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ARCHETIPI LOVECRAFTIANI

L’INDIA E I MITI DI CTHULHU


Renzo Giorgetti

ARCHETIPI LOVECRAFTIANI
L’India e i Miti di Cthulhu

Edizioni Dagon Press

3
© 2009 by Dagon Press

Published by Dagon Press


Viale dei Narcisi, 1 - 64025 Pineto (TE) – Italy
Sito web: http://studilovecraftiani.blogspot.com
Myspace: http://www.myspace.com/studilovecraftiani
E-mail: studilovecraft@yahoo.it

Progetto grafico e impaginazione:


Pietro Guarriello

Immagine di copertina:
Dipinto di Nicholas Roerich, “La Stella dell’Eroe” (1933).

Illustrazioni interne:
di Nicholas Roerich, ad eccezione di quella a p. 32 , che è del
figlio Svyatoslav, di quella a p. 12 © Jason Middelton, e p. 23
© di Gea.

Tutte le traduzioni delle lettere di Lovecraft sono a cura


dell'Autore. Le didascalie delle immagini sono tratte da "Alla
ricerca dello sconosciuto Kadath", edizione Bompiani, 2007,
eccetto l'ultima tratta dal sonetto “The Dweller”, in Gli orrori
di Yuggoth, nella traduzione di Sebastiano Fusco, edita da
Barbera Editore nel 2007.

Libro stampato in tiratura limitata.

Tutti i diritti riservati (All rights riserved).

Senza autorizzazione dell’autore e dell’editore è vietata la


riproduzione anche parziale dei testi con qualsiasi mezzo
effettuata.

This book is printed privately in limitated edition. The


copyrights of the essay are of the author. No parts of this
work may be reproduced in any form without the permission.
“E' vero, ho viaggiato fino a strani luoghi,
che non sono né di questa terra
né di alcun pianeta conosciuto.
Ho cavalcato comete,
sono stato fratello di nebulose…”

(H. P. Lovecraft)

5
“Il Vecchio Re” (1910). Dipinto di Nicholas Roerich

"Tre volte Randolph Carter sognò la città meravigliosa, e tre


volte essa lo rapì, mentre ancora era intento ad ammirarla dalla
terrazza che la sovrastava.
... e non appena Carter ammirò esitante e senza fiato la città dal
parapetto a balaustra, fu sopraffatto dall'intensità e dal mistero
di ricordi semidimenticati, dal dolore delle cose perdute, e dal
disperato bisogno di riconquistare quanto una volta era stato di
un'importanza prodigiosa e straordinaria."
PREMESSA

ovecraft non amava l'India. Un mondo


troppo distante, assurdo, esotico, dominato
da superstizioni, riti incomprensibili, colori,
odori, sapori eccessivi, ridondanti e barocchi,
qualcosa di insomma completamente alieno dalla
mentalità di un gentiluomo della Nuova Inghilterra.
Per un razionalista come lui un simile ambiente era
l'antitesi dell'ordine e della chiarezza aristocratica, il
trionfo dell'irrazionale e del grottesco, di un pensiero e di
uno stile di vita estraneo e completamente illogico.
Per tutto questo mondo si poteva avere come minimo
dell'incredulità, se non dell'aperta avversione.
Ciò nondimeno il materiale narrativo e simbolico
costituiva un patrimonio enorme che sarebbe stato uno
spreco non prendere in considerazione, essendo le
tematiche numerose così come il loro contenuto di
suggestione davvero rilevante: periodi di tempo enormi,
che si perdono in colossali stagioni cosmiche, universi
interi che nascono come bolle dal mare del Supremo
Essere, si librano per un istante prima di dissolversi,
ognuno con i suoi mondi, pianeti, galassie, uomini, dèi e

7
demoni che combattono e vivono in esso le più
fantastiche epopee. Cicli grandiosi che ruotano lenti e
inesorabili nella maestosa giostra cosmica. Eroi, mostri,
titani che si muovono e danzano la loro gioiosa danza di
vita per tutte le ere dell'eternità.
Tutto questo non poteva passare inosservato alla
curiosa intelligenza di Lovecraft, e soprattutto non
poteva non condizionare la sua già naturalmente fervida
fantasia; così tutti questi elementi, desunti da numerose
letture, si sono andati accumulando nel suo immaginario
sommandosi con i dati tradizionali che già costituivano il
suo background culturale, creando infine quel variegato e
fantasmagorico mondo che ben conosciamo. Una parte
del materiale mitico inoltre arrivò in maniera indiretta
tramite le speculazioni e i racconti dell'ambiente
teosofistico, fonte non pura ma da un punto di vista
artistico comunque accettabile.
E' necessario però aggiungere che l'India da noi
intesa non è solo l'attuale nazione asiatica, ma è
soprattutto la patria atemporale del mito, la principale
depositaria e custode dei più antichi simboli umani, che
si sono conservati integri fino ad oggi proprio grazie a lei.
Non tratteremo quindi dell’India dei fachiri e delle
vacche sacre, ma dell’India deposito della tradizione,
antichissima sede dell’umanità, erede della “dimora
artica”, punto di origine di molte fra le più importanti
civiltà storiche e mitiche.1

1 A questo riguardo non possiamo che rimandare all’opera di Bal


Gangadhar Tilak The Artic Home in the Vedas, Poona, 1903 (tr. it. La
dimora artica nei Veda, ECIG, Genova, 1991).
Nel dettaglio, per quanto riguarda i simboli della
tradizione indoeuropea possiamo soltanto dire che la loro
quantità è enorme, e la loro diffusione non conosce
eguali, così come la varietà di declinazioni nelle quali si
sono sviluppati nel corso dei secoli; come ci conferma
Georges Dumézil a questo riguardo, “vestigia più o meno
considerevoli d’una stessa concezione del mondo, di
quello invisibile come del visibile, doveva lasciarsi
riconoscere da un capo all’altro dell’immenso territorio
conquistato, nei due ultimi millenni prima della nostra
era, da uomini che davano lo stesso nome al cavallo, gli
stessi nomi al re, al nembo, agli dei”.2
Lovecraft, lontanissimo erede di questo passato, più
o meno consapevolmente ne raccoglie le suggestioni e le
immagini e, rielaborandole alla sua maniera, le utilizza
come materiale per la costruzione di una personalissima
creazione fantastica, creazione che con il tempo andrà
sempre più precisandosi e delineandosi nei vari racconti
che prenderanno poi la loro forma definitiva in quelli che
saranno comunemente chiamati i “Miti di Cthulhu”.
E' quindi evidente che all'interno delle sue opere
debbano ritrovarsi vari temi e forme simboliche di questa
tradizione. Uno studio completo sarebbe stato oltremodo
voluminoso, ci siamo limitati quindi ad un particolare
ambito culturale, prendendo in considerazione le
principali forme archetipiche presenti nel mito indiano

2 G. Dumézil, Mito ed epopea, La terra alleviata, Einaudi, Torino, 1979,


p.XII. Notiamo che sempre nello stesso volume (cap.VIII) viene
sostenuta la probabile esistenza di una escatologia comune non solo agli
antenati dei popoli dell’India e della Scandinavia ma anche a tutte le
popolazioni indoeuropee.
9
confrontandole poi con alcuni temi fondamentali
dell'opera lovecraftiana. Il risultato è stato decisamente
interessante e, come si potrà constatare, le analogie
saranno molteplici, non solo a livello superficiale, ma
anche nella profondità dei significati essenziali.

Ci sia consentito, a questo punto, di intraprendere una


breve riflessione sull'emersione e sulla rivelazione delle
forme simboliche, valida per comprendere tutto quanto
verrà scritto in seguito.
Per dirla con Ovidio e col Kereny, il mito, come la
testa di Orfeo, una volta reciso continua comunque a
cantare, e così anche per tutti coloro i quali hanno
interrotto i rapporti con realtà superiori, queste
continuano a manifestarsi, sia pure in forma diversa.
Non ci si aspetti, in quest’opera, alcuna
interpretazione basata sulla “psicologia analitica”, ma
bensì una visione del mito basata sull'attribuzione a
questo di un valore non solo attuale ma soprattutto
perenne, inteso come strumento dello spirito umano e
divino che si autorivela, svelando anche l'essere che
trascende l'uomo. Il simbolismo, essendo basato sulla
natura stessa di ciò che esiste, è qualcosa di necessario e
spontaneo e si ri-manifesta sempre sia pure in forme e
modi differenti. Un eccesso di razionalismo lo potrà
relegare in una sfera a sé stante, ma questo continuerà ad
esistere e a riproporre i suoi contenuti. Ogni mitopoiesi è
sempre una comunicazione simbolica, originale quanto
possono esserlo realtà eterne, giacché storiche e relative
sono le categorie culturali con cui il mito viene espresso,
ma sovrastorico ne resta il significato.
Il mito desacralizzato è sempre un simbolo
incompreso, e il creatore di miti è colui che utilizza
simboli senza avvedersi della loro funzione, che sarebbe
quella di mostrare cose invisibili usando forme visibili. Se
dall'opera di Lovecraft emerge tutto il disagio di un
uomo e di un'epoca, con le sue inquietudini e le sue
alienazioni, è altresì vero che gran parte dell'apparato
simbolico-mitico ci parla anche di realtà metastoriche
concrete e a tutti gli effetti “vere”, anche se deformate,
traviate e invertite in maniera quasi totale. Il ponte
costruito fra ciò che esiste nel mondo fenomenico e ciò
che lo trascende è da Lovecraft costruito in maniera
bizzarra ed eccentrica, ma comunque efficace, così
efficace che non solo è possibile giungere ad intuire ciò
che può celarsi oltre le forme esteriori, ma è anche
possibile, gettando uno sguardo nell'abisso sottostante,
vedere come in un incerto riflesso, le luci delle essenze
iperuraniche.

11
I.

Mito e folklore

“We have an Aryan heritage, a Western-European heritage, a


Teuton-Celtic heritage, an Anglo-American heritage, and so on –
but we can't detach one layer from another without serious loss –
loss of a sense of significance and orientation in the world.”3

1.

Al fine di inquadrare nella giusta prospettiva la genesi e


lo sviluppo dell'arte lovecraftiana, è necessario
innanzitutto avere presente che questa arte, dotata di una
notevole coerenza, lungi dall'essere una pura
esercitazione letteraria o uno sterile accumulo di
eteroclite nozioni, trae la sua linfa vitale da radici ben
profonde e da esse si sviluppa in maniera solida e
vigorosa. Per comprendere quindi l'uso, volontario o
meno, delle più antiche forme simboliche della tradizione
indoeuropea, è necessario conoscere ed avere ben
presente il valore che ad esse era dato da Lovecraft e
soprattutto come queste si inserissero nella sua
particolare visione del mondo, i nuovi miti lovecraftiani
essendo secondo una certa ottica nient'altro che una
filiazione dei miti arcaici, rivisitati però e ridimensionati

3 H.P. Lovecraft, Selected Letters III, Arkham House, Sauk City,


Wisconsin, 1971, p. 208.
13
secondo lo spirito dei tempi, con nuove volontà creatrici
e nuove sensibilità etiche ed estetiche.
Secondo Lovecraft la concezione l'universo è
qualcosa di sostanzialmente irrazionale, una realtà eterna
ed illimitata, ma completamente priva di qualsivoglia
intima logica. E' come un enorme mare in perenne
movimento4, un campo di forze che nel proprio mutare
incessante determina tutti i fenomeni del cosmo, la
nascita delle galassie e dei pianeti, la vita, lo sviluppo
delle forme organiche e la loro trasformazione,
disgregazione, ricostruzione. Gli uomini in questo
quadro non solo fanno parte del gioco delle forze ma
sono loro stessi delle forze in gioco e, lungi dall'essere
l'elemento culminante dell'esistenza, ne sono viceversa
solo uno dei prodotti accidentali, avente lo stesso valore
di qualsiasi altra entità organica od inorganica. Il cosmo e
la natura sono quindi indifferenti e rappresentano forze
che circondano la vita autocosciente non curandosi dei
loro effetti, distruggendola od esaltandola non per un
finalismo intrinseco né per un qualsivoglia
sentimentalismo, ma semplicemente perché nel loro
perenne fluire creano modificazioni che rendono
possibile lo sviluppo di determinate forme, alcune delle
quali più adatte a conservarsi nel tempo. Ogni azione

4 Notiamo a tale proposito come questa concezione abbia una grande


somiglianza con quella espressa da Nietzsche in numerose sue opere ed
in particolare nella incompiuta Wille zur Match. A questo riguardo
rimandiamo per gli opportuni raffronti al terzo capitolo del libro quarto
e, nel dettaglio, al frammento 1067 della nuova edizione italiana: F.
Nietzsche, La volontà di potenza – frammenti postumi ordinati da Peter
Gast e Elisabeth Forster Nietzsche, nuova edizione a cura di M. Ferraris
e P. Kobau, Bompiani, Milano, 2001, pp. 561-562.
provvidenziale è quindi assolutamente impossibile; le
idee filosofiche di Lovecraft, gentiluomo settecentesco
con nozioni scientifiche del Novecento, risultano alfine
molto chiare:

“Adesso sappiamo che i vari eventi dell'universo e i


fenomeni della vita e della coscienza, sono tutti parte
di un modello generale di mutamento di forza e
materia il cui perpetuo flusso di costruzione e
disgregazione non suggerisce assolutamente
l'eventualità di una direzione o di uno scopo
consapevole.”5

2.

Nel gioco delle forze universali la situazione dell'uomo è


piuttosto precaria. Nato accidentalmente da una serie di
combinazioni fortuite, circondato da un mondo
indifferente, senza prospettive non solo riguardo a realtà
trascendenti ma persino sulla propria sopravvivenza
futura, rischia di essere sopraffatto dall'onnipresente caos
o da un'irrimediabile ed inevitabile disperazione. Egli ha
solo un modo per salvarsi: costruire un mondo a propria
misura, informandolo secondo i propri criteri e dandogli
tutta una serie di realtà valide al fine di garantirsi
un'esistenza serena e protetta dalle incertezze del mondo
esterno.
Questa è stata sempre la via seguita dalle comunità
umane nel corso dei millenni, ed ha sempre, anche se con

5 H.P. Lovecraft, Selected Letters V, Arkham House, Sauk City,


Wisconsin, 1976, p. 116.
15
alterne vicende, permesso loro di sviluppare le più
svariate civiltà e i più diversi stili di vita. Naturalmente
tutto questo si basa sull'adesione, volontaria e
consapevole, a tutto un apparato di valori e di credenze
considerate valide ed adottate solo in quanto utili per la
sopravvivenza della comunità, ma basate su di una scelta
convenzionale, cioè in ultima analisi fondate su di una
pura illusione. Ma, a detta di Lovecraft, quest’illusione è
un qualcosa di particolare, che può avere in se stessa una
molteplicità di valori a seconda di come la si faccia
propria. Se è infatti da guardarsi con sospetto quando è
considerata come realtà unilaterale alla quale aderire
ciecamente, è tuttavia da valutarsi positivamente
quando, accettata con consapevolezza ed inquadrata
oggettivamente nella sua vera natura, fornisce all'uomo
gli strumenti per debellare le peggiori minacce alla
tranquillità della propria esistenza. Se quindi la vita si
basa su di un'illusione, proprio l'illusione può essere un
mezzo per vivere:

“E' proprio perché il cosmo è senza significato che


dobbiamo rendere sicure le nostre illusioni
individuali riguardo i valori ed il senso delle cose,
sostenendo le fonti artificiali che ci danno questo
mondo di illusioni salutari.”6

Tutti i valori così creati, vissuti e tramandati, si


sedimentano nella tradizione e questa a sua volta
contribuisce a rafforzare le basi sulle quali si fonda la vita
umana; da qui deriva tutta l'importanza data all'identità,

6 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, p. 208.


strumento principe per l'isolamento dal caos esterno.
Tramite essa un uomo si forma, matura dei valori, vede il
mondo secondo una determinata prospettiva, ha
insomma una sua dimensione, uno stato preciso che gli
permette di fronteggiare in maniera sicura le insidie che
possono farglisi incontro.
Ma il singolo non può scegliere arbitrariamente a
quali valori aderire; egli come entità venuta alla luce nel
corso di un determinato ciclo storico e in determinate
condizioni ambientali ed antropologiche, si trova già a
possedere in maniera ereditaria tutta la serie delle
certezze e delle esperienze cristallizzatesi nel corso delle
ere trascorse. L'uomo non solo vive nell'epoca sua
propria, ma cresce in un determinato background7che lo
forma e lo sostiene come ha fatto con i suoi antenati, i
quali, a loro volta, gli rendono possibile l'inserimento in
un “hereditary blood-stream” fondamentale per ricevere le
memorie ancestrali. Tutto questo costituisce il bagaglio
della tradizione.

3.

Lovecraft aderisce al patrimonio tradizionale, anche se lo


fa in duplice veste: come uomo, per ottenere un'identità
che possa fornirgli certezze e solidità, e come scrittore,
per avere del materiale su cui fondare le proprie
personali creazioni. Ma la sua adesione è del tutto

7 Da questo punto di vista è esemplare il sonetto XXX dei Fungi from


Yuggoth, dedicato proprio all'appartenenza ad un ambiente culturale ben
definito.
17
particolare, essendo volontaria ma priva di fede. Scettico
e disilluso, giudica l'apparato mitico-simbolico come
qualcosa di puramente umano e assolutamente
chimerico, ma decide di accettarlo perché, da un punto di
vista utilitaristico, è ancora in grado di fornire dei
benefici alle collettività ed ai singoli8. E' un'adesione del
tutto disincantata, che fa una distinzione fondamentale
tra le forme e le credenze del patrimonio antico. Le fedi del
passato sono in declino, demolite dalle teorie e dalle
scoperte della scienza, e sono destinate a scomparire
lasciando l'uomo con un vuoto ed una serie di incertezze
potenzialmente pericolose. E' quindi necessario tenere
vive le forme del passato, non come superstizioni, ma
come punti di sostegno nei confronti della dura e
minacciosa realtà; non è importante la fede, ma il fatto
che tutti i valori del passato servano a costruire un uomo
equilibrato, strutturando la sua realtà e dandogli un
posto preciso nel mondo:

“dobbiamo salvare tutto quello che possiamo per non


trovarci alla deriva in un mondo alieno senza
memorie o punti di riferimento...”9

Così anche se non si crede più nei centauri e nelle sirene,


tutto ciò conserva un significato di vitale importanza per
l'uomo, mettendolo in contatto con le epoche più antiche
della sua storia, quelle cioè che hanno dato forma e

8 Naturalmente questo discorso viene a cadere nel momento in cui le fedi


religiose formano un ostacolo all'armonia e alla felicità umana.
9 H. P. Lovecraft, Selected Letters V, idem, p. 51.
valore al suo presente. Ed è proprio su queste premesse
che si innesta l'azione creatrice dell'artista.

4.

Il processo di nascita del mito secondo Lovecraft è


strettamente legato al rapporto dell'uomo con la natura,
ed è in sé qualcosa di piuttosto semplice.
L'umanità, negli albori della sua storia, trovatasi a
contatto con le forze ignote e potenti dell'universo,
avrebbe cercato di spiegarle con allegorie e
personificazioni nate dalla propria fantasia, formando un
primo nucleo leggendario che, accresciutosi nel tempo
tramite le molteplici narrazioni della tradizione orale e
unitosi ad illusioni, sogni e speculazioni varie, avrebbe
poi costituito un apparato mitico stabile, tramandato di
generazione in generazione tramite il folklore, assimilato
a livello inconscio e poi sedimentatosi nelle forme
definitive giunte fino ad oggi. L'uomo di particolare
sensibilità, l'artista, si troverebbe così ad ereditare un
patrimonio decisamente speciale, formato dalle memorie,
dalle fantasie e dai sogni che hanno caratterizzato un
determinato gruppo umano e che gli hanno dato il suo
particolare valore nonché tutte le peculiarità che lo
rendono unico. Di questo patrimonio egli conosce il vero
significato ed agisce di conseguenza; ben sapendo
dell'origine del mito e del suo valore esistenziale si
guarda bene dal disprezzarlo, anche se non lo
sopravvaluta legandolo a realtà assolute, religiose o
metafisiche.

19
Egli trova una pietra preziosa, ma non la conserva
come una reliquia, bensì la lavora, la intaglia e la cesella
secondo il proprio gusto, dando libero sfogo alla propria
facoltà immaginativa, riuscendo a creare con il materiale
grezzo un oggetto completamente nuovo.
Fondamentale da questo punto di vista è stata
l'esperienza narrativa di Lord Dunsany, il quale ha
delineato con il suo esempio ciò che lo scrittore di
Providence considererà una “terza via” per l'evasione,
alternativa all'idealismo ed al fideismo religioso, e cioè
l'elaborazione cosciente dei materiali del mito e la
creazione da questi di nuovi elementi fantastici. Tale
operazione, comunque disincantata e priva di velleità
teologiche, prende il nome di “Dunsanian conjuration” ed
è caratterizzata certamente dall'accettazione piena della
realtà ma anche dalla contemporanea costruzione al di
sopra e oltre questa di un nuovo universo, fantastico e
immaginativo, avente come valore fondante un puro
interesse estetico.

“Il mio più grande divertimento deriva dal prendere


la realtà esattamente com'è – accettando tutte le
limitazioni della scienza ufficiale – e poi permettendo
alla mia facoltà simbolizzatrice di costruire al di fuori
dei fatti esistenti; innalzando una struttura di
indefinite promesse e possibilità le cui torri senza limiti
non stiano in nessun cosmo o dimensione penetrabile
dal potere di contraddizione del tirannico ed
inesorabile intelletto.”10

10 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, p. 140.


Lo scrittore diventa così un nuovo creatore di miti, anche
se nella tonalità minore di uomo scettico che cerca una
via d'uscita fantastica ad un mondo reale che lo circonda
e lo opprime.
Ma il processo creativo non è costruito sul nulla e
non può prescindere dal suo fondamento concreto, dato
dal patrimonio mitico nel quale si è cristallizzata la
memoria ancestrale della razza.
La tematica tradizionale, già fatta propria
inconsciamente tramite le influenze dell'ambiente e le
eredità familiari, e poi riconfermata volontariamente
tramite il legame con il proprio retroterra culturale, viene
quindi prima accettata (sia pure con la riserva del proprio
valore contingente) e poi liberamente utilizzata per
l'azione di produzione artistica.
Lovecraft, a più riprese, dirà di sentirsi parte e di
aderire al patrimonio mitico germanico, celtico, greco-
romano ed anglosassone, ma tale patrimonio ha
comunque una fonte comune costituita dalle antiche
popolazioni indoeuropee che, a partire dalle loro
originarie dimore si sono poi nei tempi antichi diffuse e
divise in varie parti d'Europa e d'Asia; popolazioni di cui
proprio l'India conserva la memoria più integra e più
viva:

“Sappiamo che la maggior parte delle nostre


filastrocche e fiabe popolari appartengono alla più
antica struttura del mito Ariano, così i prototipi di
molte poesie e leggende conosciute oggi possono

21
essere ritrovate nella più antica letteratura sanscrita
dell'India.”11

L'artista, erede designato delle antiche forme simboliche,


porta con sé queste realtà e, con il suo atto creativo, riesce
a riportarle di nuovo, estraendole dagli abissi della
memoria, ad uno stato di presenza e di vita.

11 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, pp. 4-5.


“The Akashic Records”. Immagine di Gea.

23
II.

Il teosofismo

1.

Prima di entrare nel merito dei contenuti mitico-simbolici


dell'opera lovecraftiana sarà tuttavia necessario
affrontare un'ulteriore, anche se più piccola, questione
preliminare rimasta in sospeso, riguardante gli influssi
esercitati dal pensiero e dalle teorie teosofistiche.
L'opera di madame Blavatsky, dei suoi seguaci e dei
suoi successori ottenne un discreto riscontro nella società
occidentale della fine del XIX e dell'inizio del XX secolo e
ne influenzò una parte del pensiero e delle opinioni
correnti, contribuendo, a suo modo, alla divulgazione
della religiosità orientale. Naturalmente tali
insegnamenti non furono nient'altro che un'imitazione di
quelli originali, ed inoltre essendo frammisti con fantasie,
racconti immaginari ed errori interpretativi vari,
rappresentarono a tutti gli effetti una mistificazione di
stampo pseudo-religioso; e come tale vennero considerati
da Lovecraft.
Tuttavia lo scrittore di Providence, per sua stessa
ammissione, avrà modo di utilizzare parte delle nozioni
teosofistiche per i propri racconti, giudicandole come
utili elementi narrativi in grado di creare delle buone
suggestioni fantastiche. Naturalmente, ciò non toglie
valore a quanto da noi affermato in precedenza riguardo
al mito, giacché la parte principale degli insegnamenti
della Società Teosofica è tratta dal repertorio mitico
indiano, e, anche se fraintesa o volutamente deformata, fa
sempre riferimento a realtà ben definite ed individuabili,
richiamandone il loro chiaro contenuto simbolico ed il
loro indiscusso valore evocativo. Così, per quanto
riguarda la creazione letteraria, l'utilizzo di materiale non
originale è questione secondaria, datosi che questo
materiale, per così dire non di prima qualità, passerà poi
sempre attraverso l'attività sublimatrice dell'artista,
subendo un processo di rielaborazione che lo libererà da
tutte le scorie contingenti e ne farà emergere i valori
archetipici fondanti.

2.

Come già visto nel capitolo precedente Lovecraft non


amava molto le religioni, considerandole qualcosa di
simile a superstizioni, e tollerandole solo per il loro
valore di mezzo di coesione identitaria e di protezione
dalle forze cieche dell'universo; si può quindi ben
immaginare che cosa pensasse di una creazione nuova e
soprattutto artificiale che si volesse accreditare come
nuova religione dell'occidente moderno. Il suo giudizio
definitivo è espresso in una lettera a Willis Conover del
29 luglio 1936:

25
“Il ciarpame teosofistico, che rientra nell'ambito della
falsificazione volontaria, può essere comunque a
tratti interessante.”12

E' chiara tuttavia anche la sua curiosità per eventuali


spunti narrativi rintracciabili nelle produzioni
teosofistiche. In una lettera a Clark Ashton Smith lo
vediamo interessarsi alle “scoperte” dell'amico E.
Hoffmann Price:

“Price ha scoperto un altro ciclo folklorico che


riguarda una cosa presumibilmente antichissima
chiamata il Libro di Dzyan che si immagina contenere
tutti i segreti del mondo antico prima dello
sprofondamento di Kusha (Atlantide) e Shalmali
(Lemuria). E' custodito nella città santa di
Shamballah, ed è considerato come il libro più antico
del mondo, il suo linguaggio essendo il Senzar
(antenato del Sanscrito), che è stato portato sulla
terra 18.000 anni fa dal Signore di Venere. Non so
dove E. Hoffmann abbia preso questo materiale, ma
mi sembra dannatamente buono.”13

E' ovvio che tutto ciò ha solo un valore relativo, e non


sarà mai considerato alla stregua di un'opera letteraria né
di una rivelazione religiosa. Tutte le opere teosofiche, da
quelle monumentali della Blavatsky, a quelle più agili e
divulgative di Churchward, Le Plongeon, Scott-Eliot si

12 H.P. Lovecraft, W. Conover, Lovecraft at last, Carrollton-Clark,


Arlington, 1975, p. 33.
13 H.P. Lovecraft, Selected Letters IV, Arkham House, Sauk City,
Wisconsin, 1976, p. 155.
configurano sempre in una maniera del tutto singolare:
da una parte sono da considerarsi meno di insegnamenti
religiosi perché, prive di un'eredità tradizionale, non
cristallizzano in sé valori ed esperienze popolari e non
portano con sé la saggezza delle epoche antiche; dall'altra
sono meno di una creazione artistica, perché con la loro
pretesa di veridicità fanno cadere il presupposto
fondamentale del ‘volo immaginativo’, la consapevolezza
cioè di produrre una realtà fantastica che si basa ma che
poi si eleva sugli elementi della comune realtà. La
“Dunsanian conjuration” non vale quindi per gli pseudo
romanzi teosofici, i quali oltretutto, non essendo stati
concepiti come opere artistiche letterarie, difettano
inoltre del senso estetico e poetico che ogni opera d'arte,
come presupposto, dovrebbe almeno tentare di avere.
Il teosofismo quindi rimarrà per Lovecraft, e per
molti scrittori dopo di lui, una creazione “demiurgica”
inferiore, a metà strada tra la religione e l'arte e sarà
considerata semplicemente una strana manifestazione del
pensiero umano: un magazzino, un bazar dal quale trarre
spunti, idee, visioni e suggestioni.

3.

Inquadrando la tematica teosofica in un discorso più


ampio, si possono fare delle ulteriori considerazioni che
possiamo ritenere decisamente significative, anche in
chiave attuale.
Per Lovecraft uno dei bisogni fondamentali
dell'uomo, oltre la soddisfazione fisica, sarebbe la
necessità di evasione dai vincoli della dura realtà, tramite
27
la bellezza, l'illusione, la riconquista di antiche e perdute
esperienze o la speranza di vaghe e misteriose meraviglie
future. Questa evasione, che produce un’“espansione
simbolica individuale”14 richiede però dei requisiti
fondamentali, cioè la rimozione dei limiti dati dal tempo,
dallo spazio e dalle leggi di natura, condizioni che solo la
fantasia è in grado di ottenere. Ma la fantasia, a suo dire,
può essere solo fornita dall'autoinganno religioso o dalla
creazione estetica volontariamente costruita (queste due
attività essendo simili e non avendo nella loro sostanza
nessuna vera differenza, ad eccezione della matura
disillusione che caratterizza l'opera d'arte).
Queste considerazioni possono però dare luogo ad
alcune implicazioni piuttosto particolari, soprattutto se
unite alle opinioni di Lovecraft riguardo l'educazione e
l'insegnamento, opinioni che rispecchiano la sua visione
del mondo e le sue teorie sulle credenze religiose:

“Oggi sappiamo, tramite la psicologia, che ogni


credenza o inclinazione emotiva, non importa quanto
falsa o assurda, possa essere immessa nel cervello e
nel sistema nervoso di un essere umano con grande
forza e fermezza qualora la vittima ne sia stata
inoculata fin dall'infanzia.”15

Correlando quindi queste due prese di posizione non


sarà difficile arrivare a concepire un'anomalia
fondamentale, assurda ma coerente al tempo stesso, che

14 “Symbolic ego-expansion”. Cfr. Selected Letters III, idem, p. 308.


15 H.P. Lovecraft, Selected Letters V, idem, p. 117.
può arrivare a concretizzarsi in qualsiasi momento, se si
perdesse il vero senso dell'evocazione fantastica.
E' forse così difficile infatti concepire una religione
del Necronomicon, di Cthulhu, Yog-Sothoth, o Azathoth?
Proprio madame Blavatsky ebbe modo di dire: “dalle
acque stesse del materialismo sorge la corrente mistica”;
ed è dal mondo del materialismo totale di Lovecraft che
sorgono per reazione le più stravaganti ed assurde
divinità, creature di un oltre-mondo sempre al limite tra
l'essere e il non-essere, confinate in una dimensione
fantastica ma sempre pronte ad affermare con forza la
propria esistenza anche nel mondo reale. Una corrente
che sorge, che vuole entrare e straripare nel mondo
umano, facendo breccia nei rigidi argini di una realtà
pietrificata.
Inquietudini che rispecchiano un'epoca e che ce la
fanno sentire vicina, proprio perché in questo scorcio di
terzo millennio le cose non sono certo mutate. Oggi
Lovecraft rimarrebbe stupito nel sapere che c'è molta più
gente che crede alle sue creazioni piuttosto che alle
divagazioni teosofistiche.
Rimanendo in equilibrio sul sottile filo che separa
realtà e finzione, fiction e conscious fakery, concluderemo
con un piccolo gioco dialettico che ci permetterà di
comprendere meglio la questione.
Se noi non considerassimo infatti la consapevolezza
di avere creato un mondo volutamente fantastico, che
cosa differenzierebbe i miti di Cthulhu dal teosofismo?
Se ne vedano invece gli elementi comuni.

− Entrambi costituiscono un sistema mitico-religioso


29
nato dall'elaborazione di forme tradizionali,
dall'utilizzo di leggende, racconti popolari e folklore.
− Entrambi hanno un proprio corpus dottrinario
preciso, con una cosmologia, una cronologia ed una
serie di verità stabilite in via definitiva.
− Entrambi si basano su di un “testo sacro”
fondamentale, dalle origini misteriose ed inaccessibile
agli uomini, rivelato da entità superiori e contenente
verità sconvolgenti.
− Rivelazioni che in maniera parziale possono essere
divulgate ai “fedeli” tramite opere letterarie (racconti,
romanzi, resoconti di viaggio, diari).
− Presenza di città mitiche, continenti scomparsi,
rovine ciclopiche, mondi sotterranei.
− Presenza altresì di culture extraterrestri che, dopo
avere portato la vita sulla Terra, interagiscono ancora
con gli abitanti del pianeta.

E che dire dei due fondatori?


Personaggi misteriosi, sfuggenti, enigmatici, ma
comunque carismatici, capaci di creare attorno a sé un
consenso ed una schiera di ammiratori pronti ad
accogliere con entusiasmo le nuove rivelazioni.
Personaggi in comunicazione con un mondo che stà oltre,
in remote ed inaccessibili realtà ai limiti dell' “Altrove
Assoluto”, e che da queste dimensioni raccolgono
comunicazioni, suggestioni, insegnamenti. Entrambi
lettori di Eliphas Levi e di arcani tomi di magia, entrambi
avventurieri, l'una nel mondo degli uomini, l'altro nel
mondo dei sogni, ma entrambi figli di un'epoca, la
nostra, che dopo avere rifiutato il soprannaturale, lo vede
risorgere nelle forme più grottesche ed imprevedibili16.

16
Quanto scritto finora non ha la pretesa di esaurire l'argomento dei
rapporti tra Lovecraft ed il teosofismo, argomento che esula dal tema
principale del nostro studio e che abbiamo affrontato in questa sede soltanto
come precisazione preliminare.
Per chi volesse approfondire questa tematica possiamo rimandare
quindi all'articolo di Robert M. Price Lovecraft's Use of Theosophy,
pubblicato sul periodico Crypt of Cthulhu, Vol. 1, n. 5, 1982, ora reperibile
anche in internet.

31
"Nicholas Roerich", dipinto dal figlio Svyatoslav, 1938.
III.

Roerich

Avendo considerato il tema teosofistico, ne approfittiamo


per ricordare un artista tanto amato da Lovecraft,
Nicholas Roerich, (1874-1947) personaggio che nel
quadro della religiosità orientale merita un discorso a
parte. Pittore, archeologo e mistico, seppe ritrarre nelle
sue opere visioni di mondi lontani, scenari onirici,
panorami suggestivi, capaci di evocare nello spettatore
sensazioni di meraviglia e stupore, di evasione dalla
realtà, di sottile inquietudine e straniamento. Il “solitario
di Providence” nel suo triste soggiorno newyorkese trovò
sempre un rifugio ed una via di fuga nell'atelier del
pittore, trovandovi oltretutto ispirazioni e suggestioni
che avrebbe poi sviluppato nei suoi racconti.
Però non è propriamente esatto affermare che
Roerich facesse con i colori ciò che Lovecraft faceva con
la penna e l'inchiostro, difatti il pittore russo era animato
da un intimo senso spirituale che lo portò a percorrere
svariate vie nel mondo dello spiritualismo e del mistero.
In questo modo si costruì addosso una biografia occulta
di tutto rispetto, che non sarebbe dispiaciuta nemmeno a
Randolph Carter.
Già portato al misticismo fin dalla più tenera età (si
dice che ricevesse in sogno le visite di una figura vestita
di bianco), poi indirizzato all'esoterismo dal suo maestro
33
di pittura Archip Ivanovič Kuindži, grazie all'influenza
della moglie Helena (che tradusse in russo La Dottrina
segreta di madame Blavatsky) si avvicinò dapprima alla
spiritualità orientale, all'induismo e al buddhismo, in
seguito approfondendola e dando inizio alle pratiche del
cosiddetto Agni Yoga. Viaggiò a lungo in India, Tibet e
Mongolia cercando la mitica città di Shamballa e
ritraendo in centinaia di dipinti i meravigliosi scenari
incontrati.
Dal punto di vista esoterico intraprese nel corso degli
anni la via che lo condusse all'affiliazione alla Società
Teosofica, all'A.M.O.R.C. e sopratutto agli ambienti del
cosmismo17; ambienti che gli garantirono numerose
soddisfazioni postume.
Era il cosmismo una sorta di teosofia russa, che univa
al tema della spiritualità quelli dello sviluppo sociale e
scientifico, in una mistica del progresso che esaltava una
nuova dimensione umana di consapevolezza e di potere
nei confronti del mondo e della natura. Tali teorie in
seguito influenzarono, in maniera discreta ed indiretta, il
bolscevismo ed ebbero un certo ruolo sotterraneo nel
nuovo regime sovietico.
Basti pensare a questo riguardo che il padre
dell'astronautica sovietica, Konstantin Ziolkovsky (1857-
1935)18, era un fervente cosmista e che Yuri Gagarin nel

17 Fondato da Nikolai Fedorovitch Fedorov (1828-1903) non si organizzò


mai con la struttura di una società segreta, ma esercitò un'influenza
indiretta su molti ambienti culturali russi. Subirono queste influenze
scrittori come F. Dostoevsky, V. Solovieff, L. Tolstoy e M. Gorky o
scienziati come V. Vernadsky e A. Bogdanov.
18 Invece uno dei padri della missilistica americana, Jack Parsons (1914-
1952), era un fervente devoto del “Grande dio Pan”.
1961 nel suo storico volo attorno alla Terra mandò un
saluto simbolico proprio a Roerich, personaggio ai tempi
non gradito al regime (anche se già morto in esilio). Era
importante infatti per certi ambienti raggiungere lo
spazio, non solo per ovvi motivi scientifici e militari, “ma
anche per dare il via a quel processo di trasmutazione
che avrebbe creato una nuova Umanità evoluta,
consapevole della propria immortalità e più in sintonia
con il Cosmo.”19
Lo stesso regime però, all'inizio degli anni '70,
incominciò la riabilitazione di Roerich, tanto che su
riviste ufficiali incominciarono ad apparire testi pseudo-
yogici e teosofisti di ispirazione roerichiana (nel
frattempo il K.G.B. si trovava all'avanguardia negli studi
sulla parapsicologia).
Degno finale, la perestroika nacque sotto l'influenza
cosmista e lo stesso Gorbaciov nel 1987 incontrò al
Cremlino e si fece riprendere in televisione con uno dei
figli di Roerich, Svyatoslav (il quale non ha mai fatto
mistero di presentarsi come l'erede della missione del
padre). Varie espressioni di Gorbaciov riguardo alla
“nuova mentalità” della sua amministrazione non sono
nient'altro che idee cosmiste di Fedorov, Vernadsky e
Roerich riadattate allo spirito dei tempi.20

19 Cit. Francesco Dimitri, Comunismo magico: leggende, miti e visioni


ultraterrene del socialismo reale, Castelvecchi, Roma, 2004, p. 178.
20 Traiamo queste informazioni dallo studio di Alexander Dughin Le
complot idéologique du Cosmisme Russe, pubblicato sulla rivista
francese Politica Hermetica n°6/1992, pp. 80-92, non ancora tradotto
ma di cui è disponibile un ampio riassunto nel libro di Giorgio Galli, La
politica e i maghi, Rizzoli, Milano,1995, pp. 183-189. Il testo integrale è
35
Per quanto riguarda gli Stati Uniti possiamo dire che
in forza delle proprie conoscenze esoteriche Roerich
entrò nelle grazie del potente ministro dell'agricoltura
Henry A. Wallace (in seguito vicepresidente)
diventandone per qualche anno la guida spirituale e
riuscendo in tale modo a giungere ad esercitare la
propria influenza anche sul presidente Franklin D.
Roosevelt21. La stessa Helena Roerich tra il 1934 e il 1936
scriverà dall'Himalaya otto lettere al presidente
americano, rendendolo edotto delle comunicazioni da lei
ricevute da parte dei “Maestri Sconosciuti”.
Se Lovecraft avesse saputo tutto questo non
sappiamo quale sarebbe stata la sua reazione, forse
sarebbe rimasto stupito, o forse avrebbe sorriso, ma la
cosa certa è che avrebbe continuato ad apprezzare
l'artista e soprattutto la sua opera, mezzo espressivo
fondamentale per la scoperta di realtà alternative e
chiave per l'accesso a nuovi e fantastici mondi. Celebre è
il suo giudizio sul pittore russo:

“C'è qualcosa nel suo utilizzo della prospettiva e


dell'atmosfera che mi evoca altre dimensioni ed
alieni ordini dell'essere, o almeno la via che porta ad
essi. Quelle fantastiche pietre scolpite in altopiani
solitari e deserti, quelle minacciose, quasi senzienti
linee di vette frastagliate, e soprattutto quei curiosi

comunque reperibile in versione telematica su internet.


21 L'iniziativa per la salvaguardia dei beni culturali nota come “Patto
Roerich” venne favorevolmente accolta dal presidente Roosevelt, ed in
seguito recepita anche in ambito internazionale (1935).
edifici cubici che si aggrappano a dirupi scoscesi e si
rivolgono a proibite cime appuntite!”22

Così diversi ma così simili, entrambi riuscivano, ognuno


nel loro campo, a creare scenari di sogno e a fare
emergere, con la visione o la parola, nuove e
sorprendenti realtà, così simili e vicine a quelle del
mondo comune, ma sempre con qualcosa di irreale e di
magico, che regalavano non solo un momento di sana
evasione, ma anche la consapevolezza dell'esistenza, al di
là delle comuni limitazioni, di un mondo fantastico, forse
irreale ed irraggiungibile come il sogno ma forse
possibile e vero come la realtà.

22 H.P. Lovecraft, Selected Letters V, idem, p. 436.


37
Rocce di Ladakh (1933)

Il nero Gobi (1928)


Kanchenjunga (1924)

Ladakh (1933)

39
“Vivo in quel mondo di sopportabile memoria, sogno
ed espansione cosmica che miei deboli poteri creativi
sono in grado di creare per me – sempre sottratto al
suicidio dall' illusione di avere in futuro l'abilità di
riuscire a descrivere le possibilità di avventura che la
vista del tramonto dietro strane torri, di una casupola
su una collina rocciosa o di un monolito di roccia a
Leng come dipinto da Nicholas Roerich,
invariabilmente accendono in me.”

H. P. Lovecraft: Lettera del 27 febbraio 1931 a Frank Belknap


Long (Selected Letters III, p. 321)
IV.

Testi sacri e cosmogonie

1.

L’eterna disputa sul Necronomicon, che coinvolge a


diverso titolo intellettuali, studiosi ed appassionati,
sembra divenire con il passare del tempo sempre più
accesa, anche se non possiamo fare a meno di sottolineare
come questa resti limitata ad ambiti piuttosto ristretti,
avendo come unico oggetto la eventuale esistenza reale
del famoso testo.
Ma se, come Lovecraft amava ricordare, la differenza
tra realtà ed irrealtà è quantomeno sottile, anche la
disputa in questione non solo perde d’importanza, ma
rientra essa stessa in un gioco di specchi tale da farle
perdere qualsiasi solido punto di riferimento.
Per quanto ci riguarda riteniamo più opportuno
esplorare altri campi, meno conosciuti ma decisamente
più affascinanti e che possono fare risaltare ancora più
vivamente la versatilità del genio lovecraftiano. In questo
studio cercheremo infatti di affrontare, per sommi capi, la
somiglianza di elementi della sua letteratura con alcune
forme archetipiche della religione indù, strumenti
espressivi entrambi di sicura efficacia, in grado, a nostro
avviso, di agire fortemente non solo sull’inconscio, ma
anche di colpire ad un tempo “l’intuizione, il sentire e

41
l’immaginazione”23, miti e simboli che resistono
all’intellettualizzazione e che rivelano differenti
sfumature di significato, secondo le esperienze e i bisogni
vitali dell’individuo.
Le considerazioni che seguono non hanno la pretesa
di esaurire la complessità dell’argomento ma solo di
suggerire a chi si voglia avventurare in questa
esplorazione una direzione che, lungi dal sottrarre
fascino al panorama, possa condurre alla scoperta di
punti di riferimento decisamente poco conosciuti.
Aggiungiamo quindi altro materiale agli studi su
Lovecraft, ben sapendo che il “solitario di Providence”,
con la sua immancabile ironia avrebbe certamente
gradito questo e simili altri interventi che, accrescendo il
raggio d’azione della ricerca e disvelando nuovi ed
affascinanti scenari, non avrebbero fatto altro che
aumentare l’interesse per la sua fantasmagorica mitologia
ed il suo insondabile genio.

2.

Sebastiano Fusco, nella sua “Storia del Necronomicon”24,


tra il serio e il faceto si cimenta in un esercizio molto
particolare e decisamente interessante: nel suo “Tentativo
di una ipotipòsi” traccia una storia erudito-filologica del
testo maledetto mettendone in evidenza lo sviluppo nel

23
Per la capacità comunicativa dei miti indù cfr. H. Zimmer, Miti e simboli
dell’India, Adelphi, Milano, 2007, pp. 53 e sgg.
24
Cfr. S. Fusco, Tentativo di una ipotipòsi, in Storia del Necronomicon di
H.P. Lovecraft, Venexia, Roma, 2007, pp. 98-102.
corso del tempo ed il relativo accrescimento con i
contributi, le spiegazioni e gli insegnamenti che i vari
sapienti venuti in contatto con esso si sono pregiati di
aggiungere. Da questa analisi emergerebbe la realtà di un
testo non fissato in forme fisse ma mutevole, vivo, dalla
natura proteiforme, sempre pronto ad adattarsi alle varie
epoche e ad interagire attivamente con la loro sensibilità
ed il loro spirito.
Pur apprezzando questo esercizio e condividendone
gli esiti, riteniamo tuttavia di dover effettuare una
precisazione che, sia pure di apparente piccola portata, è
tuttavia importante al fine di evitare errori di prospettiva;
se è giusto sostenere infatti che il testo in questione,
partendo da “un remoto nucleo originario” avrebbe poi
conosciuto nei secoli tutta una serie di aggiunte tali da
portarlo alla cospicua dimensione di un migliaio di
pagine, è fondamentale sottolineare anche il modo con cui
si sia formato questo testo. Ed a tal riguardo è necessario
sgombrare il campo da quella posizione che si potrebbe
definire “storicistica”, che sostiene come ogni realtà
storica sia frutto di un’evoluzione continua a partire da
una forma originaria primitiva e grossolana. Posizione
questa che nel caso in questione ci porterebbe a
considerare il Necronomicon attuale come forma ultima e
completa cresciuta a partire da un’opera involuta, messa
per iscritto dal suo primo autore e suscettibile di vari
progressi in epoche successive, progressi che come una
serie di stratificazioni si sarebbero aggiunte al fondo
primitivo, avendo con questo solo un rapporto di
discendenza più o meno diretta. Viceversa ci sentiamo di
sostenere una posizione a prima vista simile, ma tuttavia
43
opposta, che porterebbe a considerare tutte le aggiunte al
testo di Alhazred non come produzione eteroclita o libera
interpretazione ma come sviluppi continui e diretti
nonché applicazioni pratiche dei principi originari
dell’opera, attuati in maniera più o meno consapevole dai
vari intellettuali venuti in contatto con essa, ma sempre
coerenti con il nucleo basilare fondamentale.
Ogni sapiente, mago, studioso, dopo avere avuto tra
le mani il testo (e non essere impazzito nel frattempo)
avrebbe infatti aggiunto spiegazioni, glosse, chiarimenti e
consigli che, pur sembrando tra loro differenti, sarebbero
tutti, come raggi di una ruota, partiti dal nucleo originale
codificato in principio, in maniera criptica, dallo stesso
Alhazred. Così anche le aggiunte più strane ed
apparentemente eterodosse (magia sessuale, magia
“enochiana”, magia pseudo-paracelsiana) non sarebbero
tuttavia nient’altro che una particolare versione del testo
originario, non essendo queste che una sua esplicazione
in sintonia con il determinato momento storico -
l’autenticità e la “canonicità” essendo però garantite
dall’efficacia operativa, dalla continuità degli esiti e
dall’identità delle entità contattate. Il testo, a seguito di
questo processo di ex-plicatio, si sarebbe trovato così
nell’epoca attuale ad essere pienamente fiorito e
sviluppato in ogni sua parte, pronto ad essere messo per
iscritto e cristallizzato nella sua versione “definitiva”
(definitiva in senso relativo, in rapporto all’attuale
momento storico, ma suscettibile di ulteriori sviluppi).
A titolo di paragone e di esempio ci siano d’aiuto le
riflessioni sul cosiddetto “Quinto Veda”25. René Guénon,
alla luce della Sophia Perennis (Sanatana Dharma), negando
uno sviluppo concorrente delle varie dottrine indù
(vedismo, bramanesimo, induismo) sostiene come queste
siano in realtà unite da una intima coerenza implicante
un’unità di fondo degli insegnamenti che, al di là delle
contraddizioni superficiali, troverebbe la sua unità nel
considerare i medesimi come diversi aspetti della
dottrina originaria, differenziatasi ed adattatasi nel corso
del tempo a seconda dei bisogni e delle attitudini delle
varie comunità umane.
Così l’accrescimento del corpus dottrinale non
sarebbe altro che un’esplicitazione dei molteplici aspetti
latenti ed impliciti nella primeva formulazione; e se il
Veda è nel corso dei secoli divenuto triplice e poi
quadruplice (fors’anche quintuplice col tantrismo) non
bisogna dimenticare che esso è divenuto tale solo a causa
dei mutamenti avvenuti nello spirito dei tempi ma che
questo non muta la sua vera essenza che in realtà rimane,
nella sua intemporalità, invariabilmente unica.
E quindi, analogamente, lo stesso testo “sacro” per
eccellenza della mitologia lovecraftiana, manterrebbe un
suo nucleo non solo primigenio, ma a tutti gli effetti
immutabile, posto fuori dal tempo e di origine non
umana.

25
Cfr. R. Guénon, Il quinto Veda, in Studi sull’Induismo, Luni, Milano,
1996.
45
3.

A questo punto, intraprendendo il cammino storico a


ritroso, si potrà provare ad identificare la sua natura
archetipica.

N. Roerich, “Il Libro della Saggezza” (1924)

Si ritorni a considerare l’arabo pazzo: egli titola la sua


opera Al-azif, volendo significare con questo nome un
particolare suono, il “canto delle dune”, rumore sinistro e
spaventoso da alcuni attribuito a cause naturali ma che
tradizionalmente si riferisce alla “voce” con la quale
talune creature soprannaturali si fanno udire nel mondo
materiale. Nella fattispecie queste entità sono i famosi
jinn, demoni di vario genere e forma che hanno eletto
come loro dimora le profonde solitudini del deserto.
Costoro infatti hanno il loro regno incontrastato nel
“Grande spazio vuoto”, inteso materialmente come il
Roba el Khaliyeh, deserto meridionale dell’Arabia, temuto
ed evitato da tutti, ma anche simbolicamente come il
“mondo intermedio”, dimensione sottile che trascende la
realtà materiale e che è il luogo prediletto del sogno e
dell’illusione.
Il poeta folle di Sana’a, nelle sue peregrinazioni in
luoghi desolati, con le sue pratiche magico-ascetiche,
giunto finalmente in contatto con entità soprannaturali,
avrebbe appreso da queste gli orrendi segreti del cosmo
ed avrebbe poi compilato un testo, in seguito conosciuto
con il nome di Necronomicon.
Ma se il nucleo fondamentale, l’origine di tale opera è
indubitabilmente non umana, dubbi rimangono sulla
fonte primaria di tali insegnamenti, non essendo i jinn
altro che creature minori, più potenti della maggioranza
degli uomini, ma pur sempre limitati ed inquadrati nella
gerarchia cosmica in un rango di secondaria importanza.
Ma come ben sappiamo, Alhazred conosceva ed adorava
le divinità di cui ci parla Lovecraft, e questo porta la
nostra ricerca ad un livello superiore.
E’ a questo punto necessaria un’ulteriore digressione
che, fornendoci elementi per un’analogia, potrà aiutarci
in questo particolare passaggio. Secondo la religione indù
la conoscenza nella sua integralità, il Veda, non è opera
dell’uomo, ma è rivelato a dei particolari e meritevoli
sapienti, i rishi, tramite il suono, vibrazione primordiale
ed eterna che li porrebbe in contatto con la realtà ultima
dell’Assoluto. Tale rivelazione, allo stesso tempo
47
originaria e finale, sussistendo al di là delle condizioni
limitative dell’esistenza, sarebbe per sua natura
intemporale e, a tutti gli effetti, eterna. Il Veda perenne e
sovrumano, una volta entrato nel mondo della creazione,
sarebbe soggetto quindi a tutta una serie di adattamenti,
momentanei e contingenti che, pur se mutandolo in
apparenza, non cambierebbero in realtà la sua vera
essenza. All’atto dell’inizio di un nuovo ciclo temporale,
il Veda è comunicato agli uomini da Visnu,
personificazione dell’Essere supremo nella sua funzione
di creatore-conservatore del mondo; ma il suono
primordiale è anche la vibrazione fondamentale che dà
origine al mondo e a tutto ciò che ha un’esistenza
effettiva in tutti gli ordini del reale. Tale suono,
strumento di creazione, racchiude la potenza e le leggi
segrete che governano l’universo. Esiste quindi una
consonanza tra il Sacro Testo ed il mondo manifestato:

“…il suono, il veicolo della parola, che trasmette la


rivelazione, la tradizione, l’incantesimo, la magia e la
verità divina. Il suono, inoltre, in India è associato
all’etere, il primo dei cinque elementi. L’etere è la
prima manifestazione della Sostanza divina, e la più
sottilmente pervasiva. Dall’etere si dispiegano,
nell’evoluzione dell’universo, tutti gli altri elementi,
aria, fuoco, acqua, terra. Insieme, dunque, suono ed
etere rappresentano il primo momento della
creazione, pregno di verità, l’energia produttiva
dell’Assoluto nella sua forza primitiva,
cosmogenetica.” 26

26
H. Zimmer, Miti e simboli dell’India, Adelphi, Milano, 2007, pp. 139-
Oltre i testi c’è un imponderabile segreto, che solo pochi
individui possono arrivare ad intuire, una dimensione di
incomunicabilità della verità ultima implicante l’idea che,
immettendosi in un ordine sovraindividuale di esistenza,
i concetti fondanti del linguaggio umano vengano
espressi in un altro modo, che è segreto perché
incomunicabile.
Il canto di Visnu27 contemporaneamente crea il
mondo e rivela la sacra conoscenza: siamo qui alle soglie
dei più profondi misteri della cosmogonia che, ben lungi
dal voler ulteriormente investigare, ci limitiamo soltanto
a lumeggiare, nei limiti delle nostre esigue possibilità.
Senza quindi l’intenzione di mischiare il sacro con il
profano e tornando al mondo letterario di H.P.L.,
possiamo concludere dicendo che esiste soltanto un essere
che, primigenio e solitario, emette suoni che creano la
realtà; costui, al di fuori del divenire della “grande ruota
cosmica”, nella sua posizione “al centro dell’infinito”, in
uno stato di quieta idiozia, blatera e farfuglia frasi senza
senso, suoni scomposti che formano i mondi e i pensieri
degli uomini. Parla di lui il sonetto XXII dei Fungi from
Yuggoth, di cui riportiamo un frammento:


Lì nel profondo buio farfugliava
il Signore di Tutto, biascicando
di cose viste in sogno, e non capite.

140.
27
Visnu, in qualità di Prajapati, signore-creatore-generatore-di-tutti-gli-
esseri, intona un canto, detto “dell’oca immortale”.
49
A lui d’intorno, cose-pipistrello
informi tramenavano le ali,
in insulse spirali illuminate
da babelici raggi.
Danzavan folli nel lamento acuto
d’uno stridulo flauto aggraffignato
da un artiglio bestiale:
ne scorrevan le note senza senso
che sovrapposte e combinate a caso
conferiscono a tutti gli universi
fragili e momentanei, leggi eterne.28

Non solo l’intero Necronomicon è già contenuto in questi


suoni, ma anche tutto ciò che esiste è formato da loro.
Mentre per l’asceta indù si aprono le porte della
liberazione, per l’eroe lovecraftiano si spalancano gli
abissi della follia.

28
Traduzione di S. Fusco in Storia del Necronomicon di H. P. Lovecraft,
Venexia, Roma, 2007, pp. 192-193.
N. Roerich, “Il Guardiano del Calice” (1937)

51
V.

L'asse del mondo

At qua fulgentis caelum consurgit ad arctos


omnia quae summo despectant sidera mundo
nec norunt obitus unoque in vertice motus
in diversa cient caelumque et sidera torquent,
aera per gelidum tenuis deducitur axis
libratumque regit diverso cardine mundum.
Manilio, Astronomicon, I, 275-280.

1.

Secondo la teoria cosmologica di Lovecraft l'universo è


costituito e mosso da un gioco caotico di forze che,
ricombinandosi e trasformandosi indefinitamente, danno
origine alle forme della comune esistenza materiale.
All'interno di questa corrente possono formarsi tuttavia
determinate “isole”, concrezioni di vita autocosciente,
che nel mezzo del fluire delle forze cosmiche,
costituiscono un fragile ma sicuro punto di stabile
riferimento. Tali manifestazioni di vita, a tutti gli effetti
veramente “al di là del bene e del male”, si cristallizzano
e si ordinano in modalità organizzate e precise, aventi
tutte, sia pure in una grande varietà di forme, una
propria intima logica.
Anche le entità aliene più strane e grottesche,
apparentemente disarticolate o caotiche hanno, e devono
avere, un proprio logos che le mantiene in vita, un valore
fondante che esiste in maniera certa, reale ed
indispensabile. Tale principio emerge più volte tramite
un simbolo, chiaro e potente, che rende esplicito tutto il
suo valore con una grande forza di intuitivo
riconoscimento.
Tale simbolo è quello dell'asse del mondo, centro
relativo ma assoluto di ogni civiltà, punto che conferisce
ordine al mutamento, isola di stabilità in mezzo al mare
delle contingenze.
Se ne ha un riferimento in quasi tutte le tradizioni
umane, e naturalmente anche nell'opera di Lovecraft,
apparendo in numerose opere letterarie come elemento
determinante e significante.
Le sue manifestazioni sono di due tipi: da un lato
come pietra sacra, monolito, che regge ed ordina la vita
di comunità particolari; dall'altro come “montagna
polare” che sta a fondamento dell'esistenza del mondo o
di un mondo. Vedremo quindi come questo tema
accomuni l'opera lovecraftiana e quella tradizionale (in
particolare indoeuropea) ma si sviluppi in maniera ad
essa differente ed opposta.

2.

Attorno al centro si riunisce la comunità. Esso non è solo


un luogo di aggregazione, ma è anche il punto originario
e fondamentale della sua esistenza, il centro spirituale
che fornisce quella ragione e quell'ordine che permettono
alle forme sorte dal caos di nascere e di sussistere nella
vita. Il centro è un frammento di universo organizzato,
53
un baluardo contro la costante minaccia di
disintegrazione e di morte. Le forme di vita del variegato
universo sono accomunate da questo valore fondante ma
lo interpretano e lo vivono in maniera differente. Ciò che
è sacro per taluni può essere esecrando per altri, ciò che
dà ordine a determinati gruppi ne potrebbe portare alla
disgregazione un numero eguale o maggiore. I “venti
delle stelle”, che portano visioni fantastiche ai poeti più
sensibili, distruggono però i sogni degli uomini, in una
vorticosa lotta senza fine per strappare ancora qualche
istante prima di soccombere all'onnipresente minaccia
del Caos.
In quest'ottica, se ogni luogo “sacro” è un centro, il
centro può trovarsi in ogni luogo. Il punto centrale di
ogni raggruppamento è quello che potrebbe definirsi
l'omphalos, (ombelico) vera rappresentazione del “Centro
del Mondo” non solo simbolicamente, ma anche
realmente, datosi che da esso deriva la vita del
microcosmo della comunità.
Esso può trovarsi ovunque, nelle oscure gole presso
Arkham, ove nella notte di Valpurga impazza il frenetico
ritmo del sabba, oppure nelle più oscure profondità della
terra, in caverne sotto la città di Kingsport, dove una
colonna di fuoco verdastro, immondo fuoco fatuo, viene
onorata nelle feste solstiziali, oppure negli abissi marini,
dove entità senza nome si agitano attorno ad idoli
bizzarramente scolpiti.
Generalmente la sua rappresentazione tipica è data
dalla pietra (obelisco, circolo di rocce, aerolite o pietra
grezza) o dalla montagna (anche artificiale, tumulo,
montagnola) immagine esplicita di potenza, elevazione e
stabilità; è simbolicamente una colonna che regge il
mondo, che lega il cielo alla terra e permette la
comunicazione con le proprie divinità29.
Il culto per eccellenza, quello di Cthulhu, si organizza
proprio in questo modo. In un luogo “sacro”, nelle
malsane e semideserte paludi della Louisiana uomini
degenerati venerano un'antica e potente entità, un
demone astrale, monarca di un'era antichissima che
aspetta sognando la sua rivalsa ed il suo ritorno nel
mondo. In una radura nella palude boscosa, attorno ad
un falò circolare si muovono e si dimenano le masse dei
fedeli, mentre al suo interno si erge un monolito sulla cui
sommità campeggia l'immagine del mostro; è qui
composto un particolare mandala, una imago mundi che
riassume e sintetizza pienamente tutto il valore cosmico
della rappresentazione e del rito. In questo microcosmo
vige un ordine, alieno e disumano, ma pur sempre dotato
di una sua intima coerenza interna. Completano il
quadro alcune misteriose e temibili entità, che si
manifestano per portare a termine la cerimonia
compiendo orribili sacrifici umani. E' qui rappresentato,
in piccolo, il futuro e probabile mondo di Cthulhu, un
mondo che suo malgrado raggiunge la stabilità e riesce
ad avere una realtà materiale proprio attraverso la
“sacralizzazione” dei propri atti e del proprio essere.
Gli umani che si adeguano al nuovo ordine prendono
da questo la loro ragione d'essere, mutando, cambiando
forma e abdicando infine dalla loro umanità.

29 Anche il campanile ha da questo punto di vista un valore simbolico


analogo. A questo riguardo si vedano, nei Fungi from Yuggoth, i sonetti
The Bells e St. Toad's.
55
L'immagine di culti misti tra umani ed alieni o tra umani
e demoni incarnati ci porta in varie ed inquietanti
contrade, ad Innsmouth, a Dunwich e nelle colline del
Vermont, dove si manifesta con uno schema simile e con
caratteristiche più o meno comuni, anche se proprio
l'ultima località citata ci potrà fornire elementi per
qualche considerazione supplementare.
Gli abitanti di Yuggoth, i Mi-Go, hanno colonizzato
quelle lande e vi hanno impiantato un baluardo della
loro civiltà. Costoro, in date particolari recitano dei
rituali, insieme agli uomini, nei circoli di pietra sulla
Round Hill, ma a quanto sappiamo si servono anche di
una loro pietra sacra, di colore nero, scolpita secondo
strani principi geometrici ed incisa con geroglifici. Questa
pietra nera rimanda a due temi fondamentali: da un lato
rappresenta la “pietra venuta dal cielo”, l'aerolite,
testimone e messaggera divina, dall'altro proprio per
questa sua origine simboleggia il sacro per eccellenza, la
“dimora degli dèi”, strumento primario per
l'instaurazione di civiltà e culti religiosi; prima pietra per
l'edificazione di qualsivoglia struttura organizzata. Il
lapis niger è messaggero e polo d'aggregazione, punto di
contatto tra dimensioni diverse:

“l'Omphalos poteva essere rappresentato anche da


una pietra di forma conica, come la pietra nera di
Cibele, oppure ovoidale; il cono ricordava la
montagna sacra, simbolo del <<Polo>> o dell'<<Asse
del Mondo>>.”30

30 Cit. R. Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi, Milano, 1977, p. 91.


Discorso universalmente valido anche per realtà tra di
loro distanti ed estranee.
Tutto questo ci rimanda ad un'altra pietra nera che in
un ben diverso contesto, nei ghiacci dell'Antartide, è
testimone di antiche civiltà e antichi dèi; nella totale
solitudine delle immense distese polari questo “cono
nero”31 (black cone amid the polar waste), completamente
ignoto all'umanità, è il vertice di un'enorme monolito che
si estende per chilometri e chilometri sotto la superficie
terrestre, antico asse di un mondo così arcaico da essere
ricordato con difficoltà anche dai Grandi Antichi, centro
di un'epoca e di un continente ormai scomparsi,
sommersi dal gelo perenne degli eoni.
La pietra sacra irradia le sue influenze nel mondo
anche quando questo si è scordato di lei.
Il tema del monolito come cardine di grandi civiltà ci
riporta ai miti di Cthulhu e in particolare alla città
sommersa di R'lyeh.

“Credo che solo la cima della montagna,


quell'orrenda cittadella coronata dal monolito in cui
il Grande Cthulhu fu sepolto, emergesse dalle acque.
Quando penso alla vastità di ciò che incombe laggiù,
vorrei uccidermi subito.”32

Come sappiamo dal racconto lovecraftiano soltanto una


minima porzione della città emerge dalle acque,
mostrando però la sua parte più sacra, la sua “acropoli”,

31 Da Antarktos, sonetto XV dei Fungi from Yuggoth.


32 H. P. Lovecraft, Le storie del ciclo di Cthulhu, Newton, 1993, p. 93.

57
la dimora-sepolcro di Cthulhu, coronata naturalmente da
una enorme pietra, centro rituale di tutte quelle terre. La
stessa città di R'lyeh però non è nient'altro che una
piccola parte di un immenso continente ancora
sommerso dalle acque, un tempo non solo visibile e
completamente emerso, ma anche dominatore della
propria epoca e dell'intera civiltà terrestre. Questo
mondo sommerso è un tipico esempio di quello che nella
tradizione indiana si definisce come dvipa, ovverosia un
enorme continente-isola che emerge o scompare sotto le
acque oceaniche in determinati momenti storici,
portando con sé anche le relative civiltà ospitate sulla sua
superficie. Di solito, a seguito di grandi cataclismi queste
civiltà tramontano, sprofondando (letteralmente e
metaforicamente) nell'oblio lasciando il posto a nuove
terre, naturalmente dando così inizio ad una nuova
epoca. Ma la temibile e spettrale R'lyeh sembra quasi non
rassegnarsi e, come uno spirito dannato, vuole tornare
nel mondo dei viventi per occupare il posto che un
tempo le apparteneva. Proprio come cerca di fare il suo
abitante principale.
Ben diverse sono le divinità più antiche, come ad
esempio l'arcaico Nodens, che sia pure rassegnate alla
perdita dei loro poteri, sono tuttavia benevole nei
confronti degli uomini.
Cthulhu e Nodens, due aspetti di una stessa
questione, rappresentano bene il mistero degli dèi
decaduti. E proprio riguardo questo tema non possiamo
non citare una particolare e significativa coincidenza
estremamente illuminante. Secondo Plutarco il sovrano
dell'antica età dell'oro, cioè Kronos (Saturno), si trova su
di un'isola posta all'estremo nord del mondo, ancora
vivo, ma prigioniero e ridotto all'impotenza da uno stato
di sonno:

“il sonno è la catena che gli è stata imposta, e intorno


a lui vi sono molti demoni che gli fanno da compagni
e servitori.”33

Ed è sempre Plutarco (nel De facie in orbe lunae §26) ad


informarci che gli abitanti di quelle terre possono ancora
comunicare con Kronos, ma solo tramite i sogni.
Anch'egli, sia pur decaduto, non è morto, giacché come
dio può vivere in eterno, ma aspetta, sognando, il passare
del tempo ed il ritorno della sua era34.
Epoche si susseguono alle epoche, creazioni a contro-
creazioni, simili od opposte.

33 De defectu oraculorum §18. In Dialoghi delfici, Adelphi, Milano, 1995,


p. 84.
34 Lovecraft, nel racconto di ispirazione dunsaniana Poetry and the Gods,
ebbe modo di scrivere a questo riguardo: “Gli dèi non sono mai morti.
Dormivano sognando i sogni degli dèi nei giardini delle Esperidi pieni di
fiori di loto.”[...] “La loro vendetta colpirà invece le tenebre, l'inganno e
le abiezioni che hanno mutato la mente dell'uomo; e, sotto il dominio del
barbuto Saturno, i mortali, offrendogli di nuovo sacrifici, vivranno nella
bellezza e nella felicità.”[...] “Perché i poeti sono i sogni degli dèi, e, in
ogni epoca, qualcuno ha cantato, senza saperlo, il messaggio e la
promessa provenienti dai giardini del loto, che si trovano al di là del
tramonto”. Tratto da Tutte le storie oniriche e fantastiche, Newton,
Roma, 1993, pp. 71-72.

59
3.

La parte finale di The Call of Cthulhu è la rivisitazione di


un altro racconto, Dagon, il quale contiene già, nelle sue
linee generali, tutti quegli elementi che saranno
sviluppati ed ampliati in seguito, elementi comuni che
rendono i due racconti molto simili nella loro struttura.
In entrambi infatti abbiamo dei navigatori che, in
punti inesplorati dell'oceano, si imbattono in un'isola, un
enorme continente sede di un'antica civiltà, fino a quel
momento sommersa ma che per varie combinazioni è
tornata alla luce con tutti i suoi misteri e tutti i suoi
orrori. Circondati dall'illimitata distesa delle acque, si
trovano in un piccolo mondo a parte, una ristretta realtà
che si organizza e si sostiene con proprie regole e
principi. Nel totale straniamento dato da questo scenario
fanno un incontro fatale con un'entità terribile che
causerà in loro uno sconvolgimento delle capacità
intellettive e, ancora peggio, della loro visione del
mondo. Nei due racconti il protagonista vero è proprio
l'essere che emergendo dal fondo delle acque, porta al
narratore una nuova realtà che muta in maniera
sostanziale la sua natura e porta una rottura nella sua
vita, inaugurandone una nuova e drammatica fase.
Da questo punto di vista non possiamo non
sottolineare le analogie con il mito indiano del dio-pesce.
In esso, nella prossimità della fine di un particolare ciclo,
Visnu si manifesta nel mondo materiale sotto forma di
pesce, dapprima annunciando il diluvio, poi guidando
verso la salvezza un uomo, Satyavrata, che diventerà il
reggente della successiva epoca umana. L'uomo, durante
la sommersione del mondo, trovatosi in solitudine nel
mezzo delle acque, entra in contatto con il dio-pesce
(Matsya avatara) e ne rimane atterrito dalle dimensioni
colossali.

La possibilità di un'equivocazione tra il demoniaco e il


divino è presente (il fenomeno-monstrum è sempre
qualcosa che sconcerta) e solo una dichiarazione esplicita
del dio fuga ogni dubbio:

“Io mi sono incarnato per la protezione dell'universo


e la distruzione dei malvagi.”35

35 Agni Purana II,11. Invece Cthulhu sbava e farfuglia parole di


61
Il Matsya avatara dopo avere tratto in salvo Satyavrata e
l'arca, gli comunica la verità perenne contenuta nei Veda,
così come la legge fondamentale, il dharma, che governerà
il nuovo ciclo di esistenza. E' una figura chiaramente
messianica, salvatrice, che porta all'umanità un ordine e
una nuova vita.
Le divinità lovecraftiane sono di tutt'altro tipo:
annunciano anche loro una nuova era, ma governata da
leggi non umane, da forze immense e sopraffattrici che si
affermano incuranti di ciò che contemporaneamente a
loro esiste nel mondo. Anche se il tremendum è qualcosa
che caratterizza l'apparizione di dèi e demoni ogni
dubbio viene presto dissipato. Cthulhu comunica con il
suo incomprensibile linguaggio, esprimendo però dei
contenuti molto chiari: morte e distruzione per chiunque
non si adegui al suo culto. Dagon afferra il monolito,
pietra sacra della sua realtà, con questo atto escludendo
altre eventuali creature dall'appartenenza al suo mondo e
dalla condivisione delle leggi che lo governano. Le figure
che Lovecraft fa emergere dal mare sono anti-
messianiche, portatrici di nuove e terribili verità e
distruttrici di quanto di organizzato e stabile è presente
nel mondo umano36.

maledizione per gli umani.


36 Nel sonetto Nyarlathotep, contemporaneamente alla presenza del
“messaggero degli dèi” abbiamo l'emersione dal fondo delle acque di
una città sommersa, residuo spettrale di un'antica civiltà. Entrambe
queste figure, a livelli diversi, si manifestano per annunciare l'imminente
fine del mondo.
Basti a questo riguardo il confronto con il mito
indiano: il dio-pesce fa sapere all'uomo la legge
fondamentale sulla quale si dovranno informare quelle
particolari che regoleranno la nuova epoca, ma la legge
fondamentale è proprio la legge della natura propria
degli esseri, cioè il dharma, basata su principi
fondamentali superiori ed immutabili. Questo termine
deriva dalla radice dr che indica stabilità, sostegno ed
elevazione, e una parola da esso derivata, dhru, che è il
nome della stella polare e costituisce la radice del termine
dhruva, nome sanscrito del Polo, come anche delle
rappresentazioni dello Shiva Linga, particolare
rappresentazione dell'asse del mondo . Linga che
37

secondo il mito sorge dalle acque primordiali,


proclamandosi solennemente origine e fondamento di
tutto ciò che esiste.
Mentre la figura messianica indiana dona il pilastro
della legge agli uomini, quella lovecraftiana lo toglie,
togliendo con questo anche la possibilità di una vita
basata sull'ordine e la possibilità di costruire su questo
un mondo sicuro e protetto dalle influenze disgregatrici
del caos esterno.
E sempre nello stesso contesto simbolico, la stella
polare non guida più gli uomini, ma li osserva
malignamente senza comunicare nulla, mentre la stessa
montagna polare, non ospita più divinità olimpiche, ma
dèi del sogno sfuggenti e capricciosi, indifferenti alle
vicissitudini e alle sventure umane.

37 Il linga è una forma del dio che può farsi risalire ai simboli primitivi in
pietra del neolitico. Centro vitale dello spazio sacro rientra pienamente
nella categoria della pietra sacra, dimora divina ed asse del mondo.
63
4.

Né della terra esiste un centro, né del mare;


e se esiste, è noto agli dèi, ma celato agli uomini.
Epimenide di Festo

Per il suo carattere di elevazione, di dominio sulla terra


circostante e di prossimità alle altezze celesti la montagna
ha sempre rappresentato un incrollabile punto di
riferimento spirituale, simboleggiando stati di esistenza
superiori e realtà difficilmente accessibili agli umani. Le
divinità amano frequentare le vette, e le più elevate sono
da sempre dimore divine, ma la Montagna Sacra per
eccellenza è quella che rappresenta l'asse stesso del
mondo; centro spirituale supremo, vertice della volta
celeste e colonna fondamentale, essa si lega
necessariamente all'idea di polo, punto fisso attorno al
quale avvengono i mutamenti del mondo circostante. E
tale montagna è la dimora naturale degli dèi, il Paradesha,
la contrada suprema, inaccessibile agli uomini, punto di
congiunzione tra il cielo e la terra. Essa ha una
collocazione polare. E' il Meru, una colossale montagna
che sorge nel centro simbolico del mondo, dominando da
questa posizione tutte le contingenze ed indicando,
insieme alla stella polare che brilla sopra di esso, la via
dell'ordine umano e della realizzazione spirituale. Sulla
sua sommità sorge il castello d'Indra ed al suo interno
hanno dimora gli dèi della Terra.
Nel corso delle fasi della storia la montagna, fatta di
pietre preziose, mostra agli uomini una delle sue facce,
dando con il riflesso della luce su di essa il colore al cielo
(attualmente la faccia mostrata è quella di zaffiro, il cui
colore è azzurro). A causa della sua collocazione polare
tutto il mondo si trova a sud del Meru, che viene così ad
essere, anche grazie alla sua altezza, “il Tetto del
Mondo”. Anche nell'universo lovecraftiano le divinità
amano frequentare molte montagne, ma solo in una di
esse hanno la loro dimora38.
Il Kadath è la montagna sacra per eccellenza, essa è
posta nell'estremo nord delle Terre di Sogno e, custodita
da formidabili guardiani, si erge grandiosa nel vuoto
polare. E' l'asse del mondo, altissima vetta attorno alla
quale ruota ogni realtà e tramite la quale tutto acquisisce
una stabile esistenza. Su di essa sorge il castello degli dèi
della Terra, le cui mura d'onice scura sembrano dare il
tono e il colore a tutta l'atmosfera circostante.
Secondo la tradizione indiana la vetta del Meru
risplende di luce, ad indicare il fulgore dei numi ed il
sicuro punto di riferimento dato da questi; anche Kadath
rifulge alla sua sommità di una luce (il cosiddetto Faro
degli Antichi39) che brilla sinistra nell'eterna notte polare,
inquietante presenza e monito per tutti gli sprovveduti
avventurieri che volessero carpire segreti a loro preclusi.
Al di sopra della vetta splende un diadema di stelle
sconosciute che, disponendosi in una precisa geometria,

38 Vedasi il racconto The Other Gods.


39 Cfr. The Elder Pharos, sonetto XXVII dei Fungi. Il termine “pharos”
utilizzato per nominare la mitica meraviglia del mondo antico, sta qui ad
indicare proprio la monumentalità dell'oggetto in questione, di fattura
sicuramente non umana.
65
comunicano all'osservatore arcane e dimenticate verità,
aprendo la percezione agli orrori dello spazio esterno.
L'altezza della montagna è enorme, spropositata, essa
si erge al di sopra del cielo e si staglia fino agli strati più
elevati dell'atmosfera fino a sfiorare la sfera della Luna:

“Per quanto alta nel cielo fosse la schiera, il faro


pallido e minaccioso si erse al di sopra, torreggiando
mostruosamente su tutte le montagne e le
preoccupazioni della Terra, immerso nell'etere privo
di materia dove orbitano la Luna misteriosa e gli
assurdi pianeti.”40

Nozione questa estremamente importante, visto che la


montagna sacra, in quanto “Tetto del Mondo” è adibita al
governo di tutto ciò che riguarda il regno del mutamento,
la corrente delle forme, ed estende quindi il proprio
dominio solo a tutto ciò che ricade nel “mondo
sublunare” non potendo però andare oltre il confine delle
sfere planetarie, la cui prima rappresentante è proprio la
Luna. Sopra di lei e oltre le orbite dei pianeti c'è la stella
polare, guida malsicura che occhieggia maligna e che si
sforza di comunicare un messaggio, ma che nulla
rammenta “fuorché il fatto che abbia un messaggio da
comunicare.”41
Ma oltre questa, al di là delle stelle fisse e oltre il
vuoto siderale, l'asse del mondo continua il suo percorso,

40 H. P. Lovecraft, Alla ricerca dello sconosciuto Kadath, in Il guardiano


dei sogni a cura di G. de Turris, Bompiani, Milano, 2007, p. 135.
41 H. P. Lovecraft, Tutte le storie oniriche e fantastiche, Newton, Roma,
1993, p. 23.
nella dimensione dell'altrove, attraverso ulteriori realtà
dove spazio e tempo perdono il loro valore, in “sconfinati
abissi di tenebre vive”, in “vuoti infiniti di oscurità
senziente”, fino all'ignoto, fino al senso ultimo
dell'esistenza. Ma se questa abbia un senso è difficile da
scoprire, non sapendo se gli attuali dèi siano i sommi
artefici del tutto, o siano soltanto conquistatori e
governanti selvaggi. C'è comunque e sicuramente
un'energia che vibra nell'universo e in tutti gli universi
insieme, un’onda, un suono, una vibrazione primordiale
ultima e definitiva, che sussiste in tutte le ere del tempo
ma che ora, come la stella polare, non sa più quale sia il
suo vero scopo, la sua ragione d'essere, se armonia ed
ordine o totale e irrimediabile nonsenso.

67
N. Roerich, “Luci della Vittoria” (1931)
VI.
La realtà e il resto

“Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità


della mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti.
Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare
dell'infinito, e non era destino che navigassimo lontano.”42

“Per me realtà o irrealtà in sé sono soltanto termini sterili ed


accademici.”43

1.

Queste suggestive citazioni tratte da due opere differenti,


una pubblica e una privata, ci danno l'opportunità di
affrontare un punto fondamentale della cosmologia
lovecraftiana, ovvero la natura delle illusioni e il loro
rapporto con il mondo del reale.
La sottile linea che separa follia e sanità mentale è un
tratto caratteristico delle opere del solitario di
Providence, un tema ricorrente che percorre, come un
sinistro sottofondo, tutta la sua produzione narrativa e
poetica; una tematica che, come quella tra realtà e sogno,
riemerge costantemente per mostrare tutta la sua
importanza e drammatica centralità. Nel suo particolare

42 H. P. Lovecraft, Le storie del ciclo di Cthulhu - tomo I, Newton, Roma,


1993, p. 68.
43 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, p. 126.

69
universo, infatti, i personaggi si muovono tutti sull'orlo
di un baratro costituito dalla comprensione della vera
essenza del reale, conoscenza ultima e suprema,
sviluppando le loro esistenze in maniera tanto più
tranquilla quanto più ignara di essa. La realtà
fenomenica, sia pure con tutti i suoi accidenti e le sue
vicissitudini, costituisce infatti una barriera nei confronti
del caos universale, un muro di ignoranza che
involontariamente forma una vera e propria protezione
contro la follia e l'annichilimento. Il genere umano, nella
sua esistenza comune ed ordinaria, si trova così in una
situazione singolare: come avvolto in una rete sospesa su
di un abisso, è imbrigliato e limitato nei suoi movimenti e
nella visuale, ma contemporaneamente è sorretto e
mantenuto al sicuro, al riparo da una catastrofica caduta.
E anche se questa rete lascia talvolta filtrare, come oscuri
presentimenti, vaghe e mostruose presenze del mondo
“di fuori”, permette comunque alla maggioranza
dell'umanità di condurre un'esistenza tranquilla e
finanche serena, a tutti gli effetti ignara degli orrori che
incombono su di essa.
Aveva già ben chiare le idee Lovecraft quando nel
1917, in The Tomb, manifestò tramite il suo alter ego Jervas
Dudley, in una sorta di dichiarazione d’intenti, la sua
personale visione del mondo:

“Gli uomini di più vasto intelletto ben sanno che non


esiste una netta distinzione tra il reale e l’irreale, e
che tutte le cose devono la loro apparenza soltanto ai
fallaci mezzi mentali e psichici di cui l’individuo è
dotato, attraverso i quali prende coscienza del
mondo. Il prosaico materialismo della maggioranza
condanna invece quei lampi di una visione superiore
che penetrano il velo comune dell’ovvio empirismo,
classificandoli come manifestazioni di follia.”44

Ma se un simile stato di cose, sia detto per inciso, ci


ricorda la frase del marchese Saint-Yves d'Alveydre: “se
io rendessi pubblico tutto ciò che so, integralmente, metà della
popolazione di Parigi impazzirebbe, l'altra metà diventerebbe
letteralmente isterica”, non possiamo inoltre non
evidenziare come un'analoga concezione esista e
costituisca il fondamento di una religione, quella
induista, completamente estranea alla visione del mondo
di Lovecraft.

2.

Dapprima portata in occidente da Schopenhauer, e poi


divulgata dai teosofisti, la tematica della realtà come
illusione è una concezione che ha la sua provenienza in
ben altri tempi e luoghi, ossia nell'India vedica di
quattromila (e forse più) anni fa. Tale idea, di cui talvolta
si è fatto un uso improprio, se debitamente interpretata,
offrirebbe una visione del mondo estremamente
profonda e fornirebbe anche lo spunto per alcune
considerazioni decisamente interessanti.
Secondo questa dottrina tutta la realtà avrebbe il suo
fondamento sul concetto cardine di maya. Questo

44
H. P. Lovecraft, L’incubo – Tutte le storie dell’orrore puro – tomo I,
Newton, Roma, 1993, p. 45.
71
termine, solitamente tradotto come “illusione”, presenta
tuttavia molteplici sfumature e può essere reso in vari
altri modi, fra di loro anche differenti, ma stanti tutti ad
indicare una particolare capacità, ovvero un potere
creativo-produttivo. Maya è misurazione, creazione,
manifestazione di forme, ma è anche gioco di prestigio,
inganno, magia. E' un'attività che produce. E' una grande
arte.
La maya divina è simile a quella umana, ma
estremamente più potente: un'abilità artistica che implica
la produzione di tutto quanto esiste nell'universo, ossia la
manifestazione concreta di tutte le forme prima della
creazione esistenti solo a livello potenziale.
Il mondo, con tutto ciò che contiene (dèi, demoni,
uomini, animali, cose), non sarebbe altro che un' opera
d'arte nella quale il Principio Supremo avrebbe infuso il
soffio vitale e avrebbe dotato di una reale ma fragile
autonomia, una sorta di realtà “relativa”, non
completamente illusoria, ma comunque legata sempre
dalla realtà assoluta dell'artefice.
Questa arte è un mistero insondabile al quale anche i
più saggi veggenti non hanno saputo trovare una
risposta, una realtà misteriosa coestensiva alla natura
divina, una tela di volta in volta tessuta e disfatta di cui
anche l'umanità sarebbe uno degli elementi decorativi.
In questo stato di cose l'uomo comune si troverebbe
quindi nella duplice condizione di essere ingannato
dall'arte divina e di essere egli stesso un prodotto della
medesima. Agitato dalla corrente delle forme, mosso da
sentimenti, ambizioni, emozioni e dai vari accadimenti
della vita, egli avrebbe perso la nozione del suo vero
essere e vivrebbe un'esistenza parzialmente illusoria
dedicandosi a progetti, inseguendo traguardi e lottando
per affermazioni che, ancorché reali, non avrebbero una
consistenza maggiore di quella del sogno. Il velo di Maya
sarebbe quindi una limitazione, un ostacolo che farebbe
vivere l'uomo in uno stato di ignoranza, cecità (avidya) e
che gli impedirebbe la piena realizzazione e la
comunione con il Principio Supremo: il cammino
spirituale per il suo dissolvimento sarebbe pertanto
cercato dai saggi e, se concluso con successo porterebbe,
per i meritevoli, benefici spirituali incommensurabili.
Quando tutti i prodotti e gli effetti dell'ignoranza sono
stati trascesi si raggiunge la liberazione, stato
indescrivibile e supremo, al di là di ogni vicissitudine
dell'esistenza, ovvero oltre ogni condizione limitativa e
contingente.

3.

Ma nel mondo alla rovescia di Lovecraft sappiamo che le


cose sono diverse.
L'ignoranza, volontaria o involontaria, è l'unica via di
salvezza, l'unica possibilità di una vita normale; i
temerari che si arrischiano a penetrare i misteri
dell'universo pagano a caro prezzo la loro audacia. La
lettura di libri proibiti, lo studio di culti stravaganti,
l'esplorazione di località maledette o deserte dagli
uomini, sono tutte possibili chiavi per aprire la porta
dell'ignoto e trovarsi di fronte ad innominabili ed
inconcepibili orrori, a fatti e situazioni precise che
svelano l'arcano e mettono l'incauto di fronte alla dura
73
realtà dell'essere e a terrificanti verità finalmente rivelate
senza filtri. Tutti coloro che intraprendono la via
dell'ignoto si accingono ad affrontare prove ed entrare in
contatto con realtà che segneranno per sempre la loro
anima, e anche qualora le loro peripezie fossero coronate
da successo il premio di tutti gli sforzi sarà la follia o la
distruzione.
Ma simili situazioni non sono riservate solo ai
temerari e agli avventurieri, possono riguardare anche
ignare persone che nell'imponderabile gioco del destino
sono spinte sull'orlo del baratro. In The Shadow Out of
Time il protagonista, Nathaniel Wingate Peaslee,
tranquillo professore di economia, è trascinato in un
incubo senza senso e, disperso nei più lontani eoni della
storia, entra in contatto con realtà sconvolgenti. Tutta la
sua drammatica esperienza e tutto ciò che è venuto a
conoscere nel periodo del suo esilio avrebbero potuto
avere su di lui effetti devastanti, ma riuscirà ad uscirne
indenne proprio perché non in grado di comprendere
tutto:

“intuivo che i beffardi geroglifici curvilinei sui muri


mi avrebbero distrutto l'anima con il loro messaggio,
se non fossi stato protetto da una misteriosa
ignoranza.”45

Dopo il ritorno al presente la sua sanità mentale, sempre


in bilico, viene tuttavia salvaguardata da una duplice
protezione: oltre all'ignoranza comune c'è la convinzione,

45 H. P. Lovecraft, Le storie del ciclo di Cthulhu - tomo II, Newton, Roma,


1993, p. 308.
sia pur dubbiosa, di avere vissuto in un mondo di
allucinazioni. Il fallimento nelle ricerche della prova
materiale riguardo la verità delle sue disavventure sarà
alla fine la sua salvezza.
In altri casi, se si frequentano posti particolari o si
leggono testi nefandi, basta un nonnulla, magari uno
sguardo di troppo: Danforth, uno dei due esploratori di
At the Mountains of Madness, durante il viaggio di ritorno
in aereo, in realtà una fuga, rivolge un'ultima occhiata
verso le montagne polari e il maligno altipiano
retrostante che gli costerà la perdita della ragione. Ciò
che vede viene riassunto in poche sconnesse parole,
concetti chiave con un potere evocativo enorme, ("il
cilindro senza nome", "i protoShoggoth", "il colore venuto
dallo spazio", "le ali", "la fossa nera", etc.) parole capaci di
richiamare alla mente terribili realtà, di suggerire oscure
minacce incombenti sulla pace e la salute di tutto il
genere umano, parole riferite nel momento rivelatore del
delirio, ma subito ritrattate nei momenti di lucidità.
Concetto sviluppato più approfonditamente in The
Case of Charles Dexter Ward:

“E’ difficile spiegare come la sola visione di un


oggetto di dimensioni medie possa cambiare tanto
un uomo; possiamo solo dire che certe figure e certe
entità hanno una capacità simbolica che agisce
potentemente sulla mente di una persona sensibile e
suggerisce terribili reazioni cosmiche ed oscure, e che
esistono realtà innominabili che stanno dietro alle

75
protettive illusioni di ciò che vediamo
comunemente.”46

Il dottor Willett, nel laboratorio sotterraneo di Curwen,


ha guardato per la seconda volta delle strane e misteriose
creature, una volta di troppo che è stata sufficiente a
sollevare il velo della normale percezione e a suggerirgli
scenari da incubo.
La parola, il suono, l'immagine, la visione: tutto può
diventare uno strumento per varcare le soglie della realtà
comune. Non sono necessarie preghiere, meditazioni e
digiuni per avere le sinistre illuminazioni del mondo
lovecraftiano, la rete dell'esistenza ordinaria ha delle
maglie piuttosto larghe.

4.

Ma se “il velo di Maya” è il tessuto di cui è fatta la realtà


fenomenica, resta infine da sapere chi sia l'autore di
questa opera. Essendo l'artista necessariamente diverso
dall'opera d'arte, occupando un posto esterno a questa, si
può quindi risalire la gerarchia di tutti gli esseri ed
individuare chi è estraneo all'universo, essendo al di
fuori delle categorie del tempo e dello spazio; e al di là di
tutto, fuori dalla stessa materia, al di là dei confini del
conosciuto, esiste soltanto una entità che regna sovrana,
nel suo grottesco nirvana al centro dell'infinito. Azathoth,
causa prima e vero motore immobile dell'universo,

46 H. P. Lovecraft, Le storie del ciclo di Cthulhu - tomo I, Newton, Roma,


1993, p. 196.
mostruoso abominio di idiozia che sogna e farfuglia frasi
senza senso. Da lui e dalla sua corte partono le note,
vibrazioni primordiali, che danno vita a tutti gli
innumerevoli universi e che conferiscono le leggi eterne
che li governano47.
E' il suo agire quindi, sia pur incosciente e caotico, a
creare ciò che esiste e a dargli tutti gli attributi di realtà
che lo caratterizzano.
Secondo la tradizione, Visnu, personificazione
dell'Essere supremo, è assorto in se stesso in sublime,
sognante distacco, impassibile ed austero riposando nella
più sovrana indifferenza. Azathoth a modo suo lo imita,
ed in uno stato di annichilimento mentale e di imbecillità,
sogna cose che però non riesce a comprendere. Entrambi
sono la fonte che produce gli universi, ma mentre quelli
del primo sono basati sulla legge e sull'ordine, quelli del
secondo si originano e si fondano sul caos. E'
comprensibile che chi, tra gli eroi lovecraftiani, riesca
anche solo vagamente ad intuire simili realtà possa
venirne profondamente sconvolto, fino a perdere la
ragione. Ma chi diventa folle ottiene, degno finale, uno
stato del tutto particolare, ovvero realizza in sé, in forma
analogica ma invertita gli stessi attributi del creatore, una
vera e propria identificazione con il principio supremo,
risultato che è anche lo scopo finale della religione
induista.

47 Secondo la filosofia di Schopenhauer la Volontà di vivere, radice


dell'essere, essenza segreta di tutte le cose, presenterebbe dei tratti
caratteristici particolari: sarebbe inconscia, unica, eterna e senza scopo. Non
molto diversa da Azathoth, quindi.
77
VII.

Strani eoni

1.

Il tema della maya divina ci può permettere, a questo


punto, una ulteriore digressione che ci condurrà verso
scenari decisamente singolari, originali ma decisamente
utili al fine di capire sia i rapporti tra la tradizione
indiana e Lovecraft, sia il punto di vista di quest'ultimo
nei confronti della fisica e della metafisica del suo mondo
onirico.
La considerazione dell'universo come illusione,
magia, arte divina ci porta alla consapevolezza
dell'esistenza di una realtà ultima, posta al di là del velo
delle categorie e comprendente, in una sintesi superiore,
tutto quanto comunemente fornisca al mondo la sua vera
consistenza ed il suo vero essere. Tale realtà ultima,
eterna ed immutabile, producendo in maniera più o
meno conscia tutto ciò che esiste, è l'unica entità in
assoluto ad avere una consistenza a tutti gli effetti reale.
Ma l'uomo, pur facendo parte del grande gioco, non
sembra coinvolto da tutto questo; egli infatti nel suo
particolare ambito, che solitamente chiama realtà, finché
rimane coinvolto dalle esperienze e dalle sensazioni della
sua coscienza ordinaria resta al riparo da qualunque
visione che allarghi i suoi orizzonti e possa aprirgli nuovi
ed inquietanti scenari. Tuttavia per taluni individui, che
una particolare sorte (buona o cattiva) ha portato oltre il
senso del vivere comune, è possibile trascendere il
carattere illusorio dell'esistenza e portarsi verso una
dimensione dell'essere avente un grado di realtà
indefinitamente superiore a tutto quanto conosciuto in
precedenza.
Tutto questo può avvenire in due particolari
circostanze, del tutto analoghe anche se poste a livelli
temporali diversi, e riguardanti comunque il
dissolvimento del mondo fenomenico.
Questi due casi sono:

− alla fine del mondo, intesa come dissolvimento


finale del cosmo (pralaya) allorquando tutto cessa di
esistere in maniera manifesta ritornando
nell'immensità delle acque primordiali.
− In qualsiasi momento per coloro i quali siano in
grado, grazie ad una particolare sapienza, di valicare i
limiti dello spazio e del tempo.

Il primo caso è ben noto all'induismo. Alla fine di una


serie enorme di cicli temporali l'intero universo viene
dissolto e riassorbito all'interno dell'Essere Supremo; tutti
gli elementi si liquefano nel fluido indifferenziato dal
quale un tempo erano sorti e giacciono latenti nel grande
mare della Possibilità totale. Inizia la notte di Brahma,
periodo particolare di sospensione in cui tutto è rientrato
nell'unum primordiale ed il molteplice è ridotto all'unità
originaria.

79
Nel periodo di non manifestazione, nell'intervallo
della notte cosmica, maya cessa di operare e lo spettacolo
svanisce. In questo quadro tutto è terminato e non ha più
nessun effetto: successione, causalità, divenire sono
svaniti; poco prima della fine l'Essere Supremo, nella sua
personificazione di Shiva, ha distrutto tutto quanto
faceva parte del cosmo senza eccezione alcuna, e l'ultima
cosa ad essere eliminata è stata la morte stessa. Shiva
Yamantaka è colui il quale uccide la Morte e “riduce in
niente il ritmo e il gorgo dei fenomeni, dissolve ogni cosa,
ogni essere, ogni divinità nell'oceano, cristallino ed
immobile, dell'eternità.”48
Egli dà inizio ad uno di quegli strani eoni di cui già
sappiamo esistere altrove una testimonianza:

That is not dead which can eternal lie,


and with strange aeons even death may die.

2.

Anche il secondo caso è ben noto e non è del tutto privo


di collegamenti con il primo. Coloro i quali hanno
ottenuto nel corso della loro vita la facoltà liberarsi dai
vincoli del contingente, riescono a trascendere le
categorie del divenire e a giungere, dopo un lungo
cammino spirituale, di fronte all'Assoluto; privilegio
riservato solo a quei pochi veggenti che, dopo una vita di
ricerche, ottengono infine la rivelazione di verità segrete
ed ineffabili.

48 H. Zimmer, idem., p. 152.


Mitiche rappresentazioni queste, che richiamano alla
mente le vicissitudini di un noto personaggio
lovecraftiano, che compie un particolare viaggio
iniziatico verso la dimensione del trascendente alla
ricerca delle perdute “terre di sogno”, che culminerà però
con inaudite e prodigiose scoperte.
Nel racconto Through the gates of the silver key il
percorso di Randolph Carter attraverso la soglia ultima
del divenire è un viaggio che supera la fisica e si spinge
oltre, fino ai limiti stessi della vita comunemente
conosciuta ed oltre tutte le apparenze della realtà
ordinaria. Questo viaggio presenta notevoli analogie con
un altro viaggio, compiuto in un contesto molto diverso
ma avente sviluppo ed implicazioni simili, ossia con le
avventure del veggente Markandeya, il saggio per
eccellenza della letteratura dei Purana. Le sue avventure
irrazionali, avvenute durante l'intervallo che intercorre
tra la fine e l'inizio dell'universo, lo porteranno a
conoscere le realtà numinose della divinità, a
comprenderne i segreti ultimi e a raggiungere quella
dimensione che Lovecraft chiama l'“Altrove Assoluto”49.
Ci si voglia seguire in questo doppio mirabile
viaggio.

49 Cfr. Bhagavata Purana 12.9 e Mahabharata, libro III, Markandeya-


Samasya Parva cap.188-189. Faremo qui riferimento alla sintesi datane
da Zimmer, idem, pp. 41-56.
81
3.

Durante le loro avventure e peregrinazioni nel mondo,


Carter (discendente da una dinastia di maghi-ricercatori)
e Markandeya (discendente da una dinastia di saggi)
trovano il modo di oltrepassare la soglia del mondo
comune e di intraprendere un viaggio verso la realtà
ultima, l'uno utilizzando la magia e la famosa chiave
d'argento, l'altro la meditazione e la propria devozione,
ma alla fine ottenendo entrambi il medesimo risultato,
l'entrata nella dimensione del trascendente.
Entrambi, dopo essere riusciti a superare l'“ultima
soglia”, rappresentata per l'uno da una gigantesca
muraglia e per l'altro dalle labbra di un gigantesco Visnu,
giungono nel “Grande Vuoto che giace al di là di tutti i
mondi, di tutti gli universi, di tutta la materia50”, reso a
livello simbolico dall'immagine dell'acqua; la quale,
simbolo della materia prima, rappresenta tutte le
possibilità formali ed informali che giacciono a livello
latente nella non-manifestazione.
Immersi in un abisso oscuro e silenzioso entrambi
sono presi da un senso di paura e smarrimento:

“Carter si rese conto di vagare, sospeso tra abissi


incommensurabili, mentre onde di tepore profumato
gli lambivano il viso. Era come andare alla deriva in
un mare caldo, di colore rosa”[...] “Quando vide
l'enorme distesa del mare in distesa del mare in

50 H. P. Lovecraft, Attraverso le porte della chiave d'argento, in Il


guardiano dei sogni, a cura di G. de Turris, Bompiani, Milano, 2007, p.
220.
tempesta lambire la costa lontana, un cieco terrore
s'impadronì di lui.”51

“Markandeya non vede il gigante addormentato, ma


solo l'oceano, completamente buio, che si allarga
vasto nell'onniavvolgente notte senza stelle. E' colto
da sgomento e teme per la propria vita. Mentre si
dibatte nell'acqua tenebrosa, ecco si fa pensoso,
riflette e comincia a nutrire dei dubbi.”52

In questo frangente, avviene la riflessione riguardo la


realtà e l'illusione, dopo la quale si avrà l'incontro
rivelatore con l'entità superiore.
L'uno incontra il fanciullo divino53, mentre l'altro si
trova di fronte l'essere senza forma noto come Yog-
Sothoth (in quest'occasione decisamente benevolo)54. Nel

51 H. P. Lovecraft, idem, p. 227


52 H. Zimmer, idem, p. 44.
53 L'incontro di Markandeya con il fanciullo divino avviene sotto un
enorme albero. E' da notare qui la coincidenza con ciò che viene
descritto nel racconto The Crawling Chaos, nel quale il protagonista,
disperso in un mondo ignoto, incontra sotto un' enorme palma la figura
salvifica del fanciullo divino.
54 Il fatto che in questo racconto venga utilizzato Yog-Sothoth può essere
interpretato in vari modi. Si può ipotizzare che Lovecraft non si sia
servito di Azathoth perché aveva necessità di utilizzare un'entità
“intelligente” in grado di esprimere concetti dotati di senso compiuto,
cosa che il “mostruoso caos nucleare” per ovvie ragioni non era in grado
fare. Da un punto di vista filosofico si può sostenere del resto che, datosi
che ogni potenza cosmogonica pur essendo impersonale non agisce mai
senza un intimo ordine interno o senza la collaborazione di una divinità
ordinatrice, Azathoth, in quanto Ens Primum esistente per se non abbia
un rapporto diretto con il mondo da lui creato ma utilizzi un mediatore
che funga a tutti gli effetti da sostegno della creazione, vera e propria
83
loro primo approccio si manifesta tutta l'ambiguità della
potenza della rivelazione divina: entrambi sono colti da
timore, quel sentimento che è tipico del tremendum,
componente fondamentale del sacro che si fa sensibile,
ambigua manifestazione di una potenza che stupisce e
disorienta, capace di annientare ed esaltare, favorire,
beneficiare o distruggere con un solo colpo.

“Di essa Carter non aveva immagine visiva: ma la


presenza dell'entità – insieme alla spaventosa
consapevolezza che la sua manifestazione fosse
contemporaneamente locale, unica ed infinita – lo
gettarono in un paralizzante stato di terrore.”55

“Il santo era pieno di curiosità, ma i suoi occhi non


riuscivano a sopportare l'abbagliante splendore del
bambino.”... “Ma poi la sua mente divenne
consapevole della profondità insondabile dell'oceano
sconfinato e fu vinta da un terrore che lo raggelò.”56

Ma le entità in questione sono benevole, lo zelo


dimostrato dalle precedenti generazioni dei ricercatori ha
conquistato il loro favore ed ha rivelato loro la comune
origine archetipica:

“Il costante zelo mostrato da Carter e da tutti i suoi


antenati nello studio di proibiti segreti cosmici era il

anima mundi che garantisca la continuità del creato.


55 H. P. Lovecraft, idem, p. 230.
56 H. Zimmer, idem, pp. 47-48.
risultato naturale di questa discendenza
dall'archetipo supremo.”57

“Tuo padre conosceva il centro segreto della sua


esistenza, e tu provieni da quel centro.”58

Ma la realtà comune è ormai solo un'apparenza già


superata e la rivelazione principale riguarda proprio
l'identità tra soggetto e oggetto, ogni pensatore essendo
solo una parte di un Centro Universale separato
esclusivamente in modo illusorio da tutto il resto, un
Essere che trascende lo spazio e il tempo ed è l'essenza
indivisibile di tutto ciò che esiste.

“Le onde continuarono: tutta la discendenza degli


individui delle dimensioni finite, e tutti i loro stadi di
sviluppo, sono soltanto manifestazioni di un unico
essere archetipico che giace nello spazio al di là delle
dimensioni.”59

“Figliolo, sono il tuo genitore, tuo padre e tuo


antenato, l'essere primevo che elargisce la vita.”60

In questo contesto deriva infine l'unità del tutto, la


relatività del principio di individuazione e la fallacia
delle concezioni comuni:

57 H. P. Lovecraft, idem, p. 236.


58 H. Zimmer, idem, p. 48.
59 H. P. Lovecraft, idem, p. 235.
60 H. Zimmer, idem, p. 48.

85
“Gli esseri umani hanno introdotto la nozione di
tempo solo per spiegare il concetto di cambiamento:
ma anche quello è un'illusione. Tutto ciò che è stato,
è, e sarà, esiste simultaneamente.” … “Come le figure
prodotte dal sezionamento di un cono sembrano
variare a seconda dell'angolazione con cui si effettua
la sezione – diventando cerchio, ellisse, parabola o
iperbole al variare di quell'angolo, ma senza che il
cono venga trasformato – così le visioni parziali di
una realtà immutata ed infinita sembrano cambiare a
seconda dell'angolazione cosmica da cui li si
osserva.”61

“Sono il Signore-Creatore-e-Generatore-di-tutti-gli-
Esseri (prajapati), l'ordine del rito sacrificale, e sono
chiamato il Signore della Sapienza Sacra. Mi
manifesto come luce celeste, come vento e terra,
come l'acqua degli oceani e come spazio che si
estende nei quattro punti cardinali, che sta fra i punti
cardinali, che continua al di sopra e al di sotto di essi.
Sono l'Essere Primo e il Rifugio Supremo. Da me
prende origine quello che è stato, che sarà che è. E
qualunque cosa tu possa vedere, sentire o conoscere
nell'intero universo, sappi che io vi risiedo.”62

Al termine di tutte le rivelazioni il saggio Markandeya


viene preso dal dio ed inghiottito, fuor di metafora
riattraversa la soglia e rientra nel mondo della
manifestazione, esattamente ciò che fa Carter con la
richiesta di poter visitare la terra di Yaddith, pianeta

61 H. P. Lovecraft, idem, p. 234.


62 H. Zimmer, idem, p. 51.
stravagante ma pur sempre contenuto entro i limiti
dell'universo materiale.
L'epopea così termina, ma mentre il saggio indiano
saprà trarre profitto dagli insegnamenti ricevuti,
ritirandosi beatamente in un luogo isolato, Carter
continuerà le sue avventure e disavventure in forma non
umana ancora per numerose ed imprecisate epoche,
ritornando poi sulla Terra sotto le mentite spoglie di un
santone indù.

4.

Through the gates of the silver key, anche grazie alla prima
stesura di E. Hoffman Price63, è il racconto che più è
intriso di suggestioni orientali e che più riecheggia nelle
sue righe gli insegnamenti di antiche religioni.
Ma al di là della reale convinzione degli autori
riguardo la veridicità di quanto descritto, è sorprendente
constatare la coerenza con la quale l'esposizione di tali
teorie abbia poi implicazioni pratiche su tutto l'universo
onirico lovecraftiano, che risulta plasmato in perfetta
conformità delle medesime.
I temi affrontati sono molteplici ma riconducibili
tendenzialmente ad alcuni aspetti fondamentali:
illusorietà del reale, relatività delle categorie spazio-

63 Lovecraft, pur non essendo soddisfatto del racconto, lo riteneva quasi


interamente opera sua. A questo riguardo scriveva in una lettera del 31
agosto 1934: “E' virtualmente un lavoro totalmente mio. Price ha scritto
un grezzo seguito al mio Silver Key (1926), ma falsava così tanto lo
spirito dell'originale che ho eliminato quasi tutto e scritto questo al suo
posto.” Cfr. Selected Letters V, idem, p. 23.
87
temporali, unicità dell'essere e sua apparente
diversificazione nel mondo manifestato. Li si può
ritrovare agevolmente nella parte principale del racconto.
Le onde in cui è immerso Carter gli comunicano questo
insegnamento:

“L'uomo della Verità è giunto al Tutto-è-uno. L'uomo


della Verità ha capito che l'unica realtà è l'Illusione, e
che quanto ha sostanza materiale è un inganno.”64

E' questa la formulazione tipica della maya, di cui si è già


detto, formulazione non del tutto esauriente, datosi che il
termine ha una varietà di significati più ampia, ma che
rispecchia in pieno la versione che tale concetto veniva e
viene dato in Occidente. Dalla realtà come illusione
deriva l'illusorietà dello spazio e del tempo:

“L'essere infinito che aveva di fronte era Tutto-in-


uno e Uno-in-Tutto; non una semplice creatura di un
solo continuum spazio-temporale, ma l'espressione
dell'essenza vivificatrice della forza infinita
dell'esistenza: quell'estrema forza che non ha confini,
che supera i calcoli della scienza, e qualsiasi
immaginazione.”65

64 H. P. Lovecraft, idem, p. 227.


65 H. P. Lovecraft, idem, p. 230-231. In questo contesto si pone anche il
non trascurabile dato dell'insignificanza degli dei della Terra, i quali, al
cospetto delle divinità superne hanno una consistenza decisamente
minima. Dato questo perfettamente uguale a quello induista che vede gli
dei “olimpici” inchinarsi dinanzi alla potenza dell'Assoluto.
E in questo quadro si delinea la concezione fondamentale
dell'unicità del Tutto66. L'allegoria del cono intersecato da
vari piani rende bene il tema archetipico della visione
frammentaria ed illusoria di un ente primigenio in realtà
unico. Tema questo, comune a molte religioni, e che
viene di solito sviluppato con un esempio
antropomorfico, considerando l'universo come nato da
un originario principio, rappresentato dalla figura
dell'Uomo Primordiale. Questo ci porta direttamente ad
un tema fondamentale della letteratura vedica, ossia al
cosiddetto “sacrificio di Purusha”, mirabilmente espresso
nel Rig Veda67 nell'inno a Lui dedicato. Il Dio supremo
che crea, sostiene e dissolve l'universo è chiamato con
nomi ed appellativi diversi a seconda della scuola di
pensiero e della particolare devozione ad una sua forma
piuttosto che ad un'altra; egli è chiamato anche Shiva,
Atman, Brahman, Prajapati, Narayana, ed è anche il
Mahesvara, il sommo Signore che possiede la maya.
Purusha, gigante cosmico primordiale, ossia
Prajapati, signore delle creature, viene offerto dagli dei
come sacrificio (possiamo dire che si autosacrifica) e dal
suo essere così disgregato nascono tutti gli esseri
dell'universo. Egli è il divino Essere Cosmico visto nella
molteplicità della creazione, ed è il simbolo del passaggio
dall'unità alla molteplicità caratteristico dell'atto
cosmogonico.

66 L'immagine di un universo a varie dimensioni sempre crescenti rimanda


all'idea degli stati molteplici dell'essere.
67 Rig Veda, X, 90.

89
E' il principio formativo universale che, nel processo
di manifestazione materiale, assume le forme più
variegate, rimanendo comunque unico nella sua essenza;
aspetto questo da considerarsi valido sia a livello
generale per quanto riguarda la totalità dell'esistente, sia
a livello più particolare, interessando l'individualità
umana nel rapporto tra l’”io” personale ed il “Sé”
incondizionato trascendente.68

5.

Arrivati a questo punto della trattazione, e datisi tutti gli


elementi sopra esposti, desunti dal racconto di Carter
sotto le mentite spoglie di Swami Chandraputra, non
possiamo fare altro, per concludere, che cedere la parola
ad uno Swami vero, nella fattispecie a Swami
Krishnananda, il quale, profondo conoscitore delle varie
realtà dell'Induismo, potrà illustrarci in maniera
esaustiva quanto il mondo di Lovecraft sia,
volontariamente o meno, ad esse debitore. Le sue
riflessioni sul pensiero filosofico e religioso dell'India,
riguardanti in questo caso l'oggettività del mondo ed il
processo della creazione, sembrano a tutti gli effetti,
coincidenza significativa, un commento al racconto di
Carter69:

68 Vedasi a riguardo H. P. Lovecraft, idem, p. 230. La distinzione


fondamentale tra il Sé e l'io, ossia tra lo Spirito universale e lo spirito
individuale, è tipica dell'induismo, dove i due termini sono
rispettivamente chiamati Atma e jivatma.
69 Swami Krishnananda, Il pensiero filosofico e religioso dell'India,
Edizioni Mediterranee, Roma, 1984, p. 103.
“La spazialità, temporalità, regolarità e oggettività
del mondo sono reali come tutto ciò che è osservato
nel mondo dei sogni. Come il mondo onirico
svanisce al risveglio, il mondo di veglia svanisce
nell'esperienza dell'Assoluto.”

“La relatività del cosmo implica un'esistenza di


mondi in mondi, e di mondi che si interpenetrano
reciprocamente, non essendo coscienti uno
dell'esistenza dell'altro. Ognuno è rinchiuso dai
processi della propria mente e quindi i mondi
esistenti al di fuori della sfera di un insieme
particolare di processi di pensiero, non possono
essere conosciuti come esistenti. Il numero dei mondi
può non avere limiti: è l'infinito che si muove dentro
l'infinito.”

“Ma i mondi, sebbene siano dello stesso materiale


della mente, – individuale o cosmica – differiscono
nella loro composizione e nel loro contenuto. Alcuni
di essi possono essere quasi simili in natura, ma in
genere essi sono completamente diversi e possono
essere abitati da diversi tipi di individui di cui
difficilmente si può avere un'idea adeguata dal
nostro attuale stato mentale.”

E, ottima chiosa:

“il processo della creazione continua anche negli


individui, sebbene in maniera distorta e disordinata,
mediante una parte della Volontà originale del
Creatore”.

91
Processo creativo che in Lovecraft ha raggiunto livelli
eccelsi di originalità e precisione tali da imitare
veramente, salve fatte le debite proporzioni, l'attività
creatrice divina.
N. Roerich: Armageddon, 1935-36

93
VIII.

Cicli cosmici

Nyarlathotep... il Caos strisciante...


Io sono l'ultimo... parlerò al vuoto in ascolto

1.

La concezione dei cicli cosmici, comune all'antichità


greco-latina ed indiana, arriva a Lovecraft tramite la
lettura dei classici oltre naturalmente agli insegnamenti
contenuti negli scritti dei teosofisti. Una simile idea non
verrà però mai bollata come superstiziosa o fasulla ma
anzi costituirà un'utile base per la sua elaborazione
filosofica, umana e letteraria. Egli difatti accetterà la
visione ciclica della storia, ma la sfronderà di tutti gli
elementi religiosi, finalistici e provvidenziali per poi
rielaborarla in maniera personale alla luce delle
concezioni di Nietzsche e Spengler, secondo il proprio
materialismo ed indifferentismo cosmico.
Per Lovecraft, infatti, nell'eterno ed infinito mare del
divenire vi sono forme di vita, civiltà e mondi interi che
sorgono, mutano e muoiono senza soluzione di
continuità, vittime del caotico e vorticoso moto della
materia, del perenne fluire e rifluire dell'energia, in
un'ininterrotta giostra cosmica, enorme e maestosa
quanto completamente priva di senso. Epoche si
susseguono alle epoche, eoni agli eoni, nell'alternanza di
culture e civiltà, ascese e declini; e lo stesso uomo,
concrezione temporanea ed illusoria in questa corrente
non viene a costituire altro che un prodotto casuale, un
risultato accidentale che una serie di cause agenti
fortuitamente avrebbero formato secondo un ordine
apparente.
Egli non sarebbe un fine per la natura, un punto
d'arrivo, ma solo un essere come gli altri che solo per
puro caso occuperebbe una posizione illusoriamente
dominante, ingannandosi quindi nel credersi prodotto
privilegiato dell'evoluzione o della creazione.

2.

Queste idee, profondamente radicate in Lovecraft, si


manifestano però nell'uomo e nello scrittore con
declinazioni differenti. Nell'uomo tale visione della storia
è temperata dal suo materialismo totale e resa serena e
pacata da una sorta di tranquilla disperazione, nata dalla
consapevolezza della vanità di tutto l'esistente. La realtà
dei cicli umani, del loro susseguirsi, della caduta e della
nascita di imperi e civiltà è vista con occhio bonario,
distaccato e pieno di disincanto:

“Poi verrà un'epoca di declino – accelerata o da un


crollo interno o da un'invasione dall'esterno – e dopo
ci sarà la nascita di una nuova cultura ibrida che si
svilupperà forse attraverso fasi intermedie

95
utilizzando in maniera sempre minore parti della
precedente civiltà. E dopo la scomparsa di tutti
questi frammenti, ci sarà una rinascita a partire dallo
stadio nomade-pastorale, con un sacerdote-re-
guerriero, un concilio dei nobili, e tutte le familiari
forme antropologiche che sorgono dagli istinti
fondamentali della specie nel quadro di una natura
non artificiale ed incorrotta. Queste persone
ascolteranno le leggende che le loro anziane e i loro
sciamani racconteranno riguardo le rovine di ponti,
metropolitane, e fondamenta di edifici, e riguardo la
Sfinge e le piramidi e i templi rocciosi di Petra.
Quante volte questa commedia si ripeterà, non
sappiamo dirlo. Ma non ha importanza, visto che la
quantità è una cosa davvero insignificante.”70

Naturalmente in questo quadro l'idea stessa di progresso


diventa decisamente relativa:

“L'illusione di un regolare progresso comune verso


un desiderabile fine è di origine relativamente
recente e diventa assurda se consideriamo che la
Grecia di Pericle dista dalla nostra mediocre epoca
2400 anni.”71

Ma siccome nulla ha in sé un reale valore, anche la stessa


civiltà umana è destinata prima o poi a soccombere,
soppiantata da altre forme di vita organizzata che
prenderanno il suo posto ed inizieranno a giocare la loro
parte nella grande recita del cosmo, sempreché

70 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, pp. 42-43.


71 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, p. 42.
naturalmente, aggiunge Lovecraft, qualche “collisione
cosmica” non spazzi via il teatro “prima che il prologo
sia finito.”72
Ironia e disperazione si legano in un quadro cosmico
contraddistinto dalla totale mancanza di senso e di ogni
punto di riferimento di validità assoluta.
Nell’opera letteraria gli stessi temi sono ribaditi con
coerenza anche se trasfigurati attraverso la lente della
creazione fantastica. Nei racconti dello scrittore
l'esistenza continua a non avere senso, ma viene in
questo caso “bucherellata da miracoli”73, con numerosi
interventi soprannaturali che danno al tutto un aspetto
più affascinante ed inquietante.
Magia, creature potentissime, leggi arcane ed
inspiegabili animano il quadro generale, rendendolo
ancora più vivo, variegato ed imprevedibile, relegando
l'uomo ed il suo mondo in un ruolo sempre più
marginale. Gli esempi sono molteplici, si va dai più
semplici cicli umani, simili a quelli descritti nella realtà,
contraddistinti però da culture varie e stravaganti, fino a
cicli storici del tutto particolari, nei quali culture aliene
ed umane si susseguono come in una sorta di staffetta,
passandosi il testimone del dominio terrestre,
combattendosi, sfuggendosi o addirittura ignorandosi.

72 H. P. Lovecraft, Selected Letters III, idem, p. 43.


73 Non a caso utilizziamo questa espressione, datosi che già Nietzsche ne
fece uso nella sua Die Teleologie seit Kant, opera del 1868 in cui per la
prima volta negava qualsivoglia finalismo all'interno della natura. “Das
Dasein ist mit Wudern durchlöchert.” Cfr. La Teleologia a partire da
Kant, Mimesis, Milano, 1999, p. 72.
97
In At the Mountains of Madness sono delineati scenari
grandiosi, aventi come protagonisti le creature più strane
ed allucinanti, viaggi interplanetari, colonizzazioni,
guerre incredibili, alleanze, disfatte, cataclismi,
resurrezioni. E in mezzo, vittima, spettatore ed
involontaria comparsa sta l'uomo, che vive la sua vita,
talvolta fortunatamente ignaro di tutto ma talvolta
annientato dalla scoperta delle più terribili verità
nascoste.
Così anche in The Shadow Out of Time abbiamo simili
prospettive temporali, ma inquadrate nella particolare
ottica di una popolazione aliena: la “Grande Razza”,
ineffabile e misteriosa, che viaggia nel tempo e
nell'universo utilizzando le civiltà incontrate nel suo
cammino come involontario supporto materiale, che
viene posseduto per tutto il tempo necessario a garantire
loro la vita e lo sviluppo, salvo poi essere abbandonate
all'arrivo della inevitabile decadenza. Decadenza non
solo prevedibile, ma anche necessaria, unico elemento
costante in tutto il disordine cosmico, che coinvolge
prima o poi ogni forma di vita e, naturalmente, anche
l'uomo che padrone effimero del mondo, è condannato a
scomparire e a lasciare il posto ad altre forme di vita,
forse insetti, più adatti a vincere le sfide del clima e
dell'ambiente.74
Ma è in The Call of Cthulhu che vengono fornite le
indicazioni più chiare, inquietanti ed immediate riguardo
al futuro dell'uomo. Un periodo nuovo si profila

74 Sugli insetti come successori dell'uomo, non solo in ambito narrativo,


Lovecraft era piuttosto convinto. Vedasi a questo riguardo Selected
Letters III, p. 43 e Selected Letters V, p. 153.
all'orizzonte, costruito secondo criteri differenti rispetto
ai precedenti, contraddistinto da nuovi valori e
comportamenti e dominato da divinità terribili e spietate.
E' l'epoca di Cthulhu, in cui “strane sopravvivenze” del
passato riemergono, per dare vita ad “eoni proibiti” che
agghiacciano il sangue a chi riesce a concepirli e danno la
follia a chi li intravede in sogno. Ma questa nuova epoca,
sostenuta da un “culto d'incubo” potrà eventualmente
anche essere l'ultima per l'uomo, ma non lo sarà né per la
Terra né per l'universo, che continuerà indifferente le sue
trasformazioni per tutto il tempo dell'eternità, o forse
solo fino a quando sarà gradito al “mostruoso caos
nucleare” che regge l'universo, vera ragion d'essere di
tutto ciò che esiste.
La concezione ciclica lovecraftiana non è supportata
da alcun principio ordinatore, e si perde quindi in un
continuo flusso e riflusso di durata indefinita e di genere
irrazionale. Diametralmente opposti sono i cicli cosmici
tradizionali che, testimoni di un ordine necessario,
obbediscono a leggi ben stabilite e rispecchiano, anche
nella loro suddivisione, l'esistenza di un' intelligenza
operante nella natura che richiama a sua volta un
principio superiore che questa natura forma ma
contemporaneamente trascende, senza esserne
minimamente alterato.
Lo stesso potere divino di annientamento degli
esseri, non è una reductio ad nihilum in senso assoluto,
poiché la distruzione del cosmo non sarebbe altro che un
rientro dell'essere nell'unum primordiale e quindi una
riduzione della molteplicità all'unità iniziale da cui tutto
aveva avuto origine. La storia dell'universo quindi nei
99
suoi passaggi e nelle sue trasformazioni risulterebbe
essere un processo legato ad un ben preciso ordine, dove
anche i momenti di deterioramento e oscuramento
sarebbero soltanto fasi transitorie che acquisterebbero un
senso se considerate in relazione a questo ordine visto
nella sua totalità.

3.

Il tema messianico è fortemente presente in Lovecraft, ma


assume aspetti differenti a seconda dell'epoca storica
presa in considerazione. Nella sua opera, come nei cicli
storici tradizionali, abbiamo infatti dei periodi di
transizione, dei tramonti e delle “fini del mondo” del
tutto relativi, riguardanti non solo una ristretta epoca
umana o particolari continenti, ma anche gruppi umani
più o meno estesi o perfino l'intera vita nel mondo e nel
cosmo. Ognuno di questi periodi è in ambito relativo una
fine, prologo e prefigurazione dell'autentica fine, la quale
però è anch'essa nella prospettiva ciclica sempre e
comunque definitiva solo in relazione al particolare ciclo
considerato.
Yuga, Manvantara, Kalpa, giorni e notti di Brahma75,
sono divisioni temporali enormi che scandiscono il ritmo
dell'essere e costituiscono, ognuno nel proprio ambito,
una barriera invalicabile per le creature immerse nella

75 Per dare un'idea dell'enormità dei periodi considerati si può dire che
secondo la tradizione un giorno di Brahma ha la durata di 4.320.000.000
anni umani, così come la notte, che ha la stessa lunghezza. Il ciclo di
durata maggiore ha termine dopo cento anni di Brahma.
corrente delle forme e stabiliscono per loro, a questo
riguardo, una vera e propria fine del mondo.
Anche in Lovecraft abbiamo qualcosa di simile, anche se
caratterizzato da aspetti decisamente anti-provvidenziali.
Come abbiamo già visto, anche la Morte verrà uccisa in
un'epoca futura ed imprecisata, ma prima innumerevoli
altre forme sorgeranno e decadranno, marcando con la
loro presenza il passare delle ere.
Ma mentre nel calendario cosmico si segnano le
scadenze di giorni, mesi e anni in una serie continua e
indefinita, è forse possibile pensare ad una vera fine?
Da questo punto di vista è fondamentale la figura
dell'ultimo avatar, colui il quale porterà a questo riguardo
la parola definitiva.
Si noti quindi un dato interessante: mentre Cthulhu
segna la fine di un mondo, è Nyarlathotep che porta la
fine del mondo. Egli è l'annunciatore e il messaggero del
caos, l'esecutore dei suoi irrazionali deliri. I princìpi che
egli incarna sono gli stessi che informano la vita stessa
dell'universo, e sono quindi primordiali, fondamentali ed
invincibili. La sua figura anti-messianica va oltre quella
del demone degli abissi, la supera e la trasporta in una
dimensione universale, riuscendo a mutare con la sua
ultima venuta non solo il pensiero degli uomini, ma
anche il corso degli astri e le leggi della natura stessa.
In una certa epoca della storia, temuta ma forse
attesa, scenderà sulla Terra una divinità dell'“altrove”,
non su di un cavallo bianco76 ma negli stravaganti panni

76 Il termine avatar significa “disceso” ed indica la manifestazione della


divinità nel mondo ed il suo intervento concreto e storico per la salvezza
dell'umanità. L'ultimo avatar dell'induismo, il Kalki, scenderà sulla
101
di un mago egizio, non per ristabilire l'ordine ma per
dissolvere tutto quel poco che rimane, e finalmente porrà
fine al grande sogno, al grande gioco universale che forse
per qualche tempo aveva costituito il folle passatempo di
entità superne ed imperscrutabili.

Poi, distruggendo quello che aveva plasmato per gioco


il Caos idiota soffiò via come polvere la Terra.77

Terra su di un cavallo bianco e ristabilirà, dopo avere sradicato il male e


l'errore dal mondo, un periodo di ordine e di armonia.
77 Da Nyarlathotep, sonetto 21 dei Fungi from Yuggoth, traduzione nostra.
N. Roerich: Kalki Avatar, 1932

"Poi, nel lento, strisciante corso dell'eternità, l'ultimo


ciclo cosmico si avviò all'ennesimo, futile
compimento, e tutto ritornò come era stato
incalcolabili ere prima".

103
Appendice:

L'ERA OSCURA

Lovecraft era uno specchio. Egli riceveva e assimilava le


influenze dell'ambiente circostante e, tramite le sue
capacità letterarie, le rendeva, trasfigurate, nella sua
poesia e nei racconti. Lucido e preciso, coglieva bene gli
stati d'animo, le sensazioni e gli umori che pervadevano
l'ambiente in quel momento storico, le correnti che
influenzavano e formavano i pensieri degli uomini. Egli
possedeva una grande erudizione che, abbinata al suo
acuto intelletto, gli conferiva la non comune capacità di
comprendere le varie situazioni del mondo che lo
circondava.
Ma non era solo questa la sua dote.
Attraverso la lente deformante del sogno egli andava
oltre, vedeva di più, captava le immagini significative e
simboliche che costituivano la vera sostanza della realtà.
Con questo suo particolarissimo strumento percettivo
egli aveva la possibilità di spingersi là dove la logica non
l'avrebbe mai potuto portare, oltre il “muro del sonno”,
in una dimensione irraggiungibile a tutti gli altri, dove
solo lui poteva vedere, sentire, capire. Lovecraft coglieva
per metafore, visioni e rivelazioni lo zeitgeist, lo spirito
dei tempi, l'anima onnicomprensiva che formava l'epoca
sua e dei suoi contemporanei. E la sua esperienza onirica
è più reale di quanto si possa comunemente credere; egli
avrebbe voluto evadere, ma involontariamente finiva per
descriverci il mondo. Senza l'appoggio della razionalità e
della coscienza, il suo pensiero vola e si perde in
immagini mirabolanti e allucinate, in visioni dolci e
selvagge, in regni arcaici e minacciosi. Ma il sogno è
allegoria e la ragione, sempre limitata, viene trascesa dal
libero volo immaginativo; ed osservando le miserie
umane con la prospettiva particolare del sognatore
queste risultano deformate, irriconoscibili, ma non per
questo meno vere.
Lovecraft, come uomo, conosceva sia i mali del suo
tempo, sia il malessere esistenziale dei suoi simili, e in
vari scritti pubblici e privati li coglie acutamente tutti: la
forza come criterio di affermazione e di ragione, la
velocità distruttrice e divoratrice, il macchinismo
disumanizzante, il movimento insensato che travolge i
sicuri baluardi faticosamente costituiti nel corso dei
secoli, la logica del profitto, il bieco utilitarismo, il
miraggio tecnico e produttivo, l'anonimato delle
metropoli, il brulicare di immense masse umane e il loro
agitarsi scomposto, il degrado dei rapporti umani, la
bruttezza che si insinua dappertutto, il mescolìo delle
razze, la perdita dell'ordine, della forma, dell'armonia.
E al di sopra di tutto c'è il Caos, incombente e
minaccioso, sempre in procinto di irrompere nel mondo
ma sempre trattenuto da una tenue e precaria difesa, data
dall'illusione e dalle false certezze della ragione. Lo
stesso materialismo di cui Lovecraft tanto faceva mostra,
è forse da considerarsi una cura o una parte stessa del
male?
105
Più si trattiene la realtà nei suoi più stretti vincoli, più la
si rinchiude in una prigione angusta ed oppressiva, e più
forti saranno il sentimento e la volontà di fuga.
Ma se è “dalle acque stesse del materialismo” che
“sorge la corrente mistica”, non ci si deve stupire che sia
proprio da un materialista totale che nasca una
produzione di miti senza uguali. E sono tutti miti reali,
miti che utilizzano la realtà per esistere, ma che la
superano poi nella loro capacità evocativa e nel loro
potere di suggestione.
Che accade nel mondo di Lovecraft?
Potenti forze tornano a manifestarsi, misteriose, cieche e
schiaccianti, emergendo da eoni lontanissimi, da lande
remote, dalle acque oscure dell'inconscio. Dèi
dimenticati, arconti osceni, governanti di antiche epoche
che pretendono di nuovo il loro tributo di sangue. Una
gnosi nera s’impone con tutto il suo carico di orrori
inconcepibili mentre potenze tenebrose, senza anima,
assediano l'isola di tranquillità su cui l'uomo si è rifugiato
con le sue illusorie certezze. Uomo che è piegato,
prostrato, impotente di fronte a ciò che titanicamente lo
sovrasta e gli si impone rendendo assurda persino la più
piccola volontà di resistenza. A poco vale la sua
razionalità, la sua logica, il suo scetticismo, le forze
evocate non conoscono freno e non patiscono
l'indifferenza, agendo anzi con più efficacia proprio
contro chi più le ignora. E nulla possono nemmeno le
antichissime e perdute divinità dell'età dell'oro, della
fanciullezza umana, benevole ma sempre più lontane,
poiché la crisi avanza e si manifesta con tutta la sua
drammatica presenza, annunciando nuove e terribili
leggi. Il male incombe, il decadimento è inarrestabile,
l'uomo inizia a perdere tutto ciò che lo distingue e lo
rende unico, incominciando proprio dalla sua umanità:

“Sarebbe stato facile capire quando fosse arrivato il


momento, perché allora il genere umano sarebbe
diventato come i Grandi Vecchi; libero, sfrenato e
aldilà del bene e del male; avrebbe gettato alle ortiche
leggi e morale, e tutti avrebbero urlato, ucciso e
gioito. Allora gli Antichi, ormai liberi, avrebbero loro
insegnato nuovi modi di gridare, uccidere, gioire e
divertirsi, e tutta la Terra avrebbe fiammeggiato di
un olocausto di estasi e libertà.”78

E' questa l'età oscura, il Kali Yuga, dove il disordine


regna sovrano, la corruzione e la decadenza
predominano incontrastati e l'umanità stessa, perduta la
propria ragione, precipita in abissi di follia quasi senza
accorgersene, compiacendosi anzi di una caduta che
viene scambiata per volo.
Epoca di oscurità, disordine e disorientamento, di
debolezza e viltà, barbarie e violenza, in cui forze occulte
si materializzano rendendosi visibili, mentre nel
disfacimento finale fantasia e realtà iniziano a
confondersi, uguali ma diverse, ognuna con il proprio
frammento di verità; epoca di cui Lovecraft è il cantore
principale, suo malgrado, nuovo aedo di un mondo che
si dissolve e che scopre di non avere consistenza

78 H. P. Lovecraft, Le storie del ciclo di Cthulhu - tomo I, Newton, Roma,


1993, p. 83.
107
maggiore di un sogno. Un incubo da cui il risveglio
consolatore sembra essere ancora lontano.
N. Roerich: Oltre gli Abissi, 1924

"... s'inoltrava nel buio, verso un golfo d'eterna notte e


oscurità perenne, custode di segreti primordiali e di
remoti sogni sconosciuti".

109
111
INDICE
PREMESSA... p. 7

I. Mito e Folklore… p. 13
II. Il Teosofismo… p. 24
III. Roerich… p. 33
IV. Testi Sacri e Cosmogonie… p. 41
V. L’Asse del Mondo… p. 52
VI. La Realtà e il Resto… p. 69
VII. Strani Eoni… p. 78
VIII. Cicli Cosmici… p. 94

Appendice:
L’ERA OSCURA… p. 104

113
Edizioni Dagon Press
Pineto (TE) Italy.
Finito di stampare a maggio 2009

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