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Nuova Umanità

XXXV (2013/2) 206, pp. 211-232

L’ESISTENZA E LA FEDE

Gennaro Cicchese

Romano Guardini (Verona 1885 – Monaco di Baviera 1968) ha


affrontato ripetutamente il tema della fede1. È uno dei temi domi-
nanti della sua riflessione teologica, mediante il quale egli cerca di
mettere a punto il rapporto tra rivelazione e cultura, anticipando,
profeticamente, alcuni temi cari al Concilio Vaticano II2.
Un interessante punto d’osservazione sul tema della fede e della
consapevolezza cristiana è, senza dubbio, Gläubiges Dasein3. Si tratta
di tre riflessioni biblico-teologiche, tenute in forma meditativa, che,
come Guardini scrive nell’avvertenza iniziale, «si fondano su lezioni
che l’Autore ha tenute nell’agosto 1950 al Altötting nei giorni dedica-
ti a meditazioni religiose prima del 74 Katholikentag tedesco»4.
Queste riflessioni mi sembrano utili per mettere a fuoco il tema
della fede nell’ora presente, in quanto cercano di rispondere a una

1 
Cf. R. Guardini, Vom Leben des Glaubens, Mainz 19635; tr. it. di Antonio
Bonora con revisione di Giulio Colombi, La vita della fede, Brescia 20082; Id., Filo-
sofia della religione. Esperienza religiosa e fede, in Opera Omnia II/1, Morcelliana,
Brescia 2008; in particolare i saggi: Esperienza religiosa e fede (1934), pp. 245-279;
La fede come vittoria (1939), pp. 283-293; La storia della fede e il dubbio della fede
(1939), pp. 307-332; Id., Filosofia della religione. Religione e rivelazione, in Opera
Omnia II/2, Morcelliana, Brescia 2010. In particolare: Fede e esistenza (1952), pp.
99-108; Fede e Rivelazione (1976), pp. 389-402.
2 
Su questo aspetto rimando al documentato studio di R.A. Krieg, Romano
Guardini. A Precursor of Vatican II, University of Notre Dame Press, Notre Dame
(Indiana) 1997.
3 
R. Guardini, Gläubiges Dasein. Drei Meditationen, Werkbund Würzburg
(1950) 19512; tr. it. di Giulio Colombi, L’esistenza e la fede, Morcelliana, Brescia
1960.
4 
R. Guardini, L’esistenza e la fede, Morcelliana, Brescia 1960, p. 8.
212 Gennaro Cicchese

questione essenziale del cristianesimo: quella dell’identità cristiana.


Questo tema è di grande attualità: la coscienza e la consapevolezza
di sé da parte del cristiano, riguardo alla relazione con Dio e con
gli altri, costituiscono una sfida decisiva per l’oggi della Chiesa5. Il
teologo italo-tedesco scrive: «Quanto più confusa si fa la situazio-
ne spirituale del nostro tempo, tanto più importante si rivela que-
sta consapevolezza di sé del cristiano dal lato negativo affinché egli
sappia con chiarezza davanti a se stesso ed agli altri chi egli sia»6.
Nei tre capitoli del libro, Guardini affronta con lucidità il tema
teologico del rapporto tra Dio e uomo: «Creato da Dio», «Fatto
libero da Dio», «Conosciuto da Dio». Il problema di fondo, cioè
quello dell’identità cristiana – in particolare il rapporto tra creden-
te e non credente – è affrontato e spiegato nell’Avvertenza:

Il cristiano credente ha la consapevolezza più o meno


chiara di essere, nella vita, in una situazione diversa da
quella di chi non crede. Sia in singoli istanti, sia nella for-
ma di una permanente attitudine critica su di sé, sia anche
solo in un’oscura percezione, egli sa che deve intendere
se stesso diversamente da colui, per il quale la Rivelazione
non costituisce misura dell’esistenza. Questa distinzione
non dipende soltanto dal fatto che egli conosce valori de-
stituiti di ogni significanza per gli altri, o che sa scorgere
l’iniquità di azioni, delle quali il non credente non si pren-
de alcuna sollecitudine, ovvero ancora ch’egli si orienta
verso possibilità e nutre speranze che appaiano prive di
consistenza oggettiva per il non-cristiano. Il punto decisi-
vo sta nella guisa, in cui egli sta, e che è supporto di tutti
gli elementi singoli del suo esistere7.

5 
Cf. i classici H.U. von Balthasar, Chi è il cristiano? Meditazioni teologiche,
Queriniana, Brescia 1966; K. Rahner, Che significa amare Gesù?, Edizioni Paoli-
ne, Roma 1983; e i più recenti e nostrani G. Mucci, I cattolici nella temperie del
relativismo, Jaca Book, Milano 2005; E. Bianchi, La differenza cristiana, Einaudi,
Torino 2006.
6 
R. Guardini, L’esistenza e la fede, cit., p. 8.
7 
Ibid., p. 7.
L’esistenza e la fede 213

L’esistenza cristiana va difesa, da ciò che Guardini chiama lo


«sbrigliamento dell’io», sintomo di un disagio umano al quale si
cerca di replicare con false soluzioni:

La coscienza cristiana della responsabilità etica ben a ra-


gione è turbata dall’insensato sbrigliamento dell’io che
si va proclamando nella tonalità esistenzialistica; pure,
come tanto spesso avviene, quest’insensatezza risulta un
sintomo. In essa si presentano problemi autentici, cui
tuttavia si forniscono soluzioni irrelate con gli orienta-
menti supremi dell’uomo, e quindi false8.

La faccenda dell’identità cristiana, e anche della vita cristiana


che ne consegue, può essere tematizzata solo ponendo la questione
giusta sull’esistenza. Secondo il nostro autore ciò è possibile, au-
tenticamente, a partire dalla Rivelazione:

L’“Esistenzialismo” si dissolve non appena il cristiano


pone esattamente la questione sull’esistenza, nella pro-
spettiva resa possibile dalla Rivelazione, cioè: come si
trova l’uomo entro la realtà? Per qual virtù egli è man-
tenuto nell’essere? In qual modo si pone il suo io entro
i suoi atti? In qual modo egli è libero? e così via. Son
questi problemi che pongono in profonda inquietudine
l’uomo d’oggi, intricato in tanto gravi confusioni. Il pen-
siero cristiano deve fornire le giuste risposte; di per sé
allora quelle false saranno ridotte al silenzio9.

Sono parole luminose che ci introducono nel cuore del pro-


blema. Secondo Guardini, l’identità cristiana non attinge a dati
psicologici, culturali e sociologici, ma si comprende a partire dal-
la Rivelazione stessa. Una rivelazione che, pur essendo un dono
dall’alto, quindi «grazia», si manifesta e si compie nella storia. È
quanto aveva ben compreso e spiegato, affrontando la figura di

8 
Ibid., p. 8.
9 
Ibid., pp. 8-9.
214 Gennaro Cicchese

sant’Agostino, in un testo molto bello, evidenziando l’originarietà


e l’originalità del Dio cristiano, ma anche la sua attualità:

Il Dio del cristianesimo […] non è l’essere assoluto della


filosofia, bensì il Dio Santo e vivo dell’Antico e Nuovo
Testamento. È il Dio che si rivela, che entra nella sto-
ria e vi agisce. È il Dio che chiama il singolo uomo e
lo fa entrare in una storia. Questa storia si ripete tante
volte, quanti sono gli uomini; ogni volta viene in essa
attirato tutto ciò che esiste, le cose del mondo e, prima,
gli uomini; ogni volta tutto ha vita in funzione di essa,
cosicché tutto ciò che esiste, mondo ed esistenza umana,
ottiene in quella storia centro e nome10.

L’originalità del Dio cristiano e la sua attualità si manifestano


propriamente anche nel fatto che questo Dio è un Dio che si fa
presente, che opera nella storia personale di ciascuno, coinvolgen-
dolo in un progetto più ampio e in un disegno di salvezza.

Creato da Dio

Nella prima meditazione («Creato da Dio»), Guardini sintetiz-


za l’indagine compiuta dall’essere umano, con le proprie risorse,
sulla costituzione e l’inizio del mondo. Egli ritiene che il proble-
ma «sul come il mondo sia venuto all’essere […] si può ridurre
a poche forme fondamentali»11. Ne individua fondamentalmente
tre. In primo luogo, la risposta del mito, che ci parla di un caos
primordiale e preesistente:

10 
Id., Die Bekehrung des Aurelius Augustinus (1935); tr. it. di V. Faleschini,
La conversione di Sant’Agostino, Postfazione di Massimo Borghesi, Morcelliana,
Brescia 20022, p. 11.
11 
R. Guardini, L’esistenza e la fede, cit., p. 12.
L’esistenza e la fede 215

Questi miti racchiudono in sé un senso profondo.


Nell’immediatezza delle loro immagini, nella rozzezza
sensibile delle loro rappresentazioni, essi danno l’impres-
sione di una misteriosa grandezza che non sia stata anco-
ra affinata da alcuna cultura. In fondo che cosa dicono?
Parlano di un autentico creare? Manifestamente no, ma
di un formare e ordinare. Ma allora il Caos è dal princi-
pio, cioè da sempre; poi vi si appiglia un’energia divina
e forma, traendole da esso, le cose. E il Caos rimane pur
sempre, perennemente: sta in attesa insidiosa sotto ciò
che ha preso forma e cerca di riassorbirlo in sé12.

In secondo luogo, la rappresentazione della filosofia neoplatoni-


ca, che pone all’inizio di tutto l’Essere più alto:

Egli è l’uno, anzi il sopra-uno, che trascende ogni intel-


ligibilità, e l’uomo lo può immaginare solo sotto l’im-
magine di un punto luminoso. […] in lui v’è una ric-
chezza inesauribile – ed insieme un impulso in infinito
a partecipare tale ricchezza. Così Egli comincia a fluire
come una fonte; e come questo fiotto uno si riversa sugli
altri da sé, l’altissimo Uno emana l’esistente: dapprima
gli esseri spirituali nelle loro gerarchie distinte; quindi le
anime umane; poi gli esseri viventi – e così via sino alle
cose infime13.

In terzo luogo, la cosiddetta dottrina del gioco di Maya, dove


tutto è sospeso, evanescente: «Essa dice che esiste solo la Divinità:
vita infinita, ch’è movimento da sé zampillante. Essa sogna e nel
suo sogno sorgono e si svolgono le immagini. Ma poiché chi sogna
è la divinità, le immagini si addensano così compatte, che rendon
parvenza di realtà»14. L’essere umano deve faticare per pervenire
alla verità, oltre l’apparenza:

12 
Ibid., p. 13.
13 
Ibid., p. 14.
14 
Ibid., p. 15.
216 Gennaro Cicchese

L’uomo deve penetrare lottando attraverso l’apparenza


e pervenire alla verità, consistente in questo: ch’egli ri-
conosca come tutto sia soltanto il Divino. Tutto ciò che
esiste altrimenti è parvenza, anche e soprattutto lui stes-
so, l’uomo. Deve lasciare dunque tale parvenza – ed ec-
colo infine libero15.

L’analisi di queste posizioni rivela che «un autentico creare non


è stato pensato in alcun luogo fuor dell’ambito della Rivelazione»16.
«Tutte queste risposte – scrive ancora Guardini – convergono in
una tesi sostanziale, cioè nella visione per la quale si fa realtà ciò,
che non era ancora realtà, e pertanto non era assolutamente»17. La
Sacra Scrittura, al contrario, affermando la realtà che da sempre e
per sempre è, dice «Dio», e il Dio vivente:

Dapprima e anzitutto: ciò che era, ed è, e sempre sa-


rà; ciò che è simpliciter esistente, e non può affatto non
essere, è il Dio vivente. Questo Dio non ha bisogno di
cosa alcuna; non ha affatto una relazione necessaria con
alcunché, che possa essere fuori di Lui: è assolutamen-
te libero. In nessun modo si deve pensare che il mon-
do debba esistere, poiché qualche cosa d’altro da Lui
Gli mancherebbe; Egli è tutto in se stesso, Vita, Verità e
Amore. Asseriamo quindi con la massima decisione: se
mancasse il mondo, non mancherebbe nulla di essenzia-
le: esisterebbe infatti Dio e ciò basterebbe18.

Questa spiegazione della realtà-Dio non basta tuttavia a chiarire


la questione basilare che riemerge in tutta la sua importanza: che
cosa significa creare il mondo? Non si tratta dell’invenzione di un in-
gegnere né di una creazione artistica, ma di qualcosa di più, anzi di
radicalmente diverso. Mentre l’ingegnere e l’artista, infatti, hanno

15 
Ibid., pp. 15-16.
16 
Ibid., p. 16.
17 
Ibid., p. 17.
18 
Ibid., p. 17.
L’esistenza e la fede 217

bisogno di materiali pre-esistenti, Dio crea «dal nulla». Per questo


Guardini invita a «cercar d’immergerci in questo concetto: Non v’è
nulla: solo Dio – Ma Egli fa sì che esista il mondo»19. In che modo,
allora, Dio crea il mondo? Lo fa mediante il Verbo, mediazione e
manifestazione dell’onnipotenza divina. Guardini scrive:

La Sacra Scrittura dice: il primo è il Verbo, che signifi-


ca poi l’espressione, la manifestazione del senso ideale
(Sinn) la quale viene dallo spirito. […] essa afferma con
questa frase che la sua Onnipotenza ha rivestito il carat-
tere della verità e dell’intenzione intima, che scaturisce
dal cuore; quindi, che l’atto inconcepibile del creare è
avvenuto senza pena, con una pura agevolezza. Questa
è appunto l’onnipotenza perfetta: nessuna lotta, nessuna
gesta immane, nessun frastuono, né esplosioni, né pro-
cessi: invece, Dio parla, ed ecco le cose sono20.

Ciò significa, sostanzialmente, che l’intervento divino è al tem-


po stesso silenzioso e reale: il mondo è «creato nella più pura e
totale agevolezza»21. Perciò Guardini si domanda: perché allora
Dio crea il mondo? La risposta è, semplicemente, perché egli lo
vuole libero, di una libertà pura e perfetta:

Perché Dio crea? Crea, perché egli lo vuole. Ma perché


lo vuole? Che cosa ve Lo spinge? Nulla Gliene dà l’im-
pulso: non v’è alcuna necessità, ond’egli possa esservi
costretto. Nulla v’è fuori di Lui, prima ch’Egli voglia
esista qualche cosa, non v’è appunto nulla; nemmeno
però in Lui stesso, nel suo essere, nella sua condizione,
poiché Egli è Signore, quindi Signore anche – dirò me-
glio, originariamente ed in modo essenziale –, di se stes-
so. Pertanto Egli crea, perché vuole. Si manifesta così la
libertà pura di Dio, che non possiamo scavare col pen-

19 
Ibid., p. 20.
20 
Ibid., p. 21.
21 
Ibid., p. 22.
218 Gennaro Cicchese

siero, quasi dietro ad essa, nel suo sottofondo, vi fosse


qualche suo presupposto22.

In pratica, sulla scia della tradizione cristiana, la libertà divina,


secondo Guardini, «fonda la nostra esistenza conferendole una sa-
cra significanza. È un sostegno più ontologicamente saldo per la
nostra sussistenza, che non sia qualsivoglia necessità»23.
La questione fondamentale, tuttavia, non risiede nel fatto che
Dio crea tutto un mondo esterno o piuttosto molteplice, indetermi-
nato – «“le” cose “gli” esseri viventi, “gli” uomini» – quanto invece
che egli ha creato «me». Questo è il punto sul quale veramente riflet-
tere. Tutto si può sintetizzare nell’espressione: «Egli mi ha creato»24.
Quali conseguenze ha, tutto ciò, nei nostri confronti? Secondo
Guardini l’elemento più significativo è la constatazione che «l’im-
menso si diriga su di me», che «la parola fiat è rivolta a me» e che
«il raggio di luce del Suo sguardo si fissa su di me»25. Alla luce
di questa consapevolezza, un brivido dovrebbe scuotere la nostra
esistenza e i nostri atteggiamenti individuali, lasciando risuonare la
questione particolare che ci mette in gioco radicalmente: «Voglio
davvero, dunque, essere creato? Voglio ex-sistere per e dall’opera
creatrice di Dio?»26. Qui emerge tutta la problematica della volon-
tà umana27, combattuta dal senso di affidamento a Dio e da quello
di autonomia personale:

22 
Ibid., pp. 23-24.
23 
Ibid., p. 24.
24 
«“Son io, che Dio ha creato”. Certo, Egli s’è valso di intermediari: i miei
genitori mi hanno dato il corpo, gli insegnanti mi hanno istruito, ho ricevuto dal
mio ambiente doni ed influssi della più varia natura, mezzi di vita, concetti cono-
scitivi, formazione ed abilità nel lavoro, e così via. Tutto ciò rimane pur sempre
tuttavia nella mano di Dio, e, se ci rifletto con pensiero limpido, devo raccogliere
ogni cosa nella frase: “Egli mi ha creato”» (Ibid., p. 25).
25 
Ibid.
26 
Ibid., p. 25.
27 
Su questa tematica, e in particolare su tutta la dialettica tra “volontà vo-
lente” e “volontà voluta”, rimandiamo all’impareggiabile opera di M. Blondel,
L’action (1893). Essai d’une critique de la vie et d’une science de la pratique,
Quadrige – PUF, Paris 1993; tr. it. L’azione. Saggio di una critica della vita e di
una scienza della prassi, a cura di Sergio Sorrentino, Paoline, Roma 1993.
L’esistenza e la fede 219

Questo – scrive Guardini – non è assolutamente sicu-


ro: poiché qualche cosa nell’uomo lo vuole; altro inve-
ce non lo vuole. V’è infatti nell’uomo pure la volontà
d’essere fondato nella sua propria realtà, di vivere quasi
scaturendo da un’origine autonoma; di porsi in atto me-
diante il suo proprio conoscere e volere. In quanto però
l’essere proprio dell’individuo è troppo misero e angu-
sto, si protende ad accogliere in sé ciò che lo circonda e
intende ex-sistere per e dalla totalità organica della na-
tura. Egli si sente sicuro, quando sussiste per le stesse
forze, che reggono la pianta e l’animale. Assume come
sua base il cosmo e dice: “Mi basta”28.

Il desiderio umano, anzi sovrumano, di realizzare una libertà e


un’autonomia particolari, escludendo Dio e affermando una forza
puramente naturale, si è già manifestato, secondo Guardini, nel
percorso della storia umana, con esiti negativi, catastrofici:

In realtà avviene così! Il nostro mondo interiore è col-


mato da questa volontà. Anzi noi abbiamo vitalmente
sperimentato il grande tentativo di esistere senza Dio,
puramente da noi stessi, in forza della natura, sulla base
del mondo. Il tentativo è andato fallito, come una co-
struzione crollata, e le scosse della catastrofe continuano
ancora a sussultare29.

Ma tutto ciò non basta. Nel nostro tempo sta accadendo qual-
cosa di ancora più potente e pericoloso, vale a dire la smodata
affermazione di sé, che Guardini descrive così:

L’uomo può proporsi con tanto ardore di esistere solo


da sé, per e dalla natura e dal mondo, che è pronto a fa-
re per tal fine ogni sacrificio. Quindi dice: «Sono pron-
to ad essere schiavo, a lasciarmi prescrivere che cosa io

28 
R. Guardini, L’esistenza e la fede, cit., pp. 25-26.
29 
Ibid., p. 26.
220 Gennaro Cicchese

debba operare, dire, volere; pronto a lasciar controllare


le mie disposizioni di spirito e a far penitenza per quel
pensiero che non mi sia consentito, a tutto purché sol-
tanto non debba esistere in virtù di Dio»30.

È dunque messa pericolosamente in gioco la libertà dell’uomo.


Riecheggiano le questioni già affrontate nel libro La fine dell’epoca
moderna31.
L’essere umano, creatura di Dio, libera per Sua volontà, rischia
di farsi imbrigliare dal mondo. Nel tentativo di una nuova, presun-
ta libertà, infatti, egli non riconosce più il primato di Dio. La sua
esistenza si manifesta come auto-nomia. L’uomo si fa, precisamen-
te, legge a se stesso. Si comprende meglio, così, la bella espressione
già usata da Guardini – «sbrigliamento dell’io» – che, in ultima
analisi, diventa «prigionia dell’io», di se stesso, cioè dei propri li-
miti e del proprio orgoglio. I pensieri filosofici e teologici sviluppa-
ti sin qui dal nostro autore, sollecitano ulteriormente la questione
antropologica. Egli si chiede:

Che cosa voglio io? E proprio realmente? Nella mia più


gelosa intimità, nel mio più profondo segreto, in ciò, on-
de io vivo e muoio? Voglio io sussistere in virtù del vo-
lere di Dio, d’una volontà, sulla quale io non ho, da me,
alcun influsso, d’un volere, su cui non posso nemmeno
porre la questione del perché egli voglia, ma che sta, in-
vece, nella pura assolutezza della padronanza di sé? Vo-
glio io esistere in virtù della libertà di Dio più sciolta da
ogni fondamento e motivo, più sovrana, più svincolata
da ogni perché?32.

La maturità umana consiste nel porre le questioni e mantenerne


aperte le risposte. Il «sì», secondo Guardini, non va pronunciato

30 
Ibid.
Cf. R. Guardini, Das Ende der Neuzeit. Ein Versuch zu Orientierung,
31 �

(1950); tr. it. di Marisetta Paronetto Valier, La fine dell’epoca moderna. Il potere,
Morcelliana, Brescia 19938.
32 
R. Guardini, L’esistenza e la fede, cit., p. 27.
L’esistenza e la fede 221

troppo presto. L’attesa serve a maturare la decisione e la responsa-


bilità personale. L’essere umano, infatti, è piuttosto contraddittorio:

L’uomo si costruisce dalla superficie in profondità, e


nessuno ha ancora scandagliato quanto fondi discenda-
no i suoi abissi. Spesso egli ha detto sì con uno strato del
suo essere, ed uno più interiore ha invece ricusato l’as-
senso. E se egli pensasse d’essersi consolidato in questo
no, allora sorgerebbe da profondità ancor più celate una
nuova opposizione33.

Scandagliando con rara maestria il fondo dell’umanità, il no-


stro autore vi scorge i segni di una grande ambiguità. Vi riecheggia
tutta la sapienza biblica e patristica dell’homo abyssus. La questio-
ne, allora, è: qual è il punto d’arrivo umano? C’è un atto nel quale
l’uomo possa superare le sue contraddizioni interiori, le sue «natu-
rali» opposizioni, il suo interno dualismo? Il punto d’arrivo umano
è, secondo il teologo italo-tedesco, l’atto di riconoscimento della
verità di Dio come creatore e dell’accettazione di sé come creatura.
Per raggiungere questa meta non basta un atteggiamento raziona-
le, ma è necessaria la preghiera e l’adorazione:

In essa l’uomo si piega davanti a Dio – non solo profon-


damente, ma in una profondità assoluta; non solo inte-
riormente, ma fin nei confini estremi, onde il nostro esse-
re è saldo nella mano di Dio, così totalmente, come egli
non può fare dinanzi ad alcuna potenza del mondo. […]
L’adorazione esprime la nostra verità: l’uomo è tale, da
potere e dovere adorare; onde l’adorazione ci pone sem-
pre di nuovo nella verità. Ci rende sani, ci dà la libertà,
perché solo la verità può largirla. In essa ci rinnoviamo.

L’adorazione è un atto di verità e di sanità dell’essere umano.


Essa fa emergere la vera natura dell’uomo, al di là di ogni possibile
inganno, ponendolo dinanzi al suo Tu divino:

33 
Ibid., p. 28.
222 Gennaro Cicchese

L’uomo può essere uomo solo davanti a Dio. A partire


da questo centro si decide tutto. Quando egli abbandona
l’attitudine dell’adorazione, si spoglia della sua umanità,
e incorre in un grave pericolo. Può diventare più malva-
gio di una bestia, poiché l’animale è ciò che dev’essere
secondo il volere di Dio, mentre egli invece è un uomo
perduto. Ed ecco vediamo pure ch’egli compie atti, dei
quali ci si può chiedere come sia addirittura possibile che
ne entri il pensiero nello spirito d’un uomo34.

Dall’adorazione scaturisce anche la fiducia e la possibilità di


rimanere saldi contro ogni avversità, «d’esser salvi nella libertà di
Dio, fortezza, dove nulla può penetrare»35. Per questa ragione, ab-
biamo assolutamente bisogno di riscoprire e mettere in pratica la
preghiera e l’adorazione, per nutrircene quotidianamente, senza
nessuna paura di sminuire la nostra umanità. In altre parole, per
ritrovare l’umanità perduta, abbiamo bisogno di una preghiera
che diventi adorazione costante e di un’adorazione che rifluisca in
preghiera. Non a caso Guardini conclude il capitolo con la seguen-
te preghiera d’ossequio: «Libertà di Dio, tiemmi saldo. Sì, Tu sei
l’amore. Non permettere che io vada aberrando da Te; non con-
sentire che io sia cancellato dal Tuo cospetto, o Mistero di tutti i
Misteri, o Certissimo sopra tutte le certezze, tienimi in Te»36.

Fatto libero da Dio

La seconda meditazione («Fatto libero da Dio») affronta il


tema della libertà. Dio, infatti, non crea un «“noi” in universale,
ma ciascun uomo, e quindi io»37. Non si può comprendere questo
tema se non si prende atto della creazione personale di ciascuno di

34 
Ibid., p. 30.
35 
Ibid.
36 
Ibid., p. 30.
37 
Ibid., p. 31.
L’esistenza e la fede 223

noi. Ciò significa far riferimento soprattutto all’espressione della


Rivelazione che più di ogni altra rinvia a questa azione: «Facciamo
l’uomo a nostra immagine» (cf. Gen 1, 26-28).
Questa espressione biblica fonda la libertà dell’uomo e il domi-
nio sulle creature: «Ora – scrive Guardini – egli crea l’uomo a sua
immagine: il suo essere sussiste perciò così, ch’egli possa reggere se
stesso nella libertà e dominare sopra le creature di Dio»38.
Il teologo italo-tedesco dà la seguente spiegazione: «Domina so-
pra le cose colui che le può usare per i suoi bisogni – alimentazione,
vestito, dimora, ornamento. […] Soltanto l’uomo può dominare
perché egli è libero»39. E soggiunge più oltre: «“L’uomo è libero”,
significa che egli può fare ciò che vuole. Può scegliere tra le pos-
sibilità che gli si spiegano dinanzi. Può ergersi nella sua potenza
d’iniziativa, e quanto in prosieguo egli fa, trae il principio da lui»40.
Il tema della libertà assume un carattere essenziale nella rifles-
sione cristiana, in generale, e guardiniana in particolare. Tuttavia,
in entrambe, resta celato il mistero della potenza di Dio, di come
Egli possa renderci partecipi di un tale dono:

V’è una libertà: questo ci attesta l’esperienza, e la parola


di Dio ne fa pure un contenuto della nostra fede. Come
però possa esistere questa libertà, se Dio opera ogni co-
sa, non sappiamo. V’è qui celato alcunché di indicibile,
che potremmo esprimere in certo modo nella maniera
seguente: Dio trattiene, per così dire, la Sua potenza che
tutto domina, affinché la nostra piccola potenza abbia
libero corso. Egli apre uno spazio, in cui il nostro potere
d’iniziativa, così precario in sé, possa svilupparsi41.

Si sfiora qui la soglia del mistero e della benevolenza divina che


tuttavia non si esaurisce, per così dire, in una semplice concessione
data all’uomo, ma esige qualcosa di più:

38 
Ibid., p. 36.
39 
Ibid., pp. 36-37.
40 
Ibid., p. 39.
41 
Ibid., p. 40.
224 Gennaro Cicchese

Dio dà la libertà all’uomo, Egli dice: «Ora sei libero, e


fa dunque ciò che vuoi». Con questa frase non sareb-
be ancora espressa la condizione oggettiva delle cose,
in quanto Dio non vuol solo che l’uomo faccia qualche
cosa, come che sia, nella libertà, ma compia ciò ch’è giu-
sto. Pur l’uomo deve fare il giusto, diciamo piuttosto il
bene, ma nella libertà, poiché solo in essa il bene può
essere attuato. Se non v’è libertà, può allora trovarsi il
giusto, l’esatto, come nel crescere del fiore, ovvero nella
fabbricazione del nido da parte dell’uccello, ma non si
può parlare di bene, che può attuarsi solo attraverso la
libertà: dev’essere infatti conosciuto, assentito, voluto e
compiuto dallo spirito42.

L’essere umano si distingue dagli altri esseri animati perché può


praticare il bene. Ciò è possibile perché egli è libertà donata da Dio,
che può mettere in atto un circolo virtuoso di giustizia e di bene. È
quanto accade, appunto, allo spirito dell’uomo, se accetta il volere di-
vino. Ma la libertà umana, in quanto tale, è anche possibilità di nega-
re il dono ricevuto e opporsi ad esso, fino alle estreme conseguenze:

Poiché la libertà significa che l’uomo possa dire sì, ma


pure no; ma anche astenersi; far questo o quello. […]
Libertà, vuol dire, nel suo significato chiaro ed univoco:
egli può compiere il volere di Dio; ma può pure rifiu-
tarsi, far ciò che Dio vuole, ma anche quanto Egli non
vuole. […] Dio vuole la libertà dell’uomo – fino a quella
conseguenza estrema, che consiste nella facoltà di pren-
dere una decisione contro il suo volere43.

In questa presa di posizione dell’uomo, e negli eventi del dive-


nire storico, può apparire l’immagine inaspettata di un Dio debole,
impotente:

42 
Ibid., p. 41.
43 
Ibid., p. 42.
L’esistenza e la fede 225

E ne discende la sconcertante configurazione della sto-


ria: che Dio voglia ottenere, ciò che non Gli sembra pos-
sibile, che Dio non voglia impedire, quanto Gli appare
impotente, che Dio voglia che il bene si compia, ed esso
invece in gran parte non si compia; che Dio ripudi il ma-
le, lo odi, vi opponga il Suo volere, ed ecco esso avvenga
continuamente. Ne nasce l’impressione che Dio sia de-
bole: cosicché l’uomo si sente tentato di abusare del suo
potere, per vedere se possa fare esperienza col mondo
così come gli talenta44.

E tuttavia non si può negare la «magnanimità generosa» di Dio,


mediante la quale egli rischia su di noi, sulla nostra libertà: «Per-
tanto questa nobile generosità è pure superiore coraggio, dacché
Dio vi rischia. E che mai? La Sua opera, il mondo. L’ha dato nelle
mani dell’uomo, e confida in lui, ch’egli lo tenga in gran conto e
faccia con esso buona prova; e rinunzia alla sicurezza che accada
poi veramente così»45.
Dio si affida alle nostre mani e ci invita a fare il bene. Non come
un semplice dovere, ma come una tangibile e totale adesione alla
sua creazione, segnata dalle sue leggi. L’uomo deve confrontarsi al-
lora con quella realtà, con quella «forma» che è la «situazione»: «Il
lavoro che si deve compiere, le circostanze in cui deve svolgersi, io
stesso con le mie energie e debolezze, con la mia alacrità di lavoro
o la mia pigrizia; gli uomini che sono cointeressati – tutto ciò si
ordina in un complesso, in una specie di “forma”, la situazione»46.
C’è allora una peculiare relazione tra il bene e la situazione, che
tuttavia non ha nulla a che vedere con improbabili e fasulle «etiche
della situazione» che Guardini contesta:

Il bene è alcunché di infinito che si introduce nella no-


stra realtà terrena. La situazione è il punto donde esso
vi penetra. In tale situazione si fa concreta la possibi-

44 
Ibid., pp. 42-43.
45 
Ibid., p. 44.
46
Ibid., p. 46.
226 Gennaro Cicchese

lità del bene, ecco là il bene, ciò che è giusto in questa


circostanza. E la mia coscienza sente l’appello a ricono-
scere e compiere questa azione giusta. […] la situazione
– è, in realtà la creazione! Non certo l’universo, non la
terra, non la storia dell’umanità, ma ciò che si presenta
per me, ora, qui, in queste date circostanze. La situa-
zione ogni volta è il modo in cui la creazione di Dio mi
rivolge il suo appello, in cui m’è posta tra le mani, in cui
dev’essere rettamente foggiata da me. Nella situazione sta
l’attesa di Dio ch’io prenda in buone mani la sua opera,
instantemente. Ora io debbo far realtà ciò ch’Egli ha di-
segnato per me, come se Egli m’avesse creato proprio
per dominare le cose – ma secondo il suo mandato47.

In conclusione, Dio, l’Onnipotente, si accosta all’uomo nell’in-


timità della confidenza, invitandolo a rispondere al suo appello
amoroso con altrettanto amore. Egli sta in paziente attesa, affinché
la risposta dell’uomo sia in armonia con la sua chiamata e la vo-
lontà di entrambi converga in una «sollecitudine comune»: «Dalla
rigorosità del “Tu devi”, – scrive Guardini – nasce la familiarità
dell’attesa di Dio, che non dev’essere delusa. La sovranità del divi-
no Volere si muta nell’accordo delle volontà di Dio e dell’uomo»48.

Conosciuto da Dio

La terza meditazione affronta il tema dell’onniscienza divina: «Dio


conosce tutto: il mondo e noi uomini»49. Commentando il salmo 138
(«Signore, tu mi scruti e mi conosci»), il teologo italo-tedesco scrive:

47 
Ibid., p. 47.
48 
Ibid., p. 47 
49 
Ibid., p. 50.
L’esistenza e la fede 227

Poiché Dio è il Creatore, è anche il Conoscitore. Se Egli


si limitasse a trovare dinanzi e dovesse quindi cercare
ciò che vien trovato, il Suo sguardo allora sarebbe, se
pur in immense proporzioni, simile al nostro. Egli sta-
rebbe di fronte all’oggetto e rimarrebbe sempre, tra lo-
ro, un’ultima estraneità. Tutto quanto però esiste, è in
virtù Sua; pertanto il Suo conoscere scaturisce da questa
radice, dall’ingresso nella sfera dell’essere 50.

Secondo queste indicazioni, esiste una particolare relazione tra


conoscenza ed essere in Dio. Si tratta di una relazione d’identità.
Nell’uomo, invece, accade qualcosa di diverso:

“Essere” significa senz’altro pure “esser conosciuto”.


Ne scaturisce per la nostra conoscenza un carattere del
tutto diverso: essa non ha l’autodominio ma è soggetta;
non crea ma compie in corrispondenza al pensiero di
Dio. Non potremmo conoscere cosa alcuna, se già non
fosse conosciuta, non cogliere un unico concetto, se le
cose non fossero già concepite fin dalla loro radice. Non
si darebbe alcuna verità, se le cose già non sussistessero
fondate nella verità, cioè in quanto sono conosciute da
Dio51.

La conoscenza di Dio, dunque è fondamentale. Sia come co-


noscenza «fondativa», da parte di Dio, nei confronti del mondo e
delle cose, sia come conoscenza «attiva» nei confronti dell’essere
umano, che risulta conosciuto da Dio. Nulla, infatti, può sfuggire
alla divinità, che irrompe come luce nelle tenebre, e che c’invita a
partecipare della luce. Guardini scrive: «Conoscere è luce. Ora,
se si tratta poi della conoscenza di Dio, essa è la luminosità per
eccellenza. Voglio io dunque penetrare in questa luminosità?»52.
Si pone allora il problema di una domanda molesta che, secon-
do Guardini, accompagna tutta la nostra esistenza, spingendoci a

50 
Ibid., p. 57.
51 
Ibid., p. 61.
52  
Ibid., p. 63.
228 Gennaro Cicchese

fare i conti con la nostra interiorità e a prendere coscienza non solo


delle nostre azioni, ma anche dei nostri pensieri:

Dio ci conosce in modo esaustivo, – ma è cosa bella es-


ser conosciuti? Nulla rimane sconosciuto allo sguardo,
che ci conosce: ma quante cose vi sono, che desidere-
remmo nessuno se ne curasse! […] poiché lo celiamo
in noi stessi: i pensieri e le fantasie orribili, i desideri di
concupiscenza, le intenzioni indicibili, le più intime per-
versità del proposito53.

Per il cristianesimo non esiste un uomo buono, una natura


umana che non sia segnata dal male. La riprova, secondo Guardi-
ni, sta anche nell’osservazione sperimentale di sé:

Basta invero guardare soltanto nel proprio cuore, per


vedere come stian le cose realmente. Certo, il bene è
tanto più vero e puro, quanto più lo si cerca nell’intimo,
poiché vi è più originario – ma quanto più abissalmente
si sonda, tanto più orribile è anche il male. E Dio, onni-
sciente, tutto ciò conosce. Egli tuttavia è pure il Santo
che vuole si compia il bene; che si erge con tutta l’altez-
za e la potenza del Suo essere contro il male, onde il Suo
vedere è al tempo stesso un giudicare54.

Ecco allora la sfida: voglio essere visto? Voglio espormi all’al-


tro? Guardini introduce un nuovo importante tema, decisivo per
determinare l’orientamento dell’esistenza umana e della sua re-
lazione con l’Assoluto, quello dell’Altro: «Pensiero tremendo:
sempre l’Altro. Sempre vicino! Mai solo con me stesso! Eppure è
così»55. A nulla sembra servire il ricordare che Dio è amore, che il
suo sguardo è amorevole. Anche questo sembra talvolta indiscreto,
capace di violare la nostra intimità. Pertanto si arriva ad affermare:

53 
Ibid., p. 62.
54 
Ibid.
55 
Ibid., p. 63.
L’esistenza e la fede 229

«Non voglio lasciarmi incatenare insieme con altri, – foss’anche il


grande Altro»56.
Ma come stanno veramente le cose? E Dio è effettivamente
l’Altro? Guardini prova a chiarire le difficoltà, gettando luce sul
concetto di «altro». Lo fa con la pacatezza e la chiarezza che lo
contraddistinguono, impostando un ragionamento interessante:

Che significa: “l’Altro”? Io son qui, con la mia figura,


il mio spirito, il mio sentire, il mio agire, pensare, vole-
re, tutto raccolto più o meno chiaramente e coagulato,
per così dire, attorno al mio centro: questo io sono. Io
ho il mio lavoro, la mia famiglia, i miei amici; ho la mia
angustia, la mia gioia, il mio destino; tutto ciò mi ap-
partiene. Ma l’altro ecco è là: anch’egli è organizzato e
strutturato sul suo centro; egli con tutto ciò che è suo.
Egli non è me, è appunto se stesso. Tra noi possono isti-
tuirsi bensì relazioni: ma egli rimane pur sempre l’altro,
e quand’anche mi si approssimasse nella misura più in-
tima, se anche sussistesse tra me e lui la più profonda
comunicazione – in ultima istanza – egli è pure appunto
sé medesimo e non me. La distinzione può acuirsi, fino
alla consapevolezza dell’estraneità, della pericolosità re-
ciproca, fino alla sensazione: “Lui - o io”; e ne scoppia la
lotta. Ma anche dove non si giunge a tal punto, rimane
pur sempre la distinzione57.

Queste interessanti considerazioni ci fanno capire il tema della


relazione con l’altro a livello antropologico, orizzontale, ma non ci
dicono ancora il rapporto tra Dio e l’uomo, che è qualitativamente
diverso. Talvolta può sembrare che le cose accadano nella stessa
maniera, quando ad esempio la realtà di Dio sembra «schiacciare»
la nostra. Il contributo originale di Guardini consiste nel fatto che
non si può dire che Dio sia veramente «Altro»:

56 
Ibid., p. 64.
57 
Ibid., pp. 64-65.
230 Gennaro Cicchese

Dio è indipendente da me, vive di per se stesso, Signore


per l’eternità. Io non ho su di Lui né potenza né diritto.
Si erge di contro a me nell’immensità formidabile del
suo essere, si è pur dato il nome che suona: «Io sono
Colui che sono». Ciò non mi opprime, non mi spinge
quasi fuori dal mio essere? […] Si presenta una sola ri-
sposta reale a quest’inquietudine: Dio non è davvero af-
fatto l’altro; se Egli non è me, – non è neppure l’Altro.
Non posso pronunziare insieme queste due affermazioni
per alcun altro Essere, solo per Lui. In certo senso, con-
giunte, costituiscono la sua definizione58.

In pratica, l’essere umano rimane se stesso, per così dire, nella


sua «ipseità» e libertà, perché creato da Dio, ovvero, come scrive
Guardini, «pensato e attuato e sostenuto per sempre nella sostan-
zialità e nell’essere; perché io sono me stesso solo in virtù Sua»59.
E più avanti, riprendendo e integrando la dottrina indiana Maya,
secondo la quale il mondo e le cose sono, propriamente, il «sogno»
della divinità, il nostro autore scrive: «Ogni esistente scaturisce da
un pensiero di Dio, ed è se stesso in quanto ha origine dal pensie-
ro divino»60. Questo si può comprendere bene solo se si spiega il
senso della copula “è”, che in Dio e nell’uomo ha due differenti
significati:

Il verbo “è” – scrive Guardini – non posso applicarlo


nello stesso modo a Lui e a me. Non posso dire: «Dio ed
io “siamo” due». Egli è, semplicemente e in virtù di se
stesso, io sono soltanto davanti a Lui e in virtù Sua, ed
in Lui. Dalla sua mano attingo d’esser me stesso61.

E poco più in là, in un passo decisivo, il teologo italo-tedesco


scrive: «Io non sono Dio – assolutamente no, in nessun modo. Ma

58 
Ibid., p. 65.
59 
Ibid., p. 66.
60 
Ibid., p. 67.
61 
Ibid., p. 66.
L’esistenza e la fede 231

sono chi sono, in quanto Egli mi pensa, e, pensandomi, mi fonda


nel mio essere»62. Viene qui in evidenza la forza del pensiero di
Dio, della sua conoscenza che dà consistenza al mio io, vale a dire
mi fa me stesso. Non devo temerlo allora, non devo rizzare muri,
ma devo aprirmi a Lui per trovare pace e giungere anch’io ad una
conoscenza nei suoi confronti che è anche e soprattutto, ricono-
scenza. Guardini scrive: «Ed ora ecco anche il pensiero dell’amore
di Dio trova il suo posto. Il conoscere di Dio non è un osservare
e indagare freddo, ma un amore creativo, poiché è esso che mi
largisce il mio essere, che mi concede d’essere colui che sono»63.
Non è a caso, perciò, che il nostro autore si avvii a concludere la
sua meditazione con l’invito a placare ogni inquietudine, trovando
il rapporto giusto con Dio e con la sua onniscienza, alla luce di un
importante testo del quarto Vangelo: «Pertanto persuaderemo i
nostri cuori: poiché se il nostro cuore ci richiamerà, allora Dio è
più grande del nostro cuore e conosce tutto» (Gv 3, 19-20).
La conoscenza di Dio («egli conosce tutto») è perciò il pun-
to centrale, l’acme della riflessione guardiniana64. Trascende ogni
cosa creata e, pacificando l’essere intero dell’uomo, lo immerge
come in un mare:

Qui il concetto essenziale, il segreto ideale, è il conosce-


re Dio. La Sua grandezza, la Sua immensità, la Sua po-
tenza liberatrice: tutto sta nel Suo conoscere, non certo
in quello che concerne le stelle o la storia, ma me stesso.
Quella conoscenza, che Dio ha di me, è come un mare
in cui tutto entra e trova pace65.

In conclusione, le tre meditazioni ci danno un quadro comple-


to di quella che dovrebbe essere, secondo Guardini, un’autentica
esistenza cristiana. Per dirsi veramente tale, essa deve confrontarsi
sempre con Dio. L’esistenza di fede è, appunto, una presa di co-

62 
Ibid., p. 67.
63
Ibid., p. 68. 
64 
Cf. il saggio di R. Guardini, Conosce l’uomo solo chi ha conoscenza di Dio,
in Id., Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 19932, pp. 35-72.
65 
R. Guardini, L’esistenza e la fede, cit., p. 70.
232 Gennaro Cicchese

scienza della signoria di Dio e della sua misericordia, manifestata


nella Rivelazione, ma anche una presa di coscienza della creatura-
lità e della libertà umane.
L’uomo creato, fatto libero e conosciuto da Dio, sta in una posi-
zione privilegiata nei suoi confronti. Deve sempre decidersi tra «lo
sbrigliamento dell’io» o «la consegna» di questo io a Dio, che passa
attraverso la mediazione del Cristo e della Chiesa. Contro ogni falsa
autonomia e condizionamento storico o culturale, il teologo italo-
tedesco propone l’educazione a una vera libertà, che è «obbedien-
za», «decisione», e pertanto risposta a un preciso appello che viene
dall’alto, da Dio. Questa decisione è, al tempo stesso, compito e
destino, libertà e liberazione66.

Summary

One of the dominant themes of Romano Guardini’s theology


is a reflection on faith, through which he analyses the relationship
between revelation and culture, foreseeing in a prophetic way some
of the important ideas of Vatican II. An interesting observation on
Christian awareness is L’esistenza e la fede (Existence and faith).
This consists of three biblical-theological reflections delivered in a
meditative style in August 1950 at Altötting, before the 74th Ka-
tholikentag in Germany. These reflections help us to focus on the
theme of faith at the present time, for they address a fundamental
question for Christianity: the identity of a Christian. The subject is
very relevant: the consciousness and the self awareness of Christians
regarding their relationship with God and with others are important
challenges for the Church today. Guardini writes, “The greater the
spiritual confusion of our times, the greater the importance of this
self awareness of Christians in a negative sense, so that they can
understand clearly who they are in their own eyes and in the eyes of
others”.

66 
Cf. R. Guardini, Libertà, Grazia, Destino, Morcelliana, Brescia 2000.

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