
tezza è la forza interiore che permette un reale di-
scernimento e che rende autentica la passione per la
verità, unendola all’amore, alla consolazione, alla
custodia del fratello. La mitezza è la virtù dei forti
e, secondo una immagine di Evagrio, il mite deve
essere un combattente:

«Prepàrati ad essere mite e combattivo, nel primo ca­


so col tuo simile, nel secondo col tuo nemico. L’utilità
della parte irascibile consiste infatti in questo: da una
parte nell’opporsi con odio al serpente e dall’altra nel
sopportare amorevolmente il fratello con gentilezza e
con garbo e nel contrastare i pensieri. Sii dunque mi­
te e combattivo, tenendo distinta la mitezza dai pen­
sieri che uccidono a tradimento, come pure tieni lon­
tana la contesa da quelli che sono i tuoi simili»28.

La forza della mitezza si rivela in particolare nel­


la preghiera perché apre ad una confidenza, ad una

28 Evagrio Pontico, Sulla confessione dei pensieri e consigli di vita 1: tr.


it., pp. 62-63.
154 I Ira

parresta con Dio: il mite ha, in un certo senso, la


forza di lottare con Dio attraverso la preghiera per
far emergere tutta la compassione divina. L’icona
della forza di questa mitezza nella preghiera è, per
Evagrio, Mosè, colui che la Scrittura ricorda per la
sua mitezza: «(La Scrittura) dice che egli, nel deser­
to, stette tutto solo dinanzi al volto di Dio, quando
questi volle annientare Israele, e chiese di essere an­
nientato con i figli del suo popolo. Egli presentò di­
nanzi a Dio l’amore per gli uomini e la trasgressio­
ne, dicendo: “Perdona loro, o cancellami dal libro
che tu hai scritto”. Così parlò il mite! Dio allora
preferì perdonare coloro che avevano peccato, piut­
tosto che far torto a Mosè»29.
Il richiamo a Mosè, alla sua preghiera e alla sua
mitezza, ci rivela anche il volto nascosto della forza
di questa virtù. Il mite è forte non perché possiede
in sé la capacità di lottare contro il male oppure la
pretesa di poter contendere con la giustizia di Dio.
La forza della mitezza sta nell’umiltà di affidare a
Dio la giustizia e attenderla solo da lui, senza arro­
garsi il diritto di colui che si fa vendicatore del male.

29 Evagrio Pontico, Lettera 56,6: testo citato in Bunge, Vino dei drag
p. 99.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall’ira I 155

Un apophtegma illustra bene questo volto della mi­


tezza:

«Un fratello che era stato offeso da un altro fratello


venne a trovare Pabba Sisoes e gli disse: “Sono stato
offeso da quel fratello e voglio vendicarmi”. L’anzia-
no l’esortò dicendo: “No, figlio mio, abbandona piut­
tosto a Dio la questione della vendetta”. Ma il fratello
continuò: “Non avrò riposo finché non mi sarò ven­
dicato”. L’anziano disse. “Preghiamo, fratello!”. Si
alzarono e si misero a pregare. L’anziano disse: “O
Dio, noi non abbiamo più bisogno che tu ti occupi di
noi, perché ci vendichiamo da soli”. All’udire questo,
il fratello cadde ai piedi dell’anziano dicendo: “Non
disputerò più con il fratello; perdonami, padre!”»30.

In questa attesa che sa affidare a Dio ogni giusti­


zia, la mitezza si trasforma in pazienza, nella capaci­
tà di “stare sotto un peso” (è il senso del termine
greco ypomoné, pazienza), alPinterno di una situa­
zione di contraddizione o, addirittura, di ingiusti­
zia, ma conservando quella pace che sgorga in colui
che affida la sua causa a Dio. Ritorna ancora l'icona

30 Paolo Evergetinos, Synagoge II, 37,3 : Paroles et exemples des anciens.


Recueil ascétique de Paul surnommé Evergetinos, II, pp. 270-271.
156 I Ira

del Servo sofferente del Deutero-Isaia, immagine


della mitezza e della pazienza. Nella sua Regola, san
Benedetto ha colto in questo tratto della mitezza un
passaggio fondamentale nella via dell umiltà:

«Il quarto grado di umiltà si raggiunge quando


nell obbedire, pur trovandosi di fronte a qualcosa di
molto duro e contrariante per la natura, e persino di
fronte a ingiustizie di ogni genere, si abbraccia la pa­
zienza con maturo e consapevole silenzio interiore {in
duris et contrariis rebus vel... iniuriis tacite conscientia
patientiam amplectatur) e si rimane saldi, non ci si
scoraggia né si indietreggia, poiché la Scrittura dice:
Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato\ e anco­
ra: Sii forte: si rinfranchi il tuo cuore e spera nel
Signorev?1.

Benedetto sta parlando a dei monaci, certamen­


te. Ma quelle durezze, contraddizioni, frustrazioni,
ingiustizie addirittura, non le incontra ognuno nella
vita? E sono proprio queste che scatenano in noi
Pira, la rabbia, l’aggressività e la ribellione. Certo,
Benedetto sembra prospettare un comportamento

31 Regola di Benedetto 7,35-37.


Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dall’ira I 157

eroico a cui pochi sentono di aderirvi. Ma ciò che


Benedetto dice è nient’altro che la via della mitezza,
la via di chi sa accogliere anche queste realtà dentro
di sé nella pazienza, custodendole «con maturo e
consapevole silenzio interiore». Chi ha scelto questa
via (che resta sempre un dono e non solo frutto del
proprio sforzo), sa che il cuore si purifica e matura
solamente nel momento della prova perché in essa
esce allo scoperto ciò che è nascosto (l’ira, il ranco­
re, la violenza). «L’atteggiamento qui suggerito da
san Benedetto - commenta A. Louf - non fa appel­
lo alla virtù né alla generosità. Appelli simili non
avrebbero alcun effetto su chi, letteralmente, è pro­
strato a terra sull’orlo dei propri abissi. Non può far
altro che custodire il silenzio, tacite, e aggrapparsi
alla pazienza: il termine “pazienza” compare due
volte in questo passaggio e richiama il Prologo là
dove afferma che è attraverso di essa che il monaco
prenderà parte alla passione di Cristo, passionibus
Còristi per patientiam partecipemur (Regula Beneàic-
ti Pr 50). Dopo di che, senza scoraggiarsi né ritirar­
si. .. basta attendere, sustinere dice san Benedetto; il
termine è ripetuto tre volte, con il suo doppio signi­
ficato, nel latino dell’epoca, di “attendere” e di
158 I Ira

“sopportare”... Il che è possibile solo nella fede,


cioè nella gioia dell’amore, intravista da lontano.
“Ma in tutte queste cose - aggiunge il testo citando
san Paolo - noi siamo più che vincitori a causa di
Colui che ci ha amati (RB 7 passim; cf. Rm 8,37)»32.
«A causa di Colui che ci ha amati» la mitezza e la
pazienza si trasformano in carità, perché «la carità è
magnanima, benevola..., tutto spera, tutto soppor­
ta» (ICor 13,4.7). L’amore mite non solo sa accoglie­
re le prove, ma anche chi le procura:

«Il mite, anche se patisce gravi offese, non rinuncia


alla carità - ci ricorda Evagrio; - grazie ad essa infat­
ti sopporta e tollera, è benigno e paziente. Se infatti è
della carità il sopportare, non è della carità l’irascibi­
lità, perché Tira genera odio, invidia e collera, la cari­
tà invece respinge queste tre passioni. Se hai il piede
fermo nella carità, dai più importanza all amore piut­
tosto che a chi ti vuol far cadere in fallo. Servi Dio nel
timore e nellamore, nel primo caso in quanto Signo­
re e giudice, nel secondo caso in quanto Dio che ama
gli uomini e li nutre. Chi ha acquistato le virtù dell’a­
more riduce in schiavitù la malvagità delle passioni e

12 A. Louf, San benedetto maestro di sapienza, in Parola, Spirito e vita


48 (2003) 2, pp. 232-233.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira... guarire dalVira I 159

chi dalla santa Trinità ha ricevuto fede, speranza e


carità, sarà come una città difesa da tre ordini di mu­
ra e protetta da torri di virtù»?3.

Giungere a questo grado di amore attraverso la


via della mitezza non significa soltanto essere dav­
vero liberi dall’ira, ma vuol dire essere trasformati
dall’amore di Cristo e camminare alla sua sequela
perché, come ci ricorda l’apostolo Pietro, «anche
Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché
ne seguiate le orme: egli non commise peccato e
non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non
rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava
vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giu­
stizia» (lPt 2,21-23). La mitezza di Cristo che con­
trasta ogni logica di violenza, allora vive nel disce­
polo, così come traspare da queste parole di Isacco
il Siro, impregnate del paradosso evangelico:

«Sii un perseguitato, ma non uno che perseguita. Sii


un crocifisso, ma non uno che crocifigge. Sii un ol­
traggiato, ma non uno che oltraggia. Sii un calunnia­
to, ma non uno che calunnia. Sii pacifico e non zelan­

33 Evagrio Pontico, Sulla confessione dei pensieri e consigli di vita 11: tr.
it., pp. 62-63.
160 I Ira

te. Persegui la bontà e non la giustizia. La giustizia


non appartiene alla condotta del cristianesimo: non
se ne trova menzione nell’insegnamento di Cristo!...
Stendi il tuo mantello sul peccatore e coprilo. Se tu
non puoi prendere sulla tua anima le sue mancanze e
riceverne il castigo al suo posto, almeno sopporta di
essere svergognato per non svergognare lui»34.

34 Isacco di Ninive, Prima collezione. Discorso 50: Id., Annuncia la bo


tà di Dio, pp. 20-21.
Conclusione

«Imparate da me che sono mite e umile


di cuore» {Mt 11,29)

N-, sua prima lettera, sopra citata, l’apostolo


Pietro invita il discepolo a prendere coscienza
della guarigione delle ferite del peccato grazie al­
la piaghe di Colui «che portò i nostri peccati sul
suo corpo, sul legno della croce... Dalle sue pia­
ghe siete stati guariti» (lPt 2,24). Veramente pos­
siamo esser guariti dalle ferite che la passione
dell’ira incide nella nostra vita, soltanto se ci la­
sciamo toccare dalla mitezza di Cristo, di cui la
croce è il segno più eloquente. Quanto più il cuo­
re si lascia invadere dall’amore mite di Cristo,
tanto più si libera da ogni pretesa di giustizia, da
ogni forma di violenza, da ogni assalto dell’ira,
da ogni passione che distrugge in se stessi la bel­
lezza dell’immagine di Dio. Come ci ricorda Cas­
siano, la mitezza e la pazienza sono «la medicina
162 I Ira

del cuore, efficace a tal punto, che secondo la


sentenza di Salomone, “l’uomo mansueto è una
medicina del cuore”... In realtà colui che è sem­
pre mite e tranquillo, non si accende per l’insor­
gere dell’ira, non è consunto dal tormento dell’ac­
cidia: e dalla tristezza, non si eleva per vanagloria
e non si inorgoglisce per superbia... “L’uomo pa­
ziente vale più di un eroe, e chi domina se stesso
vale più di chi conquista una città”»1. Giusta­
mente Cassiano dice che il mite «vale più di un
eroe», perché la sua forza non viene dall’abilità,
dallo sforzo, da una volontà eroica; la mitezza
viene da Cristo che ha preso dimora in lui: «Pu­
rifica la tua mente dall’ira - dice Massimo il Con­
fessore - dal rancore e dagli altri vergognosi pen­
sieri e allora potrai conoscere la presenza di
Cristo in te»2. Con un linguaggio mistico Evagrio
ci rivela il mistero che abita l’uomo mite: «La mi­
tezza dell’uomo è ricordata presso Dio, e un’ani­
ma non soggetta all’ira diventa tempio dello Spi­
rito Santo. Cristo reclina il capo in uno spirito

1 Giovanni Cassiano, Conferenze II, 12, 6: Id., Conferenze ai monaci,


II, cur. L. Dattrino {Coll. Testi Patr. 156). Roma (Città Nuova) 2000, p. 44.
2 Massimo il Confessore, Centuria IV, 76: Id., Capitoli sulla carità, pp.
228-229.
Conclusione I 163

magnanimo e solo la mente pacificata diventa


dimora della Santa Trinità»3.
«Cristo reclina il capo in uno spirito magnani­
mo»: con questa stupenda immagine, Evagrio ci in­
dica, di riflesso, l’autentico cammino di conversione
che ci permette di passare dall’ira alla mitezza: vol­
gere lo sguardo verso Cristo e imparare da lui «che
è mite e umile di cuore». Guardare il volto mite di
Cristo e lasciare che il suo sguardo penetri in noi:
ecco la guarigione dall’ira. Questo volto e questo
sguardo ci suggeriscono una immagine con cui vor­
remmo terminare la nostra riflessione. Si tratta
dell’icona del Cristo Pantokràtor dipinta dal mona­
co iconografo Andrej Rublév agli inizi del 1400 e
ritrovata casualmente (nel 1918) in un ripostiglio
presso la cattedrale della Dormizione a Zvenigorod.
Tuttavia ci pare significativo rileggere questa icona
alla luce del film di A. Tarkovskij Andrej Rublèv.
Nel ripercorrere il travaglio interiore dell’icono-
grafo e il suo processo di purificazione, Tarkovskij
si sofferma sulle resistenze del monaco Andrej nel
dipingere la scena del Giudizio universale. Di fatto

3Evagrio Pontico, Gli otto pensieri della malvagità 10: tr. it., pp. 46-47.
164 I Ira

Rublév ha dipinto verso il 1408, per la cattedrale


della Dormizione a Vladimir, un grande affresco
che rappresenta il “giorno dell'ira” e del giudizio di
Dio; di quest’opera (collocata nella controfacciata
della cattedrale) rimangono solo dei frammenti, e
in particolare, il gruppo dei santi e degli apostoli.
La scena non incute terrore: rappresenta l’inizio del
regno dei giusti, in cui non vi sarà più posto per
l’odio e la violenza. Gli apostoli, i santi, gli angeli
hanno espressioni ferme e dolci insieme: è lo sguar­
do di Dio sulla verità dell'uomo, sulla sofferenza e
sul male che feriscono e tormentano la terra, ed è lo
sguardo di Colui che giudica con giustizia e miseri­
cordia. Sembra quasi che Rublév abbia rifiutato di
rappresentare un volto di Dio pieno di ira nei con­
fronti di una umanità peccatrice: Colui che giudica
nella verità sa usare misericordia e la Gerusalemme
che scende dall’alto è un luogo di pace e di gioia.
Sembra quasi preannunciato il clima di quel ban­
chetto di condivisione che caratterizza l’icona della
Trinità.
Nel film di Tarkovskij, si indugia significativa­
mente sul tema del Giudizio universale. Da una
parte c’è la visione terribile di questo momento fi-
Conclusione I 165

naie dellumanità e della storia riflessa nella sguar­


do pessimista di Teofane il Greco (l’altro grande
iconografo contemporaneo di Rublév), che si riflette
in queste parole, quasi un’accusa allo sguardo trop­
po “ingenuo” del giovane iconografo:

«Dove sono i tuoi giusti - dice Teofane ad Andrej -


.. .i tuoi campioni di disinteresse? Mostrameli, fammi
questa grazia! In verità è scritto: “Terribile è Dio nel­
la grande schiera dei santi! ”, per i tuoi, per coloro che
dimenticano la fede! Terribile! Se non ci sarà il terro­
re, non ci sarà la fede!.. .»4.

Allopposto c’è la reazione interiore del monaco


Andrej che non si rassegna a questa visione del vol­
to di Dio:

«Ma POnnipotente non soccorrerà anche loro? Non


perdonerà le loro tenebre? Lo sai anche tu, certi gior­
ni non ti riesce nulla, oppure sei stanco, sfinito, e
niente ti dà sollievo, e alPimprovviso nella folla in­
contri uno sguardo semplice, uno sguardo umano, ed

4 A. Tarkovskij^ Andrej Rublév, Milano (Garzanti) 1992, p. 72. Il regi­


sta russo, prima di iniziare le riprese, trascriveva, come suo solito, quello
che sarebbe diventato un film in fórma di “romanzo cinematografico”. Da
questo scritto sono tratti i testi e i dialoghi che riportiamo.
166 I Ira

è come se avessi ricevuto la comunione e subito tutto


è più facile.. .»5.

Anche nel Giudizio, Andrej cerca nel volto di


Dio questo “sguardo semplice”, questo “sguardo
umano”, questo sguardo mite che dona la comunio­
ne. Tarkovskij insiste sulla lacerazione interiore e
sul rifiuto di Rublév di dipingere un Giudizio uni­
versale che incuta terrore: «il fatto è che io credo -
dice Andrej al compagno Daniil nella cattedrale
ancora priva di affreschi - sia addirittura meglio
non dipingerlo, il Giudizio universale»6. Andrej di­
pingerà il Giudizio universale nella grande catte­
drale; ma sarà una visione di pace:

«Andrej si copre gli occhi con la mano, per abituarsi


all’oscurità. Poi solleva la testa e guarda in alto con
aria seria ed esigente il suo gioioso Giudizio univer­
sale... Una dopo l’altra avanzano piene di nobiltà e di
tenerezza le Sante Donne, con i loro visi insostenibil­
mente russi. Occhi tranquilli, pieni di speranza, gesti
semplici e calmi che convincono lo spettatore della
loro reale esistenza e della santità della loro natura

5 Tarkovskij Andrej Rublév, p. 74.


6 Ibid., p. 107.
Conclusione I 167

femminile. Visi chiari di sorelle, di madri, di fidanza­


te e di spose - sostegno nell’amore e nel pensiero del
futuro.. .»7.

Nell’incontro con la sofferenza e l’umiliazione


dell’uomo, lo sguardo di Andrej si illumina del fuo­
co della compassione. L’infinita pietà che consuma
il cuore del monaco iconografo per il suo popolo
oltraggiato e annientato si concentra nello sguardo
di compassione dell’icona del Cristo Pantokrdtor,
icona dipinta per un monastero di Zvenigorod. Il
volto di Cristo è il volto di un Dio che si lascia coin­
volgere nel dramma dell’uomo, che sa con-soffrire
con l’uomo; è il volto dell’Agnello che prende su di
sé il peccato del mondo, di colui che «come pecora
muta viene condotta al macello». Infatti, colpisce
sùbito in questa icona la predominanza del volto,
dello sguardo; sorprendentemente il tempo ha co­
me “purificato” questa icona rendendola solo volto.
E di fronte allo sguardo di pace e di compassione
riflesso su questo volto di Cristo, si sentono quasi
risuonare le parole evangeliche che spesso abbiamo
ricordato: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e

7Ibid., p. 111.
168 I Ira

oppressi... imparate da me, che sono mite e umile


di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita...»
(Mt 11,28-30).
Si rimane colpiti dal lieve movimento che si intui­
sce dalla posizione del volto e delle spalle di Gesù. Si
ha l’impressione che Gesù stia camminando e all’im­
provviso si volti verso colui che lo guarda e lo scruti
con i suoi occhi: è un occhio «diretto proprio su chi
guarda ed esprime un’attenzione viva ed attiva verso
di lui, vi si sente il desiderio di penetrare nell’anima
dell’uomo e di capirlo. Le sopracciglia sono libera­
mente sollevate, e non c’è perciò espressione di ten­
sione o di tristezza. Lo sguardo è chiaro, aperto, ben
disposto, come se davanti a noi fosse un uomo forte
ed attivo che ha abbastanza forze spirituali ed ener­
gia per dare appoggio a chi ne ha bisogno... C’è inol­
tre in lui la severità di una purezza ed immediatezza
interiori, una piena fiducia nell'uomo»8. Nel film di
Tarkovskij non si fa accenno a questa icona, ma vi è
un passaggio che richiama sorprendentemente que­
sto volto di Cristo. Agli occhi di Andrej compare im­
provvisamente una singolare via crucis-.

8 V. N. Lazarev, Andrej Rublev, Milano (Ediz. per il Club del Libr


1966, pp. 45-46.
Conclusione I 169

«una piccola processione, formata da una trentina di


persone, sale lentamente lungo una silenziosa stradi­
na invernale... i volti delle donne sono afflitti, quelli
dei bambini coperti di lacrime, mentre gli uomini
hanno espressioni severe e compassate, e tutti fissano
un uomo scalzo che cammina davanti a loro con una
pesante croce di betulla sulle spalle e il contadino
lacero che aiuta a trasportare il suo fardello, finché il
primo getta la croce in cima alla collina, in una fossa
scavata nella terra indurita dal gelo... e rivolge alla
piccola folla rimasta più in basso uno sguardo così
pieno di attesa e di pace che una donna, con un grido
silenzioso, si butta in ginocchio nella neve, mentre
tutti gli altri improvvisamente si voltano...»9.

Nel film, lo sguardo di questo misterioso uomo


dei dolori, sguardo «pieno di attesa e di pace», ri­
corda sorprendentemente quello dell’icona di Cri­
sto dipinta da Rublév: uno sguardo mite e rassegna­
to, carico di tutto il dolore dell uomo, capace di
comunicare compassione e pace, riposo e salvezza.
Infine, c’è un particolare che colpisce in quest’i­
cona, così come oggi appare ai nostri occhi. È pro­

9Tarkovskij Andrej Rublèv, p. 74.


170 I Ira

fondamente inscritto su questa tavola dipinta, quasi


il sigillo della memoria crucis incisa sulla carne del
Risorto. Questa icona ha una storia singolare. Fu
ritrovata nel 1918 in un deposito presso una chiesa:
serviva, come altre due icone di Rublév, da assi di
un pavimento. Molto rovinate, vennero dunque uti­
lizzate in questo modo sconcertante. Ma forse, mi­
steriosamente, il triste uso di questa icona è una ri­
sposta di Cristo all’uomo, a ciascuno di noi. È la
risposta inaudita dell’umiliazione, di colui che
«svuotò se stesso... umiliò se stesso... facendosi ob­
bediente fino alla morte, e a una morte di croce»
(Fil 2,7-8). È la risposta della mitezza di Dio alla
violenza che fa sanguinare la storia umana: Dio ac­
cetta di condividere il volto dell’uomo calpestato
nella sua dignità, accetta di nascondere la sua bel­
lezza sotto il volto sfigurato dell'uomo colpito da
ogni sorta di violenza. E così nascosto, Dio attende
uno sguardo compassionevole e mite, uno sguardo
liberato dall’ira e dalla violenza, uno sguardo pieno
di stupore che ha il coraggio di fissare gli occhi su
ogni volto dell’uomo disprezzato e accogliere in es­
so la rivelazione della bellezza del volto di Cristo.
Quale stupore si impresse nello sguardo di coloro
Conclusione I 171

che, dopo aver staccato questa tavola dal pavimento


di quel deposito, la capovolsero! La violenza della
storia non aveva cancellato i tratti del volto di Cri­
sto. Al centro della tavola, rovinata, screpolata, co­
me un deserto arido e senza vita, si rivela ancora a
noi oggi la bellezza del volto di Cristo, la bellezza di
un sguardo compassionevole che dona la pace e che
invita a seguire la via della mitezza. Quella via che
lo starec Zosima, la luminosa figura di monaco ne I
fratelli Karamazov, indica ai suoi discepoli:

«Certe volte ti sentirai perplesso, specialmente ve­


dendo i peccati degli uomini, e ti chiederai: “Devo
ricorrere alla forza oppure all’umiltà e all’amore?”.
Decidi sempre per l’umiltà e per l’amore. Se prende­
rai questa decisione una volta per sempre, potrai sog­
giogare anche tutto il mondo. Lumiltà e lamore uniti
insieme sono una forza formidabile, la più grande
forza che ci sia, non ce n’è un’altra uguale. Ogni gior­
no, ogni ora, ogni minuto osserva te stesso e sorvéglia-
ti, bada che la tua figura sia bella. Ecco, sei passato
accanto a un bambino, ed eri irritato, pieno di colle­
ra, hai detto una brutta parola; tu magari non Phai
neanche notato, quel bambino, ma lui ti ha visto be­
ne, e forse la tua figura, brutta e cattiva, è rimasta
172 I Ira

impressa nel suo piccolo cuore indifeso. Tu non lo sai


neppure, ma forse hai già gettato in lui un seme mali­
gno, che probabilmente germoglierà, e tutto perché
non sei stato attento, perché non hai coltivato in te
l’amore vigile, l’amore attivo. Fratelli, l’amore è un
maestro, ma bisogna saperlo conquistare, perché lo si
conquista difficilmente; lo si paga a caro prezzo, con
un lavoro lungo e a lunga scadenza; infatti, bisogna
amare non per un attimo solo, casualmente, ma sem­
pre, sino alla fine»10.

10 F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, I, Firenze (Sansoni) 1966, p


456-457 (queste parole dello starec Zosima sono collocate nella parte II
del romanzo al libro VI).
Indice

Introduzione
L’ira, una passione distruttiva pag. 5

I. «L’IRA È CRUDELE, IL FURORE


È IMPETUOSO...» (Pr 27,4):
IL VOLTO DELLA COLLERA » 19
1. «Non tramonti il sole sopra la vostra
ira» (Ef 4,26) » 20
2. L’ira tra impulsività e turbamento » 26
3. Un vizio dalle molte maschere » 31

II. «BRACE, FUOCO E ZOLFO...» (Sai 11,5):


LE CAUSE E LE MANIFESTAZIONI
DELL’IRA » 37
1. L’ira nella catena dei vizi » 38
2. La dinamica dell’ira » 44
3. Alcune caratteristiche dell’ira » 51
4 .1 luoghi dell’ira » 61
III. «UNA CITTÀ SMANTELLATA,
SENZA MURA...» (Pr 25,28):
UNA VITA NELLIRA Pag.
1. Vivere da arrabbiati »
2. Una preghiera contaminata »

IV. «ADIRATEVI, MA NON PECCATE...»


(Ef 4,26):
LIRA PUÒ ESSERE UNA VIRTÙ? »
1. «Egli non serba per sempre la sua ira...»
(Mi 7,18): la collera di Dio »
2. «Non tramonti il sole sopra la vostra ira»
(Ef 4,26): una misura per Tira giusta »

V. «SCOMPAIANO DA VOI OGNI


ASPREZZA, SDEGNO, IRA...» (E/4,31):
GUARIRE DALLIRA »
1. «Non riservare un tempo per sfogare
la collera» (Regola di san Benedetto 4,23) »
2. Il collirio della preghiera »
3. La grazia del perdono »
4. Un cuore mite »

CONCLUSIONE
«Imparate da me che sono mite e umile
di cuore» (Mt 11,29) »

Nota bibliografica »

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