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I contributi raccolti nel presente volume sono il risultato di un Marcello Boemio, Ugo Calvaruso, Valeria Gammella,

Da Marx al post-operaismo –
processo di formazione, allo stesso tempo, individuale e collettivo, ac- Maria Rosaria Iovinella, Raffaella Limone, Luca Mandara,
cademico e politico, condotto da alcune “giovani leve” della riflessione Milena Morabito, Marco Morra, Andrea Pascale, Irene Viparelli
filosofica e si propongono di offrire differenti declinazioni della tra-
dizione teorico-politica che partendo da Karl Marx giunge attraverso
Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Michel Foucault e Louis Althus-
ser fino ad Antonio Negri e al post-operaismo.

GIOVANNI SGRO’ è ricercatore di Storia della filosofia presso la Fa- Da Marx


coltà di Psicologia dell’Università degli Studi eCampus di Novedrate
(Como) e direttore del Centro di Ricerche Sto.Rio.S.S. Ha svolto sog-
giorni di ricerca in Svizzera (Zurigo) e in Germania (Heidelberg, Ber-
lino, Tubinga e Münster). Ha curato traduzioni dal tedesco di opere
al post-operaismo
di e su Marx ed Engels ed è autore di numerosi saggi in italiano e in
tedesco dedicati a Hegel, Gans, Marx, Engels e Weber. Pagina perso-
Soggettività e pensiero emergente
nale: uniecampus.academia.edu/GiovanniSgro.

Soggettività e pensiero emergente


IRENE VIPARELLI è Professora Auxiliar da Universidade de Évora e
Investigadora integrada no CICP (Centro de Investigação em Ciência
Política). Autrice di numerosi saggi e del libro Oltre i limiti di Marx.
Un confronto tra Negri e Althusser (2017), si occupa principalmente di
questioni inerenti alla teoria marxiana, alla storia del marxismo, all’al-
thusserismo e all’operaismo.

A cura di
Giovanni Sgro’ e Irene Viparelli

978-88-8292-513-0
€ 16,00

9 788882 925130

LA CITTÀ DEL SOLE


Introduzione 1

La foresta e gli alberi


44
2 Giovanni Sgro’

Este trabalho é financiado por Fundos Nacionais através da FCT – Fundação para a
Ciência e a Tecnologia no âmbito do projeto UID/CPO/00758/2013.

Questo lavoro è stato finanziato con Fondi Nazionali dalla Fondazione per la Scienza
e la Tecnologia nell’ambito del progetto UID/CPO/00758/2013.
Introduzione 3

Marcello Boemio, Ugo Calvaruso, Valeria Gammella,


Maria Rosaria Iovinella, Raffaella Limone,
Luca Mandara, Milena Morabito, Marco Morra,
Andrea Pascale, Irene Viparelli

Da Marx
al post-operaismo
Soggettività e pensiero emergente

A cura di
Giovanni Sgro’ e Irene Viparelli

LA CITTÀ DEL SOLE


4 Giovanni Sgro’

In copertina: Karl Marx, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Michel Foucault,


Louis Althusser, Antonio Negri.

Edizioni
LA CITTÀ DEL SOLE
redazione@lacittadelsole.net – www.lacittadelsole.net
Napoli – 2018

ISBN 978-88-8292-513-0

Le Edizioni La Città del Sole sono contro la riduzione a merce dell’individuo


e del prodotto del suo ingegno.
La riproduzione, anche integrale, di questo volume è, pertanto, possibile e
gratuita, ed è subordinata ad autorizzazione dell’editore soltanto a garanzia di un
uso proprio e legittimo dei contenuti dell’opera.
Introduzione 5

Indice

Giovanni Sgro’,
Introduzione p. 7

Mariarosaria Iovinella,
La storia politica de L’ideologia tedesca.
Influenze editoriali nella costruzione
del primo capitolo 13

Luca Mandara,
I Manoscritti economico-filosofici del 1844:
per una critica dei bisogni in Marx 37

Marcello Boemio,
Carl Schmitt: spoliticizzazione e forma politica 57

Marco Morra,
Il “messianismo” nella filosofia di Walter Benjamin
come fondazione di una “storia dei vinti”
tra storiografia e politica 81

Milena Morabito,
Herbert Marcuse e il “Marxismo Sovietico” 97

Valeria Gammella,
Foucault interprete della rivoluzione iraniana.
Dalla “spiritualità politica”
alla soggettivazione critica 119
6 Giovanni Sgro’

Irene Viparelli,
La duplice funzione del materialismo aleatorio.
Riflessioni sull’“incontro” di filosofia materialista
e scienza della storia in Louis Althusser p. 141

Andrea Pascale,
La potenza generativa di Amore: l’ontologia materialista
di Antonio Negri 155

Raffaella Limone,
La democrazia assoluta nel pensiero di Antonio Negri 179

Ugo Calvaruso,
“Operaismo”, “post-operaismo” e “operaismo nuovo”:
problemi terminologici e metodologici tra similitudini,
differenze, continuità e discontinuità 203
Introduzione 7

Giovanni Sgro’

Introduzione

«Perché gli è offizio di uomo buono, quel bene


che per la malignità de’ tempi e della fortuna tu non
hai potuto operare, insegnarlo ad altri, acciocché,
sendone molti capaci, alcuno di quelli, più amato
dal Cielo, possa operarlo» (Niccolò Machiavelli,
Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, libro
secondo, proemio).

I contributi raccolti nel presente volume sono il risultato di un


processo di formazione, allo stesso tempo, individuale e collettivo,
accademico e politico, condotto da alcune “giovani leve” della rifles-
sione filosofica e si propongono di offrire differenti declinazioni della
tradizione teorico-politica che va da Marx al post-operaismo.
A Karl Marx, in particolar modo al cosiddetto “giovane” Marx,
sono dedicati i contributi di Maria Rosaria Iovinella e di Luca Mandara.
Iovinella si propone di analizzare il carattere “apocrifo” de L’ideo-
logia tedesca di Marx ed Engels tracciando una storia politica delle sue
edizioni, dalla prima pubblicazione incompleta di Gustav Mayer del
1921 all’edizione completa e filologicamente più attendibile preparata
da David Borisovič Rjazanov e poi pubblicata da Vladimir Viktorovič
Adoratskij nel 1932. Secondo Iovinella, attraverso la storia politica
delle edizioni de L’ideologia tedesca è possibile mostrare come nella
prima metà del Novecento il tendenzioso processo della diffusione
delle opere di Marx ed Engels e l’assenza di una loro edizione critica
e integrale, insieme con la originaria incompiutezza che caratterizza
alcune loro opere e con la rielaborazione postuma degli editori, siano
state le cause principali di un costante snaturamento del pensiero di
Marx ed Engels e della nascita di un’ideologia che si ispirava a degli
autori le cui opere erano, in gran parte, ancora sconosciute.
Mandara analizza, invece, la formazione del concetto di bisogno
nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, soffermandosi sul
rapporto critico che Marx intrattenne con l’economia politica inglese
e con la filosofia classica tedesca, le quali, sebbene per vie diverse, ten-
devano ad associare il “bisogno” – e gli annessi concetti di sensibilità,
8 Giovanni Sgro’

corporeità e attività lavorativa – soltanto alla sfera necessaria e immuta-


bile della immediata naturalità e al particolarismo egoistico dell’uomo.
Nei Manoscritti Marx mostra, da un lato, come tali prospettive teoriche
borghesi siano “vere”, se intese come espressioni del fatto “attuale” del
lavoro alienato: in quanto soggetto-oggetto dell’alienazione, infatti, al
lavoratore è preclusa la possibilità non solo di soddisfare i cosiddetti
bisogni “fisici”, ma soprattutto di sviluppare bisogni e organi di senso
al di là dell’immediata necessità corporea. Dall’altro lato, però, nei
Manoscritti Marx mostra anche il carattere storico e quindi transeunte
del lavoro alienato, dipendente a sua volta da ben determinati rapporti
di produzione e di dominio dell’uomo sull’uomo, e si dedica quindi
a una rielaborazione del concetto di lavoro e di bisogno nell’«ipotesi
del socialismo». Secondo la ricostruzione di Mandara, una volta che
l’oggetto sensibile è diventato proprietà sociale e una volta che l’uomo
è stato liberato dalle immediate necessità grazie allo sviluppo delle forze
produttive della società, il nuovo soggetto storico potrà dedicarsi allo
sviluppo onnilaterale e sociale della propria individualità e potrà confi-
gurare così una nuova forma di ricchezza non più misurata mediante le
astrazioni del denaro, bensì secondo il bisogno concreto di una «totalità
di manifestazioni di vita umane».
Un interessante “intermezzo” non marxista è rappresentato dal
contributo di Marcello Boemio.
Concentrandosi soprattutto su Il concetto di Politico e su L’epoca
delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni, Boemio cerca di fare
emergere come nella teologia-politica di Carl Schmitt la questione
della secolarizzazione sia strutturalmente legata a ciò che lo stesso
Schmitt definisce “spoliticizzazione”, ovvero al sogno europeo di dare
vita a un mondo senza politica. Eliminare la possibilità della lotta e
del conflitto significa, secondo Schmitt, che lo sforzo della filosofia
europea è stato orientato alla ricerca di una pacificazione globale, in
modo da dare vita a una terra senza più la fondamentale distinzione
“polemica” tra amico e nemico. Nel concetto di progresso-processo, la
necessità-razionalità della storia riduce a nulla la scelta, comportando
l’occultamento della decisione sovrana e trasformando il nemico in
criminale da eliminare (in quanto negatore delle leggi dello sviluppo
storico). Secondo Boemio, Schmitt rifiuta tale orizzonte, riportando
piuttosto il problema in un quadro politico-esistenziale che precede
quelli di ordine essenziale e dando vita a una concezione dell’uomo
come essere “problematico” e, dunque, non determinato da nessuna
Introduzione 9

natura o logos. In tale prospettiva schmittiana, gli uomini si trovano


immersi in una contingenza storica priva di fondamento e di sostanza
e sono spinti ad associarsi e a combattersi senza potersi legittimare
facendo ricorso a leggi storiche o naturali.
Il ricollegamento alla tradizione marxista novecentesca è rappre-
sentato dai contributi di Marco Morra e di Milena Morabito, dedicati
a due autori riconducibili, in senso lato, alla cosiddetta “Scuola di
Francoforte” o teoria critica della società.
Nell’ambito delle numerose e diverse interpretazioni di cui è sta-
to fatto oggetto il pensiero di Walter Benjamin, Morra distingue due
linee interpretative principali: 1) l’interpretazione che, nutrita delle
riflessioni schmittiane sul katéchon, fa dell’«interruzione messianica» il
principio di un “potere frenante” intenzionato a rallentare il progresso
capitalistico con una sorta di politica del negativo o della resistenza
perpetua; e 2) l’interpretazione che vuol vedere nel rapporto tra
messianismo giudaico e materialismo storico una visione utopistica,
escatologica e attendista dell’avvento del comunismo come evento di
redenzione di una realtà senza via di scampo. Secondo Morra, entram-
be le interpretazioni non sono corrette, perché rinunciano a pensare
la politica dell’emancipazione come pratica di rottura nel divenire
presente della storia. A ben vedere, precisa Morra, la filosofia della
storia di Benjamin si delinea parallelamente alla critica delle concezio-
ni positivistiche del divenire storico inteso come “progresso” lineare
in un «tempo omogeneo e vuoto» e come fiducia nella perfettibilità
«incessante» delle forze produttive. Rispetto al paradigma positivistico
della socialdemocrazia tedesca, assunto come esempio negativo della
sussunzione della politica del proletariato nel “progressismo” quan-
titativo delle riforme economiche in regime capitalistico, Benjamin
vuole invece costruire una «storiografia autentica» come modalità
di narrazione e di riappropriazione della tradizione (o memoria) dei
vinti per costruire una modalità autenticamente rivoluzionaria di
prassi politica, un’istanza cairologica di presa-di-posizione e di pre-
senza nella storia. Nel suo contributo Morra mostra come Benjamin
elabori un’interpretazione materialistica della storia che si nutre della
tradizione giudaica, le cui pratiche di “rammemorazione” del proprio
passato di oppressione e di sofferenza costituiscono una modalità di
presenza attuale nella possibilità incombente dell’avvento redentivo.
Nel suo contributo su Marcuse, Morabito parte, invece, dalle
premesse teoriche del marxismo sovietico, al fine di verificarne le con-
10 Giovanni Sgro’

seguenze e il grado di incidenza ideologica e sociologica sulla realtà


sovietica. Alla luce dell’analisi marcusiana, il “marxismo” sovietico
non si presenta come una mera ideologia, funzionale alla politica
repressiva del partito. Essendo dotato di una propria intima vitalità
e coerenza logica, esso si qualifica, piuttosto, come l’espressione di
una «ragione storica operante». Piuttosto che essere la negazione del
capitalismo, il socialismo sovietico partecipa, invece, alla sua stessa
funzione di sviluppo industriale. Nell’analisi marcusiana di Soviet
Marxism non vi è, secondo Morabito, l’idea di un marxismo tradito,
perché a mutare sono il contesto storico e la funzionalità di alcuni
principi all’interno di un sistema teorico che risulta comunque essere
coerente con le sue premesse marxiste.
Alla tradizione strutturalista francese sono dedicati poi i contri-
buti di Valeria Gammella e di Irene Viparelli.
Gammella prende in esame il Taccuino persiano di Michel Fou-
cault, leggendovi una tappa importante dell’itinerario filosofico di
Foucault e un documento significativo dell’approccio che egli viene
maturando ai temi della politica. Ripercorrendo gli articoli apparsi sul
«Corriere della sera», Gammella mostra come l’analisi delle vicende
iraniane degli anni 1978-1979 offra a Foucault l’occasione per mette-
re alla prova lo schema “governo-rivolte di condotta”, elaborato come
alternativa teorica al modello “repressione-liberazione”. Gammella
mostra poi anche come il Taccuino persiano testimoni di una fase
di transizione negli studi foucaultiani, in cui il tema della soggetti-
vazione matura al crocevia tra il piano della forza – l’immediatezza
della sollevazione senza prospettive precise – e quello laborioso della
costruzione pratica del sé attraverso l’adesione a un culto che viene
modellandosi sull’esigenza di contrapporsi al governo esistente. A
tal proposito Gammella chiarisce come l’interesse foucaultiano per
la religione sia legato alla sua capacità di funzionare specificamente
come leva di soggettivazione.
Viparelli si propone, invece, di mettere in luce l’importanza
teorica della raccolta di inediti di Louis Althusser Écrits sur l’histoi-
re (Paris, PUF, 2018). Secondo Viparelli, tali scritti finora inediti
permettono di chiarire il legame tra l’interpretazione althusseriana
dell’opera di Marx come “scienza della storia” e la sua rappresentazio-
ne dell’“aleatorio” come nucleo essenziale di ogni filosofia veramente
materialista. Dall’accurata analisi di Viparelli si evince come gli
inediti sulla storia permettano di dimostrare che l’ipotesi filosofica
Introduzione 11

del materialismo aleatorio, lungi dall’appartenere all’“ultimo” Althus-


ser, sia piuttosto presente fin dagli esordi della sua riflessione e che
svolga, nei confronti della scienza marxiana della storia, una duplice
funzione: da un lato, in quanto critica radicale di ogni fondazione
trascendentale della storia, il materialismo aleatorio rappresenta il
presupposto logico-storico che rende possibile l’analisi scientifica della
storia e, nello specifico, del modo di produzione capitalistico; dall’al-
tro lato, conclude Viparelli, in quanto è “pensiero della congiuntura”,
il materialismo aleatorio si afferma come necessario complemento
pratico-politico della scienza della storia, capace di rivelarne il nucleo
rivoluzionario.
Chiudono il volume i contributi di Andrea Pascale, Raffaella
Limone e Ugo Calvaruso, dedicati alle diverse fasi della riflessione
filosofico-politica di Antonio Negri.
Pascale indaga specificamente lo statuto di Amore elaborato da
Negri, che intende l’Amore come l’unica potenza generativa in grado
di attuare la democrazia assoluta della moltitudine, da cui sgorga la
vita stessa della moltitudine. Concentrandosi in primo luogo sui due
grandi incontri di Negri con Spinoza e Foucault, dai quali ricaverà
una fisica delle passioni, la carne della resistenza su cui innestare il
discorso su Amore, Pascale passa poi a presentare il materialismo di
Negri nel segno dell’eccedenza costituente della moltitudine come
prodotto dell’Amore, per mettere infine a fuoco la potenza della
moltitudine dei poveri che, attraverso l’Amore, può costituire comune
e definire un piano di democrazia assoluta irriducibile e dinamica.
All’analisi della teoria della democrazia assoluta, elaborata da
Negri nell’ultima fase del suo pensiero, è dedicato specificamente il
contributo di Limone, la quale vede anticipate concettualmente ne Il
potere costituente (1992) le tesi espresse poi successivamente da Negri
(insieme a Michael Hardt) in Impero (2002) e in Moltitudine (2004):
il conflitto tra il potere costituente, inteso come forza democratica di
innovazione istituzionale, e il potere costituito, inteso come fissazione
del potere nelle costituzioni formali e nell’autorità centrale dello Sta-
to. Nella cosiddetta fase post-operaista la riflessione negriana apre, in
questa traiettoria teorica, all’analisi di una nuova maniera attraverso
cui organizzare la potenza e l’azione delle masse, non abbandonando
di fatto il rovesciamento operaista di Mario Tronti, che poneva la
resistenza come antecedente al rapporto capitalistico. Come emerso
in Comune (2010), la discussione intorno alla possibilità stessa di
12 Giovanni Sgro’

una democrazia assoluta dovrà, secondo Negri, essere dislocata dal


piano dell’essere della moltitudine al piano del divenire e del fare della
moltitudine, intesa non come un soggetto costituito, bensì come un
programma di organizzazione politica.
Calvaruso si sofferma, infine, sull’analisi dei problemi terminolo-
gici e metodologici che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero
operaista. Mentre Mario Tronti ritiene che l’operaismo nasca con i
«Quaderni rossi» (1961-1966) e che si sviluppi, si consolidi e si con-
cluda soprattutto con l’esperienza di «Classe operaia» (1964-1967),
laboratorio in cui si consolida uno “stile” e un “modo di pensare po-
litico” caratteristico, relegando le proposte pratico-teoriche di «Potere
operaio» (1967-1973) e di «Autonomia operaia» (1973-1979) nella
fase “post-operaista”, Negri ritiene, invece, che proprio tale passaggio
costituisca un salto qualitativo, che ha portato l’operaismo da uno
stato “grezzo”, privo di rielaborazioni ontologiche e di rilevamenti
delle nuove composizioni di classe, a uno stato “nuovo”, caratterizzato
dagli aggiornamenti teorici che hanno riscontrato nuove potenzialità
all’interno delle soggettività rivoluzionarie contemporanee. Calvaruso
giunge alla conclusione che, nonostante le innumerevoli diversità, l’o-
peraismo sia caratterizzato da una “continuità rotta” (che ne definisce
due fasi o periodi), ma che, in ogni caso, sia in termini di “stile” sia in
termini di “metodo”, permanga invariata una costante: l’esigenza di
porre, prioritariamente e programmaticamente, la propria attenzione
sull’antagonismo di classe e sul momento politico.
La storia politica de L’ideologia tedesca 13

Mariarosaria Iovinella

La storia politica de L’ideologia tedesca


Influenze editoriali nella costruzione del primo capitolo

1. Il carattere “apocrifo” dei manoscritti


de L’ideologia tedesca
La storia politica delle edizioni de L’ideologia tedesca copre un
intero secolo e ha un ruolo significativo per quanto riguarda l’impat-
to che quest’opera ha avuto sulla ricezione del pensiero di Marx ed
Engels, nonché sulla sistematizzazione del pensiero dei due autori.
Tutte le edizioni e le traduzioni de L’ideologia tedesca che si sono
succedute fino a ora hanno una importante matrice storico-politica
e sono quindi espressione degli eventi più significativi del ventesimo
secolo come la rivoluzione russa, l’avvento di Stalin, il nazismo in
Germania, la seconda guerra mondiale e la successiva guerra fredda
che ha coinvolto l’Unione sovietica e i regimi rivali in oriente e oc-
cidente, la caduta degli Stati comunisti nell’est Europa e l’influenza
politico-economica dei successivi regimi capitalistici.
Il dispiegarsi di questi eventi è strettamente correlato alle analisi
critiche delle pratiche editoriali che risulta evidente nella genealo-
gia delle edizioni fino a oggi. Si può sostenere, accogliendo la tesi
di Daniel Blank e Terrell Carver, che quello che oggi chiamiamo
L’ideologia tedesca in realtà non sia mai esistita1. Neanche il titolo
L’ideologia tedesca o termini cruciali quali “concezione materialistica
della storia”, “materialismo storico” sono rintracciabili nei mano-
scritti originali del 1845-1846. Il carattere “apocrifo” de L’ideologia
tedesca è rimasto segreto a molti lettori di questo straordinario lavoro

1
Terrell Carver in una sua recente pubblicazione ha sostenuto che «non è mai
stata scritta e pertanto non esiste». Cfr. T. Carver, The German Ideology Never Took
Place, in «History of political Thought», XXXI (2010), n. 1, pp. 107-127.
I Manoscritti economico-filosofici del 1844 37

Luca Mandara

I Manoscritti economico-filosofici del 1844:


per una critica dei bisogni in Marx
L’astratta inimicizia fra sensi e spirito è inevitabile fintanto
che non si produca dal lavoro proprio dell’uomo il senso umano
per la natura, il senso umano della natura, dunque anche il senso
naturale dell’uomo1.

1. Introduzione
Il presente contributo intende esplorare il concetto di bisogno
nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 (cfr. M, 209)2 al fine di
dimostrare che il rifiuto marxiano di definirlo e, insieme, di usarlo
trasversalmente nella sua teoria economica come nelle sue intui-
zioni più squisitamente filosofiche3, sia sintomatico di una precisa
opzione politica. Nei Manoscritti Marx cominciò a sviluppare una
“scienza nuova dei bisogni” che sarebbe stata a fondamento della
sua critica4 sulla base di una “degnità” prima: la dimensione storica

1
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Id., Opere filosofiche
giovanili, a cura di Galvano della Volpe, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 242 (da
qui in poi si utilizzerà direttamente nel testo la sigla M, seguita dal solo numero
della pagina citata).
2
Sulle vicende editoriali e la ricezione dei Manoscritti in Occidente, cfr. Ferruc-
cio Andolfi, Introduzione a K. Marx, Manoscritti economico-filosofici, a cura di F. An-
dolfi, Roma, Newton Compton, 1976; Eric. J. Hobsbawn, La fortuna delle edizioni
di Marx ed Engels, in E.J. Hobsbawm et. al. (a cura di), Storia del marxismo, vol. I,
Torino, Einaudi, 1978, pp. 358-374 e Marcello Musto, I Manoscritti economico-
filosofici del 1844 di Karl Marx: vicissitudini della pubblicazione e interpretazioni
critiche, in «Studi storici», XLIX (luglio-settembre 2008), n. 3, pp. 763-792.
3
«Marx è solito definire attraverso il concetto di bisogno, ma non definisce
mai il concetto di bisogno, anzi non descrive nemmeno che cosa si debba intendere
con tale termine» (Ágnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx, trad. it. di Annamaria
Morazzoni, prefazione di Pier Aldo Rovatti, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 24).
4
Cfr. F. Andolfi, Lavoro e libertà. Marx, Marcuse, Arendt, Reggio Emilia, Dia-
basis, 2004, pp. 35-54. L’autore rivendica già ai Manoscritti una critica dell’economia
politica marxiana da un punto di vista non solo filosofico, ma già scientifico grazie
Carl Schmitt: spoliticizzazione e forma politica 57

Marcello Boemio

Carl Schmitt: spoliticizzazione


e forma politica

1. Neutralizzazione e destino
Leggendo Il concetto di politico, nell’edizione del 1932, si incon-
tra un capitolo dal titolo significativo L’epoca delle neutralizzazioni
e delle spoliticizzazioni, in cui pare dominare l’idea secondo cui la
tecnica sia un destino1. Questo tipo di posizione, ampiamente pre-
sente nel mondo tedesco, accosterebbe Carl Schmitt alle figure, tra gli
altri, di Martin Heidegger, Max Weber, o a quelle di Ernst Jünger e
Oswald Spengler, che con intenti e posizioni differenti hanno pensato
proprio la tecnica come il compimento di un processo avente una
portata storica, che viene cioè “da lontano”, e che dunque realizza
pienamente un senso, inaugurato nel passato, a cui non ci si può in
nessun modo sottrarre.
La lettura di tale processo come un destino che deve compier-
si, così diverso per ognuno, situa la storia del pensiero occidentale
secondo una linea temporale che vede nella tecnica il proprio luogo
d’approdo o di compimento; e che dunque, a partire da un evento
inaugurato nel passato, che ne ha costituito inevitabilmente il corso,
non può che volere, secondo necessità, la propria realizzazione.
Il cammino del pensiero occidentale, che diviene così qualcosa
di situato in un percorso da compiersi, inizia a essere letto e interro-
gato, nella sua totalità, affinché venga trovato l’evento fondamentale
originario. Tale origine, divenuta poi l’avvio d’un corso destinale, si

1
Cfr. Carl Schmitt, L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni (1932),
in Id., Le categorie del politico, a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera,
Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 167-183 (da qui in poi si utilizzerà direttamente nel
testo la sigla ENS, seguita dal solo numero della pagina citata).
Il “messianismo” nella filosofia di Walter Benjamin 81

Marco Morra

Il “messianismo” nella filosofia


di Walter Benjamin come fondazione
di una “storia dei vinti” tra storiografia
e politica1

1. Il “marxismo occidentale” secondo Domenico Losurdo


In un libro recente sul “marxismo occidentale”, Domenico Lo-
surdo indaga il tema, ancora inesplorato, della divaricazione tra il
marxismo europeo e quello orientale. Il fine dell’opera è ricostruire
l’origine e la storia di questa divaricazione, facendo emergere non solo

1
Il presente contributo intende affrontare alcuni importanti problemi di
filosofia della storia emersi durante un ciclo di seminari organizzato dall’Istituto
Italiano degli Studi Filosofici di Napoli dal 4 al 6 dicembre 2017 con il titolo Marx
a cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre. Le lezioni seminariali sono state tenute dal
prof. Domenico Losurdo (Università di Urbino), il quale ha esposto e argomen-
tato con rigore alcune tesi sul “marxismo occidentale”, tra cui quella di una sua
originaria vocazione “utopistica” e “messianico-escatologica”. Tra i filosofi citati (e
criticati) da Losurdo ritroviamo, a nostro avviso indebitamente, Walter Benjamin.
«Indebitamente» non perché nel pensiero di Benjamin non si faccia riferimento alla
teologia ebraica e al “messianismo”, ma perché tale riferimento, a nostro avviso, è
intenzionato all’elaborazione di una concezione non “utopica”, come sostiene Lo-
surdo, bensì autenticamente materialistica dell’accadere storico. Per rigore filologico,
nel seguito dell’articolo eviteremo di citare le argomentazioni esposte da Losurdo
durante le lezioni seminariali e faremo riferimento essenzialmente al suo volume
dedicato al marxismo occidentale. Nel corso del presente articolo si utilizzeranno le
seguenti sigle: DL = Domenico Losurdo, Il marxismo occidentale. Come nacque, come
morì, come può rinascere, Roma-Bari, Laterza, 2017; WB1 = Walter Benjamin, Opere
complete. Vol. 1: Scritti 1906-1922, a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schwep-
penhäuser, edizione italiana a cura di Enrico Ganni, Torino, Einaudi, 2008; WB7
= W. Benjamin, Opere complete. Vol. 7: Scritti 1938-1940, a cura di R. Tiedemann,
edizione italiana a cura di E. Ganni con la collaborazione di Hellmut Riediger,
Torino, Einaudi, 2006. A ogni sigla segue nei rimandi bibliografici il solo numero
di pagina dell’edizione indicata (esempio: DL, 28).
Herbert Marcuse e il “Marxismo Sovietico” 97

Milena Morabito

Herbert Marcuse e il “Marxismo Sovietico”

1. L’urgenza di una critica immanente


Nel 1947 il Dipartimento di Stato americano affida a Marcuse
l’incarico di coordinare una ricerca, oggi conservata negli archivi
di Stato statunitensi, sulle Potenzialità del comunismo mondiale, da
cui maturerà Sovietic Marxism, edito nel 1958. Nel 1952-1953, al
Russian Institute della Columbia University, Marcuse lavorerà alla
prima parte dell’opera dedicata alla politica sovietica; la seconda
parte, incentrata sull’etica e sulla morale sovietica, verrà sviluppata
nei due anni successivi, grazie a una borsa di studio della Fondazione
Rockfeller, al Russian Research Center di Harvard1.
L’analisi di Marcuse, che intravede una crisi del comunismo
internazionale piuttosto che una sua pericolosità, avrebbe dovuto
smantellare i capisaldi della politica estera americana, che invece
trovava linfa vitale nel rigoglio del dibattito sul totalitarismo. Se in
Hanna Arendt tale concetto era impiegato in relazione al nazismo e
alla guerra contro gli ebrei, ora esso viene utilizzato dalla propaganda
liberale in relazione al sistema sovietico: ideologia, partito unico,
manipolazione e controllo della comunicazione, terrore, pianifica-
zione sono gli elementi che contraddistinguono il totalitarismo e che
accomunano sotto questo punto di vista il nazismo e il socialismo
sovietico. L’originalità dell’indagine marcusiana consiste proprio nel
rifiutare questo concetto ideologizzato di totalitarismo e di estenderlo
anche ai sistemi liberal-democratici. È la società industriale avanzata

1
Cfr. Raffaele Laudani, Politica come movimento. Il pensiero di Herbert Marcuse,
Bologna, il Mulino, 2005.
Foucault interprete della rivoluzione iraniana 119

Valeria Gammella

Foucault interprete della rivoluzione iraniana


Dalla “spiritualità politica” alla soggettivazione critica

1. Una questione politica: la filosofia alla prova della realtà


Per quanto il Taccuino persiano sia probabilmente tra i più “ac-
cidentali” degli scritti foucaultiani1, il reportage che Foucault realizza
sulle vicende iraniane degli anni 1978-1979 segna tuttavia una tappa
importante del suo itinerario filosofico e un documento significativo
dell’approccio ch’egli viene maturando ai temi della politica. Il 1978
è d’altronde un anno denso di acquisizioni tanto sul piano teorico

1
Il reportage sulla rivoluzione iraniana, oggi raccolto nel Taccuino persiano,
nasce dall’iniziativa del direttore del Corriere della Sera che nel 1977 proponeva a
Foucault di collaborare regolarmente col quotidiano italiano (cfr. Michel Foucault,
Taccuino persiano, trad. it. di Renzo Guolo e Pierluigi Panza, Milano, Guerini e As-
sociati, 1998; da qui in poi si utilizzerà direttamente nel testo la sigla TP, seguita dal
solo numero della pagina citata). Foucault, che non aveva alcuna intenzione di tenere
una rubrica culturale o filosofica, suggerisce di sostituire questa formula con delle in-
chieste sul campo (cfr. Didier Eribon, Michel Foucault, Roubaix, Champs Biographie,
2011, p. 448). Il risultato saranno i nove articoli pubblicati tra il settembre del 1978
e il febbraio dell’anno successivo, cui seguirà una lettera aperta a Mehdi Bazargan,
primo ministro della neo-proclamata Repubblica Islamica, a favore del rispetto dei
diritti umani. Foucault si prepara ai due viaggi in Iran creando una piccola équipe
di lavoro. Ahmad Salamatian – militante iraniano del locale Fronte nazionale, in
esilio a Parigi dal 1965 – gli fornisce una serie di contatti e una lista di persone da
incontrare durante il soggiorno in Iran (ivi, pp. 450-451), che Foucault compirà in
due viaggi per una durata complessiva di circa sei settimane (cfr. Michel Foucault ‒
Farès Sassine, There Can’t Be Societies without Uprisings, in Laura Cremonesi, Orazio
Irrera ‒ Daniele Lorenzini ‒ Martina Tazzioli (eds.), Foucault and the Making of
Subjects, London-New York, Rowman & Littlefield, p. 26; da qui in poi si utilizzerà
direttamente nel testo la sigla TCB, seguita dal solo numero della pagina citata).
La duplice funzione del materialismo aleatorio 141

Irene Viparelli*

La duplice funzione del materialismo aleatorio


Riflessioni sull’“incontro” di filosofia materialista
e scienza della storia in Louis Althusser

1. Introduzione
Nelle Conversazioni con Fernanda Navarro Althusser definisce
il materialismo aleatorio come una «filosofia per il marxismo»1. Tale
definizione, a nostro avviso, non solo permette ad Althusser di pren-
dere ancora una volta ‒ e definitivamente ‒ le distanze dall’ipotesi,
che era stata centrale nei suoi celebri testi degli anni Sessanta, di una
“filosofia marxista” latente nei testi di Marx. Soprattutto ci spinge a
riflettere sul rapporto tra l’ipotesi del materialismo aleatorio e la più
generale riflessione althusseriana sulla filosofia.
Com’è noto, in Lenin e la filosofia Althusser definisce la filosofia
come «vuoto di una distanza presa»2, mettendo in luce il vincolo tra il
suo vuoto oggettuale e la sua dipendenza dalle scienze e dalla politica.
Un duplice legame che fa emergere le due funzioni fondamentali della
filosofia: «scientificità nella politica»3 e «politica […] presso le scienze»4.
In quanto «scientificità nella politica», la filosofia deve tradurre le
conoscenze scientifiche, prodotte sul piano della pratica teorica, in

*
Professora Auxiliar da Universidade de Évora e Investigadora integrada no
CICP (Centro de Investigação em Ciência Política).
1
Louis Althusser, Filosofia e Marxismo. Conversazioni con Fernanda Navarro
(1984-1987), in Id., Sulla Filosofia, a cura di A. Pardi, Milano, Edizioni Unicopli,
2001, p. 45.
2
Id., Lénine et la philosophie, in Id., Solitude de Machiavel, a cura di Y. Sintomer,
Paris, PUF, 1998, p. 132.
3
Ivi, p. 134.
4
Ibid.
La potenza generativa di Amore: l’ontologia materialista 155

Andrea Pascale

La potenza generativa di Amore:


l’ontologia materialista di Antonio Negri

1. Introduzione
Su un punto è necessario essere chiari fin da subito, perché ogni
dubbio sia fugato: non c’è niente di romantico in quest’amore da
guerra, niente di pietoso o misericordioso in questo moto generativo
dei corpi. Amore non è poesia, non è preghiera, ma «potenza costitu-
tiva ontologica in senso proprio – costitutiva del tempo e dello spazio,
rappresentazione adeguata dell’essere comune»1.
Antonio Negri presenta un materialismo immanente e non dia-
lettico proprio a partire da questo tema, determinante per tutta la
sua filosofia: l’amore come generazione e cooperazione che aumenta
l’eterno innovandolo con la dismisura della sua produzione. L’analisi
qui proposta si innesterà sulla base materiale del pensiero di Negri,
dal momento in cui le sue riflessioni, benché necessitate e maturate
attraverso un lungo processo che si muove nell’arco di un ventennio,
si chiarificano con la forza di un’alba. Lo spartiacque tra i processi di
maturazione e la piena maturità è data dal carcere.
Nel 1979 comincia per Negri l’esperienza del carcere. Se da
Spinoza Negri prende la centralità del corpo, riscoprendo una fisica
delle passioni, dal carcere, dal modo in cui il tempo viene segmentato
e violato, si avvicina al biopotere foucaultiano. In questo senso se
Spinoza gli ha insegnato il corpo, Foucault gli ha insegnato a resiste-
re, gli ha mostrato la forma in cui la sovranità diviene innanzitutto
strumento di controllo sui corpi. È sul suo corpo che sente la violenza
della sovranità postmoderna ed è quindi da questi spunti personali

A. Negri, Kairòs, Alma Venus, Multitudo. Nove lezioni impartite a me stesso,


1

Roma, Manifestolibri, 2006, p. 100.


La democrazia assoluta nel pensiero di Antonio Negri 179

Raffaella Limone

La democrazia assoluta
nel pensiero di Antonio Negri

1. L’ordine mondiale postmoderno


L’intensa rete di relazioni politiche, economiche, sociali e cul-
turali che lega quasi tutti i paesi del globo ha di fatto creato una
situazione senza precedenti, in cui il mondo si configura, per la prima
volta, come un unico sistema sociale. Il processo di globalizzazione,
infatti, ha messo in crisi i confini e le combinazioni spazio-temporali
che fondavano la tradizionale idea di società e di nazione.
Antonio Negri e Michael Hardt tentano di sviscerare la proble-
matica in Impero1, testo che, raggiunta la fama internazionale negli
anni Duemila, è divenuto un punto di riferimento imprescindibile nel
dibattito mondiale su capitalismo e globalizzazione. Debitori soprat-
tutto nei confronti della filosofia francese degli anni Settanta, Hardt
e Negri ripensano il marxismo e fanno proprio il nesso tra filosofia e
politica. Giuseppe Antonio Di Marco, in riferimento al comunismo
contemporaneo di cui si fanno portavoci Hardt e Negri, sottolinea
che esso è un comunismo distruttivo e affermativo al contempo,
senza mediazioni dialettiche, che poggia su specifiche figure sociali.
Di Marco così scrive:
Questa torsione fortemente a-dialettica della relazione
tra capitale e lavoro fa sì che il discorso marxiano [di Hardt
e Negri] vada a intersecarsi con quello di autori (Machiavel-
li, Spinoza, Nietzsche, Foucault, Deleuze, Guattari) che essi
collocano in una “tradizione ontologica materialistica affer-
mativa”, la quale nella storia della modernità costituirebbe

1
M. Hardt ‒ A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, trad. it. di
A. Pandolfi, Milano, Rizzoli, 2001.
“Operaismo”, “post-operaismo” e “operaismo nuovo” 203

Ugo Calvaruso

“Operaismo”, “post-operaismo”
e “operaismo nuovo”: problemi terminologici
e metodologici tra similitudini, differenze,
continuità e discontinuità

1. Alcune definizioni sull’operaismo


L’operaismo è una corrente di pensiero “teorico-politica” nata
e sviluppatasi nella seconda metà del Novecento. Una teoria della
«lotta di classe» che è allo stesso tempo una pratica, immediatamente
politica. Per questo, è definibile come una “pratica teorica”, che si
concentra sull’analisi della classe (e/o le forme di sfruttamento e di
resistenza) e assume come principio la lotta di classe, quale motore
dello sviluppo e dell’emancipazione1.
«Abbiamo visto anche noi» – scriveva Tronti nel 1964 –
«prima lo sviluppo capitalistico, poi le lotte operaie. È un errore.
Occorre rovesciare il problema, cambiare il segno, ripartire dal
principio: e il principio è la lotta di classe operaia»2.

Già la scienza operaia rovesciò il problema osservando che, nel


neocapitalismo, le lotte operaie sono antecedenti allo sviluppo.

1
Cfr. M. Tronti, Operai e capitale (1966), Roma, DeriveApprodi, 2013; S. Bolo-
gna, G.P. Rawick, M. Gobbini, A. Negri, L. Ferrari Bravo, F. Gambino, Operai e Stato
(1972), Milano, Feltrinelli, 1973; A. Negri, I libri del rogo (1971-1977), Roma, Deri-
veApprodi, 2006; Id., Marx oltre Marx (1978), Roma, Manifestolibri, 2016; Id. − M.
Hardt, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione (2000), Milano, BUR, 2013; Idd.,
Moltitudine, Milano, Rizzoli, 2004; Idd., Comune (2009), Milano, Rizzoli, 2010; A.
Negri, Storia di un comunista, a cura di G. De Michele, Milano, Ponte alle Grazie, 2015;
M. Tronti, Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero, Milano, Il Saggiatore,
2015; A. Negri, Galera ed esilio. Storia di un comunista, a cura di G. De Michele, Milano,
Ponte alle Grazie, 2017; M. Tronti, Il demone della politica. Antologia di scritti (1958-
2015), a cura di M. Cavalleri, M. Filippini e J.M.H. Mascat, Bologna, il Mulino, 2017.
2
M. Tronti, Operai e capitale, cit. (n. 1), pp. 87-88.

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