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I Gau∂œya Vaißñava

di Davide Tomba

1.1 La bhakti e il tantrismo vaißñava

Il termine bhakti deriva dalla radice verbale bhaj che in ambito vedico significa assegnare,
dividere le offerte alle molte divinità vediche nel corso dei sacrifici del fuoco. In ambito
puranico e devozionale il termine bhakti assume il senso di partecipazione del bhakta alla
gloria della divinità e della sua adorazione (bhåjana). La bhakti nel senso di devozione è
già presente in forma germinale nei Veda in alcuni inni offerti alle divinità vediche come
nell’Agni-sükta contenuto nel ¥g-veda 1.1.1-2, dove si trovano espressi sentimenti di
adorazione e di abbandono alla divinità. Nei Veda i riferimenti Vißñu e a ‡iva sono ancora
rari. Tra i 1028 inni del ¥g-veda solo quattro sono dedicati a Vißñu-Trivikrama, una divinità
solare figlio di Aditœ e tre sono dedicati a ‡iva nella forma di Rüdra, una collerica divinità
dei venti.
Ancora oggi i membri delle tre caste superiori (dvija) adorano il Sole ‡ürya, ‡iva o Vißñu
per mezzo della recitazione all’alba, mezzodì e tramonto (tri-samdhya) del gåyatrœ-mantra
contenuto nel ¥g-veda 3.62.10 che include la triplice invocazione (vyåh®ti) che indica i tre
mondi inferiori (bhüΔ), mediani (bhuvaΔ) e superiori (svaΔ) che Vißñu-Trivikrama,
secondo il mito narrato nel ¥g-veda 1.22 e nel Vißñu-sükta contenuto nel ¥g-veda 1.154,
scavalca con tre passi. Lo stesso mito sarà rielaborato nei puråña nella storia della
sottomissione del re Bali da parte della quinta incarnazione o discesa (avatåra) di vißñu, il
bråhmaña nano Våmana. Nelle †ruti, Vißñu è identificato con Nåråyåña nella Taittirœya-
årañyaka 10.13 e con il sacrificio o Yaj∞a nella ‡atapatha-bråhmaña 1.1.2.13.
Il brahmanesimo o vedismo attribuiva il più alto valore religioso all’esecuzione degli yaj∞a
offerti alle divinità vediche. L’esecuzione degli yaj∞a serviva per aderire all’ordine
universale (®ta) grazie al quale i giorni, le Lune, le stagioni e gli anni si susseguono, i fiumi

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scorrono, ecc. Nel corso degli yaj∞a alle divinità erano offerti vari tipi di cibo allo scopo di
ricevere da loro ancora più cibo, molti inni dello Yajur-veda contengono invocazioni alle
divinità per essere liberati dalla fame. Consumare il cibo prodotto dalla terra senza
ripagare le divinità della pioggia, del Sole, dell’aria, ecc., era considerato rubare e da
incivili (anårya). Nella Bhagavad-gœtå 3.10-12, Brahmå benedice gli uomini insegnando la
procedura degli yaj∞a grazie ai quali soddisferanno le divinità che ricambieranno con
abbondante cibo, progenie, ecc. Ma non c’era un vero scambio tra gli uomini che offrivano
gli yaj∞a e le divinità alle quali erano destinati, la perfetta esecuzione degli yaj∞a ne assicura
automaticamente i frutti.
Nelle bråhmaña e nelle årañyaka si trovano le prime speculazioni filosofiche. Nelle
upanißad la realizzazione del sé individuale (åtman) e del BraΔman che è detto poter essere
definito solo in modo negativo (neti neti1), acquista il significato di liberazione (mokßa)
dall’esistenza materiale (saµsåra). Gli obiettivi raggiunti grazie all’esatta esecuzione dei riti
vedici del fuoco e dalla corretta pronuncia degli inni vedici che solo i bråhmaña possono
recitare, non sono più fondamentali.
I Veda e l’esasperato ritualismo vedico non rispondono alle domande esistenziali
fondamentali, nel Nåsadœya-sükta o inno della creazione Rg-veda 10.129 il ®ßi che l’ha
composto esprime ignoranza e dubbio. Nelle upanißad vengono introdotte le idee di åtman
o sé individuale eterno oltre il corpo, di sé supremo, Parama-åtman o Brahman, e della
liberazione che consiste nella realizzazione dell’identità åtman-paramåtman. Nella
Muñ∂aka-upanißad 3.1.5 è detto: “Questo åtman è realizzato per mezzo della verità (satya) e
dell’ascesi (tapas), grazie alla completa conoscenza (j∞åna) e alla costante continenza
sessuale (brahmacarya)”. Inoltre, per spiegare le diseguaglianze sociali del sistema dei
varña e il dolore nel mondo sono introdotte le idee di karman e reincarnazione alla quale è
soggetto l’essere vivente condizionato. Nella Chåndogya-upanißad 5.10.7 è detto: “Coloro
che conducono una vita pia otterranno una buona nascita come bråhmañã, come kßatriya
o come vai†ya. Coloro si comportano empiamente otterranno una brutta nascita come cani,
come maiali o come cåñ∂åla”.2
Nella Kaußœtaki-upanißad 2.5, gli yaj∞a si evolvono nel rito dell’offerta al fuoco interiore
(åntara-agnihotra), nella Chåndogya-upanißad dal 5.19.1-2 al 5.24.1-5 assumono la forma
del rito dell’offerta al fuoco dei soffi vitali (pråña-agnihotra) e nella Maitri-upanißad 6.9 e
2.6 dell’offerta al fuoco della digestione presente in tutti gli uomini (agni-vai†vånara). In
vari dharma-sütra e più tardi manuali sono esposte le procedure dell’offerta eseguita
quotidianamente dai bråΔmaña prima del pasto di piccole porzioni di cibo al fuoco dei soffi
vitali e della digestione (pråñåhuti-viddhi). Anche l’atto sessuale fecondo assume il
significato di yaj∞a in molti passaggi delle årañyaka e delle upanißad.
Della perdita di valore dei sacrifici vedici (yaj∞a) si trovano già chiari segnali in molti versi
della Bhagavad-gœtå come il 2.42-46, 9.20-21 e 11.48. Nella Manu-sm®ti (I sec. a.C. - III sec.

1 Bh®adårañyaka-upanißad 2.3.6 e Kena-upanißad 1.5-8.


2 Vedi l’intero passaggio della Chåndogya-upanißad 5.10.1-7 e della B®hadåranyaka-upanißad 6.2.15-16. Nella
Manu-sm®ti 10.12, i cåñ∂åla detti anche “cuocitori di cani” (†vapaca), sono la casta più bassa frutto dell’unione
di una bråhmañœ e di un †üdra.

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d.C.) si parla di sacramenti vedici (saµskåra) e di sacrifici del fuoco (homa), mai del culto
delle immagini delle divinità nei templi, ma ciò potrebbe essere dovuto alla opposizione
dell’autore bråhmaña ortodosso (smårta) alla bhakti e al culto delle immagini sacre.
Mentre di culto templare si parla nei più o meno coevi Artha-†åstra, Kåma-sütra e in
numerosi kåvya. Con l’abbandono della pratica degli yaj∞a vedici venne dimenticata anche
la loro esatta procedura e l’identità di ingredienti fondamentali come il misterioso soma ciò;
che si sa è quello che riportano i manuali di rituali vedici (kalpa-sütra). Gli yaj∞a vedici
sopravvivono nella forma smårta e tantrica dei riti del fuoco (homa) necessari
nell’amministrazione dei sacramenti (saµskåra) e nelle cerimonie tantriche di iniziazione
(dikßa) e di culto delle immagini sacre.
Nella Bhagavad-gœtå 4.24-32, gli yaj∞a si sono già diversificati in numerose forme: sacrificio
alle divinità, del sè individuale nel fuoco del Brahman, dei sensi nel fuoco del controllo dei
sensi, degli oggetti dei sensi nel fuoco dei sensi, dei soffi vitali, dei beni materiali, dello
studio, ecc. Più avanti nella Bhagavad-gœtå 10.26, K®ßña afferma che tra tutti i tipi di yaj∞a
egli è la recitazione dei mantra (jåpa). Poiché l’åtman e il BraΔman sono oltre le divinità
stesse e i frutti che esse possono concedere, i sacerdoti-bråhmaña esecutori dei riti vedici
del fuoco perdono la loro funzione di soli mediatori tra gli uomini e le divinità. Addirittura
nella B®hadårañyaka-upanißad 1.4.10 è detto che i deva desiderano che gli uomini
rimangano ignoranti allo scopo di continuare a ricevere da loro le offerte sacrificali.
Il buddhismo, jainismo e il materialismo åjœvika sono le più importanti tradizioni ascetiche
non vediche i cui membri, per la maggior parte kßatriya e vai†ya, erano definiti †ramaña
ossia affaticati o logori. Per ottenere la liberazione gli †ramaña sostituiscono il rito vedico
del fuoco celebrato dai bråhmaña con il calore interno generato in loro stessi dall’ascesi
(tapas). Tra il V sec. a.C. e il III sec. d.C., i bråhmaña sentendosi minacciati dal buddhismo
e del jainismo, elaborano le sei scuole filosofiche (ßa™-dar†ana). Come i bråhmaña anche i
monaci buddhisti e jaina per la loro sopravvivenza contavano sulla generosità dei regnanti
e delle loro congregazioni laiche.
Tra le antiche upanißad la ‡vetåsvatara-upanißad, il Pa†upata-sütra (II sec. d.C.) e gli †aiva-
puråña come lo ‡iva-puråña (IV sec. d.C.), sono infusi di †aiva-bhakti, mentre la sezione
Nåråyañœya del Mahåbhårata, la Bhagavad-gœtå, il Såñ∂ilya-sütra (V sec.) e i vaißñava-puråña
come il Vißñu-puråña (V sec. d.C.) e il Bhågavata-purånna, sono infusi di vaißñava-bhakti.
Infine i tardi †åkta-puråña come il Devœbhågavata-puråña (XII sec. d.C.) e il Kålikå-puråña
(XV sec.), sono infusi di devœ-bhakti. Nel Mahåbhårata troviamo i più antichi inni offerti a
K®ßña nel Vana-parvan 263.8-16 da Draupadœ, nel Droña-parvan 149.16-33 da Yudhiß™hira e
nell’Anusa†ana-parvan 167.37-45 da Bhißma.
Le sette monoteiste vaißñava e †aiva dall’epoca della composizione del Mahåbharata e dei
puråña propongono la bhakti offerta a una divinità personale come mezzo per la
liberazione e dal III sec. d.C., adottano il ritualismo tantrico del culto delle immagini sacre
delle divinità3. Dal III sec. cominciano ad essere composti i puråña colmi dei miti che

3 Nella vidye†vara-samhitå dello ‡iva-puråña è narrato che causa di una maledizione di ‡iva l’unica divinità
che non può essere adorata in nessuna immagine sacra e in nessun tempio eccetto che a Pußkara (Råjasthan),
è Brahmå.

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riguardano Vißñu e ‡iva e dal VI sec., anche Devœ. Il brahmanesimo o vedismo, egemone dal
X al IV sec. a.C., con il suo arido ritualismo sacrificale e l’intellettualismo delle upanißad,
ambedue appannaggio esclusivo della casta brahmanica, attaccato dal buddhismo e dal
jainismo fin dalla loro apparizione nel VI sec. a.C., tra il V sec. a.C. e il II sec. d.C. diede
nascita alle sei scuole filosofiche (ßa™-dar†ana). La nascita e l’evoluzione dei sei dar†ana
mirante a ristabilire e mantenere l’autorità dei Veda che termina oltre un millennio più
tardi, costituisce la reazione del brahmanesimo ortodosso al buddhismo e al jainismo.
In epoca vedica delle tre serie di doveri obligatori (nitya-karman), occasionali (naimittika-
karman) e interessati (kåmya-karman) prescritti nelle †ruti (bråΔmaña) e nelle sm®ti
(dharma-sütra, g®ha-sütra, †rauta-sütra e kalpa-sütra), quelli con più alto valore religioso
erano i sascrifici (yaj∞a) offerti agli dei celesti. Ma i frutti dei sacrifici nella forma di
ricchezza, raccolti abbondanti, buona progenie e paradiso nella vita successiva, non erano
direttamente concessi dalle divinità celesti, piuttosto, come è detto nella Bhagavad-gœtå 3.10-
12, arrivavano automaticamente se lo dvija aveva perfettamente eseguito i sacrifici, perciò,
non c’era alcun scambio o bhakti reale tra l’uomo e la divinità alla quale era destinato il
sacrificio.
Nelle årañyaka si trovano le prime speculazioni metafisiche e filosofiche sui sacrifici e
comincia ad emergere la scienza del sé (åtman) che tanta parte avrà nelle upanißad dove il
desiderio per la realizzazione del BraΔman prende il posto del godimento dei frutti dei
sacrifici. Nelle medie e tarde upanißad emergono evidenti le dottrine delle discipline yoga e i
culti devozionali monoteisti di ‡iva, Vißñu e Devœ. La bhakti che dal IV sec. adotta
l’eterodosso metodo di culto tantrico e le sue tecniche di liberazione, con il suo intenso e
popolare misticismo soddisfa pienamente le esigenze dei molti che desideravano un rapporto
diretto, intimo e immediato con il divino in forma personale nella forma del culto delle
immagini sacre.
La bhakti, aperta a chiunque senza discrinimazioni, anche ai fuori casta e alle donne, con il
suo intenso misticismo era in grado di soddisfare meglio le esigenze di chi stanco del
ritualismo vedico, desiderava un rapporto diretto, intimo e consolatorio con il divino in
forma personale. La bhakti intesa come intenso sentimento devozionale verso una singola
divinità in origine appare nell’India del Sud nei poemi in lingua tamil vaißñava dei dodici
alvar (V-X sec. d.C.) raccolti nel Divya-prabandham e nei poemi †aiva dei 63 nayanar (V-
VIII sec. d.C.) raccolti nel Tirumurai, dove per la prima volta, ogni essere umano senza
considerazioni di varña e sesso è capace di esprimere sentimenti devozionali per una
divinità personale.
Negli inni degli alvar e dei nayanar, la bhakti concede la liberazione non più grazie agli sforzi
o ai meriti del bhakta, come ancora è nella Bhagavad-gœtå, bensì è concessa
dall’incondizionata misericordia di Vißñu, K®ßña o ‡iva vinti dall’atteggiamento devozionale
del bhakta. Tendenzialmente la bhakti è sempre stata caratterizzata dalla semplicità e
spontaneità come è poeicamente espresso nella Bhagavad-gœtå 9.26 dove K®ßña dichiara di
accontentarsi di una foglia, un fiore, un frutto e dell’acqua purchè offerto con bhakti. Pe le
tradizioni devozionali monoteistiche, ogni essere umano senza considerazioni di casta e sesso

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è in grado di esprimere sentimenti devozionali per una suprema divinità personale. L’idea
che la bhakti supera il karman e il j∞åna è sempre stata osteggiata dagli smårta ortodossi per i
quali i bråhmaña-sacerdoti che si dedicano al culto delle immagini sacre in privato o nei
templi devono essere considerati di classe inferiore.
Alcuni ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che l’idea del monoteismo dei culti †aiva e
vaißñava derivi dal buddhismo mahåyåna, dall’ebraismo o dal cristianesimo. Numerose sono
le evidenze di ambasciate e scambi commerciali con l’antica Persia, l’Egitto, la Grecia e
Roma fin dagli ultimi secoli a.C. Nel Kerala è certa fin dai primi secoli d.C, la presenza di
comunità ebraiche e cristiane di tipo nestoriano e siriano ortodosso e di comunità
mussulmane dall’VIII sec. Non è improbabile che il pronunciato manicheismo e l’idea della
dannazione eterna che caratterizza la dottrina di Madhva, del tutto estranea alle dottrine e
filosofie indiane, siano indice di queste influenze. Comunque sia il caso, il monoteismo
buddhista e hindü è peculiarmente ‘indiano’ poiché la divinità suprema adorata dai
buddhisti come da gli hindü è polimorfa, basti pensare alla teoria dei molti tipi di
manifestazioni divine del Buddha, alle discese (avatåra) di Vißñu4 o alle numerose forme di
‡iva. Tra i 63 †aiva-nayanar ci sono numerosi casi di esempi di bhakti fanatica. Iyarpagai
cede la propria moglie a ‡iva travestito da bråhmaña lascivo e uccide i suoi famigliari che si
oppongono, Sakkiya sacrifica il suo unico figlio per sfamare ‡iva travestito da asceta †aiva
suo ospite, Serutghunai taglia il naso della regina per aver annusato un fiore che doveva
essere offerto a ‡iva, Murkha si dedica al gioco d’azzardo per raccogliere denaro da donare
agli †aiva-bhakta, il re pandya Arike†ari (VII sec.) impala ottomila monaci jaina che non
accettano di convertirsi †aiva e Kotpuli uccide tutti i suoi famigliari perché in tempo di
carestia si sono sfamati con il cibo che aveva accantonato per il culto di ‡iva. Esempi di
bhakti per Vißñu altrettanto fanatica si riscontrano nelle biografie dei dodici alvar.
La bhakti è ritenuta essere in grado di concedere la liberazione più velocemente di ogni
altro metodo grazie alla misericordia di Vißñu, ‡iva o Devœ, le supreme divinità considerate
manifestazioni del BraΔman, vinte dall’amore del bhakta. La liberazione non è più soltanto
il frutto della meditazione (dhyåna) degli yogin, delle pratiche ascetiche (tapas) degli
†ramaña, o della coltivazione della conoscenza (j∞åna) dei j∞ånin. La bhakti è
caratterizzata dalla semplicità, nella Bhagavad-gœtå 9.26, K®ßña dichiara di accontentarsi di
una foglia, un fiore, un frutto e dell’acqua purchè offerto con bhakti e ‡iva nel culto del
liõga non è da meno.
In base alla setta di appartenenza, i vaißñava riconoscono la divinità di ogni avatåra di Vißñu
o di K®ßña ma considerano suprema questa o quella forma considerando le altre
subordinate. Diversamente in ambito, buddhista e †aiva solo i nomi e le forme distinguono
la stessa essenziale divina identità del Buddha o di ‡iva. Råmånuja (XII sec.) nello ‡rœ-
bhåßya, il primo e più importante commentario vaißñava al Vedånta-sütra, e nel Gœtå-bhåßya

4 Sanatåna Gosvåmin nel Laghu-bhagavatåm®ta basandosi su vari testi på¡caråtra enumera vari tipi di
avatåra di Vißñu. Dieci son i principali o lœlå-avatåra: Matsya, Kürma, Varaha, N®siµha, Para†uråma, Våmana,
Råma, K®ßña, Buddha e Kalki, tre sono i purußa-avatåra: Karañodaka†åyi-Vißñu, Garbhodaka†åyi-Vißñu e
Kßirodak†åyi-Vißñu, tre sono i guña-avatåra: BraΔma, Vißñu e ‡iva. Poi ci sono gli yuga-avatåra come Caitanya
incaricati di diffondere il dharma dell’epoca, i kalå-avatåra o manifestazioni parziali come il Buddha e gli
†aktyave†a-avatåra come Sanaka Rßi, Nårada Munin e altri. Nell’India del Sud tra i lœlå-avatåra il Buddha è
sostituito da Balaråma.

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il commentario alla Bhagavad-gœtå, ispirandosi alle opere di Yamunåcarya (XI sec.) che
nell’Ågana-pråmañya aveva accettato il sistema di culto tantrico eterodosso på∞caråtra-
vaißñava, elabora la dottrina vißiß™ådvaita-vedånta agganciando il på∞caråtra alla dottrina
vedantica. In seguito a questa riforma, la maggior parte dei templi di Vißñu dell’India del
Sud (ma non tutti) abbandonarono il metodo vedico-tantrico o ortodosso vaikhånasa
risalente al IV sec. d.C. e adottarono il metodo pancaratrico proposto da Råmånuja.
Uno degli epigoni di Råmånuja, Vedånta De†ika (1268-1350) nel På∞caråtra-rakßa sostiene
che ci sono quattro tipi di testi på∞caråtra. Il primo verte sui quattro manifestazioni
(vyüha) di Vißñu come la Såttvata-saµhitå, il secondo tipo verte sul culto dei dieci avatåra
di Vißñu come la Paußkara-saµhitå, il terzo tipo come la Jayakhya-saµhitå verte sul culto di
un'unica forma di Vißñu e l’ultimo tipo verte soltanto sul culto degli avatåra zoomorfi di
Vißñu (Matsya, Kürma, Varåha, N®ßimha e Hayagrœva) come la Hayagrœva-saµhitå.
Grazie a Råmånuja, la bhakti offerta a Vœßñu, a Råma o a K®ßña, diventa l’eterno dovere
essenziale (sanåtana-dharma) di ogni uomo, oltre i dharma determinati dalle tradizioni
famigliari (kula-dharma) e dal varña di appartenenza (jåtœ-dharma) che K®ßña nella
Bhagavad-gœtå 18.66 sollecita Arjuna di abbandonare. Råmånuja sostiene che la bhakti si
manifesti nell’atteggiamento di umile abbandono (prapatti) al volere di Vißñu.
Fondamentalmente le sette vaißñava sono dualiste (dvaita) e accettano la bhakti sia come
mezzo (sådhanå) che come fine (sådhya), ossia la bhakti non si interrompe una volta che si
è ottenuta la liberazione. Mentre, le sette †aiva e †åkta essendo moniste (advaita),
ritengono che la bhakti sia un mezzo temporaneo, non il fine ed esprimono la bhakti per
‡iva e Devœ nel culto offerto alle loro immagini sacre nei templi e ai guru.
Dopo Råmånuja, la bhakti sarà gradualmente accettata come metodo facile ed efficace per
ottenere la realizzazione spirituale da tutte le successive tradizioni vaißñava.
Contemporaneamente Basava (XII sec.) introduce la bhakti nei culti †aiva e per quanto
riguarda Devœ, pur avendo un posto d’onore nelle dottrine tantriche †aiva kashmira e nel
culto †rœ-vidya dell’India del Sud, la bhakti intensa per Devœ si manifesta piuttosto tardi in
Bengala dal XVII sec. probabilmente influenzata dalle dottrine gau∂œya-vaißñava. La bhakti
non ha mai smesso di evolversi dall’antichità diffondendosi ovunque nel sub-continente
indiano giungendo oggi a caratterizzare quasi totalmente ogni tradizione e pratica religiosa
indiana.
Tra il XII e il XVIII sec., altri importanti riformatori vaißñava fondano sette commentando
nuovamente il Vedånta-sütra e la Bhagavad-gœtå come Madhva, Nimbårka e Vallabha,
spostano il culto da Vißñu a Råma come Råmånanda o da Vißñu a K®ßña come Nimbårka,
Caitanya e Vallabha, introducono la figura di Rådhå e legano la bhakti alle teorie estetiche
del kåvya come nella tradizione di Caitanya, Haridås e Hitaharivam†a. Nell’India del Nord-
Est dove più forte era il tantrismo †åkta la tradizione gau∂œya-vaißñava si lascia influenzare
dalle pratiche e dottrine sinistre dando nascita alle sette vaißñava-sahajœya, båul e
kartåbhajå.

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1.2 Råmånanda, Vallabha e Caitanya

Tra il XIV e il XVI sec. nell’India del Nord importanti riformatori vaißñava come Råmånanda
in Uttar Pradesh, Vallabha in Rajasthan e Caitanya in Bengala e Orissa diffusero le loro
dottrine vaißñava e tantriche destre basate sulla bhakti da loro considerata salvifica e
universale. La tradizione vaißñava di Caitanya è definita gau∂œya (bengalese) da gau∂a
(Bengala) poiché si è maggiormente diffusa nell’India del Nord-Est sopratutto in Bengala. Le
dottrine di Råmånanda, Vallabha e Caitanya infuse di gioia e di freschezza, costituivano una
evoluzione delle precedenti tradizioni vaißñava fondate da Råmånuja (XII sec.), Madhva
(XIII sec.) e Nimbårka (XIII secolo) che già avevano accettato la bhakti come mezzo di
liberazione e il tantrismo destro come metodo di culto.
Le tradizioni vaißñava condividono il culto di Vißñu-K®ßña-Råma ma si distinguono per
alcuni a volte importanti punti dottrinali filosofici. La tradizione di Råmånuja è basata sul
Vißñu-puråña, sui pa¡caråtra e sugli inni degli alvar, la tradizione di Madhva è basata sul
Våyu-puråña e sul Mahåbhårata, le tradizioni di Nimbårka, Vallabha e Caitanya sono basate
sul Bhågavata-puråña. L’oggetto di culto della tradizione di Råmånuja è la coppia Lakßmœ e
Nåråyaña, l’oggetto di culto della tradizione di Madhva è Vißñu soltanto, per ambedue
Råmånuja e Madhva, K®ßña è soltanto un avatåra di Vißñu. L’oggetto di culto della
tradizione di Råmånanda è la coppia Sœtå e Råmå, l’oggetto di culto della tradizione di
Caitanya condiviso dalle tradizioni di Nimbårka e Vallabha, è la coppia Rådhå e Krßña. Per
queste tre tradizioni K®ßña è Bhagavån, la fonte di Vißñu e di tutti gli avatåra come Rådhå è
la fonte di tutte le Devœ. In particolare i gau∂œya vaißñava basano l’idea della suprema
divinità di Krßña sul verso 1.3.28 del Bhågavata-puråña. I gau∂œya vaißñava considerano
Caitanya un avatåra di K®ßña o la forma combinata di Rådhå e K®ßña, mentre per tutte le
altre tradizioni vaißñava, Caitanya è soltanto un bhakta di K®ßña, non è K®ßña stesso, né un
suo avatåra.
Råmånuja e Nimbårka dividono la bhakti in disciplinata (sådhanå-bhakti) che consisteva
nell’esecuzione dei doveri prescritti (karman) e in fruttificata (phala-bhakti) ottenuta
grazie alla misericordia (prasåda) di Vißñu per intercessione per ambedue del guru, di
Lakßmœ Devœ per il primo e di Rådhå per il secondo. Per Madhva la bhakti è amore per
Vißñu sommato alla realizzazione (j∞åna) della sua supremazia. Vallabha e Rüpa Gosvåmin
dividono la bhakti il primo in limitata (maryådå-bhakti) dal sentimento della supremazia di
K®ßña e in prospera e nutriente (puß™i-bhakti) caratterizzata dall’amore spontaneo per
K®ßña, mentre il secondo divide la bhakti in regolata (vaidhi-bhakti) e spontanea
(rågånugå-bhakti). In realtà soltanto Vallabha fu un vero e proprio riformatore vaißñava
perché tra questi tre solo lui si dedica alla stesura di testi dottrinali e filosofici mentre pare
che Råmånanda non abbia scritto nulla e che Caitanya abbia composto soltanto lo
Sikßåß™aka (otto versi istruttivi) incluso nel Padyåvalœ di Rüpa Gosvåmin e nella Caitanya-
caritåm®ta anthya cap. 20 di K®ßñadåsa Kaviråja. Neanche gli altri quattro membri del

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pa∞ca-tattva: Nityånada, Advaita Åcårya, Gadadhåra Pañ∂ita e ‡rœvåsa Pañ∂ita hanno
lasciato nulla di scritto.
Perciò, nelle tradizioni di Råmånanda e di Caitanya, il compito dell’elaborazione della
dottrina indispensabile per il tramandarsi della tradizione, fu assunto dai loro successori.
Alcuni studiosi tra i quali S. K. De, mettono in dubbio che Caitanya abbia realmente
conposto anche i pochi versi del Sikßåß™aka attribuendoli piuttosto a Rüpa Gosvåmin. Nella
Caitanya-caritåm®ta, Ådi-lila 1.7.131-139 K®ßñadåsa Kaviråja sostiene che nel Sikßåß™aka sono
contenuti sinteticamente i tre principi fondamentali della dottrina gau∂œya vaißñava, ossia
la relazione (saµbandha) o rasa che intercorre tra K®ßña e tutti gli esseri viventi, il metodo
(abhidheya) di liberazione degli esseri viventi o bhakti e l’obiettivo finale (prayojana) o
l’amore per K®ßña che gli esseri viventi devono manifestare per lui attraverso uno dei
cinque rasa.
Prima di K®ßñadåsa Kaviråja, Jœva Gosvåmin nel ¯a™-saµdarbha prendendo in prestito i
termini saµbandha, abhidheya e prayojana dai grammatici (vaiyåkaraña) e dai logici
(nyåyika), aveva sostenuto che sono l’oggetto del Bhågavata-puråña. Il saµbandha
consistente nella rivelazione delle scritture vaißñava della natura spirituale dell’individuo
(jœva-tattva), della natura spirituale di K®ßña (k®ßña-tattva) e del loro eterno rapporto.
L’abhidheya consistente nella conseguente pratica devozionale (bhakti-tattva). Il prayojana
consistente nell’ottenimento del puro amore per K®ßña espresso in una delle cinque
relazioni fondamentali (rasa-tattva). La forma di K®ßña che sovraintende al principio
saµbandha è Madanamohana, K®ßña che confonde anche Cupido (Madana) e attrae i sensi
dei bhakta distraendoli dagli oggetti dei sensi. La forma di K®ßña che sovraintende al
principio abhidheya è Govinda, K®ßña che assorbe i sensi (go) dei bhakta. Infine, la forma
di K®ßña che sovraintende al prayojana è Gopœnåtha, il signore delle pastorelle (gopœ).
Queste tre forme di K®ßña sono installate nei tre più antichi templi gau∂œya vaißñava di
Vrindavana: Madana-mohana fondato da Sanatåna Gosvåmin, Govinda fondato da Rüpa
Gosvåmin e Gopœnåtha fondato da Madhu Pañ∂ita.
Le tradizioni di Caitanya e Vallabha non saranno esenti da sviluppi di tipo tantrico sinistro
quasi estranei invece nella tradizione di Råmananda focalizzata sul dåsya-rasa personificato
dal råma-bhakta Hanuman e sul rapporto coniugale (svakœya) tra Sœtå e Råma. Le dottrine
esposte da Råmånanda, Vallabha e Caitanya trascuravano l’antico culto di Vißñu-Nåråyana
evolvendo una concezione della divinità di Råma e K®ßña non più intesa solo come l’assoluta
supremazia (ai†varya) di Vißñu che intimorisce e del quale l’essere vivente non può che essere
oggetto di misericordia. Piuttosto Caitanya, Vallabha e i loro epigoni sviluppano una
concezione della divinità di K®ßña con il quale ci si può legare, ed essere ricambiati in vari tipi
rapporti, dal servizio (dåsya-rasa), all’amicizia (såkhya-rasa), all’affetto parentale (våtsalya-
rasa), fino all’appassionato amore coniugale ed extraconiugale (mådhurya-rasa). Gli
esponenti principali delle tradizioni di Råmånanda, Vallabha e Caitanya oltre a trattati
dottrinali produssero una gran mole di poemi e commedie (kåvya) e opere di canto e musica
(saõgita) sia in sanscrito che nelle lingue dialettali diffuse nell’India del Nord.

8
Generalmente nelle tradizioni di Råmånuja e Madhva erano riconosciuta pari dignità ad
ogni bhakta senza discriminazione di casta, tuttavia erano scrupolosamente osservavate le
prescrizioni e proibizioni di endogamia e commensalità e le norme della discriminazione di
genere. Nella setta di Nimbårka e nelle nuove sette di Caitanya, Vallabha e di Råmånanda, i
vincoli di casta e di sesso, pur non essendo eliminati del tutto, sono piuttosto ammorbiditi. In
queste sette per la prima volta l’affiliazione a una tradizione vaißñava viene ufficialmente
allargata anche a individui che benché nati in famiglie mussulmane (yavana5), mostrano
devozione per Råma o K®ßña.
Nella tradizione gau∂œya vaißñava il caso più noto di yavana-vaißñava fu il santo sufi bengali
Haridåsa ∏håkura (XVI sec.) discepolo di Advaita Åcårya. Nella Caitanya-caritåm®ta
anthya cap. 11.1-108 è narrato che quando Haridåsa ∏håkura morì a Jagannatha
Puri, Caitanya danzò con in braccio il suo cadavere e lo seppellì con le proprie
mani. Tuttavia nel madhya 3.63 Caitanya non protesta quando Haridåsa ~håkura si rifiuta
di entrare nella casa di Advaita Åcårya per non contaminarla e di nuovo nel madhya 11.162-
168 Caitanya gradisce che Haridåsa Thåkura dichiari di non si avvicnarsi al tempio di
Jagannåth per non contaminarlo.
Nella tradizione di Råmånanda c’è il sant Kabir (XIV sec.) figlio di un ciabattino
mussulmano che fonda una sua propria setta e Abdul Rahim (1553-1626) autore del Satsai
e poeta di corte di Akbar, mentre nella tradizione di Vallabha c’è il santo sufi e poeta
Saiyad Ibrahim (1534-1619) detto Rasakhan che visse a Vrindavana.
Nelle †ruti più unici che rari erano stati i casi di donne e di †üdra realizzati e soltanto per
mezzo del j∞åna come Ghoßå e Lopåmudrå moglie del ®ßi Agastya nel Rg-veda, Jabala
Satyakåma nella Chandogya-upanißad 4.4.1-5, Gargœ e Maitreyœ nella B®hadårañyaka-
upanißad e la regina Cüdålå nel cap. 6 dello Yogavasiß™ha. Nelle tradizioni di ‡aõkara e di
Madhva, contravvenendo a quanto dice K®ßña nella Bhagavad-gœtå 9.32, le donne e i südra
non sono neanche considerati essere qualificati alla liberazione. Nella tradizione di
Råmånuja tra i dodici alvar (V-X sec.) troviamo alcuni †üdra e Andal (IX sec.) una
bråhmañœ che nel Tiruppavai e nel Nachiyar Tirumoli si immagina giovane gopœ a
Vrindavana e desidera maritare Vißñu nella forma di K®ßña, tuttavia pur essendo bhakta
esaltati non assumono la carica di guru.
Nelle sette di Råmånanda e Vallabha le donne e i †üdra possono ottenere la liberazione ma
non esercitare la funzione di guru. Riflettendo quanto detto dall’ortodosso e conservatore
autore della Manu-sm®ti 2.238-239: “Un uomo di fede deve accettare buone istruzioni e il
più alto dharma anche da un uomo di bassa casta … deve prendere l’ambrosia anche dal
veleno, parole sagge anche da un bambino …”, reiterato nel Måhabharata 12.159.29-30,
K®ßñadåsa Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta, madhya 8.128 afferma: ‘Che sia un vipra
(bråΔmaña erudito), un saµnyåsin o anche un †üdra, chi conosce la scienza di K®ßña
(k®ßña-tattva) è un guru’. Tuttavia, alcuni studiosi sostengono che Caitanya non volesse
rivoluzionare il sistema delle caste, ognuno deve stare al proprio posto e obbedire alle
5 Il termine yåvana deriva dal persiano yauna che indica lo Ionio e si riferisce al mondo greco e grecizzato che
con Alessandro nel IV sec. a.C. raggiunse la Bactriana o Gandhara (Pakistan e Afganistan). Più tardi con lo
stesso termine gli indiani si riferirono ad ogni invasore che veniva da occidente inclusi i mussulmani e gli
europei.

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norme anche se i vaißñava le trascendono. Più tardi tra i gau∂œya vaißñava assumeranno la
carica di guru anche non bråhmaña come il medico (vaidya) Narahari Sarakåra, lo scrivano
(kåyastha) Narottama Dåsa e l’allevatore (sad-gopa) ‡yåmånanda e alcune donne, ma solo
bråhmañœ come Sœtå ~hakurañœ, Jhånavå Måtå, Hemala™å ~hakurañœ e Gaõgåmåtå
Gosvåminœ.

1.3 Biografia di Caitanya

Vi†vambhara Mi†ra meglio noto con il suo nome da samnyåsin Caitanya, nasce a Navadvipa
(Nadiya, Bengala Occ.) durante una eclisse di Luna il 18 Febbraio 1486 giorno di Luna piena
(pürnima) del mese di phålguna, figlio secondogenito di Sacœ Devœ e Jagannåtha Mi†ra, un
bråhmaña originario di Sylhet (Bangladesh). Il fratello maggiore chiamato Vi†varüpa era stato
preceduto da otto sorelle che però erano morte poco dopo il parto. Il neonato venne
soprannominato Nimåi perché nato sotto un albero di neem (margosa indica). Come si
usava allora in Bengala il suo vero nome per sei anni era conosciuto solo dalla madre, dal
padre e dal sacerdote di famiglia per proteggerlo dal malocchio. A dieci anni Vi†varüpa
abbandona la famiglia seguendo un saµnyåsin itinerante e di lui non se né saprà più nulla.
Giunto a quattordici anni i genitori di Caitanya arrangiano il suo matrimonio con Lakßmipriyå,
dopo qualche anno Lakßmipriyå muore in seguito al morso di un serpente mentre Caitanya
era assente per affari. Poco dopo Sacœ Devœ e Jagannåtha Mi†ra arrangiano il suo secondo
matrimonio con Vißñupriyå. Nel 1508 alla scomparsa del padre Caitanya si reca a Gaya6 (Bihar)
per eseguirne i riti funebri (†råddhå). Là incontra il saµnyåsin I†vara Pürœ 7 che lo inizia al culto
vaißñava e alla recitazione del k®ßña-mantra tantrico di dieci sillabe ‘gopœjanavallabhåya svåhå’.
Tornato a Navadvipa, in compagnia del saµnyåsin tantrico Nityånanda e dell’anziano e
rispettabile bråhmaña Advaita Åcarya, Caitanya dà inizio con pochi intimi a casa di ‡rœvåsa
Pañ∂ita ai gruppi dediti alla danza e al canto dei nomi di K®ßña e delle canzoni (bhajana e
kœrtana) che riguardano i passatempi (lœlå) di K®ßña. Durante questi incontri Caitanya e i suoi
compagni erano spesso sopraffatti da intense emozioni devozionali. In seguito il fenomeno
divenne congregazionale quando i gruppi guidati da Caitanya uscirono per le vie di Navadvipa
(nagara-saõkœrtana) e coinvolsero l’intero villaggio.

6 Prima che hindü, Gåyå era stata una antica località di pellegrinaggio buddhista nei pressi della quale, a Bodh
Gaya, il Buddha ottenne l’illuminazione. Con la scomparsa del buddhismo Gaya divenne un importante luogo
sacro vaißñava e particolarmente indicato allo svolgimento dei riti per i defunti.
7 Kavikarñapura nel Gauraganodde†adœpika e Baladeva Vidyåbhüßaña nel Prameya-ratnavali sostengono che
Œ†vara Purœ era un saµnyåsin della madhva-saµpradåya discepolo di Madhavendra Pürœ a sua volta discepolo
di Lakßmipati Tirtha, ma il titolo purœ è uno dei dieci titoli (da†anåmin) assegnati ai saµnyåsin della ‡®õgerœ
Ma™ha della †aõkara-saµpradåya. I saµnyåsin della madhva-saµpradåya sono tutti chiamati tirtha da
Ånanda-tirtha o Madhva. Vista la lontananza e le numerose differenze dottrinali e rituali che separano la
tradizione gau∂œya da quella di Madhva sottolineate da B. N. K. Sharma in “History of the Dvaita School of
Vedanta” (1961), è piuttosto improbabile che Caitanya sia stato iniziato da un saµnyåsin appartenente a
quella tradizione che del resto ufficialmente non riconosce Madhavendra Pürœ tra i suoi saµnyåsin né alcun
legame con Caitanya. Tra le differenze dottrinali si può notare che secondo Madhva soltanto i bråhmaña
possono ottenere la liberazione, che Laksmi Devœ è un jœvåtman ordinario e che Madhva stesso è una
incarnazione di Våyu, Hanumat e Bhœma. Poiché secondo la tradizione fu Madhavendra Purœ a scoprire e a
installare l’immagine di ‡rœnåthjœ a Govardhana (Mathura) ora adorata nel loro quartier generale a
Nåthadvara (Rajasthan), i membri della vallabha-saµpradåya sostengono che Madhavendra Purœ appartiene
alla loro tradizione.

10
Presso le tradizioni ortodosse (vaidika o smårta) ed eterodosse (tåntrika), la recitazione dei
mantra era praticata soltanto in modo riservato e sommesso (japa). L’idea era che i mantra
devono essere tenuti segreti altrimenti perdono la loro potenza. Anantåcårya (XII sec.), nel
Prapannåm®ta, una biografia di Råmånuja, narra di un importante caso di rottura di questa
ferrea regola. In una occasione Råmånuja per favorire chiunque senza considerazioni di
qualificazione e purezza rese pubblico il vißñu-mantra tantrico di otto sillabe: ‘oµ
namo’nåråyañåya’ contenente il nome di Vißñu-Nårayaña appena ricevuto dal proprio guru
Yamunåcårya. Caitanya non fu il primo a dare valenza di mantra ai nomi di Vißñu o K®ßña e a
considerare meditazione la loro recitazione, ma fu certamente colui che più enfatizzò il canto
privato per mezzo del rosario (jåpa-måla) e pubblico (bhajana e kœrtana) dei nomi di K®ßña e
la danza a metodo di realizzazione spirituale per tutti e ovunque. Nelle tradizioni vaißñava
dell’India del Sud dei vaikanasa, di Råmånuja e di Madhva precedenti a Caitanya era
praticata la recitazione dell’inno dei mille nomi di Vißñu (vißñusaha†ranåma-stotra) tratto
dal cap. 149 dell’Anu†åsana-parvan del Mahåbhårata in associazione al culto dell’immagine
sacra di Vißñu.
Le canzoni (pada) dei kœrtana gau∂œya vaißñava raccolte nel Padakalpataru compilato da
Vaißñava Dåsa(XVIII sec.), per lunghezza e soggetto somigliano molto ai bhajana e ai kathå
delle precedenti tradizioni vaißñava dei vårkarœ e degli haridåsa del Maharastra. Altri
movimenti devozionali vaißñava che enfatizzano la recitazione dei nomi di Vißñu e K®ßña,
che utilizzano pratiche tanrico-yogiche furono quelli dei mahånubhåva e dei dasakuta
diffusi in Maharastra e Karnataka dei quali i più antichi esponenti furono rispettivamente
Cakradhåra Svåmin (XII sec.) e Nåmdev (1270-1350).
L’antologia di canzoni (pada) gau∂œya Padakalpataru di Gokulånada Sena (XVIII sec.)
raccoglie circa tremila pada che celebrano i lœlå di Rådhå e K®ßña composte da Narahari
Sarakåra, Narottama Dås, Govinda Dås, Balaråma Dås e J∞åna Dås e molto altri tra il XVI e
il XVIII sec. L’opera è divisa in quattro capitoli o rami (†åkhå), a loro volta divisi in 11, 24,
31 e 36 rami minori (pallava) che contengono i pada. I pada tutti preceduti da una
invocazione a Gauråõga (gauracåndrikå) e sono classificati in base all’età di K®ßña a cui si
riferiscono, ai lœlå che narrano e ai sentimenti devozionali (bhåva) che evocano.
Fin dal tempo di Caitanya la procedura di esecuzione dei kœrtana è complessa. Deve essere
preceduta dall’offerta di fiori, incenso, ecc. al cantante leader e agli strumenti musicali, in
genere tamburi di coccio (m®dåõga) e cembali di ottone (karatåla). Il leader canta una
canzone dopo l’altra accompagnato dai musicisti con i loro strumenti che in coro ripetono
il verso o il ritornello. Nel corso del canto delle canzoni il ritmo gradualmente aumenta, il
cantante, i musicisti e il pubblico si eccitano fino allo spasmo e alla manifestazione dei
cosidetti sintomi estatici (såttvika-bhåva). Al termine dell’esecuzione, gli strumenti sono di
nuovo adorati e appesi a un chiodo alla parete, poiché come strumenti sacri, non devono
toccare il suolo.
Contemporaneo di Caitanya fu il vaißñava assamese ‡aõkaradeva (1479-1568) che tradusse
il Bhågavata-puråña in assamese e si distinse per il culto esclusivo di K®ßña, l’anticastismo e
l’antitantrismo al punto di non riconoscere Rådhå e di rifiutare il culto delle immagini

11
sacre di K®ßña. A Navadvipa Caitanya raccolse gradualmente attorno a sé un gran numero di
seguaci, ma le sue nuove pratiche spirituali e i suoi impegni con i seguaci lo portarono a
trascurare la sua vita matrimoniale che infine abbandonò nel Gennaio del 1510 a ventiquattro
anni lasciando casa e famiglia per accettare l’ordine di rinuncia (saµnyåsa).
Secondo alcuni ricercatori Caitanya attaccava direttamente gli smarta e i †åkta predicando
che Nell’oscura era di kali (kali-yuga) i sacrifici (yaj∞a) e la recitazione dei mantra (mantra-
sådhanå) erano obsoleti. Secondo lui in questa epoca il solo metodo di realizzazione
spirituale era la recitazione dei nomi di K®ßña (nåma-saõkœrtana). Ma ciò toglieva ai
bråhmaña di Navadvipa le fonti di sostentamento e il riconoscimento del loro ruolo sociale,
ovviamente i bråhmaña gli si rivoltarono contro e lo costrinsero a lasciare Navadvipa e
stabilirsi a Jagannatha Puri. Nella Caitanya-caritåm®ta ådi cap. 17 è narrato che Caitanya
preoccupato dalla mancanza di rispetto nei suoi confronti manifestata dai seri e colti
bråΔmaña ortodossi di Navadvipa, decide di diventare saµnyåsin perché i saµnyåsin erano
generalmente rispettati da tutti. Ke†ava Bhåratœ, un samnyåsin della †aõkara-saµpradåya lo
condusse a Katwa (Bardhaman, Bengala) dove lo iniziò al samnyåsa e gli conferendogli il
nome Caitanya. Ancor oggi a Katwa nel cortile del tempio di ‡iva dove si svolse la cerimonia
c’è un monumento (ke†a-samådhi) dove sono conservati i capelli rasati del nuovo
samnyåsin.
Secondo alcune fonti Ke†ava Bhårati il cui nome prima di diventare saµnyåsin era
Kålœnåtha Åcårya, era nativo di Kulya nei pressi di Navadvipa. Il titolo bhåratœ è attribuito ai
saµnyåsin della tradizione di ‡aõkara della ‡®õgerœ Ma™ha (Chikamagalur, Karnataka) e
Caitanya è il nome attribuito dai bhåratœ ai propri assistenti brahmacårin aspiranti
saµnyåsin. La cerimonia di accettazione del saµnyåsa introdotta da ‡aõkara deriva dalla
cerimonia buddhista di ordinazione dei monaci. Nella †aõkara-saµpradåya l’accettazione
del saµnyåsa è celebrata dal saµnyåsin guru e da almeno altri tre saµyåsin e dura due
giorni, tuttavia può essere semplificata riducendosi alla presenza del solo samnyåsin guru e
alla durata di una sola notte. Il primo giorno dopo un bagno il novizio candidato al
saµnyåsa esegue le sue ultime offerte agli antenati (†råddha) e dona tutto ciò che possiede
ai bråΔmaña.
Il secondo giorno il novizio si spoglia, fa il bagno e poi corre nudo dal samnyåsa-guru che
gli dà il perizoma (kaupœna o laõgoti), gli altri saµnyåsin gli spalmano della cenere del
fuoco sacrificale sul corpo, gli tagliano il filo sacro (upavœta), gli rasano il capo compreso il
ciuffo di capelli (†ikhå) e gli danno il panno di cotone arancio (kåßåya) con il quale d’ora
in poi cingerà i fianchi. Poi il novizio pronuncia tre volte di fronte ai quattro saµnyåsin la
formula della risoluzione (praißa-mantra) con il quale promette di astenersi da qualunque
atto di violenza verso ogni essere vivente (abhaya-dåna)e pronuncia tre volte la formula
“samnyåsto’ ham” io ho rinunciato, con la quale fa voto di rinunciare per sempre ad ogni
desiderio di proprietà, ai legami familiari e ai privilegi di casta. Dopo di che il novizio da
una offerta simbolica (dakßiña) al saµnyåsin guru che lo abbraccia e gli rivela all’orecchio

12
destro uno dei quattro mantra settari (mahåvakhya8) preceduto dal pråñava-mantra oµ e
gli conferisce il nome da saµnyåsin che termina con uno dei dieci canonici titoli.
La cerimonia deve essere completata con il viraja-homa eseguito a mezzanotte del quale il
nuovo saµnyåsin inala il fumo per interiorizzare il fuoco sacro al quale dovrà offrire da
allora in poi il cibo di cui si nutrirà. Al termine del viraja-homa il nuovo saµnyåsin getta
nel fuoco sacro i mestoli usati per le oblazioni e più tardi estingue il fuoco. Infine esegue
un’ultimo †råddha per sè stesso che rappresenta il suo rito funebre (anthyeß™hi-saµskåra) e
riceve dal saµnyåsin-guru il bastone (eka-dañ∂a) di bambù diritto e dai sette nodi dal
quale non dovrà mai separarsi, conservare dentro una sacca e nno poggiare mai a terra.
Sopra l’ultimo nodo del dañ∂a è fissato parallelamente un rametto di legno di palå†a
(butea frondosa) legato al dañ∂a con 64 giri di filo brahmanico (yaj∞a-upavœta 9). Il dañ∂a è
uno dei cinque simboli del samnyåsa oltre al cappio (på†aka), al vaso (kamañ∂alu), al
colino per l’acqua (pavitraka) e alla ciotola (bhikßa-påtra) per la questua. Il samnyåsin è
morto alla società, non appartiene a nessun varña ne ha più alcun dovere e ha già eseguito
i suoi riti funebri, pertanto quando muore non va cremato, ma inumato in posizione seduta
a gambe incrociate o gettato in un fiume sacro. Avendo rinunciato a tutti i tipi di fuoco, il
samnyåsin non può più eseguire sacrifici (yaj∞a), scaldarsi né cucinare, deve mendicare
ogni giorno il suo cibo o deve essere accompagnato da un brahmacårin che cucina per lui.
Come saµnyåsin, Caitanya deve abbandonare la famiglia, potrebbe stabilirsi in qualche
luogo santo (tœrtha10), oppure vivere itinerando da un luogo santo all’altro, Caitanya decide
di recarsi a e poi a Jagannatha Puri passando per Bhuvane†våra (Orissa). K®ßñadåsa
Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta madhya-lœlå 5.148-153, narra che Nityånanda
approfittando di un periodo di incoscienza estatica di Caitanya abbia rotto e gettato il
dañ∂a di Caitanya, procurandogli dispiacere al risveglio. Nelle varie biografie è detto che
Caitanya si dedicava al canto dei nomi di K®ßña o al ricordo dei suoi lœlå non alla

8 I quattro mahåvakhya sono: praj∞åna brahma dal Rg-veda per la Govardhana-ma™ha di Jagannatha Puri
(Orissa), ahaµ brahmåsmi dallo Yajur-veda per la ‡®õgeri-ma™ha di Chikkamagaluru (Karnataka), tattvamasi
dal Sama-veda per la Dvåraka-ma™ha di Dvaraka (Gujarat) e ayamåtmå brahma dall’Atharva-veda per la
Jyotir-ma™ha di Badrinath (Uttarakhand). Poichè Caitanya è stato iniziato da un Bharati il suo mantra doveva
essere quello della ‡®õgeri-ma™ha, tuttavia pare che egli non abbia accettato il mahåvakhya assegnatogli
preferendo continuare a recitare i nomi di K®ßña.
9 Il filo brahmanico è costituito da tre fili di cotone legati da un particolare nodo detto brahma-granthi, ogni
filo è a sua volta costituito da tre fili intrecciati.
10 Il termine tœrtha letteralmente guado o passaggio per gli hindü indica i luoghi dove si può più facilmente
ottenere la liberazione. Secondo alcuni studiosi, in origine il visitare i luoghi sacri (dhammayatra) fu sancito
da A†oka nel III sec. a.C. che stabilì gli otto luoghi sacri legati al Buddha (atthamahathanani). Quattro luoghi
erano riferiti alla vita del Buddha: Lumbini (Rupandehi, Nepal), Bodhgaya (Gaya, Bihar), Sarnath (Varanasi,
Uttar Pradesh.) e Kushinagar (Uttar Pradesh) e altri quattro erano riferiti ai suoi più importanti eventi
miracolosi: Sravasthi (Gonda, Uttar Pradesh), Sankasya (Farrukhabad, Uttar Pradesh), Rajgir (Nalanda,
Bihar) e Vai†ali (Bihar). Con il declino del buddhismo, l’hinduismo si è appropriato dei precedenti luoghi
sacri buddhisti e né ha creato molti altri. Nel corso dei secoli si è stratificata una vera e propria geografia
sacra con numerosi circuiti di pellegrinaggio, in pratica si dice che in India non esista provincia, che non
vanti la presenza di un qualche più o meno importante luogo di pellegrinaggio per questa o quella setta
hindü, sikh, sufi, ecc. La santità dei luoghi può essere dovuta a divinità o santi là apparsi o vissuti o a fatti
mitologici. Possono essere sacre città, romitaggi, fiumi, montagne, grotte, laghi, alberi, ecc. Per gli hindü sono
sacri sette fiumi: Gaõgå, Yamunå, Godavarœ, Sarasvatœ (oggi inesistente), Narmadå, Sindho e Kaverœ e sette
città: Ayodhya (Uttar Pradesh), Mathura (Uttar Pradesh), Gaya (Bihar), Varanasi (Uttar Pradesh), Avanti
(Ujjain, Madhya Pradesh), Haridvara (Uttarakhand) e Dvaraka (Gujarat). Dvaraka è anche tra le quattro
località sacre che si trovano ai quattro punti cardinali dell’India: Badrinath (Uttarakhand), Jagannatha Puri
(Orissa) e Ramesvara (Tamil Nadu). Per gli †åkta sono sacri i 51 (o 64, 108) luoghi deputati al culto di Devœ
(†akti-pœ™ha`), per i vaisñava i 108 vaißñava-tœrtha e per gli †aiva le località dove si trovano i 68 †iva-liõga auto-
manifestati (svayamprakå†a-liõga), i dodici liõga lucenti (dvadasa-jyotir-liõga) e i cinque liõga elementari
(pa¡ca-bhüta-liõga).

13
meditazione sui quattro mahåvakhya, pare quindi che Caitanya dopo la cerimonia del
saµnyåsa alla quale probabilmente si sottopose a una versione accorciata, non né seguì
tutte le regole.
Il percorso di Caitanya è piuttosto inusuale, si sposa due volte, ma non ha figli, accetta il
saµnyåsa che prevede una vita itinerante, ma dopo qualche anno di pellegrinaggi, si stabilisce
a Jagannatha Puri per non allontanarsi troppo dalla madre e dai compagni di Navadvipa che
ogni anno lo vanno a trovare in occasione del grande festival dei carri (ratha-yatra). Oltre a
questo, Caitanya non ha discepoli, ha soltanto compagni e seguaci già iniziati per conto loro
che lo considerano una incarnazione di K®ßña o un guru istruttore. Nel corso dei primi sei anni
di residenza a Jagannatha Puri, Caitanya intraprende un viaggio nei più importanti luoghi di
pellegrinaggio dell’India centrale e del Sud India a quel tempo sotto il controllo dell’impero
Vijayanagara. Nella Caitanya-caritåm®ta madhya cap. 9 è narrato che Caitanya visita senza
distinzione siti vaißñava e †aiva, visita la Råmånuja Ma™ha a Shrirangam (Tamil Nadu), la
Madhva Ma™ha a Udupi (Karnataka) e la ‡riõgeri Ma™ha (Kerala). I bråhmaña locali del
tempio di Ådike†ava a Thiruvattar (Tamil Nadu) gli donano un frammento della Brahma-
samhitå, un capitolo di testo tantrico risalente pare al XIII sec. che assumerà grande
importanza teologica per i gau∂œya vaißñava, mentre quelli del tempio di Vitthalnåth a
Pandarpur (Maharastra) gli donano la K®ßñakarñåm®ta, un poema devozionale di
Bilvamaõgala (XIII sec.) anch’esso molto caro ai gau∂œya vaißñava.
Nella Caitanya-caritåm®ta madhya cap. 1 e 16 è narrato che ritornato a Jagannatha Puri,
Caitanya riparte per Vrindavana ma passa per il Bengala dove a Ramakeli (Maldah)
incontra Rüpa e Sanatåna Gosvåmin e a Shantipur incontra per l’ultima volta sua madre
Sacœ Devi. Giunto a Mathura allora controllata dai sultani della dinastia Lodi di Delhi visita
Vrindavana e l’area di Vraja. Nella Caitanya-caritåm®ta madhya cap 19 e nell’anthya cap. 1 è
narrato che Caitanya incontra di nuovo Rüpa Gosvåmin a Prayaga e poi al ritorno a
Jagannatha Puri. Nei sei cap. del madhya 19-24 è narrato che Caitanya nel ritornare a
Jagannatha Puri incontra istruisce a lungo Sanatåna Gosvåmin a Varanasi e nell’anthya cap.
4 lo incontra per l’ultima volta a Jagannatha Puri.
Caitanya trascorre a Jagannatha Puri i rimanenti diciotto anni di vita senza più allontanarsene
strettamente sorvegliato da alcuni intimi compagni la cui principale occupazione era
proteggerlo dai suoi atti di pazzia estatica provocati da intensi sentimenti devozionali. Caitanya
scompare in modo misterioso a Jagannatha Puri a quarantotto anni nel 1553 nel giorno di
†ukla-saptami del mese di åßådha. Alcune fonti affermano che Caitanya scomparve
penetrando nella statua di legno di Jagannåtha nel grande tempio o nella statua di pietra
di K®ßña nel tempio di To™å Gopinåtha a Jagannatha Puri. Per altre fonti scomparve
nell’oceano, fu assasinato dai sacerdoti del tempio di Jagannåtha invidiosi dell’influenza
che egli aveva su Pratapårudra. Jayånanda Mi†ra nel Caitanya-maõgala, Uttara Khanda 119-
155, narra che Caitanya morì di febbre settica causata da una ferita a un piede che si
procurò durante la partecipazione al ratha-yatra.11

11 Lo stesso resoconto della morte di Caitanya è stato trovato descritto in un antico manoscritto attribuito a
Mådhava Pattanaik datato 1535, due anni dopo la scomparsa di Caitanya.

14
In ogni caso a Jagannatha Puri non c’è alcun monumento funebre (samådhi) dove sono
raccolte le sue ceneri o spoglie mortali. In molti passi delle sue biografie come nei cap. 18 e
25 del madhya-lœlå della Caitanya-caritåm®ta, è detto che Caitanya a Navadvipa scoraggiava i
suoi seguaci a considerarlo una manifestazione divina (avatåra) di K®ßña, anche se altrettante
volte egli si rivelava a loro come tale. K®ßñadåsa Kaviråja nella Caitanya-Caritåm®ta in più
occasioni riporta che quando Caitanya era pervaso dai sentimenti devozionali che i bhakta o
Rådhå provano per Krßña, non tollerava che i suoi seguaci si rivolgessero a lui come K®ßña.
Caitanya possiede più livelli di identità che lo accompagnano per tutta la vita e lo rendeno al
contempo oggetto di adorazione (upasya) come K®ßña o come Rådhå e modello di devoto
adoratore (upåsaka) come bhakta di K®ßña.
In Bengala erano presenti varie sette tantriche hindü, sufi e quel che ancora rimaneva delle
sette buddhiste sahajayåna. I mussulmani insediati a Gaur, Pandua (Maldah) e Navadvipa
governavano il Bengala dal 1204 quando Bakhtiyar Kilji (?-1206) aveva cacciato gli hindü
sena più ad Est. Alcuni ricercatori ravvedono nella pratica delcanto dei nomi di K®ßña e nella
danza (nagara-saõkœrtana) inaugurati da Caitanya a Navadvipa, la probabile l’influenza delle
pratiche sufi. Non deve essere una casuale coincidenza se cinque sono gli oggetti di culto dei
vaißñava-gau∂œya, il pa∞catattva: Caitanya, Nityånanda, Advaita, Gadadhåra e ‡rœvasa come
cinque sono le sante personalità (pakpañjatan) dell’islam sciita: Muhammad, Ali, Fatima,
Hasan e Husain e cinque sono i dhyåni Buddha (pa∞catathågata) del buddhismo mahåyåna:
Amogasiddhi, Vairocana, Amitabha, Ratnasambhåva e Akßobya. Il sufismo o misticismo
islamico apparso tra il Medio Oriente e la Turchia nell’VIII sec d.C., si diffuse in India al
seguito delle dinastie turco-afgane che penetrarono da Ovest nella piana gangetica nel IX
sec. Nel confronto tra islam e hinduismo, probabilmente per arginare la conversione
all’islam dei membri appartenenti alle caste più basse e oppresse, nacquero numerose
nuove sette tantriche e devozionali monoteiste sagüni e nirgüni che fecero propria in varia
misure la condanna delle discriminazioni di casta. Le principali scuole sufi diffuse
nell’India del Nord furono i surhavardi, i qadiriyya e i naqshbandi provenienti dalla Persia,
i chisti provenienti da Herat (Afganistan) e i firdausi fondati in Bengala. Queste sette
erano influenzate dalle dottrine moniste dei sufi persiani Al-hallaj (858-922), Al-ghazali
(1058-1111) e Rumi (1207-1273), del sufi andaluso Ibn-arabi (1165-1240) e del punjabi Baba
Farid (1188-1280).
Le sette sufi proponevano una duplice lettura del Korano, una ordinaria (zåhir) basata
sulla legge (sharya) e una esoterica (båtin) basata sulla gnosi mistica (ma’rifat). In India le
sette sufi adottarono tecniche di respirazione (hadsidam) simili al pråñayåma e tipi di
meditazione (muraqaba) su quattro punti disposti lungo la spina dorsale (latipha) simili ai
cakra degli yogin. In particolare, la meditazione sufi basata sulla recitazione individuale
(dhikr12) a voce alta (jalœ) e a voce bassa o mentale (khafœ) con il rosario (tasbi) dei nomi di
Allah o di formule come la nota kalima: lå ‘ilåha ‘ilà’llåh ‘Non c’è altro Dio che Dio’ e il
canto pubblico di inni e devozioni (ghazal e quwali), sono simili alla recitazione con il rosario
12 Il termine dhikr letteralmente significa ricordo. Nel Korano sono menzionati 99 nomi di Allah e alla loro
recitazione è attribuita grande importanza. Il versetto 73.8 recita: ‘Ricorda il Signore e dedicati
completamente a lui’, il 33.41: ‘Fedeli, ricordate sempre il Signore, glorificatelo mattina e sera‘ e il 29.45: ‘La
preghiera protegge dall’indolenza e dal male, ma il vostro più importante dovere è ricordare Allah.’

15
(japa-målå) e al canto pubblico (bhåjana e saõkœrtaña) dei nomi e dei divertimenti (nåma e
lœlå) di K®ßña. Molto simili sono anche l’enfasi all’amore per Dio tradotto nei ghazal nei
termini dell’amore mondano, le parossistiche espressioni estatiche provocate dal canto dei suoi
nomi e l’intensa devozione riservata al maestro (murshid, pœr o guru) dai discepoli (murid o
†ißya) e all’importanza attribuita alla catena di successione disciplica (barakah o guru-
paramparå).
A loro volta in tutta l’India del Nord dal Sindh al Bengala alcune sette sufi furono molto
influenzate dal tantrismo hindü e buddhista. In Bengala il sufi Shaikh Zahed (XV sec.)
compose il poema in versi bengali Adyaparichaya, Sayyed Sultan (1550-1648) compose il
J∞ånapradœpa e Ali Reza (XVII sec.) compose il J∞ånasågara e lo Yogakalandar o lo yoga
dei qalandariyah. Tutti e quattro le opere erano molto influenzate dalle dottrine tantriche
dei nåth e dei gau∂œya-sahaja.

1.4 Il pa∞catattva

Nell’arco di quasi un secolo sono state scritte una dozzina di biografie di Caitanya, sette delle
quali ci sono arrivate complete: la prima composta poco dopo la scomparsa di Caitanya è il
K®ßñacaitanya-caritåm®ta o Muråri-ka∂aca, un poema sanscrito di Muråri Gupta unico
biografo contemporaneo e intimo di Caitanya a Navadvipa. Muråri Gupta ha per primo
divinizzato Caitanya attribuendogli l’identità di K®ßña e stabilito la cronologia standard
della vita di Caitanya seguita quasi fedelmente da tutti i successivi biografi. Qualche anno
dopo segue il monumentale Caitanya-bhågavata in versi bengali di V®ndåvana Dåsa, un
discepolo di Nityånanda, seguirono le biografie secondarie come il Caitanya-maõgala in
versi bengali di Locana Dåsa, il controverso Caitanya-maõgala in versi bengali di Jayånanda
Mi†ra, il K®ßñacaitanyacaritåm®ta-mahåkåvya in versi sanscriti di Kavikarñapüra e il
Caitanyacandrodaya-nå™aka una raffinata opera teatrale in sanscrito di Kavikarñapüra.
L’ultima e più importante biografia di Caitanya, sofisticata e ricca di contenuti teologici, fu il
Caitanya-caritåm®ta13 in versi bengali e sanscriti di K®ßñadåsa Kaviråja. Il Caitanya-maõgala di
Jayånanda si discosta dalla tradizione gau∂œya vaißñava poiché compone la sua biografia
nello stile dei maõgala-kåvya, un genere letterario molto popolare in Bengala tra il XV e il
XIX sec. che promuoveva il culto di Candœ, Månaså, Sœtalå e altre divinità femminili eccetto
il solo Dharma, una forma di ‡iva-Buddha. Come i maõgala-kåvya, il Caitanya-maõgala è un
testo che deve essere cantato in accordo a particolari råga della musica classica indiana.
Secondo i canoni occidentali tutte queste biografie hanno scarso valore storico, in pratica il
loro studio comparato più che darci informazioni sulla vita di Caitanya, può dare un’idea dello
sviluppo delle dottrine settarie sull’interpretazione dell’identità divina di Caitanya. Le
differenze dottrinali circa l’identità divina di Caitanya che si notano tra le varie biografie si
giustificano col fatto che fin dalla scomparsa di Caitanya nacquero varie e separate sette
gau∂œya vaißñava fondate dai suoi seguaci diretti e più tardi dai loro discepoli. Alcune di queste
13 Nella letteratura sanscrita il caritam (atti, condotta) è un genere biografico convenzionale con il proprio
stile narrativo e contenuto inaugurato da A†vagoßa (II sec. d.C.) con il Buddha-carita.

16
sette per meglio accreditarsi come rappresentanti del messaggio di Caitanya, incaricarono
alcuni dei loro membri di comporre delle biografie di Caitanya piegate alla loro particolare
interpretazione dell’identità divina di Caitanya.
Tra i primi e più importanti seguaci di Caitanya a Navadvipa spiccano i quattro suoi compagni
che con Caitanya fanno parte del cosidetto pa∞catattva gruppo di cinque elementi o
personalità: Nityånanda (1474-?) nativo di Ekacakra (Birbhum, Bengala) e otto anni più
anziano di Caitanya, il rispettabile venerando Kamalåkßa (o Kamalåkånta) più noto come
Advaita Åcårya (1434-1539), Gadådhara Pañ∂ita (XV- XVI sec.) e ‡rœvåsa Pañ∂ita (XV-XVI
sec.) Advaita Åcårya affascinato dalla figura di Vi†vaµbhara, divenne uno dei suoi più intimi
compagni e seguaci e con lui trasportò il proprio nutrito seguito di discepoli e familiari. La
prima si definizione della dottrina del pa∞catattva o dei cinque principi appare in origine nel
Gauragañoddeså-dœpikå (1.6-20) di Kavikarñapüra. Essa prevede che Caitanya sia K®ßña stesso
e che Nityånanda sia Ananta-Seßa o Balaråma il fratello di K®ßña, che Advaita Åcårya sia
Mahåvißñu o Sådå†iva, che Gadådhara Pañ∂ita sia una manifestazione di Rådhå e che ‡rœvåsa
Pañ∂ita sia la personificazione del puro bhakta ossia l’incarnazione del saggio puranico Nårada
Munin. Con questa definizione Kavikarñapüra suggeriva che i quattro compagni di Caitanya
erano parti (aõga) del suo corpo come le quattro braccia di Vißñu.
K®ßñadåsa Kaviråja nei cap. 5-7 dell’ådi-lœlå della Caitanya-caritåm®ita accetta ma modifica la
dottrina del pa∞catattva, sostenendo che l’obiettivo della sua manifestazione è la diffusione
della bhakti, lo yuga-dharma. Per poter efficacemente diffondere la bhakti, K®ßña assume
cinque forme (tattva): del k®ßña-bhakta (bhakta-rüpa) come Caitanya, della vera forma del
bhakta (bhakta-svarüpa) come Nityånanda-Balaråma, di colui che ha causato la discesa di
Caitanya (bhakta-avatåra`) come Advaita-Mahåvißñu, della potenza della bhakti (bhakti-†akti)
come Gadådhara Pañ∂ita e dei bhakta come ‡rœvasa Påñ∂ita e gli altri (ådi). Oltre a ciò,
K®ßñadåsa Kaviråja introdusse l’idea della natura androgina 14 di Caitanya, egli è K®ßña e al
contempo è anche Rådhå per via della sua carnagione dorata (Gaura-aõga) come Rådhå. A
questo riguardo i teologi gau∂œya vaißñava citano il Bhagavata-puråña 11.5.31-32: “… ascolta
come nell’età di kali seguendo i vari tantra i saggi lo adorano per mezzo del sacrificio del
saµkœrtana con i suoi seguaci che lo servono come armi nella forma di parti (aõga) e
particelle (upåõga), egli è di carnagione scura (k®ßña), tuttavia chiara (ak®ßña) …”
Inoltre, nell’ottavo capitolo del madhya-lœlå della Caitanya-caritåm®ta, K®ßñadåsa Kaviråja
narra che Caitanya incontra e discute con Råmånanda Råya e infine gli mostra la sua forma
combinata androgina di Rådhå-K®ßña. Poichè l’idea della natura androgina di Caitanya già
circolante da tempo tra le sette bengali sahaja-gau∂œya, non si riscontra in alcuna delle
opere dei sei gosvåmin di Vrindavana, si deduce che fu K®ßñadåsa Kaviråja con la forza della
sua autorità, a introdurla a Vrindavana tra i gau∂œya vaißñava.

1.5 Lo sviluppo post-Caitanya

14 La dottrina e il culto delle divinità combinate delle immagini combinate come Ardhanarœ†vara (‡iva e
Pårvatœ), Hari-Hara (Vißñu e ‡iva), Dattatreya (Bråhmå, Vißñu e ‡iva), Sürya-Nåråyaña e Sürya-‡iva è
riscontrato in varie parti dell’India fin dal V sec d.C.

17
Fin dalla scomparsa di Caitanya a Jagannatha Puri avvenuta nel 1534, in Bengala e in Orissa le
sette gau∂œya vaißñava guidate dai seguaci diretti di Caitanya, appaiono separate e conflittuali.
Tra i gau∂œya vaißñava mancava un canone dottrinale e rituale condiviso, ogni setta aveva
come principale se non unico punto di riferimento la figura carismatica che l’aveva fondata o
coloro che ne erano succeduti alla guida. In questo modo col tempo, ogni setta tramandandosi
si separava e si differenziava sempre più dalle altre. Alcune sette sostenevano il culto di Krßña,
altre il culto congiunto di K®ßña e Caitanya, altre ancora sostenevano il culto di Caitanya
indipendente da quello di K®ßña e altre ancora pur riconoscendo l’identità divina di Caitanya,
ponevano l’accento su Nityånanda o Advaita Åcårya. Per alcuni gau∂œya vaißñava, Caitanya era
una incarnazione di Jagannåtha, per altri di Vißñu, per altri ancora di Rådhå e K®ßña.
Alcune sette pur dichiarandosi gau∂œya vaißñava erano chiaramente influenzate dalle dottrine
nåth, sahajœya e båul. A Vrindavana i sei gosvåmin si erano concentrati sull’esclusivo culto della
coppia Rådhå-K®ßña e sulla teologia dei rasa. Anche se furono i primi a stabilirsi a Vrindavana
e ad erigere i templi più importanti, presto subirono la concorrenza delle altre sette vaißñava
che facevano riferimento a Vallabha, Haridås, Hitaharivam†a e Nimbårka15.
Tutte le sette vaißñava presenti a Vrindavana concorsero a stabilire la sacralità dell’area di Vraja
definita vraja-mañ∂ala identificando le dodici foreste che circondano Mathura e le altre
località legate ai giochi (lœlå) di Rådhå e K®ßña descritti nel decimo skandha del Bhågavata-
puraña. Per tutti vaißñava di Vrindavana, Vraja non era solo un luogo di pellegrinaggio o di
passaggio (tœrtha) dove si può facilmente ottenere la liberazione (mokßa) come Varanasi,
piuttosto era la controparte terrena della dimora (dhåma) spirituale di K®ßña detta goloka-
v®ndåvana. Per sottolineare la supremazia di Vraja su tutti gli altri luoghi sacri dell’India intera,
i vaißñava di Vrindavana, attribuirono al vraja-mañ∂ala una tale estensione territoriale da farne
di gran lunga il più vasto tra tutti i luoghi sacri indiani. 16 In realtà i reperti archeologici
dell’area di Mathura raccontano una storia antica dominata dal buddhismo e dal jainismo.
Nel IV sec., il monaco cinese pilgrim Fa-Hien descrive Mathura come un florido centro di
pellegrinaggio buddhista con oltre venti monasteri e tremila monaci residenti. Già nel VI
sec. un secondo monaco cinese Hsuan-Tsang dice che ci sono anche cinque templi dedicati
a divinità hindü. Il museo archeologico di Mathura oltre alle molte statue buddhiste e jaina
contiene sculture di genii degli alberi e delle acque (yakßa, yakßinœ, någa, någinœ, ecc.),
K®ßña e Balaråma risalenti al III sec. che suggerisce che nella zona dovevano esserci alcuni
antichi templi hindü. Al-Biruni (973-1048) al seguito di Mahmud Ghazni (971-1030) il
primo mussulmano che saccheggia Mathura nel 1017, la descrive come una città
esclusivamente hindü. I sultani di Delhi dal XII sec. fino al moghul Aurangzeb fecero del
loro meglio per cancellare la Mathura hindü e con essa ciò che rimaneva della Mathura

15 Il primo a visitare l’area di vraja è Vallabha nel 1509 ma si reca solo a Govardhana e a Gokula, Caitanya
visita vraja nel 1514 e scopre Vrindavana e il Rådhå kuñ∂a, Hita Harivaµ†a arriva a Vrindavana nel 1534 e
Haridåsa Gosvåmin qualche anno prima.
16 Nella letteratura tantrica la forma del mañ∂ala è frequentemente attribuita agli †aiva e vaißñava-tirtha e
agli †åkta-pi™ha. Gli esempi più noti sono Varanasi, Jagannatha Puri, Kamakhya in Assam e Bhaktapur in
Nepal. Nella metà del XVI sec. il gau∂œya Nåråyåña Bha™™a compose il Vrajabhakti-vilåsa un testo sulla sacra
geografia di Vraja nel cui settimo cap. descrive un pellegrinaggio di 84 kos (circa 260 km.) che attraversa le
dodici foreste che circondano Mathura detto cauråsœ-kos vana-yatra da eseguire durante il mese di kårtikå
(Ott.-Nov.)

18
buddhista. Perciò le più antiche strutture architettoniche sono state ritrovate fuori
Mathura: un padiglione di 84 colonne detto cauråsœ khamba a Mahavan risalente all’VIII
sec. e uno di ottanta detto assi khamba a Kamyavan risalente al X sec.
Secondo quanto è narrato nell’Ånandabhairava di Premadåsa (XVII sec.) un autore vaißñava
sahajœya e nel Bhakti-ratnåkara di Narahari Cakravartin (XVIII sec.), Vœrabhadra, il figlio di
Nityånanda, in Bengala convertì al culto di Caitanya un gran numero di fuoricasta, e in una
particolare occasione oltre duemila monaci e monache rasate (ne∂a e ne∂œ) appartenenti a
sette tantriche buddhiste vajrayåna e sahajayåna. La conquista mussulmana dell’India del
Nord-Est nel XII sec. Con la distruzione dei monasteri e delle università buddhiste causè la
conversione più o meno forzata dei buddhisti all’islam dando origine a varie sette sincretiche
sufi. Il termine persiano pœr (venerabile, anziano), che nell’India del Nord-Est indica i maestri
sufi adorati dopo la loro morte nei cenotafi (dargha) deriva dal sanscrito sthåvira e dal pali
thera che designano gli anziani o antichi monaci buddhisti.
La conversione in blocco dei ne∂a-ne∂œ pare dispiacque ad Advaita Åcårya di Shantipur e ai
gau∂œya-vaißñava ortodossi di Vrindavana che minacciarono di ostracizzare Vœrabhadra dalla
comunità vaißñava. Le minaccie non sortirono effetto e da allora ogni anno a Kardaha
l’evento della conversione dei ne∂a-ne∂œ è celebrato con un festival (melå). Con ogni
probabilità i ne∂a-ne∂œ e altri fuoricasta iniziati da Vœrabhadra crearono la casta dei vaißñava
(jåti-vaißñava), non una vera e propria casta perché, costituita da fuoricasta senza lignaggio
(gotra) ai quali l’iniziazione vaißñava concessa dai guru gau∂œya vaißñava attribuiva un
nuovo tipo di gotra, l’acyuta-gotra che ne faceva membri della famiglia di K®ßña (Acyuta).
Dopo qualche tempo i jåti-vaißñava si strutturarono con guru, regole, templi e riti propri e
cominciarono a considerarsi gli unici veri gau∂œya-vaißñava e depositari delle dottrine
esoteriche di Caitanya. Ai jåti-vaißñava si unirono anche coloro che per qualche motivo
avevano perso la loro casta, vedove e prostitute. In Bengala, gli hindü e i gau∂œya vaißñava
ortodossi continuarono comunque a considerarli intoccabili, ignoranti e a disprezzarli perché
dediti a mendicare, alla promisquità sessuale, alla commensalità intercastale, ad abitudini
impure e a riti tantrici sinistri (våma) retaggio del loro passato sahajayåna.
K®ßñadåsa Kaviråja nei cap. 9-12 dell’ådi-lœlå della Caitantacaritåm®ta, definisce Caitanya come
un grande albero dal cui tronco apparvero molti rami ossia seguaci che a loro volta si
ramificarono ulteriormente. Presso i gau∂œya vaißñava, come in tutte le tradizioni tantriche, a
dare forza alla spinta centrifuga di creazione di sette indipendenti giocò grande rilievo il tipo
di rapporto guida spirituale-discepolo (guru-†ißya) particolarmente esclusivo e molto più forte
del rapporto istituzione religiosa-adepto. Nel Bhågavata-puråña 11.17.27 e nei testi tantrici
come nel cap. 13 del Kulårñava-tantra, è sottolineato che il discepolo deve considerare il
proprio guru come la manifestazione terrena della divinità. A causa della notevole importanza
attribuita al guru che inevitabilmente assume le nocive caratteristiche del culto della
personalità, la scomparsa del guru è sempre un momento di caos nella setta da lui fondata o
guidata. Anche nel caso in cui il guru avesse nominato un successore, frequentemente si
verificano dissidi circa la successione e non è raro che i confratelli del nuovo guru si trovino in
difficoltà e finiscano per lasciare la setta o crearne altre proprie.

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La nascita di una nuova setta può avvenire per vari motivi anche prima della scomparsa del
guru, quando un discepolo viene rigettato dal guru o quando per qualche motivo è il discepolo
stesso che abbandona il guru. La confusione non poteva che aumentare se poi i discepoli oltre
ad avere uno o più guru iniziatori (dikßa-guru) per ogni mantra, potevano avere anche guru
istruttori (†ikßa-guru), figure autorevoli che elargiscono insegnamenti approfonditi che
possono diventare anche più importanti dei guru iniziatori. La linea di discendenza disciplica
(guru-paraµparå) di molte importanti figure gau∂iya è difficile da ricostrire perché non
mancano vuoti temporali e spesso salta attraverso i due tipi di guru. In pratica, basta anche una
breve ma significativa frequentazione perchè chiunque possa essere considerato o considerarsi
discepolo o guru di chiunque altro. Non mancano casi di guru che appaiono in sogno ai
discepoli e rivelano mantra o insegnamenti segreti. Presso i gau∂œya vaißñava solamente la
pratica del canto dei nomi di K®ßña era pubblica mentre la conservazione e la trasmissione dei
mantra e degli insegnamenti esoterici era affidata alla guru-paramparå. Oltre ai mantra
tantrici, erano segretamente trasmessi dal guru i modi tantrici di adorazione (arcåna) diretta
e meditativa dei vari tipi di immagini sacre, ma più importanti e segreti erano gli
insegnamenti che riguardavano il tipo particolare di rapporto che, sotto la guida del guru, il
discepolo coltivava in meditazione (månasœka-sevå) con uno/a specifico/a compagno/a
eterno/a di Rådhå e K®ßña (rågånuga-bhakti).
Finchè Caitanya era in vita i suoi seguaci bengalesi lo raggiungevano per quattro mesi ogni
anno a Jagannatha Puri in occasione del festival dei carri (ratha-yatra) e questo serviva come
momento di riunione e di verifica attorno al leader spirituale della setta. Le confuse radici
dottrinali e le pratiche eterodosse di molte sette gaudœyå, oltre che dividerli, hanno loro
procurato nella società del tempo, molti fraintendimenti e discredito risultando difficile se non
vano distinguerle dalle famigerate sette vaißñava-sahajœya e båul. Numerosi passi della
Caitanyacaritåm®ta come il madhya-lœlå 12.188, ci informano delle frequenti liti tra Nityånanda
e Advaita Åcårya dovute al loro differente carattere e comportamenti. Il colto bråhmaña
Advaita Åcårya era sempre posato e sempre ossequioso delle norme morali e sociali. Mentre
Nityånanda spesso assumeva atteggiamenti bizzarri o estremi da insofferente a tutte le regole
(avadhüta) e incurante di dare il buon esempio come chi è situato al più alto livello di distacco
dal mondo. Il titolo avadhüta era attribuito in origine agli asceti appartenenti ad alcune
sette tantriche †aiva, †åkta e dei nåth. Altro titolo che qualifica i più elevati asceti è
påramahamsa, letteralmente supremo cigno, poichè in virtù dell’elevato grado di rinuncia,
può avere a che fare con il mondo, ossia donne, denaro, fama, ecc., senza esserne
contaminato, come il cigno con il becco riesce ad estrarre solo il latte da una miscela di
latte e acqua.
E. Dimock nel suo ‘The place of the hidden moon’ (1989) sostiene che Nityånanda era un
asceta †åkta divenuto vaißñava dopo aver incontrato Caitanya. In età matura Nityånanda si
sposò con due giovani ragazze, Vasudhå e Jåhnavå e per gli anni che gli rimasero da vivere,
condusse un tipo di vita piuttosto eccentrica mostrando ben poca della semplicità e
austerità che dovrebbero caratterizzare i vaißñava e che per questo venne chiamato
avadhüta. I seguaci di Nityånanda basati a Kardaha (Raiganj, Bengala Occ.) guidati da

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Jhånavå Devœ e Vœrabhadra, moglie e figlio di Nityånanda, e Råmacandra, figlio adottivo di
Jhånava Devœ, tentarono un percorso di separazione dai gau∂œya vaißñava di Navadvipa.
Dapprima si concentravano sul culto della coppia Nitai-Nimåi (Nityånanda e Gauråõga)
vedendo in essi le manifestazioni di Balaråma e Krßña coltivando il sentimento di amicizia
(såkhya-rasa), ma più tardi conquistati dalla teologia dei rasa dei sei gosvåmin di Vrindavana,
passarono anch’essi al culto di Rådhå e K®ßña e alla coltivazione del mådhurya-rasa.
Influenzati dalle dottrine sahajiyå, nel corso del XIX-XX sec., i seguaci di Nityånanda si sono
gradualmente degradati divenendo disprezzati gosvåmin che si mantengono con il sistema
del kula-guru.
Nel corso del XVII sec. anche la setta dei discendenti di Advaita Åcårya di Shantipur
inizialmente guidata da Sœtå ∏håkuråñœ e dal figlio Acyutånanda intraprese un percorso che
gradualmente accentuò le differenze rituali, dottrinali e teologiche dalle altre sette gau∂œya
vaißñava. Nella Caitanya-caritåm®ta ådi cap. 12 è narrato che Advaita Åcårya e Sœtå ∏håkuråñœ
ebbero molti figli, ma in tarda età Advaita Åcårya li ripudiò tutti perché non puri k®ßña-
bhakta, eccetto Acyutånanda che però non ebbe figli. Alla morte di Advaita Åcårya, Sœtå
∏håkuråñœ Acyutånanda e i loro discepoli misero seriamente in discussione la superiorità della
natura divina di Caitanya su quella di Advaita Åcårya. Sœtå ∏håkuråñœ e Acyutånanda erano
diventatati ambedue guru iniziatori (dikßa-guru) di un gran numero di discepoli
trasformando Shantipur in un importante polo del culto di Sœtå ∏håkuråñœ e di Advaita
Åcårya considerati Mahålakßmœ e Mahåvißñu concorrente al culto di Caitanya e Nityånanda
basati a Navadvipa e a Kardaha. A Shantipur furono composte due importanti biografie
particolari di Advaita Åcårya, l’Advaita-praka†a da Œ†åna Någara (XVI sec.), un discepolo di
Advaita Åcårya, e l’Advaita-maõgala di Haricaraña Dåsa (XVII sec.), mentre cenni biografici su
Vœrabhadra sono contenuti nel Prema-vilåsa di Nityånanda Dåsa (XVII sec.)
Altre sette ancora, tra le quali i gauråõga-någarœ basati a Shrikhanda nei pressi di Navadvipa
guidati da Narahari Sarakåra, preferivano il culto della coppia Gadåi-Nimåi (Gadådhara e
Gauråõga), vedendo in essi le manifestazioni rispettivamente di Rådhå e K®ßña e
considerandoli legati dalla relazione amorosa (mådhurya-rasa). I gauråõga-någarœ si
ramificarono nei nådiyå-någarœ17 di Navadvipa nelle cui canzoni bengali (pada) Gauråõga è
l’oggetto d’amore, oltre che di Gadådhara Pañ∂ita e delle due mogli di Gauråõga, Laksmi Devi
e Vißñupriya Devi, anche di tutte le altre giovani donne di Navadvipa. Anche il ruolo di ‡rœvåsa
Pañ∂ita come membro del pa∞catattva fu a lungo controverso. Locana Dåsa nel Caitanya-
maõgala include nel pa∞catattva il proprio guru Narahari Sarakåra di Srikandha al posto di
‡rœvåsa Pañ∂ita. Allo stesso modo altre sette proponevano in quel ruolo altri compagni intimi
di Caitanya a Navadvipa come Muråri Gupta o il sufi Haridåsa ∏håkura.
I discendenti di Nityånanda e di Advaita Åcårya, pur essendo capifamiglia, si attribuirono e
resero ereditario il titolo di gosvåmin, ossia padrone dei sensi, derivante dal titolo svåmin
atttribuito ai då†anåmin-saµnyåsin. Più o meno contemporaneamente, a Vrindavana fecero
altrettanto i capifamiglia (g®hasta) che per incarico di Rüpa Gosvåmin, Sanatåna Gosvåmin,

17 L’idea di Gauråõga che gode delle giovani donne di Navadvipa celebrata dai nådiyå-någarœ è criticata da
Vrindåvana Dåsa nel Caitanya-bhågavata 1.15.28-31.

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Jœva Gosvåmin, Gopåla Bha™™a Gosvåmin, Haridåsa Govåmin 18 e Hitaharivamsa Gosvåmin19 che
si erano occupati come sacerdoti del culto delle loro personali immagini sacre di K®ßña.
Raghunåtha Bha™™a e Raghunåtha Dåsa Gosvåmin, gli ultimi due gosvåmin tra i sei di
Vrindavana, affidarono le loro divinità personali rispettivamente Gaura-Govinda e Rådhå-
Gokulånanda alle comunità dei loro discepoli rinunciati (vairågin) che ancor oggi se né
curano. Probabilmente a quel tempo Rüpa Gosvåmin e gli altri gosvåmin di Vrindavana
ritennero più sicuro, in termini di continuità del culto dell’immagine sacra, affidare
l’amministrazione dei templi da loro fondati ai loro discepoli capifamiglia anzichè ai rinunciati.
Tuttavia questo trasformò i templi in chiuse ed ereditarie istituzioni familiari aventi anche la
funzione di guru della comunità vaißñava, che velocemente furono soggette a fenomeni di
corruzione e degrado.
Analogamente i discendenti di Vallabha si attribuirono il titolo di mahåråja e, godendo dei
privilegi derivanti dal loro status sociale e spirituale, cominciarono ad esigere esose tasse dai
loro discepoli e ad abusare delle loro mogli e figlie. Nel corso del XVII-XVIII sec. in tutta
l’India del Nord, il titolo gosvåmin o gosåin venne frequentemente attribuito ai bråhmaña
leader di ogni tipo di setta hindü sia appartenente all’ordine di rinuncia (samnyåsin o
vairågin) che capifamiglia (g®hashta). Nel corso del XII sec in Bengala probabilmente a causa
della diffusione delle dottrine tantriche kaula, i governanti hindü della dinnastia sena
assegnarono il titolo kulœna (nobile, di buona famiglia) accompagnato da privilegi ai notabili
del regno e ai colti bråhmaña, nel giro di poche generazioni questo titolo divenne ereditario
diventando una sorta di casta.

1.6 Polarizzazione Vrindavana-Navadvipa

Nel XIII sec. il sultano di Delhi Qutbuldin Aibak (1150-1210) invia Bhaktiyar khilji alla
conquista del Bengala. Bhaktiyar khilji sconfigge Lakßmana Sena che si ritira nell’odierno
Bangladesh mentre il Bengala diventa una provincia del sultanato di Delhi. Dal XIV al XVI

18 I gosvåmin del tempio di Rådhå-Baõkibihari riconoscono che Haridåsa Svåmin fosse in origine affiliato alla
nimbårka-saµpradåya, ma che ben presto se né staccò per fondare la propria tradizione. Pare che Tansen
(1506- 1589), il principale musicista della corte di Akbar fosse un discepolo di Haridåsa Govåmin. Secondo
fonti della haridåsa-saµpradåya, Akbar accompagnò Tansen a Vrindavana a visitare Haridåsa Govåmin nel
giardino Nidhivan. Secondo fonti della vallabha-sampradåya, Akbar visitò Sürdås a Govardhana.
19 Hitaharivaµsa arriva a Vrindavana nel 1533 e fonda il tempio di Rådhå-Vallabha nel 1535. Sposa due
mogli, ha figli ma è privo di guru avendo presto realizzato di essere la manifestazione divina (avatåra) del flauto
(vaµ†a) di K®ßña e perciò non avente alcun bisogno di un guru. Riceve lo yugala mantra in sogno direttamente
da Rådhå da lui considerata superiore anche a K®ßña ed è un sostenitore della dottrina del legame coniugale
tra Rådhå e K®ßña (svakœya-rasa), Rådhå è la sposa eterna di K®ßña e sempre unita a lui (nitya-vihåra). Benchè
oltre a Rådhå adori anche K®ßña, Hitaharivaµ†a non si considera di fatto un vaisñava, non riconosce
l’affiliazione ad alcuna saµpradåya vaißñava e i suoi seguaci sono solo capifamiglia (g®hastha). Inoltre non
osserva i due giorni mensili (ekada†i) di digiuno e i quattro mesi di penitenze (caturmåsya), i dieci sacramenti
vedici (saµskåra), l’adorazione di tutte le forme di Vißñu compreso il nero ciotolo di fiume (‡ålagråma-†ilå)
considerato emblema di Vißñu, il segno distintivo vaißñava sulla fronte (ürdhva-puñ∂hra) e la collana di legno
di Tulasœ (kañ™hœ-målå). Per questa particolare tradizione vaißñava, il giardino che si trova nel mezzo di
Vrindavana detto seva-ku¡ja (boschetto del servizio) è il luogo dove K®ßña si dedica al servizio di Rådhå e
dove nelle notti di luna piena, si svolge il cerchio della danza rasa (rasa-lœlå). Nel 1888 i rådhåvallabhi
portarono in tribunale un gosvåmin del clan del tempio di Rådhå-Råmaña che in un suo libro aveva
sostenuto che Hitaharivaµsa era un discepolo di Gopala Bha™™a Gosvåmin e vinsero la causa dimostrando
l’assenza di evidenze storiche. Ancora oggi i gau∂œya contendono ai rådhåvallabhi l’affiliazione di
Prabhodånanda Sarasvati, lo zio saµnyåsin di Gopala Bha™™a Gosvåmin autore del Rådhårasasudhånidhi al
quale però solo i rådhåvallabhi hanno dedicato una ventina di commentari.

22
sec. una serie di dinastie di governatori governano il Bengala, alcune indipendenti da
Delhi, altre non indipendenti. Nel 1576 il moghul Akbar invia il råjput Man Singh I alla
conquista del Bengala, che i moghul conservano fino alla morte di Auranzeb. Nel 1717
un’altra serie dinastia di sultani governano il Bengala indipendentemente da Delhi fino al
1757 quando, con la battaglia di Plassey vinta gli inglesi, la East Indian Company né assume
il controllo. I sultani e i governatori del Bengala si mostrano in genere tolleranti verso gli
hindü, alcuni pañ∂ita diventano loro ministri e poeti di corte. Nell’intera Caitanya-caritåm®ta
più che delle persecuzioni dei mussulmani sono menzionate le critiche ai vaißñava degli †åkta,
degli ortodossi smårta-bråhmaña e dei colti navya-nyåyika di Navadvipa. Solo nel cap. 17
dell’ådi-lœlå è riportato il tentativo del Chand Kazi magistrato di Navadvipa, di fermare senza
successo il någara-saõkœrtana di Caitanya.
A concorrere alle divisioni dei gau∂œya vaißñava nel corso del XVII sec. non mancavano
discussioni circa dove dovesse essere situato il luogo sacro gau∂œya vaißñava per eccellenza.
Caitanya non aveva lasciato alcun testo scritto, non aveva nominato nessun successore, quindi
non aveva fondato nessuna sampradåya. C’erano alcune figure che spiccavano, ma nessuno era
unanimamente riconosciuto dalla massa dei suoi seguaci come il suo principale successore. I sei
gosvåmin inviati a Vrindavana da Caitanya avevano composto una vasta letteratura Rådhå-
K®ßña centrica nella quale sostenevano la supremazia di Vrindavana considerata la controparte
terrena dell’eterna e spirituale goloka-v®ndåvana. Per loro Vrindavana era la suprema dimora
spirituale (dhåma) di Rådhå e K®ßña, non solamente un luogo di pellegrinaggio o di ritiro per
gli ultimi anni di vita dei gau∂œya vaißñava bengalesi.
La maggioranza dei gau∂œya vaißñava presenti a Vrindavana erano bengalesi che vi sostavano
in pellegrinaggio o che vi erano stati inviati là dai loro guru per studiare con i sei gosvåmin e
alla fine vi si erano stabiliti. Malgrado l’indubbia erudizione dimostrata dal numero e dalla
qualità delle loro opere e dalla loro buona reputazione di asceti, i capi delle sette gau∂œya
vaißñava stanziate in Bengala e in Orissa giustamente osservavano che tra i sei gosvåmin solo
Raghunåtha Dåsa Gosvåmin aveva passato lungo tempo con Caitanya servendolo a
Jagannatha Puri per sedici anni. Di fatto nella Caitanya-caritåm®ta K®ßñadåsa Kaviråja narra
che Rüpa Gosvåmin e Sanatana Gosvåmin erano stati istruiti per breve tempo da Caitanya a
Ramakeli (Bengala), a Varanasi (Uttar Pradesh) e a Jagannatha Puri (Orissa). Gopåla
Bha™™a Gosvåmin aveva ospitato Caitanya per quattro mesi a Srirangam (Tamil Nadu)
durante il suo pellegrinaggio nell’India del Sud e Jœva Gosvåmin non lo aveva mai
incontrato.
Per i gau∂œya vaißñava bengalesi, Caitanya era K®ßña stesso (svayam bhagavån), la fonte di tutti
gli avatåra (avatårin) apparso a Navadvipa come l’avatåra dell’attuale epoca di kali (yuga-
avatåra), incaricato della diffusione del dharma (yuga-dharma), ossia il canto congregazionale
dei nomi di K®ßña (nåma-saµkœrtana). Caitanya era vissuto a Navadvipa per 24 anni, aveva
stretto legami famigliari e di amicizia con molti abitanti di Navadvipa, perciò per i gau∂œya
bengalesi, Navadvipa doveva avere maggiore se non pari importanza di Vrindavana. Anche i
gau∂œya bengalesi produssero una vasta letteratura a cominciare dalle biografie di Caitanya,
ma per lo più in lingua bengali, quindi locale e dallo scarso contenuto dottrinale e filosofico.

23
L’intento di questa letteratura era quasi esclusivamente quello di dimostrare che Caitanya è
K®ßña e conferire a Navadvipa lo status spirituale di dhåma di Caitanya. I biografi bengali di
Caitanya idearono ingenui paralleli tra le attività (lœlå) dell’infanzia e della giovinezza di K®ßña
narrate nel Bhågavata-puråña e nell’Harivaµsa e quelle di Caitanya a Navadvipa. Attribuirono
ai famigliari e ai compagni di Caitanya a Navadvipa lo stesso tipo di relazioni (dåsya, såkhya,
våtsalya e mådhurya-rasa) che i famigliari di Krßña e gli abitanti di Vrindavana godevano con
K®ßña a Vrindavana con esiti paradossali, poiché si trattava delle stesse persone
contemporaneamente partecipanti ai k®ßna-lœlå a Vrindavana e ai caitanya-lœlå a Navadvipa.
A Vrindavana, i sei gosvåmin scelsero di comporre opere in sanscrito per conferire
autorevolezza pan-indiana alla dottrina gau∂œya vaißñava non ritenendo adatto a questo scopo
le lingue dialettali. Nello sforzo di accreditarsi presso l’ortodossia brahmanica, i sei gosvåmin
non enfatizzarono la figura di Caitanya e avversarono le tendenze tantriche sinistre, eterodosse
e anticasta che caratterizzavano alcune sette gau∂œya bengali come quelle guidate da
Nityånanda e Narahari Sarakåra.
Gopåla Bha™ta Gosvåmin compose con Sanatåna Gosvåmin l’Haribhaktivilåsa un manuale di
condotta e culto vaißñava, il Satkriyåsåra-dœpikå e il Saµskåra-dœpikå due manuali di esecuzione
dei sacramenti vedici (saµskåra) basati sul Sama-veda per i bråΔmaña-vaißñava. Le opere dei
sei gosvåmin erano basate sul Bhågavata-puråña e su altri vaißñava-puråña e sui vaißñava-tantra
ed erano rivolte all’India intera nel tentativo di stabilire una dottrina dall’ampio respiro che
dialogasse alla pari con le altre più antiche e affermate tradizioni vaißñava. Baladeva
Vidyåbhüßana nella seconda metà del XVIII sec., raccoglie l’ultima sfida e scrive il Govinda-
bhaßya, un commentario gau∂œya vaißñava al Vedånta-sütra che contiene più filosofia vaißñava
che dottrina gau∂œya.
Al tempo di Vi†vanåtha Cakravartin, l’eretico Rüpa Kaviråja discepolo di Mukunda Dåsa, nel
Sårasaµgraha narra che Jœva Gosvåmin umiliò K®ßñadåsa Kaviråja rifiutando la Caitanya-
caritåm®ta l’ultima biografia di Caitanya. Ciò potrebbe essere vero per una prima versione
della Caitanya-caritåm®ta poiché è certo che K®ßñadåsa Kaviråja la completò dopo la
scomparsa di Jœva Gosvåmin. La Caitanya-caritåm®ta conta circa ventitremila versi dei quali
ventimila in bengali e i restanti tremila costituiti da versi sanscriti tratti dalle opere dei sei
gosvåmin, dal Bhågavata-puråña, da altri puråña e tantra vaißñava. Con ogni probabilità,
benché fosse impregnata della dottrina dei sei gosvåmin, Jœva Gosvåmin riteneva che la
Caitanya-caritåm®ta toccasse temi troppo delicati e non esposti in maniera adeguata. Jœva
Gosvåmin temeva che l’assenza di solide basi filosofiche e la semplificazione di certi argomenti
dottrinali potesse produrre incomprensioni e travisamenti come le deviazioni sahajœya già in
atto tra i gau∂œya vaißñava in Bengala e in Orissa.
Del resto Jœva Gosvåmin aveva già composto l’ampio ¯a™-saµdarbha che a suo parere doveva
essere la parola finale di tutta la filosofia e teologia gau∂œya vaißñava, la spiegazione e il
completamento delle opere dei gosvåmin suoi predecessori. Di fatto, più tardi la Caitanya-
caritåm®ta sarà accusata da alcuni gau∂œya vaißñava ‘ortodossi’ e da storici del fenomeno
gau∂œya, di aver incluso o almeno avallato alcune dottrine sahaja-gau∂œya. Il vero intento di
K®ßñadåsa Kaviråja, oltre che di uniformare i dati biografici di Caitanya contenuti nelle

24
precedenti biografie, era quello di combinare le dottrine delle tante sette gau∂œya vaißñava
sorte in Bengala e in Orissa alla scomparsa di Caitanya che forse Jœva Gosvåmin non voleva
neanche prendere in esame.
Nella Caitanya-caritåm®ta, evitando il diretto scontro dialettico, K®ßñadåsa Kaviråja accomoda
le varie dottrine gau∂œya vaißñava allora esistenti ordinandole in ordine gerarchico usando dei
sottili e inconfutabili metodi retorici. Nel testo, in tutti i punti teologici salienti, K®ßñadåsa
Kaviråja fa recitare a Caitanya delle serie di versi tratti dalle opere dei sei gosvåmin di
Vrindavana in modo da conferire indubbia autorità all’interpretazione teologica gau∂œya
vaißñava dei sei gosvåmin. Tuttavia, in alcune parti del testo, Caitanya è piuttosto
indifferente ai confronti dialettici, non dimostra vasta conoscenza delle scritture e
gradualmente è sempre più vittima di estasi devozionali, perciò è improbabile che la
teologia espressa nel testo sia del tutto sua. Malgrado l’insoddisfazione di Jœva Gosvåmin, la
Caitanya-caritåm®ta divenne dapprima in Bengala e poi anche a Vrindavana, la biografia di
Caitanya più importante e diffusa. Questo testo introdusse anche a Vrindavana tra i gau∂iya
l’uso del bengali come lingua devozionale, poetica e canonica come già era da tempo in
Bengala e in oriya in Orissa.
Era noto che Caitanya aveva molto apprezzato i versi in bengali del K®ßña-kœrtaña di Cañ∂œ
Dåsa (XIV sec.) e in lingua avadhi di Vidyåpati (XV sec.) A Vrindavana molti autori avevano
già da tempo composto poemi dedicati a K®ßña nel locale braj-bhåßå adeguandosi alla
tendenza di molte altre tradizioni vaißñava diffuse in tutta l’India. Nella tradizione di
Nimbårka, ‡rœbha™™a (XV sec.) aveva composto lo Yugala-†ataka, in quella di Vallabha Sürdås
(XV sec.) aveva composto il Sürsågar. Hitaharivaµsa Gosvåmin (XVI sec.) aveva composto
l’Hitchauråsœ, Haridåsa Gosvåmin (1512-1575) aveva composto il Kelimal, Mirabåœ (XVI sec.)
aveva composto i suoi bhajana e Bihari Lal Chaube (1595-1663) aveva composto il Bihari-satsai.
Nelle sette devozionali dell’India del Sud, a cominciare dai dodici vaißñava alvar e dai 63 †aiva
nayamnar (dal VI al XII sec.), gli idiomi locali sono la vera lingua della bhakti. Kamban (1180-
1250) aveva composto il Ramavataram, Pillai Lokåcarya (1205-1311) e Manavala Munigal
(1370-1443) del ramo teõgalai della råmånuja-saµpradya, avevano composto tutte le loro
opere in tamil. J∞åne†vara (1275-1296) è il primo a comporre un commentario alla
Bhagavad-gœtå in marathi anziché in sanscrito. K®ttibhåßa (XIV sec.) e Ka†iråma Dåsa (XV
sec.) compongono in bengali le loro versioni del Råmåyaña e del Mahåbharata, Atukuri
Molla (1440-1530) compone il Molla-råmåyaña in telegu, Såralå Dåsa (XV sec.) compone in
oriya il Råmåyaña e il Mahåbharata e Jagannåtha Dåsa (XVI sec.) il Bhågavata-puråña. Tra
gli †aiva, Basava (XII sec.) e Akkå Mahådevœ (XII sec.) compongono poemi in kannada e
Lalla†varœ (XIV sec.) in dialetto del Kashmir. Tutta la letteratura dottrinale dei nåth e dei
sant nirguñi e saguñi a partire dal XII sec., è composta nei vari dialetti hindi dell’India del
Nord.
La bhakti è un fenomeno che riguarda non solo i colti bråΔmaña ma ogni ceto sociale e le
donne, perciò gli idiomi locali sono la lingua più adatta all’espressione devozionale popolare. Il
sanscrito si era sviluppato in una lingua colta ed elitaria, adatta all’espressione poetica (kåvya)
e filosofica (dar†ana), il mezzo standard degli scontri dialettici dei bråhmaña di ogni parte

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dell’India, ma non è mai stata una lingua d’uso ordinario e quotidiano. 20 D.D. Kosambi in ‘An
Introduction to the Study of Indian History’ (1975) sostiene che: “Il sanscrito ha sofferto
per la lunga ed esclusiva associazione alla casta brahmanica che né ha fatto una lingua
ieratica. Non possiede la semplicità di espressione e l’umanità del pali del Dhammapada,
dei versi dialettali di Kabir o di Surdås. E’ una lingua raffinata, intellettuale e poetica che
ha sviluppato un enorme numero di termini filosofici e teologici, ma mancante dei termini
usati dalla gente comune come commercianti, contadini, allevatori, vasai, tessitori, fabbri,
ecc.”
Da un lato l’uso dei dialetti locali nei testi devozionali da parte delle sette vaißñava ha facilitato
la loro diffusione locale, ma per altri versi ha costituito un ostacolo alla loro diffusione oltre i
confini regionali. La tendenza all’uso esclusivo del sanscrito rivela la radicata propensità
all’ortodossia e al conservatorismo dei sei gosvåmin in particolare di Jœva Gosvåmin. Si trattava
comunque di uno sforzo controcorrente. In ambito kåvya dialettale, i sufi Maulana Daud (XIV
sec.) compone il Chandayan in hindi e Malik Jayasi (1477-1542) il Padmavat in avadhi,
mentre Ke†ava Dåsa (XVI sec.), poeta di corte del måharåja di Orcha (Madhya Pradesh)
compone il Rasikapriya, il primo trattato di kåvya in lingua brajbhåßå che verte sullo †®õgara-
rasa tra Rådhå e K®ßña.
Navadvipa era una principali città del Bengala fin dall’epoca della dinastia sena (XI-XII), al
tempo di Caitanya era diventata un importante centro di studi sanscriti, sede di importanti
scuole di logica (nava-nyåya21) e di legge22. Il 50 % della popolazione di Navadvipa era
mussulmana ma dal XIII sec., come anche Dinajpur, Rajasahi, Bishnupur e Panchet, era
governata da un råja hindü che, pagando solo un tributo al navab del Bengala, godeva di quasi
totale autonomia. Navadvipa che si trova lungo le rive della Jhånavœ, un ramo della Gångå,
fino all’avvento di Caitanya non era considerato un luogo particolarmente sacro, decade
quando viene sommersa dalla Jhånavœ nella metà del XVIII sec. circa. K®ßñadåsa Kaviråja nella
Caitanya-caritåm®ta ådi cap. 3 narra che Advaita Åcårya invoca la discesa di Caitanya
perché Navadvipa era piena di infedeli e materialisti. Stando ai resoconti delle varie
biografie di Caitanya, egli ha una grande influenza sugli abitanti di Navadvipa e del
distretto di Nadia convertendoli in massa al culto di Krßña attraverso il semplice metodo
del canto e della recitazione dei suoi nomi. In realtà la maggioranza della popolazione locale
era dedita a culti tantrici såkta e †aiva. Nell’area è ancora oggi molto popolare il culto di Våsulœ
Devœ, una divinità femminile dei serpenti che deriva da Jåõgulœ Devœ una antica divinità
femminile buddhista. Nel XVII sec. Navadvipa dà i natali a K®ßñånanda Ågamavagi†a autore

20 Solo dal XIX sec. non appena l’India è unita sotto il dominio inglese, il deva-någarœ, un tipo di carattere
sanscrito usato nell’India del Nord dal VIII-IX sec., viene adottato come carattere standard di trasliterazione
del sanscrito e dell’hindi e del marathi. In precedenza il sanscrito era trasliterato nei vari caratteri locali.
21 Il nyåya è una delle sei più antiche scuole filosofiche indiane (dar†ana) fondato da Gautama Akßapada (II
sec d.C.) Per secoli l’obiettivo del nyåya è stato la difesa del teismo dagli attacchi del nichilismo buddhista e
della dottrina advaita. Gaõge†a Upådhyåya (XIII sec.) originario di Navadvipa ma residente a Mithila, autore
del Tattvacintåmañi è il fondatore del nava-nyåya del quale i principali esponenti sono Raghunåtha ‡iromañi
(1477-1547), autore del Tattvacintåmañi-dœdhœti e Vasudeva Sårvabhauma (XVI sec.) autore del
Tattvacintåmañi-våkhyå tutti originari e residenti di Navadvipa.
22 Raghunandana (1520-1575) originario di Navadvipa e autore del Dåyatattva un commentario del
Dåyabhåga di Jœmütavåhana (XII sec.), fonda una scuola di legge basata sui dharma-sütra e sulle sm®ti. I
legislatori come Raghunandana, erano bråhmaña conservatori e intendovano difendere il sistema delle caste
e la purezza dell’hinduismo dal sincretismo delle sette sufi, dei nåth e dei sant.

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del Tantrasåra e guru di Rudrasiµha (1696-1714), il monarca ahom di Guhawati (Assam)
dove si trova il tempio di Kåmakhyå Devœ, il più importante tra i †åkta-pœ™ha. In Bengala nel
XVI sec. si diffonde tra i ceti popolari il culto di Satya Pœr o Satya Nåråyaña 23 inaugurato,
secondo la tradizione, dalla figlia di Husain Shah. Si tratta di una miscela di sufismo e culto
vaißñava che si mischia ulteriormente con gli elementi di origine buddhista del culto di
Dharma ∏håkura esposto nel ‡ünya-puråña di Råmåi Pañ∂ita (XII sec.)
Tra il XVII e il XVIII sec. il Bengala attraversa un periodo di instabilità politica, è soggetto a
scorrerie dei marathi e a carestie. Nel corso del XVIII sec. Navadvipa e l’area di Nadia è
governata da K®ßñãcandra Råya (1710-1782) di Krishnanagara. In ottimi rapporti con Lord
R. Clive (1725-1774) della East India Company, probabilmente K®ßñacandra Råya lo assiste
nel complotto per il rovesciamento del nawab del Bengala Siraj Ud-Daullah (1733-1757) e i
suoi alleati francesi sconfitti nel 1757 dagli inglesi nella battaglia di Plassey (Palashi).
K®ßñacandra Råya, un hindü ortodosso (smårta) e cultore delle arti e delle lettere, riuscì a
rendere di nuovo Navadvipa un centro di studi sanscriti al pari del passato. Fu il patrono di
molti bråhmaña letterati tra i quali i due più grandi poeti bengali dell’epoca: Råmprasåd
Sen (1718-1775) e Bharatcandra (1712-1760). Ma K®ßñacandra Råya era anche un fervente
†akta avverso ai vaißñava, in particolare credeva che Caitanya fosse un bhakta ordinario non
un avatåra di K®ßña come sostenuto dai gau∂œya vaißñava. K®ßñacandra Råya passa il culto
†åkta da privato e sinistro a pubblico e destro istituendo i popolari festival autunnali di
Durgå, Kålœ e Jagaddhåtrœ. In un editto K®ßñacandra Råya ordina agli abitanti di Navadvipa
e del distretto di Nadia la partecipazione ai festival in onore di Durgå, Kålœ e Jagaddhåtrœ e
prevede pene severe a chi non lo osserva. In questi festival ancor oggi celebrati in tutto il
Bengala si adorano pubblicamente con grande pompa le temporanee immagini di argilla
dipinte e ornate di queste Devœ poi dismesse al termine del festival.
Pare che nella sua corte K®ßñacandra Råya ospitasse soltanto un paio di colti bråhmaña
vaißñava: Rådhåmohan Gosvåmin (1740-1823) discendente di Advaita Åcårya e il
contemporaneo Råmdås Båbåjœ Totapuri originario del Sud India, ambedue più
concentrati sul culto di Krßña come i gosvåmin di Vrindavana, che sul culto di Caitanya
come i tanti vari gau∂œya bengalesi. A Råmdås Båbåjœ è attribuito l’anatema contro il
travestitismo praticato nelle sette gau∂œya dei sakhœ-bhåvin.
Navadvipa si trova nell’ampio delta del Gange soggetto in pratica annulmente a disastrose
esondazioni nel corso dei monsoni estivi che provocano terribili carestie come quella del 1770.
Inoltre, le acque dei locali pozzi artesiani, sono talmente ricche di arsenico da sconsigliarne
ogni uso e da preferire quelle di superficie della Gångå e dei suoi rami anche in agricultura.
Per questi motivi, malgrado malgrado gli sforzi dei gau∂œya vaißñava, Navadvipa non riuscirà
mai a diventare un luogo di pellegrinaggio vaißñava come Vrindavana o noto in tutta l’India
come Jagannatha Puri. Nel corso del XVII sec., la diffusione del culto gau∂œya vaißñava in
Bengala e in Orissa riceve un notevole impulso dalla predicazione di ‡rœnivåsa Åcårya (1517-?),
Narottama Dåsa (1466-?) e Syåmånanda Dåsa discepoli di Jœva Gosvåmin là inviati per
diffondere le opere e la dottrina dei sei gosvåmin di Vrindavana.

23 Il culto di Satya Pœr è stato tardamente sistemizzato da Phayajullå (XVIII sec.) nel Satya Pœr På∞calœ. Ancora
oggi diffuso il suo più importante luogo sacro è il dargah del villaggio di Kalasara (Barasat, 24 Pargana).

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Nel Prema-vilåsa di Nityånanda Dåsa, un discepolo di Jhånavå Devœ, e nel più tardo Bhakti-
ratnåkara di Narahari Cakravartin, è narrato che mentre ‡rœnivåsa era in viaggio per il Bengala
con un carro carico di oltre cento libri dei sei gosvåmin, si verificò l’ambiguo incidente del
furto e del ritrovamento dei libri avvenuto a Vishnupur (Bankhura, Bengala Occ.), per opera
di soldati inviati dal mahåråja locale Vœra Håmvœra Malla (?-1620) discendente dei primi malla
risalenti all’VIII sec., che governa l’area per conto dei moghul. Per poter recuperare i libri,
‡rœnivåsa Åcårya si introduce nella corte di Vœra Håmvœra e ne fa un gau∂œya vaißñava. ‡rœnivåsa
Åcårya rimase per qualche tempo a Vishnupur, occupandosi della riproduzione in più copie
dei libri dei gosvåmin una parte dei quali Syåmånanda Dåsa poi porta in Orissa e Narottama
Dåsa porta a Kheturi (Rajasahi, Bangladesh).
Dopo la scomparsa di Aurangzeb al dissolvimento dell’impero moghul, i successori di Vœra
Håmvœra costituiranno un regno indipendente gau∂œya-vaißñava che perdura fino
all’annessione inglese nel 1760. Secondo alcune fonti il governo dei malla divenne così
intollerante verso i loro sudditi †aiva, †åkta e mussulmani che se non accettavano di
diventare vaißñava erano invitati ad andarsene altrove. Oggi a Vishnupur e dintorni restano
molti templi dedicati a Rådhå e K®ßña eretti dal XVII al XVIII sec. in mattoni rossi tra i più
belli del Bengala. Per effetto della diffusione della dottrina gau∂œya vaißñava operata dei tre
discepoli di Jœva Gosvåmin, in Bengala e Orissa nacque e si sviluppò una sorta di letteratura
vaißñava in versi avadhi molto popolare detta braj-buli sul modello dei poemi di Vidyåpati e
concentrata sui lœlå amorosi di Rådha e K®ßna. L’autore principale di questo tipo di letteratura
è Govinda Dåsa (XVIII sec.)

1.7 E Jagannatha Puri

Sebbene ai margini delle rivalità tra i gau∂œya vaißñava di Vrindavana e quelli di Navadvipa,
anche i gau∂œya vaißñava di Jagannatha Puri in Orissa, più precisamente detti oriya vaißñava
rivendicavano l’importanza della loro località. Caitanya aveva vissuto a Jagannatha Puri i suoi
anni di vita da saµnyåsin dal 1510 al 1534, sotto la protezione del locale mahåråja Pratåparudra
Deva (1497-1540). Secondo la cronaca narrata nel Mådala-pa∞jœ, alla morte di Pratåparudra
Deva, un suo generale Govinda Vidyådhara fece uccidere i due figli di Pratåparudra
chiamati Kalua Deva e Kakharua Deva e ne usurpò il trono fino alla morte nel 1549. A
Govinda Vidyådhara succedette il figlio Cakrapratåp che governò fino al 1558, a lui quale
succedette Mukunda Haricandan che governò fino al 1568 sconfitto dal generale
Kalåpåhåda (?-1570) inviato dal sultano del Bengala Sulaiman Kharrani (?-1572).
Kalåpåhåda saccheggiò Jagannatha Puri e fece bruciare le tre immagini sacre di
Jagannåtha, Baladeva e Subhadrå.24

24 Secondo le cronache del tempio Mådalå-på¡ji dal IX al XVIII sec. il tempio di Jagannåtha è stato
saccheggiato 18 volte a cominciare da Raktabahu identificato con il rastrakuta Govinda III (?-814) quando il
culto è stato sospeso per 150 anni circa, nel 1340 dal sultano del Bengala Iliyas Shah (?-1358), nel 1360 dal
sultano di Delhi Firoz Tughluq (1309-1388), nel 1510 da Alauddin Shah (1494-1518), nel 1568 da
Kalapåpåhåda, ecc. Il Mådalå-på¡ji fu istituito alla fondazione del tempio nel XVI sec., andò perso con il
saccheggio del tempio del 1568 e fu riscritto alla restaurazione della triade nel tempio nel 1594.

28
Secondo altre fonti la triade di divinità fu nascosta dai sacerdoti del tempio in un’isola nel
lago Chilka o in una foresta nei pressi di Polsara (Ganjam, Orissa). Nel 1576 Man Singh I
(1550-1614) per conto di Akbar (1542-1605) conquista il Bengala e l’Orissa, nel 1592 ritorna
in Orissa per sedare alcune rivolte e nel 1594 ne diventa il governatore. Man Singh I affida
il tempio di Jagannåtha a Puri a Råmacandra Deva che dopo oltre venti anni di
abbandono, vi fa reinstallare la triade sacra dando inizio alla tradizione della sostituzione
periodica delle vecchie statue di legno con un nuovo set di statue (nava-kalevara). Dal 1610
al 1733 Jagannatha Puri è attaccata più volte da eserciti inviati dai moghul di Delhi e dai
governatori del Bengala. Anche in questo lasso di tempo, la triade di divinità, per periodi
più o meno lunghi, fu temporaneamente nascosta nelle giungle.
Nel 1692 Aurangzeb irritato dallo spirito indipendente degli hindü di Jagannatha Puri
ordina la demolizione del tempio. Il locale governatore Divyasimha Deva evita ciò
corrompendo i funzionari inviati da Auranzeb. L’entrata principale del tempio di
Jagannåtha viene chiusa, ma all’interno il culto prosegue in forma riservata fino alla morte
di Aurangzeb nel 1707 quando il tempio è ufficialmente riaperto. Nel 1741 Alivardi Khan
sultano del Bengala conquista l’Orissa. Dal 1742 al 1750 i marathi saccheggiano
ripetutamente Jagannatha Puri fino quando nel 1751 il sultano del Bengala cede loro
l’intera Orissa. Nel 1803 nel corso della seconda guerra anglo-maratha gli inglesi occupano
l’Orissa che diventa territorio direttamene amministrato dalla East Indian Company.
Caitanya si era trasferito a Jagannatha Puri perché era devoto di Jagannåtha che egli
identificava con K®ßña. Per i suoi seguaci oriya, Caitanya era Jagannåtha stesso, lo definivano il
Jagannåtha mobile (cala-jagannåtha), mentre l’immagine sacra nel tempio era il Jagannåtha
immobile (acala-jagannåtha).
Nel cap. 2 e 14 del madhya-lœlå della Caitanya-caritåm®ta K®ßñadåsa Kaviråja, enumera i
sintomi di amore estatico (mahå-bhåva) per K®ßña che Caitanya manifesta. Nei cap. 2 e 14 del
madhya-lœlå della Caitanya-caritåm®ta sono elencati i sintomi estatici mostrati da Caitanya a
Jagannatha Puri quando si immergeva nei sentimenti devozionali: la danza (n®tya), il canto
(gœtå), il rotolarsi per terra (viluthita), il riso incontenibile (atta-håsa), il pianto (kro†ana),
l’indifferenza dell’opinione altrui (loka-anapekßitå), la schiuma alla bocca (lålåsrava), le
vertigini (ghürnå), più altri strani sintomi come l’allungamento o l’accorciamento degli arti
mai mostrati da nessun’altro bhakta. Råmånanda Råya, ministro di Pratåparudra e intimo
compagno di Caitanya a Jagannatha Puri e Kavikarñapüra, furono i principali teologi seguaci
di Caitanya originari dell’Orissa. Kavikarñapüra fu un prolifico autore di testi sanscriti
contemporaneo dei sei gosvåmin di Vrindavana e certamente da loro conosciuto, ma
considerato forse come antagonista, non riconobbero mai la sua importanza. Solo K®ßñadåsa
Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta lo menziona più volte e cita alcuni versi tratti dalle sue
opere. Kavikarñapüra era senza dubbio capace di confrontarsi alla pari con il teologo e poeta
Rüpa Gosvåmin, tanto che quello che Rüpa Gosvåmin ha scritto su Rådhå e K®ßña a
Vrindavana, si può dire che Kavikarñapüra abbia scritto su Caitanya e i suoi compagni a
Navadvipa e a Jagannatha Puri. Vedendo la sospetta somiglianza di alcune delle loro opere,

29
alcuni studiosi hanno supposto che si tratti dello stesso Rüpa Gosvåmin che ha usato uno
pseudonimo, ma questa ipotesi è stata fortemente smentita da altri.
Nel Gauraganodde†a-dipikå Kåvikarñapura enumera oltre duecento compagni di Caitanya a
Navadvipa, a Jagannatha Puri e a Vrindavana, divisi in gopåla-†åkha e mahånt25, e svela la loro
identità di gopœ, gopa, ecc., come compagni eterni (pårßada) di Rådhå e K®ßña a goloka-
v®ndåvana. Più tardi K®ßñadåsa Kaviråja nel cap. 9 dell’ådi-lilå della Caitanyacaritåm®ta
descrive l’albero dei discendenti di Caitanya. Dal tronco principale di quest’albero si
staccano 130 rami che rappresentano altrettanti compagni direttamente legati a Caitanya.
Da un altro importante tronco si staccano i 75 rami che rappresentano i compagni di
Nityånanda, da altri tronchi si staccano i 38 rami di Ådvaita Åcårya e i 33 di Gadhadhåra
Pañ∂ita. Importanti seguaci di Caitanya originari dell’Orissa di seconda generazione furono
Gopåla Guru (XVI sec.) autore del manuale Govindårcañasmaraña-paddhati e fondatore della
Rådhåkåntha Ma™ha26 e il suo principale discepolo Dhyånacandra Gosvåmin autore del
Gauragovindårcanasmaraña-paddhati. Ambedue furono mahånt della Rådhåkåntha Ma™ha a
Jagannatha Puri.
Altri importanti vaißñava oriya contemporanei di Caitanya e suoi compagni, furono Såralå
Dåsa (XVI sec.), autore di una versione oriya del Råmåyaña e una del Mahåbhårata, Dinak®ßña
Dåsa (XVI sec.) autore del Rasakallola e i cosidetti cinque amici poeti (pa∞ca-sakha):
Jagannåtha Dåsa, Acyutånanda Dåsa, Balaråma Dåsa, Ananta Dåsa e Ya†ovanta Dåsa. Secondo
la tradizione Caitanya conferì Jagannåtha Dåsa il titolo di atibadi (il grande) per la sua
popolare traduzione e commento oriya del Bhågavata-puråña. I gau∂œya bengalesi raccontano
che Caitanya non apprezzasse veramente l’opera di Jagannåtha Dåsa e che il titolo conferitogli
era in realtà sarcastico. Tutti e cinque i sakha composero opere in sanscrito e oriya, Balaråma
Dåsa è noto per una traduzione oriya del Råmåyaña e tutte le loro opere si distinguono da
quelle dei gau∂œya per l’approccio sincretico in materia di tradizioni religiose e molto maggiore
liberalità in materia di casta e genere.
Malgrado l’apprezzamento di Caitanya per i pa∞ca-sakha e per gli altri oriya vaißñava, dovuto
all’antagonismo, i gau∂œya bengalesi e di Vrindavana considerarono le loro opere contaminate
da idee advaita e buddhiste, non li menzionarono mai nelle loro biografie di Caitanya, né
riconobbero la biografia sanscrita di Jagannåtha Dåsa, il Jagannåtha-caritåm®ta di Divåkara
Dåsa (XVI sec.) dove si narra dei rapporti di amicizia dei pa∞ca-sakha con Caitanya e la
biografia oriya di Caitanya, il Caitanya-bhagavata di I†vara Dåsa (XVII sec.) Mentre ‡rœnivåsa
Åcårya e Narottama Dåsa diffondevano le opere dei sei gosvåmin in Bengala, Manipur e
nell’odierno Bangladesh, ‡yåmånanda fece altrettanto nel distretto di Mayurbanji in Orissa
dove creò delle istituzioni separate da quelle dei pa∞ca-sakha. La diffusione della dottrina
gau∂œya vaißñava in bengala da parte di ‡rœnivåsa Åcårya e Narottama Dåsa è narrata nel
Bhakti-ratnåkara e nel Narottama-vilåsa di Narahari Cakravartin (XVIII sec.), mentre la

25 I gopåla-†åkha sono i pastorelli amici di K®ßña, Kåvikarñapura ne enumera dodici principali e molti altri
secondari. I mahånt sono le guide de monasteri (ma™ha), Kavikarña ne enumera 64 principali e molti altri
secondari.
26 La Rådhåkåntha Ma™ha è l’originale casa dove Ka†i Mi†ra in una piccola stanza chiamata gambhira ospitò
Caitanya fino alla sua misteriosa morte. Più che monastero come le ma™ha della tradizione di ‡aõkara, questa
ma™ha è un tempio di Råhå e K®ßña e una istituzione che conserva e tramanda la memoria di Caitanya.

30
diffusione in Orissa da parte di Syamånanda e del suo discepolo Rasikånanda, è narrata da
Gopœvallabha Dåsa (XVIII) nel Rasika-maõgala.
L’attuale grande complesso templare di Jagannåtha a Jagannatha Puri fu eretto da
Chodagaõgådeva (1077-1150) probabilmente costruito su di un preesistente tempio di
Lakßmœ e Vißñu-Nilamådhava, Dadhivåmana o Purußottama, e ampliato dal successore (?-
1198). Prima del V sec. i culti vaißñava sono del tutto assenti in Orissa, in seguito
cominciano a ricevere sostegno da parte delle dinastie reali e gradualmente diventano più
popolari scalzando i culti †aiva, †åkta e ciò che rimaneva del buddhismo e del jainismo. Nel
XII sec. in seguito alla diffusione del culto di Vißñu e ‡iva (Hari-Hara) il somavam†i Jayati I
(?-1040) fa erigere il grande tempio Liõgaråja a Bhuvaneshvara (Orissa). Da secoli ormai i
culti vaißñava stanno prendendo piede in Orissa e forse per effettodella diffusione del
Bhagavata-puråña (IX sec.), del Gœtågovinda di Jayadeva (XII sec.) e della predicazione di
Råmånuja, Chodagaõgådeva benchè †aiva, fa erigere il tempio di Jagannåtha a Puri.
Secondo alcuni storici fu Anaõgabhœmadeva a sostituire le originali immagini di pietra della
triade con quelle di legno ancora oggi in uso, tuttavia è improbabile che una immagine di
pietra adorata da bråhmaña con il sistema smårta possa essere sostituita da una immagine di
legno in origine appartenente ai tribali e in parte adorata con sistemi tribali a meno che ciò
non accada dopo un lungo periodo di decadenza del culto smårta, per volere di un monarca
riformatore e per fini più politici che religiosi.
La storia di Jagannatha Puri è molto antica. Secondo una tradizione Jagannatha Puri era uno
dei quattro principali luoghi sacri di pellegrinaggio (tœrtha) che si trovano ai quattro punti
cardinali dell’India dove ‡aõkara (VIII sec.) aveva stabilito i suoi quattro principali monasteri
(ma™ha27). A Jagannatha Puri, ‡aõkara stabilì la Govardhana Ma™ha che da allora è la più
influente tra tutte le ma™ha di Puri sulla esecuzione dei rituali del tempio di Jagannåtha,
mentre Råmånuja vi fondò la Emar Ma™ha e Jagannåtha Dås, uno dei pa∞ca-sakha, vi fondò la
¯a™laharœ Ma™ha. Come Mathura, anche Jagannatha Puri era stato fin dagli ultimi secoli a.C un
centro buddhista e Jaina e forse prima ancora un luogo di culto tribale degli degli antichi
aborigeni †åbara. Come si è già visto altrove, con il cambiare delle dinnastie regnanti e della
religione di stato, i luoghi di culto passavano più o meno velocemente dalla vecchia alla nuova
religione mantendo la loro sacralità, o la vecchia religione integrava elementi della nuova fino
quasi a scomparire.
Secondo vari ricercatori, il culto della triade Jagannåtha, Subhadrå e Baladeva come la
conosciamo oggi, si sarebbe evoluto dal VII al XII sec. d.C. E’ noto che il buddhismo si
diffonde in Orissa in seguito alla conquista e conversione di A†oka Maurya nel III sec a.C.
Sotto il governo dei tolleranti maurya non mancarono di diffondersi e prosperare in varie
enclave anche i jaina. Secondo S.B. Dasgupta in ‘Obscure religious cults’ (1946), la triade di
divinità conserva l’elemento buddhista måhayåna dei tre gioielli (tri-ratna). L’immagine di
Jagannåtha rappresenterebbe il Buddha o la saggezza intuitiva passiva (praj∞å), Subhadrå
rappresenterebbe la dottrina (dharma) o la compassione attiva (upåya) e Baladeva

27 Oltre alla Ma™ha di Jagannatha Puri, ‡aõkara stabilì la Jyotir Ma™ha a Chamoli in Uttarkhand, la Kålikå
Ma™ha a Dvaraka in Gujarat e la ‡åradå Ma™ha a Sringeri in Karnataka o la Ka¡ci Ma™ha a Kanchipuram in
Tamil Nadu. In realtà solo la ‡åradå Ma™ha può dimostrare di essere stata fondata non più tardi del X sec.

31
rappresenterebbe la comunità buddhista (saõgha) o il mondo. Per confermare ciò nelle
immagini del tri-ratna buddhista scoperte a Sanchi (Madhya Pradesh) risalenti al VII-VIII
sec. d.C., il dharma è rappresentato come una donna. Altri studiosi hanno avanzato
l’ipotesi che la triade rappresenti il tri-ratna dei jaina: corretta visione (samyak-dar†ana),
corretta conoscenza (samyak-j∞åna) e corretta condotta (samyak-caritra). Una iscrizione
brahmi del II sec d.C. scoperta nell’hati-gumpha a Udayagiri (Bhuvane†var, Orissa), si
riferisce a Jagannatha Puri come sede di un importante tempio jaina. E’ probabile che a
riguardo dell’identificazione della triade si sia sovrapposta una serie di interpretazioni,
dalla tribale, alla vedica, alla buddhista, alla jaina per finire alla hindü.
Nella letteratura pali il nome Jagannåtha (Signore dell’universo) è frequentemente
attribuito al Buddha. Una leggenda circa una incompiuta immagine del Buddha a
Bodhgaya (Bihar) è molto simile a quella che riguarda Jagannåtha a Jagannatha Puri.
Secondo alcuni ricercatori l’immagine di Jagannåtha senza gambe rappresenterebbe un
rozzo Buddha seduto a gambe incrociate. Come nel cerimoniale di culto buddhista delle
immagini del Buddha, i fiori sono offerti ai piedi di Jagannåtha non infilati in ghirlande al
collo. Il monaco buddhista cinese Hsuan-tsang in viaggio per l’India nel VII sec., parla di
numerosi stüpa e monasteri tantrico-buddhisti che costellano la costa della baia del
Bengala. Il re Indrabhüti (VIII sec.) che regnò a Sambalpur (Orissa) comincia il
J∞ånasiddhi, un testo vajrayåna da lui composto, con una invocazione al Buddha come
Jagannåtha. Secondo alcuni ricercatori la base della colonna di Garu∂a (garu∂a-stanbha)
sarebbe stata una colonna di A†oka e la parte più antica del complesso templare, l’alto
cupola (vimåna), sarebbe stata eretta su ciò che rimaneva di uno stüpa buddhista, ma di ciò
nell’impossibilità di condurre scavi, non c’è alcuna evidenza archeologica.
Si può notare che Jagannatha Puri non è menzionata come vaißñava-tirtha nella lista
contenuta nel Mahåbhårata 3.114.17-22. Anche i vaißñava alvars (VI-IX sec.) che nei loro
poemi tamil parlano di molti luoghi di pellegrinaggio vaißñava sparsi in tutta l’India, non
citano mai Jagannatha Puri. Nel Purußottama-måhåtmya e nell’Utkala-kanda dello Skanda-
puråña datato VII-XII sec., si parla di Vißñu e Lakßmœ (Kamalå-Purußottama). Murari (IX
sec.) nel poema Anargharåghava descrive Vißñu-Purußottama dalla carnagione scura e
Lakßmœ-Kamalå che risiedono sulle sponde dell’oceano e il loro festival dei carri. K®ßña
Mi†ra (XI sec.) nel Prabhodacandrodaya 2.27-28, menziona un tempio di Purußottama
sull’oceano in Orissa.
Secondo alcuni ricercatori, Lakßmœ potrebbe essersi trasformata in Subhadrå 28, sorella di
K®ßña, quando si sarebbe aggiunta l’immagine di Baladeva, il fratello di K®ßña, diventando
così una triade, poiché secondo le tradizionali norme morali che regolano i rapporti
famigliari, un fratello non può stare al fianco della moglie del fratello, mentre una sorella
può stare tra due fratelli. L’aggiunta del Sudar†ana-cakra alla triade di Jagannatha Puri ne
conferma la natura vaißñava. A Chattia (Cuttak, Orissa) vi è un tempio risalente a IX sec.,
dove sono adorate le sole due immagini affiancate di Jagannåtha e Baladeva, in tal caso
28 Nel Mahåbhårata, Subhadrå detta anche Ekånam†å, è la sorella di K®ßña e una delle mogli di Arjuna.
Considerata Yogamåya, Yoganidrå o Durgå, nella forma di Vindhyåvasinœ riceve un culto esclusivo come
Vindhyåvåsinœ nell’importante †åkti-pœthå di Vindhyåcala (Bihar). Nell’Harivaµ†a 96.16-17 e nel
Vißñudharmottara-puråña 3.73.23-24 è proprio descritta la triade Balaråma, Ekånaµ†å e K®ßña.

32
Lakßmœ è stata sostituita da Baladeva. Nel Kålikå-puråña (XII sec.) e in vari †åkta-tantra si
parla di Jagannatha Puri come luogo deputato al culto di ‡iva nella particolare forma con
un solo piede (Ekapada-Bhairava) e Vimalå Devœ. Ciò è corroborato dal fatto che il grande
vimåna di Jagannåtha è circondato da cinque tempietti nei quali sono situati cinque †iva-
liõga che rappresentano le cinque forme canoniche di ‡iva: Sadyojåta, Våmadeva, Aghora,
Tatpurußa e I†åna. Balaråm Dås (XVI sec.), uno dei cinque pa∞ca-sakha, nel poema oriya
Ba™å-abaka† descrive Jagannåtha come ‡iva-Bhairava assistito da 64 yoginœ.
Vimalå Devœ è la più importante divinità femminile adorata in un tempio separato
all’interno del grande complesso templare di Jagannåtha, il suo tempio è uno dei quattro
più importanti †åkta-pœ™ha. L’immagine del Sudar†ana-cakra, un palo squadrato di legno
senza alcuna rappresentazione del cakra di Vißñu come quella senza braccia di Subhadrå è
molto somigliante alle antiche Stambhe†varœ29, in origine divinità femminili dei villaggi dei
tribali gond dell’entroterra dell’Orissa.
Oggi i set delle immagini della triade che si trovano in molti templi in Orissa e oltre, sono
tutte di legno come quelle di Jagannatha Puri. Secondo alcuni ricercatori, un tempo le
immagini della triade diJagannatha Puri erano di pietra e una volta sostituite da quelle di
legno, tutti i templi dell’Orissa si adeguarono. Recentemente tra i ruderi di un tempio
crollato risalente al IX sec. a Tetelkunthi (Balamgir, Orissa) sono state trovate le immagini
della triade di pietra. La più antica iscrizione trovata a Jagannatha Puri che parla della
triade risale al 1237, un bassolievo oggi esposto al National Museum di New Delhi
proveniente dal tempio del Sole di Konarka (XIII sec.), ritrae Narasiµha I (1238-1264) che
adora Jagannåtha rappresentato come Vißñu, Baladeva rappresentato come †iva-liõga e
Subhadrå rappresentata come Durgå-Mahi†åsuramardinœ.
Anche dal punto di vista rituale, forse in India non c’è culto più sincretico di quello di
Jagannåtha. Ancora oggi c’è chi attribuisce a Jagannåtha l’identità di una divinità tribale, di
Buddha, di Mahåvira, di Vißñu, di K®ßña, di N®siµha, di ‡iva, di Sürya, di Gañe†a e di Kålœ.
Secondo alcuni ricercatori, N®simha, l’avatara uomo-leone di Vißñu, è particolarmente
importante è getta una luce sullo sviluppo dell’iconografia di Jagannåtha che potrebbe
rappresentare la testa di un leone. I culti di Varåha e N®simha, i due ugra-avatåra di Vißñu
diffusi in Orissa e in Andhra Pradesh, sono la versione vaißñava dei culti tantrici di divinità
irate come ‡iva-Bhairava. Tra le sette, otto o nove måt®kå sono spesso enumerate Varåhœ e
N®simhœ le ‡akti di Varåha e N®simha. Per gli hindü la triade può essere intesa come
interamente vaißñava: Jagannåtha come Krßña, il fratello Baladeva come Saõkarßaña e la
sorella Subhadrå come Lakßmœ e come la trimürti: Jagannåtha come K®ßña, Baladeva come
‡iva e Subhadrå come Vimalå Devœ. Subhadra è tinta di giallo lo stesso colore delle
immagini sacre di Durgå in Bengala dove è anche chiamata Haldi-mukhœ o dal viso giallo
curcuma. Ma la triade sacra non è solo hindü, l’accesso al tempio oltre che ai discendenti dei
tribali che si occupano della triade in particolari periodi, è da sempre permesso ad alcune caste
inferiori, ai jaina, ai buddhisti e ai sikh, mentre è impedito ai mussulmani e ai cristiani.

29 La più importante delle Stambhe†varœ si trova ad Aska (Ganjam, Orissa) e risale al VI sec. Tutte le
Stambhe†varœ hanno la forma di un parallelepipedo di legno e vengono rinnovate ogni 10 anni con un rito
simile a quello della triade.

33
Secondo la tradizione ‡aõkara introdusse a Jagannatha Puri il sistema di culto smårta delle
cinque divinità (pa∞ca-yatana): Vißñu, ‡iva, Gañe†a, Sürya e Durgå. Di fatto quando
Jagannåtha è sull’altare (ratna-vedœ) è adorato come Vißñu e con i rispettivi mantra, durante il
nava-kalevara è adorato come ‡iva, durante lo snåna-yatra come Gañe†a, durante il ratha-yatra
come Sürya e durante lo †ayana-ekad农30 come Durgå. L’amalgama di riti tribali, buddhisti,
vaidika, smårta e tantrici eterodossi, né evidenziano l’antichità e le fasi di parziale
arianizzazione e brahmanizzazione. Oltre che da ‡aõkara il culto di Jagannåtha è stato
plasmato in forma vaißñava-pa∞caråtra da Råmånuja (XII sec.) e in forma krishnaita-
devozionale da Caitanya (XVI sec.), tuttavia il culto di Jagannåtha non è mai diventato
settareo, ha assorbito tutto modificandosi, senza dimenticare del tutto il passato.
Oltre alla triade sull’altare si trovano anche l’idolo di legno del Sudar†ana-cakra, di metallo di
Nœlamådhava o Madamamohana, di metallo di ‡rœ Devœ e di Bhü Devœ (o di Lakßmœ Devœ e di
Sarasvatœ Devœ). Tutto ciò che riguarda il culto della triade è riservato e ciò lo rende confuso e
oscuro. I manuali di culto quotidiano della triade sono il Nœlådri-mahodaya composto dal
gajapati Purußottama Deva (?-1497) e il Råjabhoga (XVII sec.) che secondo alcune fonti
sono basati, per quanto riguarda Jagannåtha, su un antico manoscritto del Brahma-yåmala,
mentre riguardo a Baladeva e a Subhadrå sono basati rispettivamente sui misteriosi Rüdra-
yåmala e uno †åkta-yåmala. Secondo altre fonti, per quanto riguarda Jagannåtha, sono usati i
manuali Gopålårcanaviddhi di Purußottamåcårya (XV sec.) e il Gopålårcanapaddhati di
Vasudeva (XVI sec.) ambedue basati sul Kramadipikå di Ke†ava Bha™™a (XIV sec.), che
costituisce il manuale di culto vaißñava della nimbårka-saµpradåya. Il nava-kalevara è
descritto in dettaglio nei manuali Vanayågavidhi che tratta i riti compiuti nella foresta e nel
Cala†rœmürtipråtiß™havidhi che tratta l’installazione nel tempio. Ambedue i manuali sono
basati sul Nityåcårapaddhati di Vidhyåkara (XIV sec.)
Per Jagannåtha sono usati il k®ßñabœja-mantra klœµ, il kålibœja-mantra krœµ, il n®siµha-bœjå-
mantra kßrauµ e il 18 sillabe gopåla-mantra: klœµ k®ßñåya govindåya gopœjanavallabhåya svåhå,
per Baladeva è il vasudeva-bœja-mantra oµ e per Subhadrå il bhuvane†varœ-bœja-mantra hrœµ.
Nell’altare (ratnasimåsana) pare che Jagannåtha sia posto sopra il kålœ-yantra, Baladeva sia
posto sul tårå-yantra e Subhadrå sul bhuvane†varœ-yantra. Nel padiglione del cibo (bhoga-
måñ∂apa) sono offerte alla triade 56 varietà di cibo vegetariano costituito di riso, ortaggi,
frutta, dolci e bevande in sei momenti della giornata dall’alba al tramonto. Alcune di queste
preparazioni sostituiscono ritualmente l’offerta dei cinque articoli sinistri (pa∞ca-makara): la
carne è sostituita un pancake di legumi (urad dal) e zenzero, il pesce è sostituito dagli
spinaci conditi con assafetida (hing), la bevanda alcolica è sostituita dall’acqua di cocco
offerta in contenitori di ottone e il maithuna è sostituito dall’offerta di fiori aparåjitå
(clitoria ternatea) e dallo spettacolo delle devadåsœ.
Pratapårudra Deva, pare dietro suggerimento di Caitanya, introdusse la rappresentazione
serale riservata al solo Jagannåtha nel padiglione della danza (nå™a-måñ∂apa) delle
devadåsœ del Gœtå-govinda, il poema erotico di Jayadeva (XII sec.) Questo spettacolo si è

30 Lo †ayana-ekadå†i che celebra l’inizio del sonno di Vißñu e l’inizio del i quattro mesi di penitenze
(cåturmåsya) per i vaißñava cade l’undicesimo giorno della quindicina di Luna crescente del mese di aßadha
(Giugno-Luglio).

34
interrotto negli anni 60 con le ultime anziane devadåsœ.31 Tutto il cibo prima di essere
offerto alla triade viene spruzzato con gocce di una bevanda alcolica prodotta dalla
fermentazione dello zuccchero di palma, poi è offerto a Baladeva, quindi a Jagannåtha e
Subhadrå e infine, prima di essere distribuito ai devoti come cibo santificato (måha-
prasåda), è offerto a Vimalå Devœ nel suo tempio separato all’interno del grande tempio
della triade. A Jagannatha Puri la maggior parte della popolazione compresi molti
bråhmaña mangiano carne e pesce. L’unico cibo non vegetariano che viene preparato nel
grande tempio viene offerto a Vimalå Devœ la notte di dussera durante il festival di navaråtri
che cade nel mese di a†vina (Settembre-Ottobre). Si tratta dell’offerta di pesce cotto e della
testa di un capretto appena sacrificato. A riguardo del cibo offerto a Jagannåtha un’altra
particolarità di Jagannatha Puri è che non sono rispettati i canonici tabù della
commensalità. Membri di caste diverse possono mangiare insieme e possono anche
mangiare gli avanzi (ucchiß™a) l’uno dell’altro poiché è detto che tale cibo non è mai
contaminato.
Caso più unico che raro in un tempio vaißñava, la triade è ordinariamente adorata e servita
dai sacerdoti bråhmaña, ma durante la il bagno (snåna-yatra), la malattia (anavasara), il
festival dei carri (ratha-yatra), la morte (niryåña) e la rinascita (nava-kalevara), è servita
esclusivamente dai daitya discendenti dei cacciatori tribali †abara. Annualmente dopo il
festival del bagno pubblico (snåna-yatra) che si tiene in un luogo all’interno del complesso
templare nel giorno di Luna piena del mese di jyeß™ha (Giugno). Il bagno è uno dei sedici
articoli (ßodå†a-upacåra) offerti ogni giorno alla triade, ma è offerto alla loro immagine
riflessa in uno specchio metallico, causerebbe troppo danno il bagnare delle immagini di
legno fresco dipinto con pigmenti naturali 32.
Lo snåna-yatra pubblico è l’unica occasione nel corso dell’anno nella quale la triade è
effettivamente bagnata. Il seguito al bagno la triade si ammala per quindici giorni e, in
isolamento nello stesso ambiente dove si era svolto il bagno, è sottoposta al restauro da
parte dei daitya-medici. Al termine del periodo ‘di cura’, nel giorno di †ukla-dvitœya del
mese di åsådha (Giugno-Luglio) la triade più l’emblema del Sudar†ana-cakra, con grande
pompa vengono portate su tre grandi carri-tempio di legno costruiti ogni anno per intero
da cima a fondo, eccetto la sommità (kala†a) e trainati con delle funi da migliaia di fedeli
lungo un viale per circa due chilometri fino al tempio di Gundicha. Il termine inglese
juggernaut (veicolo o potenza inarrestabile che schiaccia), deriva proprio dal tremendo
spettacolo dei tre carri della triade di Jagannatha Puri sotto le cui ruote un tempo, finivano
schiacciati numerosi fedeli in modo accidentale a causa della ressa o suicida, credendo così
di ottenere la liberazione. Dopo nove giorni la triade è rimessa sui tre carri e riportata al

31 Le devadåsœ o måhårœ danzavano due volte al giorno nel nå™a-måñ∂apa, a mezzodì durante la principale
offerta giornaliera di cibo detta råja-bhoga o madhyama-bhoga, la danza è accompagnata da percussioni è
pubblica, al termine i pellegrini che vi assistevano raccoglievano la polvere dal suolo e se la spargevano
addosso per assumere la †akti delle devadåsœ. Di sera la danza era privata e la recitazione del Gita-govinda o di
altri poemi devozionali, si svolgeva al termine dell’offerta ba∂冮õgåra-bhoga, mentre la triade veniva messa a
letto e il tempio veniva chiuso.
32 Polvere di legno combusto per il nero, polvere di curcuma (curcuma longa) per il giallo, amido di riso per
il bianco e polvere di kumkum (curcuma trattata con qualche sostanza alcalina) per il rosso.

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tempio di Jagannåtha. Dopo vari riti di purificazione, la triade è di nuovo presa in carico
dai bråhmaña del grande tempio che ne riprendono il culto ordinario.
Il ratha-yatra è connesso con il culto del Sole che fu popolare nell’area come è evidenziato
dal grande tempio-carro del Sole risalente al XIII sec. che si trova a Konarka a una trentina
di km. da Jagannatha Puri. Il festival del nuovo corpo (nava-kalevara) in base a calcoli
astronomici, cade tra i 7 e i 19 anni nell’anno che ha il mese aggiuntivo (adhika-måsa)
quando, la triade dopo lo snåna-yatra, anziché ‘ammalarsi’, ‘muore’ e deve essere sostituita.
L’ultima volta è accaduto nel 2015. Nell’anno della morte e della rinascita, circa due mesi
prima dello snåna-yatra, nei mesi di Marzo-Aprile (caitra), una ventina tra daitya e
bråhmañasi recano a Kakatapur a 60 km. Nord-Ovest di Jagannatha Puri e alloggiano nel
tempio di Maõgalå Devœ (Durgå). Devœ in sogno indica a uno dei daitya la direzione dove
trovare i quattro alberi di neem (margosa indica) nelle foreste vicine adatti a fornire il
legno (daru-braΔma) per il nuovo set di statue della triade e del Sudarsana-cakra. Il legno
di neem è tenero, sarebbe più utile usare il legno di tek che è abbondante in zona, ma il
legno di neem essendo amaro è immune ai tarli. Inoltre si può notare che l’albero di neem
in tutta l’India è consacrato a Kålœ, Sœtalå e Mariyammå.
I quattro alberi devono soddisfare molte condizioni specifiche, quello di Jagannåtha che è
l’ultimo ad essere tagliato, deve avere quattro grandi rami integri, non sostenere nidi di
uccelli, né rampicanti e deve trovarsi vicino a un tempio di ‡iva o a un crematorio. I
quattro alberi sono adorati per tre giorni dai bråhmaña e poi tagliati dai daitya, il primo
colpo deve essere inferto al tronco con un’ascia d’oro, in tre grossi pezzi squadrati e in pezzi
più piccoli che serviranno per le due braccia di Jagannåtha e Baladeva e per il Sudar†ana-
cakra. Poi sono trasportati su carri tirati dai daitya per diversi giorni fino all’interno del
tempio a Jagannatha Puri. Nel corso di tre settimane i daitya scolpiscono e dipingono un
nuovo set di statue della triade. A questo punto non resta che il rito di installazione
(pratiß™å) del nuovo set di statue, ma anche questo nel caso della triade di Jagannatha Puri
non si svolge come prescritto in tutti i manuali hindü.
Nel corso del rito di installazione, i bråΔmaña-sacerdoti non invocano Jagannåtha e le altre
divinità con particolari mantra e mudrå per trasferirle dal loro cuore (pråña-pratiß™hå) nel
nuovo set di statue appena scolpite. Piuttosto, come alla morte dei comuni essere umani,
l’anima (jœva-åtman) lascia il corpo e si reincarna in un altro, così l’anima di Jagannåtha e
delle altre tre statue, dei misteriosi Brahma, sono trasferiti da un daitya anziano, di notte,
con occhi coperti e mani guantate, da una cavità nel torso delle vecchie statue in altra
cavità nelle nuove statue. Secondo alcuni ricercatori, il Jagannåtha-Brahma è una antica
reliquia del Buddha, forse un suo dente, per altri si tratta di una immagine di Visñu
composta d’oro o di pietra preziosa, di uno speciale yantra, di una speciale †ålagråma-†ilå,
di un pezzetto originale della statua di legno di Jagannåtha bruciata da Kalåpåhåda nel
1568, o ancora, secondo il Mahåbharata oriya di Sarala Dåsa (XV sec.), del cuore
incombusto di K®ßña recuperato da Arjuna dalla sua pira funebre a Dvaraka.
Le vecchie statue di legno considerate cadaveri inpuri, vengono sepolte dai daitya in
un’area all’interno delle mura del tempio detta vaikuntha. In tale occasione,

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considerandosi famigliari di Jagannåtha, i daitya osservano un periodo di dieci giorni di
impurità (a†auca) rituale. I bråhmana eseguono i riti dell’installazione (pratiß™hå) con tutti
i mantra, mudrå e nyåsa su di un pezzo di legno di neem consegnato loro dai daitya. Al
termine del periodo impuro dei daitya, i bråhmaña restituiscono loro il legno consacrato
che tagliato in quattro serve da copertura delle cavità presenti nel torso delle quattro statue
di legno che devono contenere i quattro brahma. I daitya aggiungono ai torsi le braccia di
Jagannåtha e Baladeva, coprono le quattro statue con sette strati di oli profumati, tessuti e
vernici che rappresentano i sette dhåtu (linfa, sangue, carne, grasso, ossa, midollo e seme)
del corpo umano. A un bråhmaña spetta il compito di terminare l’installazione con il rito
dell’apertura degli occhi (netra-unmœlana) dipingendo la nera pupilla degli occhi della
triade. Il giorno dopo l’installazione si svolge il ratha-yatra che segna la prima apparizione
pubblica sui carri del nuovo set di statue della triade. Diversamente dall’ordinario (smårta),
le grandi immagini (müla-pratimå) della triade e del Sudar†ana-cakra, non le piccole
predisposte (calanti-pratimå) sono spostate dentro o fuori dal tempio per ogni festival che
le celebra.
Caitanya non fu l’unico a visitare Jagannatha Puri, prima e dopo di lui lo fecero tante altre
importanti personalità religiose e riformatori hindü come ‡aõkara, Råmånuja, Madhva,
Nimbårka, Kabir, Råmånanda, Guru Nanak e Vallabha, solo per citare alcuni, e come lui vi
lasciarono il proprio contributo. Dalle biografie bengali appare che Caitanya partecipava
estatico ai festiva di Jagannåtha e non aveva alcuna intenzione di mutare tradizioni antiche,
complesse, particolari e radicate come quelle che riguardano il suo culto o di sostituirlo con il
proprio. Ma anche se i suoi seguaci a Jagannatha Puri ne avessero avuto l’intenzione,
sicuramente ben difficilmente ci sarebbero riusciti. Perciò, in conclusione, i gau∂œya vaißñava
con la loro dottrina che identificava K®ßña-Caitanya con Jagannåtha, risultarono in un nuova
setta vaißñava tra le tante presenti a Jagannatha Puri.

1.8 La ricomposizione a Kheturi-gråma

Dopo la scomparsa di Caitanya, la frammentazione delle sette gau∂œya vaißñava in Bengala era
sotto gli occhi di tutti. Le sette gau∂œya bengalesi avevano composto le loro biografie di
Caitanya e si dedicavano alla recitazione privata (jåpa), al canto pubblico (bhajana e
saõkœrtana) e al culto di Radhå e K®ßña, Caitanya, Nityånanda, Advaita Åcårya e altri associati
di Caitanya con diversi mantra tantrici e vedici. Nityånanda Dåsa nel Prema-vilåsa e Narahari
Cakravartin nel Bhakti-ratnåkara narrano che non appena ‡rœnivåsa Åcarya arrivò in Bengala
cominciò ad organizzare delle riunioni pubbliche con i capi delle sette gau∂œya bengalesi e i
loro seguiti per far conoscere i testi dei gosvåmin, appianare le differenze o anche ricomporre i
dissidi tra le sette. Queste riunioni che all’inizio duravano pochi giorni e ai presenti era
garantito il cibo e l’alloggio, consistevano di discussioni pubbliche (kathå) e letture
(anuvacana) riguardo a Krßña e a Caitanya, di danza e canto collettivo dei nomi di K®ßña
(saõkœrtana e bhåjana) e adorazione delle immagini sacre di Krßña e Caitanya (püjå).

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Era dal tempo degli incontri annuali dei gau∂œya bengalesi con Caitanya a Jagannatha Puri in
occasione del ratha-yatra, che non accadeva niente del genere. Gradulamente le riunioni
diventarono sempre più grandi e partecipate. La prima riunione si svolse a Kathoya (Katwa,
Bengala) organizzata da Yadunandana un discepolo di Nityånanda. La seconda si svolse a
Yajigram (Vishnupur, Bengala) organizzata dallo stesso ‡rœnivåsa Åcårya. Alla terza organizzata
a Shrikandha (Nadiya) da Raghunandana, un discepolo di Narahari Sarakåra partecipò anche
Vœrabhadra, il figlio di Nityånanda proveniente da Kardaha (Raiganj,) Alla quarta che si svolse
a Murshidabad (Bengala), ‡rœnivåsa Åcårya incontrò i numerosi discepoli di Gadådhara
Pañ∂ita e di Narahari Sarakåra provenienti da Navadvipa e Shrikandha. La quinta e più
importante riunione si svolse verso la fine del XVI sec. (1572?) a Kheturi (Rajasahi,
Bangladesh) dove risiedeva Narottama Dåsa e organizzata da quest’ultimo. Questo riunione
che può essere definita un tentativo di concilio ecumenico è descritta nel Bhakti-ratnåkara e
nel Narottama-vilåsa di Narahari Cakravartin.
La riunione di Kheturi durò circa tre settimane, vi furono formalmente invitati tutti i figli e i
discepoli dei compagni di Caitanya di Navadvipa e fu l’occasione per prendere decisioni
importanti e mettere un po’ di ordine disciplinare e dottrinale tra i gau∂œya vaißñava. Oltre a
‡rœnivåsa Åcårya, ‡yåmånanda e Narottama Dåsa che fece gli onori di casa, vi parteciparono
oltre cento gruppi di gau∂œya vaißñava guidati dai loro leader. Tra gli altri, Jhånavå Måtå
vedova di Nityånanda, il figlio naturale Vœrabhadra e il figlio adottivo Råmacandra provenienti
da Kardaha (Raiganji), venne Sœtå Devœ moglie di Advaita Åcårya con il figlio Acyutånanda
provenienti da Shantipur e Raghunandana, discepolo di Narahari Sarakåra proveniente da
Shrikandha (Nadiya). I discepoli di Nakula Bråhmacårin e di Gaurœ Dåsa, compagni di
Caitanya a Navadvipa, vennero da Ambika-kalna (Bardhaman), i discepoli di Vaµsivadana,
compagno di Caitanya a Navadvipa, vennero da Baghnapada (Nadiya) e i discepoli di
Gadadhåra Pañ∂ita, compagno di Caitanya a Navadvipa, vennero da Vikrampur (Dacca,
Bangladesh). Da Jagannatha Puri vennero i discepoli di Vakre†våra Pañ∂ita, compagno di
Caitanya a Jagannåtha Puri.
Nelle fonti il concilio è descritto come un succedersi ininterrotto di canti e danze, pranzi
collettivi, letture e adorazione delle immagini sacre di Krßña e Gauråõga (Caitanya prima di
diventare samnyåsin). Durante il concilio vennero installate cinque coppie di statue di Rådhå e
K®ßña e una di Gauråõga. Per il culto di Gauråõga venne usato il manuale con i bœja, müla e
gåyatrœ-mantra preparato in origine da Narahari Sarakåra di Shrikandha. Nel Vam†œ†ikßa di
Purußottama Vagißa (XVIII sec.) è narrato che Vaµsivadana, uno dei compagni di Caitanya
a Navadvipa, dopo la scomparsa di Caitanya aveva per primo creato una immagine di culto
di Gauråõga con il legno dell’albero di neem sotto il quale Gauraõga era nato a Navadvipa
e l’aveva consegnata alla vedova Vißñuprœya. Quella stessa immagine di Gaurånga è ancora
oggi adorata in un tempio a Navadvipa. Nel tentativo di adottare un canone teologico
condiviso, la dottrina contenuta nelle opere dei sei gosvåmin portate da ‡rœnivåsa Åcårya e
tradotte in bengali da Yadunandana, fu definitivamente accettata dai vaißñava riuniti a
Kheturi.

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La letteratura sanscrita dei sei gosvåmin che verteva totalmente su Rådhå e K®ßña
conteneva scarsi riferimenti a Caitanya e a Nityånanda e nessuno ad Advaita Åcårya. La
letteratura dei gau∂œya bengalesi era composta per lo più di biografie bengali di Caitanya e
verteva a dimostrare la sua identità con K®ßña e la sua missione salvifica per l’umanità. Solo
i gosvåmin discendenti di Advaita Åcårya produrrano prima e dopo il concilio di Kheturi
un corpo di letteratura sanscrita di carattere teologico, ma riguardante lui soltanto e in
modo antagonista a Caitanya. Il compromesso fu raggiunto con l’accettazione della dottrina
dei sei gosvåmin da parte dei gau∂œya bengalesi e del culto di Caitanya da parte di ‡rœnivåsa
Åcårya e degli altri seguaci dei sei gosvåmin di Vrindavana. La dottrina del pa∞catattva esposta
in origine da Kavikarñapura venne parzialmente modificata in quella proposta da K®ßñadåsa
Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta nella quale Caitanya viene considerato una manifestazione
(avatåra) di Rådhå e K®ßña ed è considerato gerarchicamente superiore a Nityånanda e ad
Advaita Åcårya. Gadådhara Pañ∂ita venne ridimensionato a manifestazione dell’energia
(†akti) della bhakti e per il ruolo di puro bhakta venne scelto ‡rœvåsa Pañ∂ita. Fu anche
stabilito il culto delle cinque immagini del pa∞catattva oltre che alle immagini di Rådhå e
K®ßña, di Gauråõga e di Vißñupriyå la sua seconda moglie.
Dovuto alle forti resistenze i concili non risolsero l’importante questione del guru-tattva ossia il
sistema della iniziazione dei mantra (dikßa) e di trasmissione degli insegnamenti delle
tradizioni gau∂œya vaißñava. Già da tempo si era radicato il sistema della casta o discendenza
familiare (vaµ†a) dei gosvåmin a Vrindavana e dei gosåin in Bengala che ritenevano che solo i
bråhmaña potessero diventare guru e trasmettere i mantra e gli insegnamenti esoterici a
discepoli bråhmaña e non. Questo sistema produsse il fenomeno dei gosvåmin-guru di famiglia
(kula-guru) che si tramandavano di generazione in generazione la funzione di guru-iniziatore
per determinate famiglie di discepoli. Questi kula-guru, spesso dopo poche generazioni
divenuti rozzi e ignoranti, basavano il loro prestigio solo sulla casta e sul titolo ereditato di
gosvåmin come i sei asceti di Vrindavana anche se erano capifamiglia (g®haß™hå), non
insegnavano nulla e si mantenevano con la quota annuale e i doni che ricevevano dagli
ingenui discepoli.
Al sistema vaµ†a dei gosvåmin si opponevano i capi (mahant) delle istituzioni monastiche
(ma™ha), che non sempre bråhmaña, volevano anch’essi essere riconosciuti come guru
iniziatori di ogni tipo di discepoli compresi i bråhmaña sostenendo così il sistema della
discendenza disciplica (parivåra). La situazione era complicata, alcuni guru-bråhmaña come
i discendenti di Advaita Åcårya a Shantipur, sia gosvåmin che mahånt, evitavano di iniziare
†üdra o fuoricasta, ma altri come i discendenti di Nityånanda a Kardaha, essi accettavano
†üdra e fuoricasta. Da parte loro, alcuni guru-mahånt non bråhmaña evitavano di iniziare
bråhmaña, mentre altri li accettavano senza indugio.
Ancora oggi le istituzioni dei gosvåmin a Vrindavana e dei gosåin in Bengala sono separate e in
conflitto con le istituzioni dei mahant di Vrindavana e in Bengala. Alcuni gosvåmin
sostenevano addirittura che solo loro erano qualificati a concedere anche l’iniziazione bhek
con la quale si diventa båbåjœ o båirågin, una sorta di ordine di rinuncia gau∂œya vaißñava
meno regolato del saµnyåsa degli advaitin e aperto ai membri di ogni casta e alle donne

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(båiraginœ) che pare fu inaugurato da Vœrabhadra. Nel concilio fu decisa la stretta
sull’applicazione delle norme di casta furono per evitare il proselitismo indiscriminato già
attuato da Nityånanda e Virabhadra. Nel Caitanya-bhagavata anthya cap. 8, V®ndåvava
Dåsa narra che Nityananda contrariamente al parere Advaita Åcårya, iniziò i menbri della
casta ricca, ma inferiore degli orafi (suvarña-vañij) e nel Bhakti-ratnåkara Narahari
Cakravartin narra della conversione di massa dei monaci ne∂a-ne∂œ operata da Vœrabhadra.
Con ogni probabilità fu proprio la svolta ortodossa del concilio di Kheturi a favorire la
nascita di tante sette eterodosse gau∂œya vaißñava in Bengala composte da classi inferiori.
Alcuni ricercatori hanno contato oltre 22 sette eterodosse o sincretiche vaißñava, sufi e
buddhiste sahajayåna grossolanamente divise in vaißñava-sahajœya, båul e kartåbhåjå.
Qualche anno dopo, dopo la scomparsa di Jœva Gosvåmin, in opposizione alle risoluzioni del
concilio e ai dettami di Jœva Gosvåmin stesso, anche Narottama Dåsa e Syamånanda Pañ∂ita,
pur appartenendo a una casta inferiore, iniziarono discepoli anche bråhmaña in Bengala e
in Orissa. A Vrindavana, Narottama Dåsa aveva appreso il dhrupad lo stile locale di musica
devozionale e durante il concilio con l’approvazione dei presenti leader vaißñava lo
introdusse con successo nei kirtana. Narottama Dåsa accettò che le canzoni (pada)
dedicate a Rådhå e K®ßña fossero introdotti da invocazioni a Caitanya dette gaura-candrikå
e il suo nuovo stile di canto fu chiamato ga∂a∫ha†i-pada. ‡rœnivåsa Åcårya accettò di scrivere
un commentario al K®ßña-bhajanåm®ta di Narahari Sarakåra, in pratica l’unica opera sanscrita
scritta da un gau∂œya bengali capace di concorrere alla teologia dei sei gosvåmin di Vrindavana,
mostrando così di considerarlo un’autorità. A Kheturi alcuni importanti rappresentanti di
sette gau∂œya vaißñava come i seguaci del sufi Haridåsa ∏håkura da Benapola (Jessore,
Bangladesh) non furono invitati e altri ancora pur presenti come Acyutånanda, ignorarono fin
da subito parzialmente o del tutto le risoluzioni approvate. Comunque questo concilio gettò un
ponte tra Vrindavana e il Bengala e il viaggio che l’anno successivo Jhånavå Måtå fece a
Vrindavana per incontrare di persona Jœva Gosvåmin, ne suggellò il parziale successo.
L’importanza dei nomi di K®ßña non è mai stata messa in discussione da alcun gau∂œya
vaißñava. Anche oggi i gau∂œya vaißñava citano sovente il seguente verso del B®hannåradœya-
puråña 38.126: ‘C’è solo il nome di Hari, il nome di Hari, il nome di Hari; nell’era di kali
non c’è altro modo, non c’è altro modo, non c’è altro modo’. Ma il mantra di 32 sillabe:
hare k®ßña hare k®ßña k®ßña k®ßña hare hare hare råma hare råma råma råma hare hare,
che appare per la prima volta nel Caitanya-bhågavata ådi 14.143-147 e madhya 23.75-78 di
V®ndåvana Dåsa, non è menzionato nel ¯a™sandharbha di Jœva Gosvåmin né nella Caitanya-
caritåm®ta di K®ßñadåsa Kåviråja e non è certo che fosse il preferito di Caitanya. Rüpa
Gosvåmin cita i soli termini hare k®ßña nel Laghu-Bhågavatåm®ta 1.4 e nel Caitanyåß™aka 5
contenuto nella raccolta di inni Stavamålå. L’intero mahåmantra hare-k®ßña è citato da
Dhyånacandra Gosvåmin (XVII sec.) nel Gauragovindårcanasmåraña-paddhati 132-136 e
pare che Jœva Gosvåmin Råghunåtha Dåsa Gosvåmin composero su di esso il primo il saggio
Mahåmantrårtha-vyåkhyå e il scondo l’Harinåmårtharatna-dœpikå. In breve tempo tra i
gau∂œya vaißñava crebbe la diffusione del mantra di 32 sillabe tanto da divenire il mantra
per eccenza della setta e contaggiare anche le altre sette vaißñava in tutta l’India.

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Pare che in origine il mantra hare k®ßña di 32 sillabe fosse contenuto nella Kali†antarana-
upanißad, ma in forma invertita, ossia la sequenza delle sedici sillabe che comincia con hare
råma compariva prima di quella che comincia con hare k®ßña. La Kalisantaraña-upanißad è
una vaißñava upanißad appartenente al K®ßñayajur-veda ed è menzionata nella lista delle
upanißad tradizionali contenuta nella Muktika-upanißad, ma il testo oggi disponibile non è
di sicura antichità e autenticità. L’India è zeppa di falsi antichi e i gau∂œya vaißñava non
hanno fatto eccezione nell’opera di contraffazione. Noto è il caso della Caitanya-upanißad
la cui scoperta era attribuita a Jagadånda Pañ∂ita (XVI sec.), un compagno di Caitanyaa
Navadvipa, della Urdhvåmnåya-samhitå attribuita al ®ßi vedico e puranico Nårada e del
Navadvœpa-†ataka attribuito a Prabhodånanda Sarasvati (XVI sec.) Questi tre testi comparsi
nel XIX sec. sono talmente simili alla dottrina gau∂œya vaißñava sostenuta da Bhaktivinoda
~haküra da sospettare che lui stesso ne sia stato l’autore o il diretto ispiratore. A questi testi
si aggiungono la Rådhåtåpini-upanißad e il Rådhåtattva-darpaña di Durgådatta (XIX sec) e
circa il culto di Caitanya, la sezione caitanya-kålpa dal K®ßña-yåmala e la sezione gü∂ha-
åvatåra dal Vi†vasåra-tantra.
La Kalisantaraña-upanißad (la upanißad del superamento dell’età di kali) fu ‘scoperta’ nel
XVI sec. dai gau∂œya vaißñava per i quali, fu Caitanya stesso ad invertire l’ordine delle due
sequenze di sedici sillabe per permettere a chiunque anche a chi non appartenesse alle
caste superiori (dvija) di recitare un mantra che, grazie al suo intervento, era diventato
tantrico eterodosso, non più ‘vedico’. Di fatto anche nelle tradizioni dei vaißñava oriya dei
pa∞ca-sakha come quella di Jagannåtha Dåsa della ¯a™laharœ Ma™ha di Jagannatha Puri, la
sequenza che comincia con hare råma precede quella che comincia con hare k®ßña.
Tra le tradizioni vaißñava ci sono varie interpretazioni settarie del significato dei tre termini
hara, k®ßña e råma declinati al vocativo che compongono il mahåmantra. Anche lo yugala-
mantra della tradizione di Nimbårka conta 32 sillabe: rådhe krßña rådhe krßña k®ßña k®ßña
rådhe rådhe rådhe syåma rådhe syåma syåma syåma rådhe rådhe e ha quasi lo stesso
significato del mahå-mantra gau∂œya vaißñava. In bengala alcuni gau∂œya vaißñava come
Rådhåråmañacaraña Dåsa (1858-1905) crearono altri settari mahå-mantra assemblando
vari nomi di Rådhå, K®ßña, Caitanya, Nityånanda, ecc., come: nitai-gaura rådhe-syåm japa
hare-krßña hare-råm, ma furono criticati dai gaudœya ortodossi perché secondo loro questo
mantra provoca conflitti tra i bhåva (bhåva-åbhåsa). L’uso del mahå-mantra hare-k®ßña di
32 sillabe fu adottato anche da Jagadbandhu (1871-1921) il fondatore della mahånåmå-
saµpradåya considerato dai seguaci essere una incarnazione congiunta di Caitanya e
Nityånanda.
I gau∂œya vaißñava, fino all’epoca di Bhaktisiddhånta Sarasvati (1874-1937), rigettarono il
sistema del saµnyåsa praticato nelle tradizioni di ‡aõkara, Råmånuja e Madhva e accettato a
suo tempo da ‡ridhara Svåmin, Madhavendra Pürœ, I†vara Pürœ, Caitanya, Svarüpa Damodara e
altri. Presso i gau∂œya vaißñava a Vrindavana il sistema dei rinunciati bianco vestiti (bairågin o
båbåji) eremiti divenne il modello dominante, in Bengala dominò il sistema dei guru di
famiglia (gosåin), mentre a Jagannatha Puri si sviluppò il sistema cenobita dei rinunciati
bianco vestiti raccolti però in monasteri (ma™ha).

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Per qualche anno, sempre a Kheturi si tennero ancora delle riunioni, ma sempre meno
frequentate e di conseguenza influenti. Ciò può essere accaduto a causa della mancanza di
figure sufficientemente autorevoli per raccogliere tutte le sette gau∂iya o più probabilmente
all’assenza della reale volontà di incontrarsi e uniformarsi convenendo di più ad ogni setta
proseguire indipendentemente. Così la situazione finì per essere accettata con fatalismo
attribuendo le conflittualità che si manifestavano tra i leader delle varie sette gaudœya, ai diversi
ruoli determinati dai loro differenti o concorrenti sentimenti devozionali verso Rådhå e K®ßña,
o Caitanya, Vißñupriyå, Nityånanda o Advaita Åcårya. Va detto che i gau∂œya vaißñava sono
generalmente riluttanti agli scontri dialettici con gli altri vaißñava a causa delle censure interne
dovute alla coltivata umiltà personale (vinaya) e al timore di cadere nelle terribili conseguenze
delle offese ai vaißñava (vaißñava-nindå).
I gau∂iya non riusciranno mai più ad organizzare un altro vero concilio condannandosi a una
insanabile frammentazione che dal XVIII al XIX sec. causerà in Bengala come in Orissa e a
Vrindavana la loro generale decadenza. Nel XVIII sec. solo Narahari Cakravartin, il più
importante testimone della tradizione gau∂œya vaißñava della sua epoca con il Bhakti-
ratnåkara, tenta una nuova sintesi storica e teologica della dottrina gau∂iya.

1.9 Il prosieguo

Tra il XVIII e il XIX sec., la East Indian Company completa la conquista dell’intera India che
nel 1858 passa direttamente sotto la corona inglese governata da un vicerè a Calcutta.
Raggiunta l’unità politica-amministrativa per la prima volta gli indiani cominciano a darsi
un’unica identità religiosa accettando la definizione straniera di hindü. Il termine hindü
deriva dal termine sapta-sindhu (sette fiumi) che ricorre nel Rg-veda proveniente
dall’avestico hepta-hindu. Dal X sec. d.C. è documentato l’uso del termine al-hind da parte
dei mussulmani che risiedono a occidente del fiume Indo (Pakistan), per riferirsi a ogni
sorta di infedeli (kafir) che vivono sulle rive dell’Indo. Più tardi in una iscrizione in lingua
kannada scoperta a Vijayanagara (Karnataka), il re Devaråya II (?-1446) è definito ‘sultano
degli hindü’. Nella Caitanya-caritåm®ta, Ådi-lœlå 17.174-215 di K®ßñadåsa Kåviråja (XVII
sec.), conversando con Chand Kazi, Caitanya usa più volte il termine hindü e hindü-
dharma. Nel XVIII sec. gli inglesi adottano ufficialmente il termine hindü per definire gli
indiani non mussulmani.
Dalla riforma operata da ‡aõkara nel VII sec., l’hinduismo è costituito di una serie di idee e
culti eterogenei di origine antica che si sono stratificati, non c’è un unica divinità, né unico
testo sacro, né tradizione o fondatore. In comune l’hinduismo ha l’area di origine e di
diffusione, il sub continente indiano e l’Indonesia, e alcuni fondamentali elementi
dottrinali e filosofici declinati però diversamente nel corso del tempo e del luogo come
l’idea di religiosità e legge (sanåtana-dharma) espressa nelle scritture (†ruti e sm®ti) e le
dottrine collegate del karman, del ciclo di nascite e morti ripetute (saµsåra), della

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liberazione (mokßa) e della realizzazione del BraΔman qualificato (saguña) o non
qualificato (nirguña), il ritualismo, il sistema delle caste (varña) e altro.
Per governare modernamente il grande impero gli inglesi avevano bisogno di una classe di
amministratori indiani di basso e medio livello educata nei valori delle società europee come la
democrazia, il laicismo, l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, l’umanesimo, ecc. Col tempo
si sviluppò una classe media di amministratori indiana, commercianti, piccoli industriali,
insegnanti, ecc., incline alla vita borghese all’inglese, che però ben presto divenne cosciente
dello sfruttamento imperialista al quale erano soggetti. Lo studio del sanscrito e la traduzione
in lingue europee della letteratura classica, religiosa e filosofica indiana da parte degli
‘orientalisti’ occidentali fece scoprire a un gran numero di indiani la profondità e il valore
della loro cultura e religione, in particolare della filosofia advaita-vedånta e del buddhismo.
Nel 1885 a Bombay un gruppo di intellettuali, industriali e uomini d’affari inglesi e indiani
fonda il partito Indian National Congress guidato dal 1915 M.K. Gandhi (1896-1948) nel cui
programma politico è prevista l’idea di autogoverno (svaråj).
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec. molti tra gli emergenti leader religiosi, intellettuali e
politici indiani in parte influenzati dal moralismo vittoriano, tentano di riformare il vasto
patrimonio culturale, religioso e filosofico indiano purificandolo dai suoi aspetti retrivi e
degenerati come il tantrismo sinistro, le ignoranti superstizioni, il sistema delle caste, il
trattamento delle donne e dei bambini, ecc. In questo ambito si situano gli sforzi del gujarati
Dayanånda Sarasvati (1824-1883) che nel 1875 fonda la Arya Samaj, del politico e filosofo B.G.
Tilak (1856-1920) e dei bengalesi Råm Mohan Roy (1774-1833) che nel 1828 fonda la Brahmo
Samaj, del romanziere Bankim Chandra Chatterjee (1838-1894), di Vivekånanda Svåmin
(1863-1902) che nel 1897 fonda la Råmak®ßña Mission, di Rabindranåth Tagore (1861-1941)
che nel 1913 fonda la ‡antiniketana University, del filosofo Aurobindo Ghose (1872-1950) e
molti altri. Assecondando questa nuova sensibilità indiana i governanti inglesi attuano riforme
che nel 1829 proibiscono l’immolazione delle vedove (satœ), nel 1835 proibiscono i sacrifici
umani, nel 1929 proibiscono il matrimonio dei bambini e nel 1934 proibiscono la prostituzione
sacra delle devadasœ. Paradossalmente era stata legge che permetteva alle vedove di
ereditare i beni del marito defunto introdotta dagli inglesi in Bengala nel 1816 che portò a
un grande aumento dei casi di satœ. Fu questo che spinse il governatore generale W. H.
Bentinck (1774-1839) nel 1829 a decretarne la proibizione.
Per quanto riguarda i gau∂œya vaißñava, due personaggi maggiormente contribuirono alla loro
riscoperta e rivalutazione in Bengala a cavallo tra l’ottocento e il novento. Il primo fu Sishir
Kumar Ghosh (1840-1911), un noto giornalista che divenne un mistico vaißñava autore di
“Lord Gauranga or Salvation for All” (1897). Il secondo fu Kedarnåth Datta o Bhaktivinoda
∏håkura (1838-1914), un magistrato di famiglia †åkta che scoperta la dottrina gau∂œya
vaißñava, ne diventa un fervente sostenitore e prolifico autore di saggi e poemi in bengali,
sanscrito e inglese. Bhaktivinoda ∏håkura viene iniziato nel 1879 da Vipinavihårœ Gosvåmin
(1850 -1919) un discendente di Vam†œvadana (XVI cent.), un compagno di Caitanya da
Baghnapara (distr. di Bardhaman). Con l’aiuto di Vipinavihårœ Gosvåmin, Kedarnåth Datta
nel 1881 fonda un periodico mensile vaißñava in lingua bengali chiamato Sajjanatoßañœ da

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lui pubblicato fino al 1904. Per meriti devozionali i gosvåmin of Baghnapara nel 1886 gli
concedono a Kedarnåth Datta il titolo onorifico di Bhaktivinoda ∏håkura.
Bhaktivinoda ∏håkura nelle sue opere lamenta lo stato del culto gau∂œya vaißñava in Bengala,
Orissa e a Vrindavana e cerca di rifondarlo attingendo all’originale dottrina dei gosvåmin di
Vrindavana. Bhaktivinoda ∏håkura riprende una lista di tredici tradizioni devianti
(apasampradåya) che facevano più o meno riferimento a Caitanya: gli aul, i båul, i
kartåbhajå, i ne∂a, i darvesh, i sanœ, i sahajœya, i sakhœbhåvin, i jåt-gosåin, i cü∂adharœ, gli
ativådœ e i gauråõga-någarœ composta da Råmdås båbåjœ Totapuri (XVIII sec.) un erudito
bråΔmaña vaißñava originario del Sud India alla corte di K®ßñacandra Råya (1710-1782)
governatore del distretto di Nadia.
Uno dei figli di Bhaktivinoda ∏håkura chiamato Vimalåprasåda Datta (1874-1937) più tardi
noto con il titolo di saµnyåsin Bhaktisiddhånta Sarasvati, nel 1920 fonda la Gau∂œya Ma™ha,
una istituzione molto disciplinata e votata al proselitismo. Bhaktisiddhånta si rivela ostile verso
le sette båul, kartåbhajå e sahajœya, le istituzioni famigliari dei gosvåmin e dei gosåin di
Vrindavana, Navadvipa, Kardaha e Shantipur e le comunità di ritirati (båbåjœ) che
presiedevano i luoghi sacri gau∂œya vaißñava a Vrindavana, in Bengala e in Orissa. Tutto ciò
malgrado il suo guru Gauraki†ora fosse un båbåjœ di Navadvipa e il guru del padre, Vipinavihårœ
Gosvåmin (1850 -1919) fosse un gosvåmin discendente di Vam†œvadana (XVI cent.), un
compagno di Caitanya da Baghnapara (distr. di Bardhaman).
Pare che a Navadvipa, a causa degli spostamenti del corso della Jhånavœ durante le annuali
esondazioni monsoniche, la città di Navadvipa nella mertà del XVIII sec. si era spostata all’altra
sponda della Jhånavœ e perciò era andato perduto il luogo esatto di nascita di Caitanya, la casa
di Jagannåtha Mi†ra e Såcœ Devœ, sulla quale nel XVII sec. il re Vœra-Hamvœra di Vißñupur aveva
eretto un tempio. Nella fine del XVIII sec. il sito di nascita di Caitanya era conteso dai gosain di
Navadvipa che ritenevano fosse la località chiamata Ramcandrapur e da Totaråmdås Babajœ e
gli altri babajœ di Navadvipa che ritenevano fosse la località chiamata Baro Akhra. Ambedue le
località si trovano nella moderna Navadvipa. Una sera, dalla veranda della casa di Navadvipa
dove risiedeva, Bhaktivinoda vide una luce in un luogo oltre la Jhånavœ e decise che fosse il
luogo preciso di nascita di Caitanya nell’originale Navadvipa. In quella località detta Mœyåpå∂a
o Meyåpåra, letteralmente villaggio mussulmano, allora risiedevano pescatori e traghettatori
mussulmani, Bhaktivinoda sanscritizzò il nome del villaggio modificandolo da Meyåpår a
Måyåpüra.
L’unica evidenza delle scritture gau∂œya vaißñava citata da Bhaktivinoda a sostegno della sua
teoria è il nome Mayapur riferito a Navadvipa che compare una sola volta nel Bhaktiratnakara
di Narahari Cakravartin (XVIII sec.), ma questa interpretazione è dubbia. Bhaktivinoda
acquista della terra nella località da lui identificata e vi erige una abitazione per se, nel 1893
annuncia pubblicamente la scoperta del luogo di nascita di Caitanya e in un festival celebrato
l’anno successivo nel mese di mågha (Gen.-Feb.), inaugura un primo tempio detto Yoga-pi™ha
con le immagini sacre di Caitanya e Vißñupriyå. Questo tempio sarà ampliato nel 1934 da
Bhaktisiddhånta. La rivelazione di Bhaktivinoda non fu accettata da Vipinavihårœ Gosvåmin e
condusse al suo ufficiale rigetto del discepolo che avvenne nel 1918. Causò inoltre grande

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disturbo alle comunità dei gosåin e dei båbåjœ di Navadvipa minacciati dalla perdita delle loro
fonti di sostentamento e prestigio costituite dai luogi nella moderna Navadvipa da loro ritenuti
essere gli originali luoghi di nascita di Caitanya, le abitazioni di ‡rœvasa Pañ∂ita, di alcuni altri
compagni di Caitanya e i luoghi dove si svolsero i lœlå di Caitanya narrati nelle biografie.
Secondo i gosåin di Navadvipa, l’idolo di Caitanya adorato nel Dhame†vara Gauråõga Mandira
a Navadvipa fu ricavato per ordine di Caitanya stesso dal legno dell’albero neem sotto il quale
la madre Sacœ lo allattò, tale idolo porta al naso un orecchino femminile per indicare la sua
natura duale di Rådhå e K®ßña. Nel XVII sec., preoccupati dalla diffusione del culto vaißñava e
non riconoscendo la divinità di Caitanya, gli †åkta di Navadvipa ottennero dall’allora re di
Krishnanagara, ancor oggi capoluogo del distretto di Nadia, il permesso di dissacrare il tempio
e di bruciare l’idolo di Dhame†vara Gauråõga. Ma i gau∂iya-vaißñava nascosero l’idolo fino a
quando circa un secolo più tardi, Bhågyacaraña Singh, re di Manipur, convertito da un
discepolo di Narottama Dåsa, ottenne dal re di Krishnanagara, K®ßñãcandra Råya (1710-1782),
il permesso di erigere un tempio dove reinstallare l’originale idolo di Caitanya. Il re
Bhågyacaraña Singh fece erigere un altro importante tempio di Caitanya a Navadvipa, l’Ami
Mahåprabhu Mandira detto anche Mañœpüri Mandira.
Negli anni venti del novecento alcuni esperti incaricati dalla municipalità di Navadvipa
scoprirono le fondamenta di un tempio a Ranichor, un sobborgo a Nord di Navadvipa, che da
allora i gosåin, i båbåjœ e tutti i gau∂œya vaißñava, eccetto la Gau∂œya Ma™ha e alla Iskcon,
considerano essere l’originale luogo di nascita di Caitanya. In questo luogo i gosåin di
Navadvipa eressero un tempio e da allora, poiché in gioco vi sono grossi interessi economici, la
diatriba tra le Gau∂œya Ma™ha-Iskcon e i gosåin, i båbåjœ e i gau∂œya vaißñava di Navadvipa, non
ha termine.
Ispirato dalle tradizioni di ‡aõkara, di Madhva e di Råmånuja che ebbe modo di studiare
durante un viaggio nell’India del Sud tra il 1904 e il 1905, Bhaktisiddhånta introdusse nella
tradizione gau∂œya vaißñava l’ordine di rinuncia (saµnyåsa) e i monasteri (ma™ha). Nella
Gau∂œya Ma™ha gli studenti celibi (bråΔmacårin) e i monaci (saµnyåsin) sono ambedue vestiti
in arancio, indossano il filo sacro (upavita) e mantengono il ciuffo il capelli (†ikhå) sul capo
rasato, mentre i capifamiglia vestono di bianco. Come Mådhavendra Puri, Ke†ava Bharati e
I†vara Puri e altri compagni di Caitanya, Bhaktisiddhånta attribuì ai suoi samnyåsin come titolo
uno dei dieci nomi della tradizione advaita di ‡aõkara. Malgrado gli autorevoli precedenti, i
sei gosvåmin e gli altri asceti vaißñava di Vrindavana, per distinguersi dai da†anåmin
saµnyåsin, avevano rifiutato il bastone (dañ∂a), il tessuto di colore ocra che cinge i fianchi
(kåßåya) e i titoli altisonanti. Seguendo il loro esempio i gau∂œya vaißñava adottarono
l’ordine ascetico dei båbåjœ detto del bhek al quale si accedeva con l’iniziazione e che
consisteva nell’accettare il perizoma (kaupima) e il tessuto bianco (veßa) che cinge i
fianchi, nel vivere in comunità (de†a) e nel rasarsi il capo (ke†a) eccetto il ciuffo (sikha).
Un simile ordine di rinuncia era stato adottato dagli asceti (tyågin o vairågin) delle
tradizioni dei sant e dei råmånandin almeno fino agli inizi del XX sec. quando
Bhagavatåcårya e altri rinunciati mahant della råmånandi-sampradåya adottarono
anch’essi il vestito arancio dei dasanåmi-sannyåsin e il tridañ∂a-vaisñava. Nelle sue varie

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biografie è detto che Caitanya teneva il capo completamente rasato e indossava il tessuto
color ocra come i dasanåmi-saµnyåsin.
Il termine bengali bhek deriva dalla radice verbale sanscrita bhikß (mendicare), dal quale
derivano i termini bhikßaka e bhikßu (mendicante) e il pali bhikku che indica il monaco
mendicante buddhista. Ancora oggi gli asceti gau∂œya vaißñava o båbåjœ vivono in comunità
(ma™ha o åkhrå) a Vrindavana, in Bengala e in Orissa e mendicano ogni giorno il loro cibo
accettandone una piccola quantità casa per casa come le api (mådhukarœ) raccolgono un
po’ di nettare di fiore in fiore.
Bhaktisiddhånta dichiarò di aver adottato il tridañ∂i-saµnyåsa33 in uso presso la råmånuja-
sampradåya che è diverso dall’ekadañ∂i-saµnyåsa in uso presso la †aõkara-sampradåya,
tuttavia nella råmånuja-sampradåya ci sono scarse evidenze di questo tipo di saµnyåsa. Egli
sostenne che Prabodhånanda Sarasvati lo zio di Gopala Bha™™a Gosvåmin era un tridañ∂i-
saµnyåsin, ma anche di questo c’è ben poca evidenza. Si può notare che i saµnyåsin della
madhva-saµpradåya ricevono tutti il titolo tirtha come Madhva Anandatirtha, hanno il
capo rasato e portano l’ekadañ∂a come i samnyåsin della †aõkara-sampradåya e che il titolo
sarasvati adottato da Bhaktisiddhånta, è attribuito agli ekadañ∂i-saµnyåsin della ‡®õgeri
Ma™ha di ‡aõkara. Bhaktisiddhånta introdusse anche il marchio settario vaißñava
(urdhvapundhra-tilaka) che orna la fronte e il corpo dei membri della Gau∂œya Ma™ha
composto di argilla gialla (gopœ-candana) proveniente da un laghetto nei pressi di Dvaraka
(Gujarat).
In precedenza lo stesso tipo di tilaka vaißñava era stato usato dai membri della setta
vaißñava svåmi-nåråyaña fondata da Sahajånanda Svåmin (1781-1830) diffusa in Gujarat.
Bhaktisiddhånta dichiarò di essere stato iniziato da Gauraki†ora Dåsa Båbåjœ nel Gennaio
del 1901, ma non diede mai molta importanza alla linea di successione disciplica del suo
guru, piuttosto egli tracciò una problematica linea di successione che chiamò bhågavata-
paramparå per distinguerla dalla linea di successione di trasmissione dei mantra tantrici
che chiamò pancaråtra-paramparå. La bhågavata-paramparå risaliva con numerosi salti
temporali e da una tradizione all’altra attraverso Madhva e Nårada Munin fino a Brahmå.
Bhaktisiddhånta perciò accettò l’affiliazione alla madhva-sampradåya proposta per primi
nelle loro opere dai gau∂œya Kavikarñapura (XVI sec.) e Baladeva Vidyåbhüßaña (?-1768).
Nel 1918 Bhaktisiddhånta si auto inizia al tridañ∂i-saµnyåsa attribuendosi il nome
Bhaktisiddhånta e il titolo Sarasvati compiendo il rito da solo di fronte ad una foto di
Gauraki†ora (1838-1915) scomparso da tre anni.
Come nella Råmak®ßña Mission di Vivekånanda Svåmin, nella Gau∂œya Ma™ha non ci sono
discrinazioni di casta, ambedue Vivekånanda Svåmin e Bhaktisiddhånta appartenevano alla
casta inferiore dei kayastha. Bhaktisiddhånta iniziava chiunque al mahå-mantra di 32 sillabe,
alla seconda iniziazione offriva il filo sacro (upavœta), permetteva l’adorazione del ciotolo di
fiume nero emblema di Vißñu (†ålagråma-†ilå) e oltre al brahma-gåyatrœ vedico, iniziava a un
set di mantra tantrici (bœja, müla e gåyatrœ-mantra34) tratti dai på∞caråtra-vaißñava e dal
‡åradåtilaka di Lakßmanade†ika (XIII sec.) Si trattava di sei müla-mantra, del gåyatrœ-mantra
33 Il vaißñava-samnyåsa è detto tridañ∂in poichè prevede: il controllo della parola (våg-dañ∂a), del corpo
(kåya-dañ∂a) e della mente (mano-dañ∂a).

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e dell’anaõga-gåyatrœ-mantra riservato ai saµnyåsin, ognuno da recitare in modo sommesso
dieci volte, per tre volte al giorno, mattino mezzogiorno e sera (såmdhya). Questa seconda
iniziazione o iniziazione brahmanica per tutti per i gosåin era una rottura del sistema delle
caste, mentre per i båbåjœ era una adesione al sistema delle caste che per i vaißñava non
aveva senso. Oltre a ciò, offendendo i gosåin guru di famiglia (kula-guru) Bhaktisiddhånta
iniziò anche alcune persone che erano stati già iniziati da loro.
Bhaktisiddhånta viaggiò e predicò in tutta l’India, inviò alcuni discepoli saµnyåsin a predicare
in Europa, scrisse libri, pubblicò riviste e giornali in bengali, hindi e inglese e imitando la
Råmak®ßña Mission, fondò scuole e sanatori gratuiti. Scuole e sanatori avevano comunque una
importanza secondaria, ciò che contava era il proselitismo. Sul piano disciplinare ai suoi
discepoli Bhaktisiddhånta oltre al consumo di carne, pesce e droghe, proibì altre sostanze
allora comunemente consumate dai gau∂œya vaißñava: il tabacco e i bi∂i (sigarette di foglie di
baniano o pipal), il caffè, il tè, il cacao e il betel (noce di areca). Il betel e gli altri
ingredienti presenti nel piccolo cartoccio da masticare (tambulå) era offerto alle immagini
di K®ßña anche nei templi della Gau∂œya Ma™ha, non poteva essere accettato dai membri
della ma™ha come sua sacra rimanenza (prasåda). Probabilmente la proibizione era dovuta
alla cattiva impressione che faceva agli inglesi il continuo sputare la rossa saliva prodotta
dalla masticazione del betel. Un altro motivo di scontro con i gosåin e i mahånt gau∂œya
vaißñava era il suo rifiuto del sistema della rivelazione della esoterica identità spirituale
(divya-deha o siddha-deha) al discepolo da parte del guru. Benchè l’idea della correttezza e
necessità dello sviluppo del siddha-deha fosse stata condivisa dal padre, Bhaktisiddhånta
sosteneva che il siddha-deha si sarebbe rivelato automaticamente al discepolo grazie alla
purificazione dovuta alla pratica della bhakti regolata (vaidhi-bhakti), non grazie alla
rivelazione da parte del guru o alla prematura pratica della bhakti spontanea (råga-ånuga).
Rüpa Gosvåmin nel Bhaktirasåm®tasindhu 1.2.295 aveva spiegato che ci sono due tipi di
bhakti, la prima è soggetta alle regole ed è eseguita con il corpo fisico (sådhaka-rüpeña),
mentre la seconda è spontanea ed è eseguita con il corpo meditativo (siddha-rüpeña).
Proseguendo sul sentiero tracciato da Rüpa Gosvåmin alcuni suoi esegeti o presunti tali si
erano spinti laddove forse egli stesso non avrebbe mai voluto arrivare.
Malgrado lo sforzo applicato, Bhaktisiddhånta Sarasvati non riscosse molto successo riuscendo
ad alienarsi un gran numero di sette gau∂œya vaißñava, compresa quella fondata da suo fratello
chiamato Lalitåprasada Båbåjœ, poco inclini ad accettare le sue innovazioni. Alla scomparsa di
Bhaktisiddhånta, la Gau∂œya Ma™ha si frammentò in molti pezzi che con fortune alterne
sopravvivono tuttora tra Navadvipa, Jagannatha Puri e Vrindavana., Bhaktivedånta Svåmin
(1898-1977), uno dei suoi discepoli nel 1966 fonda a New York la Iskcon (International Society
for K®ßña Consciosnes) una istituzione gau∂œya vaißñava che negli anni settanta si diffonde nel

34 I gåyatrœ-mantra tantrici sono modellati su quello vedico composto di 24 sillabe divisi in tre strofe (påda)
contenuto nel ¥g-veda 3.62.10: (oµ bhür bhuvaΔ svaΔ) tat savitur vareñ(i)yaµ bhargo devasya dhœmahi dhiyo
yo naΔ pracodayåt “Meditiamo sulla divina luminosità di Savitar (il Sole), che egli ci ispiri”. Gli altri mantra
sono il gurumüla-mantra: aiµ gurave namaΔ, il gauramüla-mantra: klœµ gauråya namaΔ, il gauragåyatrœ-
mantra: klœµ caitanyåya vidmahe vi†vaåmbharåya dhimahi tanno gauraΔ pracodayat, il k®ßñamüla-mantra:
klœµ k®ßñåya namaΔ, il gopœjånavallabha-mantra: klœµ k®ßñåya govindåya gopœjanavallabhåya svåhå e il
kåmagåyatrœ-mantra: klœµ kåmadevåya vidmahe pußpavanåya dhimahi tanno’naõga pracodayat “Meditiamo
su Kåmadeva (K®ßña) che porta una ghirlanda di fiori, che quel cupido ci ispiri”.

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mondo. Si tratta di un esperimento ancora in corso di trasposizione nel mondo occidentale
della cultura gau∂œya vaißñava non privo di compromessi. Da gli anni novanta l’esempio di
Bhaktivedånta Svåmin è seguito da altri esponenti delle varie Gau∂œya Ma™ha sorte
dall’originale fondata da Bhaktisiddhånta Sarasvati.
Dalla scomparsa di Baktivedånta la Iskcon è stata governata da un gruppo di amministratori
(Governing Body Commission) e di guru discepoli di Bhaktivedånta. Questa istituzione ha
attraversato difficoltà di ogni genere, si sono verificati anche numerosi casi di criminalità e
abuso di discepoli, discepole e minori. Per averne una idae basti consultare ‘Monkey on a
stick: murder, madness and the Hare Krishnas’ di J. Hubner e L. Gruson (1988), e ‘Betrayal
of the spirit’ di Nori J. Muster (1997). Malgrado il grande sostegno offerto dalla comunità
hindü presente nei paesi occidentali, il tempo dirà se e come la Iskcon e le altre istituzioni
cugine derivanti dalla Gau∂œya Ma™ha di Bhaktisiddhånta, riusciranno a stabilirsi solidamente
in occidente e come si evolveranno nel confronto con idee e stili di vita non hindü. Un primo
tentativo di analisi degli errori e di riforma interna è contenuto nei capitoli di ‘The Hare
Krishna Movement - the post-charismatic fate of a religious transplant’, edito da E. F.
Bryant e M. L. Ekstrand (2004).
I ricercatori che studiano la genesi e lo sviluppo del fenomeno gau∂œya vaißñava, hanno a che
fare con fonti spesso distorte, incomplete e difficilmente verificabili. Le biografie di Caitanya e
degli altri eminenti gau∂œya vaißñava composte dai pii gau∂œya vaißñava devono essere
considerate ‘storia sacra’, non possono essere considerate storia vera e propria. Dovuto alla
scarsità dei manoscritti autografi, anche i testi dottrinali più noti si trovano in varie recensioni.
Non deve essere stato infrequente che gli amanuensi il cui lavoro era considerato molto pio, in
buona o cattiva fede ogni tanto omettessero qualcosa che non era loro congeniale o che non
capivano o ancora che aggiungessero altro. Il rimaneggiamento dei testi è proseguito fino al
XIX sec. all’introduzione della stampa moderna.
Oggigiorno oltre alle decine di sette sinistre sahajœya, båul e kartåbhajå che indirettamente
fanno riferimento a Caitanya, le principali tradizioni (parivåra) gau∂œya vaißñava risalenti al
XVI-XVII sec. diffuse in Bengala, Orissa e Vrindavana sono quelle di Nityånanda, Advaita
Åcårya, Gadådhara Pañ∂ita, Jœva Gosvåmin, Narottama Dåsa, Syåmånanda Pañ∂ita,
‡rœnivåsa Acåryå, Gaõgånåråyana Cakravartin, Gaõgåmåtå Gosvåminœ, Gopålaguru
Gosvåmin e Råmadåsa Bha™™a. Nel XVIII sec. nell’area di Mathura si affermano le
tradizioni dei rinunciati (båbåjœ) fondate da Siddha Jayak®ßña Dås di Kåmyavån e da Siddha
K®ßñadås di Govardhana. Quest’ultimo in particolare diffuse il metodo dell’adorazione
interna (bahya-sådhanå) o pratica della rågånuga-bhakti attraverso la rivelazione
dell’identità spirituale (siddha-deha) al discepolo da parte del guru ancora oggi praticato
nelle sette dei båbåjœ a Vrindavana e al Rådhå Kuñ∂a.
Come è capitato ad altri presunti fondatori di tradizioni in India, non è certo se Caitanya abbia
veramemente avuto l’intenzione di fondarne una, forse troppo perso nelle sue estasi mistiche
per farlo, di fatto scrisse poco o nulla e non elesse alcun successore. I suoi seguaci per oltre un
secolo cercarono di farlo, ma divisi tra il Bengala, l’Orissa e Vrindavana non riuscirono ad
omologarsi neanche per mezzo di alcuni concili plenari.

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Nel processo di nascita e affermazione di una setta religiosa, oltre a un fondatore carismatico
che lascia sufficenti e chiari testi scritti a seguaci uniti e capaci di coniugare utilmente la
tradizione alle inevitabili riforme, è necessario l’appoggio dei poteri temporali. Ovviamente
quando questo accade, non è mai disinteressato e come è noto, la vicinanza tra potere
spirituale e quello temporale corrompe i valori spirituali. Alcuni storici hanno notato i
munerosi ministri e amministratori di fede gau∂œya vaißñava nei governi degli ultimi navab
mussulmani in Bengala fino all’arrivo degli Inglesi. Certamente, l’apertura religiosa dei
gau∂œya vaißñava, lo spirito più o meno anticastale e le qualità del carattere dei gau∂œya
come l’umiltà e la tolleranza, aiutarono a disinnescare le tensioni tra le comunità hindü e
mussulmane e promossero la pace sociale in Bengala.
Nel corso del XVII sec. con la missione di ‡rœnivåsa, Narottama e ‡yåmånanda in Bengala e
Orissa, qualche temporaneo risultato fu raggiunto, ma si disperse di nuovo nel frazionamento
che si verificò in seguito alla scomparsa di questi tre grandi predicatori che finirono per creare
le loro proprie tradizioni. Di fatto nel corso del XVIII-XIX sec. si assiste al degrado delle sette
gau∂œya vaißñava dovuto alle infiltrazioni delle dottrine e riti dei båul e dei sahajœya mentre
contemporaneamente cresce la diffusione dei culti tantrici †åkta destri e sinistri.
Oggi la galassia gau∂œya vaißñava conta oggi oltre un centinaio di sette tra quelle nate in
Bengala, in Orissa e a Vrindavana fino alla moderna Iskcon e derivate in tutta l’India e nel
mondo. Nella loro travagliata storia nessuna delle sette gau∂œya vaißñava è riuscita a
distinguersi e ad accreditarsi poco più che localmente o temporaneamente grazie a qualche
leader carismatici, pertanto non si può parlare di una unica tradizione gau∂œya vaißñava. Nel
suo complesso, una natura composita e litigiosa in materia rituale, dottrinale e filosofica, oltre
che prettamente mondana circa il procacciamento dei finanziatori e delle aree di influenza,
permane fin dalle origini ed è una delle caratteristiche peculiari del fenomeno gau∂œya-
vaißñava.

1.10 I vaißñava-sahajiyå

Nel corso del XVII e il XVIII sec., in Bengala appaiono le sette tantriche sinistre vaißñava-
sahajiyå, båul e kartåbhajå di derivazione gau∂œya-vaißñava. Il termine sahajiyå deriva da
sahaja (spontaneo, innato), da questo termine trae origine la scuola buddhista tantrica
sahajayåna fondata da Saraha, Luipåda, Tailapåda, Kambala e altri mahåsiddha e si
diffonde nell’India del Nord-Est durante il regno della dinnastia påla (VIII e il XII sec.
d.C.) Nell’Hevajra-tantra 1.8.25-36, nel Sahajasiddhi di Heruka, nel J∞ånasiddhi di
Indrabhüti e nell’Advayasiddhi di Lakßmindhara risalenti all’VIII-IX sec., il termine sahaja
è associato all’ultimo e più alto dei quattro tipi di gioia (ånanda, paramånanda,
viråmånanda e sahajånanda) sperimentati dallo yogin nei quattro cakra disposti lungo la
sußumñå-nå∂œ.
All’idea di spontaneità, Saraha dà valenza di illuminazione (nirvåna) che lo yogin
sperimenta come una folgorante consapevolezza intuitiva che si scioglie nella vacuità
(†ünya). Per alcuni aspetti è probabile che Saraha sia stato ispirato al concetto di “naturale

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beata (in)coscienza (tzu-jan) dell’infante” espresso dai maestri taoisti cinesi. Questo stesso
concetto passò nel buddhismo cinese chan35 inaugurato da Bodhidharma nel VI sec. le cui
pratiche e dottrine, erano senza dubbio familiari a Saraha e agli altri siddha.
Il sahajayåna rigetta i doveri religiosi convenzionali e le formalità, considerando tutto ciò
inutilmente contorto (vakra) e difficile (kaߙa), si fa beffe di ogni tipo di scritture sacre
comprese quelle mahåyåna, della disciplina monastica e delle regole morali, del culto delle
immagini sacre anche del Buddha e degli interminabili scontri dialettici tra le varie scuole
buddhiste e con le altre dottrine. Piuttosto il sahajayåna predilige la trasmissione orale
degli insegnamenti e delle pratiche esoteriche da maestro e discepolo. Per il sahajayåna la
disciplina monastica così importante per il buddhismo hœnayåna, non è indice di
realizzazione interiore. La spontaneità e l’autenticità sono le caratteristiche principali dei
perfetti illuminati (siddha), ciò che è naturale è certamente facile e veloce, non c’è alcun
bisogno di testi filosofici, dottrinali e rituali, non c’è bisogno di cerimonie religiose, di
sacerdoti, di templi e del culto delle immagini sacre. A dimostrazione che qualunque essere
umano può raggiungere l’illuminazione, la maggior parte dei siddha appartengono a caste
inferiori o intoccabili e ci sono anche donne.
La realizazione del siddha sahajayåna detta folle saggezza consiste nella realizzazione del
fondo inalterabile della realtà, nel superamento delle dualità, nella pace interiore e
soprattutto nell’inesprimibile gioia (mahå-sukha). La bodhi è una esperienza, non può
essere insegnata, il maestro dà al discepolo la lampada con la quale può illuminare la sua
natura di Buddha che è già presente in lui. Per il siddha non hanno alcun valore il saµsåra
e il nirvåña se l’uno è il contrario dell’altro, entrambi gli stati dell’essere, pieno o
condizionato e vuoto o liberato, si equivalgono.
Già Någårjuna nel Mülamadhyamikå-karika 25.19 aveva affermato: “Nulla distingue il
samsåra dal nirvåña, nulla distingue il nirvåña dal samsåra”. Per i sahajayåna, l’unica
necessità è il guru e gli unici testi di riferimento dottrinale sono le canzoni composte dai
siddha tra i quali Saraha nel dialetto apabhraµßa raccolte nel Cåryapåda e nel Dohåkoßa e
in sanscrito raccolte nella Vajragœti. A causa dell’uso del linguaggio convenzionale (sandhå-
bhåßa) queste canzoni risultano poco comprensibili ai non iniziati. La dottrina sahajayåna
praticata dagli asceti itineranti sopravisse per qualche secolo all’invasione mussulmana che
fu invece fatale al buddhismo ortodosso basato sulle università e sui monasteri.
Tra gli 84 siddha enumerati dal vajrayåna Abhayadatta (XII sec.) nel
Caturasitisiddhaprav®tti sono compresi i dodici nåth fondatori di sette tantriche †aiva
apparsi nell’India del Nord tra l’VIII e il XIII sec. Una lista contenuta nello †aiva ‡abara-
tantra enumera 64 siddha quasi tutti già compresi nella lista di Abhayadatta. Non a caso, il
concetto di spontaneità (sahaja) è uno dei quattro principi fondamentali della dottrina dei
nåth che ricorre più volte nelle loro opere. Per i nåth, il termine sahaja che compare
nell’Ha™hayoga-pradœpika 4.9-11, 4.75 e in vari altri testi nåth e kaula, indica lo stato di
grazia costituito di gioia ineffabile ottenuto per mezzo dell’ascensione della kuñ∂alinœ-†akti.

35 Il buddhismo chan raggiunse il massimo splendore in Cina nella dinastia tang dal VII all’XI sec., nel XII
sec. passa in Giappone dove viene conosciuto come zen.

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Oltre che dai nåth e dai kaula, il termine sahaja con pressocché lo stesso significato, è stato
usato da Kabir (XIV sec.) e dagli altri nirgüñi-bhakta dell’India del Nord e più tardi dalle
sette sinistre vaißñava-sahajiyå, båul e kartåbhajå bengalesi.
I vaißñava-sahajiyå sono un fenomeno indissolubilmente legato ai gaudœyå e alla loro storia.
Il tramite tra il buddhismo sahajayåna e la tradizione gau∂œya sembra essere stato il poeta
Cañ∂œdåsa (XIV sec.) autore del noto poema erotico K®ßña-kœrtana. Più tardi l’innesto di
elementi di dottrine e riti sahajayåna nella dottrina gau∂œya potrebbe essere avvenuto con
la conversione degli ultimi monaci e monache buddhiste chiamati i rasati (ne∂a e ne∂œ)
operata in Bengala nel XVI sec. da Nityånanda e dal figlio Vœråbhadra. Questi monaci e
monache convertiti chiamati complessivamente jåti-vaißñava abbandonarono la vita
monastica e costituirono una casta a se considerata però infima dagli hindü e dai vaißñava
ortodossi ancora oggi esistente in Bengala. Dal XVII sec., i principali centri letterari e
culturali vaißñava-sahajœya in Bengala sono: Shrikandha (Bardhaman) dove vivevano
Narahari Sarakåra e Locana Dåsa; Khardaha (Barrackpore) dove vivevano Vœrabhadra, il
figlio di Nityånanda, Jåhnavå Mata, la vedova di Nityånanda e Råmacandra Gosvåmin, il
figlio adottivo di Jåhnavå Mata; Navadvipa dove vivevano Gadådhara Pañ∂ita e Narahari
Sarakåra fondatore dei gauråõga-nagarœ e Kulinagram (Navadvipa) dove viveva Jayånanda
uno dei biografi di Caitanya.
K®ßñadåsa Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta ådi cap. 11 enumera tutti i principali associati
di Nityånanda. In quel cap. appare che tutti loro in precedenza nel K®ßña-lœlå erano stati
amici pastori (gopa) di Krßña a Vrindavana, da ciò si può dedurre che in origine il legame
sentimentale (bhåva o rasa) con Krßña promosso dalla tradizione di Nityånanda era quello
dell’amicizia con K®ßña (såkhya) ma, in seguito al contatto con i teologi gau∂œya di
Vrindavana, Jåhnavå Mata e Vœrabhadra passarono al sentimento erotico-amoroso
(mådhurya-bhåva) delle gopœ di Vrindavana amanti di K®ßña. Questa operazione espose
però la tradizione di Jåhnavå Mata e di Vœrabhadra alle contaminazioni del buddhismo
sahajayåna e dei culti tantrici sinistri kaula e †åkta molto forti in Bengala.
Alcune sette vaißñava-sahajœya come quella dei ki†orœ-bhajan o adoratori di Ki†orœ o Rådhå
fondata da Kalacand Vidyålankåra (1713-1846) a Krishnanagar (Nadia, Bengala) e diffusa a
Vikrampur e Faridpur nell’odierno Bangladesh, si distinguevano per l’atteggiamento
anticasta e la riprovazione a cui furono oggetti da parte dei gau∂œya-vaißñava ortodossi. La
stessa sorte era condivisa dai membri della setta sakhœbhåvin o dei pervasi dai sentimenti
delle sakhœ e di Rådhå, basati a Jangalitola (Maldah, Bengala), che avevano adottato il
travestitismo o l’imitazione dell’abbigliamento e del carattere delle gopœ amiche (sakhœ) e
confidenti di Rådhå.
Allo stesso modo, i cü∂adhårin imitavano K®ßña ornandosi con una piuma (cü∂a) di
pavone tra i capelli, indossando la veste (dhoti) gialla e portando il flauto (vam†œ). Questi
ultimi considerando innaturale immaginarsi di sesso femminile come Rådhå, såkhœ o gopœ,
preferivano il metodo più facile (sahaja) di immaginarsi K®ßña e dedicarsi ai rapporti
sessuali rituali (maithuna) con donne immaginate come Rådhå. Tuttavia poiché il
l’obiettivo del sådhanå di tutte e tradizioni gau∂œya anche le più ortodosse a Vrindavana,

51
come a Navadvipa, era lo sviluppo di una perfetta identità spirituale femminile (siddha-
deha) nella eterna Vrindavana, alcuni fenomeni di imitazione e travestitismo, riservati,
ossia non sfacciatamente mostrati il pubblico da parte di adepti considerati avanzati, sono
considerati normali sintomi del loro progredito stato spirituale.
L’assunzione della mentalità femminile e lo sviluppo in meditazione di una forma
femminile perfetta, è basata sulla teoria della ontologica natura femminile del jœva-åtman.
K®ßñadåsa Kåviråja nella Caitanya-caritåm®ta Madhya-lœlå 6.160 e 8.152 afferma che il jœva è
in origine di natura femminile, è una †akti marginale (ta™astha) di Krßña, non è una †akti
esterna (bahir-aõga) come la manifestazione materiale (prak®ti), né è una †akti interna
(antara-aõga) come Rådhå e le Gopœ.
Presso alcune sette vaißñava-sahajœya l’adozione dell’abbigliamento femminile era la
naturale manifestazione della realizzazione interiore dei membri della setta dovuta a lunga
e intensa pratica meditativa, doveva seguire non precedere la realizzazione interiore, ma
per altre sette i membri potevano fin da subito travestirsi da donne. Assumere il carattere
di Rådhå, delle gopœ e delle sakhœ durante i rapporti sessuali rituali serviva a convertire il
kåma in k®ßña-preman, a trattenere e a far risalire lo sperma e la kuñ∂alinœ-†akti, a
trasformare un uomo in donna. Tuttavia in vari testi vaißñava-sahajœya si parla solo di
assunzione del carattere di Rådhå e delle gopœ, di amare K®ßña come loro, non di imitarle
esteriormente. Il travestitismo adottato dagli ermafroditi (hijrå), prostituti e da alcuni
mendicanti, a volte difficilmente distinguibili da quello di alcuni båbåjœ (asceti) vaißñava-
sahajœya, aveva ben poco a che vedere con la realizzazione spirituale.
Benchè estremamente condannato dalla morale comune, nel kåvya sanscrito l’inversione
dei ruoli sessuali tra gli amanti è un espediente frequentemente usato dai poeti per eccitare
l’immaginazione dei lettori e spettatori. Molti poeti vaißñava e gau∂œya hanno narrato nelle
loro opere alcuni lœlå particolari dove Rådhå e K®ßña si scambiano i vestiti e gli ornamenti e
molti artisti hanno dipinto la scena di questo scambio. A Nathadvåra (Rajasthan) in un
particolare festival che ricorda questo lœlå, K®ßña-‡rinåthajœ è vestito e ornato da gopœ (strœ-
ve†a). Jayadeva (XII sec.) nel Gœta-govinda 10.8 narra che K®ßña per calmare Rådhå le
chiede di porre i suoi piedi sul capo, in 10.11 Krßña si sottomette a Rådhå, in 12.11 Rådhå
assume nel maithuna il ruolo attivo e mascolino (purußayita) ossia la trasgressiva posizione
inversa (viparœta-bandha) e in 12.17-23 K®ßña serve Rådhå ornandola, pettinandole i capelli,
ecc. Cåñ∂œ Dås (XIV sec.) nel Bhåra-khañ∂a e nel Chatra-khañ∂a del K®ßñã-kœrtana, narra
che K®ßña serve Rådhå come domestico e le fa ombra con il parasole.
K®ßñãdåsa Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta ådi-lœlå cap. 11 elenca molti seguaci di
Nityånanda e Gadådhara Pañ∂ita con il titolo båul o auliya. Questi stessi gau∂œya sono
anche menzionati anche nel Vivarta-vilåsa di Åki∞cana Dåsa (XVII sec.), un commentario
della Caitanya-caritåm®ta che è considerato uno dei principali testi vaißñava-sahajœya. Nel
Vivarta-vilåsa, Åki∞cana Dåsa si dichiara discepolo di Mukunda Dåsa, discepolo di
K®ßñadåsa Kaviråja e sostiene che oltre a Caitanya stesso, anche Rüpa Gosvåmin, Sanåtana
Gosvåmin, Gopåla Bha™™a Gosvåmin e Råmånanda Råya36 si dedicarono al sahaja-sådhanå
36 Råmånanda Råya era un intimo compagno di Caitanya a Jagannatha Puri e autore del
Jagannåthavallabha-nå™aka. Nel Caitanyacandrodaya-na™aka, Kavikarñapüra definisce Råmånanda Råya un

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facendo pratica del parakœya-sådhanå con donne debitamente iniziate e addestrate
(sådhanå-saõginœ) delle quali riporta il nome37.
Tuttavia, anche se le opere di kåvya e di teologia dei sei gosvåmin di Vrindavana e dei loro
seguaci sono infuse di erotismo, esaltano il parakœya-bhåva e insistono sulla necessità di
adottare un perfetto corpo spirituale femminile (siddha-deha), non contengono alcun
riferimento a pratiche tantriche sinistre. Perciò le sette gau∂œya che aderiscono agli
standard morali dei sei gosvåmin possono essere definite destre o dakßiña, mentre le sette
vaißñava-sahajœya, båul e kartåbhajå possono essere definite sinistre o våma. I vaißñava-
sahajœya si distinguono dagli †åkta våmåcårin perché non praticano il pa∞ca-makåra, i †a™-
karman, i riti nei crematori, ecc. Praticano solo il maithuna o parakœya-sådhanå considerato
superiore allo svakœya-sådhanå perché è regolato e perché mira alla liberazione, mentre lo
svakœya è per la procreazione o per il piacere.
Elementi di dottrine †åkta come l’importanza attribuita a Rådhå e alle sakhœ sono presenti
in tutte le sette gau∂œya, ma sono ancora più importanti per le sette vaißñava-sahajœya e per i
rådhåvallabhi di Vrindavana. Ambedue Vrindavana, il luogo degli incontri amorosi segreti
tra K®ßña e Rådhå, e Varshana, il luogo di nascita di Rådhå nei pressi di Mathura, sono
compresi nella lista degli †akti-pœ™ha o luoghi deputati al culto di Devœ, contenuta nel
Matsya-puråña. A Vrindavana caddero le ciocche di capelli di Satœ e a Varshana uno dei
suoi seni. Nell’unica cappella annessa al tempio di K®ñå-Govinda a Vrindavana si trova una
piccola immagine sacra di V®ndå Devœ che, secondo la tradizione, era adorata da Rüpa
Gosvåmin stesso. Per i gau∂œya, V®ndå Devœ è una gopœ amante di Krßña, è la divinità
femminile che presiede Vrindavana, per l’appunto la foresta (vana) di Vrindå ed è la
personificazione della pianta di Tulasœ (ocimum sanctum) le cui foglie sono un importante
articolo di culto in tutte le tradizioni vaißñava.
Secondo T. Stewart in “The final word”, K®ßñadåsa Kaviråja nella Caitanya-caritåm®ta lasciò
aperti alcuni spiragli interpretativi, livelli esoterici di comprensione della natura divina di
Caitanya e di Radhå e K®ßña nei quali hanno potuto agevolmente inserirsi i vaißñava-
sahajœya qualificandosi come i veri detentori dei segreti della dottrina dei sei gosvåmin di
Vrindavana. Secondo E. Dimock in “The place of the hidden moon” (1989), i vaißñava-
sahajœya approfittarono dell’attraente teoria kåvya dei rasa elaborata da Rüpa Gosvåmin
nel Baktirasåm®tasindhu e nell’Ujjvalanœlamañœ. Pare che furono i vaißñava-sahajœya i primi
a tradurre e a commentare le opere dei sei gosvåmin e dei loro seguaci in bengali
appropriandosene. Tutta la letteratura vaißñava-sahajœya fa spesso riferimento alle opere di
Rüpa Gosvåmin, Råghunåth Gosvåmin, Narottama Dåsa e K®ßñadåsa Kaviråja, mai a Jœva
Gosvåmin, Vi†vanåtha Cakravartin e Baladeva Vidyabhüßana.
A causa della lontananza di Vrindavana dal Bengala e della difficoltà di comprensione delle
vaißñava-sahajœya, ma non è certo se a quel tempo, il termine sahaja avesse il senso che poco più tardi
acquisirà. In ogni caso l’episodio narrato nel cap. 5 dell’anthya-lœlå della Caitanyacaritåm®ta che vede
Råmånanda Råya dedito a lavare, massaggiare, vestire, ornare e istruire al canto e alla danza le giovani
devadåsœ del tempio di Jagannåtha a Jagannatha Puri, ha indotto alcuni ricercatori a considerarlo senza
dubbio un vaißñava-sahajœya.
37 Per quanto riguarda Caitanya, si tratterebbe di Kaõcanå Devœ da lui frequentata a Navadvipa, di ¯a™hœ Devœ
figlia di Sårvabhauma Bhattåcårya frequentata a Jagannatha Puri menzionata nel cap. 15 del madhya-lilå della
Caitanya-caritåm®ita e di Mådhavœ sorella di Sikhimåhiti menzionata nel cap. 2 dell’anthya-lœlå della Caitanya-
caritåm®ita.

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opere sanscrite dei sei gosvåmin per i gau∂œya bengalesi illetterati, i sei gosvåmin di
Vrindavana in Bengala rimasero quasi sconosciuti almeno fino al XVII sec. quando infine
Jœva Gosvåmin vi invio in missione i suoi tre discepoli ‡rœnivasa Åcårya, Narottama Dås e
Syamånanda Pañ∂ita. Con l’intento di diminuire la distanza tra Vrindavana e il Bengala,
K®ßñadåsa Kaviråja compose la Caitanya-caritåm®ta una biografia cattolica di Caitanya in
stanze bengali eccetto le numerose tratte dalle opere dei sei gosvåmin.
Nelle biblioteche della Manuscript Library of Calcutta University e della Asiatic Society of
Calcutta, sono conservati centinaia di manoscritti vaißñava-sahajœya in bengali e in sanscrito.
Negli anni trenta dello scorso secolo sono state pubblicate delle raccolte di testi vaißñava-
sahajœya in bengali Sahajœyå-såhitya edita da Manindramohan Basu (1932) e Vaißñava-
grånthåvalœ edita da Satyendranåth Basu (1936). Ci sono tre tipi di testi vaißñava-sahajœya: i
pada brevi poemi lirici composti da dieci a venti versetti, i poemi più lunghi come
l’Am®taratnåvalœ in sanscrito di Mukunda Dåsa (XVI sec.), l’Am®tarasåvalœ di Mathurå Dåsa
(XVII sec.), l’Ånanda-bhairava di Prema Dåsa (XVII sec.), l’Ågamasåra di Yugala Dåsa
(XVIII) e i trattati filosofici come l’Åtma-tattva e il Sahajatattva di Rådhåvallabha Dåsa. Un
caso a parte è il Vivarta-vilåsa di Åki∞cana Dåsa (XVII sec.) un trattato sulla Caitanya-
caritåm®ta di K®ßñadåsa Kaviråja.
Tra altri tardi testi vaißñava-sahajœya si annoverano il Prema-vilåsa di Yugalki†ora Dåsa, il
Deha-kadca di Narottama Dåsa, Rativilåsa-paddhati di Rasika Dåsa Gosvåmin, il Siddha-™œkå
di Raghunåtha Gosvåmin e gli anonimi Ratna-såra, Rådhårasa-kårikå e Sahajopåsana-
tattva. Come in tutte le sette tantriche sinistre anche i testi vaißñava-sahajœya fanno ricorso
al linguaggio enigmatico o convenzionale (sandhå-bhåßå) particolarmente sgrammaticato e
ciò rende la loro comprensione difficile e sviante.
I vaißñava-sahajœya come prima di loro i siddha sahajayåna e gli †åkta di tipo sinistro,
addestravano donne appartenenti ai ceti inferiori dedite alle mansioni più umili come le
lavandaie (rajakœ o dobhœ) o le mogli degli appartenenti alla infima casta ∂om (∂oµbœ 38) i
cui membri erano spazzini o addetti ai crematori. La disinibita lavandaia Råmœ dalla
carnagione scura già moglie di altri(parakœyå) amata da Cañ∂œdåsa (XIV sec.) autore del
K®ßña-kœrtanå, che lui bråhmaña non avrebbe dovuto neanche toccare, nell’immaginario
degli ortodossi vittime del fascino del proibito39, personificava il massimo della
trasgressione, l’esatto opposto della casta e devota (pati-vratå) moglie (svakœyå) di alto
varña e dalla carnagione chiara (†ukla). ‡aõkara (X sec.) nel ‡åradåtilaka 5.160 afferma:
“Sposati o meno gli uomini ottengono l’amore dalle prostitute pagandone il prezzo, ma
l’amore vero è quello ottenuto dalle mogli altrui”.
La dottrina vaißñava-sahajœya come quella degli altri culti di tipo sinistro, fu elaborata e si
trasmise per via settaria e segretamente da maestro a discepolo, perciò le diverse sette
condividevano soltanto alcune idee generali, non seguivano un univoco sistema di riti e
idee. Come i kaula, per proteggersi dalla riprovazione morale della società, i vaißñava-
sahajœya teorizzarono due livelli di sådhanå: interiore (antara) ed esteriore (båhya). I

38 Delle ∂oµbœ si parla nel cåryapada sahajayåna e in vari †åkta-tantra come nel cap. 6 del Kumårœ-tantra, nei
cap. 6-7 del B®hannœla-tantra e nei cap. 1 e 9 del Guptasådhana-tantra.
39 Ovidio, Amores 3.4.17 “Nitimur in vetitum semper, cupimusque negata”
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vaißñava-sahajœya dovevano condurre la loro esistenza mondana (vyåvahårika) da vaißñava
ortodossi mentre privatamente, e questo era ciò che più contava (paramårthika),
coltivavano il loro sahajœya-sådhånå.
I vaißñava-sahajœya consideravano ogni individuo, uomo o donna, in essenza divini e falso e
immaginario (mithyå) ogni dualismo e distinzione tra materia e spirito, sé individuale
(åtman) e Sé supremo (Param-åtman). La donna è femmina perché in lei c’è una
preponderanza di Rådhå, mentre l’uomo è maschio perché in lui c’è una preponderanza di
K®ßña. I vaißñava-sahajœya utilizzavano tecniche con le quali durante il maithuna con una
partner debitamente iniziata e addestrata (sådhana-saõginœ), grazie al controllo della
mente, del respiro e dell’eiaculazione dello sperma, innalzavano la kuñ∂alinœ-†akti
attraverso la serie di cakra disposti lungo la ßu†umñå-nå∂œ. Anziché a sette o più cakra come
i sistemi †aiva, †åkta, kaula e nåth, il sistema vaißñava-sahajœya come quelli sahajayåna,
vajrayåna e i sincretici sufi, si riferisce a quattro stagni (sarovarà`) coperti di loti. Presso i
vaisñava-sahajœya anche alle sådhana-saõginœ, grazie alla partecipazione al rito, era offerta la
possibilità di ottenere la liberazione che altrimenti, in quanto donne, nelle tradizioni
ortodosse hindü, jaina e buddhiste, era a loro praticamente preclusa. Una moglie casta e
pia poteva ambire al massimo a raggiungere il pio marito nei pianeti celesti sopratutto se
ardeva nella sua stessa pira funebre o a rinascere come uomo.
Durante il maithuna, la kuñ∂alinœ-†akti come un sinuoso torrente (baõka-nå∂œ) dallo
stagno della lussuria (kåma-sarovara), passa allo stagno dell’orgoglio (måna-sarovara),
prosegue allo stagno del puro amore (prema-sarovara) e giunge allo stagno
dell’immortalità (akßaya-sarovara) dove lo yogin sperimenta la piena gioia (mahåsukha) o
liberazione. Per i vaisñava-sahajœya la via dell’amore per K®ßña non può essere percorsa dai
celibi (bråhmacårin) o dai rinunciati (saµnyåsin), la compagnia delle donne è
indispensabile per progredire. Le donne possono insegnare agli uomini a sviluppare amore
(preman) per K®ßña, il maschio supremo (mahå-purußa). L’attrazione erotica (kåma) tra
uomini e donne originata dall’identificazione di ambedue con il corpo materiale, non va
negata, piuttosto va sublimata.
La meditazione per i vaißñava-sahajœya consiste nel ricordo (smaraña) della loro
“dimenticata” identità (svarüpa) di K®ßña o Rådhå e nella sovrapposizione (aropa-sådhanå)
di questa loro identità spirituale femminile, il corpo yogico, divino (divya-deha) o perfetto
(siddha-deha) all’identità mondana (rüpa) di uomo o donna. Come nel grembo femminile
l’unione dello sperma con l’ovulo femminile produce l’embrione, così nel corso del
rapporto sessuale rituale, la miscela di sperma e sangue mestruale o secrezioni femminili
riassorbita per mezzo dei mudrå sessuali (vajrolœ-mudrå e yoni-mudrå), produce la sostanza
(vastu) dalla quale, nella mente dei vaißñava-sahajœya, prende forma il corpo yogico divino
o perfetto non soggetto alle limitazioni e ai malanni degli ordinari corpi materiali. In
accordo ad un’altra interpretazione il corpo yogico del sahajœya sarebbe prodotto dalla
miscela dello sperma nella forma del mantra al quale il discepolo è stato iniziato dal guru
con il sangue mestruale nella forma del canto congregazionale dei nomi di K®ßña
(harinåma-samkœrtana).

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Per Rüpa Gosvåmin, il rasa è il maturo sentimento devozionale che lega il bhakta a K®ßña,
mentre per i vaisñava-sahajœya, il rasa è la corrente d’amore che scorre nel corpo del bhakta
identificato con K®ßña unito alla partner sessuale (sådhanå-saõginœ) identificata con Rådhå.
Il maithuna era considerato il miglior strumento per giungere all’identificazione con
Rådhå e K®ßña, come in un rito alchemico consentiva di sperimentare la loro unione
estatica (samådhi) consistente nel gioco divino (divya-lœlå) che per i vaißñava-sahajœya aveva
la valenza della liberazione (mokßa). Nei testi vaißñava-sahajœya l’eiaculazione durante il
maithuna era considerata una oblazione sacrificale (homa), lo sperma unito alle secrezioni
femminili o al sangue mestruale (rajas) e riassorbito dalla coppia di vaißñava-sahajœya,
diventava il nettare dell’immortalità (soma-rasa o rasa-am®ta). Perfino un autore advaita
come Vidyårañya nello ‡aõkara-digvijaya 9.90, sostiene che Krßña nel corso dei suoi lœlå
erotici con Rådhå come gli ha™ha-yogin, utilizzava i mudrå sessuali per riassorbire lo
sperma disperso.
Le sette vaißñava tantriche ortodosse sono dualiste (dvaita), Rådhå e K®ßña, Sœtå e Råma,
Lakßmœ e Nåråyaña e le altre divinità hanno identità e attributi personali come gli uomini
ordinari, mentre i vaißñava-sahajœya sono monisti (advaita), non riconoscono alcuna
distinzione tra il parama-åtman e il sé individuale eccetto quelle false prodotte da Måyå. Gli
elementi che compongono il corpo dai cinque elementi, ai dieci sensi, alla mente,
all’intelligenza, all’ego, alle arie vitali, ai canali (nå∂œ), ai cakra fino alle energie o pulsioni
positive come la compassione e negative come la collera, la lussuria e l’orgoglio che
animano il corpo, sono tutti presieduti da divinità maschili e femminili che in ultima analisi
come i paradisi e gli inferni, non esistono al di fuori di esso.
In ogni tempo e ovunque per descrivere il rapporto individuo/divinità e l’esperienza
dell’unità (ekatva), i mistici hanno fatto ricorso alla similitudine degli amanti, ma forse
nessuno come i vaißñava-sahajœya si è spinto a un tale estremo livello di mistificazione. Per i
vaißñava-sahajœya Rådhå e K®ßña non devono essere adorati né amati, se non a livello di
principianti (vaidhi-bhakti), non è l’amore per K®ßña (k®ßña-preman) che il bhakta uomo o
donna deve sviluppare, piuttosto è l’amore tra Rådhå e K®ßña che il bhakta deve realizzare
e sperimentare identificandosi con l’uno o con l’altro. I vaißñava-sahajœya citano il noto
passo della Caitanya-caritåm®ta ådi-lœlå cap. 4.164, dove K®ßñadåsa Kaviråja distingue tra il
desiderio egoista (kåma) della gratificazione dei sensi paragonato al ferro e il disinteressato
desiderio di servire, piacere e amare K®ßña (k®ßnna-preman) paragonato all’oro.
Per le sette gau∂œya destre o ortodosse il miglior esempio di amore mondano disinteressato
è quello della madre che tutto tollera e perdona al figlio. Secondo i gau∂œya ortodossi,
kåma e preman sono distinti e opposti come lo spirito e la materia, kåma nella Bhagavad-
gœtå 3.34 è l’innata propensità dei sensi verso gli oggetti e in 3.37 è il grande insaziabile
nemico, mentre preman in 10.10, è un dono che K®ßña concede ai suoi bhakta.
Diversamente per i vaißñava-sahajœya, kåma e preman sono inscindibili, preman non è che
kåma purificato perché rivolto a K®ßña, il supremo. La repressione della naturale umana
propensità al piacere, o kåma, conduce nel migliore dei casi all’aridità sentimentale,
inoltre, senza aver avuto diretta esperienza dei rapporti coniugali ed erotici, non si può

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ottenere il k®ßnna-preman. Il sahajœya-sådhanå non è cosa per brahmacårin o saµnyåsin.
Per i gau∂œya ortodossi la danza circolare di K®ßña con le gopœ di Vrindavana (rasa-lœlå)
dove K®ßña si moltiplica per danzare con tutte le gopœ è la celebrazione dell’amore puro e
incontaminato (preman) che li lega vicendevolmente, un evento sul quale meditare. Nel
Bhågavata-puråña 10.33.25 è detto che K®ßña durante la rasa-lœlå, malgrado fosse in
compagnia di innumerevoli gopœ appassionate, aveva il pieno controllo dell’impulso
sessuale (avaruddha saurataΔ) e il commentatore tradizionale ‡rœdhara (XV sec.),
conferma che K®ßña era continente. Diversamente per i vaißñava-sahajœya la rasa-lœlå si
traduce nell’attuazione pratica da parte di numerose coppie di yoginœ e yogin che si
identificano con Rådhå e K®ßña nel rapporto sessuale rituale. I vaißñava-sahajœya
definiscono anche la loro disciplina succosa o nettarea (rasa-sådhanå) in opposizione alla
disciplina arida (†ußka-sådhanå) praticata dai gau∂œya ortodossi.
Ai vaißñava-sahajœya erano molto congeniali l’erotismo che permea tutte le opere dei sei
gosvåmin e l’idea dei due livelli di disciplina riservata, interna (antar-sådhanå) e spontanea
(rågånuga-bhakti) ed esterna (bahya-sådhanå) e regolata (vaidhi-bhakti) che si traduce in
comportamento esterno da gau∂œya-vaißñava ortodossi e interno da vaißñava-sahajœya.
Considerando Caitanya e i suoi intimi compagni maestri del sahajœya-sådhanå, erano
interessati in particolare all’idea della doppia identità di Caitanya, quella umana o fisica
(praka™a) e quella immateriale (apraka™a) di Rådhå e Krßña combinati alla quale anch’essi
aspiravano. Infine, i vaißñava-sahajœya erano attratti dall’idea gau∂œya della superiorità della
relazione d’amore illecita (parakœyå) delle gopœ e di Rådhå con K®ßña sulla relazione lecita
o matrimoniale (svakœyå) delle sue mogli (mahißœ) a Dvaraka che essi interpretavano nella
possibilità di praticare rapporti sessuali rituali anche con donne alle quali non erano
coniugati (parakœyå-sådhanå).
Per i gau∂œya ortodossi ossia aderenti alla norme morali ed etiche prescritte nei dharma-
†åstra e nei vaißñava-tantra di tipo destro, il ricorso alle pratiche sessuali, alle bevande
alcoliche, ecc. era proibito. Per loro i rapporti sessuali non potevano in alcun modo essere
spiritualizzati, il sesso era una necessità tollerata e doveva essere praticato solo tra coppie
legittimamente coniugate e al fine di procreare buoni figli da allevare come vaißñava. Nei
dharma-†åstra è ingiunto ai coniugi di unirsi sessualmente al fine di procreare solo la notte
dei 16 giorni mensili fertili (®tu-gamana), ad esclusione dei giorni di festività religiose.
L’esperienza del piacere (bhoga) o gratificazione dei sensi è temuta perché provoca negli
individui l’identificazione illusoria con il corpo materiale temporaneo e fonte di sofferenza
e perché genera impressioni (våsana) che inducono alla coazione o dipendenza che è
l’opposto della liberazione (mokßa). La passione egoista (kåma) scaturita dal rajas-guña è
in grado di travolgere gli individui condizionati spingendoli al peccato (papa). La vera
identità dell’essere vivente è l’essenza spirituale (jœvåtman) che possiede le stesse qualità
eternità (sat), conoscenza (cit) e felicità (ånanda) ma in misura infinitesimale di Rådhå e
K®ßña.
Le dottrine vaißñava-sahajœya come le altre di tipo sinistro, sono corpo-centriche, il corpo è
lo strumento (yantra) di realizzazzione del divino, è il campo di congiunzione degli

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opposti, mentre per le sette vaißñava e gau∂œya ortodosse la dicotomia spirito/materia, ossia
anima e corpo, è assoluta. Inoltre, la distinzione tra l’essere vivente (jœvåtman) e il Sé
supremo (Parama-åtman o K®ßña), benché ambedue condividano la stessa natura
spirituale, è reale ed eterna, altrimenti anche la bhakti, il servizio offerto a Krßña, sarebbe
temporanea. I vaißñava ortodossi ritengono che dove c’è distinzione e scambio tra
individuo e divinità, tra amante e amato, c’è più gioia che nell’esperienza dell’unità
(ekatva). Alcune stanze di sapore dualista del poeta †åkta bengali Råmprasåd Sen (1718-
1775) sono usate anche dai vaißñava bengali: “... chi muore a K农 ottiene la liberazione, ma
la bhakti è la radice di ogni cosa e la liberazione è una sua servitrice. A che serve la
liberazione se significa fusione? Il mischiare acqua all’acqua? Pur piacendomi il miele, non
voglio diventare miele ...”
In ultima analisi, la dottrina dei vaißñava-sahajœya, come le molte altre di tipo tantrico
sinistro, era una manifestazione di rivolta contro il moralismo ipocrita che caratterizza ogni
religione e cultura conservatrice e mirava ad esprimere un misticismo più a misura d’uomo
e dei suoi intimi bisogni. Le tradizioni gau∂œya ortodosse e quelle vaißñava-sahajœya pur
avendo lo stesso oggetto di culto (Rådhå e K®ßña), avevano pratiche e obiettivi diversi,
continuando a sfiorarsi inevitabilmente si influenzarono a vicenda, ma non si fusero mai
del tutto.

1.11 I båul

Diversamente dai vaißñava-sahajœya oggi apparentemente estinti, i båul sono una tradizione
tuttora vivente. I båul, hanno sofferto un lungo periodo di degrado e persecuzione, sia da
parte degli ortodossi sunniti che degli smårta e gau∂œya-vaißñava che li consideravano fuori
casta ed eretici, fino a che furono scoperti dal poeta e scrittore bengali premio Nobel 1913
per la letteratura R. Tagore (1861-1941). Nel saggio di teologia e filosofia “The religion of
man” (1931), Tagore include un capitolo sui båul “The man of heart” e in appendice “The
båul singers of Bengal” composto dall’amico sanscritista Kshitimohan Sen (1880-1960).
Oggi i båul sono in genere ritenuti essere una felice espressione sincretica di sentimento
mistico-religioso e caratterizzati da un non comune senso di fratellanza e calore umano.
Anche soltanto come fenomeno folcloristico e musicale bengali stanno riscuotendo un
certo interesse internazionale, di fatto, nel 2005, la tradizione båul è stata inclusa nella lista
dei beni intangibili dell’umanità tutelati dall’Unesco. I testi bengali delle loro melodiose
canzoni bengali celebrano l’amore divino con un linguaggio semplice, emozionale e intriso
di evocazioni mistico-sessuali. L’amore dei båul per K®ßña o per Allah è reso in termini
molto terreni come dichiarazioni d’amore e rispetto per le loro donne, le inseparabili
consorti dette båulanœ o le partner sessuali dette khepœ o seva-dåsœ. Come altri culti di tipo
tantrico, anche i båul utilizzano nelle loro canzoni il linguaggio cifrato (sandhå-bhåßå)
pienamente comprensibile solo agli iniziati.
Secondo alcuni ricercatori, il nome båul deriva dai termini arabi bal cuore o auliya che è il

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plurale di vali devoto, per altri deriva dal termine sanscrito våtula pazzo, ossia affetto dalla
malattia dell’aria (våta), oppure da vyåkula ansioso o confuso che comunque descrive
efficacemente il loro stato emotivo causato dal trasporto mistico. Anche se il teologo
gau∂œya K®ßñadåsa Kåviråja (XVI sec.) nella Caitanya-caritåm®ta ådi cap. 12 narra che
Caitanya allontanò Kåmalåkånta Vi†våsa ritenendolo un båul per aver offeso Advaita
Åcårya, nell’ådi al cap. 11 egli elenca molti seguaci di Nityånanda e Gadådhara Pañ∂ita con
il titolo båul o åulœya. Inoltre nel madhya 2.49, 21.146 e anthya 19.9 e 20, Caitanya si
attribuisce il titolo di båul pazzo e nell’ådi 8.23, anthya 13.126, 17.46 e 19.21, il termine
åulåya è usato per indicare lo stato di agitazione o pazzia estatica (divya-unmåda) indotto
nelle gopœ o in Caitanya dall’amore per K®ßña.
Alcuni båul considerano fondatori (ådi-båul) o importanti figure di riferimento della loro
tradizione il poeta Jayadeva autore del Gœtagovinda, Caitanya, Nityånanda o Vœrabhadra, il
figlio di Nityånanda. Anche se è improbabile che i båul esistessero già come setta
organizzata al tempo di Caitanya e Nityånanda, sicuramente in Bengala erano presenti
delle sette sufi e sette tantriche buddhiste sahajayåna. Nella raccolta di versi
Subhasitaratnako†a del bengali Vidyåkara (XI sec.), la stanza 980 sembra descrivere gli
antesignani dei båul: “I pellegrini nelle vie hanno respinto il freddo con le loro coperte
costituite da cento stracci e ora con la loro dolce voce rompono il sonno mattutino dei
cittadini con le loro canzoni sul segreto amore tra Rådhå e Mådhava (K®ßña).” Chiunque
può diventare båul e non si nasce båul, tuttavia, diversamente dai vaißñava-sahajœya che
erano esclusivamente hindü di varña elevato, in genere i båul appartengono a ceti sociali
bassi o sono di origine mussulmana. Del sufismo nei båul è presente l’esaltazione mistica,
ma manca del tutto il profondo timore di Dio, la completa sottomissione alla sua volontà e
piena presa di coscienza della fragilità umana caratteristiche salienti dell’islam ortodosso.
Numerosi båul, ma non tutti, si lasciano crescere barba e capelli, portano al collo collane
(kañ™hi-målå) e rosari (jåpa-målå) di cristalli come gli †åkta, di rudråkßa come gli †aiva, di
tulasœ come i vaißñava e bracciali ai polsi. Alcuni non osservavano restrizioni circa l’uso di
bevande alcoliche, oppiacei e cannabis considerando queste sostanze catalizzatori della
meditazione. Come gli yogin, i sådhu e i brahmacårin continenti, i båul indossano il
perizoma (kaupœna), la tunica (luõgi) e lo scialle (chaddar) di cotone bianco o multicolore
(gu∂uri) i coniugati, ocra i rinunciati, mentre le donne båul (båulanœ) indossano il classico
sårœ di cotone.
Tradizionalmente i båul coniugati vivono in comunità omogenee in quartieri separati ai
margini dei villaggi come i fuori casta, ma non si mischiano con i fuori casta. Gli asceti båul
si spostano di villagggio in villaggio, da un momastero (akhda) all’altro, elemosinando
piccole somme di denaro o piccole quantità di cibo al modo delle api (mådhu-karin). Negli
akhda o nelle piazze i cantanti leader båul intrattengono il pubblico con canti e danze
accompagnati dal coro e da semplici strumenti musicali come l’unicorde ektåra, il quattro
corde dotåra o gopœ-yantra, cembali di ottone (karatåla), tamburi di coccio (kol o duggi),
cavigliere a sonagli (ghumgharü), ecc.
I båul professano una sorta di religione sincretica che fonde aspetti di dottrine gau∂œya-

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vaißñava, di sufismo, di tantrismo sahajayåna buddhista e talvolta di cristianesimo. Per i
båul, K®ßña, come Råmå, Allah e Buddha non sono che nomi dell’unico ente supremo o
Dio che essi, come i nirgüñi-bhakta, definiscono usando connotazioni negative come senza
forma (niråkåra), senza qualità (nirguña), incontaminato (nira∞jana), ecc. Nelle loro
canzoni frequentemente si trovano corrispondenze tra Råma e Rahim, K®ßña e Cristo,
Durgå e Fatima.
I båul di origine mussulmana sono inclini al sufismo, mentre quelli di origine hindü sono
inclini al culto di K®ßña, ma in ogni caso nessun båul accetta distinzioni di valore ed ogni
etichetta religiosa, ciò che conta è il grado personale di realizzazione spirituale e il carisma.
In origine i båul erano privi di un canone teologico e di scritture di riferimento, la
trasmissione delle dottrine avveniva attraverso le canzoni il cui contenuto esoterico era
rivelato dal guru solamente al discepolo, ciò ha reso le tradizioni båul disunite,
disomogenee. In origine i båul mancavano anche di qualsiasi tipo di struttura o istituzione
come templi e monasteri, l’unico vincolo che riconoscono è il rapporto guru/discepolo che
si espande nel rapporto discepolo/scuola o stile di musica (ghåraña), tra le quali nel corso
del XX sec., cinque sono emerse come principali.
I båul ritengono che il corpo sia sacro in quanto unico vero tempio della divinità e unico
strumento (kåya-sådhanå) di realizzazione spirituale, per tanto è importante che il corpo
sia mantenuto ‘puro’ e immune dagli attacchi dei canonici sei nemici (ßa∂-ripu o ßa™-kåma):
lussuria (kåma), rabbia (krodha), avidità (lobha), illusione (moha), orgoglio (mada) e
invidia (måtsarya)40. Nelle loro canzoni insistono sul distacco dalla grossolana gratificazione
dei sensi. Ritengono che le istituzioni religiose come templi, moschee e chiese siano
ostacoli sulla via della realizzazione che non deve essere mediata da sacerdoti di alcun
genere. Rigettano i metodi della meditazione individuale (dhyåna) e l’adorazione (arcana)
delle immagini sacre nei templi e nelle proprie abitazioni ritenendoli metodi egoistici
perché non condivisi. Piuttosto i båul sostengono che il canto e la danza composti di
parole, suoni, musica e movimenti aggraziati, siano i migliori atti devozionali perché
coinvolgono il pubblico che assiste ai loro spettacoli.
Tra i båul ci sono rinunciati (saµnyåsin), capifamiglia (g®hastha) e una sorta di rinunciati
che però mantengono famiglia detti jukta-saµnyåsin, ma tra rinunciati e capifamiglia non
c’è alcuna distinzione di valore. Piuttosto che båul, i membri di alcune sette preferiscono
essere chiamati bartamån-panthin adepti della dottrina moderna o del sentiero
dell’eternamente presente (vartamåna) principio divino innato (sahaja) che è presente nel
cuore tutti gli uomini e le donne.
Nello corso del XIX sec. alcune sette hanno creato dei monasteri per gli asceti båul come il
Darbesh Akhda in Dubrajpur (Birbhum, Bengala) fondato da Atal Behari Darbesh e quello
fondato da Lalon Fakir (1774-1890) a Kusthia (Khulna, Bangladesh). In queste sette hanno
adottato riti di iniziazione tantrica (dœkßå) degli adepti, hanno raccolto e pubblicato le

40 Nell’Artha-†åstra 1.6.1 i sei nemici sono la lussuria (kåma), la collera (k®odha), l’avidità (lobha), l’orgoglio
(måna), l’infatuazione (mada) e l’euforia (harßa). Nell’Hitopade†a 1.34 si trova una simile lista di sei difetti
(ßa∂-do†a): sonnolenza (nidrå), stanchezza (tandrå), paura (bhayam), collera (krodha), pigrizia (ålasyam) e
procrastinazione (dœrgha-sütratå). Nel Kåma-sütra 5.5.37 è detto che il re che sconfigge i sei nemici interiori
conquista tutta la terra.

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canzoni dei guru båul fondatori e sviluppato comunità stabili di famiglie båul che vivono
nelle vicinanze e che sono inserite nella società bengali. I båul risaltano per il rispetto verso
tutte le donne, le mogli e le partner sessuali rituali temporanee dette sevadåsœ. Le sevadåsœ
non sono necessariamente fedeli a un particolare partner maschile rituale. Le båulanœ in
quanto donne sono già realizzate e devono essere considerate guru originali (müla-guru)
dai loro mariti o partner rituali. Come per i vaißñava-sahajœya, anche per i båul solo
l’attrazione erotica (kåma) deve trasformarsi in amore (preman) per K®ßña sull’esempio di
Jayadeva, Caitanya o Nityånanda o per Allah, sull’esempio di Maometto.
Nelle canzoni båul sono menzionate le nove aperture del corpo (nava-dvåra): i due occhi,
le due orecchie, le due narici, la bocca, l’ano e l’orifizio genitale, i quattro cakra sahajayåna
o quattro livelli del sufismo (cårœ-mokam) e altre categorie yoga-tantriche. L’ingestione dei
quattro ingredienti o quattro Lune (cårœ-cånd) nel corso dell’ononimo rito previa
purificazione tramite mantra e mudrå, costituisce uno delle tre pratiche fondamenti della
dottrina båul, le altre due sono la sospensione (kumbhaka) del respiro durante il maithuna
e l’obbedienza alle istruzioni (våkhya) del guru. Le quattro Lune sono gli elementi (vastu)
prodotti dagli organi di escrezione e di riproduzione: escrementi (mala), urina (mütra),
sangue mestruale (rajas) e sperma (bindu). Non è chiaro come mai queste quattro sostanze
siano state definite Lune. In genere la Luna è ritenuta essere la sorgente del nettare
dell’immortalità (am®ta) che assume la forma della linfa (rasa) dei vegetali e del bianco
sperma. Nei manuali di ha™ha-yoga è detto che lo sperma è connesso alla Luna (candra)
così come le mestruazioni femminili sono connesse al Sole (surya); da tempo è noto che il
ciclo lunare influenza la ghiandola pineale che regola l’ovulazione alla Luna piena
(pürñimå) e le mestruazioni alla Luna nuova (amåvåsyå).
Le quattro Lune dai quattro colori rappresentano i quattro elementi materiali (bhüta) di
quattro diversi colori: la nera terra rappresenta le feci, la gialla acqua (nœr) rappresenta
l’urina, il rosso fuoco (nür) rappresenta l’ovulo femminile o sangue mestruale e l’aria
incolore rappresenta lo sperma maschile. I quattro ingredienti si dividono in due principi
attivi (le feci e il sangue mestruale) e in due principi passivi (l’urina e lo sperma). Secondo
alcune fonti, le feci e l’urina vanno ingeriti mentre lo sperma e il sangue mestruale vanno
assorbiti grazie al vajrolœ-mudrå o yoni-mudrå durante il maithuna attuato durante il ciclo
mestruale della båulanœ. Altrimenti, i quattro ingredienti possono essere ingeriti
separatamente e puri o miscelati con latte, melassa o miele, bevande alcoliche e canfora.
Oltre che nel rito sessuale i båul devono provvedere alla conservazione del loro sperma
(bindu-rakßå) che non deve essere sprecato, la contimenza sessuale è perseguita per mezzo
della meditazione, di una dieta vegetariana, di tecniche di respirazione e di consumo di
cannabis.
Per i båul, l’assorbimento delle quattro Lune mira alla fusione delle due coppie di principi
attivi e passivi o sintesi degli opposti principi maschile e femminile al fine di recuperare
l’integrità originale detto anche stato innato (sahaja), stato androgino (nara-nårœ-vya∞jana)
o morte vivente (jœvan-maraña) perché durante il rapporto sessuale rituale il corpo, la
respirazione e la mente sono bloccati. E’ detto che il rito dell’assorbimento delle quattro

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Lune eseguito ininterrottamente per 64 cicli mestruali della båulanœ (cinque anni e quattro
mesi) rende gli adepti completamente integrati.
La penetrazione e la eiaculazione sono le funzioni maschili, mentre la ricettività e
l’assorbimento sono le funzioni femminile, l’assorbimento rituale delle quattro Lune
permette ai båul e alle båulanœ di sviluppare una natura integrata, un perfetto corpo
virtuale (liõga-deha o siddha-deha) di natura androgina. A quel punto le coppie di båul e
båulanœ sono in grado di abbandonarne l’esecuzione esterna del maithuna per dedicarsi
soltanto all’esecuzione interna o in meditazione. L’assunzione delle quattro Lune è
sostituita dalla miscela di latte, acqua, melassa e polvere di cardamomo.
Per i båul, Caitanya è il perfetto esempio di integrazione androgina, egli è Rådhå e K®ßña
nel senso che li ha perfettamente integrati entrambi. Altrimenti in accordo ad un altra
interpretazione, come un feto è generato nella donna dall’unione di sperma e ovulo
scambiato per il sangue mestruale e cresce grazie al cibo di cui si nutre, così l’adepto båul
nel corso del rito sessuale riassorbendo nel proprio corpo lo sperma e il sangue mestruale si
procura una gravidanza e nutrendo con le quattro Lune questo feto androgino in lui
generato detto siddha-deha, lo fa crescere fino al completo sviluppo che rappresenta la
perfezione del sådhanå dei båul.
Nelle canzoni båul lo stato innato è anche convenzionalmente definito uomo del cuore
(maner-manuß), uomo del rasa (raser-manuß), uomo dorato (sonar-manuß), uomo
sconosciuto (ajån-manuß), uomo gioiello (ratan-manuß), uccello sconosciuto (akin-pakhi) e
in molti altri modi. Altro termine ricorrente è pesciolino dorato (sonar-mina) identificato
con il sé (åtman) che risiede nell’aj∞å-cakra tra le sopracciglia, il båul deve afferrarlo
durante il maithuna, farlo nuotare nel flusso dello sperma che scende dal cervello fino al
mülådhåra-cakra nel perineo dove congiunto ai tre tipi di sangue mestruale (triveñœ) si
carica di kuñ∂alinœ-†akti, si eleva trapassando tutti i cakra fino al brahma-randhra.
Avendo rapporti sessuali soltanto durante i tre giorni del periodo mestruale della båulanœ,
le coppie båul praticano una naturale forma di contraccezione. Nelle coppie sposate la
procreazione è scoraggiata o eventualmente deve avvenire solo con il permesso del guru.
Le procreazioni casuali sono ritenute uno spreco di sperma-energia, il sesso fa invecchiare e
le preoccupazioni dell’allevamento ed educazione dei bambini distraggono i genitori
dall’unica cosa che conta, la disciplina coniugale (yugala-sådhanå). Anche i båul
definiscono la loro disciplina con il termine ul™å-mårga contro corrente, contrario alle
comuni norme morali della società e delle religioni dominanti poichè guida al ritorno
all’originale stato innato (sahaja) o mira alla risalita della kuñ∂alinœ-†akti attraverso la
†ußumñå-nå∂œ fino alla città della Luna nascosta (guptacandra-pura).
Nel calendario båul ci sono molte festività durante le quali si riuniscono e organizzano
spettacoli di canti e danze come l’anniversario della nascita di Jayadeva che cade il giorno
di transito del Sole nel segno del Capricorno (makara-saµkrånti) nel mese di pußa
(Dicembre-Gennaio) che si tiene a Kenduligram (Birbhum, Bengala Occ.), l’anniversario
della nascita di Caitanya che cade il giorno di Luna piena (gaura-pürñimå) del mese di
phålguna (Febbraio-Marzo) che si tiene a Navadvipa, il pußa-mela inaugurato da R. Tagore

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che cade il giorno di k®ßña-saptami del mese di pußa che si tiene a Shantiniketana
(Birbhum) e gli anniversari dei båul fondatori di ghåraña come Lalon Fakir che si tiene a
Kusthia (Khulna, Bangladesh). Un’altra occasione di festa celebrata con grande gioia e
partecipazione dalla comunità båul è il matrimonio tra un båul e una båulanœ.

1.12 I kartåbhajå

Il termine kartåbhajå letteralmente significa adoratori (bhajaka) del maestro o di Dio


(kartå). Diversamente dalle sette sahajœya che si sforzavano di rimanere celati nella società
bengali, i kartåbhajå dalla metà del XIX sec. diventarono in Bengala molto conosciuti,
ricchi e ad un certo punto anche malfamati. L’origine dei kartåbhajå è attribuita ad
Åulcand (1686-1779), un mistico pazzo vissuto nei dintorni di Calcutta e considerato
reincarnazione (avatåra) di Caitanya e maestro sufi. Åulcand ebbe 22 principali discepoli
tutti considerati reincarnazioni dei principali compagni di Caitanya a Navadvipa, che alla
scomparsa di Åulcand crearono le loro sette distinte e diffusero il culto kartåbhajå in tutto
il Bengala. Tra le 22 sette si distinsero la setta di Råm†aran Pål (1710-1793) basata a
Ghoshpara, oggi sobborgo di Calcutta e la setta såhebdhanœ41 di Carañcand Pål e Muråri Pål
(XVIII sec.) basati a Brittihuda (Nadia, Bengala).
Il cognome Pål di tanti kartå indica la diffusione tra gli appartenenti alla sottocasta †üdra
degli allevatori e mungitori di mucche (go-påla). Råm†aran Pål trovò subito seguito a
Calcutta tra le classi più povere di operai, piccoli artigiani e commercianti che si
trasferivano dalle campagne del Bengala, dell’Orissa, del Bihar e dell’Assam per cercare
fortuna nella capitale dell’India britannica. Il periodo di diffusione dei kartåbhajå in
Bengala coincide con il tormentato periodo di transizione del potere dai governatori
mussulmani (nawab) agli amministratori della East Indian Company che segue la vittoria
degli inglesi della battaglia di Buxar (Patna, Bihar) nel 1764. Quel periodo fu anche
segnato dalla grande carestia del 1770 e dalle varie rivolte popolari e tribali che
interessarono varie aree del Bengala. Secondo le stime, la città di Calcutta da emporio
commerciale fondato nel 1690 dagli inglesi, dopo un secolo conta già 200.000 abitanti dei
quali soltanto 3000 tra inglesi e europei. Nel 1850 Calcutta conta 600.000 abitanti, nel 1900
oltre un milione diventando dopo Londra la seconda città per numero di abitanti
dell’impero inglese anche se gli inglesi rimanevano una esigua minoranza.
Gli inglesi divisero Calcutta divisa in white-town, i loro quartieri residenziali e le sedi
politico-amministrative e in black-town, i sovraffollati, sporchi e degradati quartieri dove
vivevano e lavoravano gli indiani. Nel corso del XIX sec., gradualmente la comunità

41 La setta Såhebdhanœ (ricchi notabili) oggi scomparsa era molto simile alle sette båul e vaißñava-sahajœya.
Pare sia stata fondata da un misterioso fachiro chiamato Såhehdhan nel villaggio di Dogachia-Shaligram (24
Pargana, Bengala) e che, contraddicendo il loro nome, fosse costituita da poveri contadini mussulmani e
hindü. I såhebdhanœ erano iconoclasti e anticasta, si dedicavano a canti congregazionali ogni venerdì sera,
chiamavano i loro guru Dœna-dayålu (misericordioso con i poveri) o Dœna-bandhu (amico dei poveri) e pare si
dedicassero all’infame rito del cårœ-cånd. Come i båul e i kartåbhajå la loro dottrina è contenuta e trasmessa
in un vasto corpo di canzoni. I due più importanti compositori di canzoni såhebdhanœ furono Kubir Gosåin
(1787-1879) e il suo discepolo Jådubindu (?-1916). Ancora oggi si celebra un festival (mela) annuale
såhebdhanœ nel giorno di vai†åkhœ-pürñimå (Aprile-Maggio) nel villaggio di Brittihuda (Nadia, Bengala).

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indiana di Calcutta si divise in bhadra-lok o gente facoltosa, la classe sociale composta da
ricchi mercanti e da impiegati nell’amministrazione pubblica e privata di medio-basso
livello che e in itar-lok, gente inferiore, il sotto proletariato impiegato nei fondi agricoli,
nelle fabbriche, nel piccolo artigianato e commercio che vivevano ammassati nei quartieri
popolari. I bhadra-lok vivevano con agio in quartieri di medio livello, imitavano nei modi
gli inglesi, educavano i figli all’inglese e godevano di qualche privilegio. Saranno gli itar-lok
a costituire il principale bacino di aderenti alle sette dei kartåbhajå.
Per alcuni versi i kartåbhajå come prima di loro i båul, rappresentano una reazione
popolare al tentativo di brahmanizzazione del culto di Rådhå e K®ßña operato dai gau∂œya
ortodossi e dagli smårta-bråhmaña. Sostenendo il sistema dei varña, il tantrismo destro e il
sanscrito come lingua canonica a scapito dei dialetti locali, i gau∂œya ortodossi avevano
finito per alienare dalla tradizione gau∂œya la gente povera e illetterata delle classi inferiori.
I kartåbhajå sostengono l’essenziale uguaglianza di tutti gli uomini e donne e la loro natura
divina e rispettano tutte le religioni e le divinità, ma non si dedicano al culto di alcun tipo
di immagine sacra, dicono: nayane dekhinijare, kemone bhajibo tare “Come si può adorare
ciò che non si vede con gli occhi?” Råm†aran Pål è il primo ad attribuirsi il titolo ereditario
di kartå e a stabilire la successione famigliare del titolo passandolo al figlio Dulålcand Pål
detto anche Lål†a†œ (1775-1852), che lo passa al proprio figlio Œ†våracand Pål (1813-1882) e
via di seguito nella famiglia Pål fino ad oggi.
Per i kartåbhajå di Ghoshpara, Råm†aran Pål riveste una posizione particolare, oltre che
kartå è anche considerato ådi-purußa (persona originale) e la sua consorte Satœ Må o
Sarasvatœ Devœ (1752-1839) è considerata ådi-†akti (potenza originale) o Madre Divina 42. I
discepoli riconobbero a Råm†aran Pål e a Satœ Må miracolosi poteri di guarigione da
malattie e di concedere fertilità alle donne. A Ghoshpara nella casa dove vissero Råm†aran
Pål e Satœ Må detta Thåkurbarœ ogni anno nel mese di Phalguna (Febbraio-Marzo) si
celebra un grande festival (mela) in onore di Satœ Må. L’area sacra del festival è considerata
una nuova Vrindavana. Oltre alla casa di Satœ Må dove c’è il suo cenotafio (samådhi), c’è un
laghetto miracoloso chiamato Himsagar, un sacro melograno chiamato Dalimtala e un
tempio di Kålœ (Rakßa-Kålœ) stabilito da Satœ Må.
Dulålcand Pål pubblica il primo testo kartåbhajå, la Bhåber-gœta (canti estatici), una
raccolta di 128 canzoni composte da Åulcand, Råm†aran Pål e dallo stesso Dulålcand Pål.
Nel 1870 Œ†våracand Pål pubblica il Kartåbhajå-gœtåvalœ una più ampia raccolta di 500
canzoni che comprende la Bhåber-gœtå. Le canzoni delle due raccolte sono composte in
bengali in forma di domande e risposte (saval-javab), contengono preghiere (prårthanå-
sangœta), celebrazioni del kartå (kartå-bandana) e spiegazioni delle dottrine e delle
pratiche esoteriche (sådhanå-sangœta).
Meno elitari dei vaißñava-sahajiyå, i kartåbhajå nelle loro canzoni in semplice bengali di
strada usano una forma di linguaggio cifrato (sandhå-bhåßå) specificatamente detto
linguaggio della zecca (tyaõk†ålœ-bol). Nelle loro canzoni fanno ampio uso di termini
mercantili a cominciare dallo stesso kartå che significa anche capo, proprietario o padrone
42 Poco più tardi i seguaci di Råmak®ßña (1836-1886) attribuiranno il titolo di Ådi-†akti alla sua consorte
Såradå Devœ (1853-1920) come quelli di Aurobindo (1872-1950) alla sua consorte Mira Alfassa (1878-1973).

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dell’impresa, alcuni termini derivano direttamente dall’inglese come inbhais da invoice
(fattura), kon™rakt da contract (contratto), mani da money (denaro), kompånœ da
company (compagnia) e altri. Secondo Råm†aran Pål, l’originale dottrina di Caitanya era
stata corrotta dai seguaci bråhmaña e la tradizione gau∂œya, una volta prospera e liberale
era finita in bancarotta.
Ma dalle rovine della vecchia compagnia (jara-kompånœ), per opera di Aulcånd era sorta la
compagnia dei poveri o dei pazzi (garib-kompånœ o pågal-kompånœ) dei kartåbhajå, che al
mercato segreto o della gioia (gupta-hå™a o ånanda-hå™a) offrivano di nuovo a tutti e
liberamente, come aveva fatto Caitanya, la mercanzia o il riso (cåula), l’amore per K®ßña
(k®ßña-preman). Råm†aran Pål fa riferimento al passaggio dell’anthya-lœlå 19.18-21 della
Caitanya-caritåm®ta di K®ßñadåsa Kaviråja dove è narrato che Advaita Åcårya attraverso
Jagadånanda Pañ∂ita invia un enigmatico messaggio a Caitanya a Jagannatha Puri dove
dice che al mercato (hå™e) non si vende più riso (cåula) perché tutti sono diventati pazzi
(båul) come Caitanya e al mercato del nome di K®ßña (nåma-hå™a) di cui parla Narottama
Dåsa (1466-?) nelle sue canzoni raccolte nel Prårthana.
Secondo Narottama Dåsa, i principali seguaci di Caitanya sono gli agenti del mercato
frequentato dai gau∂œya-vaißñava; Nityånanda è il padrone, Advaita è il segretario (mun†œ),
Gadådhara Dås è il tesoriere (bhåñ∂årœ) e Mukunda Dåsa è l’impiegato (mutasaddœ).
Proseguendo l’opera del padre, Dulålcand Pål organizza una setta altamente gerarchizzata
in base livello di prossimità al kartå, dove è richiesta la massima obbedienza al kartå e ai
suoi rappresentanti, i mahå†aya, da parte di tutti i membri. All’apice della struttura
organizzativa dei kartåbhajå è il kartå, seguono i mahå†aya eletti dal kartå una sorta di sub-
guru e infine ci sono i barati, i membri iniziati e istruiti dai mahå†aya.
Durante i festival (mela), i mahå†aya raccolgono dai loro barati e consegnano al kartå le
tasse annuali (khajna), l’offerta per l’iniziazione (dœkßå), per la confessione (dayika) e le
offerte libere (pråñami). I mahå†aya iniziano i barati con il guru-satya-mantra o bœja-
mantra e dopo qualche tempo, se i barati dimostrano serietà e devozione al kartå,
concedono la seconda iniziazione con il sholo-ana-mantra. Dulålcand Pål istituisce anche le
funzioni pubbliche aperte a tutti chiamate prema-anuß™håna (celebrazioni dell’amore)
costituite di preghiere, canti e danze offerte direttamente al kartå, dove i discepoli che si
identificavanon con Rådhå e le gopœ, esibivano parossistici sintomi estatici (såttvika-bhåva)
di amore per il K®ßña-Kartå.
Dulålcand Pål istituisce un sistema di tassazione annuale dei discepoli detta khajna in base
al loro reddito che li obbliga a lavorare per il kartå. L’idea è che tutto, anche il corpo dei
discepoli appartiene al kartå, come il campo appartiene al proprietario terriero (zamindar)
non al contadino che lo lavora, perciò i discepoli devono pagare al mahå†aya che consegna
al kartå, l’affitto del corpo e sono soggetti a sanzioni, in caso di cattivo utilizzo del corpo
devono confessare e pagare una quota (dayika). I discepoli dei kartå sono tutti incoraggiati
al matrimonio, non esiste un ordine kartåbhajå ascetico, quindi niente monasteri. Come
per i mussulmani, il loro giorno festivo o di riposo è il venerdì che osservano con la
continenza sessuale, dieta vegetariana e riunione serale in famiglia per cantare le canzoni

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della Bhåber-gœta e celebrare il kartå.
Nella Calcutta del XIX sec., il fatto che la maggior parte degli adepti fossero donne, l’alto
grado di sottomissione al kartå richiesto ai discepoli, la promisquità tra uomini e donne che
si verificava nelle funzioni pubbliche e nel goshpara-mela e più di tutto l’alone di mistero su
riti che cercavano di mantenere segreti, dava credito alle voci di pratiche tantriche sinistre.
Uno dei voti che il discepolo doveva pronunciare al momento dell’iniziazione era: åpnå
bhåjan kathå na kahio jathå tathå “Non rivelare mai le tue pratiche religiose (bhajan)”. A
differenza di tante sette hindü che esibiscono con orgoglio i loro segni settari i kartåbhajå
non ne mostrano alcuno. Uno dei loro detti recita: lokmadhye lokåcår, sadgurumadhye
ekåcår “Nella società si osservano le norme sociali, con il guru (il kartå) si osservano le sue
norme”.
Poco si sa delle pratiche esoteriche dei kartåbhajå, pare che si dedichino a pratiche corpo-
centriche (rüpasvarüpa-tattva) per l’ascesa della kuñ∂alinœ-†akti, ma erano riservati alle
coppie di discepoli coniugati (svakœya-sådhanå). Uno dei più importanti aforismi
kartåbhajå raccolti nel Kartåbhåjåmüla-sütra è: ‘meye hijrå puruß khojå tabe habe
karthåbhajå’ “La donna deve diventare un eunuco (hijrå 43) e l’uomo deve diventare
impotente (khojå), allora saranno kartåbhajå”. Ciò allude a pratiche esoteriche come
l’assunzione delle quattro Lune (candra-sådhanå) alluso in alcune canzoni della Bhaber-
gœta, che mirano allo stato originario androgino o innato (sahaja), lo stesso obiettivo
perseguito dalle sette tantriche sinistre.
Grazie al sistema di tassazione dei discepoli i Pål di Ghoshpara cominciarono ad
accumulare ingienti ricchezze, a godere scandalosamente di ogni tipo di agi e con i capitali
ammassati si dedicarono ad affari più o meno leciti. Œ†våracand Pål fu più volte trascinato a
giudizio e incarcerato per frode ed evasione fiscale e sottoposto ad indagini per supposta
immoralità. Agli inizi del XX sec. molti discepoli dei kartå cominciarono a nutrire dubbi
sul comportamento etico e morale dei loro kartå. A Calcutta, i missionari cristiani
protestanti basati Serampore oggi sobborgo di Calcutta, approfittarono della crisi dei
kartåbhajå per convertirne molti al cristianesimo. Allo stesso modo, a Murshidabad,
Rüpråm Kaviråja fondatore della setta spaß™adåyaka oggi estinta, raccolse un gran numero
di ex kartåbhajå. Diversamente dai kartåbhajå gli spaß™adåyaka ammettevano un ordine
monastico, si raccoglievano in monasteri (ma™ha) e i loro guru erano asceti, ma alla figura
di Rüpråm Kaviråja e ai guru che lo succedettero era richiesto solo un minimo formale
rispetto.
I Pål di Ghoshpara in un tardo tentativo di riforma, introdussero alcune pratiche e dottrine
buddhiste e cristiane come le dieci proibizioni simili ai dieci comandamenti cristiani e il rito
pubblico buddhista hinayåna della confessione dei peccati (patimokka). Da allora, al momento
dell’iniziazione il discepolo deve fare voto al mahå†aya di confessare i propri peccati di fronte
all’assemblea (majlis) dei confratelli e di pagare una multa (jarimana) in caso di errori o
43 Gli hijrå sono omosessuali, ermafroditi, evirati o travestiti. Sono organizzati in comunità guidate da un
guru e dediti al culto della forma androgina di Ardhanårœ†vara o di Bahuchåra Måtå, la Dea paripatetica il cui
tempio principale si trova a Mehsana (Gujarat). Gli hijrå si mantengono prostituendosi, mendicando,
danzando e cantando ai matrimoni e ai battesimi dove tradizionalmente le loro benedizioni sono gradite e le
maledizioni, che lanciano se maltrattati, sono molto temute. Nella Manu-sm®ti 11.68 lo dvijå che si dedica a
rapporti omosessuali è punito con la perdita del varña.

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omissioni. In questo modo, i kartåbhajå di Ghoshpara, da setta tantrica dedita a riti esoterici, si
è oggi trasformata in un popolare e innocuo culto devozionale centrato sulla figura del Cristo-
Buddha-Kartå.

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