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ISBN: 978-88-6411-718-8
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Wilhelm Schmid
L� AMICIZIA PER SE STESSI
CURA DI S� E ARTE DI VIVERE
Introduzione
t�chne tou biou, t�chne per� b�on in greco, ars vivendi in latino. Solo la
filosofia
istituzionale del XIX e XX secolo si � permessa di rinunciarci, a tutto vantaggio
di
una modernit� che, con l�aiuto della scienza, della tecnica e della libera
economia, ha promesso una soluzione a tutti i problemi della vita, riponendo le
sue speranze in �sistemi� che hanno reso superflua la condotta individuale: a che
serve allora l�arte di vivere? Le esperienze compiute nella modernit� hanno
dimostrato che quest�epoca ha senz�altro risolto alcuni problemi, creandone per�
di nuovi, e che nessun sistema pu� dare risposte ai quesiti vitali dell�essere
umano o sgravarlo dalla fatica necessaria a portare avanti la sua esistenza.
La filosofia non pu� certo stabilire come si debba vivere, sebbene possa
aiutarci nello sforzo verso una condotta consapevole, spiegando e rischiarando
un momento particolare della vita, una paura, un�inquietudine o un�illusione. Da
sempre, o almeno dai tempi di Socrate, la domanda �cos��?� � ti �stin, ti
pot��stin, in greco � ha un valore filosofico: cos�� questo?, cos�� in verit�?,
cos��
la vita, cos�� quest�epoca, cos�� la vita in quest�epoca, cosa potrebbe essere
ancora, cos�� bello, saggio, giusto, importante?, cos�� la felicit�, cos�� il senso
della vita? La domanda sul senso compenetra tutte le altre. � compito della
filosofia, e anche uno degli obiettivi centrali di questo libro, farsene carico e
prenderla sul serio. La domanda sul senso coincide con la domanda sui nessi,
sulle connessioni che tengono insieme la nostra vita: cosa sta alla base, cosa si
nasconde l� dietro, a cosa serve, in che rapporto lo si deve vedere, quale
significato hanno le parole che usiamo, quali motivi si possono trovare per fare o
non fare qualcosa? Le domande di questo genere sono decisive, ma le risposte
non sono definitive. Sebbene diano inizio a processi esplicativi validissimi,
anche i dialoghi socratici hanno un finale aperto. Assieme alle domande devono
infatti essere aperti campi di pensiero e di vita, devono essere conquistate quelle
possibilit� di dare forma alla vita, ci� che la modernit�, completamente irretita
nella domanda sulle condizioni del sapere e dell�agire umani, non ha posto in
questione, per molto, troppo tempo, come se la comprensione della vita vissuta
possa essere data per scontata.
costi sociali ed ecologici, il sostegno dei quali richiede una grande fatica.
Libero,
infine, da vincoli sociali: questo � il processo di liberazione che per primo ha
mosso l�individuo moderno, svincolato sessualmente da una rappresentazione
morale tramandata e, soprattutto, da una morale e da valori visti come superati,
dispensandolo dalla comunit� in cui era fuso e liberandolo (�emancipandolo�) da
una forzata spartizione dei ruoli. Alla comunit� si sostituisce la societ� come
raggruppamento di individui. Tutte le forme di comunit� sociale si frammentano;
la famiglia allargata si ritira nella microfamiglia, i cui frantumi formano la
famiglia-patchwork, portano alla singletudine e rendono possibile, e poi
effettivo, non solo l��individualismo�, ma anche l�autoeliminazione
dell�individuo: la liberazione finale.
La modernit� � una dissoluzione dai nessi e perci� anche dal senso. La
liberazione da vincoli interni ed esterni, oltre che dalle relazioni con altri
esseri
umani, porta a fare esperienza del nichilismo. Nei molti discorsi che professano
di essere �alla ricerca� si deve leggere l�indecisione. Invece, la significativit�
delle connessioni viene pienamente riconosciuta nella loro assenza. Per questo la
modernit� � un�epoca filosofica, un�epoca caratterizzata di nuovo dalla domanda
su ci� che � essenziale, su ci� che in altri tempi restava celato nell�ovvio. Dato
che non si pu� vivere nel nulla, si comincia a lavorare ridisponendo i nessi,
anche se inizialmente in maniera ancora ingenua e goffa. Si profila un interregno
che, seguendo lo strano ricorrere di un prefisso, pu� essere chiamato �tempo del
ri-� (Re-Zeit): ovunque assistiamo a retrospettive e a �r�tros� di ogni genere. Ci�
che in un primo tempo era il riciclo nel contesto ecologico, la rinaturalizzazione
dei fiumi, la riduzione delle sostanze tossiche o la ricostruzione di edifici
storici,
la rinascita di questo e di quello, o a volte anche solo un �remake�, porta
sostanzialmente alla riorganizzazione e a riforme di base (ammesso che queste
possano essere finanziate in un momento in cui viva � la minaccia di una
recessione economica). Nello stesso tempo, il wellness provvede a una
rivitalizzazione, rigenerazione, riconvalescenza dell�uomo, con lo scopo di
riconquistare risorse andate perdute. A prescindere dalla rassegnazione, diffusa
in certi casi, il �tempo del ri-� appare anche come un tempo della riflessione,
dell�osservare e del ripensare, dell�attenzione a valori e a vincoli andati
perduti.
La riflessione filosofica sull�arte di vivere � anche un tentativo di ricostruire
criticamente quanto sembra essere necessario per la vita: una cauta
riproposizione di rapporti e, di conseguenza, un movimento che va in una
direzione opposta a quella della decostruzione, ancora occupata a vagliare la
sostenibilit� di connessioni di senso reali e presunte. Il �tempo del ri-� �
riproposizione, rammemorazione, riscoperta. Per un certo momento dissolve il
proto-tempo, che conosce solo un movimento in avanti: solo progresso e
progressione, prognosi, progetti, prospetti, processi, profitti, prodotti,
produttori,
produttivit� e profanit�. Se lo si osserva in retrospettiva, questo � il tempo di
una
modernit� ingenua. Pro e ri-: il moderno oscilla tra due prefissi.
Il risultato del �tempo del ri-� pu� essere una modificazione del moderno, e
l�arte di vivere una parte del lavoro necessario a realizzarla. Essa si dedica alla
ricerca di una �vita giusta nell�errore� ed � un progetto antinichilistico � sempre
che valga la pena spendere fatica per non ridursi al nichilismo. Negli
orientamenti della vita moderna potrebbe esserci qualcosa di sbagliato: pu�
essere sbagliato dare per scontate domande religiose, considerare garantiti una
volta per tutti i diritti politici, trascurare in misura disastrosa le questioni
ecologiche, attribuire un peso eccessivo alla razionalit� economica, dissolvere le
connessioni sociali in maniera tanto ampia da minare ogni vivere insieme nella
societ�, a tutto vantaggio di una �felicit� che conduce sistematicamente
all�infelicit�. Un cambiamento del modo di vivere e di pensare della modernit�
non pu� tuttavia essere preordinato dall�alto, ma soltanto crescere dal basso,
realizzato da singoli individui che formano le isole della diversit� e che
�mediante le forme della loro esistenza, con tutte le contraddizioni e i conflitti
che appartengono loro, tentano di anticipare la forma esistenziale giusta e
autentica�, come dice Adorno nelle Lezioni di filosofia morale.
Il lavoro per un� altra modernit�, o per una modernit� diversa, riporta anche
in maniera differente l�individuo al centro, non pi� solo come colui che si libera,
a fissare una vita giusta, come in et� antica faceva il manualetto di Epitteto
(l� Enchir�dion), ma ad aprire opzioni: qualcosa che � presente nel momento in
cui si pongono questioni vitali, un materiale ermeneutico con l�aiuto del quale �
possibile pensare la condotta di ciascuno. La filosofia pu� avanzare proposte per
la comprensione e la formazione della vita prendendo le mosse dalla duplice
domanda su che cosa sia fondamentale e quali siano le possibilit� per entrarci in
relazione. Il s� sbaglia a intendere la sua situazione come esclusivamente
individuale, quando la sua costituzione, la sua vita e il suo pensiero sono
influenzati da strutture e concetti molto pi� ampi � e questo non deve tuttavia
indurre a pensare che a vivere la vita siano le strutture e i concetti. Il manuale
diviene, invece, un compendio delle condizioni grazie alle quali la vita viene in
chiaro su se stessa e delle possibilit� per riformarla ancora una volta in base a
queste condizioni. Non si pretende, dunque, di offrire qualcosa di nuovo, ma di
rendere esplicito ci� che si sa in maniera implicita, fornendo una sinossi, uno
sguardo d�insieme su tutto ci� che pu� essere significativo per una condotta di
vita consapevole. Si pu� cos� effettuare una panoramica, e avere una visione
integrale del s�, uno sguardo sulla distesa complessiva della vita dalla
prospettiva dell�arte di vivere. Prendendo le mosse dal s�, e tuttavia superandolo
in un percorso che procede per cerchi concentrici, deve essere dischiuso il
maggior numero possibile di aspetti del s� e del mondo: pragmatici e scientifici,
storici e temporali, culturali e sociali, psicologici e antropologici,
terminologici
ed epistemologici.
Il modo di procedere sar� letteralmente fenomenologico: percepire e cogliere
con attenzione il fenomeno (phain�menon) della vita, cos� come esso appare,
nella maniera pi� precisa possibile, per darne conto in maniera logica:
dischiudendo cio� le sue strutture (l�gos in senso letterale). Il punto di partenza
�
una descrizione empiricamente satura: la prossimit� al fenomeno, cos� come se
ne pu� fare esperienza nella vita, diventa un criterio per la formazione dei
concetti. Con i concetti il fenomeno ottiene la sua forma; attraverso la forma il
fenomeno pu� essere colto con il pensiero e manipolato a regola d�arte; la
decisiva per spiegare la relazione con s� e per fondare l�arte di vivere � data da
questo fenomeno.
1. Le paure e le arti.
Come inizia l�arte di vivere
In principio � la paura
Puro divertimento sulla ruota panoramica, insieme agli altri su una navicella.
Oscillo su tutto il mondo, il vento mi culla. La ruota si ferma. Laggi� c�� chi
sale
e chi scende. D�un tratto mi coglie la paura, senza preavviso e senza motivo. La
nuda paura. Nel giro di un momento la gioia sfrenata si trasforma nel suo
opposto: posso precipitare, mi posso sfracellare, nulla pu� evitarmelo. �A me?�.
Di quale demone sono preda? Cosa si � impossessato di me? Non lo so: non �lo�
conosco, non l�ho mai incontrato. Una cupa certezza sovrasta le mie forze. La
paura della morte mi attraversa, fa impazzire il mio cuore, mi fa sudare freddo;
le mani afferrano la panca sulla quale siedo. Tutto inutile. Quel demone pu�
dissolvere la presa in ogni momento e farmi precipitare. Resterebbe sempre un
mistero perch� proprio lui, perch� proprio l�. Sempre e comunque: perch�.
Come mai non ne faccio parola con nessuno, perch� non grido aiuto? Perch�
ogni secondo � un tormento; devo darmi da fare con quelle poche forze che mi
restano � ogni momento di distrazione potrebbe essere quello buono, da un
momento all�altro il demone potrebbe assalirmi, un momento di morte, nel quale
il demoniaco pu� vincermi definitivamente. Ora vivere � sopravvivere attimo
dopo attimo. Non mi concentro su nient�altro: le mie forze bastano solo a questa
sciocchezza. Gli sguardi atterriti degli altri non mi aiutano a lottare contro
questo
Altro dentro di me che mi vuole per s�. Se ne fossi capace dovrei guardare
avanti, a un attimo futuro, e forse superare anche quello� Perch� la ruota,
questa ruota dell�orrore, ci mette cos� tanto a tornare indietro?
Le torture medievali probabilmente erano simili a questa, che ha distrutto
lentamente ogni fibra del s�. Poi, all�improvviso, tutto � passato. Tocco di nuovo
terra, finalmente posso baciare il suolo con grande gioia. Le ginocchia
continuano a tremare e non ho ancora capito come si possa vivere cos�. Intanto
decido di lasciare riposare quest�esperienza, di appropriarmene. Cerco di non
pensarci, di non analizzarla, evito di parlarne. E invece la ridisposizione del s�,
la domanda sul fondamento, dando all�arte di vivere una funzione privilegiata
che permette di trovare un contrappeso, di mantenere le abitudini, di trovare
qualcosa di bello, sono importanti per controbilanciare l�angoscia. E cos� ci
saranno anche il tempo e la sicurezza per spiegare che cosa � successo � per dire
se davvero qualcosa � successo.
Quell�angoscia enorme, ineliminabile, perde cos� la sua forza, pur
continuando a farsi viva tutti i giorni, anche solo per poco. Mi assale quando
cammino su un marciapiede: ho paura di vivere, ho paura del mondo. Non so
proprio che cosa mi stia succedendo. � diffusa come la nebbia. Dentro di me si
forma un buco che risucchia il mondo in un triste nulla. Se lo racconto, magari
qualcuno mi capisce. Qualcun altro, per�, se la svigna, perch� la paura �
�negativa� e ti �affossa�. La paura rende soli. Non ci posso fare niente; mi
concedo, mi ci abbandono, almeno per qualche tempo. Basteranno un paio di
giorni? Non la voglio nascondere, non la voglio sedare. Devo farmene carico e
sopportarla. Comincio perfino ad attribuirle un qualche valore, anche se ancora
non arrivo a chiedermi di cosa ho effettivamente paura, o che cosa, in me e nel
mondo, la generi. Pu� esistere una vita senza angoscia? Cos�� l�angoscia e cos��
la paura? Entrambe sono un�occasione per riflettere, un momento
eminentemente filosofico, uno sguardo nei fondamenti e nell�abisso.
Normalmente viviamo la nostra vita sulla superficie della quotidianit�. Sotto
la superficie, per�, si aprono gli abissi: abissi del dubbio e dell�assurdo,
dell�infelicit� e della tragedia, del male e dello �spaesamento�, abissi della
banalit�. L� esperienza dell�abisso infrange l�ordinario e distrugge quelle
abitudini di cui � popolata la nostra quotidianit�. Una frattura del genere
potrebbe forse essere desiderabile, soprattutto quando viene paragonata al tran-
gli esseri umani, la paura rappresenta la leva per l�esercizio del potere di un
singolo sull�altro. Per questo, talvolta, l�io pensante ha ragione a tenersi per s�
la
paura, a pretendere che sia legittima solo in un caso particolare, a imporre
un�analisi sobria delle situazioni nelle quali si presenta, a legarla, come si fa
con
un cane feroce, e a sfruttare la sua capacit� di fiutare situazioni minacciose
senza
disperdere i suoi impulsi, ossia senza abbaiare con tutta se stessa.
Anche se prima o poi la paura tocca tutti, vi sono particolarmente esposti
quegli uomini che in et� moderna vi si sono disabituati. Si tratta di una
constatazione fastidiosa, perch� proprio la modernit� avrebbe dovuto
sconfiggere definitivamente le paure opprimenti e realizzare sulla Terra quella
che fu gi� una pretesa del cristianesimo: nel mondo redento tutti gli esseri umani
devono essere liberati dagli affanni. In epoca moderna, invece, il sorgere della
paura cresce quanto pi� si tenta di mettere fuori causa emozioni di questo tipo.
La sicurezza ordinaria data dai nessi della tradizione, delle convenzioni, della
religione e della natura � andata perduta, cosicch� nella modernit�, accanto alle
vecchie, sorgono nuove paure. A differenza degli spiriti, dei fantasmi o dei
diavoli premoderni e preilluministi; a differenza di un Dio che condanna al
purgatorio o all�inferno, queste nuove paure si dirigono ora all�isolamento
sociale, allo sviluppo tecnico, ai �sistemi� politici ed economici, alla
distruzione
ecologica, alla metafisica mancanza di senso. Il sogno moderno del controllo e
del dominio razionale su ogni cosa genera la nuova paura della sua perdita.
Angosciante �, soprattutto, la stessa libert� moderna, che rende possibile
sbagliare in maniera completamente nuova, o perdersi nelle possibilit� aperte
dalla liberazione, assumendosene pienamente la responsabilit�. Nella modernit�
che ha respinto la paura materiale dell�esistenza si innesta, perci�, la paura
ideale di vivere, cio� la paura di vivere senza un senso. La modernit� interviene
sui nessi e sul senso tramandati dalla tradizione e li problematizza; dissolve i
vincoli e le relazioni che li costituiscono; e la stessa produzione dei nessi
diviene
un compito da portare a termine. Siccome il s� �non trova pi� la vita�, cio� ha
smarrito la tensione tra polarit� diverse che la caratterizza in quanto tale, anche
prima della meraviglia ontologica per il fatto stesso che c�� qualcosa piuttosto
che nulla, l�esperienza della debolezza antropologica e quella dell�errore nel
conseguimento di ci� che � necessario segnano un inizio diverso della filosofia,
dell�osservazione e della riflessione. A partire da questo fondamento abissale si
sviluppano l�attenzione filosofica e la vita desta con tutte le sue domande,
argomentazioni, metodi e discipline. La vita desta consegue dalla debolezza e
dalle paure con l�obiettivo di prendersene cura. Pretende cos� di superare ogni
debolezza, come avviene nel programma stoico di un miglioramento del s� fino
alla perfezione? La comprensione stoica dell�essere umano, cos� come quella
cristiana � entrambe ancorate saldamente a una concezione dell�uomo come
essere in grado di superare le proprie debolezze � presuppongono tuttavia come
fondamentale fenomeno antropologico il concetto di astheneia. Nella modernit�,
invece, le debolezze diventano elementi dell�immagine di una malattia: l� astenia
viene considerata, certo per buone ragioni e tuttavia con conseguenze fatali, alla
stregua di una malattia alla quale reagire con i pi� svariati strumenti medici.
Nella modernit� si spalanca un abisso tra lo sforzo obbligatorio alla perfezione,
che ne definisce la dinamica, e l�esperienza umana universalmente nota, in
assoluto non quella della perfezione, bens� della debolezza e dell�errore. Ogni
perfezionamento della scienza e della tecnica, da cui la modernit� viene
tormentata, fa apparire tutto ci� che dell�esperienza umana si lascia alle spalle
come insufficiente e incurabile.
La debolezza viene esperita quotidianamente come mancanza �di forza e di
leggerezza�. E si pu� anche descrivere pi� precisamente come perdita di
potenza, e la potenza pu� essere compresa nella forma di un disporre di
possibilit�, e in questo senso di una capacit� (K�nnen). Ci� spiega anche la
debolezza specifica dell�errore: non essere capace di qualcosa, e comunque non
adesso e forse nemmeno in futuro, o forse anche non esserlo mai stato. La
debolezza � dunque l�esperienza dell� impotenza. Questo fenomeno compenetra
l�interiorit� del s� in maniera sorprendente. L�impotenza si esprime, infatti, non
solo nella dimensione fisica e psichica, ma si estende anche alla sfera spirituale,
andarle incontro � una strategia che porta a guadagnare potere. Potere nel senso
dell�essere capaci. Anche se, in virt� di questa capacit�, non � possibile
lasciarsi
dietro le spalle ogni impotenza e ogni incapacit�, ci si trover� sempre di fronte a
un superamento quantomeno parziale dell�impotenza che, in questo modo,
diviene vivibile. Non ci si riferisce a nessuna capacit� onnipotente, come quella
con cui i giovani si trovano a confrontarsi, ma di una capacit� esemplare,
culminante in una singola cosa mediante la quale il s� comprende se stesso:
essere effettivamente capaci di giocare a calcio, o saper far di conto, o fare
l�amore. E anche una capacit� in rapporto alla debolezza stessa, una capacit� di
essere deboli e di poter sbagliare, che � facile quando resta un residuo di forza.
Siccome � escluso che si possa conquistare una capacit� quando si � deboli, �
necessario ottenerla prima. La si pu� mantenere nell�atteggiamento
fondamentale che si assume contro la debolezza, ma per essere disponibile nel
momento topico deve essere regolata per tempo.
L�atteggiamento in questione mira soprattutto a liberarsi dalla continua fatica
di mostrarsi forte e libero dall�onere di dover dissimulare il sentimento della
debolezza. Bisognerebbe piuttosto dire a se stessi: �Non devo necessariamente
brillare, a che scopo? Per dimostrare qualcosa a me e agli altri? Perch� tutto
questo deve essere necessariamente un bene?�. La perdita della forza pu� essere
un bene, perch� � necessario perderla per poterla riconquistare. L�unica
possibilit� di ritrovare la forza, infatti, non risiede tanto nell�affermare che la
si �
perduta, quanto nell�ammettere di averla persa. Una dialettica delle forze e delle
debolezze si riconosce dal fatto che quanto pi� il s� cede alle debolezze anzich�
combatterle, tanto pi� egli ritrova la forza di venirne a capo, pur non riuscendo
forse a oltrepassarle. L��oltrepassamento� pu� essere uno scopo solo temporaneo
e non persistente, anche perch� la debolezza sporadicamente ritorna, � continua,
rimane come possibilit�, forse addirittura come necessit�. Difatti � la debolezza,
e non la presunta forza, a essere creativa e produttiva: lascia emergere la
sensibilit�, rafforza la coscienza, lavora a quell�opera dal cui compimento ci si
aspetta un aumento delle forze del s�. La necessit� della debolezza, al posto della
Johnny, il cinico, gli risponde lodando il suo inaudito interesse per �il dialogo
socratico�.
Johnny viene preso a calci come un cane randagio e malmenato dalle figure
della notte che, accusa, mettono in scena �un nulla pubblico�. E lui fa lo stesso
con Sophie, una vecchia barbona, che disprezza come tutte le altre donne.
Questa � l�unica cosa che Johnny, il cinico, ha in comune con i (distorti) cinici
postmoderni, con quello yuppie di Jeremy, che corre in macchina pensando che
l� AIDS sia una ghiotta occasione per risolvere il problema della
sovrappopolazione del pianeta. Quest�uomo di successo, questo carrierista, �,
come Johnny, spudoratamente diretto; ma questo suo talento � cavo e vuoto: � un
narciso arrogante che si prostra di fronte alla donna che ha seriamente intenzione
di evirarlo, una donna come Sophie, che � la sua compagna di giochi e che lui
adora sodomizzare. I due cinici sono entrambi sfacciati e senza vergogna, fanno
schifo. Ma il primo ce l�ha con il disagio sociale, mentre l�altro se lo vive e se
lo
gusta. Non si pu� affermare che il primo cinico si preoccupi solo di se stesso o
che guardi solo al suo benessere. Per il secondo, invece, non esiste altro. Mentre
Jeremy si riduce al puro nulla, Johnny vive nel dubbio costante: qui � almeno
ancora riconoscibile un essere umano, anche se privo del minimo barlume di
speranza. Tutti e due sono giovanissimi: due cinici nella cosiddetta
postmodernit�, cos� come vengono presentati in Naked, un film di Mike Leigh
(1993).
Una contrapposizione perfetta tra due modi di vivere tipici del mondo
moderno e postmoderno. I due personaggi hanno un�intelligenza sopra la norma,
ma la usano in maniera diversa. L�intelletto consente a entrambi di vedere e
comprendere le relazioni fino al loro fondamento, di vedere le strutture laddove
per gli altri esiste solo la superficie e di scoprire nuove possibilit�. In questo
caso, l�intelletto � una potenza. L�intelletto che caratterizza gli intellettuali
pu�
essere in parte una dote naturale e, in parte, frutto dello studio e
dell�educazione.
� comunque un privilegio e mai una ricompensa. Il cinismo consiste nel lasciare
che l�intelletto si occupi, senza uscire da s�, di un qualche sottile e inutile
stessi, non trova pi� alcun appiglio, perch� tutto appare come privo di
prospettiva, e ogni differenziazione sembra assurda, giacch� tutto viene
condannato con forza e indifferentemente. La critica che non relativizza nulla
crolla su se stessa, mentre quella critica che non si limita alla distruzione
dell�esistente, ma manifesta un possibile lavoro esistenziale sull�altro, guadagna
in fascino e, quindi, anche in efficacia. In questo senso, pur senza escludere
altre
opzioni, � possibile formare, in un�accezione molto moderata, una disposizione
cinica all�arte di vivere. Ma che cosa si intende con �arte� quando si parla di
un�arte di vivere che mira a trovare quel s� che � funestato dalle paure e dalle
debolezze?
base a questa pretesa. L�arte di vivere, come ogni arte, non � facile, bens�
difficile, altrimenti non sarebbe arte. Lamentarsi delle difficolt� � molto poco
sensato, perch� l�arte di vivere, come ogni arte, non � una norma, ma una
opzione. Quello che sembra facile �, in realt�, il risultato di un lavoro: fatica,
esercizio e impegno. Il talento pu� addirittura essere un impedimento, perch�
induce a misconoscere il lavoro necessario a portare a termine l�impresa. L�arte
suprema consiste nel far apparire facile quello che inizialmente era difficile. Per
ogni arte di vivere, cos� come per ogni arte in generale, risulta fondamentale
scegliere di imboccare il cammino che essa dischiude. Il s� si muove come il
pittore, che ha inizialmente un�immagine nel suo occhio interiore e poi ci lavora,
dedicandosi alacremente a definirne i dettagli e tornando sempre di nuovo sui
suoi passi per osservare a distanza il risultato complessivo della sua opera.
Anche la vita futura � una visione, un sogno, una possibilit� sognata, o forse
anche solo il presentimento di un�idea, di un incontro, di un sentiero da
percorrere, di una vita diversa. Il passaggio dal presentimento indeterminato alla
forma determinata, dall��in qualche modo� al �cos� e non in maniera diversa�, da
�un qualcosa� al �questo e non quest�altro� � ecco la via che porta dalla
possibilit� alla realt�. Essa consiste in una serie di azioni concrete, di singoli
passi simili a singole pennellate, che non devono essere concepiti a priori in
tutti
i loro particolari e, dunque, non hanno bisogno di una preparazione. Si deve
piuttosto creare lo spazio dove lavorare; si deve disporre del tempo necessario a
raggiungere lo scopo, attraverso una molteplicit� di situazioni. Solo nel corso del
lavoro diviene possibile acquisire l� abilit� (Gek�nntheit) per dare forma
all�opera, avvalendosi dell�esperienza che deriva dalla conoscenza della cosa,
dell�abitudine progressiva alle sfide che si presentano; esercitandosi a effettuare
mosse che ricorrono di continuo. L�abilit� non rappresenta il frutto di un dovere
costrittivo, ma un surplus rispetto alla costrizione. Si tratta di una piena
realizzazione nel senso dell�eccellenza. Ogni aspirazione all�eccellenza � arte.
Sui tre piani della possibilit�, della realt� e dell�abilit�, i presupposti
dell�arte
sono sensibilit� e fiuto, che rappresentano l�orizzonte all�interno del quale
precisione nella percezione che apre a nuovi modi di vedere le cose; con un�idea
del bello di cui � possibile fare esperienza non solo mediante il pensiero, ma
anche sulla via delle sensazioni, allo scopo di prestare attenzione alla
vulnerabilit� dell�essere umano e del suo mondo o alla sua mancanza di
fondamento, nascosta sotto la superficie e ineffabile alla quotidianit�. Infine,
con
l�arte � possibile imparare a conoscere le cose in modo diverso, sperimentale e
mirabile (cio� capace di sorprendere), opposto all�ovviet�; una modalit�
contrapposta alla comprensione dominante e a un�interpretazione che riduce la
complessit� a unit�. Questa � un�occasione per tornare a sognare, ma anche per
imparare a scegliere in maniera esemplare, perch� l�arte consiste nel poter
scegliere, attivamente e passivamente, agendo, ma anche senza farlo. L�interesse
per l�arte si nutre essenzialmente della domanda su cosa essa, in quanto messa in
opera della libert� nella vita, pu� rendere possibile, o su che cosa pu� innescare,
anche quando afferma di non voler �aver nulla a che fare� con la vita, proprio
mentre in questa sua intenzione riesce a comunicare conoscenza per l�esistenza.
L�arte � sempre uno sforzo verso l�arte di vivere. Uno sforzo produttivo, quando
si conduce un�esistenza artistica, e recettivo, quando l�arte viene assunta nella
vita. Resta da capire �che cos�� quella vita a cui si rivolgono la sensibilit�, il
fiuto, la capacit�, la formazione e la familiarit� con l�arte propria dell�arte di
vivere.
La vita � un gioco?
�Cos� � la vita!�. Con questa frase ci lustriamo la bocca nelle situazioni pi�
diverse. Ma che cosa significa? Evidentemente, significa che la vita � curiosa,
importante, paradossale, contraddittoria, enigmatica, assurda, imprevedibile,
matta, ingiusta, bella, e anche tutto il contrario. In poche parole, che la vita
non
si cura della valutazione e delle classificazioni degli esseri umani. � dunque solo
una dinamica irregolare, senza senso e senza scopo, e io sono solo un punto
sperduto e confuso in questa dinamica? Certo, non � possibile dire in maniera
definitiva che cosa sia la vita. Questo non � necessariamente un male, ma
potrebbe anche essere il segno di un�apertura fondamentale, che mantiene la
tensione che � propria della vita. Quale sia il senso di tutto ci� � chiaramente
comprensibile se immaginiamo un�epoca in cui la vita � la vita in generale, la
vita dell�essere umano in particolare, o la mia vita � possa essere studiata, vista
e
compenetrata nella sua interezza, per esempio da un punto di vista biologico,
sociale, psicologico, neurobiologico� Sarebbe un�et� della noia come non si
sarebbe mai vista su questo pianeta. Dire questo non significa scagliarsi contro la
ricerca sulla vita, ma solo contro le aspettative che vi sono connesse. Accanto
all� accesso analitico alla vita, sarebbe perci� importante mantenere aperto anche
quello ermeneutico, vale a dire un percorso di interpretazione e comprensione in
grado di dischiudere sempre nuovi orizzonti, non solo per la vita stessa, ma
anche per le direzioni della ricerca che, al contrario di quanto comunemente si
ritiene, non possono risultare sempre evidenti e oggettive.
L�accesso ermeneutico alla vita � fondamentale per l�arte di vivere, e una
possibile interpretazione in questa direzione � quella della vita come gioco.
Qualcuno la ritiene un�idea molto affascinante, e l�arte di vivere pensa di essere
in grado di realizzarla. Ci si aspetta, infatti, di poter trovare nella vita una
gioia
simile a quella che si prova nel gioco � anche se talvolta si trascura di rimarcare
che proprio il gioco � anche fonte di grandi delusioni. Ci sono tuttavia buoni
motivi per affidarsi a un� interpretazione della vita come gioco, anche se occorre
prendere qualche precauzione: in epoca moderna la vita come gioco guadagna in
importanza, poich� per gli individui, affrancati da ogni vincolo e da scopi
imposti dall�esterno, diviene necessario sperimentare, provare e, in questo senso,
anche giocare, sempre dopo aver stabilito le regole del gioco e trovato le forme
della libert� che permettono di giocare. Inoltre, la comprensione della vita come
gioco libera un�attivit� ermeneutica eccezionalmente vasta, una notevole
riflessione sul vivere, sulle sue condizioni e possibilit�, a partire dalla quale
possono essere risolte anche ulteriori questioni. Infine, l�entusiasmo che nasce
dall�enorme fascino che deriva dalla possibilit� di considerare la vita come un
gioco pu� essere utile alla formazione dell�esistenza, perch� istituisce un legame
intenso con la vita e diviene fonte di una grande fecondit�, grazie alla quale la
vita pu� essere sempre ricreata di fronte ad avversit�, irritazioni, ostilit� e
malattie. Legarsi o, addirittura, volendo subire il fascino del significato
letterale
della parola, �incatenarsi� a tutto questo � conseguenza di una scelta passiva
presa dal singolo individuo, di un abbandonarsi agli eventi, pur sempre nel senso
di una condotta cosciente e di una problematizzazione critica, senza mai divenire
schiavi delle proprie catene. Per non smarrire troppo presto l� appeal esercitato
dalla vita come gioco, e per evitare che si tramuti in fretta nel suo opposto �
demotivazione e depressione � � opportuno portare avanti il discorso sul gioco
con una certa prudenza.
Ma che cos�� un �gioco�? Per riuscire a rendere espliciti tutti gli aspetti che
lo rendono tale, e anche quelli che hanno un certo significato per la
comprensione della vita come gioco, si potrebbe forse trarre spunto da una
partita di calcio. Le questioni vitali sembrano poter essere trattate allo stesso
modo di quello che, allo stadio, � il campo di gioco vero e proprio. Anche in
quel caso non si tratta di pallone, ma di vita, e la verit� del gioco, come si sa,
consiste nel prendervi parte. Ecco le sue venti condizioni: uno spazio, il campo
di gioco. Un tempo, i 90 minuti. Un oggetto con cui giocare, il pallone. La
presenza di pi� di una persona che partecipa al gioco: deve sempre essere
possibile �giocare con qualcuno�. L�esistenza di regole da rispettare e, talvolta,
anche da aggirare. Tattica e strategia, che diventano decisive e danno struttura al
gioco azione dopo azione. Creativit�, per vedere in ogni situazione sempre
ulteriori possibilit�, oppure per crearne di alternative o tentare qualcosa di
nuovo. Apertura all� imprevisto, per giocare al meglio in ogni particolare
situazione. Tecnica, fatta di movimenti singoli, sequenze di azioni, schemi,
varianti da preparare e perfezionare continuamente senza mai stancarsi. I trucchi,
non sempre e non necessariamente conformi alle regole. Un fiuto sottile e �un
formali o informali che siano, sono poste in essere dal s�, dagli altri e dalla
vita
stessa e non possono essere violate senza conseguenze. Le regole devono
comunque essere �flessibili� in modo tale che la vita possa sempre continuare.
L�arte di vivere culmina nella definizione della tattica e della strategia. Lo
scopo
dell�arte di vivere � infatti quello di strutturare in maniera prudente, non meno
che lungimirante, le singole azioni e le situazioni complessive. La creativit� si
occupa di fare in modo che la conduzione della propria vita possa sempre destare
sorpresa, che non possa essere risolta da qualcos�altro, che resti enigmatica, non
determinabile, spesso anche sperimentale: la vita diviene un gioco quando �
necessario tentare e provare qualcosa indipendentemente dalla riuscita o dal
fallimento dei tentativi. Questa � la base per inscrivere la contingenza nella
comprensione della vita, allo scopo di non rimanere troppo a lungo dell�idea che
la vita possa essere pienamente determinata. Quello che conta �, in ogni caso,
apprendere una capacit� ed esercitarla esteticamente, allenarla per raggiungere,
almeno idealmente, la pi� alta eleganza nell�affrontare le diverse situazioni;
come esercizio per acquisire questa capacit� sono adatti tutti i tipi di giochi. La
conoscenza dei trucchi cos� come una certa destrezza sono importanti, ad
esempio, per sciogliere un nodo in cui si � aggrovigliata una situazione.
L�educazione progressiva, la raffinazione del fiuto mediante l�esperienza e la
riflessione sono imprescindibili per non doversi fermare a pensare troppo a ogni
passo. Il gioco di forza interno al s� deve essere chiarito per raggiungere una
conoscenza di se stessi che tenga conto delle contraddizioni che non possono
essere eliminate. Il gioco di forza esteriore � il polo contrario, contraddittorio
e
tuttavia necessario. Quando si gioca a vivere questo polo � rappresentato dagli
altri, che devono essere accettati come dati o perfino affermati come qualcosa
che arricchisce la vita. Il gioco di squadra, la cooperazione con gli altri, pu�
essere cercata per formare una rete di legami che permette di scoprire un numero
molto maggiore di possibilit� rispetto a quelle dischiuse dalla vita condotta solo
per s�. Lo sguardo dall�esterno � importante, perch� rende manifesta la figura di
colui in cui riponiamo fiducia, dell�amico; per questo il s� si sforza di
nei limiti della conoscenza umana. Una revisione totale comporterebbe, infatti,
la possibilit� di una ripetizione, forse di una nuova nascita, di un daccapo
almeno nella forma di altri mondi possibili.
Significativi per ogni vita sono per� soprattutto i seguenti fenomeni:
contingenza, resistenza, polarit�. Se la vita deve essere compresa come un gioco,
allora l�arte di vivere deve venire in chiaro di questi fenomeni. Il fenomeno della
contingenza implica che molte cose della vita non siano scelte e pianificate; la
vita � cos� perch� � cos�: l�intera forma della vita nasce da una serie di
casualit�.
E tuttavia, anche in questo caso � in gioco una scelta, decisiva nella misura in
cui
il s� lasci che il caso si manifesti, intenda piegarlo a suo strumento o tenti di
rifiutarlo. Le casualit�, che se venissero soltanto pensate manifesterebbero una
mancanza di creativit� da parte del s�, forniscono piuttosto il materiale per
tentativi ed esperimenti. Perci� � importante mettere loro a disposizione uno
spazio, al fine di dischiudere possibilit� di vita che non possono essere prodotte
da nessuna pianificazione, la quale tenderebbe di per s� a escludere il caso. Per
fortuna, al culmine di ogni situazione critica, la capacit� di accettare le
contingenze cresce. La porta attraverso la quale il caso entra nella nostra vita,
in
alternativa alla richiesta di una disposizione cosciente nei suoi confronti, resta
sempre aperta, poich� il s� deve ricorrervi ogniqualvolta intende sfuggire ai
vicoli ciechi. L�incremento del contrapposto atteggiamento offensivo nei
confronti del caso spingerebbe a escluderlo e a rendere, di conseguenza, la vita
oggetto di una pianificazione totale.
Ma � davvero possibile pianificare la vita? �Bene, fatti un piano�, dice
Bertolt Brecht, nell� Opera da tre soldi: �Sii solo una grande luce! / E fatti
anche
un secondo piano / tutti e due non possono riuscire�. Questo �canto
dell�insufficienza dello sforzo umano� � un incomparabile commiato dalla
pianificabilit�, perch� �ci� che arriva nel frattempo� � la vita nella sua
imprevedibilit�, � menzogna e inganno, � la propria stupidit�, � lo schifo della
vita, � il fregarsi con le proprie mani. Un casino caotico e ingarbugliato di
azioni
e reazioni, di fare e non fare, di su e gi�, di avanti e indietro, di circoli e
cattive
strade. Tutto questo � la vita: pi� una confusione totale che un piano, il cui
prezzo sarebbe, in ogni caso, la rinuncia alla tensione e al cambiamento che
arrivano dall�inatteso e dall�impossibile. Dobbiamo quindi prescindere da ogni
pianificazione? Pianificare � un�opzione, rinunciare ai piani � un�altra.
Rinunciandovi si pu� divenire �il pallone� di altri, che invece hanno i loro piani
e li perseguono. Per questo fare i propri piani � sensato, a patto che non ci si
aspetti che la vita si strutturi completamente secondo gli schemi previsti, ma col
solo intento di produrre una propria rappresentazione della vita e, quindi, per
trovare dei correttivi: qui si pu� riscontrare come le cose vadano �diversamente
da quanto si pensi�, per riflettere su cosa si debba tenere con s� e cosa no.
Pu� apparire senz�altro pi� sensato parlare di un formare che abbia come suo
elemento fondamentale un pianificare e che, nello stesso tempo, sia concreto e
poroso, ovvero comprensibile, da un lato come attivit� e come lavoro
intenzionale alla realizzazione di un proposito, mentre dall�altro come passivit�,
come un lasciare che qualcosa accada, lasciarsi condurre dalla vita e lasciando,
talvolta, che questo qualcosa ci seduca. La formazione del s� e della propria vita
avviene nel doppio registro del fare attivo e di un passivo lasciar perdere. Al
posto della pianificazione razionale della vita, si tratta qui pi� di un concetto
poetico della vita, un�arte del concetto che � parte dell�arte di vivere e
consente,
come sognavano i romantici, di diventare poeti della propria vita e di renderla un
romanzo. Altrimenti, come potrebbe muoversi il s� nella landa nebbiosa della
vita, che ci si distende davanti a perdita d�occhio e che, tuttavia, non � una mera
res extensa, ma un ecosistema in cui confluiscono molte cose?
In questo modo � possibile dare spazio al fenomeno della contingenza, uno
spazio del quale comunque la contingenza stessa si appropria nei momenti di
indecisione. Non � per caso vero che le casualit� spesso rivelano un senso
sorprendentemente coerente? Non si pu� comunque misconoscere il fatto che il
caso dispone nessi apparentemente sistematici, che in qualche modo �hanno
senso�, ma sempre se in qualche modo �ci si confanno�. Quando non � cos�,
preferiamo parlare di �scherzi del destino�, il senso dei quali ci resta ignoto. A
avversit�. Alla domanda su come ci� sia immaginabile, dal momento che non �
possibile influire sul destino, o almeno non sempre, si pu� rispondere in questo
modo: formare non vuol dire soltanto condizionare, ma anche accettare
condizionamenti, nel momento in cui questa opzione viene scelta o quando non
rimane altro da fare. Accettare significa, di nuovo, mettersi nella condizione di
scegliere, stabilire con quale atteggiamento lasciare spazio a quanto si accetta.
Per questa scelta, nella quale confluiscono le proprie inclinazioni e riflessioni,
sono a disposizione alcune opzioni fondamentali: ignorare l�avversit� (anche
quando ci� non porta a nulla, perlomeno concede un momento di respiro), o, in
caso contrario, ribellarsi (lo sfogo, che avviene anche quando non si pu� pi� fare
niente); rassegnarsi (gettare le armi come scelta consapevole e non solo quando
si � in difficolt�); accettare (il semplice accettare qualcosa risparmiando le
proprie forze: non discutere, non fare polemiche, ma solo sopportare); affermare
(arrivare ad approvare tutto ci� che accade, sempre con motivi fondati);
servirsene (trarre anche un vantaggio da quanto avviene, con lo scopo di �farci
qualcosa�); ironizzarci sopra (prendere le distanze da ci� che avviene, essere
�superiori�, con lo scopo di sminuirne l�importanza o tenersene alla larga).
Perci� la vita diviene un gioco anche laddove si incontri un dovere scelto da
se stessi o imposto dall�esterno, un dovere che sembri non concedere pi� alcuna
possibilit� al gioco. In questo modo si pu� comprendere anche quella frase di
Friedrich Schiller (Lettere sull�educazione estetica del genere umano, 1795),
divenuta ormai famosa: �L�uomo � veramente uomo, quando gioca�, cio�
quando non segue la mera necessit�, distinguendosi in questo modo dal resto
della natura. Schiller comprende il dovere, determinato interiormente come
obbligo ed esteriormente come destino, non in contraddizione con la libert�
tipica del gioco: la tesi sull�uomo che gioca guadagna piuttosto il suo
�significato pi� alto� quando viene applicata alla grande seriet� del dovere e del
destino per fare fronte in maniera ludica e creativa alla seriet� esistenziale e
realizzare la bellezza. Esistenziale � ci� che non pu� essere rifiutato e nemmeno
rivisto. Bello � ci� che pu� essere apprezzato come risultato dell�azione di un
uomo libero e ci� che anima quella �forma vivente� oggetto dell��impulso di
gioco�. Cos�, solo sulla base della tesi sull�uomo che gioca � possibile erigere
l�intero edificio dell�arte e, come afferma lo stesso Schiller, �anche della
difficile
arte di vivere� che ha il compito di trasformare la vita in un gioco.
Il fenomeno dell�avversit� �, ancora, una parte del pi� ampio fenomeno della
polarit�: sempre e ovunque sono in gioco contrapposizioni e contraddizioni che
ci si fanno incontro in un infinito via vai; con un�espressione poetica si potrebbe
dire che dondolano da una parte all�altra. In effetti, dalla considerazione di
questo fenomeno risulta evidente il principio dell�altalena. La vita � un gioco a
fasi alterne: questa non � solo una verit� oggettiva, ma anche il risultato
dell�osservazione di una certa regolarit� che attrae sempre la nostra attenzione.
Gi� all�inizio dell�epoca moderna, per la quale l�eliminazione delle
contraddizioni e delle contrapposizioni doveva culminare nell�utopia, pensatori
romantici come Novalis conclusero che il s� e il mondo, la vita e la storia, hanno
bisogno di una polarit�, tra i cui poli fluisce, per cos� dire, la corrente della
vita.
Conseguentemente, i romantici riconobbero i lati oscuri dell�esistenza come
�poli negativi� contrapposti a quelli �positivi�: tristezza e gioia, dolore e
piacere,
malattia e salute, follia e normalit�, profondit� e superficialit�. Dato tutto
questo,
la tanto declamata armonia romantica non arriva a eliminare la polarit� pi� di
quanto non apra al tentativo di sopportarla e riequilibrarla, ovvero a definire una
armonia ricca di tensione analogamente al pal�ntropos harmon�e del filosofo
Eraclito, che parlava di una connessione fatta di tendenze contrapposte. Anzi,
ancora di pi�: laddove non si incontri la polarit� in misura sufficiente, il gioco
della vita necessita di un� arte della polarizzazione. In questo modo si pu�
provocare un polo contrapposto o riconoscerlo nel suo significato, e farlo almeno
ogni volta in cui si presenta da s�; per esempio il polo contrapposto della paura
di me, che ora appare come parte costitutiva della vita. Pu� anche trattarsi di
un�esperienza del �negativo�, ma la vita bella e piena di cui parla l�arte di
vivere
non pu� essere costituita, secondo il principio della polarit�, solo dal
�positivo�.
Se un numero crescente di individui riconoscesse un significato maggiore agli
aspetti oscuri della vita, cio� al �negativo�, si potrebbe modificare non solo la
vita individuale, ma anche l�intera cultura della modernit� in un suo punto
fondamentale: bilanciare un�immagine del mondo veramente ottimistica
attraverso il polo contrapposto del pessimismo, cio� con una parte costitutiva di
una modernit� di tipo diverso.
La vita compresa come gioco diventa un� arte dell�equilibrio tra contrari e
contraddizioni, quantomeno in riferimento a quell�atteggiamento dell�individuo
che non esclude �l�altro da s�. Il s� integra le entit� contingenti che, a questo
livello, diventano necessit�; accetta le inevitabili avversit� che condizionano il
reale. Pu� forse accadere solo per un momento, ma proprio quando le
contingenze diventano cos� opprimenti, il momento in questione sostiene
l�esistenza. Un�impressione di ci� si ha nella cultura popolare del samba, cos�
come viene documentata nel film del 2002 Moro no Brasil � Vivo in Brasile del
regista finlandese Mika Kaurism�ki: con l�aiuto di questa cultura il s� supera i
fatti insuperabili e opprimenti, e va al di l� della realt� moderna e del suo
essere
votata al raggiungimento di uno scopo. Oltre quest�atteggiamento nei confronti
della realt� e dei fatti si trova anche il s� di questa cultura, che dischiude
possibilit� diverse, e sempre di nuovo diverse, che sono esclusivamente di sua
propriet�. Il s� pone il suo scopo da se stesso, anche quando il gioco � privo di
scopi, e in questo modo stabilisce legami profondi con la vita, con se stesso e
con gli altri. Cos� la vita diventa arte, e il gioco un elemento fondamentale della
dignit� umana, oltre che senso autentico della vita: questo � il messaggio di
alcuni film di Kaurism�ki che parlano di uomini semplici che trovano in maniera
curiosa il proprio angolo di mondo e affermano la loro unicit� contro tutti �i
rapporti dominanti�.
Decisivo resta il prendersi cura di s� senza rimanere indifferenti nei confronti
di se stessi. Formare consapevolmente la propria vita sulla base di questo
prendersi cura richiede risposte personali a domande del tipo: per cosa di bello
vale la pena vivere, oltre la mera utilit� e i vantaggi immediati? Che cos�� il
senso, cio� la fonte costantemente spumeggiante di questa vita? Come �
possibile trovare gioia in quella vita dalla quale non possono essere eliminati gli
aspetti tragici? Come si pu� conoscere la felicit� profonda, quella che non
dipende dai piaceri contingenti? Come possono essere formate le relazioni con
gli altri, nella cui rete si svolge l�intera nostra vita? Per prima cosa, per�, �
importante curarsi della relazione con se stessi, che rappresenta la base di tutto
questo.
2. La cura di s�
abbracciate dalla nonna, vedevo per la prima volta allo specchio tutto il gruppo.
Riconoscevo tutti, tranne una, che aveva gli occhi di fuoco, le guance ardenti e i
capelli neri e finemente crespi [...]; non potevo dubitare a lungo del fatto che mi
stavo guardando allo specchio�. Non tutti gli incontri allo specchio con il
proprio io sono cos� lieti � un�esperienza meno felice si ha quando ci si guarda
tutte le mattine, come se non ci fossimo mai visti prima, come se l�io fosse
estraneo a se stesso, completamente estraneo. L�io che guarda, l�io familiare,
rappresentato, osserva colui che risponde allo sguardo, l�estraneo che, tuttavia, �
presente. Di regola ci� che viene dato dallo specchio non � identico a quanto l�io
si rappresenta: �Io mi vedo, ma non mi riconosco�. L�io non si riconosce; gli si
presentano, per esempio, le rughe o le occhiaie dell�io dato, delle quali l�io
rappresentato non vuol sapere nulla, ma che non pu� rifiutare nel momento in
cui torna in s�. In ogni caso, per�, la riflessione allo specchio ha lo stesso
effetto
di uno sguardo che proviene dall�esterno e favorisce la riflessivit� dell�io.
Quando l�io comincia a parlare, la riflessione si scontra con un�ulteriore
esperienza estraniante: la voce giunge dal suo interno all�esterno e rimbomba
come se venisse da fuori, come una voce estranea, quasi fosse la voce di un
altro. Simile a una maschera, l�io porta la sua voce davanti a s�, e in quella voce
esperisce se stesso come un altro, assolutamente non identico all�io, nello stesso
momento in cui sente chiaramente che quella voce deriva da lui. L�io
rappresentato, che parla, viene confrontato con l�io dato, quello di cui si ascolta
la voce. �Io � un altro�: non si tratta di una rara esperienza letteraria, ma di un
fatto frequente e quotidiano, che ci inquieta subito ogni volta che diveniamo
consapevoli di trovarci come in un sogno. E nuovamente l�io ha esperienza di se
stesso, come allo specchio, come dall�esterno: un�oggettivazione di se stesso che
ha un controeffetto sulla soggettivazione e in seguito alla quale l�io, con tutta
la
sua inquietudine, non � pi� lo stesso. La voce � un��espressione� che trascende i
limiti del s� verso l�esterno, mentre al suo interno probabilmente parlano voci
completamente diverse. L�espressione lacera quasi con violenza il silenzio e la
quiete dell�identit� interiore. Non sarebbe meglio, forse, proteggere quel
anime convivono nel mio petto�, fa sospirare Goethe al suo Faust verso la fine
della scena �Davanti alla porta� � e meno male che le anime erano solo due.
L�autorelazione � assolutamente necessaria? Fondamentalmente �
un� opzione, non una norma. Il fatto che un io si intrattenga con se stesso, o
abbia
intenzione di farlo, non pu� essere dato per scontato. L�esistenza di �un dovere
nei confronti di se stessi� (come afferma Kant, Metafisica dei costumi, 1797)
non va da s�. Vi si pu� rinunciare, in maniera consapevole o meno � sebbene
questa autorelazione negativa possa essere vissuta in una delle sue varianti:
anzitutto nella forma di una non-relazione, che si palesa come assenza di
problematizzazione e come mancanza di evidenza in riferimento alla relazione
con s�, ma anche come momentanea interruzione dell�autorelazione per
riposarsi da se stessi. Lo si pu� fare molto meno nella forma di una relazione
escludente con se stessi, tipica della fuga o del rifiuto di s�. Che ci piaccia o
no,
questi atteggiamenti rendono la vita impossibile � come appare chiaro,
esplicitamente o implicitamente, nell�autodistruzione, che pu� essere tenuta
nascosta a s� o ad altri. Infine, la non-relazione con se stessi pu� manifestarsi
come la relazione-zero tipica dell� indifferenza; qui il rapporto con s� �
puramente funzionale, le diverse parti del s� assolvono, cio�, solo alla loro
funzione senza essere connesse tra loro, a prescindere dalla loro azione organica.
L�alternativa � data dalle varianti dell� autorelazione affermativa: qui si tratta
di trovare un�azione organica delle diverse parti del s�, cos� come avviene nella
relazione di cooperazione, che pure non prevede una grande partecipazione
interiore. Un�autorelazione affidabile e molto libera � quella dell� amicizia con
se
stessi, che dovremo considerare in maniera ancora pi� precisa. A quest�ultima si
sovrappone l� amore di s�, con tutti i pericoli che questo tipo d�intimit�
comporta: dipendenza, fissazioni, infatuazioni. Tutte queste forme si intrecciano
con un certo agonismo che, a sua volta, pu� divenire un modo dell�autorelazione
e manifestarsi come una sorta di relazione polemica: non si �combatte contro se
stessi� solo occasionalmente, ma di continuo, o comunque non ci si rapporta mai
in maniera indifferente a s�. Sar� possibile anche parlare di un�autorelazione
comunicazione attenta con gli altri se l�io non sa comunicare con se stesso? L�
dove non avviene una spiegazione interiore, il linguaggio diventa violento e i
sentimenti esplodono verso l�esterno. Quando le voci interiori non possono pi�
essere udite per via del rumore che c�� fuori, all�interno del s� si diffonde un
malessere; l�io teme �di perdersi� e si ritira in s�. Quando il s� si rivolge
troppo
all�esterno, si esteriorizza e svanisce in una verbosit� estenuante; il dialogo con
se stessi, quello consapevole cos� come quello inconsapevole, impegna forze che
non sono pi� disponibili. Spesso il s� comunica con se stesso in quanto
comunica con gli altri. In realt�, i dialoghi con gli altri sono spesso dialoghi
con
se stessi, rappresentano cio� quella reciprocit� di cui Bettina von Arnim ha dato
un esempio toccante nel suo romanzo epistolare G�nderode (1840). Le voci
esteriori vengono interiorizzate e, di nuovo, proiettate verso l�esterno. Spostare
all�esterno un conflitto esteriore � possibile; in questo modo il conflitto pu�
essere compreso. Ma si dovrebbe aver chiaro che gli altri rappresentano soltanto
le voci interiori, quelle voci delle quali non si � riusciti a venire a capo. In
caso
contrario, gli altri vengono caricati di problemi che non appartengono loro e per i
quali non possono fare nulla.
Nella psicologia della comunicazione l�attuazione volontaria del dialogo con
se stessi viene definita �parlamento interiore�. In questo modo � possibile
prendere coscienza delle diverse voci, dei loro punti di vista, dei loro conflitti,
oltre che porle in relazione reciproca ed esporle all�esterno. Le loro
costellazioni
e disposizioni, le coalizioni e le opposizioni vengono messe in scena per far
decollare la �dinamica di gruppo interiore�, che � in grado di portare alla
formazione di un �team interiore� (per usare il titolo del volume del 1998 di
Friedemann Schulz von Thun). Un esercizio correlato consiste nel mettere di
fronte ai propri occhi l�immagine delle voci che sono in gioco e descriverne le
relazioni reciproche, perfino chiamarle per nome: il diffidente, il fiducioso,
l�egoista, il solidale, il cauto, l�audace, l�arrogante, quello che si nasconde
eccetera. Tutti questi nomi presentano, certo, ascendenze letterarie, ma la
letteratura e la poesia di tutti i tempi non hanno fatto altro che trattare di
queste
voci e del loro rapporto; ogni giorno ne emerge qualcuna meno letteraria. Cos�, il
dialogo con se stessi conduce alla spiegazione dei rapporti possibili e reali che,
nei limiti della nostra capacit� di venirne a conoscenza, hanno luogo nel s�.
Resta tuttavia aperta la domanda se sia in ballo una venerabile �conoscenza di
s�; resta indeciso anche che cosa occorre intendere per �s� � un concetto di cui
finora ci siamo serviti come se fosse immediatamente comprensibile � e rimane
infine da chiedersi di quale �conoscenza� si tratti nel momento in cui parliamo di
una conoscenza di tale s�.
che sei. E cio�: l�uomo non � Dio. � mortale, non immortale. Fragile, non
invulnerabile. Capace di sbagliare, non perfetto. Impotente, non onnipotente.
Ignorante, non onnisciente. In altre parole, il senso del motto delfico �: conosci
le condizioni, le possibilit� e i limiti che definiscono la tua vita. E non solo la
tua, ma anche quella degli altri. La conoscenza di s� non mira, perci�, a una
determinazione positiva di ci� che il s� �, ma alla definizione negativa di ci� che
il s� non �: ossia non divino. La stessa pretesa all�autoconoscenza era limitata;
il
motto delfico doveva condurre a una relazione con se stessi audace ma non
arrogante, e dunque doveva anche spingere verso una visione delle debolezze del
s�, della sua piccolezza e, talvolta, anche della sua miseria.
Il motto delfico viene ripreso da Socrate e Platone nel IV e V secolo a.C. allo
scopo di giungere a un rapporto critico con se stessi, per mettersi alla prova e,
talvolta, anche per correggersi. Solo che ora il motto delfico viene legato alla
pretesa di conoscere positivamente l�essenza dell�essere umano. La conoscenza
filosofica di s� trova il s� autentico nella sua anima imperitura e, all�interno
dell�anima, trova di nuovo la straordinaria caratteristica della consapevolezza
(sophros�ne), affiancata dalla sapienza, dalla giustizia e dal coraggio (cfr. il
dialogo platonico Alcibiade I). Questa conoscenza di s� diviene la base per
prendersi cura di se stessi; conduce a coltivare la propria anima con �cura e arte�
e a concretizzare le qualit� migliori in modo eccellente, tanto nella vita
individuale quanto in quella sociale (politica). All�interno dell�anima si pu�
tuttavia localizzare, secondo quanto diranno pi� tardi gli stoici, un principio
egemonico e una guida (hegemonik�n), intesi come il s� autentico: il l�gos, la
ratio, il pensiero razionale, la riflessione sobria di un essere umano, e dunque
ci�
che non segue gli affetti, i desideri e le passioni imprevedibili. Questa
razionalizzazione della conoscenza di s� ha come sua conseguenza radicale
l�eliminazione di tutto ci� che pu� mettere in discussione il dominio del
principio egemonico nel perfezionamento del s�. Proprio a questo punto si
trovano gli inizi di un�osservazione ipocondriaca, di una vigilanza diffidente su
se stessi, di sospetti maniacali che, muovendo dalla concezione stoica, restano
per tutto il corso della storia occidentale, feroci e senza la minima piet�.
In epoca cristiana si arriva all�esigenza, ancora pi� ampia, �di uccidere gli
elementi terreni� e di abbandonare il s� vecchio, mondano e individuale in
favore di uno nuovo, consacrato da Dio e solo per questa ragione autentico. Il
nuovo s� non ha pi� nulla di proprio: anzi, deve purificarsi da ogni propriet� per
rendersi pronto per Dio e, infine, affidarsi a lui. L�unica cosa che gli resta � il
riconoscimento della sua inconsistenza e nullit�. Questa � la conoscenza
teologica di s�. La realizzazione del rifiuto del s� (�rnesis heautou, Mt 16,24;
Mc 8,34; Lc 9,23), che vale come condizione per seguire Cristo, viene
esplicitamente affermata nelle Regole diffuse di san Basilio � uno dei padri della
Chiesa �, scritte nel IV secolo d.C. e considerate come condizione per
intraprendere la strada del monachesimo. Per molto tempo il s� desta il sospetto
generale del peccato, e viene allontanato tanto da Dio quanto dagli altri. Siccome
non � possibile fidarsi di nessuno, � necessario istituire un �curatore delle
anime� che abbia il compito di farsi carico della cura che ciascun uomo deve a
se stesso, dissolvendo cos� l�autorelazione che ciascuno ha con s� e rendendo
l�anima pronta per avvicinarsi a Dio. Ma, nello stesso tempo e proprio in
funzione di questo sospetto, il monachesimo e con lui l�intero cristianesimo
diventano scuole impareggiabili per la conoscenza di s�, per la tensione
cognitiva nei confronti di se stessi, per l�autoriflessione, per il dialogo
interiore,
per la creazione ascetica e il dominio di s�.
Una conseguenza di questo sviluppo, peraltro implicita gi� nella razionalit�
stoica, � la conoscenza cartesiana di s�, fondata nel XVII secolo da Ren�
Descartes. Anche questa forma di ascesi � orientata in senso cognitivo. Secondo
questa concezione, l�io vero deve essere trovato metodologicamente nel pensiero
puro, nella res cogitans, depurata da convenzioni, abitudini, sogni, impulsi,
corporeit� e da ogni genere di sensibilit�. Io � una sostanza �la cui essenza
completa o la cui natura consiste solo nel pensiero e la quale non necessita n� di
un luogo nello spazio, n� di alcuna cosa materiale� (Discorso sul metodo, 1637).
Solo l� ego cogito, privato di corpo e di mondo, � in grado di procurare una
certezza che non pu� pi� essere revocata e che, agli occhi di Cartesio, soddisfa la
pi� importante condizione per ottenere �un sapere chiaro e sicuro� della vita: �io
ero della pi� ferma convinzione di poter essere in grado di vivere la mia vita
molto meglio di quanto non lo fossi stato se l�avessi costruita sulle vecchie
fondamenta�. Ci� che ne deriva �, tuttavia, la fondazione di una scientificit�
nella conoscenza di s� che ha poi condizionato l�intera epoca moderna e
contemporanea, portando alla svalutazione di concetti del s� che deviavano da
questo circolo culturale.
In et� moderna, e in particolare nel XX secolo e poi ancora in quello
successivo, nasce un movimento scientifico autonomo, che investe le scienze
dello spirito cos� come quelle della natura e che inscrive il problema della
conoscenza di s� all�interno del processo moderno di liberazione. Inizialmente,
la descrizione teoretica del s� integra l�intervento terapeutico. Il suo scopo �
quello di analizzare il s� fatto oggetto del suo sguardo secondo il modello
proprio delle conoscenze generali. La conoscenza psicologica di s� decifra
l�anima, come viene ancora chiamata, o la �psiche�, rintracciando, per esempio
nella forma di una psicologia del profondo, i segni e gli �spostamenti�
dell�inconscio. In questo modo si d� corpo all�ambizioso progetto di
un��archeologia� delle pulsioni, di una scoperta dei �lati oscuri� del s�, dei
traumi nascosti nella sua storia interiore e, in definitiva, di una liberazione del
s�
da strutture non coscienti. In questa �estensione� della conoscenza di s�,
Sigmund Freud vede esplicitamente una via per �rafforzare l�io indebolito� o
almeno �il primo passo� per farlo (Compendio di psicoanalisi, 1939). Il passo
ulteriore sarebbe quello di trovare le forme per la libert� conseguita, perch�
queste non emergono spontaneamente. Freud si impegna quindi a concepire un
concetto di arte di vivere: la scelta di una �tecnica dell�arte di vivere� e �la
tecnica di vita scelta� consentono di venire a capo della realt�, oltre che di
approssimarsi alla �felicit�. Tra le possibili tecniche, Freud nomina soprattutto
il lavoro e l�attivit�, l�amore e l�erotismo, l�estetica e la ricerca del bello,
l�amore
di s� e l�autosufficienza e, addirittura, �la fuga nella nevrosi� (Il disagio della
civilt�, 1930). Una terapia nel senso ampio della cura e del trattamento, se cos�
si
pu� dire, sarebbe quella di promuovere l�elaborazione individuale di un�arte di
vivere, completando in questo modo l�analisi freudiana per non rischiare di
dissolvere il s� nel processo della sua liberazione. Lo scopo autentico della
terapia consiste, in ogni caso, nel comprendere la vita come un�opera fatta ad
arte dal s�, al quale, tuttavia, deve essere data la capacit� per portarla a
termine.
Con l�arte e con l�arte di vivere dovrebbe forse essere creato anche lo spazio
all�interno del quale pu� essere portata avanti un�analisi con tutte le sue
pressioni, ma forse anche quello stesso spazio che la rende superflua.
In misura crescente, e parzialmente in parallelo a una psicologia orientata nel
senso delle scienze della natura, il s� viene analizzato anche come entit�
biologica. A partire dagli inizi del XX secolo, la conoscenza biologica di s� lo
vede come il prodotto di un processo molecolare e, in particolare, di una
dinamica neurobiologica. Ci si trova di fronte alla liberazione definitiva del s�
da
se stesso. Le connessioni psichiche diventano funzioni fisiologiche misurabili
del cervello, i pensieri e i sentimenti appaiono come risultato delle azioni dei
neuroni (cellule nervose) e di sinapsi (contatti tra cellule nervose) che le
congiungono, mentre i processi mentali vengono spiegati come prodotto di
determinazioni neurologiche. Non esiste pi� un s� autonomo, in grado di
formare se stesso; la sua volont� libera � un�illusione. Nel cervello si pu� sempre
misurare l�attivit� neurologica attraverso il cosiddetto �potenziale di
preparazione motoria�, perch� solo in questo senso � possibile parlare di un �s�
cosciente della �scelta� che egli crede, e si sente, di voler effettuare. Per altro
verso, i neuroni-specchio permettono di emulare il comportamento degli altri,
rendendo possibile l�empatia e la compassione. Come la psicologia, anche la
neurobiologia vede nella conoscenza di s� l�agire di processi essenzialmente
inconsci: i centri di controllo lavorano inconsciamente e solo una minima parte
di quanto avviene nel cervello pu� pervenire a coscienza. Questo significa che,
in linea di principio, nessuno � responsabile di ci� che fa, perch� l��io� incarna
solo l�istanza esecutiva di ci� che si � sviluppato inconsciamente. La terapia
Difficile mettere in discussione questo assunto, anche se, riferita al s�, ogni
tesi
sull�essere appare problematica. Il s� si accompagna a una serie di datit�, ha
rappresentazioni di s�, sviluppa una concezione della vita e una prospettiva sul
mondo, che non � possibile ritrovare in nessun altro. � il soggetto di esperienze
che comunica agli altri e che, foss�anche solo per un momento, condivide con gli
altri, anche se il legame con se stesso non pu� mai andare perduto. Nessun altro
pu� farsi carico di un lavoro sul s�, nessun altro vive questa sua vita, in cui ne
va
di se stesso, anche quando prova a prescindere da s�, anche quando nega di
conoscersi, anche quando riconosce �il s� come un�illusione o, perfino, lo
elimina, o addirittura lo cancella. Certo, il s� pu� essere un�illusione, ma �
un�illusione tale da venire al mondo per permetterci di vivere e che dobbiamo
avere a cuore finch� ci sembra sensata. L�arte di vivere non pu� mai togliere il s�
a nessuno, cos� come il rifiuto del proprio s� � sottoposto a una scelta; almeno
per poter effettuare questa scelta, sar� necessario costituire un s� che � capace
di
rifiutarsi. Non � possibile rinviare la conquista di questo s� operativo fino alla
spiegazione definitiva dell�esistenza ontologica del s�.
� possibile concepire un concetto del s� solo sulla base dell�esperienza
fenomenica, mediante un atto di comprensione e interpretazione, ma non
attraverso la determinazione di una verit�. Nel concetto del s� sono compresi due
suoi aspetti: il s� impulsivo, iniziale, in quanto impulso dell�io dato che, a
causa
di un�angoscia, si prende spontaneamente cura dell�io intero. Da qui emerge
subito, con il passaggio alla cura sapiente, il s� integrale e consapevole, che
riguarda l�io rappresentato, che corrisponde a un concetto della totalit� dell�io e
riflette un�istanza di completezza che comprende anche l�inconscio; un�istanza
logica che ha sotto gli occhi la cauta conservazione e il prudente potenziamento
di tutto l�io. L�io integrale � anche il moderatore interiore, la cui funzione �
quella di dare la parola alle diverse voci che tutte insieme dicono �io�, di porle
in relazione, di mediare il loro dialogo, di appianare le loro controversie, di
decidere nei casi di dubbio. In confronto all�io spontaneo, il s� � un concetto pi�
ampio e pi� connotato dalla riflessione. Il s� abbraccia la rappresentazione del -
si come medio per la presa di coscienza e la formazione del s�, cio� di una
riflessione, cos� come di un lavoro su se stessi. Il -si indica la possibilit� del
s� di
vedersi dall�esterno ed � la condizione di possibilit� della riflessivit�.
L�autoriflessione si inserisce nella non-identit� tra s� e -si e aiuta il s� a
orientare
se stesso e a correggersi.
L�ermeneutica del s� tiene desta la coscienza per ci� che in prospettiva si d�
in ogni sapere e, per il circolo ermeneutico, anche in riferimento a se stesso.
Contro la sua piena visibilit� e la sua quantificazione, l�ermeneutica fa valere il
principio della pienezza ermeneutica, secondo il quale la realt�, anche quella del
s�, � sempre pi� ampia della conoscenza che se ne pu� avere. Ci sono tempi nei
quali pensare che esista qualcos�altro o che la realt� possa anche essere diversa
da quella che al momento ci si offre come unica pu� essere il solo conforto
possibile. Ermeneutica significa, in questo senso, mettersi sempre di nuovo alla
ricerca di qualcos�altro, riportare alla luce connessioni che finora non erano
state
poste di fronte ai nostri occhi, dischiudere dimensioni inaspettate; tutto questo
mediante un processo di comprensione e interpretazione. Lungo questa strada si
ottiene anche il senso per la molteplicit� del s� e del mondo, irriducibili a
un�evidenza univoca. Per lo stesso motivo l�ermeneutica restituisce al s�
un� anima, un possibile atto di comprensione e interpretazione, non nel senso che
il discorso sull�anima pu� finalmente essere determinato in maniera precisa, ma
perch� pu� restare indeterminato a sufficienza. L�anima � perci�
ermeneuticamente feconda ed evoca un surplus di creativit� rispetto al concetto
di psiche impiegato dalla psicologia. La rinuncia al discorso sull�anima non ha
mai avuto luogo � la rinuncia attesta, piuttosto, quanto il concetto di anima non
sia stato colto, anche quando si � creduto di poter dire con precisione che cosa
fosse. Ogni discorso sul s� e sulla sua anima resta provvisorio e
�sottodeterminato�. Del resto, il concetto di anima non ha mai preteso di portare
a una conoscenza definitiva: la sua inesauribilit� ermeneutica apre invece alla
sua strutturale infinit�, come dice ad esempio Eraclito (�Non puoi rendere
pienamente evidenti i limiti della tua anima�, frammento 45) o Novalis (�La via
la giusta chiave di lettura per una situazione e lavorare per realizzarla. Come per
ogni altro senso, anche il senso per s� non � mai semplicemente dato, ma deve
essere conquistato e raffinato progressivamente attraverso l�esperienza, cos�
come con la riflessione su di essa, resa possibile dal dialogo con s� e da quello
con gli altri. La disponibilit� a commettere errori e a trarne insegnamento porta
all�estensione e all�approfondimento del senso. Quanto meglio quest�ultimo �
armato, tanto pi� � in grado di lavorare sicuro di se stesso e quindi, come ogni
altro senso, in piena autonomia. Potrebbe essere questa una spiegazione
dell�origine del �potenziale di preparazione motoria� del cervello? Questo senso,
in definitiva, rappresenta lo strumento di cui si serve l�istanza moderatrice del
s�
integrale che, come abbiamo visto, necessita di prudenza e di una �saggezza
superiore�.
Tanto in riferimento al s� dato quanto a quello possibile, l�ermeneutica del s�
arriva a formulare un� autocomprensione cos� vasta da mettere in condizione di
poter dire �comprendo me stesso, questo e quello�. Le connessioni che
istituiscono il senso del s� vengono prodotte in modo simile, almeno in parte.
Spesso tale produzione avviene per via metaforica, con l�aiuto di immagini le
quali, dal punto di vista ermeneutico, rendono meglio dei concetti. Le metafore
attraverso le quali si esprime l�autocomprensione hanno sempre una loro
particolare logica interna. Ci sono metafore agonistiche, relative alla battaglia,
al
conflitto, alla vittoria e alla sconfitta. Ci sono metafore poristiche, della via
che
viene percorsa e del suo traguardo, del procedere passo dopo passo, delle
deviazioni e della cattiva strada o della strada non ancora trovata e della
correlata
indecisione. Ci sono metafore aritmetiche: calcoli, conti e bilanci. Metafore
architettoniche: fondamenta, mura e finestre del s�. Metafore floreali: crescere e
maturare, fiorire e sfiorire. Metafore sportive: training, maratona, concorrenza.
Metafore nautiche: il porto, la barca in alto mare, il naufragio, di cui talvolta
si �
vittime. Metafore energetiche: il power, e tutto ci� che elettrizza. Metafore
tecniche come il motore, che �gira bene� o balbetta, come il programmare e non
programmare, il check-up e la connessione. Le metafore cosmiche: influsso
astrale, buchi neri e orbite. Queste sono solo alcune delle immagini tra le quali
il
s� pu� scegliere, in maniera consapevole o meno, e che, in quanto campi
metaforici, incidono sull�autocomprensione.
L�autocomprensione � indispensabile per formare e cambiare se stessi, pu�
essere un correttivo per l�io dato e pu� diventare un modello per la propria
autoformazione. Soprattutto, per�, l�autocomprensione � influenzata da cultura,
tradizione, religione, societ�, ambiente, e anche dalle campagne pubblicitarie.
Nelle culture premoderne e in generale non-moderne � condizionata da tradizioni
sulle quali nessuno ha potere, e viene sostenuta da una comunit�, dalla
devozione e dalla cieca fede nel destino. Nelle culture moderne, invece,
l�autocomprensione consiste nell�essere individui, nella comprensione della
libert� come liberazione da realizzare e della felicit� come massimizzazione del
piacere a cui tendere. Nel momento in cui il s� comprende se stesso, spesso
diventa anche dipendente da un modello che non ha creato lui stesso, ma che in
qualche modo e per quanto possibile gli � stato lasciato. Per condurre la propria
vita in maniera consapevole � cruciale la capacit� di vedere chiaramente tale
modello e di decidere della sua validit�, di riempirlo con qualcosa di proprio
oppure sostituirlo con delle rappresentazioni autonome. Questa � la
preoccupazione che accompagna l�impegno necessario ad autocomprendersi e,
di conseguenza, a formare se stessi. Con questo si apre, al di l� della conoscenza
di s� e della familiarit� ermeneutica con se stessi, il campo della formazione
ascetica di s�.
Ogni s� � un essere umano, ma non tutti gli esseri umani sono un s�,
ammesso che essere un s� significhi saper condurre la propria vita con
e in questo caso, quindi, al s�. Si tratta, dunque, sia di una capacit� che di una
facolt�; il potere ha perci� molto a che fare con l�arte. Come quest�ultima,
infatti, si sviluppa sui tre piani della capacit� che abbiamo gi� descritto: su
quello della possibilit� si deve trovare un potenziale, una competenza che si
manifesta, per esempio, nella forma del sapere e della conoscenza; in questo
senso si pu� parlare di una capacit� virtuale. Sul secondo piano la potenza
diviene un atto che porta a realizzare il potenziale, istituendo il difficile
passaggio dalla possibilit� alla realt� o dal sapere all�agire. Da questo punto di
vista la si pu� anche definire come capacit� reale. Sul terzo dei tre piani ne va
della concretizzazione abile della realt�, che viene imposta come frutto di un
continuo esercizio e che si presenta in tutta la sua eleganza resa a sua volta
possibile da un�accurata conoscenza dei dettagli. Questa � la capacit� eccellente
in senso proprio. Quando il s� si sente impotente nei confronti di se stesso, �
sempre opportuno chiedersi su quale di questi tre livelli si sia insediata
l�impotenza, allo scopo di esercitare di pi� e meglio la capacit� corrispondente.
Tutti e tre i piani della capacit�, e quindi del potere, possono essere realizzati
con l�aiuto dell� ascetica, cio� con l�apprendimento pratico e l�abitudine. Il
corrispondente termine greco � infatti �skesis e sta a indicare un vasto campo di
esercizi, pi� o meno dettagliati, e di pratiche differenziate tra loro. L�esercizio
�
un processo di apprendimento. Inizia con uno studio programmato ed esplicito
per confluire, poi, in un apprendere naturale che avviene con ripetizioni sempre
uguali a se stesse. Si prenda ad esempio lo scrivere: una capacit� virtuale viene
conseguita apprendendo le lettere, una capacit� reale nasce esercitandosi a
scrivere interi testi, mentre la capacit� eccellente dipende dall�abilit�, che pure
pu� essere ottenuta con un intenso esercizio nella stesura di testi autonomi e
originali. Ci si pu� esercitare a fare qualunque cosa, ci si pu� abituare a tutto,
anche a quello che a prima vista pu� sembrare una sciocchezza, ma che nel corso
del tempo mostra la sua efficacia. L�ascetica divide la via che porta a realizzare
uno scopo in porzioni e tappe ben visibili, consente, quindi, di procedere per
piccoli scopi singoli e di costruire una scala con un congruo numero di gradini.
Un cinico come Diogene si esercitava a sopportare il rifiuto di fronte a una statua
di pietra a cui chiedeva l�elemosina. Gli astronauti, i cosmonauti, i taikonauti
cercano di abituarsi, gi� molto prima del loro volo, alla vita in un ambiente
terribilmente estraneo e cercano di prenderci confidenza: l�esercizio crea
l�abitudine, e questa genera familiarit� con una certa pratica. L�esecuzione di
esercizi rende possibile verificare praticamente le riflessioni teoretiche e
raccogliere esperienze importanti. Nella prassi le cose e gli esseri umani si
comportano in maniera imprevedibilmente diversa rispetto a quanto affermato in
teoria, e questo senz�altro per via della complessa interazione tra connessioni di
vario tipo. Questa interazione non � mai calcolabile in anticipo, anche se
presenta alcune regolarit� delle quali si pu� far esperienza nel corso degli
esercizi. Tramite l�esercizio possiamo capire molte cose della vita, anche ci� che
� spiacevole e penoso. Questa � la fonte da cui il s� trae il materiale per
prepararsi e per dare forma alla sua vita futura. Certo, l�esercizio pu� essere
tremendamente faticoso, ma � anche affascinante, perch� promette un guadagno
enorme: l�acquisizione di una capacit�.
Un�ascetica come arte dell�esercizio finalizzata al pieno possesso di se stessi
e all�acquisizione di una capacit� � qualcosa a cui � impossibile rinunciare. �
sempre in gioco un autosuperamento: una parte del s� viene superata da un�altra
grazie alla mediazione del s� integrale, e poi concretizzata con l�aiuto
dell�esercizio. Si tratta di un intervento nel gioco interiore di forze che riesce
con
l�aiuto di esercizi semplici, quotidiani e addirittura banali, come per esempio la
moderazione del piacere che, stando alla sola natura umana, tenderebbe
all�eccesso. Ma quale parte del s� esercita un potere maggiore sull�altra: il forte
bisogno o la fredda riflessione? Con l�ascetica ciascuno pu� trovare la giusta
misura, non tanto perch� l�eccesso � un male morale, ma perch�, come si pu�
riscontrare giorno dopo giorno, � nemico del piacere. Nel conflitto tra la
consapevolezza cognitiva e la passione affettiva, l�esercizio concede uno spazio
alla consapevolezza e permette di tenere presenti tutti i gradi di piacere che si
trovano tra il troppo e il troppo poco. Con il superamento di s� nasce il potere e
adattandosi a una forma data. Ma quando il dato della tradizione viene messo in
questione, la creazione di una forma diventa un compito che non pu� essere mai
portato a termine completamente. Il compito pu� essere assegnato al singolo, che
lo porta a termine solo per comprendere se stesso (e in questo caso si tratta di
una creazione narcisistica della forma) o, in un senso pi� ampio, come lavoro su
di s� nel confronto con gli altri, rivolto agli altri o, addirittura, che pone una
forma da cui sono loro a trarre i benefici maggiori (questa potrebbe dirsi
creazione altruistica della forma). Ma mai il modo in cui il s� viene strutturato
pu� essere indifferente, perch� la struttura che risulta dalla creazione della
forma
rende possibile o verosimile una serie di eventi, incontri, esperienze, mentre ne
rende impossibili o inverosimili altri, non perch� risponda a una legge, ma
perch� mette in evidenza una regolarit� straordinaria, proprio come se la forma
avesse una sorta di magnetismo che attrae qualcosa e respinge qualcos�altro.
Quello che conta � la capacit� di intervenire nel processo in questione in maniera
consapevole, come nel caso in cui la forma ci appare troppo porosa, o rimessa a
un qualche fattore esterno; quando attira, come per magia, avvenimenti
problematici.
La creazione della forma consiste nel congegnare il s� in funzione di una
coerenza nella quale anche le esperienze estranianti, e perfino la sua lacerazione,
possono trovare il loro posto, invece di essere eliminate o escluse. La coerenza �
la connessione che si crea all�interno del s�, la sua solidit� interiore. Non si
tratta
tanto della sua �unit�, quanto piuttosto della sua integrit�, cio� di una sintesi
delle tendenze contrapposte, di una realizzazione del s� integrale, cio� di quel s�
all�interno del s� che si prende cura della sua totalit� con lungimiranza. In
questo
modo l�altro e anche l�estraneo possono essere integrati nel s�, anzich� venire
compresi come minaccia per un�identit� immaginaria, che rimane sempre-
uguale-a-se-stessa. Il concetto di integrit� � un�opzione, come del resto lo �
quello di identit�, dove, tuttavia, si pu� notare la menzogna fatale dell�uomo
moderno, che tende ostinatamente a rimanere sempre identico a se stesso senza
mai riuscirci, anche perch� la modernit� non fa altro che chiedergli di cambiare.
Cos�, l�identit� diviene la base per il dolore della non-identit�. Come concetto
giuridico l�identit� ha senso: definizione esteriore del s�, determinata da nome,
cognome, data e luogo di nascita, residenza, nazionalit�. Al contrario, la sua
integrit� � una questione ermeneutica che tocca l�interpretazione e la definizione
interiore: mettersi in accordo con se stessi e stabilire chi o che cosa � � o deve
essere � il s�. Quello che al livello del concetto di identit� � un �trovarsi�, al
livello dell�integrit� diviene un definirsi che, almeno in parte, trae la sua
origine
da una scelta autonoma, e in parte �emerge� nel corso della vita senza che si
possa fare nulla per evitarlo. La fatica iniziale dell�autodeterminazione viene
dissolta dalla successiva facilit� implicata dall�essere pienamente determinato.
Ma a colui il quale il lavoro dell�autodefinizione sembra troppo faticoso, resta
una via d�uscita: l� autoidentificazione, ossia l�identificarsi in un esempio, in
un�immagine, in un modello offerto dal mercato o in tutto ci� che promette di
ridurre la fatica necessaria al lavoro su di s�.
Grazie all�autodefinizione il s� diventa nuovamente, o per la prima volta,
padrone del suo nucleo interiore. La formazione del s�, infatti, avviene
essenzialmente attraverso la determinazione del s� nucleare, a partire dal quale
la forma pu� arrivare alla sua manifestazione completa. I punti fondamentali di
questo nucleo, e le loro relazioni reciproche, devono essere definiti in maniera
stringente in modo da creare dei riferimenti, certo non immutabili, ma comunque
solidi. Diversamente non sarebbe possibile parlare di nucleo o di �nocciolo
duro� del s�. Del resto, anche dal punto di vista neurologico � necessaria una
certa �massa di invarianza strutturale� del s� (Damasio). Per motivi di chiarezza
non si possono isolare pi� di sette punti fondamentali che determinano questo
nucleo e che risultano comuni a ogni autodeterminazione. 1. Le pi� importanti
relazioni di amicizia e di amore. 2. Le poche esperienze che possono essere
considerate come punti fermi. 3. L�idea, o il sogno; il credere in qualcosa, che
rappresenta la propria strada e forse anche lo scopo della propria vita;
l�aspirazione che costituisce il s� quasi per intero. 4. Quei valori a cui si
attribuisce particolare importanza. 5. I tratti peculiari del proprio carattere e
le
molta attenzione a tutti questi �piccoli� racconti individuali che, a loro volta,
possono sfuggire alle �grandi� narrazioni tipiche di un�ideologia o di una visione
del mondo. Queste piccole storie sono straordinariamente creative e, a volte,
anche ispirate da racconti letterari come Il lupo della steppa di Hermann Hesse
(1927) o Stiller di Max Frisch (1954), opere che possono educare al
rafforzamento di s� o alla contrapposizione a se stessi. Lo scopo di ogni storia �
un racconto �sensato� che pu� convincere il s� e gli altri. Qui la fiducia in se
stessi, l�amicizia con s� e l�amore di s� trovano la loro ragione pi� profonda.
C�� fiducia in se stessi dove c�� certezza in se stessi, e quest�ultima sta dove
c�� un s� chiaramente definito, che si mantiene coerente attraverso tutte le sue
modificazioni. La fiducia in se stessi cresce con il crescere dell�autocontrollo,
ma si basa anche sulla capacit�, conseguita asceticamente, di interagire con se
stessi esercitando una qualche influenza su di s�. Qualit� come affidabilit�,
resistenza e caparbiet� emergono innanzitutto in rapporto a se stessi e, da qui,
anche nella relazione con gli altri. La fiducia nasce dove la distanza tra parole e
azioni, o tra proclami e fatti, non � eccessiva; cresce nel tempo, richiede
pazienza e lunghi periodi. Non � mai possibile, tuttavia, liberarsi completamente
della sfiducia, anche nei confronti di se stessi; almeno finch� non si decide di
rinchiudersi nella prigione di una fiducia cieca che non tollera alcuna deviazione,
nessuna novit�, nessuno sviluppo inatteso. Senza questo residuo di sfiducia, il
rapporto con se stessi, cos� come quello con gli altri, diventa certamente
innocuo, ma anche noioso. Ma siccome ogni rapporto con se stessi si risolve
spesso in una sfiducia eccessiva, l�entit� di quest�ultima deve essere sempre
accuratamente ponderata.
Cos� come la base della fiducia � l�amicizia, quella della fiducia in se stessi �
l�amicizia con se stessi. Il lavoro sulla coerenza del s� ha come suo scopo ultimo
la formazione di un s� bello e positivo, che ha voglia di stringere amicizia con se
stesso. Di questo si parla gi� nell� Etica nicomachea di Aristotele (in particolare
nei libri 8 e 9) del IV sec. a.C. Aristotele annovera l�amicizia tra le virt�
eccellenti dell�anima. Infatti, la vera amicizia non consiste tanto nell�amore per
l�utile o per il piacere, ma nel desiderare il bene dell�amico. In questo senso,
l�amicizia � la relazione tra esseri umani che ha pi� valore e la pi� sostenibile
tra
le altre. Il fondamento di una relazione di questo tipo �, per�, l�amicizia con se
stessi. Analogamente a quella tra due esseri umani, l�amicizia con se stessi pu�
essere rappresentata come un rapporto tra interessi e desideri uguali, o anche tra
elementi contrari e contraddittori, presenti all�interno del s�. Il presupposto per
questo tipo di amicizia � l�attenzione nei confronti di se stessi, cos� come
l�autocoscienza e il dialogo con s�, necessari per chiarire le differenze e le
divergenze tra le diverse voci, per rendere possibile uno scambio reciproco, e
naturalmente per soppesarle l�una in rapporto all�altra, allo scopo di trovare
compromessi e punti di convergenza. Come nel caso dell�amicizia tra due esseri
umani, si diviene amici di se stessi quando le parti in causa hanno intenzione di
condividere un rapporto che perduri nel tempo e costruire qualcosa insieme.
Nonostante la loro diversit�, i lati contrapposti dell�io possono stringere
amicizia e stabilire una tensione creativa, come avviene per esempio nel caso del
rapporto tra pensiero e sentimento, tra pensieri reciprocamente contraddittori o
tra sentimenti come il terrore e la curiosit�, la speranza e la disillusione,
l�amore
e l�odio, la tenerezza e la collera, la sovranit� e la paura, l�urgenza di essere
liberi e il bisogno di un vincolo, il lato maschile e quello femminile di un unico
s�. Essere amici con se stessi significa anche tollerarne le diverse e
insopprimibili �lune�, cio� quei pensieri momentanei, quei sentimenti, quei
desideri e quelle angosce che pretendono di investire tutto il s�, proprio come
quando i bambini cercano di attirare l�attenzione dei propri genitori. Sarebbe
assurdo mettersi in cerca del motivo di ogni luna, anche perch� una sua fase non
dura pi� di un�ora, un giorno al massimo. Sarebbe vano anche il tentativo di
porre fine a questo gioco di forze interiore: non � possibile darsi una
costituzione
sempre valida. Sarebbe forse pi� efficace lasciare agli sbalzi d�umore lo spazio
di cui hanno bisogno e vivere secondo il ritmo della propria luna. La mancanza
di un elemento comune a ciascuna delle fasi potrebbe certo indurre il s� a
oscillare, ossia a farsi determinare una volta da questo pensiero, un�altra da quel
sentimento. Ma nello stesso tempo sembra prudente tenersi per s� tale
oscillazione, al fine di evitare di inasprirla proiettandola su qualcuno che non
tollera che una vita cambi cos� in fretta.
L�amicizia con se stessi richiede che le parti contraddittorie vengano messe in
una relazione produttiva, la quale si regola in funzione della situazione ideale di
un�armonia ricchissima di tensione. Come nell�amicizia tra due persone, si deve
sempre creare reciprocit� e non unilateralit�, una reciproca benevolenza, e non
malevolenza. Si deve mirare, poi, alla chiarezza della benevolenza e non alla
segretezza del silenzio. Non si d� amicizia con se stessi in chi si trova �in
disaccordo con s� o fugge di fronte a se stesso, disgustato dalla vita e teso a
dimenticarsene perdendosi in qualcos�altro. Aristotele direbbe che �non ha a
cuore se stesso� e, proprio per questo motivo, non pu� nemmeno provare un
sentimento di amicizia per s�. Chi non � amico di s� non � in grado di
condividere con se stesso n� gioia n� dolore: una parte della sua anima si rallegra
se l�altra soffre, e le diverse parti lo dilaniano, smettendo solo poco prima di
pentirsi. Le cose vanno in maniera completamente diversa in chi ha una chiara
relazione con s�, capace di produrre un accordo con se stesso e, come disse
Aristotele, �realizzare ci� in cui vede il meglio�. In questo si deve vedere il
tentativo di prendere contatto con la propria anima, il cui scopo non � quello di
superare completamente l�estraneit� a se stessi, ma la definizione di un rapporto
sostenibile anche con quell�estraneo che si trova all�interno di ogni s� e che
permette di farci amicizia � anche se qui non si tratta di estranei e altri in s� e
per
s�, ma solo del pensiero che questo altro esiste e che alla fin fine non � che una
parte di noi stessi. L�amicizia con se stessi mira a evitare un�ostilit�
distruttiva
che potrebbe condurre a un�autodissoluzione, sempre che non si scelga di
�� l�inizio di un idillio che dura tutta una vita�. Nella realt� prosaica di una
vita
che somiglia a un romanzo bisogna aspettarsi delle oscillazioni, proprio come
avviene in ogni amore: l�amore di s� diminuisce in intensit�, ma pu� rimanere
tale o trasformarsi nel suo contrario, l�odio di s�. E questi sono momenti da
superare e basta, sempre che si scelga di completare il romanticismo con il
pragmatismo: dedicarsi a qualcosa, a uno scopo, all�adempimento di obblighi
imposti o assunti autonomamente, alle richieste che provengono da un altro
essere umano, alla cura delle abitudini e dei rituali, grazie a cui il s�, nei
momenti di incertezza, pu� essere sostenuto da un�affidabilit� e una costanza
maggiori di quelle promesse da un amore volubile.
Resta solo da chiarire come l�amicizia e l�amore di s� possano essere distinte
dalla brama di s�, dall�egocentrismo e dal narcisismo. Non si tratta di un decorso
naturale? Per Aristotele tale distinzione pu� essere condotta in funzione di un
unico aspetto: la presenza di uno scopo. Se l�amore di s� viene considerato come
un fine in s�, allora � egocentrismo, un amore di s� narcisistico che comporta
alcuni problemi, non tanto da un punto di vista morale, ma per il tipo di rapporto
che implica: il s� si chiude in se stesso e l�autorelazione diventa
autoreferenzialit�. Ma quando l�amore di s� rende possibili anche le relazioni
con gli altri, e in particolare i rapporti di amicizia e di amore, allora si tratta
di un
amore di s� altruistico. In questo caso l�amore procura le risorse per andare
verso gli altri ed esserci per loro: l�autorelazione si declina come donazione. Chi
si ama in questo modo � capace di stabilire relazioni libere con gli altri e ne ha
bisogno non solo come mezzo per trovarsi e soddisfare i propri bisogni. Nello
stesso tempo, le relazioni con gli altri guadagnano in ricchezza, in quanto
vengono liberate dall�interesse individuale e immediato. L�utilit� dell�altruismo �
dunque solo mediata, perch� la ricchezza interiore viene conseguita non
attraverso se stessi, ma grazie agli altri. Il rivolgersi ad altri appare perci�
come
un atto di pienezza di s�, e non come rinuncia a se stessi. Il nucleo della cura
per
gli altri � la cura di s�, l�amicizia e l�amore nei confronti di se stessi. Purch�
si
sia liberi di farlo.
�autonomo�, � non gi� il s� che si libera, ma solo quello che con la sua libert�
pu� dare forma a qualcosa, e pu� anzitutto dare una legge a se stesso. Questo � il
significato letterale dell� autonomia: dare a se stesso (aut�s) la legge (n�mos).
Il
formare � ancora pi� difficile del liberarsi, perch� non pu� pi� svincolarsi da
quanto � gi� dato; non pu� pi� prenderlo solo come resistenza o avversit�, ma
deve piuttosto porlo e tras-porlo, cio� trasformarlo. Si � autonomi quando si �
padroni della formazione di s� e della propria vita, in riferimento a regole che,
come nell�arte moderna, non possono o non devono pi� essere tratte da una
tradizione o da una convenzione o, perlomeno, devono esserlo in seguito a una
libera scelta. �Il punto pericoloso e inquietante � stato raggiunto�, ammette
Nietzsche in Al di l� del bene e del male (1886, IX, 262), �il punto dove la vita
pi� grande, pi� varia, pi� vasta vive al di l� della vecchia morale, l�Individuo
sta
l�, costretto a darsi le proprie leggi�.
Ma un�autodeterminazione � davvero possibile? Dispongo della libert�
necessaria per metterla in atto? Questa tesi non muove da una concezione del
soggetto come libero di decidere, un soggetto che tuttavia non esiste? Non �
�determinato gi� tutto�? Non ci sono ovunque complotti contro il s�, orditi dagli
altri o da interi sistemi? Devo fare o non fare ci� che mi chiedono gli altri, e in
particolare ci� che � dettato dalle �circostanze�? Talvolta sembra come se in
alcune immagini del mondo il ruolo di Dio venga trasferito al �condizionamento
esterno�: ineffabile, onnipresente, in grado di vedere qualunque cosa, capace di
governare qualunque cosa. Questo pu� essere vero solo in parte. La verit� di ci�
che accade, infatti, non pu� mai fugare ogni dubbio, e di certo non pu� farlo la
teoria del complotto che, da parte sua, complotta contro altri complotti diretti
nei
suoi confronti. Indubbiamente esistono i condizionamenti esterni, l� eteronomia:
si pu� parlare di condizionamenti ecologici, biologici, sociali, culturali,
economici, politici. Il s� ne subisce variamente gli effetti ed � sempre
consapevole di essere determinato da qualcos�altro, da strutture anonime e da
istituzioni. Il risultato di questi condizionamenti � imprevedibile: chi ne viene
toccato si intestardisce e l�impossibilit� di controllare il risultato di una
singola
una stanchezza plumbea. Cos� passa il tempo, che guarisce tutte le ferite: la
lontananza dai momenti cruciali rende nuovamente possibile uno sguardo
capace, come venisse dall�esterno, di prendere le distanze. Il s� pu� quindi
rapportarsi a quanto accaduto, che, anche per questo motivo, non pu� pi� essere
considerato come inesistente; l�evento viene conservato nella memoria e
integrato nella coerenza del s� alla stregua di una cicatrice del corpo o
dell�anima. Esattamente nella coerenza che deve essere nuovamente prodotta. Si
comincia a ricucire il tessuto lacerato di se stessi, a ridisporre la vita
quotidiana,
a ripensare, a raccontare, a comprendere, a interpretare quanto � avvenuto per
dargli finalmente �un senso�, riportandolo a una qualche connessione sensata e
collocandolo stabilmente nella vita. Questo processo, che pu� essere
inconsapevole e accadere nel sonno, pu� anche venir concepito con la massima
consapevolezza e configurarsi come un compito. Ne risulta un forte sentimento
di s�, un�esperienza dell�inconsistenza della vita e, al contempo, una presa di
conoscenza delle enormi forze fisiche, psichiche e spirituali che abitano nel s� e
che sono in grado di portare al superamento di quella esperienza assurda. E si
capisce cos� anche quanta forza ci venga trasmessa dagli altri. Ma
quell�esperienza trova il suo senso soprattutto nella misura in cui pone la
questione circa il �vero essere�.
Quando l�ho vista sullo schermo per la prima volta ho pensato: almeno sa
cantare. La gioia tracimava dai suoi occhi. Per il resto tutto sembrava di
plastica,
il suo sorriso, la sua forma, i suoi movimenti, i suoi testi � tutto aerodinamico,
niente era suo. Non veniva fuori il suo s�, ma solo un passepartout. Chiss�, forse
qualcuno dietro al palcoscenico tirava i fili e abusava della sua gioia, sempre che
lei lo permettesse� Poi, nelle �notizie dal mondo�, quella sul suo tentato
conoscenza per la vita. La scissione tra l�essere (il modo di essere particolare) e
un dovere (un vero essere, cos� come dovrebbe essere) si pu� ricomporre
attraverso la scelta, la quale deve essere effettuata e mediante la quale il s�
decide di orientarsi al �vero essere� e di disporre la sua vita tenendone conto. Se
questa scelta non viene effettuata ci si �dimentica dell�essere�.
� evidente che gi� solo il riconoscimento di una differenza tra essere e
dovere implica il problema della scelta, anche perch� nella vita tutto potrebbe
essere consegnato alla mera spinta degli istinti naturali. La rinuncia alla
percezione di un dovere pu� far svanire la sua differenza rispetto all�essere � ed
� chiaro che una �soluzione� di questa natura non pu� essere difendibile, mentre
lo sarebbe una proposta che fa perno sulla percezione della propria
partecipazione alla costruzione del problema. Ci� che porta alla luce un��analisi
esistenziale� che abbia di mira il vero essere � sempre il fatto che anche
l�occuparsi o meno di questo problema � il frutto di una scelta esistenziale.
�Essere� � un concetto e un problema che ha fondamentalmente a che fare con la
coscienza. Coscienza significa: poter disporre dell�essere. Solo tramite la
coscienza l�essere pu� diventare il tema di una scelta, la base per una condotta di
vita consapevole. In questo senso risulta decisivo capire quale comprensione
dell�essere possa risultare sufficientemente plausibile per poterci costruire sopra
una vita consapevole, e quale concezione dell�essere possa far apparire la vita
come qualcosa di sensato.
Se questo � il presupposto per l�indagine sul �vero essere�, che cosa significa
allora �essere nel vero� e vivere veramente? La filosofia non pu� dare
indicazioni, anche perch� la sua storia � costituita da un�unica serie di verit�
discorsive, trovate e subito smarrite. Ma quando si parla della vita non ne va mai
di una verit� discorsiva, magari dischiusa in un agone argomentativo, ma di una
verit� esistenziale, che emerge nel mondo in cui ciascuno porta avanti la sua vita
e che, pertanto, pu� sempre essere messa in discussione. Il �vero essere� � quella
verit� che viene vissuta, con tutti i rischi che questo comporta e che chi vive
deve correre con ostinazione e resistenza, se necessario. Vivere nella verit� pu�
che esiste per s� e a prescindere dall�avere infatti non � altro che un�idea. Per
diventare realt�, l�essere deve �uscir fuori da s�. In questo senso, l�essere �, ed
�
immediatamente un avere queste e queste altre qualit�. L�essere si articola
nell�avere. Essere un s� significa avere sensazioni, pensieri, interessi, opinioni,
che sono proprie, cio� in possesso del s�. Da questo punto di vista � assurdo
parlare dell�essere come un modo di esistere nel quale �non si ha, e non si
desidera avere, nulla� (Erich Fromm, Essere o avere, 1976). Anche se questa
concezione � radicata nella tradizione: riflessioni sull�essere dell�uomo, su cui
l�avere non pu� esercitare alcuna influenza, si trovano gi� negli Aforismi sulla
saggezza di vivere (1851) di Schopenhauer. Pi� sensato del passare dall�avere
all�essere sembra invece spostare il punto fondamentale dell�avere dall� avere
materiale a quello ideale � compito dell�arte di vivere che ciascuno deve mettere
in pratica � per introdurre, alla fine, una componente ideale anche nell�avere
materiale: dal semplice consumo all� uso di ci� che si ha. E, da ultimo, dare
all�avere materiale una misura, un limite, esercitandosi a praticare una rinuncia
calcolata.
Una discussione di rilievo sul senso dell�avere si ebbe gi� attorno alla met�
del XIX secolo, innescata dal libro di Max Stirner, L�unico e la sua propriet�
(1845). Quando sostiene che la cosa pi� importante � disporre di se stessi,
�lavorare e formare se stessi� per poter condurre una vita propria, Stirner non fa
altro che attualizzare la concezione stoica dell�autoappropriazione, la greca
oike�osis. Le sue riflessioni mettono al bando la visione dei pensatori socialisti,
che hanno prestato attenzione esclusivamente alla propriet� materiale, per
l�abolizione della quale essi si ripromettevano di rivoluzionare tutti i rapporti:
lo
scherno di Marx e Engels (L�ideologia tedesca, 1845-1846) per queste tesi
morir� solo nel 1989, sulle labbra di chi ha rivendicato la propriet� della sua
stessa vita. Certo, rimane aperta la questione se la forma sociale che risulta da
questo processo non conosca metodi ancora pi� perfidi di espropriare il s� della
propria vita. Mariah Carey forse lo sa bene, forse tanto bene da concepire il
tentativo di farla finita, l�unica cosa ancora in nostro potere e di nostra
propriet�,
La domanda sul �bello� pu� diventare centrale per ogni s�: che cosa � bello?
Che cos�� una vita bella? La mia vita � bella? C�� in generale qualcosa di bello
per me? Che cosa � propriamente bello ai miei occhi? Disporre della bellezza, in
funzione della quale orientare la propria vita, � uno dei requisiti esistenziali
dell�essere umano. Che la vita di chi non conosce il bello sia un fallimento � una
convinzione presente in pi� di una cultura. Da qui non si pu� certo dedurre la
necessit� della bellezza, ma l�invito a sperimentare, qualora si mettesse in
dubbio la sua funzione positiva, che cosa sia una vita senza bellezza: astenersi
per un po� dalla bellezza d� pi� informazioni di un principio dogmaticamente
assunto. E, ammesso che si abbia bisogno del bello, resterebbe ancora da
spiegare dove possiamo trovarlo.
Il bello si incontra innanzitutto come modello culturale: qualcosa viene
percepito come bello a causa di influenze sviluppatesi in una certa cultura o di
condizionamenti imposti da certa moda o, ancora, da una particolare strategia
mediatica. �La bellezza� � ci� che viene presentato e rappresentato come tale.
Pu� manifestarsi in uno stile, o in un modo di abitare il mondo, nel vestiario, in
un lifestyle, o nell�idea di un �corpo perfetto�. Ma nella ricerca del bello
bisogna
sottrarsi all�omologazione e al mercato. L�arte di vivere pu� consistere proprio
nel non seguire ci� che ordinariamente, per convenzione o per tradizione, viene
connotato come bello. Il bello o la bellezza non sono che concetti, definiti in
maniera pi� o meno cosciente, ma anche da definire sempre di nuovo. Bello pu�
essere ci� a cui il s� dice sempre di s�, perch� questo � il suo significato
immediato in ambito sensibile, psichico e spirituale, estetico ed etico, in
rapporto
all�arte o alla natura, in riferimento alla vita individuale cos� come a quella
collettiva. Il bello non viene al mondo necessariamente sulla via platonica, cio�
attraverso un�elevazione al di sopra di ci� che esiste verso l�idea iperuranica, ma
tramite la sua determinazione, nella forma di un�approvazione che dipende da
una scelta individuale. Ma quando il bello viene compreso come degno di
approvazione, allora pu� anche esserlo nel senso di necessario per la vita; si pu�
quindi formulare un imperativo esistenziale da configurare come segue: forma la
tua vita in maniera tale da renderla degna di approvazione.
Ci� che dal punto di vista formale pu� essere definito come approvazione e
bene, il pi� delle volte non ha in mente le conseguenze di una riflessione etica,
ma una vita leggera, piacevole, libera dalle preoccupazioni e completamente
rivolta ai suoi aspetti positivi. Lo stesso pu� valere per la vita bella, anche se
in
questo caso � possibile sviluppare riflessivamente un concetto del bello partendo
dalla nozione che ne abbiamo nella vita quotidiana.
Il discorso sul bello prende le mosse dal concetto quotidiano del bello, che si
presenta innanzitutto � e per lo pi� � senza il concorso della riflessione e
immediatamente determinato dal sentimento. Sebbene la riflessione non sia mai
superflua, non si pu� prescindere da questa accezione che in qualche modo la
precede. Avvicinandosi al bello con una disposizione soggettiva e affettiva non
se ne ottiene una comprensione capace di coglierlo nella sua pienezza. Sembra
invece sensato ripensare a ci� che � stato avvertito come �bello� e
problematizzarlo nel pensiero, non tanto per perderlo nuovamente, quanto per
essere sempre pi� certi di ci� che, per ragioni plausibili e per le sue possibili
conseguenze, pu� essere o non essere ritenuto bello. Questa
autoproblematizzazione critica avviene dialogando con se se stessi o con gli altri,
sempre che si sia disposti a mettere in discussione se stessi. Perch� la cosa
fondamentale � accettare se stessi e la propria scelta: non si pu� costringere
nessuno a disputare sul bello, cio� a fornire motivi cogenti e universalmente
validi per la bellezza di qualcosa. Ma per guadagnare un concetto riflessivo del
bello si deve chiamare in causa la coscienza critica, che pu� nascere solo nel
processo della sua fondazione e impedisce di subirne arbitrariamente la
seduzione.
Il concetto critico della bellezza diviene criterio di una scelta, che pu� essere
relativa alla vita quotidiana, e quindi non decisiva, ma anche motivo di una
scelta esistenziale tra modelli di vita alternativi o, in un senso ancora pi�
ristretto, di una scelta etica che investe la definizione dei valori, la giustizia
e
l�ingiustizia, la stima e il disprezzo della dignit� degli altri. Quando si sceglie
il
problema � sempre lo stesso: che cosa � bello in prima approssimazione e, poi,
in maniera fondata? In questo modo pu� infatti emergere ci� che � pienamente
testimoniata gi� dalla storia che il concetto di �vita bella� ha avuto nella
filosofia
antica e dal significato che ha assunto nella tradizione occidentale
dell�umanismo. Una condizione fondamentale per la vita bella, e nello stesso
tempo un valore essenziale proposto dall�etica estetica, � la giustizia. Anche
perch� cosa c�� di bello nella vita che non pu� anche essere considerato giusto?
ponderazione dei diversi elementi presenti in lui, dalla loro coesione interna,
dalla loro reciproca coerenza, e solo in questo senso egli pu� essere giusto anche
nella societ�.
Nel corso del tempo la giustizia intrasoggettiva � stata trascurata a tutto
vantaggio di quella intersoggettiva. La pretesa di essere giusti viene indirizzata,
pi� che nei confronti di se stessi, verso gli altri, verso la �societ�, verso i
�rapporti� o i �sistemi�. Ma potrebbe anche darsi che l�incapacit� di essere giusti
verso se stessi conduca a pretendere con sempre maggiore frenesia la giustizia da
parte degli altri. Porsi il problema della giustizia verso se stessi, al contrario,
pu�
contribuire a sviluppare una sensibilit�, un fiuto o, in ultima analisi, un senso
per
la giustizia che vale nei confronti di se stessi, degli altri e in rapporto alle
diverse
relazioni sociali. La formazione del senso per la giustizia necessita
dell�attenzione ai nessi che la domanda sulla giustizia pone in essere. Bisogna,
cio�, imparare a guardare le cose da prospettive diverse, al fine di conoscere
modalit� diverse di vedere il mondo. Il senso per la giustizia esige inoltre la
conoscenza dei motivi e delle ragioni necessari a dissolvere le disuguaglianze, e
quindi un�esperienza nell�applicazione pratica in grado di testare le possibili
realizzazioni della giustizia e di rendere manifeste le loro forze e debolezze.
Infine, il senso per la giustizia ha bisogno di una riflessione sull�esperienza,
dalla
quale trae conclusioni in rapporto alla riuscita o al fallimento dei diversi
tentativi
e mediante la quale affinare ulteriormente il fiuto per ci� che � giusto.
Nell�impegno per una giustizia nei confronti di se stessi ritornano tutti i
problemi relativi alla giustizia intersoggettiva, ma anche tutte le possibili
soluzioni. I problemi risultano dal fatto che alla base del desiderio di giustizia
interiore (cos� come di quella esteriore) si trovano dei rapporti di forza. Non
tutte le voci del s�, non tutti i sentimenti, le idee, le argomentazioni hanno lo
stesso peso. Ogni voce rivendica il proprio �diritto� a essere trattata al pari, o
meglio, delle altre. C�� bisogno di tutta la saggezza del s� integrale, del
moderatore interiore, affiancato dalla sensibilit� e dall�intuito, per far
dialogare i
diversi aspetti del s�, cos� come i suoi diversi lati, strappando concessioni agli
rende giustizia, anche una malattia potrebbe essere salutare. Che questi due
momenti, salute e malattia, debbano essere parimenti opportuni � una questione
diversa, mentre per quanto concerne il rapporto tra mente e corpo la domanda
sulla giustizia relativa alla distribuzione delle possibilit� o alla parit� degli
svantaggi nel campo di possibilit� spettante all�uno o all�altra, si pone sempre e
in ogni caso. Una risposta potrebbe venire da un�educazione egualmente ripartita
tra queste due parti del s�, tale, cio�, da rendere il corpo e la mente ugualmente
abili a sfruttare le possibilit� che si presentano loro. Un �agire affermativo�
torna
a vantaggio anche delle parti trascurate, migliorando e ampliando la loro sfera di
possibilit�. Il fatto che si pensi di fornire a ciascuna parte del s� un numero
identico di chance non significa averle gi� sfruttate fattivamente.
La giustizia pu� poi essere prodotta mediante una giustizia compensativa:
uno sforzo eccessivo del s�, per esempio attraverso il pensiero, pu� essere
compensato da un�attenzione temporaneamente spostata, e rafforzata, verso il
corpo, in conformit� al principio del dare e dell�avere, al quale si riconosce la
preminenza in vista della realizzazione, su questa via, dell�armonia del s�. La
giustizia comparativa ha invece la funzione di confrontare gli svantaggi
strutturali, come ad esempio nel caso di un peggioramento della condizione
fisica che non pu� essere ripristinata e nei cui confronti sono tuttavia solidali
tutte le parti del s�. Mediante una raffinata sensibilit� psichica, per esempio, �
possibile riequilibrare un difetto del corpo. Al contrario, il compito della
giustizia distributiva � la ripartizione delle poche risorse del s� a tutte le sue
parti. Questo � il caso dell�attenzione, cruciale tanto per la confidenza con se
stessi quanto per la familiarit� con gli altri. Il s� deve infatti decidere
attentamente quando e a chi dedicarsi, con quale intensit� e per quanto tempo,
dal punto di vista fisico e da quello psichico e spirituale, sia in rapporto a s�
che
in riferimento agli altri. Il s� si impegna a realizzare anche la giustizia
procedurale, la cui funzione � rendere trasparente a tutte le parti del s� il
percorso che lo conduce a effettuare una determinata scelta e anche garantire la
compresenza di tutti gli affetti e gli aspetti necessari per effettuare la scelta
in
questione, per considerare le idee che gli vengono in mente e per testare i
risultati delle sue riflessioni. Siccome non esiste un�istanza esteriore alla quale
appellarsi, tutto dipende dalla disponibilit� del moderatore interiore a rendersi
parte in causa della giustizia procedurale � spronato, peraltro, dal pericolo che
nascerebbe da una sua violazione. E, infine, esiste anche una giustizia
partecipativa, che garantisce la partecipazione di ogni parte del s� alla vita
comune: sul piano della giustizia intrasoggettiva risulta da una pretesa nei
confronti di se stessi, relativa al tentativo di non emarginare, per quanto �
possibile, nessun pensiero e nessun sentimento, garantendo a tutti di prendere
parte alla vita complessiva del s�. Sentendosi escluso, anche il pi� piccolo
affetto
potrebbe infuriarsi e articolarsi selvaggiamente, placandosi solo dopo essersi
sfogato.
Ma non si pu� determinare in maniera definitiva e una volta per tutte che
cosa sia propriamente la �giustizia�, nemmeno con l�aiuto di una qualche
procedura. Anche la giustizia � un concetto mutevole. Un lavoro e una
consuetudine millenaria con questo concetto non hanno risposto in maniera
soddisfacente all�interrogativo sulla sua essenza. Fino al culmine della tesi
permissivista, secondo la quale la giustizia � impossibile. Resta tuttavia
immutato il suo compito centrale: produrre la coerenza all�interno del s�, cos�
come nella societ�, nelle famiglie, nei gruppi, nelle scuole, nelle aziende e in
interi Stati, allo scopo di bilanciare le relazioni tra affetti e aspetti del
singolo,
cos� come quelle tra individui e gruppi. Ne deriva dunque una tesi pragmatica: la
giustizia � irrinunciabile. Tuttavia, tale tesi non porter� mai a risultati
soddisfacenti, non tanto per la notoria imperfezione della natura umana, quanto
per via di una contraddizione ineliminabile: gli sforzi per raggiungere la parit�
di
tutti non esauriscono la libert� del singolo. E la giustizia felicemente raggiunta
nella prospettiva dell�uno tende all�ingiustizia agli occhi dell�altro. Da qui la
tesi
scettica: la giustizia produce ingiustizia. � compito del moderatore interiore
barcamenarsi in questa triplice problematizzazione della giustizia (permissivista,
pragmatica, scettica) e fare in modo che il s� possa dedicarsi alle domande che
perch� il s� si sente a casa quando la vita gli pare affidabile e dove si sente
protetto. Le abitudini hanno la funzione di produrre tutto questo. Qualche volta
sono esagerate, e quindi �bisogna abituarsi� a interromperle, mettendole in
questione ed evitando di imbalsamare la propria vita nella loro ripetizione. Ma �
anche vero che si pu� cambiare vita solo se il cambiamento viene sedimentato
nelle abitudini. Quindi, se l�essere umano � ancora vivo lo deve alle abitudini.
Curarsene senza essere in malafede � parte dell�automanagement.
�Automanagement�? Questa parola potrebbe risultare fastidiosa. Bisogna
adeguarsi alla moda di un�epoca in cui il termine �management� si applica a
tutto. Non si pu� misconoscere il pericolo che si corre abusando di questo
termine, non facendo altro che �porsi obiettivi�, �trarre bilanci�, essere
�operativi� ed �efficienti�, in linea con quei libri che spiegano come fare
carriera
e avere successo. Si rischia di rimanere vittime dell�illusione di un controllo
totale, che non pu� mai essere raggiunto, n� in economia n� tantomeno nella
condotta di vita individuale. Considerarsi come una sorta di azienda presuppone
l�esperienza della mancanza di senso, e l��automanagement� avrebbe la funzione
di cancellarla. A questo termine, inoltre, pu� essere associata una certa accezione
positiva: automanagement come governo di se stessi, come organizzazione del s�
e della sua vita, grazie alla quale realizzare una cura di s� tanto al livello
fondamentale, quanto nella vita quotidiana. E questo investe innanzitutto la
domanda sulla costituzione del s�, centrale anche nella �terapia
dell�automanagement� (cfr. a tal proposito il volume di Frederick H. Kanfer,
Hans Reinecker e Dieter Schmelzer, del 1990), introdotta per sconfiggere la
paura e per venire a capo di molte altre situazioni della vita e dedicata
all�analisi
dei comportamenti nella vita quotidiana. Lo scopo della terapia consiste
nell�acquisire abilit�, nel prestare attenzione alla forza del s�, nel dividere le
pianificazioni globali in piccoli passi, nel prepararsi ad affrontare il continuo
mutare di condizionamenti e ostacoli e nell�invito a �fare i conti con il passato�.
Ricalcando, almeno in parte, questo percorso � possibile rubricare sotto il
concetto di automanagement anche le diverse fasi del processo di
vita per �farne un ritratto� o per esperire concretamente il loro significato, che
si
rivela solo quando vi si rinuncia. In questo modo emerge il senso delle abitudini,
e il s� pu� ora procedere a immetterle nella vita, a piantare i paletti
dell�abitudine, ai quali pu� ancorare la vita e attorno ai quali la vita stessa pu�
essere organizzata. Questo fornisce un aiuto davvero importante, soprattutto nei
momenti difficili. Nella disposizione della propria vita � dunque impossibile
rinunciare alle abitudini, ai rituali, per evitare di doversi mettere a riflettere
in
continuazione, e magari proprio nel momento in cui il pensiero appare come
stordito o affaticato nel dare una direzione alla vita che deve essere ancora
vissuta. Mi sento abbandonato da tutto il mondo, la vita mi appare senza senso e
il mondo un nulla? Non � questo il momento per discuterne. Meglio far passare
un po� di tempo finch� non si ritrova la vita e, di conseguenza, non diventa
nuovamente possibile riflettere con tutta calma su questa situazione. E questo �
possibile gi� grazie alla cura e alla creazione di abitudini e rituali, ammesso che
se ne conosca il significato. E il fatto che non si sia mai parlato di un sapere
relativo alla ritualizzazione autonoma della vita, unito al fatto che i rituali
sono
stati determinati, per lungo tempo e in gran parte, da un punto di vista religioso,
convenzionale, e come tramandati da una tradizione e compresi come eteronomi
rispetto alla ragione, costituisce l�ostacolo pi� grande per comprenderne
l�importanza.
Una vita all�insegna delle abitudini definisce al contempo il luogo
dell�abitare in senso stretto: una parte costitutiva dell�automanagement � quella
relativa al management dello spazio, questione ineludibile per l�epoca moderna,
in cui ogni vincolo spaziale � dissolto, e la vita, ormai vissuta da qualche parte
in uno spazio transitorio, appare di fatto limitata. Stabilire il dove, il luogo o
i
luoghi del s�, ha che fare con il metodo dell�autoformazione: ogni definizione, in
questo senso, torna a influenzare il s� che ha determinato lo spazio nel quale
collocarsi e dunque il suo orizzonte sociale. Alla vita all�interno di un certo
spazio, anche in uno spazio transitorio, sono legate diverse configurazioni del s�,
e questo vale a maggior ragione quando si parla del luogo specifico su cui viene
alle cose della vita quotidiana, che se ne prende cura e se ne appropria, pu�
sembrare offensivo. Difensivo � invece quell�atteggiamento che svaluta le cose e
le misconosce, ci� che tuttavia non provoca altro che un aumento della spesa
necessaria a mantenersi, senza comunque smettere del tutto di occuparsene.
Decidere di non interessarsi alla vita quotidiana pu� certo essere un�opzione che
alleggerisce il s�, ma non gli altri. Economia domestica significa, in senso lato,
produzione, fabbricazione e creazione delle risorse materiali necessarie per la
vita di tutti i giorni, per formare l�orizzonte in cui si inscrivono le possibilit�
del
quotidiano, e soprattutto per predisporre lo spazio necessario alla divisione del
tempo. Nella sua accezione pi� ristretta, invece, il concetto di economia
domestica indica un lavoro di riproduzione, condotto e sostenuto da un set di
pratiche e gesti automatici relativi alla nutrizione e al vestiario, alla
conservazione delle cose e alle relazioni, alla preoccupazione complessiva per le
risorse fisiche, psichiche e spirituali, che permettono di rigenerare le forze che,
a
loro volta, rendono possibile il lavoro di produzione. �Amministrare la casa� � la
battaglia quotidiana contro il caos delle mille cose, la cui dinamica propria non
pu� mai essere dominata. In casa non comanda l� autonomia, ma l� eteronomia,
dominata da costellazioni contingenti di cose materiali, che ci assediano e nella
cui confusione � possibile trovare qualche isola di riposo e di attivit� solo
grazie
alla libera autodeterminazione. Ma � questo anche il lavoro che tiene insieme,
tanto nella vita interiore quanto in quella esteriore, elementi singoli che
altrimenti andrebbero alla deriva, in maniera tale da rendere possibile una vita
insieme, tanto in casa propria quanto all�interno di una comunit� pi� ampia.
Amministrare la casa, quindi, corrisponde alla gestione della vita sgradita e
improduttiva: mettere in ordine, creare disordine, mutare la disposizione dei
mobili, comunicare con istituzioni o impiegati, tenere in ordine le finanze,
pagare affitto, tasse e assicurazione, provvedere al proprio sostentamento e
molto altro. Dare a queste cose della vita un certo ordine, al contempo temporale
e spaziale, anche solo per non esserne soffocati, pu� essere di grande aiuto.
L�ordine delle cose della vita quotidiana pu� anche essere caotico, ma quello che
conta � la capacit� di venirne a capo. L�ordine migliore sta forse proprio nella
sistematicit� non sistematica, venuta tuttavia a formarsi in maniera organica.
Normalmente, infatti, l�ordine in questione segue una logica tutta sua, nata da
casualit�, simpatie e antipatie. La sua funzione non deve necessariamente essere
razionale, ma riflettere una disposizione della vita che consente di dimenticare se
stessi. Non c�� altro modo per superare le pressioni e le fatiche generate da
questa dimensione della pianificazione. Una regola possibile per l�ordine �
quella di lasciare le cose l� dove sono state collocate dalla logica della vita,
cio�
dall�esperienza. Alle cose che non riusciamo mai a trovare � possibile attribuire
una posizione dalla quale possono essere prese e riportate automaticamente,
senza deviazioni. Anche se un dato ordine, cos� come l�ordine nel suo
complesso, resta sempre un�opzione, senza mai poter assurgere a norma.
L�ordine non � che un ostacolo per chi vuole mantenere viva la sensazione di
suspense e di sorpresa relativa alla ricerca di una singola cosa.
Quando tutti questi lavori diventano troppo faticosi e a maggior ragione
quando non � necessario accordarsi con altri sulla divisione dei compiti necessari
al mantenimento della casa, non ha senso ricorrere a imprese e service per
approntare una migliore disposizione della propria vita, o per portare a termine i
lavori di casa? A parte il fatto che per farlo sono necessarie alcune �risorse�,
bisogna stare attenti a mantenere riconoscibile l� autodeterminazione implicita
nell�automanagement, evitando di rendere l�insieme dei lavori di casa il prodotto
di una determinazione estranea. Farsi servire ha indubbiamente un suo fascino; e
senza dubbio gli agi offerti da una societ� di servizi possono essere parte di una
vita tranquilla. Il servizio per� non comporta solo un guadagno di tempo, ma
anche una perdita: la confisca della propria vita, strisciante come non mai.
L�attesa diviene senza fine e induce a sognare un mondo un cui il s� si fa servire
tutto su un piatto d�argento. La mancanza di intoppi che ci si aspetta da una
societ� di servizi ha molto a che fare con la perfezione e poco con la vita. Anche
il ricorso a prestazioni esterne per gestire la propria casa comporta la scelta di
una misura che possa rivelarsi sostenibile. L�atteggiamento del mero pretendere
dovrebbe essere riequilibrato da un impegno, anche perch� una vita senza
impegno, senza il superamento di difficolt�, ci fa mancare profondamente
l�occasione di sentirci vivi. Il s� che non chiede niente a se stesso non riesce a
comprendere le possibilit� e i limiti che lo caratterizzano in quanto tale e arriva
a
sentire la sua vita come qualcosa che non gli appartiene pi�, come qualcosa di
estraneo. La soddisfazione dei desideri, privata degli ostacoli che ciascuno deve
affrontare per ottenerla, non rende felici, ma fonda un nuovo modo per non
esserlo: chi ricorre solo alle societ� di servizi pu� soltanto avere qualcosa di
cui
lamentarsi e storcere il naso. Il correlato della societ� dei servizi � un s�
seccato
e irritato, il cui malumore pu� essere sempre meno compensato dalle prestazioni
che richiede. Intanto, la societ� dei servizi fa progressi elettronici, e presenta
possibilit�, difficolt� e peculiarit� del tutto nuove.
Arrivo in una citt� diversa, ritorno ai miei account di posta elettronica: l�e-
mail � la forma di vita dell��e-nomade� che ha scambi con tutto il mondo,
mentre lo gira in lungo e in largo. Comunicazione illimitata: questo � il
guadagno dell�universo virtuale. Essere sempre presso di s� e, al contempo,
uscire continuamente fuori di s�. Nello spazio transitorio, cos� come a casa
propria, le e-mail e Internet incentivano il chiudersi stoico in se stessi, nel
momento esatto in cui ci si garantisce la possibilit� di comunicare con tutto il
mondo. La posta elettronica � il punto medio ideale tra la posta e il telefono, tra
la fatica necessaria a riempire una pagina, a penna o con la macchina da scrivere,
e la facilit� con la quale �si fa una telefonata veloce�. � uno strumento facile da
usare, ma irrompe nel mondo di qualcun altro senza mediazione e nello spazio di
un attimo, come quelle telefonate che spingono a una reazione spontanea, subito,
adesso, senza indugi. Cos� � nata una forma di comunicazione che attraversa lo
spazio alla velocit� della luce, pur lasciando liberi i partner di gestire a
piacimento il loro tempo: apriamo la cassetta virtuale della posta quando
vogliamo. Ma il vantaggio incontestabile � nuovamente legato a una perdita
irreparabile: diversamente dalla lettera, che pu� avere una certa peculiarit�
tipografica dovuta alla macchina che si usa, o a una particolare grafia, l�e-mail
ha un carattere standardizzato, che appare sul nostro monitor: una
spersonalizzazione che avviene in maniera poco appariscente e tuttavia
manifesta. Resta solo l�informazione nuda e cruda, priva della sensibilit� del
mittente che sceglie una determinata carta da lettera caratterizzata da una certa
consistenza e da un certo profumo. Nessuno sa in quali circostanze l�e-mail sia
stata scritta. Non � possibile rintracciare nient�altro che il linguaggio che �
stato
impiegato, il quale, tuttavia, nella fretta della comunicazione, non viene
nemmeno percepito.
Mentre ogni affermazione presente in una lettera sembra il risultato di una
riflessione e di una valutazione concettuale, la leggerezza delle e-mail spinge
alla spensieratezza, a espressioni avventate, a un�immediatezza che non rispetta
il destinatario; costringe a buttare gi� un testo la cui fluidit� non � un criterio
decisivo per stimare o meno la persona che lo scrive. Da un altro punto di vista,
lo scambio elettronico rende visibili i limiti della comunicazione, ricondotti
sempre di nuovo a limiti immanenti a se stessi: la vita consiste nell�evadere una
corrispondenza elettronica sempre pi� straripante? Ne consegue anche una
standardizzazione delle risposte, che si avvale dei sistemi che riconoscono le
macro, i quali rendono sempre pi� efficiente la nostra capacit� di elaborare e-
mail, fino ad arrivare alla risposta automatica, dove a comunicare sono solo le
macchine. La comunicazione, quindi, viene resa sempre pi� difficile dalla sua
semplificazione. Dalla fretta si passa al silenzio. La principale conseguenza � la
distruzione: distruzione tecnica della comunicazione, perch� i PC vengono colpiti
da virus che possono infettarli con ogni e-mail � come avviene nel mondo reale
ogni volta che si respira, anche se in maniera molto pi� endemica. Distruzione
umana, dovuta alla certezza che, diversamente da quanto accade in una lettera,
movimenti, abbigliamento). Anche nello spazio virtuale gli sforzi necessari per
stabilire un�amicizia con se stessi non sono inutili, e anche a questo livello si
pone il problema della giustizia nei confronti di s�.
Si giunge quindi al management informatico e alla gestione di se stessi con
l�aiuto della comunicazione elettronica nello spazio virtuale. L��e-government�
non riguarda solo la gestione e la conservazione che si avvale dell�aiuto degli
strumenti della comunicazione elettronica di paesi e comunit�, industrie e
imprese, ma tocca anche l�economia domestica, innanzitutto nel suo senso pi�
vasto. La virtualit�, infatti, permette di mandare avanti la produzione delle
risorse materiali indipendentemente dal luogo in cui ci si trova e di aumentare
considerevolmente l�efficienza attraverso il monitor di un computer. Le
informazioni ottenute in tempo reale possono essere sfruttate per formare la
propria vita, l�orizzonte che ne determina le condizioni, le possibilit�. Mediante
la formazione e la specializzazione che si pu� ottenere dagli strumenti elettronici
� possibile accedere, per caso o anche in seguito a una ricerca sistematica, a
possibilit� sempre nuove. Ma e-government significa anche utilizzare strumenti
virtuali nel senso pi� stretto della riproduzione, fino al caso-limite di una casa
�intelligente�, pienamente informatizzata, nella quale si sperimenta l�uso
dell�elettronica per la vita quotidiana grazie a microcomputer piccolissimi che
possono portare a una piena espropriazione dell�esistenza. Si pu� usare lo spazio
virtuale per la gestione della vita, per la spesa, per tutte le commissioni, per
pagare le bollette, per gestire il proprio conto in banca, sempre che ciascuno
riesca a trovare un tipo di ordine che gli si addice senza necessariamente
dismettere quello stabilito dalla �logica della vita�, grazie alla quale si pu�
evitare di farsi travolgere dal flusso incontrollato delle informazioni.
I mezzi elettronici non sono solo strumenti per gestire la propria vita, ma
anche oggetti che devono a loro volta essere gestiti elettronicamente. Ogni
momento della loro vita deve contemplare l�esistenza di cookies o spywares.
Siccome e-government significa in questo senso anche potere virtuale, � sempre
importante alimentare di continuo la perplessit� sulla possibilit� di affidare se
Uno dei problemi principali della vita nella societ� postindustriale � quello di
non avere un lavoro e, quindi, quello del lavoro come base per la produzione di
risorse materiali grazie alle quali � possibile trovare sostentamento. Cos�, la
cura
per s� diventa cura per il lavoro, o per un �impiego�, quale base per il lavoro:
motivazione, flessibilit� e formazione continua, necessaria a dimostrare le
proprie capacit� di imparare, di rinnovarsi, di offrire prestazioni professionali.
Si
pu� lavorare nella forma di un�attivit� libera o dipendente, a tempo determinato,
temporanea, part-time, a progetto, mescolando lavori diversi (patchworking) o
lavorando il minimo indispensabile. L� opzione borghese consiste nel procurarsi
che io posso fare in rapporto a me e alla mia vita per poter condurre una vita
bella e degna di approvazione in questo senso. Lavoro pu� gi� essere ogni
attenzione e ogni dispendio di energia, fisica, psichica o spirituale. Prima di
tutto
viene il lavoro su se stessi, che porta a stringere amicizia con s�: ci� che rende
il
s� completamente padrone di se stesso. A questo ci si pu� dedicare
ininterrottamente senza rischiare di rimanere disoccupati, anche perch� il lavoro
su se stessi rappresenta il presupposto per ogni altra attivit�. E lo �, per
esempio,
rispetto al lavoro sull�amicizia, che gli esseri umani della modernit� devono
portare avanti: � una parte fondamentale per la formazione della libert� e serve a
istituire nuovi vincoli � a differenza di quanto accadeva nella cultura
premoderna, dove l�amicizia rientrava ancora nel complesso di ovviet� che non
era necessario mettere in discussione. O rispetto al lavoro sulla famiglia, cio�
alla cura per le relazioni pi� strette, che ha per oggetto quel tipo di difficile
coesistenza legata ai lavori di casa, con la ricerca di un ritmo comune, con la
quotidianit� familiare e con l�educazione dei bambini. Quanto pi� la societ�
diventa porosa, tanto pi� significativo diviene il lavoro civile, a cominciare
dalla
creazione delle modalit� di incontro con gli altri nella vita di tutti i giorni,
fino
ad arrivare al lavoro nel cosiddetto �terzo settore�, che si trova accanto allo
Stato
e all�impresa privata, e che ha lo scopo di fornire servizi sociali e organizzare
la
libera iniziativa. Soprattutto in questi ambiti � possibile comprendere il senso
del
lavoro assieme al senso della vita. Il nostro campo visivo pu� ora ampliarsi
all� ozio come lavoro, attraverso il quale si possono conseguire punti di vista
nuovi: il lavoro non � assolutamente solo un fare, ma anche un non fare; non
solo attivit�, ma anche passivit�, quella passivit� che, proprio in epoca moderna,
� stata trascurata, impedendo al s� di pervenire ai nessi relativi alla sua vita e
al
suo lavoro e quindi di prenderne coscienza. E solo alla fine, dopo essere entrati
nei diversi aspetti del lavoro, si pu� passare al lavoro per guadagnare, dove
risulta decisivo capire il rapporto dell�attivit� con la vita � cosa che
rappresenta
gi� di per s� un lavoro. Anche in questo caso, gli altri aspetti del lavoro non
vengono eliminati, ma si conservano e vi restano impliciti.
Invece di vedere lavoro e vita come due ambiti separati, � sempre pi�
importante trovare un concetto di lavoro quanto pi� ampio possibile: il lavoro
alla vita, dove possono essere integrati appunto lavoro, vita e i diversi aspetti
del
lavoro stesso. Il lavoro alla vita riproduce quei nessi pi� ampi che devono
prevalere su un concetto determinato dal punto di vista esclusivamente
economico: il lavoro non � solo una �produzione di beni�, non � solo una
�attivit� remunerata�, ma un atto di formazione della propria vita, un� ars
laborandi come parte costitutiva dell� ars vivendi. Per ogni forma di lavoro vale
il principio del fabricando fabricamur. Attraverso il lavoro � il s� che viene
lavorato. Il lavoro a qualcosa, il modo di lavorare, l�atteggiamento con cui si
lavora: tutto questo ha un effetto tale da influenzare e mutare il carattere di
chiunque. Ammesso che questo sia inevitabile, resta da capire se il lavoro pu�
essere compreso come una forma di ascesi, di esercizio su se stessi e, attraverso
questo esercizio e tramite le abitudini che grazie a esso si acquisiscono, come
modo per darsi una forma. Nelle culture non moderne il lavoro su se stessi non
viene mai effettuato consapevolmente, perch� il rapporto con la vita, con se
stessi e con gli altri risulta ovvio dalla tradizione, dalle convenzioni e dalla
religione. Nella cultura moderna, al contrario, gli uomini non sono ancora
abituati a svolgerlo. Da qui nasce la soggezione tipica nei confronti del lavoro su
se stessi e sulla vita. In effetti il compito � molto pretenzioso: chi comprende se
stesso nell�impegno a vivere correttamente la propria vita ha portato a termine
�la pi� grande delle incombenze�; e con l�aiuto di questo lavoro la vita come
opera d�arte diventa �il capolavoro pi� grande ed evidente�.
Oltre agli aspetti che abbiamo menzionato, il lavoro sulla vita comprende,
anche e soprattutto, il lavoro sul senso, riferito innanzitutto al lavoro stesso.
Si
tratta in questo caso della necessit� di vedere i nessi del proprio lavoro, cos�
come quelli di ogni lavoro, in uno spazio pi� ampio. In gioco �, quindi, la
possibilit� di chiedersi se e quale sia il loro significato per la casa, le
istituzioni,
la societ�. Questo passaggio si pu� compiere molto meglio nei momenti di ozio,
nel fuori-tempo, negli anni sabbatici, che non nel pieno delle fatiche quotidiane.
loro vita, mentre i benestanti, satolli, non avendo pi� alcuna spinta a vivere,
devono lottare per non soccombere a questa situazione. Ogni passo verso il
benessere deve essere compiuto con grande cautela, perch� � pi� facile �ottenere
qualcosa� che staccarsene quando � necessario. La cosa pi� sensata sarebbe
quella di disporre di mezzi materiali, pur facendo sempre attenzione a usarli in
maniera limitata per non perdersi in un troppo che stroppia. Un possibile punto
fermo per la definizione della giusta misura, un principio per la fondazione
ideale e materiale della vita, la �grande regola dell�arte di vivere� (gran regla
del
arte de vivir), viene data da Baltasar Graci�n, nell�aforisma 134 del suo Oracolo
manuale e arte della prudenza: �Quello che conta � avere due organi per
procurarci i beni e le comodit�. Cos� la natura fa in modo che gli organi pi�
importanti del nostro corpo siano due, lo stesso deve fare l�arte con ci� da cui
noi dipendiamo�. Se perci� ci si assicura �le cause della carriera, della
convenienza e del godimento� in maniera doppia, allora si �raddoppia la propria
esistenza�. � un sogno?
�Tempi duri per i sognatori�, dice intanto una donna. E i sognatori sono i
romantici. Tempi duri, perch� ci troviamo nell�era della pragmatica funzionale e
fredda, in cui il s� si esaurisce nel lavoro e nelle preoccupazioni. Il
romanticismo
� quel movimento che, gi� all�inizio della modernit�, viene fondato proprio per
criticarla, cercando di correggerla attraverso dinamiche sempre nuove. Ma il
romanticismo non nasce da solo. � piuttosto il frutto di un certo tipo di lavoro.
La modernit� viene rielaborata in atteggiamenti, modi di comportarsi e di vedere
le cose in grado di far esplodere una realt� monotona. Di contro a un�ansia che
ormai ci sta troppo stretta, compresa solo come ansia per i vantaggi materiali, si
fa valere il disinteresse, che ha un qualcosa di infantile. Viene contrastata la
cura,
4 L�autore gioca qui con i temini �Wert�, �valore� con accezione etica, e
�bejahenswert�, �degno di approvazione�. � chiara quindi l�affermazione
secondo la quale ci� che � degno di approvazione (bejahenswert) contiene di per
s� il tema del valore (cio� del Wert).
dell�essere umano. E dunque � pi� vicino all�italiano �vivere in� (cos� come
viene usato nel linguaggio ordinario) che non all�abitare. Per questo si � scelto
di
tradurre �Wohnen�, in questa circostanza, con �vivere in�, nel senso di �abitare�.
per avere un�eccellente condizione fisica, diritto al riposo come limite a uno
sfruttamento eccessivo. Analogamente alla natura esterna, fare i conti con il
proprio corpo significa non considerarlo come semplice oggetto, ma rispettarlo
anche come organismo, come essere che ha i propri diritti, che afferma la propria
forza e che, al contempo, rappresenta uno strumento fondamentale per esperire
la vita. Si pu� cos� relativizzare il cartesianismo che vede il corpo solo come
�una cosa estesa�, oggetto della �cosa pensante�.
Avere un rapporto con il proprio corpo � la base per stabilire una relazione
con gli altri corpi presenti nel mondo. Il fatto che in epoca moderna il corpo
venga percepito come qualcosa con cui stabilire una �relazione� � una diretta
conseguenza della liberazione dai vincoli fisiologici stabilita dal cristianesimo e
dalla filosofia cartesiana, secondo cui il s� non �ha� un corpo. Questa liberazione
rende il corpo un oggetto a disposizione dell�arbitrio individuale e, nel corso
della modernit�, favorisce un vero e proprio culto del corpo: gli si comincia a
correre dietro selvaggiamente, come se non ci si potesse pi� rivolgere ad alcun
altro oggetto. Si assiste cos� a una reazione radicale all�espropriazione del corpo
o all�ostilit� nei suoi confronti. Come controreazione a questa reazione �
possibile lavorare a una nuova cultura del corpo, a una cura consapevole del
corpo che, attraverso l�arte di vivere, si faccia carico di configurare la libert�
che
emerge nella relazione con esso. Grazie all�acquisizione di una maggiore
familiarit� con il corpo (somatofilia), questo procedimento dovrebbe dissolvere,
da una parte, la paura di esso (somatofobia), e, dall�altra, la schiavit� nei suoi
confronti (somatomania). Sarebbe infatti opportuno rimediare alla sua
demonizzazione, ampiamente radicata nella storia, ma anche correggere le
fissazioni che derivano dalla reazione a essa. Esiste gi� una quantit� enorme di
terapie che rispondono a questa esigenza. L�amicizia con il proprio corpo non
richiede solo il riconoscimento delle peculiarit� dal punto di vista del s�
integrale
e cosciente, un riconoscimento che gli lascia la libert� e che, nondimeno,
consente di mantenere un legame forte con esso. � infatti necessario non
identificarsi, non fondersi, non unificarsi con il proprio corpo. Non bisogna,
dominato nel corso dei secoli, spinge tuttavia verso una asomatognosia, cio�
verso una �conoscenza fallace del corpo� che non ha a che fare solo con una
particolare immagine neuropatologica, ma che � diventata il tratto distintivo di
un�intera cultura. Per questo motivo, e non da ultimo, il s� cosciente si trova
spesso di fronte ai propri processi fisiologici, dei quali non � ancora divenuto
cosciente, come di fronte a un estraneo. Superare questa situazione attraverso
una conoscenza del corpo, cio� attraverso una somatognosia, potrebbe essere
difficile: quanto accade nel corpo non pu� essere materia per una conoscenza
oggettiva ed evidente. Un tipo di comprensione che possa anche riorientare
l�atteggiamento nei suoi confronti pu� essere ottenuto con gli strumenti
dell�ermeneutica, cio� mediante un� interpretazione del corpo. Il corpo parla e il
suo linguaggio deve essere interpretato. Nel farlo si pu� cominciare dall�idea che
il corpo �sa� di se stesso molto pi� di quanto ne sappia la coscienza e che ogni
esperienza corporea e ogni rappresentazione cognitiva della ricchezza di un
avvenimento fisico non possono mai essere complete. Al posto di una
conoscenza onnicomprensiva, bisogna andare verso una familiarit� pragmatica
con il proprio corpo; nel farlo ci si pu� servire dell� intuito, che corrisponde al
corpo meglio di qualunque altra cosa. E siccome l�intuito cresce assieme
all�esperienza, � necessario raccogliere una grande variet� di esperienze fisiche.
Nonostante i vantaggi offerti dall�ermeneutica, la rappresentazione del nucleo
�autentico�, ossia �della verit�, del corpo resta impossibile. In sostanza, quindi,
� sufficiente che gli assunti con i quali il s� pu� operare sul proprio corpo siano
plausibili.
Bisogna quindi appropriarsi del corpo e curarlo sulla base
dell�interpretazione che se ne ricava e con l�aiuto di esercizi. Il primo compito
di
ogni ascetica � l�esercizio fisico. Mediante l�esercizio � possibile apprendere in
maniera esemplare il modo e la capacit� di rapportarsi a se stessi ed esercitare la
capacit� sui tre livelli di cui abbiamo gi� parlato: possibilit� di disporre di se
stessi, concretizzazione di singole possibilit� e realizzazione eccellente di
alcune
di queste. L�esercizio fondamentale per la cura del corpo resta, tuttavia, il
La cultura del movimento � alla base della cultura del corpo. In un tempo in
cui il movimento di ciascuno di noi viene progressivamente sostituito dal
movimento tecnico, ci� diventa una necessit�. Le tecniche della cultura del
corpo sono quegli esercizi che vengono praticati per avere degli effetti su se
stessi, per formarsi e trasformarsi. A sua volta, l�esercizio, o il �training�, �
ci�
che l�uomo della modernit� inscrive nell�ambito dello sport, il quale � divenuto
non a caso, come la stessa tecnica moderna, un movimento di massa. Lo sport
rappresenta il �segmento centrale della cultura moderna� (Volker Caysa,
K�rperutopien [�Utopie del corpo�], 2002). Si tratta di una forma di movimento
sistematica, spesso condotta agonisticamente, accompagnata da fenomeni come
fissazione, manipolazione del corpo, specializzazione e concentrazione su alcune
sue parti specifiche, ramificazione commerciale e, per quanto la pratica di uno
sport resti sempre un�opzione, anche da una certa normativit�. Dal punto di vista
mediatico le leggi dello sport vengono comunicate nella forma dei risultati delle
competizioni degli sport principali, dei quali non � pi� possibile intuire la
fatica
di fondo. Perci�, chi tenta di fornire una prestazione analoga a questi risultati
fa
soltanto esperienza di una deficienza, di un infinito restare indietro, che
impedisce di vedere nello sport una possibilit� di lavoro su se stessi, la quale
viene molto prima della formulazione e della scoperta di una norma. Tuttavia lo
sport, che dal 1896 e con le sembianze di un nuovo movimento olimpico �
diventato un rituale caratteristico della cultura moderna, ha indubbiamente
permesso che molti esseri umani scoprissero o riscoprissero il fascino del loro
corpo. Le conseguenze non restano limitate all�attivit� sportiva, ma
contribuiscono complessivamente alla formazione della vita individuale e
sociale. Nello sport si creano atteggiamenti e ci si appropria di modi di
comportarsi che possono essere applicati anche alla vita extrasportiva.
Siccome per imparare a vivere c�� bisogno di esercizi ascetici, e siccome la
formazione di s�, ben oltre la formazione esteriore, si pu� interiorizzare, lo
sport
rappresenta un campo di attivit� ideale per l�educazione e l�autoeducazione al
saper vivere. Nello sport viene richiesto quello che � centrale anche per l�arte di
vivere: la cura verso se stessi. Ci� che viene esercitato nello sport, anche se in
maniera inconsapevole, � l� attenzione nei confronti di se stessi. Nel momento in
cui si d� inizio al lavoro su se stessi, il s� stabilisce una relazione con se
stesso,
che forse era andata perduta o che non era ancora stata trovata. Si pu� sempre
sospettare che una relazione di questo tipo sia dominata dal narcisismo, e
tuttavia essa resta parte costitutiva di una condotta di vita consapevole. In
seguito all�appropriazione del corpo avviene un� appropriazione di s�, che
comunica un�esperienza intensa di s� e rispetto alla quale l�esercizio fisico e lo
sforzo non sono altro che le cinghie di trasmissione. Guadagnare un certo potere
su di s�, obiettivo di ogni esercizio fisico, diviene il modello del rapporto con
se
stessi. Ogni esercizio termina, infatti, appena si � acquisita una padronanza su se
stessi, un potere su di s� legato alla moderazione e alla possibilit� di essere
sovvertito; � espressione di un modello democratico che contrasta
l�autoritarismo tipico della �sovranit� su se stessi�. La padronanza di s� rende
possibile il disporre di s�. A meno che non si tratti di un�attivit� mentale, nello
sport questo ha sempre a che fare con la gestione di possibilit� fisiche.
Con un esercizio fisico incessante e regolare nascono le abitudini. Pu�
trattarsi di una determinata sequenza di azioni, di un comportamento, di una
gestualit�, di un modo di vedere le cose, di un pensiero o di una rinuncia
calcolata: mediante l�esercizio viene intessuta un�intera rete di abitudini, una
necessit� nell�arte del corpo, analoga a quella individuata con l�arte di vivere.
La
ripetizione di azioni sempre uguali a se stesse, infatti, favorisce una certa
ovviet�
nella comprensione, la quale permette di fare una cosa senza rifletterci sopra, ma
nello stesso tempo di agire in maniera sapiente. Un certo movimento diviene
�sapiente� per il fatto che si � allenati a farlo, e il suo esercizio diventa
sempre
pi� facile, veloce, preciso, come avviene anche nelle azioni straordinarie; questa
� la base ascetica di ogni tipo di arte, e di conseguenza anche dell�arte del
corpo.
Il processo che porta alla formazione delle abitudini fonda, nel rapporto con il
proprio corpo e con l�ambiente nel quale esso si muove, un �abitare�, nel senso
stretto e in quello pi� ampio del termine: la vita pu� trovare un suo ordine nel
relazione a una scelta del s�, che � libero di metterla in pericolo quando conosce
per tempo le possibili conseguenze delle sue azioni e riesce, quando queste si
presentano, a cessare la propria attivit�. La scelta deve essere inoltre effettuata
per stabilire in che senso, come e quando la salute debba essere riconosciuta
come un valore e assunta come misura sana, che determina anche gli esiti di
un�attivit� sportiva e impedisce di riferire ciecamente le proprie prestazioni a
una
legge malsana. Certo, niente parla contro la possibilit� di sperimentare i propri
limiti, di cimentarvisi e saggiarli, anche per arricchire la propria esperienza di
s�.
Anzi: siccome per l�uomo moderno il modo di vivere non � definito da un punto
di vista normativo, la via che deve essere percorsa non pu� che manifestarsi in
maniera sperimentale. Dunque, non sorprende il fatto che per i giovani lo sport
rappresenti anche un�esistenza sperimentale: ci si mette alla prova per trovare
una forma. Ne consegue l�aumento degli sport estremi e degli sport d�avventura.
Per essere sentita, la vita ha bisogno di tensione. Se questa scompare dalla
quotidianit�, deve essere prodotta in maniera artificiale. Ma anche quando si
sceglie liberamente di mettere a repentaglio la propria vita, appare sensato fare
in
modo che almeno i giovani non lo facciano senza prepararsi, accostandoli pian
piano a questa scelta e aiutandoli nel valutare pericoli che, gi� solo in questo
modo, possono essere ridotti in maniera calcolata. Rischio e sicurezza sono due
obiettivi che rientrano nel medesimo percorso, la cui funzione � quella di rendere
possibili esperienze-limite esistenziali, ma anche quella di limitare i rischi: lo
scopo da raggiungere � un esercizio e l�apprendimento delle regole di un gioco
dove in ballo c�� la vita stessa.
Per quanto sia innegabile che la stella polare della modernit� � il piacere
senza limiti, � tuttavia anche vero che lo sport insegna a conoscere la polarit�
della vita. In ogni pratica sportiva, infatti, non si fa mai solo un�esperienza del
piacere, ma sempre anche del dolore. Per chi pratica lo sport il corpo non � mai
solo quel qualcosa che prova piaceri inaspettati, ma anche quello che si piega al
dolore. Il dolore non deve essere cercato, ma si presenta da s� e indica sempre il
bisogno di imparare a conoscere se stessi. Quando non � possibile integrarlo, il
s� corre il pericolo di �non sentire pi� se stesso e la sua vita�. In questo senso
il
dolore rappresenta il mezzo di contrasto che permette di avvertire il valore del
piacere, assumendo quindi una funzione decisiva per orientare la vita: il dolore
pone domande urgenti le cui risposte possono essere trovate in una diversa
disposizione del proprio modo di vivere. Un contributo a tutto ci� � dato
ovviamente dai dolori dell�anima, dovuti per esempio a un fallimento che
contrasta con una vita orientata esclusivamente al successo: un naufragio pu�
perci� essere pi� ricco di esperienze della via che conduce dritta allo scopo.
Nello sport � possibile mettere in pratica un atteggiamento che non si concentra
esclusivamente sul successo, o su una vita di successo. Non � necessario imporsi
di riuscire in tutto ci� che si fa, perch� questo non pu� che comportare crampi
dolorosissimi. E, ammesso che ci sia un momento in cui il successo non pu� pi�
essere evitato, bisogner� essere perfettamente preparati per affrontarne le
difficolt�: � necessario imparare anche ad avere successo, per non rimanerne
vittima, ma anche per non sprecarlo, con leggerezza, in tempo brevissimo.
Dal punto di vista dell�arte di vivere � importante anche non considerare lo
sport solo come �prestazione� attiva, ma anche come quel momento di riposo di
cui gli esseri umani hanno bisogno per non cadere in una permanente ansia da
prestazione. Al programma di attivit� sportiva dovrebbe corrispondere un
programma di passivit� tale da rendere possibile uno scambio continuo tra polo
attivo e polo passivo. Nel programma di passivit� dovrebbe essere importante
sviluppare la capacit� di oziare e rilassarsi. � necessario, cio�, allenare anche
la
capacit� di godere in maniera intenzionale della passivit�. L�arte di vivere,
infatti, permette di vedere l�ozio come una forma di sport. In questi momenti il
s� si sottrae alla tentazione di realizzare troppe cose nello stesso momento,
trovando il tempo per una scelta, per una rinuncia, o per sprecare certe
possibilit�. E in conseguenza di tutto ritorna in possesso del suo tempo, �ritrova
tempo� per s�, per gli altri e per altro. Cos� arrivano i momenti felici e pieni,
quando, come ben sanno tutti gli sportivi, ci si dimentica del tempo, e per i quali
soltanto vale la pena vivere. In queste ore il s� pu� occuparsi di se stesso e
degli
altri. Pu� coltivare la relazione con s� e con gli altri, fondare e conservare i
rapporti di amicizia, tanto con s� quanto con gli altri. Questo � anche il tempo in
cui � possibile pensare ad altre cose, o fare pensieri diversi, elaborare vecchie
esperienze e farne di nuove. In questo tempo si pu� respirare, ritrovando le
risorse per continuare a vivere. L�esito opposto � l�esaurimento, volendo
impiegare concetti che non valgono solo per l�ecologia esteriore del mondo, ma
anche per quella interiore del s�.
Nella sua configurazione esteriore lo sport consiste in un rafforzamento del
corpo. Ma i suoi effetti sono importanti anche dal punto di vista dell�interiorit�.
Per il fisico diventa immediatamente una cura della psiche, perch� il corpo pu�
�assimilare� ci� che le mette pressione. Siccome la mente pu� essere compresa
molto meno del corpo, un�opzione fondamentale dell�arte di vivere consiste nel
prendersi cura dell�anima attraverso il corpo, scegliere il soma come aggancio
per la psiche, in senso inverso a quanto afferma la psicosomatica. Da questo
punto di vista la fisioterapia pu� essere intesa come un�autentica psicoterapia e
lo sport come esercizio che ha come scopo la cura dell�anima. In questo
orizzonte emergono problemi che investono lo sport nell�epoca della
�somatomania�: possiamo comprendere lo sport come fine a se stesso senza
farlo degenerare in una forma vuota di contenuto e priva di senso tale da
spingere anche il maniaco del fitness a chiedersi: perch� lo fai? Quello che �
importante � praticare lo sport solo nella quantit� che ciascuno considera
conveniente alle sue esigenze, contrastare l�esagerazione, che, per quanto
dall�esterno possa essere vissuta come una norma, dall�interno viene avvertita
come vizio � cosa che lo sport pu� sempre diventare travolgendo chiunque ne
resti vittima. Lo sviluppo ulteriore di uno sport umano pu� essere utile a tutto
questo e anche lo sport, alla fine, pu� diventare un�arte che contribuisce a dare
un senso alla vita, cio� al tentativo di darle una forma che ce la fa apparire
degna
di approvazione, e quindi anche al lavoro su se stessi, sulla propria vita, sulla
vita assieme e in relazione agli altri e a tutti quelli che ci condizionano, con il
solo scopo di realizzare una vita bella e soddisfacente. La cura per tutto questo
pu� essere resa ancora pi� intensa se si prendono in considerazione anche altri
punti di vista.
Wellness: una vecchia parola inglese, che verso la met� del XX secolo diventa
un nuovo concetto in cui si uniscono benessere psichico (well being) e buona
forma fisica (fit ness), rispolverata dal medico e sociologo americano L. Dunn
(1959), sicuramente con lo scopo di riportare la ricerca della felicit�, la pursuit
of happiness, all�integrit� del corpo e della mente. La ricerca del benessere che
si
impone nel XXI secolo si pu� spiegare in mille modi: da un lato pu� sembrare un
indizio della crescente ansia da prestazione delle societ� moderne e della
costrizione che deriva dall�incremento delle risorse fisiche e mentali necessarie;
da un altro lato, il benessere appare come una conseguenza dell�aumento dell�et�
media della popolazione mondiale: gli uomini diventano sempre pi� vecchi e
vogliono spassarsela per pi� decenni possibile, costi quello che costi. Ma si
potrebbe spiegare il fenomeno del wellness anche come prosecuzione
conseguente del progetto della modernit�, comprensibile come realizzazione
della maggiore felicit� possibile, sostanzialmente identificata con il benessere
fisico, per il numero maggiore di individui. Cos�, il wellness, che poteva essere
una semplice tendenza culturale, � diventato ora una vera e propria industria
della societ� occidentale, oltre che un vero e proprio movimento popolare,
prefigurando quello che dovremmo desiderare anche per l�ecologia del mondo
esteriore.
La particolarit� del wellness, dal punto di vista dell�arte di vivere, sta in un
mutamento di paradigma, cio� in un mutamento di piani della cura, che passa
dalla cura per le cose, per gli altri o per istituzioni anonime alla cura di s�. In
questo appare riconoscibile il fatto che il �wellness� � diverso dalla �cura�
la tensione o solo il relax: nel primo caso saremmo ipertesi, mentre nel secondo
ci addormenteremmo ponendo fine alla condizione di wellness. Compito del
wellness � quello di rimettere in moto il ritmo di tensione e distensione andato
probabilmente perduto; anche perch� i ritmi sono il sostegno della vita. Si pu�
inoltre capire che l�esperienza sensibile e corporea si ripercuote sulla mente,
libera le sue energie e le d� la possibilit� di esprimersi. Il trattamento del
corpo
pu� rappresentare un messaggio dato alla mente, cio� il fatto che ci si sta
occupando di se stessi, e quindi anche di lei, prendendola sul serio e fornendole
quell�assistenza necessaria al suo benessere, anche se si tratta solo di un po� di
riposo che, pur fermandosi sulla superficie della pelle, riesce sempre ad andare
molto in profondit�.
Sul piano mentale, che trova nel corpo il proprio basamento, si arriva a
coccolare i sentimenti, cos� come a una identificazione tra sentirsi bene e
felicit�,
che deve essere rettificata non solo in un rafforzamento del s�, ma anche
mediante la ricerca delle risorse necessarie per rivolgersi agli altri e arrecare
loro
un beneficio. Della distensione della mente si occupano le sensazioni, la cui
natura � al contempo corporea e mentale, ma anche il dialogo silenzioso con se
stessi, che viene percepito e avvertito pi� che pensato in forma verbale; e anche
quelle conversazioni con gli altri che avvengono nello spazio dell�ozio hanno la
loro importanza per il benessere della mente. Va da s� che questo � anche il
tempo del lavoro discreto sulla propria interiorit� e sulle connessioni esteriori,
grazie al quale si pu� riprendere nuovamente confidenza con il nucleo della
nostra coerenza, capire cosa deve restare alla periferia, che tipo di relazioni
vogliamo intrattenere con gli altri e quale di queste merita una particolare
attenzione: che cosa � degno di approvazione, che cosa deve essere negato; che
cosa � bello nella vita e per cosa vale la pena vivere. Il tempo del benessere
qualifica il momento per riequilibrare un s� che ha anche altri tipi di esperienza
del tempo. Sarebbe assurdo voler fissare solo il polo del �positivo�. Senza voler
essere ipercritici, si deve comunque dire che il godimento che deriva dal
benessere diventa un problema solo quando si pretende di farlo coincidere con la
�senso� del tutto nuovi. L�arte consiste nel mettere in questione i nessi della
vita,
della vita propria, cos� come della vita in generale, chiarisce i suoi modelli e
arriva a una filosofia che li rende possibili e che pu� essere considerata
plausibile in rapporto a se stessi.
Un simile concetto di wellness non appare troppo ampio ed esagerato? Per
fortuna gi� da molto tempo il wellness pu� essere molto pi� semplice e ridursi a
un singolo atto, che contiene in se stesso quanto siamo venuti dicendo. Per
metterlo in opera basta solo un altro essere umano, e soprattutto colui che
amiamo: fare l�amore coincide con �l�inno all�amore� e, gi� nell�Antico
Testamento, viene identificato con l�arte del contatto su tutti e quattro i piani.
Si
tratta di un esercizio noopsicosomatico, attraverso il quale il s� fa del bene a se
stesso nel momento in cui fa del bene agli altri, fondendo una cosa nell�altra in
un�esperienza della trascendenza che pu� durare anche solo un attimo. Ci� che
pu� accadere fisiologicamente, psicologicamente e sul piano spirituale pu�
essere oggetto di molti anni di studio e di ricerca scientifica. Aumento della
produzione di ormoni estrogeni, che levigano la pelle e la mantengono elastica,
produzione di endorfina e serotonina, gli �ingredienti della felicit�, che
rafforzano la mente e rendono inviolabile l�autocoscienza, produzione di ormoni
come l�adrenalina o il cortisone che eccitano il pensiero e aumentano la capacit�
di concentrazione e creativit� in misura tale che il s� pu� mettersi all�opera
allegramente e fresco, anche quando potrebbe abbattersi e fallire. Questo �
quanto pu� ottenere chi fa dell� ars amandi, dell��arte di amare�, la base
dell�arte
di vivere. In questo senso �non � decisiva la verit� scientifica, ma la percezione
umana, che in questo unico gesto vede esemplificati tutti i piani del s� in misura
analoga. Qui la pienezza della vita e la soddisfazione delle sue istanze possono
essere conosciute attraverso il contatto e l�essere toccati. L�unica forma di
contatto che resta in un mondo altamente tecnologizzato � quella che prevede la
mediazione del mezzo tecnico, che sollecita all�automatismo: �touch the
screen�. Ma toccare uno schermo non prevede una risposta, non sostituisce il
contatto con un altro essere umano. Meglio servirsi di uno strumento naturale:
Il wellness pu� essere considerato anche come una moda della tarda
modernit�. Ma l�origine del benessere, che � al contempo il centro del wellness,
sta in un istituto arcaico. Nel 1799 un viaggiatore italiano in Finlandia
raccontava cose straordinarie, e specialmente che gli uomini di queste terre
riuscivano a stare anche per mezz�ora in una piccola stanza riscaldata fino
all�estremo. E riportava che, dopo essere stati chiusi in quella stanza, si
mettevano all�aria aperta e, in inverno, si rotolavano nella neve. E, ancora, che
facevano tutto questo �completamente nudi� e che i maschi non nascondevano
le proprie parti intime, nemmeno in presenza di donne. �I contadini assicurano
che senza questo bagno di sudore non � possibile portare avanti le loro fatiche�.
Quella descritta � senza dubbio la cultura della sauna, una delle invenzioni pi�
geniali dell�umanit�. Nella sauna l�uomo antico e quello moderno siedono l�uno
di fianco all�altro: arcaica � la nudit�; arcaica � una casetta fatta di ceppi dove
si
sta fermi a sudare; arcaico � il fuoco acceso, anche quando, come nelle saune
moderne, si tratta solo di finzione. Vivere tornando alle origini, almeno per
un�ora, per un giorno: chi non si prende una pausa da se stesso, dalla modernit�,
vi resta consegnato senza via di scampo.
Il corpo viene toccato dal calore, dal sudore, dall�acqua, dall�aria fresca che
respira: questo significa fare una sauna, una tecnica della cultura del corpo che
viene impiegata di frequente e che, come pu� confermare chiunque l�abbia
provata, porta con s� importanti conseguenze sul piano mentale e rappresenta un
modo per prendersi cura di se stessi tanto semplice quanto efficace. Entrare in
sauna significa dedicare attenzione al proprio corpo e prendere nota della sua
reazione a dir poco beata, cio� del modo in cui quella che viene chiamata
�anima� reagisce a certi stimoli fisiologici. � anche possibile iniziare a far
fluttuare i propri pensieri, in maniera tale che quanto prima era solo cura del
corpo diventi in realt� un�esperienza noopsicosomatica integrale. E anche la
metafisica non tarda ad arrivare: l�inalazione degli aromi che vengono diffusi
nella sauna sono un atto quasi religioso, inscenato dal �maestro della sauna�. Il
rito consiste nel versare l�acqua sulle pietre calde e nel distribuire, facendo
vento, il vapore e gli aromi, se non l�incenso, ai fedeli. Il s� impara cos� che un
problema, che nel caso della sauna � il calore eccessivo, pu� essere percepito in
maniera animalesca, per essere poi dominato dalla coscienza. Non appena si
comincia a pensare alla fuga, infatti, il maestro della sauna si inginocchia di
fronte alla porta prima di sventolare energicamente, per l�ultima volta, il suo
asciugamano a benedire i volti grondanti di sudore. Si inginocchia, perch� si
tratta di una vera adorazione del corpo; o forse solo perch� l�aria l� sotto � pi�
fresca.
Il sentimento che si prova quando il calore del corpo dall�esterno penetra
all�interno � incomparabile, mentre il calore radicato nell�interiorit� comincia a
sgocciolare fuori scorrendo in mille rivoli. Solo allora un getto d�acqua fresca
restituisce alla pelle il suo limite, porta via tutto il resto e lo diffonde nel
vento e
nell�atmosfera � pochi piaceri sono paragonabili a questo. Sono sauna anche le
docce fredde, i bruschi cambiamenti che danno sollievo al corpo e il benessere
che ne deriva: un�esperienza fisica intensa e consistente. Il corpo viene
riscaldato
finch� non va quasi in fiamme, le fiamme vengono spente e congelate
nell�acqua, solo per ricomparire di nuovo: si sta seduti al caldo atroce del Sahara
e poi, subito dopo, nel lago di Vostok, in Antartide, dove ci si immerge
celebrando la resurrezione del corpo. Questo � lo scenario di un esercizio volto a
incrementare il potere su di s�, che consiste nel trascendere se stessi in una
vasca
di acqua gelida, ma solo per proteggere il proprio corpo dal freddo glaciale: un
esercizio che viene dalla riflessione lucida capace di persuaderci del fatto che
quell�esperienza momentaneamente spiacevole vada a tutto vantaggio di un�altra
esperienza piacevole che la segue e che deriva dal contrasto con la precedente.
La catarsi fisica purifica, proprio come le passioni amorose, anche l�anima,
finch� il s� non � esaurito e, dopo un dolce sonno, torna alla vita come rinato. I
parallelismi con il gioco della passione amorosa sono immediati. L�unica
differenza sta nel fatto che il gioco del corpo nel momento della sauna � pi�
rapido, pi� estremo e non prevede il coinvolgimento di altri; in questo caso
infatti si � schiavi soltanto dell�amore di s�, finch� il corpo non si scioglie e,
proprio attraverso questo, si tempra fino a renderci capaci di correre nudi sotto
la
pioggia. Il gioco con le esperienze fisiche estreme porta a ritrovare nuovamente
un equilibrio, dal punto di vista del corpo, da quello dell�anima, e anche da
quello spirituale, perch� il meditare distesi sulla panca della sauna amplia
naturalmente lo sguardo e diventa esercizio di serenit�, ammesso che con questo
termine si intenda un vivere simmetrico e un bilanciamento di esperienze
contrapposte e contraddittorie.
Il rilassamento che si ottiene con la sauna porta, infine, a modellare la pelle
in senso reale e metaforico: la dermicidina, una proteina prodotta attraverso il
sudore, protegge la pelle, cio� la membrana del s�, dalle infezioni. Sudando si
produce una patina acida e protettiva che tiene lontani gli agenti patogeni e i
materiali tossici, mentre chi fa un uso eccessivo di sapone la indebolisce fino a
distruggerla completamente. Nasce in questo modo una �pelle protettiva�, una
ridefinizione della soglia che divide il s� dal mondo, tanto dal punto di vista
fisico quanto da quello psichico. Oltre a quella fisica, infatti, la sauna aumenta
anche la resistenza dell�anima: ora il s� non pu� essere pi� toccato da qualunque
influsso esterno, non tutto lo colpisce. Con questa forza, ottenuta per la prima
volta, il s� regola di nuovo e in maniera eccellente il limite di ci� che
dall�esterno si dirige verso l�interno e viceversa: ci� che dall�interno, cio�
dall�interiorit�, pu� spingersi verso l�esterno.
� possibile provare i benefici dell�acqua anche praticando il nuoto, in
parallelo alla sauna o indipendentemente da essa. Anche il nuoto stimola il senso
diffuso in tutto corpo, cio� la pelle, e con esso anche l�anima. L�acqua rende
proprio come doveva essere una volta nel ventre materno, e io mi sento
completamente avvolto da un�umidit� calda e fluida. Che cosa c�� di pi� bello
nella vita? Questo caldo mondo fatto d�acqua � ah, magari durasse in eterno!
Intanto cavalco l�onda, e tento di rinviare ancora la sua pericolosa fine: mi lavo
ancora un po�, mi sciacquo e poi ancora un altro piccolo getto caldo dall�alto.
Ma alla fine � troppo, non ci si pu� fare pi� nulla: giro il rubinetto e il getto
comincia a diminuire; tutt�a un tratto comincio a sentire le gocce che coprono la
mia pelle. Finch� l�ultima goccia non mi tocca e, freddissima, prende a correre
gi� per le mie spalle torturandomi lentamente. E arriva il momento terribile: apro
la cabina della doccia, non posso fare altrimenti. La fredda realt� della giornata
incombe, tutta in una volta, facendomi tremare e fremere. Certo, potrei giocare
d�anticipo, usando l�acqua fredda poco prima di smettere: una doccia fredda � un
ottimo modo per prepararci al mondo cos� come ci si presenta, ma non esclude il
confronto con la realt�. Potrei senz�altro addolcire l�impatto, usando per esempio
la tendina al posto della cabina doccia; ma a quel punto l�alito freddo della
realt�
comincerebbe a farsi sentire gi� mentre mi godo il getto caldo della doccia e il
gusto sarebbe solo a met�: chi vuole provare il piacere completo deve allora
essere pronto a sopportare anche tutto il terrore della realt�. Ma che cos�� la
realt�? Non � altro che ci� di cui devo venire a capo. Che cos�� una vita bella?
La vita pronta a vivere belle esperienze resistendo a quelle brutte. Alla doccia
reale segue la doccia della realt�: s�, un�ontologia della cabina doccia. Apriamo
il sipario del mondo!
corpo, data sulla scena della coscienza. Ma non per questo il corpo � solo l�attore
sulla scena: � anche il ruolo che mette in scena sostanzialmente improvvisando.
Pure il s� pensante appare sulla scena, una volta come autore e l�altra come
spettatore, lacerato e oscillante tra noia, entusiasmo, orrore, divertimento. Il
prologo del dramma � il guardarsi allo specchio la mattina, il momento in cui ci
si chiede a chi appartiene questo corpo, se � bello e, ammesso che non lo sia,
come potrebbe diventarlo � non tanto per gli altri, ma innanzitutto per piacere a
se stessi. Che cos�� un bel corpo? Un corpo che pu� essere apprezzato. Per
questo tutto il lavoro necessario per essere belli deve mirare a realizzare quella
condizione esteriore che permette di riconoscersi come degni di essere
apprezzati, cosa che evidentemente dipende altres� da una disposizione interiore.
La vanit� legata alla domanda imbarazzante �sono bello?� non � mai troppa,
perch� � sempre importante per stabilire una relazione con se stessi. Se la
domanda non venisse posta si rischierebbe un�eccessiva indifferenza nei
confronti di s�. Altrettanto pericolosa sarebbe una risposta ingenua, priva di
riflessione, o una passiva osservanza di norme date per determinare la bellezza
di qualcosa o di qualcuno, ci� che ci si presenta come l�abito della �normalit�.
Ma bello non � quel corpo che corrisponde a norme e criteri generali, bens�
quello grazie al quale il s� pu� apprezzare se stesso, con tutte le sue forze e
debolezze, con le sue regolarit� e i suoi difetti, con la sua insostituibile
particolarit�, a cui si lega la simpatia che invece scivola via quando si vuole
essere diversi da quello che si �.
La bellezza fisica si manifesta innanzitutto nella sensibilit� del s�. Nel primo
atto del dramma il corpo fa la sua prima apparizione nella nuda esistenza
sensibile, per vedere, sentire, annusare, gustare se stesso, ma soprattutto per
potersi toccare con le sue proprie mani. Il contatto con se stessi, cio� il
contatto
con il corpo attraverso il corpo, � espressione di un apprezzamento, una forma
esteriore dell�amicizia con se stessi e dell�amore per s�, di cui non bisogna
essere avari, perch� il corpo ne ha fame. La pienezza dei sensi, ma in particolare
il contatto, consente di guadagnare un rapporto di tipo erotico con s� e con il
proprio corpo, un rapporto che ha a che fare con l�attenzione, con l�interesse, con
un dono e con un�appropriazione. Attraverso il contatto con se stesso, il s� pu�
procurarsi anche un piacere fisico; un piacere che pu� certamente essere
raggiunto in maniera poco spettacolare gi� la mattina, quando ci si prende tutto il
tempo del mondo per curarsi, facendo del bene al corpo e anche all�anima. Si fa
esperienza di se stessi gi� solo toccandosi nell�atto di lavarsi. � strano notare
quanto sia frequente, nell�arco di una giornata, la tendenza del s� a cercare un
contatto con se stesso, soprattutto attraverso l�impercettibile movimento della
mano che scorre lungo il viso, o della testa che si posa sulle mani per sostenere
il
pensiero; si entra in contatto con se stessi anche quando si prova dolore o quando
con le mani cerchiamo di attutire, e magari anche di guarire, quel dolore.
Come aggiunta al primo atto va in scena un intermezzo satirico che tratta
della forma pi� discreta del contatto con se stessi: mai a scena aperta, e
comunque mai in pubblico, come invece faceva Diogene il Cinico, che, secondo
quanto riferisce Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi, avrebbe compiuto atti di
onanismo nella piazza del mercato di Atene lamentandosi di non riuscire
altrettanto facilmente a sconfiggere la fame strofinandosi lo stomaco. Nella
storia della filosofia la riflessione su questo tipo di rapporto sessuale con se
stessi � praticamente inesistente. Solo verso la fine del XVIII secolo, Immanuel
Kant, pienamente figlio del suo tempo, ha parlato della masturbazione come di
un atto ripugnante e contro natura. Nelle sue lezioni di pedagogia, che
sostanzialmente consistono in un invito alla �schiettezza� o al �guidare se
stessi�, Kant rifiuta completamente la dimensione erotica dell�autonomia. Nulla
indebolisce di pi� lo spirito e il corpo che �un atto di volutt� diretto nei
confronti
di se stessi�. � chiaro che l�onanismo rappresenta la contraddizione pi� estrema,
ma anche quella pi� salutare, che affligge l��io penso� e che, rispetto al
�pensiero puro� rappresenta la perdita della purezza, quella stessa perdita che d�
nuovamente valore all�io del corpo. Duecento anni dopo Kant questa forma di
piacere conosce, senz�altro a ragione, la sua riabilitazione (cfr. Ludger
L�tkehaus, �O Wollust, o H�lle� [�Oh volutt�, oh inferno�], 1992) e viene intesa
come possibilit� di intrattenere, con l�aiuto del contatto con se stessi, una
relazione intima con il s�. Ma quando il contatto non � pi� sentito come
espressione di un�approvazione, o almeno non da se stessi, allora si tenta di
produrlo con la violenza e anche mediante la violenza nei confronti di se stessi: e
questa � l�altra faccia della medaglia.
L�erotismo nei confronti di se stessi comprende, oltre ogni immediatezza,
anche una sensibilit� mediata, che permette di sentire se stessi e che viene
eccitata, per il piacere dei propri occhi o del tatto, da materiali o vestiti. Nel
secondo atto va in scena il dramma del vestirsi: il contatto del corpo con altri
mezzi. Il motivo della scelta di un certo abbigliamento pu� essere il bello, ci�
che
� degno di apprezzamento; cos� � l�immagine che si vuole fornire a se stessi e
agli altri. Ma vestirsi � soprattutto un lavoro su se stessi e la ricerca di una
via
verso l�esterno: l�abbigliamento, la sua forma, i suoi colori, rappresentano nella
maniera pi� diretta un�oggettivit� che incide sulla soggettivit�, cio� sulla
propria
condizione soggettiva e sull�intero essere se stessi. Vestiti diversi restituiscono
s�
diversi. Quando si dice che il s� �non si sente bene nella propria pelle� molto
spesso si intende quella seconda pelle costituita dai vestiti, che non gli
piacciono
e restano meri oggetti senza fondersi con chi li porta. �La moda� � il tentativo di
mettere l�oggettivit� a disposizione della formazione della soggettivit� in
varianti sempre nuove; la moda progetta un modo di essere, un certo tipo di vita
che formula e modifica nella forma esteriore le possibilit� di essere se stessi. La
vita non � mai un nudo fatto, ma sempre anche un fatto determinato e un modo
di coprirsi e di esprimersi appieno. Ogni rivestimento del corpo � uno
svelamento del s�, una rappresentazione teatrale continua che mette in gioco il
proprio sguardo e quello degli altri. La moda precostituita �, in questo senso,
solo un�opzione; un�altra opzione � invece quella di �fare moda�, cio� di
imporre il vestirsi e il travestirsi come punto di forza del proprio s�.
L�intermezzo satirico rappresenta questo problema da due lati: come una
riduzione che si spinge fino al cappotto logoro del cinico, il quale riveste il suo
corpo solo per necessit�, e come un� esaltazione che si spinge fino alle creazioni
si �allenano� certe parti del corpo, pi� o meno modificate e trasformate a scapito
di altre, cercando di rendere il proprio fisico un�opera d�arte creata in piena
coscienza. Un esempio di questo tipo � senz�altro la body art, soprattutto nella
forma del tatuaggio, che ambisce a far rifiorire il corpo. Ancora pi� incisivi sono
gli effetti della chirurgia estetica, che d� la possibilit� di modellare il corpo
come
si desidera. Quasi come se le energie utopistiche, che un tempo animavano solo i
progetti di una societ� ideale, nel frattempo fossero state tutte convogliate in
direzione del perfezionamento fisico. Certo, la liberazione moderna dalle
prescrizioni della tradizione, delle convenzioni e della religione ha avuto una
certa influenza anche su questo, legittimando un�azione arbitraria sul proprio
corpo. Ma nello stesso tempo bisognerebbe pensare a usare questa libert� con
cautela e nella giusta misura, nel proprio interesse e con l�obiettivo di non
doversi trovare nella condizione di sopportare conseguenze che possono essere
ancora pi� problematiche di quelle legate a un fisico imperfetto. In ogni caso, la
perfezione � da escludere, soprattutto quando si tratta di bellezza fisica. Anche
perch� � inevitabile che svanisca con gli anni e, pi� che raggiungerla e
conservarla con tutte le forze e con tutti i mezzi, si potrebbe passare a lavorare
alla bellezza della propria anima che, diversamente, cresce con gli anni e offusca
le deficienze fisiche. L�ultimo interludio satirico ci presenta la tragedia delle
modificazioni irreversibili: corpi deturpati, che hanno fallito nel tentativo di
diventare perfetti e che ora sembrano degli zombie. E, per contrasto, corpi
rimasti impassibili alla seduzione del mutamento, consegnati a una rinuncia a se
stessi, serena e sovrana, e soprattutto alla rinuncia a esercitare quelle forze che
toccano la formazione della sensibilit�, forze che, come abbiamo visto, hanno un
significato decisivo, non solo per il corpo, ma anche per l�anima.
successive. Anche i quadri Senza titolo di Mark Rothko, della seconda met� del
XX secolo, presentano una struttura monocromatica in nero, accompagnata da
a riflettere. In questo modo, si crea una nuova e diversa circolazione delle forze
vitali su cui il pensiero non pu� fare nulla. Camminare � la possibilit� di fare la
cosa pi� prossima, ci� che permette di mantenere fisso di fronte ai propri occhi
anche l�obiettivo pi� distante: lo spazio si apre e si manifesta una distesa con la
quale il s� istituisce una relazione pi� intensa di ogni permanere in un luogo
determinato, sia pure quest�ultimo qualcosa di mobile stretto da una semplice
lamiera. Il ritmo costante del camminare si trasferisce su tutto il s� e procura,
oltre al semplice movimento sensibile, anche la fondazione di una dinamica
spirituale: il camminare libera il pensiero, il corpo va e io penso; per questo
Michel de Montaigne poteva dire di s�, nel saggio intitolato �Di tre commerci�,
�il mio spirito non si muove, se non lo fanno anche le mie gambe�.
Esiste anche un settimo senso, �introspettivo� e interiore, il cui correlato
neurobiologico sta nella capacit� di �scoprire microanomalie nei parametri del
profilo chimico interiore del corpo� (Damasio). Affinare questo senso significa
esercitarsi a essere ipocondriaci, cio� ad ascoltare le profondit� del proprio
corpo, per sviluppare un intuito per il corpo stesso. Inizialmente pu� sembrare
esagerato, ma deve essere allenato spontaneamente prima che si sia costretti a
farlo stimolati da quanto di patologico vi � in una malattia. Queste anomalie
interiori, nelle quali si possono rintracciare anche reazioni a rapporti esteriori,
valorizzate anche se in maniera soltanto vaga, sono molto significative per il s�,
nella misura in cui la stabilit� del �milieu interiore� del corpo pu� essere data
da
oscillazioni minime dei valori di ormoni, glucosio, acidi, ossido di carbonio,
acqua e di molto altro ancora, come la condizione di organi, vasi sanguigni o
muscoli. Questi valori vengono misurati costantemente da �sensori� e le
informazioni vengono comunicate, elettricamente e chimicamente, per via
nervosa o sanguigna, alle diverse aree del cervello in maniera tale da
condizionare, consapevolmente o inconsapevolmente, le reazioni, gli
atteggiamenti e i comportamenti. Il s� pu� esercitarsi ad avere una percezione
interiore sempre pi� precisa, abbandonandosi a esperienze del corpo tipiche di
altre culture, di altri contesti o di situazioni estreme, nelle quali il corpo non
Giustizia al piriformis
Guadagnare terreno
Ogni esercizio fisico �, gi� solo per via della fatica del sentire e del pensare,
anche un esercizio per la mente e per lo spirito. Anche il semplice rovesciare la
sopravvalutazione cartesiana del pensiero contro ogni elemento del fisico, che
relega nell�inconsapevolezza la cura del proprio corpo, pu� farci bene. Prendersi
cura del proprio corpo significa effettuare un numero contenuto di esercizi. Non
� forse vero che il pensiero preferisce l�atteggiamento verticale, la posizione
eretta? Ma il pensiero non deve necessariamente stare �sopra�. Pu� anche stare
�sotto�, in realt�, e proprio per terra: questo � un importante esercizio per
allenarsi alla vita. L�esercizio corrispondente prevede di mettersi sul pavimento,
stare fermi e percepirsi, praticare forse solo un po� di ginnastica stando in
orizzontale, allo scopo di rafforzare la schiena e le spalle. I muscoli interessati
dalla posizione del corpo e della testa saranno lieti di smettere, almeno per un
po� di tempo, di lottare contro la forza di gravit�, e anche il diaframma avr� la
possibilit� di distendersi respirando profondamente. Aderire al pavimento riduce
la paura di cadere e di franare, che emerge solo quando la posizione verticale
diventa insopportabile. Non � un caso che la posizione orizzontale sia anche
quella privilegiata per i gesti di amore e di tenerezza. Su questo stesso piano �
possibile prevedere una nuova caduta che, senza provocare terrore, offre
un�ulteriore forma di certezza: quella di non poter cadere troppo in basso. La
posizione orizzontale ci ricorda il momento in cui � iniziata la vita: stando
distesi
(e questa �, alla fine, anche la posizione della morte). Un simile tipo di
esercizio
fisico offre, dunque, anche l�occasione per esercitarsi nel pensiero della morte.
Lo stare sdraiati, non a letto, ma pi� in basso, di schiena, proni, di lato,
allungati, arrotolati, conferisce al s�, che viene a contatto con il pavimento, la
possibilit� di ritrovare terra sotto i suoi piedi. Chi giace per terra diventa un
altro,
diverso da chi sta in piedi e da chi cammina. Un�esperienza di questo genere si
pu� fare ogni giorno quando si va a dormire, e talvolta anche quando si � malati.
Diventa per� pi� intensa quando ci si distende non pi� sul letto, ma a terra. La
prospettiva cambia completamente quando si guarda non dall�alto, ma dal basso.
Si tratta della posizione dell�abbandono per s�, della quiete, con la quale il s�
tocca di nuovo terra e si ricongiunge con il senso di benessere dato dall��essere
messi al tappeto�. La posizione supina lo priva dello sforzo tipico
dell�attenzione, che altrimenti deve accompagnare ogni suo passo; la pienezza
delle impressioni sensibili si riduce in maniera tale da fare in modo che il mondo
possa essere nuovamente abbracciato con un solo sguardo. A tutto questo � forse
legato un senso di estradizione da se stessi che interviene pi� o meno per caso e
si manifesta in quelle situazioni alle quali ci si consegna quasi senza volerlo e
senza l�influsso di altri: una dormita, qualche giorno di malattia. Lo stare
distesi
per terra � un esercizio di passivit�, il necessario contrario di un�attivit� che
si
spinge sempre avanti, avvertibile ogni volta che ci si corica, cos� come tutte le
volte che si resta sconfitti. Chi sta disteso non pu� sfrecciar via, e comunque non
all�improvviso; la forza di gravit�, alla quale ha ceduto, non lo rende
inopinatamente libero, e la forza che egli normalmente oppone alla gravit� � ora
a disposizione della rigenerazione fisica, mentale e spirituale: per questo lo
stare
distesi fa cos� bene ed � cos� riparatore e creativo.
Quando si ritrova il proprio terreno si ha una dimensione creativa, anche se
essa non porta alla creazione di un terreno completamente nuovo. Forse
qualcuno sentir� parlare di queste cose per la prima volta, e si chieder�
perplesso: �Piegarsi? A terra?�. Non abbiamo ancora compreso il tratto
essenziale di questa parola, ma come ogni elemento cos� importante, anche il
significato del piegarsi si manifesta nella sua assenza, e peraltro in azioni
diverse: il diaframma comincia a far male, perch� svolge rispetto agli organi
della parte superiore del corpo una funzione paragonabile a quella del pavimento
rispetto a quelli della parte inferiore, cio� mantiene tutto al suo posto. �
inevitabile che un piegarsi �stancamente� solleciti troppo il diaframma, dove si
insaccano tanto gli organi della parte superiore quanto quelli della parte
inferiore
del corpo. Quando ci si china con maggiore attenzione il diaframma viene quindi
sgravato da questa fatica. Questo � anche l�esercizio pi� semplice per rafforzare i
gruppi muscolari che si trovano tra le gambe, anche perch� pu� essere effettuato
in ogni momento. Al contempo, l�attenzione nel chinarsi rappresenta una forma
di prevenzione dei problemi delle parti del corpo interessate da questo
movimento: si rafforzano la vescica e l�intestino, ma anche i muscoli addominali
e i glutei. Il piegarsi ha anche un effetto molto pi� evidente di ogni trattamento
farmacologico che abbia a che fare con la circolazione all�interno di quei corpi
cavernosi ai quali si deve l�impulso alla vita erotica. Per questo l�esercizio
dello
stare a terra rinvia all�esercizio del piegarsi e spinge a trovare il suolo da due
punti di vista: �La terra sotto di me, e la terra in me�. A partire da questo
duplice
radicamento, il s� dovr� poi cominciare a trovare il suo senso.
esaltatori di sapore, o anche i preparati alla frutta, che necessitano a loro volta
di
aromatizzanti. Il pericolo costante che ne consegue � quello di irritare il sistema
immunitario e generare reazioni allergiche di tutto il corpo.
Nutrirsi � fondamentale, ma non sempre con prodotti solidi. Anche la fluidit�
� importante: l� acqua � l�alimento fondamentale, che trasporta sali minerali e
diluisce gli scarti. La frequenza con la quale rinnovare la componente d�acqua
presente nel nostro organismo non � mai troppa. Gli effetti del troppo poco non
sono immediati, ma si manifestano nel corso del tempo: quando il corpo viene
privato della giusta quantit� di liquidi la pelle diventa rugosa. La sete � il
primo
segnale del fatto che il cuore sta lavorando troppo per pompare in tutto il corpo
un sangue diventato eccessivamente denso. Caff�, t� e alcol sono certamente un
piacere, ma non eliminano la sete e ci� che queste sostanze sottraggono al corpo
in termini di liquidi deve essere integrato dall�acqua. L�acqua minerale �
certamente ricca di minerali specifici, ma berne troppa pu� portare ad
accumularne una quantit� eccessiva. Nella maggior parte dei casi, per apportare
una sufficiente quantit� di minerali all�organismo basta la normalissima acqua
del rubinetto. L�eccessiva concentrazione di principi attivi pu� anche essere
causata da un consumo smodato di succhi di frutta multivitaminici. Molti infatti
sono concentrati che vanno diluiti con acqua. Il latte, costituito in gran parte di
acqua, contiene molte delle sostanze di cui l�organismo ha bisogno, ma in quello
pastorizzato le vitamine vengono quasi completamente distrutte e devono
essergli aggiunte di nuovo in maniera artificiale.
Mangiare regolarmente una zuppa pu� contribuire ad assicurare una riserva
di acqua. La sua dignit� non � mai stata celebrata tanto come ha fatto Epicuro,
che la considerava pienamente conforme alla sua rappresentazione della vita
(�Non tutti i piaceri sono degni di essere scelti�, Lettera a Meneceo, 129): la
vita
ideale non ha bisogno di estenuanti gozzoviglie, ma di una riduzione al minimo
dei propri bisogni, per godere al massimo della loro soddisfazione. Quel piacere
gli sembra tanto pi� forte, quanto meno � necessario, e pu� essere trovato solo
nella sfera sensibile e non nei concetti: egli non sa, dice Epicuro contro Platone,
che con �l�idea del buono� non ci si potrebbe rappresentare nulla, se non i
piaceri dell�amore, quelli dell�udito, quelli che derivano da una bella vista
panoramica � e il �piacere che pu� derivare da una zuppa�, di quelle semplici e
�modeste� (lito� chylo�) e non di quelle sofisticate e troppo saporite. Allo stesso
modo l�epicureo moderno, o quell�epicureo che si fa espressione di una diversa
modernit�, potrebbe, almeno in parte, vivere di zuppe, ricche di liquidi e
sostanze attive. Almeno finch� non decide di mettere nella busta della spesa
soltanto zuppe pronte. Mangiare una zuppa � il piacere moderato che deriva
dall�autarchia e che fa bene all�ascesi; si tratta di una forma di alimentazione
ricca di sacrificio e che, nondimeno, consente di raggiungere l�estasi, perch� il
s�
viene portato fuori di s�, verso la contemplazione e verso il gusto che essa
provoca. Giusto in tempo, prima dell�epoca del digiuno.
Chi volesse esercitare l�ascesi nel senso stretto della privazione dovrebbe
immediatamente tener presente il fatto che si pu� rinunciare a tutto meno che ai
liquidi. Il corpo consuma riserve di proteine e grassi e trae vitamine e sali
minerali da acqua, succhi di frutta, t� alle erbe di ogni tipo o brodi di verdura.
La
purificazione del corpo che ne deriva � il senso fondamentale dei periodi di
digiuno, prescritti dalla religione gi� nell�antichit�. La purificazione del corpo
trova la sua prosecuzione in quella della mente, fino ad arrivare a quella dello
spirito. La religione non � tuttavia un presupposto necessario per sottoporsi a
esercizi di questo tipo. Fondamentale � piuttosto la decisione di fare questa
esperienza per giorni singoli, in cui il digiuno � limitato, o magari per una
settimana o per periodi ancora maggiori. Il momento iniziale, quando il digiuno
prende avvio con un �giorno di alleggerimento�, � anche quello pi� difficile.
Difficile � imporsi sulla fame che comincia a farsi sentire e a cogliere le forze
mentali e spirituali che l�esperienza del corpo porta con s�: questo � l�ostacolo
davvero complicato da superare. Quello che accade fisicamente �
sostanzialmente una depurazione da tutti i materiali di scarto, cio� da tutti quei
materiali che la digestione non riesce a valorizzare e che da tempo, anni o
decenni, restano attaccati alle pareti dell�intestino causando intossicazioni
alimentari o forti acidit� di stomaco. Tutti questi materiali, queste scorie del
metabolismo, sostanze nocive, tossiche, ormai diventate una pressione
silenziosa, intasano il corpo. L�esperienza del digiuno coincide con una riduzione
all�essenziale.
Dal punto di vista mentale il digiuno tocca sentimenti diversi e contraddittori
che lottano tra loro con forza, prima di acquietarsi e lasciare il passo a un
permanente senso di benessere. A questo punto tutto diviene leggero: il corpo, il
sentimento, il pensiero. Dal punto di vista spirituale, dopo un primo stato di
stordimento, arrivano pensieri di chiarezza inaudita che si giovano di uno
sguardo ampio come non mai sulla vita vissuta e su quella che ancora si deve
vivere; diventano evidenti tutti i nessi che vi dominano e che le conferiscono �un
senso�, dopo l�esperienza della totale assurdit� che caratterizzava i primi giorni.
Un�esperienza di questo tipo pu� essere facilitata dalla lettura di un libro sul
digiuno, che permette di comprendere meglio i fenomeni che intervengono in
questi momenti, utile anche per trarne indicazioni importanti: come iniziare o,
ancora di pi�, come smettere. Perch�, come in molti momenti della vita, anche
quando si parla di digiuno il momento iniziale viene sempre considerato pi�
importante di quello finale. E dopo che il digiuno � stato finalmente �interrotto�
si passa con cautela ai giorni della �ricostituzione�, cio� ad assumere
nuovamente nutrimenti, ma con una consapevolezza, una sensibilit� e un rispetto
molto maggiori. Prima di ridiventare un�abitudine, il mangiare diventa una festa,
mentre restano a lungo le sensazioni di freschezza che conferiscono al s� un
aspetto �rosa e vitale�.
L�esecuzione di questo tipo di esercizio permette di distogliere l�attenzione
da altro e di dirigerla nei confronti di se stessi. Ci si rende conto di essere
affidabili passando attraverso tutte le difficolt� e, partendo da questo punto, ci
si
comincia a ritenere capaci di molte cose. La capacit� di divenire padroni di s�
garantisce uno spazio di manovra anche in riferimento ad altre questioni e
consente di realizzare i propri valori anche laddove il presupposto � quello di
oltrepassare se stessi. Nella diet-etica come stile di vita rientra anche l�aspetto
erotico, e in particolare quello sessuale. A causa dell�influenza del
cristianesimo,
per molto tempo l�ascesi � consistita quasi esclusivamente nell�astinenza
sessuale. Ma, indipendentemente da questa constatazione storica, anche la
rinuncia sessuale pu� essere nuovamente assunta in funzione dell�esercizio per
accrescere il dominio su di s�. Il momento iniziale � difficile quanto quello in
cui
si rinuncia a mangiare, perch� il desiderio comincia a scatenarsi nel corpo, poi
nella mente e infine nello spirito, fino a negare qualunque forma di pensiero
chiaro; a questo punto il s� si ritrova nuovamente in una condizione di
spossatezza pesantissima, che precede di poco un�irrequietezza selvaggia. Nelle
sue Confessioni (del IV-V secolo d.C.) ne ha parlato gi� Agostino. Ma siccome
anche qui domina la prospettiva cristiana, l�impostazione della tematica non �
una fenomenologia della rinuncia, ma una preparazione a essa. Non trascurabile
�, peraltro, il lato neurobiologico: gli ormoni che interessano la sessualit�
proiettano sulle pareti della coscienza rappresentazioni seducenti, rafforzandone
l�intensit� attraverso un�impressione coatta che rende gli oggetti rappresentati
irresistibili e imprescindibili. Il s� pensante comincia quindi a credere che una
vita senza sesso sia impossibile, che non sia degna di essere vissuta e in nessun
caso degna di approvazione. Ma egli comincia improvvisamente a provare
piacere nel dominarsi, in un sentimento di forza che si pone in maniera sempre
pi� trionfale; non � pi� schiavo dei propri desideri, ma gli riesce di rendere la
loro apparentemente innegabile necessit� solo una possibilit� tra le altre; il
desiderio diviene un�opzione, ma mai una prescrizione. La �spiritualizzazione�
che ne deriva non deve avere come conseguenza una perdita di sensibilit� ma,
anzi, pu� servire a rafforzarla e a raffinarla.
Ogni capacit� di rinunciare consolida la basi per il dominio su se stessi. Si
calda ormai forse antiquate, mentre pap� giurava di essere riuscito a eliminare
ogni forma di malattia restando a letto a sudare per un giorno intero. La
conoscenza dei benefici delle tisane, che consentono di allontanare con un
gargarismo il virus dell�influenza gi� dal primo bruciore alla gola si deve magari
a un incontro casuale. Il farmacista rinvia i suoi clienti all�Echinacea, estratto
di
una pianta, che la scienza ha dimostrato non servire a nulla, mentre nella prassi
rinforza sensibilmente il sistema immunitario. Un nostro amico cura le sue
incipienti malattie con dosi massicce di vitamina C, e solo a fatica ci si sottrae
al
suo esempio, peraltro molto convincente. Decisiva per l�efficacia delle medicine
fatte in casa � la fede nei loro confronti, che mobilita forze finora ignote e che,
tuttavia, deve sempre essere sostenuta dal criterio della plausibilit�, che ci
convince della sua �evidenza�, possibilmente con qualche ragione che talvolta
emerge andando dal medico, ma quasi sempre senza il suo aiuto. In mancanza di
questa fede nessun prodotto pu� avere effetto, mentre, al contrario, la fede
risulta
efficace anche senza il ricorso ad altri mezzi; la prova di questo � data dai
�palliativi�, materiali suppletivi che hanno spesso gli stessi effetti dei principi
attivi che dovrebbero comporli.
L�allestimento a casa propria di una farmacia minimale � un�esperienza
avventurosa che pone le basi per percepire l�importanza della cura nei confronti
di se stessi. Anche se per curarsi non sempre � necessario ricorrere alle
medicine. A volte, per esempio, si possono valorizzare semplicemente le
propriet� curative del sonno, che la pigrizia concede alle forze della mente e del
corpo e che lavora in silenzio e, almeno in apparenza, senza dover faticare pi� di
tanto. In particolare �la stanchezza nelle gambe� � il segno che spinge il s� a non
pensare di poter �funzionare� impiegando strumenti chimici o farmaceutici, e lo
induce a non spingersi al totale esaurimento delle proprie forze. Invece di lottare
contro l�influenza consumando tutte le proprie forze per vincere questa battaglia,
sarebbe pi� sensato consegnarsi a essa finch� non le si sopravvive. Il s� pu�
finalmente mettere da parte tutte le sue preoccupazioni e ritirarsi dove gli pare,
consegnarsi alla stanchezza, mettersi sotto le coperte, soprattutto perch� il corpo
Pillole?
proprio stile di vita in maniera tollerabile per il proprio corpo, con il loro
aiuto il
s� pu� condurre una vita totalmente arbitraria; un atto di dominazione su se
stessi pi� che un modo di essere padroni di s�. � possibile anche correggere ci�
che non corrisponde alle norme vigenti della vita, quando i geni o �il destino�
non vogliono quello che vuole il s�. Il mercato delle pillole � uno di quelli
maggiormente in espansione del XXI secolo: ci sono pillole che cambiano lo stile
di vita, per esempio contro le disfunzioni erettili, e con le quali � possibile
superare quegli ostacoli che il corpo si trova di fronte a causa di un sovraccarico
della circolazione sanguigna. Oppure si possono assumere pillole contro la
caduta dei capelli, che non riflette l�ideale di bellezza pi� diffuso. Pillole
dimagranti fanno in modo che una parte del grasso assunto quando si mangia
venga smaltito anche senza essere digerito, in maniera tale che il s� si risparmi
la
fatica di variare alimentazione. Ci sono pillole che tengono svegli,
originariamente concepite per sconfiggere la debolezza provocata da certe
malattie, che ora rendono possibile superare molto velocemente i problemi legati
al fuso orario, oltre che a una vita completamente dedita al lavoro e al
divertimento, almeno finch� l�insonnia non logora definitivamente il corpo. Ci
sono pillole per sentirsi bene, che rischiarano le ombrosit� melanconiche e che
portano a corrispondere al meglio all�ideale di un atteggiamento �positivo�. Le
pillole che allungano la vita realizzano il sogno, antico ma anche molto
moderno, di sottrarsi alla brevit� dell�esistenza. Pillole per il cervello, le
cosiddette �Brain-Booster�, permettono di aumentare le capacit� delle sinapsi,
chiamate anche intelligenza, non pi� solo in caso di malattie che portano
demenza ma anche, e finalmente, per potenziare le prestazioni della memoria. In
ogni caso, tuttavia, si tratta di un intervento chimico sul corpo, che non � mai
momentaneo, ma si protrae per un certo tempo o avviene regolarmente. Non �
altro che un doping per vivere e, come ogni doping, non ha alcun motivo di
esistere ed � gravido di conseguenze di lungo periodo mai pienamente
calcolabili. A questo genere di prodotti si connettono effetti in parte noti, in
parte
meno noti e, allo stesso modo, reazioni che derivano dalla loro interazione con
La promessa utopica che anticipava il 2000 molto prima del suo arrivo fu
mantenuta quando, proprio nel giugno di quell�anno, si disse che era stato
decifrato il codice genetico dell�essere umano. Senza tener conto del fatto che la
decodifica completa richiedeva ancora molto tempo, questa prima decifrazione
rese subito possibili tecnologie in grado di modificare e formare liberamente la
vita su base molecolare. Non solo la vita in generale, ma anche quella dell�essere
umano. Non solo la vita degli altri, ma anche la propria. Modificare
geneticamente se stessi � diventato possibile e diventer� reale. Il modo in cui
funziona la modernit� pu�, anche in riferimento a questo fenomeno, essere
descritto tenendo conto di una serie di tipi ideali: il sapere relativo al
funzionamento dei geni rende possibili applicazioni tecniche; il profitto
economico che deriva dalla vendita di questa tecnologia � la molla che innesca
nuovamente il lavoro sul sapere, anche se si deve tener presente che il correlato
di tutto questo � l�aiuto potenziale a chi ne ha bisogno. Chi ne trae vantaggio �
il
s�, e questa � la prospettiva dalla quale considerare la tecnologia genetica, anche
per evitare di perdersi in disquisizioni astratte sul fenomeno. Ma il prezzo di un
simile vantaggio � che d�ora in poi il s� deve scegliere, anche quando rifiuta
sostanzialmente la tecnologia genetica o la ignora: non c�� pi� una stringente
necessit� che ci spinge ad accettare la natura cos� com��. Volente o nolente si
comincia a calpestare il suolo della libert� genetica, e la scelta diventa una
nuova
necessit�. C�� chi desidera avere sempre una possibilit� di scelta e si lamenta
quando tale possibilit� viene limitata; ma sono molti quelli che ora non riescono
a capire in che modo orientare le proprie decisioni in rapporto a questi nuovi
fenomeni.
Con la tecnologia genetica l�epoca della modernit�, sostenuta dalla speranza
della libert�, raggiunge uno dei vertici della liberazione assoluta dalle norme
imposte dalla natura. La differenza tra una natura indipendente dall�intervento
umano e una cultura fatta dall�uomo scompare per sempre. Dopo le
intromissioni della tecnologia genetica, ci� che un tempo era natura non pu� pi�
essere compreso. Da oggetti implicati nei rapporti naturali, gli esseri umani
diventano i loro soggetti. Senza contare il fatto che anche l�antropologia, che pu�
a tutti gli effetti essere considerata una disciplina filosofica, deve trovare
nuovi
orientamenti. La sua domanda centrale, e cio� quale sia la �natura� dell�uomo,
diventa assurda, mentre emerge l�idea di una possibile autoformazione, o
autocreazione, dell�essere umano, proprio in linea con quanto Kant teorizzava
alle soglie della modernit� nella prefazione all� Antropologia dal punto di vista
pragmatico del 1798, quando invitava a riflettere su ci� che l�uomo, �in quanto
essere in grado di agire liberamente, pu� e deve fare�. Questo principio si pu�
ora applicare anche alla costituzione genetica dell�essere umano. Il suo
presupposto � la decifrazione dei geni, che ci ha tenuto con il fiato sospeso per
tutto il XXI secolo e mediante la quale si pu� raggiungere non pi� la conoscenza
dell� ABC, ma quella genetica dell� ACGT (che sta per Adenina, Citosina, Guanina,
Timina, la quadruplice base che costituisce il codice genetico): cio� un sapere
che non ha pi� a che fare soltanto con le lettere, ma con le frasi o con interi
testi.
Per comprendere i romanzi e, all�interno dei romanzi, i singoli episodi scritti
nell�alfabeto della genetica � necessaria un� ermeneutica della genetica, il cui
sviluppo richiede un certo tempo e che comporta inevitabilmente un sofferto
processo di apprendimento. La validit� dei principi di questa ermeneutica � la
stessa di quelli che regolano l�interpretazione dei testi tradizionali: il fatto
che i
segni non siano necessariamente identici a ci� che designano; il fatto che non
esista certezza su ci� che viene letto, a meno che uno non ce la voglia mettere a
forza; il fatto che siano possibili sempre nuove interpretazioni, ma non una verit�
definitiva.
Si riscontrano, infatti, sempre nuove interazioni tra geni e tra questi ultimi e
altri fattori non genetici, altrettanto sorprendenti. Come per le lettere
dell�alfabeto greco, pare esistano infinite possibilit� combinatorie. Anche per i
geni, infatti, si d� un numero infinito di interazioni. Ma i processi non vengono
attivati solo da interazioni genetiche. Esse, infatti, vengono a loro volta
attivate e
disattivate da agenti naturali o artificiali introdotti nelle cellule. Da questo
punto
di vista, il s� non sembra quindi soltanto un prodotto di condizioni genetiche
date, ma � anche in grado di influire su di esse. Un esempio in tal senso �
mai a venire a capo dei grandi pericoli e delle opportunit� che le si connettono.
Grandi speranze vengono riposte nel transfert genetico, tipico della genoterapia
somatica, che permette di non lavorare troppo sui sintomi, ma arriva a
sconfiggere le malattie alla radice, eliminando la disposizione genetica nei loro
confronti. Quali siano le possibilit� aperte da questo tipo di terapie e quali le
conseguenze che ne derivano pu� essere dimostrato solo in maniera
sperimentale; ma quanti esperimenti sulla vita infantile e su quella adulta
dovranno fallire prima di ottenere una conoscenza certa in materia? Nei momenti
di disperazione gli esseri umani potranno riporvi tutte le loro speranze, e io, in
uno di questi momenti, sarei pronto a sfruttarle anche senza tener conto delle
conseguenze imprevedibili: una malattia potrebbe forse venir sconfitta alla
radice, ma potrebbe inaspettatamente sorgerne un�altra. Si pu� pronosticare che
la completa libert� da una condizione di malattia, dal dolore e dalla sofferenza
non potr� essere raggiunta, nemmeno con gli strumenti della genetica (che
rappresenta, piuttosto, un nuovo concetto per definire il dramma del XXI secolo).
E ammesso che si debba creare un �uomo nuovo�, questo non dovrebbe essere
fondamentalmente troppo diverso da quello vecchio, contrassegnato ancora una
volta dall�impossibilit� di guarire dai contrasti e dalle contraddizioni, anche
perch� la vita si accanisce a mantenere in vigore la sua strutturale polarit�, e ad
affermarla contro ogni tentativo di usurparla. Una vita completamente libera dal
male non sarebbe pi� una vita piena o, comunque, resterebbe sempre molto
lontana dal procurare una condizione di �felicit� per l�essere umano.
Bisogner� comunque sopportare un�epoca di tentativi senza fine; per questo
sar� anche un�epoca di evoluzione sperimentale che, ben al di l� delle terapie,
render� possibile concepire e produrre entit� di tipo nuovo. A quale punto sar�
necessario tracciare una linea per limitare questo processo? In riferimento alle
possibilit� sempre pi� ricche e ai pericoli che ne derivano nasce, dal punto di
vista dell� individuo concreto, l�esigenza di prendere parte alla discussione sulla
regolamentazione sociale e sulla legislazione che apre e delimita lo spazio della
scelta individuale. Il singolo, e la societ� intera, devono essere liberati dal
dominio della natura in funzione di una formazione della libert�; ciascuno con la
sua scelta, orientata anche in base alle convinzioni politiche, decide del modo in
cui tale formazione della libert� deve potersi attuare. Anche la dignit� umana,
molto spesso assunta come criterio per la ricerca e per lo sviluppo della
tecnologia in questo campo, non rappresenta un ordine di grandezza affidabile,
predefinito in maniera assoluta; la dignit�, piuttosto, � questione di prese di
posizione e di definizione del singolo soggetto ed � quindi riflesso di domande
inscrivibili nel quadro di un�etica estetica: che cosa pu� essere bello e degno di
approvazione, prima nel caso singolo e poi in generale? Per poter conservare il
concetto di dignit� � opportuno stabilire con molta precisione le possibili
eccezioni per tutelare i progressi della ricerca scientifica, in maniera
restrittiva e
passo dopo passo, al fine di procedere nella maniera pi� cauta possibile.
Un criterio centrale � quello che emerge dalla riflessione su ci� che io riterrei
giusto, se io mi trovassi in una data situazione: sarei pronto, io, a rinunciare,
nel
caso in cui fossi affetto da una malattia incurabile, ai risultati della ricerca?
Sarei
disposto, io, ad accettare un trapianto di organi prodotti da una �clonazione
terapeutica�, cio� dalla coltura dei miei stessi geni, se la mia stessa vita fosse
messa a repentaglio? Normalmente tutto questo comporta conseguenze diverse
rispetto alla definizione risoluta di ci� che dovrebbe valere per gli altri o per
tutti. Vietare genericamente la ricerca e la tecnologia genetica � una possibilit�
che non pu� essere nemmeno presa in considerazione. In definitiva si tratta di
una situazione che infrange le barriere di una singola societ�, dovuta anche alla
circolazione planetaria di beni e di esseri umani; una situazione che ci pone di
fronte al fatto che l�essere umano � membro di una societ� mondiale. Come �
possibile individuare, ed eventualmente cambiare, regole valide per una societ�
mondiale? La causa delle maggiori difficolt�, ma anche il punto fermo per
cominciare a trovare qualche soluzione, � la scelta che ciascuno compie quando
si trova nella condizione di malato terminale, in rapporto alle condizioni di cui
deve rendersi conto e alle rappresentazioni della vita che si costruisce.
Formarsi geneticamente?
risposta sempre negativa, e la sua rinuncia non pu� che essere accettata. In linea
di principio, la sua scelta pu� essere sia attiva che passiva: intervenire sulla
sua
costituzione genetica o lasciarla cos� com��. La scelta del singolo, a sua volta,
influenza lo sviluppo del mercato genetico. Se nessuno sfrutta le possibilit� che
esso offre, nessuno continuer� a investirci. Ma l�industria genetica mette a punto
ogni tipo di possibilit� immaginabile e i suoi effetti sono senz�altro
affascinanti,
anche perch� rendono possibile l�autodeterminazione e la formazione autonoma
di s� in una misura mai presagita prima. Il significato della formazione genetica
di s� consiste innanzitutto nell�acquisizione della capacit� di svincolarsi dal
peggioramento delle proprie condizioni di vita: ci� che il soggetto interessato
desidera pi� di ogni altra cosa. Anche in questo caso, si tratta di una libert�
negativa, di un essere libero da qualcosa � a cominciare dall�essere banalmente
liberi dalla caduta dei capelli, che ha certo anche una causa genetica, o da una
quantit� eccessiva di peli in altre parti del corpo � fino alla libert� da
qualunque
vincolo determinato dalla costituzione dei nostri geni. Con qualche pillola, o
forse spalmandosi una pomata che non richiede la presentazione di una ricetta
medica, si possono apportare tutte le correzioni possibili: ci sono microparticelle
che trasportano geni e sostanze in grado di modificare in maniera mirata la
costituzione genetica di chiunque. Molto pi� seria �, di contro, la liberazione da
malattie gravi. Anche chi non sogna un mondo libero dal dolore non chiederebbe
mai a nessuno di consegnarsi a patologie come il Parkinson, la sclerosi multipla
o la fibrosi cistica � un�ostruzione delle vie respiratorie che conduce
rapidamente alla morte � cercando piuttosto di sfruttare ogni possibilit� di
guarigione.
Oltre alla liberazione dal deperimento dovuto a gravi malattie, la genetica
umana apre senza dubbio anche a nuove possibilit� di formazione genetica che si
sedimentano in una libert� positiva, una libert� per qualcosa, che ha come suo
scopo ultimo quello di dare a se stessi la forma desiderata, in maniera arbitraria
e
paragonabile soltanto agli interventi di chirurgia estetica: il design genetico
rappresenta una parte costitutiva della formazione di s� e ha l�obiettivo di
da un punto di vista sociale: chi pu� permettersi certi interventi? Quale contesto
sociale � necessario per servirsi di certi rimedi? Per il s� la domanda
fondamentale sulla giustizia genetica non si pone primariamente in riferimento al
suo rapporto con gli altri, ma gi� in riferimento a se stesso: � giusto o sbagliato
privarsi delle possibilit� dischiuse dalla tecnologia genetica? Per quale parte del
s� � giusto farlo e per quale non lo �?
� doveroso cercare rimedi contro la discriminazione genetica: � possibile che
datori di lavoro o assicurazioni sanitarie pretendano da chi cerca un posto di
lavoro o da chi aspira a diventare membro di una qualche associazione un Gen-
Chip, cio� un codice di identificazione genetica? L�accesso a informazioni sulla
predisposizione genetica a certe malattie pu� comportare la rescissione di
un�assicurazione sulla vita? Chi � propriamente in diritto di possedere i dati
genetici di una persona? Nello stesso tempo, per�, non si pu� fare nulla contro le
persone che al colloquio di lavoro presentano volontariamente il loro codice di
identificazione genetica o i risultati di un test genetico, con la speranza di
trarne
un qualche vantaggio. Solo a certe condizioni � possibile tranquillizzarsi
sapendo che non ci sono esseri umani completamente privi di difetti ereditari, o
del fatto che la costituzione genetica di ogni essere umano � difettosa � anche se
nella maggior parte dei casi questi difetti restano innocui �, o anche del fatto
che
il rischio ultimo, cio� la possibilit� di restare vittime di una certa malattia,
non
pu� essere prevenuto una volta per tutte tramite la manipolazione genetica (�
sempre possibile che i geni subiscano delle mutazioni). La pressione che gli altri
esercitano nei confronti del s� cresce nel caso di malattie condizionate, effettive
o solo possibili dal punto di vista genetico. Ogni sofferenza corre il rischio di
essere ricondotta a cause genetiche e, quando si intende rifiutare il ricorso a un
intervento sui propri geni, viene considerata come insensata. Se con l�incontro
casuale tra due esseri umani potesse essere determinato una volta per tutte il
patrimonio genetico del bambino che nascer� dalla loro unione, allora un
intervento genetico alla radice sarebbe sempre possibile. La tecnologia genetica
potrebbe andare incontro a tutti i desideri, sempre ammesso che qualcuno chieda
quali siano.
La tecnologia genetica, fondamentalmente, � inarrestabile: non c�� una
fantasia che non possa essere realizzata geneticamente; da questo punto di vista
non c�� una perversione, un�inversione, nel senso letterale della parola, che sia
inconcepibile. Nei confronti di tutte queste prospettive � decisivo, perlomeno,
non restare tranquilli rispetto alle opportunit� e ai pericoli che tale tecnologia
porta con s�. La responsabilit� per ci� che ne deriva non si trova solo nelle mani
di scienziati, manager o giuristi, ma anche in quelle di molte persone che
decidono, in maniera pi� o meno consapevole, di sfruttare simili possibilit�. Il s�
contribuisce in questo modo alla responsabilit� per l�evoluzione della specie e
pu� sottrarsene solo a costo di trovarsi sempre d�accordo con tutto ci� che �si
evolve�; diversamente pu� rivolgersi a �quelle forze� che probabilmente
�tengono tutto nelle loro mani�, ma che in verit� non fanno che controllare il
comportamento dei singoli individui. E se le paure peggiori divenissero realt�? A
quel punto ci troveremmo di fronte al fallimento dell�esperimento dell�esistenza
umana sul pianeta Terra. In rapporto al cosmo, questo sarebbe poco importante,
mentre sulla Terra l�interruzione dell�esperimento potrebbe creare un certo
malcontento. Per non disperare prima del tempo, � forse arrivato il momento di
rimettere in gioco l�anima, che in et� arcaica � per cos� dire �pregenetica� �
rappresentava il residuo dell�umano e che da un certo punto di vista non � ancora
andata in pensione. Ogni familiarit� con il corpo, con i suoi cambiamenti e le sue
ferite, rinvia al fatto che �c�� qualcosa� che lo anima e che pu� essere affermato
ed esibito in qualche modo; forse solo nell�interazione tra i geni e un�anima pu�
nascere quell�opera d�arte che � la vita. Questo � il presupposto per rivolgere
alla
cura dell�anima l�attenzione che merita.
4. La cura dell�anima
temporalit�, l�anima appare solo condizionata dal tempo del corpo � almeno
finch� si crede che prima del suo ingresso nel corpo, e successivamente alla sua
morte, potr� ancora esistere, in una qualsiasi altra forma.
Dal punto di vista ermeneutico, cos� come da quello energetico, all�anima si
addice la forma senza forma tipica della sfera, la quale pu� essere riconosciuta
solo in funzione del suo spettro o del suo raggio d�azione, ma che non pu� mai
essere denotata in maniera precisa; proprio per questo alla definizione dell�anima
pu� avvicinarsi pi� un�ermeneutica che non un�analisi, al punto che quella
relativa alla sfera dell�anima diventa pi� una questione soggettiva che non il
prodotto di una conoscenza oggettiva. L�anima corrisponde pi� all�antico
termine greco psyche, sul quale si concentrava ogni preoccupazione filosofica,
che non al concetto moderno di �psiche�, alla cui oggettivazione e alla cui
conoscenza scientifica sono orientati, almeno a partire dal XX e XXI secolo, gli
sforzi della psicologia, della psicoanalisi o della psicoterapia. � questa sfera
che
pu� essere sviluppata o persa nella sua aura, ossia nella specifica impronta che
la caratterizza. Ben oltre il semplice �alito�, a cui fa riferimento il concetto
latino, con aura si intende l��irradiarsi� che caratterizza il s�, un�opera d�arte
o
un fenomeno naturale. L�anima pu� manifestarsi alla percezione sensibile, ma �
soprattutto un prodotto dell�interpretazione delle sensazioni, ossia di ci� che pu�
essere visto in un fenomeno e nel s�, in funzione di un�interpretazione, e che
appare tanto pi� �auratica� quanto pi� ampio risulta lo spettro dell�ermeneutica.
L�aura fa in modo che il s� possa essere vicino a qualcun altro o che non gli si
avvicini; la simpatia, infatti, si configura come una congruenza auratica, mentre
l�antipatia come una divergenza. Nel primo caso, il contatto viene avvertito
come piacevole, mentre nel secondo come �spiacevole�. La paura della
vicinanza pu� anche essere fondata, secondo la definizione che ne d� Walter
Benjamin (L�opera d�arte nell�epoca della sua riproducibilit� tecnica, 1936),
come �apparire di una distanza�, che nella vicinanza va perduta; anche la paura
di arrivare troppo vicino a se stessi pu� essere motivata in questo modo.
Le connessioni ermeneutiche e quelle energetiche definiscono il �senso�, di
cui si pu� fare esperienza molto pi� nell�anima che nel corpo: questo senso
interiore rappresenta la ricchezza delle connessioni interne del s�, la cui
pienezza
si irraggia verso l�esterno e concorre a determinare la sua radiosit�. La ricchezza
di tali connessioni si pu� esprimere gi� nei racconti e nelle associazioni mentali.
Un metodo per rendere concepibile la pi� ampia ricchezza energetica ed
ermeneutica � quello della terapia e dell�analisi. Ci si pu� trovare a disagio di
fronte al tentativo di rendere accessibile la pienezza energetica della propria
anima in espressioni verbali, assunte come sostituti della totalit� che essa
rappresenta, e lo stesso disagio si prova ogni volta che si cerca di tradurre la
propria anima in discorso, con l�obiettivo di rendere l�insieme delle sue
determinazioni una totalit� definita da un punto di vista concettuale. Il s�
percepisce che il senso della sua anima oltrepassa ogni atteggiamento
proposizionale e capisce di non poterlo esaurire con nessun discorso. Certo, a
volte pu� manifestarsi in una singola parola, ma talaltra pu� anche risultarne
irrimediabilmente compromesso. L�assunzione fondamentale che l��inconscio�,
quale possibile spazio dell�anima, possa essere messo a nudo in maniera
affidabile attraverso la sua traduzione discorsiva appare problematica proprio per
questo motivo; anche tale certezza, una volta messa a nudo, dovrebbe essere
senza dubbio ricondotta a concetti ancora pi� generali.
I varchi mediante i quali l�anima pu� penetrare e irradiarsi, oltre che avere
uno scambio con altre anime, sono i sensi esterni, cio� la vista, l�udito,
l�olfatto,
il gusto e il tatto. Attraverso gli occhi l�anima irrompe all�esterno e si incarna
nelle mani, che sono in grado di toccare. Nel movimento del corpo � cos� come
in quello del linguaggio scritto, pi� che di quello parlato � l�anima si manifesta,
mentre viene sentita quale sentimento interiore del corpo. Ma in proporzione
all�indebolirsi dei sensi, fino all�indisponibilit� del tatto, l�anima si ritrae
nel
corpo, si spegne in esso o lo abbandona. Questo avviene non solo nella morte,
ma anche nella �morte sociale� e in parte attraverso il �ritirarsi del s� in se
stesso�. Per ridare vita all�anima che si � ritirata in s� � decisivo trovare il
punto
del corpo all�interno del quale � andata a nascondersi: per conservarsi si sar�
forse aggrovigliata nel punto in cui proviamo un dolore dovuto a una contrattura.
Bisognerebbe liberarla, rimettendo in circolazione le energie bloccate da quel
crampo. Il fatto che sia possibile sciogliere una tensione dell�anima attraverso il
lavoro sul corpo � un aspetto che � risultato gi� evidente: ogni lavoro sul corpo
distende l�anima, libera le sue energie e le ridona vita.
Alla base del contatto intellettuale con gli altri si trova, in linea di principio,
un contatto fisico: quest�ultimo svincola l�anima dai limiti del corpo e la spinge
a
uscire verso l�esterno. Mediante l�apertura che ne deriva � possibile, di converso,
che l�anima degli altri entri dentro di noi � e proprio questo � ci� che genera la
�paura del contatto�. Anche il contatto pi� tenero, infatti, pu� occupare a tal
punto lo spazio dell�anima da poter essere avvertito come un�espropriazione,
come causa di una condizione di non-libert�, che contraddice la libert�
coessenziale all�anima. Anche se la paura del contatto si esprime sul piano
fisico, il suo fondamento sta nell�angoscia per il contatto tra le anime; � la
paura
dell�anima che teme di perdersi, ma � anche la paura di penetrare troppo
profondamente nell�anima di qualcun altro, avvicinandoglisi troppo e, in questo
modo, perdendolo in quanto altro. Probabilmente quella dimensione dell�anima,
sensibile e delicata, ha bisogno di essere protetta per non smarrire la sua
ampiezza a causa di qualcun altro che lo occupa; quella stessa ampiezza che lo fa
respirare, sia dal punto di vista energetico che da quello ermeneutico. Se queste
angosce sono in qualche modo fondate, potrebbe essere impossibile
�liberarsene�, mentre sarebbe decisivo imparare a conviverci e dare loro il giusto
peso. L�elemento fondamentale della cura dell�anima sarebbe l�attenzione nei
confronti di questo spazio e, inoltre, il lasciare a quelle forme espressive
dell�anima, energetiche ed ermeneutiche, che si chiamano �sentimenti�, lo
spazio di cui hanno bisogno; un lavoro alla formazione della propria anima, il
cui scopo potrebbe essere quello di realizzare un�anima bella, che il s� dovrebbe
comprendere come degna di approvazione. Ma � davvero possibile formare la
propria anima?
compreso come amore o come dolore, resta sempre un elemento che contribuisce
a renderli possibili: il sentimento concreto � sempre innanzitutto il prodotto di
una risoluzione e, poi, di una riflessione su esperienze gi� fatte. � il concetto a
condizionare il modo in cui si provano certi sentimenti e a rendere cos� difficile
parlare della loro �veridicit�. Per l�arte di vivere � importante prestare
attenzione a questo fenomeno. Credere che la vera vita consista nel provare o
meno un certo sentimento non significa necessariamente sacrificare il
determinato concetto che di tale sentimento si ha. Educare i sentimenti significa
quindi divenire consapevoli del concetto di un certo sentimento e, se necessario,
cambiarlo: per esempio nel caso del concetto idealizzato di un amore che si
rivela non essere corrisposto e pu� distruggerci. Cos� si pu� trovare un
atteggiamento che lascia spazio ad alcuni sentimenti e ne toglie ad altri. Anche
quando si � posseduti da una passione �irrefrenabile� � possibile decidere se
cedere o meno alla sua forza.
A questo si collega il secondo atto della formazione, che mira alla
realizzazione delle possibilit� e quindi alla realt� dei sentimenti: da una parte �
importante �svilupparli�, ridestarli e farli venir fuori, farli vivere e
�goderseli�,
mentre dall�altro lato � necessario moderarli e limitarli. Amicizia e amore, per
esempio, vengono ridestati rivolgendo la propria attenzione all�esterno e poi,
grazie a un ostentato dispendio di tempo e di fatica, pu� nascere un rivolgimento
interiore, inteso come simpatia. E non sono soltanto gli altri a poter essere
indotti in tentazione, ma anche il s� da se stesso. Lo sviluppo dei sentimenti pu�
essere stimolato dalla natura e venire dalla vita stessa, cio� da situazioni e
incontri che accadono a prescindere dal nostro concorso. Ma pu� anche essere
artificiale, indotto volontariamente, per esempio mediante rappresentazioni che
il s� si costituisce e che condizionano il presentarsi dell�occasione concreta per
provare un certo sentimento. La gioia che precede il verificarsi di qualcosa che �
gi� presente nella nostra rappresentazione pu� essere molto pi� forte di quella
che si prova quando quel qualcosa ci si presenta in carne e ossa. Certi sentimenti
possono essere ridestati, oltre che dalle rappresentazioni, anche da precisi modi
Nel dare forma a se stesso e alla sua vita, il s� si comporta come uno scultore,
almeno secondo Epitteto (Diatribe, I, 15). Ma nell�arte di vivere questa relazione
viene invertita: l��artista� cambia prospettiva e conferisce forma alla �vita�,
proprio come fa lo scultore con la statua. Solo in questo modo � possibile
spiegare perch� agli occhi di qualcun altro si possa apparire come fatti di pietra.
Chi ci ha lavorato? Intanto, � la vita stessa ad avere una forza plastica, e lo
strumento che usa per portare avanti il suo lavoro � l�insieme di esperienze,
desideri, aspirazioni, illusioni, dolori, piaceri che ci d�. In questo modo la vita
�
in grado di tracciare i contorni delle labbra fino a farle coincidere con tutta la
bocca o ridurle a una linea sottile, ne solleva gli angoli facendo sorridere o li
piega verso il basso, in un�espressione di fastidio; solleva le sopracciglia con
Una volta, in et� antica, c�erano concetti che avevano una funzione
importante, ma che oggi risultano quasi incomprensibili: �la fortezza�, per
esempio, andre�a in greco, era parte di un�etica dell�eccellenza, dell� arete, che
era molto pi� di un��etica della virt�, giacch� si estendeva, oltre che a quella
morale, anche alla perfezione di tutta la sfera extramorale della vita. Arete,
perfezione, eccellenza valevano perci� non semplicemente come date, ma
dovevano essere �fatte� mediante un�etica (eth�zein) e acquisite grazie
all�esercizio e all�abitudine. Solo allora erano in grado di esercitare una
peculiare
influenza (charakter) sull�anima, le cui qualit� non potevano perci� essere
considerate solo come prodotte dalla natura, ma anche come il risultato di un
lavoro del s�. A partire da Platone, sono quattro le qualit� che fanno parte della
perfezione: accanto alla fortezza si trova la prudenza (soph�a), la temperanza
(sophros�ne) e la giustizia (dikaios�ne), tramandate poi come virt� �cardinali� e
completate dal cristianesimo con fede, carit� e speranza. Oggi non avrebbe senso
parlare di un nuovo �catalogo delle virt�. Il s�, piuttosto, effettua la sua
scelta, e
le eccellenze di cui abbiamo parlato vengono prese in considerazione quando si
tratta di dare forma alla sua anima.
La virt� della fortezza sembra essere quella pi� antiquata: pu� ancora essere
una qualit� eccellente? E a quale livello della vita pu� essere ancora efficace? Il
suo concetto � certamente diventato equivoco, deturpato dalle guerre che hanno
trascinato soldati valorosi a morire per cause troppo spesso assurde. Ma limitare
la fortezza solo al suo significato militare significherebbe rinunciare alle
conquiste civili che ha reso possibili. Concetti come coraggio, risolutezza,
valore civile prescindono dal sesso del loro soggetto e, diversamente da quanto
avveniva nella cultura greca, non possono essere collegate, soprattutto quando si
parla della fortezza, all�essere umano maschio. La base della fortezza � la
solidit� del s�, prodotta dall�etica e dall�ascetica, da un atteggiamento
particolarmente spinose: che cosa ho fatto della mia vita? Che cosa penso ancora
di fare? Sono cosciente del fatto che la mia vita � limitata? Mi � chiaro che
questo dolore pu� distruggerla? Questo dolore non sar� l�anticipazione della
morte? L�occasione esteriore pu� anche essere ingenua, ma questo dolore
cognitivo non pu� essere sopportato a lungo. E proprio in questo senso il dolore
serve per dare una direzione alla propria vita: � possibile che questo significato
del dolore venga cercato proprio quando ciascuno di noi, trovandosi disorientato,
fa del male a se stesso. Il dolore spinge a preoccuparsi di s�, e questa
preoccupazione ha la forza di rimettere il s� sulla propria strada � forse non
quando domina completamente e chiede tutto per s�, ma dopo. Il dolore segnala
la presenza di un limite che si incontra nel proprio cammino fino a giungere al
limite estremo, la morte di questa vita, il cui valore non deve mai essere perso di
vista: ci� che nella vita appare ovvio � la vita stessa � porta con s� il dolore e
lo
porta a coscienza in quanto tale. Da qui deriva il disagio di coloro i quali, ben
oltre la sua svalutazione per mezzo di un intervento dogmatico, devono al dolore
la direzione specifica della loro vita.
� inevitabile che chi si confronta con il dolore si ponga anche il problema del
senso. Il dolore lo implica pi� di qualunque altra cosa, innanzitutto in
riferimento
a se stessi, e poi in riferimento al resto della vita, ossia al �dolore� in
generale.
Una possibile risposta alla domanda sul senso pu� giungere dalla comprensione
della posizione del dolore nella polarit� della vita. La domanda sul senso di
questo dolore � un calderone che richiede una risposta definitiva: perch� lo
provo? Perch� proprio io, perch� proprio ora? A queste domande non si pu� dare
una risposta attraverso la ricerca di un senso oggettivo. Un orizzonte per
accedervi pu� invece essere dischiuso dall�attivit� soggettiva del comprendere e
dell�interpretare, grazie alla quale si pu� attribuire al dolore un senso che,
impiegato come sua chiave di lettura, consente di chiarirne la connessione con la
vita vissuta fino a questo momento, con il contesto, con la specifica concezione
che si ha della vita in generale, con le prospettive future, come �pietra di
paragone�, come sfida. I desideri, gli interessi e tutte le restanti direzioni in
cui
breve: la vita, che per gli altri � un fatto scontato, appare ora come un dono del
cielo. Ma l�atteggiamento che pu� comprendere sia il cielo che l�abisso � la
serenit�. Sereno non � chi � sempre allegro, ma chi conosce le esperienze
contrastanti dell�allegria e della tristezza ed � in grado di mantenerle in
equilibrio. Chi � sereno non deve solo provare a tenere per s� gioia e piacere, ma
anche dolore e sofferenza, facendo in modo che ci� che sembra pesante possa
arrivare ad apparire leggero. Gi� da molto tempo si sono diffusi esercizi che
rendono possibile sviluppare un atteggiamento sereno nei confronti della vita: si
tratta di esercizi fisici che hanno effetti molto maggiori sull�anima.
della vita. Il piacere che, proprio per questo motivo, il canto riesce ad arrecare
concede una pausa dalle preoccupazioni: chi canta non si preoccupa di nulla,
almeno non in quel momento.
Cantando in un coro il s� pu� capire come nello spazio in cui risuona la
musica le voci si moltiplichino e le molte voci esteriori si fondano in un unico
corpo sonoro: la formazione di un megasoggetto integrato nel quale ogni singolo
lascia dietro di s� la propria solitudine sentendosene felicemente sollevato.
Toccante �, inoltre, la singola voce umana che si leva dal coro: si staglia su
tutto
il piano definito dall�orchestrazione, si propaga come se avesse le ali, piange e
trionfa su ogni svilimento dell�esistenza umana, proprio come la voce di Lisa
della Casa, che nel 1953 canta i Vier letze Lieder (i �Quattro ultimi Lieder�) di
Richard Strauss, composti nel 1947 su poesie di Hermann Hesse e Joseph von
Eichendorff. Certo, la nostra voce non deve raggiungere questo livello di
eccellenza per potersi esplicare. Per l�uso quotidiano basta essere cantante e non
�cantore�, sussurrare semplicemente qualcosa o cadere nel recitativo tipico del
rap. Basta questo a far cantare l�anima. Lo si pu� fare anche a voce alta, quando
non c�� nessuno. Ma, senza misconoscere l�importanza del canto mattutino sotto
la doccia, ci si pu� anche mettere d�accordo su altre �categorie� di canto.
Il canto ha in comune con il ballo la profondit� del respiro, l�espansione
fisica del s�, che diventa espansione anche dell�anima. L�anima gira
vorticosamente su se stessa e porta il s� a incontrare gli altri, lo mette di
fronte ai
loro occhi, toccati dalla sua aura. Ballo con Markus, un giovane uomo che ha un
handicap spirituale e che oggi si sente molto gi�. Ma il pensiero lo infiamma e
vuole provarci: se il corpo impara a ballare, lo fa anche l�anima. L�atelier nel
quale lavora si trasforma in un dancing; cominciamo a ballare, ciascuno per s� e
poi tutti e due insieme allo stesso ritmo. All�inizio � difficile, perch� chi
impara
a ballare inizia a conoscere la forza di gravit�, che trascina tutto verso il
basso.
Frena. Le gambe sono pesanti. Tutto cade gi�, troppi pesi che dall�anima
scivolano nel corpo. Cos� il ballo diviene un gioco di potere con il peso e con la
forza di gravit�, contro i quali ci si ribella sentendosi eccessivamente
misura si mostra nel fatto che non si fa altro che sbagliare, ma sempre da
prospettive diverse. Quando si mette alla ricerca della giusta misura il s� ricorda
un ubriaco, barcolla lungo la strada, a destra e a sinistra, cercando, per�, in
questo modo di restare pi� o meno al centro. O, come sostiene Aristotele, il
pensatore della moderazione, � inevitabile �inclinare a volte verso il troppo, e
altre verso il troppo poco, perch� in questo modo potremo trovare pi� facilmente
il centro e ci� che � pi� corretto� (Etica Nicomachea, II). Oscillando tra
�eccessi� (hyperbole) e �difetti� (�lleipsis), tra esagerazioni e restrizioni, �
possibile trovare la misura, ci� che pare adeguato. Questo processo non pu�
concludersi mai, ma oscilla costantemente, proprio come un pendolo. Se cos�
non fosse la vita stessa conoscerebbe la sua fine. Sembra sensato, dunque, non
temere gli estremi, ma addirittura cercarli liberamente al fine di andare incontro
alla volgarit� della vita. I piaceri rappresentano un luogo esemplare per
esercitarsi a farlo: occorre rifiutarne anche uno solo per mostrarsi padroni di se
stessi, ma non sempre, per non rischiare, secondo Aristotele, di incorrere
nell�apatia.
Un problema della vita nell�epoca moderna � proprio quello della mancanza
di una misura gi� data dalla cultura, per esempio per quanto riguarda i piaceri del
mangiare, del bere e dell�amare. Cos�, il lavoro necessario per trovare una giusta
misura tra il troppo e il troppo poco diventa un compito che solo il s� pu� portare
a termine. La misura, di cui ciascuno � responsabile nella propria arte di vivere,
non � mai qualcosa di fisso; a seconda delle situazioni per giusta misura si pu�
intendere anche un eccesso o un difetto: l� optimum sta a volte nel minimum, a
volte nel maximum. Amare o fuggire i due estremi, questi due atteggiamenti
fondamentali contrapposti tra loro, sono opzioni dell�arte di vivere: si pu� essere
estremofili o estremofobi. E tuttavia lo sforzo di colui che ama gli estremi non
pu� durare a lungo; arriva un punto in cui c�� bisogno di respirare, e il respiro �
dato dalla rinuncia. Altrettanto invivibile � la mancanza assoluta di passioni,
tipica di chi tende a fuggire gli eccessi, e che a un certo punto ha bisogno di un
qualche impeto che gli restituisca la vita. Un� armonia, o una proporzione stabile
� obiettivo, a suo tempo, anche degli stoici � pu� solo stare in mezzo agli
estremi, con il rischio di essere noiosi ogniqualvolta si faccia di tutto per
proteggerla. Ma non � possibile rinunciarci, cio� � impossibile fare a meno di
una rappresentazione che consenta di prendere le misure agli eccessi e ai difetti
e, quindi, di comprenderli in quanto tali. Ma tutto ci� che viene fatto in maniera
esagerata prima o poi raggiunge un grado di saturazione o di mancanza tale da
riportarlo al suo contrario, e quanto pi� l�esagerazione � estrema, tanto pi�
violento � il capovolgimento. Anche questo pu� essere un motivo per cercare gli
estremi: capovolgere i rapporti dati. Dell��eccesso come mezzo di guarigione�,
parla Nietzsche (in Umano, troppo umano, �Opinioni e detti diversi�, 365).
Proprio nell�eccesso egli vede possibili modi di accedere all�arte di vivere: �Si
pu� ridar sapore al proprio talento ammirando e gustando per qualche tempo, in
misura eccessiva, il talento opposto. � Usare l�eccesso come mezzo di
guarigione � uno degli artifici pi� sottili nell�arte di vivere�.
Un motivo a favore del culto degli estremi, come quello di cui si pu� fare
esperienza negli sport estremi, � senza dubbio la condizione moderna della
liberazione da ogni criterio in grado di regolare il rapporto con se stessi, che
prima era dato dalla tradizione, dalla religione o dalle convenzioni: nelle
esperienze estreme il s� spera, oltrepassandoli, di trovare autonomamente i suoi
limiti, cos� come di riprendere contatto con quel limite imposto dalla morte, che
� in grado di dare una misura alla vita e che nella cultura moderna � stato ormai
perso di vista. L�aspirazione a un criterio autonomo e quella, altrettanto
immensa, di sottoporsi a un criterio eteronomo, sono particolarmente
riconoscibili nel bisogno degli estremi; allo stesso modo diventa urgente anche
l�aspirazione, che non pu� mai essere messa a tacere, all�oltrepassamento, alla
�trascendenza�, che in un mondo secolarizzato non pu� manifestarsi
diversamente. Questo culto degli estremi ha a che fare con una �patologia
clinica� o con �idioti che mettono a repentaglio la loro vita�? Comprendere
questo fenomeno come una malattia o come un comportamento immorale
significa ricorrere a una scala di valori tipica dell�et� premoderna, inefficace
nella prassi e inadatta per rendere conto di uno degli aspetti fondamentali della
cultura moderna. Dolore, infelicit� e morte nascono in questo modo? Possono
nascere, per�, anche in maniera diversa e per questo non possono essere
eliminati. Possono, infatti, risultare anche dall�indifferenza o dalla neutralit�,
sebbene gli estremi restino nell�ambito delle possibilit� di scelta dell�uomo
moderno, che non deve rendere conto a nessuno. Ci� che appare pi�
problematico � il proposito di voler identificare la massimizzazione del piacere
con i suoi estremi, cosa che non pu� che causare sofferenze estreme, anche
perch� la realizzazione di questo proposito � di fatto impossibile. Solo un senso
per la misura, sviluppato grazie all�esperienza del troppo e del troppo poco, evita
gli estremismi e, soprattutto, impedisce che l�estremismo diventi un vizio.
Gli estremi hanno inoltre la capacit� di sfruttare le possibilit� che emergono
dalle oscillazioni pi� clamorose e, pertanto, di ampliare lo spettro in cui pu�
oscillare ci� che pu� essere considerato �normale�. Il s� deve alle esperienze
dell� ascesi e dell� estasi la possibilit� di �essere capaci di rinunciare nello
stesso
modo alle cose e di goderne�, proprio come Marco Aurelio diceva di Socrate
(Considerazioni, I, 16). In questo processo sono possibili anche alcune
ibridazioni come, ad esempio, quella dell� eccesso ascetico: l�esercizio alla
rinuncia e quello all�affinamento delle proprie capacit� moltiplicano il
godimento che ne consegue. Oppure quello di un� ascetica eccessiva: rinunciare
a molte cose permette di dedicarsi a un�unica cosa e farne un�esperienza
massimamente intensa. Pi� che togliere contraddizioni, ci si rafforza nel
mantenere viva la tensione della vita, la cui esperienza coincide con quella del
senso. Sfruttare tutto il campo di tensione della vita nei suoi estremi
contribuisce
a realizzare una felicit� che consiste nella pienezza della vita stessa. Se il s�
perde la possibilit� di oscillare, avverte quella sensazione dolorosa che consiste
nel non sentire pi� il profumo della vita; e pu� interromperla qualora la
frequenza con la quale oscilla, ormai scarsa, non riesca a dargli pi� le risposte
che cerca. Chi non fa che evitare gli estremi restringe lo spazio all�interno del
quale possono muoversi il suo corpo, la sua anima e il suo spirito. Per questo
della sobriet�. Nessuna sbronza pu� cambiare il fatto che la realt�, il s�, la vita
sono limitate. Ma il tentativo di volerle possedere illimitatamente e il farlo in
maniera persistente e con tutti i mezzi possibili incidono sulla forma del s� e
della sua vita.
pi� possibile recidere. Tale legame � ancorato al �corpo�, ma anche alla mente e
allo spirito. Pu� essere dissolto solo con grande difficolt�, sebbene il corpo non
patisca effettivamente �l�astinenza�, la quale dura solo pochi giorni.
Il vizio esiste probabilmente in tutte le culture, ma non nella stessa misura e
non con la stessa funzione. Nella modernit� i viziosi sono spesso romantici e
nostalgici di un mondo premoderno e si contrappongono al mondo moderno
quasi ne fossero estranei. Ma si potrebbe comprendere in maniera errata la
modernit� senza sapere come � fatta? Il vizio � una questione di libert�, giacch�
pu� svilupparsi in quanto tale solo a partire da una standardizzazione dell�essere
liberi. Siccome nella modernit� non � chiaro il modo in cui si debba vivere, le
domande sul senso della vita si fanno urgenti, acute, e i viziosi, con la loro
sensibilit�, se le pongono pi� insistentemente di altri. Rispetto alla vita
ordinaria,
alle soglie del vizio il sentimento della vita e la riflessione su di essa sono pi�
intensi. La tensione verso il profondo e l�aspirazione all�intensit� sono
senz�altro
ragioni del vizio e motivi della sua evoluzione storica, ancora non pienamente
compresa, proprio nella modernit� (Claudia Wiesemann, Die heimliche
Krankheit. Eine Geschichte des Suchtbegriffs, 2000). I viziosi si pongono pi� di
altri domande circa l�autenticit� dell�esistenza o sulla natura della vera vita.
Molto meno disposti al compromesso di altri, i viziosi si confrontano con la
felicit� e con il senso, e nel loro vizio ne fanno un�esperienza assoluta, la quale
tuttavia � sempre di nuovo limitata, e perci� contraddittoria proprio rispetto
all�aspirazione romantica alla libert� da ogni limite. Le pretese estreme di
felicit�
e di integrit� delle relazioni, la rivendicazione di un mondo sacro e
incontaminato attirano molte angosce, al punto da rendere impossibile trovare un
criterio in grado di darne conto. In maniera pi� assoluta di altri, i viziosi
dubitano di tutto fino alla disperazione. Un presupposto per conoscere meglio il
fenomeno del vizio consiste nel prendere sul serio il suo significato esistenziale,
e non nel commisurarlo frettolosamente alla norma di una presunta �salute�, con
il solo risultato di patologizzarlo. Se l�inquietudine di un uomo viene spiegata
come una �malattia�, nei confronti della quale non esiste altra via d�uscita che la
favore di una vita condotta all�interno di certi limiti. Anche in questo caso �
fondamentale scegliere il modo in cui il vizio entra a far parte della nostra vita.
Alcol, nicotina, cocaina: di rado si sceglie attivamente di diventare dipendenti da
qualcosa, e la scelta passiva che ci porta al vizio non � quasi mai consapevole,
ma implicita. Questo non incide solo sulle conseguenze fisiche del vizio, che
toccano innanzitutto chi � autore della scelta, ma possono investire anche gli
altri. Per l�arte di vivere come arte di condurre la propria vita � necessaria una
scelta consapevole, e quindi esplicita, la cui funzione � quella di evitare che
qualcosa accada se non lo si desidera davvero o contro la propria volont�, e
quindi che non accada qualcosa di cui non si vogliono subire le conseguenze. A
questo contribuiscono i dolori che il vizio infligge, prima a se stessi e poi agli
altri: la perdita del rispetto di s� che gli si connette permette di non disporre
pi�
di se stessi.
Quando si sceglie di rendere possibile la vita oltre le sue limitazioni si pone il
problema della sua vivibilit�, il cui significato potrebbe essere attestato proprio
dall�esperienza esistenziale del vizio, notevole perch� in questo modo la vita
scende, dalla superficie, nelle sue profondit�. Non ci si dovrebbe negare a
esperienze di questo tipo, e nemmeno tendere a �strapparsi� al vizio, ma farlo
apparire, piuttosto, come potenziale rovina della vita umana. Fare questo
significa, per�, formare una superficie che permette di fare esperienza della
profondit� che le si cela al di sotto. Ed � qui che torna in gioco il romanticismo
pragmatico, una nuova fondazione della vita nella sua banalit� quotidiana e nella
sua contraddittoriet�. Il disabituarsi al vizio pone un problema altrettanto
decisivo di quello della formazione di un�abitudine, perch� il vizio stesso non
era che il tentativo di istituire un pi� forte legame con l�abitudine, sia pure
rovinoso. Le abitudini sono infatti essenziali, ma quello che conta � farle operare
in maniera sempre nuova e diversa. Per vivere la vita � fondamentale farsi carico
della cura di s�, perch� anche la cura che si deve agli altri emerge in misura
proporzionale a quella che si ha per se stessi. I semplici esercizi di ascesi
fisica
rafforzano l�autocontrollo e portano a una stabilit� che consente di
solitudine voluta, debitrice in altro modo alle conquiste che derivano dal non
dover pi� sottostare almeno per un po� alle �pressioni sociali� da cui ci si
libera;
finalmente soli, e quindi liberi. L�arte di vivere ha come obiettivo la libert�
tipica
di una solitudine scelta, che protegge, diversamente dalla solitudine indesiderata,
il ritirarsi in se stessi e il ritrovarsi. E lo fa sentendosi al sicuro, che
significa
qualcosa di completamente diverso dal sentirsi soli. Comprendere la solitudine
come arte di vivere significa quindi anche prendersene cura, senza passare da
una solitudine voluta a un isolamento indesiderato, evitando di rendere
improvvisamente l�oggetto di un�aspirazione la cifra di un�esperienza terribile:
dalla felicit� di essere soli alla miseria di esserlo.
Il diritto alla solitudine � una conquista del mondo moderno. Nelle culture
premoderne o in quelle antimoderne restare soli con se stessi � infatti meno
opportuno, anche solo per questioni logistiche. La formulazione del diritto alla
solitudine � dovuta all�esigenza, propria di ogni individuo, di assicurarsi uno
spazio che sia soltanto suo. Da qui la protezione giuridica della sfera privata,
che
non permette l�intervento di nessun altro nello spazio che la delimita, anch�esso
tutelato per legge. � difficile capire se questo �ritirarsi nella nicchia del
privato�,
cio� la solitudine scelta e deliberata, non abbia come conseguenza la �perdita del
politico�. Ma la dimensione politica non pu� diventare una norma; nel momento
in cui viene pretesa incondizionatamente, genera piuttosto il terrore del politico.
A prescindere dal fatto che resta in ogni caso un�opzione per chi non vuole
partecipare esplicitamente alla dimensione della politica, solo l�esigenza di
ritirarsi in se stessi pu� sempre presentarsi. Solo nella nicchia della solitudine,
infatti, � possibile trovare quelle forze che rendono possibile �rientrare� nello
spazio definito dalla politica e dalla societ�. La possibilit� di ritirarsi, quella
di
�non esserci sempre�, � un�autentica opzione dell�arte di vivere, dalla quale
consegue un lavoro intenzionale sulla nicchia che porta a configurare quella del
�ritiro� come una possibilit� spaziale e temporale da realizzare con amore e
dedizione. La propria nicchia deve essere corredata di abitudini, le cui pieghe
vanno trovate e create nel tessuto del mondo e nelle quali il s� sparisce per un
momento � o anche per un tempo maggiore.
Nella sfera privata pu� svilupparsi la cura dell�anima e di quella sfera che le
d� forma. Mentre nell�essere con gli altri l�anima viene data all�esterno, la
solitudine rende possibile un raccoglimento. Si pu� essere da soli anche quando
si ha una relazione con altri, ma quello del rapporto con se stessi � il tempo
della
solitudine, in cui si sta presso se stessi come prima si stava presso gli altri. In
questo senso, la solitudine pu� assumere tante forme quante sono quelle dello
stare insieme con altri: amicizia e avversione. Quale sia la lotta costante e
continua con se stessi, che caratterizza i momenti di solitudine, lo dice gi�
sant�Antonio nelle Tentazioni di cui parla Anastasio. Nel 275 d.C. il fondatore
del monachesimo occidentale si ritir� nel deserto egiziano per vivere in assoluta
solitudine e nel pieno dominio dei suoi propri impulsi e desideri. Quale sia
l� amicizia che � possibile instaurare con se stessi, al contrario, � detto in
maniera
non meno toccante da Michel de Montaigne nei suoi Saggi, che egli cominci� a
scrivere dopo essersi ritirato dalla vita politica nella torre del suo castello,
all�et�
di trentotto anni, il 28 febbraio 1571, per dedicarsi solo a se stesso: Montaigne
d� importanza a ogni pi� piccolo stimolo gli si presenti, per giungere a un
controllo di s� che non � altro che un�esplicita rinuncia alla sovranit� su se
stesso. Alcuni dei suoi saggi (ad esempio I, 39) sono dedicati al tema della
solitudine: �Il luogo in cui condurre il nostro dialogo quotidiano con noi stessi�.
� in un momento di solitudine che prende inizio il lavoro sulla vita. Perci�
Nietzsche, nel 1885, decide di abbandonarsi alla �piena solitudine�, di cui
peraltro parla nelle sue lettere di quello stesso anno, non da un luogo lontano dal
mondo, ma dal centro di Nizza. Lui, il pensatore della solitudine, e ancor di pi�
il suo predicatore, fa esperienza della contraddittoriet� della solitudine in epoca
moderna, del suo �abisso�. Nietzsche non vuole far altro che liberarsi, non dalla
societ�, ma da un certo prof. Nietzsche: �Diavolo, come non lo sopporto!�. Lui,
che non vuole pi� essere nessuno, non ha pi� alcun posto nel mondo, non ha un
tempo, non ha scambi con gli altri e tuttavia ne mantiene ancora uno con se
stesso: cos� funziona la solitudine alla quale anche lui aspirava, e che diventa
tuttavia una forma di esistenza insopportabile. Nietzsche non vede la scala che
c�� tra la solitudine volontaria o imposta, tra quella temporanea o permanente,
tra quella che rende felici o intristisce. Ma a questa fase della sua vita deve lo
sguardo dall�esterno, la capacit� di osservare la vita a distanza, compresa la sua:
rendersi liberi da tutto, e anche da se stessi, diventa segno di una �libert� di
spirito�. A quest�epoca risale Al di l� del bene e del male. Preludio a una
filosofia del futuro (1886), con il quale corrisponde alla sua �gioia della
solitudine�, oltre la semplice liberazione da tutto, per compiere un passo in
avanti verso una formazione della libert�, �verso una propria legge�, che � opera
di coloro che �non sono pi� solo spiriti liberi�, ma �artisti della vita�; gli
�ultimi
stoici�. Nietzsche sogna tutto questo, anche perch�, come egli stesso ammette
nel 1885, al termine del suo periodo di solitudine, �non sono proprio fatto per
stare da solo�.
Chiudere la porta dietro di s�. Finalmente soli. Forse in questa stanza c��
qualcun altro, ma ciascuno � solo con se stesso. I rumori che provengono da
fuori arrivano come filtrati. Il battere delle tempie si calma piano piano.
Percepisco ogni dettaglio del contesto nel quale mi trovo. Suona una campana,
ma la distanza che si rivela nel silenzio relativizza il tempo, anche quello della
mia finitezza. Lo sguardo si apre su tutta la giornata appena trascorsa, si
distende
su tutta la vita. Difficile dire se questa sia realt� o immaginazione, ma non
importa, conta solo l�esperienza che ne faccio. Meditare, fare silenzio, �entrare
dentro di s�, condurre un dialogo muto con se stessi, sentire ci� che c�� dentro
di s� e tutt�intorno: nel silenzio l�anima � pienamente presso di s�, raccoglie i
sentimenti e le parole, ma non li distrugge nel discorso. Tacendo, l�anima
apprende cosa significa parlare e che cosa ha da dire. Da qui l�esercizio
filosofico del tacere (siop�), diffuso gi� nelle scuole pitagoriche del VI secolo
a.C. Le voci tenui del s� cominciano a parlare dopo molto tempo, dopo essere
rimaste a lungo inascoltate mentre altre voci urlavano portando avanti le
occupazioni della vita quotidiana. Niente sembra pi� difficile che tacere, niente
pi� piacevole che esprimersi in qualche modo. Ma �niente � grande se non �
anche silenzioso� (Seneca, Sull�ira, I, 21). Le voci che urlano sanno quanto sono
piccole, pur non facendone parola con nessuno: questo � il motivo che le spinge
a gridare. Le voci silenziose, al contrario, sono alleate dell�ampiezza infinita di
cui, senza queste ore di silenzio, si sentirebbe l�amara mancanza. L�arte del
silenzio consiste nel dargli spazio, cercarlo, produrlo, tacendo. Riuscire a
percepire un motivo pi� ampio, questa � la felicit� insita nel silenzio. Bisogna
soltanto lasciare che si manifesti, solo per un momento.
E quando improvvisamente arriva, il silenzio precipita sul s� come un
meteorite, portandolo, nel giro di un attimo, a esplodere. Le voci interiori
attraversano frammentate le orecchie: tutti gridano confusi, selvaggi. Ma il
rumore assordante � svanito. Intere galassie di pensieri cominciano a muoversi
nella testa, senza che il s� sappia pi� cos�� e cos�era. Pu� essere bello
sopravvivere e ritrovare il proprio linguaggio, per parlare delle proprie
esperienze e affrontare il prossimo problema. Ma chi vuole parlare del silenzio lo
deve interrompere � problema fondamentale di ogni discorso sul silenzio. Ci�
che nel tacere si manifesta oscillando nello stato della pura possibilit� appare,
nella lingua concreta, sotto forma di limitazione. Il linguaggio non � in grado di
sostenere la pienezza del silenzio. Il s� ne � consapevole nel momento in cui ne
parla e sa anche perch�: il linguaggio � figlio del tempo, o pone il tempo come
un susseguirsi di momenti. Ogni parola rappresenta un momento e ogni parola
parlata � gi� passato, poich� risveglia l�anelito a un nuovo presente. Nel tacere,
invece, il tempo sembra essere fermo. Manifesta �il senso�, la pienezza dei tratti
e dei nessi senza porli come separati l�uno dall�altro come fa il linguaggio, non
secondo la struttura della successione, non con l�aiuto delle regole della
sintassi.
Restano compressi nella loro intensit�, indifferenziati nella loro complessit�,
senza perdite e limitazioni: per questo il silenzio si addice cos� bene a chi si
ama,
e lo stesso motivo rende cos� difficile �parlare di un rapporto� quando si cerca di
recuperare un amore perduto.
L�idea che il silenzio sia l�opposto del linguaggio � frutto di un antico
pregiudizio. In realt� anche il parlare � dominato dal silenzio, da tutto quello
che
non viene detto quando si dice qualcosa. Dietro le parole si nasconde
astutamente il non detto. Nello stesso istante in cui menzioniamo qualcosa, c��
qualcos�altro che � altrettanto interessante e di cui non parliamo. E il silenzio
pu� essere molto eloquente, pu� valere �pi� di mille parole�. �Qui riposa colui
che ha detto tutto senza mai parlare�: sta scritto sulla tomba di Jean-Gaspard
Deburau (Jan Ka�par Dvor�k, 1796-1846), il pi� grande di tutti i Pierrot che ora
si trova al cimitero P�re-Lachaise, a Parigi. Il silenzio non marca affatto il
limite
della comunicazione, ma lo oltrepassa: quando si tace, forse davvero solo in quel
momento � possibile comunicare con gli altri, perch� cos� si crea uno spazio che
non appartiene esclusivamente al singolo e al suo discorso, e non solo a una
lingua e al suo legame con un insieme di suoni e con un volume. Allo stesso
modo, tacere pu� significare evitare di parlare, un silenzio nemico, o un
sottacere, un nascondere le vere relazioni, uno spostamento del delitto o del
crimine che viene commesso in silenzio. Colui al quale si � taciuto qualcosa
porta il marchio dell�inferiorit�. Il silenzio causa insicurezza, provoca paura.
L�invenzione della dimensione pubblica e critica � una risposta a tutto questo:
cos� si tenta di esprimere quanto si vorrebbe passare sotto silenzio e si evita che
chi dispone della facolt� di tacere faccia in segreto ci� che pi� gli aggrada. Il
silenzio viene evitato ogniqualvolta si prende la parola.
Arte di vivere significa saper gestire due opzioni: parlare e tacere. Se
dominasse soltanto il discorso, tutti quelli che preferiscono il silenzio
verrebbero
messi fuori gioco. Chi non conosce le articolazioni immanenti al silenzio non
pu� esistere. Dire sempre tutto non testimonia altro che una certa inarrestabile
loquacit�; ma ci si pu� fidare solo di chi sa anche stare zitto. Chi si comprende
in
silenzio si appartiene. La giusta misura del silenzio pu� essere definita soltanto
da ciascuno nella sua singolarit�. Ciascuno si sceglie una delle forme del
silenzio, quando, quanto, per cosa, con chi, in quale situazione, con quale
intensit�. Il silenzio esistenziale � un silenzio interiore che consente di lasciar
manifestare la specificit� dell�esistenza di ciascuno di noi e permette di
�custodirla�. Per contrasto emerge il silenzio effimero, che � provvisorio,
passeggero, e non rimanda ad alcun motivo particolare. Rivolto agli altri o anche
contro di loro, in ogni caso sempre fornito di un obiettivo preciso, � il silenzio
intenzionale, che pu� essere benevolo o ignorante. Completamente diverso � il
silenzio enigmatico, che resta ambiguo perch� non risulta mai chiaro se chi tace
abbia detto qualcosa e, se s�, cosa. � possibile anche un silenzio erotico, perch�
il
piacere di un attimo � rimesso al gusto di uno sguardo che distrugge ogni parola.
Il silenzio pu� provenire anche dalla sofferenza: c�� un silenzio doloroso che non
ha pi� le forze, nemmeno quelle necessarie a proferire verbo. O il silenzio di
rassegnazione, quando non ha pi� senso parlare e si rifiuta ogni discorso. E
anche un silenzio finale: non dire pi� nulla, tenere tutto per s� e andarsene in
silenzio da questo mondo.
Il silenzio � una delle possibili posizioni nel gioco del potere al quale
possono partecipare sia le voci interiori del s�, sia gli altri. In questi casi il
silenzio pu� essere ottriato, eteronomo, non una forma ma una norma: proibito
parlare. O, in maniera ancora pi� sottile: parliamo d�altro. C�� il silenzio di
coloro i quali, dopo l�esperienza del campo di concentramento, non sono pi� in
grado di dire nulla di ci� che hanno vissuto. C�� il silenzio di chi sapeva dei
lager e non ha detto niente � un silenzio tombale e letale. Per altro verso il
silenzio pu� essere autonomo, cio� non rimesso ad alcuna forza esterna, ma
soltanto all�autocontrollo di ciascuno di noi, che si scaglia contro la
sfacciataggine e che viene utilizzato per parlare: �Il silenzio nasce da una forte
dominazione su di s�, il vero trionfo sta nel raggiungere questo livello�, sostiene
Graci�n, che raccomanda anche di non trascurare la coltivazione di questa
capacit�: �Tanto si scopre, e tanto si pu� far fruttare� (Oracolo manuale, 179). Il
silenzio che serve a proteggersi � il silenzio murale, l� omert�, che erige il
�muro
del silenzio�. Questo silenzio non � solo autonomo, ma presenta anche una
componente eteronoma. La soglia del silenzio pu� essere oltrepassata con molta
difficolt�, come avviene, per esempio, nel caso di un dialogo giunto a un punto
morto o in una societ� in cui non si parla di qualcosa. Ma il silenzio assoluto,
quello a cui qualcuno dice di aspirare, non esiste. Potrebbe essere rappresentato
come una sorta di buco nero, in cui ci� che viene detto e tutto il dicibile vengono
risucchiati e scompaiono. Anche se fosse reale, nessuno potrebbe saperne nulla e
chi non gli si trova di fronte non potrebbe mai parlarne. Cos� c�� soltanto un
silenzio relativo, all�interno del linguaggio, all�interno del rumore. E il
silenzio
ontologico, nel quale le cose e il mondo intero rimangono uguali a se stessi e
restano indifferenti a tutti i tentativi di dare loro la parola. Nell�arte di
ridere e di
sorridere l�anima comprende di essere loro complice.
Che cosa significa ridere? Difficile dirlo, perch� il fenomeno non pu� mai
essere catturato dalla riflessione. La neurobiologia moderna sospetta che si tratti
di un fenomeno �sottocorticale�, cio� di qualcosa che nasce dallo strato
primitivo e irrazionale del cervello. Da qualche parte, sotto la superficie,
ribolle
ed esplode improvvisamente come un vulcano. Per quanto esistano sismografi in
grado di misurare anche i pi� piccoli movimenti della Terra, nel caso del ridere
le cose stanno in maniera diversa: nessuno pu� prevedere con sicurezza che cosa
pu� generare una risata. Qualche volta scoppia senza motivo. Si manifesta come
un�insieme di linee sul volto, prima invisibili, che per� si consolidano nel tempo
e arrivano a caratterizzare l�aspetto di un uomo, proprio come se fossero la sua
firma. La simmetria del viso viene tesa al massimo, fino a lacerarsi: la bocca,
che solitamente restituisce suoni sfumati e che rappresenta il luogo del
significato e dell�espressione, proprio questa stessa bocca si apre e comincia a
tensione, o al riso che risulta dal semplice humor, cio� da una disposizione
assunta intenzionalmente e nella quale la soglia del riso viene posta molto in
basso: l�humor � un humus su cui l�essere umano cresce particolarmente bene.
C�� per� anche il riso folle, di cui nessuno conosce mai completamente il motivo
e che � cos� pervasivo da essere interminabile. E c�� il riso infantile, che non
coincide necessariamente con quello di un bambino, ma che emerge in una
situazione di imbarazzo o quando le situazioni sono troppo complesse rispetto al
soggetto che deve affrontarle. E infine c�� il riso come fenomeno sociale, tanto
importante da spingere a considerare malato chi ride da solo. Questa forma di
riso fonda una comunit� o una complicit� tra esseri umani: nel riso gli amici si
ritrovano o si riconoscono, mentre il loro legame si distrugge nel momento in cui
uno ride dell�altro e non con lui.
Il riso � un elemento fondamentale di ogni cultura. Una storia culturale del
riso potrebbe essere uno dei suoi momenti pi� alti, e tale sarebbe anche la storia
delle maschere del carnevale, cos� come si sono presentate nel corso del tempo e
nei luoghi pi� diversi: siccome nessuno potrebbe ridere in maniera permanente,
ci sono maschere in cui il riso viene fissato in maniera stabile. Per molto tempo
il cristianesimo ha considerato il riso come una prerogativa del demonio:
risuonava dagli abissi del male ed era legato al piacere e al peccato. Il riso
satanico perseguitava gli apostoli e i padri della chiesa fino al punto da indurli
a
negarlo come attributo divino e ad assegnarlo esclusivamente all�inferno. Ma in
verit� il riso � un fenomeno ambivalente: il riso maligno cancella l�amore
cristiano e per la cultura cristiana � inammissibile. Il riso cordiale, al
contrario,
apre il cuore e costruisce, senza alcuno sforzo, i ponti per arrivare agli altri,
punto su cui la cultura cristiana insiste cos� tanto. Uno dei momenti fondamentali
della storia del riso � il Rinascimento, in cui venne scoperta la battuta come
arma: sul modello di Plutarco gi� Petrarca arm� di umorismo interi arsenali.
Nelle novelle rinascimentali erano contenuti lazzi e burle di una grettezza e di
una cattiveria insuperate, tanto che la creazione di storie di questo genere
divenne ben presto una professione. In tali racconti � possibile incontrare
nemmeno di essere padrone di se stesso. Non c�� dubbio che il riso sia legato
all� Illuminismo, perch� presenta i nessi che definiscono tutto il mondo con una
chiarezza luminosa. E si trova in una certa contrapposizione con il pathos del
sublime. Il riso non nasce, per esempio, da un �accordo dei soggetti con se
stessi�, non � un gesto identitario, ma, piuttosto, fa irrompere ci� che �
radicalmente altro e lo fa apparire nel momento in cui l�interiorit� viene
completamente spazzata via. Il soggetto dimentica se stesso, abbandona la
prigione di s� per conoscersi quasi fosse un altro e come non era mai stato prima
d�ora. Fa un salto, appicca il fuoco, si infiamma, e brucia avvampando prima che
tutta questa superficie possa essere percorsa nuovamente dalla riflessione.
Improvvisamente la testa si volge all�indietro, il torace si espande, il soggetto
ride fino a che il motivo delle sue risate non scompare alla vista o all�udito.
Anche se mette in crisi il s� con se stesso, si tratta di una crisi salutare: chi
ride
prende aria e guadagna forza da mettere nuovamente al servizio della vita. Per
questo, nel �Tentativo di Autocritica� (1886) alla Nascita della tragedia
Nietzsche scrive: �Dovreste imparare innanzitutto l�arte della consolazione
dell�al di qua � dovreste imparare a ridere, miei cari amici�.
Ma chi crede che il riso sia il contrario del pensiero � uno spirito molto
semplice, e forse anche un po� pesante: il riso, infatti, ha bisogno di un pensiero
veloce, pi� rapido di quello tipico di un soggetto che pensa soltanto. Il riso
rappresenta uno strumento di conoscenza che compenetra come un lampo ogni
oggetto che gli si trova davanti. Democrito rideva su tutto perch� sapeva tutto.
Per lui tutta la vita, nella sua banalit�, non valeva niente. Ma quando la ragione
si nega il riso, lo fa solo perch� � il riso stesso a far emergere una ragione
diversa, una ragione che ride e deride le abitudini, le norme e le convenzioni,
prendendosi gioco di quella ragione che �pretende di avere l�esclusiva sulla
ragione�. Il fatto che il riso unifichi facolt� inferiori e superiori si mostra gi�
solo, come del resto sosteneva anche Aristotele, nel fatto che il suo effetto �
esilarante 6 (zwerchfellersch�tternd): il diaframma (Zwerchfell) � la soglia tra la
zona inferiore e quella superiore dell�essere umano e le sue vibrazioni si
diffondono sia verso l�alto che verso il basso; quando procedono verso il basso
toccano gli organi della digestione, mentre quando vanno verso l�alto toccano le
vette dello spirito. Questo � il motivo per cui la parte andata perduta della
Poetica di Aristotele faceva seguire l�esposizione del riso alla teoria della
tragedia. Come nella tragedia, anche nella commedia avviene una catarsi, una
purificazione, una guarigione dal dolore e dalla sofferenza, che pu� avvenire con
l�aiuto del riso. La situazione scenica � in entrambi i casi tragica e, in entrambi
i
casi, gli occhi si riempiono di lacrime. Ma non si tratta mai di un�eliminazione
del tragico o del suo superamento, ma solo della vita e del fatto che si deve in
qualche modo tirare avanti.
Nella quotidianit� la commedia non � sempre disponibile, e per questo c��
bisogno dell�arte di ridere, cio� di uno strumento pi� vivace. Un simile
strumento � dato dal Witz, dalla battuta. Il Witz � una macchina per ridere. Gi�
nella retorica antica si disponeva che le comiche andassero messe insieme e
radunate tutte da una parte. Ma a differenza di quanto pu� apparire di primo
acchito, non � un�impresa facile: il comico, per essere tale, deve cogliere il
momento giusto e il contesto appropriato. La sua tecnica consiste nel dire
qualcosa in maniera sorprendente e inattesa. Il suo scopo deve essere la
creazione di un punto di svolta. Per questo il comico ha a che fare con
connessioni insospettate, con giochi di parole, con rischiaramenti improvvisi di
stati di cose, con spiegazioni che si concludono con un occhiolino e dicono tutto
con una densit� elevatissima. Qualcuno potrebbe anche non ridere alle battute di
un comico, e altri potrebbero smettere anche di ascoltarle. A volte un singolo
spostamento semantico rende possibile uscire dall�ordine abituale del discorso,
come una finestra che viene aperta e richiusa dopo un attimo. Il Witz � una crepa
attraverso la quale il dionisiaco entra, almeno per un momento, nel quotidiano. Il
pensiero viene attraversato da un lampo dello spirito, che attanaglia tutto il
resto
del corpo. Nell�antichit� si era consapevoli del fatto che � difficile parlare
comicamente del comico, e anche in et� moderna molti ritengono possibile fare
battute a comando, ma mai fare battute sulle battute. Qualche obiezione viene
sollevata da quei clochard che un giorno giunsero alla convinzione che i racconti
comici fossero diventati troppo faticosi. Cos� decisero di numerare i tipi di Witz
e
di richiamare solo il numero rispettivo su cui tutti avrebbero dovuto ridere
obbligatoriamente. Questo fu uno dei primi club comici. Quindi, numeravano le
battute, arrivando fino a 100. E il gioco poteva cominciare. �101�, disse allora
uno. Tutti rimasero in silenzio, attoniti. �Perch� non ridete?�, disse quello
risentito, �questa � nuova!�.
L�alternativa allo sganasciarsi dalle risate � il sorriso, pi� controllato e, di
conseguenza, anche pi� sfumato. Non si tratta di una mera espressione affettiva,
ma di un atteggiamento di piena consapevolezza, che si esprime in una mimica
dominata dalla riflessione. Il sorriso ha la sua sede sulle labbra e gioca con gli
angoli della bocca, ma ancora di pi� risplende dagli occhi. In maniera magica e
incantevole si apre agli uomini e diviene accessibile anche agli altri. Ma, quando
il s� lo decide, il sorriso � capace di marcare anche una certa distanza rispetto a
una situazione e pu� essere anche adatto a esprimere tale distanza. Tutta la scala
del sorriso si pu� vedere in un film americano (regia di Mike Newell), una
storiella da college del 1953, che nel 2003 veniva riproposta per il suo
significato politico � e in particolare per avvertire le giovani donne del pericolo
relativo alla perdita delle loro libert� in una societ� neoconservatrice. Julia
Roberts, nel ruolo della storica dell�arte Katherine Watson, incarna la libert�
femminile, si afferma in maniera tanto tenera quanto decisa, e sa dare a questa
libert� anche le forme che appartengono al re di tutti i sorrisi: il sorriso di
Monna
Lisa (Mona Lisa Smile �, appunto, il titolo del film). In questo film viene
presentata una vera e propria enciclopedia del sorriso: tutte le forme vengono
rappresentate dall�attrice, che � in grado di mutarle di momento in momento in
maniera straordinaria: timido, imbarazzato, abbozzato, in attesa, abbattuto,
disinteressato, nervoso, sorpreso, furbo, ironico, amichevole, felice, triste,
fiducioso, tenero, lezioso, lascivo, accusatorio, comprensivo, di approvazione,
riflessivo, coraggioso, di sfida, determinato, meditabondo, altezzoso, saggio,
preoccupato, liberato, disperato, antipatico, di disapprovazione, indulgente,
cresciuti o con cui, attraverso abitudini comuni, si � dato forma a una vita che
ora invece deve essere affrontata in piena solitudine. Tanto pi� dolorosa � la
perdita, tanto pi� peggiora l�esistenza: l�altro era o � il polo altro della vita,
non
solo in positivo, ma anche in negativo, un punto fermo per sviluppare contrasti e
confronti: per questo � cos� difficile rinunciarvi. Quando la tristezza perdura
senza trovare un posto nella struttura del s� pu� diventare una malattia. A questo
punto � importantissimo darle �senso�, cio� capire in che modo sia connessa con
la vita di chi la prova. Il senso della tristezza potrebbe trovarsi nell�esigenza
di
restituire la polarit� alla vita e provare nuovamente sentimenti che non siano solo
gioia, contentezza, amore e passione. Se non si esaurisce tutta la gamma dei
sentimenti, infatti, il s� incappa nel nichilismo, per il quale tutto sembra
indifferente e metafisicamente noioso. Per fare un�esperienza compiuta
dell�essere umano c�� bisogno di tutti i sentimenti in tutta la loro
contraddittoriet�. Non a caso l�Antico Testamento preferisce il pianto al riso
(Ecclesiaste 7,3): l�incontro con la grave insondabilit� della vita fa maturare il
s�
come nient�altro. Pur rischiando di essere fraintesi, si potrebbe dire che bisogna
gustarsi e provocarsi artificiosamente la tristezza fino a toccare il fondo.
Sebbene la tristezza possa assumere forme specifiche, � difficile configurare
l�essere della tristezza, anche perch� si tratta di un fenomeno per molto tempo
disprezzato. Un� arte del rattristarsi potrebbe quindi consistere nel garantire a
una giornata triste tutti i suoi diritti, dove importante � cercare accoglienza non
nel mondo esterno, ma in se stessi, trovare il fiato per i tempi futuri e diventare
consapevoli del suo valore. Il cielo grigio non ci fa vedere nemmeno un raggio
di sole. Indifferente alla condizione umana, la tristezza cade dal cielo con una
tranquillit� snervante, fredda e umida come la pioggia. Le lacrime interiori che il
s� consuma scorrono sul lato esterno della finestra, come se rigassero le guance.
Oltre al pianto esteriore, visibile, c�� anche quello che avviene nel silenzio,
nell�interiorit� di un essere umano che si trova solo con se stesso, ma che in ogni
caso inumidisce la retina; forse perch� ci sono lacrime che abbiamo gi� pianto o
anche perch� la tristezza non vuole o non deve passare. Fare posto alla tristezza
succede quando non ci si pu� consolare della tristezza, quando quest�ultima non
� solo un �modo di reagire alle pressioni�, come lasciano credere i dizionari di
pensiero positivo?
Una forma particolare di tristezza � quella di cui non � mai possibile trovare
il motivo: si tratta di una tristezza non specifica, non legata a una situazione e
inconsolabile. Una tristezza non specifica, continua, un �dolore cosmico� e
sconfortato. Questa tristezza legata alla �vita� e al �cosmo� prende il nome di
melanconia, una condizione di infelicit� che probabilmente desidera la felicit�,
senza per� ritenerla davvero possibile. La melanconia � un modo di essere di
un�anima che soffre costantemente e prova angoscia, senza che questi sentimenti
possano essere intesi come espressione di uno stato patologico. La melanconia
viene accompagnata e innescata da una coscienza altamente riflessiva, che si
concentra sull�esperienza della mancanza di fondamenti, ritenuta incontestabile;
una coscienza tragica a cui la vita corrisponde molto pi� di qualunque rifiuto
della tragedia; un sapere della fragilit� di tutto ci� che viene creato dall�uomo,
della nullit� della stessa esistenza umana e della friabilit� del terreno che ci
sta
sotto i piedi.
Non si tratta forse di una �depressione reattiva�, magari dovuta a una caduta
di tensione cronica o acuta? Oppure di una �depressione endogena�, che deriva
dalla costituzione biologica di chi ne � affetto e che, probabilmente, � patologica
e imparentata con la psicosi? O, ancora, di una �depressione noogena�, che
deriva da pensieri negativi, ma sostanzialmente falsi, e che pure pu� essere
diagnosticata come �sofferenza per l�assurdo�? Ma la condizione della
melanconia deve essere distinta da ogni forma di depressione, da un irrigidirsi
mondo e della vita. Ludwig Binswanger, nel suo studio Melanconia e mania
(1960) comprende la melanconia come un �disturbo� della coscienza del tempo.
Ma Binswanger dedica troppa poca attenzione alla domanda relativa all�unit� di
misura del tempo che permette parlare di un disturbo della coscienza. Certo �
che il tempo oggettivo appare come una successione lineare, mentre nella
modernit� il melanconico torna a una temporalit� tipica delle culture non
moderne, il cui andamento � ciclico e spiralico. La melanconia, che si diffonde
con violenza nella fase avanzata della modernit�, pu� essere interpretata come
reazione alla predominanza di una concezione lineare del tempo e alla frenesia
estrema del mondo moderno. Il melanconico mette il dito nella piaga del tempo
tipico della modernit�, che non ha alcun rapporto con la sua esperienza
personale. Una situazione melanconica nasce perci� quando si manifesta una
divaricazione tra tempi diversi: a quel punto il s� si sente sopraffatto dal
passare
del tempo e da tutto ci� che � passato, a cui viene rinviato di continuo senza
poter pi� trovare nel presente un atteggiamento per fronteggiare
quell�esperienza. L�abisso insuperabile tra le diverse concezioni del tempo porta
a una �coscienza infelice�, che chiarisce il significato dell�incessante
�rimuginare� dei melanconici. Quando l�infelicit� � abissale non � mai possibile
superarla �definitivamente�, ma comprenderla come guadagno per impostare
una vita diversa, dal cui punto di vista la vita vissuta pare superficiale e
insignificante.
Resta aperta la questione relativa alla vivibilit� dell�infelicit�, che porta a
indagare le possibilit� di stringere amicizia con la melanconia, ammesso che lo
si voglia. Stringere amicizia con la melanconia significa stabilire una relazione
con essa, perch� esiste anche in quel s� che non vi instaura alcun rapporto. Una
relazione di amicizia, perch� � necessario fondare un legame forte, che tuttavia
conservi la libert� di entrambi i suoi lati. Non un amore, che potrebbe portare
alla simbiosi, che implica, da una parte, l�identificazione dei due lati e,
dall�altra,
un� ostilit�, che tende a escludere la melanconia. Il rapporto di amicizia, invece,
permette di fondare una vita insieme, tale da garantire la sopravvivenza, tanto
del s�, quanto della melanconia. A questo punto � possibile definire i tempi del
s� e quelli della melanconia, nei quali si tiene conto della pragmatica e delle
abitudini quotidiane che devono essere inscritte in un orizzonte condiviso:
passeggiate regolari, nelle quali ci si abbandona a pensieri malinconici, il
momento sacro in cui si ascolta la musica che risveglia un sentimento di
melanconia; e anche l�apprendimento di danze in cui la melanconia pu� trovare
una forma per esprimersi, cos� come la confidenza con quadri o poesie, dove la
melanconia ha gi� trovato la sua espressione. Importante � inoltre l�erotismo che,
grazie agli stimoli sensibili, fa in modo che la melanconia non perda il filo della
vita, e la cura del proprio giardino che, con il suo ciclico nascere e morire,
rappresenta un�alternativa alla concezione lineare del tempo. Cos�, un
accomodamento pragmatico per la melanconia romantica pu� ridurne l�aspetto
straziante, che a volte pu� portare il s� all�autodistruzione.
Il tentativo di stringere amicizia con la melanconia non � motivato solo dal
modo in cui ciascun individuo porta avanti la sua vita, ma anche perch� ci si pu�
prospettare un� epoca della melanconia, una crescente sensazione di assurdit�
verso tutto e tutti. In questo senso essere amici della melanconia � addirittura
necessario. Questa necessit� pu� essere implicata da una certa percezione del
mondo moderno, anche se non si pu� mai dire con certezza che
un�interpretazione di questo genere sia data solo da un punto di vista �negativo�.
Pare comunque sensato non ritenere questa percezione come l�unica possibile,
anche perch� gli stessi fondamenti della melanconia sono relativi e devono
perci� essere visti sempre in riferimento al s� melanconico e al suo modo di
interpretare il mondo. Non sar� mai necessario affannarsi a �guarirne�, perch�
farlo significherebbe sconfiggere con strumenti secolarizzati quella che molti
autori cristiani hanno gi� cercato di interpretare come una sventura. Resta aperta
la questione se l�abissale infelicit� provocata dalla melanconia possa trovare
corrispondenza nella concezione cristiana della vita o opporvisi: nel
cristianesimo d�oriente, ortodosso, dove la tristezza melanconica ha trovato la
sua pi� piena legittimazione, si assume una posizione diversa rispetto a quello
meditativa e un grido disperato, una battaglia per ogni singola formulazione, per
ogni parola, per ogni concetto da trovare e da provare, prima di capire se
�lasciarlo o meno�. Sebbene i suoi commenti provochino �l�orticaria�, la lettura
di un�altra persona � sempre molto utile, anche perch� in questo modo �
possibile capire che cosa abbiamo scritto.
Nello scritto si esce fuori di s�: un�esperienza estatica sotto ogni profilo.
Amare profondamente questo lavoro e un attimo dopo odiarlo con disgusto:
questa � l�esperienza della scrittura. � straordinario sperimentare sulla propria
pelle quanto un problema puramente spirituale, una formulazione linguistica o
concettuale possano ripercuotersi anche sulla condizione del corpo e dell�anima,
fino ad avere gli incubi quando �non ubbidiscono�. Come si respira bene, com��
bella la sensazione contraria: �Ah, come mi vengono le parole�, una gioia che
pu� essere cos� straordinaria da ripagare ogni fatica. Questo sconvolgimento pu�
toccare lo spirito, ma anche l�anima o il corpo. In ogni caso � un�esperienza
vitale: arrivare a un �punto morto�, a una profonda scissione con se stessi e con
il mondo, per risalire nuovamente la china, per ritrovare un accordo pieno con il
mondo e con se stessi. Per chi scrive, vita e morte si fondono: non si sa pi� quale
sia la vita e quale la morte; vivere nello scritto, che apparentemente � privo di
vita, ma che in verit� pu� vivere ancora quando non si � pi� al mondo.
Lo scritto ha conseguenze sulla costituzione del s� e sulla sua relazione con il
mondo. Fissa la verit� � e nello stesso tempo la pone in questione. Chi scrive ha
un�impressione intensa della puntualit� di ogni realt� e della problematicit� di
ogni espressione. La realt� di un fenomeno sembra raggomitolata attorno a un
punto e lo scritto ha la funzione di sbrogliare la matassa, di sviluppare una serie
di parole e frasi che di sicuro non possono restituire esattamente quel punto; ma
come potremmo rinunciare a parlare e a scrivere? Ogni espressione cede il passo
alla realt�, che deve pur sempre trovare un�espressione; non resta altro che
l�inquietudine sulle cose e sulla costruzione del mondo umano in generale, la cui
costituzione non � altro che linguistica. Nello stesso tempo il s� si stupisce
della
molteplicit� di tratti che possono essere colti nella scrittura e nel linguaggio, e
la storia della vita di colui che legge. Lo scritto regge e dirige il lettore,
guidandolo nella chiarezza fuorviante delle lettere attraverso lo spazio ampio,
bianco delle possibilit�. Nella loro nuda evidenza le lettere � che non possono
mai dire a priori se dalla loro composizione nascer� una frase dotata di
significato � sono le ombre di un mondo illuminato e producono i contorni che
permettono al s� di orientarsi al suo interno. Si pu� dubitare che la lettura
permetta di decifrare il �vero significato� dei segni scritti, ma tutto questo �
irrilevante. Si legge, i segni vengono interpretati, e nella loro costellazione il
soggetto scopre se stesso trovando la sua strada. Raccogliendo i segni, che rivede
e riformula continuamente, il s� diventa poco a poco se stesso. Il dramma della
significazione ha come suoi protagonisti il segno e il lettore: il gioco caotico
del
primo incontro, dell�estraneazione, del riconoscimento, della separazione, del
ricordo, del sogno di un nuovo incontro. Le schegge della lettura danno forma al
s�, diventano le tessere di un mosaico che, a sua volta, crea un�immagine
colorata.
Legere significa assumere, spigolare, raccogliere. Fin da quando � stata
inventata, la lettura consiste nel raccogliere i segni che qualcuno, in uno spazio
e
in un tempo diversi, ha lasciato; significa assumere una traccia e riflettere su
cosa indichi. Nel segno si nasconde qualcos�altro e leggere significa far parlare
quella voce, oltre il tempo e lo spazio. L�altro parla con me e lascia che io gli
ponga delle domande, risponde in maniera evasiva o direttamente, balla
fastidiosamente sul palco della pagina o si nasconde, pieno di vergogna, tra le
righe. Nella lettura si percepisce sotto forma di segno quanto � stato deposto nel
testo, rappresentato dal corpo delle lettere, scritto. La lettura � una vita
insieme a
un altro, le cui voci parlano attraverso lo scritto. Il suo senso pu� essere quello
di
raccogliere in s� una molteplicit� di voci, queste cominciano a parlare e il s�
deve preoccuparsi di fare in modo che gli entrino dentro, ma senza metterne in
pericolo la polifonia. Fino a raggiungere un punto in cui il s� non sa pi�
distinguere tra i singoli segni e le intere frasi nate dal testo che sta leggendo e
quelle che sono state lette da altri. Riprendendo in mano il libro in un altro
per accedere all�altro, non � una finestra sul mondo, e nemmeno la via per la
formazione del soggetto. Ma un modo di leggere al quale non si riesce ad
attribuire un significato in rapporto a se stessi, che non tocca e non d� forma,
che
� assurdo, in tutti i sensi. In Cos� parl� Zarathustra Nietzsche si prendeva gioco
di questo sviluppo obiettivistico della lettura traendone le somme in �Sul leggere
e scrivere� in questo modo: �Ancora un secolo di lettori e lo spirito comincer� a
puzzare�.
Con la lettura oggettiva si diffondono tecniche di lettura puntuale e cursoria
grazie alle quali diviene possibile estrapolare singoli passaggi di un testo senza
tener conto della sua globalit�; e in questo modo risulta possibile �lavorare� su
un gran numero di scritti. La lettura intensiva e ripetuta di uno stesso testo,
tipica di altre epoche, viene sostituita da quella progressiva e per esteso di
testi
sempre nuovi e diversi: un riflesso del passaggio caratteristico del mondo
moderno dalla rappresentazione ciclica a quella lineare del tempo. I tentativi di
appropriarsi soggettivamente di un testo, che ciascuno di noi pu� effettuare, sono
riconoscibili nell�abitudine di sottolineare singole frasi, di chiosare o scrivere
note a margine. Nel corso del XX secolo si forma, tuttavia, una tecnica che
consente di sottrarsi completamente alla fatica della lettura: fotocopiare,
un�attivit� che d� l�impressione di aver compiuto un primo passo, mentre il
lavoro �restante�, quello di una lettura accurata, verr� portato a termine in un
futuro indeterminato, anche se di fatto non se ne ha mai il tempo. Questo � il
modo di leggere obiettivistico, che non ha effetti reali n� sul s�, n� sul libro,
pur
lasciando l�impressione di aver svolto un lavoro enorme, perch� gi� dopo una
mezz�ora trascorsa alla macchina fotocopiatrice ci si sente prossimi allo
sfinimento, una sublimazione impressionante del lavoro su se stessi.
La lettura obiettiva domina anche nei media elettronici, il cui spazio virtuale
si origina da quello in cui il lettore si muove gi� da molto tempo. Forse non si
dovrebbe temere cos� tanto la morte del libro, ma parlare di pi� del problema
della lettura per esteso, perch� il mero recepire e rielaborare i segni, che non �
pi� comprensibile come lavoro su di s�, non � pi� legato al libro in quanto tale.
In ogni caso resta aperta la questione del se e del come ci si possa riappropriare
di un�arte soggettiva del leggere, di una nuova lettura esistenziale nella quale il
s� stabilisce una relazione intima con il testo scritto. Chiunque pu� fare un
simile
esperimento per trarre qualche conclusione sul significato di questo contatto
sensibile e spirituale, sulla possibilit� di rinunciarvi nel mondo virtuale-visuale
dei media elettronici. Proprio nell�epoca in cui pi� fortemente viene messo in
discussione, il leggere, e forse anche la lettura ad alta voce, possono diventare
nuovamente un�esperienza straordinaria. E ancora una volta, come dice
Foucault, �per sognare� non ci sarebbe bisogno di �chiudere gli occhi, ma di
leggere� (postfazione del 1966 a Gustave Flaubert, La tentazione di
Sant�Antonio, 1874).
La lettura porta a esplorare mondi altri e lontani. Il potere dello spirito, che
materialmente � costituito dalle lettere, li rende concepibili; fa in modo che la
propria vita si manifesti sotto una luce diversa. Ma la situazione in cui vive
Salim, che spera soltanto di poter �catturare per un minuto, lungo ed eterno, un
raggio di sole�, � di fatto inconcepibile. Salim non � cieco, anche se ormai non
ne � tanto sicuro, perch� non ha nemmeno la possibilit� di capirlo davvero.
Salim vive in una tomba, in una notte eterna, in una fossa che gli lascia solo la
possibilit� di respirare. La notte che non conosce giorno diventa il suo mondo,
non solo attorno a s�, ma in tutto il suo essere: notte e nient�altro. Senza
stelle.
Senza una stella fissa. Una vita nella pi� �estrema privazione�. L�aria � umida,
puzza di muffa e di urina. La pelle � sparita sotto uno strato di lerciume ormai
pienamente tangibile. Dopo molto tempo a pancia sotto e lo sguardo rivolto
verso il pavimento, preme la fronte a terra per rinfrescarsi e per sentirsi almeno
un po�. Tutta la situazione � stata pensata per farlo soffrire, per protrarre la
sua
aveva fatto nel XVII secolo, ma questa volta non solo in teoria, ma anche nella
prassi e nella vita: �Un pensiero dissolto da tutto il resto�. Dissolto soprattutto
da ogni corporeit� o sensibilit�: �Soffrivo dolori cos� grandi, torture cos�
atroci,
che mi staccai lentamente dal mio corpo vedendomi alle prese con una lotta
contro gli scorpioni che erano nella buca dove anche io mi trovavo. Ero oltre.
Stavo dall�altro lato della notte�. In un caso come questo resta solo il pensiero,
e
proprio quest�ultimo deve essere rafforzato con parole, pensate e pronunciate,
recitando poesie, ricordando storie, inventando racconti. Il pensiero deve
raggiungere un��acutezza assoluta e feconda�, senza suscitare illusioni o
speranze, che in una situazione del genere possono risultare letali, perch� le
delusioni portano alla disperazione.
Il lettore si ritrova involontariamente a pensare di nuovo a quelle tentazioni
nel deserto egizio di sant�Antonio, che tuttavia aveva intrapreso la lotta contro
l��inferno� volontariamente. Perch� l�inferno non sono solo gli altri, ma anche i
demoni interiori e le chimere. Salim si mette in questa situazione
involontariamente, ma le sue armi sono le stesse: quelle del suo spirito. Che si
attaccano al corpo: �Per raggiungere lo spirito � necessario innanzitutto
preparare il corpo, respirare profondamente fin nello stomaco, concentrarsi
attentamente sul lavoro della respirazione�. Poi: nessun sentimento, soprattutto
nessuna rabbia, odio, o tristezza; nessun ricordo di relazioni o di abbracci,
perch� ora �ricordare significa morire�. Quelli peggiori sono i ricordi dei
profumi della �piccola felicit� quotidiana�: caff� appena fatto, pane� La
nostalgia ti spezza il cuore. Nessun desiderio, ma solo un essere puramente
spirituale che si rivela in grado di catapultare il s� fuori da se stesso
sollevandolo
al di sopra di questa vita. Rientrare nel proprio pensiero e conservare il proprio
nome �come un testamento�, �ricostruire tutte le cose nel proprio spirito�:
coltivare un giardino con i propri pensieri, costruire una casa, una quotidianit�,
tale che il s� possa rifugiarvisi in ogni momento senza destare sospetti.
Il tempo che passa non esiste pi�. Salim capisce che il tempo esiste solo
quando esistono anche il movimento e il mutamento. Cerca di vivere senza
tempo, senza et�, �in un istante permanente� �fondendosi con il nulla�. Impara i
modi pi� svariati del silenzio e arriva a distinguerli con un fiuto sottile, e lo
stesso impara a fare con il canto di ogni singolo uccello che sorvola la piccola
presa d�aria della sua cella. Comincia a farsi strada una folle creativit� che
impara a costruire aghi e rasoi con il metallo di una scopa, a progettare strategie
di movimento contro l�inerzia che affligge il corpo costretto a vivere in una fossa
angusta, a vincere i dolori con rappresentazioni di dolori ancora maggiori, si
inventa un cane che, passando di cella in cella, rende possibile la comunicazione.
L�amico fidato diventa la morte, che sta in agguato a ogni angolo. Ma
paradossalmente � proprio la morte a riportare la luce, almeno per un momento.
� la morte il compagno di cella che, uno dopo l�altro, tutti devono sopportare o
quello di cui resta vittima chi comincia a sbattere la testa contro il muro: quelli
che restano devono seppellire i morti sotto la luce del giorno: �La morte si
trasforma in un magnifico raggio di sole�. E anche quando questo privilegio
viene tolto, la luce diventa questione di immaginazione.
Pensare alla luce e alla primavera rende possibile anche sopportare il fetore
degli escrementi e del vomito. Un solo raggio di sole d� una forza che permette
di sopportare qualunque cosa. Lo stesso vale per la luce interiore, di cui quella
esteriore � soltanto una metafora: la trascendenza, l�oltrepassamento di s� verso
qualcosa di totalmente diverso, diventa affare dello spirito, che comincia a farsi
il concetto di un nesso, di una connessione, che abbraccia qualunque cosa e nel
cui spazio il s� si sente come annullato. Per Salim, che prima era molto poco
credente, questa rappresentazione acquista sempre maggior plausibilit�, unita
alla convinzione di non dare ascolto a nessuno e nemmeno a se stesso: �In quei
momenti sentivo solo Dio�. Fino a realizzare un sogno: toccare la pietra nera alla
Mecca e testimoniare che un essere umano pu� vivere vent�anni in una fossa
cibandosi soltanto di Dio, parole, fagioli, pane secco e acqua, solo grazie alla
forza del proprio spirito. Poi qualche notizia sul lager trapela. Un�attivista dei
diritti umani comincia a fare di tutto, i giornalisti informano l�opinione pubblica
di una nazione. La forza dello spirito � anche questo�
due aree specifiche del cervello: da una parte l� amigdala, una struttura doppia, a
forma di mandorla, localizzata al di sotto della grande corteccia cerebrale
(subcorticale), quasi al centro della testa, che rappresenta il centro del
sentimento, dove le informazioni �colorate emotivamente� vengono rese
avvertibili ed esperibili, motivando l�attenzione e innescando le reazioni. Un
proposito e la sua attuazione vengono qui valutati con particolare riferimento a
criteri come la paura e il terrore; qui si trova anche la sede che permette di
stimare se il s� pu� sopportare qualcosa o meno. I danni ai due lati dell�amigdala
hanno, infatti, come effetto uno �squilibrio affettivo�. In stretta armonia con
l�amigdala si trova la parte anteriore del cervello (a cui appartengono i circuiti
corticali del pensiero cosciente), e in particolare l�ambito orbitofrontale della
corteccia prefrontale, che � della massima importanza per l�espansione della
coscienza. Qui si conserva la storia del s�, vengono salvati i dettagli dei nessi
spazio-temporali, esaminati i rapporti sociali e formati i concetti strategici. E
qui
hanno luogo quelle valutazioni che possono essere ascritte alla saggezza, nelle
quali si integrano anche le informazioni che provengono dai sentimenti, i quali
vengono tenuti a freno proprio grazie a questa zona del cervello, che contrasta
anche l�arbitrio degli affetti, delle passioni e dell�aggressivit� e testa la
legittimit� di tali atteggiamenti volta per volta analizzando sempre le possibili
conseguenze. In una prospettiva evoluzionistica, si potrebbe sostenere che il
pensiero sia nato dall�esigenza di contenere lo straripare dei sentimenti. E i
sentimenti sono perfidi: non vengono innescati solo dalla realt�, ma anche da
una rappresentazione della realt�, che pu� anche essere una chimera.
Per poter operare, il s� integrale deve tener conto di questa struttura che �
anche la sede della ponderazione, o della connessione del pensare e del sentire.
Questa parte specifica del s� � quella che coglie cognitivamente ed emotivamente
tutto ci� che accade e che, a sua volta, fornisce al pensiero e al sentimento gli
impulsi che rendono possibile ci� che deve accadere, ed � anche la sede del s�
integrale, dove pensiero e sentimento si incontrano e dove il moderatore interiore
pu� prendersi a cuore una partecipazione adeguata di entrambi questi lati alla
vita del s�. La pretesa occasionale di �prendere sul serio i sentimenti� mira alla
percezione delle informazioni che si irraggiano dall�amigdala, senza bloccarle o
addirittura negarle. �Non seguire sempre i sentimenti� significa invece evitare di
farsi imporre di continuo, e acriticamente, da questa corrente di informazioni
l�atteggiamento da assumere nei confronti di una certa situazione. La
cooperazione tra il piano corticale e quello subcorticale appare dunque
essenziale per la formazione della facolt� della riflessione, che possiamo
considerare come quella capacit� cognitiva ancorata nella corteccia prefrontale
che contribuisce a rendere le emozioni salvate nell�amigdala una motivazione per
l�agire del s�. Quali dei due piani ha il primato nelle situazioni incerte?
Un�emozione come la paura o l�angoscia � di fatto pi� forte e la reazione fisica
innescata dall�amigdala � pi� veloce della coscienza. La gestione consapevole
delle reazioni provocate dall�amigdala � possibile, ma ha bisogno di una lunga
ristrutturazione dei modelli neuronali, percepibile come cambiamento delle
abitudini del soggetto. Questo passaggio � necessario per la conquista della
saggezza, che per� pu� essere raggiunta anche con altri strumenti.
�Stupido� � allora l�esito di cui non si pu� non prendere atto � ma che in verit�,
insito nella cosa stessa, pu� essere usato per raggiungere uno scopo pi� distante,
sia anche in rapporto a deviazioni o errori considerati impossibili. Per tutte
queste buone ragioni Nietzsche (in un frammento presente nel suo lascito dal
titolo �La nuova gerarchia� dell�estate-autunno 1884) apprezzava la �sapienza
dionisiaca� come quella che �sceglie la via pi� coraggiosa e difficile�,
scorgendovi tuttavia anche il �principio della somma stupidit�. Si diventa saggi
e sapienti in maniera implicita, non in maniera evidente e, cos� si pu�
concludere, non seguendo una via retta. La stupidit� � l�astuzia della saggezza,
con la quale � possibile realizzare nonostante tutto una propria rappresentazione,
anche perch� oltre gli abissi si profilano interessanti alternative che prima
apparivano assolutamente inconcepibili.
Un�astuzia intenzionale della ragione, posta come forma pi� ampia di
intelligenza, non consisterebbe quindi in altro che nel servirsi del pretesto della
stupidit�, per fare esperienza di ci� che normalmente resta precluso agli uomini
intelligenti, che devono gi� �sapere tutto�. � sorprendente notare quante volte si
scelga la via opposta: addurre come pretesto l�intelligenza per non sembrare
stupidi. La stupidit� � inevitabile. Ed � divertente vedere come l�intelligenza,
misconoscendo questa base della conoscenza, ci faccia desiderare di ricorrere,
anche inconsapevolmente, alla stupidit�. Peccato che un accesso intelligente alla
stupidit� sia votato allo scacco prima ancora di essere effettuato: non esiste
un�intelligenza in grado di riconoscere la propria stupidit�, la sua impossibilit�
a
comprendere la realt� delle relazioni tra se stessa e il mondo; anche perch�
quand�� che si pu� dire che queste relazioni sono davvero �reali�? Si pu� per�
conquistare un minimo di stupidit�, cio� un�intelligenza limitata, ovvero
cosciente dei propri limiti. Ancora pi� comprensibile � la stupidit� degli altri,
per
questo oggetto costante delle nostre minacce: proprio come i cantonieri di
Schilda, che smontano tutti i segnali stradali (o si dovrebbe dire
�decostruiscono�?) senza poi trovarsi in imbarazzo a rispondere alla domanda su
come ritroveranno la strada di casa: nessun problema, abbiamo con noi tutte le
indicazioni 8.
La cosa convincente della stupidit� sono gli sforzi che l�intelligenza umana
pu� compiere per contrapporvisi. Colui che, con la pi� grande intelligenza, canta
le lodi della stupidit� (Erasmo da Rotterdam, Elogio della stoltezza, 1511)
incappa in un�autocontraddizione performativa, cio� afferma qualcosa nello
stesso momento in cui la nega: il plauso spiritoso della stupidit� la deride con
sarcasmo. Con gli occhi puntati sugli sforzi compiuti dall�intelligenza per
evitarla, dovrebbero forse garantirsi i diritti della stupidit�, per dare nuova
linfa
all�antico detto: �fesso e contento�. C�� solo un problema: da uno studio
condotto su pi� di 2000 persone, dal 1932 al 2002, � risultato chiaro che gli
uomini intelligenti vivono pi� a lungo. Resta solo la brutta tragedia: chi d�
valore alla stupidit� accorcia la sua vita. Chi vuole vivere a lungo non pu� non
rinunciarci, anche se � difficile. Tutto sta a capire quando � il momento di dare
spazio alla saggezza e quando alla stupidit�. Ma per farlo ci vuole fiuto.
attivamente: per guardare dalle prospettive pi� differenti, per vivere nelle pi�
svariate situazioni e per esplorare l�orizzonte delle esperienze possibili e
pensabili. Anche una sciocchezza, e perfino un�esperienza brutta o terribile, sono
utili per armare ulteriormente il proprio intuito, che in questo modo pu� recare
ulteriori benefici al contesto complessivo in cui il s� conduce la sua vita, in
rapporto agli altri, alle cose materiali e alle pi� diverse situazioni.
Questo processo pu� essere intensificato dalla consapevolezza, che segue
dall�esperienza e la �consolida�, ovvero dalla prontezza a percepire l�esperienza
medesima, a rifletterci sopra, a comprenderla e a interpretarla con l�unico
obiettivo di appropriarsene. La base della consapevolezza � l�attenzione
sensibile. Si traggono indizi da tutti i sensi: le informazioni sensoriali dei
�sensi
esterni�, che colgono quanto pu� essere significativo per il corpo e per il
contesto in cui vive; e anche ci� che traluce dagli occhi di qualcun altro, quanto
�traspare� dalla sua voce e capovolge quello che sta dicendo, la sua �prosodia�;
la sua mimica e la sua gestualit� e, infine, l�armonia tra tutte queste
informazioni, o il fatto che c�� �qualcosa che non va� rispetto a quanto gi� si sa,
a ci� a cui si � abituati o a quello che si desidera e ci si immagina. Inoltre le
informazioni somatosensoriali del �senso interno� su tutto ci� che accade nel
corpo e del modo in cui reagisce verso l�esterno, e le informazioni sensomotorie
che ci vengono fornite dal senso del movimento corporeo in relazione ai
movimenti del suo contesto.
La consapevolezza pone quindi il problema di un senso pi� ampio, cio� dei
nessi strutturali, delle tracce e delle informazioni nel loro complesso. In
particolare, la consapevolezza pone il problema delle conseguenze da trarre da
una certa conclusione, al fine di correggere il proprio intuito laddove si � illuso
e
di rafforzarlo laddove si � rivelato affidabile. Ci troviamo quindi sul piano della
formazione delle teorie, dove � possibile prendere le distanze e guardare
dall�esterno tutto quello che ci capita. Le esperienze e le conclusioni che se ne
traggono vengono quindi depositate innanzitutto nell�intuito, cos� da farci
trasalire di fronte a un�esperienza simile a un�altra che in passato � stata
dolorosa
o, per fare un altro esempio, da indurci a non valutare con troppa superficialit�
gli effetti di una gioia eccessiva. Solo quando si incontrano i due piani della
ricchezza di esperienze vissute e quello della pronta consapevolezza di fronte a
una situazione � possibile cogliere gli aspetti pi� diversi di una cosa, di una
situazione o di una persona, i dettagli particolari, cos� come le strutture
generali,
che a loro volta permettono di raffinare ulteriormente l�intuito. Sembra dunque
assurdo �guardare sempre avanti� senza mai acquisire una consapevolezza del
proprio vissuto. Viceversa, l�intuito non pu� mai proteggerci pienamente dagli
errori a cui possono indurci le esperienze fatte o pensate: l�intuito � sempre
qualcosa di soggettivo, � una disposizione umana e non certo meccanica.
Per lo stesso motivo l�intuito garantisce che tutto ci� che riteniamo
importante in una situazione si presenti nel momento in cui dobbiamo effettuare
una scelta. Si possono fiutare i nessi vitali tanto quanto le molteplici relazioni
reciproche che possono facilmente sfuggire all�analisi teorica o a una
valutazione artificiale. Si possono utilizzare tutte le capacit� conoscitive del
soggetto, ma anche quelle non-cognitive e non-discorsive: l�intuito coglie
fondamentalmente pi� di quello che il sapere pu� sapere. L�intuito nasce tra le
due vie della consapevolezza e del sentimento e non � obbligato a seguire n�
l�una n� l�altra. Piuttosto gli � possibile cogliere un�atmosfera, tanto poco
concepibile quanto spesso decisiva per creare confidenza tra gli esseri umani.
L�intuito suggerisce quella parola, quello sguardo, quel gesto che pu� essere
giusto per creare un�atmosfera. In questo, infatti, sta la forza di ciascuno di
noi:
influenzare l��atmosfera dominante�, che apre o chiude la bocca di un essere
umano oppure ostacola i suoi sensi. L�intuito � il senso che coglie le sottili
�vibrazioni� degli altri, che incidono anche a distanza, e non solo sull�ambiente
pi� immediatamente circostante. Una �dimostrazione� rigorosa dell��esistenza�
di queste vibrazioni non c��. Ma � un fatto della vita che il pensare a una certa
persona la rende in qualche modo presente.
Rintracciare un correlato neuronale dell�intuito � un desideratum della
ricerca, anche perch� potrebbe permettere una spiegazione del �potenziale di
infine intuisce le lacune del s�, riprende, magari anche passando dalla parte del
torto, il passato e mantiene il s� sulla strada i cui segnavia sono ancorati nel s�
nucleare � senza temere deviazioni o inversioni di marcia. La voce interiore ha
sempre un tono che ispira fiducia e che riporta sempre sulla giusta via (intuito
poristico).
La fiducia nel proprio intuito consente di condurre la vita con una tranquillit�
sempre maggiore e di poter dare rapidamente una risposta alle sfide che ci si
presentano. L�intuito pu� offrire una direzione complessa, e perci� risulta
indispensabile per affrontare la situazione fondamentale della modernit�.
Tuttavia esso pu� anche essere profondamente assillante, per esempio quando si
ha il sentore di difficolt�, intoppi o incompatibilit�. In questi casi � pi� saggio
non dare al proprio intuito il controllo totale, senza �farlo fuori� a tutti i
costi,
ma tenendolo a distanza per rendere sopportabile il suo referto: controllo
dell�intuito. L�artificio della relativizzazione � importante per riportare a una
prospettiva umana tutto ci� che pare essere assolutamente pressante. La
relativizzazione � questione di prospettiva e soprattutto della forma dello
sguardo esterno su se stessi, sulla situazione da affrontare in un certo momento e,
nel complesso, sulla propria vita. Nello stesso tempo questo sguardo � essenziale
al corretto operare di ci� che chiamiamo �coscienza� (Gewissen) 9.
Sulla fabbricazione della coscienza morale
dalla mancanza di armonia con le norme date del pensiero, del sentire e del
comportamento. Un osservatore acuto e sobrio come Michel de Montaigne,
tuttavia, fece piena chiarezza sulla sua origine, fino a quel momento identificata
con un dono del cielo o, almeno, con una dote naturale: �Le leggi della
coscienza, che noi sosteniamo derivare dalla natura, nascono dalle abitudini�
(Saggi, I, 23). Nel corso della modernit� anche la coscienza viene messa in
questione, analogamente a ogni legame con Dio, con la natura o con le
convenzioni: grazie alla libert� di coscienza gli individui divennero liberi da
qualunque intervento fosse indipendente da loro, cominciando ad avvertire come
progressivamente pressanti e ridicole le autorit� religiose, quelle politiche e
familiari, oltre che le direttive morali che ne derivavano. Al loro posto si poteva
pretendere, certo, di seguire ancora le proprie convinzioni. Ma la dinamica della
liberazione, come del resto era prevedibile, ha lacerato anche queste ultime
facendo sostanzialmente scomparire la coscienza.
Ma che cos�� la coscienza? Che cosa viene a mancare quando la coscienza
sparisce? Fin dalla nascita del suo concetto, la coscienza denota un essere, un
fare o un agire �sapiente� (syne�desis nel greco di Epicuro, conscientia nel latino
di Seneca). Dunque: un sapere di se stessi, che ha la funzione di trovare i motivi
per una certa azione o per non fare una certa cosa, per definirne le conseguenze
possibili o verosimili, per mantenere di fronte ai propri occhi il giusto, i
valori, le
norme considerate �autentiche�. Si potrebbe mostrare che qualcosa come la
coscienza morale � indispensabile solo ponendo la questione relativa alla
possibilit� dell� autonomia, che si manifesta nell�autolegislazione e, secondo la
sua forma e il suo contenuto, come un processo mediante il quale �ci si fa una
coscienza�. A completare la liberazione, quindi, pu� intervenire l�altro lato della
libert� di coscienza, ovvero il processo che deve portarla ad assumere una forma
determinata. Pi� importante di stabilire se sia in generale possibile una
formazione della coscienza morale su basi secolarizzate e individuali deve essere
la volont� di cercarle, perch� magari le istanze trascendenti ci faranno aspettare
troppo e forse inutilmente. E che succederebbe a quel punto?
ad annoiarci.
Tra le ombre della vita moderna la noia sembra essere, almeno a prima vista,
un fenomeno inoffensivo. Forse non � nemmeno un�invenzione della modernit�,
anche se � qui che prospera. Il fenomeno, cos� come la parola, esiste da molto
tempo. Ma nella modernit� la noia diventa un vero e proprio concetto. Non si
tratta infatti di un fenomeno al di l� della storia, contemplato da tutti e sempre,
ma del �demone di mezzogiorno�, cos� come viene definita negli scritti del
monachesimo la noia paralizzante, che funesta gli uomini moderni dalla mattina
alla sera e diventa un problema assoluto dell�esistenza. La noia assale chiunque e
in ogni momento, aspettando l�autobus, stando soli a casa, a scuola, assistendo a
un concerto, sul posto di lavoro, nel tempo libero. A volte anche quando siamo a
letto. Un film dura due ore, massimo tre, e poi? Le dimensioni assunte dalla
event-culture restituiscono un�impressione fedele di quanto sia temibile la noia.
Il fatto che la noia diventi tanto pi� pesante quanto pi� intense sono le
esperienze
che dovrebbero ucciderla � fatale. Questa non � altro che la vendetta della vita,
che si rifiuta di diventare quel blocco intenso e compatto, piacevole e godereccio
che i moderni non esitano a chiamare �vivere�. La noia non � che un tentativo di
sabotare la riduzione della vita al puro piacere.
Nel XVII secolo la noia, l� ennui, compare nei Pensieri di Blaise Pascal
pubblicati postumi e viene riferita agli sfaccendati dell�aristocrazia, a cui
Pascal
riservava il privilegio di esperienze simili. Nel mondo democratico moderno,
invece, diventa un fenomeno di massa, anche perch� non � che il prezzo
sgradevole per una vita sempre pi� comoda. La noia diventa cos� la caratteristica
di una societ� in cui la soddisfazione dei bisogni � direttamente proporzionale
alla riduzione della tensione esistenziale. La noia fa emergere la nudit�
dell�esistenza, la semplice staticit� della vita che pu� essere vista come un
vuoto,
come un deserto desolato. Per molte persone la noia assume una dimensione
metafisica e diventa un sentimento della nullit� dell�esistenza e del mondo
intero. La noia pu� essere talmente pericolosa, mortale, che il semplice fare
qualcosa arriva a essere compreso come un atto di vita. Gli uomini sono in grado
di sopportare tutto meno che la loro inesistenza, e gi� da quando sono ancora
vivi; sono in grado di fare qualunque cosa, anche non sempre legittima, per
potersi sentire vivi. Per questo la noia si rivela come uno dei pi� forti motivi
per
atti come l�amore, l�ambizione o il desiderio di potere. Il tentativo di superarla
attraverso l�attivismo, che invece richiama la dinamica della modernit� e quindi
anche la noia, � tragico. Il sospetto che tutta la societ� moderna non sia altro
che
il tentativo di �ricacciare una noia tremenda� � stato sollevato gi� da Georg
B�chner, il drammaturgo della noia, in una lettera del 1936.
� il fenomeno stesso ad aiutarci a rispondere alla noia. Contrariamente
all�impressione di uniformit� che essa ci assicura, la noia pu� assumere forme
diverse: pu� assalirci occasionalmente, pu� comprendere tutta la nostra vita, pu�
essere veniale o mortale, voluta o non voluta. La sua forma innocua,
occasionale, prende vita da una costellazione e da una situazione momentanea,
pu� riferirsi a un tempo in cui non accade nulla e qualificare qualcosa che ci
disgusta. Quando perdura, ogni stimolo o eccitazione si rivelano inutili. Il tempo
si allunga all�infinito e non passa mai. Solo ora il tempo viene percepito
esattamente in quanto tale, e dimenticato altrettanto in fretta, non appena il
divertimento assicurato da qualcos�altro riprende il sopravvento. Un problema
enorme �, invece, quello della forma esistenziale della noia, che aggredisce
l�intera vita e mette in questione l�esistenza intera nel suo stesso fondamento:
alzarsi annoiati la mattina, annoiarsi al lavoro o non lavorare per niente, andare
a
letto pieni di noia, ricominciare noiosamente tutte le volte una stessa esperienza.
Niente ci appassiona, niente di nuovo, nessuna sorpresa. Tutto questo � il nulla
che viene avvertito da chi ha gi� vissuto tutto. La noia, quel fenomeno
tipicamente moderno che porta soprattutto i giovani a pensare al suicidio: non
c�� pi� nessun motivo per vivere, nessuno, ma quel che � peggio � che non ce
n�� nemmeno nessuno contro; ci si sente fiacchi, impossibilitati a impegnarsi in
qualcosa. Tutto � indifferente, mortale, ma senza mai poter morire davvero.
Questa noia veniale, o evitabile, a cui si pu� sempre porre rimedio, deve
essere distinta da quella mortale, o inevitabile, di cui non � possibile fare a
meno. Quale sia la forma in cui questa si presenta e con la quale ciascuno di noi
deve avere che fare � questione di carattere, e ci� nuovamente dipende da una
scelta. Veniale o evitabile � quella noia che pu� essere sopportata con grandi
sforzi, con l�idea di poterla eliminare non appena possibile. Mortale, o
inevitabile, � quella noia che il s� lascia manifestare in piena consapevolezza per
trovarvi una fonte di ispirazione. Infatti, la noia pu� essere immediatamente
improduttiva e non creativa, ma mediatamente pu� essere un luogo fecondo e
creativo. Proprio perch� rappresenta un vuoto e gli d� una forma, pu� contenere
e attrarre molte cose: pensieri mai fatti, incontri imprevisti, esperienze
sorprendenti, rappresentazioni nuove, idee acute, connessioni, nessi che
improvvisamente rivelano �un senso�. Cos� tutto ci� che entra lentamente in
questo contenitore, in questo vuoto, ne esce inaspettatamente. Il presupposto per
tutto questo � mantenere il vuoto veramente tale, senza cercare di riempirlo
frettolosamente e prima del tempo con ci� che gi� si conosce, con distrazioni o
con tutte quelle offerte che provengono da quell�industria nata dall�esigenza di
uccidere la noia e che non fanno altro che mitigare la paura del vuoto,
quell� horror vacui che la noia stessa, in quanto affetto, porta sempre con s�.
Due sono le opzioni che restano fondamentalmente disponibili al rapporto
con se stessi: la negazione o la lotta contro la noia � altrettanto disponibile
dell� affermazione e del riconoscimento di essa. Mentre la prima opzione mira a
dissolverla (col pericolo di non far altro che rafforzarla), la seconda � in
condizione di darle senso e significato, oltre che di rendere giustizia alla sua
funzione. Quando non � pi� possibile sopportare l�esperienza della noia, allora si
pu� provare a interpretarla in maniera diversa o a indirizzarla in qualche modo, a
cominciare dalla noia occasionale: in epoca moderna non c�� bisogno di
Ferie, finalmente!
problemi, per non esserne sopraffatti, ma mai per evitarli. Anche dalla cima di
una montagna, dove in piena tranquillit� il vento fresco accarezza le guance,
suona il telefonino; c�era da aspettarselo: rispetto all�antichit� la modernit�
pone
all�atteggiamento filosofico sfide completamente diverse. Il problema
ultimativo, tuttavia, ci sta ancora di fronte: prima o poi si scende dalla
montagna.
Ricominciano immancabilmente le fatiche della pianura. L�arte di vivere consiste
almeno nella rappresentazione del su e gi� da un polo all�altro: un po� di
montagna tutti i giorni, per non precipitare nelle angustie e nelle paure.
Ma a chi pratica l�arte di vivere tutto questo sembra ovvio� Come si arriva
ad avere questa impressione? A volte � facile: molte cose capitano a fagiolo, si
incontra la cosa giusta al momento giusto. Il segreto di questa vita � per� la
disponibilit� all�impegno, alla fatica per la tranquillit�, con tutte le varianti
disponibili della famiglia del non fare: lasciare aperto, trascurare, lasciare che
accada, far maturare, lasciare qualcosa a qualcuno, affidarsi a qualcuno ecc. La
tranquillit� � il concetto opposto al volontarismo e all�attivismo moderni.
Consiste nel non fare, anzich� dover sempre volere; nel restare occasionalmente
passivi e non essere sempre e solo attivi. Il presupposto necessario per tutto
questo �, in linea di principio, la capacit� di assumere accanto all�attivismo la
passivit� come un� opzione per la formazione della vita. Il s� diventa quindi
padrone di un non fare effettivo, della scelta passiva che viene effettuata per
rinunciare a un intervento attivo, pur con la massima consapevolezza: non voler
influenzare a tutti i costi cose o relazioni, ma essere in condizione di lasciarle
cos� come sono, di farle sviluppare da s�, magari preoccupandosi del proprio
ozio senza cadere nell�iperattivit�.
Il s� che si impegna a stare tranquillo impara a distinguere tra ci� che � in suo
sempre fare altrimenti, affidando alla storia quello che sar� effettivamente
realizzato e cosa non lo sar� mai. � nella condizione di farsi guidare, da idee e
pensieri che lo convincono; da situazioni nelle quali crede; dai bambini, che
ripresentano agli adulti un mondo ormai dimenticato; da chi amano, dagli amici,
dagli uomini di cui si fidano, ma anche dai morti, la cui voce pu� sempre essere
percepita in qualche modo. Non si tratta di dover necessariamente seguire una
certa norma, ma di saper sfruttare queste opzioni, per applicarle l� dove si
rivelano pi� adatte.
E infine chi pratica l�arte di vivere ha bisogno dell�opzione della tranquillit�
definitiva, che deve tener presente quando viene messa in questione la sua
esistenza e, ancor di pi�, quella dell�essere umano in generale. In questo modo
gli si dischiude una dimensione che gli consente di guardare le cose umane da
molto lontano e di poter dire, come fa Seneca nella XCI delle sue Lettere a
Lucilio, �che infima parte del tutto siamo!�. E l�esistenza dell�essere umano,
estesa su tutto il pianeta, si riduce a una puntiformit� che dal punto di vista
cosmico � affascinante, ma evidentemente priva di significato. L�esistenza di chi
pratica l�arte di vivere appare implicata in connessioni pi� ampie, alle quali il
s�
pu� abbandonarsi anche senza averle viste effettivamente. Il fatto che non ne
parli molto ha poco a che fare con la sua presunta ignoranza. Solo il silenzio pare
essere adatto ad argomenti di questo genere: ogni parola determinata non sarebbe
altro che fonte di inadeguatezza. Queste connessioni formano il fondamento
abissale che rende possibile l�atteggiamento della serenit�, il quale, fuso assieme
alla tranquillit�, produce una �serena tranquillit�.
A un primo sguardo la serenit� appare come leggerezza dell�essere,
contrapposta al suo peso, all�angoscia, al dolore, alla sofferenza e alla morte. La
leggerezza dell�essere � insostenibile solo per chi non conosce pi� il peso e la
forza di gravit� che caratterizza la vita. La sostenibile leggerezza dell�essere
nasce, invece, dal confronto con quel peso; si basa su un atteggiamento che �
sempre consapevole dell�esistenza del peso e non tenta di negarlo, ma che
nemmeno ne viene schiacciato. Chi pratica l�arte di vivere conosce quel peso, sa
perch� essa non si sottrae al lato fondamentalmente tragico della vita e del
mondo, ma anche perch� non ne viene annichilita. La serenit� si muove su un
crinale di contraddizioni inconciliabili, e pu� svilupparsi proprio nel momento in
cui prende consapevolezza della loro insuperabilit�. La �pura serenit� che
Goethe attribuiva a Shakespeare ha senza dubbio a che vedere con la tranquilla
coscienza del tragico che emerge nei suoi drammi. E quando Eckermann vede in
Goethe �un essere sublime e sereno� ha in mente quell�atteggiamento che � in
grado di tener presente molte cose in uno stesso istante: tempo, spazio, stati di
cose, e molto altro, compreso l�abisso e la contraddizione tra la piena
consapevolezza della piccolezza estrema del reale e quella del mare insondabile
della possibilit�.
La serenit� � il segno di uno �spirito bello�, di una vita nell�equilibrio, nella
giusta misura, di una �vita simmetrica�, come la chiamava, gi� nel IV-V secolo
a.C., Democrito, il fondatore del concetto filosofico di serenit� (euthym�a). Con
questo termine si intende innanzitutto l�armonia del pensiero, che rende conto
delle condizioni esteriori della vita e del mondo e, in secondo luogo, l�armonia
nel sentire, l�equilibrio interiore relativo alle sensazioni e agli stati del
soggetto;
infine, con �serenit� Democrito intende l�armonia tra il pensiero e il
sentimento. Dal punto di vista neurobiologico questo stesso concetto pu� essere
configurato nei termini di scambio equilibrato tra regioni del cervello diverse,
che rende possibile anche un �s� bilanciato�, ossia un processo di regolazione
omodinamica. Di regola, la simmetria, il bilanciamento, l�equilibrio e l�armonia
non possono essere raggiunti sincronicamente, non in un momento, ma
diacronicamente, nel corso del tempo. Sono ben noti gli spostamenti dell�ago
della bilancia da una parte e dall�altra, ma anche il fatto che nel corso del tempo
i
suoi piatti possono essere di volta in volta riequilibrati, in maniera tale da
riportare alla giusta proporzione la polarit� della vita. Chi elimina uno dei poli
non deve meravigliarsi se poi non � in grado di avvertire nemmeno quello
opposto: come stabilire il significato dello �stare bene�, se non si conosce quello
dello �star male�? Nessuno, certo, ha il dovere di procurarsi arbitrariamente
frutto di mera finzione e altri non ne fanno certo esperienza tutti i giorni. Anche
ammesso che in generale possa essere vissuta un�esperienza del valore della vita,
si tratterebbe sempre di valori possibili della vita, che possono senz�altro anche
non essere. La vita pu� sembrare bella � ma pu� anche essere il contrario. Il
distacco dalla bellezza � una possibilit� reale. Ma non � insopportabile, anzi,
disgustoso, vedere sempre e solo il bello, quello che ci piace? Come ci si
dovrebbe difendere se non con il ribrezzo? Non � possibile provare nei confronti
del mondo, bello e buono, anche una profonda nausea?
A volte si tratta soltanto del fatto che si � stanchi di vivere, una stanchezza
che ci si impone e che ha la sua ragione forse solo nel fatto che i materiali
chimici necessari per lo svolgimento delle attivit� neurali del cervello sono
esauriti e che c�� bisogno di tempo per rigenerarsi, cosa possibile soltanto nel
sonno. Non si sa se ci si trovi di fronte a una stanchezza temporanea, alla quale
si pu� reagire con un po� di ozio, riposandosi o �schiacciando un pisolino�, o se
si tratti di una stanchezza permanente, che deve essere presa sul serio: non voler
pi� vivere la vita, non poterlo pi� fare, essere al capolinea. Pu� essere un lieto
fine: si � stanchi come la sera di una giornata piena, quando ci si gode la propria
stanchezza finch� non � pienamente chiaro che � giunto il momento di andare a
dormire. La vita � stata vissuta nella sua completezza e perde ora il suo senso:
non la vita in generale, ma solo questa che � giunta alla fine.
Qualcosa di diverso dalla stanchezza � il disgusto per la vita, cos� come si
manifesta, ad esempio, nella noia. Mentre in epoche passate era normale (tedium
vitae), diventa un vero problema nella moderna societ� del benessere, in cui tutto
� pronto, non c�� pi� bisogno di lottare per nulla, non ci sono ostacoli da
superare, non c�� pi� nient�altro da fare. Sono a disposizione tutte le
possibilit�,
tranne quella che sta troppo lontano e che ci attrae, per la quale faremmo
qualsiasi cosa meno che realizzarla. Ma in questo modo la vita non offre �niente
di nuovo�, tutto � gi� stato, tutto gi� vissuto: � difficile che gli uomini
moderni,
fissati sulle novit�, come se la vita non fosse altro, possano sottrarsi alle
conseguenze di questo loro atteggiamento. Alla fine sono portati a provare
Per l�arte di vivere il modo di porre la domanda conta meno della definizione del
�senso�, che precede la posizione delle questioni relative a esso e che ha a che
fare con una riflessione che si sviluppa dapprima da un punto di vista formale e,
subito dopo, materiale. Si pu� parlare sempre del fatto che qualcosa �ha senso�
quando � possibile riconoscere i nessi, cio� quando le cose, gli esseri umani, le
datit�, le esperienze non sussistono isolatamente per se stesse, ma si trovano in
relazione le une con le altre. Per questo si pu� affermare che il senso sta nella
connessione, mentre l�insensatezza nella sconnessione. E questo da molti punti
di vista: ogni relazione che sta a cuore agli esseri umani, gli uni nei confronti
degli altri, e condizione di possibilit� di una forte connessione reciproca, pu�
essere detta sensata. Mentre insensato pu� essere un agire che non concordi con
quello degli altri e che, proprio per questo motivo, appaia sconnesso. Insensate
sono quelle idee che non producono alcuna connessione, n� vera n� falsa. Le
connessioni sbagliate conducono necessariamente a qualcosa che non �ha
senso�. Che una connessione di questo tipo corrisponda alla realt� o sia solo il
frutto dell�immaginazione � soggettivo e ha a che fare solo con il criterio della
plausibilit�, ma non pu� mai essere deciso obiettivamente. �Nessun senso� non
significa che non c�� senso � anche se pu� sembrare cos�. Il non-senso (cio� la
negazione del senso), infatti, � qualcosa di diverso dalla mancanza di senso (la
presunta impossibilit� del senso) ed � anche diverso dalla dissennatezza
(l�esplosione del senso).
Gli esseri umani si trovano costantemente di fronte alla domanda esistenziale
sul senso, soprattutto quando viene lacerato il reticolo di connessioni di cui la
realt� � costituita, quando si vivono esperienze abissali, quando ci si mette in
discussione o ci si trova di fronte a qualcosa di inconcepibile e
irrappresentabile,
che viene soggettivato dopo essere stato rapportato agli abissi fisici, psichici e
spirituali, e poi oggettivato in riferimento agli abissi pi� generali,
interpersonali,
sociali e globali. In questi casi si intende innanzitutto la mancanza di senso di
ci�
che accade o � accaduto, e in particolare quando si interrompe una relazione, o
nel caso della �perdita� di qualcuno che rappresentava una parte essenziale del
senso della vita di qualcun altro. Poi c�� la mancanza di senso di tutta la propria
vita, oltre a quella della vita dell�essere umano in generale. Anzi, ancora meglio:
la mancanza di senso di tutto il mondo. Per comprendere la situazione soggettiva
gi� dal suo interno appare sensato andare incontro a questa esperienza
dell�abisso e capire che la vita, la vita dell�uomo e del mondo in generale
possono essere senza senso. Con l�obiettivo di istituire, su questa base, un senso
di tipo nuovo.
Non che la mancanza di senso debba essere superata a ogni costo. � solo che
� difficile sopportarla e conviverci, anche perch� la coesione della vita del s�,
di
un�istituzione, di una societ� diventerebbe porosa e non potrebbe che dissolversi.
Gli esseri umani possono convivere con molte cose, ma non con il nulla, cio�
con quanto resta dopo aver dissolto una certa connessione. Concludendo che non
esiste pi� alcuna connessione, una vita nella quale prende piede l�esperienza
della mancanza di senso � condannata al fallimento. Ed � stupefacente notare
come la domanda sul senso assilli, anche solo in segreto, molte persone, ma
anche che non sono moltissimi quelli che se ne occupano davvero. Porsi il
problema del senso � sintomo di una qualche patologia? Potrebbe essere ancora
pi� patologico non farlo, procedendo in una direzione molto pi� diretta: la
domanda sul senso, che resta senza risposta, � causa di una sofferenza per
l�assurdit�, che porta con s� malattie ulteriori, da trattare in maniera pi� o meno
convenzionale, ma la cui causa originaria resta efficace anche quando non viene
effettivamente riconosciuta. La mancanza di senso, vissuta spesso come
�esaurimento nervoso� (burnout-syndrom), � dovuta allo sfinimento delle fonti
vitali ed � causata dall�incapacit� di vedere le connessioni del fare e del vivere,
dal punto di vista individuale come da quello sociale. Il senso, invece,
rappresenta una risorsa infinita di forze, che lavora come un grande sistema
immunitario la cui funzione � quella di parare difficolt� e pericoli di ogni
genere.
In questo consiste anche la sua importanza: il senso entusiasma e restituisce lo
spirito, il senso nutre. Solo questa esperienza genera forze sufficienti per
affrontare e portare avanti tutta una vita e le singole situazioni che ci si
quello delle proprie relazioni con altri, o quello del rapporto con le persone che
amiamo alla fede in un senso onnicomprensivo. In questo modo, per�, � la stessa
vita umana a perdere il suo valore.
C�� un momento in cui il senso non � pi� disponibile. � allora che comincia
il lavoro del s� sulle connessioni della sua vita, anche perch�, nonostante tutto,
non pu� evitare di darle un senso. La costruzione e la ricostruzione diventano
attivit� ermeneutiche individuali la cui funzione � quella di porre domande
critiche e di creare autonomamente forme, al fine di mettere in opera
un� autonomia del senso che va a sostituirsi alle eteronomie vecchie e nuove. La
fondazione di un senso per se stessi mira innanzitutto a tenere insieme le
connessioni interiori del s�. Questo non significa altro che vedere, trovare,
produrre le connessioni che possono segnarlo. Per questo � fondamentale la
coerenza del s� e in particolare la definizione dei punti fondamentali del s�
nucleare. Con l�aiuto dell�autocontrollo e della forza su se stessi � possibile
concretizzare le connessioni inizialmente solo pensate che, a partire dalla forma
del s�, costituiscono un �campo di senso�. Il senso pi� forte si trova per� in
quella che potrebbe essere detta �amicizia con se stessi�, o conoscenza di s�. Nel
condurre la sua vita, il s� si impegna a creare le connessioni relative alla sua
esistenza e lega le sue parti costitutive, diverse e a volte contraddittorie, in
maniera tale da costruire una forma complessiva. Tiene presenti le grandi linee,
nelle quali si manifesta il senso della sua vita individuale: le idee che possono
essere realizzate nel corso di anni e decenni, con grande tenacia e con una serie
estenuante di piccoli passi, ma anche gli eventi, con tutte le coincidenze e gli
incontri fatali, grazie ai quali la vita, nel corso del tempo, trova se stessa � su
questa via si costituiscono le connessioni che fanno il senso della vita. Per
questo motivo il senso non � immediatamente senso, ma ci sono gradi diversi di
connessione distinti per estensione temporale, per i diversi piani che fanno parte
dell�umano, e quindi in funzione di tutto quello che definisce l�esperienza di una
pienezza di senso in rapporto a s� o anche a tutti gli altri:
3. Senso pensato dello spirito: dal punto di vista del pensiero, il s�, tuttavia,
si occupa del senso in una dimensione pi� ampia, che � legata all�intelletto, e che
soggettive. Questo senso che si trova oltre la vita � questione di certezza sentita
o di assunzione pensata, cio� � la conseguenza di un atto di interpretazione e
comprensione. La connessione che in questo modo ci si squaderna presenta
l�orizzonte pi� ampio possibile, nel quale si pu� inscrivere la propria vita e che
viene spesso legato alla �religiosit� e alla �spiritualit�, anche se non se ne pu�
mai affermare la verit� obiettiva. In ogni caso si tratta di vivere al di l�, in
un�apertura che eccede ogni limitatezza, nella pienezza di un�infinit� possibile
che ha da compensare la povert� di una finitezza reale con la funzione di
riempire il vuoto dell�esistenza tramite un�assunzione metafisica, anche solo
limitata allo stupore notturno per gli spazi e i tempi infiniti delle stelle. Ogni
riferimento che si estende oltre la finitezza pu� diventare fonte di una vita piena
di senso, tanto che il problema della libert� moderna � proprio quello di non
poter pi� riuscire a pensare un�istituzione di senso che si alimenti della
dimensione della trascendenza, ma nello stesso tempo quello di rinunciare
dolorosamente anche alle forze inesauribili che derivano dal rapporto dell�essere
umano con una dimensione che lo oltrepassa. Qui trovano la loro sede domande
alle quali non si pu� mai dare una risposta definitiva, come quella sull�origine e
sul destino dell�essere umano (connessioni antropologiche), del mondo
(connessioni cosmologiche), della fatalit� (connessioni fatalistiche) e della
predestinazione (connessioni deterministiche).
Tra le connessioni di senso ve ne sono alcune che hanno un�importanza
particolare, come quelle, estremamente significative anche per i bambini, che
possono essere dette connessioni narrative, in cui tutto ha senso solo perch� pu�
essere reso oggetto di una narrazione. Questo si capisce se si tiene conto delle
scoperte neurobiologiche, che mostrano come il raccontare storie sia
un��ossessione del cervello� (Damasio). Sviluppando le sue stories, la
narrazione produce il senso, che qui si configura in �immagini�, in avvenimenti
divergenti dalla realt� e in informazioni sulle connessioni, che devono essere
plausibili solo in parte e solo allo scopo di poter essere considerate sensate. Per
questo motivo gli esseri umani si entusiasmano a raccontare storie e a sentirne,
senza mai riuscire a distinguere tra quanto sia frutto di invenzione e quanto
corrisponda effettivamente alla realt�; in ogni caso la narrazione li protegge
dall�esperienza abissale della mancanza di senso. Decisiva � in questo senso la
conciliazione di ci� che � sconnesso, ovvero la convergenza degli elementi che
divergono. Decisivo �, cio�, salvare la nave che affonda portandola sulle sponde
dell�isola delle connessioni, che si trova nel mare della dissoluzione. L�attivit�
correlata all�interpretazione e alla comprensione � potenzialmente infinita; �
sempre nuovamente possibile scoprire connessioni ulteriori, diverse, non ancora
verificatesi, inaudite: la pienezza ermeneutica � una parte costitutiva della
pienezza del senso. Anche quando in un certo momento una cosa, un fatto, la
vita possono apparire insensate, � possibile che il senso venga ritrovato, magari
proprio nello spazio di un racconto, biografico o storico.
Nella ricerca e nell�istituzione del senso sono straordinariamente importanti
le connessioni teleologiche, con le quali la parola �senso� pu� addirittura essere
fusa: a che scopo qualcosa � buono, a cosa contribuisce, a che serve � tutte
domande che hanno a che fare con il �verso dove�, con l��a che scopo� e con
risposte finalistiche, la cui assenza getterebbe chiunque nella disperazione. Nelle
situazioni difficili, in particolare, le posizioni di uno scopo o di un obiettivo
indicano la via maestra nella ricerca e nell�istituzione del senso, sia sotto forma
di scopi esterni che ci pongono al servizio di altri o di istituzioni anonime,
espressi nella forma di un dovere o di un �� necessario che��, di un �richiamo�
o di un obbligo (connessioni deontologiche); sia nella forma di un dovere
interiore che ci si impone o di un volere a tutti i costi (connessioni
volontaristiche); sia nella forma di uno sforzo per l�utile il cui terminus ad quem
� stabilito autonomamente o dagli altri (connessioni utilitaristiche). A partire
dalla teleologia eteronoma, che per molto tempo ha dominato la storia, la
liberazione moderna porta alla teleologia autonoma: dare a se stessi un fine e
uno scopo, proporsi di fare qualcosa e realizzarlo. Ma, oltre alla realizzazione di
uno scopo, pu� essere sensata anche la libert� da qualunque fine: una vita pu�
avere senso perseguendo lo scopo della libert� da scopi troppo angusti. L�arte di
correlati. Ma il vero scopo della vita non � la �felicit�, non � quello definito
dalle connessioni eudemonistiche? Ma che cos�� la felicit�?
3. La felicit� come pienezza: questo tipo di felicit� non consiste tanto nel
fatto che le cose vadano come si desidera. �Dev�esserci sempre qualcos�altro da
desiderare, per non essere infelici a causa della felicit� raggiunta. Il corpo ha
bisogno di respirare e lo spirito di tendere a qualcosa. Chi possedesse tutto,
resterebbe deluso e indispettito da tutto� (Grac�an, Oracolo manuale, 200).
Piuttosto, la felicit� come pienezza � una questione che riguarda una forma di
atteggiamento consapevole, che si esprime come tranquillit� e serenit� e che pu�
essere definito come �animo buono�, dal greco eudaimon�a. Questa forma di
felicit� pu� essere scelta, infatti, per dare forma alla vita e pu� essere appresa,
in
un senso tipicamente aristotelico, tramite l�attenzione alla chiarificazione
teorica
e all�applicazione pratica. �Pienezza� significa, quindi, che questa forma di
felicit� non nasce solo dal piacevole, dalla pienezza del piacere sensibile e dal
�positivo�. La felicit� come pienezza della vita comprende anche il lato dello
sgradevole, del doloroso e del �negativo�. La vita piena �, allora, l�oscillazione
tra i due poli, l�ampiezza complessiva di un�esperienza che, in generale, si
distende tra elementi contrapposti e contraddittori e dalla quale nasce
l�impressione di vivere davvero e di sentire concretamente la vita. Mediante cosa
� possibile mettere in questione questo tipo di felicit�? Ci� che contribuisce alla
pienezza della vita rafforza la felicit�, indebolita solo dalla riduzione
unilaterale
dell�esperienza, nella maggior parte dei casi a favore del piacere e determinata,
per cos� dire, a priori e a scapito di tutto il resto.
Gli esseri umani, che cercano disperatamente un po� di divertimento, possono
ancora fare un catalogo delle �attivit� piacevoli�, per aiutarsi, nel caso in cui
dovessero compilare anche una lista nera delle �attivit� sgradevoli�, alle quali
dovrebbero dedicarsi per poter continuare a provare piacere per le altre. Il fatto
che la felicit� come pienezza non coincida con la �letizia� � ben noto a chi
continua a conservare la sua �capacit� di soffrire�. Questa felicit� � molto pi�
ampia della fortuna o del benessere: � la felicit� autenticamente filosofica, che
non dipende dal mero caso o da sensazioni momentanee, ma piuttosto da un
equilibrio da trovare sempre di nuovo e rivolto a tutte le polarit� della vita, non
necessariamente nello stesso attimo, ma nel corso della vita intera: non solo
successo, ma anche fallimenti; non solo la riuscita, ma anche il mancare un
obiettivo; non solo il piacere, ma anche il dolore. Questo � il paradosso della
felicit�, che non ha a che fare solo con la felicit�, ma anche con l�infelicit�:
della
sua pienezza fa parte anche la consapevolezza dell�abisso. Se cos� non fosse la
felicit� rischierebbe di diventare superficialit�. Questa forma di felicit�
richiede
che si sia d�accordo con la tragedia, che poi pu� essere ridotta anche a farsa: la
pietra della vita rotola gi� solo per poter rirotolare su, ricominciando sempre
daccapo, come il Sisifo di cui ci ha parlato Albert Camus scrivendo del �modo
in cui ci si deve necessariamente rappresentare un essere umano felice� (Il mito
di Sisifo. Saggio sull�assurdo, 1947). Certo, si tratta di una �rappresentazione� e
pienezza pu� essere esperita. Ma soprattutto la vita piena � una pienezza del
senso in tutte le accezioni descritte, e si verifica per amore di tutto l�essere
umano. Pienezza del senso significa possibilit� di potersi sviluppare e, in questo
modo, fare esperienza della felicit�. Questa pienezza ermeneutica impedisce che
la riflessione sul significato della vita diventi un circolo vizioso e trattiene
dalla
convinzione che la vita stessa non abbia alcun senso. Il numero delle possibili
interpretazioni implica addirittura che tutto abbia un senso e tutto possa
rientrare
in una qualche connessione. Percepire tutto questo � importante, tanto che la
pienezza massima potrebbe coincidere proprio con tale visione del senso
assoluto, non solo in rapporto alla vita di un individuo, ma anche in riferimento
alla vita in generale. Non sempre la coscienza che � correlata a questa visione
pu� essere presente di continuo. Per questo motivo, a volte, la felicit� come
pienezza pu� essere esperita nella forma del ricordo: con lo sguardo a distanza,
una distanza dalla quale la vita pu� essere disposta con coerenza, con tutte le sue
luci e ombre che definiscono la ricchezza di una vita piena, dalla culla alla
tomba.
6. L�infanzia e la vecchiaia.
Inizio e fine dell�arte di vivere
Come ogni arte di vivere, anche quella dei bambini ha a che fare con una
capacit�. Ogni capacit� non ancora visibile in tutta la sua chiarezza procura
un�esperienza della propria forza ed � condizione per la nascita di quella che
abbiamo chiamato fortezza, mai dell�avvilimento. Ogni gioco diventa esercizio
per acquisire una capacit� a vivere; per questo ai bambini piace cos� tanto
giocare. Sappiamo che quando si parla di capacit� si devono tenere presente i tre
livelli di possibilit�, realt� e abilit�: si devono innanzitutto dischiudere le
possibilit�, saperle poi tradurre in realt�, e imparare a farlo con la massima
abilit�. Ciascuno di questi livelli deve poi essere legato a un esercizio infinito
e a
un impegno inesauribile. L�esercizio per acquisire la capacit� comincia nelle
piccole cose. Un esempio in questo senso � il tentativo dei neonati di alzare la
testa e mantenerla alta, o il modo in cui catturano le cose con lo sguardo
trattenendole di fronte ai loro occhi per un certo tempo, o il modo in cui
prendono qualcosa in maniera sempre pi� mirata o, ancora, il modo in cui
recepiscono i rumori e i suoni producibili con la voce, arrivando a formarsi una
prima forma di linguaggio che, nel corso del tempo, li porter� a parlare. Altro
esempio � il modo in cui i bambini imparano a camminare. Gattonano, imparano
a sedersi e ad alzarsi in piedi, fino a muovere estaticamente i primi passi:
l�entusiasmo che prorompe, gli occhi lucenti per questa prima vittoria sulla forza
di gravit� producono il sentimento sublime di essere forti, di una forza che �
sempre legata alla capacit�. Quello che all�inizio accade con consapevolezza ma
senza autoriflessione diviene, nel tempo, un procedimento sempre pi� ponderato,
che ricomincia daccapo migliaia di volte. � necessario imparare a fare molte
cose: giocare, andare sull�altalena, andare in bicicletta, nuotare, scrivere, far
di
conto, farsi degli amici, litigare, fare la pace, cantare, ballare� Tutto il
catalogo
delle attivit� che i bambini devono apprendere � gi� stato compilato (Donata
Elschenbroich, Weltwissen der Siebenj�hrigen, 2001), prova irrefutabile del fatto
che i tempi in cui tutto questo poteva risultare ovvio sono ormai trascorsi.
La capacit� di vivere nel suo complesso � sostanzialmente costituita da
capacit� singole. Ogni capacit� singola deve solo essere appresa ed esercitata;
come, per esempio, nel caso del ridere: � estasiante vedere con quale seriet� si
tenta di raggiungere questo �obiettivo� il pi� presto possibile; e la rapidit� con
cui viene appreso questo modo di stare al mondo � prova della sua importanza.
All�inizio non si tratta altro che di un riflesso, di una contrazione dei muscoli
che
regolano la postura degli angoli della bocca. Il piccolo impara velocemente quale
sia l�effetto di questa contrazione sul viso dei genitori, e si mette pure a
imitare
tutto quello che nella loro mimica pu� essere riconosciuto come frutto del lavoro
di quei muscoli. In questo modo il riso balena dapprima in situazioni particolari,
per divenire in seguito sempre disponibile. Gi� il bambino in fasce si appropria
ben presto delle diverse varianti del sorriso, fino a riuscire a sorridere in
maniera
perfettamente volontaria sfoggiando il pi� grande entusiasmo. In questo modo il
riso comincia a essere importante per la vita � mentre nel piangere il bambino �
uno specialista per natura. Nella capacit� di dare importanza sia al riso che al
pianto risiede la serenit� dell�arte di vivere del bambino. La serenit�, infatti,
pu�
essere espressa da entrambi questi atteggiamenti, allo stesso modo in cui
quell�atteggiamento filosofico che � in grado di riconoscere il significato del
riso
e del pianto lascia che entrambi si manifestino rendendo conto della polarit�
della vita. La felicit� infantile pu� quindi essere vista come superiore a tutte le
altre forme, perch�, ben oltre la fortuna, o il benessere, si tratta di una
felicit�
molto pi� ampia, la felicit� della pienezza, che sa integrare in s� elementi
contrari e le contraddizioni che ne derivano: essere felici e infelici, gioia
irrefrenabile e tristezza mortale, atteggiamento desto e trasognato. Una felicit�,
dunque, che sembra andare persa nella crescita e che solo a fatica pu� essere
raggiunta di nuovo.
Un ruolo importante nel passaggio alla cura di s� deriva dall�apprendimento
da parte del bambino delle capacit� in rapporto alle cose quotidiane. Solo in
parte i bambini accedono alla quotidianit� guidati da un interesse autonomo. Vi
sono introdotti, infatti, anche da chi non vuole lasciare che le affrontino da
soli.
Si tratta, infatti, di un insieme di aspetti che condizionano la vita triviale di
tutti i
giorni, difficilmente trascurabili: andare a fare la spesa, preparare da mangiare,
scoprono le cose di cui hanno bisogno per la loro esistenza e soprattutto la loro
attenzione: capiscono il modo in cui nasce un bisogno determinato, ma si
intristiscono se questo non viene soddisfatto. Per stimolare la loro attenzione e
l� attenzione nei confronti di se stessi � necessaria l�attenzione degli adulti,
che si
esercita in parole, sguardi, gesti, ascolto, e nel loro modo di rivolgersi, cio�
nel
modo in cui tentano di attrarre a s� i bambini. All�occorrenza funziona anche
l��iperattivit�, che ha il duplice vantaggio di costringere all�attenzione e di
produrre un criterio relativo al movimento di cui il corpo dei bambini ha bisogno:
il corpo avanza un diritto a divenire oggetto d�attenzione ancora prima che
questa diventi una facolt� puramente spirituale. Questo fenomeno pu� essere
spiegato ricorrendo alla neurologia: il movimento fisico stimola la formazione di
sinapsi, che poi vengono sfruttate dalla concentrazione spirituale. Voler curare
con i farmaci un deficit di attenzione e la connessa iperattivit�, anzich� dare
attenzione e stimoli al movimento, sarebbe poco sensato. I bambini rischiano di
essere stritolati tra i due fronti di una nuova lotta per l�attenzione: le troppe
possibilit� di distrazione la riducono, la mediatizzazione e la motorizzazione
paralizzano l�immenso bisogno di muoversi. La mancanza di attenzione da parte
degli altri si riflette nella carente attenzione nei confronti di se stessi che, a
sua
volta, acuisce ulteriormente il bisogno di attenzione da parte degli altri. Ma non
bisogna consumarsi nel tentativo di offrire attenzione costante, anche perch�
nessuno dispone di risorse illimitate, nemmeno chi deve educare, le cui energie
possono venir sottoposte a pretese eccessive. Rigenerare l�attenzione �
indispensabile e bisogna farlo rivolgendola verso se stessi, in maniera tale da
alimentare quella reciprocit� che devono apprendere ed esercitare anche i
bambini: regalare attenzioni, ma anche riceverne in dono.
L�arte di vivere dei bambini si fonda forse gi� nella paura. I bambini, infatti,
la conoscono bene: paura della solitudine, di spiriti e fantasmi, di tuoni e
fulmini,
tutte paure conosciutissime fin dall�antichit�, completate da quelle tipiche
dell�epoca moderna. Proprio a causa della paura i bambini si mettono alla ricerca
del contatto, che intendono come forma di attenzione e di consolazione. Lo
che i bambini trovano nel mondo degli esseri umani, in maniera tale da potersi
mettere in condizione di formulare e sostenere le loro valutazioni. I bambini
fanno tutto quello che � necessario per inscrivere il bello nella loro vita, anche
in
condizioni difficili. Nel corso del tempo diventano sicuri del fatto che non tutto
nella loro vita pu� essere bello solo �soggettivamente� e cominciano a
familiarizzare con la polarit� della vita.
I bambini vorrebbero fare tutto nello stesso momento. Nessun problema, non
devono far altro che scindersi. Un gioco da ragazzi: gli occhi fissi sul
televisore,
impegnatissimi. La lingua indugia su un gelato, leccato con passione. Il capo, da
cui gli occhi sono stati �svitati�, � chino sui compiti di matematica; molto
meglio, cos� gli occhi e la lingua non si intromettono. Le orecchie sono catturate
dalla radio. I piedi sono gi� altrove, al parco giochi, ben felici di poter
scappare
via, e lasciano il resto del corpo ancora seduto in bagno, perch� ha perso le mani
per lavarsi proprio mentre era concentratissimo a costruire un complicatissimo
Lego. Le sue dita stanno ancora nelle mani dei genitori, che cercano di pulirle,
attenti a non svitarle. Ma � la bocca la parte pi� felice che, senza rispetto per
tutte le altre, blatera vivacemente cose senza senso, senza prendersi una minima
pausa.
�Ma io�, dice all�improvviso il bambino, sedotto dalla scissione multiforme
di se stesso, �dove mi trovo?�. E, infatti, questo � l�unico problema: non si pu�
parlare di un io integrato. Ogni parte va per la sua strada. Questa � l�esperienza
dell�infanzia: l��io� corre, salta e fa capriole. Cammina in continuazione su tutti
i
piani che formano la base del s� che si former� in futuro, e li prova tutti. Un
affetto, una luna storta, uno scopo, una relazione: ciascuna di queste cose occupa
di volta in volta tutto l�io, per un�ora, un giorno o sei mesi. L�io-polo viene
fuori
sviluppo, la capacit� di giudizio posta in questa zona del cervello non � formata.
Gli impulsi colpiscono il centro dei sentimenti, cio� l�amigdala non ancora
riequilibrata dal comportamento. Questa � la ragione della spontaneit� dei
bambini o della mancanza di pudore della giovinezza (sui primi risultati della
ricerca su temi di questo genere cfr. Barbara Strauch, Capire un adolescente:
come cambia il cervello dei ragazzi tra i tredici e i diciotto anni, 2004).
In ogni cultura, e a maggior ragione in quella moderna, il passaggio all�et�
adulta avviene con una violenza inaudita e nel corso di un certo tempo: quanto
pi� progredita � l�et� moderna, tanto pi� lenta sembra essere la conclusione di
questo processo. Si pu� allora formare uno spazio in cui avviene il passaggio
all�et� adulta, non pi� caratterizzato da rituali iniziatici puntuali, ma da un
lungo
rituale della liberazione: la pubert� � il dramma della liberazione, ma anche la
tragedia dell�esperienza del nulla, che segue la liberazione e nella quale la vita
�
impossibile. Nell�adolescenza avviene, quindi, la modernizzazione del bambino:
viene messo in scena tutto il programma della libert� negativa rispetto a ogni
vincolo, come rifiuto e negazione di tutto e tutti. Continuare ad attenersi
ostinatamente a forme determinate o fissare i suoi limiti non fa che aumentare il
furore che accompagna la liberazione. La pubert� lancia gli adulti nella
modernit� e si mostra al contempo come sua forza propulsiva, tanto che nella
storia stessa le spinte modernizzatrici sono sempre debitrici nei confronti di
movimenti giovanili. Forse la stessa modernit� non � altro che una pubert�
collettiva, che non ne vuole sapere nulla n� delle infantili forme non moderne n�
di diventare adulta. Con il passaggio alla libert� negativa della liberazione
scompare anche l�arte di vivere dei bambini: tramonta nella riflessione
pienamente desta, nell�autoriflessione e nella pretesa di una spiegazione per
qualunque cosa. � proprio questa pericolosa curiosit�, insita nella stessa volont�
di sapere, che caratterizza il bambino ma � anche, tragicamente, ci� che mina le
sue fondamenta. In questo senso, l�arte di vivere del bambino non va mai persa
del tutto. Rimane nella memoria per tutto il resto della vita e si ripropone in
maniera selettiva. Non solo il soggetto artistico, ma anche il soggetto della
In epoca moderna i bambini e i ragazzi crescono con una libert� della quale
devono trovare le forme. Molto spesso sono loro stessi a dover scegliere quella
per la quale sono meglio preparati, mentre molti adulti ancora non lo sono. C��
bisogno di avvicinarsi gradualmente al tempo della scelta. � quindi necessaria
una formazione e un esercizio della capacit� corrispondente alla forma che si
sceglie, un rafforzamento della sensibilit� per poter percepire quando e dove una
certa scelta pu� essere effettuata e come si pu� procedere per farlo nel migliore
dei modi: rendersi consapevoli delle possibili alternative, informarsi, ponderare,
riflettere sulle eventuali conseguenze, e rappresentarsele nei pensieri. Le
esperienze implicite in una scelta devono poi essere prese nuovamente sul serio e
inserite in un percorso riflessivo, che consente di trarre delle conclusioni e
strutturare il proprio intuito, che nel corso del tempo rende possibile ulteriori
scelte effettuate anche senza esserne sempre perfettamente consapevoli, ma
sempre con relativa sicurezza. C�� almeno un punto forte dell�arte di vivere dei
bambini che dovrebbe essere salvaguardato e che � importante in molte
situazioni: la capacit� di accettare, di non fare o di lasciare che qualcosa
accada.
Come abbiamo visto, la formazione della vita non deve essere solo un fare
attivo, ma anche un non fare passivo, di cui i bambini sono maestri. Questa
caratteristica della loro arte di vivere li mette in condizione di accettare una
situazione cos� come essa viene loro presentata e tentare di volgerla a loro
proprio vantaggio; qualit� premoderna, che l�essere umano dovrebbe apprendere
di nuovo e che gli sarebbe davvero utile.
Tutti i problemi nascono dal fatto che i bambini e i ragazzi dell�epoca
moderna crescono in un�epoca in cui domina la caccia alla felicit� e nella quale
la felicit� come benessere rappresenta l�unica forma pensabile, associata il pi�
delle volte a uno stato di piacere persistente, pieno e privo di dolore, a un
divertimento incessante che riguarda un�unica serie di eventi. Non si vuole
rubare il divertimento a nessuno: il godimento dei piaceri � una parte
fondamentale dell�arte di vivere e lo � al punto che le due cose potrebbero
addirittura coincidere o essere scambiate l�una con l�altra. Problematico �
soltanto il fatto che il proposito tipico della modernit� � massimizzare i piaceri
�
potrebbe essere controproducente proprio per il piacere stesso, anche perch� i
giovani ormai ne fanno esperienza senza sapere come. La capacit� di rapportarsi
ai piaceri in maniera misurata, pur con qualche eccesso occasionale, non trova
spazio nella cultura moderna. E in questo modo i giovani cominciano a
imbattersi in limitazioni incomprensibili, che fanno loro credere che la giusta
misura sia conseguenza della morale, ma anche che la morale sia qualcosa che
appartiene agli adulti. La giusta misura �, come sappiamo, un tema tipico
dell�arte di vivere, e ha a che fare con il proposito di non consumare
completamente tutto il piacere per non dover fare, poi, i conti con la sua totale
assenza. Il fatto che oltre ai piaceri si debba attribuire importanza anche ai
dolori, e il fatto che questa coppia di opposti indichi una polarit� fondamentale
della vita, non � una concezione che i giovani possono acquisire in et� moderna.
In questo senso vengono lasciati soli con le sfide della modernit�.
Dover fare i conti con la vita, con se stessi e con gli altri senza essere capaci
di farlo, non solo in un momento, ma nel lungo periodo. Non poter chiedere
aiuto ad autorit� di nessun tipo perch� bisogna liberarsi da tutto, e quindi
rifiutarla ogni volta che si fa avanti. Non desiderare nient�altro che una carezza
piena di amore e nello stesso tempo rifuggirla. Questa � la condizione di
scissione tipica dei giovani moderni, il tempo della disperazione di molti genitori
che non �raggiungono pi� i loro figli� e che non sanno servirsi nemmeno di un
gesto indiretto per approssimarsi a loro. Proprio il momento di frattura scandito
dall�autodeterminazione diventa nella maggior parte dei casi quello della
determinazione esteriore. Determinati da datit� culturali, poich� tutti devono
seguire le norme della cultura moderna, che nessuno sceglie autonomamente e le
cui prescrizioni non vengono mai percepite come tali. Determinati da datit�
fisiologiche, che rendono necessaria un�interazione ormonale ormai diventata
selvaggia, un �su e gi� del cervello o una �lucidit� estrema, che certo non pu�
essere sopportata per troppo tempo rivestendo i propri nervi di mielina. Il fatto
che in quest�epoca nasca un immenso egocentrismo non � tanto causato dal
sopravanzare dell�egoismo, ma dalla necessit� di fare fronte a tutto quello che
accade nel s� a prescindere dal suo volere e dal punto di vista fisico, ormonale,
sessuale, ma anche da quello psichico e spirituale.
Ci si vede rimessi alle pretese degli altri e nello stesso tempo di fronte alla
fluttuazione e alla complessit� di un mondo dove i giovani non riescono a
trovare il loro posto. Cominciano a ribollire sentimenti contrastanti, le voci
interiori urlano l�una contro l�altra; impossibile fare ordine in questo caos, non
solo dentro di s�, ma anche fuori. E, poi, con quale criterio? In parallelo al
disordine esteriore, infatti, si manifesta un� infinit� interiore, di cui da una
parte
bisogna rallegrarsi, ma che, dall�altra, � pericolosa. Questo � il momento in cui
gli adolescenti cominciano a vivere in un mondo che � frutto dei loro sogni. Per
quanto la ricerca di mondi della possibilit� � che si trovano oltre quello
effettivamente percepibile � sia un fenomeno strutturale della vita umana, �
anche vero che i giovani se ne servono in misura molto maggiore rispetto a
quelli di altri tempi: il movimento giovanile del romanticismo ne ha fatto una
sua caratteristica gi� all�inizio della modernit�. La ricerca di paradisi
artificiali si
caratterizza per la sua extratemporalit�, ma anche per il forte legame con
situazioni e tempi determinati. Particolarmente marcate sono poi le basi
ontologiche. Queste hanno a che fare con il modo di essere dell�uomo che, come
ogni essere vivente, �viene al mondo� da un altro mondo o da un altro modo di
essere, da quello della possibilit� al confronto con la realt� che diventa ora la
sua
forma pi� propria. A partire dalla piena indeterminatezza, l�adolescente percorre
una via incerta, che nel corso del tempo porta certezze sempre maggiori e in
particolare la certezza che tutto ci� che accade pu� essere corretto o rivisto
sempre meno.
Se � vero che tutti i giovani vengono dal regno delle possibilit�, allora deve
anche essere vero che quello della possibilit� � lo spazio dell�adolescenza, quello
in cui si sentono a casa. Questa loro origine nella libert� della possibilit� si
afferma in contrapposizione alla necessit� della concretezza, che, come i giovani
capiscono ben presto, non significa altro che un congedo dal possibile. Per
questo motivo considerano buono solo ci� che si addice al loro status ontologico,
come per esempio l�esperienza dell�amore, che procura loro l�impressione di una
possibilit� infinita e illimitata. E anche il bisogno di essere sempre �on line�,
altro fenomeno enigmatico, pu� essere spiegato in questo modo: lo spazio
virtuale permette di soggiornare nello spazio affascinante delle possibilit�, al
quale non � possibile contrapporre alcuna forma di realt�. Purezza, assolutezza,
infinit�: si pu� fare esperienza di ideali simili solo nel mondo della possibilit�.
Con ogni realizzazione comincia la relativizzazione e, quindi, ogni finitezza, non
necessariamente per via di un complotto, perch� ogni possibilit� realizzata �
relativa e finita in confronto alla pienezza delle possibilit� potenziali. Ogni
realizzazione individuale, inoltre, si incontra e si scontra con altre. E, a
maggior
ragione, l�inerzia del quotidiano si contrappone alla realizzazione del possibile.
Ma nessuna spiegazione pu� mutare l�amarezza che deriva da questa esperienza
di ogni singolo individuo e della societ� intera. Peraltro, questo � l�incubo di
ogni rivoluzione. Contro l�esperienza della limitatezza e della finitezza, sempre
pi� forti nel corso della vita e sempre pi� presenti alla coscienza, i giovani
pongono l�esperienza dell�oltre: quella dell�utopia, della trascendenza,
dell�oltrepassamento grazie a qualunque forma di paradiso artificiale o di mondo
fantasticato.
Se il mondo perduto della possibilit� � il luogo da cui provengono, la loro
origine passata, il paradiso artificiale non pu� che rappresentare il loro futuro,
il
loro approdo 12. A ragione: disporre di possibilit�, infatti, � il presupposto di
ogni
vivere. A favore dell�intimit� dei giovani con i paradisi artificiali parla anche
l�arte di vivere. Come arte nel senso della capacit�, anche l�arte di vivere
reclama innanzitutto le possibilit� e rivendica la ricerca di mondi fantasticati,
Per quanto l�esperienza del senso possa essere sconvolgente, basta un alito di
vento per spazzare via dalla realt� questi fantasmi. E lo stesso avviene anche con
i paradisi artificiali nati dalla ricerca della felicit� propria della modernit�
che
tentano di realizzare quella massimizzazione del piacere e minimizzazione del
dolore che dal punto di vista neurobiologico non � altro che una questione di
serotonina e di dopamina. A tal fine vengono proposti molti strumenti, anche
piacevoli: sesso, dolci, caffeina, nicotina, cocaina, alcol e anche la possibilit�
di
pestare oltremodo il piede sull�acceleratore. Non che tutto questo sia in s�
necessariamente riprovevole. Quello che tuttavia � problematico � proprio il
fatto che l�uso di questi strumenti riesca ad assicurare una �vita vera�. Per
quanto il tipo di felicit� in questione sia soltanto puntuale e situativa, non lo �
la
sua limitatezza e nemmeno il suo concetto, resi insufficienti piuttosto dalla sua
inadeguatezza alla realt�. Cos�, quando i piaceri che derivano da tale felicit� si
esauriscono, bisogna incrementare l�applicazione, rincarare la dose: si varca
quindi la soglia del vizio e la massimizzazione del piacere finisce nella
massimizzazione del dolore tipica della pi� grande infelicit�.
Sarebbe importante una preliminare spiegazione e chiarificazione di queste
connessioni, allo scopo di comprendere meglio la vita e condurla nella maniera
pi� appropriata. Bisognerebbe impegnarsi, se necessario anche assieme ad altri,
a modificare queste penose strutture fondamentali del moderno. Se l�arte di
vivere mantiene questo significato, si pone la domanda di come sia possibile
apprenderla. Sulla via per imparare a vivere potrebbe essere d�aiuto una scuola,
e non solo per i giovani: nella formazione inferiore, in quella superiore, in
quella
artistica e in quella per adulti � importante creare un forum sui temi della vita e
dare la possibilit� ai giovani, cos� come agli adulti, di esporre le connessioni
che
definiscono la loro vita, di trovare l�atteggiamento verso la vita che pi� si
addice
loro e di imparare l�arte del rapporto con se stessi e con gli altri. Come sarebbe
questa scuola dell�arte di vivere? Al momento � possibile definire i seguenti
punti.
nuoto, della danza, della ginnastica e, pi� in generale, dello sport. La pratica di
attivit� sportive � molto importante, soprattutto in un tempo in cui il movimento
gi� nell�infanzia appare sempre meno ovvio, restando tuttavia decisivo per il
rapporto con s� e con il mondo, per l�esperienza corporea di se stesso, per la
conquista di esperienze psichiche che hanno a che fare con la coordinazione del
movimento con gli altri, con la conquista della mobilit� spirituale, attraverso la
coordinazione di serie complesse di movimenti nello spazio e nel tempo. Ma gi�
lo �sfogarsi�, proprio dello sport e in generale del movimento fisico, crea le basi
per la mobilit� spirituale, cos� come, al contrario, ogni tensione spirituale pu�
essere riequilibrata da uno sforzo fisico.
5. Il farsi carico della cura di s�, dal punto di vista fisico, psichico e
spirituale, � fondamentale per ogni arte di vivere. Rende infatti possibile una
condotta di vita consapevole e si esprime nelle forme di interazione con se stessi
che ciascuno sviluppa a partire da s� e con l�aiuto degli stimoli e delle occasioni
forniti da altri. In questo modo si rompe l�indifferenza nei confronti di se
stessi,
che potrebbe essere mantenuta solo al prezzo di una vita non veramente vissuta e
dell�amarezza nei confronti di tutti quelli che si presume vivano quella vita che �
preclusa al s�. Nella scuola dell�arte di vivere, il processo che mostra come
l�attenzione nei confronti di se stessi sia essenzialmente favorita da quella che
gli
altri ci dedicano, si pu� approcciare nella reciprocit� che lo caratterizza. Il s�
viene stimolato e avviato a consultarsi con se stesso, al fine di stabilire
autonomamente se � corretto e giusto nei confronti di se stesso, per rafforzarsi e
controllarsi e, in generale, per tutto quanto pu� essere rubricato sotto il titolo
�selfmanagement�, il cui obiettivo ultimo � quello di diventare amici di se stessi.
Su questa via si pu� giungere a una vita ottimale assieme a se stessi e, quindi,
anche a evitare per sempre la solitudine. E nello stesso tempo il s� non impara
tutto questo esclusivamente per conservare e promuovere se stesso, ma anche
con un obiettivo pi� fortemente sociale, perch� nello sviluppo del �potere
soggettivo� si rende visibile �il lato oscuro� del processo sociale: gi� Hans-
7. �Non c�� niente che abbia senso�, dice un giovane. �Non dire cazzate�,
risponde la madre, poco prima che, il 26 aprile 2002, in un liceo di Erfurt,
vengano uccisi 16 esseri umani. A volte la mancanza di senso pu� spingere a
8. Una fonte di senso � la conoscenza del �bello� come ci� che � degno di
approvazione. La scuola dell�arte di vivere pu� indurre a sviluppare un concetto
individuale del bello, giacch� le diverse possibilit�, tanto quelle teoretiche
10. Gi� per Aristotele non c�� nulla di pi� divino della felicit�; e non a caso
la parola eudaimon�a porta con s� il �daimon�, che spinge l�essere umano oltre
se stesso. Nella scuola dell�arte di vivere pare sensato familiarizzare con alcune
delle forme in cui si esprime questo �oltre� e sviluppare un concetto di
trascendenza, o almeno un�impressione della possibilit� di comprendersi come
parte integrante di una connessione pi� ampia. Sar� forse possibile incontrare il
fenomeno della religiosit� e della spiritualit�, o forse anche solo una forma in
cui
si esprime un bisogno dell�essere umano. Una base di partenza per venire
incontro a questo bisogno � la riflessione di Novalis sui tre piani della
religiosit�: al primo livello non si pu� fare esperienza di alcuna forma di
organizzazione, ma solo di un tratto individuale e personale vissuto nella
dimensione della trascendenza e inteso come �gioia per tutte le religioni�. Al
Gli orizzonti aprono gli spazi della vita. L�esperienza fondamentale del
passaggio da uno spazio interno a uno esterno, compiuto dal bambino al
momento della sua nascita, resta per tutta la vita: aprirsi sempre di nuovo un
esterno, nuovi orizzonti, spaziali e temporali, orizzonti del pensare e del
sentire,
nascere sempre di nuovo e avere accesso a tutto un mondo. Gli orizzonti rendono
possibile la vita e, nello stesso tempo, la limitano: in questo consiste la loro
duplicit�. Anche la parola greca hor�zon parla di una �linea di confine�. Il
tracciare questa linea e quindi il produrre un orizzonte � l� hor�zein: determinare
e
fissare qualcosa, prendere una decisione, o anche definire un concetto. Si tratta
di un�attivit� di fondazione, mediante la quale viene delimitato un campo al cui
interno pu� svilupparsi qualcosa, ma al cui esterno si trova qualcosa d�altro,
qualcosa di indeterminato. Al di l� dei confini, l�orizzonte indica la possibilit�
dell�assenza di limiti. Vivere davvero in quella dimensione pare difficile: sembra
proprio che non si possa fare a meno delle limitazioni, per orientare la vita e per
darle una forma � da qui deriva lo sforzo necessario per la scoperta dei limiti,
che nella modernit� avviene necessariamente per via sperimentale, giacch� non �
pi� dato alcun limite cogente dal punto di vista culturale. Per l�arte di vivere la
produzione dell�orizzonte diventa un atto consapevole: come nel gesto artistico
della pittura, dove l�orizzonte viene disegnato o solo indicato per allusione, e
sul
suo sfondo la vita pu� cominciare a consumarsi. Anche solo un�unica scelta pu�
aprire o chiudere un orizzonte.
Gli orizzonti possono essere visuali o immaginari. Visuale � quell�orizzonte
che delimita i dintorni immediati di un luogo, per esempio una piazza attorno
alla quale si trovano edifici o alberi e che viene definita in maniera tale che gli
individui possano �sentirsi bene� in questo spazio limitato, senza sapere perch�.
Immaginario � invece quell�orizzonte che fa la sua apparizione come modello di
pensiero e che rende impensabile ci� che non pu� essere inscritto al suo interno,
configurandosi come un complesso di significati ed escludendo ogni significato
che lo eccede, pur essendo sempre possibile un �ampliamento dell�orizzonte�,
cio� un�apertura a questo altro. In maniera direttamente proporzionale a quella in
cui il s� viene in chiaro delle connessioni che lo definiscono, l�orizzonte assume
la sua fisionomia, forma lo spazio all�interno del quale � possibile muoversi. Lo
spazio definito dall�orizzonte ha livelli sensibili, strutturali e virtuali. Lo
spazio
sensibile � quello dato della natura, della cultura e dell�architettura, ma anche
quello che deve essere ancora formato, quello dei biotopi e della biosfera,
dell�intimit� con un luogo, con una stanza o una casa, con una strada o una citt�,
una regione o una nazione, fino ad arrivare al fascino delle distese illimitate con
tutta la libert� e lo spaesamento che le caratterizzano. Strutturale � quello
spazio
che viene aperto e chiuso da una mano invisibile: nella maggior parte dei casi �
nascosto e mai riconducibile a uno spazio definito del possibile o
dell�impossibile e creato dalle strutture ecologiche della natura, o da quelle
economiche del denaro, o da quelle sociali della vita insieme, o da quelle
ermeneutiche del significato, ma in particolare dalle strutture di potere. Per
prendere coscienza dello spazio strutturale il s� ha bisogno di un sapere e del suo
intuito. Ed � possibile anche un mutamento delle strutture che richiede tempo e
forze e che probabilmente ha bisogno di pi� di un individuo. Virtuale � lo spazio
tipico del sogno, del presentimento e della fantasia, ma anche quello mediale e
tecnologico, che non ha un�estensione reale. Per la vita � decisivo che si
dischiudano orizzonti ricchi di possibilit�, per trovarne al loro interno almeno
una che renda possibile essere un s�, svilupparsi appieno ed evitare di trasporsi
in un orizzonte diverso.
Imparare a muoversi negli spazi pi� diversi aperti dai pi� diversi orizzonti �
il risultato dell� esperienza del mondo che il s� pu� avere attraverso l�arte di
vivere. L�orizzonte visuale e immaginario, quello sensibile, strutturale o virtuale
formano l�ambito all�interno del quale � possibile disporre e orientare la vita: in
relazione a questo ambito tutto acquista la sua peculiare vicinanza o la sua
lontananza. E in questo modo nasce la landa della vita. L�orizzonte pu� essere
ristretto o ampliato: la restrizione comporta una riduzione della complessit� che
pu� avvenire solo in seguito a una scelta individuale, che �sceglie una cosa� per
trascurarne molte altre. Questa restrizione rende possibile una vita semplice e
procura un�esperienza di protezione, che resta per� sempre esposta al rischio
incarnato dall�alterit� e dall�altro. L� ampliamento consente una maggiore
complessit� e una ricchezza straordinaria della vita del singolo, che si forma in
viaggi reali o immaginari, o attraverso una quantit� di incontri con altri esseri
umani o con altre culture, sebbene in questi casi il prezzo da pagare sia la
perdita
del senso di orientamento in rapporto al groviglio delle sfide della vita
quotidiana. La vita ha bisogno di uno spazio ristretto e sensibile dove ritrovare
se
stessa, e di alcuni momenti di ampiezza, nei quali arriva a perdersi. Il s� pu�
servirsi degli orizzonti ristretti per quanto riguarda la vita quotidiana, ma al di
l�
di essi si aprono nuovamente orizzonti pi� ampi. In questo modo ci si prende
cura della vivibilit� della vita, ma si d� anche corpo all�esigenza del non
chiudersi nell�angustia di un orizzonte che non concede pi� alcun oltre.
Il fatto che ogni orizzonte non sia solo una limitazione ma rappresenti anche
un�apertura all�altro � molto importante, soprattutto quando il s� decide di non
farsi limitare dal tempo. Il confine estremo della sua vita resta la linea della
morte, che nel corso della vita diviene sempre pi� evidente. Quando l�orizzonte
temporale che ci sta davanti diventa sempre pi� ristretto, cominciando addirittura
a sbiadire, lo sguardo si rivolge sempre pi� spesso all�indietro: mentre un
giovane non pu� che rappresentarsi la landa della vita con i tratti poco chiari e
confusi della nebbia, perdendosi ogni momento a causa della foschia � una
situazione senz�altro incerta e nello stesso tempo affascinante �, l�uomo ormai
adulto o anziano vede con chiarezza tutto quanto si trova alle sue spalle,
riconosce i sentieri costruiti in parte grazie a lui e in parte senza il suo
operato e
considera le migliaia di passi che ha compiuto per arrivare fino a questo punto.
Si sorprende di vedere come i sentieri, che all�inizio potevano solo essere intuiti
e che presentavano una enorme quantit� di ramificazioni, di deviazioni o di
inversioni, nel corso del tempo si sono pienamente manifestati fino a formare
una direzione ben definita. Lo stesso vale anche per il suo orizzonte attuale, che
nella sua interiorit� pu� essere sentito come una limitazione, ma che dall�esterno
pu� anche rappresentare un�apertura. Ancora una volta il s� fa esperienza di
quanto sia imponderabile stabilire dove conduca quella via che si spegne
all�orizzonte. E allora lo sguardo non si volge pi� all�indietro. Si distende in
avanti, oltre la vita: questa � l�esperienza che caratterizza la vecchiaia.
forze spariscano drammaticamente su quel letto che per fortuna siamo riusciti a
trovare. Molto simili sono le fasi della vita, anche se dal punto di vista
individuale possono avere una cadenza diversissima, molto o solo leggermente
differente. Caratteristico � per� il fatto che la vecchiaia, cos� come
l�adolescenza,
non si sviluppa in maniera continua, ma discreta, in ondate che si susseguono
con una velocit� che non � proporzionale al tempo che viene concesso per
affrontarle, tanto che l�arte di vivere consiste nel darsi il tempo necessario per
farlo. Il primo terzo della vita corrisponde al mattino: nei primi tre decenni
della
loro esistenza, gli esseri umani possono viversi appieno gli orizzonti che si
aprono di fronte a loro e la loro vita pare essere caratterizzata dalla capacit�
virtuale che corrisponde alla mera possibilit�. Vivono le loro possibilit�
arrivando quasi a sentirsi immortali. Cittadini di un mondo infinito, si creano
chance di vita grazie all�educazione e allo studio, con cui cominciano a
raccogliere le prime realizzazioni delle loro possibilit�.
Ma poi, dopo il trentesimo anno, si nota chiaramente che l�orizzonte non pu�
rimanere cos� aperto ancora a lungo, come invece poteva sembrare. Si percepisce
che nel secondo terzo della vita � diciamo nel tardo pomeriggio, dopo la
mattinata e l�ora di pranzo � deve essere realizzata definitivamente qualche
possibilit�, come ad esempio fondare una famiglia o raggiungere un obiettivo
professionale, anche perch� in generale qualche possibilit� bisogna pur
realizzarla. Tipica di questa fase della vita � la capacit� reale, la capacit�
della
concretezza. � il tempo di chiarire come stanno le cose con se stessi, con gli
altri
e con il mondo, o di cambiare tutto. Certo, si pu� ancora fare qualche
esperimento, ma non pi� per tutto il tempo che si desidera. Anche a causa
dell�esperienza che � stata fatta si deve aver conquistato un�abilit� propria, che
ha bisogno di intuito. Nel mezzo della seconda fase, cio� nel pieno di quel
pomeriggio infinito, il s� oltrepassa la met� della vita, ammesso che
un�aspettativa di vita sugli ottanta o novant�anni non sia pi� inverosimile. Ora si
impone inevitabilmente il fatto che le possibilit� della vita cominciano pian
piano a diminuire. Si assiste a un radicale cambiamento di prospettiva: se finora
lo sguardo si volgeva in avanti (�come sar� la mia vita?�, �che cosa mi piace
fare e quali sono i miei obiettivi?�), adesso si dirige progressivamente verso
tutto quello che � stato, verso le occasioni non colte, le perdite dolorose, e
anche
verso le belle esperienze, che ora brillano molto pi� di un tempo. L�inversione
del punto di vista mette in gioco una vita diversa, non pi� una vita in
prospettiva,
ma un�esistenza retrospettiva, favorita da una crescente consapevolezza della
limitatezza della vita. Il nuovo orientamento spirituale risponde a esperienze
diverse nel corpo e nell�anima: le forze non sono pi� disponibili quanto si
vorrebbe, cresce la predisposizione al dolore e alle malattie. La salute, che
sembrava un�ovviet�, diventa una specie di lavoro. Quegli sbalzi d�umore che
una volta erano cos� eccitanti e mutevoli ora sono pi� misurati e vengono
percepiti con sempre maggior distanza da s� e dagli altri. Ci si prende cura con
molta pi� consapevolezza delle amicizie. E l�amicizia con se stessi diventa ora
confidenza con il fenomeno della vecchiaia.
Pi� o meno a sessant�anni comincia l� ultimo terzo della vita, il crepuscolo,
come si diceva una volta. Le possibilit� che ancora restano vengono selezionate
con decisione, e la loro concretizzazione � molto pi� concentrata e realizzata in
funzione del gran numero di esperienze effettuate e sulla base di un intuito sicuro
che si avvale della capacit� eccellente tipica dell�abilit�. Non � la vecchiaia
l�et�
in cui si � maestri e anche quella in cui si completa l�opera a cui conducono le
strategie dell�arte di vivere? Non � qui che si trova la forza dell�et�? Maestro
diviene soltanto chi ha imparato; nell�arte di vivere non ci pu� essere alcuna
maestria, perch� la vita si presenta come una serie incessante di sfide, fino
all�ultimo. Ci si deve confrontare con esperienze e cambiamenti sempre nuovi,
non � mai possibile raggiungere un sapere della vita che sia definitivo. Per
questo nell�arte di vivere il s� resta sempre e solo un allievo, e non solo in
epoca
moderna: �La vita deve imparare a vivere per tutta la sua durata� (�vivere tota
vita discendum est�), cos� si esprimeva Seneca nel suo La brevit� della vita. Si
deve ancora imparare a essere pi� lenti, a distribuire le forze, a essere soli con
se
stessi, a riflettere su tutta la propria vita e a mantenere la morte di fronte ai
propri
occhi. E non ci si trova solo nel tempo della capacit� eccellente, ma anche in
quello dell� erosione di ogni capacit�: l�abilit� svanisce, si riducono le
possibilit�,
fino a quando ne resta solo una, che � quella della concretezza di questa vita,
prima che anch�essa vada perduta.
Ma forse l�interesse per la vecchiaia non � altro che una reminiscenza storica
che avviene nel momento in cui la vita sta per scomparire. L�impressione che
l�et� sia una malattia da cui guarire � quella comunicata dai consulenti �anti-
aging�, che promettono di contrastare il processo di invecchiamento e, senza
ironia, elaborano strategie per progettare una �vecchiaia di successo�. Essere
�belli senza et� � l�obiettivo principale, anche se la battaglia ostinata contro la
vecchia pu� manifestarsi in maniera meno piacevole del previsto sul volto di chi
ambisce a combatterla. Pi� che impiegare tutte le proprie forze nella battaglia
contro l�et� � possibile far emergere orgogliosamente tutta la vita che si
nasconde nelle rughe. Sarebbe sensato cercare di ridurre i dolorosi effetti
collaterali che si associano alla vecchiaia, ma senza volerli eliminare del tutto.
Il
solo tentativo di farlo, infatti, rende l�individuo un esattore della modernit� che
non fa altro che privilegiare il nuovo. Come i bambini, anche gli anziani
rappresentano un ostacolo alla liberazione moderna. La vita dei bambini non si �
ancora assuefatta alla moderna concezione lineare del tempo e quella degli
anziani non lo � pi�. Entrambe le categorie si trovano �al di fuori dell�umanit�
(Simone de Beauvoir, La terza et�, 1970). Proprio per questo, anche per gli
anziani sono stati creati spazi extraterritoriali, come ospizi, case di cura,
residenze di vario genere, fino alle confortevolissime �Sun Cities�, i paradisi
della vecchiaia che si trovano dietro altissime mura, per esempio in Arizona,
Texas, Florida. Pu� essere molto pi� saggio crearsi, al momento opportuno e in
maniera autonoma, lo spazio per trascorrere la propria vecchiaia, mettendosi nei
panni di un anziano per comprendere meglio il fenomeno e chiedersi: qual �
l�ambiente nel quale mi piacerebbe invecchiare, vivendo a casa da solo, magari
assistito, curato dalla mia famiglia, che potrebbe fare le veci di un ospizio, in
una
comunit� dove ci sono persone che vivono la mia stessa situazione, o da qualche
altra parte? Ma dove? E come posso creare in tempo le basi per sostenere questa
mia scelta? A chi posso affidare la mia uscita da una condizione di autonomia,
che a volte � causata dalla vecchiaia?
Da molti punti di vista si rivive una condizione simile a quella dei primi anni
di vita, ma in una direzione inversa. Mentre l�infanzia consisteva nel passaggio
dalla cura degli altri nei nostri confronti alla cura per se stessi, la vecchiaia
consiste nel passaggio inverso dalla cura di s� alla cura da parte di altri, ai
quali
il s� ora � completamente rimesso, anche dal punto di vista esistenziale. Risulta
nuovamente centrale il concetto di �mobilit�, cio� la capacit� di movimento, la
disponibilit� fisica di se stessi: ma diversamente dai primi trionfi, come quello
di
alzarsi in piedi e di camminare in posizione eretta, cambiare autonomamente
posizione e diventare indipendenti, l�anziano � ora dolorosamente piegato in due,
non pu� pi� cambiare posizione a suo piacimento. La forza di gravit�, che una
volta combatteva valorosamente, lo attrae implacabile verso il basso. Le forze,
che una volta erano tante e naturalmente sotto controllo, ora sono esaurite; tutto
ci� che prima era facile ora diventa difficile. La vecchiaia conosce sforzi che i
giovani nemmeno si sognano: salire ogni singolo gradino, che un tempo veniva
saltato con un balzo, mettersi nella vasca da bagno e uscirne, imparare a usare
macchinari sempre pi� difficili. La confidenza con il dolore diventa una
necessit�, e proprio i dolori hanno bisogno, oltre alle possibilit� di intervento,
anche di una capacit� di integrazione alla quale non si pu� rinunciare, soprattutto
in caso di malattie croniche.
La cosa migliore sarebbe quella di non cercare di eludere la vecchiaia, ma di
assumerla in tutte le sue abitudini e nelle modalit� che la caratterizzano; anche
perch� l�arte di vivere mostra che nella vecchiaia, molto pi� di prima, �
importante costruirsi quelle abitudini che permettono di continuare a vivere. Il
fatto che la modernit� sia nemica di tutto ci� che � abitudine tocca in maniera
particolare proprio gli anziani, che sono esistenzialmente rimessi proprio
all�abitudine. Devono infatti evitare di dover prendere decisioni in
continuazione. Solo in questo modo possono dare un ordine alla loro vita.
Mediante l�abitudine, come sappiamo, nasce quel senso di protezione che viene
garantito dalla ripetizione regolare di certe operazioni, che pu� essere
considerata come espressione della ciclicit� della vita. L�intimit� con le
abitudini
e con la propria abitazione condiziona quasi interamente lo spazio nel quale si
vive l�ultima parte della vita e nel quale la cosa essenziale non sono pi� le
�quattro mura�, ma proprio le abitudini che possono essere sviluppate in questo
contesto. Ogni cambiamento di un ambiente al quale si � abituati, e nel quale si �
trascorsa gran parte della propria vita, ogni perdita della confidenza con certe
persone, ogni dissoluzione di una relazione sradica gli esseri umani e, allora,
quello che conta � impegnarsi nuovamente assieme a loro a ricostituire la rete di
abitudini, prendersene cura e preservarla.
Oltre a tutti i disagi, la vecchiaia rende possibile anche un� esperienza dei
piaceri, �o al posto dei piaceri, la capacit� di non desiderarne alcuno�, come
dice Seneca nella XII delle Lettere a Lucilio. Il potenziale della vecchiaia sta in
alcuni piaceri specifici, nella �possibilit� di assumerli e amarli�, nell�andar
loro
incontro e nel goderseli, perch�, cos� Seneca, �� molto bello saperne fare uso�.
Si prova soprattutto il piacere del dialogo e quello che deriva dal contatto
spirituale che gli � correlato, che diventa ancora pi� intenso in vecchiaia, anche
perch� c�� il tempo per scambiarsi esperienze e riflessioni. Il piacere del
ricordo,
che giocava un ruolo limitato fino al momento in cui lo sguardo del s� era
esclusivamente diretto �in avanti�, riveste invece un�importanza smisurata non
appena la direzione dello sguardo s�inverte. Forse ora si potr� dedicare tutto il
resto della vita a guardarsi indietro: nella tenue luce del crepuscolo, quando
tutto
sembra diverso da com�era prima, diviene possibile una revisione del s� e della
sua esistenza. Anche il ricordo melanconico non � solo doloroso e amaro, ma
pu� essere anche piacevole e dolce. Si pu� poi coltivare il piacere dell�ozio, il
tempo del mero essere, dedicato alla spensieratezza o alla riflessione filosofica,
che pu� estendere il proprio sguardo a tutta la vita. Finalmente la cultura
moderna pu� lasciar spazio alla passivit�: almeno nella vecchiaia � possibile far
valere il diritto dell�essere umano a restare passivo. � la vita stessa a spingere
in
questa direzione, anche perch� in vecchiaia ci sono molte cose che devono
essere accettate perch� non possono pi� essere cambiate. L�atteggiamento della
�fortezza� si fa sempre pi� prossimo a quello della ribellione. L�arte di vivere
nella vecchiaia rende disponibili due opzioni, seguendo le quali si pu� ancora
vivere una vita piena: essere ancora attivi, continuare a formarsi, a impegnarsi e
a coltivare la propria socialit�; oppure essere totalmente passivi, ritirarsi,
esserci
solo per s� e per la propria famiglia e considerare la vita sociale da una
prospettiva esterna, con quella serena distanza che troppo spesso manca nel
turbine della quotidianit�.
Particolarmente importante nella vecchiaia � il piacere del contatto, proprio
nel momento in cui gli altri sensi, come la vista e l�udito, diventano pi� deboli,
ma la comunicazione tattile di base � ancora possibile come nei primi anni di
vita. Si pu� sentire il battito cardiaco troppo veloce, la pressione che si alza
quando la mano di un altro tocca delicatamente un braccio, risvegliando una
fiducia immediata e persistente. Ma il dramma � che proprio in vecchiaia,
quando cresce il bisogno di contatto, diminuisce sensibilmente la disponibilit�
degli altri. La pelle non � pi� fonte di attrazione, come per i bambini. � come se
si andasse in giro con una scritta sulla fronte: �noli me tangere�, �non toccarmi�.
Gli autori non sono per� gli anziani, ma la giovent� di una propaganda culturale
che rende i vecchi anche �intoccabili�. Non si pu� rischiare di essere contagiati
dall�et�: pericolo di morte. Ma quantomeno gli anziani fanno esperienza del
contatto, tanto pi� si estraniano da se stessi, dagli altri e, infine, dal mondo
intero, esclusi e �distaccati�. Se � vero che il contatto � cos� importante, se �
vero
che toccando il corpo si pu� toccare anche l�anima, allora bisognerebbe
garantirsi anche in vecchiaia questo �nutrimento fondamentale�: intanto il
contatto fisico, che pu� consistere in un abbraccio, nelle proprie mani, o nelle
mani di qualcun altro che massaggia regolarmente il corpo o in una qualche altra
terapia fisica, nel contatto dell�acqua, in un bagno o nel nuoto, o almeno con la
possibilit� di toccare qualche materiale, sostanza o oggetti di vario genere.
Altrettanto importante � il contatto psichico, che pu� avvenire nelle relazioni di
tutti: nella tensione fra queste due esperienze la vita diventa un�opera d�arte.
L�uomo nasce, vive la sua vita e muore. Si pu� far fronte in qualche modo
alla nascita e alla vita. Ma la morte? Il fatto che nell� ars vivendi rientri anche
l� ars moriendi era noto ai filosofi gi� in et� antica: �Bisogna prendersi cura
allo
stesso modo della vita bella (kalos zen) e della morte bella (kalos
apothneskein)�, scrive Epicuro nella Lettera a Meneceo. Pensare alla morte,
occuparsi di essa, prepararvisi: caratteristiche fondamentali dell�essere umano
che, privato della consapevolezza della morte, rimarrebbe in una condizione
animalesca. Si tratta di essere nuovamente padroni di se stessi e di darsi una
forma. Quest�ultima volta la formazione non � tanto un fare, bens� un non fare. Il
processo della morte � principalmente questione di una scelta passiva: far
arrivare la morte senza resisterle, cos� come deve essere. Ci si pu� forse
preoccupare di realizzare le condizioni in base alle quali l�incontro con l�abisso
assoluto possa apparire come qualcosa di degno d�approvazione e, in questo
senso, come qualcosa di bello, anche perch� quando non resta altro, quando �non
c�� pi� niente da fare�, resta sempre l�arte di vivere: prendersi cura di s� senza
il
palliativo (dal latino pallium, �mantello�) rappresentato dagli altri; creare da s�
o
con l�aiuto di altri le condizioni spaziali esteriori (formazione dello spazio,
divisione del tempo) necessarie per la quiete e la serenit� interiore; garantirsi
la
possibilit� di vivere fino all�ultimo secondo le proprie abitudini e, per quanto �
possibile, cercare di non subire uno sradicamento dovuto a un cambiamento di
luogo improvviso, rinunciando alle ultime terapie o agli interventi in ospedale e,
non da ultimo, stabilire chi avere vicino e chi tenere a distanza. Il contatto �
l�unica cosa che rimane, quando non c�� pi� molto da dire: gi� il contatto meno
visibile con una mano che tocca il dorso dell�altra, o che si posa sulle braccia o
sulle spalle, che passa sul viso o sulla fronte. Gi� solo questo pu� essere un
favore fatto a chi sta morendo: morire nelle braccia di qualcun altro, in braccia
dove il capo riposer� per sempre, pu� essere una consolazione infinita. Chi
muore pu� desiderare che arrivi la sua ora o addirittura stabilirla esplicitamente
o
implicitamente. Non si tratta di un�attivit�, ma di un appuntamento interiore del
s� con se stesso, proprio come osservano quelle persone che guardano
dall�esterno chi sta morendo. Appena definito il contesto in cui si morir�, sono in
pochi quelli che vogliono essere attivi fino alla fine.
L�arte di vivere considera un�opzione anche l�arte di morire decisa con una
scelta autonoma, cio� un atto passivo di suicidio, proprio come quello praticato
nel 2002 da Thor Heyerdahl, un norvegese di ottantasette anni: dopo che gli fu
diagnosticato un cancro decise di non assumere pi� alcun nutrimento, niente
acqua, nessuna medicina. Mor� a casa sua poco tempo dopo. Al di l� dell�atto
passivo, si pone subito la questione del suicidio come conseguenza di una scelta
attiva: si tratta di una domanda quasi offensiva, che tuttavia � meglio
comprendere in questo modo che non come espressione di un �divieto� o come
un tab�. Non � opportuno discutere della legittimit� di un simile modo di
morire? La domanda resta teorica. In pratica si dice: certo, fondamentalmente si
tratta di una scelta sempre possibile, e un suicidio non � un delitto o una morte
violenta inflitta a se stessi. Ma bisognerebbe comunque riflettere su questo
punto: la libert� espressa da una possibile liberazione dalla vita potrebbe essere
limitata, per esempio da un�illusione prospettica, che distorce lo sguardo sulla
propria vita, che a volte la tinge di nero o di rosa, come nel caso dei problemi di
cuore o dell�euforia che nasce quando ci s�innamora. Se l�esperienza del senso �
prospettica, deve esserlo anche quella del non senso: l�esigenza di fondare una
scelta definitiva resta sempre possibile, ma mai plausibile; se non altro perch�
nasconde in s� il carattere dell�arbitrariet�, che non ci si deve illudere di poter
eliminare. Una morte scelta liberamente pu� essere sensata solo come risposta a
qualcosa che non si pu� evitare, come le malattie inguaribili, o come nel caso di
rassicurare chi vive, soprattutto nel momento in cui decida di fuggire, preso dal
panico per la morte, e prima che la morte colga anche lui. Il vincolo tra gli
esseri
umani, che in questo modo pu� essere rafforzato o fatto risorgere, resta anche
dopo la morte. Il morto pu� aver cessato di vivere nella forma della persona, ma
la sua essenza resta in chi continua a vivere, resta nei suoi cari, contribuisce
alla
loro ricchezza e si mantiene in tutto il decorso della vita. Questa � la pi� grande
consolazione che pu� essere procurata dalla relazione con la morte: la certezza di
non morire davvero, anche quando il corpo, e l�intera soggettivit�, cadono in
questa forma.
Chi vive incontra la morte come morte degli altri. L�esperienza che se ne fa �
quella di un attimo in cui, lacerato ogni velo, la vita resta nuda. Tutta la vita
ci
appare come morte, nient�altro. Si sente una scossa metafisica, identica per il
momento in cui si viene al mondo e per quello in cui lo si lascia, quando quel
viaggio attraverso il tempo che � la vita volge al termine. La tensione e il campo
in cui essa si dispiega, che si estende tra la nascita e la morte, tutte le paure,
le
speranze, le delusioni, i piaceri, le fratture, i distacchi, i vincoli, le
separazioni, i
discorsi infiniti, le riflessioni, le decisioni, le giustificazioni, le scuse, le
bellezze,
l�odio, tutta la �catastrofe�, tutto ci� si riduce a un trattino che lega il giorno
in
cui si nasce e quello in cui si muore. Questo era tutto? Ma il fatto che la morte
sia la fine della vita � solo il portato di una fede alla quale non corrisponde
alcuna forma di sapere. � altrettanto possibile una fede nel fatto che le cose
stiano diversamente. Decisiva in questo senso � la propria riflessione, la scelta
dell�atteggiamento da assumere nei confronti del problema. Dal punto di vista
ontologico la morte pu� essere compresa come un abbandono dell�unica realt�
prevista per questa vita, un ritorno allo spazio infinito della possibilit�, un
�tornare a casa�, nel senso che il s� � originariamente venuto dal luogo in cui sta
tornando.
In ogni caso una tale rappresentazione della trascendenza resta un pensiero
possibile, indipendente dalla sua corrispondenza con la realt�, e, del resto, la
possibilit� che le cose stiano in questo modo � sempre difficile da rifiutare. Pi�
importante che conquistarne il concetto pare l�acquisizione di una
consapevolezza che lo oltrepassi; alla fin fine non � pi� questione di un sapere,
ma di un atteggiamento: in questo modo l�arte di vivere diventa un �gioco
strutturalmente infinito�. La rappresentazione di un �oltre� comporta il non
chiudersi nella finitezza e rappresenta una possibile risposta alla domanda sul
senso della vita. La coscienza di essere un uomo che vive in mezzo a beni infiniti
pu� spingere, come pensava lo stesso Epicuro, �a vivere come Dio fra gli
uomini� (Lettera a Meneceo, 135). A quei tempi era viva la preoccupazione per
una vita che non trova la sua massima ampiezza all�interno di se stessi, o nel
senso di solitudine metafisica che caratterizza la condizione dell�uomo moderno.
Nel momento di debolezza, quando si capisce che il lavoro sul senso richiede
energie delle quali non si � pi� in possesso, il s� pu� sentirsi incluso in
un�implicazione che tiene insieme finito e infinito, che sta alla larga
dall�esperienza della mancanza di senso. Il s� non trae soddisfazione solo da uno
sguardo retrospettivo sulla vita bella, ma anche dall�esperienza di una pienezza
che si estende oltre la vita, l�esperienza di una protezione che viene
dall�infinitezza ma che si manifesta anche nel mondo, in una mistica pienamente
sobria.
Se � vero che un tempo la vita concreta veniva proiettata nell�aldil�, in
seguito a una svalutazione dell�esistenza terrena, � anche vero che la
controreazione moderna � stata quella di spostarla e riportarla pienamente
nell�aldiqu�. Da qui lo stress nei confronti di una vita che non pu� che essere
vissuta negli stretti limiti spazio-temporali di �questa vita�. � nell�aldiqu� che
ora si apre una possibile �altra vita�. Il s� coltiva la capacit� di acquisire una
distanza da se stesso, che gli permette di trascendere le ristrettezze della vita
vissuta. A una possibile �altra vita� si pu� ora affidare tutto ci� che non � stato
realizzato in questa. Una conseguenza di questo atteggiamento � la tranquillit�
che si sostituisce alla brama disperata da cui la modernit� � posseduta.
Come passaggio a un�altra vita, come possibilit� di una nuova vita: in questo
senso anche la morte pu� essere bella e degna di approvazione e in ogni caso
comprensibile. Cos� pu� anche essere riscoperta una concezione filosofica
dell�antichit� come quella di Epitteto: l�essere umano, nato �come se il mondo
avesse bisogno di lui�, morendo diventa �qualcosa di diverso, di cui il mondo ha
bisogno in questo momento� (Diatribe, III, 24). L�essere umano si mescola con
tutti gli altri elementi e da questi si sviluppa nuovamente ma in una forma
diversa: questa � la rappresentazione di una metamorfosi, e forse anche una sorta
di �rinascita�. Da un punto di vista soggettivo tutto questo pu� senz�altro
generare qualche dubbio, soprattutto in riferimento all�eventuale esistenza di una
prosecuzione della vita. Ma, se non spariscono, dove vanno a finire le parti del
s�, quelle fisiche, ma anche quelle psichiche e spirituali? Certo non possono
dissolversi nel nulla, cosa assolutamente poco plausibile; resta solo la
possibilit�
di una nuova e diversa ricomposizione e di una vita nuova e diversa. Cos� si pu�
pensare che �noi� siamo tutto questo e che noi vivremo ancora per cento, mille
anni, oltre al fatto che siamo anche �noi� quelli che rielaborano una vita gi�
data:
sotto questo aspetto sarebbe quantomeno fatale ogni atteggiamento dissennato,
per esempio relativo ai nostri comportamenti ecologici. Con la morte, quindi,
non finirebbe tutta la vita, ma solo quella vissuta in questa forma. E anche
quando fosse concepibile una prosecuzione della vita in una forma diversa, la
vita continuerebbe a operare. E questo non pone fine alla vita vissuta: ogni
respiro di ogni essere umano lascia la sua traccia. In qualche modo ogni vita
continua a essere efficace anche laddove i suoi effetti restano nascosti: la vita
di
un essere umano diventa una stella nel firmamento degli altri, e tutta la vita del
s� � accompagnata dal presentimento che le cose stiano davvero in questo modo.
L�impressione della trascendenza, infine, � data anche dal possibile
sentimento di essere condotti attraverso tutta la nostra vita, e non solo di essere
Una possibilit� che con la morte fisica si realizza senza meno: questo � l�altro,
l�estraneo, il nemico, ci� che ci sembra tale e che, nondimeno, fa parte di noi e
ci
appartiene in ogni momento. Da qui il sentimento angosciante del �dissolversi�,
il presentimento di qualcosa che sta in agguato, che pu� dissolvere il s� una volta
per tutte, anche solo a vantaggio di una metamorfosi, o di una trasformazione in
una serie di connessioni diverse, di una vita diversa e pi� ampia. Il
presentimento di un s� diverso. Attraverso la vita ordinaria � possibile trovare le
tracce di un s� diverso, �autentico�, trascendente, di un s� non vulnerabile e
caduco come l�io dato, non vincolato allo stesso modo a spazio e tempo, o forse
solo una finzione dell�io rappresentato, ma tale da permettere di guardare da
lontano l�io dato. Sullo sfondo di questa comprensione appare insensato voler
�annientare� l�altro e l�estraneo in s�, o la paura profonda che si sente nei suoi
confronti, anche perch� ci� significherebbe annientare la vita stessa, la vita che
si estende oltre la morte. L�altro e l�estraneo possono anche spaventarci, e
tuttavia, se l�interpretazione che ne abbiamo dato � in qualche modo plausibile,
possono anche essere compresi come parte costitutiva della vita.
Ma non c�� dubbio: questo � l�ambito della speculazione e della fede, non
quello della verit� suscettibile di prove e dimostrazioni. Per l�arte di vivere �
decisiva la base su cui il s� osa fondare la sua vita e la sua morte. Su questa
base
poggia, infatti, quel peso che da una parte esclude ogni arbitrio nella vita e,
dall�altra, fonda una verit� esistenziale, la verit� di un�esistenza che � aperta
all�altro sotto ogni profilo: una nuova apertura della vita secondo la possibilit�,
un�esperienza possibile della trascendenza, che spinge a superare limiti troppo
angusti. Per questo si deve oltrepassare il punto pi� estremo, il tratto oppressivo
ed esclusivo del s�, quello che gli ruba l�aria per respirare.
�� questo il livello pi� alto di confidenza che si pu� raggiungere con se stessi?�.
�Forse�.
�Ci siamo allontanati parecchio dall�autoreferenzialit�.
�Forse proprio questo � il senso della relazione con se stessi�.
Sommario
Introduzione
1. Le paure e le arti. Come inizia l�arte di vivere
2. La cura di s�
3. La cura del corpo
4. La cura dell�anima
5. La cura dello spirito
6. L�infanzia e la vecchiaia. Inizio e fine dell�arte di vivere