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Intervista
a
Francesco
Ganassin
e
Sergio
Marchesini
BF:
Quando
hai
ascoltato
Francesco/Sergio
la
prima
volta?
F
-‐
Spero
Sergio
non
se
la
prenda,
ma
non
me
lo
ricordo.
Forse
a
Rovigo
nel
2005
ad
una
memorabile
edizione
del
festival
Ande,
Bali
e
Cante.
Suonava
la
Bottega
Baltazar,
la
stessa
sera
di
Miquel
Gil,
e
la
sera
seguente
suonavano
Calicanto
e
Milladoiro.
Ma
in
quel
periodo
la
Bottega
faceva
una
miriade
di
concerti,
e
li
ho
ascoltati
davvero
spesso.
S
-‐
Ah
ah,
nemmeno
io
ricordo
bene.
Sicuramente
ricordo
la
serata
Calicanto
e
Milladoiro.
Un
concerto
memorabile.
Calicanto
è
un
gruppo
che
mi
sembra
di
conoscere
da
sempre.
Poi
ricordo
che
ci
siamo
rivisti
qualche
anno
fa
vicino
a
Lione,
dove
abbiamo
condiviso
il
palco
al
festival
di
Bourgoin-‐Jallieu.
Era
una
situazione
molto
bella,
siamo
riusciti
a
chiacchierare
un
po’
e
ho
avuto
la
netta
sensazione
che
ne
sarebbe
nato
qualcosa
di
buono.
:)
BF:
Come
siete
arrivati
a
suonare
insieme
e
cosa
ricordate
del
vostro
primo
incontro
musicale?
F
-‐
Sergio
ha
coinvolto
me,
Silvia
e
Luca
per
la
colonna
sonora
del
film
“L’ordine
delle
cose”.
Entrare
in
studio
è
un
momento
particolare,
che
in
molti
non
gradiscono,
è
stressante.
A
me
quel
tipo
di
tensione
invece
piace
da
matti.
Per
cui
ho
un
bel
ricordo
di
quei
giorni,
molto
impegnativi.
In
particolare
Sergio
mi
ha
colpito
per
la
meticolosità
nel
lavoro.
E,
pur
avendo,
a
monte,
le
idee
molto
chiare,
si
è
sempre
dimostrato
attento
ai
suggerimenti
ed
aperto.
S
-‐
Seguivo
i
New
Landscapes
da
un
po’
di
tempo,
li
trovo
un
gruppo
fantastico
ed
unico
per
il
tipo
di
ricerca
e
di
suono.
Nel
momento
in
cui
mi
sono
trovato
a
immaginare
un
suono
per
“L’ordine
delle
cose”
ho
subito
pensato
a
loro.
Già
in
loro
è
evidente
una
dialettica
tra
la
musica
colta
e
quella
popolare
(nel
senso
di
tradizionale)
che
era
proprio
quello
che
sentivo
di
voler
utilizzare
nella
colonna
sonora.
L’aggiunta
del
kanun
da
un
lato
e
del
violoncello
dall’altro
ha
completato
la
tavolozza.
Per
diversi
motivi
organizzare
i
materiali
musicali
e
le
sessioni
di
registrazione
è
stata
una
grossa
sfida,
e
devo
dire
che
da
subito
ho
trovato
in
Francesco
un
musicista
che
va
molto
oltre
il
suo
strumento:
nel
supportare
gli
altri
in
fase
di
registrazione,
nel
contribuire
con
idee
e
soprattutto
nel
fiutare
la
direzione
in
cui
i
pezzi
possono
andare.
Mi
ha
colpito
molto
e
per
me
è
stato
un
aiuto
imprescindibile.
Soprattutto
ho
sentito
in
lui
un
modo
di
approcciarsi
alla
scrittura
molto
simile
al
mio
e
questo
mi
ha
dato
molta
forza.
BF:
Sergio:
Cosa
lega
e
cosa
distingue
“L'ordine
delle
cose”
rispetto
alle
tue
precedenti
colonne
sonore
per
film?
S
–
“L’ordine
delle
cose”
è
stato
per
me
un
po’
un
esame
di
maturità.
Già
con
“I
sogni
del
lago
salato”
mi
ero
trovato
ad
affrontare
da
solo
la
scrittura
di
una
colonna
sonora
intera
mentre,
fino
a
quel
momento,
avevo
sempre
lavorato
con
la
Bottega.
Ma
nel
caso
de
“I
sogni
del
lago
salato”
avevo
suonato
tutto
io
e
non
avevo
dovuto
organizzare
partiture,
registrazioni,
turni
incontri,
prove,
ritocchi
etc..
Ne
“L’ordine
delle
cose”
avevamo
a
disposizione
un
budget
maggiore
e
anche
una
produzione
e
delle
aspettative
importanti.
Per
la
prima
volta
avevo
la
completa
libertà
di
scegliere
dei
musicisti
e
coinvolgerli.
Alcuni
li
conoscevo,
ma
altri
(Sofia
Labropoulou,
Leonardo
Sapere)
non
li
avevo
mai
incontrati
prima.
Il
ruolo
di
‘band
leader’
non
è
per
nulla
facile
ed
è
un
ruolo
a
cui
mi
sono
sempre
un
po’
sottratto.
In
questo
caso,
però,
non
avevo
scelta
e
ho
imparato
molte
cose
sul
piano
musicale
e
relazionale.
Devo
dire
che
sono
stato
fortunato
perché,
quasi
per
caso,
ho
trovato
delle
persone
incredibilmente
talentuose,
creative
e
umanamente
splendide.
Molti
dei
momenti
più
riusciti
del
disco
nascono
proprio
dalla
loro
creatività
e
disponibilità.
Citando
Ganassin
che
cita
Scarpa:
per
ottenere
qualcosa
bisogna
inventare
dei
rapporti.
:)
BF:
Come
avete
"tradotto"
queste
idee
musicali
nei
concerti
dal
vivo?
S
-‐
Non
è
stato
semplice.
Alcune
parti
della
colonna
sonora
funzionano
bene
con
le
immagini,
ma
non
sono
adatte
ad
un
live.
Poi
c’era
il
problema
del
pianoforte
e
dell’elettronica
che
per
motivi
pratici
non
potevamo
portarci
sul
palco.
Abbiamo
rivisto
gli
arrangiamenti
sostituendo
con
la
fisarmonica
le
parti
di
tastiera.
Silvia
è
stata
bravissima
a
trascriversi
la
ninna
nanna
somala
con
tutti
i
suoi
svolazzi
di
quarti
di
tono.
Abbiamo
anche
integrato
il
repertorio
con
dei
brani
di
Sofia
e
dei
New
Landscapes
e
quello
è
stato
anche
un
modo
di
allargare
la
collaborazione
e
di
conoscere
meglio
la
musicalità
di
ciascuno.
BF:
Francesco:
Vuoi
raccontare
Walking
sounds
e
le
sue
collaborazioni
all'interno
dell'evoluzione
di
New
Landscapes?
F
-‐
Walking
Sounds
nasce
da
un’idea
di
Luca.
Lui
ha
pensato
il
progetto,
l’ha
realizzato
coinvolgendo
fin
da
subito
anche
il
trio.
Sulle
prime
non
sapevamo
se
ne
saremmo
rimasti
fagocitati,
se
l’identità
del
trio
ne
avrebbe
sofferto.
A
posteriori
penso
che
ci
abbia
consolidato,
ora
sappiamo
che
l’incontro
arricchisce,
e
ci
permette
di
immaginare
ciò
che
da
soli
non
potremmo
pensare.
BF:
Cosa
vi
ha
colpito
del
suonare
insieme
a
Mshakht?
F
-‐
Da
quando
Luca
mi
ha
coinvolto
nella
post-‐produzione
del
cd
“Walking
Sounds”,
il
progetto
è
stato
per
me
una
lezione
di
umiltà
e
di
tenacia,
che
temo
di
non
poter
spiegare
nel
dettaglio.
Non
è
solo
intravedere
una
via
d’uscita
in
un
contesto
disperato,
né
riflettere
sul
fatto
di
essere
nato
nella
bambagia.
Forse
un
episodio
può
rendere
vagamente
l’idea.
A
febbraio
2018
eravamo
a
Roma
per
presentare
il
disco,
allo
Scup,
il
centro
sociale.
Il
treno
all’alba,
la
strada
a
piedi,
le
tavole
rotonde,
gli
incontri,
tante
facce
tutte
nuove,
le
prove,
il
concerto.
A
tarda
sera
se
n’erano
ormai
andati
tutti,
e
noi
stavamo
ancora
lì,
non
so
da
quante
ore
ormai.
Io
mi
stavo
irrigidendo,
mi
capita
quando
sono
molto
stanco,
mi
si
guasta
l’umore.
Luca
se
n’è
accorto
e
mi
ha
detto
“dai
andiamo
a
ballare!”.
A
ballare
io,
Luca,
Sergio
e
Andrea
Segre
che
era
venuto
a
salutarci,
in
mezzo
ad
una
sala
deserta
e
gelida:
mi
è
tornato
il
sorriso.
S
-‐
Per
me
è
stato
davvero
emozionante.
Ricordo
la
serata
a
Padova
in
cui
per
caso
Luca
si
era
trovato
a
suonare
con
alcuni
dei
musicisti
iracheni.
Non
avrei
mai
immaginato
che
ne
sarebbe
uscito
un
progetto
così
ricco
musicalmente
e
umanamente,
e
che
mi
sarei
trovato
a
farne
parte.
L’ultimo
concerto
a
cui
ho
partecipato
è
stato
veramente
commovente,
come
dice
Francesco
è
difficile
spiegare
senza
rischiare
di
cadere
nel
patetico,
ma
sicuramente
c’è
qualcosa
di
straordinario
nell’incontro
di
umanità
che
la
musica
rende
possibile,
e
credo
che
lì
da
qualche
parte
stia
il
senso
profondo
del
nostro
lavoro.
BF:
Alcune
vostre
composizioni
recenti
sono
nate
dagli
incontri
con
Giuseppe
Battiston
e
Marco
Baliani.
Volete
raccontarle
e
raccontare
quest'esperienza
sul
palco?
Avrà
un
seguito
la
vostra
collaborazione
come
duo?
F
-‐
Gli
incontri
con
Battiston
e
Baliani
sono
state
due
esperienze
tra
le
più
significative
del
mio
2018,
grazie
a
Sergio
che
ha
voluto
condividerle
con
me.
Sono
due
personalità
molto
forti
e
sul
palco
si
sentono.
Tecnica
da
fuoriclasse
e
grande
carisma
per
entrambi,
declinati
in
maniere
completamente
diverse.
Per
quanto
ci
riguarda,
penso
che,
grazie
al
confronto
con
Marco,
sia
emerso
un
modo
comune
di
pensare
alla
nostra
attività
in
maniera
un
po’
più
ampia,
non
strettamente
legata
al
solo
dato
sonoro,
musicale,
appunto.
Dall’incontro
con
Giuseppe
è
emerso
di
più
il
piacere
di
pensare
ed
eseguire
musica
per
un’immagine,
per
un
racconto,
riflettendo
sul
rapporto
tra
i
brani
e
la
narrazione.
Abbiamo
in
mente
un
paio
di
progetti
che
culliamo
separatamente
da
tempo
e
che
ora,
unendo
le
forze,
speriamo
di
riuscire
a
concretizzare.
Uno
è
il
sogno
di
allestire
una
“composer
orchestra”,
un
ensemble
di
musicisti
compositori
che
collaborano
e
provano
stabilmente.
L’altro
è
ancora
nebuloso,
ma
si
può
già
svelare
che
è
legato
alla
comune
passione
per
le
figure
di
Gianni
Celati
e
Luigi
Ghirri.
Ne
abbiamo
parlato,
ovviamente,
ed
entrambi
ora
fatichiamo
a
vederci
come
un
duo
clarinetto
e
fisarmonica.
Per
vari
motivi,
primo
fra
tutti
il
timore
di
chiuderci
e
di
risultare
autoreferenziali.
L’ambizione
è
quella
di
muovere
un
po’
le
acque,
essere
al
centro
di
incontri
e
dialoghi.
Suonando,
ovviamente,
ma
non
solo.
S
-‐
Io
penso
che
la
prospettiva
più
interessante
per
noi,
guardando
al
futuro,
sia
quella
di
un
duo
di
persone
che
condividono
un
approccio
alla
musica
e
alla
creatività.
In
mezzo
c’è
anche
il
piacere
di
suonare
e
improvvisare
insieme
e
io
spero
che
questo
tipo
di
intesa
estemporanea
cresca
nel
tempo.
Quello
che
per
me
è
veramente
importante
e
raro
è
poter
avere
un
confronto
costante
sulla
composizione,
sul
gioco
tra
musica
e
immagine,
musica
e
paesaggio,
musica
e
parola
che
sono
i
temi
che
veramente
mi
interessano.
BF:
L'ordine
delle
cose,
invece
di
un
libretto,
regala
una
mappa
afro-‐mediterranea;
il
cd
di
Walking
sounds
si
apre
su
sette
persone
intorno
ad
una
tavola
imbandita:
che
rapporto
hanno
le
vostre
musiche
ed
i
vostri
strumenti
con
lo
spazio
fisico,
con
i
territori?
F
-‐
Il
trio
con
Silvia
e
Luca
si
chiama
New
Landscapes.
Difficile
descrivere
meglio
il
mio
ed
il
nostro
sentire.
La
musica
di
Calicanto,
con
cui
suono
dal
2003,
ha
radici
profonde
nel
territorio.
Insomma,
io
davvero
penso
che
la
parola
chiave
del
nostro
tempo
sia
“paesaggio”,
il
tema
su
cui
riflettere,
e
di
conseguenza
agire,
anche
in
musica.
S
-‐
Nel
lavoro
con
la
Bottega
la
riflessione
sul
territorio
era
forse
il
tema
preponderante:
di
volta
in
volta
passava
per
le
descrizioni
dei
paesaggi,
per
la
storia
locale,
per
il
linguaggio
e
il
dialetto.
L’ultimo
pezzo
che
ho
scritto
per
la
bottega
parlava
proprio
del
desiderio
di
sentirsi
stranieri
nel
proprio
territorio,
per
poterlo
rivedere
sempre
con
occhi
nuovi.
La
collaborazione
con
Andrea
Segre
mi
ha
stimolato
anche
ad
aguzzare
la
vista,
a
usare
meglio
gli
occhi
e
a
godere
delle
mille
storie
che
i
paesaggi
e
le
persone
che
ci
stanno
dentro
ci
raccontano
spontaneamente
se
ci
fermiamo
a
guardare.
Mi
ha
insegnato
anche
l’importanza
del
poco,
del
silenzio,
e
dell’avere
il
coraggio
di
scomparire
o
di
creare
un
vuoto
perché
le
cose
abbiano
lo
spazio
per
manifestarsi.
E’
una
cosa
che
vorrei
riuscire
a
fare
con
la
musica
e
sento
anche
in
Francesco
e
nelle
sue
composizioni
questo
tipo
di
ricerca
(non
so
se
lui
è
d’accordo,
non
glielo
ho
mai
chiesto,
ahah,
però
glielo
chiedo
adesso).
Mshakht
&
New
Landscapes
-‐
Walking
Sounds.
Tracks
From
Iraqi
Kurdistan
To
Italy
(Caligola
Records
2017)
L’ensemble
Mshakht
conta
22
musicisti
e
nasce
da
un
incontro
avvenuto
nell’estate
2016
quando
le
associazioni
Un
ponte
per
...
e
Ya
Basta
hanno
invitato
a
Padova
Saman
Fakhradin
Abdulkareem,
curdo
iracheno,
per
far
conoscere
l’esperienza
dei
Centri
Giovanili
nel
Kurdistan
Iracheno.
A
Padova
ha
conosciuto
i
musicisti
Luca
Chiavinato
(oud,
liuti)
e
Dario
Bano
(percussioni)
e
da
questo
incontro
ha
preso
corpo
il
progetto,
realizzato
un
anno
dopo,
di
laboratori
musicali
tenuti
dai
due
musicisti
italiani
a
Ebril
e
Domiz,
nel
Kurdistan
Iracheno,
per
interagire
con
giovani
profughi
siriani,
sfollati
iracheni
e
curdi.
Uno
dei
risultati
sono
le
undici
tracce
prodotte
da
Caligola,
riunite
sotto
il
titolo
di
“Walking
Sounds.
Tracks
From
Iraqi
Kurdistan
To
Italy”.
Le
tracce
di
apertura
e
chiusura,
insieme
alla
quinta
e
all’ottava
traccia,
offrono
angolature
diverse
dei
paesaggi
sonori
che
caratterizzano
il
campo
profughi
di
Domiz
dove
hanno
vissuto
oltre
trentamila
persone,
soprattutto
profughi
siriani.
Quando
Chiavinato
e
Bano
sono
giunti
nel
campo
hanno
potuto
contare
sulla
collaborazione
di
Saman
Fakhradin
Abdulkareem.
Con
lui
hanno
potuto
coinvolgere
nei
laboratori
giovani
musicisti,
compresi
alcuni
strumentisti
esperti.
Il
cd
fotografa
il
qanon,
la
cetra
a
settantotto
corde,
di
Niwar
Ismat
Issa,
in
evidenza
in
Faraway
So
Close;
l’oud
di
Hoshyar
Karim
Rashid,
protagonista
di
Communication
breakdown;
e,
in
Rojava,
la
voce
di
Abdullah
Mohammed
Amin
Tamo.
Oltre
a
loro
l’ensemble
comprende
cinque
cantanti,
due
violinisti,
tre
suonatori
di
saz,
quattro
suonatori
di
oud,
Heezil
Sakfan
Hidayat
al
junbush,
Dilawer
Ahmed
Faris
alla
chitarra,
Zahraa
Adel
Kadhim
al
piano,
Zwaed
Khither
Gom’a
al
flauto
ney.
Una
volta
registrate
a
Ebril
e
Domiz,
le
sette
tracce
sono
state
fatte
ascoltare
e
sono
state
arrangiate
e
rielaborate
con
la
collaborazione
del
trio
New
Landscapes,
Chiavinato,
Silvia
Rinaldi
al
violino
e
Francesco
Ganassin
al
clarino
basso;
Sergio
Marchesini
alle
tastiere
e
alla
fisarmonica;
Aisha
Ruggeri
al
piano
con
il
supporto
tecnico
di
Franz.Suono.
Il
bel
libretto
con
colori
seppia
curato
da
Claudio
Calia
mette
in
evidenza
in
copertina
una
bimba
sorridente
che
divarica
indice
e
medio
della
mano
sinistra
in
un
segno
di
pace.
Questo
gesto
sembra
tradursi
nell’ascolto
e
nel
rispetto
che
pervade
l’atteggiamento
dei
musicisti
lungo
tutto
il
disco
e
che
permette
a
chi
di
volta
in
volta
si
è
preso
la
responsabilità
di
arrangiare
un
brano
di
tenere
in
tensione
e
in
equilibrio
melodie
e
dialoghi
sonori
in
presenza
e
a
distanza.
Ogni
traccia
acquisisce
così
un
proprio
carattere
con
elementi
di
richiamo
e
di
discontinuità
con
le
precedenti,
andando
a
comporre
un
puzzle
che
mantiene
vivo
l’interesse
e
l’emozione
dell’ascoltatore
lungo
tutto
il
percorso.
Walking
Sounds
:
album
https://www.youtube.com/watch?v=NIPesUA44M8&list=OLAK5uy_kqcljyPRjI6nR4jUxJ58H
MdkxBK0hCGNk
Il
CD
è
stato
presentato
per
la
prima
volta
a
dicembre
2017
al
Kurdish
Social
Forum
a
Sulaymaniyha.
Nel
2018
sono
continuati
laboratori
musicali
in
Iraq
ed
è
stato
organizzato
il
tour
dell’ensemble
in
Italia
con
alcune
tappe
che
hanno
alternato
narrazioni
e
musica
dal
vivo
ed
un
concerto
al
Teatro
Candiani
di
Mestre
in
cui
Niwar
Ismat
Issa
ha
dialogato
con
il
New
Landscapes
Trio
Niwar
Ismat
Issa
&
New
Landscapes
trio,
Candiani
https://www.youtube.com/watch?v=MxksViUeLR0
Walking
Sounds
:
track
https://www.youtube.com/watch?v=yKS546BIE_g
Documentario:
Walking
Sounds:
musiche
dal
Kurdistan
Iracheno
https://www.youtube.com/watch?time_continue=9&v=vd5cj2NK1NI